Costruttori del Regno L’ultima domenica dell’anno liturgico è l’occasione per riflettere seriamente sul Regno di Dio che, iniziato con la parola e l’opera di Gesù, arriverà al suo compimento alla fine della storia, quando il Figlio “consegnerà il Regno a Dio Padre, dopo aver ridotto al nulla ogni Principato e ogni Potenza e Forza. E’ necessario infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. L’ultimo nemico a essere annientato sarà la morte”. Il passaggio dal Regno di Cristo al Regno di Dio segnerà la fine del tempo e l’inizio dell’eternità. Un Regno universale ed eterno, di verità e di vita, di santità e di grazia, di amore, di giustizia e di pace. Con la sua venuta finale, la storia della salvezza arriverà alla sua conclusione e allora l’universo intero riposerà per sempre nel seno di Dio. Ma esso è già cominciato ed è ora affidato alle nostre mani. La chiesa ne segna l’inizio e ha la responsabilità della sua costruzione e della sua crescita. Da piccolo seme consegnato alla terra esso raggiungerà le dimensioni di un albero cosmico capace di radunare sotto i suoi rami l’intera umanità e l’intera creazione. Il Regno di Dio raggiungerà i confini dell’universo E’ il segreto della storia umana, come ci è stato comunicato dalla rivelazione cristiana. Un cammino ininterrotto che va verso lo stato perfetto della felicità, della comunione e della fraternità universale. Una storia a lieto fine, come nelle grandi fiabe che hanno acceso la fantasia di tutti i bambini del mondo. La comunità cristiana ne ripete nel tempo, senza mai stancarsi, le movenze, la direzione e la conclusione. Il piano di Dio supera tutte le nostre capacità intellettive e immaginative. L’attesa rinnova la speranza, che troverà un giorno il suo pieno adempimento. Una speranza che riempie i nostri giorni e sorregge le nostre fatiche. La speranza cristiana non è una semplice attesa, un guardare l’orizzonte con le braccia conserte. Essa è invece azione nella storia già dirottata verso la fine. La speranza inerte è semplicemente la scimmiottatura della vera speranza. “Aiutaci a costruire insieme il tuo Regno”, prega la chiesa con la nuova liturgia. Il regno non è solo oggetto di attesa, ma impegno, premura, preoccupazione, zelo, attenzione, partecipazione. Opera di Dio, il Regno è anche collaborazione dell’uomo. Il passaggio dal “già” al “non ancora”, dall’inizio al compimento, è anche frutto dell’azione dell’uomo. Dio non fa mai niente da solo, ma chiama sempre l’uomo, la sua “immagine”, a collaborare con lui. Noi siamo le mani di Dio, la sua voce, i suoi partners, i suoi aiutanti. Egli ha voluto avere bisogno di noi. Il primo aiuto sarà quello della vita e della testimonianza. L’affermazione che la chiesa è l’inizio del Regno non è una rivendicazione di gloria e di dignità, ma una presa di responsabilità e un promessa di esemplarità. L’uomo di oggi, vedendo la comunità cristiana, dovrebbe poter vedere la bellezza di quel mondo che Dio ha preparato per l’eternità, un mondo dove tutti i grandi valori dell’esistenza umana risplendono in piena luce. E’ ormai convinzione consolidata della chiesa che l’evangelizzazione si fa anzitutto con la vita, con l’esempio con la testimonianza. Una meta tanto lontana da farci sgomentare. E’ soprattutto con la forza della sua vita che la comunità cristiana si appresta a comunicare il grande annuncio che il Signore ha consegnato nelle sue fragili mani. “Costruire il Regno” è l’imperativo categorico dei nostri giorni. Guardando per questo anche al di là dei ristretti confini della chiesa, che non deve pensare solo ai suoi problemi interni, ma allargare lo sguardo sull’universo intero, per portare dovunque e sempre la sua parola e la sua opera di pace, di solidarietà, di fraternità, di salvezza. La lezione del concilio Vaticano II non è ancora arrivata a mutare gli atteggiamenti della comunità cristiana, ad accettare in pieno la lezione del suo Signore, a misurare le sue preoccupazioni sulle preoccupazioni del Regno. Ogni festa liturgica è un richiamo alle nostre responsabilità. La festa della fine porta con sé degli elementi nuovi. Noi siamo chiamati ad anticipare e preparare quanto è oggetto delle nostre attese e della nostre speranze. Due verbi che dicono la stessa cosa rafforzandosi a vicenda. L’anticipazione è già un contributo alla formazione della Gerusalemme celeste, perché, come ci insegna il concilio, tutti quei valori che avremo “diffusi sulla terra nello Spirito del Signore e secondo il suo precetto, li ritroveremo poi di nuovo, ma purificati da ogni macchia, illuminati e trasfigurati”. Un impegno che l’anno morente tramanda all’anno nuovo. Giordano Frosini