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Diocesi di Pistoia Ufficio Catechistico Diocesano

Luca: il Vangelo della Fede che allarga il cuore alla Speranza Per imparare a credere con Maria e i discepoli di Emmaus Attraverso Vangeli dell’Infanzia e i racconti delle apparizioni del Risorto

Madonna con Bambino, di F. Inverni – Chiesa di Poggetto a Poggio a Caiano

Sussidio Diocesano per i Gruppi di Ascolto della Parola di Dio Anno della Fede 2012/2013


Sussidi per i Gruppi di ascolto della Parola di Dio 2012-2013

DALLA LETTERA APOSTOLICA

PER L’INDIZIONE DELL’ANNO DELLA FEDE

LA PORTA DELLA FEDE DI Benedetto XVI

“La “porta della fede” (cfr At 14,27) che introduce alla vita di comunione con Dio e permette l’ingresso nella sua Chiesa è sempre aperta per noi. È possibile oltrepassare quella soglia quando la Parola di Dio viene annunciata e il cuore si lascia plasmare dalla grazia che trasforma. Attraversare quella porta comporta immettersi in un cammino che dura tutta la vita”. (Porta Fidei 1) “È l’amore di Cristo che colma i nostri cuori e ci spinge ad evangelizzare (2Cor 5,14). Egli, oggi come allora, ci invia per le strade del mondo per proclamare il suo Vangelo a tutti i popoli della terra (Mt 28,19). Anche oggi è necessario un più convinto impegno ecclesiale a favore di una nuova evangelizzazione per riscoprire la gioia nel credere e ritrovare l’entusiasmo nel comunicare la fede. Nella quotidiana riscoperta del suo amore attinge forza e vigore l’impegno missionario dei credenti che non può mai venire meno. La fede, infatti, cresce quando è vissuta come esperienza di un amore ricevuto e quando viene comunicata come esperienza di grazia e di gioia. Essa rende fecondi, perché allarga il cuore nella speranza e consente di offrire una testimonianza capace di generare: apre, infatti, il cuore e la mente di quanti ascoltano ad accogliere l’invito del Signore di aderire alla sua Parola per diventare suoi discepoli”. (Porta Fidei 7)

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Sussidi per i Gruppi di ascolto della Parola di Dio 2012-2013

Indice delle schede INTRODUZIONE Un progetto di lettura del vangelo Dai Gruppi di Ascolto del Vangelo alla riscoperta della fede

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I Scheda “Rallegrati piena di grazia: il Signore è con te” (Lc 1,26-38) L’Annunciazione a Maria. (Sua ecc.za Mons Mansueto Bianchi) 6 II Scheda “Per preparare al Signore un popolo ben disposto” (Lc 1,1-25) L’annuncio della nascita del Battista. (Ugo Rigacci) 11 III Scheda “Beata colei che ha creduto” (Lc 1,39-56) La visitazione e il Magnificat (Cristiano D’Angelo) 14 IV Scheda “Oggi è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore” (Lc 2,1-21) 17 Nascita di Gesù e visita dei pastori (Cristiano D’Angelo) V Scheda “I miei occhi han visto la tua Salvezza” (Lc 2,22-40)

Presentazione di Gesù al Tempio. L’incontro con Simeone e Anna. (Piero e Paola Pierattini) VI Scheda “Devo occuparmi delle cose del Padre mio” (Lc 2,41-52) Gesù tra i dottori nel Tempio. (Alessandro Marini) VII Scheda “Padre nelle tue mani consegno il mio Spirito” (Lc 23,33-56) Crocefissione, morte e sepoltura del Signore. (Marino Marini) VIII Scheda “Perché cercate tra i morti colui che è vivo?” (Lc 24,1-12) La tomba vuota. (Iacopini Stefania) IX Scheda “L’avevano riconosciuto nello spezzare il pane” (Lc 24,13-35) I discepoli di Emmaus riconoscono il Signore risorto. (Cristiano D’Angelo) X Scheda “Sono proprio io” (Lc 24,36-53) Gesù risorto appare ai discepoli. Ultime istruzioni agli apostoli. Ascensione. (Daniele Aucone) BREVE BIBLIOGRAFIA

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Introduzione Un progetto di lettura del vangelo

Giunge a termine con questo sussidio la lettura che in questi quattro anni abbiamo dedicato ai Vangeli Sinottici (Marco, Luca, Matteo) che, come ben noto, seguono nell’esposizione della vita del Signore, sostanzialmente uno stesso schema cronologico. Ognuno dei Vangeli è stato letto individuando 10 o più episodi caratteristici, avendo allo stesso tempo attenzione a non ripetere nei diversi sussidi episodi già letti in quelli precedenti. In questo modo se si leggessero di fila i sussidi si potrebbe farsi un’idea sia della chiave di lettura specifica di ogni evangelista, sia avere una sufficiente panoramica della vita e del messaggio del Signore Gesù complessivamente preso. Quest’ultimo sussidio per l’anno pastorale 2012/2013 giunge a completare questa lettura aggiungendo i vangeli dell’infanzia e quelli delle apparizioni del Signore risorto. La scelta di affrontare per ultimi i vangeli dell’infanzia e quelli delle apparizioni del risorto nasce dall’idea di seguire nella presentazione di Gesù l’esperienza dei suoi contemporanei, cioè di coloro che prima che conoscerlo come il risorto lo conobbero come Gesù di Nazaret, cioè come uomo e come Dio attraverso l’incontro con la sua persona, con il suo insegnamento e con i suoi segni miracolosi che lo resero famoso non solo agli ebrei, ma a tutto il mondo antico. La resurrezione e l’annuncio che egli è vivo ed è apparso agli apostoli giunge dunque alla fine della vita di Gesù e solo perché sono avvenuti tali eventi portentosi i cristiani si sono interessati in seguito ai fatti della sua nascita e dell’infanzia. Quest’ultimi sono d’altronde raccontati e riletti proprio alla luce della morte e resurrezione che gli evangelisti vedono già prefigurata negli avvenimenti dell’infanzia. Si pensi ad esempio al verbo con cui si descrive la “deposizione di Gesù” nella mangiatoia o alle fasce con cui viene avvolto, che rimandano decisamente alla sua “deposizione nel sepolcro” e fasciatura per la sepoltura (cfr. Lc 2,16 e 23,53, etc.); o ai tre giorni che Maria e Giuseppe impiegano per trovare il figlio perso durante il ritorno da Gerusalemme e ritrovato nel tempio. L’angoscia di quei tre giorni e la loro ricerca richiamano chiaramente i tre giorni di Gesù nel sepolcro e la ricerca delle donne al sepolcro e soprattutto la necessità di comprendere il suo mistero alla luce del progetto del Padre. I cristiani, dunque, rileggono la nascita e l’infanzia di Gesù alla luce della sua morte e resurrezione e vi vedono realizzati da subito quel progetto di Dio che attraverso l’abbassamento dell’incarnazione e della morte innalza l’umanità alla divinità e alla vita eterna. La lettura di quest’ultimo sussidio presuppone, dunque, per una migliore comprensione, quella dei tre precedenti, proprio perché è più difficile accedere al mistero della resurrezione e dell’incarnazione senza prima aver conosciuto il Signore Gesù nella sua vita umana in mezzo a noi.

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Dai Gruppi di Ascolto del Vangelo alla riscoperta della fede I quattro sussidi per i gruppi di ascolto del Vangelo sui vangeli sinottici costituiscono una lettura meditata e pregata del vangelo che può essere utilizzata anche nell’arco di un solo anno per la lettura settimanale del Vangelo per quanti desiderassero fare l’esperienza di riscoperta del vangelo. E’ anzi auspicabile che questa diventi una proposta delle parrocchie o delle zone pastorali da fare alla


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gente che sempre più frequentemente domanda di conoscere il Signore e di riscoprire la fede. La lettura settimanale per quanto più faticosa è in realtà molto più fruttuosa, perché permette quella continuità e attenzione nella lettura altrimenti difficilmente seguibile, ma soprattutto permette che la vita delle persone si confronti quotidianamente, con i suoi problemi e le sue gioie, con la Parola di Dio. Non si abbia perciò paura a proporre accanto ai Gruppi di Ascolto del Vangelo anche altre forme più consistenti di lettura e scambio sul vangelo, né ci spaventi il numero esiguo delle persone che potrebbero rispondere ad un tale invito. Si abbia il coraggio di provare e di osare, magari coinvolgendo non solo le assemblee domenicali, ma anche i genitori del catechismo e quanti per ragioni varie incontriamo in parrocchia nell’arco di un anno. Sono convinto che se si avrà il coraggio e l’umiltà di camminare insieme alla gente nell’ascolto della Parola del Signore, Egli ci sorprenderà con frutti che noi non immaginavamo o speravamo. L’augurio è che come il granello di senape, anche il piccolo seme dei Gruppi di Ascolto del Vangelo, seminato in questi anni nella nostra Diocesi, possa crescere e moltiplicarsi diffondendo sempre più una spiritualità basata sulla Parola di Dio e sulla sequela di Cristo. Bonistallo, 8 Settembre 2012, festa della Natività della B.V. Maria

don Cristiano D’Angelo

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Scheda I

“Rallegrati piena di grazia, il Signore è con te” L’Annunciazione a Maria (Lc 1,26-38)

Al sesto mese, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, 27a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. 28Entrando da lei, disse: “Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te”. 29 A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. 30L’angelo le disse: “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. 31Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. 32Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre 33e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine”. 34 Allora Maria disse all’angelo: “Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?”. 35Le rispose l’angelo: “Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra.Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. 36Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: 37nulla è impossibile a Dio”. 38Allora Maria disse: “Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola”. E l’angelo si allontanò da lei. 26

In questo anno della Fede, mi pare importante iniziare questo percorso nel vangelo di Luca, attraverso la figura di Maria: Lei è davvero la “porta della Fede”. Il 3° Vangelo si distingue per essere quello che ha dato più spazio e maggiore attenzione alla figura di Maria, recuperando le particolari tradizioni e memorie che sottostanno al racconto del vangelo ed elaborandole teologicamente. Contatteremo la figura di Maria in questo Vangelo scegliendo come centro di gravitazione il racconto d’annunciazione.

1. Maria e il dono della gioia

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L’incontro tra Maria e l’angelo si apre in Lc 1,28 con una espressione semplice ed apparentemente banale: noi la traduciamo forse troppo affrettatamente “Salve o Maria” o troppo compassatamente “Ave o Maria”. In realtà, questa breve espressione di saluto vuol dire letterariamente “rallegrati”, “gioisci”. Dentro vi risuona non una citazione, ma un accenno, come un’eco, di due passi veterotestamentari: Zac 9,9 e Sof 3,14-17. L’espressione che leggiamo in quei due passi “vergine figlia di Sion”, o “di Gerusalemme” era un modo tipico dei profeti per indicare l’intera comunità d’Israele. In particolare nel tempo che segue all’esilio e precede la venuta di Gesù, la “vergine figlia di Sion” indica il popolo ideale, la comunità dei poveri e dei credenti che si fa incontro al Messia. Così tratteggiata Maria appare in Luca come colei che raccoglie ed unifica in sé l’intera storia d’Israele, come popolo dell’attesa e della promessa. Maria è la storia d’Israele unificata, è la storia d’Israele castificata, ricondotta alla fedeltà ed all’attesa umile della Salvezza. Ella raccoglie ed esprime nella sua persona questo popolo di giusti e di provati, di poveri, che si fa incontro al Signore: è la comunità messianica, visitata da Dio e perciò inondata di gioia, evangelizzata dalla gioia: “rallegrati/gioisci”. Tratteggiando Maria, come figura inondata dalla gioia messianica l’evangelista Luca già parla di noi, il futuro popolo dei salvati che per lei ha inizio: essa è profezia della chiesa, del popolo messianico, costantemente connotato da questo clima di gioia, pulita e profonda, che rivela la presenza dei tempi ultimi, l’oggi della salvezza che si compie negli uomini.


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Maria, fin dall’inizio, appare questa figura “evangelizzata”, abitata da quella parola, da quel messaggio, il Vangelo, che colma di gioia l’umanità. Dovremmo chiederci se la gioia, segno del vangelo e della presenza di Gesù, continua oggi in noi, nonostante le nostre fatiche e le nostre prove. La gioia serena e pulita del vangelo è un grande segno di credibilità del cristiano ed un dono di speranza per il nostro tempo.

2. Maria evento di grazia

L’appellativo con cui l’angelo si rivolge a Maria è: “piena di grazia”. L’espressione appare come un nuovo nome. Chiamare Maria come “piena di grazia” significa dire che essa è totalmente rivestita e stabilita nella “grazia” di Dio, cioè nel suo amore misericordioso e fedele. Così l’atteggiamento tipico del Dio dell’Alleanza verso il suo popolo, la grazia, il perdono, la misericordia, è ora confermato e stabilizzato nella storia: in Maria “piena di grazia”, cioè totalmente amata, totalmente graziata, la misericordia e la fedeltà di Dio si rendono stabili e definitive nella nostra vicenda di uomini. In lei che genera Cristo, nostra misericordia, la grazia e l’amore di Dio, si posano definitivamente e pienamente sulla nostra umanità. Lei è personalmente, compiutamente stabilita nella pienezza della grazia e dell’amore come primizia di quella stagione che nella Chiesa si prolunga e s’incammina. Nella vita di questa donna, nel frutto del suo seno, l’amore e la misericordia di Dio si fanno per sempre compagne della nostra umanità, pellegrine sulle nostre strade. Noi siamo il frutto di quella “grazia”, di quell’amore e di quella misericordia che per Maria ci è stata donata e di essa siamo testimoni e portatori nel mondo. Così l’espressione con cui l’angelo si rivolge a Maria e che noi rendiamo con “ave o piena di grazia “ può essere più precisamente tradotta con “gioisci o totalmente amata”, “rallegrati o amata senza misura”. Così in Maria, la piena di grazia, la totalmente e stabilmente amata, la misericordia e fedeltà di Dio è aperta ed “avviata” alle creature: è davvero un evento di grazia, un avvenimento di amore senza misura: è il dono di Gesù, figlio di Dio e nostra salvezza: “Gioisci o totalmente amata!”

3. Maria: colei che cerca

In Lc 1,29 leggiamo “a queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto”. Il turbamento è un tratto biblico caratteristico dei racconti di annunciazione. Esso rivela che in quel gesto, in quelle parole, Dio si fa vicino all’uomo e lo chiama per il suo piano; ma nel far questo l’uomo si trova come inserito in dimensioni più grandi di lui, è un esiliato dalla terra del suo quotidiano, muta il suo passaggio interiore. Dinanzi a Dio che chiede, l’uomo non ha la luminosa chiarezza di chi vede l’invisibile: egli esce faticosamente da sé, compie con pena il gesto di Abramo del lasciarsi alle spalle “la tua terra e la casa di tuo padre”. Sulla strada di Dio l’uomo entra non a passo di marcia, ma come uno che teme, che cerca più luce, che trepida, ma pure si affida. Così è stato per Maria. Non dobbiamo pensare a lei come ad una liberata dalla fatica del credere, come ad una risparmiata dalla fatica dell’abramitico “esci dalla tua terra”: il vangelo di Luca ce la presenta spesso come una creatura che cerca più luce, quasi una persona che mendica sicurezza per la propria trepidazione. Così non solo nell’annunciazione essa è presentata mentre “si domandava che senso avesse un tale saluto”, ma ancora più avanti essa cammina quasi a tentoni, come cercando una logica nuova nel piano divino, accorgendosi che quella umana è ormai inadeguata: “come può avvenire questo, poiché io mi conosco uomo?”. Maria cerca di capire. Essa compie, come tutti, l’improba oscura fatica di chi deve abbandonare una sua logica per accettare e consegnarsi alla logica di Dio. Quel “come può avvenire questo” dice il lavorio interiore di chi confrontando, componendo cose oscure e difficili, cerca un senso a ciò che sta vivendo. Anche Maria è stata, come ciascuno, sottoposta da Dio al magistero della vita quotidiana, laddove

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non sei inondato di luce, garantito di certezze, assicurato della finale riuscita: solo ti è dato quanto basta (e ti pare sempre così poco!) perché tu possa compiere quel passo, vivere quella fedeltà, spenderti in quel gesto: e tutto questo attraverso la fatica dell’intelletto, della volontà, attraverso la fatica dell’amore. Così Luca presentandoci una Maria che cerca, una Maria che si lascia guidare dalla parola di Dio. Parlandoci di lei ed intessendo le sue frasi con un continuo ricorso alla Scrittura dell’A.T., ci pone dinanzi alla prima e più perfetta figura del discepolo, di colui che segue Gesù con quella fede che è dall’amore. Ma è, quella più di tutte, una fede provata, una fede crocefissa. E’ il nostro volto, la nostra strada!

4. Maria figlia di Abramo

Quando l’annuncio dell’Angelo si è compiuto, Maria si consegna ad esso con il gesto radicale ed indifeso dell’obbedienza della fede. Luca lo esprime attraverso una parola, trascurabile apparentemente, tanto è frequente nel periodare biblico: “Ecco”. La risposta di Maria inizia con quell’“ecco” con cui mette se stessa, come serva del Signore, dinanzi a Dio, nel gesto di chi accetta senza esclusione e senza riserve. Eppure quella elementare espressione è densa di risonanze bibliche: “Dopo queste cose Dio mise alla prova Abramo e gli disse: Abramo ! Abramo ! Rispose ‘eccomi!’”(Gen 22,1). Ancora: “Poi udii la voce del Signore che diceva: ‘chi manderò e chi andrà a noi ?’ Ed io risposi ‘Eccomi, manda me’” (Is 6,8) Ed infine un brano dei Salmi, che sarà ripreso nella lettera agli Ebrei con riferimento al sacrificio personale di Cristo: (cfr. Sl 40, 7-8 ed Eb 10,6-7, cfr. Is 50,5) Così l’“ecco” di Maria, come l’inizio, l’entrare nel suo “sì”, si carica di questa lunga risposta biblica al Dio della rivelazione e della Salvezza. Il “sì “ di Maria raccoglie ed attua il sì di Abramo là dove la promessa sta per incontrare il suo compimento. Il “sì” di Maria raccoglie e prolunga la risposta profetica dinanzi alla vocazione ed alla missione. Il “sì” di Maria si carica dell’obbedienza provata e sofferta del Servo, quando essa media misericordia ed espiazione per le moltitudini. Attraverso la riposta di Maria, siglata in quell’“ecco” davvero ella raccoglie ed unifica in sé le molte voci dell’attesa e della speranza che percorrono l’Antico Testamento; raccogliendo “l’eccomi” di Abramo, dei profeti, del Servo, Maria è costituita come punto di convergenza e di arrivo dell’ intera vicenda dell’Antico Testamento: in essa si compiono, si attuano gli antichi “sì” della fede e dell’attesa, in lei l’intero Israele e la storia degli uomini si fanno incontro al Dio dell’ elezione e della promessa che è, nell’oggi di Cristo, il Dio della fedeltà e del compimento. Per questo il “sì” di Maria, diviene anticipazione e preludio del “sì” della Chiesa, del suo cammino di fedeltà e di risposta al Signore attraverso i secoli: nel “sì” di Maria la storia dell’uomo si scopre amata, visitata, salvata da Dio. Nel suo “sì” la nostra vita quotidiana è chiamata a diventare un “sì”, un “eccomi” detto al Signore ed ai fratelli.

5. Maria figura pasquale del discepolo 8

È forse il punto di approccio alla figura di Maria che permette la lettura più profonda e definitiva della sua esperienza e della sua persona nel vangelo di Luca. Abbiamo già avuto modo, trattando i diversi aspetti, di precisare come il terzo evangelista venga componendo l’identità teologica e spirituale di Maria, come la figura tipica del discepolo. È interessante accorgersi che Luca tenda ad accostare due beatitudini: quella della maternità fisica e quella del discepolato, e sempre risolve la tensione sottolineando la beatitudine e la grandezza del


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discepolo di Gesù: quello che anche noi siamo. In questa linea già si pone l’incontro tra Elisabetta e Maria: “beata colei che ha creduto” le dice la cugina Elisabetta. Ma anche nel corso del vangelo ritorna questa insistenza sulla grandezza del discepolo a motivo della fede: “Mentre diceva queste cose, una donna alzò la voce di mezzo alla folla e disse: Beato il ventre che ti ha portato ed il seno da cui hai preso il latte ! Ma Egli rispose: ‘Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la custodiscono’” (Lc 11,27-28). In tal modo Luca sposta significativamente l’accento e la chiave di comprensione dell’eventoMaria, focalizzandolo sulla sua fede, sull’ascolto della parola, sull’essere serva del Signore. Non la maternità fisica, isolatamente considerata, ma il fatto che in essa si esprime, come in un vertice, il “sì” di Maria a Dio, il suo essere discepola che crede e segue, questo precisamente fa la grandezza evangelica di Maria. L’ultima presenza di Maria nell’opera di Luca, l’estrema immagine di lei che ci resta, è quanto leggiamo in Atti 1,14: “Tutti costoro (gli apostoli) erano assidui e concordi nella preghiera, insieme con alcune donne, con Maria, la Madre di Gesù e con i fratelli di lui”. Mi pare giusto ed in fondo anche bello e significativo che la nostra riflessione su Maria nel vangelo di Luca termini e si chiuda su quest’ultima immagine, che ce la consegna presente nel cuore della Chiesa, assieme ai credenti, ai discepoli del Figlio, nel gesto pasquale della preghiera Cristiana. Così, come discepola tra i discepoli, come prima tra i credenti e tra i redenti, ce la affida l’opera di Luca, nel gesto della preghiera che è il gesto tipico di lei discepola, di lei credente, di lei Madre. Che la figura e la presenza di Maria “colei che ha creduto”, la donna del “sì”, ci accompagni e ci indichi la strada in questo anno della Fede. † Mons. Mansueto Bianchi Vescovo di Pistoia DOMANDE PER RIFLETTERE E CONDIVIDERE 1) La fede è esperienza della “grazia” che riempie e ci dona gioia. Tu hai mai fatto esperienze di grazia e di gioia dovute alla fede? 2) Maria è modello di fede. Cosa possiamo fare per crescere come credenti a immagine di Maria? 3) Maria, madre di Dio, diventa anche immagine della Chiesa e punto di riferimento per i primi cristiani. La nostra fede personale si apre anche alla comunità dei credenti e cerca di costruire relazioni fraterne tra i cristiani? 4) Cosa ti colpisce di questo brano?

Salmo 103

(a cori alterni)

O Signore, Signore nostro, quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra! Voglio innalzare sopra i cieli la tua magnificenza, con la bocca di bambini e di lattanti: hai posto una difesa contro i tuoi avversari, per ridurre al silenzio nemici e ribelli.

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Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissato,

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che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell’uomo, perché te ne curi?

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Davvero l’hai fatto poco meno di un dio, di gloria e di onore lo hai coronato.

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Gli hai dato potere sulle opere delle tue mani, tutto hai posto sotto i suoi piedi:

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tutte le greggi e gli armenti e anche le bestie della campagna,

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gli uccelli del cielo e i pesci del mare, ogni essere che percorre le vie dei mari.

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O Signore, Signore nostro, quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra! 10

PADRE NOSTRO PREGHIERA O Padre che in Maria ci hai dato un segno di sicura speranza, fa che impariamo da lei a credere, a servire, ad amare, perché possiamo anche noi accoglierti nella nostra vita e portarti ai fratelli che incontriamo nella nostra vita, perché tutti possano sperimentare la grazia e la gioia di vivere nel tuo amore. Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli. AMEN

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“Per preparare al Signore un popolo ben disposto”

L’annuncio della nascita del Battista (Lc 1,5-25)

Scheda II

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Nel prologo del Vangelo di Lc l’evangelista sottolinea gli scopi del suo vangelo tra cui: - Rispondere all’esigenza di rafforzare la fede dei cristiani. - Aiutarci a renderci conto della “solidità dell’ insegnamento ricevuto” (Lc 1,4). - Parlare di un Gesù che è venuto nella storia, e non soltanto di uno spirito o di un’idea. Ecco perchè Luca insiste nel precisare le circostanze storiche della nascita di Gesù e del Vangelo. Sta per compiersi l’evento atteso da secoli e cioè la venuta del Messia, e Luca da persona attenta e precisa va alle radici della preparazione che Dio opera per la realizzazione del suo progetto. Intanto ciò che sta per compiersi (l’annuncio a Zaccaria) avviene in un preciso contesto storico, cioè quando sulla Giudea regnava Erode, e ci presenta una coppia particolare, persone giuste (tutt’oggi la definizione di Giusto è per gli ebrei, più forte che per noi la definizione di (Santo) che vivono però una situazione particolare: lei è sterile e quindi, secondo la cultura del tempo, non è benedetta da Dio, infatti Elisabetta considera la sua situazione una vergogna, che non viene meno neppure per l’essere discendente di Aronne. Lui, un sacerdote della classe di Abìa, sappiamo che tutta la tribù di Levi è destinata al culto ed era suddivisa in classi che si alternavano per espletare i vari servizi al Tempio. Zaccaria apparteneva ad una di queste classi, denominata appunto Abìa, ed era un sacerdote. Ogni classe era impegnata per un certo periodo e poi ne succedeva un’altra. Ogni gruppo aveva vari sacerdoti ma nel Tempio ne entrava uno solo, per cui si estraeva a sorte, e questa volta la sorte cade su Zaccaria il quale doveva fare l’offerta dell’incenso. Perchè Dio sceglie questa coppia per generare colui che dovrà preparare la via al Signore? (Non avevano figli, Elisabetta era sterile e tutti e due erano avanti negli anni). Alla luce dei fatti Luca definisce questa coppia come “giusti”, ma probabilmente nel villaggio in cui vivevano non godevano di questa fama; ancora una volta Dio ci sorprende, fa scelte “impopolari”, in contrasto con il pensiero umano, ma la pedagogia di Dio non è quella dell’ uomo, sa Lui chi scegliere, e non sbaglia mai. Tenendo presente quanto detto evidenziamo nel testo tre elementi di riflessione: 1) Il mutismo di Zaccaria 2) L’investitura di Giovanni 3) L’atteggiamento di Elisabetta

1. Il mutismo di Zaccaria

Intanto va considerato il contesto in cui l’annuncio avviene, è un contesto di preghiera, l’ incenso è il segno della preghiera che sale a Dio, fuori il popolo prega per tutto il tempo in cui il sacerdote sta nel Tempio e l’angelo si presenta proprio alla destra dell’altare dell’ incenso, quindi in un contesto di preghiera, cioè di colloquio con Dio e l’ annuncio non riguarda solo la persona di Zaccaria,

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(“non temere Zaccaria, la tua preghiera è stata esaudita” ), ma tutto il popolo che con Zaccaria è unito nella lode al Signore (“ricondurrà molti figli d’Israele al Signore loro Dio” ). È comprensibile il turbamento di Zaccaria, ma l’Angelo lo rassicura e si qualifica: è Gabriele che sta al cospetto di Dio. Stare al cospetto di Dio non vuol dire che Dio è da un’altra parte. Se Gabriele è davanti a Zaccaria ed è al cospetto di Dio vuol dire che Dio è lì presente e parla attraverso il suo messaggero (già il catechismo di Pio X insegnava che Dio è in cielo, in terra ed in ogni luogo), ma Zaccaria dubita , e umanamente parlando ne ha ben motivo. Ed ecco la “punizione”: sarai muto fino al tempo opportuno. Ho messo la parola punizione tra virgolette perchè Dio, che è Padre, non punisce ma corregge. Quindi il mutismo del Sacerdote è un dono perchè per lui si apre un cammino di fede, il suo mutismo gli permette di fare esperienza di “deserto”, perchè è nel silenzio che Dio si rivela, e nel silenzio vede compiersi l’opera di Dio, è nel silenzio che matura lo spirito di paternità per colui che dovrà preparare la via al Messia, la voce di colui che grida nel deserto, la voce che chiama alla conversione, il più grande fra i nati da donna, come lo definirà Gesù, è nel silenzio che comprende che l’iniziativa è sempre di Dio, ed è Lui che conduce la storia.

2. L’Investitura di Giovanni

Giovanni è scelto da Dio in modo particolare: lo ricolma di Spirito Santo fin dal concepimento, gli farà riconoscere il suo Signore ancor prima di nascere, gli dà un nome non scelto dalla famiglia, e lo ispira affinché riconduca molti al Signore. Nel suo misterioso disegno Dio si sceglie un preparatore speciale, uno che Gesù definirà il più grande fra i nati di donna (Lc 7,28) che camminerà innanzi a lui con lo spirito e la potenza di Elia (Elia era talmente grande che fu portato in cielo con un carro di fuoco), che avrà una vita esemplare davanti a Dio e agli uomini (non berrà vino né bevande inebrianti). Egli non è stato interpellato, come Maria, non gli è stato chiesto il suo consenso, non ha fatto la scelta, ma ha detto sì con la sua vita, ha accolto tutte le istanze che lo Spirito gli ha suggerito, ha scoperto il suo carisma, si è lasciato condurre laddove lo Spirito lo ha condotto, cioè nel deserto. La sua vita ci riguarda da vicino perché anche noi abbiamo ricevuto lo stesso Spirito: nel Battesimo prima e confermato nella Cresima poi, e lo Spirito che abbiamo ricevuto non è uno Spirito minore, ma è Dio che entra nella nostra vita, e non a caso ci ha posti là dove ci troviamo, ed è qui che bisogna esercitare la nostra testimonianza e noi non sappiamo come, per questo dobbiamo “fare deserto” e metterci in ascolto per lasciarci condurre. Il Signore non ci chiederà cose superiori alle nostre forze, metterà lui quello che a noi manca. Un autore sconosciuto dice: “guarda il «rottame» della tua vita, e pensa che tesoro potrebbero essere nelle mani del Signore .... tutte quelle delusioni , quegli strazi, quelle disillusioni , quei fallimenti, quelle malattie, quelle difficoltà di ogni genere ed anche quelle cose irritanti che ci rendono di cattivo umore... raccogliamole tutte ed iniziamo ad usarle per il regno e la salvezza delle anime”. Ma come? Offrendo a Lui tutto con amore, ed allora saremo liberi di essere testimoni nelle piccole e grandi cose, ed avendo in cuore l’Amore per il Signore Dio, non potremo non riversarlo sui fratelli; ed è così che, se non opponiamo resistenza all’azione dello Spirito “potremo preparare un popolo ben disposto”, e come Giovanni saremo “Profeti e testimoni dell’ Altissimo” perchè anche noi convertendoci chiameremo alla conversione.

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3. L’atteggiamento di Elisabetta

Come Zaccaria, anche Elisabetta sicuramente meravigliata, non sa rendersi subito conto della grandezza dell’evento in cui Dio la coinvolge. Concepisce, ma si tiene nascosta per cinque mesi, sta nel deserto e medita. Ringrazia Dio per averla tolta dalla “vergogna della sterilità”, e così pure fanno i suoi vicini, perché questo era per loro il vero problema: la sterilità.


Sussidi per i Gruppi di ascolto della Parola di Dio 2012-2013

Anche di lei abbiamo la testimonianza del “Si”, quando incontra Maria al sesto mese e colma di Spirito Santo, riconosce il progetto di Dio e si apre alla lode e al ringraziamento. La paura spesso ci tiene attanagliati; ma Dio ci manda dei segni che possono toglierci il velo dagli occhi: sta a noi riconoscerli e dare il nostro consenso, anche se non abbiamo capito appieno il progetto che lui ha per la nostra vita. DOMANDE PER RIFLETTERE E CONDIVIDERE 1) Hai mai fatto esperienza di deserto? Cioè hai fatto qualche volta silenzio intorno a te, da solo o in qualche gruppo guidato da un sacerdote, per capire meglio quello che il Signore ti chiede? Se Si vuoi raccontare la tua esperienza? 2) Com’è la tua preghiera? Chiedere cose o lodare e ringraziare Dio? E lodando e ringraziando Dio credi di aumentare la sua gloria oppure sei solo tu che ci guadagni in virtù e grazia’ (Dio è già nella sua pienezza non puoi toglierli nè aumentare nulla)? 3) Da cristiano come eserciti la tua testimonianza? Credi che questo sia compito di soli sacerdoti o di alcuni laici impegnati nella Pastorale, oppure sia un’opzione per alcuni più bravi, o sia compito di tutti in virtù del Battesimo che abbiamo ricevuto? Salmo 120

(a cori alterni)

Alzo gli occhi verso i monti: da dove mi verrà l’aiuto? il mio aiuto viene dal Signore che ha fatto cielo e terra. Non lascerà vacillare il tuo piede, non si addormenterà il tuo custode. Non si addormenterà, non prenderà sonno, Il custode d’Israele. Il Signore è il tuo custode, Il Signore è come ombra che ti copre, e sta alla tua destra. Di giorno non ti colpirà il sole, né la luna di notte. Il Signore ti proteggerà da ogni male, egli proteggerà la tua vita. Il Signore veglierà su di te, quando esci e quando entri, da ora e per sempre. PADRE NOSTRO PREGHIERA 13 O Padre che ci ami, aiutaci a riconoscere la tua volontà nella nostra vita e ad accoglierla con docilità. Sostienici nella notte del dubbio e nel tempo della sofferenza perchè non veniamo meno nella fiducia e nella speranza. Fa che riusciamo ad amare sempre in ogni situazione della vita, perché possiamo preparare la tua venuta nel nostro tempo. Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli. AMEN


Scheda III

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“Beata colei che ha creduto”

La visitazione e il Magnificat (Lc 1,39-56) In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. 40Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. 41Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo 42ed esclamò a gran voce: “Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! 43 A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? 44Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. 45E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto”. 46Allora Maria disse: “L’anima mia magnifica il Signore 47e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, 48perché ha guardato l’umiltà della sua serva. D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. 49Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente e Santo è il suo nome; 50di generazione in generazione la sua misericordia per quelli che lo temono. 51 Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; 52 ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; 53ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote. 54Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia, 55come aveva detto ai nostri padri, per Abramo e la sua discendenza, per sempre”. 56 Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua. 39

Il racconto della visitazione di Maria ad Elisabetta si situa nel vangelo subito dopo l’annunciazione. Questa collocazione è significativa perché ci dice che nessuna rivelazione angelica, nessuna grazia particolare, esime i cristiani dal servizio e dall’attenzione a chi ha bisogno. Maria ha ricevuto la più grande e la più sconvolgente delle rivelazioni eppure la prima cosa che il vangelo ci riporta dopo questa, è la notizia che lei si alzò “in fretta” per andare dalla cugina anziana, Elisabetta, che attendeva un figlio. L’autenticità della grazia in noi, di una rivelazione ricevuta o di una vocazione particolare, si vede nella volontà semplice e concreta di mettersi a servizio degli altri. Maria è maestra in questo e da lei ogni generazione cristiana deve imparare a mettere da parte ogni indugio nel servizio, ogni rimandare il lavoro da fare a favore dei poveri e del bene. La “fretta” di Maria deve diventare “la fretta” dei cristiani, perché sono le cose che si fanno senza indugio, in fretta, quelle che rivelano davvero dov’è il nostro cuore, quello che per noi è importante e prioritario. Il servizio è la conferma delle rivelazioni e delle ispirazioni che vengono da Dio. Quando Elisabetta vede entrare Maria esclama: “A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me?” (Lc 1,43). Per la prima volta dopo l’annunciazione Maria si sente chiamare “madre del Signore”. La conferma che quanto ha vissuto non è stato un sogno o un’immaginazione viene dalla cugina Elisabetta. Il dono del servizio autentico è che esso ci conferma nelle ispirazioni che vengono da Dio. Quando si mette a servizio la nostra vita e lo si fa con autenticità e semplicità, perché c’è n’è bisogno, e non perché si deve mettersi in mostra o perché si deve dimostrare qualcosa, quando si vive con 14 questo spirito la vita, allora il Signore ci conferma, cioè ci aiuta a consolidare in noi le intuizioni che vengono da lui, ci permette di capire e discernere ciò che è la sua volontà per noi. Il Signore ci parla attraverso gli altri, come quel giorno parlò attraverso Elisabetta, ma perché la sua voce sia udibile occorre che noi viviamo la nostra vita con quella “fretta” di Maria, che è il segnale di una umanità semplice e concreta che non perde di vista il bene che c’è da fare, il bisogno dell’altro e la necessità di chi ha bisogno di aiuto.


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Elisabetta e Maria sono la Chiesa che nasce nel servizio e nell’amicizia, dalle quali nasceranno il Battista e il Signore Gesù. Le relazioni umane sono il segreto di una Chiesa che annuncia e prepara il Signore, come il Battista, ma soprattutto che lo genera, lo mette al mondo, perché il Signore viene là dove la vita si apre al servizio che nasce dall’interesse reale che tu provi per un’altra persona, perché sai e perché senti che quello che l’altro vive è quello che anche tu vivi. Elisabetta riconosce subito in Maria il mistero che lei porta nel grembo, perché anche lei è stata visitata da quel mistero, e adesso è capace di riconoscere anche solo allo sguardo quello che Maria vive e sente. Dobbiamo imparare questo modo di guardare di Elisabetta, che è il modo delle madri e delle donne anziane nello spirito che hanno maturato dalla vita la capacità di riconoscere i moti segreti del cuore e le pieghe dell’animo. Elisabetta guarda Maria riempita dallo Spirito, con il bimbo che le sussulta nel grembo. Elisabetta ha imparato a lasciarsi condurre dal mistero di Dio e dello Spirito, è questa sua disponibilità, l’aver imparato a confidare in Dio, a rinunciare ai propri piani e progetti per lasciare agire il Signore, è questo che la rende capace di riconoscere il Signore che le viene incontro in Maria. Elisabetta, piena di Spirito Santo, è il simbolo della Chiesa e del credente che liberi da tutto quello che nel mondo a volte ci riempie rendendoci sordi e ciechi alla volontà di Dio, è disponibile al Signore e sensibile alla sua azione. Giovanni il Battista che porta in grembo “sussulta1”, a conferma che un feto che vive solo per la vita ricevuta senza ancora sogni, progetti, ambizioni, un bambino riconosce immediatamente il Signore che viene, tanto da mettersi a ballare nel grembo della madre, come le montagne e come le colline che saltellano danzando alla presenza del Signore, come fossero arieti o agnelli di un gregge (Sl 114,4-6). Per questo Elisabetta e Maria sono le nuovi madri dell’Israele nato dallo Spirito, come Lia e soprattutto come Rebecca i cui gemelli le sussultavano2 nel grembo (Gn 25,2), e dei quali uno, il minore si chiamerà Giacobbe, e a cui Dio darà un nome nuovo chiamandolo Israele e facendolo diventare il capostipiste di tutte le 12 tribù di Israele. L’evangelista Luca e la comunità cristiana che scrive dopo molti anni che questi fatti sono avvenuti rilegge nella storia di Maria ed Elisabetta la nascita del popolo nuovo di Israele, quello nato da Abramo (Lc 1,55), il popolo nuovo che è la Chiesa in cui si compiono le promesse di Dio fatte nell’Antico Testamento. Per questo il Magnificat e tutto questo episodio si può leggere alla luce dell’AT, perché Maria per i cristiani è la vera arca dell’alleanza (2Sam 6,11) che porta in grembo il Dio della vita e della salvezza. Il Magnificat che chiude questo episodio è dunque una preghiera finale che dice la gioia di Maria, ma soprattutto la sua fede e la fede della Chiesa, che riconosce e loda l’opera di Dio che guarda gli umili e abbassa i superbi, e che non dimentica la sua misericordia di generazione in generazione. Giustamente la Chiesa canta il Magnificat ogni giorno alla preghiera del Vespro, perché non ci sia giorno che non si chiuda senza ricordare che Dio manda avanti la storia attraverso gli umili, coloro che come Maria sono aperti alla sua volontà e alla sua presenza, generando il Signore nell’ascolto della Parola e nell’osservanza che generano servizio e misericordia (Lc 11,28). Veramente Maria è beata, perché lei ha creduto, affidandosi alla Parola del Signore, perché lei ha servito, perché lei ha ascoltato la sua Parola e ha accolto la sua volontà, divenendo serva e madre dell’altissimo.

15 In greco è usato lo stesso verbo per indicare il sussultare di Giovanni Battista nel grembo di Elisabetta e il saltellare de monti del Sl 114. 2 Il greco di Gn 25,22 il verbo è sempre lo stesso che in Lc 1,42 skirtao. 1


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DOMANDE PER RIFLETTERE E CONDIVIDERE 1) Cosa ti colpisce di questo brano? 2) Hai mai fatto esperienza che il servizio ci aiuta a capire meglio la volontà di Dio e ci fa scoprire che egli ci è vicino? 3) Dio “ha guardato l’umiltà della sua serva”. Cos’è quest’umiltà di cui parla Maria? Cosa dovremmo cambiare nella nostra vita per diventare umili come Maria? 4) Maria è detta beata perché ha creduto alla Parola. Cominci a capire l’importanza della Parola di Dio e della S. Scrittura nella tua vita? 5) “In fretta”. Noi viviamo la fretta di Maria, che serve, o la fretta del mondo che corre per il proprio interesse? A cosa dovremmo dare priorità per vivere con coerenza la nostra vita? Salmo 114

(a cori alterni)

Alleluia. Lodate, servi del Signore, lodate il nome del Signore. Sia benedetto il nome del Signore, da ora e per sempre.

2

Dal sorgere del sole al suo tramonto sia lodato il nome del Signore.

3

Su tutte le genti eccelso è il Signore, più alta dei cieli è la sua gloria.

4

Chi è come il Signore, nostro Dio, che siede nell’alto

5

e si china a guardare sui cieli e sulla terra?

6

Solleva dalla polvere il debole, dall’immondizia rialza il povero,

7

per farlo sedere tra i prìncipi, tra i prìncipi del suo popolo.

8

Fa abitare nella casa la sterile, come madre gioiosa di figli. Alleluia.

9

PADRE NOSTRO

16 PREGHIERA O Padre che guardi gli umili e non dimentichi la tua misericordia, fa che non dimentichiamo mai il bene che tu ci hai fatto e che impariamo ad affidarci alla tua vita come ha fatto Maria, e come lei insegnaci a vivere la nostra vita a servizio dei fratelli. Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli. AMEN


“Oggi è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore” Nascita di Gesù e visita dei pastori (Lc 2,1-21)

Scheda IV

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In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra.2 Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. 3Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città. 4Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. 5Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta. 6Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto.7 Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio. 8 C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. 9Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, 10ma l’angelo disse loro: “Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: 11oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. 12Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia”. 13E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva: 14 “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama”. 15 Appena gli angeli si furono allontanati da loro, verso il cielo, i pastori dicevano l’un l’altro: “Andiamo dunque fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere”. 16Andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. 17E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. 18Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. 19Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. 20I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro. 21 Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima che fosse concepito nel grembo. 1

Il racconto della nascita del Signore Gesù prende 5 versetti (Lc 2,1-7) di questi i primi cinque sono dedicati a spiegare le circostanze storiche e cronologiche della nascita. Questa insistenza di Luca vuole chiarire senz’ombra di dubbio che la nascita di Gesù, di colui che i cristiani venerano come salvatore e Signore, questa nascita è un fatto storico, collocabile in un preciso momento della storia e in un preciso contesto geografico. La solennità con cui inizia la descrizione della nascita di Gesù è adatta all’introduzione della storia di un grande personaggio, ma certo il modo con cui poi 17 Gesù nasce rivela una grandezza che è ben diversa da quella con cui il mondo giudica il successo umano. Mentre il mondo intero si muove per farsi contare, un bambino nasce quasi di nascosto in una mangiatoia, come se il mondo fosse ormai così pieno da non esserci più posto per lui. L’evangelista Luca vuole mostrare da subito come la via della povertà e della semplicità è la via principale con cui Dio viene e si manifesta al mondo.


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Gesù nasce a Betlemme, la città della famiglia di Davide, a cui anche Giuseppe suo padre apparteneva. Un casato importante, collegato al grande re della storia di Israele da cui un giorno, secondo alcune attese ben presenti al tempo di Gesù, sarebbe sorto il messia, il consacrato di Dio che avrebbe liberato Israele e gli avrebbe restituito la libertà e la salvezza. Luca scrive il vangelo certamente dopo la morte e resurrezione di Gesù e questo collegamento con la sua origine davidica era per lui molto importante, perché serviva ad affermare la messianicità di Gesù che i primi cristiani adesso erano chiamati ad annunziare al mondo. Una messianicità da alcuni riconosciuta, si pensi alle folle che all’ingresso a Gerusalemme durante la domenica delle Palme lo acclamano re (Lc 19,38; Mc 11,9-10; Mt 21,9; Gv 12,13-15), ma da altri negata e osteggiata (si pensi al processo davanti al sinedrio). Se Gesù dunque è di discendenza regale, la sua nascita tuttavia rivela subito in che modo egli sarà re, perché egli non nasce tra le sete e gli ori di sfarzosi palazzi, ma tra la paglia e la pietra di una mangiatoia, unico angolo rimasto libero di una terra che non sembra avere posto per lui. Dunque Gesù è il re che deve venire, ma egli non viene come noi ce lo aspetteremmo. Egli viene non riconosciuto da nessuno, quasi dimenticato dal mondo occupato dai suoi lavori e dai suoi interessi, e soprattutto subito in grande precarietà e fragilità. Gesù è il messia e salvatore che fin da subito condivide la sorte non dei re, ma dei poveri e dei dimenticati della terra. L’alloggio dove Dio non trova posto non è soltanto l’albergo o la casa di Betlemme che non si trovava per lui, ma è la nostra vita, il nostro tempo, ogni volta che siamo così occupati dai nostri interessi o dalle nostre preoccupazioni che non abbiamo più tempo per accorgerci delle cose essenziali e importanti. Nonostante questo, tuttavia, e per nostra fortuna, Dio viene lo stesso, a riaprire nei cuori delle persone angoli di speranza, e sprazzi di luce, perché chiunque sia perduto possa ritrovarsi e perché a nessuno manchi mai l’occasione di trovare quella pace che solo lui sa dare. Questa magnanimità di Dio ci sorprende perché a differenza nostra egli continua a venire nella nostra vita anche quando noi lo rifiutiamo, lo mettiamo da parte, lo eliminiamo dai nostri pensieri3. Egli viene in ogni caso e porta a noi che ama la pace sulla terra (Lc 2,14), solo così per tutti è sempre possibile una via di salvezza, perché il suo amore è totalmente gratuito e sovrabbondante, esattamente come la gioia di un bambino atteso che viene al mondo e ci sorprende con la sua infinita bellezza e tenerezza. Fin da subito il vangelo ci fa riflettere su cosa sia la salvezza e su come inizia la salvezza. Perché la salvezza non è altro che il riconoscere che la nostra vita è stata visitata, che un bambino è nato per noi. La salvezza è la gioia e la pace che si sperimentano quando qualcuno entra nella nostra vita e si affida a noi come un bambino si affida alle braccia dei genitori. La salvezza è l’amore che suscita nei nostri cuori un bambino che ci è affidato e che ha bisogno di noi. La salvezza è la comunione resa possibile dall’amore e che i bambini fanno nascere nella vita delle persone. La salvezza passa dall’umiltà di Dio che si fa piccolo e infinito e ci insegna la strada per diventare grandi ai suoi occhi, la strada della povertà che innamora, che non obbliga, che non giudica, che non condanna, ma che salva e da speranza. I pastori sono simbolo dell’umanità povera e dimenticata, impura e peccatrice, a cui è riservata la rivelazione della nascita di Dio. Ai pastori è riservato questo privilegio, perché sia chiaro che non ci sono privilegi che ci rendono più o meno amati agli occhi di Dio, e che per tutti quell’amore è disponibile, un amore per “tutto il popolo” (Lc 2,10) e per tutti gli uomini.

18 È interessante che il verbo usato per indicare Gesù bambino che è deposto nella mangiatoia in Lc 2,16 è lo stesso usato nel racconto della sepoltura in LC 23,53. Il Dio rifiutato e messo a morte è lo stesso bambino per cui non c’è posto sulla terra.

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Come i pastori però dobbiamo imparare a vegliare nella notte, ma soprattutto dobbiamo mantenere la capacità di lasciarsi sorprendere, di lasciarci annunciare la buona notizia. Gli angeli infatti “evangelizzano” i pastori, cioè portano loro una notizia buona. Il primo passo dunque è quello di essere capaci di credere ancora che qualcosa di nuovo e di bello può accadere nella vita, ma soprattutto la capacità di credere che la vita riserva ancora novità, capacità che chiede la consapevolezza e l’umiltà di non aver capito tutto, di non sapere fare tutto, e di aver ancora bisogno degli altri e di Dio. Non basta però la capacità di vegliare e lasciarsi sorprendere, occorre anche la decisione di mettersi in gioco, la volontà di prendere e partire per andare a vedere. Come i pastori che si dicevano l’un l’altro: “andiamo a vedere” anche noi dobbiamo metterci in cammino, cominciare a cercare, solo così troveremo il Signore della vita. A noi non accade più di incontrare Gesù bambino, ma Egli continua a nascere nella nostra vita ogni giorno, ogni volta che egli ci manda ispirazioni, buoni pensieri, ogni volta che ci manda angeli che ci aiutano a capire la nostra vita e a intuire la bellezza, la gioia e la pace di vivere il vangelo. Egli nasce, ma noi non lo troveremo se non ci metteremo in cammino se non saremo disposti a lasciare la custodia dei greggi delle nostre preoccupazioni e dei nostri interessi e se non sapremo avere il coraggio di desiderare la pace e la gioia più di ogni altra cosa. Insomma Dio viene ma noi come i pastori dobbiamo alzarci, camminare, cercare per vederlo e incontrarlo. Il cammino per noi, come per i pastori, non è al buio, ma guidato dalla Parola. La parola degli angeli, come la Parola di Dio, quella parola che sono le S. Scritture e il Vangelo, che ci indicano la strada incontro al Signore. Una parola che dobbiamo conoscere e riscoprire, soprattutto come sapienza di vita che ci aiuta a riconoscere nelle scelte del quotidiano quella che sarebbe stata la scelta del Signore e a vivere perciò secondo il suo Spirito. Solo così scopriremo il Signore e ci accorgeremo, come i pastori, che il segreto della gioia e della vita sta in un “bambino avvolto in fasce che giace in una mangiatoia” (Lc 2,7.12.16). Questo è il segno, un bambino inerme, indifeso, dipendente. Un bambino che come il corpo del Signore Gesù è affidato alla mangiatoia e alla tomba. Un segno che è soprattutto un insegnamento da cui dobbiamo imparare a vivere la nostra vita, per la salvezza nostra e del mondo intero.

DOMANDE PER RIFLETTERE E CONDIVIDERE 1) Dio si fa uomo per insegnarci a vivere la nostra vita. In che modo intendi questa affermazione? 2) Quale aspetto di questo vangelo ti fa riflettere di più ? 3) Hai mai fatto esperienza che Dio molte volte si rivela nella nostra vita proprio là dove noi magari non pensavamo, proprio come Gesù bambino che nasce in una mangiatoia? 4) L’umiltà di Betlemme è la via della Salvezza. Cos’è questa umiltà? Come si può imparare a vivere l’umiltà del vangelo? Salmo 63

(a cori alterni)

2

Solo in Dio riposa l’anima mia: da lui la mia salvezza.

3

Lui solo è mia roccia e mia salvezza, mia difesa: mai potrò vacillare.

Fino a quando vi scaglierete contro un uomo, per abbatterlo tutti insieme come un muro cadente, come un recinto che crolla?

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Sussidi per i Gruppi di ascolto della Parola di Dio 2012-2013

Tramano solo di precipitarlo dall’alto, godono della menzogna. Con la bocca benedicono, nel loro intimo maledicono.

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6

Solo in Dio riposa l’anima mia: da lui la mia speranza.

7

Lui solo è mia roccia e mia salvezza, mia difesa: non potrò vacillare.

8

In Dio è la mia salvezza e la mia gloria; il mio riparo sicuro, il mio rifugio è in Dio.

Confida in lui, o popolo, in ogni tempo; davanti a lui aprite il vostro cuore: nostro rifugio è Dio.

9

Sì, sono un soffio i figli di Adamo, una menzogna tutti gli uomini: tutti insieme, posti sulla bilancia, sono più lievi di un soffio. 10

Non confidate nella violenza, non illudetevi della rapina; alla ricchezza, anche se abbonda, non attaccate il cuore. 11

Una parola ha detto Dio, due ne ho udite: la forza appartiene a Dio, 13 tua è la fedeltà, Signore; secondo le sue opere tu ripaghi ogni uomo. 12

PADRE NOSTRO PREGHIERA O Padre che nel tuo grande amore ci hai donato il tuo Figlio, fa che sappiamo sempre fare spazio nella nostra vita alla sua venuta, vincendo in noi tutto ciò che ci rende ciechi e sordi alla sua presenza, perché come i pastori sappiamo annunciarti con gioia alle persone che incontriamo. Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli. AMEN

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“I miei occhi han visto la tua Salvezza” Presentazione di Gesù al Tempio. L’incontro con Simeone e Anna (Lc 2,22-40)

Scheda V

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Quando venne il tempo della loro purificazione secondo la Legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore, com’è scritto nella Legge del Signore: ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore; e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o di giovani colombi, come prescrive la Legge del Signore. Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e timorato di Dio, che aspettava il conforto d’Israele; lo Spirito Santo che era sopra di lui, gli aveva preannunziato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Messia del Signore. Mosso dunque dallo Spirito, si recò al tempio; e mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per adempiere la Legge, lo prese tra le braccia e benedisse Dio: “Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola; perché i miei occhi han visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele”. Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e parlò a Maria, sua madre: “Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l’anima”. C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuele, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto col marito sette anni dal tempo in cui era ragazza, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme. Quando ebbero tutto compiuto secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nazaret. 40Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era sopra di lui. Il brano parte dall’indicazione della purificazione secondo la legge come si legge nel Levitico: “Quando una donna sarà rimasta incinta e darà alla luce un maschio, sarà immonda per sette giorni; sarà immonda come nel tempo delle sue regole. L’ottavo giorno si circonciderà il bambino. (…). Quando i giorni della sua purificazione per un figlio o per una figlia saranno compiuti, porterà al sacerdote all’ingresso della tenda del convegno un agnello di un anno come olocausto e un colombo o una tortora in sacrificio di espiazione.”(Lv 12, 2-6) È un rito di purificazione che comprendiamo con difficoltà, e, anche se oggi risuona disorientante nella nostra cultura, dobbiamo ricordare che era presente anche nella nostra tradizione fino a 50/60 anni fa: il rito delle madri che “rientravano in santo” dopo il parto. Tutto ha origine nel grande rispetto che circonda la nascita. I genitori mettono al mondo un figlio 21 che è di Dio e questo li rende collaboratori di Dio, partecipanti al potere creativo di Dio. Dio dona questa immensa possibilità (essere collaboratore di Dio pone l’uomo molto in alto), dona ‘in dote’ il figlio: è la prima grande meraviglia che provano i genitori, essere chiamati a partecipare in modo particolare all’amore creatore di Dio come “creatori e quasi interpreti” (GS 50) di esso (Gen 1,28).


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Il rito cui si sottopone tutta la sacra famiglia è solo legato all’umana tradizione che collega il mondo del sesso con l’impurità, da cui il rito deve liberare. Non era un peccato, ma una condizione per cui non era lecito accostarsi al mondo del divino e alla preghiera, se non dopo essersi sottoposti a precise norme di purificazione. Il rito è completato con l’offerta di una coppia di tortore o colombi: “Tu riserverai per il Signore ogni primogenito del seno materno; ogni primo parto del bestiame, se di sesso maschile, appartiene al Signore.” (Es 13,12) Tutti i primogeniti sono, quindi, consacrati a Dio per ricordare l’intervento di Dio in Egitto, quando salvò dalla morte i primogeniti di Israele. I genitori offrivano qualcosa a Dio in cambio del figlio primogenito, quasi una sostituzione: ti lascio un dono ma riporto a casa il figlio, che è figlio di Dio, ma anche generato dai suoi genitori. “Portarono il bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore” Il figlio è di loro, eppure non è di loro. Il figlio è dato, ma subito offerto. I figli non sono nostri, appartengono a Dio, all’umanità; hanno una loro vita, una loro vocazione che noi non conosciamo. Devono realizzare non i nostri desideri, ma quelli di Dio. Questa è la santità della famiglia! Se invece si chiude in sé, chiude il respiro della propria vita, chiude l’apertura alla vita vissuta dei figli. Gesù è piccolo e sono i genitori, nel ruolo di ministri, che lo offrono a Dio; da adulto farà ancora quest’offerta da sé, sulla croce. Maria è qui presente nel suo ruolo di madre che offre il figlio che ha generato, e gli sarà vicina sempre, anche nel momento del dolore, della morte. Questo la fa essere a pieno titolo Madre di Dio, Madre del Redentore. “C’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e timorato di Dio” “C’era anche una profetessa, Anna” Nel tempio incontrano due anziani straordinari, carichi di anni, ma vivi dentro, non chiusi custodi di ricordi ma profeti di futuro, aperti agli altri: Simeone guarda e vede il domani, Anna racconta agli altri, informa, fa sapere. Sono due simboli di una vecchiaia aperta, sapiente e viva, che vede ciò che altri non vedono. Sono i nonni delle nostre generazioni! Ma quanti nonni, oggi, hanno tutta questa considerazione? Quanti nonni, custodi di una sapienza che nasce dalla vita vissuta, sono ascoltati, considerati? E più facile dire: “Ai tuoi tempi era così, ma oggi tutto è cambiato, nulla è più come «ai vecchi tempi»”, e in questo modo si acqueta la sapienza degli anziani. E questi due anziani, questi “nonni”, tracciano la storia di Gesù: Simeone è pieno di gioia per aver contemplato una gloria che è destinata a tutti, Anna “parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme”. Svolgono il loro compito di anziani con le loro capacità, i loro carismi; non sono né sapienti, né potenti, sono dei “poveri del Signore”, persone dedicate a Dio, fiduciose in lui. Sono figure di anziani che troviamo spesso in scena anche nei nostri giorni, ma che, presi dal correre frenetico della vita, spesso non riusciamo né a vedere, né ad apprezzare. “Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione”. Simeone dice queste immense parole a Maria per spiegarle chi è suo figlio: è la rovina e la risurrezione, segno di contraddizione. Anche adesso è in mezzo a noi come rovina, risurrezione, segno di contraddizione. Non vuole che siamo nell’indifferenza, che viviamo in un’illusione di pace e tranquillità che è morte dello spirito e della voglia di vivere. 22 Cristo è la nostra rovina, la rovina della nostra vita da narcisisti pieni d’illusioni, la rovina della nostra vita di cristiani stanchi, quasi moribondi, la rovina della nostra vita di apparenze nascoste, spesso, dietro la maschera del perbenismo. Cristo è la nostra contraddizione, contraddizione della nostra mediocrità, contraddizione delle nostre sicurezze, contraddizione dell’immagine incompleta e falsa che abbiamo di Lui, contraddi-


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zione della logica umana, contraddizione degli idoli e delle illusioni che dominano la nostra vita. Cristo è la nostra risurrezione quando ci sentiamo stanchi di lui, risurrezione quando abbiamo il vuoto dentro, risurrezione quando c’è il buio davanti ai nostri occhi, risurrezione quando siamo stati umiliati, risurrezione quando pensiamo finite le cose e le persone che amiamo, risurrezione quando non riusciamo a far vivere lo spirito di vita e di amore che è in noi. Rovina, contraddizione, risurrezione, tre parole che danno respiro a tutta la vita. Tre parole che ci mostrano un Cristo non con tanti volti secondo le circostanze, ma un Cristo che in un certo senso è “contro di noi” e non con noi, vuole che cambiamo il nostro stile di vita e, per questo si pone “contro” la nostra vita da benpensanti. Non è una novità che Dio proponga uno stile di vita contrario a quello dei benpensanti: Amasia disse ad Amos: “Vattene, veggente, ritirati verso il paese di Giuda; là mangerai il tuo pane e là potrai profetizzare, ma a Betel non profetizzare più, perché questo è il santuario del re ed è il tempio del regno”. (Am 7, 12-13) Amasia è sacerdote di Betel, è il benpensante del tempo, il potere istituito; non può accettare che Amos profetizzi contro di lui, che proponga un diverso stile di vita: la società istituita è così e non deve essere cambiata, Amos è solo un elemento di rottura, uno che rema controcorrente. Dobbiamo recuperare questa idea di come vivere da cristiani, contro la tendenza a smussare qualsiasi angolo o esigenza del cristianesimo, riconducendolo, a volte, a una specie di consolazione del nostro spirito secondo il nostro giudizio. “E anche a te una spada trafiggerà l’anima”. Anche tu Maria non sei esente dalle lacrime e dalle contraddizioni del Vangelo! Nel cuore di Maria, nella sua persona, nella sua vita passerà la spada del Signore, sotto la croce anche Maria è trafitta com’è trafitto il figlio. Eppure in questo momento non riesce a comprendere il messaggio di Simeone, lo ascolta e… “Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui”. È una giovane madre col suo primogenito, quello che le passa per la mente e per il cuore è la gioia della nascita e della vita del figlio, non può immaginare quello che sarà alla fine sotto la croce. Eppure è da questo brano che nasce la devozione alla Madonna addolorata e quante chiese hanno la rappresentazione di Maria o la statua dell’Addolorata, trafitte nel cuore dalle spade! Maria ci insegna che la fede non produce l’anestesia che nasconde i problemi della vita. La santità non è un muro indistruttibile contro la sofferenza, i lutti e le disgrazie, ma anche la fatica quotidiana. Maria è legata, unita a noi dal dolore, perché il dolore non cerca delle spiegazioni o delle logiche, non evita di colpire i giusti e i buoni, ma il dolore, per essere superato, cerca e desidera la condivisione dei fratelli, e ancor più dei fratelli in Cristo. Perché il dolore è contraddizione della vita, sembra la rovina di tutto, ma è recuperato nella terza parola: risurrezione. Quando l’amore vi fa cenno, seguitelo, benché le sue strade siano ampie e scoscese. E quando le sue ali vi avvolgono, abbandonatevi a lui, benché la spada che nasconde fra le penne possa ferirvi. E quando vi parla, credetegli, anche se la sua voce può mandare in frantumi i vostri sogni come il vento del nord lascia spoglio il giardino. (K. Gibran)

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DOMANDE PER RIFLETTERE E CONDIVIDERE 1) I genitori sono collaboratori di Dio e questo li pone molto in alto, sono chiamati a partecipare all’amore creatore di Dio come “creatori e quasi interpreti” di esso. I figli non sono nostri, appartengono a Dio, devono realizzare non i nostri desideri, ma quelli di Dio. Questa è la santità della famiglia! 2) Simeone e Anna sono due simboli di una vecchiaia sapiente e viva; sono i nonni! Ma quanti nonni, oggi, hanno tutta questa considerazione? Quanti nonni, custodi di una sapienza che nasce dalla vita vissuta, sono ascoltati, considerati? O, presi dal correre frenetico della vita, spesso non riusciamo né a vederli, né ad apprezzarli. 3) Cristo è la rovina per i narcisisti pieni d’illusioni, per i cristiani stanchi, quasi moribondi, per chi si nasconde dietro la maschera del perbenismo. Cristo è la contraddizione della mediocrità, delle nostre sicurezze, dell’immagine falsa che abbiamo di Lui, della logica umana, degli idoli e delle illusioni che dominano la nostra vita. Cristo è la risurrezione per chi si sente stanco di lui, per chi ha il vuoto dentro, per chi è stato umiliato, per chi non riesce a far vivere lo spirito di vita e di amore che ha in sé. 4) Maria ci insegna che la fede non nasconde i problemi della vita. La santità non è un muro indistruttibile contro la sofferenza, i lutti e le disgrazie. Dobbiamo recuperare questa idea di come vivere da cristiani, contro la tendenza a una consolazione del nostro spirito secondo il nostro giudizio.

Cantico di Simeone (Lc 2,29-32) (si recita tutti insieme a bassa voce e lentamente) Ora lascia o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola, perché i miei occhi han visto la tua salvezza preparata da te davanti a tutte le genti e gloria del tuo popolo Israele. PADRE NOSTRO PREGHIERA O Padre che ci hai salvato mandando a noi il tuo Figlio, luce delle genti, fa che sappiamo riconoscerlo come Simeone e come Anna perché possiamo accoglierlo nella nostra vita e lasciare che la sua presenza, come spada, riveli e purifichi le contraddizioni dei nostri cuori, perché possiamo seguirlo fino alla croce camminando nella verità e nella carità in ogni giorno della nostra vita. AMEN

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“Devo occuparmi delle cose del Padre mio” Gesù tra i dottori nel Tempio (Lc 2,41-52)

I suoi genitori si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. 42 Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. 43Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. 44Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; 45non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. 46Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. 47E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. 48Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: “Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo”. 49Ed egli rispose loro: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”. 50Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro. 51 Scese dunque con loro e venne a Nazaret e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore.52 E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini. 41

Scheda VI

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Come ogni anno per la festa di Pasqua insieme a tutta Nazaret, Gesù, Maria e Giuseppe si recano in pellegrinaggio a Gerusalemme. Durante il loro cammino non poteva mancare certamente la preghiera ed il canto dei Salmi delle Ascensioni (Sal 120-134) fino alla contemplazione della città Santa (Sl 120,2). Nella Pasqua del suo dodicesimo anno Gesù celebrò il rito del “bar mitzvà” che lo introduceva solennemente come “adulto “ nella comunità, mediante la proclamazione di alcuni brani della Torah (come Dt6,4-9). Terminata la festa, però egli si trattenne a Gerusalemme all’insaputa di Maria e Giuseppe, i quali, solo dopo tre giorni, angosciati, lo ritrovarono nel tempio fra i maestri della scrittura, mentre li ascoltava e li interrogava (Lc 2,46 ). La risposta di Gesù alla domanda di Maria sul perché della sua scomparsa non fu da lei capita in quel momento, anche sebbene custodita nel suo cuore. Gesù, che sarà chiamato “Maestro” (Lc 7,40;11,1.45;17,13) qui lo vediamo mentre ascolta come i discepoli (Is 50, 46 ) e interroga come i Magi chi (i sommi sacerdoti e gli scribi) cita la Sacra Scrittura senza convertirsi sinceramente al Signore (Mt 2,5-6) Gesù suscita stupore in tutti gli ascoltatori per l’intelligenza delle sue risposte (Lc 2, 47b) come quando, interrogato, in seguito da uno scriba su quale fosse il primo di tutti i comandamenti risponde con saggezza, dichiarandolo vicino al regno di Dio (Mt 12,34 ). Maria, che ha creduto fin dall’inizio all’annuncio della salvezza (Lc 1,26.38) superata l’angoscia dello smarrimento di Gesù è ancora pronta a custodire fino alla piena fruttificazione, il seme gettato nel terreno “buono” del suo cuore (Mc 4,20). In questo episodio evangelico ogni discepolo del Regno può ben meditare che è chiamato a rag25 giungere la “misura della pienezza di Cristo “ (Ef 4,13b). Ogni educatore, inoltre, deve sempre ricordare che non dovrà mai considerarsi il “padrone della fede” di chi gli è affidato, ma il collaboratore della sua gioia (2Cor 1,24).


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DOMANDE PER RIFLETTERE E CONDIVIDERE 1) Cosa ti colpisce di più di questo brano? 2) Maria e Giuseppe erano angosciati perché temevano di aver perso Gesù, e non capiscono la sua risposta quando lo trovano. Hai mai fatto esperienze simili nei confronti dei tuoi figli? 3) “Occuparsi delle cose del Padre mio” è la missione di Gesù, ma anche quella di ogni credente. Ti sei mai domandato cosa possa significare nella tua vita? Dal Salmo 119 (a cori alterni) Beato chi è integro nella sua via e cammina nella legge del Signore. 2 Beato chi custodisce i suoi insegnamenti e lo cerca con tutto il cuore. 7 Ti loderò con cuore sincero, quando avrò appreso i tuoi giusti giudizi. 8 Voglio osservare i tuoi decreti: non abbandonarmi mai. 9

Come potrà un giovane tenere pura la sua via? Osservando la tua parola. Con tutto il mio cuore ti cerco: non lasciarmi deviare dai tuoi comandi.

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Ripongo nel cuore la tua promessa per non peccare contro di te. Benedetto sei tu, Signore: insegnami i tuoi decreti. Con le mie labbra ho raccontato tutti i giudizi della tua bocca. Nella via dei tuoi insegnamenti è la mia gioia, più che in tutte le ricchezze. Voglio meditare i tuoi precetti, considerare le tue vie. Nei tuoi decreti è la mia delizia, non dimenticherò la tua parola.

PADRE NOSTRO PREGHIERA FINALE O Padre che per tutti hai un disegno d’amore, aiutaci riconoscere tra le cose del mondo quelle che conducono a te e ad abbandonare quelle che ci allontanano dal bene, dalla verità e dalla giustizia, perché in tutto possiamo sempre piacere alla tua Volontà. Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli. AMEN

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“Padre nelle tue mani consegno il mio spirito” Crocefissione, morte e sepoltura del Signore (Lc 23,33-56)

Quando giunsero sul luogo chiamato Cranio, vi crocifissero lui e i malfattori, uno a destra e l’altro a sinistra. 34Gesù diceva: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”. Poi dividendo le sue vesti, le tirarono a sorte. 35 Il popolo stava a vedere; i capi invece lo deridevano dicendo: “Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto”. 36Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto 37e dicevano: “Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso”. 38Sopra di lui c’era anche una scritta: “Costui è il re dei Giudei”. 39Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: “Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!”. 40L’altro invece lo rimproverava dicendo: “Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? 41Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male”. 42E disse: “Gesù, ricòrdati di me quando entrerai nel tuo regno”. 43 Gli rispose: “In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso”. 44Era già verso mezzogiorno e si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio, 45perché il sole si era eclissato. Il velo del tempio si squarciò a metà. 46Gesù, gridando a gran voce, disse: “Padre,nelle tue mani consegno il mio spirito”. Detto questo, spirò. 47 Visto ciò che era accaduto, il centurione dava gloria a Dio dicendo: “Veramente quest’uomo era giusto”. 48Così pure tutta la folla che era venuta a vedere questo spettacolo, ripensando a quanto era accaduto, se ne tornava battendosi il petto. 49Tutti i suoi conoscenti, e le donne che lo avevano seguito fin dalla Galilea, stavano da lontano a guardare tutto questo. 50 Ed ecco, vi era un uomo di nome Giuseppe, membro del sinedrio, buono e giusto. 51Egli non aveva aderito alla decisione e all’operato degli altri. Era di Arimatea, una città della Giudea, e aspettava il regno di Dio. 52Egli si presentò a Pilato e chiese il corpo di Gesù. 53Lo depose dalla croce, lo avvolse con un lenzuolo e lo mise in un sepolcro scavato nella roccia, nel quale nessuno era stato ancora sepolto. 54 Era il giorno della Parasceve e già splendevano le luci del sabato. 55Le donne che erano venute con Gesù dalla Galilea seguivano Giuseppe; esse osservarono il sepolcro e come era stato posto il corpo di Gesù, 56poi tornarono indietro e prepararono aromi e oli profumati. Il giorno di sabato osservarono il riposo come era prescritto.

Scheda VII

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Il racconto della passione e morte del Signore è un invito a rivolgere a Gesù Crocifisso uno sguardo di fede e di amore: “Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto ”(Gv,19,37). Anche l’apostolo Paolo ci ricorda: “Mentre i giudei chiedono miracoli e i Greci cercano la sapienza, noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i giudei e stoltezza per i pagani, ma, per coloro che sono chiamati, predichiamo Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio”. (1Cor 1,22-24). L’evangelista Luca, attraverso questo racconto vuole farci una proposta di vita: è come se disegnasse la strada che il discepolo di Gesù deve seguire per andare dietro i passi del suo Maestro. Gesù sulla croce offre degli esempi da imitare che sono il riassunto di tutto il suo insegnamento e 27 di tutta la sua vita terrena: uno di questi è il perdono dei peccatori insieme al perdono dei nemici e delle offese ricevute. Gli storici antichi hanno descritto il supplizio della croce come la più crudele e spaventosa pena di morte, riservata agli schiavi. Gesù, che era entrato nella città di Gerusalemme acclamato come il principe della pace finisce sul patibolo, fuori dalle mura della città di Gerusalemme, insieme ad


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altri due malfattori. L’ingiusta condanna e la sofferenza non distolgono Gesù dal compiere fino in fondo la volontà del Padre e dall’offrire a tutti il suo amore e il suo perdono: “Padre perdonali, perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34). Con la parola “Padre” Gesù esprime l’intimità che lo lega a Dio; il perdono è l’insegnamento. In questa linea di misericordia e di perdono si colloca anche l’episodio, riferito solo da Luca, del malfattore pentito, a cui Gesù offre il dono della salvezza, del Regno di Dio. I due malfattori sono crocifissi insieme a Gesù, sono con Lui, ma è diverso il modo in cui concludono la vita. Uno è con Gesù solo esteriormente, l’altro è con Gesù interiormente, e rivolge a lui uno sguardo di fede. Per l’evangelista Luca, Gesù rimane, fino alla conclusione della sua vita, colui che è venuto per salvare i peccatori, per esercitare il ministero del perdono. Possiamo dire che le parabole dell’amore misericordioso di Dio verso i peccatori, narrate dal Vangelo di Luca, trovano il loro coronamento quando all’ultima ora viene assicurato da Gesù al malfattore pentito il “Regno di Dio”: “In Verità ti dico, oggi sarai con me nel Paradiso” (Lc 23,43). L’ultimo gesto della vita terrena di Gesù è un atto di amore e di perdono. L’altro aspetto che caratterizza il racconto della passione e morte del Signore secondo il Vangelo di Luca è la presentazione di Gesù come il “PROFETA- MARTIRE”, il modello di ogni martire. Nel martirio trova compimento la vita e la missione di Gesù venuto per fare la volontà del Padre (Lc 2,49) e per salvare gli uomini (Lc 4,18-21). Leggendo la narrazione del martirio di S. Stefano, che Luca presenta negli Atti degli Apostoli (At 7,55-60) ci si accorge facilmente che è modellato sulla passione e morte del Signore. La crocifissione è la grande prova della fede per Gesù e per i suoi discepoli. Alla fine del racconto della tentazione di Gesù nel deserto Luca faceva notare: “Dopo aver esaurito ogni specie di tentazione, il diavolo si allontanò da lui per ritornare al tempo fissato” (Lc 4,13). In modo particolare nell’ora della Passione, Gesù viene tentato dal demonio, sottoposto alla prova: restare fedele al Padre, oppure percorrere altre strade per salvare se stesso? E mentre viene chiesto a Gesù di salvare se stesso, egli dona se stesso per salvare noi (Lc 23,35-39). Nell’ora più difficile e dolorosa della sua vita Gesù ha pregato e invocato Dio con le parole del Salmo 31,1-6: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”. Il Vangelo di Luca, in modo particolare, ci presenta Gesù come il maestro della preghiera, che è necessaria per mettersi in ascolto obbediente della volontà di Dio. Gesù, l’innocente condannato, ha concluso la sua vita abbandonandosi con fiducia al Padre, rimettendo il suo spirito (la sua vita) nelle mani del Padre e donando se stesso per noi. Con il centurione romano siamo chiamati anche noi a rendere gloria a Dio riconoscendo in Gesù “il solo GIUSTO”(At 3,13-14) e a fare nostre le parole dell’ apostolo Paolo. “Gesù ci ha amato e ha dato tutto se stesso per noi” (Ef 5,2); “Ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei” (Ef 5,25). Luca, in occasione della morte di Gesù ricorda due segni: l’oscuramento del sole da mezzogiorno alle tre del pomeriggio e l’apertura del velo del tempio. La morte di Gesù sulla croce è un avvenimento di salvezza che riguarda non solo l’uomo ma anche l’ universo. Ricorda S. Paolo (Rm 8,14-23) “Tutta la creazione geme e soffre nelle doglie del parto, ma nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione”. Il “Santo dei Santi”, il luogo più sacro del tempio, era separato dal resto del santuario da una cortina. Attraverso di essa il sommo sacerdote poteva passare solo una volta l’anno per compiere il “rito dell’espiazione”. Mentre Gesù muore il velo del tempio si squarcia, così l’ingresso al “Santo 28 dei Santi ” rimane aperto. Dio così abbandona il luogo della sua dimora, della sua presenza. L’antico tempio cessa di essere il luogo dell’ incontro dell’ uomo con Dio. Con la morte di Gesù sulla croce si ha il passaggio dall’ Antica alla Nuova Alleanza. Da allora sarà il corpo di Cristo morto e risorto il vero tempio, il luogo dell’incontro dell’ uomo con Dio. Per quanto riguarda la sepoltura occorre ricordare che le norme della legge giudaica non permet-


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tevano che un crocifisso rimanesse appeso al patibolo durante la notte, ma, nello stesso giorno, veniva seppellito in una fossa comune. Per evitare che Gesù fosse sepolto senza onori un membro del Sinedrio, Giuseppe d’Arimatea, uomo buono e giusto che non aveva approvato la condanna a morte di Gesù, chiese a Pilato il suo corpo. Superando cosi le difficoltà legali Giuseppe D’Arimatea fece calare dalla croce il corpo di Gesù, lo fece avvolgere in alcuni lini e deporre in una tomba scavata nella roccia. La tomba non è una conferma della morte reale di Gesù. Anche nel Simbolo Apostolico, la più antica professione di fede, viene detto che Gesù fu sepolto. Con questa onorata sepoltura viene riconosciuto a Gesù, il SANTO e il GIUSTO, quanto gli era stato negato “scegliendo la liberazione di Barabba e facendo condannare l’ autore della vita” (At 3,14). Dio, attraverso il suo Figlio Gesù, conduce alla salvezza un malfattore che si pente dei propri peccati, un centurione romano pagano che riconosce in Gesù il “GIUSTO”, un membro del Sinedrio che dà onorevole sepoltura al corpo di Gesù. Nella comunità dei discepoli di Gesù viene accolta qualsiasi persona che si apre a Dio con cuore buono e sincero. Gesù, il chicco di grano che cade nel terreno del cuore degli uomini, può trovare inattesi terreni buoni dove nascere, crescere e portare frutto. Le donne, che erano state discepole di Gesù fin dalla Galilea (Lc 8,2) e che presso la croce, con Maria sua Madre, erano state testimoni della morte di Gesù, sono ora testimoni della tomba vuota e del primo annuncio della resurrezione. Dalla sepoltura di Gesù non si diffonde una notte oscura senza speranza, già si intravede la grande novità: l’alba luminosa e splendente del “nuovo giorno”. Il Venerdì Santo della passione e della morte di Gesù, il Sabato Santo del riposo nel sepolcro e la Domenica di Risurrezione sono giorni riuniti nell’ unica festa della Pasqua cristiana. DOMANDE PER RIFLETTERE E CONDIVIDERE 1) Gli ultimi gesti della vita terrena di Gesù sono tutti orientati all’amore, alla misericordia, al perdono. Chiediamoci in famiglia, nella comunità parrocchiale, nei vari ambienti, lavoriamo per il dialogo, la comprensione, la pace? Quali difficoltà ci sono da superare con la grazia dello Spirito Santo ? 2) Non c’è amore senza sacrificio. Se pensiamo solo a salvare noi stessi non possiamo a m a r e veramente gli altri. Potresti fare degli esempi ripresi dalla vita quotidiana, in cui appare e con chiarezza la verità di questo insegnamento del Vangelo? 3) Gesù ha unito, in modo mirabile, la fedeltà a Dio e la fedeltà all’ uomo. Quali difficoltà incontriamo nel cammino della imitazione di Cristo? Salmo 31 (a cori alterni) In Te, Signore, mi sono rifugiato, mai sarò deluso; per la tua giustizia salvami. Porgi a me l’ orecchio vieni presto a liberarmi. Sii per me la rupe che mi accoglie, la cinta di riparo che mi salva. Tu sei la mia roccia e il mio baluardo, per il tuo nome dirigi i miei passi. Scioglimi dal laccio che mi hanno teso, perchè sei Tu la mia difesa.

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Mi affido alle tue mani; tu mi riscatti, Signore, Dio fedele. Tu detesti chi serve idoli falsi, ma io ho fede in Te, Signore. Io confido in Te Signore; dico: Tu sei il mio Dio, nelle tue mani sono i miei giorni . PADRE NOSTRO Preghiera Signore Gesù che morendo sulla croce ci hai pienamente rivelato l’amore misericordioso del Padre, donaci il tuo Spirito, perché sappiamo accogliere il tuo amore e ridonarlo ai fratelli. Lo chiediamo a Te che vivi con il Padre e lo Spirito Santo nei secoli dei secoli. AMEN

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“Perché cercate tra i morti colui che è vivo?”

La tomba vuota (Lc 24,1-12)

Il primo giorno della settimana, al mattino presto esse si recarono al sepolcro, portando con sé gli aromi che avevano preparato. 2Trovarono che la pietra era stata rimossa dal sepolcro 3e, entrate, non trovarono il corpo del Signore Gesù. 4Mentre si domandavano che senso avesse tutto questo, ecco due uomini presentarsi a loro in abito sfolgorante. 5Le donne, impaurite, tenevano il volto chinato a terra, ma quelli dissero loro: “Perché cercate tra i morti colui che è vivo? 6Non è qui, è risorto. Ricordatevi come vi parlò quando era ancora in Galilea 7e diceva: “Bisogna che il Figlio dell’uomo sia consegnato in mano ai peccatori, sia crocifisso e risorga il terzo giorno””. 8Ed esse si ricordarono delle sue parole 9e, tornate dal sepolcro, annunciarono tutto questo agli Undici e a tutti gli altri. 10Erano Maria Maddalena, Giovanna e Maria madre di Giacomo. Anche le altre, che erano con loro, raccontavano queste cose agli apostoli. 11Quelle parole parvero a loro come un vaneggiamento e non credevano ad esse. 12Pietro tuttavia si alzò, corse al sepolcro e, chinatosi, vide soltanto i teli. E tornò indietro, pieno di stupore per l’accaduto. 1

Scheda VIII

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Le apparizioni del Risorto in Lc 24 si concentrano tutte nell’arco di una giornata: di buon mattino c’è l’annunzio alle donne, (24,1-12), “lo stesso giorno” Gesù appare ai discepoli di Emmaus (24,13-35) e la sera Gesù agli undici apostoli e ai loro compagni (24,36-49). Il capitolo si chiude con la separazione di Gesù dai suoi discepoli e prepara il racconto degli Atti degli Apostoli. L’annuncio alle donne è come racchiuso tra l’esperienza di due grandi cambiamenti nell’esperienza di fede dei discepoli-credenti: all’inizio è il corpo del crocifisso a scomparire per fare spazio a quello del Cristo risorto, poi sarà lo stesso corpo del Risorto a staccarsi dai suoi per lasciar spazio a quello Spirito che animerà poi il corpo della Chiesa. L’episodio delle donne al sepolcro è raccolto in una grande inclusione che vede un parallelismo fra l’inizio e la fine: sia le donne (24,1) che Pietro si recheranno al sepolcro (24,12), il luogo della memoria ma da lì poi ripartiranno cercare ancora colui che in quel luogo è solo ricordato. All’interno di questa cornice si snodano i vari momenti narrativi secondo uno schema che alterna continuamente rivelazione e reazione: davanti alla tomba vuota le donne sono perplesse; all’apparizione dei uomini subentra in loro la paura; l’annuncio pasquale suscita però nelle donne il ricordo e il ritorno presso gli altri; al loro annuncio gli apostoli manifestano un’incredulità generale e Pietro corre al sepolcro; Pietro al sepolcro vedendo solo le bende, torna a casa pieno di stupore. Il racconto inizia con un’indicazione temporale: “il primo giorno dopo il sabato, di buon mattino”. Con l’apertura di questa nuova settimana sembra aprirsi un tempo nuovo, quello della nuova creazione e questo primo giorno, l’ultimo narrato nel Vangelo di Luca, diventerà poi il giorno del Signore. L’ambientazione è quella del sepolcro, letteralmente “il luogo della memoria”. Questo primo versetto, con queste due indicazioni spazio-temporali ci rimanda e mostra un forte legame con l’episodio precedente in cui Luca narra della sepoltura e delle donne che, venute con Gesù dalla Galilea, seguono Giuseppe; esse osservano la tomba e come era stato deposto il corpo di 31 Gesù, poi tornano indietro e prepararono oli e aromi profumati. Queste donne a differenza dei Dodici, sono coloro che sono rimaste fedeli fino in fondo, al Signore; sono coloro che di buon mattino, subito dopo il riposo del sabato, si recano al sepolcro per la purificazione, l’unzione e la profumazione del corpo del Signore. La sollecitudine e il contenuto dei gesti rivelano tutto il desiderio di custodire la memoria dell’amato e di esprimergli fino in fondo il proprio affetto e la


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propria devozione. E’ proprio dell’amore continuare a cercare, continuare a sperare e nel mondo giudaico, la sepoltura, rappresenta proprio il modo per poter raccogliere quel frammento di vita ancora custodito nella morte, per poter alimentare la speranza. Le donne, che con lo sguardo dell’amore avevano scrupolosamente registrato il luogo dove Gesù era stato deposto, trovano subito la tomba, ma si trovano davanti ad un evento insolito: la pietra è già stata rotolata. Ma a questo punto c’è una sorpresa verso cui converge tutta la scena: il sepolcro è vuoto. Le donne trovano quello che non si aspettavano, la pietra rotolata, ma non trovano quello che si aspettavano, “il corpo del Signore Gesù”. Qui l’espressione pasquale usata da Luca, unica nel suo Vangelo e comune agli Atti, dà al lettore un primo indizio sull’accaduto: Gesù è il Signore, egli è vivo. Ma per le donne la morte di Gesù rimane ancora la morte di un semplice uomo e incapaci di far memoria della sua Parola, davanti all’accaduto rimangono incerte, disorientate. E’ un po’ l’esperienza di chi si trova davanti al limite estremo della morte. In questa situazione di smarrimento, di sospensione, accade qualcosa d’inaspettato. Alle donne appariranno due uomini, due angeli (24,23) e saranno loro ad accompagnare le donne nella loro ricerca alla scoperta del vero volto di Gesù. Gli uomini-angeli sono due perché almeno due dovevano essere i testimoni e loro sono i garanti della resurrezione. Se all’inizio del Vangelo gli angeli annunciano la nascita di Gesù, qui gli angeli annunciano la sua rinascita. L’apparizione alle donne ha i tratti di una manifestazione divina: le vesti sfolgoranti, la luce e le parole che esprimono l’annuncio pasquale; così le reazioni dei destinatari: timore per la percezione di un qualcosa di soprannaturale e atteggiamento di adorazione-prostrazione. L’annuncio della Pasqua ha la forma di un oracolo di facile memorizzazione, si sviluppa secondo una struttura che ce lo fa pensare come un dialogo: alla domanda “Perché cercate il vivente fra i morti?” fa eco il timore delle donne a cui risponde l’altro uomo: “non è qui ma è risuscitato”, più precisamente è stato risuscitato, risvegliato (da Dio- passivo divino). Qui il termine “svegliato” non indica più un corpo inanimato che giace, ma quello di un uomo dritto in piedi, ormai fuori dal sonno della morte. In questa proclamazione l’evangelista coniuga un’espressione kerygmatica più tradizionale (cfr. 1Cor 15,4 “è stato risuscitato il terzo giorno secondo le scritture”), con una più caratteristica, tipica di Luca, “il Vivente”, forse più adatta a spiegare l’evento ai cristiani di cultura greca. Tuttavia l’espressione richiama anche il concetto biblico secondo il quale Dio è il dio dei viventi e non dei morti, meglio ancora: egli è “il Dio vivente” (cfr. Gs 3,10). Da notare che qui l’annuncio della resurrezione è messo in rapporto al verbo “cercare” e forte è il richiamo a cambiare l’orientamento della ricerca. Non si può più cercare la vita, il corpo di Gesù tra i morti, occorre cercarlo nella sua Parola. L’annuncio pasquale alle donne ci dice così che la nostra ricerca deve muoversi su due linee. Quella dell’accoglienza della rivelazione divina perché la resurrezione di Gesù viene dal cielo e non può essere conosciuta con la sola esperienza umana. E quella del ricordo, del custodire e del far memoria delle parole di Gesù. A differenza degli altri sinottici, infatti nel vangelo di Luca, Gesù non invia le donne in missione presso gli apostoli, ma l’unico comando che dona loro è quello di ricordarsi della Parola, di farla riemergere nella loro memoria e nel loro cuore. Non si tratta di un ricordo di cronaca, ma di un far risuonare quella Parola ricevuta negli eventi della vita, di rileggerla e raccontarla attraverso di essi. Le parole degli uomini-angeli richiamano i tre annunci pasquali di Gesù in Galilea Lc 9,22 ; 9,4432 45 e 18,31-34 e vengono finalmente a rischiarare, a trasfigurare, quelle parole che erano parse tanto oscure e incomprensibili ai discepoli. L’annuncio alle donne forma poi con il richiamo al tema della ricerca una perfetta inclusione con le parole di Gesù dodicenne al tempio - che con i riferimenti alla Pasqua, a Gerusalemme, all’incomprensione e con la sua spiegazione sembra anticipare i primi tre annunci kerygmantici (cfr. Lc 2,41-50). “Perché mi cercavate” dice Gesù ai suoi


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(genitori); “Perché cercate...” dicono i due messaggeri alle donne. L’annuncio alle donne sembra così svelarci il piano salvifico che come un filo si è dipanato attraverso tutto il vangelo: la consegna di Gesù nelle mani del Padre e degli uomini, diventa la sua autoconsegna e ricapitola in sé tutta la progressione degli “io devo” di Gesù (io devo essere nel Padre, io devo portare la buona novella, il Figlio dell’uomo deve essere consegnato nelle mani dei peccatori), il disegno del Padre e l’agire degli uomini si fondono nella sua autoconsegna al Padre e agli uomini. Ora le donne si trovano a scoprire l’ultimo tratto del volto del Crocifisso risorto; egli è il Vivente, colui che da ora e per sempre è la vita donata, quella vita che come figlio riceve costantemente dal Padre e di cui fa dono agli uomini peccatori, suoi fratelli. In Lc 24,8 si dice che le donne “si ricordarono delle parole” e il ricordo suscita in loro la fede. Alla luce dei nuovi eventi, delle parole degli angeli, le donne “vedono” finalmente il compimento degli annunci di Gesù, egli è davvero colui che può dare senso a tutta la loro esistenza. La Parola ricordata genera coloro che l’ascoltano e le donne spontaneamente, senza ricevere alcun mandato, riprendono il loro cammino in una nuova direzione, con parole nuove: vanno ad annunciare il ritrovamento del corpo del Signore Gesù “ai Dodici e a tutti gli altri”. Le donne dicono tutto a tutti, la vera famiglia di Gesù (Lc 8,2-3) allarga i suoi confini per divenire la famiglia di una moltitudine infinita di fratelli. Le donne che si erano distinte per la loro dedizione e fedeltà a Gesù, sono le prime destinatarie e le prime annunciatrici della Parola. Luca ci dice che all’annuncio pasquale segue il racconto degli eventi: l’annuncio chiede il racconto e il racconto ha il suo cuore nell’annuncio. Le donne vengono indicate con il loro nome (v.10) proprio nel momento in cui tornano ad essere discepole della Parola. Anche gli Apostoli, che nel loro allontanarsi dalla Parola sono caduti nel mutismo dell’incredulità (Lc 24,12) saranno chiamati a percorrere lo stesso cammino. Se alla tomba non c’era più un corpo ma la Parola, qui siamo davanti ad un corpo sociale senza Parola, quella Parola che alla sera di quello “stesso giorno” gli andrà incontro per riportarlo alla vita (cfr. Lc 24,36-49). Solo Pietro sembra prendere le distanze dal totale rifiuto degli apostoli: lascia il gruppo per andare a controllare la tomba e poi, nello stupore, torna a “casa sua” (Lc 24,12).

DOMANDE PER RIFLETTERE E CONDIVIDERE 1) Le donne sono invitate a ricordare le parole di Gesù. Custodisco nella memoria e nel cuore le Parole del Vangelo; le faccio risuonare in me, mi lascio guidare da loro negli eventi della vita? Lascio che siano loro ad aprirmi al senso profondo delle mie vicende personali e di quelle dell’umanità? Sono aperta alla novità della Parola evangelica? 2) Dio si rivela come colui che non teme di consegnarsi nelle mani dei peccatori, che dona la vita ai suoi crocifissori. Il Vivente è colui che porta le piaghe fino alla fine del mondo. Faccio spazio nella mia vita a questa presenza che accetta di morire per donare la vita, di farsi carico del male altrui per poterlo distruggere, di lasciarsi ferire per sanare? 3) Vivo il mio cammino di fede come una continua ricerca del vero volto di Dio o sono “attaccata” ad una mia idea di Lui, forse creata su misura per me, un po’ a mia immagine e somiglianza?

33


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Salmo 30

(a cori alterni)

Ti esalterò, Signore, perché mi hai liberato e su di me non hai lasciato esultare i nemici. Signore Dio mio, a te ho gridato e mi hai guarito. Signore, mi hai fatto risalire dagli inferi, mi hai dato vita perché non scendessi nella tomba. Cantate inni al Signore, o suoi fedeli, rendete grazie al suo santo nome, perché la sua collera dura un istante, la sua bontà per tutta la vita. Alla sera sopraggiunge il pianto e al mattino, ecco la gioia. Nella mia prosperità ho detto: “Nulla mi farà vacillare! ”. Nella tua bontà, o Signore, mi hai posto su un monte sicuro; ma quando hai nascosto il tuo volto, io sono stato turbato. A te grido, Signore, chiedo aiuto al mio Dio. Quale vantaggio dalla mia morte, dalla mia discesa nella tomba? Ti potrà forse lodare la polvere e proclamare la tua fedeltà? Ascolta, Signore, abbi misericordia, Signore, vieni in mio aiuto. Hai mutato il mio lamento in danza, la mia veste di sacco in abito di gioia, perché io possa cantare senza posa. Signore, mio Dio, ti loderò per sempre. PREGHIERA Padre, il tuo amore è per noi spesso incomprensibile, facciamo fatica a riconoscerlo, soprattutto quando ci imbattiamo nell’ingiustizia, nel dolore e nella morte. Fa’ che davanti agli scandali di cui siamo ogni giorno spettatori e anche un po’ protagonisti possiamo aprirci alla tua Parola, al 34 tuo sguardo e illuminati dalla tua misericordia senza limiti possiamo venire da te trasformati nei nostri pensieri e sentimenti più profondi e così da riconoscerti ancora come il Signore della vita. Te lo chiediamo per Cristo nostro Signore.


“L’avevano riconosciuto nello spezzare il pane” I discepoli di Emmaus riconoscono il Signore risorto (Lc 24, 13-35)

Scheda IX

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Ed ecco, in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, 14e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. 15Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. 16 Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo. 17Ed egli disse loro: “Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?”. Si fermarono, col volto triste; 18uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: “Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?”. 19Domandò loro: “Che cosa?”. Gli risposero: “Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; 20come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso. 21Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. 22 Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba 23 e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. 24Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto”. 25 Disse loro: “Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! 26Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?”. 27E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui. 28 Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. 29Ma essi insistettero: “Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto”. Egli entrò per rimanere con loro. 30 Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. 31 Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. 32Ed essi dissero l’un l’altro: “Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?”. 33Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, 34i quali dicevano: “Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!”. 35 Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane. 13

L’apparizione del Signore risorto ai due discepoli in cammino verso Emmaus ci è stato tramandato dal solo Luca, e costituisce uno dei vertici del vangelo e del cammino di fede che l’evangelista fa fare a quanti, come noi, leggono il suo vangelo dal principio alla fine. Il problema di Luca infatti è aiutare i cristiani che conoscono chi è il Signore Gesù perché ne hanno sentito parlare e sanno i fatti che lo riguardano, a diventare annunciatori della sua resurrezione e del suo Vangelo. Nel pro- 35 logo del Vangelo Luca afferma di aver scritto il vangelo per aiutare Teofilo a “rendersi conto della solidità del vangelo” (Lc 1,4). Ora questa è proprio l’esperienza che fanno i discepoli di Emmaus che allo spezzare del pane da parte di Gesù si rendono conto di chi veramente sia quel viandante che si è fatto loro vicino e che gli ha spiegato le scritture (Lc 24,31). In entrambi questi due passi


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evangelici il verbo è lo stesso (evpiginw,skw, epighinosko), quasi a significare che il problema dei due discepoli di Emmaus è lo stesso di Teofilo come di noi credenti di oggi, quello di imparare a riconoscere il Signore risorto nella vita quotidiana, perché solo nella sua compagnia i nostri cuori diventano “caldi” (Lc 24,32), cioè innamorati, infiammati dalla passione e dalla gioia, le nostre oscurità di volto, le tristezze (Lc 24,17), e le nostre cecità (Lc 24,16), solo nella compagnia del Signore Risorto sono trasformate in luce, gioia e voglia di ricominciare da capo e di annunciare a tutti il dono dell’averlo incontrato. Lo scopo del vangelo, come della missione di Cristo, è proprio questa, liberarci (Lc 24,21) nel senso forte del termine che significa liberare dalla schiavitù. Cristo vuole liberarci perché da uomini liberi dedichiamo la nostra vita a liberare il mondo da ogni schiavitù. Ma non ci può essere liberazione dove ci sono la tristezza, dove c’è il senso del fallimento, dove non si sa più per cosa vivere la propria vita, dove c’è la frustrazione, dove i cuori sono spenti e dove gli occhi non vedono e gli orecchi non sentono. Il Cristo risorto torna dai morti proprio per aiutarci a compiere il definitivo cammino verso questa apertura di cuore, di mente e di occhi, che ci rende capaci di vivere liberamente la vita senza paura, perché Egli è con noi, e ci ricorda che la vita è più forte della morte, e che nessuna morte potrà più trattenerci se in noi abita lo Spirito del Risorto. Ma tutto questo chiede che noi impariamo a riconoscere il Signore. Questo è il vero problema della vita credente, non sapere che egli c’è, che è risorto, cosa ha fatto e cosa ha detto, ma riconoscerlo nel quotidiano, e imparare a riconoscere nel cuore il calore della sua presenza, cioè le sue ispirazioni, perché solo così potremo vivere ogni giorno con la gioia della resurrezione. Il vangelo dei discepoli di Emmaus è pertanto un racconto di “riconoscimento” del Signore, perché mente noi ascoltiamo il racconto di quanto è accaduto loro, anche noi impariamo a fare altrettanto nella nostra vita. I discepoli di Emmaus sanno chi è Gesù e sanno cosa ha fatto, ma questo ancora non produce la fede e la gioia. Tuttavia questo è un primo passo importante. Conoscere la storia è una preparazione a riconoscere la persona. Già a questo livello dovremmo come comunità cristiane recuperare la capacità di raccontare la storia di Gesù e della Bibbia ai nostri figli che invece non ne sanno quasi più nulla. Non basta però conoscere, occorre anche “discutere” o come dice meglio il verbo greco qui presente “cercare”, nel senso di indagare per capire, per giungere a trovare qualcosa. Non bisogna mai stancarsi di cercare nella vita ragioni per vivere, né di cercare di mettere insieme i fatti. Si tratta di un’apertura alla ricerca che ci rende disponibili all’incontro, così come i discepoli di Emmaus furono disponibili ad accogliere la compagnia di Gesù, anche se ancora non lo riconoscevano. Un secondo elemento importante è fare quello che fa Gesù con i due discepoli facendo raccontare loro i motivi del loro disagio e della loro tristezza e le loro speranze, deluse, ma pur sempre speranze. A partire da queste poi Gesù comincia a parlare loro di quanto lo riguardava, soprattutto in relazione al mistero della necessità della necessità della sofferenza per entrare nella gloria. In altre parole Gesù spiega loro le scritture e attraverso di queste cerca di far capire loro la logica di fondo della rivelazione che è presente nelle S. Scritture e che si compie la sua vita, e cioè che la liberazione passa dal dono della vita, che l’amore è così forte e fedele a se stesso che per non venire meno al bene per gli altri accetta anche la morte e a sofferenza, se questo serve per dire all’altro che gli vuoi bene. Gesù spiega ai discepoli quello che è stato il senso di tutto la sua vita che si manifesta sommamente sulla croce, che cioè non c’è amore più grande che dare la vita, e 36 che questo da senso alla vita del mondo. Senza questo amore non c’è salvezza, non c’è vita eterna, non c’è vita amata e nella gioia. Il lavoro di Gesù è dunque il lavoro di ogni educatore che cerca di aiutare gli altri a crescere nella capacità d’amare e a far comprendere che amore spesso vuol dire fare spazio all’altro, anche a costo di essere crocifissi. Questa è anche la logica delle S. Scritture che conducono a Gesù e in particolare al mistero cen-


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trale della sua morte e risurrezione che non si può comprendere senza comprendere il mistero dell’amore. Tuttavia i discepoli, pur resi ardenti nel cuore dal discorso di Gesù, ancora non lo riconoscono. Questa lentezza dei discepoli a comprendere, questa loro lentezza di cuore (Lc 24,26) è il segno di quanto in noi le nostre convinzioni e abitudini, personali e culturali, siano forti e dure a cedere alla logica di un messaggio, quello dell’amore, che le scardina e le mette in discussione. Non dobbiamo mai sottovalutare la forza e la potenza di queste strutture personali e umane, sociali e comunitarie, che spesso ci condizionano così tanto che nonostante il Signore sia li con noi, ci parli, ci infiammi il cuore, noi non lo riconosciamo! Ma l’infinita pazienza del Signore accondiscende a queste nostre durezze e continua a starci vicino, aspettando l’invito a farlo entrare nella nostra vita, come i discepoli che quel giorno lo invitarono a rimanere con loro. Si fidarono di quello che sentivano, non capivano ancora, e quanto egli gli diceva non coincideva con le loro convinzioni e idee, ma sentivano che era qualcosa che scaldava il cuore, sentivano che se la loro mente non era d’accordo il loro cuore invece approvava. I due discepoli di Emmaus lo invitano, dunque, si fanno ospitali, hanno il coraggio di provare ad ospitare uno straniero, che gli parlava in modo che loro non comprendevano ma che li affascinava. I discepoli hanno il coraggio di ospitare quest’uomo e le sue idee nella loro vita, e di lasciarle fermentare dentro di sé. Si fanno ospitali e in questa ospitalità che altro non è che apertura e disponibilità all’ascolto e alla condivisione il Signore si fa spazio e diventa sempre più loro familiare. Finche nello spezzare il pane essi ricordano, riconoscono, comprendono. In quel gesto che il Signore doveva aver fatto tante volte con loro mentre era vivo, essi riconoscono finalmente la continuità di uno stile, di un modo di fare, di una vita che non è morta ma che continua. Quel gesto dello spezzare il pane che ricorda l’eucarestia, la vita donata, è il simbolo concreto che rende visibile e attualizza tutto quello che Gesù ha spiegato loro durante il viaggio, e tutto quello che è stata la sua vita per loro e per il mondo. Per questo lo riconoscono e finalmente i loro occhi liberati dal potere della loro tristezza, stoltezza e lentezza di cuore, finalmente gli occhi aprono le porte alla gioia ed egli appare davanti a loro per quello che è. Ma nello stesso istante egli sparisce, perché adesso la sua presenza, il suo spirito come un fuoco che scalda abita i loro cuori. Adesso possono correre e tornare a Gerusalemme, riprendere in mano la loro vita e annunciare al mondo la gioia di quell’incontro che ha cambiato la loro vita e che può cambiare la vita del mondo. Il Vangelo si conclude così con i discepoli che raccontano “come lo avevano riconosciuto nello spezzare il pane”, si conclude lasciando a noi il compito di raccontare agli uomini e alle donne di oggi come lo abbiamo riconosciuto. Ogni domenica per noi è Emmaus, perché ogni domenica il Signore si fa nostro compagno. Nell’eucarestia egli ci fa dire le nostre tristezze e i nostri errori, si pensi alla richiesta di perdono iniziale, ci spiega ciò che riguarda lui e il senso della sua e della nostra vita nell’ascolto delle S. Scritture e nell’omelia, spezza il pane per noi rendendosi presente nell’eucarestia e, infine, ci invia a raccontare al mondo la gioia di averlo incontrato perché anche altri possano riconoscerlo e fare l’esperienza gioiosa della risurrezione. DOMANDE PER RIFLETTERE E CONDIVIDERE 1) Ci sono dei momenti nella vita in cui hai riconosciuto la presenza del Signore accanto a te? Come è accaduto? Come ti hanno cambiato? 37 2) Cosa possiamo fare per aiutare gli uomini e le donne di oggi a conoscere Gesù e a riconoscere il Risorto nella vita quotidiana? 3) I discepoli di Emmaus erano tristi. Quali sono le nostre tristezze maggiori? Come la presenza del Signore può illuminarle? 4) Spesso i nostri occhi sono impediti dal riconoscere il Signore e anche noi siamo “stolti e lenti


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di cuore”. Quali modi di pensare, di vivere, di giudicare ci rendono oggi ciechi, stolti, e lenti di cuore? 5) Il Signore Risorto non fa miracoli per farsi riconoscere, ma preferisce camminare accanto ai discepoli, spiegargli le scritture, rimanere con loro, spezzare il pane della cena insieme. Come mai secondo te il Signore agisce così? Salmo 15

(a cori alterni)

Signore, chi abiterà nella tua tenda? Chi dimorerà sulla tua santa montagna? 2 Colui che cammina senza colpa, pratica la giustizia e dice la verità che ha nel cuore, non sparge calunnie con la sua lingua, non fa danno al suo prossimo e non lancia insulti al suo vicino.

3

Ai suoi occhi è spregevole il malvagio, ma onora chi teme il Signore. Anche se ha giurato a proprio danno, mantiene la parola;

4

non presta il suo denaro a usura e non accetta doni contro l’innocente. Colui che agisce in questo modo resterà saldo per sempre.

5

PADRE NOSTRO PREGHIERA Signore Gesù che ti fai vicino ad ogni uomo, lo ascolti e lo accompagni con amore e pazienza, fa che impariamo a riconoscerti nella nostra vita, ma soprattutto che sappiamo portarti agli altri perché tutti possano trovare te, la tua sapienza e la gioia della tua risurrezione. Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli. AMEN

38


“Sono proprio io”

Gesù risorto appare ai discepoli. Ultime istruzioni agli Apostoli. Ascensione (Lc 24,36-53) Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: “Pace a voi!”. 37Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. 38Ma egli disse loro: “Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? 39Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho”. 40Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. 41Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore, disse: “Avete qui qualche cosa da mangiare?”. 42Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; 43egli lo prese e lo mangiò davanti a loro. 44 Poi disse: “Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi”. 45 Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture 46e disse loro: “Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, 47e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. 48Di questo voi siete testimoni. 49Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto”. 50 Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. 51Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. 52Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia 53e stavano sempre nel tempio lodando Dio. 36

Scheda X

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Dopo l’apparizione ai due discepoli lungo la via per Emmaus (Lc 24, 13-35), l’ultima scena del terzo vangelo pone il lettore di fronte a una seconda apparizione del risorto, che adesso ha come destinatario l’intero gruppo degli Undici. L’apparizione alla comunità apostolica, icona dell’incontro tra Cristo e la comunità dei credenti, è collocata da Luca nello stesso giorno di Pasqua (laddove Gv la distribuisce in due distinte riprese nell’arco di una settimana: una prima apparizione ai Dieci, senza Tommaso, e poi una seconda agli Undici) ed ha luogo nella città di Gerusalemme (laddove Mt e Mc parlano di un’apparizione in Galilea). L’ambientazione gerosolimitana conferma la centralità che la città santa riveste in tutto l’arco del terzo vangelo, come punto di arrivo di un itinerario che è insieme geografico e teologico. È in essa che inizia la manifestazione della realtà di Gesù già prima dell’avvio del suo ministero pubblico (Lc 2,22; 2,43); è in essa che la sua missione raggiunge il suo vertice e compimento (“Non è possibile che un profeta muoia fuori di Gerusalemme”, Lc 13,33); è in essa infine che prende le mosse la missione della Chiesa, raccontata nella seconda opera lucana (Atti). Non è un caso quindi che la scena finale dell’Ascensione si concluda con l’esplicita menzione di Gerusalemme (“tornarono a Gerusalemme”, Lc 24,52), quasi a segnare il passaggio tra la prima e la seconda opera lucana, tra la missione terrena di Gesù e quella della Chiesa. Dal punto di vista redazionale la scena descritta da Luca sembra mettere insieme i due modelli utilizzati generalmente nei vangeli per descrivere le scene di apparizione: quello del “riconosci39 mento” (presente soprattutto in Gv) e quello della “missione” (utilizzato soprattutto da Mt e Mc). Ne risulta quasi un affresco in cui è possibile individuare tre quadri distinti: il primo è occupato dal riconoscimento del risorto da parte dei discepoli (vv. 36-43); il secondo dalle ultime istruzioni agli Undici e dal mandato missionario (vv. 44-49); il terzo infine dall’ascensione. Il primo quadro insiste sull’attestazione dell’identità personale tra colui che ora si manifesta e colui


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che è morto sulla croce (“sono proprio io!”). Si tratta di riconoscere in colui che ora appare lo stesso che è stato crocifisso, e viceversa. La difficoltà del riconoscimento da parte dei discepoli, già vista a proposito dei due di Emmaus, va spiegata anzitutto a partire dal fatto che, come sappiamo dai Vangeli, durante il ministero terreno di Gesù essi non avevano compreso “cosa volesse dire risorgere dai morti” (Mc 9,10). Del resto il giudaismo del tempo affermava una resurrezione dei morti (Dn12,2) come evento universale ed escatologico (alla fine dei tempi) e non come esperienza individuale e intrastorica (nel mezzo della storia). Se alcuni termini ed espressioni sottolineano la dimensione fisica e corporea del risorto, a conferma della concretezza dell’evento (“mani”, “piedi”, “carne e ossa”, “mangiare”), altri indicano piuttosto una non-evidenza della sua identità (“sconvolti”, “paura”, “fantasma”, “dubbi”, “non credevano”), per penetrare la quale è richiesto qualcosa in più del semplice contatto o esperienza fisica, che può emergere solo grazie a un’adesione di fede. L’unità dei due aspetti sembra suonare come un monito nella bocca dell’evangelista per l’esperienza dei futuri credenti, sempre esposti da un lato al rischio di una religiosità astratta e priva di radicamento nel reale, e dall’altro a quello di una dispersione nell’esteriorità che smarrisca il senso profondo delle cose e degli eventi. Dopo il riconoscimento dell’identità del risorto da parte dei discepoli, il secondo quadro ci mostra Gesù nel ruolo di annunciatore, maestro e interprete delle Scritture, come già avvenuto nell’apparizione ai due di Emmaus (Lc 24, 25-27). L’istruzione scritturistica indica la necessità per il credente di nutrire e rinvigorire la propria fede con l’ascolto e la meditazione della Parola di Dio. Peraltro, come già avvenuto ad Emmaus, la pedagogia di Gesù sembra suggerire una circolarità di fondo tra Parola ed evento: l’evento pasquale viene illuminato e illustrato attraverso il ricorso alle Scritture (da notare la formula più ampia qui utilizzata per indicare il ricorso alla Scrittura: “nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi” rispetto a quella utilizzata per l’episodio di Emmaus: “cominciando da Mosè e dai profeti”, ma si rivela a sua volta l’elemento centrale in grado di dischiudere una comprensione profonda del messaggio ascoltato (“aprì loro la mente per comprendere le Scritture”). L’esperienza autentica dell’evento pasquale e la comprensione profonda del suo mistero costituiscono la fonte della missione del discepolo del risorto nel mondo e nella storia. Rispetto al mandato matteano, che insiste sulla formula battesimale (Mt 28, 19), Luca preferisce indicare la missione in termini di “testimonianza” (“di questo siete testimoni”), riallacciandola a una formula di fede (“il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati”) che si ricollega alla professione di fede primitiva della comunità credente (“Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture…fu sepolto…è risorto il terzo giorno secondo le Scritture”, 1Cor 15, 3-4). In tal modo viene tracciato un arco narrativo tra l’inizio e la fine del terzo vangelo: il racconto si apre nel sigillo di “coloro che ne furono testimoni oculari fin da principio” (Lc 1,2) e si chiude con il mandato ad essere “testimoni” conferito agli Undici. L’invito poi a non allontanarsi da Gerusalemme (“restate in città”) e ad attendere l’effusione dello Spirito (“rivestiti di potenza dall’alto”) permettono all’autore di ricollegare la narrazione del Vangelo anche a quella degli Atti (“riceverete la forza dello Spirito Santo… sarete testimoni a Gerusalemme… e fino ai confini della terra”, At 1,8). L’ultimo quadro dell’affresco è infine occupato dalla scena dell’Ascensione, che l’autore colloca quasi a sigillo della vicenda terrena di Gesù e dell’itinerario attraverso cui ha condotto il lettore. 40 La scena si ispira certamente a modelli veterotestamentari (Enoc, che “non fu più perché Dio l’aveva assunto”, Gn 5,24; Elia, che ascende al cielo su un carro di fuoco, 2Re 2, 12), riadattati dall’autore per esprimere sotto una nuova luce il mistero dell’evento pasquale. La vicenda terrena di Gesù si conclude con una scena che sembra quasi rimandare a un contesto liturgico ed ecclesiale: Egli benedice dall’alto la comunità dei credenti e questa si prostra in adorazione e lode davanti a lui.


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La descrizione della scena viene ripresa all’inizio della narrazione della seconda opera lucana (Atti), ma con un quadro che si discosta da quello tracciato nel vangelo per alcuni aspetti. L’Ascensione narrata in Atti è collocata da Luca al termine di un ciclo di apparizioni di quaranta giorni (At 1,3), laddove per il terzo vangelo essa avviene nel giorno stesso di Pasqua. Sempre nella narrazione degli Atti troviamo il monito (non riportato nel terzo vangelo) rivolto dagli angeli ai discepoli: “Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo”, At 1,11). La comunità dei credenti contempla nel Signore asceso al cielo il proprio mistero e vocazione ultima di partecipazione alla gloria del risorto. Un destino che tuttavia non è immediato né banale, ma chiede di passare attraverso le vie lente e faticose della passione e della storia. Esso non è evasione alienante o attesa illusoria, ma invita il discepolo a tornare nella Gerusalemme terrena per percorrere interamente le strade della testimonianza e della missione. DOMANDE PER RIFLETTERE E CONDIVIDERE 1) Quale aspetto di questo vangelo ti fa riflettere di più? 2) Il Risorto invia a predicare la “conversione e il perdono dei peccati” (Lc 24,47). Come possiamo “predicare” ed “essere testimoni” di questo? Cosa intendiamo per conversione e per perdono dei peccati? 3) Credi nella risurrezione di Cristo e dei morti in lui? Quando hai capito che la vita non finisce con la morte? Anche i discepoli all’inizio dubitano, ma poi lo riconoscono. Non si deve paura del dubbio, ma allo stesso tempo provare ad affidarsi. Hai mai fatto l’esperienza del dubbio, e del dubbio che diventa fede? Salmo 103 (a cori alterni) Benedici il Signore, anima mia, quanto è in me benedica il suo santo nome. 2 Benedici il Signore, anima mia, non dimenticare tutti i suoi benefici. 3 Egli perdona tutte le tue colpe, guarisce tutte le tue infermità, 4 salva dalla fossa la tua vita, ti circonda di bontà e misericordia, sazia di beni la tua vecchiaia, si rinnova come aquila la tua giovinezza. 6 Il Signore compie cose giuste, difende i diritti di tutti gli oppressi. 5

Ha fatto conoscere a Mosè le sue vie, le sue opere ai figli d’Israele. 8 Misericordioso e pietoso è il Signore, lento all’ira e grande nell’amore. 7

PADRE NOSTRO

41 Preghiera O Signore che sei tornato dalla morte per portarci la pace e la gioia, e insegnarci a vivere nell’amore per la vita eterna. Fa che predichiamo con la conversione della nostra vita e il perdono la tua risurrezione, perché il mondo creda e si apre alla speranza della vita eterna. Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli. AMEN


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Breve Bibliografia Aletti Jean-Noel,

L’arte di raccontare Gesù Cristo. La scrittura narrativa del vangelo di Luca, Brescia 1991 Bosetti Elena, Luca. Il cammino dell’evangelizzazione, Bologna, 1995 Bottini Giovanni C., Introduzione all’opera di Luca. Aspetti teologici, Jerusalem-Milano 20112 Bovon Francois, Luca, Brescia 2005 Radermakers J. Bossuyt Ph., Lettura pastorale del vangelo di Luca, Bologna 1983 Fausti Silvano, Una comunità legge il vangelo di Luca, Bologna 1994 Ghidelli Carlo, Luca, Cinisello Balsamo 1986 Gradara Renzo, Luca. Il Vangelo degli ultimi, Bologna 1991 Howard I. Marschal, The Gospel of Luke (NIGTC), Michigan 1978 Marconi Gilberto, La comunicazione visiva nel vangelo di Luca. Per cogliere il mistero con la vista, Milano 1997 Martini C. Maria, L’evangelizzatore in San Luca, Milano 1980 Poppi Angelico, Sinossi dei quattro evangeli. Commento, Padova 1987 Prete B., L’opera di Luca. Contenuti e prospettive, Torino 1986 Ravasi Gianfranco, Il vangelo di Luca, Bologna 1988 Rossé Gherard, Il vangelo di Luca. Commento esegetico e teologico, Roma 1992 Sabourin Leopold, Il Vangelo di Luca. Introduzione e commento, Roma 1989 Schurmann Heinz, Il vangelo di Luca, Brescia 1998 Sui vangeli dell’Infanzia Laurentin René, I Vangeli dell’infanzia di Cristo. La verità del Natale al di là dei miti, Cinisello Balsamo 1986 Sui racconti delle apparizioni del risorto Dufour Xavier L., Risurrezione di Gesù e messaggio pasquale, Cinisello Balsamo 1986 Caba José, Cristo mia speranza è risorto. Studio esegetico dei “vangeli” pasquali, Cinisello Balsamo 1988

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Finito di stampare dalla Tipografia GF Press Masotti nel mese di settembre 2012 Fotocomposizione: Graficamente Pistoia


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