Divisioni nella chiesa Sono troppe e troppo pesanti. Non alludiamo a quella che contrappone le due parti approssimativamente qualificate di destra e di sinistra, fra le quali è ormai quasi impossibile dar vita a un dialogo, a un confronto sereno, a uno scambio normale di vedute, tanta è la convinzione reciproca di avere tutta la ragione dalla propria parte e di non avere nulla da cambiare nelle proprie posizioni. La regola normale è ormai lo scontro, il contrasto, la diatriba accesa e continuata. A queste condizioni, meglio non suscitare il vespaio. L’unica cosa da fare, almeno fino a quando non ci saranno significativi cambiamenti, è non chiedere a nessuno di cambiare posizione (cosa perfettamente impossibile), ma almeno di stare al proprio posto da cristiani. Non sarebbe affatto poco. Già, ma cosa significa esattamente essere presenti in politica da cristiani? Esiste però una divisione precedente, su cui dobbiamo richiamare l’attenzione di tutti. Perché sembra proprio che in certi ambienti, in alcune persone, non sia nemmeno lecito parlare di questioni sociali, politiche, storiche. Una chiesa abbastanza disorientata anche per il silenzio dei suoi dirigenti, mentre ripete in tutti i suoi documenti la condanna di questa posizione, in pratica tende a sopportare posizioni di questo genere, che ciascuno può qualificare negativamente come meglio gli aggrada. Non è in questione il primato dello spirituale, cioè della vita di grazia, della preghiera, della meditazione, della liturgia, nella vita dei singoli e della comunità. Su di esso il richiamo non è mai superfluo, tanto grande è la tentazione di battere vie diverse, sospinti anche dalle mode secolaristiche del tempo. Ricordiamo a questo proposito l’opera classica di Jacques Maritain (intitolata esattamente Primato dello spirituale, 1927), che pure figura come il più grande teorizzatore moderno dell’impegno cristiano nelle realtà temporali. Un’opera filosofica, come l’autore ammette fin dall’inizio, che però sottolinea quel profondo sovvertimento di valori, di cui anche il nostro tempo è insieme causa e vittima. Primato però non significa esclusività, dal momento che l’impegno terreno del cristiano rimane una precisa e ineludibile conseguenza della fede, chiaramente formulata anche nei testi evangelici. “Non chiunque dice Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio”: una frase che ogni cristiano conosce (o dovrebbe conoscere) molto bene. Un principio, questo, che, in perfetta concordanza con tutto l’insegnamento della chiesa, riafferma solennemente anche il documento pastorale del nostro decennio Educare alla vita buona del Vangelo: “Appare necessaria una seria formazione alla socialità e alla cittadinanza, mediante una larga diffusione dei principi della dottrina sociale della chiesa”. Cittadinanza significa né più né meno che politica, dal momento che il termine latino civitas ha lo stesso significato della parola greca polis, da cui deriva il concetto di politica. Tutta la storia è in favore di questa conclusione. Quindi è perfettamente fuori luogo la convinzione, magari soltanto implicita, che, concentrandosi sullo spirituale, si sia pienamente nella verità cristiana, magari guardando in cagnesco coloro che si ostinano a parlare di giustizia, di solidarietà, di condivisione, di pace, di fraternità universale, come se fossero negatori degli autentici valori cristiani. Con tutta la benevolenza possibile, posizioni di questo tipo non hanno diritto di cittadinanza nella chiesa. La religione del Verbo incarnato non può ammettere una fede disincarnata, senza conseguenze ben visibili all’interno della storia umana. Così, se si vuole educare cristianamente, bisognerà dar vita a percorsi catechistici e teologici capaci di portare alla coscienza di tutti l’intera verità evangelica. Ricordando ancora una volta che il pensiero sociale della chiesa raccoglie al suo interno tutto quello che la rivelazione biblica (primo e secondo Testamento) ha trasmesso all’umanità. Separare il Vangelo da questo insegnamento è semplicemente impossibile. Un impegno, oltre che necessario, anche urgente. I nostri fedeli della dottrina sociale non sanno niente e, purtroppo, anche per una debolezza della chiesa stessa, di essa non intendono nemmeno sentire parlare. Preferiscono altre parole, anche se chiaramente in contrasto con la propria fede. Un caso lampante di politica che giudica la fede, mentre per il credente dovrebbe essere esattamente il contrario. Intanto la voce dei cattolici si è notevolmente affievolita fino quasi a scomparire e la gerarchia ecclesiastica ha assunto da tempo un ruolo sostitutivo. Due errori in una sola volta. Da eliminare celermente. Giordano Frosini