SANTA MESSA CRISMALE
Omelia Cattedrale di Teggiano 31 marzo 2021
Carissimi, la nostra Settimana Santa resta ancora sotto l’ombra di una terribile pandemia che ha provocato morti, lutti, perdita di posti di lavoro, e il triste ma inevitabile distanziamento.
È giusto evitare assembramenti, ma dovremmo approntare dei rimedi perché rimanga chiaro che questo oggettivo estraniarsi dei nostri corpi divenga una parentesi infelice, anche se obbligatoria, della nostra storia. Qualcosa da non ripetere più.
È stato possibile rendere le nostre relazioni 'ossute' più che magre, grazie a un uso imponente degli smartphone, quante ferite sono emerse e quante altre restano ancora nascosta ma non per questo meno pericolose e letali. Consolidiamo la nostra consapevolezza vocazionale sacerdotale per esser i cirenei della gioia e della speranza.
« Lo spirito del Signore Dio è su di me, … mi ha consacrato con l’unzione; mi ha mandato … ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, … per consolare tutti gli afflitti, per dare … una corona invece della cenere, olio di letizia invece dell’abito da lutto, veste di lode invece di uno spirito mesto.
Voi sarete chiamati sacerdoti del Signore, ministri del nostro Dio sarete detti».
Ecco il manifesto della carità sovrumana, divina, con la quale Dio ci viene incontro!
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Con questa profezia messianica del profeta Isaia, che annuncia tempi nuovi, mi piace entrare nella riflessione in questa solenne liturgia della messa Crismale. Queste parole del Profeta mi hanno rinviato al percorso dei nostri orientamenti pastorali in questo tempo di crisi: celebrare la carità. In queste parole è racchiuso anche il mistero della nostra storia sacerdotale. Con questo sguardo viviamo la fedeltà alla nostra azione pastorale. Una concretezza che si rifà costantemente al Trascendete. A ciò che Dio ha fatto per ciascuno di noi. Il triennio sulla carità è sorretto dal riferimento biblico che abbiamo scelto all’interno del Cap. 10 del Vangelo di Luca il racconto del samaritano. Volti, gesti, parole, ruoli e compiti, tutta viene filtrato attraverso il racconto del Samaritano. Parola antica e sempre nuova. Fiumi d’inchiostro sono stati versati a commento di una delle pagine più significative del Vangelo. Intere generazioni di santi e testimoni hanno colto l’intuito ispirato per fondare gruppi, movimenti, associazioni, congregazioni, per diffondere la via della santità. e papa Francesco ci ricorda che ”ha ancora molto da proporci”: Soprattutto alla nostra spiritualità di presbiteri e di annunciatori del vangelo della carità. Papa Benedetto attualizza e commenta la pagina del Samaritano e scrive: «Se la vittima dell’imboscata è per antonomasia l’immagine dell’umanità, allora il samaritano può solo essere l’immagine di Gesù Cristo, Dio stesso, che per noi è lo straniero e il lontano, si è incamminato per venire a prendersi cura della sua creatura ferita. Dio, il lontano, in Gesù Cristo si è fatto prossimo. Versa olio e vino sulle nostre ferite - un gesto in cui si è vista un’immagine del dono salvifico dei sacramenti - e ci conduce nella locanda, la Chiesa, in cui ci si fa curare e dona anche l’anticipo per il costo dell’assistenza» 1 .
La lettera Enciclica Fratelli tutti sviluppa un’ampia riflessione sul racconto lucano:
La parabola «è un testo che ci invita a far risorgere la nostra vocazione di cittadini del nostro Paese e del mondo intero, costruttori di un nuovo legame sociale. È un richiamo sempre nuovo, benché sia scritto come
1 BENEDETTO XVI, Gesù di Nazaret, Rizzoli, Milano 2007, 238.
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legge fondamentale del nostro essere: che la società si incammini verso il perseguimento del bene comune e, a partire da questa finalità, ricostruisca sempre nuovamente il suo ordine politico e sociale, il suo tessuto di relazioni, il suo progetto umano. Coi suoi gesti il buon samaritano ha mostrato che “l’esistenza di ciascuno di noi è legata a quella degli altri: la vita non è tempo che passa, ma tempo di incontro” » 2 . Enorme è la noncuranza dei sacerdoti; ancora più smisurata è la cura del samaritano verso il ferito che va ben oltre il primo soccorso: “chi è come lui che paga persino di persona quanto avrebbero potuto o dovuto compiere le istituzioni pubbliche sanitarie?” 3 . Pertanto, le azioni del samaritano sono descritte con particolare cura, in netto contrasto con il comportamento del sacerdote e del levita, attraverso quattordici verbi: oltre il verbo “vedere” in comune con il sacerdote e il levita: sette verbi quando incontra l'uomo moribondo e sette il giorno dopo prima di lasciarlo: 1. “ne ebbe compassione”, 2. “avvicinatosi”, 3. “gli fasciò le ferite”, 4. “versando sopra olio e vino”, 5. “caricatolo sul suo giumento”, 6. “lo portò in un luogo accogliente”, 7. “si prese cura di lui”; 1. “estrasse due denari”, 2. “li diede al locandiere”, 3. “disse”, 4.“abbi cura di lui”, 5. “quel che spenderai in più”, 6. “te lo restituirò”, 7. “quando ritornerò”.
Il Samaritano, attraverso numerosi gesti, quasi variabili delle opere di misericordia, si fa autenticamente prossimo dell’uomo sofferente, senza chiedersi chi sia o quanto meriti questo uomo da aiutare. Verbi di prossimità e compassione sapientemente commentati dal vescovo Tonino Bello
La prima espressione del Celebrare la carità per noi ministri è un dato cristologico che completa una visone filantropica e la eleva collocandoci nel cuore stesso della vita ecclesiale: che secondo il racconto di At 2,42 possiede «quattro caratteristiche essenziali della vita ecclesiale: l’ascolto dell’insegnamento degli apostoli, primo; secondo, la
2 FRANCESCO, Lettera enciclica Fratelli tutti (3 ottobre 2020), n. 66.
3 A. PITTA, Da Gerusalemme a Gerico, Convegno Unitario, Lecce 2004.
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custodia della comunione reciproca; terzo, la frazione del pane e, quarto, la preghiera. Esse ci ricordano che l’esistenza della Chiesa ha senso se resta saldamente unita a Cristo, cioè nella comunità, nella sua Parola, nell’Eucaristia e nella preghiera. È il modo di unirci, noi, a Cristo […]. La predicazione e la catechesi testimoniano le parole e i gesti del Maestro; la ricerca costante della comunione fraterna preserva da egoismi e particolarismi; la frazione del pane realizza il sacramento della presenza di Gesù in mezzo a noi: Lui non sarà mai assente, nell’Eucaristia è proprio Lui. Lui vive e cammina con noi. E infine la preghiera, che è lo spazio del dialogo con il Padre, mediante Cristo nello Spirito Santo. Tutto ciò che nella Chiesa cresce fuori da queste “coordinate”, è privo di fondamenta”. Le quattro coordinate della Chiesa, come si vede, si riducono, nelle parole del papa, a una sola: rimanere ancorata a Cristo» 4 .
Celebrare la carità per noi presbiteri non intendiamo misurare il grado di sensibilità sociale, umanitario, ambientale di ciascuno di noi e delle nostre comunità. Piuttosto rinvia ad un interrogativo di fede profondo, che riguarda non solo me, te, ma noi e le nostre comunità: Gesù chiede: «la gente chi dice che io sia?»; cosa gli hai detto di me? cosa gli ha fatto capire della mia persona?, che sentimenti hanno sviluppato ascoltandoti, frequentandoti?
Celebrando la carità si evangelizza perché si rimette al cuore di ogni motivazione Cristo stesso e il suo vangelo. «Per i cristiani, le parole di Gesù hanno anche un’altra dimensione, trascendente. Implicano il riconoscere Cristo stesso in ogni fratello abbandonato o escluso (cfr. Mt 25,40.45). In realtà, la fede colma di motivazioni inaudite il riconoscimento dell’altro, perché chi crede può arrivare a riconoscere che Dio ama ogni essere umano con un amore infinito e che «gli conferisce con ciò una dignità infinita» 5 .
Il tempo della pandemia ha scavato solchi profondi nella storia delle famiglie, delle comunità. La perdita di persone care, la prova della malattia, la crisi del lavoro, ma soprattutto l’impoverimento di speranza
4 R. CANTALAMESSA, seconda predica di Quaresima 2021
5 FRANCESCO, Lettera enciclica Fratelli tutti (3 ottobre 2020), n. 85.
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e di futuro. Eppure, questo è il tempo che dobbiamo abitare con consapevolezza e con vitalità. Un nuovo vocabolario di vita è nato in questo tempo. A nostre spese abbiamo ulteriormente compreso che «La speranza non è la stessa cosa dell’ottimismo. Non si tratta della convinzione che una certa cosa andrà a finire bene, ma della certezza che quella cosa ha un senso, indipendentemente da come andrà a finire» (Vaclav Havel). Sì, così possiamo celebrare la carità, aiutando a dare un senso, a imprimere una direzione, a innestare una marcia, a svelare una persona Gesù Cristo vero Dio e vero uomo. Il Risorto è il principio di vita nuova e piena, «È lecito chiedersi: la vita è piena quando tutte le circostanze sono favorevoli? La vita è bella solo quando non sperimentiamo l’asprezza del limite? Ecco dove si colloca la vitalità: è quell’energia calda e direzionata che ci fa sentire vivi anche quando la sofferenza prende la forma del morire. La vitalità ritrova in ogni situazione la via della pienezza della vita» (G. Salonia). Il Signore confermi nella bontà e nella bellezza della sequela i nostri cuori sacerdotali.
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Custodire il creato per dare speranza
Le recenti notizie di cronaca sul degrado ambientale e sociale legato al nostro territorio, lasciano sconcertati e ci spingono a un rinnovato appello etico.
Papa Francesco ci ricorda che “tutto è connesso!”. Non si tratta solo di una deriva ambientale: la rilevata difficoltà ad affrontare questa sfida ha a che fare con un deterioramento etico e culturale che accompagna il deterioramento ecologico (Cfr. Laudato si’, n. 162). Le informazioni che si stanno divulgando generano risentimenti e rabbia, soprattutto in quanti hanno avuto a che fare con gravi patologie ascrivibili anche all’impatto con un habitat alterato. Non riteniamo opportuno cedere a giudizi sommari o a silenzi d’occasione, difese già vinte dalla storia, ma vogliamo entrare con coraggio in un rinnovato e fattivo interesse per il Bene Comune della nostra Terra, accanto a chi esercita con laboriosità la responsabilità personale e sociale, generativa di futuro.
Ricordiamo l’appello della Conferenza Episcopale Campana di “estendere il monitoraggio sugli altri territori interessati all’inquinamento ambientale, sviluppando un sistema di sorveglianza epidemiologica” anche nel Territorio del Vallo di Diano; inoltre, “si realizzino gli interventi evidenziati dai risultati dell’indagine” che il Rapporto epidemiologico e sanitario commissionato dalla Procura della Repubblica di Napoli Nord in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità (10.2.2021) raccomanda, ovvero: “bloccare qualsiasi attività illecita e non controllata di smaltimento di rifiuti; bonificare i siti; incentivare un ciclo virtuoso della gestione dei rifiuti; attivare un piano di sorveglianza epidemiologica permanente per le popolazioni; sviluppare attività educative alla corresponsabilità”.
In una logica di alleanze e di corresponsabilità possiamo condividere processi decisionali per le opere che interessano il Bene Comune. Ci ricorda Papa Francesco: “La previsione dell’impatto ambientale delle iniziative imprenditoriali e dei progetti richiede processi politici
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trasparenti e sottoposti al dialogo, mentre la corruzione che nasconde il vero impatto ambientale di un progetto in cambio di favori spesso porta ad accordi ambigui che sfuggono al dovere di informare ed a un dibattito approfondito” (Laudato si’, n. 182).
Le sfide ambientali sono anche sfide sociali coraggiose e lungimiranti, che la nostra Terra può affrontare alleandosi in percorsi improntati alla lealtà, alla giustizia e alla solidarietà, come abbiamo già sperimentato in questo tempo di crisi pandemica. La vera prospettiva di ecologica integrale si trasforma sempre in sociale e chiede, dopo la condanna di determinati atti lesivi del Bene comune e della vita dei cittadini, una rinnovata presa in incarico della responsabilità di tutti. Esprimiamo vicinanza e sostegno alla continua opera delle forze dell’Ordine, delle Istituzioni Comprensoriali e Comunali che si costituiranno a difesa della nostra Terra, perché il Bene Comune abbia a vincere su logiche di profitto e sia assicurata a tutti i cittadini il diritto di vivere in una ambiente bello e armonico e, soprattutto, sia data ai giovani la possibilità di godere e vivere in questa Terra per costruire da protagonisti, secondo giustizia ed equità, la Casa, la Famiglia e il Futuro!
13 aprile 2021
+P. Antonio De Luca Vescovo di Teggiano-Policastro e i Sacerdoti della Diocesi
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Preghiera al Sacro Cuore di Gesù
Signore Gesù, immagine del Padre, che invii lo Spirito di verità, nel tuo Cuore troviamo la sorgente di ogni grazia a benedizione. Rendici attenti e generosi ai bisogni dell’umanità ferita, donaci carità per fasciare i cuori spezzati ed affranti. Il tuo amore ci spinga ad offrire la vita per averla in pienezza. Fa che impariamo dall’amore del tuo Cuore la responsabilità di amare senza giudicare, di accogliere senza riserve, di condividere senza trattenere nulla. Dal tuo sacrificio attingiamo la forza per testimoniare un amore più grande, che nasce da un cuore purificato e riconciliato. Effondi ancora sulla Chiesa il benefico e sublime fiume di grazia scaturito dal tuo Cuore trafitto sulla Croce. Insegnaci la mitezza e l’umiltà di cuore, come piena realizzazione della nostra esistenza, e permettici di conoscere il mistero insondabile del tuo amorosissimo Cuore. Amen.
11 giugno 2021
+ P. Antonio De Luca Vescovo di Teggiano-Policastro
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Preghiera per gli Anziani e i Nonni
O Trinità Santissima, dispiega la luce del futuro e l'anelito di speranza ai nostri anziani e nonni. Siano essi a sostenere i sogni del futuro e la memoria del passato. I loro volti e le loro mani, attraversati dai solchi profondi di esperienza e di gratitudine, possano ancora indicare, con sguardi faticosi e lungimiranti, mete inesplorate e ardite visioni di umanità. La sofferenza e la malattia non li renda né insensibili né sopravvissuti. Si sentano protagonisti e custodi del dono del consiglio. La loro faticosa esistenza li ha resi esperti di bontà e di bellezza, conoscitori di pericoli e di opportunità. La nostra premurosa custodia li aiuti a vivere nella fedeltà il tramonto delle opere e dei giorni. I bagliori del tramonto non li disorienti. I santi Gioacchino ed Anna, modelli di vita e testimoni di perseveranza, ispirino la missione e la gioia dei nostri anziani e nonni. I santi Angeli custodi proteggano tutti. Amen.
25 luglio 2021
+P. Antonio De Luca Vescovo di Teggiano-Policastro
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Messaggio per la memoria liturgica di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori in occasione del 150° anniversario della proclamazione a Dottore della Chiesa
Carissimi amici, fratelli e sorelle, ricorre quest’anno il 150° anniversario della proclamazione di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori Dottore della Chiesa. Nella memoria liturgica del Santo Dottore, vi scrivo per condividere alcuni tratti della figura di Sant’Alfonso, senza escludere, in breve, il contributo culturale ed ecclesiale che ha offerto, incidendo notevolmente sul dibattito teologico e morale del suo tempo. Visitando le comunità del nostro territorio diocesano riconosco i segni di una spiritualità frutto dell’evangelizzazione che i confratelli Redentoristi hanno lasciato, nel tempo, attraverso la predicazione e le missioni popolari. La diffusione capillare del culto a San Gerardo Maiella ha confermato l’idea alfonsiana di una santità ordinaria e alla portata di tutti. Molti di voi hanno incontrato la figura e l’opera di Sant’Alfonso de’ Liguori familiarizzando con la storia della teologia morale, ma i segni di una santità popolare si rintracciano nella consolidata forma di vita cristiana popolare che pone al centro l’Eucarestia, la devozione alla Madonna, il sacramento della riconciliazione e l’attenzione ai poveri, per vivere una reale Pratica di amare Gesù Cristo.
Patrono dei confessori e dei moralisti Papa Francesco, in occasione di questa data giubilare, ha voluto indirizzare un messaggio alla famiglia Redentorista: «A centocinquant’anni da questa gioiosa ricorrenza, il messaggio di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, patrono dei confessori e dei moralisti, e modello per tutta la Chiesa in uscita missionaria, indica ancora con vigore la strada maestra per avvicinare le coscienze al volto accogliente del Padre, perché “la salvezza che Dio ci offre è opera della sua misericordia” (EG 112). [...] La proposta teologica alfonsiana nasce dall’ascolto
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e dall’accoglienza della fragilità degli uomini e delle donne più abbandonati spiritualmente». Mi piace partire da un doveroso e filiale riconoscimento: Sant’Alfonso [è] il mio maestro di vita cristiana. Queste parole costituiscono anche il titolo di un testo del noto sacerdote lucano Giuseppe De Luca (18981962). Scrittore, sociologo, conoscitore profondo della storia religiosa del mezzogiorno, avendo approfondito l’opera alfonsiana ed essendo cresciuto all’ombra della tradizione spirituale dei missionari Redentoristi, il De Luca non esita a riconoscerne il benefico influsso e il notevole sostegno per la formazione della sua coscienza e della sua vita di fede.
Ripensa alle cosiddette Visite al Santissimo Sacramento, alla meditazione sulle massime eterne, ai canti della passione del Signore. È chiaro che non si tratta solamente di pratiche della vita cristiana, ma di una visione dell’esistenza improntata all’amore di Dio e dei fratelli. Una dinamica di sequela cristiana, che conferisce l’anima alle opere e ai giorni, anzi, traspare in ogni attimo attraverso parole e scelte che ogni battezzato è tenuto a vivere. In fondo è la dimensione della vita che si lascia ispirare e guidare costantemente dalla persona di Gesù Cristo, Figlio di Dio. Così, con gli scritti e con la vita, Sant’Alfonso diventa ancora oggi modello di impegno pastorale per chiunque vive intensamente la sfida dell’evangelizzazione e della misericordia che si fa carità.
Cambiamenti inediti Il gigantesco cambiamento d’epoca nel quale siamo immersi, non ci concede inappropriati raffronti, né meste nostalgie verso il passato, ma la santità e la sapienza pastorale del Santo napoletano donano un riferimento nella ricerca della verità e della bellezza della vita cristiana. Scrive ancora Papa Francesco: «L’annuncio del Vangelo in una società che cambia rapidamente richiede il coraggio dell’ascolto della realtà, per “educare le coscienze a pensare in maniera differente, in discontinuità con il passato”». Avverto come urgenti alcune attualissime istanze del pensiero alfon-
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siano. Il giovane avvocato napoletano, divenuto poi sacerdote, non resta circoscritto nell’ambito di una ricerca astratta ed intellettuale, ma si tuffa nella concretezza. Sarà proprio questo impegno a determinare il suo modo di pensare la teologia morale, come sottolinea Papa Francesco: «formatosi in una mentalità morale rigorista, si converte alla ‘benignità’ attraverso l’ascolto della realtà». Perciò collocherei tra le caratteristiche pastorali di Sant’Alfonso, quello che Papa Francesco chiama “l’odore delle pecore”.
Sant’Alfonso, con le missioni popolari e l’esercizio del ministero della riconciliazione, riesce a decodificare i bisogni intimi dell’animo umano, nel quale al primo posto si colloca la sete di Dio. Consapevole della fragilità e del peccato, non indulge a percorsi eccessivi o altisonanti né a incomprensibili chiusure. Egli propone la concretezza della sequela umile, che nella vita quotidiana si esprime con l’Uniformità alla volontà di Dio, con il gran mezzo della preghiera e soprattutto con la pratica di amare Gesù Cristo. Per Sant’Alfonso la Copiosa redemptio è il luogo nel quale l’uomo, collaboratore con il suo impegno della costruzione ed espansione del Regno, scopre e riscopre, in modo sempre nuovo ed inedito, la volontà del Padre, il quale “vuole che tutti gli uomini siano salvati ed arrivino alla piena conoscenza della Verità” (1Tim 2,4).
Custodire una visione
Sant’Alfonso parte da una visione inclusiva e ottimista: “Dio vuole tutti santi!”. Secoli dopo il Concilio Vaticano II ne fa un assunto che a noi oggi pare scontato, non allo stesso modo era nel secolo dei lumi. Di conseguenza Sant’Alfonso riafferma l’altissimo valore della coscienza e della libertà, pertanto la vita cristiana non può essere ridotta ad una pratica religiosa, né al rispetto scrupoloso di un codice di comportamento morale, ma la consapevole condizione di essere liberi e fedeli in Cristo.
Sant’Alfonso è Dottore della Chiesa per la sua proposta morale. In essa è innegabile che vi confluisce anche la sua formazione giuridica, pertanto da buon avvocato, anche a contatto con le anime ferite, non
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dimenticherà il ruolo di difesa, di corresponsabilità e di sostegno. Egli, pur apprezzando l’altissimo valore della legge, non trascura affatto il peccatore, a patto che questi sia disposto ad accogliere la grazia che salva.
Lavora per formare la coscienza, «il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità propria» (Gaudium et Spes, 16). I timori, i condizionamenti, il rigorismo, l’ossessione dei risultati e l’idolatria delle forme, sono ben lontane dalla proposta morale di Sant’Alfonso. Il Papa, riferendosi a Sant’Alfonso, scrive che «nelle dispute teologiche, preferendo la ragione all’autorità, non si ferma alla formulazione teorica dei princìpi, ma si lascia interpellare dalla vita stessa. Avvocato degli ultimi, dei fragili e degli scartati dalla società del suo tempo, difende il ‘diritto’ di tutti, specialmente dei più abbandonati e dei poveri, e di quanti sono “destituiti di ogni spirituale soccorso”. Questo percorso lo ha condotto alla scelta decisiva di porsi al servizio delle coscienze che cercano, pur tra mille difficoltà, di rispondere all’appello del bene da realizzare, perché fedeli alla chiamata di Dio alla santità».
Sant’Alfonso lotta contro gli eccessi di un rigorismo morale che si preoccupa di salvaguardare la libera iniziativa di Dio e oscura la dignità dell’uomo. E di contro anche l’antropocentrismo esagerato che conduce a ecclissare Dio fino ad eliminarlo. Un dibattito teologico e culturale che ha prodotto sterili polemiche, ma anche fruttuosi confronti. Sant’Alfonso de’ Liguori sa che non si può speculare sulla salvezza eterna, né è giusto lasciare le anime in un groviglio di incertezze e di confusioni, di conseguenza si muove sulla definizione di alcuni principi: innanzitutto il primato spetta sempre alla Grazia, inoltre Dio a nessuno fa mancare gli aiuti necessari per costruire giorno per giorno il progetto di vita in sintonia con la divina volontà. Non trascura poi di sottolineare l’importanza della libertà, non solo da ogni forma di costrizione, ma anche da ogni contingente necessità. E qui mi piace ricordare la raccomandazione che a noi pastori viene da Papa Francesco: «La libertà situata, reale, è limitata e condizionata.
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Non è una pura capacità di scegliere il bene con totale spontaneità. Non sempre si distingue adeguatamente tra atto “volontario” e atto “libero”», inclinazioni, abitudini, condizionamenti inducono talvolta a prendere una «decisione volontaria, ma non libera» (cfr. Amoris laetitia, 273).
Perciò la teologia morale non può riflettere solo sulla formulazione dei principi, delle norme, ma occorre che si faccia carico propositivamente della realtà che supera qualsiasi idea (cfr. Evangelii Gaudium, 231). Questa è una priorità (cfr. Evangelii Gaudium, 34-39) perché la sola conoscenza dei principi teoretici, come ci ricorda lo stesso sant’Alfonso, non basta per accompagnare e sostenere le coscienze nel discernimento del bene da compiere. È necessario che la conoscenza diventi pratica mediante l’ascolto e l’accoglienza degli ultimi, dei fragili e di chi è considerato scarto dalla società.
L’uomo è persona in Cristo Sant’Alfonso approda al suo sistema morale dopo aver attraversato le trame di un rigorismo di pensiero che sarà definitivamente smantellato dalla pratica apostolica, così scriverà: «In seguito però applicandomi all’apostolato delle missioni mi sono reso conto che la dottrina benigna era seguita da molti uomini di grande saggezza e probità». Non risponde a vero, né è appropriata, la classificazione di coloro che definiscono Sant’Alfonso autore di opere devozionali. Si sbagliano grandemente in quanto anche nelle opere spirituali a diffusione popolare, egli lascia trasparire il bisogno di formare la coscienza e di indirizzare tutti alla reale e possibile risposta. Tutto realizza con un intuito scientifico e profondo. Si tratta di una morale per i redenti, e la proposta etica qualifica e promuove la visione dell’uomo e lo rende persona in Cristo. D’altra parte, bene è stato scritto: “Nella storia della Chiesa, (Sant’Alfonso) è il napoletano d’intelligenza più vasta dopo il millecinquecento, come Tommaso d’Aquino dopo il mille”. La vita morale è vita di amore orientata alla bellezza della redenzione. Come pastore Sant’Alfonso avvertiva il peso e la responsabilità della gioia dei fedeli e del cammino di formazione che spetta a ciascuno.
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Scrisse un breve ma denso libretto dal titolo Riflessioni utili a’ Vescovi, del quale il suo biografo annota: “Avendola inviata a tutt’i vescovi italiani, [Alfonso] ne riscosse da tutti i più vivi ringraziamenti, e coi ringraziamenti taluni ci unirono ancora le proprie giustificazioni”.
Sottolineando le priorità dell’impegno pastorale, non esita a indicare la grave responsabilità: “bisogna persuadersi ogni vescovo, che in ricever la mitra si addossa gran pesi sulla coscienza”. Ed elenca sei priorità, le prime riguardano proprio la speciale cura per i pastori del popolo di Dio: il seminario e i futuri presbiteri; i sacerdoti e i parroci, … sono questi che formano la coscienza di una comunità e di ogni singola persona, soprattutto attraverso l’evangelizzazione e poi con il sacramento della riconciliazione.
Da vescovo, scrive ai sacerdoti della sua diocesi di Sant’Agata dei Goti, e non si stanca di ripetere: «Il confessore per ben esercitare il suo officio, non deve lasciare lo studio della Morale. Questa scienza non è così facile, come alcuni la credono: ella è molto difficile, ed è molto vasta per ragione delle innumerabili circostanze che possono occorrere in ogni caso di coscienza, e perciò collo studiare sempre s’imparano cose nuove».
Mi piace riproporre ciò che il citato intellettuale e colto prete lucano scrisse di Sant’Alfonso: «Lasciamo stare tutto codesto che si è detto, e quant’altro si potrebbe dire in gloria di sant’Alfonso, e ricordiamoci che ci ha lasciato, a noi preti, a noi fedeli alcuni tra i libri più cari dell’anima. Ha posto lui, senza parere, sulle labbra di tutti, anche degli analfabeti, le parole di Teresa d’Avila e Giovanni della Croce. Ha suggerito al popolo i termini più alti nelle formule più umili, gli affetti più estatici nei vocaboli più quotidiani. Ha creato, nei semplici un cuore di santi, e grandi santi». È la meta di ogni evangelizzazione: generare la santità.
Passato e presente
La memoria del passato non può sottrarsi all’attuale consapevolezza richiamata da Papa Francesco: «In questi ultimi tempi, le sfide che la società sta affrontando sono innumerevoli: la pandemia e il lavoro nel
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mondo del post-Covid, le cure da assicurare a tutti, la difesa della vita, gli input che ci vengono dall’intelligenza artificiale, la salvaguardia del creato, la minaccia antidemocratica e l’urgenza della fratellanza. Guai a noi se in tale impegno evangelizzatore, separassimo il “il grido dei poveri” dal “grido della terra”. Alfonso de’ Liguori, maestro e patrono dei confessori e dei moralisti, ha offerto risposte costruttive alle sfide della società del suo tempo, attraverso l’evangelizzazione popolare, indicando uno stile di teologia morale capace di tenere insieme l’esigenza del Vangelo e le fragilità umane». Il profilo ecclesiale e pastorale ha fatto affermare ad un noto teologo e vescovo: «Lo sguardo attento allo stile ecclesiale ed umano del santo Vescovo di Sant’Agata dei Goti aiuta sicuramente a interpretare meglio il presente, ma, soprattutto, offre spunti significativi ecclesiali per in-tuire opportune strade di valorizzazione di quelle notevoli possibilità, umane e spirituali, presenti ancora oggi e col volto di nuove fragilità nel tessuto di questa nostra complessa realtà… Le sue intuizioni ecclesiali e sociali, alla luce della ricezione del Concilio Vaticano II e nel riportare all’attualità tutta la sua inesausta fecondità, risultano come elementi di sicura progettualità per l’oggi» (cfr. AA.VV., Alfonso Maria de Liguori e il Concilio Vaticano II, attualità e intuizioni, Città Nuova). La gioia di poter condividere con voi queste riflessioni nel giorno della memoria liturgica del Santo Dottore, mi spinge ad un riferimento particolare alla spiritualità mariana di Sant’Alfonso, uomo di fede intimamente moderno. Nel noto commento alla Salve Regina, pubblicato con il titolo Le glorie di Maria, troviamo il filo rosso del messaggio alfonsiano: “Chi ricorre a Maria non si perde, si salva”. Perciò Le Glorie di Maria sono un’opera di fine teologia pastorale. Libro di fatti umani e spirituali di ogni colore, che attraversano anche l’impossibile, al fine di persuadere sull’unico motivo: Dio fa effettivamente grazia. Lo dimostra il rapporto con Maria, la quale agisce per conto di Dio. Un acuto conoscitore del pensiero di Sant’Alfonso scrive: «Le Glorie di Maria sono il libro più autobiografico che ci ha lasciato. Raccolgono tutte le incertezze le paure la fede e le speranze di Alfonso de Liguori». In esse troviamo non poco della nostra interiore inquietudine.
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Concludo invitandovi a pregare con l’antifona della Liturgia: Maestro della fede e luce della Chiesa, sant’Alfonso Maria de Liguori hai scrutato con amore il mistero di Dio: prega per noi Cristo Signore.
Saluto tutti e di cuore vi benedico.
Teggiano, 1° agosto 2021 +P. Antonio De Luca Vescovo di Teggiano-Policastro
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Preghiera a San Rocco
Santissima Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo, che hai offerto alla tu Chiesa la splendida testimonianza evangelica di san Rocco, vieni in nostro aiuto e dona ancora testimoni fedeli di percorsi di santità. Pellegrini e viandanti nel tempo, come san Rocco, vogliamo trovare in te la Via, la Verità e la Vita. Insegnaci a curare, con sentimenti di compassione, le piaghe dell’umanità sofferente, ferita dal peccato e dall’indifferenza verso i più deboli e indigenti. San Rocco ci ottenga, dal tuo amore misericordioso, tutto ciò che è necessario alla nostra salvezza per poter con lui, un giorno, lodarti e ringraziarti in eterno. Amen.
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+P. Antonio De Luca Vescovo di Teggiano-Policastro
Erano assidui nella comunione (At 2,42)
La “forma” della sinodalità: in ascolto.
Orientamenti pastorali 2021-2022 di una Chiesa in cammino sulla via della Koinonia e dell’ascolto per testimoniare la Carità
Premessa generale al percorso sinodale diocesano per il triennio 2021-2024
1. La comunità cristiana dalle origini ha vissuto nella costante tensione di tenere insieme i poli della realtà e della idealità. Il Libro degli Atti degli apostoli presenta diverse sfaccettature di questa tensione polare e propone a diversi livelli le molteplici dinamiche che riguardano la vita dei cristiani, dopo la Pentecoste. Che cosa in particolare l’autore di questo testo neotestamentario narra a proposito della comunità? Quale particolare sfumatura si può cogliere tra la narrazione dei fatti e il punto di arrivo intravisto? Come è organizzata la comunità originaria e quale è lo stile che indentifica i seguaci del Nazareno dagli altri Ebrei?
Nella sua forte ed espressiva forma ideale, il brano del libro degli Atti degli Apostoli pone la Chiesa ancora oggi sulla strada della comunione, essa stessa identificata nella preghiera e nella missione, perché non esiste comunità inviata nel nome del Signore senza la frazione del pane e la preghiera, la vita comune e la gestione delle cose e dei beni condivisi. «Erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere» (At 2,42). Questa potremmo dire è la forma, ovvero lo “stile” della sinodalità,
ORIENTAMENTI PASTORALI
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che è la struttura essenziale del cammino compiuto dalla comunità dal di dentro della sua realtà misterico-sacramentale e storico-sociale. Tale riconoscimento è possibile attraverso ogni forma di ascolto, e quindi di conoscenza, prima di tutto interpersonale tra i membri del popolo di Dio.
Per esercitare uno stile di dialogo, aperto e proiettato in modo significativo verso ogni esigenza e la valorizzazione della persona, occorre sperimentare occasioni di verità nella condivisione, senza la bramosia del possesso o della prevaricazione. Nel dialogo occorre ascoltare per riconoscere, secondo l’esperienza della prima comunità. Infatti, ciò è avvenuto perché la Chiesa nascente ha riconosciuto il Signore avendo fatto con Lui un tragitto. I viandanti di Emmaus ci indicano la strada dell’ascolto prima di manifestarsi discepoli e testimoni del Nazareno.
Ed ecco, in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio di nome Emmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo (At 24, 13-16).
Il cuore arde lungo il cammino per le parole da Lui dette, ma il loro cuore non è ancora ancorato a quel memoriale di comunione e di unità come dinamica della sinodalità. Solo quando Gesù spezza il pane, quei viandanti anonimi scoprono la loro identità e si riconoscono grazie all’Amore dato in dono. La comunità, in questo modo, riceve la forza per uscire dalle paure e si propone come luogo umano in cui la comunione di Dio e degli uomini è prefigurazione del Regno annunciato da Gesù.
La comunione, generata dalla conoscenza e dal dialogo, indica l’organizzazione della Chiesa sinodale perché l’esperienza della koinonia è vivere la sinodalità eucaristica, elemento speculare dell’esistenza ecclesiale nella forma sinodale. I viandanti si sentono sì pellegrini anoni-
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mi, ma sanno di essere cercatori del Signore non ancora riconosciuto in quell’anonimo compagno di viaggio. Dall’esperienza della condivisione di Emmaus e dal coraggio della Pentecoste la chiesa della paura e della timidezza, del tradimento e dell’isolamento, diventa la comunità dei credenti pronti a vivere e a testimoniare. Sulla strada per Emmaus, i fuggiaschi fanno esperienza dell’attesa e lo Spirito Santo solidifica la comunità, la chiama alla missione. Gli apostoli riescono a creare una comunione eucaristica intorno alla condivisione della Parola e testimoniano la resurrezione, forza della missione della Chiesa.
La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune. Con grande forza gli apostoli davano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù e tutti godevano di grande favore. Nessuno infatti tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano il ricavato di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; poi veniva distribuito a ciascuno secondo il suo bisogno (At 4, 32-35).
Con grande forza gli apostoli davano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù e tutti godevano di grande favore. Ecco qualificata la missione della prima comunità guidata dai diretti discepoli del Nazareno. Essi danno testimonianza sinodale della fede nel Risorto, dell’amore per ogni persona in qualsiasi stato si trovasse, di condivisione spirituale e materiale, di attesa operosa nella speranza del ritorno del Signore nella storia.
2. Il percorso sinodale, che la comunità diocesana di Teggiano-Policastro è invitata a iniziare, è strutturato in tre tappe. La nostra Chiesa locale, con tutte le comunità ecclesiali italiane, intraprende un cammino sinodale, voluto dai vescovi per intensificare la conversione pastorale della Chiesa italiana, chiesta insistentemente da papa
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Francesco. La proposta del Pontefice, infatti, riguarda l’invito di Dio a sperimentare la bellezza della comunione per procedere insieme sulla strada della fraternità e della condivisione. La sinodalità è audacia e la Chiesa non può temporeggiare oppure mostrare segni di chiusura, essere pavida e resistente ai cambiamenti. Il cammino sinodale è il modo nuovo di dire oggi che la Chiesa sa riformarsi sempre. Preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze. Non voglio una Chiesa preoccupata di essere il centro e che finisce rinchiusa in un groviglio di ossessioni e procedimenti 1 .
“Sinodalità” non è certamente una ricetta dai facili ingredienti, capaci di risolvere le criticità che attraversano tutte le comunità ecclesiali della nostra terra. Essa è piuttosto un processo da sempre e costantemente invocato, ma sovente disatteso, anche quando sono stati convocati sinodi e concili. Disatteso talvolta per la voglia di prendere decisioni. Invece, se si intende la sinodalità come processo significa porre l’attenzione sul confronto e la discussione, ovvero è uno stile di vita che ha come habitus il dialogo costante e permanente.
Parlare, dialogare, stare insieme sono solo alcuni verbi della più ampia grammatica di questo processo che vede nel popolo di Dio in cammino il reale soggetto. Infatti, il popolo che si ferma e diventa sedentario tradisce la vocazione originaria di conquistare tappe sempre più significative nella relazione con Dio e nella consapevolezza della sua rivelazione e dell’opera della redenzione.
La sfida resta quella di costruire percorsi che diano voce alle specificità delle comunità del Paese all’interno di un più ampio “Noi ecclesiale”. In quest’ottica, appare evidente che la sinodalità debba essere considerata non in prospettiva sociologica, ma nella sua dimensione spirituale: ancora prima delle scelte procedurali, essa ha
1 FRANCESCO, Esortazione apostolica sull’annuncio del vangelo nel mondo attuale Evangelii gaudium, 24 novembre 2013, n. 49.
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a che fare con la conversione ecclesiale, a cui richiama costantemente il Papa. È questo, dunque, l’orizzonte a cui tendere con coraggio, superando il rischio di astrazioni inconcludenti e frustranti, e impegnandosi perché la diversificazione del territorio italiano non ostacoli la possibilità di scelte condivise. Il percorso sinodale, del resto, si configura come un evento provvidenziale, in quanto risponde alla necessità odierna di dare vita ad una Chiesa più missionaria, capace di mettersi in ascolto delle domande e delle attese degli uomini e delle donne di oggi 2 .
Pertanto, non può esistere una Chiesa missionaria, che non sia una comunità in cammino con tutte le sue componenti e compagini. Non può esisteste una Chiesa del servizio, che non sia una comunità ministeriale in grado di rendere il rito vita e la vita il rito della gloria di Dio nei rapporti umani. Non può esistere una Chiesa di poveri senza una logica della sequela, che abbandoni strutture di possesso e di autoreferenzialità. Non può esistere una Chiesa di popolo se non eliminando qualsiasi scorie di clericalismo sia dai ministri ordinati, ma soprattutto dai laici bisognosi di adeguata formazione. Non può esiste una Chiesa evangelizzatrice se non vivendo dal di dentro la scoperta sempre verde del dono del kerygma trinitario di vita e di amore.
3. Anche per noi, carissimi e amati fratelli e sorelle, si apre l’occasione per rilanciare la stagione della missione nella chiave del cammino sinodale, convinti della necessità di questa possibilità offerta da Dio, affinché la missione di evangelizzazione prenda il largo più speditamente. Una nuova stagione in comunione con tutta la Chiesa universale, come si indica nel Documento preparatorio del Sinodo dei vescovi in vista della celebrazione del Sinodo, finalizzato alla discussione, al confronto e all’elaborazione del documento finale (2023) 3 .
2 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Comunicato finale, 74a Assemblea Generale della CEI, Annunciare il Vangelo in un tempo di rinascita. Per avviare un “cammino sinodale”, Roma, 24-27 maggio 2021, pp. 3-4.
3 Cfr. SINODO DEI VESCOVI, Documento preparatorio Per una Chiesa sinodale:
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Un tale percorso non inizia improvvisamente nella nostra chiesa, perché in questi anni, senza l’ossessione dei risultati, abbiamo sperimentato la bellezza del lavoro pastorale, che ha visto la partecipazione attraverso varie modalità di coinvolgimento nelle fasi della progettazione e in quelle della riflessione e dell’azione. Abbiamo consolidato la condivisione degli obiettivi pastorali e delle finalità comuni da realizzare, quando ci siamo dati dei tempi di realizzazione e quindi ci siamo fermati per una verifica del cammino fatto.
In quest’ultimo decennio, la Chiesa di Teggiano-Policastro ha fatto una chiara scelta programmatica: vivere secondo le virtù teologali (fede, speranza, carità). La struttura delle tematiche proposte e poi vissute sul piano della condivisione ecclesiale a più livelli sono state così proposte in vista di una più ampia articolazione in ottica sinodale concernente l’ambito testimoniale della Carità: l’educazione alla Fede (2012-2015); l’educazione alla Speranza (2015-2018); l’educazione alla Carità (2018-2021).
La prospettiva pastorale scelta è essenziale: quella di annunciare, celebrare, testimoniare le virtù teologali. In termini specifici, si tratta della prospettiva dell’incarnazione, dal momento che il progetto sceglie di leggere e di vivere le istanze della fede, della speranza e dell’amore nella logica educativa, in coerenza con gli orientamenti decennali 2010-2020 della Conferenza Episcopale Italiana dedicati al tema: Educare alla vita buona del Vangelo. L’articolazione programmatica è stata posta precisamente su tre livelli, strettamente interrelati e congiunti: la porta della Parola, la vita liturgica, la coerenza testimoniale.
Forti di questa esperienza progettuale, ora ci attende una sfida, ma anche una consapevolezza: essere Chiesa significa vivere la sinodalità come comunione relazionale (anno pastorale 2021-2022) nella forma comunione, partecipazione, missione, Roma 2021. Si trova qui l’elaborazione grafica dello schema proposto per il cammino, pubblicato nel Documento preparatorio a p. 1.
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sostanziale dell’ascolto delle nostre comunità, coltivando un atteggiamento relazionale sempre in dialogo (anno pastorale 2022-2023) e a livello organizzativo, preferendo uno stile prossimale e di responsabilità (anno pastorale 2023-2024), che si fa azione nella preghiera e preghiera nell’azione per il presente e il futuro della nostra Chiesa diocesana, intenta a ripensare alle forme dell’annuncio e della formazione alla vita cristiana. In modo specifico, la Chiesa di Teggiano-Policastro guarderà con attenzione privilegiata, attraverso le varie iniziative dei vari lavori sinodali, ai nuclei tematici, come suggeriti dal Documento preparatorio del Sinodo dei Vescovi in questa articolazione:
1.I compagni di viaggio;
2.Ascoltare; 3.Prendere la parola;
4.Celebrare;
5.Corresponsabili della missione; 6.Dialogare nella Chiesa e nella società;
7.Con le altre confessioni cristiane; 8.Autorità e partecipazione; 9.Discernere e decidere; 10.Formarsi alla sinodalità 4 .
La tappa che ci attende, dopo i tre momenti dell’ascolto, del dialogo, dell’azione orante, riguarderà un anno dedicato alla riconciliazione e al confronto con il Giubileo universale del 2025 come orizzonte. Esso prenderà le mosse già nella nostra realtà diocesana con un impegno sin da subito a costruire sentieri percorribili di sinodalità a cominciare dal rinnovato slancio di annuncio per concentrare e intensificare l’interesse su famiglia, cultura, fragilità, cittadinanza. Un’esperienza fortemente ancorata alle fasi progettuali finora vissute, soprattutto guardando e consolidando gli aspetti essenziali della fede, della speranza e della carità. L’evento giubilare deve guardare alla viva realtà, occasione di discernimento e di rinnovamento dei settori della pastorale ordinaria, irrorata e riformata dalla sinodalità come
4 Ivi, n. 30 (pp. 19-21).
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forma/stile, dinamica/processo e organizzazione della nostra Chiesa di Teggiano-Policastro.
Il cammino sinodale vede coinvolti tutti a diversi livelli e secondo le varie responsabilità. Diamo inizio, nel segno della comunione trinitaria, al nostro percorso con la prima tappa puntando l’attenzione sul senso della comunione che è dialogo.
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Introduzione
Da dove ha origine la sinodalità?
Nella lunga storia della Chiesa, si registrano numerosi eventi conciliari/sinodali che hanno vitalizzato e vivacizzato la vita delle comunità e hanno chiarito non solo aspetti di ordine dottrinale o dogmatico, ma anche situazioni e problemi concernenti la sua missione nel mondo. L’essere e l’operare della Chiesa ha origine nella comunione trinitaria.
La genesi della sua identità consiste proprio nella chiamata alla comunione. Cristo, Verbo di Dio incarnato per amore, è nel mondo la manifestazione della Trinità, famiglia divina. Nella costituzione dogmatica sulla divina rivelazione, Dei Verbum (n. 2), il concilio Vaticano II esprime la prossimità comunionale della Trinità con parole molto significative poiché la ri-velazione dell’essenza di Dio è presentata proprio come relazione e comunicazione.
Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelarsi in persona e manifestare il mistero della sua volontà (cfr. Ef 1,9), mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, hanno accesso al Padre nello Spirito Santo e sono resi partecipi della divina natura (cfr. Ef 2,18; 2Pt 1,4). Con questa Rivelazione, infatti, Dio invisibile (cfr. Col 1,15; 1Tm 1,17) nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici (cfr. Es 33,11; Gv 15,14-15) e si intrattiene con essi (cfr. Bar 3,38), per invitarli e ammetterli alla comunione con sé. Questa economia della Rivelazione comprende eventi e parole intimamente connessi, in modo che le opere, compiute da Dio nella storia della salvezza, manifestano e rafforzano la dottrina e le realtà significate dalle parole, mentre le parole proclamano le opere e illustrano il mistero in esse contenuto. La profonda verità, poi, che questa Rivelazione manifesta su Dio e sulla salvezza degli uomini, risplende per noi in Cristo, il quale è insieme il mediatore e la pienezza di tutta intera la Rivelazione.
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In questo documento conciliare si sottolinea il piacere di Dio di intrattenersi con le persone umane per mostrare loro come entrare a far parte della novità rivelata: Dio che è comunione e relazione. La famiglia trinitaria è l’essenza della com-unione sinodale della Chiesa e non esiste comunità senza udire e vivere la parola di amore delle Tre Persone. Intanto, non esiste unione se non nell’armonia delle differenze, le quali si esprimono nella logica sinodale come sinfonia dello Spirito Santo, fonte del vero dialogo, che anima il confronto e la vita fraterna. Armonia, sottolinea papa Francesco, come dono dell’azione del Paraclito, che sfugge ad ogni azione tendente alla sintesi, perché essa sacrifica in nome dell’essenziale. Il vero spirito sinodale, invece, chiede il dono della lettura e dell’interpretazione dei segni dei tempi, senza coltivare la smania di giungere a compromessi. Vivere la sinodalità significa quindi lasciare stare le differenze nella Chiesa, le quali diversità sono fonte di novità e di continua rigenerazione nella missione ecclesiale.
In questo modo, una comunità ecclesiale che sa ascoltare è in grado di vivere prima di tutto nella dimensione dell’alterità per un una vera apertura all’altro. Infatti, «l’ascolto del popolo di Dio si offre perciò come il primo momento del processo sinodale. La ragione di tale ascolto sta nel fatto che tutti nel popolo di Dio hanno ricevuto lo Spirito, e perciò tutti sono costituiti profeti, in quanto “hanno ricevuto l’unzione del Santo e hanno la conoscenza” (cfr. Gv 2, 20)» 5. La parola dell’altro, alimentata dalla forza propositiva e profetica del Paraclito, ha sempre un volto e l’ascolto diventa relazione quando come comunità sappiamo strutturare relazioni significative in grado di mettere al centro la parola dialogica, sempre aperta al confronto e alla discussione conviviale. Tale è lo stile del battezzato: come discepolo di Cristo sa di essere sempre in suo ascolto, Parola fatta carne. Tale ascolto è l’esercizio che la Chiesa compie in rapporto alla comunione trinitaria e si fa storia sul piano della fattualità ecclesiale
5 D. VITALI, Sensus fidei, dono della dignità battesimale per edificare una Chiesa sinodale, in ARCIDIOCESI DI MILANO, La sinodalità nella Chiesa. Un approccio multidisciplinare, Centro Ambrosiano, Milano 2018, 148.
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quando spezza questa Parola e la sa ascoltare e leggere nelle dinamiche delle parole umane.
La comunione è l’origine e la destinazione della sequela sinodale. Essa si esprime nel bisogno costante del racconto e della narrazione, come lo stesso Nazareno ha fatto quando ha chiamato i suoi e con loro si è intrattenuto. Gesù ci invita a cogliere e a vivere la dinamica dell’Amore divino nelle complesse dinamiche umane, a partire dai contesti prossimi della socialità e della cultura. Egli, infatti, incarnandosi assume tutto della carne umana, anche le forme storiche e culturali, il linguaggio e le usanze, le modalità relazionali e cultuali. Assumendo dal di dentro queste realtà, le rinnova e le eleva. Perfino i frutti e il lavoro dell’uomo diventano pegni di eternità. Egli si fa corpo e sangue nel pane e nel vino per assimilare ancora una volta l’umanità e lasciare che l’umanità sia elevata alla dignità divina.
La Pasqua rinnovata da Gesù con la “cena del congedo” è la conferma della modalità dialogica del Dio fatto carne. Egli manifesta perfino il desiderio di stare a tavola con i “suoi amici” per mangiare con loro e a loro lascia il dono di se stesso. Come succede tutto questo? Nella richiesta di trovare un posto per mangiare la Pasqua, c’è la volontà del Signore di “stare insieme”, egli Parola eterna di Dio (Logos) è espressione di relazione nella Trinità. Manifesta tale legame nell’incarnazione che è il continuo rapporto come le persone umane, ovvero relazione di amore: accoglie, condivide, propone, spiega e incita alla missione (dia-Logos). Logos e dia-logos sono termini specifici della narrazione biblica e pongono davanti a noi la grande realtà della comunione intratrinitaria, della quale la Chiesa deve oggi maggiormente essere riflesso e fedele interprete dell’Amore che è Parola eterna. La fede nasce ex auditu, nasce dalla Parola ascoltata ed accolta. Pertanto, si fa sinodalità quando le comunità sono in grado di lasciarsi inondare dall’ascolto della Parola fatta carne e dalle parole umane per un’accoglienza reale e relazionale degli uni con e per gli altri. In questa logica dell’ascolto non può mancare una grammatica dell’accoglienza, capace di tessere la difficile relazione umana grazie all’ascolto dello Spirito Santo che parla alla Chiesa.
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La fede nasce dall’ascolto e la comunità vive la comunione nell’ascolto come bisogno primario di relazione e di continua evangelizzazione. Una dinamica che apre alla necessità di testimoniare l’ascolto come essenza e forma relationis della chiesa.
Gli apostoli con le primitive comunità cristiane, spinti da un’esigenza sempre più vitale della vita comune, dello spezzare del pane e della testimonianza dell’amore fraterno, vivono una tensione sempre più palese verso la realizzazione di una idealità di amore, che continua ancora oggi nelle comunità cristiane. Esse sono ora inviate, grazie soprattutto alle continue sollecitazioni di papa Francesco, ad una nuova ripartenza, sono chiamate cioè ad entrare in un reale processo di ascolto-dialogo-organizzazione all’insegna della sequela sinodale, secondo gli insegnamenti di Cristo e la prassi della Chiesa primitiva.
Dall’esperienza primordiale della comunità dei discepoli, la Chiesa conosce la meta e l’origine del suo costituirsi assemblea sinodale. È questo il cammino che bisogna riprendere, secondo le indicazioni del Papa, perché «il cammino della sinodalità è il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio» 6. Proprio a partire dalle notevoli sollecitazioni magisteriali di Francesco, anche la Commissione Teologica Internazionale ha prodotto un articolato documento dal titolo La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa. Tra gli altri aspetti indagati e le chiarificazioni proposte, il testo propone alcune differenze sul piano organizzativo-ecclesiale tra i concetti di sinodo, concilio, sinodalità, mentre su quello ecclesiologico sofferma l’attenzione su comunione, sinodalità, collegialità. L’intento di questi Orientamenti è di dirigere la riflessione soprattutto sulla comunione ecclesiale, dono della koinonia trinitaria 7. Facciamo tesoro dell’indicazione del documento della Commissione Teologica Internazionale, soprattutto quando propone una chiarificazione come di seguito si legge.
6 FRANCESCO, Discorso in occasione della Commemorazione del 50° anniversario dell’Istituzione del Sinodo dei Vescovi, 17 ottobre 2015.
7 Cfr. A. CLEMENZIA, La sinodalità come espressione della koinonia trinitaria, in F. ASTIE. CIBELLI (a cura di), La sinodalità al tempo di Papa Francesco, 2. Una chiave di lettura sistematica e pastorale, EDB, Bologna 2020, pp. 23-44.
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Nella letteratura teologica, canonistica e pastorale degli ultimi decenni si è profilato l’uso di un sostantivo di nuovo conio, “sinodalità”, correlato all’aggettivo “sinodale”, entrambi derivati dalla parola “sinodo”. Si parla così della sinodalità come “dimensione costitutiva” della Chiesa e tout court di “Chiesa sinodale”. Questa novità di linguaggio, che chiede un’attenta messa a punto teologica, attesta un’acquisizione che viene maturando nella coscienza ecclesiale a partire dal Magistero del Vaticano II e dall’esperienza vissuta, nelle Chiese locali e nella Chiesa universale, dall’ultimo Concilio sino a oggi 8 .
8 COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa. Commento a più voci a cura di P. Coda-R. Repole, Presentazione di G. Bassetti, EDB, Bologna 2019, pp. 117-171, qui n. 5, p. 119.
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1.
La Chiesa nasce dall’ascolto Quale finalità al nostro percorso sinodale?
Il libro neotestamentario chiamato Atti degli Apostoli presenta il senso della Parola spezzata nelle parole umane, nel confronto e nella ricerca di autentiche relazioni. «Erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere» (At 2,42). La comunità originaria intanto persevera, ritornando volentieri all’ascolto della parola degli Apostoli. Tale dimensione è condizione della com-unione.
La narrazione dell’esperienza di condivisione originaria si palesa non in un atto ritualistico, ma nella quotidianità della condivisione del pane e nelle stesse preghiere, rendimento di grazie a Dio per il dono della Parola di Amore, incarnata nella carne umana.
Il nuovo popolo di Dio in cammino sulla via che è Cristo
Le parole ascolto-annuncio mostrano il senso di un processo sempre meglio articolato nelle diverse e variegate modalità comunicative e organizzative delle persone in riferimento alla loro singolarità e alle diverse strutture e organizzazioni umane. La narrazione degli Atti degli Apostoli è l’icona biblica più significativa di un processo tutt’ora in atto, anzi un cammino ripreso con maggiore consapevolezza, soprattutto per la novità con la quale il nuovo popolo di Dio, che è la Chiesa, vive nella costante tensione del già e non ancora della propria piena realizzazione 9 .
Un cammino è fatto di tappe da raggiungere, da mete conquistate, ma anche di stanchezza, di errori e talvolta anche di con-versione, ovvero cambio strada, anche se il Vangelo preferisce meta-noia. In greco
9 Cfr. J. RATZINGER, Il nuovo popolo di Dio. Questioni ecclesiologiche, Queriniana, Brescia 1971.
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significa cambiare mente (nous), occorre modificare quindi il modo di pensare, la disposizione interiore, o meglio il proprio atteggiamento relazionale. Esiste una strettissima ed intima relazione tra pensiero e vita. Per questo motivo Luca nel libro degli Atti propone un modo di vivere della comunità narrato con alcune essenziali forme ed espressioni della novità portata dalla buona notizia che è Gesù Cristo, Parola eterna, Vangelo di relazione. Papa Francesco insegna che:
camminare insieme è la via costitutiva della Chiesa; la cifra che ci permette di interpretare la realtà con gli occhi e il cuore di Dio; la condizione per seguire il Signore Gesù ed essere servi della vita in questo tempo ferito. Respiro e passo sinodale rivelano ciò che siamo e il dinamismo di comunione che anima le nostre decisioni. Solo in questo orizzonte possiamo rinnovare davvero la nostra pastorale e adeguarla alla missione della Chiesa nel mondo di oggi; solo così possiamo affrontare la complessità di questo tempo, riconoscenti per il percorso compiuto e decisi a continuarlo con parresia 10 .
Dovremmo costantemente esercitarci a pensare al prototipo della vita della comunità antica, la cui organizzazione è appena delineata da Luca, non solo in quanto realtà, ma anche come una continua meta da raggiungere. Questo esercizio ci libera dal possesso di una semplice nozione per ridestare un processo, quello del cammino, immagine e sostanza della logica biblica, sia dell’Antico come del Nuovo Testamento. «Il popolo di Dio come soggetto collettivo che manifesta in modi diversi il contenuto della fede è il medesimo che si mostra capace di camminare insieme, e di attuare questo cammino in forme diverse, a partire dall’ascolto dello Spirito che lo guida e lo conduce alla verità tutta intera (cfr. Gv 16, 13)» 11. La comunione, generata dalla
10 FRANCESCO, Saluto all’apertura dei lavori della 70ma Assemblea generale della Conferenza Episcopale Italiana, Roma 22 maggio 2017.
11 D. VITALI, «Un popolo in cammino verso Dio». La sinodalità in Evangelii gaudium, San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 2018, p. 63.
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dinamica relazionale e appena descritta dal passo di Atti, diventa esercizio continuo di ascolto attento e profondo, affinché le comunità possano riconoscere la presenza del Signore che accompagna la vita e l’essere dei battezzati nella storia, chiamati “sale e luce” della Terra.
La strada per raggiungere Emmaus rappresenta il percorso che ogni comunità è chiamata a fare se ha come obiettivo la com-unione. Tuttavia, non esiste una comunione statica, data una volta per tutte. Stare nella comunione è fare comune unione, ovvero progredire nelle vie dell’ascolto, dell’accoglienza, del confronto.
Alla descrizione reale-ideale della comunità primitiva, presentata dal testo lucano, è possibile correlare l’icona della strada, come Gesù ha fatto, in base alla narrazione giovannea. Strada in greco è hodós, diremmo met-odo. Cristo si presenta lui stesso quale via da percorrere, criterio da adottare, contenuto da metabolizzare. Una tale prospettiva fortemente biblica deve ancorare i tentativi della Chiesa oggi al percorso sinodale, affinché si sperimenti nella realtà la tensione alla vita comune come aspetto strettamente connesso con la sinodalità, quale processo sempre in divenire.
La chiamata alla discepolanza include quella della missionarietà, altrimenti la Chiesa potrebbe atrofizzarsi, perdere perfino il senso della sua presenza nel mondo. Papa Francesco, coerentemente con la prospettiva del Vangelo, ricorda questa vocazione originaria della comunità ecclesiale. Uscita è la parola d’ordine che indica prima di tutto una liberazione dagli schematismi e delle comodità di maniera di una “chiesa da salotto”. Il Vangelo, buona notizia dell’Amore di Dio, non può essere trattenuto, deve uscire, come fece Maria dopo l’annunciazione, gravida della Parola di Dio incarnata in lei: esce e, attraversando la regione montuosa, si reca dalla cugina Elisabetta (cfr. Lc 1, 39-59). Questo annuncio è il modello di ogni primo annuncio, di ogni prassi di evangelizzazione che voglia comunicare la bella notizia.
La gioia del Vangelo che riempie la vita della comunità dei discepoli è una gioia missionaria. La sperimentano i settantadue discepoli, che tornano dalla missione pieni di gioia (cfr. Lc 10,17). La
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vive Gesù, che esulta di gioia nello Spirito Santo e loda il Padre perché la sua rivelazione raggiunge i poveri e i più piccoli (cfr. Lc 10,21). La sentono pieni di ammirazione i primi che si convertono nell’ascoltare la predicazione degli Apostoli «ciascuno nella propria lingua» (At 2,6) a Pentecoste. Questa gioia è un segno che il Vangelo è stato annunciato e sta dando frutto. Ma ha sempre la dinamica dell’esodo e del dono, dell’uscire da sé, del camminare e del seminare sempre di nuovo, sempre oltre. Il Signore dice: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!» (Mc 1,38). Quando la semente è stata seminata in un luogo, non si trattiene più là per spiegare meglio o per fare segni ulteriori, bensì lo Spirito lo conduce a partire verso altri villaggi 12 .
La logica che Gesù propone ai suoi discepoli prima di ogni azione di uscita, quindi di evangelizzazione, è quella dell’ascolto intenso e partecipato: egli ascolta dal Padre e ciò che ode è egli stesso Parola eterna di Amore nell’armonia del Paraclito, mandato affinché arrivassimo alla verità tutta intera. La fede si radica nell’ascolto, ma diventa Parola di annuncio, è kerygma. La Parola ascoltata e annunciata è la Parola celebrata e spezzata, perché la prima e originaria sinodalità si vive grazie alla chiamata al rendimento di grazie nell’assemblea liturgica, convocata come nuovo popolo di Dio.
Un ascolto efficace per un cammino fruttuoso
Il metodo consiste nell’udire durante il cammino. Riascoltare l’esperienza dei cosiddetti “discepoli di Emmaus” ci consentirà una riscoperta dell’esperienza dell’ascolto, unita al processo del cammino, anche quando questo è impervio, oppure indeciso, o ancora claudicante per motivi legati ad un certo disorientamento esistenziale, come era accaduto in quei giorni ai discepoli. Il testo lucano non lascia
12 FRANCESCO, Evangelii gaudium, n. 21.
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addito al dubbio. La narrazione degli eventi che caratterizzano il primo giorno dopo il sabato si arricchisce di elementi esperienziali sulla resurrezione del Nazareno, come riferisce il testo di Lc 24:
13 Ed ecco, in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, 14 e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. 15 Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. 16 Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo. 17 Ed egli disse loro: “Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?”. Si fermarono, col volto triste; 18 uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: “Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?”. 19 Domandò loro: “Che cosa?”. Gli risposero: “Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; 20 come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso. 21 Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. 22 Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba 23 e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. 24 Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto”.
Si nota chiaramente una dialettica narrativa orientata a far emergere la modalità relazionale dei discepoli, i quali, il giorno dopo il sabato, sono in cammino per raggiungere una meta: un villaggio di nome Emmaus, distante da Gerusalemme circa 11 km (Lc 24, 13). La conversazione caratterizza il camminamento di questi due discepoli, increduli e impauriti, forse anche delusi perché i loro occhi sono chiusi e non riescono a riconoscere il Signore risorto, che commina perfino con
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loro, mentre dialogano e discutono insieme (tra loro) 13. I loro occhi di carne sono ancora incapaci di vedere.
I discepoli si limitano a guardare quella persona “sconosciuta” che li accompagna. E Gesù si inserisce nei loro discorsi e insieme a loro dialoga e percorre in loro compagnia la via: «da notare la forma “autòs ‘Iêsous”: Gesù stesso si accompagna ai due» 14. La loro attenzione è ferma su una falsa preoccupazione, ovvero il sepolcro vuoto è stato profanato, il corpo del Maestro rubato. La loro attesa è ormai giunta al capolinea: cercano il corpo morto, cercano tra i morti il Vivente. Non si sono accorti che «Gesù si mette a camminare insieme a loro (synporéuo)» 15 .
I discepoli si limitano ad una narrazione ferma appunto ad una dimensione fattuale della vita e delle opere di Gesù. Discutono, infatti, lungo la via e quel confronto rende nuovamente presente il Risorto ai loro occhi. Tuttavia, non sono affatto in grado di fare il successivo passo. Non riescono a scrutare dentro gli eventi, mentre Gesù insegna loro un processo che abbiamo imparato a chiamare discernimento. Il dialogo, l’interlocuzione, la spiegazione diventano gli elementi essenziali della “manifestazione” di Gesù a questi discepoli smarriti.
La loro ricerca è in questa direzione “inautentica”, perché la conversazione e il confronto hanno già qualcosa di concluso: il loro discorso è ormai arrivato al capolinea, nel frattempo continuano a camminare insieme. Se discorrono e dialogano lo fanno con uno spirito che Gesù stesso disapprova, perché è amorfo e stanco, già ha ceduto alla sconfitta. Camminare insieme (da notare il verbo synporéuo) comporta anche questo rischio insidioso, purtroppo sempre presente nella comunità cristiana, quando i battezzati non sono capaci di ritornare alla fonte della loro unità, ovvero alla diversità e alla ricchezza delle posizioni.
13 Cfr. ASSOCIAZIONE BIBLICA DELLA SVIZZERA ITALIANA (ABSI), Luca. Nuova traduzione ecumenica commentata, Prefazione di A. Graffy, Edizioni Terra Santa, Milano 2018, p. 343.
14 Ivi.
15 Vangelo secondo Luca, Traduzione e commento di R. Virgili, in I Vangeli, a cura di R. Virgili, Àncora, Milano 2015, p. 1242.
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L’esperienza dei primi discepoli può aiutarci a comprendere meglio la necessità di riprendere il cammino sinodale a comunicare dall’ascolto, come Papa Francesco suggerisce:
Una Chiesa sinodale è una Chiesa dell’ascolto, nella consapevolezza che ascoltare “è più che sentire. È un ascolto reciproco in cui ciascuno ha qualcosa da imparare. Popolo fedele, Collegio episcopale, Vescovo di Roma: l’uno in ascolto degli altri; e tutti in ascolto dello Spirito Santo, lo “Spirito della verità” (Gv 14,17), per conoscere ciò che Egli “dice alle Chiese” (Ap 2,7) 16 .
Lo Spirito della verità che Gesù ha promesso suscita unità, non uniformità. È la grande tappa indicata da Gesù nella sua preghiera al Padre: che tutti siamo uno, ma come un corpo in grado di essere armonioso nella diversità delle parti e delle articolazioni. Corpo e popolo sono immagini che rappresentano la modalità complessa di essere Chiesa perché, nell’armonia delle diversità, la comunità ecclesiale continua ad essere come i discepoli diretti verso Emmaus: insieme sulla stessa strada accompagnati dal Signore e da lui sorretti per arrivare alla meta, chiamati a tessere esperienze significative di condivisione e di accettazione.
Il riconoscimento del Risorto nel dialogo
Il percorso fatto dai discepoli, incapaci, come sottolinea il Maestro, «di capire il rapporto tra la sofferenza (páthein) e la gloria (dóxa)» 17 , insieme con Gesù si caratterizza dalla narrazione dei fatti, ma impone anche un invito ad andare oltre i fatti, o meglio a leggere in modo contestuale dentro l’esperienza con occhi in grado di accogliere una novità alla quale bisogna giungere congiuntamente, perché ci troviamo tutti
16 FRANCESCO, Discorso in occasione della commemorazione del 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo dei Vescovi, 17 ottobre 2015.
17 Vangelo secondo Luca, Traduzione e commento di R. Virgili, cit., p. 1244.
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sulla stessa strada, o sulla stessa barca. Metodo e contenuto si identificano nella persona del Nazareno, che però non si sottrae neanche agli occhi fisici. E benché entri nella storia personale e sociale, i “due” come tanti non vedono. I loro occhi sono incapaci di riconoscere la verità fatta carne.
Gesù lungo la via non ancora è riconosciuto, proprio perché i discepoli hanno gli «occhi appesantiti (ekratoûnto)» 18 . Egli deve richiamare la loro attenzione sul senso dei fatti, leggibile nella Scrittura, affinché possano intendere gli eventi appena vissuti, visti non come occasione di disperazione, ma come kairòs, momento propizio di salvezza. Il dialogo dei discepoli, incamminati verso Emmaus, insegna a tutti i seguaci di Gesù che un dialogo finalizzato solo alla speculazione è cieco; un confronto con lo scopo di giungere ad affermare alcune posizioni sulle altre è sordo; un viaggio percorso insieme senza reale conoscenza è una relazione muta. Gesù insegna lo stile della sinodalità proposto oggi alla Chiesa come cammino di consapevolezza e di autenticità 19 .
Dialogo, confronto, cammino hanno significato se lui “spiega” quando accogliamo la “sua presenza in mezzo a noi”. Il capitolo 24 del Vangelo secondo Luca sottolinea questo aspetto:
25 Disse loro: “Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! 26 Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?”. 27 E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui.
Gesù spiega affinché i discepoli possano comprendere il senso, ovvero la verità dei fatti. Il termine “verità”, intesa come a-letheia, disvelamento, è attribuito da Giovanni a Gesù come manifestazione della sua divinità. Questo termine, insieme a via e vita, ci offre l’opportunità
18
ABSI, Luca. Nuova traduzione ecumenica commentata, cit., p. 343.
19 Cfr. M. CZERNY, Verso una chiesa sinodale, in La Civiltà Cattolica 172 (2021) I, pp. 3-15.
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di passare la porta intravista da Osea e ci mette nella condizione di vivere il nostro vagare per il mondo, come un pellegrinaggio nella storia verso una meta. In questa manifestazione c’è la Pasqua del Signore, ovvero il vero passaggio alla novità dei figli di Dio. La comunicazione della vita di Dio e l’immissione della vita terrena nella gloria della comunione trinitaria sono l’espressione più sconvolgente della incarnazione del Verbo di Dio 20 .
Questa manifestazione, o meglio rivelazione, è essa stessa logica della sinodalità perché presenta la forma sostanziale delle relazioni divine e umane. Infatti, Dio è relazione (tre persone un solo Dio) e come inter-relazione eterna ama nella piena libertà e nella libertà delle creature attende di essere riconosciuto. In tale dinamica di ascolto-manifestazione, Dio si fa presente come vita e la vita è relazione. I discepoli stentano a riconoscere, anzi pur guardando non vedono la realtà anche quando Gesù propone la nuova vita del Regno con segni, miracoli e parabole. Alla presenza del Risorto i discepoli ancora sono increduli e alla vista della bellezza della Vita, manifestata nella gloria del suo corpo, hanno bisogno di “rimettersi in cammino”.
Il Cenacolo è il luogo dell’attesa e del confronto, ma rappresenta anche la certezza della separazione dal pericolo, quasi isolati dal mondo esterno, nel frattempo, sono in attesa che la promessa del Signore si realizzi. Il Paraclito dà la forza della missione. Tutti parlano le lingue e riescono ad esprimere forza e coraggio, testimoniano quindi con le parole, la Parola udita, ascoltata dallo Spirito Santo (cf. At 2, 1-11).
Intanto, nel Cenacolo i discepoli avranno avuto occasione di confrontarsi, di narrare le proprie sensazioni, proporre eventuali ipotesi di uscita. Il Cenacolo però rappresenta pure l’insidioso pericolo della chiusura, della protezione. Mentre lo Spirito Santo indica la via dell’uscita, insieme sulle strade del mondo per annunciare Gesù Cristo, incarnazione della Parola eterna di Dio per la redenzione delle creature umane e la riconciliazione del creato. I discepoli “della via” 21 ,
20 Vangelo secondo Luca, Traduzione e commento di R. Virgili, pp. 1244-1245.
21 Cfr. SINODO DEI VESCOVI, Documento preparatorio Per una Chiesa sinodale:
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invece, sono claudicanti, stentano a fare un discernimento sulla realtà. Per questo motivo, il Risorto è riconosciuto in un gesto memorabile, ovvero è confessato Signore allo spezzare del pane 22. Con queste parole, Luca prosegue il racconto:
28Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. 29Ma essi insistettero: “Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto”. Egli entrò per rimanere con loro. 30Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. 31Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista.
Ancora una volta Gesù sconvolge le aspettative, le rinnova dal di dentro. I discepoli gli offrono un “giaciglio”, un posto sicuro per la notte e Lui risponde con il memoriale consegnato durante l’ultima cena. Sparendo dalla loro vista li obbliga ad uscire insieme per annunciare.
comunione, partecipazione, missione, n. 10. 22 È significativo il momento conviviale messo a fuoco da Luca, quando il testo dice che Gesù entrò per rimanere con loro. Questa espressione indica una modalità consueta di comportarsi di Gesù: equivale a stare «a tavola con essi». Richiamare questa consuetudine «nel dopo-Pasqua, è quanto Egli ha già fatto con i Dodici all’ultima Cena, nel “prima di Pasqua”. Continuità storica: dal pre-al post-pasquale, reciproca appartenenza» (ABSI, Luca. Nuova traduzione ecumenica commentata, cit., pp. 346-347).
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Indicazioni operative per le comunità/1
DARE FORMA ALLA SINODALITÀ L’ascolto
Punto di riferimento
Dal Documento preparatorio, Per una Chiesa sinodale, n. 10: «La sinodalità in questa prospettiva è ben più che la celebrazione di incontri ecclesiali e assemblee di Vescovi, o una questione di semplice amministrazione interna alla Chiesa; essa “indica lo specifico modus vivendi et operandi della Chiesa Popolo di Dio che manifesta e realizza in concreto il suo essere comunione nel camminare insieme, nel radunarsi in assemblea e nel partecipare attivamente di tutti i suoi membri alla sua missione evangelizzatrice”. Si intrecciano così quelli che il titolo del Sinodo propone come assi portanti di una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione».
Obiettivo
La Chiesa di Teggiano-Policastro vuole orientare il cammino sinodale riscoprendo il senso della sinodalità attraverso l’esercizio concreto del dialogo, ma esso è realizzabile se si parte prima dall’ascolto. Ogni vocazione alla vita cristiana, ciascuna comunità, ogni missione è frutto dell’auditus Verbi e del riconoscimento dell’opera di Dio nella storia. Il fondamentale e permanete stato di ascolto è la comunione eucaristica. L’eucaristia è meta e fonte della vita individuale e comunitaria. Per questo motivo deve essere maggiormente partecipata la messa domenicale. Un obiettivo da perseguire, soprattutto in questo momento di profonda crisi e forte disorientamento, dovuti alla pandemia da Covid-19, attraverso opportune iniziative di animazione degli operatori
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pastorali sinodali, formati per assistere, sostenere, facilitare il primo momento del percorso sinodale dedicato all’ascolto. Tale prospettiva collaborativa è realizzabile nella luce del Vangelo, grazie al riconoscimento del Signore tra di noi nelle varie forme sacramentali, esistenziali e del creato.
Impegni
Le comunità sono impegnate all’approfondimento della celebrazione dell’eucaristia come quel momento del riconoscimento del Signore nel suo corpo e nel suo sangue sotto le specie eucaristiche. Non c’è Chiesa senza eucaristia. Da questa centralità, i battezzati con l’aiuto degli operatori pastorali sinodali sono invitati a leggere gli aspetti essenziali di questi Orientamenti per riscoprire il senso della sinodalità a partire dalla convocazione liturgica. Dire sinodo vuol dire Chiesa, diceva san Girolamo. E vivere in sinodo significa essere convocati alla mensa della Parola e del pane eucaristico per camminare insieme.
Ogni comunità allora:
riscopre il senso della convocazione eucaristica dando spazio ad iniziative di formazione liturgica orientando gli obiettivi sulla III edizione in italiano del Messale romano;
punta sulla partecipazione attiva e consapevole alla liturgia della Chiesa come modello di sinodalità, ovvero armonia e convivio ad una sola mensa con tutte le diversità;
sostiene gli operatori pastorali ad alimentare una spiritualità eucaristica come spirito vero della sinodalità, facilitando le competenze e il coinvolgimento della coppia genitoriale e più ampiamente della famiglia per un fruttuoso cammino mistagogico dei battezzati ammessi al cammino per la partecipazione alla prima eucaristia.
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Primo appuntamento, dopo la consultazione e il confronto del Consiglio presbiterale con il Vescovo, è rappresentato dall’incontro sinodale, fissato nel mese di ottobre, in occasione della presentazione degli Orientamenti con il Clero diocesano. Scopo dell’evento è percorrere il filo rosso del documento per leggerne le scelte nel più ampio panorama delle opzioni a livello nazionale e universale. Si porrà l’attenzione sullo stile e sul metodo del cammino sinodale, che devono portare le nostre comunità a vivere secondo uno stile di comunione. Anche le criticità e le insidie saranno vagliate per aiutare tutti e ciascuno a vivere una “forma” condivisa di coerenza e di sequela alla scuola della sinodalità.
Inoltre, in linea con la lettura generale presentata al presbiterio diocesano, si proporrà ai gruppi e ai movimenti, alle comunità parrocchiali, ai catechisti e agli altri operatori pastorali le scelte di fondo contenute negli Orientamenti con una particolare attenzione al coinvolgimento di tutto il popolo di Dio nel cammino sinodale. Forme concrete di incontro e scambio di esperienze rappresentano l’aspetto più significativo per rendere reale l’esperienza della fraternità e della comunione ecclesiale, in modo che il “cammino” possa essere strutturato in “tappe” e in verifiche. A tale scopo gli operatori specializzati aiuteranno e animeranno i laboratori sinodali.
Contestualmente, quindi, si darà corso alla formazione degli operatoti pastorali sinodali con la promozione di specifiche forme di laboratori formativi, attivati in diocesi anche con la consulenza di esperti in modalità mista (in presenze e a distanza) per facilitare la partecipazione alla vita sinodale con l’acquisizione di specifiche competenze soprattutto di ordine metodologico, che in questo caso significa competenze relazionali. Tali competenze devono servire alle comunità orientate a vivere la sinodalità come stile di vita e per farlo questi
Agenda
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operatori saranno adeguatamente formati per essere a loro volta formatori di operatori sinodali parrocchiali.
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2.
L’ascolto fa la com-unione Quale metodo per il discernimento sinodale?
Il Maestro scompare dalla vista umana e storica dei discepoli di Emmaus. Tale evento non li turba, ma crea nuove condizioni di analisi e di riflessione. Il congedo, quasi brutale, se non traumatico, porta i discepoli ad interrogarsi insieme sull’esperienza vissuta, quindi a cercare di realizzare una visione globale quanto mai realistica rispetto all’evento e al processo relazionale, vissuti lungo la via con una persona inizialmente ritenuta “sconosciuta”.
Stare insieme per meglio comprendere ciò che il Signore ha spiegato, vuol dire andare al senso più profondo dello stile sinodale della comunità ecclesiale. Lo stile, infatti, non può che essere l’ascolto e nel dialogo è possibile scrutare la verità come dis-velamento. Il dialogo è pertanto il metodo del discernimento in vista di una crescita comune.
L’eucaristia fa la Chiesa
Lo stile sinodale ha come fonte sorgiva l’ascolto della Parola di Dio, la condivisione dello stesso pane eucaristico, il dialogo e il confronto fraterni. Ancora una volta è il Vangelo secondo Luca, al capitolo 24, a fornirci le coordinate di fondo.
32Ed essi dissero l’un l'altro: “Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?”. 33Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, 34i quali dicevano: “Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!”. 35Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane. La Chiesa, nuovo popolo, è in cammino come Israele, ma aperta al
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compimento della promessa escatologica finale in attesa del ritorno di Cristo nella storia 23. I «discepoli della via» (cfr. At 9,2) rappresentano per l’autore del libro degli Atti degli Apostoli questa nuova comunità, raccolta proprio sul ciglio della strada, assemblea convocata nel Tempio di carne dei luoghi umani, discepoli scelti tra varie categorie sociali e radunati intorno alla persona del Nazareno in segno di forte vincolo relazione e non di una qualsiasi scuola di pensiero.
Sul ciglio della strada, Gesù il Risorto parla e spiega, poi si manifesta affinché venga riconosciuto in modo inequivocabile. Qui i discepoli ricordano il comune discernimento, o più chiaramente fanno memoria delle Parole del Signore, riconosciuto nell’atto di spezzare il pane. La Parola fatta carne è ora frumento di salvezza, pane disceso dal cielo. L’atto di spezzare il pane con la preghiera di benedizione rappresenta il momento del dis-velamento che aiuta i discepoli ad entrare in modo definitivo nella logica completamente rinnovata della salvezza, aperta da Israele a tutte le donne e a tutti gli uomini.
In questo nodo di grande significato per la comunità cristiana è possibile scoprire la densa carica di significato, ovvero l’essenza eucaristica della sinodalità. «Quello che accade in un sinodo, sia pure piccolo, quando viene celebrato non solo legittimamente ma nella disposizione corretta degli animi, non è molto diverso da quello che accade nella celebrazione eucaristica: la presenza del Cristo mediante lo Spirito, che unisce gli animi nell’unico sentire (cfr. Fil 2, 1-5) che fu in Gesù Messia» 24. Infatti, nella convocazione della nuova assemblea liturgica della Alleanza di Cristo risiede la novità per eccellenza del nuovo popolo di Dio, che continua a camminare insieme. Stabilmente accompagnato e attraversato dalla Parola annunciata, spezzata e celebrata si nutre del cibo incorrotto del pane e del vino, donati da Cristo come vero suo corpo e vero suo sangue 25 .
Solo l’eucaristia fa la Chiesa e la sua celebrazione alimenta la
23
Cfr. J. RATZINGER (BENEDETTO XVI), La Chiesa. Una comunità sempre in cammino, San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 2008.
24 G. RUGGIERO, Chiesa sinodale, Laterza, Roma-Bari 2017, p. IX.
25 Cfr. BENEDETTO XVI, Esortazione apostolica postsinodale sull’eucaristia fonte e culmine della vita e della missione della chiesa Sacramentum Caritatis 22 febbraio 2007.
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comunione, vera logica del processo sinodale. Comunione significa relazione e Cristo ha insegnato il valore eccezionale della con-vocazione ai momenti conviviali in segno di profonda condivisione umana sia sul piano personale sia su quello comunitario. Dalla comunione e dalla condivisione scaturisce, come si evince dal brano di Lc 24, 3334, il senso stesso dell’esistenza della Chiesa come comunità eucaristica. La missione di annunciare la gioia per aver visto il Risorto e di confermare nella fede i propri discepoli.
Resurrezione è la manifestazione della realtà nuova della fede del popolo di Israele ormai chiamato ad annunciare al mondo intero la novità della riconciliazione di Amore realizzata dal Verbo con la sua incarnazione. Pentecoste poi rappresenta il momento pienamente realizzato della missione affidata da Cristo nel momento della sua piena manifestazione, quando con la sua stessa esistenza nel mondo consegna il kerygma trinitario ai discepoli, secondo la narrazione del Vangelo secondo Mattero al capitolo 28.
16 Gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro fissato. 17 Quando lo videro, gli si prostrarono innanzi; alcuni però dubitavano. 18 E Gesù, avvicinatosi, disse loro: «Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. 19 Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, 20 insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».
Dalla Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo, comunione eterna di Amore, ha origine la condivisione eucaristica e quindi il percorso sinodale che ha come obiettivo la koinonia nelle comunità particolari e tra tutte le comunità a livello universale. L’eucaristia, manifestazione del permanere in mezzo a noi del Cristo risorto, accompagna gli sforzi umani di unità e di condivisione in questa riconquistata logica di un cammino condiviso, alla luce della Parola di Dio e della Trazione della Chiesa.
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La Chiesa è sinodalità eucaristica
La via di Emmaus è ancora oggi il criterio per vivere nella realtà ecclesiale le diverse dinamiche socio-comportamentali che caratterizzano i rapporti umani, ma alla luce della novità relazionale manifestata dall’incarnazione del Verbo, Lui relazione eterna con il Padre e lo Spirito Santo. È questa una delle più belle interpretazioni della parola persona all’interno del complesso panorama teologico trinitario e cristologico 26 .
Essere persona significa ambire alla relazione, ovvero all’uscita da se stessi, senza cedere alla tentazione di snaturare la propria identità. È questa la relazione divino-umana che Cristo ha realizzato. È questa la modalità del processo sinodale che chiede di attraversare e valorizzare le differenze, assumendole in una logica di armonia e non di alternativa.
Su quella via verso Emmaus si ritrova ancora oggi la Chiesa. E qui, su questa strada, occorre ritessere le relazioni sinodali, come il concilio Vaticano II ha inaugurato, grazie alla novità dell’ecclesiologia di comunione.
La dimensione eucaristia e la sinodalità sono in strettissimo rapporto, o meglio, dice san Giovanni Crisostomo, il nome sinodo sta per Chiesa. L’essenza della comunione ecclesiale sta nella tensione ad essere un solo corpo (1Cor 10,17). Un corpo non staticamente inteso, ma dinamicamente orientato a vivere la complessità del popolo pellegrinante.
Questo mette in luce il duplice aspetto della sinodalità, il “convenire” (liturgico) e il “camminare” (evangelizzante). Il primo dice il rapporto della Chiesa con la liturgia eucaristica, sorgente della communio. Il secondo la modalità evangelica e fraterna con cui la communio si attua nel “camminare insieme”. Potemmo dirlo in forma semplice: la comunione senza la sinodalità resta un cuore senza un
26
Per questo pensiero si veda l’ormai classico studio di A. MILANO, Persona in teologia. Alle origini del significato di persona nel cristianesimo antico, EDB, Bologna 2017.
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volto; e viceversa: una sinodalità senza Spirito può ridursi a una forma di retorico populismo 27 .
Tra l’ideale universale e quello della realtà particolare c’è appunto la sinodalità, sempre meglio vista come per-corso, tensione, via di comunione. A ben vedere, proprio la comunione delle Chiese è l’aspetto più rilevante di questa dinamica all’interno dei documenti conciliari 28 . Tuttavia, non può esserci dinamica di comunione svincolata da una prospettiva di fraternità, originata dalla comunione eucaristica. L’ideale della prossimità si rende palese ed esplicito quando il sensus fidelium è l’anima del popolo di Dio, come ampiamente esposto e spiegato dalla Lumen gentium 29 . Il concetto di salvezza è esso stesso relazionato al senso della relazione costituita a sua volta dalla dinamica
27 F. G. BRAMBILLA, Introduzione alla Carta di intenti per il “Cammino sinodale”, 74a Assemblea Generale della CEI, Annunciare il Vangelo in un tempo di rinascita. Per avviare un “cammino sinodale”, Roma, 24-27 maggio 2021, p. 5.
28 Cfr. CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Costituzione dogmatica sulla Chiesa, Lumen gentium, 21 novembre 1964, n. 23: «L’unità collegiale appare anche nelle mutue relazioni dei singoli vescovi con Chiese particolari e con la Chiesa universale. Il romano Pontefice, quale successore di Pietro, è il perpetuo e visibile principio e fondamento dell'unità sia dei vescovi sia della moltitudine dei fedeli. I singoli vescovi, invece, sono il visibile principio e fondamento di unità nelle loro Chiese particolari queste sono formate ad immagine della Chiesa universale, ed è in esse e a partire da esse che esiste la Chiesa cattolica una e unica. Perciò i singoli vescovi rappresentano la propria Chiesa, e tutti insieme col Papa rappresentano la Chiesa universale in un vincolo di pace, di amore e di unità. I singoli vescovi, che sono preposti a Chiese particolari, esercitano il loro pastorale governo sopra la porzione del popolo di Dio che è stata loro affidata, non sopra le altre Chiese né sopra la Chiesa universale. Ma in quanto membri del collegio episcopale e legittimi successori degli apostoli, per istituzione e precetto di Cristo sono tenuti ad avere per tutta la Chiesa una sollecitudine che, sebbene non sia esercitata con atti di giurisdizione, contribuisce sommamente al bene della Chiesa universale. Tutti i vescovi, infatti, devono promuovere e difendere l’unità della fede e la disciplina comune all’insieme della Chiesa, formare i fedeli all'amore per tutto il corpo mistico di Cristo, specialmente delle membra povere, sofferenti e di quelle che sono perseguitate a causa della giustizia (cfr. Mt 5,10), e infine promuovere ogni attività comune alla Chiesa, specialmente nel procurare che la fede cresca e sorga per tutti gli uomini la luce della piena verità. Del resto, è certo che, reggendo bene la propria Chiesa come una porzione della Chiesa universale, contribuiscono essi stessi efficacemente al bene di tutto il corpo mistico, che è pure il corpo delle Chiese».
29 CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Costituzione dogmatica sulla Chiesa, Lumen gentium, Capitolo II.
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della prospettiva biblico-ecclesiologica di popolo di Dio. Infatti, sottolineano i padri conciliari:
in ogni tempo e in ogni nazione è accetto a Dio chiunque lo teme e opera la giustizia (cfr. At 10,35). Tuttavia, Dio volle santificare e salvare gli uomini non individualmente e senza alcun legame tra loro, ma volle costituire di loro un popolo, che lo riconoscesse secondo la verità e lo servisse nella santità 30 .
La finalità della rivelazione dell’Amore trinitario consiste proprio nella santificazione come è stata incarnata dal Verbo di Dio: grazie all’ascolto è possibile comunicare, altrimenti si rischia di imporre non di proporre. La Seconda Persona della Trinità è Parola perché è ascolto, essenzialmente rivolta verso il Padre dal quale origina l’essenza dell’Amore, lo Spirito Santo Dio. La relazione di unità, la cui anima è la comunione, non è affatto un’astrazione. Nel linguaggio neotestamentario è amicizia. Gesù, nelle parole dell’autore del Quarto Vangelo al capitolo 15, propone questa chiara e significativa dichiarazione:
12 Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi. 13 Nessuno ha amore più grande di quello di dare la sua vita per i suoi amici. 14 Voi siete miei amici, se fate le cose che io vi comando. 15 Io non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo signore; ma vi ho chiamati amici, perché vi ho fatto conoscere tutte le cose che ho udite dal Padre mio. 16 Non siete voi che avete scelto me, ma sono io che ho scelto voi, e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; affinché tutto quello che chiederete al Padre, nel mio nome, egli ve lo dia. 17 Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri. 30 Ivi, n. 9.
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Il popolo di Dio è costituito Nazione dell’Amore, i cui cittadini sono amici, tali per l’ascolto del Verbo, luogo umano dove la santificazione è la realtà sacramentalmente vissuta nel vincolo della fraternità e della prossimità, come i vari modelli teologici di questi ultimi decenni hanno evidenziato sul piano dell’impegno storico e sociale della Chiesa 31 .
La dimensione sacramentale dell’esistenza cristiana vincola ciascun membro del popolo di Dio alla cooperazione e alla corresponsabilità, come il concilio Vaticano II ha ribadito, sottolineando il ruolo essenziale dei laici nella vita e nella missione della Chiesa, avendo come centro propulsore e struttura fondamentale la logica eucaristica. In questa prospettiva, la Chiesa si fa pane per gli affamati, sale e luce per la terra, sostegno per chi non ha alimento spirituale. La sinodalità eucaristica rappresenta il punto ideale della vita e della missione ecclesiali e contemporaneamente l’aspetto reale delle relazioni in rapporto alle persone e a Dio 32 .
La sinodalità eucaristica come via della relazione
Il termine hodós, che traduciano con via, usato da Giovanni, esprime il senso del met-odo che la Chiesa è chiamata ad adottare se vuole continuare ad essere testimone della comunione trinitaria. A ben vedere, un metodo sinodale per essere effettivamente comunionale deve ancorarsi al piano cristologico e trinitario, altrimenti rischia di scadere in qualsiasi altra metodologia umana finalizzata al confronto e al dibattimento, come un parlamento o una assise sindacale. La
31 Cfr. F. ANELLI, Teologia del popolo. Radici, interpreti, profilo, Prefazione di G.C. Pagazzi, EDB, Bologna 2019.
32 Questa articolata visione ecclesiologica è al centro di vari interessi. Una proposta è quella del teologo e neo-arcivescovo di Reggio Calabria-Bova, F. MORRONE, Per una sinodalità eucaristica del Popolo di Dio, in F. MORRONE-P. ARABIA (a cura di), Un popolo in ascolto di Dio per il futuro della nostra terra. Miscellanea in onore di Giovanni Mazzillo, Rubbettino, Soveria Mannelli (Catanzaro) 2021, 135-152.
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Chiesa intanto non è una democrazia, sottolinea papa Francesco, perché le discussioni al suo interno non devono appunto rappresentare solo una parte e lasciare soffocare altre voci ed espressioni. Per questo motivo il metodo sinodale porta all’armonia delle parti e non al sacrificio delle minoranze.
Lo stile sinodale – dice il Papa – non è solo discussione, non è solo maggioranza, non è solo convergenza pratica su scelte pastorali, ma un evento spirituale, un’azione dello Spirito Santo nel cuore della Chiesa, fatto di preghiera, silenzio e discernimento. Basterebbero questi elementi per dirne il carattere di evento eucaristico, ecclesiale e spirituale! 33 .
Infatti, la principale missione della Chiesa è quella di testimoniare la verità, attraversando la via della crescita individuale e comunitaria, e vivere pienamente la vita, che Cristo ha rigenerato con la sua incarnazione. La kenosis, ovvero il processo che porta il Verbo di Dio a non considerare tale stato un tesoro geloso, si rende concreta e palpabile ai discepoli seguaci diretti e quelli che hanno creduto pur non vendendo il Cristo Risorto. Lungo la storia la presenza del Risorto è stata testimoniata con un criterio palesemente comunionale, dando un volto concreto alla novità relazionale inaugurata da Gesù con il suo metodo di insegnamento testimoniale di amore e prossimità. Egli stesso, come narra il Vangelo secondo Giovanni al capitolo 17, ha affidato tutti i discepoli al Padre affinché li custodisca nel vincolo dell’unità:
11Io non sono più nel mondo; essi invece sono nel mondo, e io vengo a te. Padre santo, custodiscili nel tuo nome, quello che mi hai dato, perché siano una sola cosa, come noi.
Come è possibile preservare l’unità nella diversità? Quale strategia le prime comunità hanno sperimentato per aiutarsi a vivere grazie alla
33 F. G. BRAMBILLA, Introduzione alla Carta di intenti per il “Cammino sinodale”, cit., p.5.
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comunione sinodale? Quale consapevolezza hanno le chiese più antiche della logica di fraternità?
È stato possibile già dalle origini l’elaborazione di criteri, che ha esaltato appunto l’ascolto senza il pregiudizio, o meglio è stato possibile affrontare criticità venute a galla nella vita della comunità cristiana, portando l’attenzione della Chiesa nascente sui problemi emersi, oppure denunciati. Discutere, discernere, decidere, ma insieme. Queste le fasi del metodo sinodale neotestamentario, almeno come è testimoniato da uno dei testi più antichi. Perché il metodo possa essere efficace anche per noi oggi, rivolgiamo la nostra attenzione alla Parola di Dio.
Ancora ci viene in aiuto per un altro pezzo di strada il libro degli Atti degli Apostoli. Il capitolo 15 presenta la forma iniziale e concreta della Chiesa come popolo, mai abbandonata agli individualismi, oppure alle fazioni. Tale concezione ha la sua fonte sorgiva precisamente nell’eucaristia. Forma e metodo di tale spiritualità sacramentale sono ancora una volta rispettivamente l’ascolto e il confronto, grazie al dialogo. At 15 propone in modo chiaro un approccio di questo tipo, ma con l’avvertimento di non eccedere in una visione eminentemente astratta del processo. A partire da questo evento storico è possibile per le nostre comunità riflettere sul ruolo della gestione dei conflitti, aiutando a far emergere le posizioni, in modo da trovare un orientamento anche decisionale, ma condiviso.
I fatti sono questi. Ci troviamo ad Antiochia e Paolo entra in dissidio con alcuni fratelli della Giudea in merito alla necessità della circoncisione per i pagani convertiti alla fede cristiana. La salvezza si conquista grazie alla circoncisione e all’assunzione degli obblighi prescritti dalla Legge? È una domanda, come tante altre, sorte lungo il crinale della storia della Chiesa e pone sin dall’inizio gli elementi essenziali per una procedura condivisa in merito alla modalità di affrontare le criticità, avendo ascoltato punti di vista diversi, le varie considerazioni e le posizioni assunte e difese. Come avviene tutto questo?
Paolo e Barnaba si recano a Gerusalemme per chiedere consiglio e ciò avviene radunando gli apostoli e gli anziani insieme con la
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convocazione di una ri-unione. Il modo di procedere indica la forma più elevata di esercitare la carità, testimoniata nell’esercizio dell’umiltà e nel più ampio vincolo della fraternità. La Chiesa radunata rappresenta precisamente l’assemblea convocata da Dio, ma pellegrinante nella piena comprensione del dono della rivelazione.
L’evento narrato è conosciuto come concilio di Gerusalemme, celebrato presumibilmente intorno al 50 d.C. con la partecipazione dagli stessi apostoli e degli anziani. La modalità di azione dell’assemblea di Gerusalemme è sintomatica proprio nella prospettiva collegiale e per la modalità organizzativa del processo decisionale. In altri termini, con la modalità assembleare adottata, «Luca ci dice che, a fronte di un problema sorto tra i credenti, si cercò una soluzione attraverso una via che potremmo definire sinodale. È questo uno dei valori primari ed essenziali che la Chiesa ha attribuito a questo episodio: un valore storicofondativo, esempio storico di sinodalità a cui conformare i successivi momenti assembleari» 34 .
Sinodo è il nome della Chiesa, o meglio si intende per “Chiesa” lo stare insieme e il camminare insieme, come ha scritto Giovanni Crisostomo 35. Questa prospettiva rende ancora più chiara la motivazione che spinge Paolo a chiedere una discussione in merito alla questione sollevata, un chiarimento nonché una esplicita disposizione: Abbiamo deciso, lo Spirito Santo e noi, di non imporvi nessun altro obbligo al di fuori di queste cose necessarie (At 15, 28). Luca non solo sottolinea l’ufficialità di questa riunione (sinodo), ma rivendica altresì la forma collegiale della decisione.
Anche l’attuale processo in corso chiede di ben armonizzare la sinodalità, dinamica più ampia perché coinvolge tutto il popolo di Dio, e la collegialità, che invece riguarda il magistero dei vescovi 36. Infatti, «soggetti della sinodalità sono chiamati a essere in effetti tutti i membri del popolo di Dio: sia intesi nella loro individualità, in quanto
34 D. GARRIBA, La prassi sinodale nelle prime comunità: il caso di Atti 15, in N. SALATO (a cura di), La sinodalità al tempo di Papa Francesco, 1. Una chiave di lettura storico-dogmatica, EDB, Bologna 2020, p. 73.
35 Cfr. GIOVANNI CRISOSTOMO, Expositio in Psalmos 149,1: Patrologia greca 55, 493.
36 Cfr. D. VITALI, Verso la sinodalità, Qiqaion, Magnano (Biella) 2014.
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battezzati dotati di sensus fidei, di specifici carismi e ministeri, sia intesi comunitariamente, in quanto ogni Chiesa locale è soggetto della vita sinodale e all’interno di Chiesa locale lo sono le famiglie religiose, le associazioni dei fedeli, i nuovi movimenti e comunità ecclesiale» 37 , come ha ribadito altresì il documento della Commissione Teologica Internazionale.
37 P. CODA, Il cammino della Chiesa del terzo millennio, in P. CODA-R. REPOLE (a cura di), La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa, cit., p. 15.
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Indicazioni operative per le comunità/2
DARE FORMA ALLA SINODALITÀ Il discernimento
Punto di riferimento
Dal Documento preparatorio, Per una Chiesa sinodale, n. 25: «Illuminato dalla Parola e fondato nella Tradizione, il cammino sinodale si radica nella vita concreta del Popolo di Dio. Presenta infatti una peculiarità che è anche una straordinaria risorsa: il suo oggetto – la sinodalità – è anche il suo metodo. In altre parole, costituisce una sorta di cantiere o di esperienza pilota, che permette di cominciare a raccogliere fin da subito i frutti del dinamismo che la progressiva conversione sinodale immette nella comunità cristiana. D’altro canto, non può che rinviare alle esperienze di sinodalità vissuta, a diversi livelli e con differenti gradi di intensità: i loro punti di forza e i loro successi, così come i loro limiti e le loro difficoltà, offrono elementi preziosi al discernimento sulla direzione in cui continuare a muoversi».
Obiettivo
Solo una Chiesa realmente eucaristica può essere sinodale perché appartiene al Signore della Vita che indica a noi il cammino da percorrere: egli ci precede in Galilea! Il Risorto ha aperto la via e ci ha consegnato la mappa da seguire. Tale prospettiva suggerisce quindi la direzione di marcia. La strada da percorrere è quella indicata dal Maestro: “io sono la via, la verità, la vita”. In questa fase l’obiettivo da perseguire è l’esercizio e del metodo, ovvero si tratta di condividere il criterio che deve accompagnare nel discernimento le comunità della
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Chiesa di Teggiano-Policastro, ma con uno spirito di comunione. Pertanto, la meta da raggiungere è la sperimentazione di un metodo che ci consenta di lavorare insieme rispettando le diversità e le caratteristiche di ognuno e di ogni specifica comunità.
Impegni
Se la nostra grande finalità, ovvero la “patria” da raggiungere, è l’assunzione di uno stile di vita, ciò significa camminare insieme. Dobbiamo alimentare l’esistenza personale e comunitaria di un serio impegno all’esercizio della sodalità, svecchiando la nostra mentalità per scegliere un criterio solido di confronto e di scelta nelle varie discussioni così da incarnare con coerenza la parola del Vangelo. Discernere è quindi un’arte difficile, certo, ma non inattuabile, soprattutto grazie all’esercizio che è possibile iniziare subito per rendere realmente comunione il nostro stare insieme come chiesa, ovvero assemblea convocata, popolo di Dio.
Ogni comunità allora:
ripensa alla modalità comunitarie attualmente in uso per attuare decisioni, soprattutto fermerà l’attenzione sul ruolo dei laici nella partecipazione alla vita e alla missione della Chiesa;
sceglie l’opzione di fondo che concerne il passaggio dalla fase descrittiva della situazione ad una fase costruttiva, puntando verso mete concrete di riforma della propria vita comunitaria con attenzione specifica alla modalità di responsabilizzazione dei laici all’interno di ogni singola comunità;
rende vivace e rinnovata la rappresentatività dei membri del Consiglio Pastorale Parrocchiale che deve diventare il luogo umano dove, grazie al sostegno dello Spirito Santo, le scelte siano discusse e condivise, orientando la partecipazione di ogni
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singolo componente allo sviluppo di specifiche competenze relazionali e di servizio ecclesiale.
Agenda
Primo appuntamento per ogni comunità è la riflessione sull’evento iniziale dell’apertura del Sinodo universale del 17 ottobre. Un primo momento di incontro per riflettere sull’importanza di questo primo segno affinché sia possibile interiorizzare anche gli aspetti simbolici i quali rinviano ad un significato da metabolizzare e vivere nella concretezza dell’esistenza personale e comunitaria. Per non perdere di vista il senso del cammino sinodale, dobbiamo quindi educarci ad una mentalità sinodale, che significa non ridurre questa occasione a mero evento, ma anche grazie agli eventi esternare e condividere un nuovo modo di operare.
Inoltre, sarà necessario introdurre forme di consultazione sempre più partecipate. Il discernimento deve essere opera dello Spirito Santo attraverso il nostro dialogo costante. Tuttavia, c’è bisogno di esercizio. Grazie anche alla formazione all’ascolto, i rappresentanti delle comunità ecclesiali della Diocesi saranno invitati a seguire forme nuove di educazione all’ascolto e all’accoglienza dell’altro in modo da rendere fruttuoso e significativo il coinvolgimento di tutti in questa nuova era della Chiesa. Il processo di accoglienza per tutti è di tutti ed include gli immigrati, i profughi, gli ammalati, gli emarginati, e le persone diversamente abili. Insieme con i laici e i vari rappresentati delle consacrate e dei consacrati, anche i presbiteri – in particolare i parroci – saranno parte attiva di questa scuola di sinodalità.
Contestualmente quindi sarà convocato un secondo momento di formazione indirizzato agli operatori pastorali sinodali,
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orientato in modo specifico ai criteri di verifica e alle modalità di analisi delle nostre scelte. In tal senso potremmo esercitarci in modo continuo e ricorrente a fare sinodalità, uscendo dal pericolo di ridurre questa grande occasione in un momento passeggero di effimera novità. Se, come dice Francesco, è lo Spirito Santo che chiede alla Chiesa di essere sinodale, questo comporta un maggiore impegno a rendere reale l’ecclesiologia di comunione che la Chiesa vive dal rinnovamento voluto dal Concilio Vaticano II. Formazione al discernimento, quindi, comporta nuove forme di animazione allo spirito sinodale, ma soprattutto bisogna puntare a leggere la realtà con occhi aperti e mente desta. Per far questo dobbiamo imparare a valutare le nostre scelte e, nel caso, dobbiamo cambiare strada.
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3.
La com-unione motiva alla missione Quale organizzazione per un cammino sinodale?
L’esperienza di quello che è considerato il primo concilio/sinodo della Chiesa rappresenta non solo il modello ideale di ogni altra assemblea sinodale, ma indica anche la modalità organizzativa per le comunità ecclesiali, intenzionate a vivere nella via della fraternità e dell’unità, secondo il modello di Chiesa, proposto da Gesù stesso. Per questo motivo, ho proposto all’attenzione di tutti, quasi come un filo rosso di questi Orientamenti pastorali, la modalità relazionale inaugurata da Gesù, radicalmente indirizzata alla redenzione dei rapporti umani. Grazie alla sua unica modalità dialogica, egli sa ascoltare e dialogando indica la strada da seguire. Questo modello, reso accessibile in modo esplicito dalle narrazioni evangeliche, è stato un punto di riferimento per la prassi ecclesiale, determinate a percorrere vie incarnate di riconciliazione. Nonostante i diversi approcci a vari problemi discussi e affrontanti fino al concilio Vaticano II, oggi la Chiesa, avendo come punto di riferimento l’esperienza vissuta e narrata sin delle origini della comunità cristiana, fa carità testimoniata, perché l’Amore vissuto dalla comunità cristiana ha un sapore esplicitamente sinodale sia nella essenza (Gv 13, 34: «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli alti»), sia nella missione (Lc 10, 1: «Il Signore designò altri settantadue discepoli e li inviò a due a due avanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi»).
La via della sinodalità come testimonianza di Carità
Come abbiamo avuto modo di riflettere e testimoniare negli ultimi due anni, la comunità ecclesiale di Teggiano-Policastro, nelle sue ampie e variegate articolazioni, è stata invitata, dopo un percorso di
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confronto e di attenta valutazione, ad intraprendere un cammino di concretezza testimoniale della virtù teologale della carità, dopo due trienni dedicati uno alla fede e l’altro alla speranza. L’amore è certamente la forma della sinodalità più esplicita sul piano relazionale, ma mai svincolata dalle altre due virtù.
La testimonianza della Carità come via della sinodalità, quindi, ricorda alla nostra Chiesa locale il vero obiettivo della progettazione pastorale che riguarda certamente gli specifici contesti socio-culturali e le relative dinamiche, in quanto «la trasmissione della fede non è solo questione di contenuti, di verità, ma coinvolge i meccanismi fondamentali e simbolici con cui una cultura o società trasmette conoscenze, atteggiamenti, comportamenti, con cui si tramanda e cresce» 38. Adottando come comunità diocesana uno stile sinodale, bisognerà assumere e analizzare le situazioni, conoscerle, viverle, facendo in modo che l’azione ecclesiale continui a servire il Vangelo, annunciandolo con una nuova spinta missionaria, che consiste precisamente e preliminarmente nella conoscenza dei “nuovi linguaggi” di comunicazione e degli inediti scenari antropologici costruiti dalle nostre società e dai vari gruppi umani, sempre più lontani dai valori tradizionali. È proprio Papa Francesco nel Discorso al V Convegno ecclesiale della chiesa italiana di Firenze a porre attenzione e a richiamare l’interesse di tutti sulla dinamica ascolto-dialogo della comunità ecclesiale in Italia con la società.
La società italiana si costruisce quando le sue diverse ricchezze culturali possono dialogare in modo costruttivo: quella popolare, quella accademica, quella giovanile, quella artistica, quella tecnologica, quella economica, quella politica, quella dei media... La Chiesa sia fermento di dialogo, di incontro, di unità. Del resto, le nostre stesse formulazioni di fede sono frutto di un dialogo e di un incontro tra culture, comunità e istanze differenti. Non dobbiamo
38 A. TONIOLO, L’anima riflessiva e formativa della teologia pastorale. Il dibattito attuale, in G. TRENTIN-L. BORDIGNON (a cura di), Teologia pastorale in Europa. Panoramica e approfondimenti, Messaggero, Padova 2003, p. 383.
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aver paura del dialogo: anzi è proprio il confronto e la critica che ci aiuta a preservare la teologia dal trasformarsi in ideologia 39 .
La svolta sinodale, dunque, deve caratterizzare ora più che mai, a decenni di distanza dalla chiusura del concilio Vaticano II, non solo gli organismi episcopali, ma la vita delle comunità. La sinodalità si impara, si fa con l’esercizio dell’ascolto, prima di tutto, mostrando disponibilità all’accoglienza, grazie all’allenamento dell’umiltà. Solo in questo modo sarà possibile fare dell’ascolto la regola della vita ecclesiale 40. Le indicazioni di Papa Francesco, nei suoi diversi interventi programmatici, vanno in questa precisa direzione e riguardano la rigenerazione della missione della Chiesa e, dunque, del nuovo slancio missionario per un’evangelizzazione sempre più coraggiosa. In questo modo, consapevoli dei limiti ma anche delle risorse delle nostre piccole comunità, è possibile progettare l’azione pastorale secondo un metodo che non scinde teoria e pratica, ma le tiene insieme. Tale aspetto è in realtà l’elemento qualificante della conversione pastorale tanto evocata in questi ultimi anni.
La via è quella indicata da Giovanni Crisostomo: vivere e camminare insieme, perché la Chiesa è realtà di comunione nell’amore. Il futuro della nostra Chiesa sta nel rendere testimonianza all’Amore evangelico, assumendo la responsabilità della formazione dei nuovi nati, degli adulti, dei giovani, delle famiglie in una nuova rinnovata logica della missione ecclesiale, perché in molti casi l’azione pastorale è disarticolata e disomogenea. Spesso le comunità vivono in una dimensione di isolamento, cioè di individualismo, che denuncia una palese crisi d’identità e un calo del fervore apostolico.
Se la sinodalità è un processo ciò significa che le comunità dovranno esercitarsi a camminare insieme, vivendo nella logica comunionale. Si potrebbe correre il rischio di cedere alla pura astrazione,
39 FRANCESCO, Discorso in occasione dell’Incontro con i rappresentanti del V Convegno nazionale della Chiesa Italiana, Cattedrale di Santa Maria del Fiore, Firenze, 10 novembre 2015.
40 Cfr. D. VITALI, Verso la sinodalità, cit., pp. 117-123.
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portando tutto su un piano ideale e quindi conclamando l’impossibilità a precedere sulle vie della realtà. Concretezza, realtà e riflessione/meditazione teologica non si escludono, ma si integrano necessariamente affinché la Parola di Dio si incarni ancora nella realtà della solidarietà, della condivisione, della unità.
Per evitare l’insidioso pericolo della spersonalizzazione delle nostre azioni è necessaria l’attivazione di un processo di consapevolezza degli organismi di partecipazione a livello parrocchiale e diocesano (Consiglio pastorale e Consiglio per gli affari economici) per esercitare il vincolo della carità partecipata, ovvero la corresponsabilità che non deve attendere indicazioni dalla gerarchia. L’automatismo e la dipendenza dalle decisioni del clero sono in realtà gli aspetti più cogenti di relativismo o di occultazione dell’identità cristiana dei battezzati e delle loro convinzioni.
Prima tappa da raggiungere con un lavoro di tutti a lungo termine, ma sin da subito, è la destrutturazione della mentalità clericale molto spesso alimentata proprio da laici non correttamente formati alla piena partecipazione attiva e responsabile alla vita e alla missione della Chiesa. Contemporaneamente è necessario anche consolidare un processo formativo indirizzato al clero con forme laboratoriali di vita sinodale, con obiettivi verificati sul piano delle realizzazioni concrete di ulteriori forme di partecipazione delle diverse realtà ecclesiali, a cominciare dalle comunità parrocchiali.
In questa dimensione occorre esercitare la responsabilità di tutti per i contesti umani familiari, sociali, lavorativi, sportivi, dove i cristiani sono chiamati a testimoniare il Vangelo della carità a nome della comunità. Ogni discepolo è testimone dell’Amore ricevuto in dono, perché generato dal grembo del fonte battesimale. Ogni elemento sacramentale richiama alla memoria il vincolo con il creato e la riconciliazione avvenuta in Cristo di tutto. Anche in questa chiave esiste un vincolo eucaristico quale aspetto comunionale integrale in grado di far sperimentare la pienezza del processo sinodale nel più ampio contesto del creato.
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Nell’Eucaristia il creato trova la sua maggiore elevazione. La grazia, che tende a manifestarsi in modo sensibile, raggiunge un’espressione meravigliosa quando Dio stesso, fatto uomo, arriva a farsi mangiare dalla sua creatura. Il Signore, al culmine del mistero dell’Incarnazione, volle raggiungere la nostra intimità attraverso un frammento di materia. Non dall’alto, ma da dentro, affinché nel nostro stesso mondo potessimo incontrare Lui. Nell’Eucaristia è già realizzata la pienezza, ed è il centro vitale dell’universo, il centro traboccante di amore e di vita inesauribile. Unito al Figlio incarnato, presente nell’Eucaristia, tutto il cosmo rende grazie a Dio. In effetti l’Eucaristia è di per sé un atto di amore cosmico: «Sì, cosmico! Perché anche quando viene celebrata sul piccolo altare di una chiesa di campagna, l’Eucaristia è sempre celebrata, in certo senso, sull’altare del mondo». L’Eucaristia unisce il cielo e la terra, abbraccia e penetra tutto il creato. Il mondo, che è uscito dalle mani di Dio, ritorna a Lui in gioiosa e piena adorazione: nel Pane eucaristico «la creazione è protesa verso la divinizzazione, verso le sante nozze, verso l’unificazione con il Creatore stesso». Perciò l’Eucaristia è anche fonte di luce e di motivazione per le nostre preoccupazioni per l’ambiente, e ci orienta ad essere custodi di tutto il creato 41 .
Una vera dimensione sinodale, che è sempre eucaristica, guarda alla casa comune con un afflato di particolare responsabilità che include necessariamente il lavoro condiviso nelle diverse comunità, a cominciare da quelle parrocchiali. Infatti, come ho osservato, la prospettiva dell’ecologia integrale è tale solo se include una visione antropologica e il concetto di uno sviluppo aperto al trascendente 42. Perché quanto stiamo attraversando con la pandemia non sia «l’ennesimo grave evento storico da cui non siamo stati capaci di imparare» 43 .
41 FRANCESCO, Lettera enciclica sulla casa comune Laudati si’, 24 maggio 2015, n. 236.
42 A. DE LUCA, Orientamenti Celebrare la Carità, 4 ottobre 2020, Duminuco, Sapri (Salerno) 2020, pp. 14-15.
43 FRANCESCO, Lettera enciclica sulla fraternità e l’amicizia sociale Fratelli tutti, 3 ottobre 2020, n. 35.
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Sarà cura della Diocesi formare operatori pastorali specializzati, grazie al supporto di specialisti, con lo scopo di ridestare e fortificare la responsabilità per i contesti ambientali. Camminare insieme nelle nostre diverse e articolate realtà significa anche armonizzare aspetti che finora sono apparsi lontani e non propriamente confacenti alla vita della missione ecclesiale.
Vivere la carità nel fervore apostolico della sinodalità
La logica missionaria ecclesiale non è mossa certamente da forze proselitistiche, nonostante la struttura e l’organizzazione della Chiesa siano ben consolidate, anche grazie al diritto di comunione. Intanto, spesso la missione non è vista come lo scopo della vita cristiana, ma diventa una “specie di ossessione” che soffoca la gioia del discepolo. Questa accade perché molto spesso i battezzati non fanno un’esperienza significativa di condivisione fraterna all’interno delle proprie comunità di appartenenza. A ben vedere, perfino la vita degli operatori spesso si svolge in anonimato e con disimpegno, relativizzando la dottrina e, di conseguenza, gli aspetti della vita morale. Mentre il compito della missione deve essere la linfa vitale della vita del battezzato, vita che è una gioiosa risposta all’amore di Dio che ci convoca per la missione e ci rende completi e fecondi.
Lo slancio del fervore apostolico si riconosce da come si vive la vita di fede e di apostolato, costellata da molteplici attività, che possono essere vissute male, se gli operatori pastorali in prima linea non sono sorretti da forti ed adeguate motivazioni per non scivolare verso un’“accidia pastorale”, come scrive Papa Francesco nell’Evangelii gaudium. Il fermo invito del Papa a ripensare alla vita ecclesiale nella logica della sinodalità vuol suscitare una nuova consapevolezza del ruolo della Chiesa, ma con una profonda riforma in se stessa, che comporta una revisione dei metodi e degli scopi della stessa evangelizzazione. Ciò implica anche una maggiore responsabilità sul piano sociale e relazionale. Ecco perché papa Francesco insiste sulla necessità di
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evitare il pericolo di “mummificare” il messaggio cristiano e le attività pastorali nella sterile routine abitudinaria che denota stanchezza, affanno, demotivazione.
Tali aspetti sono precisamente la negazione della via sinodale, scelta come pilastro della riforma, secondo logica dell’ecclesiologia di comunione del Vaticano II. La sinodalità intesa come processo è il nome e la strada della riforma. Tuttavia, occorre, anche in questo caso, evitare il pessimismo sterile dello scoraggiamento per i programmi ritenuti irrealizzabili e alla arrendevolezza per quei progetti che sono realmente attuabili. Lo slancio apostolico della riforma sinodale è così talvolta minacciato dal senso di sconfitta, che soffoca il fervore e l’audacia della missione, si lascia catturare dalla sfiducia delle proprie fragilità, si abbandona allo sconforto e non si traduce nel “trionfo della croce”, ma in un atteggiamento di egocentrismo, segnale della mondanità spirituale, cioè all’“umanesimo pagano adattato a buon senso cristiano”.
Potrebbe essere difficile oggi smuovere le comunità dalla comoda routine “del così si è sempre fatto”. Spesso nella progettazione pastorale si è alla ricerca di indicazioni pratiche e si rincorre il mito dell’efficienza, che ovviamente si concentra prevalentemente sull’azione, a scapito di una più ampia ed approfondita formazione. Così in questa fase della progettazione diocesana non è possibile proporre suggerimenti pratici solo per indicare “cosa fare”. A ben vedere, il lavoro fatto finora dimostra come bisogna rileggere “nel contesto” le indicazioni teoriche emerse per guidare l’azione pastorale, ma senza l’ansia che spesso colpisce la comunità ecclesiale quando pericolosamente si lascia fagocitare dalla “cultura del fare”, piuttosto che promuovere e puntare sulla “cultura dell’essere”.
La nostra comunità ecclesiale nelle sue varie articolazioni si è già aperta ad una riflessione critica sul proprio operato al fine di garantire un impegno costante, continuativo e motivato nei diversi settori della pastorale ordinaria, essa stessa bisognosa di rinnovarsi nella tensione costante di incontrare Cristo. Anche la vita cristiana necessita di evangelizzazione, come le persone che abitano i nostri territori alcuni dei
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quali sono perfino in attesa di un primo annuncio, o si sentono lontani perché mai inviatati, nonostante che il processo di sacramentalizzazione non si sia mai interrotto 44 .
La riforma sinodale della Chiesa che è in Teggiano-Policastro predilige, quindi, il rinnovamento dell’azione di “nuova” evangelizzazione e lo fa considerando ogni realtà sociale «tenendo conto di chi ci vive, di com’è fatta, della sua storia», come diceva Bergoglio da arcivescovo di Buenos Aires. Per raggiungere questo obiettivo invito le comunità a lavorare collaborando insieme nei diversi settori della pastorale ordinaria, tutti orientati a suscitare la fede in modo condiviso e maggiormente consapevole dei processi.
Seconda tappa di questo primo segmento del cammino diocesano ci vedrà impegnati a volgere l’attenzione sul reale iter di educazione alla fede, alla luce della nuova evangelizzazione, come ricorda altresì il recente Direttorio per la catechesi, pubblicato in piena pandemia. Per questo motivo dobbiamo approfondire a livello diocesano la ricchezza contenuta in tale nuovo strumento donato per la crescita delle nostre comunità 45. Nel discernimento pastorale di questi anni, emerge la necessità di puntare su un’azione concreta l’afflato sinodale, con la finalità di rendere ogni azione ecclesiale sinodale. La nostra Chiesa di Teggiano-Policastro sarà impegnata ancora di più a ritornare al catecumenato, come raccomanda l’episcopato italiano, non senza
44 Puntuali indicazioni sono contenute nel Direttorio liturgico-pastorale della Diocesi di Teggiano-Policastro, Amen. Vieni, Signore Gesù (Ap 22,20), 29 novembre 2015, Duminuco, Sapri (Salerno) 2015.
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PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA PROMOZIONE DELLA NUOVA EVANGELIZZAZIONE, Direttorio per la catechesi, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2020, n. 289: «Una forma concreta nella via dell’evangelizzazione è la pratica sinodale, che si realizza a livello universale e locale, e che si esprime nei diversi sinodi o consigli. Una rinnovata coscienza dell’identità missionaria richiede oggi una maggiore capacità di condividere, comunicare, incontrarsi, così da camminare insieme sulla via di Cristo e nella docilità allo Spirito. L’istanza sinodale propone obiettivi importanti per l’evangelizzazione: porta a discernere insieme le vie da percorrere; conduce ad agire in sinergia con i doni di tutti; contrasta l’isolamento delle parti o dei singoli soggetti».
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riferimento alla famiglia, primo e fondamentale focolare di vita cristiana, secondo quanto papa Francesco ha proposto in Amoris laetitia, sulla scorta di ben due Sinodi dei vescovi. Una scelta non affatto scontata o casuale, dal momento che gli stessi vescovi italiani affermano:
l’educazione alla fede avviene nel contesto di un’esperienza concreta e condivisa. Il figlio vive all’interno di una rete di relazioni educanti che fin dall’inizio ne segna la personalità futura. Anche l’immagine di Dio, che egli porterà dentro di sé, sarà caratterizzata dall’esperienza religiosa vissuta nei primi anni di vita. Di qui l’importanza che i genitori si interroghino sul loro compito educativo in ordine alla fede: “come viviamo la fede in famiglia?”; “quale esperienza cristiana sperimentano i nostri figli?”; “come li educhiamo alla preghiera?”. Esemplare punto di riferimento resta la famiglia di Nazaret, dove Gesù “cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini” (Lc 2,52). Ogni famiglia è soggetto di educazione e di testimonianza umana e cristiana e come tale va valorizzata, all’interno della capacità di generare alla fede propria della Chiesa 46 .
Solo puntando su un processo di ampia consapevolezza della fede cristiana della coppia genitoriale e di un impegno effettivo nella comunità può essere proponibile un itinerario significativo per i giovani, molto spesso lasciati ai margini della Chiesa e della società perché volutamente emarginati dai processi di rinnovamento, viste talvolta come insidie da parte di adulti da sacrestia. Per le coppie e i giovani, grazie all’ausilio di agenzie educative come le Facoltà di teologia, si potrà predisporre una progettualità operativa al fine di orientare adulti e giovani nel più ampio e complesso scenario socio-culturale odierno, funestato come non mai dagli eventi della pandemia tutt’ora in corso.
In questo tempo non è venuta meno la funzione di insegnare della Chiesa con la testimonianza della carità e con il servizio del governo
46 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Orientamenti pastorali per il decennio 2010-2020 Educare alla vita buona del Vangelo, 4 ottobre 2010, n. 37.
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pastorale. Infatti, il documento della Congregazione per il Clero, La conversione pastorale della comunità parrocchiale al servizio della missione evangelizzatrice della Chiesa ha richiamato fortemente l’attenzione sulla necessità di una conversione missionaria della Chiesa tutta a partire dalla parrocchia. Questo documento vuole incoraggiare una prassi quotidiana a vivere uno stile di cambiamento, nell’orizzonte di una “Chiesa in movimento di uscita da sé, di missione centrata in Gesù Cristo, di impegno verso i poveri”. Ciò significa ipotizzare e individuare le forme concrete di radicale conversione pastorale proprio a partire dalla variegata e multiforme realtà parrocchiale. Tale cambiamento di mentalità, chiamata da Francesco pastorale in conversione, lascia intendere una dinamica complessa. Per aiutare tale processo è auspicabile seguire lo stile sinodale sostenuto dalle indicazioni del Papa con lo scopo preciso di riconoscere la profezia negli altri, valorizzare le loro domande, condonare gli errori, lavorare per l’unità, a cercare l’essenziale e ad abbandonare l’effimero e l’apparenza 47 .
Nella logica del rinnovamento sinodale di questa realtà umano-divina non ancora ritenuta “caduca” e obsoleta, la parrocchia “famiglia di famiglie” è il luogo umano dove la sinodalità si esprime nel modo più tangibile possibile perché può guardare da vicino le esigenze delle persone umane e provvedere alla loro soluzione con cure adeguate; vivere relazioni autentiche di filialità tra i membri della comunità, con il parroco e il vescovo diocesano; esercitarsi all’apertura fiduciosa alla grazia di Dio per un accompagnamento realistico da parte dello Spirito Santo; sostenere ogni persona nell’ambito parrocchiale con lo scopo di suscitare una maggiore consapevolezza e coinvolgimento responsabile grazie ad una pedagogia sinodale, sempre meglio approfondita come processo che chiede il riconoscimento della crescita cristiana come gradualità.
47 Cfr. FRANCESCO Evangelii gaudium, nn. 25-33. In merito, cfr. C. MATARAZZO, La sinodalità nell’insegnamento di Papa Francesco e le dinamiche di rinnovamento della teologia pastorale, in F. ASTI-E. CIBELLI (a cura di), La sinodalità al tempo di Papa Francesco, 2. Una chiave di lettura sistematica e pastorale, cit., pp. 115-135.
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All’interno del dibattito sul rinnovamento/conversione missionario-comunionale della parrocchia, «tipici del camminare in modo sinodale sono anche le virtù dell’attenzione all’altro, del tendere verso i compagni di cammino, dell’accoglienza reciproca, della convivialità, dell’ascolto attento e del dialogo aperto» 48 .
La prospettiva della sinodalità e il vincolo della prossimità fraterna
Nella “desertificazione” spirituale, peculiarità delle società secolarizzate, i cristiani devono irradiare con la propria vita i contesti dove si trovano ad operare, devono diventare cioè “persone-anfore” per dare da bere agli altri. I battezzati, come ogni operatore pastorale, devono essere fortemente motivati all’incontro, all’abbraccio fraterno, a costruire relazioni significative e solidali. In questo senso, come precipuo obiettivo di una forma sinodale ad extra, occorrerà lavorare per debellare il clima di sospetto che le nostre società dell’opulenza hanno costruito causando l’anestesia del cuore e dei sentimenti.
Il sogno che la Chiesa di Teggiano-Policastro può coltivare e rendere reale riguarda l’investimento di energie capaci di alimentare un apprendimento relazionale per ritessere i fondamenti di una nuova grammatica dei sentimenti che ci porta ad essere solidali con gli altri, con le loro esigenze, speranze, felicità, attese.
Tale direzione sa coniugare insieme la comunione solidale e la fecondità missionaria. Scopo della Chiesa è annunciare Cristo che è l’Amore di Dio incarnato. Anche la riforma sinodale sta su questa strada altrimenti si corre il rischio di rifare gli assetti e le strutture senza alimentare la conversione dei singoli e dei gruppi. Con questo scopo, la comunità cristiana vuole essere attrattiva per le persone indifferenti e facilitare loro una più chiara e lineare comprensione della vita e della missione della Chiesa. In altri termini, solo una Chiesa che
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tania 2020, p. 39.
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L. CURCIO-F. LUVARÀ-G. RACITI, Parrocchia in missione, Klimax, San Giorgio di Ca-
sa ascoltare può essere comunità dell’amore, che indossa la dalmatica del servizio e porta con la sua testimonianza un esempio di umanizzazione.
Se la sinodalità è una via eminentemente esperienziale significa che l’azione è irrorata completamente di un pensiero comune, accolto nell’unità delle intenzioni, armoniosamente condiviso e testimoniato all’estero della Chiesa. È quanto mai significativa l’indicazione del Papa di mettere la comunità credente sulla via della riscoperta dei valori comuni, del rispetto reciproco per vivere una fraternità mistica, che offre il medicinale capace di guarire dall’insofferenza per gli altri, di aprire il cuore a Dio che è presente in ogni essere umano, di aiutare a vivere con abnegazione i momenti difficili dell’esistenza. La via della fraternità universale rappresenta un reale superamento di una insidia distruttiva, ovvero il “neopelagesimo dell’autoreferenzialità” e della “spinta prometeica dell’onnipotenza” che fomentano l’idolatria del fare e non facilitano invece l’accesso alla grazia.
Pertanto, questi Orientamenti pastorali servono la logica della concretezza della doppia fedeltà a Dio e alla persona umana, in quanto vogliono essere coerenti con la logica evangelica, che non nutre fini espansionistici e trionfali, ma intendono rispondere alle esigenze della realtà e seguire la logica dell’amore. Infatti, il riconoscimento nella Chiesa del ruolo di ogni battezzato come servitore del regno di Dio porta un’inversione di vedute: l’organizzazione gerarchia è finalizzata all’edificazione della comunità che in massima parte è composta da laici, che sempre meglio hanno preso coscienza della loro identità e della loro missione, ma ancora molto resta da fare 49 .
Una forma sinodale realmente orientata alla testimonianza della carità sostiene prima di tutto la conversione dei ministri ordinati, con
49 Cfr. A. DE LUCA, Lettera pastorale «Ci siamo affaticati e non abbiamo preso nulla» (Lc 5, 1-11). Per un rinnovato impegno di evangelizzazione nella Chiesa di Teggiano-Policastro, 4 giugno 2018, Duminuco, Sapri (Salerno) 2018. Sulla lettura complessiva di questa prospettiva pastorale, cfr. DIOCESI DI TEGGIANO-POLICASTRO, Seminario di studio per la presentazione della Lettera Pastorale «Ci siamo affaticati e non abbiamo preso nulla». Relazioni, Prato Perillo 24 settembre 2018, Introduzione di A. Cetrangolo, Duminuco, Sapri (Salerno) 2019.
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un processo orientato a debellare ogni attrazione all’esercizio del potere fine a se stesso. Tale conversione può avvenire coltivando un adeguato senso dell’umiltà e del servizio che significa lavorare al perfezionamento e alla partecipazione attiva dei laici alla vita e alla missione della chiesa. In questa prospettiva, la Chiesa, popolo di Dio, tutta ministeriale per la grazia del battesimo, incentiva ogni forma di servizio al fine di promuovere e sostenere la partecipazione attiva dei laici, senza correre il rischio di clericalizzare o mascolinizzare la tipicità della loro missione.
Terza tappa posposta del cammino diocesano in questa prima fase, riguarda l’incentivo a favore di ogni forma di servizio nella carità da parte di tutti i settori, di tutte le forme di aggregazione e delle realtà parrocchiali per il sostegno a chi è nel bisogno. L’Agape cristiana, infatti, è comunione realizzata quando annuncia, celebra e quindi testimonia l’amore in forme concrete di servizio ai più bisognosi, in ascolto delle loro richieste, dei loro bisogni e soprattutto con gesti concreti di vicinanza evangelica in risposta alle tante esigenze, garantendo una presenza prossimale e relazionale di alta qualità umana.
Anche in questa azione la Chiesa di Teggiano-Policastro è invitata ad avviare una serie di verifiche del cammino fatto con il preciso obiettivo di elaborare una complessiva valutazione delle varie modalità organizzative nell’ambito della carità e della solidarietà. In questa direzione, una armoniosa e condivisa modalità organizzativa deve sostenere il volto della Chiesa socialmente impegnata nel segno del Vangelo perché le donne e gli uomini che testimoniano l’Amore di Dio si riconoscono da un preciso stile di vita.
Uno stile testimoniale già noto ai nostri fratelli delle comunità più antiche, come testimonia l’ignoto autore di un breve trattato, databile alla fine del II secolo d.C., indirizzato ad un certo Diogneto. Il testo delinea al capitolo V quasi un identikit del cristiano, descritto come una persona che sa essere e sa fare con uno stile specifico, riconoscibile da una normalità “sconvolgente”.
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I cristiani né per regione, né per voce, né per costumi sono da distinguere dagli altri uomini. Infatti, non abitano città proprie, né usano un gergo che si differenzia, né conducono un genere di vita speciale. La loro dottrina non è nella scoperta del pensiero di uomini multiformi, né essi aderiscono ad una corrente filosofica umana, come fanno gli altri. Vivendo in città greche e barbare, come a ciascuno è capitato, e adeguandosi ai costumi del luogo nel vestito, nel cibo e nel resto, testimoniano un metodo di vita sociale mirabile e indubbiamente paradossale. Vivono nella loro patria, ma come forestieri; partecipano a tutto come cittadini e da tutto sono distaccati come stranieri. Ogni patria straniera è patria loro, e ogni patria è straniera. Si sposano come tutti e generano figli, ma non gettano i neonati. Mettono in comune la mensa, ma non il letto. Sono nella carne, ma non vivono secondo la carne. Dimorano nella terra, ma hanno la loro cittadinanza nel cielo. Obbediscono alle leggi stabilite, e con la loro vita superano le leggi. Amano tutti, e da tutti vengono perseguitati. Non sono conosciuti, e vengono condannati. Sono uccisi, e riprendono a vivere. Sono poveri, e fanno ricchi molti; mancano di tutto, e di tutto abbondano. Sono disprezzati, e nei disprezzi hanno gloria. Sono oltraggiati e proclamati giusti. Sono ingiuriati e benedicono; sono maltrattati ed onorano. Facendo del bene vengono puniti come malfattori; condannati gioiscono come se ricevessero la vita. Dai giudei sono combattuti come stranieri, e dai greci perseguitati, e coloro che li odiano non saprebbero dire il motivo dell’odio 50 .
I battezzati, impegnati nelle diverse organizzazioni di promozione umana e di servizio alla persona, sono invitati a collaborare maggiormente ora in questo percorso di riforma sinodale della nostra Chiesa diocesana con il loro fattivo contributo, richiesto loro attraverso una serie di occasioni finalizzate all’ascolto di specifiche esigenze. Si lavorerà quindi alla tessitura di una rete sociale in grado di intercettare
50 Tra le edizioni più recenti, mi limito ad indicare la seguente: A Diogneto, a cura di F. Ruggiero, Città Nuova, Roma 2021.
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specifici bisogni sotto il profilo materiale e spirituale e individuare dunque le risposte adeguate per sostenere gli aiuti, nonché adeguate forme di accompagnamento delle persone in difficoltà.
L’obiettivo consiste nel coinvolgimento di tutte quelle persone in grado di lavorare insieme, collegate da una rete di relazioni umane capaci di tessere rapporti in special modo con le persone sofferenti e con quelle in stato di abbandono. L’ascolto della loro difficoltà deve incentivare una partecipazione empatica con le difficoltà che la finitezza umana impone. Tale disponibilità porta la Chiesa ad assumete le criticità e i limiti di ciascuno, ma nel contempo forma alla solidarietà umana, manifestazione nella concretezza storica dell’Amore di Dio. L’ascolto e l’accompagnamento per le persone sofferenti saranno azioni opportunamente valorizzate senza improvvisazione con una proposta educativa specifica, orientata a specializzare operatori pastorali in diversi specifici settori dell’agire ecclesiale, a loro volta formatori nelle comunità ecclesiali.
E guardando Gesù noi vediamo che Lui ha scelto la via dell’umiltà e del servizio. Anzi, Lui stesso in persona. questa via. Gesù non è stato indeciso, non è stato “qualunquista”: ha fatto una scelta e l’ha portata avanti fino in fondo. Ha scelto di farsi uomo, e come uomo di farsi servo, fino alla morte di croce. Questa è la via dell’amore: non c’è un’altra. Perciò vediamo che la carità non è un semplice assistenzialismo, e meno un assistenzialismo per tranquillizzare le coscienze. No, quello non è amore, quello è negozio, quello è affare. L’amore è gratuito. La carità, l’amore è una scelta di vita, è un modo di essere, di vivere, è la via dell’umiltà e della solidarietà. Non c’è un’altra via per questo amore: essere umili e solidali 51 .
Il percorso sinodale non può dimenticare i patimenti di chi soffre, penalizzando ulteriormente le persone in stato di bisogno, emarginandole dal percorso ecclesiale. La sinodalità è invece quella sfida dell’u-
51 FRANCESCO, A chi dà fastidio la solidarietà, in L’Osservatore Romano 153, n. 210 (23/24 settembre 2013), p. 7.
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nità colta proprio nella comunione e nella partecipazione alle diverse situazioni di vita. Insieme tutti è possibile dare forza alla comunità ecclesiale nella complessità del noi che si rigenera solo nella relazione e nella condivisione, perché nella Chiesa nessuno si senta uno “scarto” 52 .
52 FRANCESCO, Nessuno è da scartare, Discorso alla Comunità di Varginha, 25 luglio 2013, in L’Osservatore Romano 153, n. 171 (27 luglio 2013), p. 8. «Abbiamo dato inizio alla cultura dello “scarto” che, addirittura, viene promossa. Non si tratta più semplicemente del fenomeno dello sfruttamento e dell’oppressione, ma di qualcosa di nuovo: con l’esclusione resta colpita, nella sua stessa radice, l’appartenenza alla società in cui si vive, dal momento che in essa non si sta nei bassifondi, nella periferia, o senza potere, bensì si sta fuori. Gli esclusi non sono “sfruttati” ma rifiuti, “avanzi”» (FRANCESCO Evangelii gaudium, n. 23).
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Indicazioni operative per le comunità/3
DARE FORMA ALLA SINODALITÀ L’organizzazione
Punto di riferimento
Dal Documento preparatorio, Per una Chiesa sinodale, nn. 28-29: «Nella rilettura delle esperienze, occorre tenere presente che “camminare insieme” può essere inteso secondo due diverse prospettive, fortemente interconnesse. La prima guarda alla vita interna delle Chiese particolari, ai rapporti tra i soggetti che le costituiscono […] e alle comunità in cui si articolano (in particolare le parrocchie). Considera poi i rapporti dei Vescovi tra di loro e con il Vescovo di Roma, anche attraverso gli organismi intermedi di sinodalità […]. Si allarga quindi al modo in cui ciascuna Chiesa particolare integra al proprio interno il contributo delle diverse forme di vita monastica, religiosa e consacrata, di associazioni e movimenti laicali, di istituzioni ecclesiali ed ecclesiastiche di vario genere […]. Infine, questa prospettiva abbraccia anche le relazioni e le iniziative comuni con i fratelli e le sorelle delle altre Confessioni cristiane, con i quali condividiamo il dono dello stesso Battesimo. La seconda prospettiva considera come il Popolo di Dio cammina insieme all’intera famiglia umana. Lo sguardo si fermerà così sullo stato delle relazioni, del dialogo e delle eventuali iniziative comuni con i credenti di altre religioni, con le persone lontane dalla fede, così come con ambienti e gruppi sociali specifici, con le loro istituzioni».
Obiettivo
La nostra Chiesa diocesana, nelle sue più ampie e vivaci articolazioni, si avvia a consolidare, ma anche a rinnovare lo stile ecclesiale della
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koinonia evangelica, scegliendo come sua espressione sinodale il rinnovamento che viene dal nuovo modo di operare nella realtà intraecclesiale, ma anche nella realtà umana più largamente intesa. Il terzo obiettivo da raggiungere, quindi, consiste in una nuova forma di essere e di agire, un nuovo stile comportamentale che si fonda su una radicale conversione di mentalità. Lavoreremo costantemente a rinverdire tale modo di operare e di essere per testimoniare con la vita la via della sinodalità per l’annuncio della verità.
Impegni
Uno dei compiti maggiormente impegnativi che papa Francesco ha chiesto alla Chiesa tutta è quello del rinnovamento costante e continuo nella viva Tradizione. Un’esigenza non dettata semplicemente dai tempi, perché essa comporta la modificazione costante anche delle strutture, dei linguaggi, delle modalità organizzative per comunicare la fede in un mondo in rapida trasformazione. Tale prospettiva non ha nulla a che fare con lo svilimento della missione della Chiesa, ma riguarda il rinnovamento della sua organizzazione interna ed esterna. Insomma, ogni comunità ecclesiale deve prendere coscienza che non può esistere annuncio del Vangelo perduranti strutture e linguaggi di un altro mondo, quasi mummificati. Il cammino sinodale piuttosto vuole aiutare le Chiese particolari a trovare la forza del rinnovamento organizzativo senza correre il pericolo di snaturare la missione propriamente ecclesiale come affidata da Gesù agli apostoli. Ogni comunità allora:
attiva un rinnovamento della prassi sacramentale e dei metodi catechistici, anche questi ultimi basati su nuove competenze dei catechisti più affinate nell’ambito relazionale e comunicativo, soprattutto grazie al sostegno delle comunità che riscoprono tale ministero come centrale e fondamentale per
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un’educazione alla mentalità sinodale in ogni stagione della vita, in base a quanto papa Francesco ha ribadito con il motu proprio Antiquum ministerium istituendo il ministero dei catechisti; sceglie le modalità più consone per una nuova strutturazione della formazione di base di tutti i gruppi, senza massificare gli obiettivi della formazione alla vita cristiana, ma incentivando prima di tutto esperienze di fraternità e di condivisione a cominciare da quella presbiterale afferenti ad una specifica area pastorale e in armonia con le indicazioni diocesane; rende fattiva e reale una rinnovata visione del bene comune nella comunità superando la mentalità ragionieristica e centrata sulla responsabilità autoreferenziale del presbitero per approdare ad una forma di condivisione dei beni secondo lo stile evangelico: scoprire il modo corresponsabile di amministrare vuol dire vivere bene il servizio di comunione che si rende visibile attraverso gesti e forme concrete anche di convivialità, come insegna il libro degli Atti degli Apostoli.
Agenda
Primo appuntamento per le comunità, in particolare dei loro rappresentanti, in questo segmento, grazie al coordinamento dei competenti responsabili degli Uffici diocesani, è una nuova rimodulazione degli obiettivi formativi relativamente alla catechesi per la vita cristiana: si punterà su rinnovate modalità di progettazione diocesana e zonale con lo scopo di elaborare proposte di formazione continua e ricorrente, condivisa a livello diocesano, operando essenzialmente la scelta di strutturare il cammino catechetico in una forma sempre più mistagogica.
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Inoltre, sarà cura dei responsabili dei diversi settori della vita diocesana predisporre nuove modalità di ascolto, di interazione e di verifica delle attività dei vari Consigli per gli affari economici, istituiti obbligatoriamente in ogni parrocchia ai sensi del can. 537 del Codice di diritto canonico per far emergere specifiche esigenze di rinnovamento in ottica sinodale: in vista quindi della II fase del nostro cammino sarà possibile individuare una forma rinnovata della partecipazione dei laici a questa responsabilità, come già il Sinodo dei vescovi del 1971 auspicava, ma aprendo tale ruolo ad una funzione costruttiva in diretto collegamento con il Consiglio pastorale parrocchiale grazie anche all’attuazione dei vigenti regolamenti diocesani.
Meta a cui guardare è l’Assemblea sinodale del mese di giugno 2022, quando i vari settori avranno raccolto per punti sintetici le varie considerazioni e proposte, senza sacrificare nessun aspetto degli elementi emersi, con l’intenzione di approdare ad una valutazione attenta delle scelte operate in questi anni e discutere in circoli distinti le criticità e potenzialità delle varie aree di vita ecclesiale e di intervento pastorale della nostra chiesa diocesana: l’Assemblea sinodale, infatti, non è solo un evento conclusivo, bensì una sosta ritemprante di incontro e di discussione fraterna per mettere a fuoco gli elementi emersi dalla fase dell’ascolto e valutare i criteri del discernimento, non senza una fruttuosa azione rivolta alla nuova forma organizzativa delle nostre comunità, chiamate ad essere fraternità e ad agire in modo sinodale.
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In questa prima fase, quindi, è importante che l’ascolto, grazie all’analisi della situazione, possa far emergere in modo oggettivo le criticità e si possa evidenziare con chiarezza le tipicità delle diverse realtà e comunità diocesane, a cominciare delle parrocchie. Ecco perché il “percorso sinodale” prospetta tappe da raggiungere e da integrare, tenendo in debita considerazione l’elemento valutativo, fondamentale per migliorare la qualità dell’azione pastorale in senso sinodale. La consapevolezza di essere in un territorio di aree interne non poco provato da molte criticità non ci distolga dall’impegno evangelizzatore sinodale.
Alla Trinità, origine della vita della Chiesa e della sua missione nel mondo, nella storia e nella società. affidiamo questo cammino.
O Trinità Santa, unico Dio in tre Persone, ti chiediamo di aiutarci in questo cammino verso la sinodalità, affinché possiamo sperimentare la gioia della comunione, avendo te come fonte e origine di amore e di donazione.
Fa’ che possiamo vivere la bellezza della fatica del confronto, per giungere alla piena consapevolezza della nostra missione nella chiesa e nel mondo, testimoni dell’amore sperimentato nel grembo sorgivo della Chiesa.
Consenti, o Padre, a ognuno di noi e alle nostre comunità quella capacità di ascolto come il tuo Figlio, l’Eterna Parola,
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per giungere a testimoniare con la forza dello Spirito Santo la bellezza della verità e camminare insieme sulla via della vita.
Amen. Teggiano, 4 ottobre 2021 Festa di San Francesco d’Assisi, Patrono d’Italia +padre Antonio De Luca Vescovo di Teggiano-Policastro
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Omelia
Teggiano,
Chiesa di San Martino 17 ottobre 2021
Un ringraziamento a tutti voi per essere riusciti a trovare le opportunità e il tempo e rispondere così all’appello del Santo Padre di ritrovarci questa sera in assemblea eucaristica per dare inizio al percorso sinodale diocesano invocando lo Spirito Santo, “primo dono ai credenti”. Un ringraziamento ai parroci, ai presbiteri, ai diaconi e a voi, operatori sinodali designati in rappresentanza delle vostre comunità; un ringraziamento all’Ufficio diocesano per le comunicazioni sociali, che permette, a chi ha deciso di farlo, di seguirci da casa.
Il Vangelo proclamato questa sera (Mc 10, 35-45), ci presenta una di quelle incomprensioni, non infrequenti, tra Gesù e i suoi discepoli. Una incomprensione che si ripresenta tutte le volte in cui il Maestro parla della Croce. La meta qualifica un gruppo in cammino, e Gesù si guarda bene di non ingannare “i suoi”, chiarisce costantemente l’orizzonte di una destinazione inedita: la croce. Quando Gesù realizza i grandi segni, miracoli e prodigi, c’è sempre un’accoglienza incondizionata, un’esultanza tanto che “cresceva il numero di coloro che ascoltavano la parola”. Ma quando Gesù parla della Croce subentra sempre un senso di inquietudine: il figlio dell’umo deve molto soffrire, essere condannato a morte …. e Pietro con veemenza reagisce al triste destino che attende Gesù a Gerusalemme, «Signore, questo non ti deve accadere mai!». E Gesù pronuncerà per lui quella parola durissima, respingendolo: «Non pensi secondo Dio ma secondo gli uomini». Anche in quella memorabile e ultima notte con i discepoli, «nella quale fu tradito», mentre sta per compiere il più alto gesto di oblatività e di sacrifico con l’istituzione dell’Eucaristia, i discepoli sono suggestionati dal potere e dalla carriera: «Sorse anche una discussione, chi di
APERTURA
DIOCESANA DEL CAMMINO SINODALE
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loro poteva esser considerato il più grande» (Lc 23,24). Così si corre il rischio di vanificare il dono, l’offerta di sé, con una tensione autoreferenziale e narcisistica. Due ambigui dinamismi che distruggono la comunità e conducono fuori dalla logica del Vangelo. Questa sera abbiamo ascoltato che Gesù quasi è costretto a rispondere, all’ambizione forse ingenua e comunque puerile, di questi due fratelli impetuosi, tempestivi nelle aspettative, li chiamavano boanérghes (figli del tuono), vogliono un posto di predilezione affettiva ed amicale con il Maestro: la destra e la sinistra. La risposta di Gesù certamente calma le tensioni che insorgono negli altri discepoli, e tuttavia coglie l’opportunità per una ulteriore chiarificazione sulla vocazione di ogni discepolo: la fedeltà al Maestro e alla sua parola non si misura dalle vicinanze o distanze geografiche, calcoli materiali e inutili, non sono i risultati, le mete raggiunte, i bilanci in attivo, i successi e la brillantezza dei discorsi, ma tutto è una vicenda di cuore, di profondità, di interiorità. Non basta sedere a destra e a sinistra quando poi il cuore è lontano. Nella parabola del padre misericordioso, raccontata dall’evangelista Luca; l’esultanza del padre, per rivedere il figlio di nuovo in casa, è turbata dall’esplicita ostilità del figlio maggiore che in realtà è sempre stato, teoricamente vicino al padre, in realtà è uno con un cuore lontano. Anche il figlio maggiore, materialmente presente accanto al padre, non riesce a coinvolgere il cuore. È una presenza senza passione, senza gioia, tanto che di fronte alla misericordia del padre avrà un moto di ribellione, di rifiuto, resterà fuori.
La collocazione geografica, i nostri posti, le nostre disposizioni, sono relativi a una decisione interiore di fedeltà, di sequela e di primato, quello di Dio. Papa Francesco ricorda «il cammino cristiano non è una rincorsa al successo, ma comincia con un passo indietro, con un decentramento liberatorio, con il togliersi dal centro della vita».
In questi mesi abbiamo condiviso i messaggi, le catechesi, i convegni, sulla natura e sul percorso che ogni Chiesa particolare deve avviare con il Sinodo. Pertanto, un’ulteriore ripetizione potrebbe apparire persino ridondante, invasiva. Papa Francesco ci ha offerto recentemente nell’Omelia per l’apertura del Sinodo dei Vescovi le tre parole che ci
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devono accompagnare: partecipazione, comunione e missione. Vorrei, invece, sottolineare appena tre dimensioni di questo cammino che potrebbero aiutarci in questa fase di percorso sinodale. Questo è il tempo dello Spirito. È il tempo dell’interiorità, è il tempo della profondità. Della riscoperta delle motivazioni profonde e delle alleanze decisive e matura. Quello che noi dobbiamo operare è un percorso di conversione pastorale, ma la conversione pastorale rinvia a una conversione ben più profonda che è la conversione personale. Guai a ridurre questo percorso sinodale a un insieme di scadenze, rappresentanze, organizzazioni. Il cammino sinodale non è cosa di uomini, ma è una faccenda dello Spirito. Ecco perché la vita nello spirito, la spiritualità, è il primo appello che risuona per ciascuno di noi in questo cammino. Questo appello sinodale ci ripropone la rimotivazione di scelte, di operazioni, di indicazioni che vanno ben al di là dell’accoglienza emotiva ed occasionale, di un dialogo formale e superficiale. La spiritualità ci mette in una valutazione globale dei nostri limiti, ma anche del riconoscimento delle nostre opportunità e delle nostre risorse. Innanzitutto, ci apre al salutare discernimento del bene possibile da realizzare qui ed ora!
La seconda dimensione: questo è il tempo di vivere il mistero della Chiesa. Sì, questo è il tempo di Chiesa. È tempo di ricomprendere l’identità, il mistero di comunione della Chiesa, essa «cammina insieme, percorre le strade della vita con la fiaccola del Vangelo accesa. La Chiesa non è una fortezza, non è un potentato, un castello situato in alto che guarda il mondo con distanza e sufficienza … il centro della Chiesa? Non è la Chiesa!» (Papa Francesco). Soprattutto il Papa vuole che la Chiesa riscopra la grande dimensione dell’ascolto. Di chi? Innanzitutto, di Dio! Della parola di Dio, che va ricollocata nella comunità come fonte ispirativa dei nostri giudizi, delle nostre scelte, dei nostri progetti. A nulla servirebbero i nostri ascolti vicendevoli se non riconducono e partono costantemente dalla condivisione sulla parola di Dio. L’ascolto per un cristiano coincide sempre con l’ascolto di Dio e della sua parola dal quale trova spunto e motivazione anche l’ascolto vicendevole, per non ridurre la Chiesa, le aggregazioni, le associa-
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zioni, come un consultorio o un’associazione culturale. L’ascolto irrobustisce anche la nostra obbedienza a Dio che parla. Infine, la terza dimensione: la pazienza. Questo è il tempo della pazienza. «Non è di moda parlare di pazienza. Viviamo in tempi di impazienza. Il nostro stile di vita è diventato frenetico. Vogliamo essere sempre al corrente… » 1. Talvolta noi percepiamo la pazienza come una mera e ineluttabile rassegnazione ai fatti che ci capitano intorno, non è inoperosità né rassegnazione. Il senso biblico della pazienza (macrotymia), coincide con un termine che noi non usiamo frequentemente: la pazienza è lungimiranza. Ecco perché la pazienza è la porta della speranza. Il teologo della speranza, sopra citato, continua: «Senza pazienza la speranza diventa superficiale e si dilegua rapidamente all’apparire dei primi ostacoli. Nella speranza incominciamo qualcosa di nuovo, ma solamente con la pazienza lo manteniamo: solo perseverando nella pazienza la speranza diventa sostenibile. La pazienza è una virtù che impariamo nella speranza. D’altra parte, la pazienza cade nella passività quando si perde la speranza» 22 . Questo tempo di lungimiranza ci mette nell’attesa feconda di rispettare la lentezza degli altri. Questa pazienza biblica ci mette anche nella responsabilità di educarci all’attesa come laboriosità nell’ascolto e non inutile vacuità. Senza essere frettolosi nei giudizi, impietosi nelle valutazioni e rigidi indicatori di fredde pratiche. Questa pazienza fa spazio all’azione di Dio, autore e perfezionatore di tutti i doni. Così, con queste tre dimensioni, possiamo davvero riuscire a non contristare lo Spirito che vive dentro di noi, nelle nostre comunità e nella nostra Chiesa. Il cammino sinodale si snoderà secondo le indicazioni e le modalità che la Segreteria Generale del Sinodo ci offre e che la CEI ci trasmette. Cammineremo con gioia verso il Giubileo del 2025. Noi siamo certi e siamo anche sicuri che non sarà un cammino infruttuoso, ma siamo anche consapevoli che in questa copiosa seminagione non tutto fiorirà. Non tutto riuscirà a prendere quella necessaria consistenza, ma ci
1 J. MOLTMANN, Pazienza, misericordia e solidarietà, Queriniana, 2021.
2 Ibid.
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rimettiamo nelle mani di Dio; perché se attraverso il Magistero del Papa, Dio ci indica questa sfida, questa stagione, siamo disposti a metterci in questo ascolto vicendevole con i giovani, forse troppo lontani dai nostri orizzonti comunicativi e che tuttavia si aspettano una significativa attenzione da parte di noi pastori, ma soprattutto da parte di tutte le comunità. In ascolto della famiglia, sul problema della vita, dei poveri, il disagio della mancata partecipazione alla vita civile, la crisi socio-ambientale-sanitaria, e in questi meandri di realtà siamo chiamati a pronunciare una parola di fiducia, di speranza, di profezia e soprattutto con la gioia di invocare lo Spirito Santo, certi che se lui arriva qualche cosa è costretta ad andar via. Se arriva lo Spirito va via il pessimismo, l’egoismo, l’indifferenza, le chiacchiere inutili e crescerà quel mistero grande che è la comunione, al quale la chiesa risponde per volontà del suo fondatore.
La Beata Vergine Maria, Madre e Regina della Chiesa, ci accompagni, ci sostenga e ci benedica sempre. Sia lodato Gesù Cristo.
+ p. Antonio De Luca
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Messaggio del Vescovo per il Natale
Vi annuncio una grande gioia.
Carissimi, noi cristiani viviamo il cammino di Avvento alimentando la fiduciosa speranza di un futuro nuovo e affidabile. Sappiamo che quest’attesa può avvenire con una persona, Gesù Cristo, il figlio di Dio benedetto, che solo è capace di ridare alle nostre scompaginate esistenze un filo conduttore di senso e di unità. Con gli innumerevoli problemi socio-sanitari e ambientali, potremmo correre il rischio di trasformare le paure in una malattia endemica, rendendola forza negativa di dissuasione da ogni impegno, e tristemente demotivante. Eppure, a Natale risuona il liberante annunzio dell’Angelo: “Vi annunzio una grande gioia…”. Ma quale gioia? La gioia del Natale, quella che consolida la certezza che non siamo soli, che c’è “Dio-con-noi” il quale garantisce forza, sostegno, vigore, amicizia e speranza. Certamente, la gioia annunciata dagli angeli nella notte Santa non coincide con lo stordimento di una spensieratezza e alienante fuga della realtà. La gioia cristiana è Gesù stesso, la sua persona, le sue parole, ma soprattutto la sua prossimità è la fonte della nostra gioia. In questa gioia vi è anche la fonte della nostra santità, il sussulto per un riscatto umano e sociale, pur di fronte alle mille derive che oltraggiano la dignità umana, e delle forme di indifferenza che smentiscono le verità della vita cristiana. A Natale si ripropone una rinnovata visione della persona, delle relazioni, della società, alla luce di un appello etico che illumina “la grandezza della vocazione dei fedeli in Cristo e il loro obbligo di apportare frutto nella carità per la vita del mondo”. Papa Francesco ci richiama costantemente al dovere della solidarietà, tenendo lo sguardo fisso ai più poveri della terra, agli anziani, alle famiglie, ai giovani, a quanti sono in fuga dai loro paesi. Lasciamoci toccare dalla gioia autentica del Natale, gustiamo la bellezza di una intimità con il Divino che ispirò al Dottore della Chiesa, cantore del Natale, Sant’Alfonso Maria de Liguori, le note di alto
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lirismo, ma anche di popolare esultanza, per descrivere l’incontro tra i pastori e Gesù Bambino:
«…Zombanno comm’a ciereve ferute, correttero i pasture a la capanna; là trovajeno Maria co Giuseppe e a gioja mia; e ‘n chillo viso provajeno ‘no muorzo e paraviso!».
La gioia di Natale è gioia di Paradiso, viene dal Messia ed è donata a un popolo, ad una comunità, oggi essa può essere accolta se intraprendiamo i percorsi sinodali di comunione, partecipazione e di missione, per non vivere nella solitudine le inedite sfide che siamo chiamati ad affrontare. Questa è l’occasione per ricominciare con gioia a creder e ad impegnarci per condividere le sorti del mondo e della storia. Auguri di un Santo Natale!
25 dicembre 2021 + p. Antonio De Luca
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CURIA
Accogliere e scambiare il dono della pace nota dell’Ufficio Liturgico diocesano
Da Domenica 14 febbraio 2021 (VI del Tempo Ordinario), i Vescovi italiani hanno deciso di ripristinare un gesto con il quale ci si scambia il dono della pace, invocato da Dio durante la Celebrazione Eucaristica.
La stretta di mano o l’abbraccio, indicati come modo ordinario per lo scambio della pace (Precisazioni CEI, 9), vennero sospesi un anno fa al fine di assumere le misure precauzionali previste per il contenimento del contagio da SARS-CoV-2, evitando il contatto diretto tra le persone.
I Vescovi hanno quindi stabilito che “in questo tempo può essere sufficiente e più significativo guardarsi negli occhi e augurarsi il dono della pace, accompagnandolo con un semplice inchino del capo. All’invito «Scambiatevi il dono della pace», volgere gli occhi per intercettare quelli del vicino e accennare un inchino, secondo i Vescovi, può esprimere in modo eloquente, sicuro e sensibile, la ricerca del volto dell’altro, per accogliere e scambiare il dono della pace, fondamento di ogni fraternità. Là dove necessario, si potrà ribadire che non è possibile darsi la mano e che il guardarsi e prendere “contatto visivo” con il proprio vicino, augurando: «La pace sia con te», può essere un modo sobrio ed efficace per recuperare un gesto rituale”. La ripresa di questo gesto liturgico sarà l’occasione per approfondire e mettere in luce il vero significato del rito e dello scambio della pace, compierlo con senso religioso e sobrietà, moderare le sue espressioni non poche volte eccessive che suscitano confusione nell’assemblea liturgica proprio prima della Comunione.
A tal riguardo suggeriamo alcuni testi utili: 1.Ordinamento Generale del Messale Romano
Rito della pace
82.Segue il rito della pace, con il quale la Chiesa implora la pace e
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l’unità per se stessa e per l’intera famiglia umana, e i fedeli esprimono la comunione ecclesiale e l’amore vicendevole, prima di comunicare al Sacramento. Spetta alle Conferenze Episcopali stabilire il modo di compiere questo gesto di pace secondo l’indole e le usanze dei popoli. Conviene tuttavia che ciascuno dia la pace soltanto a chi gli sta più vicino, in modo sobrio. (Messale Romano 2020, Pag. XXVII);
Liturgia Eucaristica
154.Quindi il sacerdote, con le braccia allargate, dice ad alta voce la preghiera: Signore Gesù Cristo; terminata la preghiera, allargando e ricongiungendo le mani, annuncia la pace, dicendo verso il popolo: La pace del Signore sia sempre con voi. Il popolo risponde: E con il tuo spirito. Poi, secondo l’opportunità, il sacerdote soggiunge: Scambiatevi il dono della pace. Il sacerdote può dare la pace ai ministri, rimanendo tuttavia sempre nel presbiterio, per non disturbare la celebrazione. Così ugualmente faccia se, per qualche buon motivo, vuol dare la pace ad alcuni fedeli. Tutti però, secondo quanto è stabilito dalla Conferenza Episcopale, si manifestano reciprocamente pace, comunione e carità. Quando si dà la pace, si può dire: La pace del Signore sia sempre con te, a cui si risponde: Amen. (Messale Romano 2020, Pag. XXXIII);
2.OGMR – Precisazioni CEI
9.Segno di pace (cf. OGMR 82) Con il rito della pace «la Chiesa implora la pace e l’unità per se stessa e per l’intera famiglia umana, e i fedeli esprimono la comunione ecclesiale e l’amore vicendevole, prima di comunicare al Sacramento» (OGMR 82). La Conferenza Episcopale Italiana stabilisce che il modo ordinario per lo scambio della pace sia la stretta di mano o l’abbraccio. «Conviene tuttavia che ciascuno dia la pace soltanto a chi gli sta più vicino, in modo sobrio» (OGMR 82). Non è consentito introdurre un canto che accompagni lo scambio di pace (cf. Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina
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dei Sacramenti, Lettera circolare L’espressione rituale del dono della pace nella Messa, 8 giugno 2014). Quando si dà la pace, si può dire: La pace del Signore sia con te, a cui si risponde: E con il tuo spirito. (Messale Romano 2020, Pag. LIII);
3. Messale Romano - Rito Della Messa con il Popolo Poi, secondo l’opportunità, il diacono, o il sacerdote, aggiunge: Scambiatevi il dono della pace (Messale Romano 2020, pag. 447);
4.Sacramentum Caritatis - N. 49 Scambio della Pace Esortazione apostolica postsinodale di Benedetto XVI, 22 febbraio 2007 (http://www.vatican.va/content/benedict-xvi/it/apost_exhortations/documents/hf_ben-xvi_exh_20070222_sacramentum-caritatis.html);
5.L’espressione rituale del dono della pace nella Messa Lettera circolare della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, 8 giugno 2014 in Direttorio Liturgico-Pastorale della Diocesi di Teggiano-Policastro, pag. 187 (https://drive.google.com/file/d/0B-bUyhxzchsmNU9tSVJnem5od3c/view?usp=sharing).
5 febbraio 2021
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Visita ai luoghi di culto e celebrazioni in zona rossa
Con Ordinanza del Ministero della Salute la Regione Campania è stata inserita in zona rossa a partire da lunedì 8 marzo p.v..
L’ultimo DPCM, firmato dal Presidente Draghi il 2 marzo scorso, regola le tre fasce di criticità e per quanto riguarda le Celebrazioni, precisa che: “L’accesso ai luoghi di culto avviene con misure organizzative tali da evitare assembramenti di persone, tenendo conto delle dimensioni e delle caratteristiche dei luoghi, e tali da garantire ai frequentatori la possibilità di rispettare la distanza tra loro di almeno un metro” (art. 12 comma 1).
Come già nei precedenti DPCM viene chiarito che le Celebrazioni con la partecipazioni del popolo si svolgono nel rispetto del protocollo sottoscritto dal Governo e dalla Conferenza Episcopale Italiana, integrato con le successive indicazioni del Comitato tecnicoscientifico (art. 12 comma 2).
Pertanto, non ci sono cambiamenti circa la visita ai luoghi di culto e la partecipazione alle Celebrazioni: entrambe sono sempre permesse, in condizioni di sicurezza e nella piena osservanza delle norme. Per utilità dei fedeli alleghiamo un modello di autodichiarazione da utilizzarsi per la partecipazione alle Celebrazioni o recarsi in un luogo di culto per la preghiera personale.
8 marzo 2021
Massimo La Corte Ufficio diocesano per le comunicazioni sociali
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Settimana Santa in tempo di pandemia nota dell’Ufficio Liturgico Diocesano
Lo scorso 24 febbraio la Conferenza Episcopale Italiana, a seguito della nota della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti del 17 febbraio u.s., ha pubblicato gli Orientamenti per la Settimana Santa 2021. Di seguito alcune note esplicative, per l’applicazione degli Orientamenti nella nostra Diocesi.
1.Si sottolinea e ribadisce, innanzitutto, la necessità che i fedeli partecipino in presenza alle celebrazioni liturgiche nel rispetto della normativa riguardante gli spostamenti sul territorio e delle misure precauzionali contenute nel Protocollo CEI-Governo Italiano. Solo dove strettamente necessario o realmente utile, si favorisca l’uso dei social media per la trasmissione delle Celebrazioni. L’eventuale ripresa in streaming sia in diretta e mai in differita e venga particolarmente curata nel rispetto della dignità del rito liturgico. I fedeli impossibilitati a frequentare la propria chiesa potranno seguire le celebrazioni che i media cattolici trasmetteranno in diretta a partire da quelle presiedute dal Santo Padre.
2. Domenica delle Palme: Passione del Signore
La “Commemorazione dell’Ingresso del Signore in Gerusalemme” con la benedizione dei rami, dove si prevede una notevole affluenza di fedeli, tenuto conto dei posti disponibili in chiesa, si potrà tenere anche in altre Messe del giorno o nel pomeriggio della vigilia. Il rito si svolga all’interno della chiesa, nella “seconda forma: ingresso solenne” prevista dal Messale Romano (pag. 123), evitando che i fedeli si muovano dal loro posto e limitando la processione, dall’ingresso al presbiterio, ai soli celebranti e ministranti. Qualora non fosse possibile, per la conformazione del luogo sacro o altre ragioni oggettive, si utilizzerà la “terza forma: ingresso semplice”. Non è permesso l’uso della “prima forma: processione”, che
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comporta un tragitto a partire dall’esterno dell’edificio sacro. Ogni fedele potrà portare con sé il ramo di ulivo o di palma. Non è consentita la consegna o lo scambio dei ramoscelli. Eventuali Celebrazioni all’aperto andranno concordate ed autorizzate dalle autorità civili competenti. Si tenga comunque presente che, anche nel caso di Celebrazioni all’aperto, il Parroco è responsabile dell’attuazione delle norme di sicurezza e anticontagio.
3. La Messa crismale
Sarà presieduta dal Vescovo, nella Cattedrale di Teggiano, mercoledì 31 marzo alle ore 17:00.
A motivo delle attuali restrizioni la partecipazione dei presbiteri, dei diaconi e dei fedeli dovrà essere necessariamente contingentata, secondo un criterio di rappresentanza, ma tutti, sacerdoti e fedeli, potranno seguire la Celebrazione tramite la pagina Facebook della Diocesi.
Compatibilmente con le possibilità delle singole Parrocchie si suggerisce, come segno di unità, di organizzare la visione comunitaria della Messa Crismale, predisponendo dove possibile un maxischermo in Chiesa.
Per evitare ogni possibile confusione nei fedeli si spieghi che non si tratta di partecipare in senso stretto alla Celebrazione ma, considerate le restrizioni causate dalla pandemia, è un modo per seguire unendosi spiritualmente al Vescovo e alla Chiesa diocesana. Per questi motivi è vietata la distribuzione della Comunione durante la trasmissione.
Gli Oli santi, preparati nelle bottigliette di plastica per il trasporto, saranno affidati unicamente ai Vicari Foranei, che organizzeranno la consegna alle Parrocchie del loro territorio.
4. Giovedì Santo
La lavanda dei piedi nella Messa “in Coena Domini” si omette. Sarà omessa, dove è consuetudine, anche la benedizione e la distribuzione del pane.
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È consentito allestire, in modo sobrio e nel rispetto delle norme liturgiche, l’altare della reposizione, a condizione che vi sia lo spazio necessario ad evitare assembramenti. Non è permessa la processione da una chiesa all’altra. Dove non è possibile allestire l’altare della riposizione nel rispetto delle norme liturgiche e sanitarie si usi il tabernacolo abituale. Per l’adorazione dopo la Celebrazione e per la chiusura della chiesa si considerino gli orari del coprifuoco.
5. Venerdì Santo
Nella celebrazione della Passione, l’atto di adorazione della Croce mediante il bacio sarà compiuto solo dal presidente della celebrazione. I fedeli si uniranno dal proprio posto, con il gesto personale del genuflettersi, senza alcuna processione. Nella preghiera universale sarà aggiunga l’orazione per i tribolati predisposta dalla CEI “per chi si trova in situazione di smarrimento, i malati, i defunti”. Ecco il testo: X.Per i tribolati: Preghiamo, fratelli carissimi, Dio Padre onnipotente, perché liberi il mondo dalle sofferenze del tempo presente: allontani la pandemia, scacci la fame, doni la pace, estingua l’odio e la violenza, conceda salute agli ammalati, forza e sostegno agli operatori sanitari, speranza e conforto alle famiglie, salvezza eterna a coloro che sono morti.
Preghiera in silenzio. Poi il sacerdote dice: Dio onnipotente ed eterno, conforto di chi è nel dolore, sostegno dei tribolati, ascolta il grido dell’umanità sofferente: salvaci dalle angustie presenti e donaci di sentirci uniti a Cristo, medico dei corpi e delle anime, per sperimentare la consolazione promessa agli afflitti. Per Cristo nostro Signore. Dopo la celebrazione, il Crocifisso dovrà essere esposto in modo che non possa essere toccato e baciato. Non sono consentite, in nessuna forma e anche nei giorni successivi, processioni o altre espressioni della pietà popolare all’esterno della chiesa.
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6. Veglia Pasquale
La Veglia pasquale potrà essere celebrata in tutte le sue parti come previsto dal rito, in orario compatibile con il coprifuoco. Nel rispetto del suo carattere proprio, sia celebrata una sola Veglia in ogni Parrocchia.
Non è consentita la processione dei fedeli dopo l’accensione del Cero. Come negli altri riti della Settimana Santa, i fedeli parteciperanno ai vari momenti senza muoversi dal proprio posto. Particolare attenzione si ponga all’osservanza delle norme sanitarie nella distribuzione e nell’utilizzo delle candele nel “Lucernario” e poi nella “Liturgia battesimale”.
Non è consentita la distribuzione, in qualsiasi forma, delle boccette con l’acqua benedetta alle famiglie.
Le indicazioni offerte sono state preparate tenendo presente la situazione attuale e i decreti e le ordinanze vigenti al momento. Sarà cura dei parroci tenersi informati su possibili ulteriori restrizioni che dovessero essere disposte dalle autorità civili.
Con l’occasione si ricorda che dalla prossima domenica di Pasqua, 4 aprile 2021, diventerà obbligatorio in tutte le parrocchie italiane l’utilizzo della terza edizione italiana del Messale Romano. 19 marzo 2021
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ANTONIO DE LUCA
PER GRAZIA DI DIO E DELLA SEDE APOSTOLICA VESCOVO DI TEGGIANO-POLICASTRO
Prot. 6/2021
DECRETO
Il Consiglio Pastorale Diocesano, costituito a norma dei cann. 511-514 del C.J.C., perché possa meglio espletare il suo servizio, viene dotato del seguente
STATUTO DEL CONSIGLIO PASTORALE DIOCESANO NATURA E SCOPO
ART. 1
Il Consiglio Pastorale Diocesano è l’organo collegiale, di natura consultiva, costituito sulla base delle varie componenti soggettive della Diocesi di Teggiano-Policastro, al quale spetta, sotto l’autorità del Vescovo, studiare, valutare e proporre conclusioni operative in merito alle attività pastorali della Diocesi (can. 511).
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ART. 2
Il Consiglio Pastorale Diocesano è espressione istituzionale della partecipazione di tutti i fedeli, di qualunque stato canonico, alla missione della Chiesa e si adopera affinché in esso possano trovare risonanza ed integrazione tutte quelle voci presenti nel popolo di Dio ed in modo particolare le istanze dei poveri e di quanti non hanno voce.
COMPOSIZIONE
ART. 3
Il Consiglio Pastorale Diocesano è composto da fedeli in piena comunione con la Chiesa cattolica, sia chierici, sia consacrati, sia soprattutto laici (can. 512 § 1); essi devono distinguersi per fede sicura, buoni costumi e prudenza (can. 512 § 3).
ART. 4
Ai fini di una vera rappresentanza di tutta la Chiesa di TeggianoPolicastro, tenuto conto delle diverse zone della Diocesi stessa, delle condizioni sociali, delle professioni e del ruolo dei fedeli nell’apostolato, sia come singoli che come associati (can. 512 § 2), membri del Consiglio Pastorale Diocesano sono:
- il Vicario generale;
- i Vicari episcopali;
- tre presbiteri, nominati dal Vescovo, uno per ciascuna Zona Pastorale (Policastro-Camerota, Vallo di Diano, Alburni-Fasanella);
- il Direttore della Caritas diocesana; - il Direttore dell’Ufficio di Pastorale Giovanile e Vocazionale; - il Direttore dell’Ufficio diocesano Scuola e IRC;
- il responsabile del Servizio Informatico diocesano per le Comunicazioni Sociali;
- un diacono permanente;
- un religioso designato dal Segretario diocesano per i religiosi;
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- tre religiose designate dalla Segreteria diocesana USMI;
- i Segretari presbiteri e/o diacono delle Foranie e i Segretari laici dei Consigli Pastorali Foraniali;
- i laici e i presbiteri designati dal Consiglio Pastorale Foraniale per gli ambiti Famiglia, Pastorale Giovanile e Vocazionale, Carità e Servizio Ecclesiale;
- quattro rappresentanti dell’ambito Scuola, nominati dal Vescovo, nello specifico un Dirigente scolastico, un Insegnante di religione in rappresentanza della Scuola primaria, due Insegnanti di religione in rappresentanza della Scuola secondaria;
- il Presidente diocesano dell’Azione Cattolica;
- un rappresentante designato dalle Associazioni e dai Movimenti presenti in Diocesi.
ART. 5
§1 Il Consiglio Pastorale Diocesano è un organismo permanente ed ha la durata di cinque anni. I membri designati a farne parte possono essere scelti anche per un secondo quinquennio.
§2 Se un membro, facente parte del Consiglio Pastorale Diocesano a qualunque titolo, cessa di esserlo per qualche motivo, il rispettivo organismo designerà un altro membro che durerà in carica fino alla scadenza del Consiglio Pastorale Diocesano.
ART. 6
Ciascun membro del Consiglio Pastorale Diocesano è chiamato a partecipare fedelmente e attivamente alle riunioni, nonché interessarsi agli argomenti pastorali previsti all’ordine del giorno. Chi risultasse assente alle riunioni per tre volte consecutive senza dovuta giustificazione decade dall’incarico.
ART. 7
I singoli Consiglieri decadono dall’incarico per:
• dimissioni motivate e presentate per iscritto al Vescovo;
• cessazione dell’incarico per i membri di diritto;
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• trasferimento in altra Diocesi;
• assenza non giustificata a tre sessioni consecutive;
• altre cause previste dal diritto.
ORGANI DEL CONSIGLIO PASTORALE DIOCESANO
ART. 8
Gli organi del CPD sono:
• l’Assemblea;
• il Segretario;
• le Commissioni.
ART. 9
§1 L’Assemblea è composta da tutti i membri del Consiglio Pastorale Diocesano e si riunisce in sessione ordinaria due volte l’anno secondo il calendario stabilito dal Vescovo.
§2 L’assemblea si riunisce in sessione straordinaria ogni qual volta il Vescovo lo ritenga opportuno o su richiesta, per mezzo del Segretario, da parte di almeno un terzo del Consiglio Pastorale Diocesano.
ART. 10
L’Assemblea è validamente costituita con la presenza della maggioranza assoluta dei Consiglieri. Se non si raggiungesse il numero per la valida costituzione, l’Assemblea può proseguire con l’autorizzazione del Vescovo.
ART. 11
Spetta unicamente al Vescovo diocesano, secondo le necessità dell’apostolato, convocare e presiedere il Consiglio Pastorale Diocesano (can. 514). A tal fine egli può dare specifico mandato perché la lettera di convocazione sia redatta dal Segretario del Consiglio Pastorale Diocesano.
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ART. 12
La convocazione accompagnata dall’ordine del giorno deve essere comunicata a ciascun Consigliere almeno quindici giorni prima della data stabilita. L’invito alla sessione può avvenire anche a mezzo di posta elettronica.
ART. 13
§1 L'ordine del giorno è stabilito dal Vescovo, sentito il Segretario, oppure è approvato dal Vescovo su proposta della Segretario.
§2 Ogni Consigliere può presentare per iscritto al Segretario argomenti da trattare ed egli valuterà l'opportunità di inserirli nell'ordine del giorno da proporre al Vescovo.
ART. 14
Il Segretario è nominato dal Vescovo e a lui spetta:
• redigere i verbali dell'Assemblea;
• inviare ai Consiglieri l'avviso di convocazione, con l'ordine del giorno e la documentazione illustrativa;
• mantenere aggiornato l'elenco dei Consiglieri e registrarne le presenze;
• conservare gli atti e i documenti, garantendone l'autenticità;
• stilare e diramare i comunicati d’informazione, con l’ausilio del responsabile del Servizio Informatico diocesano per le Comunicazioni Sociali.
ART. 15
§1 Il Consiglio Pastorale Diocesano per lo studio di determinate questioni si avvale delle Commissioni pastorali diocesane oppure delibera la costituzione di Commissioni ad acta.
§2 Il numero dei componenti di ciascuna Commissione, le modalità della loro designazione e la durata del mandato sono decisi dall’Assemblea, con l’assenso del Vescovo. Spetta al Segretario il coordinamento del lavoro delle Commissioni.
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