Politici cristiani urgono La gravità della situazione del nostro paese è sotto gli occhi di tutti. Il nostro giudizio non è semplicemente politico, ma scende più a fondo: la crisi morale si va giorno per giorno aggravando, il processo di paganizzazione, da noi più volte denunciato, si va sempre di più approfondendo e ramificando. L’aver abbandonato il campo della vita sociale e politica ha portato a queste conseguenze. E’ necessario, è urgente un ritorno sui propri passi, un ripensamento serio dei nostri comportamenti, un cambiamento radicale delle nostre impostazioni pastorali. L’invito è rivolto a tutta la chiesa e il nostro non è certamente né il primo né il più allarmato. Se volessimo documentare queste nostre affermazioni, non avremmo che l’imbarazzo della scelta. Voci che provengono da ogni direzione, dal basso e dall’alto, dall’opinione pubblica più responsabile e da coloro che hanno la massima responsabilità nella guida della comunità cristiana. Più la situazione si aggrava e più rinasce in noi e si rafforza la nostalgia di un passato ormai lontano, quando i cristiani, formatisi allo splendido pensiero sociale della chiesa, presero parte attiva alla vita della nazione, con una testimonianza viva dei propri convincimenti cristiani, pur vissuti all’insegna della laicità, come poi ripeteranno gli insegnamenti del concilio Vaticano II. I tempi, per intendersi, di De Gasperi, di La Pira, di Dossetti e di tanti altri, che onorarono con la loro azione umile e silenziosa il nostro paese e, insieme, la loro comunità di appartenenza. Pagine gloriose, troppo presto dimenticate, per colpa di tutti, in particolare di alcuni personaggi ecclesiastici, che certamente la storia giudicherà con grande serietà e inesorabile severità. Gli ultimi decenni della nostra vita nazionale sono stati una continua marcia a ritroso rispetto agli anni del dopoguerra e della ricostruzione di un paese prostrato dalla più cocente sconfitta della nostra storia e ridotto in macerie tanto materiali che spirituali. Già i politici cristiani cominciarono troppo presto a dimenticare la propria ispirazione di fondo, laicizzandosi sempre di più e diventando, col passare del tempo, un partito di potere gestito in modo non molto dissimile da quello degli altri. Poi la messa in disparte di una formazione seria e capillare nel campo delle cosiddette realtà secolari, in particolare della politica. Il campo abbandonato a quell’uomo nemico di cui parla la parabola evangelica del grano e della zizzania. I frutti sono ben presto maturati nelle forme più disastrose, che ora chi non è proprio cieco non esita a vedere. E la cosa più grave è che moltissima parte del cosiddetto popolo cristiano ha abbracciato, forse a volte senza accorgersene, ideologie, programmi, manifesti che di cristiano avevano ben poco, se si eccettua il richiamo al voto dei cattolici quando si era in prossimità delle elezioni. E’ venuto meno il discernimento personale e quello comunitario, anche perché è mancata una guida sufficientemente chiara e decisa in un percorso che si è fatto sempre di più accidentato. Fino al punto che l’appartenenza politica è diventata il giudizio supremo del proprio comportamento, dimenticando in tal modo gli stessi principi basilari della propria fede. Il solito uso della fede “fai-da.te”. Il recentissimo documento della nostra Conferenza Episcopale, “Educare alla vita buona del Vangelo”, contiene richiami precisi e forti anche in questo senso. L’educazione sociale non è certamente tutto, ma è parte essenziale di una autentica formazione cristiana. Siamo sul piano delle conseguenze morali, che impegnano il cristiano con la stessa forza dei principi, dai quali esse provengono. Riflettano tutti seriamente sull’affermazione categorica di Giovanni Paolo II: “Il pensiero sociale della chiesa è parte imprescindibile della morale cristiana”. Si vuole forse dimenticare che questo pensiero nasce dalla sacra Scrittura, dai Padri della Chiesa, dalla grande teologia di sempre, aggiornato (non creato) dal recente magistero che va da Leone XIII fino ai nostri giorni. A scanso di equivoci, ci preme affermare che un politico non può essere considerato come cristiano se non fa propria tutta quanta la dottrina sociale della chiesa e vive in modo esemplare e irreprensibile la propria fede. A pari, un cristiano non può considerarsi tale se non accetta e pratica complessivamente questa stessa dottrina. Nei momenti estremi, è necessario tornare alla chiarezza dei concetti. E’ finito il tempo delle approssimazioni e delle facili battute. Giordano Frosini