ANNO V, n.48 Maggio 2016
L’ecologia integrale secondo Francesco Celebrato il referendum, rimane la questione ecologica. Intanto, si potrebbe accogliere il suggerimento che Romano Prodi ha proposto di destinare «tutte le risorse che arriveranno dalla continuazione dei proventi derivanti dagli attuali giacimenti per incentivare la ricerca, la produzione e la conservazione delle energie rinnovabili» (“Il Messaggero”, 3 aprile 2016, p. 20). Ciò che occorre è delineare una visione generale che diventi un punto di riferimento e di orientamento per il futuro. Non siamo all’anno zero. Il tema ecologico era stato affrontato a livello scientifico già nel 1972 con la ricerca di D.H. Meadows-D. L. Meadows-J. Randers-W.W. Beeherens III, I limiti dello sviluppo. In una successiva ripresa, gli stessi autori avevano scritto un altro libro, Oltre i limiti dello sviluppo (1993). E nel 2004, avevano pubblicato una nuova ricerca, I nuovi limiti dello sviluppo. La salute del pianeta nel terzo millennio. In ambito ecclesiale, vanno richiamati i riferimenti presenti in alcuni testi di san Giovanni Paolo II: Sollicitudo rei socialis, 34; Centesimus Annus, 38; Catechesi del 17 gennaio 2001. Anche Benedetto XVI aveva affrontato la questione nei nn. 48.-52 di Caritas in veritate (2009). In questa linea può essere utile ripartire dall’enciclica di Papa Francesco Laudato si’ (in sigla LS). Di essa intendo mettere in evidenza la prospettiva complessiva, senza entrare nel merito delle singole questioni. Il pensiero di Papa Francesco può essere riassunto con il sostantivo “conversione” e con l’aggettivo “integrale”. Prendiamo in considerazione i due aspetti. La gravità del problema ecologico esige che non vi siano più rinvii e facili approssimazioni perché, secondo il Papa, “tutto è connesso” (LS 117) e “tutto è in relazione” (LS 120). In altri termini, occorre promuovere una prospettiva che consideri la questione in modo globale perché “non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola complessa crisi socio-ambientale” (LS 139). A ben vedere, “la crisi ecologica è un
emergere o una manifestazione esterna della crisi etica, culturale e spirituale della modernità” (LS 119). Proprio per questo, il Papa parla della necessità di una “conversione ecologica” (LS 216-221). La parola “conversione” ha una triplice accezione: filosofica, teologica ed etica. Platone, nel dialogo Repubblica VII 518c-d, utilizza i termini periagoghe e metastrophe per indicare colui che volge la testa e i suoi occhi da un’altra parte. In tal senso, convertirsi vuol dire voltare le spalle alle apparenze immediate (e ai facili guadagni!) e prestare attenzione a ciò che rimane ed ha valore oltre il sensibile. In senso teologico, conversione ha un triplice significato: per l’Antico Testamento vuol dire tornare indietro e rifare il cammino per incontrare Dio (shub); per il Nuovo Testamento significa guardare con attenzione per vedere la reale presenza di Dio (epistrephein) e, per questo, cambiare i propri parametri di riferimento e di giudizio (metanoein). Da queste considerazioni filosofiche e teologiche discende il significato etico del termine. In questo caso, convertirsi significa evitare il male e agire secondo giustizia e verità, mettendo in atto comportamenti virtuosi. Tutti questi significati entrano in gioco quando si parla di “conversione ecologica”. In sostanza, per affrontare il tema ecologico, oltre agli aspetti tecnici ed economici, occorre prospettare una nuova visione filosofica, un nuovo sguardo religioso, una nuova responsabilità etica. A questo punto, si apre un discorso piuttosto complesso perché bisognerebbe discutere il rapporto tra natura e società e tra natura e cultura per non cadere nella deriva di un “antropocentrismo deviato” e di un ecologismo che finisce per trasformarsi in biocentrismo (cfr. LS 118). Ovviamente, non è questo il luogo per dibattere temi così ardui. Basta solo affermare che occorre sviluppare «una nuova sintesi che superi le false dialettiche degli ultimi secoli” (LS 121), il cui punto fondamentale può essere formulato nel modo seguente: “Non c’è ecologia senza un’adeguata antropologia” (LS 118). Chiarito, almeno in parte, il senso della locuzione “conversione ecologica”, si può accennare alla proposta di una ecologia “integrale”. Il riferimento è all’immagine del poliedro, che l’esortazione apostolica di Papa Francesco Evangelii gaudium (EG 236) addita come un modello «che riflette la confluenza di tutte le parzialità che in esso mantengono la loro originalità» e che il successivo “Discorso all’incontro mondiale dei movimenti popolari” (28 ottobre2014) assume come raffigurazione plastica del principio dell’integrazione: «Nulla si dissolve, nulla si distrugge, nulla si domina, tutto si integra». Si noti che la parola “integrazione” è stata usata dal Papa anche nell’esortazione Amoris laetitia in riferimento alle situazioni dei divorziati risposati. Pertanto essa va intesa in un’accezione ampia già espressa da J. Maritain in Umanesimo integrale. Se si fa riferimento alla questione ecologica, l’aggettivo “integrale” richiama l’idea di integralità rispetto alla persona e all’ambiente e di integrazione delle differenti prospettive ecologiche. Pertanto, l’ecologia integrale dovrà coniugare insieme ecologia ambientale, sociale ed economica (cfr. LS 139-142), ecologia culturale (cfr. LS 143-146), ecologia della vita quotidiana (cfr. LS 147-155), ecologia secondo il principio del bene comune umana (cfr. LS 156-158), ecologia secondo il principio della giustizia tra le generazioni (159-162). Come si vede, si tratta di una prospettiva ampia e di largo respiro che riguarda l’intera vita dell’uomo nella sua dimensione personale e relazionale, in riferimento a se stesso, agli altri uomini, alla società, all’ambiente. In questa visione, sono implicati una molteplicità di temi, al fondo dei quali vi è un principio generale: non si può essere ecologisti nei riguardi dell’ambiente e individualisti nei temi etici che riguardano l’uomo e la società. In altri termini, non si può difendere l’ambiente e, nello stesso tempo, professare una “cultura dello scarto” nei riguardi dei poveri e dei deboli in tutti i settori della vita umana. A tal proposito, il Papa scrive: “È preoccupante che alcuni movimenti ecologisti difendano l’integrità dell’ambiente, e con ragione reclamino dei limiti alla ricerca scientifica, mentre a volte non applicano questi medesimi principi alla vita umana” (LS 136). E così, da una parte si mostra attenzione alla salvaguardia del territorio e al rispetto degli animali, dall’altra ci si impegna con tutte le forze, intellettuali e legali, a proporre una cultura che giustifica l’aborto (cfr. LS 120) e propone di cancellare la differenza sessuale (cfr. LS 155). Forse queste ultime considerazioni potranno non essere condivise da tutti. Nella visione di una ecologia integrale, però, “tutto si tiene”: l’ecologia è insieme umana, sociale e ambientale. In altri termini, o l’ecologia è integrale e tocca anche l’umano o non è vera e piena ecologia. Parola di Francesco.
+ Vito Angiuli Vescovo di Ugento- S. Maria di Leuca
di Mons. Vito Angiuli Dopo aver ringraziato il direttore della “Gazzetta”, ora ringrazio Fabiano Amati per il suo intervento. Tralascio di soffermarmi su alcune questioni di stile e di parole. Potrei, ad esempio, far rilevare che parlare del cristianesimo come “anima” o come “radice” dell’Europa è cosa su cui si può argomentare, ma non è il punto fondamentale che si voleva mettere in evidenza. Si potrebbe anche discutere se sia più significativa la parola “anima” o il termine “radice”. Anche in questo caso, la sostanza del discorso non cambierebbe. D’altra parte, rilevo che mentre Fabiano Amati utilizza la parola “radice”, il titolo dell’articolo riprende la parola “anima”. So bene che i titoli sono redazionali, ma devo constatare che la Redazione della “Gazzetta” ritiene essere più appropriata la parola “anima”. Non discuto nemmeno sulla lezione di storia della Chiesa e sulla dottrina cristiana che Fabiano Amati ha ritenuto di dover impartire. Un articolo, non è un libro. Si deve necessariamente dire l’essenziale. Non condivido, ma accolgo anche la critica circa «il parlare altrettanto pigro, fiacco e imbarazzato di molti ministri cristiani, dediti a predicazioni omissive ed edulcorate sulle fonti della nostra civiltà anziché seguendo la regola di “ingaggio” della nettezza. Contegni insufficienti per contrastare l’imposizione dell’apostasia. L’allontanamento da ciò che ci ha plasmato come italiani ed europei». Attenendomi all’invito che Papa Francesco ha rivolto a non essere un “Vescovo-pilota”, ma un Vescovopastore, voglio ricordare che il cristianesimo propone non solo un dogma e una dottrina, ma anche un’etica. E questa si articola sul piano personale, familiare e sociale. Non è il caso che io illustri a Fabiano Amati quali siano i punti fondamentali della morale cristiana dal momento che egli dimostra di conoscere i contenuti e di volersi attenere ad essi scrupolosamente. Pertanto, visto che egli desidera che si parli con “nettezza”, gli chiedo quale sia la sua opinione di uomo e di politico cristiano circa i temi dibattuti recentemente sulle unioni civili, la maternità surrogata, la stepchild adoption. Egli conosce bene la posizione della Chiesa su queste questioni. E credo la condivida. Se, però, questi temi dovessero sembrare troppo scabrosi, potrei chiedere cosa pensa dell’aborto visto che nel Catechismo della Chiesa Cattolica sta scritto: «Fin dal primo secolo la Chiesa ha dichiarato la malizia morale di ogni aborto procurato. Questo insegnamento non è mutato. Rimane invariabile. L’aborto diretto, cioè voluto come un fine o come un mezzo, è gravemente contrario alla legge morale» (CCC n. 2271). Chiedo anche se egli sia disponibile a parlare con “nettezza” di questi temi etici all’interno del suo partito, impegnandosi anche a rivedere la legislazione civile. Nella mia qualità di Presidente della Commissione Episcopale per il Laicato (organismo della Conferenza Episcopale Italiana), non posso non rallegrarmi della fierezza cristiana di cui Fabiano Amati fa professione nel suo articolo fino al punto da sostenere, senza infingimenti, che «è la cultura occidentale ad identificarsi nel cristianesimo, anche a costo di irritare una nuova categoria di intolleranti: i religiosi della laicità, cioè coloro che vogliono trasformare un metodo (la laicità) in una festa di precetto». Devo interpretare queste parole come il segno di un rinnovato desiderio di protagonismo da parte dei laici e dei politici cristiani? un protagonismo vissuto “nel secolo”, non nelle “sacrestie”, nella vita e non solo nei dibattiti, nell’impegno concreto e non solo nelle
discussioni culturali; un protagonismo, non scritto solo sui giornali, ma attuato concretamente nella famiglia, nell’educazione dei figli, nella professione, nell’azione politica, nella pratica amministrativa, nell’ordinamento civile, nella promozione di leggi giuste? La rivendicazione pubblica, proposta da Fabiano Amati sulla “Gazzetta del Mezzogiorno”, circa la necessità di una maggiore coerenza con la fede e la morale cristiana traccia una promettente linea di indirizzo per un nuovo protagonismo dei laici cristiani in Italia e in Europa, dal momento che egli ritiene che «tutta la civiltà occidentale si fonda sul dogma e sulla dottrina cristiana. Inseriti nella continua tensione tra religione e politica finirono per far avanzare la nostra libertà e soprattutto la nostra libertà». Rimane, però, sempre la domanda sul perché l’Europa, nei suoi trattati costitutivi, abbia deliberatamente messo da parte il cristianesimo (che Fabiano Amati definisce “religione di liberazione”) se esso è la “radice” (accolgo la parola!) dell’Europa? Stando così le cose, i politici cristiani si impegneranno a far ritornare l’Europa sui suoi passi, anche a costo di andare incontro al “martirio”? Altrimenti, un’Europa “senza radici”, sarà anche un’Europa senza futuro. Una responsabilità, questa, che ricadrà su tutti. Non solo sui “Vescovi reticenti”, ma anche sui “laici disimpegnati”.
Intervento pubblicato sulla “Gazzetta del Mezzogiorno”, lunedì 4 aprile 2016, p. 13.
Intervista a Mons. Vito Angiuli Vescovo di Ugento-S.Maria di Leuca. “Quotidiano di Lecce” - giovedì 21 aprile 2016
IL VESCOVO DI UGENTO VITO ANGIULI NON PROLUNGAMEWNTO DELLA STAZIONE DELLA FEDE. “Meta di pellegrinaggio. E ci sono le prove” La questione è seria, sicchè se ne occuperà il neonato “Parco Culturale Ecclesiale del Capo di Leuca – de finibus terrae, presentato a fine febbraio a Roma nell’ambito di un progetto nazionale che ha come obiettivo la messa in rete e la valorizzazione innovativa dei beni ecclesiastici italiani con netwwork coordinato da un tavolo di lavoro presso l’ Ufficio nazionale per la pastorale del turismo, dello libero e sport della Cei. “E’ per dare un’anima alla nostra estate” ha spiegato a Roma don Gionatan De Marco raccontando le motivazioni di un progetto concepito sei anni fa dalla Diocesi di Ugento – Santa Maria di leuca, il cui pastore, Mons. Vito Angiulinon ha dubbi: “ la presenza del Salento nel cammino ufficiale della via Francicena è una questione seria. Da approfondire, se non altro”.
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DUBBI
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Escludere dunque la provincia di Lecce dal tragitto dei pellegrini è un errore storico, monsignor Angiuli. “E’ una questione che merita di essere approfondita, studi scientifici alla mano. Perché le testimonianze circa l’importanza di Santa Maria di Leuca come meta di pellegrinaggi ci sono, e sono scientifiche. Si impone dunque una riflessione più incisiva sulla questione”. Testimonianze storiche, tradizione religiosa – che vuole San Pietro sbarcato nel suo cammino dall’Oriente a Roma – e poi? “ E poi un argomento di solida attualità e di stringente evidenza il Santuario di Santa Maria di Leuca è nel cuore del bacino mediterraneo, Leuca è punto di passaggio tra Europa e Oriente e tappa obbligatoria verso Gerusalemme. Quindi il Salento c’entra, con la via Francigena, ed è un fatto pure simbolico. Tutto questo a mio parere, non è stato sufficientemente portato a conoscenza del Consiglio d’Europa per consentirgli di pronunciarsi a ragion
veduta; non credo insomma che ci sia stata una volontà esplicita di danneggiare il Salento escludendo dal tracciato. Il fatto che il cammino ufficiale della Via Francigena ricomprenda adesso anche Brindisi, in questo senso è un fatto positivo per tutti. Però, ripeto, si può riconsiderare meglio, dal punto di vista storico e religioso, la possibilità di conteplare anche il Salento in questo tracciato” Abbiamo detto del Santuario di Leuca, ma la Provincia di Lecce offriva all’uomo medioevale molte altre occasioni di pellegrinaggio… “Certamente, per esempio, la Chiesa di Casaranello a Casarano, quella di San Giovanni a Patù, la chiesa di San Pietro a Giuliano…Ecco, io credo che andrebbe approfondita l’analisi dell’importanza di questi insediamenti religiosi nell’ambio dei cammini della fede e della storia complessiva del territorio. Le chiese che le ho citato, d’altronde, risalgono tutte al
1100-1200,e San Giovanni, secondo alcuni storici, addirittura al sesto-settimo secolo dopo Cristo…” Si impone dunque un ripensamento complessivo della storia religiosa della Provincia di Lecce, a questo punto. “Assolutamente si, e questo sta già accadendo. Ci sono già molti studiosi su questo fronte, poi bisognerà avere la pazienza di mettere insieme tutte le loro ricerche. Noi dal canto nostro stiamo già lavorando con il Parco Culturale Ecclesiastico del Capo di Leuca, finalizzato proprio a incrementare la devozione verso il santuario mariano e a valorizzare tutti i luoghi protagonisti della tradizione religiosa di questo avamposto conclusivo della Pugliese e dell’Europa. Il materiale storico per fare tutto questo, ripeto,c’è. Va solo messo in relazione. Ma io sono fiducioso, al riguardo” Leda Cesari
QUANDO E’ LA VITA A DIVENTARE CULTO Quando si guarda alla figura di un vescovo non si può trascurare di considerare l’esercizio delle funzioni ad esso proprie conferite mediante il sacramento dell’ordine. Costituiti pastori del popolo di Dio, i vescovi sono chiamati ad esercitare, a vantaggio delle pecore loro affidate, la funzione di insegnare, di santificare e di governare. Fissando lo sguardo alla figura del Servo di Dio, Mons. Tonino Bello, Vescovo, sono già noti, attraverso il vasto panorama editoriale prodotto in questi anni, il suo profondo magistero e il suo efficace governo. Forse poco conosciuto o, meglio, male interpretato è stato il suo munus sanctificandi, considerato come rivoluzionario o non rispettoso della genuina tradizione della Chiesa. Il documento conciliare, dunque, affida al ministero Il Decreto conciliare sull’ufficio pastorale dei dei vescovi l’impegno di far conoscere più Vescovi, Christus Dominus, al n. 15 così recita: profondamente al popolo di Dio, mediante «Mettano [i vescovi] perciò sempre in opera ogni l’Eucaristia, il mistero pasquale e di viverlo nella loro sforzo, perché i fedeli, per mezzo della quotidianità della vita. Eucaristia, conoscano sempre più profondamente e Sono due elementi, questi, la conoscenza profonda vivano il mistero pasquale, così che formino un del mistero pasquale attraverso l’Eucaristia e la corpo più intimamente compatto, nell’unità della conformazione al mistero celebrato che hanno carità di Cristo». caratterizzato tutta la vita di don Tonino, non solo
nel periodo del suo episcopato ma sin dagli anni della sua formazione teologica. È noto che don Tonino, negli anni dell’episcopato, aveva collocato nella Cappella dell’Episcopio un tavolino dove scriveva lettere, elaborava discorsi e componeva omelie: tutto il suo lavoro era compiuto di fronte alla presenza eucaristica, il suo impegno e il suo ministero trovavano la sua fonte, il suo culmine e il suo termine nell’Eucaristia. Tutto il ministero sacerdotale ed episcopale, in don Tonino, parte dall’Eucaristia e porta all’Eucaristia. Questa caratteristica della sua personalità trova le sue radici a partire dalla sua formazione umana, culturale e teologica. Significativa e probabilmente determinante per la crescita spirituale di don Tonino è stata la figura del Cardinale Giacomo Lercaro, che egli conobbe negli anni del suo approfondimento teologico al Seminario dell’Onarmo a Bologna. Vari sono i punti di convergenza tra queste due figure: l’interesse per la catechesi, l’amore per la liturgia e l’attenzione ai problemi sociali costituiscono gli ambiti di impegno a loro più congeniali. Ambedue, ognuno a suo modo e in posti diversi, diedero impulso alla conoscenza della costituzione liturgica Sacrosanctum Concilium — si pensi ad esempio alle conferenze su questo documento che don Tonino amava tenere con tenace entusiasmo nelle diverse parrocchie della diocesi di Ugento —, alla piena partecipazione dei fedeli alla liturgia e alla promozione e valorizzazione del laicato cattolico. Un’altra consonanza è da ritrovarsi nella centralità della riflessione teologica e della pastorale liturgica riservata alla Messa, celebrata e vissuta per il popolo e con il popolo. Certamente non si trovano negli archivi trattati di teologia liturgica di don Tonino, — egli lavorò e produsse negli anni della sua formazione teologica una tesi dottorale in teologia dogmatica su I Congressi eucaristici e il loro significato teologico e pastorale discussa nel 1965 presso la Facoltà di Teologia della Pontificia Università Lateranense — ma è il suo stile di vita, il suo modo di celebrare e il suo ministero a costituirne un interessante e significativo capitolo. Energico e provocatorio fu un suo discorso tenuto in una parrocchia del quale riporto alcuni brevi passaggi: «La parrocchia, lo sapete, non può essere concepita come il luogo dove una bella liturgia ci fa dimenticare i problemi della vita. Dove il radunarci con la gente che condivide con noi una certa affinità spirituale ci protegge dal traffico convulso e spersonalizzante del terribile quotidiano.[…] Essa, invece, deve diventare il quartier generale dove si elaborano i progetti per una migliore qualità della vita, dove la solidarietà viene sperimentata in termini planetari e non di campanile, dove si è
disposti a pagare di persona il prezzo di ogni promozione umana, e dove le nostre piccole speranze di quaggiù vengono alimentate da quella inesauribile riserva di speranze ultramondane di cui trabocca il Vangelo. […] La parrocchia, perciò, deve essere luogo pericoloso dove si fa “memoria eversiva” della Parola di Dio. […] La vostra parrocchia deve essere una Chiesa senza pareti, che accoglie tutti, che non chiede la tessera a nessuno, che non chiede il distintivo del club e non chiede la carta d’identità a nessuno, dove tutti vanno a trovare ristoro e tranquillità e la possibilità di rapportarsi con Dio. Una Chiesa senza pareti e senza tetto, una Chiesa cioè che sa guardare più in alto del soffitto» (Don Tonino Bello, Missione, EMP, 2006, pp.11-13). C’è chi vede in queste parole come in altre un atteggiamento di avversione/ossessione alla liturgia, ma non di passione/comprensione come invece era nella sua coscienza di cristiano e di pastore. Mediante l’immagine della sistole e della diastole, ovvero del movimento a doppio impulso del cuore della Chiesa che è l’Eucaristia, si comprende bene che il discorso di don Tonino conduce alla consapevolezza che l’Eucaristia — fonte e culmine di tutta la vita cristiana — è un movimento di raduno in assemblea dei figli di Dio dispersi e, nel contempo, è un movimento di missione nella città degli uomini: queste due azioni hanno una natura sacramentale e stanno a dire la grande importanza della portata evangelizzante della liturgia e delle sue ricadute sul piano sociale. Figlio del suo tempo e soprattutto del Concilio Vaticano II, don Tonino ha intravisto e appreso, attraverso l’ecclesiologia conciliare che aveva rivalutato il popolo di Dio come protagonista con Cristo della storia della salvezza, che la liturgia è il naturale luogo di incontro che permette al popolo di diventare Chiesa realizzando in sé il mistero di Cristo. Da ciò scaturisce in don Tonino la necessità che la forma e lo splendore della liturgia non diventino un diaframma che impedisce al popolo l’incontro con Cristo. La consapevolezza che la liturgia è “mezzo” per arrivare a Dio porta don Tonino ad attuare uno stile che non riduce il culto divino a solo “fine”. Se da una parte non disdegna di coltivare la passione e l’amore per il canto gregoriano, dall’altra esorta con la parola e con l’esempio a far diventare la liturgia vita e la vita liturgia, sulla scia di quanto lo stesso san Paolo raccomandava agli abitanti di Roma: «Offrite i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio: è questo il vostro culto spirituale» (Rm 12,1). A che cosa esorta, in questo senso, san Paolo? “Offrire i vostri corpi”: parla della liturgia, parla di Dio, della priorità di Dio, ma non parla di liturgia come cerimonia, parla di liturgia come vita. Questa è la
novità del Nuovo Testamento: Cristo offre se stesso e sostituisce così tutti gli altri sacrifici. E vuole “tirare” noi stessi in questo culto che lui rende al Padre con la propria vita, vuole inserirci nella comunione del suo Corpo: il nostro corpo insieme con il suo diventa gloria di Dio, diventa liturgia. S. Ireneo, infatti, amava affermare che «la gloria di Dio è l’uomo vivente». Don Tonino era convinto che è la vita cristiana, vissuta nell’amore di Dio e del prossimo, che sostanzia la celebrazione, nella consapevolezza che escludendo la vita dalla celebrazione si diventa destinatari del rimprovero divino: «questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rende culto» (Mt 15,8; Is 29,13). Il concetto di liturgia comprende un duplice movimento: quello discendente, ovvero la liturgia è l’atto con il quale Dio, il mistero della salvezza, passando attraverso la celebrazione, raggiunge la vita del credente (atto di santificazione dell’uomo), e quello ascendente, ovvero la liturgia è l’atto con il quale l’uomo, con la sua vita, in risposta all’azione preminente di Dio, passando attraverso la celebrazione raggiunge il mistero (atto di culto a Dio). Tutto ciò don Tonino l’ha insegnato con il suo stesso stile di vita, senza retorica ma con radicalità e parresia evangelica.
Nell’esercizio della sua funzione santificante, don Tonino era consapevole che ogni accoglienza del “mistero” apre ad un “ministero”; che l’esercizio del ministero non è semplicemente qualcosa di funzionale, quanto di rendere viva una presenza, quella di Cristo; che “pre-siedere” l’assemblea significa essere il primo a trascinare molti altri battezzati nell’avventura dell’evangelizzazione, nell’esperienza della lode e del culto, nella partecipazione non ad un rito sterile e asettico, ma veicolo di un evento, di una storia, di una persona che si fa presente e che coinvolge ed assimila; che il primo modo di aiutare l’assemblea a far propria la preghiera della Chiesa è quello di farla propria a livello personale; che non ci si può limitare solo ad eseguire correttamente le prescrizioni del rituale, ma permettere all’assemblea di abitare l’azione in corso; che è necessario passare dal codice scritto ai codici dell’esperienza viva, ovvero di inserirsi nella celebrazione con tutto se stesso, di ricevere e trasmettere (cf. 1 Cor 11,23) una memoria fondativa diventando parte di essa; che nella liturgia ciò che è spettacolare incanta gli occhi, ma non converte il cuore; che l’esperienza celebrativa deve essere seguita dalla testimonianza; che non basta “dire ciò che si fa”, ma “fare ciò che si dice”. Mons. Maurizio Barba
ASSEMBLEA DEL CLERO 15/04/2015 PASTORALE FAMILIARE: INIZIATIVE IN ATTO E PROSPETTIVE FUTURE Siamo in un tempo in cui l’attenzione alla famiglia sia da parte della Chiesa, sia da parte della cultura, sia da parte della società civile e politica è molto alta. Ma –ci sembra- che la cultura remi contro, la società civile e politica faccia molte parole e pochi fatti e che solo la Chiesa mostri verso la famiglia il suo cuore misericordioso attraverso un impegno sempre crescente specialmente negli ultimi decenni. Oggi, poi, siamo di fronte ad un “Motu proprio” di Papa Francesco “Mitis iudex Dominus Iesus”, ad un Esortazione Apostolica “Amoris laetitia”, presentata l’8 aprile scorso. Tutti e due i documenti vogliono essere la continuazione del cammino iniziato con il Sinodo straordinario del dicembre 2014 e di quello ordinario dell’ottobre 2015, ricchi entrambi dei risultati delle consultazioni delle chiese particolari e delle Relatio finali. Del “Motu proprio” si sta occupando la Federazione Regionale dei Consultori di Ispirazione Cristiana, compreso il nostro Consultorio che ne è parte organizzativa, in collaborazione con la Pastorale familiare, attraverso un corso di formazione, di cui abbiamo inviato dépliant. Tale corso ha l’obiettivo di approfondire la conoscenza del tema della nullità del matrimonio e di riflettere sulla realtà pugliese affinché sia gli operatori dei consultori sia
quelli della pastorale possano sostenere e aiutare nel discernimento e con forme varie di accompagnamento le famiglie in situazione di sofferenza. L’Esortazione “Amoris laetitia” è un documento molto corposo: 329 paragrafi e 9 capitoli in stili diversi; e, quindi, è un documento molto diverso dalla “Familiaris consortio” di san Giovanni Paolo II, alla quale fa più volte riferimento Papa Francesco. Il filo conduttore di tutto il documento è la misericordia. Nel discorso di conclusione del Sinodo, il Papa dice: <L’esperienza del Sinodo ci ha fatto capire meglio che i veri difensori della dottrina non sono quelli che difendono la lettera ma lo spirito; non le idee ma l’uomo; non le formule ma la gratuità dell’amore di Dio e del suo perdono>. Molto lunghi sono i capitoli centrali, il 4 e il 5, sull’amore: possono diventare delle lectio per l’accompagnamento dei fidanzati e degli sposi; come pure il capitolo 7 per i genitori. Accompagnamento, discernimento e integrazione dell’amore fragile possono, dunque, essere considerati i criteri di fondo dell’azione pastorale per la famiglia. Naturalmente le prospettive della pastorale diocesana non possono non essere sulla linea magisteriale, che poi è la linea che si è cercato di seguire e che il nostro Vescovo ha più volte indicato attraverso i suoi interventi, le Settimane Teologiche, i Convegni Pastorali e le Lettere alle Famiglie. Ma, per concretezza, prima di guardare al futuro, vediamo ciò che è in atto.
PREPARAZIONE AL MATRIMONIO E’ acquisito ormai che la preparazione al sacramento del matrimonio deve svolgersi in parrocchia, come tutte le forme di preparazione ai sacramenti, sebbene oggi è un po’ difficile perché i matrimoni sono molto diminuiti nel numero e perché alcune parrocchie sono molto piccole per cui spesso viene realizzata in forma inter parrocchiale. Occorre dire, però, che forse non è superata l’idea che un numero maggiore di nubendi garantisca e qualifichi la riuscita. Non è il numero delle coppie che consente la buona riuscita di un percorso, anzi. 10-12 coppie dovrebbero costituire il limite massimo perché si possa parlare di un possibile accompagnamento. Con 7-8 coppie si può ottenere un ottimo risultato. Molte esperienze si svolgono sotto forma di catechesi che potremmo definire “incarnata” nel senso che la Parola viene tradotta in vita o che la vita viene illuminata dalla Parola. Sono forme di catechesi/accompagnamento portate avanti da un sacerdote e da una o due coppie che aiutano i fidanzati a comprendere i testi biblici e a riflettere e confrontarsi in coppia e nel gruppo. Il metodo, che in linea generale è messo in atto, è quello interattivo e laboratoriale. Nella maggior parte dei casi si svolgono in 12-14 incontri distribuiti in due serate a settimana, ma vi sono esperienze di week-end e quest’anno si sta facendo un’esperienza più lunga.
GIOVANI COPPIE E’ molto presente in diocesi la realtà dell’END, che è senza dubbio una ricchezza e una risorsa preziosa, ma che non può esaurire l’aspetto della cura pastorale verso i coniugi cristiani. Non sono molti i gruppi famiglia parrocchiali. Da tre anni si sta realizzando, grazie a Mistero Grande, ”Ritrovarsi più sposi”. Si tratta di un corso di otto serate rivolto a tutte le coppie, indipendentemente se in salute o in difficoltà, se credenti o non credenti, sposate o conviventi. L’obiettivo è aiutarle ad investire tempo ed energie nella propria relazione e a
rafforzare così il proprio rapporto di coppia. All’interno del percorso viene gradualmente presentata l’importanza di “far entrare” Dio nel rapporto di coppia. In diocesi ci sono già coppie che hanno partecipato a week-end di formazione ed hanno ottenuto da Mistero Grande l’abilitazione ad essere coppie ospitanti nella realizzazione del corso. SITUAZIONI DI SOFFERENZA Dal punto di vista pastorale siamo a conoscenza solo dell’esperienza del gruppo di fra Ruffino. Il Consultorio Familiare Diocesano nelle tre sedi di Ugento, Taurisano e Montesano, è molto impegnato nella relazione d’aiuto a coppie e famiglie in difficoltà relazionale. Operatori specializzati accompagnano in maniera continua persone e sposi per risolvere il problema che impedisce una vita di relazione serena e appagante.
PROSPETTIVE Per la Preparazione al matrimonio si sta preparando un nuovo sussidiosullo stile di quello già realizzato nel 2005. I giovani, che oggi chiedono il sacramento del Matrimonio, presentano molte diversità rispetto a quelli di 10 anni fa. Basti pensare che la maggior parte convive -a volte anche da un bel po’ di anni- e che spesso ha già uno o più figli. Non si può, quindi usare la stessa modalità. Chiaramente non si intende abbassare il livello dell’annuncio e ridurre la proposta a forme sociologiche o psicologiche, anzi … ; perché-come scrive Papa Francesco nell’Esortazione al n. 307 <…in nessun modo la Chiesa deve rinunciare a proporre l’ideale pieno del matrimonio, il progetto di Dio in tutta la sua grandezza … La tiepidezza, qualsiasi forma di relativismo, o un eccessivo rispetto al momento di proporlo, sarebbero una mancanza di fedeltà al Vangelo e anche una mancanza di amore della Chiesa verso i giovani stessi>. Vorremmo anche che a livello foraniale si possa costituire un gruppo costituito da coppie indicate dai parroci e da sacerdoti che insieme approfondiscono la realtà dei nubendi delle comunità parrocchiali della forania, propongono, sperimentano e verificano modalità diverse di percorsi formativi. Particolare attenzione alle Giovani coppie. Un primo obiettivo è la FORMAZIONE. L’impegno sarà quello di offrire varie possibilità di formazione, specialmente agli operatori, perché comprendano sempre più e meglio il sacramento celebrato, perché comprendano la grandezza e la bellezza della vocazione a cui sono state chiamate. Siamo convinti che non si può vivere pienamente e consapevolmente e non si può comunicare ciò che non si conosce e non si possiede. Vorremmo che siano sempre più le coppie che partecipano a Convegni, Seminari, Settimane di studio sulla Teologia del Matrimonio e sulla Spiritualità coniugale. Non solo coppie, ma anche sacerdoti. Tale formazione potrebbe avvenire attraverso i Convegni, i Seminari e le Catechesi di Mistero Grande.
Mistero Grande non è un’associazione, un movimento con una sua particolare visione,
un’organizzazione, una struttura, ma una realtà che vuole vivere e far vivere essenzialmente come realtà di Chiesa, in stretto rapporto con il Vescovo e con il parroco e, quindi, come Chiesa locale nella Chiesa Locale. Le varie proposte offerte da Mistero Grande, sono da realizzare non indipendentemente dal
Pastore, ma in stretto legame con lui. Lì dove il pastore non ritiene che si realizzi una iniziativa, un metodo, una proposta, questa non si fa. A breve -30 giugno-3 luglio- a Sacrofano si terrà il 6° Convegno Nazionale Teologico-Pastorale “Per la grazia del Sacramento delle Nozze: vivere ed annunciare la bellezza del maschile e del femminile”. Dalla nostra Diocesi parteciperanno 5 coppie, 6 sacerdoti e il Vescovo.
Un secondo aspetto risponde allo spirito missionario della pastorale e delle famiglie, di cui parla il Papa, ma che era già nei nostri obiettivi: proporre una forma di missionarietà che si può realizzare attraverso le Comunità Familiari di Evangelizzazione.
Cosa sono? La CFE si fonda sulla famiglia che è Chiesa domestica per il sacramento delle nozze e sul dinamismo naturale per il quale gli sposi gradualmente costruiscono attorno a sé dei legami relazionali. Coppie di sposi, in comunione con il Parroco, aprono la propria casa per far sperimentare ad altri la presenza di Gesù. Come Chiesa domestica, la famiglia accoglie per un incontro settimanale sposati e singoli, giovani e anziani, consacrati, conviventi, separati, credenti e non praticanti. In un clima di grande accoglienza e in piena libertà si condivide ciò che si vive, la preghiera e l’ascolto della Parola di Dio. La comunità è formata da 8-10 persone che insieme costituiscono “la Chiesa che si riunisce nella tua casa” (Rm 16,15) per lodare il Signore, ascoltare la Parola e vivere rapporti di fraternità e di amicizia. E’ familiare perché ha come guida una coppia di sposi che, per la grazia del matrimonio e per il mandato del parroco, rende presente e attualizza Gesù che ama la sua Chiesa e perché contribuisce a dare forma familiare a tutta la comunità parrocchiale per il fatto che si riunisce in casa. Di evangelizzazione perché ha come scopo accogliere e far crescere i nuovi discepoli nel Signore e stimolare ogni membro a evangelizzare.
Come si svolgono gli incontri settimanali? Tre sono le dimensioni che caratterizzano ogni incontro: la preghiera, la condivisione e l’ascolto della Parola. Ogni incontro ha uno schema ben preciso con tempi fissati: 1. Preghiera di lode e di ringraziamento (15 minuti). Si riconosce la grandezza del Signore; si sente Gesù presente lì tra loro, quindi il clima è di festa. 2. Condivisione della fede (20 minuti). Con semplicità e fraternità si condivide cosa Gesù ha fatto per ciascuno e quanto ciascuno ha fatto per Gesù. Cose semplici non grandi cose. 3. Ascolto della Parola (15 minuti) La Parola è commentata dal parroco, se presente; se è impossibilitato, può affidarla per iscritto alla coppia padrona di casa o presa d’accordo con il parroco dal sito. 4.
Risonanza della Parola (15 minuti) E’ un momento di ascolto di Gesù: Gesù parla –attraverso lo Spirito- la lingua di quella particolare persona. Condivisione reciproca, nella quale
fraternamente ci si confida quanto Gesù ha detto a ciascuno. Niente critiche, commenti, discussioni, punti di vista. 5. Informazioni e avvisi (5 minuti) di ciò che avviene in parrocchia: comunicazioni del parroco direttamente o attraverso la coppia responsabile. 6. Preghiera di intercessione (10 minuti) per le famiglie, per la parrocchia, per l’evangelizzazione. 7. Preghiera per un fratello (2-5 minuti) Un fratello/sorella presente chiede una preghiera per sé: può dire il motivo. E’ un momento di grande confidenza e di fraternità, segno di un gruppo unito come famiglia. Un terzo obiettivo è quello di conoscere e far conoscere due altre realtà: il “The Parenting Course” (Corso per genitori) e la Fraternità “Sposi per sempre” 1. Il tema dell’educazione è di grande importanza. Spesso i genitori sono disorientati e, quando chiedono aiuto, lo fanno quando è già impostata la relazione educativa e, perciò, è più difficile modificare la situazione. “The Parenting Children Course” è un metodo pratico, semplice e con un linguaggio accessibile a tutti; si rivolge a tutti i genitori di bambini da 0 a 10 anni. Si tratta di un corso in cinque sessioni, all’interno del quale viene gradualmente presentata l’importanza di “far entrare” Dio nella relazione con il proprio bambino. 2. La Fraternità “Sposi per sempre” è un cammino di crescita spirituale rivolto a persone separate che scelgono consapevolmente la fedeltà nella separazione e intendono vivere come “Sposi per sempre”, testimoniando con la vita che la fedeltà al sacramento del matrimonio è possibile anche là dove l’amore umano non è più ricambiato, e divenire anche così segno di una nuzialità più grande e dell’amore di Dio per ogni persona, in un cammino spirituale indirizzato alla santità.
LA FAMIGLIA CRISTIANA: ICONA DEL MISTERO don Pierluigi Nicolardi Papa Francesco, in accordo il Catechismo della Chiesa Cattolica, e dunque con la tradizione della Chiesa stessa, afferma che «il bene della famiglia è decisivo per il futuro del mondo e della Chiesa» (FRANCESCO, Amoris laetitia, nn. 31. Il papa pone al centro della società la famiglia, condizionando in qualche modo il futuro del mondo e della Chiesa alle sorti di questa «cellula originaria della vita sociale» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2207). Eppure oggi l’istituzione familiare è fortemente provata, tanto da essere considerata una delle molteplici forme di convivenza, che cambia a seconda delle circostanze e delle epoche. Lo stesso Pontefice, accogliendo le riflessioni dei due recenti Sinodi sulla famiglia, ha messo in luce la difficile situazione attuale della famiglia (cf. Amoris laetitia, nn. 32-49), minata soprattutto da quella che Francesco definisce la «cultura del provvisiorio» (Amoris laetitia, n. 39). Il Catechismo della Chiesa Cattolica antepone la famiglia a qualsiasi altra istituzione, giacché istituita da Dio nella creazione dell’uomo e della donna (cf. CCC, n. 2203). Questo implica che la famiglia «si impone da sé» (CCC, n. 2203), precedendo qualsiasi riconoscimento da parte di una autorità pubblica. Quest’ultima ha dei doveri innati nei confronti dell’istituzione familiare; deve infatti «rispettare, proteggere e favorire» (CCC, n. 2210) la famiglia e il matrimonio, nonché di onorarla, assisterla e assicurarle alcuni diritti fondamentali quali la libertà di costituirsi, di procreare ed educare i figli secondo le proprie convinzioni religiose, la tutela della stabilità del vincolo coniugale e dell’istituto familiare, la libertà religiosa, il diritto alla proprietà e alla libera iniziativa economica, il diritto ad emigrare, la tutela del benessere e della salute e, in ultima istanza, il diritto ad associarsi (cf. CCC, n. 2211). Se alla famiglia naturale, fondata sul consenso degli sposi, il Catechismo tributa notevole importanza, un posto di rilievo è riservato alla famiglia cristiana. Essa, come ricordava Giovanni Paolo II, «offre una rivelazione e una realizzazione
specifica della comunione ecclesiale» (Familiaris consortio, 21). La famiglia cristiana, «Chiesa domestica» (Lumen gentium, n. 11), è una comunità teologale e di ordine sacramentale, segno e immagine della comunione del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, soggetto protagonista dell’evangelizzazione e della missione (cf. CCC, nn. 2204-2205). La famiglia cristiana, fondata sul sacramento del matrimonio, è al centro del progetto salvifico di Dio, è una comunità privilegiata perché realizza nel concreto l’amore trinitario. Don Tonino Bello afferma che la famiglia è icona della Trinità (cf. A. BELLO, La famiglia come laboratorio di pace, Molfetta 1997); essa deve «ritrarre» con la sua vita il mistero trinitario, imitandone l’amore e diventando così una immagine provocante, che invita e provoca gli altri alla comunione e alla pace. La famiglia cristiana, allora, non è una comunità perfetta, bensì una comunità abitata dallo Spirito Santo e chiamata ad essere modello. Concludo con le parole di papa Francesco che illumina e approfondisce questo aspetto e, al tempo stesso, invita gli sposi cristiani a vivere la meta alta della propria vocazione: «La coppia che ama e genera la vita è la vera “scultura” vivente (non quella di pietra o d’oro che il Decalogo proibisce), capace di manifestare il Dio creatore e salvatore. Perciò l’amore fecondo viene ad essere il simbolo delle realtà intime di Dio. […] La relazione feconda della coppia diventa un’immagine per scoprire e descrivere il mistero di Dio, fondamentale nella visione cristiana della Trinità che contempla in Dio il Padre, il Figlio e lo Spirito d’amore. Il Dio Trinità è comunione d’amore, e la famiglia è il suo riflesso vivente. […]La famiglia non è dunque qualcosa di estraneo alla stessa essenza divina.[7] Questo aspetto trinitario della coppia ha una nuova rappresentazione nella teologia paolina quando l’Apostolo la mette in relazione con il “mistero” dell’unione tra Cristo e la Chiesa (cfr Ef 5,21-33)» (Amoris laetitia, n. 11).
Entrare per uscire Carissimi amici, siamo giunti, per ora, alla conclusione di queste prime meditazioni sul significato della porta santa. Ci sono molte altre cose da scoprire sulla bellezza della misericordia di Dio. In questo anno santo non ci faremo mancare altre occasioni per offrirvi delle meditazioni sui significati spirituali, ecclesiali, pastorali e sociali della misericordia di Dio. Richiamando l’insegnamento dell’apostolo Paolo anche noi possiamo affermare: “Siano rese grazie a Dio, il quale ci fa partecipare al suo trionfo in Cristo e diffonde per mezzo nostro il profumo della sua conoscenza nel mondo intero! Noi siamo infatti dinanzi a Dio il profumo di Cristo fra quelli che si salvano e fra quelli che si perdono; per gli uni odore di morte per la morte e per gli altri odore di vita per la vita. E chi è mai all'altezza di questi compiti? Noi non siamo infatti come quei molti che mercanteggiano la parola di Dio, ma con sincerità e come mossi da Dio, sotto il suo sguardo, noi parliamo in Cristo” (2 Cor 2, 14 – 17). Consideriamo l’ultimo aspetto del simbolo della porta: entrare e uscire. “Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo. Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza” (Gv 10,7-10). Gesù afferma di se stesso: “Io sono la porta”. I testi evangelici sono pieni di porte, c’è la porta stretta che conduce alla vita e quella larga che va verso la perdizione, c’è la porta che viene chiusa per le vergini stolte e senza olio nelle lampade, ci sono i malati radunati alla porta della città, c’è il mendicante Lazzaro che sedeva alla porta del ricco Epulone, c’è la porta delle Pecore dove giaceva il paralitico, c’è la porta chiusa alla quale bussa l’amico importuno, e poi c’è la porta del sepolcro. In greco il termine thýras indica la porta, il passaggio, ma anche l’ingresso in una tomba, l’opportunità, l’occasione favorevole. Gesù dice di se stesso: “Io sono la porta”, ovvero il passaggio, il momento propizio, l’occasione favorevole, Io sono l’ingresso spalancato su una tomba. Nel brano del vangelo di Giovanni (10,710) ci sono tre interessanti considerazioni da fare: 1. Gesù è il Pastore e la Porta, chi entra attraverso di lui e si lascia guidare da lui trova la vita in abbondanza. 2. Chi non passa attraverso di lui è un ladro e un brigante che ruba, uccide e porta distruzione. 3. Chi entra attraverso di lui può entrare ed uscire e trovare pascolo, cioè la salvezza. Entrare ed uscire sono le azioni della vita quotidiana che facciamo continuamente senza nemmeno pensarci più di tanto, eppure sono così determinanti e qualificanti del nostro essere e della nostra felicità. Ci sono persone che abitualmente si sono chiuse in casa o accartocciate nel proprio guscio interiore che rifiutano ogni contatto con gli altri, con il mondo, con la vita. Forse una delusione, forse la paura, forse lo scandalo o qualche altra recondita ragione li ha portati a chiudersi in se stessi da non lasciare spazio a niente e a nessuno. Sospettosi se qualcuno bussa alla loro porta, attenti a sbirciare da dietro le persiane della propria casa se passa qualcuno indesiderato, con l’orecchio sempre teso a percepire il pur minimo discorso di qualcuno che potrebbe parlare male di loro. Non aprono mai quella porta e non escono mai da quella porta se non costretti per andare in ospedale e se potessero eviterebbero di andare a fare anche la spesa perché il contatto con gli altri è la peggiore forma di contaminazione. Al contrario ci sono persone che stanno sempre in uno stato di uscita permanente perché in casa si sentono stretti, i legami li soffocano, i doveri li rattristano. La strada è la loro casa, la piazza il loro ufficio, il divertimento il loro impiego. Non hanno il senso e la misura della libertà. Se qualcuno bussa alle porte del loro cuore non aprono perché non ci sono, sono usciti alla ricerca spasmodica di un amore impossibile; se qualcuno bussa alla porta della loro casa non si fanno mai trovare, hanno altro da fare; se qualcuno ha bisogno di loro deve aspettare che tornino, se mai tornano. Ci sono uomini tristi in casa e gioiosi in piazza, taciturni e scontrosi con i propri familiari,
ma aperti e amiconi con gli altri, noiosi e distratti nel proprio lavoro ma attenti scrutatori di quello degli altri, criticoni con tutti ma guai se qualcuno muove loro una critica, pronti a difendere a denti stretti i propri diritti ma guai a ricordargli quali sono i loro doveri. Anche nell’era digitale questo stile rimane inalterato. Sistemi di allarme sempre più sofisticati, videocamere, video sorveglianza, social network, continuano a riprodurre quelle chiusure assurde o quelle aperture indiscriminate che caratterizzano le odierne società di cui le persone sono le prime vittime. Abbiamo creato assurde contrapposizioni: i diritti individuali contro i doveri comunitari; il libero amore contro l’amore responsabile; la tecnica contro la natura; la ragione contro la fede. E’ ragionevole proporre un sistema di comunicazione che si fonda sul concetto del “Grande Fratello” che tutto deve sapere e spiare, anche l’intimità della coscienza e nello stesso tempo invocare la legge sulla privacy? E’ ragionevole proporre il diritto al divorzio definendolo una conquista di libertà perché all’uomo e alla donna siano date nuove opportunità anche se i figli saranno divisi a metà? E intanto aumentano i delitti di famiglia e i giovani sono sempre più disorientati. E’ ragionevole proporre come grado di civiltà il diritto all’aborto chiamandolo sostegno alla maternità? E intanto i figli si fanno in provetta, si pagano uteri in affitto e l’embrione umano diventa merce di scambio. E’ ragionevole proporre il diritto all’eutanasia definendolo atto di pietà? E intanto cresce sempre di più l’accanimento terapeutico. E’ ragionevole proporre il diritto alle libere unioni, anche dello stesso sesso, sostenendole come famiglie moderne perché capaci di determinarsi di volta in volta il proprio genere di identità? E intanto la vera famiglia, con i suoi enormi sacrifici, paga e pazientemente aspetta tempi migliori. Queste, come le tante altre, contraddizioni della cultura moderna sono il frutto di una mancanza di spiritualità. Si può entrare e uscire e trovare pascolo solo se si passa attraverso Cristo che è la porta del recinto delle pecore. Cristo Signore è il passaggio dal diritto individuale al dovere comunitario. L’uomo solo in Cristo diventa persona, capace di unire in sé la dimensione soggettiva e quella oggettiva, la verità dell’io e l’amore del noi. Ecco perché Gesù dice che chi non passa per quella porta, che è lui stesso, o è un ladro o un brigante che ruba, uccide e distrugge ogni cosa. Cristo è il punto d’unione tra il vero uomo e il vero Dio; Cristo è la mediazione tra Dio e gli uomini; in Cristo la persona umana diventa partecipe della vita divina perciò capace di creare una comunità. Eppure non sono pochi quei cristiani, di oggi come di ieri, che hanno voluto facilmente sostituire questa porta che è Cristo, con altre porte più larghe e più facili da attraversare perché scandalizzati davanti alla porta definitiva della tomba dalla quale si entra per uscire alla vita eterna. Bisogna sempre uscire per entrare! Uscire dal grembo materno per entrare in questo mondo. Uscire dalla tomba, il grembo della madre terra, per entrare nella vita eterna. E chi ha il potere di farci entrare nel grembo materno? Chi ha il potere di farci uscire dal grembo della madre terra? Non ci siamo creati da soli né da soli possiamo farci risorgere. Solo Dio crea. Solo Dio fa risorgere i morti. Papa Francesco in modo insistente ci dice che vuole una Chiesa in uscita, cioè missionaria, come ci ha insegnato il Concilio. Bisogna uscire per entrare nella comunità dei credenti. Infatti la Chiesa si costruisce con il sangue dei martiri e il lavoro dei missionari. O Signore Gesù, tu sei la porta della vita! Aiutaci ad entrare, con la tua grazia, nella tua Chiesa, sostienici, col tuo Spirito, ad uscire verso il mondo, per diventare testimoni del tuo amore che ci fa liberi, veri, buoni, generosi, premurosi, misericordiosi verso tutti coloro che incontriamo sul nostro cammino, perché tu sei stato buono con noi e con la tua misericordia ci hai perdonato e sempre ci perdoni. Amen.
OrdoViduarum: le ragioni di una scelta Riflessioni personali di Marilena De Pietro D’Amico Diocesi di Ugento-Santa Maria di Leuca Sono una vedova consacrata nell’Ordo viduarum. Non saprei dire bene da dove sia partito il mio desiderio di rispondere alla chiamata di Gesù Sposo, eppure credo che il Signore lo abbia suscitato nel corso del tempo. Nata e cresciuta molto serenamente in una famiglia cattolica, non ho avuto difficoltà ad inserirmi negli ambienti di vita cristiana che a Taurisano sono sempre stati molto attivi. Ho 45 anni ma ne avevo appena 29 quando mio marito Salvatore morì il 31 maggio 1999, a causa di un incidente stradale, appena un mese dopo il nostro matrimonio, celebrato l’1 maggio di quello stesso anno. Tutto quel che seguì la morte di Salvatore ebbe un unico filo conduttore nel mio discernimento personale, per il quale decisi di abbandonare, temporaneamente, ogni impegno professionale e apostolico; visitai un istituto religioso e frequentai sporadicamente un movimento di spiritualità vedovile. Continuando ad amare fiduciosamente Gesù e la Chiesa, frequentai un corso di esercizi spirituali, durante il quale notai il testo delle Catechesi di san Giovanni Paolo II Uomo e donna lo creò. Il mio modo di amare, di essere donna, sposa e potenziale madre sembrava racchiuso fra le pagine di quel libro che dopo qualche anno mi fu proposto di assumere come regola di vita, all’interno di un gruppo presente nella mia Diocesi. Intanto continuavo a riflettere sulla mia ‘vocazione al matrimonio’ che nella sua natura essenziale andava sempre più configurandosi come matrimonio con Cristo. Cominciai a desiderare, non senza difficoltà, di voler dare una risposta alla chiamata di Gesù. Questo lungo periodo credo abbia favorito pienamente un serio discernimento sulla mia condizione di vedova cristiana, a contatto con tante occasioni di crescita personale e comunitaria. Ciò è accaduto non perché fossi poco convinta della scelta ma perché guide prudenti e sagge mi hanno consentito una scelta di vita graduale, attraverso una verifica serena e consapevole accompagnata da voti personali e privati. La sequela di Cristo, attraverso varie tappe, dunque, ha consolidato in me una scelta vocazionale, con conseguente regola di vita spirituale, alla quale sono approdata ormai da anni. Appartenere all’Ordo Viduarum in forma definitiva, oggi, è per me motivo di una gioia che solo il Signore Risorto può donare, senza dimenticare la croce. Rispondo, così, ad una chiamata ben precisa che concilia la volontà di Dio con il mio desiderio più profondo. Mi sono chiesta più volte: perché l’Ordo Viduarum e non altri Movimenti Vedovili? Per ora, sono pervenuta a tre motivazioni di fondo molto essenziali: perché si tratta di vita consacrata nella vedovanza, in forma esclusiva; perché mi consente di vivere il carattere della diocesanità a cui sento di essere chiamata - la stessa diocesanità vissuta nell’Ordo Viduarum, non è un di più della vita della vedova consacrata nell’Ordo, ma un elemento costitutivo perché ha una peculiarità specifica, ancorata contemporaneamente alle Origini della Chiesa e agli Insegnamenti del Vaticano II, un dono autentico di testimonianza e riflessione per gli uomini e le donne di oggi. Attraverso la consacrazione comprendo ogni giorno il compito che Gesù Sposo mi affida: l’abbandono fiducioso e sereno alla volontà di Dio, l’amore alla Chiesa, l’esercizio di una povertà nella sobrietà dei costumi e nella giusta amministrazione dei beni che mi servono per vivere di cose essenziali. Preghiera, meditazione, lavoro e servizio amorevole all’interno della Chiesa scandiscono la mia vita. Ritengo particolarmente distintivi del carisma l’adorazione in Cattedrale, ogni giovedì dalle 21,00 alle 23,00 e l’inserimento nell’Èquipe educativa del Seminario Vescovile. Per tutto questo ringrazio il Vescovo Mons. Vito Angiuli ed il Rettore del Seminario, Mons. Beniamino Nuzzo – Vicario generale ed Assistente delegato per l’Ordo Viduarum a livello diocesano. Un pensiero ed un abbraccio particolare va alle mie compagne di cammino in formazione.
La consacrazione vedovile è tutto questo: una sintesi fra il divino e l’umano che si manifesta prioritariamente attraverso gli impegni pubblicamente assunti nelle mani del Vescovo. Trovo una risposta concreta nel mio “si” di persona detto al Dio persona, con l’impegno di costruire ogni giorno una vita di relazione sincera e trasparente con tutti. La dimensione diocesana della spiritualità credo sia evidente in tutto ciò che mi educa quotidianamente ad una “coscienza ecclesiale” della fede, da cui scaturisce un forte senso di appartenenza alla Chiesa che amo e da cui mi sento amata, anche nei momenti meno facili. Di fatto, oggi sento di annunciare: “A quanti ai nostri giorni, ritengono difficile o addirittura impossibile legarsi ad una persona per tutta la vita e a quanti sono travolti da una cultura che rifiuta l’indissolubilità matrimoniale e che deride apertamente l’impegno degli sposi alla fecondità, è necessario ribadire il lieto annuncio della definitività di quell’amore che ha in Cristo il suo fondamento e la sua forza” (FC 20). Di questo sono certa! Si tratta di un’esperienza che rinasce e rifiorisce ogni giorno come possibilità concreta che mi viene offerta per rendere la mia vita più umana e santa. Alla luce di tutto ciò, ritengo che la presenza dell’Ordo Viduarum in una Diocesi sia un fatto di grazia e, quindi, una sorgente di armonia e di impegno ministeriale, pur tenendo presente che tutto ciò non si esaurisce in un vincolo puramente giuridico, ma comporta anche una serie di atteggiamenti e di scelte spirituali e pastorali, che contribuiscono a conferire una fisionomia specifica alla stessa figura della vedova.
Collaborare all’evangelizzazione oggi in Sud Africa Di Padre Rocco Marra – Missionario della Consolata Consolata Missionaries P. O. Box 31072 Waverley-Pretoria 0135 South Africa
Schiere di uomini inosservati, come semi nel terreno fertile di Dio, che porteranno frutto a suo tempo. Sono partito, da Roma, per il Sud Africa il giorno della festa di Santa Marta 1993: comincio subito a dire che considerando la storia del paese c'è una lista di testimoni che hanno dato la loro vita, alcuni anche diramando il sangue, per la sconfitta dell’Apartheid e l’avvento di una nuova nazione, libera e democratica. Ci sono alcuni politici e altri religiosi, ne possiamo nominare alcuni conosciuti come Nelson Mandela, Desmond Tutu, Steve Biko, Denis Eugene Hurley, Albert Luthuli, Chris Hani, F.W. De Klerk e molti altri hanno collaborato alla nascita, il 27 aprile 1994, della nazione arcobaleno, speranza del continente africano e del mondo oppresso. Il processo di riconciliazione voluto dal primo presidente della neonata nazione, Nelson Mandela, con la commissione “Verità e Riconciliazione” è stato un segno di saggezza e di volontà per continuare a costruire insieme. L’entusiasmo di quasi la totalità della popolazione per l’educazione e lo studio, la voglia di bruciare tappe per raggiungere qualifiche e professionalità produce un gruppo esiguo di dotati e competenti e un altro numeroso che fa fatica a marciare con un’umanità che continua a squalificare la maggioranza ed elevare l’elite.
Un posto enigmatico creato dall’apartheid (=discriminazione razziale) sono le township (=città getto); la più famosa township è stata l’enorme Soweto (sud ovest di Johannesburg). Durante l’Apartheid la gente era forzatamente distribuita in codeste città, secondo il colore della loro pelle (neri, indiani, meticci (colorati)), sotto il controllo dei bianchi, e a loro servizio. La gente era costretta a vivere in queste affollate città, alle periferie dei centri bianchi, con poveri servizi e per un migliore controllo c’era solo una strada di collegamentonto, in più ognuno doveva avere un documento da presentare al varco. Fine dell’apartheid sulla carta, ma le township del nuovo Sud Africa, pur aperte ad accogliere tutte le razze, continuano a essere abitate dai neri e da immigrati africani e asiatici. “Township”, che pur parte del territorio municipale, non si è trovato ancora una prassi governativa dove sia rispettata la dignità della persona, siano dati i servizi di base e sia salvaguardato l’ambiente. La chiesa che si presentava provvidente alla popolazione sino a venti anni fa, ha passato le redini al governo che tutt’oggi fa altrettanto. La chiesa che oggi incoraggia al protagonismo dei cittadini per costruire una società umana più consona con i parametri del Regno di Dio, è in contrasto con l’atteggiamento passivo che ne deriva come conseguenza di un governo che distribuisce contributi e occupazione precaria. Che dire della violenza che trapela qua e la, manifestandosi in diversi modi, causa di una società sempre più divisa tra i pochi ricchi e la massa dei poveri. Da una discriminazione razziale legalizzata, come quella dell’apartheid, si è passati per così dire a una divisione di classe sociale, dove chi soffre, sono sempre i deboli. Parlando di operai, come possiamo giudicare che nel 1960 furono massacrati sessantanove minatori che protestavano contro l’apartheid, il massacro di Sharpeville, mentre nell’agosto 2012 ne sono stati uccisi trenta a Marikana semplicemente perché scioperavano chiedendo un aumento del salario. Che dire, poi, che siamo passati dal flagello dell’HIV/AIDS, a quello del diabete e della tubercolosi, con famiglie ridotte a poche persone, tante delle quali formate da solo giovani. Più o meno ogni tre anni vado a casa, per visitare i miei genitori, famigliari, parrocchia, diocesi, persone e comunità che ho avuto la fortuna di conoscere nella mia patria dove sono nato. Sapendo che sono in Sud Africa, alcuni enfatizzano che vivo tra i più i poveri, accennando ad ambienti come i villaggi, o il fatto che abito in una township, altri parlano che il Sud Africa è ricco non ha bisogno di missionari, solo pochi considerano il processo dell’evangelizzazione oggi nel mondo, con tanto cammino che resta da fare perche` il vangelo divenga parte primaria e integrante della nostra vita quotidiana. Noi missionari della Consolata evangelizziamo in Sud Africa dal 1971, una chiesa, parlo a livello nazionale, giovane di circa 150-200 anni, a mala pena raggiunge il 7% della popolazione, per di piu` è abituata ad accettare e convivere con altre denominazioni, religioni, sette e culto degli antenati come parte di un’unica famiglia; quindi una chiesa cattolica fragile e confusa, inebriata da settarismi pseudoreligiosi e animismo domestico, che si proclama come primario nella cultura delle tribu`. La Diocesi di Dundee, da dove abbiamo cominciato l’evangelizzazione, è stata creata solo nel 1982. Infatti, noi della Consolata, insieme ai Francescani, siamo stati come delle levatrici assistendo alla nascita della diocesi. Pur rimanendo un gruzzolo di missionari, oggi siamo presenti, oltre che nella diocesi di Dundee, anche nelle Arcidiocesi di Pretoria, Johannesburg e Durban. Il 17 aprile quest’anno, abbiamo appena lasciato la township di Madadeni, dopo 25 anni di ministero tra la sua gente, (cominciavamo l’11 febbraio 1991) comunque nella diocesi continuiamo la nostra presenza nella vicina township di Osizweni. Quando sono arrivato in Sud Africa, i nostri missionari erano originali dall’Europa e Sud America, oggi quasi la totalità provengono dal continente africano, ma nessuno dal Sud Africa. Questo fenomeno della provenienza dei missionari è importante per la lettura della realta`, da un’altra prospettiva; per il processo, metodo e priorita` di contenuti dell’evangelizzazione e la nostra stessa vita, personale e comunitaria, come evangelizzatori in Sud Africa. Quando vado in Italia per le solite vacanze, ad esempio, faccio una fatica enorme per spiegare l’evangelizzazione in questo particolare paese africano, ogni volta cambio chiave di lettura, sperando un giorno di arrivare a quella giusta, piu` consono alla mentalita` dei moderni italiani. Una rete di relazioni con molti nodi da sciogliere. Solo pescatori esperti come i discepoli di Gesù possono scioglierli. Mi ricordo don Tonino Bello, in seminario di Ugento, anni 1970s, ha allestito un presepe utilizzando articoli di giornali e delle catene intorno alla culla, con grandi caratteri si vedeva la scritta, “Signore vieni a sciogliere le nostre catene”. Volti, nomi di persone, realtà delle township sudafricane, riporto alcune situazioni di vita quotidiana, che mi
vengono alla mente; i nomi son locali scelti da me per descrivere questi flash esistenziali che condivido e riassumo nel mio scritto (*) Nonhlanhla è il nome di una giovane diciannovenne, ha assistito sua madre, malata di AIDS, quando aveva appena otto anni. Solo dopo la morte della mamma ha potuto frequentare le scuole elementari, non ha continuato a studiare perche` ha avuto una bimba. Pensando al futuro della bimba è andata ad abitare da sua zia e sono cameriera in un ristorante del centro acquisti della citta`. Il papà della bambina si fa vedere ogni tanto, è un adulto lavora e ha una famiglia. Nonhlanhla si sente costretta a continuare la relazione con l’amante, sperando un giorno avere una somma di denaro sufficiente per aitare la sua bambina a costruirsi una vita dignitosa. (*) Zinhle è una signora con tre figli, il primogenito di circa 30 anni è malatuccio, mentre le due gemelle frequentano una scuola d’infermieri e si sostengono con il salario della loro mamma che fa le pulizie in un locale di una citta` lontano da casa. Di solito la signora visita i suoi figli due volte al mese. La maggior parte dei giovanissimi non ha esperienza della presenza paterna in famiglia e vivono un vuoto d’affetto difficile da colmare, con tutte le conseguenze che ne derivano. (*) Agnes è una nonna, sulla cinquantina, che ha molti nipotini, tanti che la sua casa sembra un asilo nido, o una scuola materna, le due nipoti più grandi, l’aiutano per le pulizie e per accudire ai piu` piccoli, mentre le tre “vere” mamme, sue figlie, sono altrove per “lavoro”. Da considerare che i ragazzi a una certa eta`, secondo la tradizione culturale, devono andare altrove a studiare o a cercarsi lavoro e avere prole. Molti giovani sono vittime dell’alcool e della droga, cosi` pure sono coinvolti nella mala vita. (*) Kethukuthula è una signora con tre figlie e suo marito ha perso il lavoro una decina di anni fa ed è rimasto come bloccato in casa; spesso ha paura persino di uscire. La signora si è data da fare a completare i suoi studi, conseguire i diplomi necessari per l’insegnamento, prendere la patente di guida e continuare ad aiutare la secondogenita per completare gli studi secondari; così pure insegna catechismo nella comunità cristiana rurale, dove abita, intanto la sua piccola Gugulethu di quattro anni non si stacca dalla madre. La figlia più grande sta completando gli studi universitari a Johannesburg, la sera lavora in un ristorante come cameriera ed è fidanzata con un professionista, hanno un pargoletto e presto si sposeranno. La signora Kethukuthula una volta mi ha confidato: <non ce la faccio piu` devo accudire mio marito come a un ragazzino e spesso è impossibile accontentarlo>. (*) Sipho è un carcerato, finito in galera, qualcuno direbbe per una sciocchezzai: Era dirigente di un fast food negozio: ogni giorno prima di aprire il negozio alle 8:00, i suoi operai avevano lavorato per piu` di quattro ore; nell’orario di lavoro non è menzionata la colazione. Saggiamente Sipho ha pensato di riscaldare quei pezzi di pollo rimasti dal giorno prima, che non possono essere più venduti ai clienti, così preparare dei deliziosi panini ai suoi dipendenti, prima di aprire il negozio al pubblico. Gli operai e assistenti del locale lavoravano con diligenza e gli affari andavano molto bene. A un certo punto Sipho si rende conto che i suoi ultimi salari erano stati dimezzati. Dopo aver discusso il caso con i suoi superiori e resosi conto di essere stato accusato da uno dei dipendenti, così pure licenziato per non essere stato ligio alle norme... in seguito trovandosi senza lavoro e conoscendo le casse del negozio è finito ammanettato per furto... (*) Emah è un’anziana signora con la gamba amputata, a causa del diabete. Di solito la si trova seduta in casa con accanto a un secchio d’acqua, un fornello a gas e altri oggetti. L’anziano marito è stato investito, qualche mese fa, mentre attraversava la strada per andare a prendere il bus. Una vicina di casa il mattino presto va a lavarla e ad accomodarla nel suo posto preferito, prima di andare a lavoro, così la sera fa altrettanto per rimetterla a letto e ordinare la stanza. La signora Emah non ha familiari, ma ha tanti amici, bambini e donne che la visitano e l’accudiscono; non è cattolica, ma ha la corona del rosario, non puo` leggere, ma le piace ascoltare la parola di Dio letta da qualcuno più giovane... Bello sapere che i vicini hanno cura di lei, ma spesso per alcune ore rimane da sola, la casa è sempre aperta e le forze vengono meno. (*) Non dimentichiamo uno dei tanti casi, come quello del Signor Themba, che si assentava da casa una volta al mese, solo per andare a ricevere la sua modesta pensione. Un giorno ritornando non ha avuto il tempo di aprire la porta che degli adolescenti si sono precipitati a entrare in casa. L’uomo è stato trovato solo qualche giorno piu` tardi, seduto sulla sua poltroncina esanime con ferite alla testa. Visitando famiglie, carceri e ospedali, potrei continuare la lista di esperienze quotidiane, di cui conosciamo le situazioni; inclusa gente che viene a chiedere di essere aiutata, alcuni si confidano con sincerità`, altri con malizia; ma non giudichiamo perché` a volte la disperazione porta “malattie” inaspettate... Tanta gente di buona volontà`, in questi ultimi trent’anni, ha avuto la possibilità di partecipare a corsi e incontri per sensibilizzarsi a come essere Buon
Samaritano oggi, evitando il paternalismo, ma promuovendo la persona, dando l’esca per pescare e non il prodotto già confezionato. In questo processo si cerca di scoprire le doti e i talenti di ognuno per il servizio comunitario, promuovendo caratteristiche più consone a una società più giusta, senza discriminazioni. A Madadeni è ancora attivo un ufficio, dove siedono quattro persone disponibili ad ascoltare, a dare consigli e persino a indicare piste per un futuro lavoro. C’è un gruppo di volontarie, preparate per visitare famiglie e accudire ai bisognosi e incoraggiare gli orfani, spesso chi è aiutato, desidera anche aiutare, così la catena della solidarietà coinvolge sempre più e la speranza riemerge in molti cuori. Doni pasquali La liturgia pasquale ci fa celebrare l’Ottava di Pasqua: cioè festeggiamo la pasqua per otto giorni consecutivi, a partire appunto dalla domenica di Pasqua. Con questa similitudine, possiamo dire che a Madadeni (Sud Africa) quest’anno l’abbiamo celebrata per tre settimane con la stessa intensità dell’Ottava, fino alla quarta domenica di Pasqua inclusa. Celebrando la Pasqua del Signore tutti eravamo in atteggiamento di ringraziamento al Signore, perché` sapevamo che il giorno della Divina Misericordia, cioè la settimana successiva, sarebbe stato ordinato diacono Mandala Makhanya di Madadeni. Così tutto si potrae in ringraziamento al Signore... La terza Domenica di Pasqua, per la comunità cattolica di Madadeni è una domenica di ringraziamento per avere avuto in dono il Diacono Mandla. Un altro atto di ringraziamento è stato alla quarta domenica di Pasqua, giornata delle vocazioni: il 17 aprile, si è chiusa l’attività evangelizzatrice dei Missionari della Consolata a Madadeni, considerando che è stata cominciata l’11 febbraio 1991, 25 anni prima, potremmo definirla evangelizzazione d’argento. Il giovane Mandla Makanya è cresciuto con l’affetto della Madre Consolata e con l’incoraggiamento “avanti nel Signore” del Beato Giuseppe Allamano. Che sorpresa quando il vescovo di Dundee, Mons. Graham Rose, la sera del 16 febbraio 2016, ha telefonato a Mandla comunicandogli la decisione di ordinarlo diacono per la sua diocesi. Il vescovo non si era reso conto che quel giorno era la festa del Beato Fondatore. Per la prima volta nella giovane chiesa della Diocesi di Dundee, un candidato è ordinato diacono fuori dalla Cattedrale. Per di piu` in un salone comunale, come quello di Newcastle, stracolmo di gente della forania con tutti i sacerdoti della circoscrizione... anche si è celebrato di domenica, il 3 aprile ... la Domenica della Divina Misericordia, nell’anno santo della Misericordia. Il 10 aprile, giorno del ringraziamento per il diaconato di Mandla, noi missionari gli abbiamo regalato i breviari e una statuetta dell’Allamano, mentre la dalmatica è arrivata dal Brasile, dove ha studiato Teologia e altri regali dal Mozambico, dove ha fatto il noviziato con i missionari della Consolata. Molti altri regali provengono dalle comunità della stessa Madadeni. Poi il 17 aprile la popolazione cattolica ha detto grazie ai Missionari della Consolata con canti, preghiere, gesti, segni e soprattutto col cuore. Leggo il tutto come uno scambio di doni pasquali, perché` la missione nasce dalla Pasqua del Signore, e il dono piu` grande è Gesu` stesso che è con noi fino alla fine dei tempi: La chiesa della diocesi di Dundee ci ha dato Mandla Makhanya, perché` fosse formato come missionario per il mondo, noi l’abbiamo restituito in un momento di necessità di clero locale, così il Signore ci ha fatto vedere la Sua Volonta` in questo momento. Noi abbiamo regalato a Mandla una Statuetta del Beato Allamano e i fedeli di Madadeni ci hanno regalato due enormi icone, dipinte da artisti locali, una dell’Allamano e l’altra della Consolata. Noi abbiamo cercato di evangelizzare insieme, anche le comunita` di Madadeni: Christ The King (section 2), Regina Coeli (section 6), St. George (section 7), St. Andrew (KwaMathukuza), St. Paul (eZuka) and H39 (appena cominciata) stanno cercando di continuare unite e a crescere come comunità missionarie e ministeriali. Ora nella diocesi di Dundee rimane solo una piccola comunità della Consolata, nella parrocchia di Osizweni, mentre noi altri che abbiamo finito a Madadeni ci apprestiamo ad andare in Swaziland. La missione continua... Coraggio Madadeni, Grazie Signore...
Mercoledì 9 marzo il nostro vescovo, Mons. Vito Angiuli, ha incontrato i cresimandi delle Parrocchie Cristo Re di Leuca e San Michele Arcangelo di Castrignano del Capo. Presso l’Oratorio degli Arcangeli di Castrignano, oltre ai 28 ragazzi, i parroci e le catechiste, erano presenti i genitori e buona parte dei padrini e madrine, che accompagneranno i cresimandi il giorno della cresima, rispettivamente il 3 e il 9 aprile prossimi. Il Vescovo ha introdotto l'incontro con un momento di preghiera, durante il quale abbiamo invocato insieme lo Spirito Santo e riflettuto sulla Sua manifestazione, a Gerusalemme, il giorno di Pentecoste (At. 2,1-11). I ragazzi si erano preparati a questo incontro scrivendo al Vescovo dei messaggi in cui avevano evidenziato il loro stato d'animo alla vigilia della celebrazione del sacramento. In queste brevi lettere, che il Vescovo ha partecipato a tutti i presenti, i ragazzi avevano inoltre manifestato i loro timori, i loro dubbi e le loro ansie di fronte alle difficoltà della vita, esprimendo anche il desiderio di confermare con maturità la scelta di essere cristiani che i loro genitori avevano fatto il giorno del battesimo. Il Vescovo ha poi sollecitato i padrini e le madrine a prendere coscienza della responsabilità che richiede il loro ruolo, che non si deve limitare alla presenza il giorno della festa, ma deve accompagnare i ragazzi in tutte le circostanze della vita, pregando per loro e dando testimonianza della propria fede in Cristo Gesù. L'incontro, molto partecipato, è stato per tutti i presenti un bel momento di fraternità e di condivisione; un'occasione in cui i ragazzi hanno potuto familiarizzare con il Vescovo e vedere in lui il Pastore buono che cerca di radunare il suo gregge condividendo con ciascuno gioie e sofferenze. Lina Rosafio, catechista
Lunedì 18 aprile 2016, nella nostra parrocchia, abbiamo accolto, su invito del nostro parroco don Salvatore, il nostro Pastore Mons. Vito Angiuli. E’ venuto per incontrare principalmente i ragazzi che il prossimo 1° Maggio riceveranno il dono del Sacramento della Confermazione, ma principalmente dialogare con loro. All’incontro, nonostante il nostro titubare erano tutti presenti, compresi i genitori con le madrine e i padrini. Il clima e l’attenzione dei ragazzi era davvero sorprendente. Il Vescovo con le sue parole sembrava averci tutti incantati. Le sue battute come solito suo fare, ci ha messi a nostro agio. Ci ha illustrato il sacramento della Confermazione in modo veramente semplice e bello. Ha invitato i ragazzi a gustare a godere questo momento così importante della loro vita. In realtà, la Cresima è il Sacramento che ci rende perfetti cristiani. Non a caso, si chiama anche Confermazione, perché conferma e rafforza la grazia che abbiamo ricevuto nel Battesimo. Lo ha detto anche papa Francesco durante un’Udienza lo scorso gennaio: questo Sacramento va inteso «in continuità con il Battesimo» e «questi due Sacramenti, insieme con l’Eucaristia, formano un unico evento salvifico» Ciò che ha ricordato di bello ai ragazzi è stato proprio il dono che il Signore ha riservato per loro, è un Dono per eccellenza perché ciò li rende veramente responsabili della loro crescita. A tutto facciamo riferimento allo Spirito Santo. Sì è proprio lui che agisce in ogni decisione della loro vita e con la preghiera, base essenziale del cristiano è di aiuto in ogni loro scelta. Naturalmente, dice il Vescovo, è importante offrire ai cresimandi una buona preparazione, che deve mirare a condurli verso un’adesione personale alla fede in Cristo e a risvegliare in loro il senso dell’appartenenza alla Chiesa. La Confermazione, come ogni Sacramento, non è opera degli uomini, ma di Dio, il quale si prende cura della nostra vita in modo da plasmarci ad immagine del suo Figlio, per renderci capaci di amare come Lui Lo spirito abiterà continuamente in loro e con il suo silenzio agisce e fortifica ognuno di loro. Un monito particolare del vescovo è stato rivolto anche ed essenzialmente ai genitori prima e ai padrini . Il primo dono è stato fatto nel momento in cui i ragazzi sono venuti al mondo. Quello che principalmente conta non è la nascita ma è l’ “educare”. Non è facile oggi, con il perbenismo che vige educare i figli. Ai figli a volte si deve imporre rigidità nel rispettare le regole che ci vengono date quale elemento essenziale dell’educare . Dire di no tante volte ai figli non è segno di non voler loro affetto, ma significa anche, a volte, di dovere soffrire a mettere i figli sul giusto binario. Gli esempi sono stati tanti che ci hanno fatto capire cosa bisogna fare per educare.
”Educare” dal latino educĕre vuol dire ”trarre fuori”, diceva il Vescovo esortando i genitori a voler trarre fuori ogni cosa che non può alloggiare assolutamente nel loro interno. E poi una esortazione anche ai padrini e alle madrine. Innanzitutto devono essere semplicemente dei buon cristiani. La loro fede venga alla luce, e che il loro amore non sia nascosto. Devono essere cristiani senza paura d'esserlo, anzi gioiosi della loro fede. Partecipano alla vita della Chiesa, che è anche Madre. Devono essere amanti dell'Eucaristia, presenza reale di Gesù Cristo. Devono assiduamente partecipare alla Messa domenicale. Essere dei cristiani sereni, cristiani coraggiosi. Il loro compito, diceva non si deve ridurre soltanto al regalo offerto dopo la cerimonia. Nel momento del rito della Cresima il padrino poggia sulla spalla del cresimando la sua mano. Quel gesto non è un gesto simbolico. E’ un gesto, spiegava, che dice tanto. “Attento che ci sono io accanto a te”! Quando hai bisogno di qualsiasi cosa rivolgiti a me, ti aiuterò anch’io a crescere e a venirti incontro!” Parole molto belle che ci hanno fatto capire veramente il compito del padrino/a. Accanto ad essi, ci ha detto, c’è la Chiesa tutta ed in modo particolare la Parrocchia sempre attente e presenti per aiutare i ragazzi nella loro difficile e delicata crescita, mediante i ministri. Ha illustrato anche i gesti nel rito della Confermazione. Anche oggi il Vescovo, successore degli Apostoli, impone le mani sui cresimandi e prega su di loro invocando lo Spirito Santo. Ma il Sacramento vero e proprio viene dato con un'altra imposizione della mano, quella individuale, in cui unge la fronte del cresimando. “Ricevi il sigillo dello Spirito Santo che ti è dato in dono” .Il crisma e l'unzione esprimono molto bene il significato del Sacramento . Con il Battesimo e la Cresima noi apparteniamo a Cristo: questo ci impegna a servirlo per sempre e ci rassicura che non ci farà mai mancare il suo aiuto. Al termine dell’incontro abbiamo ringraziato di cuore il nostro Vescovo . Parole di lode e di ringraziamento al nostro Parroco Don Salvatore anch’egli sempre attento e premuroso alle nostre esigenze di noi catechiste e in modo particolare dei ragazzi stessi . Egli è colui che ama in modo instancabilmente la sua piccola comunità dal più piccolo al più grande, Il tempo ci è sembrato fosse volato. Adesso non ci resta che aspettare il 1 maggio, giorno della nostra confermazione con Gesù, mediante lo Spirito Santo, imposto attraverso il Vescovo. Il gruppo catechistico di Arigliano
“Laudato Si’ Umanesimo sociale nella gioia del Vangelo” 2° Corso | Campi Aperti Giovani e impegno sociale Ufficio Nazionale per i problemi sociali e il lavoro
20-24 aprile 2016 - Ostuni (BR)
Sulle orme del Convegno Ecclesiale Nazionale tenutosi lo scorso novembre a Firenze e in continuità con il seminario nazionale “Vie Nuove per Abitare il Sociale” promosso dal 2 al 5 febbraio ad Abano Terme (PD), l’Ufficio della Pastorale Sociale e del lavoro, Custodia del Creato, Giustizia e Pace ha organizzato ad Ostuni il 2° Corso “Campi aperti: Giovani e impegno sociale” dal tema “Laudato Si’. Umanesimo sociale nella gioia del Vangelo”. Il corso è stato rivolto all’attenzione nazionale di giovani seminaristi, Animatori di Comunità del Progetto Policoro e collaboratori diocesani pieni di interesse ed entusiasmo nell’affrontare i temi della custodia del Creato. Il programma dei quattro giorni, impostato sullo schema delle “5 Vie di Firenze”, è stato intenso e ben articolato tra momenti di relazione in plenaria, gruppi di lavoro e visite guidate ad alcuni luoghi significativi del posto utili ad ammirare le bellezze del Creato. I due testi di riferimento durante le sessioni di lavoro sono stati l’esortazione apostolica Evangelii Gaudium e l’enciclica Laudato Si’. Ci sono stati importanti interventi a livello teologico e significative testimonianze concrete di vita che hanno fornito tante argomentazioni poi sviscerate nei gruppi di lavoro e inserite nelle sintesi finali che sono state redatte e che verranno pubblicate dalla CEI in perfetta sintonia con lo stile sinodale rilanciato al Convegno di Firenze. Sostanzialmente, nei vari passaggi, la Creazione è stata definita “Epifania di Dio” e la vocazione dell’uomo alla custodia del Creato è certamente insita nel fatto di essere cristiano e al tempo stesso creatura di Dio. Si è messo in risalto che, nella “gioia del Vangelo”, occorre camminare concretamente verso l’ecologia integrale, nuovo concetto tanto bello quanto ambizioso e impegnativo per tutti gli uomini di buona volontà. Il materiale e i contenuti del corso si possono consultare sul sito dell’Ufficio Nazionale per i problemi sociali e il lavoro: http://www.chiesacattolica.it/unpsl/siti_di_uffici_e_servizi/ufficio_nazionale_per_i_problemi_sociali_e_il_lavoro /00078938_2__Corso_Campi_aperti__Ostuni__20_24_aprile_2016_.html. Fin da subito si è instaurato tra i giovani partecipanti un clima sereno e propositivo nonostante le diverse esperienze dalle quali si proveniva; prerogativa fondamentale per attuare insieme nuovi stili di vita radicati nell’essenzialità del Vangelo, per “stare nel Mondo con Amore”. Emanuele G. Rizzello Progetto Policoro Ugento – S. Maria di Leuca
IL MUSEO DIOCESANO DI UGENTO S. MARIA DI LEUCA Un pensatore ha scritto: “Bisogna amare la ricchezza: ma prima bisogna intendersi sul suo significato .Ricchezza non sono i beni materiali che presto sfumano; ricchezza è la somma di quelle virtù che rappresentano la Vita (benevolenza, curiosità, sensibilità, umanità, devozione, intelligenza). Ricco non è chi possiede denaro. Ricco è chi sa provare meraviglia difronte ad un cielo stellato; e comprendere e alleviare le sofferenze degli altri. La vera ricchezza è la Vita. Bravo J. Rusckin, acuta la tua sensibilità, anche se hai esaltato un passaggio; un collegamento non da poco, che la chiesa cristiana intuì fin da subito: l’essere umano avverte il fatto religioso come testimonianza del bisogno dell’Assoluto. E vede nella religione la corda tesa e proiettata dal limite oggettivo (di sé stesso e delle cose), alla grandezza dell’Assoluto. Due realtà in contrasto: dalla concretezza della pietra all’incanto trasparente dell’Assoluto. L’uomo è l’essere che con i piedi ben poggiati sulla terra e gli occhi fissi su cielo e sulle stelle, ne esprime l’ambivalenza. L’aspirazione dell’assoluto esiste, e va a braccetto con il bisogno della concretezza; i fedeli di ogni religione vogliono dominare i due piani. Che fare? Chiede aiuto all’arte nelle due componenti: la musica e le costruzioni concrete: per fame di infinito. Ci vuole poco perché i vertici della Chiesa comprendano che l’idea della pittura, scultura, edificazione, messi insieme potessero offrire all’uomo confuso con la opacità della Terra e la trasparenza del cielo, al mondo della vita religiosa che è proiezione, aspirazione dell’Assoluto. L’uomo con i piedi fissi sulla terra, e la vista rivolta al cielo, difronte alla due immagini si sente posto su due vie tratteggiate, percorrendo le quali, si ritroverà nella certezza di aver realizzato sé stesso. Chi scrive ringrazia tutti, ma proprio tutti coloro che, ciascuno con le proprie competenze, ha dato la concretezza all’obiettivo di dotare la Diocesi di Ugento S. Maria di Leuca di un bellissimo museo, visitabile dai devoti, i quali in ogni immagine esposta possono offrire a sé stessi la sicurezza che l’opacità di questo pianeta chiamato Terra, trattato con mano esperta, impregnata di arte e di aspirazione all’Arte, può essere un’anticipazione del futuro che ci aspetta per premiare l’amore che ciascuno di noi ha saputo dare ai suoi confratelli e a se stesso, e all’assoluto che attende tutti coloro che hanno amato l’Umanità. Cari lettori non fatevi sfuggire di visitare il museo diocesano di Ugento S. Maria di Leuca. Ma prima ancora (se vi sarà possibile) leggete il testo dedicato. A me lo ha passato quell’affamato della storia del Sud Salento (ed in particolare della sua Tricase), quello studioso profondo che si chiama Ercolino Morciano. N.B. Il testo, intitolato “La fede e l’arte esposta”, è una meraviglia: arricchito dalla riproduzione di “ceramiche, dipinti, sculture, argenti, tessuti e libri, esso trova nella presentazione di S.E. Mons. Vito Angiuli (e dei suoi collaboratori) la voglia di volgere le spalle alla opacità della Terra, per tuffarsi nella luminosità dell’assoluto, vale a dire in quella calamita che orienta, e poi attrae a sé, gli operatori di “pace e bene” sulla Terra. Prof.ssa Bianca Paris Scritto già pubblicato su “ 39° Parallelo” Aprile 2016 pag. 2
“LA GIOIA NELLA SOFFERENZA” La spiritualità della Serva di Dio Mirella Solidoro
don Antonio Mariano Mi è stato chiesto di accennare qualcosa circa l’esperienza umana e spirituale della Serva di Dio Mirella Solidoro - che ho conosciuto personalmente, in quanto mia zia, anche se per un tempo relativamente breve - in occasione della ricorrenza del V anniversario dalla Traslazione delle sue spoglie mortali dal cimitero di Taurisano alla chiesa parrocchiale SS. Mertiri G.Battista e M. Goretti avvenuta l’ 8 aprile del 2011. Lo scorso 11 aprile si è tenuta, pertanto, la Concelebrazione Eucaristica presieduta dal nostro Vescovo, proprio nella Parrocchia dei SS. Martiri, dove riposa la salma di Mirella. Tra i concelebranti erano presenti monsignor Bruno Musarò, Nunzio Apostolico in Egitto e monsignor Paolo Gualtieri, Nunzio in Madagascar, i quali hanno voluto esprimere con la loro presenza l’attenzione e la vicinanza nei confronti dell’umile esperienza della Serva di Dio Mirella Solidoro. Molto suggestiva e precisa è stata l’omelia del nostro Vescovo, che ha sottolineato come nella sofferenza, attraverso la sofferenza e oltre la sofferenza, specie nella cecità, Mirella ha saputo “vedere” la Luce di Cristo, esortando tutti ad interiorizzare il suo esempio cercando di guardare oltre la sofferenza, scrutandone il senso profondo, in un ottica di fede e di speranza cristiane. A questo proposito vorrei soffermarmi brevemente sull’esperienza spirituale di Mirella. Per descrivere sotto un profilo biografico, le figure di persone particolari che hanno offerto la propria vita al Signore e alla Chiesa è necessario partire dalla considerazione dell’esperienza di fede che costoro hanno fatto . Ma è altrettanto opportuno, nonostante sia più difficile, rilevarne la “spiritualità”, intesa come “vita nuova secondo lo Spirito”. Tutte le esperienze di Dio, infatti, hanno una struttura sostanzialmente simile ma con delle peculiarità diverse. Se si dovesse applicare una categoria precisa di spiritualità alla Serva di Dio Mirella Solidoro, sarebbe certamente quella “vittimale” (oblativa: offerta della propria sofferenza in unione a Cristo Crocifisso). Questa è una forma spirituale che ha segnato diverse figure di santità nel corso della storia della Chiesa, già dall’epoca dei primi martiri e che caratterizzerà anche la vicenda storica della giovane Mirella. Tuttavia sarebbe ingiusto incasellare la sua figura nella suddetta categoria senza notarne la sua specificità personale, cioè quella della “spiritualità vittimale - ma - nella Gioia”. Mirella, infatti, non ha vissuto la sua
sofferenza come castigo di Dio o motivo per cui dilaniarsi e biasimare il Signore bensì come occasione per “completare ciò che nella sua carne mancava dei patimenti di Cristo”(cfr. Col 1,24), come afferma san Paolo. Leggendo alcune sue preghiere si può benissimo intravedere l’evoluzione nella percezione della sofferenza; da esperienza incomprensibile, da motivo di angoscia diventa “missione” e motivo di ringraziamento al Padre.
-Dammi la forza, Signore «O Signore, la vita diventa sempre più una valle di lacrime e diviene assai duro andare avanti. Ma aiutami tu, o mio Signore, affinché abbia sempre la forza di portare con amore la mia croce fino al Calvario. E capisca che proprio questo mio dolore mi spinge ad avvicinarmi a te. O Gesù mio, il dolore è per me la tua carezza: più si soffre, di più si ama».
Qui la Serva di Dio dice delle parole che lette fuori da un contesto di fede risulterebbero pura follia: “il dolore è per me la Tua carezza!”. In questa espressione sono contenuti due termini che appaiono inconciliabili ma che Mirella ha saputo conciliare nella sua esperienza di fede. La dolcezza (“carezza”) di Dio si manifesta paradossalmente anche e soprattutto nel dolore: “quando sono debole è allora che sono forte”(2Cor 12,7), afferma san Paolo. Ed ancora… « I miei peccati sono stati così gravi tanto che sono serviti a costruire la tua croce. Ho forato le tue sante mani che ogni giorno mi hanno salvata dalle mie cadute, i tuoi piedi che mi hanno insegnato tanto, e soprattutto il tuo grande cuore che per me ha sofferto: Mi ama tanto, Signore, tanto da donarmi la vita una seconda volta quando tutti mi credevano già morta. Ed io ho usato tanta ingratitudine fino a questo punto. Oh Dio, perché hai voluto preservare così poco tempo di vita a Gesù? Ti prego, Gesù, ruba il mio spirito, portalo con te sulla croce, perché voglio morire come te per risorgere come te»
Come sostengono i testimoni, Mirella matura nella sua vita la cosiddetta Sapientia Crucis (Sapienza della Croce), che le ha permesso di superare quello che umanamente è un ossimoro inconciliabile: soffrire e gioire ma che nella logica della croce s’interseca perfettamente, perché ogni dolore sofferto con e per Cristo, diviene come affermano le Beatitudini, causa di letizia profonda. La sintesi della sua spiritualità si potrebbe trovare – a mio avviso - in una testimonianza di cui ne riporto una parte.«Aveva accolto la sofferenza come “missione”, come “anello nuziale” che la sposava a Cristo per l’eternità. È proprio vero: “amare, voce del verbo morire!”- come dice don Tonino Bello- […]. Del resto quante anime hanno beneficiato, quanti peccatori si sono convertiti, grazie a quella sua “silenziosa espiazione”, nel silenzio della sua casa, dall’ “Altare del suo letto”, che l’ha vista “immolare”come il Suo Signore. Ha accettato di essere crocifissa; non ha rifiutato la croce. Per questo aveva Gesù più vicino a tutti perché - come sempre ella diceva – era crocifissa insieme con Lui, ma “dall’altro lato della Sua Croce”».
L’attenzione alla famiglia costituisce da sempre il cardine dell’Azione Cattolica Italiana, essa infatti “collabora al pieno sviluppo della famiglia, in cui si incontrano la naturale esperienza umana e la grazia del sacramento del matrimonio, e favorisce la promozione del suo ruolo attivo e responsabile nella pastorale, anche offrendole la possibilità di partecipare alla propria attività apostolica.” (Statuto ACI, n.9). L'Azione Cattolica della Diocesi di Ugento - Santa Maria di Leuca, propone, ha vissuto dedicato tre serate alla Scuola associativa, un momento intenso di discernimento e accompagnamento formativo per tutti i soci sul tema della famiglia. La scuola ha avuto luogo il 13,14 e 15 di aprile a partire dalle ore 19.00 presso l'oratorio san Giovanni Bosco di Ugento. Nella serata di giovedì 14 aprile è intervenuto il Prof. Pietro Alviti (già Responsabile dell'Ufficio Famiglia della Presidenza Nazionale di Azione Cattolica).
Azione Cattolica Diocesana Scuola Associativa Diocesana 13 – 14 – 15 Aprile 2016
La famiglia e le sfide della cultura contemporanea Premesse Da un po’ di tempo ormai si parla della famiglia e delle problematiche ad essa connesse. Sono in tanti ad esprimersi: ci sono i media, i giornali, le riviste, i social network. Con ogni probabilità se ne parla nei bar e nelle piazze. Della famiglia si parla anche nella famiglia stessa. Il punto è che, nella maggior parte dei casi, i concetti e le idee sulla famiglia sono legati alla propria storia e sensibilità personale, le quali dipendono da molti fattori, come ad esempio l’educazione e la formazione ricevute o le problematiche vissute nel contesto familiare. Che dire poi della tendenza a parlare della famiglia avendo alle spalle un’ideologia ben precisa, di cui molto probabilmente non si è neppure coscienti e la cui influenza ci condiziona inconsapevolmente? Non è mia intenzione mettere in discussione la possibilità di esprimere liberamente le proprie opinioni sulla famiglia: vorrei piuttosto evidenziare la necessità di avere dei punti di riferimento stabili e di un certo spessore, che ci permettano di riflettere sulla famiglia senza cadere nella trappola del conflitto sterile delle opinioni o facendo ricorso a una qualche forma di ideologia. Il nostro punto di riferimento privilegiato è il Magistero della Chiesa Cattolica, che ha come fondamento la Parola di Dio, soprattutto il Vangelo: il Magistero della Chiesa ci aiuta a comprendere la famiglia cristiana, ma anche il contesto storico in cui vive e le sfide che la coinvolgono. Così si esprime il nostro Vescovo, Mons. Vito Angiuli, nella bellissima lettera indirizzata alle famiglie a conclusione della XLI Settimana Teologica Diocesana: È in atto, infatti, un radicale “cambiamento d’epoca”. Le sfide sono tante e numerose sono le problematiche che la cultura contemporanea pone alla Chiesa. Una questione particolarmente dibattuta è quella riguardante la famiglia. Per questo abbiamo pensato di dedicare alla riflessione su questo tema la seconda parte del decennio pastorale (20152020)1. Vito Angiuli, La famiglia custodisce la Chiesa, la Chiesa custodisce la famiglia. Lettera alle famiglie a conclusione della XLI Settimana Teologica Diocesana, Alessano, 15-19 Febbraio 2016, p. 3. 1
Come cristiani e cattolici non possiamo prescindere dal nostro essere parte della Chiesa nel momento in cui riflettiamo sul contesto storico nel quale viviamo e sulle sfide che esso pone alla famiglia. Non possiamo pensare che solo gli addetti ai lavori, come le autorità della Chiesa, i politici o gli studiosi, debbano occuparsi di questi temi. Dobbiamo sentirci coinvolti, essere coscienti del mondo in cui viviamo, essere attori consapevoli e non solo spettatori o esecutori di idee propinate da altri. In altre parole: se noi seguiamo la Parola di Dio e il Magistero della Chiesa, abbiamo una lettura cristiana della nostra vita, della storia e della realtà, che non possiamo paragonare a un’opinione tra le tante, perché si tratta della linfa della nostra identità cristiana, soprattutto in quanto Azione Cattolica. 1) I° proverbio: divide et impera In armonia con quanto detto fino ad ora ci chiediamo: quali sono le sfide che la cultura contemporanea pone alla famiglia? Per rispondere a questa domanda è necessario esaminare, anche se in modo molto sommario, il contesto storico nel quale viviamo: si tratta di un passo molto importante, perché credo che tutti riusciamo a renderci conto del fatto che non possiamo più dare per scontato che la cultura nella quale siamo immersi sia cristiana. Anzi, sempre più spesso ci accorgiamo che il cristianesimo è subdolamente o addirittura apertamente contrastato e attaccato. Che il cristianesimo sia apertamente contrastato e attaccato riusciamo facilmente a intuirlo seguendo i fatti di cronaca, soprattutto quelli che si riferiscono ai cristiani perseguitati e uccisi in diverse parti del mondo. Ciò che è più difficile vedere invece è la persecuzione nella sua forma subdola, nascosta, che si insinua nelle nostre menti senza che ne siamo del tutto consapevoli, quel tipo di persecuzione che Papa Francesco ha chiamato “persecuzione educata” nell’omelia tenuta in casa Santa Marta il 12 Aprile scorso. Questa persecuzione maschera se stessa con la cultura, la modernità e il progresso. Ecco in sintesi il suo ragionamento. Di questa persecuzione, ha osservato innanzitutto, «non si parla tanto». È infatti una persecuzione «travestita di cultura, travestita di modernità, travestita di progresso». «È una persecuzione – io direi un po’ ironicamente – educata». «È quando viene perseguitato l’uomo non per confessare il nome di Cristo, ma per voler avere e manifestare i valori del Figlio di Dio. È una persecuzione contro Dio Creatore nella persona dei suoi figli. E così vediamo tutti i giorni che le potenze fanno leggi, che obbligano ad andare su questa strada e una nazione che non segue queste leggi moderne, colte, o almeno che non vuole averle nella sua legislazione, viene accusata, viene perseguitata educatamente. È la persecuzione che toglie all’uomo la libertà, anche della obiezione di coscienza» […] Il Pontefice non ha usato mezzi termini a questo proposito. «È la grande apostasia – ha detto -. Così la vita dei cristiani va avanti con queste due persecuzioni»2. Queste riflessioni di Papa Francesco sono ovviamente legate al recentissimo dibattito relativo al tema dell’aborto, ma l’idea della “persecuzione educata” abbraccia anche altri ambiti come quello della famiglia, la cui identità oggi è messa in discussione da alcune forme di ideologia che si presentano appunto come persecuzione educata. Ne abbiamo sentito parlare talmente tanto che non è opportuno ritornarci. Piuttosto c’è un altro passo indispensabile da fare: comprendere gli aspetti che sono al fondamento di queste ideologie. Si tratta dell’individualismo innanzitutto e poi del mercato. Questi sono i due aspetti che sono alla base delle ideologie contemporanee e della persecuzione educata di cui parla Papa Francesco. L’aspetto dominante, tuttavia, è il mercato, il quale ha necessariamente bisogno dell’individualismo per potersi reggere. Perché? Faccio riferimento ora ad una recente ricerca sociologica, della quale si è occupato Pier Paolo Donati, professore di sociologia all’Università di Bologna, il quale, sulla base di alcuni dati scientifici, vuole dimostrare che la famiglia non è un peso, ma una risorsa sociale. La ricerca ha preso come riferimento non le famiglie che frequentano la parrocchia e neppure di un solo paese, ma famiglie presenti in diverse parti del mondo (Italia, Brasile, Polonia, Messico, Spagna e Stati Uniti) e di diversa estrazione sociale.
2
Muolo, Mimmo. “La persecuzione «educata»”. Avvenire [Roma] 13 Aprile 2016: pag. 19. Stampa.
Si può dire che ci si allontana dalla soglia di felicità mano a mano che il gruppo familiare si restringe. Le famiglie numerose, con due figli o più, hanno mediamente un più basso benessere economico, quindi poco potere di spesa, ma un più alto tasso di felicità. Al contrario le famiglie più piccole, fino ad arrivare ai nuclei singoli, hanno più ricchezza materiale, e quindi più capacità di acquisto, ma meno benessere psicofisico. Da questo punto di vista, la famiglia è più ricca quanto più è completa. Questo è quello che accade. Il messaggio che la società sta dando come comunicazione di massa è esattamente l’opposto. Sostiene che la famiglia sia una cosa inutile, molto meglio l’amore fra due donne, fra due uomini, l’amore più libero.
Perché questa tendenza?
Questo fenomeno è il prodotto culturale del cosiddetto “individualismo emancipativo”, secondo cui l’individuo deve essere emancipato e libero da qualunque costrizione. In questo senso lo Stato diventa una fabbrica di diritti, dà diritti agli individui in modo che possano realizzare desideri individuali. Una sorta di liberismo spinto particolarmente funzionale al mercato. Il mercato ha bisogno di gente mobile, che cambia lavoro, che cambia gusto, che cambia casa. E questo con la relazione familiare non è compatibile. I consumi del singolo e della famiglia non sono uguali. Pensiamo al lavoro: se uno è single fa determinate scelte, se uno ha famiglia non può, ha altre priorità, altre esigenze. E per questo, dal punto di vista del mercato, la relazione è da condannare3. È come se la famiglia sia stata sacrificata alle esigenze del mercato attraverso un’esagerata dilatazione dei diritti dell’individuo. Questo aspetto è stato preso in considerazione anche da giuristi esperti come Fabio Macioce, docente di Filosofia del diritto e Teoria generale del diritto a Roma e a Palermo. Se dovessi ridurre in poche righe il tema svolto in queste pagine, potrei dire che il diritto contemporaneo, messo da parte ogni riferimento a dimensioni normative oggettive interiori o esteriori, è sempre più funzionale alla realizzazione della volontà soggettiva: e che nella misura in cui tale volontà non si manifesti come immediatamente lesiva degli interessi altrui, nessuna limitazione al riconoscimento di essa viene ritenuta ammissibile4. Nel corso dell’articolo l’autore fa notare come quello contemporaneo sia un modo di pensare che ha avuto un lungo periodo di incubazione, che alcuni fanno risalire al mondo moderno, quello nato dopo l’umanesimo e il rinascimento, periodo nel quale si è iniziato a considerare l’idea che solo l’individuo è reale e che ogni realtà relazionale, come famiglia e stato, siano funzionali alla centralità del soggetto. Anche il diritto e la sua struttura andrebbero dunque ricostruiti a partire dal soggetto, che sta al centro di tutto e alla cui volontà il diritto deve piegarsi5. La volontà del soggetto è al centro di tutto, così come la sua autonomia e autodeterminazione. Tutto ciò che contrasta il soggetto rappresenta una violazione dei suoi diritti. La nostra vita ci appare insomma degna di essere vissuta in quanto frutto di una scelta autonoma, di un progetto del quale siamo gli autori: una vita (ma anche un frammento di vita, un’esperienza particolare) che fosse il frutto di una scelta altrui, per quanto oggettivamente positiva si potesse rivelare, sarebbe comunque indegna perché irriconoscibile come nostra6. L’altra faccia della medaglia di questa crescita smisurata del singolo individuo è rappresentata dalla perdita di importanza della dimensione naturale delle leggi. Tutto ciò che è esterno all’individuo (e Dall’Olio, Caterina. “Più si cambia più si consuma. La famiglia è fuori mercato.” Noi Famiglia e Vita [Milano] Marzo 2016: pagg. 16-17. Stampa. 4 Macioce, Fabio. (2015) “Volo, ergo sum. Teorie di genere e complessità giuridica.” Dialoghi [Roma] Aprile-Giugno 2015: pag. 52. Rivista Trimestrale. 5 Lo stesso autore scrive anche: «Tale prospettiva individualistica non solo rafforza una concezione formale della libertà, che viene cioè riconosciuta come un diritto a prescindere dai suoi contenuti, e con l’unico limite della libertà altrui, ma soprattutto produce un’espansione praticamente infinita del catalogo dei diritti individuali. […] Non esiste catalogo dei diritti, per quanto esteso, che possa prevedere tutte le modalità che i soggetti riterranno di perseguire esercitando il loro generale diritto di autodeterminarsi». Ivi, p. 53. 6 Ivi, p. 54. 3
ultimamente anche tutto ciò che è interno ad esso), cessa di essere normativo e la volontà del soggetto non ha più alcun limite, né interno né esterno. Anche Papa Francesco nel documento “Amoris Laetitia” dedica un intero capitolo, il secondo, alla realtà e alle sfide della famiglia e prendendo in esame il contesto storico contemporaneo sottolinea con lucidità i pericoli dell’individualismo. D’altra parte, bisogna egualmente considerare il crescente pericolo rappresentato da un individualismo esasperato che snatura i legami familiari e finisce per considerare ogni componente della famiglia come un’isola, facendo prevalere, in certi casi, l’idea di un soggetto che si costruisce secondo i propri desideri assunti come un assoluto7. Tutti questi aspetti non fanno altro che rafforzare la consapevolezza del mercato di poter giocare con facilità la carta del singolo individuo e dei suoi bisogni, che siano reali o prodotti dal mercato stesso per giustificare una crescita esponenziale della produttività e del consumo. 2) II° proverbio: l’unione fa la forza La risposta del cristiano cattolico di fronte a queste problematiche deve essere chiara e decisa: la famiglia cristiana è chiamata a non perdere la propria identità. Mentre scrivevo queste riflessioni il mio primo pensiero è stato quello di formulare questa idea in modo diverso: la famiglia è chiamata a recuperare la propria identità. Tuttavia una risposta simile avrebbe generato un’impressione troppo pessimistica, come se ormai non ci fosse più niente da fare se non, appunto, recuperare. Non credo sia così! La famiglia regge ancora e ha dentro di sé tante potenzialità. Anzi, il nostro Vescovo, in sintonia con il Papa e tutti i Vescovi, la considera come una risorsa. La famiglia è una risorsa, e non solo un problema pastorale. […] Nonostante i molteplici aspetti problematici, la famiglia contiene una grande forza di cambiamento sociale ed ecclesiale. Guardare con realismo vuol dire tenere presenti le attuali sfide culturali, ma significa anche avere la consapevolezza che la valorizzazione della famiglia ritorna a beneficio delle singole persone e dell’intera società. Va ribadito che la famiglia, in accordo con la comunità parrocchiale, deve diventare sempre più il soggetto pastorale8. Le riflessioni del nostro Vescovo sono molto profonde e andrebbero meditate con serietà e attenzione. Il legame tra famiglia e liturgia è di un’efficacia straordinaria. Infatti dopo aver sottolineato che la Parrocchia deve essere intesa come “famiglia di famiglie”, definizione inconciliabile con qualsiasi forma di individualismo, il Vescovo si sofferma ampiamente sul valore antropologico della Messa, evidenziando ben dieci aspetti attraverso i quali la liturgia crea una profonda simbiosi tra famiglia e parrocchia. Contro i pericoli dell’individualismo e contro la tentazione di trascinare tutto, anche i valori più profondi della famiglia, verso una logica di mercato, è necessario riscoprire la bellezza dell’incontro e dello stare insieme, in una compagnia con la quale si cammina, ci si confronta, si discute, si prega e si fa festa. Questo non è importante solo sul piano antropologico, lo è anche dal punto di vista cristiano. Il cristianesimo ha, infatti, tra le sue caratteristiche fondamentali quella di essere comunità di persone che camminano insieme e non in perfetta solitudine.
Francesco, Amoris Laetitia, n. 33. Vito Angiuli, La famiglia custodisce la Chiesa, la Chiesa custodisce la famiglia. Lettera alle famiglie a conclusione della XLI Settimana Teologica Diocesana, Alessano, 15-19 Febbraio 2016, p. 4. 7 8
Chi abbandona questa compagnia, la compagnia della fede, perde la fede stessa. È vero: si possono fare le preghiere del mattino e della sera da soli, ed è bene farle. E nelle proprie preghiere si può essere anche sinceri con Dio a proposito dei propri peccati: ma se consideriamo quanto sia fondamentale, umanamente parlando, la relazione con gli altri, ci accorgiamo quanto essa sia ancora più importante nel cammino di fede. Come ha giustamente fatto notare Thomas Merton, nessun uomo è un’isola. Tanto meno il cristiano. Don Oronzo Cosi Assistente Unitario Azione Cattolica
Diocesi Ugento - S. Maria di Leuca AGENDA del VESCOVO
MAGGIO 2016 1 Domenica
2 lunedì 3 martedì 4 mercoledì 5 giovedì
6 venerdì 7 Sabato 8 Domenica
9 lunedì 10 martedì 11 mercoledì 12 giovedì 13 venerdì 14 sabato 15 Domenica 16 lunedì 17 martedì
10,00 12,30 18,00 20.00 17.00 19,30
Arigliano - Cresime Diso – S. Messa festa patronale SS. Filippo e Giacomo Alessano – Cresime Benedizione – riapertura del Robinson Milano – Presentazione libro di Padre Enrico Mauri Sannicandro (Bari) S. Messa Chiesa del Carmine. Presentazione libro sulla Confraternita del sacramento in Chiesa Madre
17,00 18,00 19,00
Leuca Basilica- Giubileo Familiari del Clero Leuca – Manifestazione sulla presenza degli Ebrei nel Capo di Leuca Patù – Benedizione e inaugurazione centro polifunzionale per immigrati regolari Presicce – Comune – Presentazione restauri Incontro con i Vescovi salentini con Ass. Coldiretti Montesano – Cresime Corsano – Cresime Acquarica – Oratorio in festa – intrattenimento Ruffano – San Francesco – Cresime Ugento – San G. Bosco – Saluto festa della mamma Leuca Basilica – Cresima Caprarica – Santuario Madonna di Fatima – S. Messa inizio triduo Caprarica – Benedizione nuovo auditorium Ugento - Sacro Cuore – S. Messa - Conclusione pellegrinaggio Madonna di Fatima per le Parrocchie di Ugento Ugento Cattedrale – Veglia diocesana di Pentecoste Leuca – Ritiro del Clero Incontro UCIIM- Tricase Lucugnano – Cresime Ugento Cattedrale – Cresime Specchia - Cresime Roma - CEI Assemblea Generale Roma - CEI Assemblea Generale
17,00 20,00 18,30 10,30 16,30 18,00 20,00 18,00 18,30 19,30 19,00 20,00 9,30 18,30 18,00 10,00 18,00
18 19 20 21 22
mercoledì giovedì venerdì sabato Domenica
23 24 25 26 27 28
lunedì martedì mercoledì giovedì venerdì sabato
30 lunedì
10,30 19,00 9,00 18,00 -20,00 20,00 19,30 10-17 18,30 20,30 8,30 19,00 19,00
31 martedì
20.00 19,00
29 Domenica
Roma - CEI Assemblea Generale Roma - CEI Assemblea Generale Roma - CEI Assemblea Generale Roma – Assemblea CNAL Torrepaduli – Cresime Torre San Giovanni - Cresime Ugento- Leuca – Alessano: Visita della Diocesi di Bari - Bitonto Alessano – Auditorium Benedetto XVI – Convegno Coldiretti Tricase – S. Antonio – Concerto Campi Salentina – Presentazione libro fra Onofrio Farina Leuca – Giornata di Curia Supersano – Cresime Patù – Benedizione inizio lavori dell’infiorata Patù - Benedizione infiorata Ugento – Cattedrale -Pontificale e processione Alessano – Scuola di Formazione teologico Pastorale – Chiusura anno formativo - Vespri e consegna pergamene Auditorium- Consiglio Pastorale Diocesano Gagliano – Loc. Ciolo S. Messa chiusura mese mariano (Parrocchia S. Rocco)
Compleanni 7 maggio 10 maggio 12 maggio 17 maggio 20 maggio
Diac. Michele Casto Don Mario Ciullo Padre Buccarello O.SS.T. Don Nicola (Nino) Santoro Mons. Gerardo Antonazzo
Onomastico 17 maggio
Don Pasquale Carletta
Ordinazione 2 maggio 15 maggio
Don Mario Ciullo Don Quintino Pecoraro
Anniversari di morte 9 maggio 27 Maggio 29 maggio 31 maggio
Don Egidio Bartolomeo Don Roberto Muraglia Mons. Cosmo Francesco Ruppi – Vescovo Padre Fernando Pucciarelli – ex cappellano Ospedale Tricase