Bollettino Diocesano Gennaio-Marzo 2018

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BOLLETTINO DIOCESANO

l´Odegitria

Atti ufficiali e attività pastorali dell’Arcidiocesi di Bari-Bitonto


BOLLETTINO DIOCESANO

l´Odegitria Atti ufficiali e attività pastorali dell’Arcidiocesi di Bari-Bitonto Registrazione Tribunale di Bari n. 1272 del 26/03/1996 ANNO XCIV - N. 1 - Gennaio - Febbraio - Marzo 2018 Redazione e amministrazione: Curia Arcivescovile Bari-Bitonto P.zza Odegitria - 70122 Bari - Tel. 080/5288211 - Fax 080/5244450 www.arcidiocesibaribitonto.it - e.mail: curia@odegitria.bari.it Direttore responsabile: Giuseppe Sferra Direttore: Gabriella Roncali Redazione: Beppe Di Cagno, Luigi Di Nardi, Angelo Latrofa, Paola Loria, Franco Mastrandrea, Bernardino Simone, Francesco Sportelli Gestione editoriale e stampa: Ecumenica Editrice scrl - 70132 Bari - Tel. 080.5797843 www.ecumenicaeditrice.it - info@ecumenicaeditrice.it


D OCUMENTI

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C HIESA USNIVERSALE OMMARIO

DOCUMENTI DELLA CHIESA UNIVERSALE MAGISTERO PONTIFICIO Messaggio per la XXXIII Giornata mondiale della gioventù

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Motu proprio “Imparare a congedarsi”

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CONGREGAZIONE DELLE CAUSE DEI SANTI Decreto di venerabilità del Servo di Dio don Ambrogio Grittani Commento al Decreto di venerabilità

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DOCUMENTI DELLA CHIESA ITALIANA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA Consiglio permanente (Roma, 22-24 gennaio 2018) Comunicato finale dei lavori della sessione invernale

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DOCUMENTI E VITA DELLA CHIESA DI BARI-BITONTO MAGISTERO E ATTI DELL’ARCIVESCOVO “Di generazione in generazione. Giovani e famiglia”. Anno pastorale 2017-2018

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Decreti relativi al passaggio di potestà giurisdizionale della parrocchia “San Giovanni Crisostomo” in Bari

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“Dammi un cuore che ascolta”: omelia della S. Messa celebrata al Convegno nazionale per le vocazioni della CEI (Roma, 5 gennaio 2018)

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VICARIATO GENERALE Visite ai vicariati zonali 2018

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CURIA METROPOLITANA Cancelleria Sacre ordinazioni e decreti

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Vita consacrata-Ufficio Caritas “La carità che accade sulla nostra terra”: relazione di don Vito Piccinonna, direttore Caritas (Bari, 28 febbraio 2018)

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Ufficio Laicato-Ufficio Caritas Assemblea diocesana del Laicato “Verso il Sinodo dei giovani (ottobre 2018): i giovani, la fede e il discernimento vocazionale”: “La forza trasformatrice della carità”: relazione di don Vito Piccinonna, direttore Caritas (Bari, 5 marzo 2018)

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CONSIGLI DIOCESANI Consiglio Presbiterale Diocesano Verbale della riunione del 23 febbraio 2018

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Consiglio Pastorale Diocesano Verbale della riunione del 10 maggio 2017

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Decreto di rinnovo del Consiglio Pastorale diocesano per il quinquennio 2018-2023 e Allegato al decreto

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PUBBLICAZIONI

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NELLA PACE DEL SIGNORE Don Giuseppe Spano Don Franco Vitucci Don Nicola Pascazio

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DIARIO DELL’ARCIVESCOVO Gennaio 2018 Febbraio 2018 Marzo 2018

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D OCUMENTI

DELLA

C HIESA U NIVERSALE

MAGISTERO PONTIFICIO Messaggio per la XXXIII Giornata mondiale della gioventù

«Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio» (Lc 1,30)

Cari giovani, la Giornata Mondiale della Gioventù del 2018 rappresenta un passo avanti nel cammino di preparazione di quella internazionale, che avrà luogo a Panamá nel gennaio 2019. Questa nuova tappa del nostro pellegrinaggio cade nell’anno in cui è convocata l’Assemblea Ordinaria del Sinodo dei Vescovi sul tema: I giovani, la fede e il discernimento vocazionale. È una buona coincidenza. L’attenzione, la preghiera e la riflessione della Chiesa saranno rivolte a voi giovani, nel desiderio di cogliere e, soprattutto, di “accogliere” il dono prezioso che voi siete per Dio, per la Chiesa e per il mondo. Come già sapete, abbiamo scelto di farci accompagnare in questo itinerario dall’esempio e dall’intercessione di Maria, la giovane di Nazareth che Dio ha scelto quale Madre del suo Figlio. Lei cammina con noi verso il Sinodo e verso la GMG di Panama. Se l’anno scorso ci hanno guidato le parole del suo cantico di lode – «Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente» (Lc 1,49) – insegnandoci a fare memoria del passato, quest’anno cerchiamo di ascoltare insieme a lei la voce di Dio che infonde coraggio e dona la grazia necessaria per rispondere alla sua chiamata: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio» (Lc 1,30). Sono le parole rivolte dal messaggero di Dio, l’arcangelo Gabriele, a Maria, semplice ragazza di un piccolo villaggio della Galilea.

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1. Non temere!

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Come è comprensibile, l’improvvisa apparizione dell’angelo e il suo misterioso saluto: «Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te» (Lc 1,28), hanno provocato un forte turbamento in Maria, sorpresa da questa prima rivelazione della sua identità e della sua vocazione, a lei ancora sconosciute. Maria, come altri personaggi delle Sacre Scritture, trema davanti al mistero della chiamata di Dio, che in un momento la pone davanti all’immensità del proprio disegno e le fa sentire tutta la sua piccolezza di umile creatura. L’angelo, leggendo nel profondo del suo cuore, le dice: «Non temere»! Dio legge anche nel nostro intimo. Egli conosce bene le sfide che dobbiamo affrontare nella vita, soprattutto quando siamo di fronte alle scelte fondamentali da cui dipende ciò che saremo e ciò che faremo in questo mondo. È il “brivido” che proviamo di fronte alle decisioni sul nostro futuro, sul nostro stato di vita, sulla nostra vocazione. In questi momenti rimaniamo turbati e siamo colti da tanti timori. E voi giovani, quali paure avete? Che cosa vi preoccupa più nel profondo? Una paura “di sottofondo” che esiste in molti di voi è quella di non essere amati, benvoluti, di non essere accettati per quello che siete. Oggi, sono tanti i giovani che hanno la sensazione di dover essere diversi da ciò che sono in realtà, nel tentativo di adeguarsi a standard spesso artificiosi e irraggiungibili. Fanno continui “fotoritocchi” delle proprie immagini, nascondendosi dietro a maschere e false identità, fin quasi a diventare loro stessi un “fake”. C’è in molti l’ossessione di ricevere il maggior numero possibile di “mi piace”. E da questo senso di inadeguatezza sorgono tante paure e incertezze. Altri temono di non riuscire a trovare una sicurezza affettiva e rimanere soli. In molti, davanti alla precarietà del lavoro, subentra la paura di non riuscire a trovare una soddisfacente affermazione professionale, di non veder realizzati i propri sogni. Sono timori oggi molto presenti in molti giovani, sia credenti che non credenti. E anche coloro che hanno accolto il dono della fede e cercano con serietà la propria vocazione, non sono certo esenti da timori. Alcuni pensano: forse Dio mi chiede o mi chiederà troppo; forse, percorrendo la strada indicatami da Lui, non sarò veramente felice, o non sarò all’altezza di ciò che mi chiede. Altri si domanda-


MAGISTERO PONTIFICIO no: se seguo la via che Dio mi indica, chi mi garantisce che riuscirò a percorrerla fino in fondo? Mi scoraggerò? Perderò entusiasmo? Sarò capace di perseverare tutta la vita? Nei momenti in cui dubbi e paure affollano il nostro cuore, si rende necessario il discernimento. Esso ci consente di mettere ordine nella confusione dei nostri pensieri e sentimenti, per agire in modo giusto e prudente. In questo processo, il primo passo per superare le paure è quello di identificarle con chiarezza, per non ritrovarsi a perdere tempo ed energie in preda a fantasmi senza volto e senza consistenza. Per questo, vi invito tutti a guardarvi dentro e a “dare un nome” alle vostre paure. Chiedetevi: oggi, nella situazione concreta che sto vivendo, che cosa mi angoscia, che cosa temo di più? Che cosa mi blocca e mi impedisce di andare avanti? Perché non ho il coraggio di fare le scelte importanti che dovrei fare? Non abbiate timore di guardare con onestà alle vostre paure, riconoscerle per quello che sono e fare i conti con esse. La Bibbia non nega il sentimento umano della paura né i tanti motivi che possono provocarla. Abramo ha avuto paura (cfr Gen 12,10s), Giacobbe ha avuto paura (cfr Gen 31,31; 32,8), e così anche Mosè (cfr Es 2,14; 17,4), Pietro (cfr Mt 26,69ss) e gli Apostoli (cfr Mc 4,38-40; Mt 26,56). Gesù stesso, seppure a un livello incomparabile, ha provato paura e angoscia (cfr Mt 26,37; Lc 22,44). «Perché siete così paurosi? Non avete ancora fede?» (Mc 4,40). Questo richiamo di Gesù ai discepoli ci fa comprendere come spesso l’ostacolo alla fede non sia l’incredulità, ma la paura. Il lavoro di discernimento, in questo senso, dopo aver identificato le nostre paure, deve aiutarci a superarle aprendoci alla vita e affrontando con serenità le sfide che essa ci presenta. Per noi cristiani, in particolare, la paura non deve mai avere l’ultima parola, ma essere l’occasione per compiere un atto di fede in Dio... e anche nella vita! Ciò significa credere alla bontà fondamentale dell’esistenza che Dio ci ha donato, confidare che Lui conduce ad un fine buono anche attraverso circostanze e vicissitudini spesso per noi misteriose. Se invece alimentiamo le paure, tenderemo a chiuderci in noi stessi, a barricarci per difenderci da tutto e da tutti, rimanendo come paralizzati. Bisogna reagire! Mai

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chiudersi! Nelle Sacre Scritture troviamo 365 volte l’espressione “non temere”, con tutte le sue varianti. Come dire che ogni giorno dell’anno il Signore ci vuole liberi dalla paura. Il discernimento diventa indispensabile quando si tratta della ricerca della propria vocazione. Questa, infatti, il più delle volte non è immediatamente chiara o del tutto evidente, ma la si comprende a poco a poco. Il discernimento da fare, in questo caso, non va inteso come uno sforzo individuale di introspezione, dove lo scopo è quello di conoscere meglio i nostri meccanismi interiori per rafforzarci e raggiungere un certo equilibrio. In questo caso la persona può diventare più forte, ma rimane comunque chiusa nell’orizzonte limitato delle sue possibilità e delle sue vedute. La vocazione invece è una chiamata dall’alto e il discernimento in questo caso consiste soprattutto nell’aprirsi all’Altro che chiama. È necessario allora il silenzio della preghiera per ascoltare la voce di Dio che risuona nella coscienza. Egli bussa alla porta dei nostri cuori, come ha fatto con Maria, desideroso di stringere amicizia con noi attraverso la preghiera, di parlarci tramite le Sacre Scritture, di offrirci la sua misericordia nel sacramento della Riconciliazione, di farsi uno con noi nella Comunione eucaristica. Ma è importante anche il confronto e il dialogo con gli altri, nostri fratelli e sorelle nella fede, che hanno più esperienza e ci aiutano a vedere meglio e a scegliere tra le varie opzioni. Il giovane Samuele, quando sente la voce del Signore, non la riconosce subito e per tre volte corre da Eli, l’anziano sacerdote, che alla fine gli suggerisce la risposta giusta da dare alla chiamata del Signore: «Se ti chiamerà, dirai: “Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta”» (1 Sam 3,9). Nei vostri dubbi, sappiate che potete contare sulla Chiesa. So che ci sono bravi sacerdoti, consacrati e consacrate, fedeli laici, molti dei quali giovani a loro volta, che come fratelli e sorelle maggiori nella fede possono accompagnarvi; animati dallo Spirito Santo sapranno aiutarvi a decifrare i vostri dubbi e a leggere il disegno della vostra vocazione personale. L’“altro” non è solo la guida spirituale, ma è anche chi ci aiuta ad aprirci a tutte le infinite ricchezze dell’esistenza che Dio ci ha dato. È necessario aprire spazi nelle nostre città e comunità per crescere, per sognare, per guardare orizzonti nuovi! Mai perdere il gusto di godere dell’incontro, dell’amicizia, il gusto di sognare insieme, di camminare con gli altri. I cristiani autentici


MAGISTERO PONTIFICIO non hanno paura di aprirsi agli altri, di condividere i loro spazi vitali trasformandoli in spazi di fraternità. Non lasciate, cari giovani, che i bagliori della gioventù si spengano nel buio di una stanza chiusa in cui l’unica finestra per guardare il mondo è quella del computer e dello smartphone. Spalancate le porte della vostra vita! I vostri spazi e tempi siano abitati da persone concrete, relazioni profonde, con le quali poter condividere esperienze autentiche e reali nel vostro quotidiano.

2. Maria! «Io ti ho chiamato per nome» (Is 43,1). Il primo motivo per non temere è proprio il fatto che Dio ci chiama per nome. L’angelo, messaggero di Dio, ha chiamato Maria per nome. Dare nomi è proprio di Dio. Nell’opera della creazione, Egli chiama all’esistenza ogni creatura col suo nome. Dietro il nome c’è un’identità, ciò che è unico in ogni cosa, in ogni persona, quell’intima essenza che solo Dio conosce fino in fondo. Questa prerogativa divina è stata poi condivisa con l’uomo, al quale Dio concesse di dare un nome agli animali, agli uccelli e anche ai propri figli (Gen 2,19-21; 4,1). Molte culture condividono questa profonda visione biblica riconoscendo nel nome la rivelazione del mistero più profondo di una vita, il significato di un’esistenza. Quando chiama per nome una persona, Dio le rivela al tempo stesso la sua vocazione, il suo progetto di santità e di bene, attraverso il quale quella persona diventerà un dono per gli altri e che la renderà unica. E anche quando il Signore vuole allargare gli orizzonti di una vita, sceglie di dare alla persona chiamata un nuovo nome, come fa con Simone, chiamandolo “Pietro”. Da qui è venuto l’uso di assumere un nuovo nome quando si entra in un ordine religioso, ad indicare una nuova identità e una nuova missione. In quanto personale e unica, la chiamata divina richiede da noi il coraggio di svincolarci dalla pressione omologante dei luoghi comuni, perché la nostra vita sia davvero un dono originale e irrepetibile per Dio, per la Chiesa e per gli altri.

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Cari giovani, l’essere chiamati per nome è dunque un segno della nostra grande dignità agli occhi di Dio, della sua predilezione per noi. E Dio chiama ciascuno di voi per nome. Voi siete il “tu” di Dio, preziosi ai suoi occhi, degni di stima e amati (cfr Is 43,4). Accogliete con gioia questo dialogo che Dio vi propone, questo appello che Egli rivolge a voi chiamandovi per nome.

3. Hai trovato grazia presso Dio

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Il motivo principale per cui Maria non deve temere è perché ha trovato grazia presso Dio. La parola “grazia” ci parla di amore gratuito, non dovuto. Quanto ci incoraggia sapere che non dobbiamo meritare la vicinanza e l’aiuto di Dio presentando in anticipo un “curriculum d’eccellenza”, pieno di meriti e di successi! L’angelo dice a Maria che ha già trovato grazia presso Dio, non che la otterrà in futuro. E la stessa formulazione delle parole dell’angelo ci fa capire che la grazia divina è continuativa, non qualcosa di passeggero o momentaneo, e per questo non verrà mai meno. Anche in futuro ci sarà sempre la grazia di Dio a sostenerci, soprattutto nei momenti di prova e di buio. La presenza continua della grazia divina ci incoraggia ad abbracciare con fiducia la nostra vocazione, che esige un impegno di fedeltà da rinnovare tutti i giorni. La strada della vocazione non è infatti priva di croci: non solo i dubbi iniziali, ma anche le frequenti tentazioni che si incontrano lungo il cammino. Il sentimento di inadeguatezza accompagna il discepolo di Cristo fino alla fine, ma egli sa di essere assistito dalla grazia di Dio. Le parole dell’angelo discendono sulle paure umane dissolvendole con la forza della buona notizia di cui sono portatrici: la nostra vita non è pura casualità e mera lotta per la sopravvivenza, ma ciascuno di noi è una storia amata da Dio. L’aver “trovato grazia ai suoi occhi” significa che il Creatore scorge una bellezza unica nel nostro essere e ha un disegno magnifico per la nostra esistenza. Questa consapevolezza non risolve certamente tutti i problemi o non toglie le incertezze della vita, ma ha la forza di trasformarla nel profondo. L’ignoto che il domani ci riserva non è una minaccia oscura a cui bisogna sopravvivere, ma un tempo favorevole che ci è dato per vive-


MAGISTERO PONTIFICIO re l’unicità della nostra vocazione personale e condividerla con i nostri fratelli e sorelle nella Chiesa e nel mondo.

4. Coraggio nel presente Dalla certezza che la grazia di Dio è con noi proviene la forza di avere coraggio nel presente: coraggio per portare avanti quello che Dio ci chiede qui e ora, in ogni ambito della nostra vita; coraggio per abbracciare la vocazione che Dio ci mostra; coraggio per vivere la nostra fede senza nasconderla o diminuirla. Sì, quando ci apriamo alla grazia di Dio, l’impossibile diventa realtà. «Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?» (Rm 8,31). La grazia di Dio tocca l’oggi della vostra vita, “afferra” così come siete, con tutti i vostri timori e limiti, ma rivela anche i meravigliosi piani di Dio! Voi giovani avete bisogno di sentire che qualcuno ha davvero fiducia in voi: sappiate che il Papa si fida di voi, che la Chiesa si fida di voi! E voi, fidatevi della Chiesa! Alla giovane Maria fu affidato un compito importante proprio perché era giovane. Voi giovani avete forza, attraversate una fase della vita in cui non mancano certo le energie. Impiegate questa forza e queste energie per migliorare il mondo, incominciando dalle realtà a voi più vicine. Desidero che nella Chiesa vi siano affidate responsabilità importanti, che si abbia il coraggio di lasciarvi spazio; e voi, preparatevi ad assumere queste responsabilità. Vi invito a contemplare ancora l’amore di Maria: un amore premuroso, dinamico, concreto. Un amore pieno di audacia e tutto proiettato verso il dono di sé. Una Chiesa pervasa da queste qualità mariane sarà sempre Chiesa in uscita, che va oltre i propri limiti e confini per far traboccare la grazia ricevuta. Se ci lasceremo contagiare dall’esempio di Maria, vivremo in concreto quella carità che ci spinge ad amare Dio al di sopra di tutto e di noi stessi, ad amare le persone con le quali condividiamo la vita quotidiana. E ameremo anche chi ci potrebbe sembrare di per sé poco amabile. È un amore che si fa servizio e dedizione, soprattutto verso i

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più deboli e i più poveri, che trasforma i nostri volti e ci riempie di gioia. Vorrei concludere con le belle parole di San Bernardo in una sua famosa omelia sul mistero dell’Annunciazione, parole che esprimono l’attesa di tutta l’umanità per la risposta di Maria: «Hai udito, Vergine, che concepirai e partorirai un figlio; hai udito che questo avverrà non per opera di un uomo, ma per opera dello Spirito Santo. L’angelo aspetta la risposta; […] Aspettiamo, o Signora, una parola di compassione anche noi. […] Per la tua breve risposta dobbiamo essere rinnovati e richiamati in vita. […] Tutto il mondo è in attesa, prostrato alle tue ginocchia. […] O Vergine, da’ presto la risposta» (Om. 4, 8; Opera omnia, ed. Cisterc. 4, 1966, 53-54). Carissimi giovani, il Signore, la Chiesa, il mondo, aspettano anche la vostra risposta alla chiamata unica che ognuno ha in questa vita! Mentre si avvicina la GMG di Panamá, vi invito a prepararvi a questo nostro appuntamento con la gioia e l’entusiasmo di chi vuol essere partecipe di una grande avventura. La GMG è per i coraggiosi! Non per giovani che cercano solo la comodità e che si tirano indietro davanti alle difficoltà. Accettate la sfida? Francesco Dal Vaticano, 11 febbraio 2018, VI Domenica del Tempo Ordinario, Memoria della Beata Vergine Maria di Lourdes

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D OCUMENTI

DELLA

C HIESA U NIVERSALE

MAGISTERO PONTIFICIO Lettera Apostolica in forma di «Motu Proprio»

“Imparare a congedarsi” con cui si regola la rinuncia, a motivo dell’età, dei titolari di alcuni Uffici di nomina pontificia

“Imparare a congedarsi”, è quello che ho chiesto, commentando una lettura degli Atti degli Apostoli (cfr 20,17-27), in una preghiera per i Pastori (cfr Omelia nella Messa a S. Marta, 30 maggio 2017). La conclusione di un ufficio ecclesiale deve essere considerata parte integrante del servizio stesso, in quanto richiede una nuova forma di disponibilità. Questo atteggiamento interiore è necessario sia quando, per ragioni di età, ci si deve preparare a lasciare il proprio incarico, sia quando venga chiesto di continuare quel servizio per un periodo più lungo, pur essendo stata raggiunta l’età di settantacinque anni (cfr Discorso ai Rettori e agli Alunni dei Pontifici Collegi e Convitti di Roma, 12 maggio 2014). Chi si prepara a presentare la rinuncia ha bisogno di prepararsi adeguatamente davanti a Dio, spogliandosi dei desideri di potere e della pretesa di essere indispensabile. Questo permetterà di attraversare con pace e fiducia tale momento, che altrimenti potrebbe essere doloroso e conflittuale. Allo stesso tempo, chi assume nella verità questa necessità di congedarsi, deve discernere nella preghiera come vivere la tappa che sta per iniziare, elaborando un nuovo progetto di vita, segnato per quanto è possibile da austerità, umiltà, preghiera di intercessione, tempo dedicato alla lettura e disponibilità a fornire semplici servizi pastorali.

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D’altra parte, se eccezionalmente viene chiesto di continuare il servizio per un periodo più lungo, ciò implica abbandonare, con generosità, il proprio nuovo progetto personale. Questa situazione, però, non dev’essere considerata un privilegio, o un trionfo personale, o un favore dovuto a presunti obblighi derivati dall’amicizia o dalla vicinanza, né come gratitudine per l’efficacia dei servizi forniti. Ogni eventuale proroga si può comprendere solo per taluni motivi sempre legati al bene comune ecclesiale. Questa decisione pontificia non è un atto automatico ma un atto di governo; di conseguenza implica la virtù della prudenza che aiuterà, attraverso un adeguato discernimento, a prendere la decisione appropriata. Cito solo come esempio alcune delle possibili ragioni: l’importanza di completare adeguatamente un progetto molto proficuo per la Chiesa; la convenienza di assicurare la continuità di opere importanti; alcune difficoltà legate alla composizione del Dicastero in un periodo di transizione; l’importanza del contributo che tale persona può apportare all’applicazione di direttive recentemente emesse dalla Santa Sede oppure alla recezione di nuovi orientamenti magisteriali. Con le disposizioni sulla rinuncia dei Vescovi diocesani e dei titolari degli uffici di nomina pontificia, contenute nel Rescriptum ex audientia del 3 novembre 2014, concesso al Segretario di Stato, Cardinale Pietro Parolin, ho voluto integrare la legislazione canonica e predisporre alcune modifiche, che confermo integralmente, ad eccezione delle parti che sono esplicitamente riformate dalle seguenti disposizioni. Dato il generoso impegno dimostrato e la preziosa esperienza accumulata da coloro che hanno esercitato per diversi anni alcuni incarichi di particolare responsabilità, sia nelle Chiese particolari che nella Curia Romana o nelle Rappresentanze Pontificie, mi sono reso conto della necessità di un’attualizzazione delle norme circa i tempi e le modalità di rinuncia all’ufficio per raggiunti limiti d’età. Dopo aver effettuato le necessarie consultazioni, ritengo necessario procedere in questo senso: – stabilire qualche chiarificazione dell’art. 2 del citato Rescriptum, relativo ai Vescovi diocesani, ai Vescovi Coadiutori e Ausiliari (cfr c. 401-402 e 411 CIC e 210-211, 218, 213 CCEO); – modificare le norme canoniche riguardanti la rinuncia all’ufficio per motivi di età, da parte dei Capi Dicastero non Cardinali e dei


MAGISTERO PONTIFICIO Prelati Superiori della Curia Romana (cfr Cost. ap. Pastor Bonus, 28 giugno 1980, art. 5 § 2: AAS 80 [1988], 860; Regolamento Generale della Curia Romana, 1999, art. 3; Rescriptum ex audientia, 3 novembre 2014, art. 7), dei Vescovi che svolgono altri uffici di nomina pontificia (cfr Rescriptum ex audientia, 3 novembre 2014, art. 7) e dei Rappresentanti Pontifici (cfr c. 367 CIC; Regolamento Generale della Curia Romana, 1999, art. 8, § 2.; Regolamento per le Rappresentanze Pontificie, 2003, art 20, § 1). Con il presente Motu Proprio stabilisco: Art. 1. Al compimento dei settantacinque anni di età, i Vescovi diocesani ed eparchiali, e quanti sono loro equiparati dai canoni 381 § 2 CIC e 313 CCEO, come pure i Vescovi coadiutori e ausiliari o titolari con speciali incarichi pastorali, sono invitati a presentare al Sommo Pontefice la rinuncia al loro ufficio pastorale. Art. 2. Compiuti i settantacinque anni, i Capi Dicastero della Curia Romana non Cardinali, i Prelati Superiori della Curia Romana e i Vescovi che svolgono altri uffici alle dipendenze della Santa Sede, non cessano ipso facto dal loro ufficio, ma devono presentare la rinuncia al Sommo Pontefice. Art. 3. Allo stesso modo, i Rappresentanti Pontifici non cessano ipso facto dal loro ufficio al compimento dei settantacinque anni di età, ma in tale circostanza devono presentare la rinuncia al Sommo Pontefice. Art. 4. Per essere efficace, la rinuncia di cui agli articoli 1-3 dev’essere accettata dal Sommo Pontefice, che deciderà valutando le circostanze concrete. Art. 5. Una volta presentata la rinuncia, l’ufficio di cui agli articoli 1-3 è considerato prorogato fino a quando non sia comunicata all’interessato l’accettazione della rinuncia o la proroga, per un tempo determinato o indeterminato, contrariamente a quanto in termini generali stabiliscono i canoni 189 § 3 CIC e 970 § 1 CCEO. Tutto ciò che ho deliberato con questa Lettera apostolica in forma

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di Motu proprio, ordino che sia osservato in tutte le sue parti, nonostante qualsiasi cosa contraria, anche se degna di particolare menzione, e stabilisco che venga promulgato mediante la pubblicazione sul quotidiano “L’Osservatore Romano�, entrando in vigore il giorno stesso della promulgazione e che, successivamente, sia pubblicata nel Commentario ufficiale Acta Apostolicae Sedis. Francesco Dato a Roma, presso San Pietro, il 12 febbraio 2018, quinto del mio Pontificato

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D OCUMENTI

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C HIESA U NIVERSALE

CONGREGAZIONE DELLE CAUSE DEI SANTI Decreto di venerabilità del Servo di Dio Don Ambrogio Grittani

MELPHICTENSIS - RUBENSIS – IUVENACENSIS – TERLITIENSIS Beatificationis et Canonizationis Servi Dei AMBROSII GRITTANI Sacerdotis Dioecesani Et Fundatoris Oblatarum a Sancto Benedicto Iosepho Labre (1907-1951) Super Virtutibus «Voglio essere il padre e l’apostolo della classe più derelitta, di gente che tutti schivano e che Gesù più ama...». L’opzione per i poveri, professata dalla Chiesa in ogni tempo su invito del Divino Maestro, riecheggia nel santo proposito di don Ambrogio Grittani, da lui formulato su ispirazione del Signore e poi fedelmente realizzato nel ministero sacerdotale. Apostolo del Sud Italia, contemplativo dell’Eucaristia, padre dei derelitti, pur senza dimenticare alcuno del Popolo di Dio affidato alle sue cure, Egli volle servire Cristo nei più poveri del suo tempo, gli “accattoni”, riservando ad essi le primizie della sua carità sacerdotale.

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Il Servo di Dio nacque a Ceglie del Campo, Bari, l’11 ottobre 1907, da Michele Grittani e da Chiara Carone, ultimo di sei figli. Il 10 novembre successivo ricevette il Battesimo. Rimasto orfano in tenera età di entrambi i genitori, nel 1912 si trasferì con i fratelli presso gli zii materni nella vicina città di Bitritto. Qui ricevette la Prima Comunione che segnò l’inizio di “una forte amicizia” e di un “legame eterno” con Gesù, sigillato da un “patto d’amore” con cui si impegnava a diffondere l’amore, la purezza e la fede nell’Eucaristia e, quasi “piccolo crociato”, a sollevare i miseri della terra. Il 6 agosto 1917 ricevette il Sacramento della Confermazione. Ben presto riconobbe la voce del Signore che lo chiamava al sacerdozio, cosicché nel 1918 entrò nel Seminario Arcivescovile di Bari e successivamente, dal 1924, nel Pontificio Seminario Regionale di Molfetta. Ordinato sacerdote il 25 luglio 1931, nel mese di ottobre successivo conseguì a Roma la laurea in Teologia. Dopo due anni di servizio come vice-parroco nella chiesa matrice di Bitritto, nel 1933 si stabilì a Milano per frequentare il corso di Lettere classiche presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore. Con questo ricco bagaglio culturale e spirituale il Servo di Dio si avviò a vivere in pienezza il suo ministero. A partire dal 1938 conciliò armoniosamente l’insegnamento della lingua latina presso il Seminario Regionale di Molfetta con l’apostolato nella parrocchia del Sacro Cuore della medesima città. Pose al centro della sua giornata la celebrazione eucaristica e un’intensa vita di preghiera, la cui ricchezza trasfuse nelle anime che a lui si affidavano per la confessione e per la direzione spirituale. A motivo di gelosie suscitate dal suo apprezzato apostolato nell’ambito dell’Azione Cattolica Femminile conobbe l’amarezza della calunnia. Ad essa rispose con la pazienza e con il prudente ricorso ai superiori. Per meglio discernere la volontà di Dio in quel doloroso momento della sua vita, nel mese di agosto 1941 si ritirò ad Assisi. Nella città del Poverello, durante un corso di esercizi spirituali, comprese che il Signore lo chiamava a rivolgere prioritariamente le sue cure spirituali ai poveri mendicanti della strada, che costituivano un’emergenza del suo tempo e della sua regione. Massima aspirazione di don Ambrogio fu da quel momento ridare dignità agli “accattoni”; riscattarli per quanto possibile dalla loro condizione di indigenza


CONGREGAZIONE DELLE CAUSE DEI SANTI morale e materiale e soprattutto assisterli spiritualmente affinché vivessero santamente pur tra i loro disagi. Era Cristo che gli si rivelava nel sacramento dei fratelli emarginati e disprezzati. E Cristo don Ambrogio desiderava indicare agli accattoni, accompagnandoli verso il Sacramento dell’altare. Il disegno prese concretezza nel mese di ottobre 1941 nella parrocchia del Sacro Cuore di Molfetta, allorché con alcuni volontari diede avvio all’Opera Pia San Benedetto Giuseppe Labre, il santo “vagabondo di Dio”, penitente e contemplativo, povero e sudicio, pellegrino sulle vie dell’Europa fino anche a Bari, dove era giunto per venerare le reliquie di san Nicola. In quest’opera caritativa don Ambrogio coinvolse preti e laici affinché lo aiutassero a distribuire elemosine e cibo, a visitare i poveri e i malati nelle loro case, ma soprattutto a comunicare la consolante Parola di Dio, annunciare la verità della fede, guidare nella via della grazia. Il Servo di Dio fu il primo ad esercitare eroicamente tutte e singole le opere di misericordia verso i mendicanti: li nutrì, li dissetò, li vestì, li curò, li visitò, li consolò, li difese, li assistette nell’ora della morte, totalmente dimentico di sé. Per essi si fece questuante e per loro amore sopportò critiche, mormorazioni, ironie da parte dei benpensanti. Con illimitata fiducia nella Provvidenza proseguì il suo cammino noncurante delle molteplici difficoltà materiali e morali che gli si presentavano e da lui considerate come “carezze di Dio”. L’Opera, eretta canonicamente il 1 marzo 1943, andò successivamente strutturandosi in maniera sempre più solida. Il 7 ottobre 1945 nasceva la Famiglia delle Oblate di San Benedetto Giuseppe Labre, donne consacrate interamente al fine dell’Opera, e nel 1950 si inaugurava a Molfetta la sede centrale dell’istituzione. Il Servo di Dio diede prova di eroica prudenza nell’avvalersi del consiglio di persone sagge e fervorose e nel saper coinvolgere nell’assistenza degli accattoni anche le autorità civili, locali e nazionali. Con particolare intuito pastorale invitò al volontariato anche persone facoltose perché avessero l’opportunità di investire le loro ricchezze in beneficenza e considerare i poveri una risorsa per vivere il vangelo. Svolse con puntualità, dedizione, impegno il suo ministero sacerdo-

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tale quotidiano animato dall’Eucaristia e proteso verso i fratelli. «Oltre quel Tabernacolo – scriveva nella sua maturità – non abbiamo più nulla noi dell’Opera se non che lo spasimo di amare tutti i poveri di corpo e di spirito». La sua fortezza fu eroica nell’affrontare ogni sorta di prove, la mancanza di fondi, le riluttanze di alcuni barboni dal carattere difficile e infine i dolorosi giorni della malattia. Tutto sopportò con pazienza, compresi gli insulti, senza reagire se non con un sorriso, una buona parola, una disarmante giovialità. Divenuto folle per il Vangelo, consumato dall’ardore della carità, la sua salute finì col soccombere. Nei primi mesi del 1951 si manifestò infatti una grave forma di angina pectoris che in breve tempo lo condusse alla morte. Il Servo di Dio spirò serenamente il 30 aprile 1951 a soli 44 anni nella casa centrale dell’Opera, tra le lacrime dei poveri, dei suoi collaboratori e della cittadinanza. Il 2 maggio 1951 vennero celebrati i solenni funerali alla presenza del Vescovo, delle autorità civili, dei fedeli e dei poveri suoi beneficati, mentre sulle labbra di tutti fioriva l’elogio della sua santità. L’Inchiesta diocesana per attestare la vita e le virtù del Servo di Dio si svolse presso la Curia ecclesiastica di Molfetta dal 24 novembre 1990 al 3 maggio 1998; la sua validità giuridica fu riconosciuta da questa Congregazione il 14 maggio 1999. Ad essa fece seguito una Inchiesta Suppletiva che si svolse dall’11 aprile 2002 al 15 marzo 2003, la cui validità giuridica fu riconosciuta con Decreto del 5 novembre 2004. Preparata la Positio fu sottoposta come di consueto al Congresso dei Consultori Storici il 15 novembre 2016 e successivamente al Congresso dei Consultori Teologi il 3 ottobre 2017. Sotto la presidenza del sottoscritto Card. Angelo Amato, il 9 gennaio 2018, si celebrò la Sessione Ordinaria dei Padri Cardinali e Vescovi i quali hanno riconosciuto che il Servo di Dio ha esercitato in grado eroico le virtù teologali, cardinali ed annesse. Facta demum de hisce omnibus rebus Summo Pontifici Francisco per subscriptum Cardinalem Praefectum accurata relatione, Sanctitas Sua, vota Congregationis de Causis Sanctorum excipiens rataque habens, hodierno die declaravit: Constare de virtutibus theologalibus Fide, Spe et Caritate tum in Deum tum in proximum, necnon de cardinalibus Prudentia, Iustitia, Temperantia et Fortitudine, iisque adnexis, in gradu heroico, Servi Dei


CONGREGAZIONE DELLE CAUSE DEI SANTI Ambrosii Grittani, Sacerdotis Dioecesani et Fundatoris Oblatarum a Sancto Benedicto Iosepho Labre,in casu et ad effectum de quo agitur. Hoc autem decretum publici iuris fieri et in acta Congregationis de Causis Sanctorum Summus Pontifex referri mandavit. Datum Romae, die 26 mensis Ianuarii a. D. 2018. ANGELUS Card. AMATO, S. D. B. Praefectus + MARCELLUS BARTOLUCCI Archiep. tit. Mevaniensis a Secretis

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Commento al Decreto di Venerabilità del Servo di Dio Ambrogio Grittani, sacerdote diocesano e fondatore delle Oblate di San Benedetto Giuseppe Labre (1907-1951)

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Dal Decreto della Congregazione per le Cause dei Santi risaltano lo zelo apostolico e la spiritualità, protesi alla necessità di farsi santo, del Servo di Dio Ambrogio Grittani. Egli intendeva «portare i poveri all’altare», all’Eucaristia, partendo dall’elemosina. La sua priorità non era l’assistenza materiale, ma la loro cura spirituale1. Il SdD gode di fama di santità soprattutto nella regione pugliese, particolarmente nelle diocesi di Molfetta, Bari e Otranto, in quest’ultima a motivo della residenza del successore nell’Opera S. Benedetto Labre e postulatore, mons. Antonio Dimitri. La fama di santità del SdD la si deve in gran parte alla sua dedizione illimitata per le anime. Egli visse il sacerdozio come un prolungamento di quello di Gesù Cristo. La sua ‘antropologia’, il suo sguardo sull’uomo non discende da teorie sociologiche, ma dal mistero della redenzione, alla luce del quale ha esercitato in grado eroico le virtù cristiane e sacerdotali. Il mistero della redenzione, strettamente unito all’Incarnazione, ha ingenerato nel SdD la compassione per l’uomo, motivando la sua missione tra i derelitti. Per questo, molti lo ritenevano, già in vita, un santo prete. Tra tutte, fa da sintesi la testimonianza dell’arcivescovo di Lecce, mons. Cosmo Francesco Ruppi: «La Puglia ha perso un sacerdote, ma ha guadagnato un santo»2. L’esercizio eroico delle virtù da parte del SdD risalta soprattutto nella costanza, intensità e fedeltà con le quali ha vissuto il sacerdozio: la preghiera, i sacramenti, l’apostolato e l’insegnamento. Il suo sguardo fisso sul soprannaturale attraversava le difficoltà della sua vita, mantenendosi in piena adesione alla volontà di Dio. Svolgeva i servizi più umili come se fossero servizi liturgici. Il SdD ha esercitato la virtù della fede, con la sua vita di orazione. Aveva l’entusiasmo della fede, e lo si deduceva dalle sue prediche. Celebrava la santa Messa con molta calma; era devoto dell’Eucaristia; recitava il rosario da gran devoto della Madonna; amava i santi, in specie Benedetto Labre e Gemma Galgani. La virtù gli dona la ferma convinzione che in ogni uomo, anche il più 1 2

Summ.Testium, Inchiesta Suppletiva, T.X, § 502. Cfr Voto del primo Censore Teologo (Copia Pubblica III, 950).


CONGREGAZIONE DELLE CAUSE DEI SANTI derelitto, la grazia di Dio – che trasforma i cuori – faccia accadere l’impossibile, cioè la conversione, perché proprio i poveri in spirito stanno a cuore al Signore e gli costano Sangue. I contrasti e le umiliazioni lasciano inalterata la sua fede; nondimeno la ritiene un dono che il Signore continuamente rafforza in lui. Sostenne il Magistero della Chiesa con la parola e con gli scritti, particolarmente nel 1948. Mantenne salda la fede fino all’ultimo, accettando la sofferenza quasi fosse un corso di esercizi spirituali. Il SdD visse la virtù della speranza, contemplando la Passione del Signore, grazie alla quale – egli meditava – è stato aperto il Paradiso. Attendeva solo da Dio il premio alle sue fatiche. Vive la virtù, in specie quando le sue opere sono attraversate da difficoltà: le affida al Signore, specialmente nell’ultimo periodo della vita, allorché vede venire meno le energie fisiche. Soprattutto è la speranza ad animare il suo ministero sacerdotale, ed è anche da questa che nasce la concezione positiva della persona umana, della quale mirava a elevare l’anima e nutrirla con solida dottrina che influisse sui costumi. Nella fondazione delle Oblate, egli opera con la speranza e l’abbandono totale in Dio. La virtù della carità verso Dio è contemplata dal SdD massimamente nell’Eucaristia, col desiderio di portare Dio alle anime e le anime a Dio. Amava il decoro dei luoghi sacri, diffondere il Vangelo, non offendere il Signore con il peccato e mantenersi fedele alla vocazione. Caritas Christi urget nos, fu il motto della sua Opera. Il desiderio ardente che porta il SdD all’esercizio eroico della virtù della carità verso il prossimo sta nel voler salvare le anime. Voleva far scoprire a tutti, ricchi e poveri, buoni e cattivi, piccoli e grandi, l’infinità carità divina: un anelito missionario lo muove in Molfetta; egli dava senza aspettarsi la restituzione. Anche quando, per accuse infamanti, dovette soprassedere, si immerse nella meditazione, al fine di ricevere dal Signore l’indicazione circa il nuovo campo di apostolato. Egli infatti non si limitava a esercitare la carità materiale, ma voleva far avvicinare le anime dei poveri al Signore. La gloria di Dio e la salvezza del prossimo costituiscono il programma di vita del SdD. La giustizia verso Dio si fonde con la virtù della carità; nondimeno risalta dalla fedeltà con cui adempie i suoi doveri verso Dio, in particolare corrispondendo fedelmente alla sua vocazione sacerdotale. Quanto alla giustizia verso il prossimo: egli voleva che i ricchi contribuissero al sostentamento dei poveri, in linea con la migliore tradizione cristiana; voleva realizzare questo all’interno dell’Opera. Da docente, fu stimato e

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apprezzato per la sua correttezza e precisione. Da confessore, fu paterno e fermo nell’esigere l’osservanza dei propositi. Il SdD non solo praticava ma amava la povertà, quale mezzo per distaccarsi dalla terra e affezionarsi al Signore. Pur avendo beni di sua proprietà, si fece povero a imitazione di Cristo, profondendo tutto per il decoro del culto divino e l’aiuto al prossimo, in specie i poveri dai quali era attorniato. Alla fine dei suoi giorni, aveva maturato la convinzione che l’Opera sarebbe andata avanti, non con l’aiuto dei ricchi, ma con le lacrime e i sacrifici di persone povere. Difendeva il gran valore della verginità, quale segno di donazione totale al Signore, anche se incompresa dal mondo. Si stupiva che i sacerdoti avessero difficoltà ad osservare la virtù, in quanto essa ha benefici effetti sulla comunione fraterna e la missione apostolica. Il SdD ha vissuto la virtù dell’obbedienza, in profonda comunione col vescovo Salvucci di Molfetta e coll’arcivescovo Mimmi, della sua diocesi di Bari, in cui rimase incardinato. Nel suo amore per i poveri, il SdD ha praticato la virtù dell’umiltà, che egli, pur colto professore del Seminario, esercitava senza ostentazione. Del resto, nel suo “Regolamento di Vita spirituale”, annotava: «Se gli altri sono preferiti e tu trascurato, intona il Magnificat»3. Conformandosi a Cristo, mite e umile di cuore, il SdD impostò la spiritualità sacerdotale, virtù che lo rendeva affabile con tutti, pronto a farsi mendicante per i suoi poveri, accettando le umiliazioni di quanti lo vedevano chiedere la carità di lavare un accattone onde ridargli dignità umana. È questa virtù che rende capaci di possedere Dio. sac. Nicola Bux

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A. GRITTANI, Piccolo Regolamento 26 (Copia Pubblica IV, 1495).


D OCUMENTI

DELLA

C HIESA I TALIANA

CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA Consiglio permanente

Comunicato finale dei lavori della sessione invernale (Roma, 22–24 gennaio 2018)

Una lettura sapienziale della realtà «Per diritto evangelico»: l’espressione di Paolo VI, ripresa dalla prolusione del Cardinale Presidente, è stata la cifra attorno alla quale si sono ritrovati unanimi i membri del Consiglio Permanente. Nei diversi interventi ha preso volto una Chiesa che, quando si fa interprete del dramma dei giovani disoccupati e di quanti si sono trovati esclusi dal mondo del lavoro; quando dà voce alle famiglie, provate da una precarietà che spesso si trasforma in povertà; quando interviene a difesa della vita; quando sostiene la centralità della scuola tutta, chiedendo attenzione e rispetto anche per quella pubblica paritaria; quando si pone a servizio del malato o del migrante… lo fa animata da un’unica ragione: quel mandato evangelico che diventa annuncio, testimonianza e impegno di giustizia e solidarietà, di compassione, comprensione e disponibilità. Proprio per la consapevolezza di come tale sguardo di fede nasca da una precisa esperienza ecclesiale, non è mancato il richiamo a soffermarsi maggiormente anche sul proprio cammino, alla luce del pontificato di Francesco e delle consegne del Convegno Ecclesiale

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Nazionale di Firenze. Nella luce degli Orientamenti pastorali del decennio è riemersa più volte la funzione educativa, quale compito primario della comunità ecclesiale per la formazione delle coscienze e di credenti che vivano davvero secondo Dio. I Vescovi non hanno esitato a dare un nome anche alle divisioni e alle paure che agitano il tessuto sociale e che possono alimentare forme di chiusura e di razzismo. Nell’analisi dei Pastori questo sfondo rende ancora più significativa la generosità di tante famiglie e comunità in cui ci si spende per un’accoglienza che sia inclusione sociale. È stata, quindi, riaffermata la comune volontà di contribuire nei fatti a rasserenare e ricucire, chiedendo nel contempo che pure la politica faccia la propria parte per gestire al meglio fenomeni che richiedono lucidità di analisi e continuità di impegno. Davanti all’approssimarsi dell’appuntamento elettorale [4 marzo 2018], dal Consiglio Permanente è emerso un duplice e unanime appello: agli elettori, perché superino senza esitazione ogni tentazione di astensionismo; ai candidati, perché avvertano la necessità di un cammino formativo e la responsabilità di mantenere per tutta la durata del mandato un vero rapporto con la “base”. Entrambe sono condizioni essenziali per conoscere da vicino e, quindi, affrontare i problemi che toccano la vita reale della gente. L’apprezzamento per il tono sereno, concreto e coraggioso come pure la convergenza sui contenuti della prolusione – definita «una lettura sapienziale della realtà» – non ha impedito al Consiglio Permanente di individuare un’altra modalità per il suo svolgimento. L’esigenza di rinnovarne il metodo è nata proprio dal desiderio di procedere in maniera più sinodale e valorizzare appieno i diversi interventi, espressione spesso del lavoro previo nelle Conferenze Episcopali Regionali. Di qui la scelta dei Vescovi di orientarsi per un nuovo schema: un’Introduzione a porte chiuse, che in maniera problematizzante possa offrire uno sguardo sull’attualità tanto ecclesiale quanto sociale e aprire il confronto; una Conclusione, aperta ai media, con cui “restituire” la ricchezza maturata nel discernimento collegiale; il Comunicato finale, quale testo che raccoglie le decisioni assunte dal Consiglio sulla base dell’ordine del giorno e che viene presentato nella Conferenza stampa conclusiva.


CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA Sulla rotta del “Mare Nostrum” Ha suscitato un consenso unanime e convinto la proposta, avanzata dal Cardinale Presidente, di promuovere come Conferenza Episcopale Italiana un Incontro di riflessione e di spiritualità per la pace nel Mediterraneo, coinvolgendo i Vescovi cattolici di rito latino e orientale dei Paesi che si affacciano sulle sponde del Mediterraneo. Uno sguardo di particolare attenzione il Consiglio ha chiesto che sia posto per la Terrasanta, per Israele e Palestina. A partire dalla valorizzazione di alcuni luoghi a forte valenza simbolica, la finalità dell’iniziativa è quella di far incontrare culture e popoli, stimolando anche l’Europa a sentire maggiormente la realtà del Mare Nostrum. La proposta nasce dalla constatazione di come da diversi anni l’area mediterranea sia al centro di profonde crisi, che coniugano instabilità politica, precarietà economica e tensioni religiose: dal Medio Oriente alle coste africane, dai Balcani alla Spagna. La CEI intende muoversi per favorire la conoscenza diretta, condizione che consente una lettura profonda delle situazioni, la difesa delle comunità cristiane perseguitate, la promozione del bene della pace e la tutela della dignità umana. L’incontro intende collocarsi idealmente nel solco della visione profetica di Giorgio La Pira, che era solito definire il Mediterraneo come una sorta di «grande lago di Tiberiade», come il mare che accomuna la «triplice famiglia di Abramo».

Il mandato della Settimana sociale Le molteplici aspettative suscitate dalla 48ª Settimana Sociale dei Cattolici Italiani – svoltasi a Cagliari a fine ottobre, al culmine di un significativo percorso di preparazione – hanno trovato nei membri del Consiglio Permanente riscontro attento e piena disponibilità. Nel confronto è stato rimarcato come un lavoro degno rimanga per il Paese priorità assoluta, rispetto alla quale la Settimana Sociale ha consegnato una novità di metodo – secondo i quattro registri comu-

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nicativi della denuncia, delle buone pratiche, del racconto e delle proposte – che, a sua volta, impegna una conversione culturale. Di qui l’indicazione per alcune proposte operative: il potenziamento in tutte le Diocesi della Pastorale sociale, intesa come mezzo e fonte di evangelizzazione, in raccordo stabile con la Commissione del laicato, la Pastorale giovanile, la Caritas; un rilancio deciso del Progetto Policoro e del Progetto Cercatori di Lavoro; la promozione di forme di coordinamento della presenza dei cattolici in politica – nell’apertura anche a quanti provengono da esperienze culturali differenti –, al fine di dare risposte comuni ai problemi vitali delle persone e della società.

Unità d’intenti e d’azione per il dopo-sisma

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Nei lavori del Consiglio Permanente non poteva non trovare spazio un’informativa relativa alle Diocesi colpite dal terremoto nel 2016, quale segno di condivisione con le sofferenze di famiglie e comunità, oggi alle prese con le difficoltà legate all’avvio del percorso della ricostruzione. Ai Vescovi è stata presentata la funzione di dialogo con le Istituzioni svolta dalla Segreteria generale della CEI, attenta a farsi promotrice dell’unità di intenti e di azione tra le Diocesi. Tale lavoro ha conseguito risultati inediti: la stretta sintonia con il Commissario straordinario per la ricostruzione e il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha portato già all’indomani degli eventi sismici alla firma di un Protocollo d’Intesa e all’istituzione di una Consulta e di un Tavolo di lavoro tecnico. Nella fase attuale questa modalità di collaborazione si è rivelata preziosa nella definizione del Regolamento attuativo, disposto dal Commissario, circa le procedure pubbliche d’appalto. Alle Diocesi è stata riconosciuta la possibilità di porsi come “enti attuatori” su chiese ed edifici di culto di proprietà degli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, di interesse storico-artistico. È stato osservato come tale passaggio sia gravoso di nuove responsabilità; peraltro i Vescovi delle zone direttamente coinvolte confidano che le nuove regole possano consentire di affrontare la riapertura delle chiese nel modo più celere, assicurando la restituzione alle comunità di luoghi di culto e di incontro.


CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA Informazioni e comunicazioni Ai Vescovi è stata presentata la proposta di un aggiornamento del Decreto generale della CEI del 1999 per la protezione dei dati personali, in modo da conformarlo al Regolamento dell’Unione Europea in materia, che diverrà applicabile nei Paesi dell’Unione a partire dal prossimo 25 maggio. L’Europa – in particolare sotto il profilo che il contributo cristiano può assicurare al Continente – è stata oggetto anche di un’informativa, relativa a un’iniziativa promossa lo scorso ottobre dalla Comece e dalla Segreteria di Stato. Per superare il clima di diffuso scetticismo che negli Stati membri accompagna il progetto europeo, si intuisce l’esigenza di maturare una visione comune da parte dei diversi Episcopati, in ordine a questioni rilevanti per la persona e la vita sociale, come pure circa l’orientamento di fondo sul futuro del Continente. Nel contempo, si avverte che il cammino di unificazione europea deve poter coinvolgere l’intera comunità ecclesiale, nella sua capacità di maturare un giudizio storico e un atteggiamento condiviso, da cui far discendere una corrispondente opera educativa. I Vescovi si sono confrontati anche sulla Legge relativa al consenso informato e alle disposizioni anticipate di trattamento, giudicata ideologica e controversa, specie nel suo definire come terapia sanitaria l’idratazione e la nutrizione artificiale o nel non prevedere la possibilità di obiezione di coscienza da parte del medico. Nel riaffermare la centralità dell’alleanza tra medico e paziente, il Consiglio ha ribadito l’impegno culturale della Chiesa nel servizio alla vita come pure nella prossimità alla persona esposta alla massima fragilità. I membri del Consiglio Permanente hanno condiviso alcune considerazioni sulle caratteristiche della certificazione dell’idoneità diocesana degli insegnanti di religione cattolica, in vista di un Concorso nazionale, che nell’anno in corso dovrebbe essere svolto su base regionale e poi articolato secondo i numeri necessari in ciascuna Diocesi.

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Varie La situazione di evoluzione culturale della società ha aiutato il Consiglio a individuare il tema principale dell’Assemblea generale, in calendario dal 21 al 24 del prossimo mese di maggio. I Vescovi, animati dalla volontà di non venir meno a una precisa responsabilità educativa, si sono espressi per una riflessione che aiuti a focalizzare Quale presenza ecclesiale nell’attuale contesto comunicativo, in linea con la scansione degli Orientamenti pastorali del decennio. Il Consiglio Permanente ha anche stabilito di convocare un’Assemblea straordinaria in autunno (12-14 novembre 2018). Durante quell’assise sarà sottoposta all’approvazione dei Vescovi la terza edizione del Messale Romano nel suo complesso e, contestualmente, si procederà alla decisione circa l’introduzione della nuova formulazione del Padre nostro nella liturgia e nella preghiera personale. Il Consiglio Permanente ha esaminato l’iter relativo alle Norme circa il regime amministrativo dei tribunali ecclesiastici italiani in materia di nullità matrimoniale e alle nuove Disposizioni concernenti la concessione di contributi finanziari della CEI per i beni culturali ecclesiastici e l’edilizia di culto. Infine, sono state approvate modifiche agli statuti dell’Associazione dei Bibliotecari Ecclesiastici Italiani (ABEI), della Consulta Nazionale delle Aggregazioni Laicali (CNAL), dell’Unione Nazionale Italiana Trasporto Ammalati a Lourdes e Santuari Internazionali (UNITALSI) e ha approvato l’ammissione dell’Associazione Incontro Matrimoniale nella CNAL. Con un comunicato stampa i Vescovi hanno espresso solidarietà alla Chiesa e al popolo della Repubblica Democratica del Congo: da anni il Paese è allo stremo, con sacerdoti, religiosi e laici sequestrati e la popolazione sottoposta a ogni genere di vessazioni da parte di formazioni armate. 32 Nomine Nel corso dei lavori, il Consiglio Episcopale Permanente ha provveduto alle seguenti nomine: – Membro della Commissione Episcopale per il clero e la vita consacrata: S.E.R. Mons. Luigi Ernesto Palletti, Vescovo di La SpeziaSarzana-Brugnato. – Membro della Commissione Episcopale per la cultura e le comu-


CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA nicazioni sociali: S.E.R. Mons. Andrea Turazzi, Vescovo di San Marino – Montefeltro. – Rappresentante della Conferenza Episcopale Italiana nel Consiglio di amministrazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore: S.E.R. Mons. Nunzio Galantino, Segretario generale della CEI. – Presidente nazionale del Movimento di Impegno Educativo di Azione Cattolica (MIEAC): prof. Gaetano Pugliese. – Assistente ecclesiastico nazionale del Movimento Adulti Scout Cattolici Italiani (MASCI): mons. Guido Lucchiari (Adria-Rovigo). – Assistente ecclesiastico nazionale dei Convegni di Cultura Maria Cristina di Savoia: mons. Vincenzo Rini (Cremona). – Assistente ecclesiastico nazionale dell’Associazione Italiana Maestri Cattolici (AIMC): padre Giuseppe Oddone (Padri Somaschi). – Consulente ecclesiastico nazionale dell’Unione Cattolica Italiana Insegnanti Medi (UCIIM): padre Giuseppe Oddone (Padri Somaschi). – Coordinatore nazionale della pastorale dei cattolici peruviani in Italia: don Emerson Campos Aguilar (Palestrina). Nella riunione del 22 gennaio 2018, la Presidenza ha proceduto alle seguenti nomine: – Membro del Consiglio Nazionale della scuola cattolica: avv. Stefano Giordano (FISM). – Membro del Comitato direttivo della Consulta Nazionale delle Aggregazioni Laicali (CNAL): dott. Riccardo Ghidella (UCID). – Presidente della Federazione tra le Associazioni del Clero in Italia (FACI): don Maurizio Giaretti (Asti). – Vice Presidente della Federazione tra le Associazioni del Clero in Italia (FACI): mons. Sossio Rossi (Aversa). – Rappresentante della CEI presso la Federazione tra le Associazioni del Clero in Italia (FACI): S.E.R. Mons. Ernesto Mandara, Vescovo di Sabina-Poggio Mirteto. – Membro del Consiglio di amministrazione della Fondazione Istituto Fides: don Antonio Interguglielmi (Roma). Roma, 25 gennaio 2018

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D OCUMENTI

E

V ITA

DELLA

C HIESA

DI

B ARI -B ITONTO

MAGISTERO E ATTI DELL’ARCIVESCOVO Di generazione in generazione. Giovani e famiglia*

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Palazzo delle Faccette, Sala delle Udienze - Mosca, Cremlino (dal Ciclo di Giuseppe) Si ringrazia l’Amministrazione del Presidente della Federazione Russa per la gentile concessione dell’utilizzo delle immagini. *

Il presente testo è stato edito per i tipi del Centro editoriale dehoniano, Bologna 2017.


Introduzione Giuseppe che percorre la regione della Giudea è immagine di Cristo che raccoglie le pecore disperse della casa di Israele (cfr Mt 10, 6; 15, 24). Cristo, ancora giovane, conduce al pascolo il gregge del Padre. Rivestito della condizione di servo (cfr Fil 2, 7), si prende cura delle pecore di Dio Padre (cfr Gv 10, 11). Procopio di Gaza, Catene bibliche

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Ancora giovane, Giuseppe, inviato dal padre, va in cerca dei suoi fratelli. Ancora giovane, Cristo, conduce al pascolo il gregge del padre. L’immagine che abbiamo scelto come introduzione e guida di queste pagine accentua ulteriormente la giovinezza di Giuseppe; e l’aureola di luce che lo cinge segna il rimando prefigurativo tra il figlio di Giacobbe e il Figlio di Dio. L’intuizione di Procopio di Gaza sottolinea questa giovinezza, in rapporto alla paternità e alla fraternità. È per questo, infatti, che abbiamo scelto Giuseppe come immagine simbolica di riferimento di questo anno pastorale. Lo scorso anno, infatti, la diocesi di Bari-Bitonto, inserendosi nel cammino di tutta la Chiesa, alla luce dei due Sinodi sulla Famiglia, ha orientato il suo sguardo sulla famiglia, preoccupandosi non solo di riflettere sulla ricchezza e sulle sfide che oggi essa vive, ma anche di come coinvolgere la comunità cristiana soprattutto là dove le famiglie vivono una fragilità nelle relazioni. Una riflessione su una realtà così importante e fondamentale come la famiglia non può esaurirsi nel cammino di un anno. Perciò abbiamo scelto di continuare la riflessione quest’anno, partendo però dal baricentro della «giovinezza» e della relazione tra generazioni. Dunque: giovani e famiglia, anche in preparazione al Sinodo sui Giovani indetto per il prossimo anno. Infatti, Papa Francesco ricorda che «il legame virtuoso tra le generazioni è garanzia di futuro, ed è garanzia di una storia davvero umana»1. Alla luce di queste considerazioni diventa ancora più chiaro perché abbiamo scelto la storia di Giuseppe (raccontata nel libro della Genesi, 1

FRANCESCO, Esortazione apostolica post-sinodale Amoris laetitia, n. 189.


MAGISTERO E ATTI DELL’ARCIVESCOVO nei capitoli 37-50) come riferimento per la nostra riflessione in questo anno pastorale: perché tratta proprio di giovani e famiglia. Anche questa storia ci ricorda che i giovani non sono solo «oggetto» del nostro interesse e delle nostre cure pastorali, ma sono risorsa di «salvezza»: da scoprire, valorizzare, accompagnare. E, d’altra parte, come ci insegna la storia raccontata nel libro della Genesi, quella di Giuseppe non è la storia di un giovane solitario, ma è storia di famiglia e di famiglie. Dopo il ciclo di Abramo e quello di Isacco e Giacobbe, quella di Giuseppe è presentata come la terza grande storia patriarcale. Una storia di famiglie, ma soprattutto di rapporti orizzontali e verticali tra fratelli e genitori. Nella consapevolezza che più matura l’amore tra i fratelli, più cresce l’amore di figli e più si realizza in pienezza l’amore del padre. Una storia che, pur non presentando nulla di idilliaco a livello umano, racconta di una fraternità perduta e ritrovata; e soprattutto racconta della presenza di Dio che si prende cura e orienta le vicende dell’uomo. Percorrendo, quindi, il cammino della Chiesa attraverso l’anno liturgico (ciclo B) e lasciandoci guidare dal metodo mistagogico (unità di annuncio, celebrazione, vita), ci chiederemo come Giuseppe d’Egitto (e ancor prima Gesù che ne è Forma originaria) possa aiutarci ad inserirci in questo mistero d’amore.

Sguardo d’insieme 37 1. RISCOPRIRE LA BELLEZZA DELLE RELAZIONI «Sono in cerca dei miei fratelli» (Gen 37,16) Avvento-Natale Prima che l’uomo si metta alla ricerca di Dio, è Dio stesso che si mette alla ricerca dell’uomo, una ricerca iniziata già nel giardino della creazione, quando Dio chiede ad Adamo: «Dove sei?». Nel tempo di Avvento-Natale ogni uomo riscopre di essere cercato da Dio e incontrato in Cristo, Verbo fatto carne.


2. AIUTARE NELL’ESERCIZIO DEL DISCERNIMENTO «Giuseppe fece un sogno e lo raccontò» (Gen 37,5) Tempo Ordinario (Prima parte) La prima parte del Tempo Ordinario è caratterizzata dalla chiamata dei primi discepoli. Scoprire la propria vocazione non è semplicemente progettare il futuro, ma comprendere e accettare il progetto di Dio per la nostra vita. Ascoltare i «sogni dei giovani» significa sostenerli nei loro propositi e aiutarli a realizzarli.

3. VALORIZZARE LA PRESENZA E IL CONTRIBUTO DEI GIOVANI «Lo spogliarono della sua tunica» (Gen 37,23) Quaresima Le incomprensioni, i tradimenti e le delusioni sembrano accompagnare la vita di ogni famiglia. A volte siamo vittime, ma a volte siamo anche complici di relazioni tradite. Sono situazioni che non devono indurre alla rassegnazione, o peggio ancora alla sete di vendetta. L’impegno del credente è sempre quello di ricominciare e di credere che la bellezza delle relazioni merita ogni sacrificio.

4. ALLARGARE LO SPAZIO DELLA TENDA «Ma il Signore fu con Giuseppe» (Gen 39,21) Pasqua-Pentecoste La Quaresima è un cammino da percorrere, anche nel deserto delle tentazioni, verso la Pasqua, perché è la Risurrezione del Signore a dare senso alle vicissitudini e ad ogni sofferenza che la vita riserva. Solo nella dinamica della Pasqua possiamo ritrovare il coraggio di andare avanti, senza fermarsi di fronte alle difficoltà.

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5. PASSAGGIO DI TESTIMONE «Io sono Giuseppe, il vostro fratello» (Gen 45,4) Tempo Ordinario (Seconda parte) La comunità cristiana è chiamata a prendersi cura della vita di ogni famiglia, non solo perché «la Chiesa è famiglia di famiglie», ma anche perché essa rappresenta una ricchezza per le nostre parrocchie. È il tempo in cui scoprire che il diverso contributo che ognuno può portare all’interno della comunità cristiana non può costituire un ostacolo alla comunione, ma una ricchezza da condividere.


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1. Riscoprire la bellezza delle relazioni

Chi può dubitare che il Padre non ami questo Giuseppe? Il Padre infatti – dice Giovanni – ama il Figlio e tutto ha posto nella sua mano (Gv 3,35), generandolo nella vecchiaia dell’eternità Ruperto di Deutz

«Sono in cerca dei miei fratelli» (Gen 37,16) Avvento-Natale Nell’immagine Il Ciclo di Giuseppe che stiamo seguendo dal punto di vista iconico è a Mosca, nella Sala delle Udienze del Palazzo delle Faccette (Musei del Cremlino), felicemente «scoperto» durante il pellegrinaggio barese della reliquia di San Nicola in Russia. Le immagini riempiono, come un vero e proprio ciclo che torna su se stesso, le pareti e le lunette in alto. E forse non a caso la storia

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parte dall’alto. E lì torna. In alto a destra vediamo la casa del padre, che invia Giuseppe: e Giuseppe va, in basso a destra, nella sua kenosis, a cercare i fratelli, che lo porteranno fino al punto più basso, la «spoliazione» dalle vesti, l’umiliazione, la discesa nel pozzo. In alto a sinistra invece, vediamo Giuseppe che pascola il gregge, evidentemente con un rimando più neotestamentario che veterotestamentario. Capiamo dall’accostamento iconico che le pecore guidate da Giuseppe sono appunto i «fratelli». Al centro, il gioco di mani e sguardi tra Giacobbe e Giuseppe, che racconta il sogno al padre e ai fratelli. Il padre, con la destra, indica il figlio, l’amato; il figlio con la destra accoglie la benedizione. La sinistra del padre invia, mentre benedice. La sinistra del Figlio ripete il gesto, come in uno specchio, facendo di questa benedizione la sua missione. I fratelli guardano. Ma non entrano in questa pericoresi di amore e luce. E nemmeno si rendono conto che è «per» loro. Nella storia della salvezza

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«Israele amava Giuseppe più di tutti i suoi figli, perché era il figlio avuto in vecchiaia, e gli aveva fatto una tunica con maniche lunghe» (Gen 37,3). Giuseppe è il figlio dell’amore, ma soprattutto è il figlio primogenito di Rachele, la sposa bella ma sterile, amata da Giacobbe. La predilezione dell’anziano padre per Giuseppe rivela immediatamente il nesso dell’amore di Dio Padre per Cristo. Un riferimento sottolineato dal fatto che, come Giuseppe è figlio della sterile Rachele, Gesù è il Figlio della vergine Maria, la «tota pulchra» che concepisce perché ha trovato grazia presso Dio (cfr Lc 1,30). La predilezione dell’anziano padre Giacobbe per Giuseppe si collega alle parole del Padre per Cristo: «Questo è il Figlio mio, l’amato» (Mt 4,17). Biblicamente la scena del racconto si apre con la pronta risposta di Giuseppe alla chiamata-invito del padre di raggiungere i suoi fratelli: «Eccomi» (Gen 37,3). «Sai che i tuoi fratelli sono al pascolo a Sichem? Vieni, ti voglio mandare da loro». È una «vocazione». Infatti, a chi incontrandolo gli chiede «Che cosa cerchi?», Giuseppe risponde: «Sono in cerca dei miei fratelli» (Gen 37,15-16). «La vocazione di Giuseppe era di ricondurre i fratelli al padre, cioè di prendere sul serio il fatto di essere figli del padre»2. 2

M.I. RUPNIK, Cerco i miei fratelli, Lipa, Roma 1998, p. 29.


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A Giuseppe, giovane diciassettenne, il padre affida la missione di ricordare agli altri che egli vive con nostalgia l’assenza dei fratelli e si preoccupa della loro sorte. Anche Gesù, il Figlio amato dal Padre, come racconta Giovanni «si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14), per ricondurre ogni uomo all’unico Padre. Lo scrive anche san Paolo ai Galati: «quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozione a figli» (Gal 4,4-5). La storia di Giuseppe diventa preludio e profezia della incarnazione/missione affidata da Dio Padre al suo Figlio diletto. Egli «è il

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‘Dio con noi’, che vive in mezzo alle case dei suoi figli e non teme di mescolarsi alla folla delle nostre città, diventando fermento di novità laddove la gente lotta per una vita diversa»3. Nella celebrazione liturgica È bello poter iniziare l’Avvento con questa consapevolezza: sono l’amato, l’amata del Padre. Cercato/cercata dal Figlio. La storia di Giuseppe si fa per noi storia di consolazione: siamo «cercati da Dio» attraverso Gesù. Il significato essenziale dell’Avvento lo suggerisce, inoltre, una delle preghiere di questo tempo: «prepara con la tua potenza il nostro cuore a incontrare il Cristo che viene» (Colletta, mercoledì I settimana di Avvento). L’iniziativa non è nostra, ma parte da Dio. È prima di tutto Dio a venirci incontro nel Figlio fatto uomo. È questo l’annuncio e la promessa fondamentale del tempo di Avvento-Natale. Anche noi, come i fratelli di Giuseppe, però, potremmo correre il rischio di lasciarci sopraffare da preoccupazioni e affanni. Forse la tentazione più grande è quella di lasciarsi vincere dal dubbio di essere dimenticati da Dio, di essere abbandonati al nostro destino, alle nostre storie. Ma proprio all’inizio dell’Avvento (I domenica) ci confortano le parole di Isaia: «Perché, Signore, ci lasci vagare lontano dalle tue vie e lasci indurire il nostro cuore, così che non ti tema? Ritorna per amore dei tuoi servi, per amore delle tribù, tua eredità» (63,17).

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Il racconto di Giuseppe ci offre un ulteriore legame con il mistero dell’incarnazione attraverso il sogno dei covoni (cfr Gen 37,6-7). Il primo sogno di Giuseppe porta l’attenzione verso il grano e quindi verso il pane. Torneranno grano e pane nella storia di Giuseppe, così come nella storia di Gesù, che non a caso nasce a Betlemme, «la casa del pane». Lo ricorda san Gregorio Magno quando spiega: «Giustamente il Signore nasce a Betlemme: poiché Betlemme vuol dire casa del pane. Egli è infatti colui che dice: Io sono il pane vivo che viene dal cielo. Il luogo dunque dove nasce il Signore, già prima ch’egli nascesse fu chiamato casa del pane, perché doveva manifestarvi3

FRANCESCO, Discorso ai partecipanti al Convegno Internazionale di Pastorale vocazionale, Città del Vaticano, 21 ottobre 2016.


MAGISTERO E ATTI DELL’ARCIVESCOVO si nella carne colui che avrebbe saziato gli eletti di cibo spirituale»4. Come vivere tutto questo nelle nostre comunità? Cercare i fratelli, andando loro incontro. Una buona opportunità potrebbe essere quella di valorizzare la celebrazione dei primi vespri nella prima domenica di Avvento con tutta la comunità, avendo premura di invitare tutte le famiglie incontrate nel corso dell’anno precedente in occasione della celebrazione dei sacramenti dell’Iniziazione Cristiana. Durante la liturgia domenicale del tempo di Avvento è bene sottolineare il momento dell’accoglienza, in particolare accoglienza delle famiglie, dei ragazzi dell’Iniziazione Cristiana e dei giovani. Si potrebbe infine pensare di valorizzare il cammino dei giovani attraverso l’adesione pubblica alle associazioni e ai movimenti presenti in parrocchia (Azione Cattolica, Scout, ecc.). Questo aiuterebbe tutti, nel giorno del Signore, ad incrociare gli sguardi sotto lo sguardo di Dio. Nella storia degli uomini «Sono in cerca dei miei fratelli» (Gen 37,16). Come tradurre nella vita questa missione affidata a Giuseppe dal padre e che egli vive come vocazione? Ce lo ricorda Papa Francesco quando scrive: «fedele al modello del Maestro, è vitale che oggi la Chiesa esca ad annunciare il Vangelo a tutti, in tutti i luoghi, in tutte le occasioni, senza indugio, senza repulsioni e senza paura. La gioia del Vangelo è per tutto il popolo, non può escludere nessuno»5. «È in forza di questo dono che sappiamo che venire al mondo significa incontrare la promessa di una vita buona e che essere accolto e custodito è l’esperienza originaria che inscrive in ciascuno la fiducia di non essere abbandonato alla mancanza di senso e al buio della morte e la speranza di poter esprimere la propria originalità in un percorso verso la pienezza di vita»6. In una società che esalta l’individualismo, che paradossalmente facilita i legami virtuali ma annulla quelli reali e crea situazioni di solitudine e di 4

GREGORIO MAGNO, Omelia, 1,8. FRANCESCO, Esortazione apostolica Evangelii gaudium, n. 23. 6 SINODO DEI VESCOVI, XV Assemblea Generale Ordinaria, Documento Preparatorio. 5

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emarginazione, la comunità cristiana è chiamata ad impegnarsi per offrire occasioni e opportunità di relazioni, a partire dai vari gruppi presenti in parrocchia, per arrivare a quanti sono più ai margini delle varie attività parrocchiali, ma si affacciano ad essa per vari motivi (richiesta di un cammino catechetico per i figli, momenti di lutto, o celebrazione dei sacramenti). Ma è soprattutto verso i giovani della «now generation», la «generazione adesso», che l’attenzione della comunità dovrà mostrare particolare premura, perché soprattutto loro rischiano di avere come interlocutore privilegiato lo schermo del proprio computer o il display del telefonino. È una variazione dell’impegno di una «Chiesa in uscita». Come aiutare i giovani ad essere protagonisti della loro vita e nelle nostre comunità? Come incoraggiare i loro sogni? Come renderli consapevoli che sono i primi amati e i primi inviati? Come vivere anche nelle nostre famiglie la «ricerca» (verbo tipico di Giuseppe), curando le relazioni e dando più spazio al dialogo tra genitori e figli? «Sono in primo luogo i genitori, all’interno della famiglia, a esprimere ogni giorno la cura di Dio per ogni essere umano nell’amore che li lega tra di loro e ai propri figli»7. E infine: come tradurre in gesti concreti, nelle nostre comunità, la missione affidata a Giuseppe dal padre e che egli vive come vocazione? Questo tempo d’Avvento può essere un’occasione per dare nuovo impulso all’incontro settimanale della comunità8 e più in generale per riscoprire il riposo domenicale, che non consiste tanto o solo nell’astenersi dal fare qualcosa, ma nel valore della contemplazione/visione che in esso possiamo vivere: nel vedere e nell’essere-visti. In quest’ottica il giorno del Signore diventa il tempo in cui ci mostriamo agli altri per come siamo, nella nostra verità e nudità (e nelle nostre contraddizioni). La domenica, quindi, non tanto e non solo come un tempo del «non» (astensione dal lavoro), ma come un tempo del «sì», un tempo per aprire gli occhi: su di sé, sugli altri, sul mondo9.

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Ibidem. Cfr F. CACUCCI, La Mistagogia. Una scelta pastorale, EDB, Bologna 2006, pp. 83-89. 9 Cfr T. RADCLIFFE, Riposando nel Signore, in M. MAGRASSI-T. RADCLIFFE, L’anima della domenica, EDB, Bologna 2005, pp. 65-82. 8


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2. Aiutare i giovani nell’esercizio del discernimento

Nella Bibbia il sogno è spesso il momento della chiamata, un momento in cui Dio si rivela all’uomo. Si tratta quindi di una sorta di profezia, di manifestazione della vocazione dal momento che, seguendo l’ispirazione venuta nel sogno, l’uomo si salva. M.I. Rupnik

«Giuseppe fece un sogno e lo raccontò» (Gen 37,5) Tempo Ordinario (Prima parte) Nell’immagine Rimanendo nella lunetta che abbiamo indicato nel tempo di Avvento, possiamo notare altri particolari. In maniera simmetrica rispetto al cerchio della finestra centrale, vediamo Giuseppe che dorme, che sogna. L’oggetto dei sogni è raccontato, in basso a sinistra, ai fratelli e poi ancora, al centro, al padre e ai fratelli. Il gioco delle mani e degli sguardi, anche in questo caso, parla. Giuseppe pare indi-

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care sé e il padre (mano verso l’alto). Di risposta, il fratello più vicino richiama a sé il favore del padre. E il secondo fratello indica se stesso e basta. Se Giuseppe chiamava i fratelli, con i suoi sogni, ad entrare nel sogno del padre, i fratelli, nel loro ascolto rifiutante, mostrano innanzitutto la loro triste incapacità di sognare. I suoi sogni saranno motivo di invidia e di odio da parte dei fratelli stessi, che trameranno perciò la sua morte (ancora in basso a sinistra). Nella storia della salvezza

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La Bibbia lo mostra con chiarezza. Giuseppe racconta ai suoi fratelli due sogni, tanto che i fratelli lo chiamano ironicamente «il signore dei sogni» (Gen 37,19). Il sogno dei covoni di grano non indica solo che i fratelli si inchinano a lui, ma che il cibo li salverà e ricomporrà il legame con l’intera famiglia. È anticipazione dell’eucaristia, pane che ci nutre (cfr Gv 6,48 ss). Il sistema solare che rende omaggio a Giuseppe, nel secondo sogno, è, secondo la tradizione patristica, chiaro riferimento a Cristo, Signore della storia. Ma nessuna chiamata è solo per sé. Ogni vocazione si fa missione. Eppure, raccontando i suoi sogni, Giuseppe accende l’invidia dei fratelli. Tuttavia, «mentre i fratelli divennero invidiosi di lui, il padre tenne per sé la cosa» (Gen 37,11). L’atteggiamento di Israele nell’ascoltare i sogni del figlio Giuseppe richiama l’atteggiamento di Maria nei confronti di Gesù. Ricordiamo, in particolare, il momento nel quale Gesù rivendica la missione, affidatagli dal Padre, ai genitori che lo cercano: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?» (Lc 2,49). L’evangelista annota di Maria: «Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore» (Lc 2,51). Giuseppe, per dono di Dio, diventerà più grande dei suoi fratelli e per la sua capacità di interpretare i sogni farà fortuna in Egitto, prima nella casa di Potifar e dopo presso il Faraone. Nella celebrazione liturgica La prima parte del Tempo ordinario, che inizia con la manifestazione del Figlio nelle acque del Giordano, attraverso le scene di vocazione dell’Antico Testamento (Samuele, Giona), ma soprattutto attraverso il racconto evangelico della chiamata dei primi discepoli, apre alla comprensione della vita come chiamata alla sequela e alla


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riscoperta della figliolanza divina. «Che cosa cercate?» (Gv 1,38). La domanda di Gesù ai discepoli che lo seguono diventa appello per ogni uomo, ed in modo particolare per i giovani chiamati a scegliere quale strada percorrere per costruire il loro futuro. Allo stesso tempo, l’invito di Gesù ai discepoli «Venite e vedrete» (Gv 1,39) mostra che la risposta ad una domanda così importante per la vita non può essere affidata semplicemente alle parole. Il Vangelo della II domenica per annum (ciclo B), che racconta dei due discepoli di Giovanni che seguono Gesù (Gv 1, 35-42), continua nella domenica successiva (III) con la chiamata dei primi discepoli sul mare di Galilea: «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini» (Mc 1, 16-20). I Vangeli mostrano come l’incontro personale con Gesù apra la strada anche all’esperienza comunitaria. Vivere la sequela è un cammino fatto insieme come discepoli dietro Gesù, unico Maestro. Lo esplicita una colletta di questo tempo: «O Dio, che riveli i segni della tua presenza nella Chiesa, nella liturgia e nei fratelli, fa’ che non lasciamo cadere a vuoto nessuna tua parola, per riconoscere il tuo progetto di salvezza e divenire apostoli e profeti del tuo regno» (Colletta alternativa, II domenica del Tempo ordinario B).

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Nella storia degli uomini

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Cosa può significare tutto questo concretamente? Giacobbe si mette in ascolto dei sogni di Giuseppe (e Maria di quelli di Gesù), anche se non li capiscono. Per lo meno non immediatamente. Ci piace pensare che anche Dio Padre sia in ascolto dei nostri sogni. E noi? Siamo capaci di ascoltare i sogni dei giovani? Come adulti (genitori, educatori, presbiteri, vescovi) abbiamo la responsabilità di ascoltare i «sogni» dei giovani, dei figli. Papa Francesco richiama spesso, non a caso, le parole del profeta Gioele: «I vostri anziani faranno sogni, i vostri giovani avranno visioni» (3,1), per suggellare l’alleanza tra le generazioni. D’altro canto, i sogni di Dio sono sempre veri e credibili. Ce lo mostra ancora una volta la storia di Giuseppe, con un paradosso: i fratelli di Giuseppe, infatti, diventano invidiosi perché «credono» ai sogni di Giuseppe. In loro «c’è l’oscura consapevolezza che tali sogni profetici sono irrevocabili»10. Spesso è proprio all’interno della famiglia che i giovani sperimentano una grande incomprensione, e trovano un ambiente che, invece di far volare i loro sogni, impone i modelli degli adulti (e i desideri dei genitori). Ma se è vero che i sogni del giovane Giuseppe rappresentano la risposta silenziosa alla domanda di Gesù ai suoi discepoli: «che cosa cercate?», allora – alla stessa maniera di Gesù – non siamo chiamati, come adulti, a decidere al posto dei giovani, ma ad aiutarli nel discernimento sul loro futuro: venite, vedete. Conviene ricordare l’esortazione di Papa Giovanni XXIII: «la vita è il compimento di un sogno di giovinezza. Abbiate ciascuno il vostro sogno da portare a meravigliosa realtà»11. Nel Documento Preparatorio al Sinodo dei Giovani leggiamo: «la vocazione all’amore assume per ciascuno una forma concreta nella vita quotidiana attraverso una serie di scelte, che articolano stato di vita (matrimonio, ministero ordinato, vita consacrata, ecc.), professione, modalità di impegno sociale e politico, stile di vita, gestione del tempo e dei soldi». La Giornata del Seminario diocesano celebrata in questo tempo, se non si riduce ad un semplice annuncio domenicale, può essere l’occasione per coinvolgere i giovani in un cammino di discernimento che li aiuti ad orientarsi e a comprendere le responsabilità che ogni progetto comporta. 10 11

G. Von RAHD, Genesi, II, Paideia Editrice, Brescia 1978, p. 476. Discorsi, Messaggi, Colloqui del Santo Padre Giovanni XXIII, II, Editrice Vaticana, Roma 1961, p. 351.


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3. Valorizzare la presenza e il contributo dei giovani

Giuseppe era più degli altri amato dal padre, che gli aveva dato una tunica variopinta, come dono peculiare e chiaro segno del suo affetto per lui. […] La veste variopinta è dunque per noi un’immagine della multiforme gloria della quale diciamo che Dio Padre ha rivestito il Figlio. […] Ma questo suscitava risentimento nei fratelli. Per questo pensano di doverlo uccidere. Cirillo di Alessandria

«Lo spogliarono della sua tunica» (Gen 37,27) Quaresima Nell’immagine Prima di arrivare alla tunica insanguinata, iniziamo ancora dalla lunetta. Nella zona a destra, incontriamo i fratelli al pascolo. Sopra ci sono delle pecore, ma i figli di Giacobbe stanno pascendo altro. Come dice un antico midrash, stanno pascolando le loro passioni. Stanno pascolando se stessi e non le greggi del padre (cfr Ez 34, 2).

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Nella loro testa, solo i sogni di una vita piena di denaro e una pancia piena di cibo, come mostrano i simboli in evidenza nell’immagine: innanzitutto la borsa piena del fratello in primo piano (allusione ai venti sicli d’argento, frutto della vendita di Giuseppe agli Ismaeliti, dietro suggerimento di Giu-da), che fa pensare ad un altro fratello (sempre di no-me Giuda) che venderà il Figlio, per trenta denari; in secondo luogo, il simbolo del pane. Il libro della Genesi nomina il pasto: dopo aver gettato Giuseppe nella cisterna, i fratelli «sedettero per prendere cibo», ma anche in questo caso la simbolica si muove in una duplice direzione: ad indicare la passione autocentrata dei fratelli; e ad «anticipare» quello che sarà un altro pasto, offerto dal figlio/fratello, pasto di unione e condivisione. Sarà il pasto offerto da Giuseppe ai suoi fratelli, quando andranno da lui (ormai signore dell’Egitto) a chiedere il grano. Sarà ancora più propriamente la Cena of-ferta nella passione di Gesù, per tutti noi suoi fratelli. Nella lunetta la vicenda termina con la kenosis di Giuseppe nella cisterna. Ma la storia per immagini prosegue nella parete immediatamente «sotto» la lunetta. I fratelli, dopo aver venduto Giuseppe ai mercanti madianiti, «presero la tunica di Giu-seppe, sgozzarono un capro e intinsero la tunica nel sangue. Poi mandarono al padre la tunica» (Gn 37, 31-32). Meraviglioso il volto dolente di Giacobbe, che piange Giuseppe, ricordandoci la passione del Padre nel e con il Figlio. Nella storia della salvezza

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La vicenda di Ruben (che riesce a convincere i fratelli a non sporcarsi le mani di sangue e a gettare Giuseppe in una cisterna) (cfr Gen 37,21-22) sembra rappresentare la coscienza che ti morde quando ti accorgi che stai scendendo a patti con il male. Anche il suo intervento appare come un tentativo di dare una mano al fratello più debole, ma senza compromettersi (come Pilato). D’altra parte, la vicenda di Giuseppe ci ricorda tutta la passione di Gesù, ingiustamente perseguitato, catturato dai suoi fratelli giudei, venduto da Giuda, spogliato della sua tunica speciale che i romani non vollero dividere, tunica che secondo la tradizione giudaica rimanda a quella del sommo sacerdote. Ma la sua tunica non sarà intrisa dal sangue di un capretto perché sarà lui stesso l’Agnello immolato sulla croce.


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Nella celebrazione liturgica Spogliare Giuseppe della sua tunica significa spogliarlo della sua dignità. Ma, togliendo la tunica al figlio prediletto, in realtà si vuole colpire anche il padre. Si tratta di un gesto che esprime il rifiuto verso un Dio che ci ha creati diversi. La storia di Giuseppe viene proposta dalla liturgia quaresimale, e precisamente il venerdì della II settimana. Il racconto che narra del disegno omicida dei fratelli di Giuseppe viene accostato alla parabola dei vignaioli che uccidono il figlio inviato dal padre, padrone della vigna (Mt 21,33-43.45-46). Come nel racconto di Giuseppe,

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anche nella parabola raccontata da Gesù emerge un sentimento di odio verso il figlio prediletto, che in realtà è rivolto verso il padre. La vicenda drammatica di Giuseppe introduce la comunità cristiana al tema della Croce che nel ciclo B della Quaresima rappresenta il tema centrale delle domeniche. Infatti, c’è un cammino progressivo ritmato dai Vangeli domenicali. In modo particolare, la terza, quarta e quinta domenica, attraverso l’immagine del tempio, del serpente e del chicco di grano, portano lo sguardo sempre nuovamente sul mistero della Croce. Nella terza domenica, la distruzione diventa ricostruzione (il tempio); nella quarta, il morso velenoso della morte diventa antidoto per la vita (il serpente); nella quinta, ciò che muore nella terra moltiplica il suo frutto (chicco di grano). La vicenda di Giuseppe, profezia della passione di Cristo, offre le coordinate per vivere la Quaresima non come un tenebroso tempo di rinuncia, ma al contrario, come un luminoso cammino verso la Pasqua. Un percorso che aiuta a comprendere e a credere che «Cristo non aiuta in forza della sua onnipotenza, ma in forza della sua debolezza, della sua sofferenza!»12. Gesù non ci offre il mistero della Croce come un fatale punto d’arrivo, ma come l’esperienza dalla quale ripartire con coraggio. Lo conferma la vita e l’esperienza di Maria sotto la croce. «Nella consapevolezza che Dio è con Lei, Maria schiude il suo cuore all’Eccomi e inaugura così la strada del Vangelo (cfr Lc 1,38). Donna dell’intercessione (cfr Gv 2,3), di fronte alla croce del Figlio, unita al ‘discepolo amato’, accoglie nuovamente la chiamata ad essere feconda e a generare vita nella storia degli uomini. Nei suoi occhi ogni giovane può riscoprire la bellezza del discernimento, nel suo cuore può sperimentare la tenerezza dell’intimità e il coraggio della testimonianza e della missione»13. 52

Nella storia degli uomini La vicenda di Giuseppe può dare una prospettiva diversa a questo tempo privilegiato per la Chiesa. Non si tratta di essere originali, ma di lasciarsi aiutare a vivere in modo fecondo il cammino verso la Pasqua, per dare un orientamento nuovo al nostro modo di affrontare le difficoltà. 12

D. BONHOEFFER, Resistenza e resa, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo 1989, p. 440. SINODO DEI VESCOVI, XV Assemblea Generale Ordinaria, Documento Preparatorio, Città del Vaticano.

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MAGISTERO E ATTI DELL’ARCIVESCOVO Un primo insegnamento lo offre l’ingiustizia subita da Giuseppe all’interno della sua famiglia. Il racconto ci dice che egli non conserva rancore per la sofferenza provocatagli dai suoi fratelli. Nel momento in cui gli verrà offerta la possibilità di rivendicare il torto ricevuto, Giuseppe non solo accoglierà i fratelli ma offrirà loro anche il suo aiuto. Se la storia di Giuseppe anticipa il mistero della Passione vissuta da Gesù (che deve subire l’incomprensione e l’ingiustizia, non solo da parte del suo popolo, ma anche dai suoi discepoli), contemporaneamente il Tempo di quaresima si offre a noi come tempo di purificazione da ogni desiderio di vendetta o di rivalsa, e ci sollecita ad un esame di coscienza: perché spesso non siamo solo vittime di ingiustizia, ma anche artefici. A volte siamo proprio noi a «togliere la tunica» ai più giovani o ai più deboli. Un’esasperata cultura dell’apparenza – che impone ai giovani confronti con modelli precostituiti e lascia ai margini coloro che non riescono a sostenere il confronto – «spoglia» i giovani della loro tunica; e lo fa a maggior ragione quando rende loro difficile accedere al mondo del lavoro e li costringe all’esodo verso altri paesi. Anche la comunità cristiana rischia di «spogliare» i giovani della loro tunica quando li considera solo presenza vivace ma inaffidabile all’interno della comunità. Vale la pena ricordare che: «i giovani non si percepiscono come una categoria svantaggiata o un gruppo sociale da proteggere e, di conseguenza, come destinatari passivi di programmi pastorali o di scelte politiche. Non pochi tra loro desiderano essere parte attiva dei processi di cambiamento del presente»14. Un modo concreto per valorizzare la loro presenza nella comunità potrebbe essere quello di un loro maggiore coinvolgimento negli organismi pastorali (consiglio pastorale, consiglio per gli affari economici). Dopo aver iniziato il cammino dell’anno con il pellegrinaggio di giovani e famiglie insieme, sarà bello ritrovarci ancora come pellegrini in Cattedrale in occasione della Festa dell’Odegitria, patrona della nostra Diocesi, per un momento dedicato particolarmente ai giovani e alle famiglie. Questo rappresenterà una ulteriore tappa del cammino preparatorio verso il Sinodo dei Giovani. 14

Ibidem.

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4. Allargare lo spazio della nostra tenda

L’uomo nuovo porta anche lui nel proprio corpo le stigmate di Cristo: sono un ricordo della miseria del peccato da cui egli è sorto a nuova vita, ma anche del caro prezzo con cui questa è stata pagata. Edith Stein

«Ma il Signore fu con Giuseppe» (Gen 39,21) Pasqua-Pentecoste Nell’immagine

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Sulla parete, accanto alla consegna a Giacobbe della tunica insanguinata, c’è il passaggio di Giuseppe dalle mani dei mercanti a quelle di Potifàr; e, subito di seguito, il passaggio alla moglie di Potifàr che si aggrappa al mantello del giovane, nel tentativo di trascinarlo nel suo letto. Osserviamo qualche particolare. Potifàr compra Giuseppe, ma con i gesti sembra più accoglierlo e proteggerlo. Il fanciullo appare spaventato, mentre Potifàr prende la sua mano sinistra nella propria mano sinistra. Lo porta nella sua casa, ma in questa seconda scena Giuseppe appare più come un «maestro» che come un «servo». La postura dei personaggi fa pensare quasi a Gesù che parla tra i dottori nel tempio. In ogni caso è evidente la centralità di Giuseppe nella casa di Potifàr. È lui che parla (con le mani). Potifàr con rispetto lo ascolta. Ha «trovato grazia ai suoi occhi» perché «il Signore è con lui» (Gen


MAGISTERO E ATTI DELL’ARCIVESCOVO 39, 3-4). Il comandante delle guardie affida a Giuseppe la sua persona e i suoi averi. Giuseppe inizia ad avere responsabilità e a crescere. È ancora ragazzo, ma il suo volto, nel passaggio da un riquadro all’altro appare già acquisire spessore ed età.

Lo ritroviamo decisamente giovane maturo nel riquadro successivo. E non è solo questione anagrafica. La sua gioventù è qui «provata» e maturata nella prova. Le mani si allontanano dalla moglie di Potifàr che tenta invano di sedurlo. Ma nel volgersi-via-da, si rivolgono-a. La destra levata al cielo è segno di una consegna sofferta ma fiduciosa al Signore: «Come potrei fare questo grande male e peccare contro Dio?» (Gen 39,9).

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Potifàr appare più sconcertato (con le braccia aperte) che irato, mentre la moglie gli mostra il (falso) segno della veste strappata al giovane. Di nuovo una veste lacerata. Di nuovo la veste consegnata viene a dire qualcosa di falso. Nel primo caso ha detto a Giacobbe che il figlio era morto. Nel secondo caso dice al comandante delle guardie


che Giuseppe ha tentato di possedere sua moglie. E di nuovo a mentire è chi consegna la veste. Menzogneri i fratelli; menzognera la moglie di Potifàr. Ma l’effetto è lo stesso, e Giuseppe esce di nuovo dalla scena, piangente, senza tunica, per una nuova kenosis. Questa volta in prigione. Con lui il coppiere e il panettiere del Faraone, che avevano offeso il loro padrone.

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Eppure la scena mostra delle interessanti stranezze. Prigionieri incatenati vediamo solo i due «compagni» di cella; mentre i piedi e il cuore di Giuseppe so-no liberi, non macchiati da colpa. Ed egli ha di nuovo un mantello rosso sulle spalle; co-me a dire che niente e nessuno può togliergli (anche in prigione) la sua regalità. La sua posizione centrale sembra di nuovo quella di un maestro che insegna. Nella piccola lunetta in alto a destra, sopra il coppiere, vestito del colore dell’uva, si intravede il sogno dello stesso coppiere, spiegato da Giuseppe: i grappoli spremuti nella coppa del faraone. Sappiamo che il coppiere sarà liberato e che si ricorderà di Giuseppe quando il faraone inizierà a fare sogni inquieti.


MAGISTERO E ATTI DELL’ARCIVESCOVO Nella storia della salvezza Una prima annotazione va fatta sulla «bellezza» di Giuseppe: ogni dono di Dio diventa prima o poi motivo di tentazione. Tentazione che Giuseppe supera grazie al rapporto con Dio e grazie alla propria capacità di autocontrollo. I Padri della Chiesa sottolineano questa capacità di «governo» di Giuseppe, che è stata innanzitutto auto-governo sulle proprie passioni e quindi è diventata possibilità e capacità di governo sull’Egitto. Tutto questo, però, passa attraverso la croce. La discesa nella cisterna e nella prigione richiamano la tomba nella quale viene deposto Cristo. Quella che sembra la fatale conclusione di un drammatico disegno si trasforma per Giuseppe in una risalita verso una vita nuova, non solo per sé ma anche per gli altri. «Il bene che finora veniva punito e dimenticato, è ora chiamato alla risurrezione»15. Il testo biblico ce lo dice in un «ma»: «ma il Signore fu con Giuseppe» (Gen 39,21). Un «ma» che sottolinea come, nonostante le situazioni di morte, non bisogna dubitare della presenza di Dio. «È il Signore che va con lui fin negli abissi, come quando Giuseppe è gettato dentro la cisterna. E se il Signore è con lui, ciò significa che Giuseppe si tira dietro la benedizione promessa ai padri»16. Infine, un ultimo particolare interessante: nella tradizione giudaica, Giuseppe, umiliato e poi esaltato, è la figura del «servo di Jahvè» (Is 53). Anche Gesù, venduto dai «fratelli», è Colui il quale li salva: salva sia gli ebrei che i pagani, come Giuseppe salverà gli egiziani e gli ebrei. Ma attraverso quale mezzo? Attraverso il pane. Sappiamo che, nel prosieguo del testo della Genesi, arriva una terribile carestia. L’Egitto sopravvive perché Giuseppe, interpretando il sogno del faraone e diventando governatore, ha messo da parte nei tempi di abbondanza sufficiente grano per i tempi di magra. La voce arriva a Canaan e quindi i figli di Giacobbe vanno in Egitto per comprare il necessario per sopravvivere. Giovane-adulto, Giuseppe nella scena pubblica arriva a trent’anni (41, 46). Anche Luca, nel vangelo, 15 16

M.I. RUPNIK, Cerco i miei fratelli, cit., p. 72. Ivi, p. 46.

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dice che «Gesù, quando cominciò il suo ministero aveva circa trent’anni» (3,23). Rileggere la storia di Giuseppe come profezia del mistero di morte e risurrezione, sigillato da Cristo, può aiutare a comprendere meglio l’originalità della fede cristiana, cioè a sperimentare cosa significhi realmente che «le sofferenze del tempo presente non sono paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi» (Rm 8,18). Nella celebrazione liturgica È interessante notare come, nella liturgia di rito bizantino, il lunedì santo si faccia memoria del patriarca Giuseppe. Così come è interessante ricordare un particolare presente in Gn 43, 24: Giuseppe dà acqua ai fratelli, perché si lavino i piedi. Il gesto di ospitalità già offerto da Abramo e ripetuto (questa volta in prima persona) da Gesù, durante l’ultima cena. Giuseppe dà il pane e Gesù dà l’eucaristia. La necessità del cibo che porta i fratelli di Giuseppe in terra d’Egitto diventa pian piano occasione per riconoscersi figli dello stesso padre, e quindi fratelli. Per dirla con un’orazione della Veglia pasquale: «Tutto il mondo veda e riconosca che ciò che è distrutto si ricostruisce, ciò che è invecchiato si rinnova e tutto ritorna alla sua integrità, per mezzo del Cristo, che è principio di tutte le cose» (Orazione dopo la VII lettura nella Veglia pasquale).

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Nella Pasqua di Cristo ogni vicenda umana, anche la più umiliante o dolorosa, trova un nuovo orientamento che la strappa dall’inesorabile fine. La liturgia di questo tempo invita il popolo di Dio ad esultare sempre «per la rinnovata giovinezza dello spirito» e ad «allietarsi per il dono della dignità filiale» (cfr Colletta della III domenica di Pasqua). Il Tempo pasquale diventa anche tempo nel quale riscoprire la bellezza dell’essere Chiesa. Un’immagine eloquente a questo riguardo la ritroviamo nella figura del buon Pastore della quale Gesù esplicita la missione: «E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeran-


MAGISTERO E ATTI DELL’ARCIVESCOVO no un solo gregge, un solo pastore» (Gv 10,16) (richiama Giuseppe che pascola il gregge). Per questo la Chiesa, facendo sua la missione di Cristo, prega Dio Padre perché: «la tua Chiesa, riunita dallo Spirito Santo, ti serva con piena dedizione e formi in te un cuore solo e un’anima sola» (Colletta del Mercoledì VII settimana di Pasqua). I sacramenti dell’Iniziazione cristiana, che in questo Tempo pasquale coinvolgono numerose famiglie, diventino occasione per riscoprire la bellezza del dialogo tra le generazioni. Perché non coinvolgersi, nella comunità parrocchiale, per vivere con le famiglie un incontro di preghiera alla vigilia della celebrazione dei sacramenti? Nella storia degli uomini La Pasqua non ci invita solo a guardare a ciò che sarà dopo la morte, ma a vivere la certezza – evidente nella vita di Giuseppe – che Dio non ci abbandona. In Cristo, non siamo soli nelle situazioni di ingiustizia, di dolore o di lutto. Molte sono le famiglie prigioniere nelle cisterne e nelle prigioni dell’incomprensione, del fallimento delle relazioni, della preoccupazione per il futuro incerto dei figli. Talvolta l’immoralità si annida all’interno delle stesse famiglie. Molti sono i figli che in quella che diversi pensatori hanno chiamato «epoca dell’evaporazione del padre», non trovano genitori, né padri o madri spirituali, pronti ad aprire loro la mente e il cuore, pronti a donare loro una lettura sapienziale della loro storia personale e della storia sociale. Quanto è difficile, per gli adulti, essere quello che i giovani desiderano: maestri di vita e di coerenza; maestri di fede, amore e umiltà, persone credibili, capaci di «perdere tempo» con loro! Può succedere, infatti, che a volte si viva nelle famiglie una confusione di ruoli che crea disorientamento nei figli17. Può aiutarci quanto dice Giuseppe prima di risolvere l’enigma dei sogni del faraone: «non io, ma Dio darà la risposta» (Gn 41, 16). I sacramenti dell’Iniziazione cristiana, che in questo tempo pasqua17

Cfr A. MATTEO, Tutti muoiono troppo giovani, Rubbettino, Soveria Mannelli 2016.

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le coinvolgono numerose famiglie, potrebbero diventare occasione per aiutarle a riscoprire la bellezza del dialogo tra le generazioni. A questo proposito diventa indispensabile il ruolo di tutta la comunità, che non deve sentirsi estranea alle celebrazioni che rischiano molto spesso di coinvolgere solo le famiglie dei ragazzi. Allo stesso tempo, soprattutto in riferimento ai giovani, il Tempo pasquale potrebbe essere occasione per allestire «tende di testimoni», dove i giovani possono incontrarsi con l’esempio di tante vite cristiane realizzate nel bene e nel dono di sé. Inoltre siamo invitati a vivere come comunità diocesana quella che possiamo chiamare una peregrinatio della tenda dell’incontro: un movimento di cuori che, a partire dal pellegrinaggio dei giovani e delle famiglie alla festa dell’Odegitria, attraverserà i nostri centri abitati. Si tratterà di pensare uno spazio e un tempo in cui adulti e giovani possano confrontarsi con le domande, i sogni, le speranze che accompagnano la ricerca di senso e di pienezza della loro vita. Un invito concreto per le nostre comunità ad allargare lo spazio della nostra tenda, liberando gli adulti dall’illusione dell’autoreferenzialità e favorendo la partecipazione dei giovani alla vita sociale ed ecclesiale, nella responsabilità fedele e nel dono gratuito di sé. «Il ruolo di adulti degni di fede, con cui entrare in positiva alleanza, è fondamentale in ogni percorso di maturazione umana e di discernimento vocazionale. Servono credenti autorevoli, con una chiara identità umana, una solida appartenenza ecclesiale, una visibile qualità spirituale, una vigorosa passione educativa e una profonda capacità di discernimento»18.

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SINODO DEI VESCOVI, XV Assemblea Generale Ordinaria, Documento Preparatorio.


MAGISTERO E ATTI DELL’ARCIVESCOVO

5. Passaggio di testimone

Più matura l’amore dei fratelli e più matura l’amore dei figli e più è realizzato in pienezza l’amore del padre: […] Quando i fratelli tornano da Giacobbe, nessuno è come prima. Tutti sono più maturi: i fratelli, Giuseppe, e anche Giacobbe. M.I. Rupnik

«Io sono Giuseppe, il vostro fratello» (Gen 45,4) Tempo Ordinario (Seconda parte)

Nell’immagine Incoronato dallo stesso Re d’Egitto, Giuseppe sente di aver finito la sua discesa. La sua tunica è ormai dorata, come la sua aureola e

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come il suo destino. Ma l’ultima prova, la più dura, forse, lo attende: quella del perdono e della riconciliazione. Il banchetto, ultima immagine del ciclo moscovita di Giuseppe che stiamo seguendo, segna questo momento.

Beniamino riceve (da quello che ancora non sa essere Giuseppe) una porzione più grande di tutti gli altri. Il tavolo, i figli-fratelli, il pane e il calice inevitabilmente rimandano ad un altro pasto. Dodici sono i fratelli di Giuseppe (cfr Gen 42,13;32), come dodici sono gli apostoli nell’ultima Cena. La tunica di Giuseppe qui è regale e sacerdotale insieme. 62

Nella storia della salvezza L’incontro con Giuseppe trasforma in realtà il sogno dei covoni. Nel comando del faraone agli Egiziani: «fate quello che vi dirà» (Gen 41, 55) risuonano le stesse parole che Maria dirà ai servi durante le nozze di Cana: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela» (Gv 2, 5). Giuseppe anticipa il dono escatologico della gioia che Gesù darà in abbondanza, segno di una vita che porta lo sguardo oltre i confini della morte, perché lo Spirito di Dio riposava su di lui (cfr Gen 41,38). Gesù è il nuovo


MAGISTERO E ATTI DELL’ARCIVESCOVO Giuseppe che dà il vino escatologico in abbondanza, perché già nella tradizione giudaica, quando si parla dell’era messianica, si dice che ci sarà abbondanza di vino (cfr Is 25,6). Ma l’incontro di Giuseppe con i fratelli offre un ulteriore motivo di riflessione. Giuseppe perdona e salva i suoi fratelli che, tuttavia, come lui devono sperimentare la dinamica del mistero pasquale: prima devono prostrarsi davanti a lui «con la faccia a terra» (Gen 42, 6), sperimentare la prigione, e solo dopo, con il piccolo fratello Beniamino (anch’egli figlio di Rachele), potranno sedere alla stessa tavola, riconoscere Giuseppe e scoprire la bellezza dell’amore fraterno. Quella che un tempo era solo una famiglia «formalmente» costituita, grazie al sacrificio di Giuseppe, alle prove vissute con totale fedeltà a Dio, diventa «segno» del popolo santo che Dio ha eletto, preludio e profezia della Chiesa nata dal costato trafitto di Cristo. È inoltre interessante ricordare come sia proprio il «pasto» il luogo in cui avviene il riconoscimento tra i fratelli: Giuseppe si fa riconoscere e i fratelli lo vedono come tale. I Padri della Chiesa anche in questo hanno colto una prefigurazione del mistero di Cristo, che non è stato riconosciuto dai fratelli ebrei quando è venuto nella carne, e che si farà (ri)conoscere pienamente quando verrà nella gloria: «Io sono (Giuseppe/Gesù), il vostro fratello» (Gen 45,4). Nella celebrazione liturgica La seconda parte del Tempo ordinario, che riprende dopo la Pentecoste, è introdotta dalle solennità della Santissima Trinità, del Santissimo Corpo e Sangue di Gesù e del Sacro Cuore. Tre solennità che rappresentano una sintesi del Mistero annunciato, celebrato e vissuto nello scorrere dell’anno liturgico: l’amore del Padre, che ha inviato il Figlio a cercare i suoi fratelli, si fa pane di vita nel Corpo e Sangue di Cristo e si offre continuamente a noi, per custodirci nell’abisso d’amore del suo Cuore, che è la vita stessa del Padre comunicata a noi. Il segno più luminoso di questa vita recuperata alla comunione è la testimonianza della Vergine Maria e quella dei

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Santi: memorie liturgiche che scandiscono il tempo ordinario della nostra vita cristiana, offrendosi come modello e sostegno attraverso le feste che la tradizione e la devozione popolare continuano a proporre. Sono feste che possono diventare preziosa occasione, se vissute cristianamente e purificate da forme di spreco inopportuno, per evangelizzare e scoprire la bellezza di una fede di popolo che si trasmette dalle generazioni adulte a quelle più giovani, e soprattutto per vivere il nostro cammino umano come un pellegrinaggio che prepara al ritorno del Messia che si farà riconoscere nella gloria (come ci ricorda l’ultima domenica dell’anno liturgico). Nella storia degli uomini

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Come Giuseppe, ciascuno di noi è chiamato a cercare i fratelli, dai più vicini ai più lontani. La storia di Giuseppe insegna che siamo cercati e cercatori: Cristo cerca noi e noi, membra del suo Corpo, abbiamo la responsabilità di cercare gli altri, perché tutti prendano parte alla gioia del Regno di Dio19. «Ricercare i fratelli significa andare per le strade del mondo attraverso la logica pasquale fino al punto in cui ci si comprende e ci si sente parte di questa umanità che è come una catena: anzi un anello, e questo anello si porta dietro tutti gli altri perché sono legati insieme»20. Anche i giovani sono chiamati a scoprire la loro vocazione, qualunque essa sia, non solo come espressione dei propri talenti ma anche come impegno verso gli altri, nell’ambito professionale, sociale ed ecclesiale. A questo riguardo, famiglia e parrocchia dovrebbero assumersi la responsabilità di saper ascoltare i giovani e di aiutarli a camminare autonomamente. Il racconto della Genesi ci fa notare che il faraone si ritira per cedere il posto a Giuseppe. Anche Maria si ritira per lasciare il posto a suo Figlio. È lui che viene per inaugurare il suo ministero pubblico dichiarandosi come sposo del suo popolo. «Da questo punto di vista, il ruolo di genitori e famiglie resta cruciale e talvolta problematico. Le generazioni più mature tendono spesso a sottovalutare le potenzialità, enfatizzano le fragilità e hanno difficoltà a capire le esigenze dei più giovani. Genitori 19 20

Cfr F. CACUCCI, Cerca e troverai, EDB, Bologna 2012. M. I RUPNIK, Cerco i miei fratelli, cit., p.83.


MAGISTERO E ATTI DELL’ARCIVESCOVO ed educatori adulti possono anche aver presenti i propri sbagli e che cosa non vorrebbero che i giovani facessero, ma spesso non hanno altrettanto chiaro come aiutarli a orientare il loro sguardo verso il futuro»21. Il tempo estivo, che per molte comunità è il tempo dei campi scuola, può essere una preziosa occasione per proporre ai giovani esperienze di volontariato, soprattutto nel territorio parrocchiale22.

Conclusione «In famiglia, tra fratelli si impara la convivenza umana… Forse non sempre ne siamo consapevoli, ma è proprio la famiglia che introduce la fraternità nel mondo! A partire da questa prima esperienza di fraternità, nutrita dagli affetti e dall’educazione familiare, lo stile della fraternità si irradia come una promessa sull’intera società». Ci sembra che questa indicazione, tratta dall’esortazione Amoris laetitia (n. 194) di Papa Francesco, possa rappresentare la sintesi e l’auspicio del percorso che vogliamo intraprendere quest’anno: con lo sguardo rivolto ai giovani (sulla scia del giovane Giuseppe e del Dio giovane, Gesù); con il baricentro puntato sulla famiglia (e sulle esperienze di filialità, generatività, fraternità), con le braccia spalancate sul mondo e sulla società. + Francesco Cacucci Arcivescovo di Bari-Bitonto

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SINODO DEI VESCOVI, XV Assemblea Generale Ordinaria, Documento Preparatorio. Uno strumento utile, da questo punto di vista, per ripensare il cammino di Giuseppe al servizio dei più piccoli, con un occhio di riguardo alle persone con disabilità, è il testo di A. CAPUTO e J. P. LIEGGI, Dal dolore è fiorita la vita. Un percorso con Giuseppe il sognatore, con una particolare attenzione all’inclusione di persone con disabilità, CVS, Roma 2017. 22

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MAGISTERO E ATTI DELL’ARCIVESCOVO La parrocchia “S. Giovanni Crisostomo” in Bari sotto la giurisdizione dell’Eparchia di Lungro degli Italo-Albanesi dell’Italia Continentale

Decreto dell’Arcivescovo di Bari-Bitonto Mons. Francesco Cacucci Prot. n. 01/18/D.A.G. Visto il Decreto del mio venerabile Predecessore S.E. Mons. Enrico Nicodemo del 7 maggio 1957, relativo alla erezione e al funzionamento della Parrocchia “personale” greca di San Giovanni Crisostomo, con sede in Bari, per i fedeli di rito greco dimoranti nell’Arcidiocesi di Bari-Bitonto; Visto il Decreto del Ministero dell’Interno dell’11 novembre 1986, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 1° dicembre 1986, nr. 29, col quale viene riconosciuta la personalità giuridica di Ente ecclesiastico alla Parrocchia San Giovanni Crisostomo, sita in Bari; Constatato che i fedeli frequentanti la Parrocchia San Giovanni Crisostomo in Bari custodiscono e coltivano la Tradizione Bizantina nell’ambito della Chiesa Cattolica; Considerato il Nulla Osta espresso dalla Congregazione per le Chiese Orientali, in data 6 luglio 2016; Sentito e acquisito il parere del Consiglio Presbiterale; Rilevata la disponibilità di S.E. Rev.ma Mons. Donato Oliverio, Vescovo di Lungro degli Italo-Albanesi;

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DECRETO

che la Parrocchia San Giovanni Crisostomo in Bari passi dalla competenza di questa Arcidiocesi alla piena competenza della Eparchia bizantina di Lungro degli Italo-Albanesi dell’Italia Continentale. Detto passaggio si intende con ogni beneficio ed onere ascritto alla medesima Parrocchia e al suo funzionamento, a far data da questo Decreto. Il parroco sarà nominato dall’Eparca di Lungro, dopo aver sentito il parere dell’Arcivescovo “pro tempore” di Bari-Bitonto e dopo aver ottenuto il beneplacito della Congregazione per le Chiese Orientali. Tale provvedimento giunge a conclusione di un lungo percorso che, nel 2017, ha celebrato il sessantesimo anno di presenza e di attività della predetta Parrocchia di San Giovanni Crisostomo nella Città di Bari. Viva è la speranza che la suddetta Parrocchia possa continuare a svolgere e ad incrementare, sempre meglio e a maggior gloria di Dio, quel ruolo di presenza orientale, pienamente in comunione con l’Oriente per il patrimonio liturgico-spirituale e con l’Occidente per la fede cattolica e la giurisdizione, nel cuore della Città e della Chiesa di Bari-Bitonto, e in giusto e necessario collegamento con le altre Comunità soggette alla Eparchia di Lungro e osservanti lo stesso Rito Bizantino. Bari, 19 gennaio 2018 + Francesco Cacucci Arcivescovo di Bari-Bitonto 68

Il Cancelliere Arcivescovile Mons. Paolo Bux


MAGISTERO E ATTI DELL’ARCIVESCOVO

Decreto dell’Eparca di Lungro Mons. Donato Oliverio

Prot. n. 3/2018

DONATO OLIVERIO PER GRAZIA DI DIO E DELLA SEDE APOSTOLICA VESCOVO DI LUNGRO DEGLI ITALO-ALBANESI DELL’ITALIA CONTINENTALE Visto il Decreto del mio venerabile Confratello nell’Episcopato, S.E.R. Mons. Francesco Cacucci, Arcivescovo di Bari-Bitonto, recante nr.1/18/D.A.G. in data 19 gennaio 2018, per il pieno passaggio di competenza giurisdizionale della Parrocchia San Giovanni Crisostomo in Bari, dall’Arcidiocesi di Bari-Bitonto alla Eparchia di Lungro; Considerato il parere favorevole espresso dalla Congregazione per le Chiese Orientali in data 6 luglio 2016; Avendo consultato e acquisito il parere favorevole del Consiglio Presbiterale Eparchiale;

DECRETO

che la Parrocchia San Giovanni Crisostomo in Bari passi sotto la giurisdizione della Eparchia di Lungro degli Italo-Albanesi dell’Italia Continentale, con ogni beneficio ed onere ascritto alla medesima Parrocchia e al suo funzionamento. Assicuro che la suddetta Parrocchia continuerà a svolgere quel ruolo di presenza orientale, pienamente in comunione con l’Oriente per il patrimonio liturgico-spirituale e con l’Occidente per la fede cattolica e la giurisdizione, nel cuore della Città di Bari, in

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comunione con la benemerita Arcidiocesi di Bari-Bitonto, in pieno e vitale collegamento con le ComunitĂ soggette a questa Eparchia di Lungro e osservanti lo stesso Rito Bizantino. Lungro, 18 febbraio 2018 San Leone Papa + Donato Oliverio, Vescovo Il Cancelliere della Curia Protopresbitero Mario Aluise

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MAGISTERO E ATTI DELL’ARCIVESCOVO “Dammi un cuore che ascolta” *

“Dammi un cuore che ascolta”: il tema del nostro Convegno, e della Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni del 2018, sembra una variazione di quello che la liturgia di oggi ci offre attraverso il brano della prima Lettera di san Giovanni Apostolo: «Questo è il messaggio che avete udito da principio: che ci amiamo gli uni gli altri» (3, 11). Tale pericope sembra riprendere la risposta di Gesù alla domanda dello scriba, al cap. 12, 29 del Vangelo di Marco: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?». Viene citato Deut 6, 4: «Il primo è: Ascolta Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. Il secondo è questo: Amerai il tuo prossimo come te stesso». Come era interpretato questo versetto nel giudaismo? La risposta l’abbiamo nella Mishnà, in un trattato delle benedizioni, confermato dai testi di Qumran. Gesù, formato nella sinagoga, ripeteva ogni giorno lo Shemà. Anche la comunità dell’evangelista Giovanni riprende l’insegnamento dello Shemà Israel proprio nel brano che abbiamo appena ascoltato (1Gv 3, 11-21). Cosa significa amare il fratello con tutto il cuore? Nel cuore dell’uomo ci sono due tendenze, una che ti porta a fare il bene e l’altra che ti porta a fare il male. Non dobbiamo agire come Caino, le cui opere erano malvage, ma come il fratello Abele, le cui opere erano giuste. *

Omelia nella S. Messa celebrata al Convegno Nazionale Vocazionale della Conferenza Episcopale italiana (Roma, Domus Pacis, 5 gennaio 2018).

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Siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli. Chi non ama rimane nella morte (3, 12-14). Amare con tutta l’anima significa dare la vita, come ha fatto Gesù (3, 16). Amare con tutte le forze. Nella Mishnà è molto chiaro dove sono le forze dell’uomo: nel denaro. Bisogna essere pronti ad aprire il portafoglio per amare concretamente. «Ma se uno ha ricchezze di questo mondo e, vedendo il suo fratello in necessità, gli chiude il proprio cuore, come rimane in lui l’amore di Dio?» (3, 17). *** Prima c’è la professione di fede: Ascolta Israele!, e poi segue il comandamento dell’amore. «Dammi un cuore che ascolta», unificando la fede e l’amore, trova nel vangelo di oggi una colorazione vocazionale. Nel brano dell’evangelista Giovanni (1, 43-51), che abbiamo appena ascoltato, incontriamo la vocazione di Natanaele. A dire la verità Gesù aveva appena detto a Filippo «Seguimi», dopo Andrea e Pietro. Tutta la liturgia della parola di questo mese di gennaio ha un’intonazione vocazionale. Dopo la manifestazione di Gesù nelle acque del Giordano, troviamo le scene di vocazione dell’Antico Testamento (Samuele, Saul, Davide), per approdare alla chiamata dei primi discepoli. La domanda di Gesù «Che cosa cercate?» (Gv 1, 38) si espande nell’invito: «Venite e vedrete» (Gv 1, 39). La domanda di Gesù ai discepoli che lo seguono diventa appello per ogni uomo, e in modo particolare per i giovani che sono chiamati a scegliere quale strada percorrere per costruire il loro futuro. Gesù dice a Natanaele: «Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto l’albero di fichi» (Gv 1, 48). Nella Bibbia il fico simboleggia la forte ricerca della verità, l’orientare il cuore verso Dio. Ma la risposta di Gesù si allarga e richiama la visione della scala di Giacobbe: «Vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell’uomo» (1, 51). In altre parole Gesù dice: la vera scala di Giacobbe è la croce di Cristo. Il desiderio di vedere Dio passa attraverso il dono della vita (anima). I rabbini aggiungevano: se vuoi vedere Dio, vieni al tempio di Gerusalemme, dove c’è una piccola scala e gli angeli che salgono e scendono sono i sacerdoti che accolgono la tua offerta per i fratelli bisognosi. Vuoi vedere il volto di Dio? Guarda il tuo fratello! La vocazione di Natanaele passa attraverso l’amare con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la forza.


CURIA METROPOLITANA *** Nel titolo di questo Convegno il cuore è legato all’ascolto. San Benedetto, il padre del monachesimo occidentale, apre la sua Regola con queste parole: Obsculta, o fili, praecepta magistri et inclina aurem cordis tui, «Ascolta, figlio mio, gli insegnamenti del maestro e apri docilmente il tuo cuore» (Prologo). Non sembra essere questa un’ulteriore variazione dello Shemà? Con una colorazione segnata dai tre voti di povertà, di castità e di obbedienza. La povertà, che è al centro della conversatio morum di san Benedetto, esige uno stile di vita differente: la rinuncia ai beni, al «potere», a mammona (denaro) per l’amore di Dio. La chiamata del giovane ricco (Mt 19, 16-22) ha talmente impressionato sant’Antonio abate e san Francesco d’Assisi da determinare la scelta radicale della loro esistenza, fino ad amare Dio con tutta la forza. Al secondo gradino della scala dell’umiltà, san Benedetto indica la via di amare Dio con tutto il cuore attraverso i nostri desideri. Con il voto di castità l’attenzione è totalmente su Dio. Anche Gesù si dà completamente, non ha una sua casa. La nuova famiglia, che sorge attorno a lui, è composta da quelli che ascoltano la sua Parola, come la sua Vergine Madre (cfr Lc 11, 28; 2, 19-51). Arriviamo al terzo scalino della scala dell’umiltà, al terzo voto, l’obbedienza. Si dice “sì”, con Gesù, alla volontà del Padre, anche fino alla morte di croce. L’obbedienza è il martirio incruento quotidiano. Anche il superiore è tenuto a vivere lo Shemà, ad ascoltare. Qui ricordiamo il sudore di sangue di Gesù nel Getsemani, fino alla resa di sé: «Non come voglio io, ma come vuoi tu» (Mt 26, 36), e richiama il termine ebraico nefesh (anima) che si trova nel sangue. Consegnando il suo spirito, Gesù dà la prova suprema del suo amore. La vocazione è a tutto campo. Beati quindi i cuori che ascoltano, siano essi battezzati, sposati, partecipi del sacerdozio ordinato, consacrati. + Francesco Cacucci Arcivescovo di Bari-Bitonto

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VICARIATO GENERALE Le visite pastorali dell’Arcivescovo ai vicariati - anno 2018

Nei mesi di gennaio e febbraio 2018 tutti i vicariati hanno vissuto la visita pastorale dell’Arcivescovo, secondo la modalità ormai consolidata negli anni precedenti. Al mattino si è svolto l’incontro del Vescovo con i presbiteri e i diaconi, insieme al Vicario generale e al Vicario episcopale per i presbiteri, durante il quale mons. Cacucci ha offerto una sua riflessione sui social-network, dal titolo I social-network e la convinzione di interpretare la realtà (riprendendo la lectio magistralis tenuta da lui stesso all’inaugurazione dei corsi di laurea del Dipartimento di Scienze politiche dell’Università degli Studi di Bari - anno accademico 2017-2018, aula Aldo Moro, il 30 ottobre 20171). L’Arcivescovo ha intrattenuto con i presenti un dialogo sull’importanza della tecnologia della comunicazione, della sua retta conoscenza al fine di un adeguato utilizzo, e soprattutto sui rischi della strumentalizzazione delle nuove piattaforme comunicative capaci di diffondere notizie infondate, facilmente fraintendibili e tante volte false capaci di innescare meccanismi distorti di comunicazione. I social-network, ha detto l’Arcivescovo, «fino a poco tempo fa impensabili vanno utilizzati con discernimento e metodo, in una chiave non semplicemente individualistica». 1

In Bollettino Diocesano “l’Odegitria” – anno XLIII n. 4, pp. 393-400.

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La sera mons. Cacucci, dopo aver presieduto la celebrazione eucaristica in una delle chiese parrocchiali, concelebrando con i sacerdoti e con la partecipazione di tanti fedeli di tutte le comunità del vicariato, ha incontrato i parroci, i vicari cooperatori e i diaconi con i Consigli parrocchiali vicariali, convocati insieme a tutti i membri dei Consigli pastorali parrocchiali. Agli incontri serali hanno accompagnato l’Arcivescovo il Vicario generale, il Vicario episcopale per i presbiteri, il direttore dell’Ufficio pastorale, il direttore dell’Ufficio giovani e il direttore dell’Ufficio laicato. Questo incontro è stato dedicato alla presentazione della proposta, indicata già nella traccia pastorale dell’anno in corso, della “tenda dell’incontro”. L’Arcivescovo così ha scritto nella traccia pastorale 2017-2018 Di generazione in generazione. Giovani e famiglia: «Il Tempo pasquale potrebbe essere occasione per allestire “tende di testimoni”, dove i giovani possono incontrarsi con l’esempio di tante vite cristiane realizzate nel bene e nel dono di sé. Inoltre siamo invitati a vivere come comunità diocesana quella che possiamo chiamare una peregrinatio della tenda dell’incontro: un movimento di cuori che, a partire dal pellegrinaggio dei giovani e delle famiglie alla festa dell’Odegitria, attraverserà i nostri centri abitati. Si tratterà di pensare uno spazio e un tempo in cui adulti e giovani possano confrontarsi con le domande, i sogni, le speranze che accompagnano la ricerca di senso e di pienezza della loro vita. Un invito concreto per le nostre comunità ad allargare lo spazio della nostra tenda, liberando gli adulti dall’illusione dell’autoreferenzialità e favorendo la partecipazione dei giovani alla vita sociale ed ecclesiale, nella responsabilità fedele e nel dono gratuito di sé». All’inizio dell’incontro il vicario zonale, o qualche rappresentante dell’intero vicariato, ha presentato il lavoro già avviato tra le comunità parrocchiali in preparazione a tale evento, in vista del quale si erano precedentemente costituite delle commissioni miste di giovani e adulti. Subito dopo i direttori dell’ufficio pastorale e del servizio diocesano per la pastorale giovanile hanno presentato l’iniziativa invitando tutti ad interagire nello stesso incontro per provare a progettare insieme, individuando punti di forza o eventuali difficoltà che aiutassero non solo a leggere il territorio con uno sguardo e un ascolto rivolto particolarmente ai giovani, ma soprattutto a crescere in un ascolto reciproco tra le generazioni, favorendo anche lo scam-


VICARIATO GENERALE bio tra le comunità e una sempre più autentica comunione ecclesiale. Da tutti, quasi indistintamente, è stata richiamata la necessità, oltre che la bellezza, di ritrovarsi innanzitutto insieme tra le diverse comunità, uscendo dai propri ‘recinti’ per vivere l’esperienza dell’incontro, riscoprendo quella costitutiva vocazione ecclesiale alla missione. Infatti sia il pellegrinaggio di giovani e famiglie insieme, in Cattedrale, in occasione della Festa dell’Odegitria, patrona della nostra Diocesi (il 10 marzo), per un momento dedicato particolarmente ai giovani e alle famiglie, sia la “peregrinatio della tenda dell’incontro” sono da considerare come due ulteriori tappe del cammino preparatorio verso il Sinodo dei Giovani, ma anche un invito concreto per le nostre comunità a rivedere il nostro stile pastorale. La “tenda” è anch’essa un simbolo portatore di molteplici significati: con la sua mobilità e provvisorietà vuole suggerire la necessità di ‘uscire da sé’, dai propri schemi, dalle proprie certezze e presunte sicurezze, per andare ‘insieme’ verso l’altro, per incontrarsi adulti e giovani e ascoltarsi reciprocamente, accogliere la vita e narrare storie che siano altrettante consegne di vita. Ogni vicariato ha mostrato una partecipazione attenta e costruttiva. Quasi ovunque si è constatata la presenza di molti giovani che interagendo con gli adulti presenti e anche con l’Arcivescovo hanno reso lo stesso incontro vicariale un vero e proprio ‘laboratorio’ della tenda. Lo scambio e il confronto vissuto, in alcune serate, in maniera molto vivace e articolata, ha quasi anticipato l’esperienza stessa della “tenda dell’incontro”, mostrando come la “settimana della tenda” può diventare davvero una sperimentazione con cui esercitare l’arte dell’ascolto e del dialogo, dell’accompagnamento e del confronto, un modo per non ingabbiare la pastorale dentro le strutture. Un modo per fare un esodo verso l’altro, verso temi che non diano risposte ma generino percorsi, domande …, a partire dall’età della giovinezza. Provare a raccontare storie che mettano al centro la vita e la storia di fede. Avvicinare temi quali il lavoro, la ricerca di senso, i legami affettivi, l’amore, il futuro, il servizio, la carità, l’università, i tempi e i luoghi del divertimento …, con lo stile non del giudizio ma di chi vuol vedere, comprendere, conoscere da vicino.

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Mons. Cacucci ha ribadito la necessità dell’incontro tra le generazioni per un dialogo efficace, attento ai linguaggi contemporanei, molteplici e diversi, e alle esigenze esistenziali antiche e sempre più profonde. Poiché attenzione ai giovani non significa farli sentire esclusivamente oggetto della cura pastorale di una comunità adulta nella fede, l’Arcivescovo ha esortato tutti a mettersi in ascolto dei loro “sogni” e a farli sentire principalmente soggetto dell’annuncio della fede e dell’impegno pastorale e sociale, intercettando anche i “sogni” degli anziani, perché la loro sapienza accompagni il divenire “adulti” di ognuno. In questa prospettiva c’è la certezza che anche il segno della tenda più che un semplice “evento” da rincorrere o una “strategia pastorale”, limitati nel tempo e nello spazio, possa diventare un’esperienza spirituale di “vita secondo lo Spirito” che chiama ad uscire dall’individualismo e a manifestare una vita di comunione e di relazione, più coerente all’essere Chiesa e ad una matura identità cristiana. sac. Mario Castellano direttore Ufficio Pastorale

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C MURIA AGISTERO METROPOLITANA PONTIFICIO Cancelleria

1. Sacre ordinazioni, ammissioni, ministeri istituiti – La sera del 3 marzo 2018, vigilia della III Domenica di Quaresima, nella chiesa parrocchiale di S. Maria del Campo in Bari-Ceglie del Campo, S.Ecc. Mons. Francesco Cacucci, Arcivescovo di Bari-Bitonto, durante una concelebrazione eucaristica da lui presieduta, con le legittime dimissorie del Ministro Provinciale, ha ordinato diacono il professo Michele Fiore, Oblato di S. Giuseppe. – Il giorno 18 marzo 2018, nella chiesa parrocchiale di S. Maria Assunta in Grumo Appula, S.Ecc. Mons. Michele Seccia, arcivescovo di Lecce, durante una concelebrazione eucaristica da lui presieduta, con le legittime dimissorie del Ministro Provinciale e la licenza dell’Arcivescovo di Bari-Bitonto, ha ordinato presbitero il diacono fra Vincenzo Dario Ardillo, dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini. – La sera del 26 marzo 2018, lunedì della Settimana santa, nella Cappella Maggiore del Seminario Arcivescovile di Bari, S.Ecc. Mons. Francesco Cacucci, Arcivescovo di Bari-Bitonto, durante una concelebrazione eucaristica da lui presieduta, ha ammesso tra i candidati al diaconato e al presbiterato dell’Arcidiocesi di Bari-Bitonto i seminaristi Francesco Cirella e Francesco Misceo.

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2. Decreti arcivescovili S.Ecc. l’Arcivescovo, con decreto del – 19 gennaio 2018 (Prot. n. 01/18/D.A.G.), ha stabilito che la parrocchia “San Giovanni Crisostomo” in Bari passi alla piena competenza della Eparchia bizantina di Lungro degli Italo-Albanesi dell’Italia Continentale; – 6 marzo 2018 (Prot. n. 07/18/D.A.G.), ha rinnovato il Consiglio Pastorale dell’Arcidiocesi di Bari-Bitonto per la durata di cinque anni e contestualmente nominato Segretario del Consiglio la sig.ra Michela Boezio.

3. Nomine e decreti singolari A) S.Ecc. l’Arcivescovo ha nominato, in data: – 1 febbraio 2018 (Prot. n. 02/18/D.A.S.-N.), don Rafael Antonio Arango all’ufficio di parroco della parrocchia “S. Pio X” in Bari, per nove anni; – 24 febbraio 2018 (Prot. n. 04/18/D.A.S.-N.), riconfermandolo nell’incarico, mons. Vito Nicola Manchisi all’ufficio di economo dell’Arcidiocesi di Bari Bitonto, per altri cinque anni. B) S.Ecc. l’Arcivescovo ha trasferito, in data – 6 marzo 2018 (Prot. n. 06/18/D.A.S.-T.), il diacono permanente Cosimo Gadaleta dall’ufficio di collaboratore della parrocchia “Maria SS. del Rosario” in Bari agli uffici di collaboratore pastorale di don Ubaldo Aruanno per il suo ministero di proferire esorcismi e di collaboratore della parrocchia “Trasfigurazione” in Bitritto. 80 C) S.Ecc. l’Arcivescovo ha istituito, in data: – 13 marzo 2018 (Prot. n. 08/18/D.A.S.-I.), p. Padmarasa Xavier Amaladass, O.C.D. all’ufficio di vicario parrocchiale della parrocchia “S. Maria del Monte Carmelo” in Bari; – 13 marzo 2018 (Prot. n. 09/18/D.A.S.-I.), p. Jozsef Puvac, O.C.D. all’ufficio di vicario parrocchiale della parrocchia “S. Maria del Monte Carmelo” in Bari.


CURIA METROPOLITANA D) S.Ecc. l’Arcivescovo, in data – 3 febbraio 2018 (Prot. n. 03/18/L.A.), ha concesso licenza a S.Ecc. Mons. Michele Seccia, Arcivescovo Metropolita di Lecce, per il conferimento, nella chiesa parrocchiale “S. Maria Assunta” in Grumo Appula, dell’ordinazione presbiterale a fra Vincenzo Dario Ardillo, O.F.M. Cap.; – 29 marzo 2018 (Prot. n. 12/18/L.A.), ha concesso licenza per la pubblicazione a stampa di una preghiera per l’intercessione del Servo di Dio Mons. Tommaso Maria Ruffo, O.P., Arcivescovo di Bari.

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CURIA METROPOLITANA Settore Vita Consacrata - Caritas Diocesana*

La carità che accade sulla nostra terra (Bari, 28 febbraio 2018)

Anzitutto vorrei ringraziare il Vicario episcopale, p. Luigi Gaetani, per la disponibilità, che abbiamo concordato assieme a suor Maria Rosaria, di vivere questo incontro come Caritas diocesana e Vita consacrata. Saluto cordialmente ciascuna e ciascuno di voi. Sono grato personalmente per la condivisione del mio impegno ministeriale a fianco di diverse religiose anche di congregazioni diverse così come ringrazio Dio per la possibilità che, a volte, mi viene data, di conoscere il dono che voi, con le congregazioni che rappresentate, vivete su diversi versanti della carità. Grazie per quanto il Signore vi dona la grazia e la gioia di essere e di fare per i più fragili e vulnerabili nel territorio della nostra diocesi e oltre! Da dove nasce questo incontro? L’incipit ci è venuto dal Messaggio che papa Francesco ha affidato alla Chiesa universale per la I Giornata mondiale dei poveri (19 novembre 2017). Quel messaggio ci ha portati come Caritas ad organizzare diversi incontri con alcune realtà per cercare di condividerne lo spirito e l’orizzonte. Abbiamo incontrato le caritas parrocchiali, i sindaci dei paesi della diocesi, i giovani, a breve le associazioni laicali, gli assistenti sociali, etc. * Relazione tenuta dal direttore della Caritas diocesana don Vito Piccinonna all’incontro con i membri del Settore Vita consacrata.

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Nel Messaggio il Santo Padre, dopo aver evidenziato il dato fondamentale dell’amore verso i poveri che emerge dalla Parola di Dio per sostenerci nella testimonianza e provocare la nostra azione a favore dei più bisognosi (cfr Atti degli Apostoli, Lettera di Giacomo), annota: «Ci sono stati momenti in cui i cristiani non hanno ascoltato fino in fondo questo appello, lasciandosi contagiare dalla mentalità mondana. Ma lo Spirito Santo non ha mancato di richiamarli a tenere fisso lo sguardo sull’essenziale. Ha fatto sorgere uomini e donne che in diversi modi hanno offerto la loro vita a servizio dei poveri. Quante pagine di storia, in questi duemila anni, sono state scritte da cristiani, che in tutta semplicità e umiltà, e con la generosa fantasia della carità, hanno servito i loro fratelli più poveri». Il nostro pensiero può andare subito ora a tutti i vostri Fondatori, uomini e donne che in un determinato periodo della storia civile ed ecclesiale non sono restati sordi alla voce dello Spirito riuscendo ad interpretare, non senza difficoltà, i segni e i sogni di bene di Dio con la preferenza verso i più poveri, che avevano ora il volto dei più giovani, ora quello delle donne esposte alla prostituzione, ora gli ammalati, e via dicendo, senza dimenticare quei gesti silenziosi ma altrettanto preziosi che vengono offerti anche a uno solo di quei fratelli più piccoli di cui parla il Vangelo. Anche per questo nostro incontro mi pare importante rileggere il motivo che ha portato a istituire la Giornata mondiale dei poveri: «Perché in tutto il mondo le comunità cristiane diventino sempre più e meglio segno concreto della carità di Cristo per gli ultimi e per i più bisognosi tenendo così chiara la predilezione di Gesù per i poveri». Mi pare che papa Francesco con una certa insistenza porti a considerare un aspetto che spesso può rimanere ancora estraneo al nostro impegno: pensando a Francesco d’Assisi dice: «egli non si accontentò di abbracciare e dare l’elemosina ai lebbrosi ma decise di andare a Gubbio per stare insieme con loro». Questo mi pare uno dei tratti fondamentali del magistero di papa Francesco: non solo una Chiesa povera per i poveri ma soprattutto una Chiesa che sta con loro, che condivide la loro sorte, le loro speranze e anche la loro povertà. Un chiaro superamento dell’aspetto assistenzialistico che stenta a venir meno nelle nostre realtà caritative, per assumerne un altro più promozionale, che indichi un riscatto, e mai la consacrazione di un regime di povertà procrastinato all’infinito. (Permet-


CURIA METROPOLITANA tetemi di dire che le due derive che spesso ci sono nelle nostre realtà caritative, parlo soprattutto delle parrocchie, ma temo che neppure le vostre realtà ne siano esenti, sono proprio l’assistenzialismo e l’autorefenzialità). In questo stare con i poveri non solo noi diamo qualcosa ma riceviamo da loro un senso diverso delle cose, una gerarchia diversa dei significati della vita, siamo aiutati a reimpostare a 360 gradi le nostre relazioni: con Dio, con gli altri, con le cose, con noi stessi. I poveri ricordano a ciascuno di noi soprattutto la nostra e le nostre povertà (talvolta miserie) personali e comunitarie e ci invitano, pur senza dirlo, a ripartire in maniera diversa. Care religiose, cari religiosi, proprio il contatto con i fratelli e le sorelle più poveri, la condivisione vissuta con loro – alla pari! – rende la vostra consacrazione capace di dire qualcosa di forte a tutta la nostra realtà ecclesiale. Non rinunciate a provocarci, mostrateci ancora la freschezza del messaggio evangelico, l’essenziale, la fonte: Gesù Cristo e il Suo Regno! Non vi prenda la tentazione della nostalgia specie pensando ai vostri fondatori e anche al loro impegno caritativo. Immagino che non si tratti tanto di pensare a quello che loro fecero nel loro tempo illudendosi quasi di ricopiarle con le stesse modalità: tutto questo sarebbe quantomeno anacronistico. Fedeltà al carisma forse è chiedersi in maniera rinnovata e fresca (starei per dire “in maniera casta”) ciò che oggi farebbero loro davanti a tanta umanità in difficoltà. Don Primo Mazzolari soleva dire che «la nostalgia è la tomba della profezia». E profezia è uno sguardo nuovo sulla realtà, sulle persone, sui più poveri che viene dal vostro essere innestati in Cristo, dalla grazia della vostra particolare consacrazione e dal servizio che rendete all’interno del popolo santo di Dio. Come non pensare che già la vostra vita di comunione rappresenta il primo annuncio profetico verso questo mondo a tratti disumano in cui il grembo di ogni povertà, la madre di ogni povertà è proprio la solitudine? (cfr Genesi: «non è bene che l’uomo sia solo»). Aiutate tutto il popolo di Dio a non rischiare l’imborghesimento, a saper rinunciare – se occorre – anche alle strutture, a valutarle non

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solo con sapienza matematica ed economica ma anzitutto evangelica. Vi posso dire un piccolo segno che per me parla più di 10mila parole: papa Francesco sceglie di scendere dal palazzo apostolico a Santa Marta! Ma quella è la residenza del Papa…è una tradizione ormai assunta… e, invece, papa Francesco sa cambiare, sa scendere, sa rinunciare. Ecco, anche nelle nostre scelte c’è un passaggio dal nostro “palazzo apostolico” a “Santa Marta”. È un passaggio pasquale che dobbiamo vivere. Ciò fa emergere quella gratitudine e speranza tipica di chi sa che stiamo lavorando non per una ricompensa terrena ma per l’eternità che è già iniziata e che ha nei più poveri i nostri giudici e avvocati… Poi, diciamolo con chiarezza, non vale solo per voi ma per tutta la Chiesa: come facciamo a parlare di voto o promessa di povertà quando il nostro standard di vita supera di gran lunga quello di tanti nostri fratelli e sorelle, di tante famiglie? Forse qualche anno fa tanti servizi “rendevano”, forse giravano un po’ di soldini in più, si avevano sempre un po’ di “conoscenze” e di strutture e magari a volte ci siamo permessi anche il lusso di classificarci in base al servizio (anche caritativo!) che svolgevamo… Non è il voto di povertà e di castità un modo intenso per dire che non apparteniamo a noi stessi ma a Dio e a tutti i suoi figli, specie chi fa più fatica? Non è l’eccesso d’amore che sperimentiamo un buon motivo per avere uno sguardo privilegiato per i non-amati, i maiamati, i mal-amati? E le poche vocazioni e paradossalmente le grandi e vuote strutture non possono stimolarci talora a pensare ciò che non è stato ancora pensato, in termini di comunione tra congregazioni, magari condividendo insieme mezzi e risorse umane in vista di risposte più adeguate ai bisogni di una città? Oggi ci sentiamo tutti un po’ più poveri… È proprio una disgrazia questo? Non è che il buon Dio ci ha fatti aiutare dalla vita a compiere ciò che noi, da soli, non avremmo avuto il coraggio di compiere? Questa leggerezza “costretta” non può essere un dono provvidente per ripensarci? Io credo di sì! Questo aiuta a non dimenticare quel primo Amore, che è l’Assoluto della vita della Chiesa e che voi continuate a testimoniare in maniera generosa. Sono piaciute anche a me le parole che il Papa ha pronunciato nell’ultima giornata della vita consacrata: Quanto ci fa bene, come Simeone, tenere il Signore


CURIA METROPOLITANA «tra le braccia» (Lc 2,28)! Non solo nella testa e nel cuore, ma tra le mani, in ogni cosa che facciamo: nella preghiera, al lavoro, a tavola, al telefono, a scuola, coi poveri, ovunque. Avere il Signore tra le mani è l’antidoto al misticismo isolato e all’attivismo sfrenato, perché l’incontro reale con Gesù raddrizza sia i sentimentalisti devoti che i faccendieri frenetici. Vivere l’incontro con Gesù è anche il rimedio alla paralisi della normalità, è aprirsi al quotidiano scompiglio della grazia. Lasciarsi incontrare da Gesù, far incontrare Gesù: è il segreto per mantenere viva la fiamma della vita spirituale. È il modo per non farsi risucchiare in una vita asfittica, dove le lamentele, l’amarezza e le inevitabili delusioni hanno la meglio. Incontrarsi in Gesù come fratelli e sorelle, giovani e anziani, per superare la sterile retorica dei “bei tempi passati” – quella nostalgia che uccide l’anima –, per mettere a tacere il “qui non va più bene niente”. Se si incontrano ogni giorno Gesù e i fratelli, il cuore non si polarizza verso il passato o verso il futuro, ma vive l’oggi di Dio in pace con tutti. Vorrei terminare offrendovi un augurio. Lo faccio con le parole di un caro amico, editore, Renato Brucoli, che ha vissuto tanto a fianco di don Tonino Bello, amico dei poveri: «Non sarà la bellezza a salvare il mondo. Sarà la maternità a liberarlo: la capacità di portare in braccio la fragilità e la premura che fascia di tenerezza un figlio proprio o non proprio; il gesto di accogliere che vedo ritratto più spesso all’arrivo dei migranti, laddove ci sono dei bambini. La maternità non è solo delle donne nei confronti della propria prole. È una dimensione tipicamente “femminile” ma non è donna soltanto. Per sperimentarla occorre fissare l’altro, che i volti si sfiorino, che i cuori battano forte e all’unisono, di sentimenti umani, umanissimi. Nell’indifferenza odierna sarà la maternità a salvare il mondo. O la bellezza, se la si riconosce come espressione della maternità. O Cristo se lo si considera nell’abbraccio della croce. O Dio se si conviene che sia anche madre».

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Grazie e auguri, perché grazie anche alla vostra maternità la Chiesa mostrerà ancora oggi il suo volto più autentico e potrà generare vera fraternità in un mondo che spesso sembra andare da tutt’altra parte ma che in fondo, da credenti lo sappiamo, va, nonostante tutto, verso Dio, alfa e omega delle nostre vite e del cosmo intero. sac. Vito Piccinonna direttore Caritas diocesana

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CURIA METROPOLITANA Ufficio Caritas-Ufficio Laicato

La forza trasformatrice della carità* (Bari, 5 marzo 2018)

Saluto cordialmente i rappresentanti delle diverse associazioni e movimenti della CDAL e ciascuno dei presenti. Colgo da subito l’occasione di manifestare a nome della Caritas diocesana l’apprezzamento per l’impegno caritativo che in forme, modalità, accentuazioni e sensibilità diverse accompagna, ne sono certo, le vostre realtà. Aggiungo da subito che un primo obiettivo di questo nostro incontrarci può essere anche quello di volerle mettere in rete, non certo per negare il detto di Gesù: «non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra e la tua elemosina resti segreta»(Mt 6,34) quanto piuttosto perché «risplenda la vostra luce davanti agli uomini, vedano le vostre buone opere e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli» (Mt 5,16). Da dove nasce questo incontro? L’incipit ci è venuto dal Messaggio che papa Francesco ha affidato alla Chiesa universale per la prima Giornata mondiale dei poveri (19 novembre 2017). Quel messaggio ci ha portati come Caritas ad organizzare diversi incontri con tante realtà per cercare di condividerne lo spirito e l’orizzonte. Accanto all’ordinario abbiamo incontrato le Caritas parrocchiali, i sindaci dei paesi della diocesi col Vescovo, i giovani, i consacrati, a breve gli assistenti sociali, etc. *

Relazione tenuta dal direttore della Caritas diocesana don Vito Piccinonna all’Assemblea del laicato presso l’Aula sinodale (5 marzo 2018).,

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Quanto vi affido questa sera in questa semplice comunicazione rappresentano degli appunti, spero utili, delle provocazioni, anche per poterci confrontare insieme e, perché no, dei promemoria da condividere all’interno delle nostre realtà. Poi… “Dio provvede”! Anche per questo nostro incontro mi pare importante rileggere il motivo che ha portato papa Francesco a istituire la Giornata mondiale dei poveri: «Perché in tutto il mondo le comunità cristiane diventino sempre più e meglio segno concreto della carità di Cristo per gli ultimi e per i più bisognosi tenendo così chiara la predilezione di Gesù per i poveri». Per far questo ciascuno certamente può fare molto e voi laici con la vostra particolare vocazione potete aiutare non poco tutta la Chiesa ad essere all’altezza di questo compito! Nello stesso Messaggio il Papa riprende l’episodio della istituzione dei diaconi per il servizio delle mense contenuta negli Atti degli Apostoli e afferma: «È certamente questo uno dei primi segni con i quali la comunità cristiana si presentò sulla scena del mondo: il servizio ai più poveri. Tutto ciò le era possibile perché aveva compreso che la vita dei discepoli di Gesù doveva esprimersi in una fraternità e solidarietà tali, da corrispondere all’insegnamento principale del Maestro che aveva proclamato i poveri beati ed eredi del Regno dei cieli». È proprio la fedeltà a questo “insegnamento principale del Maestro” che deve trovare ciascuno di noi personalmente, e magari le nostre realtà, al loro interno e un po’ di più tra di loro, a vivere e condividere l’impegno a fianco dei più poveri in una carità che lontano da ogni deriva assistenzialistica e autoreferenziale riporti i più poveri al centro delle nostre attenzioni, dei nostri ambienti, dell’intera comunità cristiana! So bene che si fa già tanto e su diversi versanti, ma oggi penso che la sfida sia anche “esercitarci” insieme anche oltre le nostre sigle. Sento parlare troppo spesso di “rete/far rete” a tutti i livelli, anche in ambienti caritativi… Penso che non le vogliamo realmente queste reti per l’accentuato individualismo che talvolta ci accompagna, e di conseguenza le sigle prendono il sopravvento su quel noi che - solo! - può diventare sostegno-presenza-rete-forza per i più fragili e vulnerabili della nostra società. Se il grembo-la madre-la radice di ogni povertà (materiale/morale/spirituale) è la solitudine (cfr Genesi), non le cose ma la comunione, le relazioni rappresentano già un’àncora di salvataggio non indifferente nella vita di molti. Ecco perché, pensando al titolo di questo


CURIA METROPOLITANA nostro incontro: La forza trasformatrice della carità, vorrei dire da subito che necessitiamo tutti di una trasformazione/conversione, personale e comunitaria, per esprimere meglio il dinamismo della carità. Spesso vorremmo cambiare gli altri, il mondo, le strutture, e ci accorgiamo che la prima riforma riguarda le nostre persone e i nostri circuiti anche ecclesiali. Sono certo che in questa trasformazione saremo aiutati proprio dai poveri, soprattutto se impareremo a ridare loro il centro, così come era nella prassi di Gesù. Questo non è indolore perché chiede a noi di de-centrarci… È proprio l’incontro con i poveri, la condivisione con loro che aiuta la comunità, non solo quella degli Atti ma pure quella di oggi, a ricomprendere il proprio servizio dentro una Chiesa che assume sempre più i tratti “diaconali”. Essere e vivere la carità è anche lasciarsi ferire… In un suo importante libro lo scrittore irlandese C. Lewis ha affermato: «Amare è sempre essere vulnerabili. Ama qualche cosa e il tuo cuore certamente si ritroverà diviso, rotto, sofferente. Se vuoi essere sicuro di mantenere intatto il tuo cuore, non darlo a nessuno, neanche a un animale. Avvolgilo attentamente in hobby, in piccoli lussi, in abitudini quotidiane, evita ogni coinvolgimento amoroso, chiudilo al sicuro nell’urna o nella bara del tuo egoismo, ma nell’urna sicura, oscura, immobile, senza aria, il tuo cuore cambierà, non si romperà, stanne certo, diventerà infrangibile, impenetrabile, irrimediabile. L’alternativa alla tragedia, o almeno al rischio della tragedia, è la condanna. L’unico luogo, a parte il cielo, dove può essere perfettamente salvo da tutti i pericoli e perturbazioni dell’amore è l’inferno». Il credente si lascia illuminare ma anche decentrare/sbilanciare dal Vangelo e scopre che trasformarsi consiste nell’assumere i gusti sbilanciati di Dio, di un Dio che fa preferenze, che è capace di farsi rivelare persino da una donna siro-fenicia (Mt 15, 21-28), che c’è un primato dei figli d’Israele ma c’è pure una casa comune in cui ci sono i cagnolini sotto la tavola e che si può convivere insieme, si può trovare una convivialità senza spegnere le differenze, ma anche senza negare i diritti. Con il grande dono di papa Francesco e più e prima ancora del Vangelo e della testimonianza dei Santi e anche degli iniziatori dei

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vostri gruppi chiediamoci: quale scelta preferenziale dei poveri stiamo facendo e stiamo aiutando a fare alle nuove generazioni? Diciamocelo con molta chiarezza! La fede cristiana è chiamata ad essere responsabile e responsoriale nei confronti della storia, di tutti, con uno sguardo di preferenza per i più poveri. La Croce di Gesù rappresenta la testimonianza più radicale di tale chiamata. Non rinunciamo all’istanza critica del Vangelo nei confronti di ogni idolatria, disumanità e ingiustizia! Non dobbiamo rinunciare all’incontro con la carne viva di Cristo che sono i poveri! Per il cristiano si tratterà sempre di un soggetto, non di un oggetto, non un “destinatario di” ma un soggetto privilegiato: la vittima, il povero, l’escluso. Questo per il cristiano è un lascito evangelico. Non un optional! Non qualcosa da mettere a margine, quasi un completamento ulteriore, un “di più” per eroi e valorosi. Questo è semplicemente l’essenziale, la prova del nove della nostra fede, la verifica delle nostre parole. Compito della comunità cristiana, e della Caritas in essa, è poter essere memoria vivente di questo lascito evangelico. Le Beatitudini sono un impegno per i cristiani di ieri e di oggi non per consacrare la povertà (degli altri!) ma per annunciare che dove giunge il Regno di Gesù diventa necessario porre fine alle parole povertà, emarginazione e persecuzione. A partire da lì il povero non è solo un emarginato ma è persona con tutta la sua dignità, un soggetto della storia e della Chiesa. Non ci si può accontentare di essere, noi, “voce dei senza voce”; raggiungiamo il nostro scopo quando aiutiamo loro a prendere la parola e a riprendersi il loro posto nella Chiesa e nella società. L’apostolo Paolo, poco prima dell’inno alla carità, parla della Chiesa come di un corpo. Un corpo! Non un’azienda o una macchina da mandare avanti alla meglio. E in questo corpo «le membra più deboli sono le più necessarie»! Qui vien detta l’evangelica centralità del povero nella vita della Chiesa: non per l’attività assistenziale della Chiesa, ma perché la vita della Chiesa sia vita della Chiesa di Dio! Jean Vanier, fondatore dell’Arca, che ha passato la sua vita con persone particolarmente segnate da handicap mentali, commentando questa pagina di Paolo, si chiede se davvero il povero è al cuore della Chiesa, se i poveri, i malati, gli emarginati (oggi potremmo dire gli immigrati, i rom e tantissimi altri…) sono davvero membra necessarie. L’affermazione della centralità del povero nella vita ecclesiale ha


CURIA METROPOLITANA risvolti importanti per ciascuno di noi, per la comunità cristiana nel suo complesso e per ciascuna realtà ecclesiale. Per il Vangelo il povero è un soggetto di particolarissima rilevanza perché è portatore di un giudizio sull’agire ecclesiale, sull’agire dei cristiani e della Chiesa. J.B. Metz sulla scorta di Mt 25 parla dell’autorità escatologica dei poveri, degli esclusi, degli affamati, degli emarginati. Ecco perché dicevo che la presenza dei poveri trasforma anche noi e le nostre realtà. A patto che essi non siano solo destinatari di una qualche beneficenza, ma che sia loro permesso di entrare in una reciprocità nella quale possiamodobbiamo ricevere e dare. La carità è sempre sapientemente promozionale altrimenti è solo elemosina. La carità chiede di diventare segno di speranza attraverso la vita dei credenti. La storia della salvezza che ha Cristo al suo culmine chiede di farsi salvezza di tante storie ferite dal non-amore, dal pocoamore, da nessun-amore. Chiede di essere presenti, ciascuno con la propria vocazione, nelle tante storie familiari laddove c‘è un figlio che si droga o c’è un malato lungodegente o un malato psichico o dove una relazione soffre un lutto, un abbandono, una separazione, una solitudine… È a contatto con queste situazioni che nasce e matura l’autentica speranza cristiana. È amando che oggi, come ieri, evangelizziamo. Soprattutto oggi la carità trasforma noi e le nostre realtà e le rende “Vangelo” per tanti. Il buon Dio ci conservi sempre in quella sana umiltà di chi sa che il nostro, in fondo, è un fragile e pallido tentativo di imitare Lui, che diede ciò che di più caro aveva: il Suo figlio unigenito. La carità ci trasforma in Dio stesso. Non attendiamo altra ricompensa che questo dono grande. E ciò che faremo a uno solo di questi suoi fratelli più piccoli sarà semplicemente restituzione di quanto abbiamo ricevuto. Ad un ultimo aspetto vorrei appena accennare, e calza a pennello in questo lunedì postelettorale… Le nostre realtà hanno la bella capacità di promuovere iniziative e servizi a diversi livelli. Facciamo sì che questi servizi possano incidere in maniera più determinante sul modo di concepire la vita nei suoi aspetti fondamentali. Diciamolo così: tanti servizi devono produrre più cultura, devono testimoniare un senso alto e altro della vita, quello mutuato dal Vangelo e vissuto da tanti

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uomini e donne di buona volontà. La carità dovrebbe esprimere sempre di più un certo modo di intendere la vita, il senso dell’accoglienza (!), una certa maniera globale di abitare la realtà, di vedere le cose senza dimenticare che la carità non è mai innocua, ha una carica politica che non dobbiamo zittire. La carità dice un modo di abitare la città, la polis. La carità chiede di farsi cultura perché non è solo “cosa del cuore”, buonismo sentimentale, ma interroga le relazioni familiari e sociali, il modo di organizzare la convivenza civile. Altro che “oppio dei popoli”! Solo una fede che si fa agapica scuote le convenzioni, sovverte i modi pigri e ripiegati di vivere l’esistenza, lotta contro i particolarismi e le indifferenze che non solo non generano fraternità ma che spesso la ostacolano. Nell’Evangelii gaudium il Santo Padre parla di “sfide delle culture urbane” all’evangelizzazione e sostiene che si rende necessaria un’evangelizzazione che illumini i nuovi modi di relazionarsi con Dio, con gli altri e con l’ambiente, e che susciti i “valori fondamentali”, e poco più avanti continua dicendo: «quello che potrebbe essere un prezioso spazio di incontro e solidarietà, spesso si trasforma nel luogo della fuga e della sfiducia reciproca. Le case e i quartieri si costruiscono più per isolare e proteggere che per collegare e integrare» (EG 74 e 75). La vostra peculiare vocazione laicale non può non ritornare a vantaggio di tutta la comunità cristiana perché mai dimentichi la storia e i poveri, prediletti del Signore, e a partire da loro si costruisca una società più equa e fraterna sperando di essere incamminati in quel sogno che papa Francesco ci ha affidato a Firenze, nel Convegno della Chiesa italiana (novembre 2015): «Mi piace una Chiesa italiana inquieta, sempre più vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti» e ancora: «Desidero una Chiesa lieta con volto di mamma, che comprende, accompagna, accarezza. Sognate anche voi questa Chiesa, credete in essa». Grazie. sac. Vito Piccinonna direttore della Caritas diocesana


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CONSIGLI DIOCESANI Consiglio Presbiterale diocesano

Verbale della riunione del 23 febbraio 2018

Il giorno 23 febbraio 2018, alle ore 9.30, presso il salone della Casa del Clero in Bari, si è riunito il Consiglio Presbiterale diocesano, convocato e presieduto dall’Arcivescovo mons. Francesco Cacucci. Sono presenti: S.Ecc.za mons. Domenico Padovano, il Vicario generale mons. Domenico Ciavarella e i Vicari episcopali: don Vittorio Borracci e don Andrea Favale. Sono assenti: padre Luigi Gaetani, O.C.D., mons. Alberto D’Urso, mons. Angelo Latrofa, mons. Domenico Falco, don Marino Decaro, padre Franco Annicchiarico, S.J., padre Damiano Bova, O.P. e don Francesco Gramegna. All’ordine del giorno: 1) Il discernimento vocazionale dei giovani da parte del presbitero. Relatore: mons. Domenico Padovano. 2) Varie ed eventuali. Dopo la preghiera dell’Ora Media viene data lettura del verbale della riunione del 20 ottobre 2017. Il Consiglio approva il verbale all’unanimità. 1. Si passa dunque al primo punto all’o.d.g. L’arcivescovo invita mons. Domenico Padovano, data la sua lunga esperienza nel discernimento vocazionale, a prendere la parola, per aiutare l’assemblea del Consiglio a riflettere su questo argomento.

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Monsignor Padovano introduce la sua riflessione citando un intervento di Papa Francesco in occasione della presentazione del documento preparatorio al Sinodo dei vescovi sui giovani: «Non abbiate paura di ascoltare lo spirito che vi suggerisce delle scelte audaci, non indugiate quando la coscienza vi chiede di rischiare per seguire il Maestro; come ai discepoli anche a voi il Signore rivolge il suo sguardo e vi invita ad andare verso di Lui. Ciò sarà possibile nella misura in cui attraverso l’accompagnamento di guide esperte saprete intraprendere un itinerario di discernimento, per scoprire il progetto di Dio sulla vostra vita». Il Vescovo evidenzia come oggi i giovani si sentano soli e smarriti, perché non trovano delle guide capaci; cercano, infatti, qualcuno che li ascolti e dialoghi con loro. Hanno bisogno di figure di riferimento, vicine, credibili, coerenti; in grado di sostenere, incoraggiare e aiutare, hanno bisogno di una relazione d’aiuto, di consiglio, personalizzata: la direzione spirituale. Il vescovo prosegue la sua riflessione specificando che cosa sia una direzione spirituale ed evidenziando le caratteristiche di un buon direttore spirituale. La direzione spirituale è un ministero di accompagnamento, che porta pace e consapevolezza, una diaconia per la pedagogia della santità, perché è nel segreto del cuore che ci si gioca la vita. La direzione favorisce la costruzione di una personalità motivata, aiuta a concretizzare intuizioni, riduce i rischi del soggettivismo, aiuta a discernere ispirazioni, ideali e progetti, guida nella scoperta del proprio progetto di vita; infatti la storia di ogni consacrazione è storia di direzione spirituale. Il direttore spirituale, esperto in umanità e spiritualità, aiuta il giovane a interpretare i movimenti del cuore, a riconoscere l’azione dello Spirito e a favorire la relazione tra il giovane e Dio. Si richiede a lui tanta saggezza, vicinanza e pazienza nell’accompagnamento. È richiesta a lui quella che don Tonino Bello amava chiamare la “pedagogia della soglia”; ovvero sostare sul portone delle coscienze dei giovani, senza invaderle, senza prevaricare, aiutandoli con discrezione a costruirsi sul progetto Vangelo, con i materiali che la storia e la vita propongono per giocarsi la libertà, non deve sostituirsi ai giovani nelle scelte e decisioni che spettano a loro. I giovani, infatti, cercano un accompagnamento personalizzato, ma


CONSIGLI DIOCESANI vogliono rimanere protagonisti nella corresponsabilità; cercano una guida autorevole, non autoritaria; sapiente, non onnisciente; umile, sincera e soprattutto credibile, in quanto ha già realizzato in sé i traguardi che addita agli altri. Mons. Padovano aggiunge che così come tutti hanno bisogno di essere guidati, tutti possono fare da guida; ovvero tutti possono essere padri e madri nello spirito, anche i laici; infatti la capacità di guida non è legata all’età o al ruolo. Continuando nella riflessione evidenzia come oggi scarseggino i direttori spirituali, perché si preferisce la pastorale di massa, quella dei grandi raduni e non si ha tempo e voglia dell’accompagnamento personalizzato. Si preferisce lavorare industrialmente, anziché artigianalmente; la crisi della direzione spirituale è crisi di paternità e spiega anche la crisi di vocazioni di speciale consacrazione. Seguono alcuni interventi: Viene notato come il discernimento sia uno stare accanto nella fraternità. Si evidenzia come per il presbitero, aiutare nel discernimento significa individuare il carisma, il dono dello spirito che è nell’altro. Si rileva come il discernimento spirituale di un giovane non debba essere un servizio riservato solo a una persona, ma è il compito di un’intera comunità che si concepisce attorno al giovane come sostegno, compagnia e confronto. Viene espressa qualche perplessità sul fatto che tutti possano esercitare il ruolo di direttori spirituali, ci si domanda se colui che accompagna al discernimento vocazionale un giovane non debba possedere una robusta formazione umana, psicologica ed ecclesiale. Si evidenzia come la “pedagogia della soglia” non sia proprio scontata in tanti accompagnamenti spirituali, infatti non tutti hanno gli strumenti per fare da guida spirituale. Si sottolinea come ci sia tanta sapienza spirituale in alcune coppie che potrebbero essere in grado di esercitare il ruolo di guida per i giovani. Viene fatto notare come si riscontri nei giovani un vissuto di vita cristiana molto fragile, a tal punto che anche alcuni ingressi in seminario si fondano su motivazioni banali e superficiali.

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Si sottolinea come le comunità cristiane debbano tornare a lavorare su una spiritualità battesimale, di vita autenticamente cristiana. Sì rileva un duplice rischio in cui possono incorrere i sacerdoti, soprattutto quelli appena ordinati: quello di troncare il proprio cammino di direzione spirituale e quello di non riuscire ad avere tempo per l’ascolto e l’accompagnamento di chi desidera un colloquio spirituale. Si chiede che i fedeli vengano educati a distinguere tra direzione spirituale e confessione. Viene notato come oggi manchi nei giovani il desiderio di intraprendere un cammino di discernimento. Si sottolinea come nella direzione spirituale il sacerdote debba “perdere tempo” con chi accompagna e si evidenzia come le nuove generazioni di sacerdoti non sempre riconoscono questo tipo di necessità e di urgenza. Si chiede quale tipo di cristianesimo passa attraverso l’esperienza parrocchiale che le comunità animano. Si chiede che venga posta l’attenzione nella vita pastorale alle scelte fondamentali di fede dei giovani, pertanto si propone di offrire loro delle brevi esperienze di vita comunitaria, dove accompagnati da alcune guide, possano maturare il proprio percorso umano e cristiano. Si evidenzia come il padre spirituale non debba cadere nell’errore di imporre le proprie idee a chi accompagna, di plagiarlo, di creare dipendenze affettive; deve invece aiutare il giovane a far venire fuori il suo carisma a riconoscerlo e a svilupparlo agendo con tanto rispetto, umiltà e pazienza. Viene sottolineata l’importanza del lavoro personale, dell’accompagnamento della persona in maniera artigianale e non industriale. Si chiede in quali termini i laici possono svolgere questo ruolo di accompagnamento nei confronti dei giovani. 98

Monsignor Padovano, al termine degli interventi, ringrazia tutti coloro che hanno arricchito la tematica con dei validi contributi e sottolinea come il sacerdote rimanga colui cui si addice meglio il ruolo di padre spirituale, ma al tempo stesso, rileva come ci siano figure laicali meravigliose, che hanno acquisito un’esperienza che possono mettere a disposizione dei giovani e che possono essere per loro aiuto nel discernimento. Il vescovo, infine, propone come modello di discernimento Maria di Nazareth, dalla quale possiamo imparare lo stile dell’ascolto, la profondità del discernimento e il coraggio della missione.


CONSIGLI DIOCESANI L’arcivescovo ringrazia mons. Padovano per la riflessione e tutti coloro che sono intervenuti e comunica che il Consiglio comunale di Bari ha concesso nella zona di Japigia, nella fascia denominata maglia 22, un terreno per l’erezione di una nuova parrocchia. Questa concessione ha una durata di settanta anni. Il Consiglio presbiterale aveva già approvato il 20 gennaio 2012 la proposta di far sorgere una parrocchia nella zona precedentemente indicata, vista la forte espansione demografica in quella zona di Bari. Inoltre, informa che la stessa espansione demografica non si è verificata nella cosiddetta zona di Lama Balice, a nord di Bari, direzione Bitonto; quindi la proposta di far sorgere anche lì una parrocchia è al momento messa da parte. Chiede al Consiglio che la nuova sede parrocchiale a Casamassima sia intitolata a san Vincenzo Ferrer. Il Consiglio approva all’unanimità. Aggiorna il Consiglio della questione riguardante la parrocchia “San Giovanni Crisostomo”, di rito cattolico-albanese, situata a Bari nella città antica e da diversi anni legata all’eparchia di Lungro. L’arcivescovo di Bari, in accordo con il vescovo di Lungro, monsignor Oliviero, tramite un decreto, ha concesso questa parrocchia totalmente all’eparchia di Lungro. Infine l’Arcivescovo chiede che per il prossimo Consiglio presbi-terale ci si confronti sull’esperienza vicariale della “Tenda dell’incontro”, offrendo suggerimenti sul come impostare il convegno diocesano del 2 giugno che si terrà a Bitonto, presso la parrocchia “Santi Medici”. Il Consiglio approva all’unanimità. Segue una comunicazione da parte di don Mario Castellano, il quale ricorda ai presenti che il consiglio pastorale, appena eletto, è stato convocato il 22 marzo alle ore 19.00, presso il salone della Casa del Clero. La riunione si conclude alle 12.30 con la preghiera dell’Angelus. Il Segretario sac. Pierpaolo Fortunato

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CONSIGLI DIOCESANI Consiglio Pastorale diocesano

Verbale della riunione del 10 maggio 2017

Il giorno 10 maggio 2017, alle ore 19.00, presso la Casa del Clero in Bari, si è riunito il Consiglio Pastorale Diocesano, convocato e presieduto dall’Arcivescovo mons. Francesco Cacucci, per discutere il seguente ordine del giorno: 1. Verso il rinnovo del Consiglio Pastorale Diocesano. Al termine del mandato quinquennale e in vista del suo rinnovo, il Consiglio si verifica su criteri, metodi e procedure del lavoro svolto. 2. Varie ed eventuali. Risultano assenti giustificati: don Ambrogio Avelluto, don Paolo Bux, don Vito Campanelli, p. Ciro Capotosto, O.P., don Vito Carone, don Carlo Cinquepalmi, don Giuseppe Cutrone, don Marino Cutrone, don Donatello De Felice, p. Leonardo Di Taranto, O.F.M. Cap., mons. Domenico Falco, don Franco Lanzolla, don Donato Lucariello, don Domenico Moro, don Angelo Romita, don Michele Sardone, don Antonio Serio, don Alessandro Tanzi, diac. Lorenzo Petrera, suor Cristina Alfano, suor Cadia D’Amore, suor Anna Grazia Di Liddo, suor Margherita Martellini, sig. Gennaro Capriati, sig. Gabriele Clemente, sig. Nicola Costantino, sig. Alfredo De Santis, sig. Fabio Laricchia, sig. Vito Massari, sig. Ferdi-

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nando Nocerino, sig. Vincenzo Pesce, sig. Donato Pietanza, sig.ra Simona Piscitelli, sig. Mario Prestigiacomo, sig. Domenico Savino, sig.ra Lucy Scattarelli, sig. Salvatore Schiralli ,sig. Francesco Sfarzetta, sig. Attilio Simeone, sig. Michele Tanzi, sig. Giuseppe Variato, coniugi Cinzia e Michele Vurro. Il Consiglio ha inizio con un momento di preghiera, seguito dal saluto del segretario a padre Arcivescovo e a tutti i presenti. Prima di procedere con la discussione di quanto all’ordine del giorno, si dà lettura del verbale della seduta del 3 aprile. Il verbale è letto e approvato all’unanimità.

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1. Il segretario introduce la verifica ricordando ai consiglieri che il mandato quinquennale dei membri del Consiglio Pastorale, insediatosi il 1° giugno 2012, volge al termine e che occorrerà procedere al rinnovo della sua componente “elettiva”, cioè all’elezione di n. 26 consiglieri all’interno dei dodici Vicariati, a cui vanno aggiunti altri due per il Vicariato territoriale di Bitonto-Palo. La nostra Chiesa locale è stata tra le prime diocesi, in Italia, a introdurre questo importante “segno e strumento” di comunione ecclesiale alla luce del magistero del Concilio Vaticano II. In sintonia con padre Arcivescovo, pertanto, l’Ufficio di Segreteria ha pensato di dedicare quest’ultimo appuntamento ad un incontro di verifica del lavoro svolto, con la consapevolezza di essere stati destinatari di un bel dono e protagonisti, seppur a diverso titolo, di una bella esperienza di Chiesa. A tutti, infatti, il CPD ha dato l’opportunità di vivere quello stile “sinodale” che “Firenze 2015” e Papa Francesco hanno indicato come compito alla Chiesa italiana; un luogo in cui insieme, presbiteri, consacrati e laici, hanno dato vita a quell’auditus fidei essenziale al discernimento dei “segni dei tempi”, per cogliere la “voce” del Buon Pastore già all’opera nella storia. Il segretario, quindi, cede la parola al sig. Sabino Paparella, membro della Segreteria, che con l’aiuto di alcune elaborazioni grafiche presenta i “dati” relativi alla partecipazione dei consiglieri, così come riportati dallo stesso registro delle firme del Consiglio. Meritano attenzione le seguenti considerazioni. L’attuale composizione del CPD (n.100 membri) è garantita da un 51% di “membri di diritto”, un 39% di “membri eletti” e un 10% di “membri cooptati”.


CONSIGLI DIOCESANI La presenza media complessiva di tutti i membri nei 5 anni si è attestata al 50%, ma con significative differenze tra diversi membri. I membri della CDAL hanno registrato una presenza sempre sopra la media indicata. I vicari, i direttori di uffici di curia e membri del CISM e USMI sono sostanzialmente nella media. Desta preoccupazione, invece, il dato medio di partecipazione dei membri laici eletti che ha registrato, ad eccezione del IV e VII vicariato, una costante e significativa decrescita, attestandosi nell’ultimo anno al 20%. Riprendendo la parola per ulteriori spunti di riflessione, il segretario propone alcune considerazioni tratte da un testo di padre Arcivescovo (Riflessione sugli elementi teologici che sono alla base dell’esperienza del Consiglio Pastorale) e dalla rielaborazione delle risposte alla scheda di verifica che sono pervenute alla Segretaria entro il 30 aprile scorso. È possibile guardare alla Chiesa con uno sguardo puramente «esteriore o sociologico», giacché per operare nella storia è necessario dotarsi di strutture, con regole e metodi propri per meglio assolvere al compito dell’evangelizzazione. Tuttavia, questa scelta reca con sé il rischio di dimenticare il carattere “strumentale” di certe strutture e organismi, incorrendo nel pericolo di un certo “clericalismo”, “individualismo”, “autoritarismo”, “legalismo”. Insomma, nella riflessione di padre Arcivescovo c’è la preoccupazione che, assumendo questa prospettiva, il CP (diocesano o parrocchiale) e altri organismi ecclesiali di partecipazione si riducano a meri luoghi “burocratici” e che il servizio svolto in esso sia vissuto come un “esercizio di burocrazia”, che pian piano diventa un peso cui assolvere e di cui presbiteri e religiosi, ma soprattutto i laici, finiscono per non percepire più il valore profondo. A ben vedere, però, si può guardare la Chiesa anche «con uno sguardo pieno di fede. E allora apparirà come un mistero, nel senso più ricco della parola […]. Apparirà essenzialmente come mistero di comunione di persone. Il Padre, Cristo, lo Spirito Santo, gli uomini,

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che con la loro fede e con l’amore si uniscono a loro e tra loro, non sono idee, dottrine, istituzioni, non sono cose, ma persone, esseri intelligenti e liberi che si aprono l’un l’altro […]. Dimenticare questo, facendo prevalere l’istituzione sul mistero dell’incontro salvifico personale con Dio in Cristo, è misconoscere la vera natura della Chiesa e può essere fonte di tanti fallimenti». È questa la corretta prospettiva ecclesiologica a cui ci invita padre Arcivescovo: una visione alta e impegnativa. In quanto tale esige «maturazione interiore dei membri», «riflessione sui testi conciliari» (tutt’altro che scontata a 50 anni di distanza), «attenzione alla natura misterica della Chiesa», «ampio dialogo nella Chiesa»; tuttavia, il suo guadagno è la certezza che la comunione, tratto caratterizzante l’ecclesiologia del Vaticano II, non annulla «la differenziazione dei membri, ma conferisce a ciascuno la capacità di essere strumento di salvezza per il mondo secondo le caratteristiche della vocazione specifica». Le risposte dei consiglieri alle domande della scheda di verifica trasmessa suggeriscono ulteriori utili considerazioni in merito a: contenuti, metodologia, giornata sinodale, contenuti e comunicazione, efficacia, giovani, segreteria. Prima domanda I contenuti. In una scala da 1 a 4 (niente, poco, abbastanza, molto), quale grado di “interesse” e rilevanza “pastorale” ritieni che abbiano avuto i temi e i problemi discussi in questo quinquennio? In una scala di gradimento da 1 a 4 (niente, poco, abbastanza, molto), la maggioranza delle risposte è “abbastanza” (3). Circa i suggerimenti, si propone di prestare ulteriore attenzione alla Evangelii gaudium, al ruolo del laicato, al rapporto tra presbiteri e laici e a temi di pastorale sociale. 104 Seconda domanda Metodologia. In una scala da 1 a 4 (niente, poco, abbastanza, molto), quanto efficace ritieni sia stata la metodologia adottata durante le convocazioni (relazione introduttiva breve e dibattito a seguire)? Puoi suggerire un metodo più efficace? Nella maggior parte delle risposte si afferma che la metodologia adottata è stata adeguata ed efficace. Nei suggerimenti, si offrono due indicazioni:


CONSIGLI DIOCESANI – L’esigenza di un confronto sereno e franco tra presbiteri-religiosi-laici, come accaduto in occasione della giornata di “sinodalità” del 2 giugno 2016. – In qualche occasione, può essere utile adottare una metodologia di confronto in “piccoli gruppi” sia per facilitare l’ascolto di domande dalla “base”, cioè dalla “vita concreta” delle comunità e dei vicariati; sia per consentire a questi una più attiva recezione delle indicazioni elaborate (come in occasione della lettera aperta sulla legge regionale per il gioco d’azzardo). In gioco c’è l’autenticità dell’auditus fidei di cui il Consiglio Pastorale è strumento fondamentale. Terza domanda Giornata sinodale. In una scala da 1 a 4 (niente, poco, abbastanza, molto), quanto ritieni sia stata utile (e possa esserlo in futuro) vivere in forma congiunta una “giornata intera” di sinodalità da dedicare ad un tema specifico? Ritieni che, per la vita pastorale della nostra Chiesa locale, sia più utile viverla annualmente o occasionalmente? La giornata di “sinodalità” ha registrato un unanime apprezzamento sia per le modalità e i tempi di svolgimento; sia per aver reso possibile quel dialogo aperto, franco, sincero, quasi alla pari tra presbiteri, religiosi e laici. Tra le indicazioni pervenute c’è quella di svolgerla possibilmente “ogni anno”, allargando la partecipazione anche a membri esterni al CP, in base alle esigenze del tema da affrontare. Quarta domanda Comunicazione e partecipazione. In riferimento alla partecipazione, quali “criticità” (ritardo nella recezione della convocazione, giorno ed ora della convocazione, concomitanza di impegni professionali o pastorali, altro …) giustificano le tue eventuali assenze? A parte qualche ritardo nella comunicazione e qualche altra eccezione, l’uso della posta elettronica funziona soprattutto con i laici e meno con presbiteri e religiosi. Qualcuno ha suggerito di individuare nel “venerdì” la giornata di convocazione del Consiglio per favorire la partecipazione di laici lavoratori e giovani (che magari rientrano da sedi esterne di studio o lavoro).

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Quinta domanda Efficacia. In una scala da 1 a 4 (niente, poco, abbastanza, molto) quale risonanza hanno avuto, a livello vicariale e parrocchiale, i temi affrontati? In cosa ritieni opportuno intervenire e migliorare perché il Consiglio Pastorale Diocesano sia luogo di esercizio della corresponsabilità ecclesiale, in comunione con i vicariati e le parrocchie? La maggioranza delle risposte si attesta su “poco\niente” (1\2). Alcuni suggerimenti invitano a mettere meglio a fuoco alcuni “punti deboli”: – il legame tra CPD, consigli vicariali e consigli parrocchiali (può aiutare produrre un “comunicato”, al termine dei lavori del CPD, che sia letto nelle comunità parrocchiali); – il servizio reso dai consiglieri eletti (occorre aiutarli a maturare una “consapevolezza attiva e rappresentativa” del proprio ruolo); – un insufficiente e non adeguato uso delle nuove tecnologie dell’informazione (può aiutare il sito web della diocesi con una pagina dedicata al CPD).

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Sesta domanda Giovani. Quale aggettivo utilizzeresti per definire la partecipazione dei giovani alle assemblee del tuo Vicariato (scarsa, modesta, sufficiente, numerosa)? In che modo procedere per stimolare il protagonismo giovanile nei luoghi di partecipazione alla corresponsabilità pastorale (consiglio parrocchiale, vicariale e diocesano)? La maggioranza delle risposte indica la presenza dei giovani come “modesta” o “scarsa”. Tra le proposte suggerite, ci sembrano interessanti le seguenti: – la riflessione sui temi non può prescindere dall’adozione di “linguaggi” consoni al mondo giovanile; – l’introduzione di “quote giovani” negli organi di rappresentanza (Consigli Pastorali e Consigli per Affari Economici); – la richiesta esplicita del parere o punto di vista dei giovani sui temi e problemi in discussione, magari con il coinvolgimento dell’equipe di Pastorale giovanile. Settima domanda Segreteria. In una scala da 1 a 4 (niente, poco, abbastanza, molto) ritieni che l’ufficio di Segreteria ti abbia coinvolto e motivato nel tuo servizio


CONSIGLI DIOCESANI di “consigliere”? Quali suggerimenti proponi ai membri della Segreteria per sostenere il lavoro dei futuri consiglieri? La maggioranza ritiene che la Segreteria abbia lavorato attivamente per motivare, preparare e coinvolgere tutti i consiglieri nel loro compito. Sarebbe, però, opportuno che, con la “lettera di convocazione”, fossero recapitate ai consiglieri anche alcune domande sul tema (magari da parte del relatore), stimolando così la preparazione e la riflessione di ciascuno. Prende la parola padre Arcivescovo, sottolineando il dato poco confortante della partecipazione “calante” dei membri laici “eletti” in Consiglio. Questa partecipazione “debole” denota che, più che sulla rivisitazione dello Statuto e del Regolamento del CPD, urge coinvolgere maggiormente anzitutto i vicari zonali: è fondamentale il loro lavoro di accompagnamento dei consiglieri eletti, prevedendo anche momenti di verifica in seno al Consiglio vicariale e qualche rettifica del metodo di lavoro. Senza adeguato accompagnamento, infatti, è difficile far maturare nei consiglieri la bellezza e la responsabilità del proprio compito che non consiste nel sentirsi rappresentanti di una parte (comunità, associazione o vicariato che sia), ma dell’intera Chiesa locale. Il dato della partecipazione giovanile, poi, se da una parte può consigliare di introdurre delle “quote giovani” negli organismi di rappresentanza ecclesiale (si può proporre che i futuri membri “eletti” in Consiglio siano un giovane e un adulto), dall’altra non deve illuderci di aver con ciò risolto il problema del rapporto giovani-adulti che tocca tutta la vita delle nostre comunità e tutti i suoi ambiti, compreso lo stesso “incontro di comunità” come più volte richiamato nelle stesse lettere pastorali. Infine, attenzione a non confondere il ruolo “consultivo” del CPD con quello “esecutivo”; come anche a non cedere alla tentazione di confondere l’“efficacia” con l’“efficienza” operativa. Dietro questi fraintendimenti, in genere, si nasconde la comprensibile, ma poco evangelica, inclinazione a sentirsi “totalità” piuttosto che “parte” di un organismo in cui a ciascuno compete un ruolo per il bene dell’intero corpo ecclesiale. Il compito consultivo del CPD

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consiste nel coniugare profeticamente l’auditus fidei con l’auditus temporis e la sua efficacia dipende dalla profondità dell’ascolto\lettura di cui è capace. Spetterà poi agli Uffici di Curia rendere esecutive le indicazioni elaborate dal lavoro di discernimento svolto in seno al Consiglio. Questa ragione, tra l’altro, spiega la scelta di ripristinare in diocesi l’Ufficio Pastorale quale referente esecutivo principale per coordinare l’operato di tutti gli altri uffici.

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Dopo le parole di padre Arcivescovo, prendono la parola i consiglieri arricchendo ulteriormente il lavoro di verifica. Di seguito, riportiamo in sintesi le indicazioni emerse: La partecipazione “debole” dei consiglieri eletti può essere sintomo ed effetto di Consigli parrocchiali inesistenti o non rinnovati dopo l’avvicendamento dei parroci, sostituiti magari dalle “assemblee parrocchiali”. Può essere opportuno ribadire a tutte le parrocchie, all’inizio dell’anno pastorale, la necessità di procedere al rinnovo o alla riattivazione dei Consigli parrocchiali. È fondamentale il ruolo di accompagnamento dei membri “eletti” nei vari consigli da parte dei Vicari zonali. La partecipazione di tutti gli “eletti”, ed in modo particolare della componente giovanile”, deve interrogarci anzitutto sullo “stile di famiglia” che deve caratterizzare le nostre comunità e che deve essere il lascito più importante di questo anno pastorale dedicato alla famiglia: stare insieme dando voce a tutti rende autentico il discernimento di una Chiesa che voglia essere “voce profetica” e “soffio profetico” in questo tempo. Il prossimo Sinodo dedicato ai giovani sia occasione perché in tutte le comunità parrocchiali sia dato spazio e parola ai giovani, utilizzando e rispettando i loro “linguaggi”. Nei lavori del prossimo CPD è opportuno che si segua una “doppia agenda” di lavoro: da una parte si tengano d’occhio le doverose indicazioni e sollecitazioni della Chiesa italiana, dall’altra si presti attenzione a quei fenomeni sociali e culturali che hanno ormai segnato in profondità la vita e la fede delle nostre comunità. Senza questa attenzione ne va della sfida ad essere “Chiesa in uscita” (come ci ricorda l’Evangelii gaudium) in un mondo che ha destabilizzato anche le certezze di fede. In un certo senso, significa ripartire dalla consapevolezza, ben espressa dal sociologo Diotallevi, che in


CONSIGLI DIOCESANI Italia il cristianesimo è ormai una “religione debole”, così come in tutto l’Occidente: si predilige l’esperienza religiosa, ma al di fuori di ogni “contesto ecclesiale” e di ogni “appartenenza ecclesiale”. È su queste tendenze di fondo che le comunità sono chiamate ad interrogarsi, soprattutto nei luoghi di partecipazione: a cominciare dallo stesso CPD. Terminata la discussione di quanto all’odg, per le operazioni di rinnovo della componente “eletta” del CPD, padre Arcivescovo chiede all’Ufficio di Segreteria di organizzare il lavoro in stretta collaborazione con il direttore dell’Ufficio Pastorale, don Mario Castellano, nel prossimo mese di settembre. La seduta termina alle 21.30 dopo una breve preghiera conclusiva. Il Segretario Antonio Nicola Colagrande

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CONSIGLI DIOCESANI Decreto di rinnovo del Consiglio Pastorale diocesano per il quinquennio 2018-2023

Prot. n. 07/18/D.A.G.

Trascorso il periodo di attività del Consiglio Pastorale diocesano, costituito per un quinquennio il 1° giugno 2012 (Prot. n. 21/12/D.A.G.), si è reso necessario procedere al suo rinnovo, secondo la tradizione consolidatasi nella nostra Chiesa locale fin dall’immediato post-concilio. A norma dello Statuto–Regolamento del Consiglio Pastorale diocesano, approvato con Decreto Arcivescovile Prot. n. 92/96 dell’8/07/1996 e successive modifiche, si è proceduto alla convocazione dei vari organismi tenuti all’elezione dei rispettivi rappresentanti. Pertanto, visti i risultati delle elezioni e integrato l’elenco dei componenti il Consiglio medesimo, a norma dei cann. 511-514 C.I.C., con il presente decreto rinnovo il

CONSIGLIO PASTORALE DELL’ARCIDIOCESI DI BARI-BITONTO per la durata di cinque anni e composto dai membri riportati nell’elenco allegato, che costituisce parte integrante del presente Decreto. Contestualmente nomino Segretario del Consiglio la signora Michela Boezio, e convoco la prima Riunione del Consiglio medesimo

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per il prossimo 22 marzo 2018 alle ore 19 presso la Casa del Clero di Bari. Do mandato al Direttore dell’Ufficio Pastorale diocesano di portare a conoscenza di tutti i membri il presente Decreto, unitamente all’avviso della detta prima Riunione. In continuità con l’impegno dei precedenti Consigli, sarà compito di tutti i membri offrire al Vescovo, in segno di corresponsabilità ecclesiale, la propria collaborazione ed esperienza. Auguro a tutti i membri buon lavoro e tutti di cuore benedico. Bari, 6 marzo 2018 Solennità della Beata Vergine Maria Odegitria + Francesco Cacucci Arcivescovo di Bari-Bitonto Il Cancelliere Arcivescovile Mons. Paolo Bux

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CONSIGLI DIOCESANI Allegato al Decreto Arcivescovile Prot. n. 07/18/D.A.G. del 6 marzo 2018

Consiglio Pastorale Diocesano 2018-2023 S.E. Mons. Francesco Cacucci Mons. Domenico Ciavarella

Arcivescovo Vicario Generale

Membri di diritto Vicari Episcopali Mons. Alberto Don Andrea Don Vittorio P. Luigi Mons. Angelo Mons. Domenico

D’Urso Favale

Vicario Episcopale Territoriale Bitonto-Palo Vicario Episcopale per il Diaconato permanente Borracci Vicario Episcopale per i Presbiteri Gaetani, O.C.D. Vicario Episcopale per la Vita Consacrata Latrofa Vicario Episcopale per l’Evangelizzazione Falco Vicario Episcopale per la Liturgia

in ragione dell’Ufficio Don Pierpaolo Don Antonio P. Giovanni

Fortunato

Rettore Seminario Arcivescovile e Segretario del Consiglio Presbiterale Serio Assistente Diocesano Azione Cattolica Distante, O.P. Rettore Pontificia Basilica di S. Nicola

Vicari zonali Mons. Franco Mons. Domenico

Lanzolla Falco

Vicario zonale del I Vicariato Vicario zonale del II Vicariato

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Don Nicola Don Antonio Mons. Domenico Don Emanuele Don Marino Don Francesco Don Antonio Don Domenico S.E. Mons. Domenico Don Biagio

Laricchia Ruccia Ciavarella De Astis Cutrone Gramegna Lobalsamo Chiarantoni Padovano Lavarra

Vicario zonale del III Vicariato Vicario zonale del IV Vicariato Vicario zonale del V Vicariato Vicario zonale del VI Vicariato Vicario zonale del VII Vicariato Vicario zonale del VIII Vicariato Vicario zonale del IX Vicariato Vicario zonale del X Vicariato Vicario zonale del XI Vicariato Vicario zonale del XII Vicariato

Direttori di Settori e Uffici di Curia Mons. Paolo Don Mario

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Bux Castellano

Cancelliere Arcivescovile Direttore Ufficio Pastorale e Direttore Ufficio Liturgico Don Donato Lucariello Direttore Ufficio Catechistico Don Vito Piccinonna Direttore Ufficio Caritas Sig. Giuseppe Micunco Direttore Ufficio Laicato Don Vito Carone Direttore Uff. Chiesa e Mondo della Cultura Don Carlo Cinquepalmi Direttore Ufficio Comunicazioni Sociali Don Michele Birardi Direttore Ufficio Giovani P. Leonardo Di Taranto, O.F.M.Cap. Direttore Uff. Pastorale della salute Don Franco Lanzolla Direttore Ufficio Famiglia Sigg.Cinzia e Michele Vuro Direttori Ufficio Famiglia Don Gaetano Coviello Direttore Ufficio Amministrativo Mons. Vito Nicola Manchisi Economo Diocesano Sig. Tommaso Cozzi Direttore Ufficio Mondo Sociale e del Lavoro Mons. Angelo Latrofa Direttore Ufficio Scuola Don Angelo Romita Direttore Ufficio Ecumenico Don Alessandro Tanzi Direttore Ufficio Missionario Don Vito Campanelli Direttore Ufficio Tempo libero e Sport Don Michele Camastra Direttore Ufficio Migrantes Rappresentanti degli Istituti Religiosi e Secolari P. Ottavio

Raimondo, M.C.C.J.

Segretario CISM


CONSIGLI DIOCESANI Suor Margherita Antonia

Martellini, M.S.C. Carbone

Segretaria USMI Segretaria C.I.I.S.

Responsabili Azione Cattolica Sig. Antonio Nicola Sig. Donato Sig.ra Cristina Sig. Giuseppe

Colagrande Attolico Cutrone Panzarini

Presidente di Azione Cattolica Vice Presidente di Azione Cattolica Vice Presidente di Azione Cattolica Responsabile ACR

Sig. Francesco

Avitto

Sig. Mario

Intini

Sig. Gennaro Sig.ra Simona Sig. Antonio Maria Sig.ra Tanja Maria Sig.ra Carmela Sig.ra Rosa Sig. Cristian Sig. Ermanno Sig.ra Gianna Sig. Atish Andrea Sig.ra Filomena Sig.ra Giuseppina Sig.ra Paola Sig. Michele Maurizio Sig. Vito Sig.ra Rosanna Sig.ra Chiara Sig. Francesco Saverio

Capriati Lacriola Scalioti Erraro Mele Scardicchio Del Core Arcamone Reali Rambaran Paltera Di Tullio Lella Sapio Giannello D’Aprile Barile Triggiani

Rappresentante del Vicariato terr. Bitonto-Palo Rappresentante del Vicariato terr. Bitonto-Palo Rappresentante del I Vicariato Rappresentante del I Vicariato Rappresentante del II Vicariato Rappresentante del II Vicariato Rappresentante del III Vicariato Rappresentante del III Vicariato Rappresentante del IV Vicariato Rappresentante del IV Vicariato Rappresentante del V Vicariato Rappresentante del V Vicariato Rappresentante del VI Vicariato Rappresentante del VI Vicariato Rappresentante del VII Vicariato Rappresentante del VII Vicariato Rappresentante del VIII Vicariato Rappresentante del VIII Vicariato Rappresentante del IX Vicariato Rappresentante del IX Vicariato

Membri eletti A) dai Vicariati zonali

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Sig.ra Mariastella Sig. Vitantonio Sig. Nicola Sig. Giacoma (Mina) Sig. Giuseppe Sig. Luca

Damiani Sisto Delle Grazie Didonna Milone Quaranta

Rappresentante del X Vicariato Rappresentante del X Vicariato Rappresentante del XI Vicariato Rappresentante del XI Vicariato Rappresentante del XII Vicariato Rappresentante del XII Vicariato

B) Dalla Consulta diocesana per l’apostolato laicale (CDAL) Sig. Giuseppe Sig. Leonardo Sig.ra Lucy Sig. Vincenzo Sig. Giuseppe Sig. Massimo

Gabrielli Dambra Scattarelli Mascello Piscopo Tamma

Comunità di S. Egidio Movimento dei Focolari Amici del Sermig Comunione e liberazione Laici Giuseppini Marelliani Rinnovamento nello Spirito

C) Dai seminaristi di teologia Sem. Francesco

De Nicolò

D) Dal Collegio Diaconale Diac. Lorenzo

Petrera

E) Dalla Conferenza Diocesana Superiori Maggiori (CISM)

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P. Vincenzo P. Alfredo

Giannelli Marchello

Ordine Frati Minori Conventuali Ordine Frati Minori Cappuccini

F) Dall’Unione Diocesana Superiori Maggiori (USMI) Suor Iginia Cicala Missionarie del Sacro Costato Suor Anna Rizzuto Minime della Passione di N.S.G.C.


CONSIGLI DIOCESANI Membri cooptati dall’Arcivescovo Sig.ra Annalisa Sig. Nicola Sig.ra Rossana Sig. Vito Sig.ra Angela Rita Sig. Nunzio Sig.ra Annalisa Sig.ra Eleonora Sig. Rocco

Caputo Costantino Ungolo Panniello Gelao Locorriere Rossiello Palmentura Mennuti

Sig.ra Michela

Boezio

Segretaria C.P.D.

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D OCUMENTI

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V ITA

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C HIESA

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B ARI -B ITONTO

PUBBLICAZIONI Benedetto da Bari

I sette sigilli Presentazione di Michele Bellino e Prefazione di Michele Petruzzelli, O.S.B. a I sette sigilli di Benedetto da Bari a cura di Giuseppe Micunco (“Per la storia della Chiesa di Bari-Bitonto. Studi e materiali” Nuova serie, n. 32) Edipuglia, Bari 2018 Indice Presentazione di Michele Bellino Prefazione di Michele Petruzzelli O.S.B. Introduzione di Giuseppe Micunco Nota critica e descrizione del codice di Giuseppe Micunco Bibliografia De septem sigillis I sette sigilli Prologus Prologo Liber Primus Libro primo Liber Secundus Libro Secondo Liber Tertius Libro Terzo Liber Quartus Libro Quarto Liber Quintus Libro Quinto Liber Sextus Libro Sesto Liber Septimus Libro Settimo Appendix Appendice Incipiunt capitula libri Titoli dei capitoli del libro De septem sigillis ‘I sette sigilli’ Indice biblico Indice patristico

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Presentazione

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L’opera di Benedetto da Bari, I sette sigilli, vede in questa pubblicazione del Centro di studi storici, un contributo prezioso per la sua conoscenza e diffusione. Il codice cavense (cod. 18) è espressione della cultura medievale e di come l’ordine benedettino abbia prodotto nei suoi scriptoria la circolazione e l’approfondimento nella riflessione delle opere di autori sia dell’antichità che della patristica. Il libro nella sua forma era l’unico strumento di conservazione e trasmissione di testi. Il contributo di presentare il codice cavense, per la prima volta, in lingua italiana, è uno stimolo arricchente per conoscere la letteratura teologica del XIII secolo, nell’area beneventana. L’opera richiede degli strumenti di lettura, per cui ne richiamo alcuni per coglierne il valore. Innanzitutto riprendo un’affermazione di Umberto Eco, «il Medioevo è stato un’epoca di autori che si copiavano a catena senza citarsi, anche perché in un’epoca di cultura manoscritta – coi manoscritti difficilmente accessibili – il copiare era l’unico mezzo per far circolare le idee». Quindi la cultura medievale ha sì «il senso dell’innovazione, ma si ingegna a nasconderla sotto le spoglie della ripetizione». Non potrei leggere l’opera in esame se non mi chiedo quale canale o universo di comunicazione si sta utilizzando. Il passaggio successivo è nel conoscere la visione simbolico-allegorica dell’universo e il suo uso. Faccio riferimento allo studio di Johan Huizinga nel testo L’autunno del Medioevo, dove si afferma: «Di nessuna grande verità lo spirito medievale era tanto convinto quanto delle parole di san Paolo ai Corinzi: Videmus nunc per speculum in aenigmate, tunc autem, facie ad faciem. Il Medioevo non ha mai dimenticato che qualunque cosa sarebbe assurda, se il suo significato si limitasse alla sua funzione immediata e alla sua forma fenomenica e che tutte le cose si estendono per gran tratto nell’aldilà». Huizinga spiega l’attribuzione simbolica rilevando che di fatto si astraggono in due enti delle proprietà affini e le si confrontano. Cogliere un’allegoria – direbbe


PUBBLICAZIONI Eco – è cogliere un rapporto di convenienza e fruire esteticamente del rapporto, anche in grazia dello sforzo interpretativo. E c’è sforzo interpretativo perché il testo dice sempre qualcosa di diverso da ciò che sembra dire: Aliud dicitur, aliud demonstratur. Agostino nel suo Doctrina christiana II, 1,1, dice: «il segno è ogni cosa che ci fa venire in mente qualcosa d’altro al di là dell’impressione che la cosa stessa fa sui nostri sensi». Egli, rifacendosi alle regole della retorica e della grammatica classica, indica un’ermeneutica con le sue regole da osservare. È Agostino che pone le basi di ciò che sarà la definizione stessa di sacramento. Questa definizione sarà poi ripresa dai teologi del XII secolo fra cui Pietro Lombardo (1160), che la trasmetterà alla scolastica del secolo successivo. «Il sacramento è la forma visibile di una grazia invisibile» (Quaestiones in Pentateuch., 84). Una teologia dei sacramenti la si perfezionerà alla fine del XII ed inizio del XIII secolo. Il decreto Utriusque Sexus del IV Concilio Lateranenense del 1215, imporrà la confessione sacramentale annuale dei peccati prima della comunione pasquale. Si fissa, sempre nel XII secolo, il settenario dei vizi capitali. L’opera di Benedetto va compresa nella letteratura monastica in cui il maestro insegna ai monaci a raggiungere il proprio fine ultimo dell’esistenza nella visio cristiana. Un encomio al professor Giuseppe Micunco per l’esercizio di studio compiuto nella revisione del testo latino e nella traduzione in lingua italiana dell’opera di Benedetto da Bari. È dovere di gratitudine esprimere riconoscenza da parte del comitato scientifico da me rappresentato, all’esimio don Salvatore Palese per la guida sapienziale, di questi anni, nella direzione del Centro di studi storici della Chiesa di Bari-Bitonto e l’impegno di proseguire nella ricerca storica, con acribia, lo studio delle fonti di questa Chiesa diocesana. don Michele Bellino Direttore del Centro di studi storici della Chiesa di Bari-Bitonto

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Prefazione

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Mi sento molto onorato di presentare il volume del prof. Giuseppe Micunco, che ha curato lo studio e la traduzione italiana del codice 18 dell’archivio della Badia di Cava: il De septem sigillis di Benedetto da Bari, monaco cavense, che ora viene presentato al pubblico. Anzitutto vorrei esprimere la gratitudine dei monaci dell’Abbazia della Santissima Trinità di Cava de’ Tirreni e, insieme, il mio compiacimento per l’opportunità offertami di presentare un’opera qualificata su uno dei codici più preziosi custoditi nel suo archivio. Non è difficile riconoscere l’importanza di quest’opera, che ha richiesto una lunga e accurata ricerca dell’autore, che riscuote la mia indiscussa ammirazione. Come egli stesso scrive, venuto a conoscenza dell’edizione del testo latino curata da p. Salvatore Manna, che è la riproduzione della trascrizione dattiloscritta curata qualche decennio prima dal monaco di Cava dom Simeone Leone, ne ha intrapreso la traduzione. Ci troviamo di fronte alla prima traduzione italiana dell’opera De septem sigillis. Leggendo il testo, specialmente l’introduzione, è facile intuire la mole di studio e la cura che l’autore ha dedicato alla traduzione, che è molto documentata attraverso le note a piè di pagina. Abbiamo così un volume che comprende un’ampia introduzione (55 pagine) con le note, la descrizione del codice e poi l’edizione critica del testo latino a fronte. Questa parte introduttiva al libro ci dà la chiave di lettura che aiuta a conoscere l’autore, l’opera e la collocazione teologica del De septem sigillis di Benedetto da Bari. Né sfugga al lettore il fatto che sia stato uno studioso barese a svolgere tale ricerca scientifica e teologica. Il lavoro del prof. Micunco mette in luce l’attività meritoria del Centro di studi storici della Chiesa di Bari-Bitonto, che annovera al suo interno studiosi capaci di dedicarsi con serietà alla ricerca e di servire la Chiesa locale e universale attraverso la ricerca e il sapere. Oggi più che mai investigare e studiare è una strada aperta, un dovere a cui non possiamo rinunciare, senza mettere in pericolo l’avvenire del patrimonio culturale e teologico custodito nelle diocesi e nei monasteri che sono stati e sono ancora centri di promozione umana e culturale.


PUBBLICAZIONI Ne risulta un’opera poderosa e, per me, Abate dell’Abbazia di Cava e barese di origine, è una grande gioia avere tra le mani questa edizione italiana che rende accessibile e fruibile ad un pubblico più ampio un’opera teologica del XIII secolo. È da rilevare con soddisfazione anche l’atteggiamento assolutamente positivo, di rispetto e di simpatia dell’autore nei confronti del testo pubblicato. Insomma abbiamo qui l’amore per il testo che è la condizione per ogni intelligenza. Il presente volume è un’opera egregia alla quale il prof. Micunco ha dedicato diversi anni di accurata ricerca. Questa traduzione può ora entrare in maniera agevole nei monasteri, nelle facoltà teologiche, nei seminari, negli Istituti Superiori di Scienze religiose, ove non mancherà di suscitare interesse tanto più che il testo è accompagnato da un’ottima intruduzione e da note molto ampie. Con la sincera espressione di riconoscenza e di stima all’autore, formulo l’augurio che lo studio dei testi e della teologia di Benedetto da Bari possa essere per tutti nella Chiesa un cammino di sviluppo e di arricchimento. dom Michele Petruzzelli, O.S.B. Abate ordinario della Badia di Cava de’ Tirreni

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Vito Marziliano

Io vivo per risorgere. La gioia della nuova evangelizzazione

Prefazione di Armando Matteo a Io vivo per risorgere. La gioia della nuova evangelizzazione di Vito Marziliano Edizioni VIVEREIN, Roma 2018

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Indice: Prefazione di Armando Matteo Introduzione A chi può interessare questo libro? 1. Dopo 2000 anni si può ancora credere nella Risurrezione? Pochi ci credono! E se qualcuno la (ri)annunciasse come la prima volta?... 2. Con le sue parole Dio dà potere alla nostra immaginazione 3. «Ma se Cristo non è risorto, vana allora è la nostra predicazione, vuota anche la vostra fede» (1Cor 15, 17) 4. Non dire: è difficile l’annuncio della Risurrezione! 5. Però, nessuno era presente quando Gesù è uscito dal sepolcro… 6. Durante la vita, preparo la mia risurrezione! 7. Ogni anno un giorno “triste”: il 2 novembre 8. «Perché tra voi è considerato incredibile che Dio risusciti i morti?» (At 26,8) 9. La paura di “nostra sorella…” 10. “… è tornato alla Casa del Padre”. Una storiella per bambini? 11. Come può la Morte di un “Uomo” diventare un annuncio di salvezza? 12. «Egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso» (Fil 2, 6) 13. «Figlio mio tu rimani saldo … Conosci le Sacre Scritture sin dall’infanzia. Queste possono istruirti per la salvezza» (2 Tm 3, 14-15) 14. Per salvare la gente era andato ovunque, gli mancava però un luogo speciale: il sepolcro … pure lì entrò 15. L’annuncio dell’Amore assoluto et eterno nel “Cantico dei Cantici” 16. «…Andate a dire a Giovanni: i ciechi vedono … i morti risorgono» (Lc 7, 22-23) 17. Anche dalle “briciole” dei racconti pasquali: un programma pastorale di sicura efficacia


PUBBLICAZIONI 18. Dio Padre e la Risurrezione del suo Figlio 19. l giardino dei profumi, agli inizi … come alla fine 20. Perché il sudario era stato piegato accuratamente? 21. «Se uno non rinasce dall’alto non può vedere il Regno di Dio»(Gv 3,3) Conclusione Appendice Commento di sant’Agostino al Vangelo di san Giovanni – Omelia 42

In una ricerca condotta dall’Istituto Superiore di Scienze religiose di Assisi su un campione di studenti delle scuole superiori e pubblicata con il titolo Narrare la fede ad una generazione incredula, in risposta alla domanda “Quale idea hai della vita dopo la morte”, si è potuto registrare il seguente dato: «Solo 4 su 113 credono nella risurrezione dei corpi (il 3%). Sono di più coloro che credono nella reincarnazione (13%). Il 20% non crede in una vita dopo la morte (siccome i non credenti sono il 12%, un 8% di credenti crede che la vita finisca qui). Ma cos’è il cristianesimo senza risurrezione?». La risposta all’ultima domanda, ogni buon credente la conosce già da sé, per aver più volte sentito l’affermazione di san Paolo, per la quale se Cristo non è risorto, vana è la nostra fede. Dalla quale si potrebbe aggiungere che, se viene meno la fede nella risurrezione, vano è il nostro cristianesimo. E che l’attuale contesto culturale diventi sempre meno ospitale per un tale cuore incandescente del cristianesimo, ce lo conferma anche l’analisi sociologica più recente, quando giunge a definire quella odierna nei termini di una società postmortale. Quest’ultima espressione è stata coniata dalla studiosa francese Céline Lafontaine per evidenziare un tratto decisivo della condizione ordinaria del cittadino medio occidentale: «La nozione di postmortalità si riferisce […] alla volontà ostentata di vincere grazie alla tecnica la morte, di vivere “senza invecchiare”, di prolungare indefinitamente la vita». Società postmortale significa esattamente questo: che la morte non parla più e che più nessuno ascolta la sua parola circa la finitezza e l’irripetibilità delle scelte umane. Al contrario, la cifra che contraddistingue il modo ordinario di stare al mondo è lo stile di un giova-

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nilismo senza freni e senza regole, inzuppato di narcisismo, cinismo e individualismo. Viviamo al ritmo di un vitalismo esagerato, che le dinamiche economiche hanno individuato e promosso quale vero mantra della felicità. Bisogna godere. Bisogna godere sempre. Bisogna godere tutto. Lo spazio per pensare ad altro e a dopo perde semplicemente consistenza. Inoltre, una tale spinta vitale viene proposta e, grazie ai farmaci di ultima generazione e al perfezionamento costante delle tecniche chirurgiche, artificialmente prolungata sino a 70, 80 e 90 anni. Bisogna essere sempre in forma, sempre atletici, simpatici e pimpanti. Sempre fit! Guai a perdere qualcosa, a rinviare qualche piacere, a lasciarsi sfuggire qualche bella occasione! Ed ecco che qui emerge un punto davvero sfidante per la religione cattolica: di fronte a questo scenario, c’è ancora qualcuno che aspetti il paradiso per avere la felicità eterna? C’è ancora qualcuno che aspetti l’eternità per avere una vita duratura? C’è, insomma, qualcuno che possa ascoltare, dal di dentro della sua dinamica esistenziale, l’inedito che la parola della risurrezione di Gesù ha portato con sé? Con la passione e la tenacia che gli sono proprie, don Vito Marziliano non teme di scendere esattamente su questo terreno, che egli giustamente identifica come quello più decisivo in vista di quella nuova evangelizzazione che oggi è richiesta alla nostra Chiesa. Lo fa a modo suo, certamente. Il libro che qui presentiamo ha il pregio di tessere insieme elementi derivanti dalla meditazione della pagina biblica, dal confronto con la teologia, dall’azione pastorale spicciola così come dal costante interesse dell’autore per le dinamiche dell’iniziazione cristiana e della catechesi. Sullo sfondo di queste pagine, poi, resta il confronto schietto e aperto con la cultura nella quale oggi ci tocca vivere, testimoniare, pensare e annunciare la verità della risurrezione. Ne viene fuori un mosaico di intuizioni, di orizzonti, di testimonianze, di luci e di stimoli che ho apprezzato molto; e sono sicuro che la lettura di queste pagine potrà donare, come a me, a molti altri una più profonda consolazione nel vivere e nel testimoniare la gioia del Vangelo. Armando Matteo docente di Teologia fondamentale Pontificia Università Urbaniana – Roma


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B ARI -B ITONTO

NELLA PACE DEL SIGNORE don Giuseppe Spano

Don Giuseppe Spano nasce il 1° gennaio 1953 a Grumo Appula da Salvatore e Maria Scarola. Compie gli studi ginnasiali a Lierna (Lecco) presso il Seminario clarettiano. Dopo il noviziato emette la prima professione religiosa il 15 agosto 1970 nella congregazione dei Missionari Clarettiani. Prosegue gli studi risiedendo a Lierna, frequenta il liceo classico di Lecco e consegue il diploma di maturità classica nel 1974. Emette la professione perpetua il 23 ottobre 1977. Compie gli studi di filosofia e teologia a Roma, poi allo Studio Teologico dei Padri Cappuccini di Milano e li conclude al Seminario diocesano di Trieste. Riceve l’ordinazione diaconale da S.E. Mons. Lorenzo Bellomi a Trieste il 10 giugno 1984 e l’ordinazione presbiterale il 31 agosto 1985 a Grumo Appula da S.E. Mons. Mariano Magrassi, Arcivescovo della Diocesi di Bari-Bitonto. Dall’84 al ‘91 svolge il ministero sacerdotale a Trieste come viceparroco nella parrocchia “Cuore Immacolato di Maria” e insegnante di religione presso la scuola Ruggero Manna. Trasferito a Palermo, è nominato parroco della parrocchia “Regina Pacis” dal settembre 1991 al dicembre 2002. Svolge l’incarico di superiore locale della Comunità Clarettiana di Palermo dal settembre 1991 al settembre 2002. Nel 2002 la parrocchia viene consegnata alla diocesi di Palermo e p. Giuseppe chiede di essere trasferito a Grumo Appula, avvicinandosi

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così alla sua famiglia. È inscritto nella comunità di Altamura e svolge il servizio di viceparroco a Toritto presso la parrocchia “S. Nicola”. Nel 2004 riceve l’esclaustrazione e continua a svolgere l’incarico di viceparroco a Toritto. Dal 17 settembre è incardinato nella Diocesi di Bari-Bitonto lasciando definitivamente la Congregazione dei Missionari Clarettiani. Dopo essere stato amministratore parrocchiale, nel 2010 è nominato parroco della parrocchia “S. Pio X” in Bari. Il Signore lo ha chiamato a sé improvvisamente il giorno 1 gennaio 2018 dopo aver festeggiato il suo sessantacinquesimo compleanno. I funerali si sono svolti il 2 gennaio nella parrocchia “S. Pio X”, presieduti da don Vittorio Borracci, Vicario episcopale per i presbiteri dell’Arcidiocesi, e il 3 gennaio nella parrocchia “S. Maria di Monteverde” in Grumo Appula, presieduti dall’arcivescovo S.E. Mons. Francesco Cacucci. Oltre ai fedeli delle varie comunità ecclesiali dove don Giuseppe ha svolto il ministero sacerdotale, erano presenti i presbiteri del vicariato e alcuni confratelli della Comunità Clarettiana di Altamura e Segrate. La salma è stata tumulata nel cimitero di Grumo Appula nella cappella di famiglia. I parrocchiani di S. Pio X lo ricordano pastore che molto ha amato la comunità e i piccoli con particolare tenerezza, sacerdote profondamente umano, animato da un forte senso di onestà e di giustizia, che condannava con vigore ogni forma di sopruso e sperequazione. «Grazie, caro don Giuseppe, per la tua perseveranza, la tua infinita pazienza, la tua presenza anche quando la tua salute vacillava, la tua puntuale cura della liturgia, la tua costante allegria. Grazie per avere spezzato la Parola di Dio e averne fatto pane concreto per il nostro nutrimento spirituale. Resterai sempre nei nostri cuori e a te chiediamo di guidarci ancora verso il Pastore Supremo». Così terminava l’elogio funebre che gli è stato rivolto a nome della comunità parrocchiale di S. Pio X al termine delle esequie.


NELLA PACE DEL SIGNORE

don Franco Vitucci

Don Francesco Vitucci è nato a Binetto il 25 ottobre 1938; è ordinato presbitero il 26 marzo 1966 a Bari – S. Fara, nell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini; ben presto, lasciato l’Ordine e temporaneamente incardinato nella diocesi di Bitonto-Ruvo (ove ha esercitato il ministero di padre spirituale nel Seminario Vescovile di Bitonto), è passato definitivamente nell’Arcidiocesi di Bari, ove viene incardinato l’8 giugno del 1970. In diocesi, sono state diverse le comunità parrocchiali nelle quali don Franco ha esercitato il ministero presbiterale: vicario cooperatore della chiesa Matrice di Grumo Appula e cappellano dell’Ospedale Civile dello stesso paese; dal 1977 al 1982, vicario cooperatore della parrocchia “San Nicola” in Toritto; vicarius adiutor nella parrocchia “S. Maria La Porta” in Palo del Colle dal 1982 al 1983; vicario economo dal 1983 al 1984 nella stessa parrocchia (dalla morte del parroco don Giuseppe Cutrone alla nomina del nuovo parroco don Vito Tricarico). Il primo settembre 1984 ha fatto l’ingresso come parroco della parrocchia “SS. Crocifisso” in Santeramo del Colle; quindi, il 20 febbraio 1988, è trasferito alla parrocchia, di nuova istituzione, “SS. Crocifisso” in Triggiano, ed, infine, dal 10 settembre del 1995 al 5 novembre 2017, parroco della comunità parrocchiale di S. Maria di Monteverde in Grumo Appula. Per alcuni anni ha anche collaborato con don Vito Diana nella Caritas diocesana, e, in particolare, nella Comunità Terapeutica Lorusso-Cipparoli. Durante i suoi 22 anni di servizio pastorale nella parrocchia di Monteverde sono stati ordinati cinque diaconi permanenti e due presbiteri nell’Ordine Francescano; sono sorte associazioni (ANSPI, Grumbestini, Liberi Cantores e il gruppo Alticello) e realizzati lavori di restauro di numerosi affreschi della chiesa e delle cappelle; soprattutto, bisogna dargli merito, ha provveduto all’acquisto

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dell’ex stazione dismessa dalle Ferrovie dello Stato di Grumo Appula. Qui è sorto il grande Centro pastorale parrocchiale, che, inaugurato il 26 ottobre del 1996, è divenuto un punto importante di aggregazione e di crescita della vita comunitaria, con la presenza costante di bambini, giovani e adulti. Negli ultimi dieci anni, nonostante la sofferenza fisica (specie per essere sottoposto alla dialisi), ha continuato a guidare la comunità parrocchiale sempre con serenità di spirito e fiducia nel Signore. Il 7 marzo 2018 don Franco è tornato alla casa del Padre. Alla celebrazione della messa esequiale c’è stato un grande concorso di popolo; hanno concelebrato l’Eucaristia, presieduta dall’Arcivescovo di Bari-Bitonto mons. Francesco Cacucci, numerosi presbiteri e diaconi. L’Arcivescovo, nell’omelia, ha sottolineato soprattutto due caratteristiche che hanno contraddistinto don Franco: la povertà e la carità. Don Franco, ha detto tra l’altro l’Arcivescovo, «è vissuto poveramente, mettendo a disposizione del popolo di Dio e dei poveri, in particolare, ogni suo bene, oltre che tutta la sua vita; è stato un sacerdote esemplare, umile, zelante, fedele al Signore e alla Chiesa, esempio di umiltà e di fraternità».

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NELLA PACE DEL SIGNORE

don Nicola Pascazio

Nicola Pascazio, all’anagrafe Nicola Giuseppe, è il primo dei nove figli che hanno allietato la famiglia di Vito Pascazio e Antonietta Martino. Nato a Modugno il 1° ottobre 1937, ha sempre respirato un clima di una famiglia di semplici contadini, alla “scuola dei nonni Rocco e Maria” e soprattutto ha conosciuto e assaporato lo stile di vita dello zio, don Nicola Martino, prete dal 1942 al 2014. Perciò non si può ricordare don Nicola Pascazio senza fare riferimento allo zio prete, anche perché casa di zio e nipote è stata sempre la stessa in via Cairoli, 44 a Modugno, la casa di nonno Rocco. Dopo la scuola media e il ginnasio nel Seminario Arcivescovile di Bari, ha completato i suoi studi di Liceo e Teologia presso il Pontificio Seminario Regionale di Molfetta. È stato ordinato sacerdote nella Cattedrale di Bari il 2 luglio 1961 dall’Arcivescovo mons. Enrico Nicodemo, che lo ha nominato vice parroco presso la parrocchia “S. Giuseppe” in Bari, dove ha esercitato il suo servizio dall’ottobre 1961 all’ottobre 1962. Nei successivi cinque anni è stato vice parroco presso la parrocchia “Santissimo Sacramento” in Bari. Dal 1967 inizia il suo cammino come parroco, prima nella parrocchia “S. Girolamo” in Bari fino al 1979, in seguito, dal 1979 al 1986 nella parrocchia “S. Paolo” al Quartiere S. Paolo in Bari e, infine, dal 21 settembre 1986, nella parrocchia “S. Michele Arcangelo” in Bitetto. Nella comunità di Bitetto ha celebrato il 50° anniversario di sacerdozio nel luglio 2011 in una solenne concelebrazione presieduta dall’Arcivescovo mons. Francesco Cacucci. In questa circostanza l’Amministrazione comunale si è onorata di offrire a don Nicola la cittadinanza onoraria del Comune di Bitetto. Don Nicola ha continuato il suo servizio come parroco fino all’ottobre 2013, quindi allo scadere del 75° anno di età ha rimesso nelle mani dell’Arcivescovo il mandato di parroco e si è ritirato in Modugno; ha potuto, quindi, prestare il suo servizio sacerdotale come cappel-

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lano nella chiesa dell’Assunta in Modugno, e come assistente spirituale della Confraternita Maria Santissima Assunta che ha sede nella medesima chiesa. La mattina del lunedì santo, 26 marzo 2018, don Nicola si è addormentato nel Signore, dopo una lunga malattia. L’Arcivescovo mons. Cacucci ha celebrato le esequie nella chiesa matrice di Modugno mercoledì 28 marzo, presenti diversi sacerdoti diocesani, la comunità dei Frati Minori di Bitetto, l’Amministrazione comunale di Bitetto, la Confraternita Maria Santissima Assunta di Modugno e numerosissimi fedeli. Nell’omelia l’Arcivescovo ha sottolineato «la generosità e la vivacità che hanno contraddistinto l’azione pastorale svolta da don Nicola negli incarichi che ha ricoperto rispondendo nell’obbedienza alle diverse chiamate. Siamo sicuri che il Signore saprà ricompensarlo come Lui solo sa fare. Noi lo ricordiamo con affetto e lo affidiamo alla misericordia e alla bontà del Signore e della Vergine benedetta». Al termine della celebrazione il priore della Confraternita Maria Santissima Assunta di Modugno ha desiderato ringraziare don Nicola per il sorriso offerto durante il servizio prestato negli ultimi anni proprio nella chiesa dell’Assunta, pur avvertendo il peso della malattia: «il tuo silenzio è un prezioso ricordo per noi e per quanti ti hanno conosciuto e amato». Don Nicola è sepolto nella cappella cimiteriale dei sacerdoti di Modugno dove riposano anche don Biagio Trentadue e lo zio don Nicola Martino: tutti e tre sacerdoti vissuti all’ombra della chiesa matrice e dell’Assunta, la chiesa vicina alla casa.

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D OCUMENTI

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C HIESA B ARI -B ITONTO

DIARIO DELL’ARCIVESCOVO Gennaio 2018

3 – Al mattino, presso la parrocchia “S. Maria Assunta” in Grumo Appula, celebra le esequie di don Giuseppe Spano. 4-5– A Roma, presso la Domus Pacis, partecipa al Convegno nazionale vocazionale. 6 – Al mattino, presso la parrocchia “S. Michele Arcangelo” in BariPalese, celebra la S. Messa in suffragio di don Luigi Minerva. – Alla sera, presso la parrocchia “S. Ferdinando” in Bari, celebra la S. Messa. 7 – Al mattino, presso la parrocchia “S. Marcello” in Bari, celebra la S. Messa e amministra le Cresime. – Alla sera, in Cattedrale, celebra la S. Messa per la festa diocesana della Famiglia. 9 – Visita pastorale al vicariato XI. 10 – Alla sera, in Episcopio, incontra i cresimandi della parrocchia “Cristo Re Universale” di Bitonto. 11 – Visita pastorale al vicariato VI. 12 – Visita pastorale al vicariato VII. 13 – Al mattino, presso il Nicolaus Hotel in Bari, partecipa all’incontro con i Cavalieri dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme. – Alla sera, presso il Circolo della Vela in Bari, guida la lettura del film “Giulietta degli spiriti” di Federico Fellini. 14 – Al pomeriggio, nel Palasport “Spartaco Bandinelli” in Velletri, partecipa all’ordinazione episcopale di mons. Leonardo D’Ascenzo, Arcivescovo di Trani-Barletta-Bisceglie. 15 – Nella cappella del Pontificio Seminario Campano Interregionale di Napoli, conferisce il ministero dell’accolitato al seminarista Nicola Sicolo.

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16 – Visita pastorale al vicariato Bitonto-Palo del Colle. 17 – Visita pastorale al vicariato III. 18 – Alla sera, presso la parrocchia “S. Girolamo” in Bari, celebra la S. Messa per il 60° anniversario della erezione canonica. 19 – Visita pastorale al vicariato XII. 20 – Al mattino, presso il Teatro Petruzzelli in Bari, celebra la S. Messa per la festa di san Sebastiano, Patrono del Corpo dei Vigili Urbani. – Al pomeriggio, presso il Politecnico di Bari, partecipa all’incontro con i ministri straordinari della S. Comunione, alla presenza di S.Em. il card. Francesco Montenegro, Arci-vescovo di Agrigento. 21 – Al mattino, presso la parrocchia “S. Maria Assunta” in Palo del Colle, celebra la S. Messa dei fanciulli. – Alla sera, nella Basilica di S. Nicola, partecipa all’incontro diocesano di preghiera per l’unità dei cristiani. 22-24 –A Roma, partecipa ai lavori della sessione invernale del Consiglio Permanente della Conferenza Episcopale Italiana. 25 – Al pomeriggio, presso l’aula magna del Liceo scientifico “Arcangelo Scacchi” in Bari, conclude i lavori dell’incontrodibattito “La famiglia oggi”, organizzato dalla Università della Terza Età. – Alla sera, presso la Comunità dei Padri Paolini in Bari, celebra la S. Messa per la festa della Conversione di S. Paolo. 26 – Al mattino, presso il Politecnico di Bari, celebra la S. Messa e partecipa alla cerimonia di inaugurazione dell’anno accademico. – Al pomeriggio, in Episcopio, presiede la riunione del Consiglio Episcopale. – Alla sera, presso l’aula sinodale “Mons. M. Magrassi” in Bari, presiede l’assemblea diocesana del laicato sul tema “Verso il Sinodo dei giovani (ottobre 2018): i giovani, la fede e il discernimento vocazionale”. 27 – Al mattino, presso il Palazzo di Giustizia di Bari, partecipa alla cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario. – Al pomeriggio, nella Cattedrale di Trani, partecipa alla concelebrazione eucaristica per l’ingresso di S.E. mons. Leonardo D’Ascenzo, Arcivescovo di Trani-Barletta-Bisceglie. 28 – Al mattino, presso la parrocchia “S. Pio X” in Bari, celebra la S. Messa.


DIARIO DELL’ARCIVESCOVO – Alla sera, presso la parrocchia “Stella Maris” in Bari-Palese, celebra la S. Messa nel trigesimo della morte di don Nicola Troccoli. 29-31 –Presso l’Oasi S. Maria in Cassano delle Murge, presiede i lavori della Conferenza Episcopale Pugliese. 31 – Alla sera, presso la parrocchia “SS. Redentore” in Bari, celebra la S. Messa per la festa di san Giovanni Bosco.

Febbraio 2018 1 – Visita pastorale al vicariato II. 2 – Alla sera, in Cattedrale, celebra la S. Messa per la Giornata mondiale della vita consacrata nella festa della Presentazione del Signore. 3 – Al mattino, presso il Seminario Arcivescovile di Bari, partecipa all’incontro delle Commissioni episcopali regionali per le questioni sociali e del lavoro, i laici e i giovani sulla Settimana sociale dei cattolici italiani di Cagliari. – Al pomeriggio, nella chiesa del Gesù in Bari, celebra la S. Messa e inaugura la Casa delle Missionarie Comboniane. – Alla sera, presso la parrocchia “Maria SS. Annunziata” in Modugno, partecipa alla presentazione del volume La condizione umana nelle parabole della misericordia. 4 – Al mattino, presso la parrocchia “Cristo Re Universale” in Bitonto, celebra la S. Messa e amministra le Cresime. – Alla sera, presso la parrocchia “SS. Rosario” in Mola di Bari, celebra la S. Messa per la dedicazione della chiesa. 6 – Visita pastorale al vicariato X. 7 – Alla sera, nella sala del Palazzo della Città Metropolitana in Bari, partecipa all’incontro organizzato dall’Associazione Nazionale Donne Elettrici sul dialogo cattolico-ortodosso sul tema: “Un ecumenismo di popolo”.

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8 – Visita pastorale al vicariato VIII. 9 – Visita pastorale al vicariato IX. 10 – Al mattino, celebra la S. Messa in Cattedrale e, successivamente, nell’aula “Mons. Enrico Nicodemo”, presiede la cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario del Tribunale Ecclesiastico Regionale Pugliese. – Alla sera, presso la parrocchia “S. Nicola” in Mola di Bari, celebra la S. Messa per il quarto centenario della dedicazione della chiesa. 11 – Al mattino, presso l’Oasi S. Maria in Cassano delle Murge, guida il ritiro spirituale per i fidanzati dei vicariati dei paesi dell’Arcidiocesi. – Alla sera, nella sala “Odegitria” della parrocchia Cattedrale, partecipa allo spettacolo teatrale “Esistono i fantasmi”, organizzato da don Antonio Eboli. 12 – Visita pastorale al vicariato IV. 14 – Al mattino, presso la sede regionale della Guardia di Finanza in Bari, celebra la S. Messa del Mercoledì delle Ceneri. – Alla sera, in Cattedrale, celebra la S. Messa del Mercoledì delle Ceneri. 15 – Al pomeriggio, nella Basilica di S. Nicola, celebra le esequie del generale Nicola Marzulli, comandante della Polizia locale di Bari. – Alla sera, presso la parrocchia “Mater Ecclesiae” in Bari, guida la catechesi comunitaria sul tema pastorale dell’anno. 16 – Visita pastorale al vicariato V. 17 – Alla sera, presso la parrocchia “S. Maria delle Grazie” in Cassano delle Murge, guida l’incontro con le famiglie su “Giovani e nuove tecnologie”. 19 – Alla sera, nella Sala San Giuseppe dell’Istituto Salesiano Redentore di Bari, partecipa alla presentazione del libro “Buoni cristiani onesti cittadini. Miscellanea di studi della Scuola di formazione Socio Politica Alberto Marvelli”, curato da don Giuseppe Ruppi, S.D.B. 20 – Visita pastorale al vicariato I. 22 – Al pomeriggio, presso la Curia arcivescovile, presiede la riunione del Consiglio per gli Affari economici. – Alla sera, presso la chiesa di S. Domenico in Bari, celebra la S. Messa per l’Unione dei Giuristi Cattolici Italiani.


DIARIO DELL’ARCIVESCOVO 23 – Al mattino, presso la Casa del clero in Bari, presiede la riunione del Consiglio Presbiterale Diocesano. – Alla sera, presso la parrocchia “Maria SS. del Rosario” in Bari, celebra la S. Messa per l’anniversario della morte del Servo di Dio mons. Luigi Giussani, fondatore di Comunione e Liberazione. 24 – Al pomeriggio, in Cassano delle Murge, inaugura la nuova sede dell’ Associazione “Cercasi un fine”. 25 – Al mattino, presso l’Oasi S. Maria in Cassano delle Murge, guida il ritiro spirituale per i fidanzati dei vicariati della città di Bari. – Alla sera, presso la parrocchia “S. Gabriele dell’Addolorata” in Bari, celebra la S. Messa per la festa del Titolare. 26 – Alla sera, presso la parrocchia “SS. Trinità” in Mola di Bari, guida la catechesi comunitaria sul tema pastorale dell’anno. 28 – Alla sera, nella Basilica di San Nicola, partecipa alla presentazione del libro Passaggio a Dalmanutà di p. Francesco Marino, O.P.

Marzo 2018 1 – Al mattino, presso la Curia diocesana, partecipa all’incontro della Fondazione Regina Apuliae. – Al pomeriggio, presso la cappella delle Suore Domenicane Missionarie di S. Sisto in Bari, celebra la S. Messa per la Federazione dei Pensionati Sanitari (medici, veterinari e farmacisti) e Vedove (FEDER.S.P. e V.). – Alla sera, incontra il Consiglio di Amministrazione della Fondazione Giovanni Paolo II. 3 – Alla sera, presso la parrocchia “S. Maria del Campo” in BariCeglie, celebra la S. Messa per l’ordinazione diaconale di Michele Fiore. 4 – Alla sera, presso la parrocchia “S. Maria Assunta” in Binetto,

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celebra la S. Messa in preparazione alla festa della Madonna Odegitria, e successivamente saluta il gruppo parrocchiale dei fidanzati. Alla sera, presso la parrocchia “Cristo Re Universale” in Bitonto, guida la catechesi comunitaria sul Consiglio pastorale. Alla sera, in Cattedrale, celebra la S. Messa nella solennità di Maria SS. di Costantinopoli “Odegitria” con la partecipazione del vicariato I. Alla sera, in Cattedrale, celebra la S. Messa con la partecipazione dei vicariati IV e V. Alla sera, in Cattedrale, celebra la S. Messa con la partecipazione del vicariato II. Alla sera, in Cattedrale, celebra la S. Messa con la partecipazione del vicariato VIII. Al mattino, presso la parrocchia “Maria SS. Annunziata” in Modugno, celebra la S. Messa per la festa della Patrona, Maria SS. Addolorata. Alla sera, in Cattedrale, celebra la S. Messa nel decimo anniversario della morte di Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari. Al mattino, presso la parrocchia “S. Giovanni Bosco” in Bari, celebra la S. Messa per il raduno del Rinnovamento nello Spirito. Alla sera, in Cattedrale, celebra la S. Messa con la partecipazione del vicariato Bitonto-Palo del Colle. Alla sera, in Cattedrale, celebra la S. Messa con la partecipazione del vicariato VII. A seguire, nella sala “Odegitria” della parrocchia “Cattedrale” in Bari, partecipa all’incontro del rabbino capo della Comunità Ebraica di Roma Riccardo Di Segni su “Il Cantico nel Giudaismo”, per il ciclo di incontri sul Cantico dei Cantici organizzato dal Centro di Cultura Biblica “Bereshit”. Alla sera, in Cattedrale, celebra la S. Messa con la partecipazione del vicariato III. Alla sera, in Cattedrale, celebra la S. Messa con la partecipazione dei vicariati IX e X. Al mattino, nella cappella del Palazzo Ateneo dell’Università degli Studi di Bari, celebra la S. Messa nel 40° anniversario del rapimento dell’on. Aldo Moro.


DIARIO DELL’ARCIVESCOVO 17 – Al mattino, a S. Giovanni Rotondo, partecipa alla concelebrazione eucaristica presieduta dal Santo Padre Francesco. – Alla sera, presso la parrocchia “S. Maria di Costantinopoli” in Bitritto, celebra la S. Messa per il Venerabile don Ambrogio Grittani. 18 – Al mattino, presso la parrocchia “S. Giovanni Battista” in Bari, celebra la S. Messa per l’inizio della missione parrocchiale. – Alla sera, presso la parrocchia “S. Agostino” in Modugno, celebra la S. Messa e successivamente inaugura la mostra per i 400 anni della chiesa. 19-21 – A Roma, partecipa ai lavori del Consiglio Permanente della Conferenza Episcopale Italiana. 21 – Alla sera, presso la parrocchia “S. Andrea” in Bitonto, celebra la S. Messa per il XX anniversario della morte di don Cosimo Stellacci, già direttore della Caritas Diocesana. 22 – Al mattino, presso il Polifunzionale della Polizia di Stato in Bari, celebra la S. Messa in preparazione alla Pasqua. – Al pomeriggio, presso il Pontificio Seminario Regionale” Pio XI in Molfetta, incontra i seminaristi. – Alla sera, presso la Casa del clero in Bari, presiede la riunione del Consiglio Pastorale diocesano. 23 – Al mattino, in Cattedrale, in preparazione alla Pasqua, celebra la S. Messa per il Presidio militare regionale. Successivamente, presso il Museo diocesano, presenta la mostra “L’arte sacra incontra i giovani”, realizzata dagli studenti delle classi quinte dell’Indirizzo Arti figurative del Liceo artistico “De Nittis”. – Alla sera, nella chiesa di S. Giuseppe nella città vecchia, presiede la preghiera dei Vespri per l’insediamento del nuovo Direttivo dell’Arciconfraternita. 24 – Al mattino, presso il Seminario Arcivescovile, incontra gli ex allievi. – Alla sera, presso la parrocchia “S. Maria Maggiore” in Gioia del Colle, celebra la S. Messa per la benedizione della nuova mensa. Successivamente benedice la targa della piazza intitolata a mons. Franco Di Maggio nel centenario della nascita.

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25 – Al mattino, sul sagrato della chiesa della SS. Trinità e dei SS. Medici in Bari, benedice i rami d’ulivo; quindi si reca processionalmente in Cattedrale, dove celebra la S. Messa della Domenica delle Palme. – Alla sera, presso l’Hospice “Aurelio Marena” in Bitonto, celebra la S. Messa per gli ammalati, i loro familiari e il personale sanitario. 26 – Al mattino, presso l’Oasi S. Maria in Cassano delle Murge, tiene la meditazione al clero. – Alla sera, nella cappella maggiore del Seminario arcivescovile, celebra la S. Messa per l’ammissione agli ordini sacri. 27 – Al mattino, presso la Scuola Allievi della Guardia di Finanza in Bari, celebra la S. Messa in preparazione alla Pasqua. – Alla sera, presso la sede RAI, celebra la S. Messa in preparazione alla Pasqua. 28 – Al mattino, presso la parrocchia “Maria SS. Annunziata” in Modugno, celebra le esequie di don Nicola Pascazio. – Successivamente, presso la sede INPS in Bari, celebra la S. Messa in preparazione alla Pasqua. – Al pomeriggio, presso la parrocchia “Madre della Divina Provvidenza” in Bari, incontra la IV Comunità del Cammino neocatecumenale per il rinnovo delle promesse. 29 – Al mattino, in Cattedrale, celebra la Messa Crismale. – Alla sera, in Cattedrale, celebra la S. Messa “in coena Domini”. Successivamente partecipa alla adorazione eucaristica. 30 – Al mattino, in Cattedrale, presiede l’Ufficio delle Letture. – Alla sera, in Cattedrale, celebra l’Azione liturgica “in passione et morte Domini”. – Successivamente, in Bitonto, partecipa alla processione del Venerdì Santo. 31 – Al mattino, in Cattedrale, presiede l’Ufficio delle letture. – Alla sera, in Cattedrale, presiede la celebrazione della Veglia Pasquale.


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Finito di stampare nel mese di giugno 2018 da Ecumenica Editrice scrl - Bari


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