Buon compleanno,Italia
1861-2011: l’Italia celebra il centocinquantesimo anniversario della sua nascita, con la mente rivolta al passato e lo sguardo proteso verso l’avvenire. La retorica magniloquente e inutile rimane il pericolo di ricorrenze come questa. Lo spirito giusto è invece quello dell’atteggiamento pensoso e responsabile, capace di riguardare criticamente la strada percorsa e, soprattutto, di programmare nel segno della speranza, il cammino del futuro. Un’operazione da vivere comunitariamente con quell’affetto e quella partecipazione che meritano i sacrifici di coloro che hanno realizzato un sogno protrattosi per tante, tantissime generazioni. Una storia tormentata e sofferta, come ben sappiamo, quella che stiamo rievocando, la storia di desideri rimandati, di tentativi falliti, di speranze infrante, di progetti apparentemente almeno svaniti nel nulla. Dovremmo rileggere le testimonianze che i nostri predecessori ci hanno lasciato, magari cominciando da quelle più vicine a noi. Potremmo allora misurare a pieno le nostre responsabilità. Fedeltà o tradimento, la nostra risposta? Non dimentichiamo che la conquista dell’unità nazionale fu soprattutto opera dei giovani, che non esitarono a donare la loro vita per costruire il futuro che noi stiamo attualmente vivendo. Cittadini del mondo, come ormai irrevocabilmente ci consideriamo, a questa storia, alla terra che ne è stata teatro e testimone, riserviamo il primo posto nella nostra memoria e nella nostra intelligenza. E’ la storia della nostra patria, dell’alma mater dei padri latini, di cui tutti, dal Nord industrioso al Sud dimenticato (l’intero “paese ove ‘l sì sona” di Dante), ci sentiamo figli e, per ciò stesso, fratelli. “L’Italia non è che una espressione geografica”, aveva detto con interessata arroganza un personaggio della storia europea, quando da noi maggiormente fervevano i tentativi di riscatto e di liberazione. Non era così. L’Italia era un popolo, con tutte le caratteristiche che comporta questa magica e sempre inesplorata parola, e quando “un popolo si desta, Dio si mette alla sua testa”, come ha scritto e cantato il giovanissimo autore dell’inno nazionale, pure lui vittima della sua generosità. Tornano alla mente le parole dei nostri poeti, che imparammo nel tempo della nostra giovinezza, i sentimenti comuni che ispirarono le pagine dei più grandi autori della nostra letteratura: Dante, Petrarca, Leopardi, Manzoni. Un entusiasmo, il loro, che rivive dentro di noi e che vogliamo esprimere apertamente e senza complessi. L’inno “Fratelli d’Italia” ne è un prezioso riassunto, una sintesi indovinata, un documento due volte prezioso perché scritto con il sangue. Né retorica, però, e nemmeno nessun cedimento a quel formalismo esterno, che poi lascia il tempo che trova. Il compleanno che celebriamo è l’occasione di un severo esame di coscienza. Perché dobbiamo riconoscere che proprio ai nostri giorni stiamo registrando una caduta pericolosa di valori, una crescita esponenziale di disordine morale, una dimenticanza quasi totale della ricca eredità lasciatasi dai nostri progenitori, addirittura tentativi appena mascherati di rinnegare l’unità costruita nel tempo col sacrificio di tante vite e indicata dalla stessa natura. F. Petrarca salutava l’Italia come “il bel paese/ ch’Appennin parte e ‘l mar circonda e l’Alpe”. Gli antichi lamenti, purtroppo, tornano oggi attuali. L’Italia è decaduta dalla sua grandezza. Ciò che fa grande un popolo è soprattutto il suo modello di vita: l’onestà, la laboriosità, la giustizia, la solidarietà, la fraternità. La fratellanza universale non è certo un impedimento alla fratellanza che lega fra loro i cittadini di una nazione, “una d’arme, di lingua e d’altare,/ di memorie, di sangue e di cor” (Manzoni). La memoria dei padri ha il valore perentorio di un monito, la forza di una scossa che ci raggiunge nelle intimità più profonde del nostro essere. I sogni erano diversi, le speranze miravano altrove, le prospettive si appuntavano su un modello sociale con ben altre caratteristiche. E noi non abbiamo nessun diritto di tradire questa memoria. Nella nostra necessaria riflessione, non possiamo trascurare lo spirito religioso che da sempre ha animato e illuminato il nostro passato. Una storia che ha profondamente contrassegnato i nostri paesi e le nostre città. Ne sono testimoni visibili i mille campanili che svettano sui tetti delle nostre case, le opere dei nostri più grandi artisti, i santuari spuntati come d’incanto in ogni angolo della nostra terra. I valori cristiani si sono uniti insieme ai valori umani rendendo quasi impossibile una loro distinzione, meno che mai una loro separazione. Due storie unite indissolubilmente insieme. Nel compleanno che stiamo celebrando, il nostro miglior augurio è che l’Italia ritrovi il ritmo e lo spirito dei suoi giorni migliori, recuperi integralmente, attualizzandole al presente, le tradizioni del suo glorioso passato. Una possibilità tutta nelle nostre mani. Per questo, buon compleanno, Italia. Giordano Frosini