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Omelia per la giornata della Pace

Pistoia, 1 Gennaio 2013

Raccontare il sorriso di Dio

Sorelle e fratelli miei, benvenuti in questa Cattedrale, austera e splendida, volto di una chiesa e di una città. Benvenuti in questo primo giorno dell’anno, sempre segnato dall’attesa e dalla speranza. La parola di Dio ci ha raccolto per narrarci una storia: la storia di un sorriso. Per due volte nella prima lettura si parlava del “volto di Dio”, un volto che si volge verso l’uomo, che risplende di benevolenza e di premura per noi: il volto sorridente di Dio. Il Vangelo di Luca ci ha detto che il sorriso di Dio è diventato vita, è diventato persona in mezzo a noi: nel Bambino di Bethlehem il sorriso di Dio è affiorato nella nostra carne, e da lì, da quel Bambino, si è incamminato nella storia degli uomini, per raggiungere ogni persona, per affiorare in ogni vita, come ci indicava S.Paolo nella seconda lettura “Dio mandò il Suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare quelli che erano sotto la legge, perché noi ricevessimo l’adozione a figli” (Gal. 4,4-5). Il sorriso di Dio, in cammino sulle strade del tempo, pellegrino sui tracciati della storia, nei meandri di vita delle persone. Non sono percorsi facili, spesso sono aspri, drammatici, segnati dallo sgomento e dalla rabbia. Lo vedo così questo inizio d’anno, questo 2013, per il nostro paese e per la nostra città. La nube della preoccupazione per il presente, della mancanza di prospettive per il futuro, incupisce il cuore e la mente di tante persone e soprattutto tarpa le ali al volo del progetto e della speranza per tanti giovani. Non possiamo rassegnarci a questo stato di cose, non possiamo accettare che il cammino della vita, per le nuove generazioni, debba svolgersi sotto il cielo opaco e basso della precarietà, dell’ansia che nasce dalla incertezza. Abbiamo bisogno di una speranza affidabile, di prospettive concrete, percorribili, abbiamo bisogno di sole, di luce, abbiamo bisogno di incontrare il sorriso di Dio che diventa anche il sorriso della vita, una strada aperta verso il domani. Ecco perché sulla soglia del 2013, mentre ci lasciamo alle spalle un anno severo e pesante, mentre ancora l’orizzonte sembra mantenersi cupo e chiuso, almeno per la gente normale, per le vicende di un’economia capillare come quella delle nostre famiglie, abbiamo bisogno di sentirci raccontare il sorriso, di sentirci da esso accolti, confortati, incoraggiati, sulla soglia di questo nuovo anno.


Abbiamo bisogno di incontrarlo il sorriso di Dio, di esserne contagiati, fino ad accoglierlo e riverberarlo dentro di noi; abbiamo bisogno di scambiarcelo reciprocamente, da persona a persona, da vita a vita, per ritrovare in maniera sana e solida il gusto della vita, la gioiosa trepidazione della speranza. Abbiamo bisogno di portarlo, il sorriso di Dio, nella vita, nelle azioni, nelle relazioni, persino di farlo emergere dal di dentro delle cose, delle giornate di questo nuovo anno. Perché Dio ha impresso, Dio ha nascosto il suo sorriso dentro ogni persona, dentro ogni giorno, dentro ogni cosa: dobbiamo saperlo raggiungere, far emergere, affiorare, farne motivo di vita, forza per affrontare la fatica della strada. Sorelle e fratelli miei, il sorriso di Dio è la pace! Le prima lettura ci ha detto: “il Signore faccia risplendere per te il suo volto……e ti conceda pace”. Far affiorare il sorriso di Dio dal di dentro delle cose, delle persone, delle relazioni e dei giorni, significa dire che il desiderio di pace è celato in ogni vita, è dentro di noi; la via della pace è segnata in ogni passo che noi muoviamo, è cercata, è desiderata almeno implicitamente, dalle nostre azioni e dalle nostre intenzioni. E pur vero che tante volte noi agiamo di fatto come coloro che velano il sorriso, lo deturpano in una smorfia, racchiudono e comprimono il bisogno e il desiderio di pace, di bene, di speranza, che c’è dentro noi stessi e dentro gli altri. Non posso in questo inizio di anno non ricordare la lunga traccia di violenza e di sangue contro le donne, che ha drammaticamente accompagnato tutto il 2012. Incontrare il sorriso di Dio che è il bambino di Bethlehem sulla soglia del nuovo anno, al primo passo di una nuova strada, vuol dire per noi diventare i menestrelli della pace, i cantori del sorriso di Dio che deve affiorare dentro ciascuno. Amici miei è vita dura quella del menestrello: egli canta e cammina nella notte, è circondato dal silenzio, sopporta il freddo e il rischio solo per vedere una finestra illuminarsi, affacciarsi un volto, emergere un sorriso. Noi siamo i menestrelli della pace, i cantori del sorriso di Dio. A noi è stato raccontato quel sorriso, lo abbiamo incontrato, ci ha colmato l’esistenza, ci ha riscaldato il cuore e noi lo andiamo cantando sulle strade di questo 2013 sotto ogni finestra, alla soglia di ogni vita. Cari amici, vorrei più dettagliatamente indicarvi alcune finestre sotto le quali i menestrelli devono sostare, perché la luce si accenda, alcune soglie dove fermarsi finché la porta si apra. Sono i luoghi, gli ambiti umani, dove c’è più bisogno di far emergere il sorriso di Dio, percorsi nuovi di speranza e di pace. La prima finestra sotto la quale sostare per noi menestrelli, perché più decisamente si accenda e si apra è quella della vita umana e della sua dignità. Far affiorare il sorriso di Dio, che è la pace, nella vita umana vuol dire rispettarne la dignità.


La dignità dei suoi punti estremi, le frontiere del concepimento e della fine naturale. Ma anche la dignità del suo svolgimento: il diritto all’alimentazione per tanti popoli, alla informazione, alla formazione, alle cure, all’accesso sui mercati globalizzati. Il diritto alla libertà, all’autodeterminazione. Il diritto alla convivenza pacifica tra popoli, etnie, religioni diverse. Poiché “la vita umana, in pienezza, è il vertice della pace. Chi vuole la pace non può tollerare attentati e delitti contro la vita” (Benedetto XVI, Messaggio XLVI° giornata per la pace, I Gennaio 2013, n°4). La seconda finestra dove il menestrello della pace deve fermarsi a cantare, perché si accenda e si apra, è il diritto al lavoro. Non possiamo accettare che “il lavoro venga considerato una variabile dipendente dei meccanismi economici e finanziari” perché questo significa che scelte operate da pochi, nelle stanze alte e spesso incontrollabili della economia e della finanza mondiale, si scaricano poi sulla gente, sulle famiglie, vengono pagate dalla vita delle piccole aziende, delle persone, dalla base dei lavoratori. Il diritto al lavoro non può rimanere deciso solo dai dinamismi economici e finanziari: esso è un bene fondamentale per la persona, la famiglia, la società, tocca la dignità della vita perciò ha un fondamento non solo economico, ma anche etico e spirituale che non può essere snobbato, pena il massacro sociale soprattutto dei giovani e dei più deboli. Dobbiamo perciò, con ogni sforzo “porre con priorità l’obiettivo dell’accesso al lavoro o del suo mantenimento per tutti”. Una terza ed ultima finestra sotto la quale noi menestrelli dobbiamo fermarci a cantare è quella di un nuovo modello di economia e di sviluppo, ormai da più parti riconosciuto e conclamato, anche sotto l’urgenza della crisi attuale che ha messo alle corde il modello nel quale ci muoviamo, evidenziandone limiti e contraddizioni. Un nuovo modello di sviluppo vuol dire, in termini semplici, una economia amica della persona, amica della vita. Un sistema economico dal quale non dobbiamo difenderci, sospettare, temere. Perché è una economia che non pone se stessa al vertice della piramide, ma ci metta la persona, la famiglia, il diritto dei più deboli. Non possiamo continuare ad un sistema economico che per funzionare e per affermarsi produce necessariamente problemi sociali come emarginazione, ricorrente disoccupazione, crescita delle diseguaglianze. Esse vengono poi scaricate sullo “stato sociale”, sulle organizzazioni civili e di volontariato che hanno il compito di fare i barellieri, di raccogliere e curare la massa di feriti che il sistema economico inevitabilmente produce. Non possiamo continuare ad accettare un sistema che punta tutto sulla competitività, sulla massimazione del profitto e del consumo, peraltro in una ottica individualistica ed egoista, perché questo produce fasce crescenti di marginalità e di esclusione ed è tendenzialmente negato alla lealtà ed alla reciprocità. Non possiamo perpetuare dinamismi produttivi e di consumo che prescindano dall’impegno ecologico, che erodano il mondo, dissipino risorse ed energie che sono di tutti, divorino ciò che spetta alle future generazioni per il consumo e lo spreco della nostra generazione, anzi di una fetta sempre più ristretta di privilegiati, arroganti e sperperatori.


Non possiamo rinunciare al sogno, al progetto di una economia di pace, di una economia che sorrida, amica delle persone, della vita, della creazione. Ecco sorelle e fratelli miei, il significato ed il valore di questo giorno, primo dell’anno 2013, giornata della pace. E’ un giorno in cui dobbiamo raccontarci il sorriso: il sorriso di Dio che diventa il sorriso delle persone, della città, della vita. Il sorriso di Dio che è la pace ed il cammino della speranza. Partiamo anche quest’anno, fiduciosi e coraggiosi, per questo nuovo tratto di strada, partiamo con il passo leggero e deciso, con il cuore caldo e convinto, come il menestrello che vince la fatica ed il buio perché è forte, è bella la canzone che canta così: la pace è il sorriso di Dio!


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