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Uguaglianza tradita La discussione del discusso tema dell’uguaglianza è agganciabile a diversi punti di partenza. Qui preferiamo riferirci a un testo classico del pensiero cristiano, reperibile nella Octogesima adveniens di Paolo VI, certamente uno dei documenti più belli dell’ultimo magistero sociale della chiesa. “Man mano che si sviluppano l’informazione e l’educazione”, afferma il documento, cresce anche una duplice aspirazione, quella dell’uguaglianza e quella della partecipazione, “due forme della dignità e della libertà dell’uomo”, strettamente e indissolubilmente unite fra di loro. Siamo alle stesse radici dell’antropologia cristiana, a cui fa da supporto una concezione laica dell’uomo, più volte messa in luce dai grandi pensatori degli ultimi secoli della nostra storia. Si pensi soltanto al trinomio della rivoluzione francese, normalmente considerata come il cambiamento più radicale a cui abbia assistito l’uomo dei tempi moderni. Nonostante le smentite della storia, Giovanni Paolo II ha potuto dire più volte che il suo trinomio programmatico (libertà, fraternità, uguaglianza) è un trinomio perfettamente cristiano. Sì perché, a conti fatti, anche l’illuminismo, nelle sue ispirazioni e aspirazioni profonde è un frutto maturo del cristianesimo, che soltanto per le esagerazioni interne e per lo sguardo corto dei cristiani del tempo, fu ritenuto estraneo, addirittura contrario, al messaggio evangelico. Se, dunque, di uguaglianza possono tranquillamente parlare anche i pensatori laici (ricordiamone uno fra tutti: Immanuel Kant), il cristiano non potrà di nuovo lasciarsi sfuggire di mano uno dei capisaldi più sicuri e più accattivanti del Vangelo che porta nelle sue mani. L’uguaglianza non era affatto di casa nelle concezioni pagane, nemmeno in quelle dei migliori pensatori dell’antica Grecia. Basti pensare al trattamento riservato agli schiavi e, in misura solo leggermente inferiore, alle donne. Le parole dell’apostolo Paolo, che concretizza e storicizza in una piccola formula il pensiero di Gesù, suonano per questo come un inno di liberazione nel contesto culturale del suo tempo: “Non c’è più né giudeo né greco, né schiavo né libero, né uomo né donna, ma tutti siete una cosa sola in Cristo Gesù”. Che ne abbiamo fatto di questo insegnamento? Dove è finita la fraternità, dove è stata sotterrata l’uguaglianza? Sotto l’influsso di concezioni non cristiane, da collocarsi decisamente all’esatto opposto del messaggio evangelico, la nostra società ha accumulato e sta accumulando tuttora, in misura crescente, differenze su differenze, ingiustizie su ingiustizie, offese sempre più profonde alla dignità dell’uomo. Naturalmente anche la libertà ne ha fatto le spese. Così il tempo della post-modernità è diventato anche il tempo del rinnegamento del passato. Ne sono vittime sia la fede che la ragione, perché, se una cosa è chiara nel contesto della rivoluzione francese, questa è certamente l’appello, perfino esagerato, alla ragione umana. Non per niente si eressero altari alla dea-ragione. Dunque una società, la nostra, non libera, non fraterna, non ugualitaria. Un notevole e un imperdonabile ritorno all’indietro, la negazione di una delle più grandi conquiste umane del nostro passato. Le cause di fondo rimangono l’individualismo, l’egoismo dei singoli dei gruppi e delle società, le concezioni che si rifanno a una libertà senza regole, il neo-liberismo che domina in lungo e largo il regno dell’economia e della finanza, il radicalismo inteso in tutti i suoi significati e in tutte le sue ramificazioni. Se, come abbiamo detto, l’uguaglianza è una delle grandi aspirazioni dell’umanità di sempre e in particolare dell’umanità di oggi, dobbiamo dire che noi stiamo camminando controcorrente, distanziandoci sempre di più dal modello di quella società giusta e rispettosa che l’uomo desidera nel profondo del suo animo. Ancora una denuncia che colloca la crisi al suo vero livello, che è quello etico e della moralità. Una crisi che si estende all’intero universo, oltre gli stretti confini dei singoli Stati. La globalizzazione non della solidarietà, come più volte è stato auspicato, ma dell’egoismo, dell’interesse personale, della ricerca spasmodica del profitto. Una società che marcia decisamente verso la sua autodistruzione. Un segno fra i più appariscenti di disordine e di peccato. Quando il popolo cristiano si renderà conto che questo stato di cose è assai più grave di tanti altri problemi per cui ci diamo molto da fare? Quello della solidarietà è oggi un terreno arido che attende la presenza dei politici cristiani. Qui si “parrà la loro nobilitade”. Ma chi ci ascolterà? Giordano Frosini


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