Il cristianesimo ha tradito Gesù? Insieme all’ateismo, la negazione della continuità sostanziale fra il Cristo della fede (quello che ci è stato insegnato e fa parte da sempre della fede della chiesa) e il Gesù della storia (quello che è descritto dagli stessi vangeli letti con la massima attenzione) rimane forse il problema fondamentale che angustia oggi la riflessione teologica e la chiesa stessa. Questa negazione sarebbe una ferita grave inferta alla fede cristiana. In Italia il problema, specialmente per opera di alcuni pubblicisti e di certi mezzi di comunicazione sociale è arrivato a livello popolare. Né la teologia in quanto tale né l’evangelizzazione si possono permettere di ignorarlo. Una questione che ci insegue da lontano (dalla “vecchia ricerca” si è passati negli anni ’50 alla “nuova ricerca” e successivamente, dagli anni ’80, alla “terza ricerca”) e che risorge oggi con nuovi argomenti e maggiore “vis polemica”. L’Inchiesta sul cristianesimo di C. Augias e R. Cacitti porta il significativo sottotitolo: “Come si costruisce una religione”. Le parole iniziali di quel testo pongono molto bene l’argomento. Quante cose non ha detto Gesù, che pure formano l’intelaiatura fondamentale della religione cristiana. Questa non nasce da Gesù, ma dalla comunità cristiana, in particolare da alcuni suoi rappresentanti, come i quattro evangelisti e soprattutto da Paolo di Tarso, non da ora e non solo da questi divulgatori, considerato come il vero fondatore del cristianesimo. Una questione complessa che non possiamo trattare distesamente in questa sede, ma che merita tutta la nostra attenzione e richiede una adeguata preparazione specialmente da parte di coloro che hanno nella comunità il carisma e l’ufficio dell’insegnamento. Una delle nuove frontiere dell’apologetica cristiana. Si tratta, come si diceva prima, di un colpo micidiale condotto all’intero edificio della religione cristiana. Costruita, come abbiamo appena sentito, per mani d’uomo e non di qualcuno inviato direttamente da Dio. La complessità della materia (ne sono coinvolti i problemi dell’origine dei vangeli canonici, del valore dei cosiddetti vangeli apocrifi, del pensiero dell’apostolo Paolo, della possibilità o meno di raggiungere attraverso i documenti da noi posseduti il Gesù della storia, del passaggio dalla religione di Gesù alla religione su Gesù…) necessita di una lunga e meticolosa trattazione. E’ innegabile che esista un passaggio dall’atteggiamento della prima comunità cristiana prima della risurrezione a quello posteriore. Si è detto per questo che il cristianesimo è nato due volte: la prima con la predicazione e l’opera di Gesù di Nazaret (una testimonianza resa in particolare dai quattro vangeli, specialmente quelli cosiddetti sinottici), la seconda con la risurrezione del Signore. Già l’apostolo Pietro, proprio nel discorso della pentecoste si esprimeva in questa maniera. “Sappia dunque con certezza tutta la casa d’Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso”. Ora l’oggetto della predicazione apostolica non sarà solo l’insegnamento di Gesù terreno, ma la stessa persona di Gesù risorto e glorioso. Una discontinuità, non c’è dubbio. Ma l’analisi attenta dei testi canonici, non soltanto da oggi, dimostra che la discontinuità si inserisce saldamente all’interno di una continuità sostanziale. Tutta l’esistenza di Gesù che precede la risurrezione è riletta dalla chiesa delle origini e riletta in forma nuova, alla luce di quanto la pasqua ha portato di nuovo nella mentalità dei primi cristiani. Di questo passaggio tratta con chiarezza il documento conciliare Dei Verbum, quando parla dell’origine dei vangeli (cf. n. 19). Il biblista laico Jossa, professore universitario di storia del cristianesimo, conclude la sua analisi sui quattro vangeli con questa frase: “L’interpretazione della figura di Gesù di Marco, Luca, Matteo e Giovanni, che diventerà abbastanza rapidamente l’interpretazione canonica è interamente fondata sul paradosso che il Cristo della fede della comunità cristiana è proprio il Gesù terreno conosciuto dai suoi discepoli”. La stessa conclusione vale anche per quanto riguarda l’apporto di Paolo di Tarso allo sviluppo della chiesa e della predicazione cristiana. Paolo non è l’inventore del cristianesimo, ma il suo sistematizzatore, il grande teologo che esprime in modo ordinato e approfondito le verità comunicate dal Gesù terreno, ricevute anche direttamente nella sua personale rivelazione e nate nel confronto con “le colonne” della chiesa. Lo stesso Paolo dimostra implicitamente almeno che la fede in Gesù Figlio di Dio, incarnatosi per la nostra salvezza è a lui anteriore: si pensi, per es., all’inno cristologico della lettera ai Filippesi (2, 4-11), che Paolo ha ascoltato nelle comunità cristiane del tempo che lui frequentava. Il predicatore e il catechista di oggi possono stare tranquilli, sicuri che il Cristo della fede è proprio il Gesù terreno, il Gesù della storia. Una convinzione già espressa nell’espressione di sempre: “Gesù è il Cristo”. La discontinuità rispetta la continuità. Giordano Frosini