Concilio concilio concilio Un’invocazione, un grido di allarme, un richiamo urgente e accorato. Che la chiesa non stia attraversando uno dei suoi momenti più felici non ci vuole molto a rendersene conto. Se ne accorgono anche i più distratti e i più superficiali. Il contatto con la stampa di tutto il mondo continua a riportarci notizie allarmanti, la stessa nostra esperienza quotidiana ci mette in contatto con situazioni tutt’altro che rasserenanti. Soprattutto preoccupano la distanza crescente col mondo giovanile e il calo di entusiasmo che attraversa l’intera comunità cristiana. Due fenomeni certamente collegati fra loro e che, al fondo, nascono dalla stessa matrice. La carica propulsiva impressa alla chiesa dall’ultimo suo concilio sembra ormai esaurita e si è da tempo entrati in un tempo in cui dominano la stanchezza e il disagio. Errori, infedeltà, scandali veri e propri rendono ancora più cupa l’atmosfera che ci circonda e ci avvolge da ogni parte. Pessimismo? Può anche darsi che nell’animo di chi ha vissuto il tempo della rinascita conciliare giochi un sentimento di questo genere. Gli entusiasmi che suscita in tutti l’inizio di un’era nuova li aveva descritti molto bene uno scrittore tutt’altro che propenso all’ottimismo come B. Brecht nel suo libro La vita di Galileo: “E’ ben noto quale benefico influsso possa esercitare sugli uomini la convinzione di trovarsi alle soglie di un’epoca nuova. Il mondo che li circonda appare ai loro occhi imperfetto, suscettibile dei più luminosi miglioramenti, pieno di possibilità già intraviste e di altre mai prima sognate, docile cera in loro mano. Essi si sentono pieni di una freschezza mattinale, di forza, di inventiva”. Un sogno. Poi però c’è il risveglio, con le sue delusioni, le sue difficoltà, le sue frustrazioni. Nonostante tutto, la vita non è affatto, o non è del tutto, un sogno. Ha scritto recentemente Arturo Paoli, il quale ha pagato duramente con le sue sofferte scelte la fede in quel sogno lontano, che “anche la chiesa vive dentro la pesantezza e le contraddizioni in cui si svolge l’esistenza dell’uomo”. Pure, senza sogni, senza speranza, non si può vivere. E’ necessario per questo ritrovare il calore e la passione che abbiamo perduto nel duro contatto con una realtà più forte e più tetragona di noi. Se vogliamo, è l’intera società, il mondo nel suo complesso, che stanno subendo la stessa sorte. La mediocrità, diceva Dossetti, è l’arma attuale di Satana. Un’arma subdola, soporifera, addormentante, che colpisce e riduce all’impotenza i centri nervosi delle persone e delle comunità. Evidentemente, questo virus è entrato anche nella chiesa. La quale, al suo interno, vive momenti specifici di difficoltà e di crisi. La comunità che per definizione dovrebbe presentarsi con i caratteri inconfondibili dell’alternatività non sempre riesce a onorare la sua vocazione. Anche al suo interno, i rapporti rischiano di essere semplicemente formali e non di rado arrivano perfino all’ostilità. Latita quell’esemplarità che le è stata richiesta e che gli uomini attenderebbero da lei. Alla domanda che sorge da sempre spontanea fino dai tempi apostolici: “Che cosa dobbiamo fare?”, forse c’è già una risposta, valida almeno nella sua sostanza, anche se poi bisognosa del nostro personale e attuale contributo. E’ la risposta del concilio. Non è certo un peccato aver creduto che le sue richieste siano state le stesse richieste che venivano dall’alto: “Questo – abbiamo pensato, parafrasando le note espressioni del libro dell’Apocalisse- oggi lo Spirito domanda alla sua chiesa”. E l’abbiamo pensato giocando su questa convinzione la nostra stessa vita. Non c’è allora affatto da meravigliarsi se ora confessiamo la nostra delusione. In realtà, non c’è una pagina, una riga del concilio che non attenda la sua attuazione. Quanto dovrà ancora durare questa attesa? E’ vero, prima del concilio c’è il Vangelo. Ma di nuovo: è un peccato aver creduto che il Vangelo sia stato attualizzato al presente da una chiesa fedele ai richiami dello Spirito Santo? Non è questo il grande titolo di merito della comunità escatologica di salvezza e la convinzione invincibile di coloro che hanno creduto in lei? Per superare l’impasse, per ritrovare quella concordia e quell’unità di intenti che abbiamo perduto, questa è la via maestra, anzi l’unica via che ci rimane da percorrere. Le altre, anche quelle scelte con le migliori delle intenzioni e apparentemente più “spirituali”, in questo momento sono fuorvianti. Un monito e una sfida. Giordano Frosini