UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI URBINO “CARLO BO” Facoltà di Sociologia CORSO DI LAUREA IN COMUNICAZIONE PUBBLICITARIA _____________________________
COMUNICAZIONE ECOLOGICA Da Movimento a Lovemark Il caso Lush Relatore: Chiar.mo Prof. Stefania Antonioni
Tesi di laurea di: Patrizia Diana Beatrice Malerba
ANNO ACCADEMICO 2006/2007
COMUNICAZIONE ECOLOGICA Da Movimento a Lovemark Il caso Lush
Indice
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Introduzione
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Capitolo 1 – Comunicazione Ecologica 1.1 Teoria di una società complessa 1.1.1 La teoria dei sistemi 1.1.2 Il sistema chiuso/aperto 1.1.3 I sistemi funzionali e il codice binario 1.1.4 La minaccia ecologica
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Capitolo 2 – Tra economia e comunicazione : ipotesi evolutive 2.1 Il sistema dei mass-media 2.1.1 Un ruolo da protagonista 2.1.2 Il codice informazione/non informazione 2.1.3 Programmazione: notizie e reportage 2.1.4 Programmazione: pubblicità 2.1.5 Programmazione: intrattenimento 2.2 Il sistema politico 2.2.1 Una politica verde è possibile? 2.2.2 Una scomoda verità 2.3 Il sistema economico 2.3.1 Il codice pagare/non pagare 2.3.2 Breve storia della responsabilità sociale d'impresa
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Capitolo 3 – Il consumatore etico, questo sconosciuto 3.1 Profili da consumatore etico 3.1.1 Perchè la responsabilità sociale del consumo 3.1.2 Chi è il consumatore etico 3.1.3 Una questione di fiducia 3.1.4 Consumare consapevolmente
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3.1.5 Comunicare il cambiamento 3.1.6 Dalla comunicazione libera alla cultura libera
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Capitolo 4 – Lush, il profumo del successo 4.1 Il caso Lush 4.1.1 Profilo aziendale 4.1.2 I valori Lush 4.1.3 I valori utilitari 4.1.4 I valori non-utilitari 4.1.5 I valori non-esistenziali 4.1.6 I valori esistenziali 4.2 Lush comunica 4.2.1 La comunicazione attraverso il negozio 4.2.2 La comunicazione attraverso il giornalino 4.2.3 La comunicazione attraverso il sito internet 4.2.4 La comunicazione attraverso la brand community 4.3 Lovemarks: il futuro oltre i brands 4.3.1 Perché Lovemark 4.3.2 Creare mistero 4.3.3 Creare sensualità 4.3.4 Creare intimità 4.3.5 Da brands a Lovemarks: l'asse Amore/Rispetto 4.4 Conclusioni
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Bibliografia
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Sitografia
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Ringraziamenti
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Introduzione Il tema che ho deciso di affrontare in questo lavoro di tesi nasce da una lunga osservazione sui temi emergenti nella società odierna. In particolar modo si concentra sulla constatazione del fatto che la società appare oggi rimessa in discussione da effetti che essa stessa ha provocato nel suo ambiente. Una delle conseguenze osservabili di questo fenomeno è rappresentata, ad esempio, dall’emergere di nuovi temi di comunicazione sociale, tra i quali possiamo citare: il bisogno rapidamente crescente di risorse non riproducibili, la riduzione della molteplicità di specie come premessa di un’ulteriore e sconosciuta evoluzione biologica, l’evoluzione di agenti patogeni resistenti ai farmaci e pertanto non più combattibili, l’inquinamento ambientale, la sovrappopolazione della terra, ecc. Per affrontare quindi un argomento che suscita in me particolare interesse e a conclusione di un percorso di studi incentrato sul ruolo del sistema mediale all’interno della società, applicherò gli strumenti di analisi delle logiche comunicative appresi in questi anni alle manifestazioni concrete di questo particolare tema sociale, utilizzandole per descrivere una realtà sempre più emergente. Nell’affrontare questi argomenti posso affermare di aver notato un deficit di teorizzazione compensato da un’abbondanza di fervore morale. Negli ambienti mediali c’è stato un proliferare di discussioni su una nuova etica ambientale, discussioni carenti però di una attenta analisi delle strutture del sistema sociale. A questo proposito e per meglio comprendere le modalità che dirigono una comunicazione che parte dal basso per avere i suoi riscontri nel sistema economico, ho creato una community di discussione sulle tematiche ecologiche che mi ha permesso di comprendere quali siano i nostri interlocutori e quali azioni mettano in atto per ottenere risonanza all’interno del sistema sociale. L’emergere di queste tematiche non è sconnesso da legami con la ricerca scientifica grazie alla quale è cresciuto il rispetto per
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gli equilibri naturali, però contemporaneamente la società stessa si è esposta ad aspre critiche ed è stata sommersa da richieste d’intervento, come se essa non fosse un sistema. Ho notato una paradossalità nelle problematiche ecologiche: esse devono trattare tutte le questioni sia in riferimento all’unità che in riferimento alla differenza sistema/ambiente in cui tale contesto è scomponibile. Si tematizza cioè l’unità della differenza tra sistema e ambiente, ma non l’unità del sistema complessivo. Ma per trattare questi argomenti affronteremo innanzitutto la teoria dei sistemi e analizzeremo i codici che li caratterizzano, nel tentativo di individuare le possibilità di sviluppo per le tematiche ecologiche. Successivamente, allo scopo di avere un quadro più completo del fenomeno, analizzeremo il mondo del consumo ecologico, con una attenta analisi di fenomeni aggregativi quali forum, comunità, ecc, per poi approfondire propriamente le complesse dinamiche di consumo consapevole. Infine studieremo il caso di un'azienda che rappresenta un ottimo esempio di comunicazione ecologica e che ha pertanto ottenuto un successo internazionale.
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1. Comunicazione ecologica
1.1. Teoria di una società complessa
1.1.1. La teoria dei sistemi All'interno del nostro studio risulta prioritaria un'introduzione alla Teoria dei Sistemi, così come formulata da L. von Bertalanffy e successivamente evolutasi grazie all'apporto di altre discipline. Potremmo definire in maniera semplicistica un sistema come un complesso di elementi in interazione1. Risulta pertanto di fondamentale importanza, per comprendere il funzionamento di un sistema, la dimensione relazionale. Ovvero il fatto che gli elementi di un sistema possiedono un loro significato grazie alle relazioni che intercorrono tra loro e alla posizione che vengono a occupare all'interno del sistema, relazioni di interdipendenza e circolarità. Possiamo sintetizzare questo concetto dicendo che il tutto è più della somma delle parti ma anche che il tutto è meno della somma delle parti, in quanto esistono qualità dei singoli e qualità emergenti dalle relazioni sistemiche che non possono emergere contemporaneamente. Un altro elemento fondamentale è la dimensione temporale, dimensione caratterizzata dalla contingenza e dalla relativa stabilità delle relazioni quale condizione
necessaria
all'esistenza
del
sistema.
Dobbiamo
inoltre
considerare la dimensione del confine, ovvero la possibilità di distinguere le relazioni proprie del sistema rispetto ad altre considerate esterne al sistema. Emerge così un altro elemento fondamentale: il concetto di ambiente, come ambito esterno rispetto al quale l'unità sistemica si distingue e differenzia. 1
Mazzoli L., L’impronta del sociale. La comunicazione fra teorie e tecnologie, Franco Angeli, Milano, 2001.
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Fondamentale per comprendere appieno il funzionamento sistemico è la teoria dell'osservazione, come consapevolezza che il sistema non viene pensato come unità già data oggettivamente, ma come risultato operazionale di un osservatore che, in base ai propri interessi conoscitivi e ai propri presupposti teorici, seleziona solo alcune delle molte possibilità esistenti. Possiamo dire quindi che la teoria dei sistemi considera il concetto di sistema come strumento per circoscrivere determinati aspetti della realtà fenomenica, considerando però che l'analisi sistemica deve sempre comprendere anche la presenza di colui che analizza, che osserva, con i suoi criteri di rilevanza e i suoi presupposti teorici. La teoria generale dei sistemi letta secondo una prospettiva culturale evolutiva introduce due mutamenti successivi, riguardanti la dimensione organizzativa e la natura del sistema, che portano a comprendere la realtà sistemica del sociale secondo un approccio coerente con la crescente complessità. Innanzitutto vediamo il passaggio dal paradigma del sistema chiuso (entropico) a quello del sistema aperto (neghentropico), capace di scambiare materia ed energia con l'ambiente. In secondo luogo assistiamo al passaggio dal paradigma del sistema aperto all'ambiente a un paradigma del sistema chiuso/aperto, proprio di un sistema con elevata capacità autoriflessiva ed autoriproduttiva degli elementi (autopoiesi), che gli consente di operare secondo un'apertura massima all'ambiente senza necessità di meccanismi di controllo totalitaristici e globalizzanti. Dal punto di vista dell'organizzazione, la teoria dei sistemi classica ha individuato inizialmente due tipologie di riferimento: i sistemi aperti, che non hanno rapporti continui di circolarità fra azioni e retroazioni con l'ambiente che li circonda, ma fanno di questo interscambio un fattore essenziale per la vitalità del sistema, per la sua capacità di riprodursi, per la sua continuità e per la sua capacità di mutamento; i sistemi chiusi, che, al contrario, vivono le interazioni con l'ambiente in termini catastrofici. Un
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sistema viene definito chiuso quando in esso non entra né esce alcuna sostanza materiale, mentre è aperto quando vi è uno scambio di materia fra esso e l'ambiente. Se ne deduce che i sistemi viventi sono tutti sistemi aperti. Così da una parte vediamo che i sistemi aperti evolvono, sviluppano le proprie strutture verso livelli sempre più complessi, anche attraverso le perturbazioni ambientali, mentre i sistemi chiusi tendono a permanere in uno stato di equilibrio statico tale per cui il sistema riesce a mantenersi in vita bloccando qualsiasi intrusione ambientale, che porterebbe solo alla dissoluzione del sistema stesso. Il sistema chiuso è interessato esclusivamente al mantenimento del suo stato (omeostasi), si parla pertanto di feedback negativo (regolativo), mentre si parla di feedback positivo (amplificativo) per i sistemi aperti, che danno risposte agli input ambientali capaci di dar luogo a cambiamenti del sistema stesso. Il concetto di autoregolazione mediante l'uso di feedback è strettamente connesso a quello di controllo sistemico e in quest'ottica possiamo distinguere due tipi di sistemi, quelli autodirettivi e quelli omeostatici. Questa distinzione ci permette di parlare di morfostasi e morfogenesi. La morfostasi si riferisce a quei processi nei complessi scambi sistema-ambiente che tendono a preservare o mantenere la forma, l'organizzazione o lo stato dato al sistema; mentre la morfogenesi si riferisce a quei processi che tendono a mutare la forma, l'organizzazione o lo stato dato al sistema. Secondo Walter Buckley un sistema sociale non può essere altro che morfogenetico. Vediamo ora un concetto fondamentale per l'analisi dei sistemi, il concetto di entropia. Con questo termine intendiamo la misura del disordine interno al sistema. Questo concetto è fondamentale per comprendere la dimensione organizzativa di un sistema. Secondo questo principio materia ed energia possono essere scambiate in una sola direzione, da uno stato di ordine ad uno di disordine. Pertanto ogni sistema chiuso procede spontaneamente nella direzione di un disordine sempre crescente. Tale principio presuppone l'irreversibilità di certi fenomeni, in quanto non si può
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ricreare da uno stato finale la medesima condizione iniziale. Il grado di irreversibilità di un evento è misurato dall'entropia. Considerato quindi che le condizioni iniziali coincidono con un relativo ordine se ne deduce che l'unità di misura dell'irreversibilità coincide con l'unità di misura del disordine. Questa teoria risulta molto importante per lo sviluppo della teoria matematica delle comunicazioni, che sostituisce all'entropia l'informazione, ma ci interessa particolarmente anche in relazione al sistema chiuso/aperto. 1.1.2. Il sistema chiuso/aperto L’approccio biologico di Maturana e Varela rappresenta un apporto rivoluzionario. Il paradigma dell’autopoiesi porta al passaggio da un sistema chiuso o aperto ad un sistema chiuso/aperto. Alla base di tale approccio c’è la consapevolezza che «ogni cosa detta è detta da un osservatore»2 e che «l'osservatore è un essere umano, cioè un sistema vivente». L’operazione cognitiva fondamentale che un osservatore esegue è quindi l’operazione di distinzione, attraverso la quale viene specificata un’unità come entità distinta da uno sfondo, e viene caratterizzata sia l’unità sia lo sfondo con le proprietà che questa operazione fa emergere. Viene così specificata la loro separabilità : la distinzione sistema/ambiente. Luhmann applica il concetto di autopoiesi ai sistemi sociali e sostiene che il soggetto è un altro tipo di sistema e quindi è ambiente per il sistema sociale. La distinzione sistema/ambiente è fondata da questo autore sull’osservazione come operazione che al contempo distingue e indica3. Il sistema come prodotto di una distinzione si presenta come un’unità di una molteplicità e prende così in considerazione non solo gli elementi ma anche le relazioni tra gli elementi, di cui parlavamo in precedenza. Una volta identificato il sistema 2
Mazzoli L., L’impronta del sociale. La comunicazione fra teorie e tecnologie, Franco Angeli, Milano, 2001. 3 Mazzoli L., L’impronta del sociale. La comunicazione fra teorie e tecnologie, Franco Angeli, Milano, 2001.
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come unità passiamo ad evidenziare due aspetti che ne definiscono l’identità: l’organizzazione sistemica e la struttura. L’organizzazione è costituita dall’insieme delle relazioni che definiscono il sistema e determinano la dinamica delle interazioni e delle trasformazioni che può subire in quanto unità. La struttura comprende invece i componenti e le relazioni
effettive
tra
di
essi
che
realizzano
concretamente
e
contingentemente un sistema come sistema in particolare. E’ a partire dall’autopoiesi che si delinea un sistema chiuso/aperto, ovvero un sistema operativamente chiuso, ma contemporaneamente aperto alle perturbazioni ambientali. Questo apparente paradosso si risolve attraverso l’idea di accoppiamento strutturale, per mezzo del quale sistema e ambiente hanno la possibilità di percepire le perturbazioni reciproche in maniera contingente. Con il termine chiusura si intende soltanto una chiusura operativa, intendendo con ciò che il sistema opera in base alle proprie strutture. La differenza di sistema e ambiente è una premessa indispensabile per la riduzione di complessità, quindi la riduzione può essere compiuta solo nel sistema, in riferimento al sistema stesso e in riferimento all’ambiente di questo. Possiamo quindi dire che i sistemi autopoietici si caratterizzano per: •
autonomia, come condizione che subordina tutti i cambiamenti del
sistema al mantenimento della sua organizzazione; •
dominio cognitivo, come dominio di tutte le interazioni nelle quali
può entrare un sistema autopoietico senza perdere l'identità; •
autoreferenza, derivata dalla natura circolare dell'organizzazione
sistemica e pertanto dalla natura autopoietica, per cui ogni apertura viene a poggiare sulla chiusura operativa del sistema; •
autoorganizzazione, come organizzazione interna del sistema.
Il problema dell'autoorganizzazione rende esplicita la tensione tra due logiche che corrispondono a due punti di vista: quello interno al sistema, attraverso il quale il sistema appare organizzativamente chiuso, e quello
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esterno al sistema, che coincide con lo sguardo dell'osservatore. Da una parte quindi c'è il riconoscimento dell'autonomia dei sistemi e dall'altra il problema del cambiamento, che risulta pertinente soltanto al dominio descrittivo di un osservatore esterno al sistema, è questo infatti a poter osservare una relazione tra il sistema e l'ambiente. Riconosciuta la chiusura operativa come costitutiva del dominio cognitivo di un sistema, il cambiamento si rivela possibile solo rinunciando a un principio causale che attribuisca unilateralmente all'interno o all'esterno del sistema il ruolo del cambiamento stesso. Prende corpo così l'idea di un cambiamento come evoluzione. Rimane aperta la questione di quale sia l'ambiente umano funzionale ad un tale sistema sociale. Ma vedremo a questo punto lo studio dei sistemi funzionali che compongono la società. La differenziazione funzionale ci interessa particolarmente nel momento in cui vogliamo mettere in atto una comunicazione ecologica nel tentativo di ottenere un effetto, ovvero di avere risonanza. Cosa intendiamo col termine risonanza? Si ricorre alla risonanza di un sistema quando il sistema è stimolato dal proprio ambiente. Registra questo stimolo e si richiude al proprio ambiente. Il problema sorge però col fatto che non tutte le comunicazioni possono ottenere risonanza all'interno del sistema, in quanto il sistema seleziona dal rumore ambientale solo quelle che ritiene informative. Vedremo attraverso quale processo avviene questa selezione, ma prima analizzeremo i sistemi funzionali. 1.1.3 I sistemi funzionali e il codice binario La domanda che ci porta qui è relativa alle motivazioni per cui i movimenti verdi non hanno ottenuto storicamente il successo sperato. Dobbiamo pertanto porre in altri termini un problema di comunicazione che non ha trovato soluzioni adeguate. Quali sono le possibilità di successo di
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una comunicazione che si distanzi coscientemente da tutti i sistemi funzionali, ovvero che non condivida il codice di nessuno di essi? Prima di rispondere a questa domanda vedremo quali argomentazioni ci portano a una conclusione negativa relativamente al lavoro svolto in passato. I più importanti sistemi funzionali strutturano la loro comunicazione attraverso un codice binario, che, dal punto di vista della specifica funzione presa in esame, ha validità di carattere esclusivo per quel sistema ed esclude terze possibilità4. Esaminiamo quindi il problema della guida della comunicazione attraverso la codificazione binaria. Ogni comunicazione binaria ha la funzione di liberare il sistema che opera sotto quel codice specifico da tautologie e paradossi. L’unità, che nella forma di tautologia o di paradosso sarebbe insopportabile, viene sostituita da una differenza (es. giusto/ingiusto). Quindi il sistema può oscillare all’interno di questa differenza senza porre la questione dell’unità del codice. La differenziazione si realizza come differenziazione di sottosistemi sotto la guida di un codice interno al sistema sociale. Attraverso la differenziazione di codificazione e programmazione un sistema acquista anche la possibilità di operare contemporaneamente come sistema chiuso e aperto. Perciò è questa differenziazione, insieme alla capacità di articolazione così ottenuta, la chiave per il problema della risonanza sociale alle minacce attraverso l’ambiente. La risonanza della società ai problemi ecologici deve essere analizzata dunque contemporaneamente a due livelli: 1. la risonanza è in primo luogo condizionata dal fatto che la società è differenziata in sistemi funzionali; 2. è poi ulteriormente condizionata dal fatto che ciascun sottosistema utilizza dei propri codici e programmi, che a loro volta si bilanciano l’uno con l’altro secondo il modello generale che distingue sistema e ambiente. 4
Luhmann N., Comunicazione ecologica, Franco Angeli, Milano, 1989.
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1.1.4 La minaccia ecologica Il sistema viene mantenuto e disturbato dal suo ambiente, non però costretto all’adattamento e non ammesso alla riproduzione soltanto con l’adattamento migliore, ovvero con un adattamento che implichi una maggiore possibilità di sopravvivenza.
Di conseguenza il sistema può
proseguire nella propria evoluzione giungendo persino a mettersi in pericolo da solo, se queste sono le conseguenze di una sua non adattabilità alle questioni ecologiche. L’autominaccia ecologica esiste proprio nell’ambito delle possibilità di evoluzione del sistema stesso, ovvero bisogna fare i conti con la possibilità che un sistema incida sul proprio ambiente tanto da non poter poi successivamente esistere in quell’ambiente. L’evoluzione, in una prospettiva a lungo termine, prevede che si arrivi ad equilibri ecologici e questo significa che saranno eliminati i sistemi che seguono un trend di autominaccia ecologica5. Nella misura in cui l’intervento a vari livelli della tecnologia trasforma la natura, facendone scaturire conseguenze negative per la società, al punto da minacciarne la stessa possibilità di una presenza futura, si deve sviluppare un numero maggiore di competenze d’intervento, considerando però che a loro volta saranno soggette ad un processo di perturbazione ambientale. Risulta pertanto prioritario che gli interventi in questione abbiano un livello di informatività tale da irritare il sistema mediale e provocare in esso risonanza. A questo punto dobbiamo interrogarci su quali siano le condizioni alle quali fatti e cambiamenti dell’ambiente sociale trovano risonanza nella società. In quale modo la società come sistema operativamente chiuso di comunicazioni significative può comunicare sul proprio ambiente e quindi, nel caso specifico, quali possibilità ha di comunicare sulle minacce ecologiche? Solo pochissimi argomenti possono essere di volta in volta trattati come 5
Luhmann N., Comunicazione ecologica, Franco Angeli, Milano, 1989.
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tema attuale della comunicazione. La domanda a cui cercheremo una risposta è quindi: con l’ausilio di quali concetti e distinzioni possono essere trattate nella comunicazione sociale le questioni ecologiche? Ma prima ancora definiamo cosa intendiamo con minaccia ecologica. Con questo termine intendiamo ogni comunicazione sull’ambiente che tenti di produrre un cambiamento delle strutture del sistema di comunicazione della società6. Si tratta di un fenomeno interno alla società: che le cose avvengano o meno non producono alcuna risonanza fino a che non si comunica su di esse. La società, come abbiamo già anticipato, è un sistema sensibile ma operativamente chiuso, osserva solo attraverso comunicazioni. Non può in altro modo comunicare significativamente e regolare questa comunicazione che attraverso la comunicazione. La società quindi si può solo minacciare da sola. L’ambiente del sistema sociale non può comunicare con la società, poiché la comunicazione è un’operazione esclusivamente sociale. L’ambiente si può rendere percettibile solo attraverso l’irritazione o il disturbo della comunicazione e questa deve quindi reagire a se stessa. Allo stesso modo il corpo non può comunicare con la coscienza in un modo diverso da irritazioni, sensazioni di dolore, ecc. quindi nel solo modo capace di risonanza per la coscienza. Questo vale anche per il rapporto tra coscienza e comunicazione. Anche la coscienza dei sistemi psichici appartiene all’ambiente del sistema sociale. La vita umana, la coscienza umana, appartengono alle premesse imprescindibili della comunicazione sociale, ma ciò non cambia il fatto che i processi di coscienza in se stessi non siano comunicazione. Qualunque cosa sia una coscienza ecologica ha empiricamente luogo in una coscienza: da qui ad una comunicazione socialmente valida è tutta un’altra strada. Questo è conseguenza del fatto che spesso avere una coscienza ecologica non coincide con la conoscenza del funzionamento dei sistemi sociali, e tra questi in particolare il sistema 6
Luhmann N., Comunicazione ecologica, Franco Angeli, Milano, 1989.
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dei mass-media, che vedremo successivamente. Dobbiamo rovesciare la consueta rappresentazione per cui un soggetto dovrebbe prima decidere coscientemente di comunicare e poi agire comunicativamente. Solo quando, per motivi che non possono essere ricondotti ad una coscienza, inizia una comunicazione ecologica e l’autopoiesi comincia a co-determinare la comunicazione sociale, ci si può aspettare che i temi di questa comunicazione diventino sempre più anche contenuti della coscienza. Anche questo significa solo che la comunicazione sociale trasforma il proprio ambiente, in questo caso lo stato mentale. Quindi anche i sistemi coscienziali, se non dispongono in precedenza di condizioni sociali di comunicabilità, possono produrre, nel proprio ambiente, che è la comunicazione sociale, solo irritazioni, disturbo o temi di ripiego, che non ottengono risonanza all'interno dei sistemi e in particolar modo all'interno del sistema dei mass-media, in quanto incomprensibili. Quindi la comunicabilità sociale o è comprensibile o è rumore, in quanto o si adatta al codice o lo rinnega come se esso non esistesse. Possiamo dunque giungere ad una prima conclusione, ovvero che o la coscienza si indirizza a suscitare processi di comunicazione sociale secondo la struttura adibita a tale scopo o produce solo chiasso che deve essere eliminato o trasformato in comunicabile. Questo chiasso deve cioè poter essere colto come informativo dal sistema sociale, ovvero come una differenza che produce differenze e quindi, per il sistema dei media, deve poter contribuire a riprodurre la comunicazione. Detto per inciso, possiamo far notare che forse questo tipo di consapevolezza è quanto manca ai cosiddetti movimenti verdi. La soglia della comunicazione possibile è altamente selettiva, respinge ciò che non può trovare alcuna risonanza. Anche se dovesse sorgere una coscienza ecologica in molti sistemi coscienziali, essa avrebbe di conseguenza proprietà tali da renderla quasi inutilizzabile per la società, in quanto insiste nel formulare tentativi cui manca l'appropriata teorizzazione.
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Potremmo dire che procede nella direzione opposta all'ottenere dei risultati, in quanto tenta di comunicare all'interno di un sistema, quello economico ad esempio, contrastandone il codice. All’interno dell’analisi sulla community di mia creazione ho rilevato questa impossibilità ad entrare effettivamente in contatto con il sistema sociale e a considerare le effettive possibilità di risonanza. Interrogati sul tema gli utenti rispondono con considerazioni confuse su una realtà oggettivamente esistente. Come se esistesse una realtà unica e imprescindibile e l’unica difficoltà consistesse nel vederla. Ma se questa realtà esistesse, perché non sondarla tramite approcci scientifici? Si tratterebbe solo di rafforzare la scienza tanto da renderla capace di conoscere meglio la realtà. Così tuttavia non si comprenderebbero a sufficienza le particolari relazioni degli altri sistemi col loro ambiente e la scienza stessa non potrebbe sapere perché con la sua “migliore” conoscenza non trovi alcuna risonanza, poiché ciò che potrebbe sapere questa conoscenza nell’ambiente di molti sistemi sociali non ha alcun valore di realtà o per altri sistemi semmai è una teoria scientifica. Infatti il codice del sistema scientifico è vero/non vero, mentre quello del sistema dei media è informativo/non informativo, il che non implica una realtà da sondare. Dobbiamo considerare inoltre che ogni sistema ha i propri linguaggi e media di comunicazione simbolicamente generalizzati, pertanto una realtà scientifica non ha la possibilità di influire su un sistema che non è il proprio. Sulla linea di aspettativa di una teoria ontologica della realtà, dunque, non si profila un gran vantaggio. Il motivo è che tale teoria non è affatto nella situazione di capire il problema. Se ci occupiamo solo di scienza tralasciamo un passaggio importantissimo, ovvero che il sistema scientifico non costituisce che uno dei sistemi funzionali della società. Possiamo già anticipare che è a causa dei molteplici sistemi funzionali che è così difficile poter pensare di reagire ad un’autominaccia ecologica. Date queste condizioni viene rapidamente banalizzata l’idea che si dovrebbe raggiungere un consenso razionale. «Chiunque creda di sapere dove si debba andare ha
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troppe pretese e mette alla prova la propria disponibilità in misura del proprio modo di vedere»7. La domanda pertanto rimane : Come possono i problemi ambientali trovare risonanza nella comunicazione sociale, se il sistema sociale è suddiviso in sistemi funzionali e può reagire solo attraverso sistemi funzionali agli eventi ed alle trasformazioni dell’ambiente? Vedremo nel prossimo capitolo quali sono i sistemi funzionali che ci interessano parlando di comunicazione ecologica.
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Luhmann N., Comunicazione ecologica, Franco Angeli, Milano, 1989.
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2. Tra economia e comunicazione: ipotesi evolutive 2.1. Il sistema dei mass-media 2.1.1. Un ruolo da protagonista Per affrontare il tema della risonanza all’interno dei mass-media è necessario analizzare l’organizzazione di questo specifico sistema di funzione della società. I mass-media, infatti, per la teoria luhmanniana sono costituiti da tutti quegli apparati della società che si servono di strumenti tecnici di riproduzione per diffondere la comunicazione8. Ciò che sappiamo sulla società e sul mondo in cui viviamo lo sappiamo dai mass-media. Ma sappiamo abbastanza dei mass-media per sapere di non poterci fidare di questa fonte9. Pertanto siamo diffidenti, sospettiamo di essere manipolati, soprattutto, ma non solo, dalle comunicazioni pubblicitarie. Ma dobbiamo comunque basarci su di essi e collegarci a essi. Il fatto decisivo che ha segnato una svolta nel sistema dei media è che non può avere luogo nessuna interazione faccia a faccia tra gli emittenti e i riceventi. Con l’interruzione del contatto immediato si assicurano grandi libertà alla comunicazione. Si crea così un eccesso di possibilità di comunicazione che può poi essere controllato solo internamente al sistema con l’auto-organizzazione e con costruzioni di realtà proprie. Le organizzazioni emittenti produttrici di comunicazione dipendono da supposizioni su ciò che si può rischiare in termini di accettazione da parte del pubblico. Questo porta alla standardizzazione ma anche alla differenziazione dei programmi. In ogni caso ad una omogeneizzazione che non tiene conto degli individui. Proprio per questo però ciascuno è libero di 8 9
Luhmann N., La realtà dei mass-media, Franco Angeli, Milano, 2000. Luhmann N., La realtà dei mass-media, Franco Angeli, Milano, 2000.
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scegliere. Queste condizioni strutturali di contorno del modo di operare dei mass-media limitano ciò che essi possono realizzare. A questo si aggiunge che per i mass-media è difficile determinare la cerchia di destinatari che effettivamente partecipano alla comunicazione, è possibile solo fare delle supposizioni. Possiamo parlare di realtà dei mass media intendendola come ciò che appare come realtà ad essi o ad altri attraverso di essi. La loro attività, infatti, può essere descritta come una sequenza di osservazioni. Per arrivare a questa accezione dobbiamo osservare il loro osservare. Per fissare questa distinzione possiamo parlare di prima e di seconda realtà, ovvero del raddoppiamento della realtà che ha luogo nel sistema dei media. È un sistema che comunica qualcosa su qualcos’altro o su se stesso. Si tratta quindi di un sistema in grado di distinguere tra autoreferenza ed eteroreferenza. I mass-media non possono ritenere di essere essi stessi la verità. Devono costruire una realtà e costruirne un’altra distinta dalla propria. Tutta la realtà è quindi una costruzione. Urge a questo punto interrogarci sul modo in cui i mass-media costruiscano la realtà. E non, come fanno molti movimenti verdi, su come distorcano la realtà, perché questo presupporrebbe una realtà ontologica di cui
non
possiamo
presumere
l’esistenza.
La
distinzione
autoreferenza/eteroreferenza è incorporata nel sistema che stiamo analizzando: si copia all’interno del sistema il confine prodotto operativamente, cioè la differenza sistema/ambiente. Il sistema deve proseguire nelle sue operazioni prima di poter utilizzare la differenza così generata come distinzione e quindi come schema per le proprie osservazioni. Il sistema che non può essere raggiunto con le proprie operazioni presuppone se stesso in quanto irritazione autogenerata e si occupa allora di trasformare l’irritazione in un’informazione che esso produce per la società. Proprio per questo la realtà di un sistema è sempre un correlato delle proprie operazioni: è sempre una costruzione propria.
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All’interno del sistema dei media sono i temi della comunicazione a far sì che che i mass-media non prendano il volo tagliandosi fuori dalla società. I temi sono pertanto una esigenza imprescindibile della comunicazione. «Rappresentano l’eteroreferenza della comunicazione e ne organizzano la memoria10». A livello tematico si organizza quindi una costante sintonizzazione di eteroreferenza ed autoreferenza all’interno della comunicazione propria del sistema. I temi servono quindi all’accoppiamento strutturale dei mass-media con altri ambiti della società e sono talmente elastici e diversificabili che possono raggiungere tutti gli ambiti della società, mentre i sistemi nell’ambiente dei mass-media fanno spesso fatica ad offrire i loro temi ai mass-media e a far sì che vengano ripresi in maniera adeguata. Il successo dei mass-media nella società si basa sulla loro capacità di imporre l’accettazione dei temi. Ma cosa succede a un tema trattato dal sistema dei mass-media? Una volta diffusi, i temi possono essere trattati come qualcosa di noto. La notorietà dell’esser-noto assicura la necessaria accelerazione della comunicazione, che può basarsi su quanto può essere presupposto e concentrarsi sul fatto di introdurre ogni volta di nuovo delle specifiche sorprese. Un osservatore può distinguere temi e funzioni della comunicazione. La distinzione
temi/funzioni
corrisponde
alla
distinzione
eteroreferenza/autoreferenza. Grazie ad essa l’osservatore ottiene una certa libertà nella scelta dei temi e nel tralasciare le informazioni.
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Luhmann N., La realtà dei mass-media, Franco Angeli, Milano, 2000.
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2.1.2 Il codice informazione/non informazione Abbiamo già affermato all’inizio del discorso che
l’acquisizione
decisiva per la differenziazione del sistema dei mass media è stata la nascita di tecnologie di diffusione che non necessitano di un’interazione tra presenti. Così può sorgere nell’ambito dei mass media un sistema autopoietico che si autoriproduce e che non ha più bisogno dell’interazione tra presenti. È solo a questo punto che arriviamo ad una chiusura operativa, in quanto non è più necessario avere di fronte un ricevente. Come abbiamo anticipato il codice dei mass-media è la distinzione informazione/non informazione. Passiamo quindi ad una attenta analisi di quali siano le peculiarità di questo codice. La più importante sta nel suo rapporto col tempo. Le informazioni non si possono ripetere: non appena diventano degli eventi si trasformano in non-informazioni. Le operazioni del sistema trasformano costantemente delle informazioni in non-informazioni. La semplice autopoiesi del sistema porta automaticamente ad attraversare il confine da un valore a quello opposto. Il sistema reintroduce costantemente nel sistema il proprio output, cioè la notorietà di determinati fatti, e lo fa dal lato negativo del codice, come non-informazione. Così si costringe a procurarsi costantemente delle nuove informazioni. In altri termini il sistema fa invecchiare se stesso. Questo automatismo non esclude ovviamente la possibilità di ripetizione, che vediamo costantemente utilizzata anche dalla comunicazione pubblicitaria. I mass media producono ridondanza sociale in tutta la società e quindi un bisogno immediato di nuove informazioni. Creano il tempo che presuppongono, e la società si adatta. Consideriamo allora queste costanti ricerche del nuovo come impulsi ripetuti, cioè come un processo. Ci appare chiaro allora che questo processo consiste di due serie combinate e trattate come fossero una sola. Se qualcosa viene indicata come nuovo qualcos’altro
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diventa
vecchio.
In
conseguenza
di
questa
codificazione
basata
sull’informazione si generano nella società una specifica irrequietezza e irritabilità che possono poi essere compensate con gli effetti quotidiani dei mass-media e con le loro diverse forme di programmazione. I mass-media servono allora alla produzione e all’elaborazione delle irritazioni. Ma vediamo come avviene l’irritazione del sistema da parte dell’ambiente. Il concetto di irritazione ci spiega come il concetto di informazione sia composto da due parti: una componente è libera di registrare una distinzione che si delinea come deviazione da ciò che è già noto. La seconda componente indica la conseguente modifica delle strutture del sistema, cioè l’inserimento in ciò che può essere presupposto dalle ulteriori operazioni in quanto stato del sistema. Si tratta di una differenza che fa differenza. Si potrebbe quindi anche dire che i mass-media tengono sveglia la società. Creano una disponibilità sempre rinnovata ad aspettarsi delle sorprese, cioè dei disturbi. A questo riguardo i mass-media sono adatti alla dinamica accelerata di altri sistemi di funzione come l’economia, la scienza, la politica, che confrontano costantemente la società con problemi nuovi. Ed è proprio dalla politica che emerge un ottimo esempio di comunicazione ecologica. Affronteremo questo tema nel prossimo paragrafo, ma prima parliamo dei tre tipi di programmazione mediale: notizie e reportage, pubblicità, intrattenimento. 2.1.3 Programmazione: notizie e reportage Peculiarità delle notizie è il dover essere nuove e interessanti, ma naturalmente non tutti i giorni ci sono notizie con tali caratteristiche, quindi bisogna dare l’idea che ciò che è appena passato sia ancora presente, interessante e informativo. Gli eventi devono dunque essere drammatizzati e
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conservati nel tempo. Dato che il tempo scorre più veloce, però, l’osservazione degli eventi avviene oggi quasi in contemporanea con gli eventi stessi. Se si riflette su questa trasformazione evolutiva si arriva a vedere come in questo settore si arrivi ad una professionalizzazione: il giornalismo. Si presuppone che le informazioni presentate sotto forma di reportage e notizie siano vere. Certamente bisogna aspettarsi una certa quota di errori, ma non bisogna metterli in conto come casi normali, restano degli eventi isolati. La verità è il servizio che la professione svolge per la società. Ma la verità interessa ai mass-media solo in condizioni molto limitate. Non ci può essere una corrispondenza punto-a-punto tra l’informazione e il dato. A tale proposito, Luhmann ha individuato degli importanti criteri di selezione delle informazioni, o che le rendano tali, che ha definito selettori tipici e che vengono di seguito descritti : •
l’informazione deve essere nuova;
•
si privilegiano i conflitti;
•
le quantità catturano l’attenzione;
•
il riferimento locale aumenta l’attrattiva di un’informazione;
•
l’infrazione delle norme suscita molta attenzione;
•
le infrazioni alle norme servono per il mantenimento e la riproduzione della morale;
•
si privilegia l’attribuzione di azioni;
•
l’esigenza di attualità porta a concentrare le notizie su casi singoli;
•
l’esigenza di ricorsività porta a riferirsi a questi eventi nelle successive notizie;
•
anche l’espressione di opinioni da parte di esperti del tema o dell’argomento preso in esame può essere diffusa come notizia. I reportage invece non dipendono dagli eventi della giornata, ma
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informano sui contesti delle possibili novità. Il loro valore di novità non sta nel tempo, ma da quello che si suppone sia lo stato delle conoscenze del pubblico a cui ci si rivolge. Anche qui si tratta di informazioni con pretesa di verità. Anche se la verità è indispensabile per le notizie e per i reportage, i mass-media
non
seguono
il
codice
vero/non
vero
ma
quello
informazione/non informazione. I mass-media manipolano l’opinione pubblica in quanto perseguono un interesse che non viene comunicato. Può anche essere che tutto ciò che scrivono sia vero, ma questo non spiega il motivo per cui lo fanno. 2.1.4 Programmazione: pubblicità Come funziona la pubblicità? Attraverso la pubblicità la memoria viene impregnata di continuo e in modo nuovo, e la novità dell’informazione è un alibi per ricordare che c’è qualcosa da comprare. Oggi sempre più la pubblicità si basa sul fatto di rendere irriconoscibili le motivazioni del ricevente. Gli si suggerisce la libertà di decidere, compreso il fatto di volere quel che non voleva affatto. Questa funzione del rendere irriconoscibili le motivazioni viene svolta dalla tendenza alle forme belle che nella pubblicità di oggi è dominante. La buona forma annienta l’informazione. Un’altra tecnica diffusa di opacizzazione consiste nell’uso paradossale del linguaggio (si suggerisce di risparmiare spendendo dei soldi, ad esempio). Finisce quindi col presentare le motivazioni opposte. Oppure si finisce col nascondere l’oggetto per il quale si dovrebbe pagare. Si sposta sullo sfondo ciò che viene pubblicizzato. Poi ci sono le sequenze temporali. Queste tecniche, volte a rendere paradossale la situazione motivazionale, lasciano liberi di risolvere il paradosso con una decisione a favore o contro la transazione. «Una delle più importanti funzioni latenti della pubblicità è
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quella di fornire gusto alla gente priva di gusto11». Questa funzione si riferisce alla qualità simbolica degli oggetti. Con il loro aiuto si possono acquisire dei criteri di selezione in ambiti nei quali non si dispone di criteri propri. Il gusto serve a suturare il desiderio. Anche questo dipende dal fatto che non si può più fare riferimento ad uno strato sociale elevato dal quale è possibile comprendere ciò che è di moda e ciò che non lo è, come accadeva nelle classiche dinamiche di consumo basate sull’imitazione e sull’effetto sgocciolamento. Lo schema più importante della pubblicità è senz’altro il rapporto tra superficie e profondità. Usa le linee in superficie per far indovinare le profondità. La costruzione della realtà diventa sempre più un problema e fa sorgere la questione del come. I trendscouts spiano cosa sarà di moda. Gli oggetti di culto producono la differenza necessaria per l’identificazione. Ma il successo della pubblicità non sta solo nella sfera economica, nel successo di vendita. Il sistema dei mass-media ha anche qui una propria funzione, che dovrebbe consistere nello stabilizzare un rapporto tra ridondanza e varietà nella cultura di tutti i giorni. La ridondanza si crea col fatto che qualcosa viene comprato, la varietà col fatto che si devono poter distinguere i propri prodotti sul mercato. Nelle condizioni della produzione industriale comprare di nuovo la stessa cosa è più un atto di disperazione che di ragionevolezza. Per farlo occorrono delle motivazioni aggiuntive e questo avviene al meglio quando si crea l’illusione che la stessa cosa non è affatto la stessa, ma qualcosa di nuovo. Uno dei problemi della pubblicità è il presentare costantemente qualcosa di nuovo e produrre nel contempo fedeltà al marchio, cioè varietà e ridondanza. Per osservare questo processo è indispensabile un mimino di informazione: sorge così una combinazione tra elevata standardizzazione e un’altrettanto elevata differenziazione di superficie – in un certo senso il migliore dei mondi possibili, con tanto ordine quanto è necessario e tanta libertà quanto è 11
Luhmann N., La realtà dei mass-media, Franco Angeli, Milano, 2000.
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possibile. La pubblicità rende noto questo ordine e lo impone. 2.1.5 Programmazione: intrattenimento Se pensiamo al gioco possiamo affermare che l’intrattenimento è un gioco di altro genere. Si tratta di un gioco che marca otticamente o acusticamente il settore di realtà in cui si costruisce il secondo mondo, come libro, come schermo, ecc.; questa cornice esterna libera allora un mondo in cui vale una propria realtà fittizia. Come nel gioco l’intrattenimento può presupporre che lo spettatore possa osservare l’inizio e la fine. Lo spettatore separa quindi automaticamente il tempo dell’intrattenimento dal tempo reale, che lo riguarda di persona. Questo intrattenimento presuppone degli oggetti reali autoprodotti, bilaterali, che consentano di passare dalla realtà reale alla realtà fittizia, oltrepassando il confine: i testi o i film. Dal lato interno di questi oggetti si trova il mondo dell’immaginazione, invisibile alla realtà reale. Questo mondo ha bisogno di informazione, e proprio questo consente ai mass-media di costruire un abito di programmazione dell’intrattenimento
sulla
base
del
loro
codice
informazione/non
informazione. Nell’intrattenimento, proprio quando la storia viene raccontata come fittizia, non tutto può essere fittizio. Il lettore/spettatore deve esser messo in condizione di costruirsi molto alla svelta una memoria adatta al racconto e adeguata ad esso, pertanto devono essergli forniti sufficienti dettagli a lui noti. Gli si richiede una capacità di distinzione per così dire “addestrata”. Ricordiamo che per gli individui le informazioni sono sempre delle differenze che fanno una differenza. Questo concetto presuppone una sequenza di almeno due eventi, con un effetto di marcatura. Ma anche la distinzione che viene prodotta come informazione può poi essere di nuovo una differenza che fa una differenza. Le informazioni sono sempre collegate in modo ricorsivo perché devono consentire la riproduzione autopoietica del sistema dei media. Questa versione del
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problema dell’informazione presuppone i soggetti come identità fittizie che producono l’unità della storia narrata e consentono al contempo di saltare all’identità personale dello spettatore. Lo spettatore può confrontare se stesso con i personaggi del racconto. Oggi è scontato che il pubblico sia in grado di tracciare la distinzione tra realtà reale e realtà finzionale e conceda quindi alla rappresentazione delle libertà che non avrebbe mai accettato per se stesso. Una tale capacità di distinzione viene ricondotta alla nascita del teatro nella seconda metà del XVI secolo. Lo schema secondo cui in tutte le relazioni sociali si tiene conto della distinzione tra apparenza e realtà diventa una costante della cultura, che può allora contare sul fatto che la si comprenda e la si possa sfruttare. Questo modo di interpretare la realtà con la stampa si diffonde così tanto che i mass media possono darlo per scontato e anzi si pongono il problema di renderlo interessante in forme sempre nuove. Il modello più seguito è stato il romanzo moderno che sorge dal giornalismo moderno proprio in base alla necessità di distinguere tra dati e finzione. La distinzione tra notizie o reportage da un lato e racconti di finzione realistici dall’altro sorge quindi solo sulla base della tecnologia che consente di realizzare dei prodotti a stampa. Questa distinzione permette per la prima volta di usare la distanza dalla realtà e la libertà della letteratura di finzione per raccontare delle storie che anche se fittizie permettono al lettore di trarre delle conclusioni riguardo al mondo a lui noto e alla sua vita. Intrattenimento vuol dire che non si cerca e non si trova lo spunto per rispondere alla comunicazione con la comunicazione. L’osservatore si può concentrare invece sulle esperienze e sulle motivazioni delle persone presentate nel testo, e imparare da questo punto di vista a praticare l’osservazione di secondo ordine che, vedremo ora in che modo, ha un ruolo fondamentale nella configurazione della propria identità. Ai
mass
media
viene
lasciato
il
compito
di
provvedere
all’intrattenimento. Come in tutti i casi di chiusura operativa, con la differenziazione si producono in primo luogo degli eccessi di possibilità. Le
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forme dell’intrattenimento si distinguono quindi in base al modo in cui questi eccessi vengono ridotti. Il modello di fondo rimane il racconto, da cui poi si sono generate tutte le altre forme. A quanto pare però ci sono pochi equivalenti funzionali. Bisogna spiegare come questa molteplicità immaginaria di eventi torni a ricollegarsi con la realtà esterna e per farlo si deve far riferimento a delle conoscenze che gli spettatori già possiedono. L’intrattenimento ha così la funzione di rafforzare le conoscenze disponibili, ma non di istruire. Mira piuttosto ad attivare esperienze, speranze, timori propri. Lo spettatore viene condotto a vedersi come osservatore di osservatori, per poi scoprire in se stesso atteggiamenti analoghi o differenti. Già il romanzo aveva trovato i suoi temi guida nel corpo dei protagonisti e in particolare nei limiti di controllabilità dei processi corporei. La tensione del racconto viene agganciata simbolicamente ai limiti di controllabilità di quello che di volta in volta è il proprio corpo. Per questo le trasmissioni sportive servono primariamente all’intrattenimento. La forma artistica del romanzo e le altre forme di finzione dell’intrattenimento presuppongono degli individui che non riferiscono più la propria identità alla propria origine, ma la devono configurare da soli. Sembra che una socializzazione corrispondentemente aperta sia iniziata negli strati borghesi del diciottesimo secolo, oggi è diventata inevitabile. Ciascuno deve costruirsi, determinarsi, diventa allora molto allettante provare su di sé le realtà virtuali. Le rappresentazioni di intrattenimento hanno sempre un sottotesto che invita il partecipante a riferire a se stesso ciò che vede o che sente. Le sequenze di distinzioni tracciano inoltre nel mondo dell’immaginario una seconda differenza: quella rispetto a ciò che gli spettatori sanno, possono, sentono. Si impara così ad osservare gli osservatori. Tutte le operazioni che si svolgono nell’ambito
fittizio
dell’immaginazione
si
portano
dietro
anche
un’eteroreferenza, cioè il riferimento alla realtà reale, così come la si conosce e la si giudica, così come è sempre disponibile in quanto tema della comunicazione corrente. Ed è la differenza tra la realtà reale e la realtà
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fittizia che produce l’aspetto di divertimento della comunicazione di intrattenimento. Il bello dell’intrattenimento sta nel confronto che lo accompagna costantemente e le forme di intrattenimento si distinguono a seconda del modo in cui utilizzano le correlazioni con il mondo. I sistemi psichici che partecipano alla comunicazione dei mass media per divertirsi vengono invitati a tornare su se stessi. Una volta che è disponibile l’opzione imitazione/autenticità si può optare per entrambi i lati oppure uno per volta, purché si osservi se stessi e si tenti di trovare in questo la propria identità. La riflessione può produrre allora solo un io privo di caratteristiche e intrasparente, che però finché il suo corpo è collocato nel mondo può osservare come osserva. E solo allora si può fare a meno di riferirsi alla famiglia di origine nel determinare ciò che ciascuno è per se stesso. L’intrattenimento consente di autocollocarsi nel mondo rappresentato. Ciò che viene offerto come intrattenimento non vincola nessuno ma ci sono sufficienti punti d’appoggio per lavorare alla propria identità. La realtà fittizia e la realtà reale restano evidentemente differenti e proprio per questo l’individuo deve fornirsi da solo la propria identità. L’intrattenimento regola così anche l’inclusione e l’esclusione, ma lo fa come inclusione di tutti, tranne coloro che partecipano così poco all’intrattenimento, che non sono più in grado di attivare un interesse. Questi soggetti si sono così abituati con l’astinenza, spesso arrogante, ad un sé che non ne ha bisogno, e definiscono se stessi proprio in questo modo. È spesso questa una caratteristica che accomuna i soggetti dediti al cosiddetto consumo consapevole, che ambiscono a livelli sempre più elevati di sobrietà, e in questo personale autointrattenimento tratteggiano personalità fragili caratterizzate da una oscillazione costante tra il buono e il cattivo.
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2.2 Il sistema politico 2.2.1 Una politica verde è possibile? Nel paragrafo precedente abbiamo lasciato in sospeso il discorso politico. È questo un discorso che non si può fare a meno di trattare, in quanto strettamente collegato al tema della comunicazione ecologica. Passiamo dunque ad una breve analisi del codice proprio del sistema della politica12. Il codice di questo sistema è dato con l’accentramento statale del potere politico. Definisce un principio di costanza delle somme e un’alternativa: si possono solo detenere o meno posizioni in parlamento, nel governo e nell’amministrazione e da questo la politica viene codificata in governo e opposizione. Non sottomettendosi a questa alternativa i verdi, potendo operare sia al governo che all’opposizione, si comportano senza comprendere la condizioni sistemiche strutturali ed i loro successi possono quindi consistere solo nel causare difficoltà. Ci possono essere politici e funzionari più o meno sensibili alle tematiche ecologiche, più o meno impegnati nei confronti dell’ambiente e questo trasversalmente a tutti i partiti e persino all’interno della burocrazia. Rispetto a questi sensori del sistema una significativa linea guida programmatica può essere quella di cercare possibilità di ampliamento della capacità di risonanza nel sistema politico. Altrimenti insorge un effetto uguale a quello che si verifica coi partiti verdi: hanno pienamente ragione coi loro principi, si può solo non ascoltarli. Il potere politico in sé è quasi inutilizzabile per la regolazione dei problemi ecologici. Inoltre, poiché si fonda sulla minaccia con la violenza fisica e sulla paura ha la propria limitazione nel non poter né impedire né evitare la paura. Certo si può combattere la violenza con la violenza però non la paura con la paura. Ci sono solo poche possibilità di trattare con la 12
Luhmann N., La realtà dei mass-media, Milano, Franco Angeli, 2000.
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paura. La politica verde combatte direttamente gli oggetti dei propri timori e questo porta ad una politica di evitamento: niente energia atomica, niente cemento, niente alberi abbattuti. Le limitazioni del sistema politico si impongono quindi come restrizione al bloccare e ciò può essere coperto solo da principi ma non da responsabilità per le conseguenze. Questo significa che i partiti ambientalisti faranno fatica a qualificarsi nel contesto della codificazione politica per responsabilità di governo, in quanto devono sempre fare i conti con uno scambio tra preferenze primariamente economiche e primariamente ecologiche, le quali difficilmente potranno essere compatibili, a meno di un mutamento strutturale, che renda conveniente dal punto di vista politico ed economico occuparsi dell'ambiente. La struttura temporale della politica è poco in accordo con le esigenze di altri sistemi e meno che mai coi cambiamenti dell’ambiente ecologico (tempi brevi/tempi lunghi). La democrazia concorrenziale allora è in condizione di portare nella politica temi ambientali? Si attende che il problema sia così urgente da potersi attivare senza il timore di perdere dei voti. Possiamo però iniziare a pensare ad un cambiamento, che porti i temi ecologici con le loro proprie dure pretese a sostituire sempre più i vecchi temi socio-politici, e anzi possiamo dire che inizia a delinearsi una simile prospettiva. Infatti queste tematiche stanno emergendo prepotentemente come tema in tutti gli ambiti della comunicazione, da quello informativo a quello pubblicitario, pertanto possiamo ritenerle adeguate al reperimento di voti. Abbiamo un importante esempio di comunicazione politica a riguardo, che vedremo nel prossimo paragrafo.
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2.2.2 Una scomoda verità Albert Arnold “Al” Gore è un importante uomo politico statunitense. Nel 1992 scrisse il libro Earth in the balance
sui principali argomenti e
questioni ambientali, che ha raggiunto la top list dei libri più venduti a New York. Nello stesso anno divenne vicepresidente degli Stati Uniti sotto la presidenza di Clinton. Fu uno dei vicepresidenti più influenti della storia americana: partecipò a numerose riunioni internazionali e dibattiti pubblici, favorì la diffusione di internet e dei nuovi mezzi di comunicazione, contribuì
alla
formulazione
del
protocollo
di
Kyoto13,
insistette
sull’introduzione di una “tassa sulla CO2” (la cosiddetta carbon tax14) così da ridurre le emissioni di gas serra nell’atmosfera. Ma è la sua ultima mossa ad interessarci particolarmente. Nel maggio 2006 si assiste alla proiezione de An Inconvenient Truth a New York e Los Angeles. Si tratta di un filmdocumentario che passa in rassegna i dati e le previsioni degli scienziati sui cambiamenti climatici, inframmezzato da eventi della vita personale di Al Gore. Attraverso una presentazione diffusa in tutto il mondo, Gore riesamina la posizione degli scienziati, discute le implicazioni politiche ed economiche della catastrofe, e illustra le probabili conseguenze del riscaldamento del pianeta se non si interverrà immediatamente e a livello globale per ridurre le emissioni di gas serra. Il film integra scene in cui vengono confutate le tesi di coloro che sostengono che il riscaldamento 13
Il Protocollo di Kyoto è un trattato internazionale in materia di ambiente sottoscritto nella città giapponese l’11 dicembre 1997 da più di 160 paesi in occasione della Conferenza COP3 della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC) ed il riscaldamento globale. È entrato in vigore il 16 febbraio 2005, dopo la ratifica da parte della Russia. Il trattato prevede l’obbligo in capo ai paesi industrializzati di operare una drastica riduzione delle emissioni di elementi inquinanti in una misura non inferiore al 5,2% rispetto alle emissioni rispettivamente registrate nel 1990 (considerato come anno base), nel periodo 20082012. 14 La carbon tax è una tassa sulle risorse energetiche che emettono biossido di carbonio nell’atmosfera. È un esempio di ecotassa, che è stata proposta dagli economisti come preferibile in quanto tassa un “male” anziché un “bene”.
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globale sia una falsa minaccia. Gore iniziò ad interessarsi al problema del cambiamento climatico frequentando un corso all’Università di Harvard con il professore Roger Revelle, uno dei primi scienziati a misurare l’anidride carbonica nell’atmosfera. Successivamente iniziò a tenere congressi sull’argomento e a parlare ai politici della questione, sperando che, una volta venuti a conoscenza della realtà che ci aspetta, si iniziasse a fare qualcosa. Naturalmente, e per le ragioni di cui abbiamo discusso in precedenza, questo non ha comportato un discorso ecologico all’interno del discorso politico. Ma Gore all’inizio del suo film esordisce così: “Buonasera, sono Al Gore, il prossimo presidente degli Stati Uniti.” Per meglio comprendere questa strategia politica completamente nuova ho fatto delle ricerche sull’immaginario legato al presidente degli Stati Uniti, interessandomi agli studi di Clotaire Rapaille15, studioso che per trent’anni si è occupato di scoprire i codici culturali che inducono le popolazioni a vivere e consumare in un determinato modo, per poi metterli al servizio del marketing16. Non mi ha stupito scoprire che l'archetipo di riferimento per la presidenza americana è Mosè. Mosè infatti rappresenta un leader ribelle, lungimirante e desideroso di salvare il suo popolo. Il popolo americano non si è accorto del pericolo, pertanto è necessario presentare la catastrofe e la soluzione. Così vediamo nel film, dove la soluzione è rappresentata dall'atteso elenco di regole da seguire, firmato da un personaggio a cui non manca nulla per essere una fonte autorevole, soprattutto in questo periodo della storia americana. Gore inoltre si avvale della scienza. Abbiamo visto che il codice del sistema scientifico è vero/falso e non a caso il film si intitola Una scomoda verità. Per supportare questo lavoro Gore accompagna il film con un sito internet e un blog: http://www.climatecrisis.net. Da più parti della rete trapela la voce che Gore si candiderà alle prossime elezioni per vincerle. E' questo di Al Gore un perfetto esempio di come la 15 16
Rapaille C., Il codice nascosto, Nuovi Mondi Media, Bologna, 2006. http://www.archetypediscoveriesworldwide.com
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comunicazione ecologica possa essere utilizzata all'interno del discorso politico. Egli infatti utilizza una strategia basata sulla paura, diffonde queste tematiche utilizzando il linguaggio dei media e auspica un cambiamento in senso ecologico del sistema economico. E' presto per poter parlare del risultato di tale strategia, ma possiamo certamente definirla innovativa, vista la crescente diffusione di un discorso e di tematiche ecologiche all’interno dei mass-media. 2.3 Il sistema economico 2.3.1 Il codice pagare/non pagare L’economia è l’insieme di tutte le attività che si svolgono con un pagamento di denaro. Quindi pagare o non pagare è la questione esistenziale dell’economia. In riferimento a questa operazione di base codice e programma si separano. Il codice consiste nel distinguere se si hanno determinate somme di denaro oppure no. Il codice è la premessa perché il movimento del sistema entri in circolo e possa rimanere in circolo, perché il sistema possa consistere di eventi di pagamento. Considerati in sé, tali eventi sono privi di senso se non si possono trovare basi che ne motivino il compimento. In questa prospettiva il sistema deve essere considerato capace di apprendimento, cioè di poter reagire alle trasformazioni in se stesso e nel proprio ambiente. Per questo devono essere creati criteri di giusto comportamento, cioè programmi. I bisogni però non si possono programmare, capitano. Il sistema rimane dipendente dalla regolazione delle proprie operazioni interne, quindi da una programmazione dei pagamenti stessi, questo avviene attraverso i prezzi. In base ai prezzi si può valutare molto rapidamente se i pagamenti sono giusti o no17. Oggi per il calcolo 17
Luhmann N., La realtà dei mass-media, Milano, Franco Angeli, 2000.
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economico i prezzi si producono autoregolativamente dai fenomeni economici. L’ambiente impone al sistema economico restrizioni che possono trovare espressione in esso solo nella forma di prezzi e di modificazioni di prezzi. Quali possono essere gli strumenti tecnicofinanziari dell’etica ambientale? La risonanza per le questioni ambientali è possibile solo se le minacce ecologiche si lasciano recuperare in questa doppia circolazione – sia che si scoprano in esse nuove possibilità di guadagno, che schiudano nuovi mercati, producano nuovi o trasferiti incentivi all’acquisto e soprattutto facciano crescere i prezzi e si affermino sul mercato; sia che si effettuino pagamenti improduttivi, cresca l’insolvibilità e questa si ritrasmetta. L’economia deve realizzare entrambe le possibilità, può accrescerle entrambe, realizzando più denaro. Solo nella misura in cui si riesce ad includere in questa forma l’ambiente nell’economia e a internalizzarlo in base a calcoli di quantità e benefici può darsi un motivo economico per trattare l’ambiente con cura. Così nasce il concetto di responsabilità sociale che tratteremo nel prossimo paragrafo. La risonanza sui dati e sugli eventi dell’ambiente viene dunque regolata attraverso i prezzi e attraverso l’influenza sui prezzi. I prezzi sono da parte loro uno strumento critico per svelare le probabilità ambientali: se salgono, abbiamo probabilità di crescita della produzione, inclusa l’estrazione di materiale ed energia dall’ambiente, se scendono, si eliminano attività che non rendono più. La teoria economica è relativamente ottimista per quanto riguarda la possibilità di adattamento ecologico. Essa ammette che l’autoregolazione è determinata solo attraverso i prezzi e che ciò renda possibile la migliore distribuzione delle informazioni anche sull’ambiente. Il sistema economico in sé non ha alcun obiettivo perché come sistema autopoietico chiuso non si orienta ad un output da raggiungere. È dunque concepibile che le organizzazioni produttive considerino l’attenzione per l’ambiente come obiettivo secondario; allo stesso modo anche un consumatore può essere disponibile a spendere di più per un sapone non
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dannoso per l’ambiente che per un altro sapone. I comportamenti economici si possono così modificare nel senso ecologico desiderato – però non senza che questo si ripercuota all’interno dell’economia sui costi di produzione, quindi sulle imposte e sulle preferenze delle merci. La chiave dei problemi ecologici, per quanto concerne l’economia, sta nel discorso del prezzo. Tramite esso viene filtrato tutto quello che accade nell’economia. L’economia non può reagire a disturbi che non si manifestano in questo discorso. Questa limitazione strutturale ai prezzi garantisce simultaneamente che il problema se viene espresso in prezzi deve anche essere trattato nel sistema. Per parlare di come ci sia stata un’evoluzione nelle aziende nella direzione della responsabilità sociale d’impresa vedremo prima di tutto come nasce questo concetto. 2.3.2 Breve storia della responsabilità sociale d’impresa Nella seconda metà degli anni ‘90, all’indomani del Summit di Rio e della stesura della Agenda 21, le Nazioni Unite invitarono le grandi aziende, particolarmente le imprese multinazionali, a definire accordi commerciali che contemplassero e tutelassero i diritti umani di base, quelli dei lavoratori e il rispetto dell’ambiente. Si intendeva, con questo, non solo la creazione di una piattaforma contrattuale equa ed ecologica ma anche l’avvento di un preciso impegno verso il mondo, la società umana globalizzata e l’ambiente, che andava oltre la regolamentazione dei comportamenti. Il termine impiegato fu quello di Corporate Social Responsibility, CSR, che in italiano traduciamo in Responsabilità Sociale d’Impresa, RSI. Con questo termine si intende quindi l’integrazione di preoccupazioni di natura etica all’interno della visione strategica d’impresa: è una manifestazione della volontà delle imprese, di gestire efficacemente le problematiche d’impatto sociale ed etico al loro interno e nelle zone di attività. Molte aziende firmarono accordi con tutti i partner commerciali, dai principali clienti e fornitori ai
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subappaltatori di attività di servizio, affinché si garantissero degli standard etici di minima (rifiuto del lavoro minorile e delle condizioni di sfruttamento umano, pari opportunità, ecc.). L’Unione Europea iniziò ad elaborare una strategia di coinvolgimento delle aziende nel progetto RSI già a partire dal 1997: venne fondato infatti un organo di consulenza appositamente dedicato e nel luglio 2001 venne pubblicato il Libro Verde sulla
Responsabilità
Sociale
d’Impresa,
un
documento
destinato
specificamente all’apertura del dibattito a livello europeo sulla RSI18. Il Libro Verde19 fornisce le coordinate in base alle quali si intende muovere l’UE, e si dà già una prima definizione provvisoria di RSI: un’adesione volontaria ad un insieme di norme comportamentali volte al miglioramento della società in generale e a partire dalla dimensione interna dell’azienda. Si individuano come stakeholders, come referenti della RSI, tutti i cittadini nessuno escluso - che siano in qualche maniera toccati o implicati nelle azioni dell’azienda. In seguito al dibattito scaturito dall’uscita del Libro Verde, l’Unione Europea ha inoltre indetto un giro di consultazioni a livello dei singoli paesi membri per mezzo di un Grand Tour in cui una fiaccola è stata spostata da un paese all’altro in occasione di importanti dibattiti e di precisi impegni da parte dei governi. La tappa italiana è stata significativa dal punto di vista del futuro del nostro paese in merito alla RSI. Il Governo ha preso infatti la decisione di preparare entro la metà del 2003 un profilo di standard legali per cui un’azienda si può definire Socialmente Responsabile. Per definirsi tale, l’azienda dovrà farsi certificare. Questo aspetto, giudicato quanto meno delicato da molte delle piccole e medie imprese italiane, presenti anche in sede di conferenza, ha fatto sì che si ipotizzassero due linee diverse di certificazioni: una concessa dallo Stato, l’altra, forse meno cogente, attraverso autocertificazione. In attesa della conclusione dei lavori della commissione governativa per la definizione degli standard di 18 19
http://www.utopie.it/ http://ec.europa.eu/employment_social/labour_law/docs/2006/green_paper_it.pdf
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certificazione per il nostro Paese, il Libro Verde costituisce sicuramente un importante strumento di confronto e di ispirazione in merito alla RSI. Ma cosa altro è la RSI? Per chi siede nei Consigli di Amministrazione, la Responsabilità Sociale è un importante strumento di governo dell’Impresa, che migliora performance finanziarie, processi di coesione interna, gestione operativa. Per il marketing è una nuova via al posizionamento dei prodotti e del marchio. Per i cittadini e i consumatori la Responsabilità Sociale d’Impresa è un valore. Per definire cosa sia la responsabilità sociale d’impresa, da un lato, e cercare di comprendere le ragioni per le quali questo tema sta entrando così prepotentemente nella riflessione di manager, imprenditori e consulenti aziendali, dall’altro, esiste un discorso centrato sul tema della legittimazione etica e sociale del fare impresa. Fino agli anni Settanta era universalmente accettato che l’unica legittimazione etica e sociale del fare impresa fosse quella di operare per la massimizzazione del profitto nel rispetto delle regole del gioco. Questo fatto, di per sé, costituiva un indicatore del migliore uso possibile delle risorse, e quindi indirettamente di operare per il bene comune. Questa sostanziale sovrapponibilità della catena del valore economico e del valore sociale del fare impresa, entra in crisi con l’avvento della società post-fordista, ovvero, partendo da un’altra prospettiva, per effetto dei processi di globalizzazione dell’economia e dei conseguenti processi di delocalizzazione della produzione, delle persone e delle culture20. Esistono tre ragioni fondative, in quanto basate sulla considerazione di elementi non transitori, di questo cambiamento radicale del modo di intendere la responsabilità sociale d’impresa. 1) La responsabilità sociale del cittadino – consumatore La prima causa andrebbe addebitata all’emergere di un tema nuovo:
20
http://www.utopie.it/
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quello della “responsabilità sociale del cittadino-consumatore”. La trasformazione del consumatore da ricettore passivo a soggetto attivo, cioè a consumatore critico, che con le sue scelte intende contribuire a “costruire” l’offerta: in altre parole a questo nuovo consumatore non basta più il parametro del rapporto qualità-prezzo. La diffusione su larga scala di nuove sensibilità verso la sostenibilità ambientale e sociale dello sviluppo, sta trasformando il consumatore da soggetto passivo in attore consapevole e attivo nella catena del valore economico, in cittadino-consumatore che vuole sapere come quel certo bene è stato prodotto e se nel corso della sua produzione l’impresa ha violato, in tutto o in parte i diritti fondamentali della persona che lavora21: questo nuovo atteggiamento del “cittadinoconsumatore” può tradursi in due diversi tipi di comportamento: La penalizzazione di imprese che hanno operato evidenti violazioni
•
di diritti umani fondamentali; La crescente disponibilità a favorire, anche attraverso la scelta di
•
prodotti con prezzi maggiorati, imprese impegnate a vario titolo nel sociale. Sarebbero esempi di questo orientamento lo sviluppo dell’offerta sul mercato dei prodotti cosiddetti “biologici”, le nuove forme di turismo responsabile e/o solidale, il crescente collegamento, nel marketing di prodotti di largo consumo, con iniziative di rilevanza sociale come la ricerca medica relativa a malattie a forte impatto sociale ed emotivo, o di solidarietà con popolazioni investite da disastri naturali o sociali. Secondo alcuni, poi, questo orientamento a favorire imprese socialmente impegnate non riguarderebbe solo i consumatori ma anche i finanziatori come mostra lo sviluppo, per esempio, della finanza etica. 2) La delocalizzazione dell’impresa 21
http://www.utopie.it/
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La seconda causa sarebbe da addebitare alla destrutturazione dell’attività produttiva e alla conseguente de-localizzazione delle imprese. La tradizionale corrispondenza fra fabbrica e territorio e il rapporto di controllo e mutuo aiuto, formale e informale, fra l’imprenditore e la “sua gente” rendeva superfluo il tema della responsabilità sociale d’impresa. Se prima la legittimazione sociale dell’impresa si fondava sulla contestuale creazione di profitto e di benessere diffuso per una comunità ben identificata, nel tempo dell’impresa globalizzata non legata a nessun contesto territoriale e sociale specifico, si rende necessario acquisire questa legittimazione, presso i cosiddetti stakeholders, con nuovi strumenti quali il bilancio sociale, il bilancio ambientale, il cause-related marketing, la comunicazione mediatica e pubblicitaria, la certificazione di eticità, ecc. 3) I cambiamenti organizzativi interni all’impresa La terza causa è da ricercarsi nei cambiamenti che hanno investito l’organizzazione interna delle imprese, nel passaggio alla cosiddetta fabbrica post-fordista; cambiamenti che hanno conseguito l’effetto di depotenziare l’efficacia dei tradizionali strumenti di fidelizzazione all’azienda, di controllo dei comportamenti e di incentivazione della produttività dei collaboratori. La legittimazione sociale acquisita attraverso il coinvolgimento dell’azienda in attività sociali e l’adozione di comportamenti socialmente responsabili, costituisce oggi il più potente strumento di potenziamento della coesione interna. Attraverso la creazione di corporate culture, centrate su valori forti e su comportamenti ad elevata legittimazione
sociale,
le
aziende
ottengono
identificazione
e
comportamenti altamente collaborativi dai propri dipendenti. Infine è utile ricordare che sono considerati indicatori di agire etico: •
l’attivazione di pratiche e strumenti finalizzati ad instaurare un rapporto con l’insieme dei cosiddetti stakeholders, basato sulla
40
fiducia, la correttezza e la trasparenza; •
un atteggiamento sempre più attento alle risorse umane impiegate (rispetto dei diritti dei lavoratori, assenza di forme di discriminazioni sessuali, religiose e razziali, tutela della salute, promozione delle risorse umane e del capitale intellettuale e umano interno all’azienda);
•
il rispetto dell’ambiente e dei diritti umani e animali;
•
l’impegno diretto in iniziative finalizzate a contribuire al miglioramento della società e alla tutela dell’ambiente (investimento nella cultura, nella ricerca, nella tutela della salute, in iniziative di solidarietà, ecc.). Così posta, la tematica dell’agire etico dell’impresa sta diventando un
tema forte che investe direttamente il problema della competitività delle imprese. L’impresa non può sopravvivere e svilupparsi senza legittimazione sociale e la legittimazione oggi può essere ottenuta anche dimostrando pubblicamente di tenere conto nella propria attività dei valori condivisi nell’ambiente sociale in cui opera. D’altra parte il tema dell’agire etico non ammette troppe furbizie e dobbiamo considerare i rischi di un approccio puramente strumentale che, pur sempre possibile, avrebbe, una volta scoperto, degli effetti oltremodo devastanti sull’immagine di un’azienda in cui i maggiori guadagni arrivano da consumatori fidelizzati dal punto di vista dell’etica aziendale. Possiamo quindi affermare che, visti i risvolti dell'etica aziendale, questa dovrebbe diventare la strategia di risonanza che permette che essa diventi un tema al quale sono sensibili anche le imprese. Nel prossimo capitolo affronteremo la nascita di standard qualitativi e marchi di riconoscimento dell’azienda etica in relazione all’emergere di nuovi movimenti sociali.
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3. Il consumatore etico, questo sconosciuto 3.1. Profili da consumatore etico 3.1.1 Perché la responsabilità sociale del consumo Giunti a questo punto, dopo aver sondato il lato dell’impresa, andremo a chiarire quale accezione di consumo e consumatore consapevole si possa adottare. Ma anche quali sono le reali finalità di una focalizzazione sulla responsabilità sociale del consumo. Innanzitutto dobbiamo interrogarci sulle motivazioni che portano a questo tanto attuale «ritorno all'etica»22. La nostra epoca sarebbe caratterizzata, secondo più voci, da una “crisi morale postmoderna”, relativa al fatto che ogni individuo si trova a vivere in un ambiente nel quale non vi sono più valori comuni di riferimento stabilizzati in strutture istituzionali, e tantomeno
apparati
normativi
sufficientemente
restrittivi.
La
globalizzazione infatti segna la fine o quantomeno la fase radicale della società moderna, delle certezze e degli equilibri che la caratterizzavano. Da questo punto di vista la situazione dell'uomo oggi diventa paradossale: da un lato la potenza dei mezzi tecnico-scientifici a sua disposizione e il processo di globalizzazione conferiscono al suo agire ripercussioni su scala planetaria, e questo richiederebbe un orientamento ancora più sicuro che in passato. Dall'altro però è venuta meno la forza vincolante delle grandi narrazioni dei quadri di riferimento di tipo religioso, mitologico, metafisico, ideologico da cui un tempo erano desunte le norme pratico-morali. Avviene così che il termine etica conosce una nuova vita, divenendo lentamente tema della comunicazione. Questo grazie ai crescenti fenomeni di comunicazione dal basso che riproducono la comunicazione, codeterminandola, ovvero 22
Di Nallo E., Paltrinieri R., Cum Sumo. Prospettive di Analisi del Consumo nella Società Globale, Franco Angeli, Milano 2006.
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contribuendo a costruire un immaginario generato non solo dai mass media, ma anche dalle sollecitazioni che provengono dall'ambiente. Sta pertanto accadendo quanto prefigurato da Luhmann, ovvero le tematiche etiche stanno divenendo così urgenti da penetrare all'interno dei discorsi mediali e non solo. Dobbiamo quindi interrogarci sulle motivazioni di questo fenomeno. Da un lato possiamo notare come il desiderio di un'etica si fa tanto più urgente quanto più il disorientamento manifesto dell'uomo aumenta a dismisura, dall'altro un'economia fondata sullo sfruttamento intensivo di capitali inizia a mostrare i suoi effetti divenendo tema di discussione. Se consideriamo che il consumo costituisce oggi la principale area esperienziale
del nostro
vissuto di attori in un mondo globale, ne deriva che proprio i consumi sono divenuti oggi un'arena centrale su cui convergono interessi collettivi che possono dar vita a nuove forme di legame e solidarietà sociale. E' possibile dare un mercato ai valori se si riconosce che le motivazioni al consumo vanno sempre più imputate alla ricerca di senso o di significato, che si palesa oggi nell'esperienza del consumo. Un orientamento etico ai consumi non può trovare una giustificazione solo in un generico senso di colpa o nel meccanismo dell'understatement snobistico. Giustificazioni queste che potrebbero essere rafforzate dal fatto che tali comportamenti appartengono ai maggiormente dotati dal punto di vista della struttura patrimoniale e dei capitali: economico, culturale e sociale. L'essere disposti a spendere di più per un prodotto che garantisce, dal punto di vista della catena produttiva, il rispetto dei lavoratori e dell'ambiente, solo formalmente può apparire un comportamento economicamente irrazionale. Se nell'atto di acquisto si è disposti a cogliere un orientamento valoriale – una dimensione simbolica – allora questo gesto appare un comportamento altamente dotato di valore per colui che lo compie. Cercheremo pertanto di delineare nel prossimo paragrafo quali sono i valori che spingono a prediligere questa tipologia di consumi.
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3.1.2. Chi è il consumatore etico A questo punto del discorso dobbiamo interrogarci su quali siano le caratteristiche del consumatore etico. Dietro l'aggettivo etico, infatti, si raccolgono una serie di figure che ricorsivamente appaiono nella letteratura specialistica. Possiamo quindi così definire il soggetto oggetto di studio: «E' il consumatore responsabile che al piano meramente individuale della soddisfazione delle proprie esigenze, in base ad una dimensione utilitaristica, sovrappone il piano della dimensione collettiva nel rispetto dell'ambiente e del lavoro degli uomini. E' il consumatore consapevole, convinto che la sicurezza in campo alimentare, la protezione dell'ambiente, il rispetto dei diritti dell'uomo nel funzionamento dell'impresa e lungo la catena produttiva, la protezione e la sicurezza dei lavoratori rappresentino diritti collettivi da tutelare. E' il consumatore sostenibile, cosciente della finitezza delle risorse scarse, che si pone come obiettivo quello di usare materiali ed energia in modo tale da migliorare la qualità della vita e garantire un futuro all'ambiente in cui vivranno le generazioni a venire. Ed è, infine, il consumatore critico quando accompagna consapevolezza e responsabilità ad azioni di boicottaggio e controinformazione23». Nel mondo occidentale possiamo dire che le istanze etiche da parte dei consumatori non rappresentano una novità. Già un sondaggio realizzato nel 1995 dalla Gallup in Inghilterra evidenziava come tre consumatori inglesi su cinque erano pronti a boicottare negozi e prodotti perché preoccupati degli standard etici. Sondaggi più recenti hanno confermato questi risultati iniziali. Più recente e riferita alla realtà italiana è l'indagine “Benessere personale e benessere collettivo: percezioni e strategie dei cittadiniconsumatori”, promossa dalla Rete Lilliput24, e realizzata dall'istituto di 23
Di Nallo E., Paltrinieri R., Cum Sumo. Prospettive di Analisi del Consumo nella Società Globale, Franco Angeli, Milano 2006, p.336. 24 http://www.retelilliput.org
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ricerca Eurisko25, che si propone di monitorare le rappresentazioni dei consumatori etici sul tema della qualità della vita. I risultati della ricerca mettono in evidenza come il benessere sia divenuto oggi un valore primario nella vita degli intervistati, i quali tendono ad attribuire alla qualità della vita elementi di carattere pubblico-sociale, oltre che privati. La maggior parte di essi sostiene che il benessere aumenta se ci si trova in una situazione di tranquillità, se si può vivere seguendo ritmi più lenti e se migliora l'equilibrio tra le diverse dimensioni del vivere. Un dato che viene messo in evidenza dall'indagine, per differenza rispetto al decennio precedente, è la maggiore rilevanza che viene attribuita alle componenti “non materiali” e “non individualistiche” della vita sociale quotidiana. Cresce il tempo dedicato a sé, alla famiglia, agli affetti e alle attività culturali. Ma il dato che per noi è fondamentale riguarda il rapporto con il sistema del consumo. I prodotti e i servizi sono percepiti come ingredienti necessari per migliorare la qualità del vivere, piuttosto che come simboli di status. Il rapporto coi consumi diviene pertanto più maturo, consapevole e critico.
Calano
l'investimento simbolico e l'ostentazione, mentre cresce l'attenzione alla qualità reale dei prodotti, alla durata e all'affidabilità. Come conseguenza più o meno diretta di questa “coscienza critica”, gli intervistati chiedono alle imprese di non violare i diritti umani e di assumersi responsabilità riguardo l'ambiente26, evidenziando così una particolare sensibilità per quel che riguarda le condizioni ambientali. Sensibilità espressa anche verso la tematica delle disuguaglianze sociali: a parere degli intervistati, infatti, le imprese dovrebbero adottare trattamenti equi tra tutti i loro dipendenti e collaboratori, indipendentemente dal sesso, dalla razza, dalla religione e dall'orientamento politico. E' da segnalare, inoltre, la condanna espressa nei confronti di chi testa i prodotti sugli 25
Dati tratti da http://www.eurisko.it, sezione Materiali di GfK Eurisko, seminario “I consumatori italiani e la responsabilità sociale delle imprese” del 23 gennaio 2003. 26 Come risulta da una ricerca recentemente condotta da McCann Erickson sulle tendenze ecologiche del consumo.
45
animali. Inoltre, più della metà degli intervistati ha discusso con amici e parenti, nel corso dell'ultimo anno, di tematiche riguardanti il consumo critico e i comportamenti illeciti delle aziende, e quasi un 30% si è rifiutata di comprare prodotti di una marca socialmente irresponsabile. Un clima culturale favorevole al consumo consapevole è quello segnalato dalla ricerca dell'Asashi Glass Foundation del 2003. Questa ricerca, svolta a livello globale, analizza la predisposizione delle persone a ridurre i consumi, come vorrebbe la teoria della decrescita, che vedremo in seguito. Dalla ricerca emerge che nei paesi occidentali più del 60% del campione consultato si dichiara disponibile a contrarre i propri consumi. Tale percentuale scende al 50% tra gli intervistati che vivono i Russia, mentre nei paesi in via di sviluppo, in Asia e in America Latina raggiunge solo il 30%. La più alta predisposizione ad una contrazione dei consumi la fanno rilevare gli intervistati giapponesi, seguiti dagli statunitensi
e dagli europei
occidentali, con scarti significativi si collocano poi i russi e gli europei dell'Est ed infine gli abitanti dei paesi emergenti dell'Asia e dell'America Latina. Rispetto alle specifiche voci, nei paesi occidentali, l'83% degli intervistati si è dimostrato favorevole ad una contrazione dei consumi di elettricità, l'81% della carta, il 73% della benzina, il 71% dell'acqua ed il 65% del cibo. I risultati dell'indagine dell'Osservatorio sul Capitale sociale degli italiani27 del 2004 mettono in risalto un'Italia “responsabile”, che spende con più attenzione per esprimere principi etici, un orientamento ecologico o valori politici. Dall'indagine emerge che ben il 47% degli italiani ha speso soldi per finanziare interventi di valore sociale. Il 31% ha acquistato prodotti del commercio equo e solidale o ha scelto beni di consumo in base a considerazioni di tipo etico, politico o ecologico. Per le stesse ragioni il 27
Ricerca svolta da Demos, e commentata da Ilvo Diamanti sul quotidiano La Repubblica del 28/05/2004.
46
19% ha boicottato i marchi delle multinazionali accusate di sfruttare il lavoro minorile nei paesi poveri. E sempre questa ricerca ci illustra le caratteristiche socio-demografiche di questo modello idealtipico: si tratta per lo più di donne, di età compresa tra i 30 e i 44 anni, dotate di una consistente struttura patrimoniale, di ceto medio elevato e con un alto livello di istruzione (diplomate e laureate), abitanti nelle regioni del centro nord e inserite in reti di solidarietà. I dati che abbiamo visto mostrano quindi che il consumatore etico non rappresenta più una nicchia. Per poterlo affermare però dobbiamo prima chiarire la necessità di abbandonare l'idea idealtipica di questa figura. Dobbiamo cioè allontanarci dall'idea di un soggetto che
dimostri una
coerenza di comportamento a tutto tondo e che sia al contempo ecologista, animalista, no-global, pacifista e così via. Una ricerca che idealmente proceda attraverso una clusterizzazione che accorpi in sé tutti i diversi aspetti non potrà che indicare una quota relativamente bassa di mercato e quindi una nicchia. Le ricerche citate, infatti, mettono in luce l'esistenza di un clima culturale favorevole al consumo responsabile o alla responsabilità sociale d'impresa. Tuttavia un atteggiamento o una disposizione favorevole non si traducono necessariamente in un comportamento conseguente. Così accanto alla nicchia dei consumatori critici tout court trovano una propria legittimità sia i consumatori contraddittori che assumono comportamenti da consumatori consapevoli e/o critici entro talune circostanze, ma comunque senza rientrare in modelli omogenei e compatti, sia coloro che manifestano un atteggiamento di sensibilità verso la responsabilità sociale ed il consumo consapevole, senza che questo sfoci necessariamente in un comportamento. È difficile quindi poter parlare di veri e propri movimenti verdi, considerando l’esistenza di una molteplicità di tendenze. Risulta più appropriato utilizzare il concetto di bolle di consumo ecologico28, cui il
28
E. Di Nallo parla in proposito di meeting point, quali «aree di raccolta di flussi
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consumatore sceglie di aderire o meno, o di aderire per singoli periodi, eventi, condivisione di spazi. Queste nuove tendenze hanno pertanto causato una grande proliferazione di aziende e marchi etici, che garantiscono al consumatore l'impegno dell'azienda. La marca vende dunque una relazione di fiducia, in cui l'attenzione del cliente e la sua preferenza potenziale per la marca sono ricambiati da un impegno del produttore a mantenere le promesse insite nella marca. Tali promesse vanno oltre le classiche riguardanti la qualità o il rapporto qualità/prezzo e puntano sull'immagine, su valori, simboli e sogni che la marca sollecita esprimendo il vissuto più profondo che il consumatore attiva per il prodotto di cui la marca è garante. Questa proliferazione di marchi etici testimonia come l'immaginario venga creato non solo dai media ma parta anche da sollecitazioni che provengono dall'ambiente stesso, in particolar modo evidenzia il ruolo sempre più importante dei fenomeni di comunicazione
dal
basso
nella
determinazione
dei
temi
della
comunicazione. Vedremo ora quali sono le tendenze di consumo etico e i marchi che ottengono la fiducia di tali consumatori. 3.1.3. Una questione di fiducia Consumare consapevolmente è una scelta che richiede al consumatore due risorse fondamentali, quali il tempo e il denaro, e la possibilità di spenderli nel reperimento delle informazioni e successivamente dei prodotti ritenuti adeguati alle proprie esigenze. All'interno dei consumi etici il ruolo assunto dalla marca è fondamentale. Essa infatti svolge più che mai il ruolo di garante, e per farlo si avvale di numerose certificazioni che vedremo tra comunicazionali, provenienti sia dai vari sistemi sociali che da aree relazionali e percettive, che si confrontano con l’azienda, il mercato, i consumatori, attraverso il meccanismo della contingenza, offrendo ventagli di possibili fra i quali verranno effettuate le scelte.» Si veda E. Di Nallo, Quale marketing per la società complessa?, Franco Angeli, Milano 1998.
48
poco. Dal punto di vista del consumatore è richiesto un grande impegno per raccogliere tutte le informazioni necessarie. Il reperimento di tali informazioni avviene tramite libri e riviste specializzate in primis, e successivamente attraverso la rete. Vi sono numerosi portali, forum tematici e blog personali creati appositamente. Vi sono gruppi che si formano e altri che si separano per seguire nuovi orientamenti. Notiamo un continuo movimento
di
aggregazione
e
disgregazione
mediato
dalla
rete,
prevalentemente dai forum tematici. È soprattutto questo il “luogo” all’interno del quale nascono e si sviluppano nuove teorie, se ne discute, ci si dissocia dal gruppo, si fondano nuove community. Così dalla disgregazione di una community se ne genera una nuova, in un continuo moto evolutivo che prevede adesioni sempre diverse. La partecipazione a questi spazi genera una aggregazione fortemente normata e mediata. L'ammissione alla community è subordinata alla condivisione di regole non scritte, infrangendo le quali il soggetto verrà rigettato, pur se aderente alla comunità da lungo tempo. Si tratta di un ambiente sì personalizzato ma soprattutto collettivo, costantemente controllato dai partecipanti.
E’ in
questo ambiente che si generano e organizzano rapide mobilitazioni e azioni di disturbo. Qui vediamo la concretizzazione di una intelligenza della moltitudine che porta l’io a confluire nel noi per partecipare a forme di comunità delle emozioni29, eventi caratterizzati da una forte condivisione emotiva, ma che altrettanto rapidamente si dissolvono con il dissolversi della condivisione, per poi ritrovarsi in una relazione mediale che può rapidamente trasformarsi in una relazione conflittuale con l’infrangimento di una sola regola comunitaria. Potremmo parlare di una forma di neotribalismo ecologico, caratterizzato da condensazioni istantanee che risultano essere fragili ma al contempo ad elevato investimento affettivo, 29
Boccia Artieri G., I media-mondo. Forme e linguaggi dell'esperienza contemporanea, Meltemi, Roma, 2004.
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caratterizzate da un incessante giravoltare dei soggetti da un gruppo all'altro. E' all'interno di queste comunità che il soggetto apprende le prime nozioni sul tema, a partire dalle aziende oggetto di boicottaggio. Infatti il tema del consumo e delle marche sono tema quotidiano di discussione. Per questi soggetti l'immagine di marca e le certificazioni ad essa legate rivestono un'importanza fondamentale. Insieme agli altri utenti ci si confronta, si chiede, si scopre, si fanno valutazioni sulla possibilità di fidarsi o meno di un marchio o di un'azienda. Ecco che la questione della fiducia diviene fondamentale. Vedremo ora quali sono queste scelte che caratterizzano il consumatore consapevole. Ma prima di passare all'analisi delle certificazioni accenneremo brevemente agli orientamenti che sono precedenti al consumo, per poter approfondire la nostra analisi. Un fenomeno che è risultato piuttosto diffuso è quello della decrescita e dell'autoproduzione. La decrescita è un concetto completamente diverso dallo sviluppo sostenibile. La peculiarità dello sviluppo sostenibile dovrebbe essere quella di non compromettere la possibilità delle future generazioni di perdurare nello sviluppo preservando la qualità e la quantità del patrimonio e delle riserve naturali. Le riserve naturali sono considerate esauribili, mentre le risorse inesauribili. L’obiettivo è dunque di mantenere uno sviluppo economico compatibile con l’equità sociale e gli ecosistemi, operante quindi in regime di equilibrio ambientale. Ma il particolare, che rende contestabile questa teoria, è la presupposta inesauribilità delle risorse. Da qui partirà la critica del movimento contrario. Infatti il concetto di sviluppo sostenibile è stato aspramente criticato da Serge Latouche30 e dai movimenti facenti capo alla Teoria della Decrescita. Essi ritengono impossibile pensare uno sviluppo economico basato sui continui incrementi di produzione di merci che sia 30
Latouche S., Come sopravvivere allo sviluppo. Dalla decolonizzazione dell'immaginario economico alla costruzione di una società alternativa, Bollati Boringhieri, Torino, 2006.
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anche in sintonia con la preservazione dell’ambiente. Ne deriva che lo sviluppo sostenibile è una teoria ormai superata, pertanto non più applicabile alle moderne economie. Il concetto di decrescita deriva invece dal concetto di bioeconomia. Con questo termine si indica una teoria economica proposta da Nicholas Georgescu-Roegen31 per un’economia ecologicamente e socialmente sostenibile. Egli riteneva che qualsiasi processo economico che produce merci materiali diminuisce la disponibilità di energia nel futuro e quindi la possibilità futura di produrre altre merci e oggetti materiali. Inoltre, nel processo economico anche la materia si degrada, ovvero diminuisce tendenzialmente la sua possibilità di essere usata in future attività economiche: una volta disperse nell’ambiente, le materie prime precedentemente concentrate in giacimenti nel sottosuolo possono essere reimpiegate nel ciclo economico solo in misura molto minore e a prezzo di un alto dispendio di energia. Materia ed energia, quindi, entrano nel processo economico con un grado di entropia relativamente bassa e ne escono con un’entropia più alta. Da ciò deriva la necessità di ripensare radicalmente la scienza economica, rendendola capace di incorporare il principio dell’entropia e in generale i vincoli ecologici. Vediamo come avviene tale ripensamento. La decrescita è un concetto politico, secondo il quale la crescita economica - intesa come accrescimento costante di uno solo degli indicatori economici possibili, il prodotto interno lordo - non è sostenibile per l’ecosistema della terra. Questa idea è in completo contrasto con il senso comune politico corrente, che pone l’aumento del livello di vita, rappresentato dall’aumento del PIL, come obiettivo di ogni società moderna. L’aggettivazione
sostenibile
allude
alla
proposta
di
organizzarsi
collettivamente in modo che la diminuzione della produzione di beni non costituisca riduzione dei livelli di civiltà. L’assunto principale è che le 31
Georgescu-Roegen N., Bioeconomia. Verso un'altra economia ecologicamente e socialmente sostenibile, Torino, Bollati Boringhieri, 2003.
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risorse naturali sono limitate e quindi non si può immaginare un sistema votato ad una crescita infinita. Il miglioramento delle condizioni di vita deve quindi essere ottenuto senza aumentare il consumo ma attraverso altre strade. Proprio per la costruzione di queste vie sono impegnati numerosi intellettuali, al seguito dei quali si sono formati movimenti spesso non coordinati fra loro, ma con il fine unico di cambiare il paradigma dominante secondo il quale è necessario aumentare i consumi per dare benessere alla popolazione. Possiamo quindi concludere dicendo che la teoria della decrescita sostenibile non implica il perseguimento della decrescita in sé e per sé: si pone invece come mezzo per la ricerca di una qualità di vita migliore, sostenendo che il PIL consente solo una misura parziale della ricchezza e che, se si intende ristabilire tutta la varietà della ricchezza possibile, allora è urgente smettere di utilizzarlo come unica bussola. La risposta offerta da questi gruppi è rappresentata dai GAS, Gruppi di Acquisto Solidale e dagli Ecovillaggi, forme di organizzazione indipendente e parzialmente autonome, che vedremo tra poco. Alla base di queste organizzazioni c'è un'autonomia nel reperimento di prodotti e
l'autoproduzione, pratica molto diffusa nel movimento
ecologista. La rete è ricca di consumatori intenti a scambiarsi consigli e ricette per produrre artigianalmente e con l’utilizzo di sostanze non inquinanti quasi ogni bene di cui necessitano. Questa attività di produzione è supportata da blog e siti dedicati, creando così una rete di consumatori che si scambia soluzioni per ogni problema, che genera un forte interesse nelle aziende che studiano nuovi prodotti da lanciare sul mercato per il consumatore consapevole. Vediamo un esempio rilevante nel blog Semplicemente Vera32, oppure il portale e il forum di Sai Cosa Ti Spalmi33, divenuto recentemente anche shop on-line. Possiamo notare da questi esempi come emerga sempre più la necessità del consumatore verde di 32 33
http://www.veruccia.blogspot.com http://www.saicosatispalmi.org/
52
eliminare elettrodomestici e risparmiare energia, a cui conseguono fenomeni come ad esempio le free frigo family. Vediamo inoltre gruppi di famiglie che si organizzano nei GAS, gruppi di acquisto solidale34, fenomeno molto interessante, presente sul territorio italiano da oltre dieci anni, e in rapida crescita. Un gruppo di acquisto solidale è formato da persone che decidono di incontrarsi e acquistare collettivamente prodotti sia alimentari che non, da ridistribuire tra loro. Il concetto di solidarietà è il criterio guida nelle scelte di consumo del gruppo: una solidarietà ampia che, a partire dai membri del gruppo stesso si estende ai piccoli produttori che forniscono i prodotti, fino a comprendere il rispetto dell’ambiente, dei popoli del Sud del mondo e di tutti coloro che subiscono le conseguenze di questo modello di sviluppo. L’esperienza dei GAS realizza quindi una rete di solidarietà che consente anche a coloro che non dispongono di grandi somme di denaro di praticare il consumo critico. Alla base di questa esperienza si trova una critica profonda verso il modello di consumo e di economia globale, insieme alla ricerca di una alternativa praticabile da subito. Ci sono poi gruppi che attuano una scelta ancora più radicale, nel tentativo di tirarsi in qualche misura fuori da un sistema in cui non si rispecchiano e organizzandosi in ecovillaggi, strutture più o meno indipendenti, basate sull’autoproduzione, che valorizzano i rapporti umani piuttosto che quelli mediati dalla tecnologia e dai media. Così nasce un ecovillaggio, ovvero un insediamento completo, abbastanza piccolo da permettere ai partecipanti di conoscersi, relazionarsi ed interagire fra loro, di riconoscere ed essere riconosciuti in modo che l’individuo possa avere una effettiva voce, ma grande abbastanza da soddisfare, se non tutti, la gran parte dei bisogni umani. E’ un insediamento a tutto campo che cerca quindi di soddisfare i bisogni di avere una abitazione, cibo, lavoro, divertimento 34
http://www.retegas.org/
53
oltre ai bisogni sociali, all’educazione e ai bisogni spirituali. Ma non tutti i bisogni economici possono essere soddisfatti all’interno del villaggio. Si propone il soddisfacimento dei bisogni umani di sviluppo-abbondanza, confronto, contributo attivo, auto-realizzazione, sensazione di essere a "casa", celebrazione, rituale, autostima. Provvede alla propria continuità nel tempo preservando il futuro: è un modello ecologicamente, socialmente ed economicamente sostenibile, agisce prevedendo gli effetti avanti nel tempo per almeno sette generazioni. Un ecovillaggio è rispettoso dell’ambiente naturale, per questo si utilizzano strumenti quali fonti di energia rinnovabili, riciclaggio dei rifiuti come risorse, utilizzo di tecnologie appropriate, si costruisce utilizzando materiali e fornitori locali, si mantengono la popolazione e le attività all’interno della capacità di portata dell’ambiente naturale, si favorisce una economia locale. All’interno del mio studio ho avuto modo di parlare con gruppi di persone che hanno costruito e stanno costruendo ecovillaggi, in particolare mi sono interessata al progetto Piccolo Popolo, che si realizzerà tra Liguria e Piemonte, e posso affermare che si tratta di progetti estremamente interessanti dal punto di vista relazionale. Il tentativo è quello di creare un mondo quasi parallelo basato su relazioni definite concrete. È interessante notare come tutto l’interesse si sposti verso il piano relazionale, con la pretesa di un totale annullamento di bisogni esterni. È ancora presto per poter esprimere un giudizio sul funzionamento di queste realtà ma devo dire che esistono e iniziano ad essere numerose35, il che mi sembra interessante se non altro per il potere normativo di queste strutture. Dobbiamo riconoscere che sia perlomeno curioso il processo di regressione eletto a modello, la volontà di limitare la propria libertà reale e virtuale per privilegiare una situazione in cui emerge una prevalenza di valori apparentemente appartenenti al passato. Il punto interrogativo è come questi 35
In Italia superano le cinquanta unità secondo la Rete Italiana Villaggi Ecologici.
54
individui vivano il confronto col reale quotidiano, ma è prematuro esprimere un giudizio. Ad ogni modo un ecovillaggio non è completamente autosufficiente, quindi vediamo a chi ci si rivolge per gli acquisti. È il momento del consumo consapevole. 3.1.4. Consumare consapevolmente «Per Consumo Consapevole si intende il prendere coscienza della necessità di acquistare prodotti che riducano al minimo le cause della sottoalimentazione e i danni all’ambiente, valutando nel contempo la sofferenza che talune nostre scelte e abitudini infliggono agli altri animali»36. Vediamo allora quali sono i marchi che rassicurano il consumatore sull'eticità delle proprio scelte. Innanzitutto possiamo dire che ci sono numerosi organi che ricoprono la funzione di garanti attraverso certificazioni specializzate in diversi settori. Tra questi indubbiamente il più importante è l’Istituto per la Certificazione Etica e Ambientale37, che controlla undicimila aziende e ne certifica il rispetto delle norme in materia, prima di assegnare loro un bollino che potranno successivamente esporre sui propri prodotti. ICEA possiede una vasta gamma di certificazioni food e no food, che vanno dal cibo biologico alla cosmesi cruelty-free, al bioarredo, al turismo sostenibile, alla bioedilizia, alla finanza etica. Vediamo quali certificazioni tra queste sono le più richieste dal consumatore etico. La certificazione del commercio equo e solidale è certamente tra le più diffuse. Questo tipo di commercio offre al nostro consumatore precise garanzie che potremmo riassumere così: 36 37
http://www.consumoconsapevole.org/ http://www.icea.info/
55
•
un prezzo equo, stabilito in accordo tra il produttore e l’importatore, tale da consentire ai produttori e alle loro famiglie il soddisfacimento dei loro bisogni e una vita dignitosa;
•
la dignità del lavoro, ovvero un ambiente di lavoro
salubre, senza discriminazioni e senza sfruttamento minorile; •
la democrazia nel processo lavorativo, in quanto i produttori sono di solito raccolti in organizzazioni attente alla partecipazione decisionale da parte di tutti i lavoratori;
•
il prefinanziamento: al momento dell’ordine l’importatore anticipa al produttore fino al 50% del pagamento complessivo della merce, così da consentire ai lavoratori di far fronte alle loro esigenze, senza diventare ostaggio di usurai o intermediari locali, senza subire in pieno le oscillazioni dei mercati borsistici, senza vivere le incertezze legate alle difficoltà di collocazione delle proprie merci;
•
la sostenibilità dell’ambiente, poiché si privilegiano lavorazioni non inquinanti, basate su metodi naturali e agricoltura biologica, evitando di ricorrere all’importazione di materie prime scarse e difficilmente riproducibili;
•
la solidarietà, riferita a progetti di sviluppo non solo commerciale, ma anche a forte impatto sociale, di cui possa beneficiare tutta la comunità locale;
•
la trasparenza nei confronti del consumatore affinché sia consapevole e informato su tutti i processi, sulla composizione del prezzo finale del prodotto che acquista e sul progetto di sviluppo legato ad ogni prodotto. Il commercio equo e solidale è una realtà costantemente in crescita, che
fornisce una grande varietà di prodotti. Viste le esigenze dei consumatori, a
56
queste caratteristiche ha recentemente affiancato la scelta di produrre secondo le regole del biologico e del cruelty-free, anche se spesso queste due filosofie si scontrano sui temi dell’ecologia; in particolare il dibattito è aperto con la sezione animalista del movimento che critica la mancanza di attenzione
per
l’impatto
sull’ambiente
dovuto
alle
scelte
legate
all’alimentazione. Una scelta che invece mette tutti d’accordo è il consumo
di
prodotti
provenienti
da
agricoltura
biologica38. Il logo del biologico è stato introdotto nel marzo 2000 dalla Commissione Europea, concepito per essere utilizzato su base volontaria dai produttori i cui metodi di produzione e i cui prodotti sono stati sottoposti al controllo e sono risultati conformi alle norme UE. I consumatori che acquistano i prodotti certificati hanno la garanzia che: almeno il 95% degli ingredienti del prodotto sono stati ottenuti con il
•
metodo biologico; •
il prodotto è conforme alle norme del regime ufficiale di controllo;
•
il prodotto proviene direttamente dal produttore o dal preparatore in un imballaggio sigillato; il prodotto reca il nome del produttore, del preparatore o venditore
•
nonché il nome o il numero di codice dell’organismo di controllo.
38
http://www.biobank.it/.
57
Sono diversi gli organismi specializzati in questo tipo di controllo, tra cui dobbiamo citare Bioagricert39 e il Consorzio per il Controllo dei Prodotti Biologici40. Non sempre però queste informazioni bastano, spesso i consumatori vogliono anche poter scegliere tra le aziende che producono prodotti biologici quella con un minor impatto ambientale, necessità da cui deriva il “biologico di fattoria”, che certifica i prodotti il cui ciclo inizia e finisce all’interno della stessa azienda. Questo è spiegato dal fatto che chi è attento all’agricoltura biologica spesso lo è non meno alla biodiversità. Vediamo infatti il caso di un movimento interessante che si occupa di tutelare la biodiversità rurale: i Seed Saver41, per la tutela dei semi antichi, costituito da persone che si scambiano semi, consigli e storie attraverso i blog appositamente creati. Un circuito importante che si oppone alla tecnologia Terminator GM, studiata per rendere sterili i semi delle piante, così da costringere l’agricoltore ad acquistarli dalle multinazionali. Quello del biologico è un mercato in continua crescita, che si sta diffondendo sempre più anche nelle località di villeggiatura, dove vediamo proposte come i bio-hotels42. Gli albergatori di questo consorzio offrono ai loro ospiti cibo di produzione biologica, prodotti del commercio equo, e almeno un menù vegetariano ed uno macrobiotico. Alcuni si spingono fino ad arredare le stanze con mobili in legno massiccio trattati con prodotti naturali e ad utilizzare il riscaldamento a muro. Ma non solo, il biologico è sempre più richiesto anche nelle mense scolastiche. Tale aumento di consumo ha generato una diffusione capillare dei prodotti biologici, con conseguente ribasso dei prezzi. Un grande passo avanti è avvenuto con la catena di supermercati Coop43, che ha immesso sul mercato prodotti biologici, 39 40 41 42 43
http://www.bioagricert.org/bioagricert/. http://www.ccpb.it/. http://www.biodiversita.info/. http://www.biohotels.info/it/home.html. http://www.e-coop.it.
58
ecologici, equi e solidali e non testati su animali a marchio proprio, divenendo così il supermercato di riferimento dei consumatori verdi. Il fatto che i prodotti ecologici non siano testati su animali è un altro degli aspetti tenuto in grande considerazione nelle scelte d’acquisto del consumatore responsabile. Non solo il consumatore si affida a marchi di garanzia che certifichino il prodotto come cruelty-free, ma vuole conoscerne esattamente la composizione, e per farlo utilizza il Biodizionario44, che consente di comprendere la composizione dei prodotti di cosmesi. L’azienda di cui ci occuperemo nel capitolo successivo, ad esempio, è nota per scrivere sempre sulle confezioni gli ingredienti in italiano ed evidenziarne già il grado di naturalità attraverso la colorazione del testo. Il passaggio successivo sfocia nell’animalismo e antispecismo, ovvero in consumatori che scelgono prodotti privi di derivati animali. Da qui la necessità di scarpe, borse e accessori in ecopelle, che ha visto così la nascita di calzaturifici etici, tra i quali possiamo citare gli esempi di Le Scarpe di Linus45 e le calzature ecologiche di Bioworld46, che si differenziano in pelle ecologica e simil pelle. Un consumatore attento a questi acquisti è spesso un consumatore vegetariano o vegan, per cui il punto di riferimento in rete è Scienza Vegetariana47, un portale con forum, creato e gestito da medici vegetariani, che fungono da supporto alla scelta. Abbiamo poi la Biocontessa48, il primo esperimento di video blog nella comunicazione etica, e una web radio etica e vegan.
44 45 46 47 48
http://www.biodizionario.it/. http://www.lescarpedilinus.it. http://www.bioworld.it http://www.scienzavegetariana.it. http://biocontessa.blogspot.com.
59
Un argomento controverso è invece quello dell’Impatto Zero, un progetto che si occupa di compensare le emissioni di anidride carbonica
nell'atmosfera.
Questo
tema
interessa
i
consumatori a chiazze, trovando in alcuni casi ampio interesse anche tra consumatori non etici, mentre in altri scarsa
attenzione
perché
considerato
di
difficile
49
applicazione. A farne una questione semplice è stato Lifegate , che propone un test grazie al quale ciascuno può decidere di compensare il proprio impatto sul pianeta. Lifegate è un portale, un magazine, una radio, un café, una clinica olistica. È un caso interessante di eco-marketing, in quanto supporta le aziende a sviluppare un posizionamento e una strategia eco, esattamente come una agenzia pubblicitaria, ma in versione verde. E, diversamente da Metamorfosi50, lo fa senza rinunciare all’appeal. Notiamo infatti una differenza notevole tra i due portali in termini di scelta dei colori e aree tematiche. L’ultima proposta di Lifegate è il motore di ricerca etico, LifeGaatle51, a basso consumo energetico. Sul portale vediamo poi banner pubblicitari di prodotti etici, come ad esempio i prodotti etici per animali, ultima frontiera del mercato pet, quali il cibo vegan Amì e la lettiera Almo Clean&Green contro il riscaldamento globale. Come abbiamo avuto modo di vedere da questa serie di esempi, il mercato offre al consumatore etico molteplici proposte e ottime possibilità di sviluppo, in particolar modo in un momento in cui la questione dei cambiamenti climatici in atto è diventato un tema molto trattato dai media e dall’opinione pubblica. Vediamo allora come avviene la comunicazione sui cambiamenti possibili.
49 50 51
http://www.lifegate.it. http://www.metamorfosi.info. http://www.lifegate.it/gaatle.
60
3.1.5 Comunicare il cambiamento Mediattivismo,
controinformazione,
informazione
dal
basso,
informazione alternativa, volontariato dell’informazione: sono questi solo alcuni dei termini utilizzati per indicare un vasto spettro di attività caratterizzate dall’utilizzo della parola scritta come strumento di cambiamento, dalla scelta di un pubblico popolare il più ampio possibile, dalla critica alle strutture di potere o ai modelli culturali dominanti, dalle forme più o meno militanti di produzione e distribuzione. Un’informazione questa che vediamo caratterizzata dalla scelta di fonti d’informazione diverse dai circuiti ufficiali di circolazione del sapere, da un linguaggio diretto e dalla capacità di intercettare rapidamente tutti i vantaggi offerti dalle nuove tecnologie che si sono succedute nel corso della storia dei media. Stiamo parlando insomma del passaggio dal modello di comunicazione broadcasting a quello narrowcasting applicato alla comunicazione sostenibile. Avvicinandoci alle nuove tecnologie vediamo come sia possibile tradurre nel mondo dell’informazione il principio astratto di cittadinanza attiva trasformandolo in azioni concrete e progetti visibili. Sono questi progetti a interessarci, quali fonti di informazione alternativa, e soprattutto fonte di reperimento delle informazioni per il nostro consumatore etico. Dobbiamo premettere che in Italia si tratta di un’impresa non da poco, se consideriamo il nostro panorama mediatico caratterizzato da una forte disuguaglianza tra i cittadini da una parte e la ristretta elite politico-finanziaria che esercita il controllo sui due poli televisivi e i tre grandi gruppi editoriali che producono il 90% della carta stampata. L’economia della cultura nel nostro paese spinge il mercato in due direzioni opposte: da una parte favorisce le concentrazioni e il consolidarsi di aziende che hanno già posizioni dominanti nel settore, dall’altra permette il fiorire di nicchie editoriali con dimensioni infinitesimamente più piccole: riviste, case editrici, siti web, radio e altri media indipendenti che si rivolgono al nostro
61
pubblico molto ristretto, ma attento e informato. Lo sviluppo di questa “altra informazione” segue di pari passo l’evoluzione delle tecnologie; possiamo vedere infatti come in Italia abbiamo avuto il fenomeno delle radio libere e del ciclostile negli anni Settanta e Ottanta, abbiamo assistito al fiorire di siti web negli anni Novanta e all’inizio del millennio si cerca di dare un’alternativa alla televisione generalista e omologante con le TeleStreet, le tv di quartiere, che costituiscono un importante fenomeno di comunicazione dal basso. Creare e consumare media non è mai stato così facile. Nel nuovo millennio si diffonde l'imperativo della banda larga quale strumento sempre più utile per comunicare contenuti multimediali attraverso la rete. Seppur promossa in particolare dai grandi produttori di contenuti multimediali e dalle varie imprese di telecomunicazioni, con l'intenzione di trasmettere contenuti a pagamento e sovente con l'intento di trasformare la rete in una sorta di grande televisione mondiale, la banda larga è stata usata fin da subito con particolare intensità da tutte quelle persone connesse in rete e intenzionate a scambiare orizzontalmente contenuti e materiali, spesso autoprodotti. Così i blog sono diventati serbatoi di materiali anche multimediali, quali video, immagini e suoni e i programmi peer to peer hanno conosciuto una diffusione sempre più ampia. Al giorno d’oggi esistono enormi raccoglitori di materiale video autoprodotto, come ad esempio
YouTube52, con milioni di utenti che mostrano come si stia
davvero affermando una nuova realtà di elaborazione e trasmissione dei contenuti, che rivela un profondo cambiamento in quelli che sono i rapporti di produzione e consumo di informazioni, che ha portato all'affermazione del concetto di Pro-Sumer. Dal punto di vista sistemico dobbiamo considerare le forme correlate di rielaborazione dei linguaggi del consumo e della produzione di percorsi di senso alternativi a quelli istituzionali, praticabili ed evidenti, perché veicolati attraverso le stesse forme, presenti 52
http://www.youtube.com.
62
negli stessi luoghi e spazi quotidiani, che fanno leva sulle stesse dimensioni emotive e relazionali. E' proprio la dimensione del consumo a rappresentare un territorio significativo per le forme di espressività dell'individuo contemporaneo che si orientano ai molti, a diventare luogo essenziale per la socializzazione e le pratiche relazionali, a connotare le modalità aggregative/disaggregative. Così i media alternativi si fanno luogo esperienziale, e le pratiche di consumo critico divengono una tra le forme di condivisione delle emozioni in espansione. La galassia dei media alternativi in Italia è molto frammentata e variegata. Fare un elenco esaustivo è impossibile, in quanto si tratta di numerose realtà in continua nascita e crescita. Ci interessa piuttosto notare come queste realtà creino una rete di controinformazione. Molto interessante è il caso di Nuovi Mondi Media, che oltre ad essere un editore indipendente pubblica anche un quotidiano on-line di controinformazione. Ma anche lo stickeraggio non è escluso dalle pratiche etiche; infatti vediamo sempre più la diffusione di adesivi sui muri delle città o sulle porte delle metropolitane che invitano a immettere in Google “scie chimiche italia”53 o a scegliere il consumo consapevole. Ci interessano particolarmente a questo proposito le pratiche di Culture Jamming, che spaziano dalla rielaborazione dei messaggi pubblicitari al fine di distorcerne il significato, fino alle performance pubbliche e a campagne come il Buy Nothing Day54. I Cultural Jammers sono attivisti culturali che utilizzano il linguaggio dell’advertising per fare subvertising, sabotando il sistema dall’interno. Dichiarano di voler cambiare il modo in cui il senso è generato nella nostra società, dimostrando di conoscerne perfettamente i meccanismi. Rivolgono alla società dei consumi un’accusa non nuova, ovvero di essere totalmente disgiunta dalla natura e che questa condizione sia alla base di 53
http://www.sciechimiche.org. http://www.adbuster.it ma si veda anche Franco “Bifo” Berardi et alii, Errore di sistema. Teoria e pratiche di Adbuster, Feltrinelli, Milano, 2003. 54
63
tutte le degenerazioni osservabili negli attori sociali55 e nelle dinamiche di interazione tra di essi. Non possiamo non notare in questo pensiero una connessione profonda coi movimenti strettamente ecologisti, ma in questo caso riscontriamo la praticabilità di questi percorsi dovuta a una conoscenza dei linguaggi mediali e dei meccanismi di generazione del senso che permettono un effettivo risultato e come pratica di produzione della comunicazione e come produzione di risonanza all’interno del sistema. Dobbiamo pertanto precisare l’elevato interesse per la pratica di interferenza culturale quale laboratorio di comunicazione ecologica, anche se non come obiettivo della tesi in questione, in quanto tali linguaggi mirano alla produzione di un discorso politico sugli effetti della globalizzazione escludendo l’aspetto pubblicitario e commerciale come lo intendiamo, ovvero quale strumento a nostro favore per favorire una comunicazione basata sull’uso di prodotti ecologici. Vedremo ora come il movimento ecologico abbia apportato modifiche non solo nei contenuti della comunicazione ma anche nella scelta del supporto dell’informazione. 3.1.6 Dalla comunicazione libera alla cultura libera Oltre a cambiare i contenuti della comunicazione, il movimento ecologico ne cambia la forma. Le sue ricadute sul mondo della comunicazione sono molteplici, come abbiamo visto in precedenza, in particolar modo per quanto riguarda la rete, dove hanno portato alla nascita di tecnologie libere e aperte che abbattono le barriere di accesso alla comunicazione. Lo sviluppo di software libero e gratuito nasce anche dall’esigenza dei mediattivisti di mettere in piedi delle redazioni con costi prossimi allo zero. Vediamo a questo punto cosa intendiamo con software 55
Da http://www.ocula.it Perani G., Adbusters:sociosemiotica del subvertising.
64
libero. Richard Matthew Stallman, il fondatore della Free Software Foundation, ha introdotto negli anni ‘80 la distinzione tra software libero, che permette di ottenere il massimo beneficio per la società, e software proprietario, progettato per garantire il massimo profitto alle aziende che lo commerciano. Per essere libero, un programma deve garantire a chiunque la libertà di utilizzo, la libertà di poter guardare come è fatto e di poterlo adattare alle proprie esigenze, la libertà di distribuirne copie, la libertà di migliorarlo mettendo a disposizione di chiunque le versioni modificate. Lo strumento escogitato da Stallman per garantire la libertà del software è il copyleft56. Il principio del copyleft è quello di trasmettere in modo ereditario la libertà del software, facendo in modo che anche le versioni modificate di un programma offrano agli utenti la stessa libertà della versione originale. Il tutto avviene tramite una licenza d’uso denominata GPL (General Public License), utilizzata anche per la distribuzione del sistema operativo Gnu/Linux. Per saperne di più sul software libero ci si può rivolgere a uno dei Linux User Group sparsi per la penisola, gruppi di volontari disponibili a guidare i nuovi utenti nei primi passi del loro cammino sulla strada del software libero. Le attività dei LUG comprendono Feste di Installazione, dove i partecipanti portano il proprio computer che viene convertito al sistema operativo Linux57, come in un vero e proprio rito d'iniziazione. Oltre al software libero esiste anche una cultura libera fatta da autori che scelgono il copyleft e consentono il libero utilizzo della loro opera purché avvenga senza scopo di lucro. Lo strumento è la licenza Creative Commons58. In Italia molte case editrici hanno pubblicato libri interamente
scaricabili
da
internet,
ad
esempio
possiamo
citare
Altreconomia, che ha utilizzato questa licenza per il libro Elogio della Pirateria, le edizioni Apogeo, che dedicano ai libri liberi una intera sezione 56 57 58
http://www.copyleft-italia.it. http://www.linux.it/LUG. http://www.creativecommons.it/.
65
del loro sito59, così come le edizioni di Stampa Alternativa60. Interessante anche la funzione di eMule, utilizzato da milioni di utenti per trasformare la rete in una sorta di grande biblioteca universale61. A questo si affiancano fenomeni quali Telestreet, che propone un nuovo rapporto col mezzo televisivo, che apra spazi di produzione locale contro il consumo passivo di segnali video ricevuti a livello nazionale. La prima in questo settore è stata nel 2002 Orfeo TV. Nel settore della comunicazione ecologica altri casi interessanti sono quelli di Atlantide TV62, affiancata da ReBlog63 e Cacao64. Vediamo inoltre associazioni come PeaceLink65, Megachip66 o Articolo 2167 che fanno attività di monitoraggio critico dei media. Un’altra iniziativa a favore della libera cultura è il book-crossing68, che consiste nel leggere e rilasciare libri nel mondo, in strada, sui mezzi pubblici, su una panchina, in modo che altri possano leggerli e poi rimetterli in circolazione. Interessantissimo fenomeno in crescita sono le web radio, seimila emittenti sparse in tutto il mondo, che attirano ogni giorno un numero di ascoltatori pari al doppio delle radio italiane. Abbiamo anche un esempio italiano di web radio etica69, corredata di forum ad hoc70. 59
http://www.apogeonline.com/Openpress. http://www.stampalternativa.it/liberacultura. 61 http://www.emule.it è un programma per il peer to peer, ovvero lo scambio di contenuti multimediali attraverso la rete. 62 http://www.atlantide.tv/ è una televisione con la garanzia di qualità etica, ambientale e culturale. Si tratta di una tv autorevole e di grande personalità in quanto realizzata da artisti quali Dario Fo, Franca Rame, Jacopo Fo, Paolo Rossi, Lella Costa, Patch Adams, ecc. In onda su Sky, via web e via podcast. 63 http://www.reblog.it/ è un blog che seleziona i messaggi dei migliori blog italiani che parlano di blog e di nuovi media e li ripubblica per renderne più immediata e veloce la fruizione. 64 http://www.cacaonline.it/ è il quotidiano delle buone notizie, pubblica ogni giorno notizie censurate o a cui non viene dato spazio in tutto il mondo. Realizzato dalla Libera Università di Alcatraz. 65 http://peacelink.it/. 66 http://www.megachip.info/. 67 http://www.articolo21.info/. 68 http://www.bookcrossing-italia.com/home. 69 http://www.radiopromiseland.blogspot.com/. 60
66
Volendo tracciare una linea continua che unisca tutti i movimenti e i fenomeni fin qui nominati, dobbiamo dire che sono sì molto diversi nelle modalità, ma unificati dal tentativo di produrre
un cambiamento delle
strutture del sistema di comunicazione della società. Il tentativo assume la forma di nuove espressioni e sperimentazioni di linguaggi, che hanno lo scopo di produrre irritazioni all’interno del sistema mediale e di entrarvi come tema della comunicazione. Possiamo iniziare a vedere i primi risultati di questi movimenti nella creazione di una bacino semantico cui la comunicazione pubblicitaria inizia ad attingere, utilizzando queste nuove componenti valoriali per arricchire i marchi di significati nuovi, che interessino un consumatore che richiede al marchio e all’azienda sempre più di riempirsi di nuovi valori e significati di cui arricchire il proprio sé. E’ questa posizione di cittadino consumatore che può portare più probabilmente al raggiungimento degli obiettivi proposti, ovvero non un presunto sovvertimento del sistema, ma piuttosto l’ottenere risonanza all’interno dello stesso, generando così un’evoluzione verso una comunicazione ecologica che consideri e faccia proprie le leggi del mercato e della comunicazione pubblicitaria. Vedremo quindi nel prossimo capitolo l’esempio di chi a mio avviso è riuscito ad attuare questa strategia con successo.
70
http://forum.promiseland.it/index.php.
67
4. Lush, il profumo del successo 4.1. Il caso Lush Le motivazioni che mi hanno portato a scegliere Lush tra le numerose aziende che producono cosmesi cruelty-free sono diverse. Ho riconosciuto in questa azienda un ottimo esempio di comunicazione ecologica, diversa da tutte le altre aziende concorrenti. Questa azienda utilizza infatti una strategia comunicativa completamente differente, che mira non solo ad aumentare la componente valoriale dell'identità di marca, ma anche ad attuare un discorso sulle tematiche ecologiche all'interno del sistema. Lush comunica, e lo fa su larga scala, ma utilizza strumenti molto diversi da quelli convenzionalmente scelti dalle altre aziende appartenenti allo stesso settore. Mira alla creazione di un legame profondo col consumatore, per questo non la tratteremo come un brand, ma come un Lovemark. Merita pertanto particolare attenzione e dal punto di vista del discorso sociale e dalla strategia utilizzata per creare un marchio globale per consumatori no-global. 4.1.1. Profilo aziendale Lush è un'azienda che produce e commercializza in tutto il mondo, attraverso una rete di negozi monomarca, cosmetici freschi e prodotti artigianalmente. Nata nel 1994 nel sud dell’Inghilterra, ha fatto della spettacolarità del prodotto e dell’esperienza d’acquisto il proprio punto di forza, la propria caratteristica più facilmente riconosciuta e ricordata. Oggi è un global brand71 con oltre 350 negozi sparsi nel mondo e laboratori di produzione in Europa, Canada, Australia, Sud America, Singapore e Giappone. 71
http://www.lush.com/.
68
I fondatori sono cinque convinti vegetariani col desiderio di reinventare il modo di fare cosmetici, costruendone le basi su una forte componente valoriale. Scelgono di rendere il prodotto protagonista, considerando il packaging come un accessorio di cui è possibile fare a meno. È così che inventano cosmetici ecologici, in formato solido e senza imballaggio, con un design nuovo e colori accesi e li realizzano nel massimo rispetto dell’ambiente e degli animali. Scelgono di selezionare principalmente ingredienti naturali e freschi e di eliminare, dove possibile, l’uso dei conservanti. La strategia dell'azienda è quindi quella di combinare valori estetici con valori più sostanziali, pertanto passeremo all'analisi di entrambe le componenti, valutando successivamente le tecniche utilizzate per ottenere dai consumatori la fedeltà oltre la ragione, che caratterizza i Lovemarks, cui Lush appartiene. Per meglio conoscere ed analizzare questi aspetti ho svolto un piccolo sondaggio tra i consumatori e abituali frequentatori del forum Lush italiano, sottoponendo cinquantacinque di essi ad un’intervista composta da quindici domande aperte. L'ipotesi di partenza era verificare l'influenza dell'utilizzo di una strategia comunicativa basata sul divertimento e sul piacere dei sensi per un marchio etico. Ho quindi inizialmente cercato di comprendere quali fossero le componenti valoriali ed estetiche, per poi sondare anche i valori sostanziali legati a Lush. Il mio interesse era pertanto quello di cercare di comprendere il peso dato alla responsabilità sociale dell'azienda e agli strumenti di comunicazione utilizzati, quali il negozio, il giornalino, il forum e il sito con la possibilità di acquistare online. Commenteremo i risultati di tale ricerca durante l'analisi delle componenti valoriali e delle scelte di comunicazione del marchio. 4.1.2 I valori Lush Dobbiamo premettere che il discorso pubblicitario costituisce una
69
procedura di valorizzazione dei prodotti e una costruzione dell’immagine di marca che li sostiene. Pertanto il consumatore non si limita a scegliere un prodotto per ragioni di calcolo economico ma attribuisce ad esso determinati valori. Attraverso il quadrato semiotico72, è possibile ricostruire una tipologia delle possibili forme a cui la comunicazione pubblicitaria ricorre per valorizzare gli oggetti che deve pubblicizzare. Da qui deriva la cosiddetta assiologizzazione dei valori di consumo. Introduciamo ora brevemente il funzionamento della narrazione per meglio comprendere le diverse tipologie di valorizzazione pubblicitaria e i valori insiti nel marchio. Una narrazione, secondo l’ipotesi semiotica, è sempre la storia di un soggetto che va in cerca di un oggetto. Quest’ultimo però non è importante di per sé ma per il fatto di essere desiderato, per i valori che il soggetto vi proietta. Qualunque sia il contenuto semantico di tale valore, esso non è quasi mai una caratteristica intrinseca dell’oggetto cercato; è piuttosto un valore per il soggetto, dunque una qualcosa che serve alla realizzazione di quest’ultimo, alla costruzione e al riconoscimento della sua identità. Per questo motivo, esso viene chiamato valore di base o in termini più generali esistenziale. Una storia però non è soltanto il resoconto del modo in cui il soggetto si ricongiunge con l’oggetto, quanto quella del modo in cui quel soggetto si procura i mezzi per potersi poi ricongiungere a esso. Prima di ricongiungersi con il suo valore di base, l’eroe deve entrare in possesso di altri oggetti che gli permettono di poter agire efficacemente al momento in cui incontrerà l’anti-soggetto. Anche questi oggetti sono dotati per lui di un valore ma di tipo diverso rispetto al primo: sono infatti strumenti di lotta e di affermazione, non oggetti del desiderio. Questo secondo tipo di valore si definisce pertanto valore d’uso o in termini più generali pratico. 72
Il quadrato semiotico è la rappresentazione grafica dell’articolazione logica di una qualsiasi categoria semantica. Definisce quattro tipi di relazione: opposizione, contraddizione, subcontrarietà e complementarietà.
70
Nelle campagne pubblicitarie, secondo J.M. Floch73, valori di base e valori d’uso non vengono concepiti come due tappe successive di un unico percorso narrativo, ma come elementi contrari. Da qui la possibilità di costruire una tipologia dei possibili modi con cui un soggetto tende a valorizzare un oggetto, mediante la proiezione sul quadrato semiotico dell’opposizione tra una forma di valorizzazione utopica e una pratica e dunque tra valori intesi come esistenziali, importanti per la vita stessa del soggetto che desidera congiungersi con essi e valori intesi come utilitari, necessari soltanto per il raggiungimento dei primi. La valorizzazione dell’oggetto da parte del soggetto, si suddivide in quattro grandi classi in cui si raccolgono le possibili forme di razionalità più o meno consapevolmente adottate dai consumatori, e fatti propri dalle campagne pubblicitarie, al momento di acquistare determinati prodotti: valorizzazione pratica (valori utilitari, d’uso): considera l’oggetto
•
come strumento; valorizzazione ludica (valori non-utilitari): secondo le relazioni del
•
quadrato semiotico, è la negazione diretta della valorizzazione pratica. L’oggetto viene valorizzato non tanto per il suo valore funzionale ma per le sue qualità formali e fisiche, per la bellezza, per il piacere che procura; valorizzazione critica (valori non esistenziali): secondo le relazioni
•
del quadrato semiotico, è contraria alla ludica e complementare alla pratica. L’oggetto viene scelto per la sua convenienza economica, per il rapporto qualità/prezzo; valorizzazione utopica (valori esistenziali, di base): secondo le
•
relazioni del quadrato semiotico, è contraria alla pratica e complementare alla ludica; l’attenzione viene spostata dall’oggetto
73
Floch J.M., Identità visive, Franco Angeli, Milano, 2003.
71
verso il soggetto che si congiunge con il suo oggetto di valore, realizzando la propria identità profonda. Individueremo ora queste quattro tipologie di valori all’interno del marchio Lush, per soffermarci sull’analisi della valorizzazione prescelta e sulle strategie comunicative messe in atto dall’azienda. 4.1.3 I valori utilitari I valori d'uso dei prodotti Lush, ovvero le caratteristiche di funzionalità e aderenza ai compiti sono tra le prime elencate dai consumatori, che individuano l'elevata qualità dei prodotti e pertanto l'efficacia riscontrata. Citano inoltre come innovativo il fatto che il prodotto sia solido e privo di packaging, in quanto questo permette una più comoda trasportabilità, una durata maggiore, ottenuta appunto eliminando l'acqua, e sempre per questo motivo l'assenza di conservanti. La freschezza è un valore fondamentale in Lush, che emerge da ogni sua comunicazione. Viene costantemente sottolineato che il prodotto è fresco e fatto a mano, con l'utilizzo di frutta e verdura biologiche, oli essenziali e ingredienti sintetici sicuri. La differenza con i concorrenti è data dal fatto che l’età media dei cosmetici tradizionali presenti in un negozio convenzionale è di circa due anni. Nei cosmetici Lush invece è di circa trenta giorni. A seconda delle loro caratteristiche, la scadenza va da tre settimane fino a un massimo di un anno. Questo permette di evitare l’uso di qualsiasi conservante in circa centocinquanta degli oltre duecento prodotti Lush attualmente in vendita. Nei rimanenti, dove la presenza d’acqua ne impone l’uso, la scelta si è diretta su preparati normalmente
utilizzati
nell’industria
alimentare,
riducendone
però
drasticamente la quantità attraverso formule originali e innovative. Questi aspetti hanno a che fare con valori spesso citati dall’azienda, quali l’onestà e la trasparenza, che vedremo successivamente nella trattazione dei valori
72
esistenziali. 4.1.4 I valori non-utilitari I valori di non uso sono fondamentali per Lush. L’azienda ha infatti scelto di utilizzare in prevalenza una valorizzazione ludica, su cui ha basato la propria strategia di comunicazione, pur contenendo tutti i valori che abbiamo visto essere presenti nel quadrato semiotico. I valori non-utilitari rappresentano infatti l'aspetto ludico del prodotto, e in Lush ogni elemento è ludico. Tutto è divertimento, giocosità e piacere dei sensi. Nel mio piccolo sondaggio questa caratteristica risulta essere al primo posto in ordine di importanza, sia nel caso del primo impatto con il marchio, sia nel caso di clienti fidelizzati. Infatti il 65% degli intervistati riconosce l'aspetto ludico del prodotto come fondamentale motivazione alla fidelizzazione. Al secondo posto risulta l'etica aziendale con il 27%, mentre al terzo la qualità dei prodotti. L'approccio di Lush in questo senso è innovativo e radicalmente diverso dai concorrenti. Mark Constantine, cofondatore e guida di Lush, intuisce che cosmetici rispettosi della pelle ed ecologici possono andare oltre la tradizionale connotazione punitiva che vede tutto ciò che è sano necessariamente poco piacevole da usare. Vuole dare ai suoi prodotti una connotazione gioiosa, succulenta, soddisfacente per i sensi, a partire dal nome: Lush infatti significa lussureggiante, succoso e appetibile. È qui che vediamo la vera differenza tra Lush e gli altri produttori di cosmesi crueltyfree. Infatti nessuno dei concorrenti ha messo in atto strategie simili, e l'unico tra di essi a competere dal punto di vista valoriale, The Body Shop74, è recentemente stato acquistato da L'Oreal, diventando così anch'esso un marchio oggetto di boicottaggio internazionale. La differenza rispetto ai 74
http://www.thebodyshop.com/.
73
concorrenti si nota subito dal tono della comunicazione, mentre in Lush è forte, divertente, ironica e scanzonata, in The Body Shop, così come L'Erbolario, i colori sono più tenui, il negozio è molto meno colorato e non si fa cenno al divertimento né all'esperienza legata al consumo del prodotto. Il rapporto con il personale è freddo e distaccato, e gli argomenti di conversazione sono strettamente legati alla funzionalità degli ingredienti presenti nel prodotto. La comunicazione in Lush invece diventa un'esperienza divertente e gratificante, il personale ha un ruolo attivo nella spettacolarizzazione del prodotto e nell'esperienza d'acquisto, che contribuiscono in maniera determinante alla caratterizzazione del marchio e alla sua netta distinzione in relazione alla concorrenza. 4.1.5 i valori non esistenziali I valori non esistenziali riguardano un tema controverso per Lush, in quanto la clientela si divide sulla questione del rapporto qualità/prezzo. Risulta infatti dalla mia ricerca che il 47% dei consumatori interrogati ritiene che il rapporto qualità prezzo sia buono, il 38% ritiene che non lo sia, e il 19% sostiene che dipenda dal prodotto, in relazione quindi a tipologia, ingredienti e durata dello stesso. Possiamo dire che la tendenza dominante sul forum aziendale è nel rilevare un prezzo sì elevato, ma conveniente se rapportato alla lunga durata del prodotto, risultato ottenuto rendendo solidi prodotti tradizionalmente liquidi. Questa caratteristica del prodotto è evidenziata anche nel giornalino, dove ironicamente si dice che i prodotti solidi durano più a lungo di tanti fidanzamenti, e rappresenta una caratteristica unica, dunque un elemento fortemente differenziante per l'azienda.
74
4.1.6 I valori esistenziali In ogni comunicazione è possibile identificare dei valori di base. Si tratta di valori sufficientemente profondi legati all'identità del prodotto. La sollecitazione narrativa di questi valori suscita reazioni a livello di percezione sociale. L'azienda di cui ci stiamo occupando punta moltissimo sui valori di base, che si preoccupa di palesare in ogni comunicazione. Vediamo perciò un breve elenco di questi valori che costituiscono l'identità della marca. Il primo tra questi valori è indubbiamente la trasparenza. La trasparenza è il primo passo per ottenere rispetto e amore, elementi che caratterizzano i Lovemarks, che vedremo più avanti. La trasparenza rappresenta per l'azienda un valore molto forte e costituisce parte del credo aziendale. Per questa ragione, le liste degli ingredienti sono scritte in italiano, oltre che in Inci75, e ogni componente è identificata nella sua origine grazie a due semplici colori: verde se è naturale, nero se è un sintetico di comprovata sicurezza. È questo un importante strumento in mano ai consumatori, che possono verificare già prima dell’acquisto se il prodotto soddisfa o meno le loro esigenze. Dobbiamo considerarlo un elemento importante per la costruzione di un rapporto di fiducia, in quanto è lo strumento con cui l'azienda comunica ai clienti di “non avere nulla da nascondere” e anzi li invita a verificarlo. C'è poi un ulteriore elemento che rappresenta un forte valore aggiunto: la lavorazione artigianale. La realizzazione a mano e in quantitativi ridotti sfida uno dei principali tabù della produzione industriale per la quale è estremamente importante realizzare prodotti sempre identici a se stessi. Per i prodotti Lush invece può avvenire che il colore o la consistenza di un prodotto varino in funzione dell’origine dei suoi ingredienti e della 75
Si veda http://www.biodizionario.it/.
75
persona che lo ha realizzato. A testimonianza di questa caratteristica, ogni prodotto, oltre alla data di fabbricazione e di scadenza, presenta anche il nome e la faccia di chi lo ha realizzato. È quindi consueto che i clienti regolari manifestino la loro preferenza per uno in particolare dei mastri impastatori. Questa dimensione artigianale del lavoro costituisce parte integrante della filosofia Lush oltre ad essere un elemento che permette all'azienda di mantenere un livello di prezzo più elevato. Veniamo poi al valore per eccellenza di Lush, che nella mia ricerca risulta essere al secondo posto tra le caratteristiche che lo fanno acquistare: il rispetto per l’ambiente e per gli animali. Alla domanda: “Quanto influisce sui tuoi acquisti il ruolo che questa azienda ricopre a livello di responsabilità sociale?”, infatti, il 60% dei consumatori ha risposto che influisce molto, il 25% ha risposto abbastanza, mentre il 15% ha risposto che influisce poco. E' questo un valore costantemente citato dall'azienda, a partire dal giornalino, dal sito, dal negozio, al forum. Recentemente, dopo l'acquisto di The Body Shop da parte di L'Oreal sono stati prodotti dei bollini neri con scritto “Da sempre per sempre contro i test sugli animali” che compaiono sui prodotti e possono essere staccati e riutilizzati come sticker dagli utenti. Lush ha dato molto rilievo all'accaduto, assecondando il malcontento degli utenti sul forum ed evidenziando il calo delle vendite del concorrente. Questo elemento è risultato essere molto importante per i clienti della nostra azienda, in quanto il 63% degli intervistati lo considera di fondamentale importanza, il 17% lo ritiene molto importante, il 5% abbastanza importante e il 15% di poca importanza. La maggior parte degli utenti intervistati ha dichiarato che non acquisterebbe più prodotti Lush se l'azienda iniziasse a utilizzare test sugli animali. Inoltre è stato citato come elemento distintivo la compatibilità dei cosmetici Lush con la fede vegetariana. L'azienda ammette alcuni elementi di origine animale, come latte e uova, ma la maggior parte dei cosmetici risulta idonea a utilizzatori vegani. Un valore di base
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strettamente collegato a questo discorso è rappresentato dal commercio equo. Lush sostiene, infatti, i principi del fair trade. Non potendo per ragioni contingenti attingere a questa fonte per l’approvvigionamento di tutte le materie prime, si impegna nei settori dove ciò è possibile a promuovere le iniziative e le ragioni del commercio equo nei propri punti vendita. Così come si impegna nelle campagne sociali. Nei negozi Lush c’è sempre una campagna
sociale
in
corso,
che
l’azienda
non
appoggia
solo
finanziariamente ma della quale si prende carico e per la quale cerca di diffondere i contenuti, come la recente raccolta firme per la petizione della LAV76 contro la sperimentazione sugli animali, o come l’iniziativa d’appoggio alla campagna internazionale ControlArms77 per il controllo del commercio di armi leggere. In quell’occasione, oltre a raccogliere le immagini di chi desiderava aderire alla fotopetizione della campagna, nei negozi Lush era possibile acquistare un vero e proprio telo mare realizzato con i colori della bandiera della pace, il cui ricavato sarebbe andato in parte a sostenere la campagna Controlarms. Inoltre recentemente è stata creata la fondazione 1%. Lo scopo di tale fondazione è sensibilizzare le imprese alla cultura della responsabilità sociale, chiedendo loro di devolvere l’1% dei profitti a favore di progetti sociali o comunque legati alla responsabilità sociale delle imprese coinvolte. Sviluppa progetti di raccolta fondi da destinare ad associazioni e ONG impegnate in attività di assistenza e cooperazione, sia in Italia che all'estero. Le iniziative sono scelte insieme alle imprese all'interno dei progetti promossi dalle associazioni con cui Lush collabora. Il risultato di questo complesso insieme di valori di base ne produce un altro, importantissimo, per i consumatori etici. Lush è infatti l’unica azienda profit ad avere ben quattro note positive sulla Guida al consumo critico78, 76 77 78
http://www.infolav.org/. http://www.disarmo.org/ e http://www.controlarms.org/. Centro Nuovo Modello Sviluppo, Guida al consumo critico, Emi, Bologna, 2002.
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testo di riferimento per il consumatore etico. La guida pone la nostra azienda in cima alla lista delle aziende italiane socialmente responsabili per trasparenza delle politiche e rispetto degli animali, del consumatore e dell’ambiente. Lush realizza così entrambi gli obiettivi, ovvero dimostra come sia possibile essere un'azienda vincente sia dal punto di vista del profitto sia nel portare avanti un discorso di comunicazione ecologica. Vediamo a questo proposito quali sono gli strumenti di comunicazione utilizzati dall'azienda.
4.2 Lush comunica Dopo aver analizzato i valori pertinenti alla marca passiamo ad analizzare quali sono le modalità comunicative messe in atto dall'azienda. Nello specifico andiamo ad occuparci della scelta dei media (che si basa esclusivamente su canali alternativi rispetto a quelli tradizionali), e della costruzione della relazione con il cliente. Fondamentale per Lush è l'esperienza d'acquisto. Esperienza che segue percorsi differenti: il negozio, il forum, il giornalino. L'azienda fonda tutto sulla costruzione della relazione col cliente. Fa inoltre largo uso di PR allo scopo di aumentare l’effetto di questi canali di comunicazione. In ogni città infatti c’è almeno una persona responsabile delle comunicazioni con la stampa, in quanto l'azienda non utilizza pubblicità convenzionale ma articoli sulla stampa per informare il pubblico. Analizzeremo ora uno alla volta i diversi strumenti comunicativi utilizzati dall'azienda. 4.2.1 La comunicazione attraverso il negozio Prima di addentrarci nell'analisi del negozio dobbiamo considerare i dati emergenti dalla ricerca sulla frequentazione dello stesso. In relazione alla
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vicinanza possiamo infatti constatare una più assidua frequentazione, che comporta un rapporto anche quotidiano per il 56% dei consumatori, che entrano nel negozio per ripeterne l'esperienza. Chi si trova più lontano, invece, organizza viaggi appositi con altri consumatori, mentre l'acquisto online è utilizzato da persone (nel nostro studio il 13%) nella cui regione non è presente il negozio; in Italia infatti i ventitré punti vendita sono distribuiti prevalentemente nel centro-nord. E' importante rilevare la necessità per i consumatori di interagire con il marchio e ripetere l'esperienza il più frequentemente possibile. Il negozio infatti rappresenta per l'azienda il luogo esperienziale per eccellenza. Possiamo identificarlo come il più potente strumento di comunicazione a disposizione dell'azienda, capace di operare su un piano spettacolare. Lush integra così le leve tradizionali con nuove leve, come una dimensione ludica e un’atmosfera fatta di stimoli che mirano al coinvolgimento totale. La sfida consiste nel fare del punto vendita un luogo attrattivo e unico di cui
il
prodotto,
motore
dell’esperienza,
è
protagonista
assoluto.
L’arredamento inusuale, la possibilità di interagire con i cosmetici esposti, i colori, le forme, le musiche, le grosse lavagne su cui sono scritte frasi divertenti e, soprattutto, il profumo sono solo alcuni degli elementi che concorrono a fornire al negozio un aspetto giocoso e malizioso, parte integrante della personalità del marchio. Il personale gioca un ruolo determinante nel mettere in scena una teatralizzazione dei prodotti, in grado di creare un ambiente di vendita che i consumatori possono esplorare divertendosi. A partire da una modalità d’uso decisamente sui generis, presentata al pubblico tramite scenografiche dimostrazioni. Il negozio è stato progettato allo scopo di permettere pienamente questa teatralizzazione. Vi è un’area del punto vendita pensata per consentire al personale di dimostrare il funzionamento dei prodotti per il bagno. È composta da un lavandino con specchiera e rifornita di tester dei tanti prodotti da provare, in modo che i visitatori possano provarli esattamente come farebbero se
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fossero a casa propria. È inoltre frequente essere invitati alla prova gratuita di una maschera fresca per il viso. Il personale Lush è un elemento attivo che non si limita ad attendere la clientela dietro il bancone ma si muove all’interno del punto vendita. Ha l’obiettivo di arricchire l’esperienza d’acquisto fornendo informazioni sull’azienda e sui suoi prodotti, favorendo l’interazione con il negozio e guidando all'acquisto. Il cliente viene così coinvolto e invitato all’interazione con i cosmetici, con gli altri clienti, con il negozio, con il marchio. Pertanto il negozio non può più essere considerato solo uno spazio che consente il soddisfacimento del bisogno di approvvigionamento, ma deve necessariamente trasformarsi in un luogo di svago, di socializzazione, di confronto e soprattutto di comunicazione e condivisione dei valori della marca. I prodotti diventano dei mezzi per fornire ed accrescere l’esperienza dei consumatori, in quanto richiedono alle persone di imparare a usarli. Questi aspetti innovativi generano sorpresa e scatenano curiosità nei clienti. Si trasformano in sperimentazione ed esperienza. Molti di coloro che attraversano questo processo diventano così sostenitori di Lush. L'azienda infatti fa largo uso di marketing virale79, che gli consente di non dover fare ricorso ai canali tradizionali, in quanto comunica con ogni punto di contatto ed utilizzando altri tipi di media come i prodotti stessi, gli altri consumatori, il sito web, il giornalino e le mail. Anche l’ubicazione del negozio è una forma di comunicazione. I negozi infatti si trovano nelle shopping areas, vicino a boutique e gioiellerie. Così è più facile per Lush farsi notare da una clientela meno sensibile ai prezzi e più sofisticata. Inoltre anche la scelta dei nomi dei prodotti è in linea con il tono della comunicazione. Sono infatti caratterizzati da una scanzonata ironia e dalla ricerca di una risata complice, aperta, quasi plautina. Dato che molti prodotti 79
Il marketing virale è un tipo di marketing non convenzionale che sfrutta la capacità comunicativa di pochi soggetti interessati a trasmettere il messaggio ad un numero esponenziale di utenti finali. È un'evoluzione del passaparola, ma se ne distingue per il fatto di avere un'intenzione volontaria da parte dei promotori della campagna.
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sono privi di imballaggio, la scelta dei nomi e delle frasi che li descrivono è fondamentale per un loro corretto posizionamento. Il nome viene scelto prendendo come base ingredienti, parole o modi di dire del vissuto, trasformandoli e a volte storpiandoli. Alessandro Commisso, copywriter di Lush Italia, commenta così la scelta dei nomi: «Ogni prodotto Lush ha un nome, non solo una generica denominazione, che dà al cosmetico e alle sensazioni ad esso collegate un valore aggiunto: quello della risata80». La scelta di dare un nome proprio rappresenta infatti la considerazione del prodotto non come oggetto ma come soggetto relazionale, ovvero creatore della relazione. Vediamo infatti che i clienti parlano dei prodotti chiamandoli con un nome proprio, e non identificandoli con nomi generici. La personificazione del prodotto che ne deriva non fa che aumentare il legame che si crea con i clienti. Essendo l'ironia la nota distintiva dell'azienda, i prodotti devono possedere un nome che provochi nel lettore risate e divertimento, per poter generare una relazione di complicità e un clima festoso. Sono i prodotti il veicolo del divertimento e del piacere dei sensi, senza di essi non è possibile entrare a far parte del mondo Lush. 4.2.2. La comunicazione attraverso il giornalino Il Lush Times è un importante mezzo di comunicazione diretta tra l’azienda e i clienti, sia del negozio sia del servizio di ordini per corrispondenza. Si tratta di una pubblicazione quadrimestrale, stampata su carta riciclata senza clorina, in circa quattrocentomila copie ogni anno. Il giornalino è distribuito presso il punto vendita. C'è inoltre la possibilità di riceverlo a casa, sia tramite ordine online che facendone richiesta. Contiene tutte le informazioni di un catalogo commerciale, cui si aggiunge un ampio spazio dedicato alla scoperta del mondo Lush, dello staff e delle iniziative 80
Parere tratto dal Forum Lush: http://forum.lush.it.
81
con focus monotematici sugli ingredienti. Ogni numero ha una copertina che ricalca i messaggi e le promozioni presenti all’interno dei negozi, come importante cassa di risonanza per i concetti che Lush desidera comunicare. Importante e copioso è il contributo dei clienti, che hanno la possibilità di vedere pubblicate le proprie foto e soprattutto le proprie recensioni dei prodotti, inviandole a un indirizzo dedicato. In alcuni paesi, come ad esempio in Irlanda, è presente anche la posta del cuore. Gli argomenti che l’azienda non vuole fare a meno di comunicare al proprio pubblico riguardano i valori della marca e in particolare l'aspetto divertente e quello etico dell'azienda, che rappresentano i due fondamenti e infatti sono le due motivazioni principali all'acquisto e alla fidelizzazione, come risulta dalla ricerca che ho svolto. La scelta di utilizzare un giornalino piuttosto che una comunicazione pubblicitaria convenzionale si riallaccia alla volontà di creare una comunità che condivida interessi comuni. Le uscite si differenziano tra loro per i temi trattati e il susseguirsi delle stagioni, ma le informazioni relative ai prodotti non variano, eccezion fatta per i nuovi prodotti che l'azienda mette in commercio periodicamente. Dalla mia ricerca risulta che l’82% degli intervistati ne attendono l'uscita e lo legge sempre, il restante 18% si divide tra coloro che lo leggono ogni tanto e chi lo legge raramente. E' interessante notare che gli utenti lo tengono a disposizione per rileggerlo di tanto in tanto, quale strumento che gli permetta di sentirsi parte del mondo Lush e della comunità attiva, di cui ci occuperemo tra poco. 4.2.3 La comunicazione attraverso il sito internet Il sito web81 è altrettanto rilevante, in quanto non solo costituisce un importante canale comunicativo, ma funge anche da punto vendita di cui i 81
http://www.lush.it.
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clienti si dichiarano molto soddisfatti. Aggiornato in tempo reale, permette a tutti gli utenti, anche coloro che non hanno la possibilità di accedere a un punto vendita fisico, di mantenersi costantemente aggiornati sulle novità e le iniziative dell’azienda e di effettuare un acquisto. Tramite il sito è possibile iscriversi a una newsletter, chiedere di ricevere il giornalino a casa, approfondire la conoscenza dell’azienda e trovare tutte le informazioni sui prodotti presenti nel Lush Times cartaceo. Inoltre sul sito è disponibile una bacheca aggiornata con tutte le opportunità di lavoro, una sezione dedicata alla stampa e una con tutti i contatti necessari. Collegandosi a http://www.lush.com/ è possibile inoltre avere rapidamente accesso a tutti i siti e forum Lush presenti nel mondo. Visitando i siti internet dei diversi paesi si nota come questi siano tutti caratterizzati da una base comune di valori etici, ma personalizzati a seconda del paese e in questo senso molto diversi tra loro. Possiamo quindi dire che l’azienda è riuscita nell’impresa di costruire un marchio globale per consumatori no-global e di raggiungere con tale marchio un successo internazionale. 4.2.4 La comunicazione attraverso la brand community E' quello del forum uno strumento molto importante per Lush. Questo dato emerge anche dalle mia ricerca, in cui trentasei persone hanno citato il forum come strumento che consente loro di far parte del mondo Lush e momento di condivisione di spazi con altri che condividono gli stessi interessi, oltre a rappresentare un forte stimolo all'acquisto. Lush è la prima azienda nel settore della cosmesi ecobio a creare una brand community. Per analizzare questa strategia dobbiamo rifarci al marketing tribale. Possiamo definirlo sinteticamente come «una strategia volta a creare comunità intorno
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ad un prodotto o un servizio»82, che mira a rispondere al nuovo bisogno dei consumatori di ristabilire un legame sociale comunitario. Tale legame viene cercato e trovato dai consumatori in seno a raggruppamenti che hanno l’aspetto di tribù, intese come comunità emozionali in cui si condividono passioni comuni. La strategia che questo nuovo approccio propone è dunque non tanto quella di stabilire un legame personale con il cliente, quanto piuttosto quella di alimentare e sostenere il legame fra i clienti stessi, aiutandoli a condividere le proprie passioni e a sentirsi parte di un gruppo. Nel marketing tribale, di conseguenza, l'intimità con il cliente passa attraverso il coinvolgimento dell'azienda nella tribù: sostenendo e partecipando ai suoi rituali l'azienda ne diventa un membro a tutti gli effetti. In questo modo il consumatore smette di essere “cliente” e diventa “fan”, sviluppando una vera e propria fedeltà affettiva nei confronti dell'azienda e della marca. Questa strategia, a fronte di una leggera ed inevitabile perdita di controllo sul brand, risulta molto vantaggiosa perché porta ad un più stretto e più fedele rapporto con la propria clientela, rapporto che risulta più proficuo non solo per l’azienda, ma anche per gli stessi consumatori. L’azienda può così rafforzare il proprio marchio ed incrementare una fedeltà di tipo affettivo, e i consumatori possono sentirsi parte di un gruppo e soddisfare così quel desiderio di comunità tipicamente postmoderno che li spinge sempre a cercare nuove forme di aggregazione “calda”. Risulta pertanto di evidente importanza nel nostro studio occuparci della brand community creata dall'azienda e indagare come questa venga utilizzata per fare del prodotto un Lovemark che garantisca fedeltà oltre la ragione. Per farlo ci avvaliamo degli studi di G. Morandin83. Dobbiamo innanzitutto dire che i contributi finora disponibili 82
Cova B., Il marketing tribale, Il Sole 24 Ore, Milano, 2003. Morandin G., La partecipazione alle brand community, Economia & Management, Gennaio 2006. 83
84
evidenziano quattro modalità secondo cui si possono definire le brand community, per cui consideriamo: •
Le sottoculture di consumo, ovvero un distintivo sottogruppo della società che si autosceglie sulla base di un commitment condiviso verso una particolare classe di prodotti, una marca o un’attività di consumo. L'individuo si relaziona col brand, vi si identifica, vi ritrova un senso di spiritualità e alcuni valori. Gli individui che appartengono a questo gruppo mantengono le proprie identità e non condividono un’identità sociale.
•
Le brand community basate sui network, ovvero una comunità specializzata, non definita da confini geografici, basata su un set strutturato di relazioni sociali fra ammiratori di un brand. Si crea una rete sociale tra individui, strutturata attorno al brand, che si scambia sostegno intellettuale, utilitaristico ed emozionale.
•
Le comunità virtuali, ovvero una aggregazione sociale che emerge sul web quando alcune persone avviano una discussione pubblica, abbastanza lunga e con sufficiente partecipazione da formare relazioni personali. Le interazioni in questa comunità sono sostenute dall'ambiente digitale e attraverso un processo di comunicazione basato su testo. Gli obiettivi sono prevalentemente funzionali o edonistici.
•
Le brand community basate su piccoli gruppi. Si tratta di un gruppo di individui con una identità sociale condivisa, i cui membri agiscono unitamente per raggiungere obiettivi di gruppo e/o per esprimere sentimenti comuni e commitment. Vi sono quindi relazioni faccia a faccia in piccoli gruppi, in cui le attività collegate al brand sono alternate ad altre attività sociali e il supporto emozionale fra i membri è centrale.
85
Date queste definizioni possiamo individuare Lush come brand community basata su network, all'interno della quale è possibile riscontrare un piccolo nucleo costituito da veterani che regolano con atteggiamenti e opinioni l'accesso o meno alla comunità. Ma prima di approfondire questo aspetto urge analizzare la dimensione sociale del fenomeno, pertanto dobbiamo indagarne le caratteristiche. Muniz e O’Guinn84, attribuiscono a queste organizzazioni tre caratteristiche principali: la coscienza di genere, la presenza di riti e tradizioni condivisi e un senso di responsabilità morale. Ritroviamo interamente queste caratteristiche all'interno della comunità Lush. Dobbiamo infatti rilevare la grande importanza psicologica data alla marca, come esempio possiamo citare il caso della pressante richiesta di contenitori in latta con marchio per contenere i prodotti. Dopo anni di richieste via forum e raccolta di adesioni, solo recentemente l'azienda li ha realizzati. Come naturale conseguenza vediamo l'avversione verso marche imitatrici, prima tra tutte Sapò85. Inoltre la celebrazione della marca è un elemento costante, che avviene tramite diverse modalità, tra cui possiamo citare una partecipazione entusiasta e copiosa agli eventi Lush e l'organizzazione di meeting che prevedono lo shopping collettivo. In queste occasioni l'azienda prepara dei sacchetti-regalo da distribuire a tutti i partecipanti, si scattano foto con le commesse, si beve un caffè equo e solidale. Inoltre un altro fattore importante è rappresentato dalle modalità di accesso al forum. Si tratta di un forum privo di moderazione, ma in effetti questa viene effettuata da un gruppo di veterani, che decretano l'accettazione o meno dei nuovi utenti. L'accettazione passa tramite i discorsi sui prodotti in primis, in cui i nuovi utenti vengono sempre aiutati e consigliati, così da apprendere le modalità di utilizzo, per poi spostarsi su altre tematiche. Gli utenti portano poi partner e amici all'interno della comunità e numerose 84
Muniz A.M., O’Guinn T.C., Brand community, Journal of Consumer Research, 2001, 22. 85 http://www.sapo-online.it/.
86
amicizie vi nascono all'interno aumentando così le relazioni face-to-face, in cui le attività collegate alla marca si intrecciano con altre attività sociali e il supporto emozionale tra membri rappresenta un elemento centrale. I membri si riuniscono frequentemente al fine di socializzare in incontri comuni, divenendo un «gruppo di individui con un’identità sociale condivisa, che coopera per il raggiungimento degli obiettivi di gruppo e per esprimere sentimenti condivisi e attaccamento verso il brand»86.
Le forze che
sembrano sostenerli come comunità sono i sentimenti che emergono in compagnia
degli
altri
membri,
ricordando
avvenimenti
passati,
condividendo opinioni attuali e pianificando attività future. Questi tipi di comunità sono molto simili a quei gruppi che Maffesoli87 chiama affectual tribes, gruppi di amici in cui sono assenti gerarchie formali e quelle informali tendono a essere limitate alle situazioni di ingresso di un nuovo membro del gruppo o quando uno o più membri si assumono la responsabilità di organizzare un’attività comune. Sono importanti gruppi di riferimento per gli individui partecipanti e, per alcuni, potrebbero supplire ai gruppi primari (per esempio la famiglia) in termini di coinvolgimento. Di fatto, emerge sempre più evidente nel comportamento degli individui un interesse marcato per i legami e le identità sociali. Ciò determina una propensione fra i consumatori a riunirsi in tribù e a creare comunità sociali intorno al prodotto. Potremmo quindi definire le brand community come comunità emozionali in cui l’individuo cerca una comunità per provare sensazioni insieme con altri, per essere, non necessariamente per fare. Un tessuto fatto di microgruppi in cui gli individui stabiliscono forti legami emotivi, esperienze simili, una cultura comune, una visione del mondo condivisa, ma anche in cui ogni individuo al proprio interno mantiene la propria 86
Bagozzi R.P, Dholakia U.M., Antecedents and purchase consequences of customer participation in small group brand communities, Management Science, 2006, p.2. 87 Maffesoli M., The Time of the Tribes:The Decline of Individualism in Mass Society, Sage Publications, Thousand Oaks, 1996.
87
autonomia” . Dobbiamo a questo punto individuare due variabili chiave nella formazione e nella partecipazione alle brand community, ovvero: •
la prossimità della partecipazione;
•
la base della partecipazione . La prima dimensione riguarda il fatto che i membri della comunità si
trovino o meno nello stesso luogo, abbiano la possibilità di interagire faccia a faccia o se, diversamente, si trovino in città o stati differenti e la comunità sia largamente immaginata, come nel caso Lush. Si tratta di un aspetto fondamentale nello studio delle comunità, già investigato a fondo sin dai primi contributi della Scuola di Chicago negli anni Venti88, che ha approfondito le implicazioni connesse al passaggio dalle comunità rurali alle società urbane. Secondo questa scuola di pensiero, la crescente urbanizzazione è caratterizzata da relazioni secondarie piuttosto che primarie e nelle città i «nostri contatti fisici sono vicini, ma i nostri contatti sociali sono lontani»89. Inoltre, la domanda prevalente non è se le città manifestino questi tratti, ma quanto potenti essi siano nel modellare le caratteristiche della vita sociale. La risposta condivisa da questa tradizione conferma che «l’individualità umana è stata sostituita da categorie sociali» e le persone, nell’affrontare la scomparsa delle unità territoriali come basi della solidarietà sociale, hanno creato delle unità di interessi. La seconda dimensione privilegia la base della partecipazione, distinguendo se emerga da interessi individuali piuttosto che da dinamiche sociali spontanee. Quest'aspetto è stato approfondito da un’altra corrente di pensiero, sempre di matrice sociologica, ovvero dalla Teoria dell’azione
88
Park R.E., Burgess E.W., McKenzie R.D., The City: Suggestions for the investigation of Human Behaviour in the Urban Environment, Univesity of Chicago Press, Chicago, 1925. 89 Wirth L., Urbanism as a way of life, The American Journal of Sociology, 1938, 44, pp. 17-18.
88
collettiva90. Nella sua versione originale, la teoria riguarda la fruizione di beni pubblici attraverso la collaborazione di più individui e l’impatto di alcune esternalità sul comportamento di gruppo. La tesi centrale di Olson è che i membri di gruppi numerosi hanno meno probabilità di raggiungere i loro obiettivi e quelli del gruppo, rispetto a gruppi di piccole dimensioni. Nei gruppi di ampie dimensioni, infatti, ciascuno ottiene proporzionalmente un beneficio minore da un bene collettivo. E considerato che l’individuo arriva a godere solo di una ristretta frazione del bene, egli allora sarà indotto a contribuire scarsamente all’organizzazione e a comportarsi da free-rider. Un membro di un gruppo più largo raramente agirà per assicurare un beneficio collettivo al gruppo, a meno che il ritorno individuale non sia sufficiente a ricoprire i costi investiti nell’azione. In contrasto, i piccoli gruppi sono più organici e autosufficienti in quanto ogni membro riceve una porzione più sostanziosa del bene collettivo, che sarà assicurato dall’azione volontaria e razionale di poche persone per le quali i benefici nel provvedere il bene saranno facilmente superiori ai costi che sosterranno. Provando a contestualizzare queste intuizioni nel nostro ambito di interesse, è facile comprendere come la partecipazione possa assumere significati differenti a seconda del tipo di community cui si fa riferimento. Le due dimensioni della partecipazione appena individuate, sebbene siano state studiate in modo distinto, nella realtà sociale e organizzativa si trovano a convivere e a essere presenti nel vissuto individuale dei membri. Pertanto, se combinate, esse danno luogo a una matrice, originando quattro distinte aree, che si possono agilmente applicare allo studio delle brand community. Nel caso delle aree “sottocultura di consumo” e delle “comunità virtuali” notiamo uno spiccato individualismo e un prevalente egocentrismo. La funzione della marca è più che altro legata alla legittimazione 90
Olson M., The Logic of Collective Action, Oxford University Press, Oxford, 1965.
89
dell’identità. Le due caratteristiche principali sembrano essere la mediazione tecnologica nella comunicazione e il mantenimento dell’anonimato. Le persone, infatti, non partecipano alla comunità con un proprio nome ma si limitano a un nickname, spesso indecifrabile. Se, da un lato, viene quindi enfatizzato l’aspetto del gioco, dall’altro non possiamo non considerare il desiderio e la tensione comune verso l’evasione dalle strutture sociali. Ma in questa sede le due aree di nostro interesse sono le brand community basate sui network e quelle basate sui piccoli gruppi, in quanto, sebbene i partecipanti siano lontani fra loro e occasionalmente in contatto, l’importanza della membership assume un ruolo più centrale. Ne sono esempi i raduni che avvengono spesso a livello nazionale o mondiale di ogni brand community. In questi contesti, molteplici forze entrano in gioco all’interno di un quadro coerente. Le persone escono dal loro anonimato e cercano contatti sociali, per divertirsi, per vivere emozioni comuni, per sperimentare qualcosa di nuovo, per andare al di là dell’ordinario delle proprie giornate, infine per celebrare insieme la passione per la marca o il prodotto. È in questo tipo di situazioni che i valori simbolici emergono con tutta la loro spinta culturale. Le persone, infatti, attribuiscono significati individuali a un fenomeno collettivo, nascono riti e artefatti. Le brand community basate su piccoli gruppi sono caratterizzate da amicizie più strette, nei quali la relazione tra “marca-prodotto-gruppo” è vissuta in modo più semplice ma non meno intenso e originale. Sono altresì caratterizzate da una maggiore circolazione di forme di capitale sociale (fiducia, solidarietà ecc.), prodotte dalle relazioni e incluse in queste, considerate come una risorsa aggiuntiva importante nella vita dei singoli. È importante precisare che le due dimensioni non vanno considerate in termini discreti, ma piuttosto lungo un continuum che dall’una conduce all’altra; in tal senso non tutte le comunità virtuali, per esempio, saranno di tipo individualista, ma vi potranno essere casi in cui vi è anche una spiccata importanza collegata all’appartenenza a questi gruppi.
90
Allo stesso modo, dobbiamo sottolineare che non stiamo discutendo di quattro “mondi” totalmente separati, ma di gruppi che “parlano” tra di loro e spesso coevolvono; così, per esempio, le comunità basate sui piccoli gruppi di amici potranno anche avere relazioni con altri appassionati di tipo network-based, oppure da relazioni “virtuali” potranno nascere piccoli gruppi di amici. Queste comunità generano una serie di opportunità interessanti per le imprese, prima tra tutti la possibilità di usufruire dei consumatori per far progredire il prodotto ed elaborarne di nuovi. Si incrementano quindi le fonti dell’innovazione, si fa strada l'idea di una innovazione
sociale,
caratterizzata
da
maggiore
coinvolgimento
e
trasparenza nei confronti dei consumatori. Sempre più le persone tendono a sviluppare i prodotti sulla base di ciò che più desiderano e necessitano, piuttosto che delegare completamente le aziende come loro agenti. All'interno del forum Lush, ad esempio, si trova un'ampia sezione dedicata ai prodotti, in cui i consumatori possono esprime il loro parere su quali prodotti eliminare e chiedere quali prodotti desiderano. E' da qui che l'azienda reperisce le idee per i prossimi prodotti. Non solo, ma addirittura il forum ha adottato l'aspetto grafico proposto e ideato da una consumatrice. I clienti arrivano a girare video coi telefonini per poi inviarli allo spazio che Lush ha su My Space91. L'azienda vanta un elevato numero di consumatori ispiratori. E' evidente come tutto il discorso fatto finora ci indichi che essa non appartiene al mondo dei brand, ma al mondo dei Lovemarks, in quanto la relazione costruita coi clienti si può a tutti gli effetti definire una storia d'amore.
91
http://www.myspace.com/lushcosmetics.
91
4.3 Lovemark: il futuro oltre i brand 4.3.1 Perché Lovemark «I Lovemark non sono di proprietà di chi li fabbrica, di chi li produce, delle aziende. Appartengono a chi li ama»92. Se dovessimo riassumere in poche parole cosa sono i Lovemark potremmo dire che sono brand molto personali. Brand carismatici che la gente ama e protegge, per i quali si batte e ai quali non vuole rinunciare. E' questo un aspetto emerso nella mia ricerca su Lush, in quanto il 96% dei consumatori si è dichiarato Lush-dipendente. La nostra azienda infatti si posiziona tra i primi duecento Lovemark al mondo93. All'interno di questo studio mi sono interessata dell'evoluzione dei brand verso i Lovemark per comprenderne le differenti strategie, e posso affermare che tale differenza risiede nella capacità dei Lovemark di creare una relazione personale col cliente, che abbia le caratteristiche di una storia d'amore, al punto da generare fedeltà oltre la ragione. Tale particolare risonanza emotiva trasforma i clienti in fans, in consumatori ispiratori che seguono costantemente il marchio e ne influenzano i mutamenti. «L'idea di passare da un brand a un Lovemark significa cambiare il rapporto tra il consumatore e il brand. E' il passaggio dalla decisione razionale di comprare un brand a quella irrazionale, appassionata, di essere fedeli a quel brand. In un Lovemark il legame tra il brand e il consumatore è molto forte. Si passa da un razionale “compro questo perché mi dà questo” a “compro questo perché lo amo”. Ovvero si tratta di aggiungere supplementi d'amore. Allora si può conquistare la fedeltà del consumatore, che è molto più di quanto può ottenere un brand. E' un passo straordinario»94. 92 93 94
Roberts K., Lovermarks: il futuro oltre i brands, Mondadori, Verona, 2005, p. 71. Dato tratto dal sito internet http://www.lovemarks.com/. Maurice Levy, in Robert K., Lovemarks: il futuro oltre i brands, Mondadori,
92
Gli elementi che distinguono i Lovemark dai brands sono la vera novità. Kevin Roberts li identifica in mistero, sensualità e intimità. Solo i brand che possiedono questi attributi potranno evolvere in Lovemarks e costruire una relazione nuova col cliente, fatta di amore e rispetto. Tale relazione quindi sarà solida e duratura come una storia d'amore e consentirà di superare la concorrenza in quanto costruisce con il consumatore una relazione unica e insostituibile.
Aspetto che si estrinseca sia attraverso la relazione col
marchio e con l'azienda sia attraverso la comunità di clienti, che diventano sostenitori e ispiratori. Questa relazione
permette al consumatore la soddisfazione delle
necessità relazionali, tra cui la necessità di un rapporto d'amore. Kevin Roberts evidenzia come in una società in cui è in costante crescita il numero di famiglie mononucleari95 e si rileva un crollo delle nascite il cliente richieda la soddisfazione delle necessità relazionali anche ai prodotti che consuma. Queste necessità vengono soddisfatte dai Lovemarks attraverso i tre ingredienti citati, che vedremo ora applicati al caso Lush. 4.3.2 Creare mistero Il mistero è il primo elemento caratterizzante i Lovemarks. Kevin Roberts identifica in esso una forte componente attrattiva, che garantisce costanti sorprese ed emozioni, mantenendo così viva la relazione col cliente. Il mistero aggiunge complessità ai rapporti così come alle esperienze. Lo identifichiamo nelle storie, nelle metafore e nei personaggi carismatici che danno a un rapporto la sua specificità. La modalità generazionale del mistero è dunque la narrazione. Si genera raccontando storie, e “le storie hanno un valore enorme nel commercio perché guardano alla gente. In una
Verona 2005, p. 94. 95 «Entro il 2010 circa il 40% delle famiglie sarà composto da singles che vivono da soli.» Robert K., Lovemarks: il futuro oltre i brands, Mondadori, Milano 2005, p. 135.
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storia ci sono personaggi, emozioni e dati sensoriali. Ci sono passato, presente e futuro, sogni, miti, ispirazioni”. Troviamo questi elementi anche nella strategia comunicativa di Lush. Sul giornalino infatti si racconta che fu fondata da un gruppo di cinque ragazzi hippy, vegetariani e un po’ sopra le righe, con il sogno di produrre i cosmetici più freschi della storia. La storia inizia negli anni Settanta e racconta di molti errori e diversi tentativi prima di portare alla nascita di Lush nel 1994. Il primo negozio fu aperto nella piccola Poole, mentre il secondo nel prestigioso Covent Garden market, in quell’angolo del mercato londinese dove Audrey Hepburn, attrice preferita del fondatore, balla in My fair lady. Si tende a sottolineare poi come ancora oggi a capo dell’azienda vi sono quelli che erano i cinque ragazzi pieni di sogni e speranze. È evidente come la storia del marchio che stiamo analizzando risulti estremamente coinvolgente per il target di riferimento. Infatti i consumatori di Lush sono prevalentemente ragazzi tra i venti e i trent'anni, per i quali sogni, miti e aspirazioni costituiscono temi quotidiani e forti leve emozionali. Si parla di persone comuni che credono nei sogni, e Lush mostra loro come i sogni possano realizzarsi, alimentando il mistero legato al marchio. 4.3.3 Creare sensualità Secondo Martin Lindstrom96 il 94% delle comunicazioni di marca si concentra solo su due sensi, vista e udito. Si tratta di un approccio che rischia di diventare riduttivo, se si considera che il 75% delle nostre emozioni è generato dall’olfatto. Pertanto oggi risulta più che mai necessario, passare da un contatto bidimensionale a uno molto più completo, in grado di realizzare un’interazione sensoriale olistica, a più dimensioni, che possa generare un coinvolgimento multisensoriale. I sensi sono la 96
http://www.brandsense.com/.
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“scorciatoia” verso le emozioni umane. Secondo l'approccio costruttivistasistemico il mondo dipende da un'attività enattiva da parte dei sistemi viventi, i quali quindi utilizzano soprattutto il loro rapporto con l'ambiente, attraverso i sensi, per costruire il loro mondo e le loro esperienze. Ecco quindi che puntare sulla polisensorialità, sulla sinestesia, diviene una strategia sempre più battuta sia dalla comunicazione pubblicitaria, ma ancora di più da chi si occupa di gestire la comunicazione dei punti vendita. Lush utilizza questa strategia di marketing esperienziale97, puntando a coinvolgere il visitatore attraverso un deciso impatto polisensoriale che comprende numerosi stimoli fatti di profumi, colori, forme, musiche. Rifacendoci a Schmitt98 possiamo individuare cinque diverse tipologie di esperienza: Sense
•
experiences,
ovvero
esperienze
che
coinvolgono
la
percezione sensoriale; Feel experiences, ovvero esperienze che coinvolgono i sentimenti e
•
le emozioni; •
Think experiences, ovvero esperienze creative e cognitive;
•
Act experiences, ovvero esperienze che coinvolgono la fisicità;
•
Relate experiences, ovvero esperienze risultanti dal porsi in relazione con un gruppo. Questi cinque tipi di esperienza possono essere combinati tra loro a
formare “esperienze ibride” o “esperienze olistiche”, come avviene in Lush. Una delle tendenze del marketing esperienziale riguarda lo spazio del punto vendita. Il pubblico ha riscoperto l’importanza del contatto umano e lo ricerca anche nel punto vendita, col quale vuole instaurare un rapporto 97
Il marketing esperienziale’ è così chiamato in quanto si basa più sull’esperienza del consumo che sul prodotto in sé. 98 Schmitt B.H., Ferraresi M., Marketing Esperienziale, Franco Angeli, Milano 2007. Si veda inoltre http://www.meetschmitt.com/.
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partecipativo ed emozionale. Ecco allora che il punto vendita risponde dotandosi di strumenti comunicativi e di attrazione basati sulla stimolazione di tutti e cinque i sensi del cliente. Vista e udito, pur rimanendo i sensi principalmente coinvolti, sono oggi affiancati dall’olfatto, in quanto odori e profumi giocano un ruolo fondamentale sia nella fase di accostamento al prodotto sia nella fase di ricordo; il cliente, poi, all’illuminazione al neon preferisce le luci soffuse e i colori tenui. La direzione è dunque quella di una ricostruzione sensoriale. Lush da sempre punta molto sulla stimolazione sensoriale legata all'esperienza d'acquisto. Lo vediamo già all'ingresso del negozio dove si legge l’invito: “Qui tutto si può toccare, annusare, spalmare e in ogni caso godere”. Questa affermazione si trova in netta contrapposizione con una delle scritte più comunemente diffuse in altri punti vendita di cosmesi, che invece invita a non avvicinarsi ai prodotti esposti. Il cliente si trova così catapultato in una dimensione che lo autorizza a concretizzare un’ambizione di bambino frustrata. L’esperienza sensoriale è centrale. Il negozio Lush stimola fortemente l’olfatto, il suo mix di profumi risulta infatti facilmente identificabile da molti e decisamente caratterizzante. «Love at first sniff» si legge su una lavagna all’interno dei punti vendita. Allo stimolo olfattivo segue quello visivo, a partire da una vetrina coloratissima e ricca di prodotti dalle forme insolite. Anche la disposizione dei cosmetici e il tipo di arredamento che li ospita, più simile a quello di un fruttivendolo che a quello di una profumeria, spingono all’esplorazione. Quello che stupisce maggiormente è senz’altro la nudità dei cosmetici, molti dei quali sono privi di confezione e capaci di creare oasi multicolori. Anche il tatto è fortemente stimolato, grazie alla possibilità offerta alla clientela di toccare tutti i prodotti e di provarli direttamente sulla propria pelle in modo da apprezzarne appieno gli effetti. Per rendere questa sensazione sempre gradevole, il prodotto è mantenuto fresco, grazie a consegne effettuate con una cadenza settimanale. La musica è un altro ingrediente fondamentale per creare l’atmosfera
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Lush. Ritmi allegri, piacevoli e divertenti si susseguono durante l’anno, seguendo temi e toni delle stagioni e delle ricorrenze. Le forme e le sembianze dei prodotti, i loro profumi, gli ingredienti che li compongono e l’intero contesto del negozio Lush, arredato come una bottega, invitano il cliente a cedere al richiamo sensoriale. Tutto si può provare e con tutto si può interagire. Si crea una forte sensazione di intimità con il cliente, e questa sensazione crea un ricordo importante, che associa il marchio ad emozioni legate alla sfera intima e personale dei clienti. 4.3.4 Creare intimità Secondo Roberts l’intimità è costituita di tre elementi: empatia, impegno e passione. L’empatia comporta una relazione profonda con il cliente, che non comprenda solo il fatto di rivolgerglisi, ma anche l’ascoltarlo. Lush spende molto tempo nell'ascolto dei propri consumatori ispiratori. Attraverso la community l'azienda entra infatti quotidianamente in contatto coi propri clienti. Il loro ruolo è molto importante per l’azienda, in quanto essi rappresentano una classe di fedelissimi, sostengono e guidano il marchio verso nuove evoluzioni. Rappresentano un elemento fondamentale per lo sviluppo di nuovi prodotti, per le scelte di marketing e di comunicazione. L’azienda entra in contatto con loro in una relazione delicata, fortemente emozionale, come quella creata dalla community, non tramite mail istituzionali o freddi sondaggi. Li lascia parlare liberamente. Li rende importanti attraverso il Lush Times, dove pubblica le loro parole, le foto. È una dimensione delicata e sottile, un rapporto fatto di tu, in cui chiunque può finire sul giornalino e divenire famoso all’interno della community per qualche mese. I Lushini hanno costruito una relazione d'amore con l'azienda. Basta assistere agli aumenti di prezzo per rendersene conto. Possiamo affermare che se Lush non fosse un Lovemark i clienti, scontenti degli aumenti,
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acquisterebbero altrove. Ma i Lushini scrivono lettere, provocano proteste e scioperi. Proprio come in una storia d’amore, invece che cambiare azienda rimangono fedeli e impegnati. Impegnati e pertanto disposti ad attendere. Anche anni. Ad esempio per ottenere i profumi, il dentifricio e le scatole portasapone precedentemente citate. Si è assistito a temporanei spostamenti su altri forum, come il Forum Lush inglese, accese discussioni, organizzazione di viaggi all'estero per acquistare prodotti non ancora arrivati in Italia. L'azienda ha deciso di soddisfare le richieste solo dopo una lunga attesa, alimentando nei clienti il desiderio e assicurandosi così il successo del prodotto, nonostante il prezzo in alcuni casi (come il dentifricio) molto elevato. La passione è un altro elemento fondamentale. E in Lush la passione è un elemento molto forte e sfruttato costantemente. Lush ribadisce tramite le proprie comunicazioni la convinzione di migliorare la vita delle persone, e può permettersi di farlo in quanto sono i consumatori stessi a diffondere questa opinione. Questa frase, scritta nel forum da una consumatrice, è emblematica: «Se non hai mai provato un bagno con una ballistica non hai mai provato un bagno». La passione che porta i clienti a consumare i prodotti li porta anche a regalarli, generando così un grande passaparola. Infatti l'azienda dispone di una vasta gamma di confezioni regalo e può permettersi di venderle ad un prezzo piuttosto alto. In questo modo i prodotti offrono un gran servizio ai consumatori e comunicano qualcosa di loro, sulla loro visione e del mondo e sulle loro esperienze. Il consumatore Lush condivide costantemente l’esperienza con gli amici in quanto vive un'esperienza appassionante. Entra nel negozio anche solo per sentirsi parte del mondo
Lush. L'azienda lo ricompensa creando costantemente
coinvolgimento con l'organizzazione di eventi appositi, feste in maschera, meeting per i “Lushini”. Li coinvolge quotidianamente tramite il negozio, dove si può assistere a mini-eventi che coinvolgono attivamente la clientela permettendogli di interagire col personale e coi prodotti. Si tratta di un vero
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e proprio rito attorno al prodotto. Uno dei membri dello staff richiama l’attenzione dei presenti e, munito di bacinella trasparente piena d’acqua tiepida, mostra come usare bagnoschiuma solidi e ballistiche da bagno. Durante la dimostrazione i clienti sono invitati a immergere la mano all’interno nella bacinella in cui sono disciolti i prodotti, in modo da sentirne gli effetti sulla pelle e valutarne il profumo. Questo rito verrà poi ripetuto dai clienti nelle case e con gli amici. Questo non fa che aumentare l'esperienza d'acquisto e collegare il marchio all'idea di qualcosa di insolito e spettacolare. Dopo aver analizzato le componenti che fanno di Lush un Lovemark vediamo come avviene il passaggio da brand a Lovemark. 4.3.5 Da brand a lovemark: l'asse Amore/Rispetto Nel distinguere i brands dai Lovemarks Roberts ne evidenzia caratteristiche comuni ed elementi differenzianti. In particolare definisce i quadranti prodotti dall'intersezione dell'asse Amore con l'asse Rispetto, come vediamo nella seguente figura:
L'autore identifica infatti il rispetto come base per qualsiasi relazione
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duratura, in particolar modo con il cliente, e l'amore come elemento fondante la relazione, relazione che si differenzia cosÏ profondamente da quella con un brand. L'incrocio di questi due assi produce quattro quadranti in cui possiamo inserire tutte le tipologie di marchi a seconda del legame che sono in grado di creare con il cliente. Infatti l'area in basso a sinistra è identificata come l'area delle merci, ovvero prodotti di cui i consumatori necessitano ma con i quali non creano legami emotivi. L'area in basso a destra è invece la sede di mode e capricci, oggetti amati intensamente ma per poco tempo, poi accantonati per far posto ad altri. Passando alla parte superiore dell'asse vediamo aumentare il valore del rispetto, per cui nel quadrante in alto a sinistra si collocano la maggior parte dei brands, che possiedono una buona dose di rispetto ma sono razionali e misurati, e pertanto non si distinguono facilmente l'uno dall'altro. Aggiungendo al massimo rispetto il massimo amore otteniamo il quadrante in alto a destra, dove risiedono i Lovemarks. Affermata quindi come strategia vincente quella che porta all'evoluzione del brand verso il Lovemark dobbiamo interrogarci su quale sia l'approccio da adottare. Roberts suggerisce un approccio nuovo, a partire dalla ricerca, che deve guardare alla vita dell'individuo nella sua interezza, alle sue speranze e aspirazioni, agli amori, ai timori, ai desideri, per poter comprendere a cosa il consumatore attribuisce significato e importanza. La nuova ricerca si orienta quindi verso una strategia che consiste nella costante collaborazione con i consumatori, in modo da sviluppare relazioni strette e produrre una partecipazione attiva e costante nello sviluppo di prodotti che diano al consumatore il legame emotivo ricercato. E' importante pertanto considerare che i Lovemark si costruiscono dal basso, un consumatore per volta. Questo richiede di spostare l'interesse su come le persone costruiscono le relazioni, e su come ispirare le persone in quanto parte di gruppi importanti per loro. Ma per
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mettere le emozioni dei consumatori al primo posto è necessario un questionario in grado di misurarle99, cui dovrà seguire una fase esplorativa, ovvero l'osservazione delle persone nella vita di tutti i giorni. Osservazione, interazione e molta conversazione portano alla costruzione di un contatto stretto e personale con i consumatori, che comprenda lo stare con loro e partecipare al modo in cui vivono la loro vita. Lavorare con i consumatori e imparare a pensare e sentire come loro vuol dire creare un Lovemark. Organizzare sessioni interattive in cui i consumatori possono influire su progetto, servizio, produzione e distribuzione è la strategia elaborata, strategia che mostra il prerequisito della ricerca Lovemarks: la partecipazione personale dei consumatori allo sviluppo di nuove idee. Una volta creati, i consumatori ispiratori saranno custodi appassionati di un Lovemark. Saranno loro a raccomandare prodotti e servizi ad altri individui convincendoli a utilizzarli. I consumatori ispiratori vendono ciò di cui sono appassionati, diventando per l'azienda un prezioso strumento di buzz marketing100. I Lovemarks possono così guidare la strategia, il posizionamento, la creatività e il monitoraggio di ogni contatto col consumatore. Divengono così la strategia da utilizzare per ottenere fedeltà in un mercato in cui questo termine sembra rappresentare un'utopia. 4.4 Conclusioni In conclusione di questo studio non rimane che tracciare il percorso affrontato per parlare di prospettive future. In principio ci siamo interrogati sulle problematiche che impedivano alla comunicazione ecologica di 99
Questionario realizzato da QualiQuant International: http://www.qiqinternational.com/. 100 Il buzz è il passaparola generato dai consumatori nei confronti di un certo brand e si contraddistingue dal viral, in quanto con questa espressione lo si intende contestualizzare nell’ambiente internettiano.
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raggiungere gli obiettivi attesi, per passare poi all’analisi del sistema sociale allo scopo di discutere delle strategie che avrebbero potuto ottenere risonanza al suo interno. Successivamente abbiamo analizzato il fenomeno dal punto di vista delle nuove opportunità per le imprese e da quello del cittadino consumatore come partecipante attivo. Infine siamo giunti a considerare la strategia di un’azienda che da diversi anni porta avanti un discorso efficace di comunicazione ecologica, per meglio comprenderne gli elementi che l’hanno portata al successo. Ricordiamo quali fossero le prospettive presentate da Luhmann riguardo le possibilità per la comunicazione ecologica di ottenere risonanza: da un lato egli proponeva l'adattamento della comunicazione ecologica ai codici dei sottosistemi nei quali si scompone la società. Dall'altro ipotizzava che la comunicazione ecologica avrebbe potuto penetrare tali sistemi ed imporsi come tema della comunicazione solo nel momento in cui la situazione sarebbe stata evidentemente urgente da dover produrre un cambiamento. Durante il percorso abbiamo rilevato come le tematiche etiche costituiscano un fenomeno sempre più emergente nel sociale e stia aumentando la loro presenza e nel discorso mediale e nelle strategie politiche ed economiche. La sostenibilità dal punto di vista ambientale e sociale diviene un nuovo imperativo per le aziende, un nuovo tema della comunicazione, generando così ulteriori comunicazioni, cambiamenti e innovazioni. E’ questo un periodo in cui alle aziende si richiede anche di occuparsi del benessere sociale e di contribuire con soluzioni innovative a risolvere le problematiche del pianeta, in particolare quelle riguardanti la sopravvivenza del sistema pur se in un suo adattamento ecologico. La vera innovazione a mio avviso è preoccuparsi oggi di salvaguardare un ambiente che possa continuare a permettere la riproduzione del nostro sistema societario piuttosto che dirigerlo verso la sua distruzione. È un discorso più che mai attuale in un momento in cui il mondo ha bisogno di
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sostenibilitĂ e chiede al mondo del business di contribuire al cambiamento, generando un benessere che sia al contempo globale e sostenibile per poter continuare a parlare di futuro.
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Ringraziamenti Con questo lavoro si conclude per me un percorso di studi fortemente desiderato e seguito con passione. Si conclude un’intera parte della mia vita e colgo dunque l’occasione per ringraziare le persone che fino a qui mi hanno condotto. A tutte le persone che ho incontrato nel cammino, a chi mi ha passato gli appunti e a chi mi ha prestato un libro, per essere parte della mia vittoria. Ai professori, che hanno sapientemente risposto alle mie domande, in particolare alla Professoressa Stefania Antonioni per l’ascolto e gli stimoli offerti, al Professor Paolo Teobaldi per aver creduto nelle mie potenzialità, alla Professoressa Laura Gemini per le conversazioni più che piacevoli, alla Professoressa Roberta Bartoletti, per avermi sempre fatto porre una domanda. Agli amici che mi hanno sostenuto sempre e comunque, nonostante i miei repentini cambi di direzione guidati dal volere fortemente. A Valeria, per aver diviso con me tre anni di vita e lezioni universitarie, per la pazienza con cui mi ha sempre ascoltato e annotato i miei pensieri, per il sostegno, la parola, l’affetto che hanno caratterizzato i momenti indimenticabili trascorsi insieme. A Italia, per esserci stata nel periodo più brutto della mia vita e sempre nei più belli. Ad Alessandro, Paolo e Monica, senza l'aiuto dei quali non ce l'avrei fatta. A Dario e Fabio, per aver saputo guardare oltre le apparenze. All'ABA, a Fabiola De Clerq, alla Dottoressa Stefania Mandelli e al gruppo del martedì pomeriggio per avermi ascoltato e amato, per avermi guidato verso la vita tenendomi stretta per mano. A Masa, Milo, Deva, Zena, Woody, Margot e Sirio, per essere sempre la mia famiglia, per avermi tenuto in vita quando non lo volevo affatto.
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E infine a Marco, cui dedico questo lavoro e tutta me stessa, perchĂŠ senza di lui nulla di tutto questo sarebbe stato possibile. Diana Malerba
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