Bollettino Diocesano Luglio- Agosto 2013

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BOLLETTINO DIOCESANO

l´Odegitria

Atti ufficiali e attività pastorali dell’Arcidiocesi di Bari-Bitonto


BOLLETTINO DIOCESANO

l´Odegitria Atti ufficiali e attività pastorali dell’Arcidiocesi di Bari-Bitonto Registrazione Tribunale di Bari n. 1272 del 26/03/1996 ANNO LXXXIX - N. 4 - Luglio - Agosto 2013 Redazione e amministrazione: Curia Arcivescovile Bari-Bitonto P.zza Odegitria - 70122 Bari - Tel. 080/5288211 - Fax 080/5244450 www.arcidiocesibaribitonto.it - e.mail: curia@odegitria.bari.it Direttore responsabile: Giuseppe Sferra Direttore: Gabriella Roncali Redazione: Beppe Di Cagno, Luigi Di Nardi, Angelo Latrofa, Paola Loria, Franco Mastrandrea, Bernardino Simone, Francesco Sportelli Gestione editoriale e stampa: Ecumenica Editrice scrl - 70123 Bari - Tel. 080.5797843 - Fax 080.2170009 www.ecumenicaeditrice.it - info@ecumenicaeditrice.it


SOMMARIO DOCUMENTI DELLA CHIESA UNIVERSALE MAGISTERO PONTIFICIO Messaggio per la Giornata missionaria mondiale 2013 (20 ottobre 2013)

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XXVIII Giornata mondiale della gioventù (Rio de Janeiro, 22-29 luglio 2013) Discorso nella Veglia di preghiera con i giovani Discorso alla Via Crucis con i giovani Omelia nella Santa Messa

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DOCUMENTI DELLA CHIESA ITALIANA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA Messaggio per l’VIII Giornata per la custodia del creato: “La famiglia educa alla custodia del creato” (1 settembre 2013)

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DOCUMENTI E VITA DELLA CHIESA DI BARI BITONTO MAGISTERO E ATTI DELL’ARCIVESCOVO Omelia per la Festa dei Santi Martiri di Otranto (14 agosto 2013)

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La Gloria di Dio risplende nei Santi: Lettera ai parroci e a tutte le comunità parrocchiali per l’arrivo a Bari dell’urna contenente la reliquia di S. Giovanni Bosco

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CURIA METROPOLITANA Cancelleria Sacre ordinazioni e decreti

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Ufficio Diaconato permanente e Ministeri istituiti Relazione sulle attività 2012-2013

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Ufficio Catechistico L’iniziazione cristiana con i ragazzi diversamente abili

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Uffici: Catechistico, Comunicazioni sociali, Liturgico. Scuola diocesana di Teatro. Fondazione “Frammenti di Luce”. Pie Discepole del Divin Maestro Il percorso dei “Laboratori della fede”

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CONSIGLI DIOCESANI Consiglio Presbiterale diocesano Verbale della riunione del 15 febbraio 2013 Verbale della riunione del 16 maggio 2013

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DOCUMENTAZIONE A trent’anni dalla morte di mons. Nicodemo e a cinquanta dall’inizio del Vaticano II: Mons. Enrico Nicodemo e la recezione del Vaticano II nell’arcidiocesi di Bari nelle pagine del Bollettino Diocesano (1959-1973) di R. Dipinto

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PUBBLICAZIONI

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NELLA PACE DEL SIGNORE don Giovanni Paccione

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DIARIO DELL’ARCIVESCOVO Luglio 2013 Agosto 2013

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D OCUMENTI

DELLA

C HIESA U NIVERSALE

MAGISTERO PONTIFICIO Messaggio per la Giornata missionaria mondiale 2013 (20 ottobre 2013)

Cari fratelli e sorelle, quest’anno celebriamo la Giornata missionaria mondiale mentre si sta concludendo l’Anno della fede, occasione importante per rafforzare la nostra amicizia con il Signore e il nostro cammino come Chiesa che annuncia con coraggio il Vangelo. In questa prospettiva, vorrei proporre alcune riflessioni. 1. La fede è dono prezioso di Dio, il quale apre la nostra mente perché lo possiamo conoscere ed amare. Egli vuole entrare in relazione con noi per farci partecipi della sua stessa vita e rendere la nostra vita più piena di significato, più buona, più bella. Dio ci ama! La fede, però, chiede di essere accolta, chiede cioè la nostra personale risposta, il coraggio di affidarci a Dio, di vivere il suo amore, grati per la sua infinita misericordia. È un dono, poi, che non è riservato a pochi, ma che viene offerto con generosità. Tutti dovrebbero poter sperimentare la gioia di sentirsi amati da Dio, la gioia della salvezza! Ed è un dono che non si può tenere solo per se stessi, ma che va condiviso. Se noi vogliamo tenerlo soltanto per noi stessi, diventeremo cristiani isolati, sterili e ammalati. L’annuncio del Vangelo fa parte dell’essere discepoli di Cristo ed è un impegno costante che anima tutta la vita della Chiesa. «Lo slancio missionario è un segno chiaro della maturità di una comunità ecclesiale» (Benedetto XVI, Esort. ap. Verbum Domini, 95). Ogni comunità è

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“adulta” quando professa la fede, la celebra con gioia nella liturgia, vive la carità e annuncia senza sosta la Parola di Dio, uscendo dal proprio recinto per portarla anche nelle “periferie”, soprattutto a chi non ha ancora avuto l’opportunità di conoscere Cristo. La solidità della nostra fede, a livello personale e comunitario, si misura anche dalla capacità di comunicarla ad altri, di diffonderla, di viverla nella carità, di testimoniarla a quanti ci incontrano e condividono con noi il cammino della vita.

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2. L’Anno della fede, a cinquant’anni dall’inizio del Concilio Vaticano II, è di stimolo perché l’intera Chiesa abbia una rinnovata consapevolezza della sua presenza nel mondo contemporaneo, della sua missione tra i popoli e le nazioni. La missionarietà non è solo una questione di territori geografici, ma di popoli, di culture e di singole persone, proprio perché i “confini” della fede non attraversano solo luoghi e tradizioni umane, ma il cuore di ciascun uomo e di ciascuna donna. Il Concilio Vaticano II ha sottolineato in modo speciale come il compito missionario, il compito di allargare i confini della fede, sia proprio di ogni battezzato e di tutte le comunità cristiane: «Poiché il popolo di Dio vive nelle comunità, specialmente in quelle diocesane e parrocchiali, ed in esse in qualche modo appare in forma visibile, tocca anche a queste comunità rendere testimonianza a Cristo di fronte alle nazioni» (Decr. Ad gentes, 37). Ciascuna comunità è quindi interpellata e invitata a fare proprio il mandato affidato da Gesù agli Apostoli di essere suoi «testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra» (At 1,8), non come un aspetto secondario della vita cristiana, ma come un aspetto essenziale: tutti siamo inviati sulle strade del mondo per camminare con i fratelli, professando e testimoniando la nostra fede in Cristo e facendoci annunciatori del suo Vangelo. Invito i vescovi, i presbiteri, i consigli presbiterali e pastorali, ogni persona e gruppo responsabile nella Chiesa a dare rilievo alla dimensione missionaria nei programmi pastorali e formativi, sentendo che il proprio impegno apostolico non è completo se non contiene il proposito di “rendere testimonianza a Cristo di fronte alle nazioni”, di fronte a tutti i popoli. La missionarietà non è solamente una dimensione programmatica nella vita cristiana, ma anche una dimensione paradigmatica che riguarda tutti gli aspetti della vita cristiana.


MAGISTERO PONTIFICIO 3. Spesso l’opera di evangelizzazione trova ostacoli non solo all’esterno, ma all’interno della stessa comunità ecclesiale. A volte sono deboli il fervore, la gioia, il coraggio, la speranza nell’annunciare a tutti il messaggio di Cristo e nell’aiutare gli uomini del nostro tempo ad incontrarlo. A volte si pensa ancora che portare la verità del Vangelo sia fare violenza alla libertà. Paolo VI ha parole illuminanti al riguardo: «Sarebbe (...) un errore imporre qualcosa alla coscienza dei nostri fratelli. Ma proporre a questa coscienza la verità evangelica e la salvezza di Gesù Cristo con piena chiarezza e nel rispetto assoluto delle libere opzioni che essa farà (...) è un omaggio a questa libertà» (Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 80). Dobbiamo avere sempre il coraggio e la gioia di proporre, con rispetto, l’incontro con Cristo, di farci portatori del suo Vangelo. Gesù è venuto in mezzo a noi per indicare la via della salvezza, ed ha affidato anche a noi la missione di farla conoscere a tutti, fino ai confini della terra. Spesso vediamo che sono la violenza, la menzogna, l’errore ad essere messi in risalto e proposti. È urgente far risplendere nel nostro tempo la vita buona del Vangelo con l’annuncio e la testimonianza, e questo dall’interno stesso della Chiesa. Perché, in questa prospettiva, è importante non dimenticare mai un principio fondamentale per ogni evangelizzatore: non si può annunciare Cristo senza la Chiesa. Evangelizzare non è mai un atto isolato, individuale, privato, ma sempre ecclesiale. Paolo VI scriveva che «quando il più sconosciuto predicatore, missionario, catechista o Pastore, annuncia il Vangelo, raduna la comunità, trasmette la fede, amministra un sacramento, anche se è solo, compie un atto di Chiesa». Egli non agisce «per una missione arrogatasi, né in forza di un’ispirazione personale, ma in unione con la missione della Chiesa e in nome di essa». E questo dà forza alla missione e fa sentire ad ogni missionario ed evangelizzatore che non è mai solo, ma parte di un unico Corpo animato dallo Spirito Santo. 4. Nella nostra epoca, la mobilità diffusa e la facilità di comunicazione attraverso i new media hanno mescolato tra loro i popoli, le conoscenze, le esperienze. Per motivi di lavoro intere famiglie si

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spostano da un continente all’altro; gli scambi professionali e culturali, poi, il turismo e fenomeni analoghi spingono a un ampio movimento di persone. A volte risulta difficile persino per le comunità parrocchiali conoscere in modo sicuro e approfondito chi è di passaggio o chi vive stabilmente sul territorio. Inoltre, in aree sempre più ampie delle regioni tradizionalmente cristiane cresce il numero di coloro che sono estranei alla fede, indifferenti alla dimensione religiosa o animati da altre credenze. Non di rado poi, alcuni battezzati fanno scelte di vita che li conducono lontano dalla fede, rendendoli così bisognosi di una “nuova evangelizzazione”. A tutto ciò si aggiunge il fatto che ancora un’ampia parte dell’umanità non è stata raggiunta dalla buona notizia di Gesù Cristo. Viviamo poi in un momento di crisi che tocca vari settori dell’esistenza, non solo quello dell’economia, della finanza, della sicurezza alimentare, dell’ambiente, ma anche quello del senso profondo della vita e dei valori fondamentali che la animano. Anche la convivenza umana è segnata da tensioni e conflitti che provocano insicurezza e fatica di trovare la via per una pace stabile. In questa complessa situazione, dove l’orizzonte del presente e del futuro sembrano percorsi da nubi minacciose, si rende ancora più urgente portare con coraggio in ogni realtà il Vangelo di Cristo, che è annuncio di speranza, di riconciliazione, di comunione, annuncio della vicinanza di Dio, della sua misericordia, della sua salvezza, annuncio che la potenza di amore di Dio è capace di vincere le tenebre del male e guidare sulla via del bene. L’uomo del nostro tempo ha bisogno di una luce sicura che rischiara la sua strada e che solo l’incontro con Cristo può donare. Portiamo a questo mondo, con la nostra testimonianza, con amore, la speranza donata dalla fede! La missionarietà della Chiesa non è proselitismo, bensì testimonianza di vita che illumina il cammino, che porta speranza e amore. La Chiesa - lo ripeto ancora una volta - non è un’organizzazione assistenziale, un’impresa, una ONG, ma è una comunità di persone, animate dall’azione dello Spirito Santo, che hanno vissuto e vivono lo stupore dell’incontro con Gesù Cristo e desiderano condividere questa esperienza di profonda gioia, condividere il messaggio di salvezza che il Signore ci ha portato. È proprio lo Spirito Santo che guida la Chiesa in questo cammino.


MAGISTERO PONTIFICIO 5. Vorrei incoraggiare tutti a farsi portatori della buona notizia di Cristo e sono grato in modo particolare ai missionari e alle missionarie, ai presbiteri fidei donum, ai religiosi e alle religiose, ai fedeli laici - sempre più numerosi - che, accogliendo la chiamata del Signore, lasciano la propria patria per servire il Vangelo in terre e culture diverse. Ma vorrei anche sottolineare come le stesse giovani Chiese si stiano impegnando generosamente nell’invio di missionari alle Chiese che si trovano in difficoltà - non raramente Chiese di antica cristianità - portando così la freschezza e l’entusiasmo con cui esse vivono la fede che rinnova la vita e dona speranza. Vivere in questo respiro universale, rispondendo al mandato di Gesù «andate dunque e fate discepoli tutti i popoli» (Mt 28, 19) è una ricchezza per ogni Chiesa particolare, per ogni comunità, e donare missionari e missionarie non è mai una perdita, ma un guadagno. Faccio appello a quanti avvertono tale chiamata a corrispondere generosamente alla voce dello Spirito, secondo il proprio stato di vita, e a non aver paura dì essere generosi con il Signore. Invito anche i vescovi, le famiglie religiose, le comunità e tutte le aggregazioni cristiane a sostenere, con lungimiranza e attento discernimento, la chiamata missionaria ad gentes e ad aiutare le Chiese che hanno necessità di sacerdoti, di religiosi e religiose e di laici per rafforzare la comunità cristiana. E questa dovrebbe essere un’attenzione presente anche tra le Chiese che fanno parte di una stessa Conferenza episcopale o di una Regione: è importante che le Chiese più ricche di vocazioni aiutino con generosità quelle che soffrono per la loro scarsità. Insieme esorto i missionari e le missionarie, specialmente i presbiteri fidei donum e i laici, a vivere con gioia il loro prezioso servizio nelle Chiese a cui sono inviati, e a portare la loro gioia e la loro esperienza alle Chiese da cui provengono, ricordando come Paolo e Barnaba al termine del loro primo viaggio missionario «riferirono tutto quello che Dio aveva fatto per mezzo loro e come avesse aperto ai pagani la porta della fede» (At 14,27). Essi possono diventare una via per una sorta di “restituzione” della fede, portando la freschezza delle giovani Chiese, affinché le Chiese di antica cristianità ritrovino l’entusia-

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smo e la gioia di condividere la fede in uno scambio che è arricchimento reciproco nel cammino di sequela del Signore. La sollecitudine verso tutte le Chiese, che il Vescovo di Roma condivide con i confratelli vescovi, trova un’importante attuazione nell’impegno delle Pontificie Opere Missionarie, che hanno lo scopo di animare e approfondire la coscienza missionaria di ogni battezzato e di ogni comunità, sia richiamando la necessità di una più profonda formazione missionaria dell’intero popolo di Dio, sia alimentando la sensibilità delle comunità cristiane ad offrire il loro aiuto per favorire la diffusione del Vangelo nel mondo. Un pensiero infine ai cristiani che, in varie parti del mondo, si trovano in difficoltà nel professare apertamente la propria fede e nel vedere riconosciuto il diritto a viverla dignitosamente. Sono nostri fratelli e sorelle, testimoni coraggiosi - ancora più numerosi dei martiri nei primi secoli - che sopportano con perseveranza apostolica le varie forme attuali di persecuzione, Non pochi rischiano anche la vita per rimanere fedeli al Vangelo di Cristo. Desidero assicurare che sono vicino con la preghiera alle persone, alle famiglie e alle comunità che soffrono violenza e intolleranza e ripeto loro le parole consolanti di Gesù: «Coraggio, io ho vinto il mondo» (Gv 16,33). Benedetto XVI esortava: «“La Parola del Signore corra e sia glorificata’’ (2Ts 3,1): possa questo Anno della fede rendere sempre più saldo il rapporto con Cristo Signore, poiché solo in Lui vi è la certezza per guardare al futuro e la garanzia di un amore autentico e duraturo» (Lett. ap. Porta fidei, 15). È il mio auspicio per la Giornata missionaria mondiale di quest’anno. Benedico di cuore i missionari e le missionarie e tutti coloro che accompagnano e sostengono questo fondamentale impegno della Chiesa affinché l’annuncio del Vangelo possa risuonare in tutti gli angoli della terra, e noi, ministri del Vangelo e missionari, sperimenteremo «la dolce e confortante gioia di evangelizzare» (Paolo VI, Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 80). Dal Vaticano, 19 maggio 2013, Solennità di Pentecoste


D OCUMENTI

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C HIESA U NIVERSALE

MAGISTERO PONTIFICIO XXVIII Giornata mondiale della gioventù (Rio de Janeiro, 22-29 luglio 2013)

Discorso nella Veglia di preghiera con i giovani Lungomare di Copacabana, sabato 27 luglio 2013

Carissimi giovani,

Guardando voi oggi qui presenti, mi viene in mente la storia di san Francesco d’Assisi. Davanti al Crocifisso sente la voce di Gesù che gli dice: «Francesco, va’ e ripara la mia casa». E il giovane Francesco risponde con prontezza e generosità a questa chiamata del Signore: riparare la sua casa. Ma quale casa? Piano piano, si rende conto che non si trattava di fare il muratore e riparare un edificio fatto di pietre, ma di dare il suo contributo per la vita della Chiesa; si trattava di mettersi a servizio della Chiesa, amandola e lavorando perché in essa si riflettesse sempre più il Volto di Cristo. Anche oggi il Signore continua ad avere bisogno di voi giovani per la sua Chiesa. Cari giovani, il Signore ha bisogno di voi! Anche oggi chiama ciascuno di voi a seguirlo nella sua Chiesa e ad essere missionari. Cari giovani, il Signore oggi vi chiama! Non al mucchio! A te, a te, a te, a ciascuno. Ascoltate nel cuore quello che vi dice. Penso che possiamo imparare qualcosa da ciò che è successo in questi giorni, di come abbiamo dovuto cancellare, per il maltempo, la realizzazione di questa Vigilia nel Campus Fidei, a Guaratiba. Forse, non è che il Signore voglia dirci che il vero campo della fede, il vero Campus Fidei, non è un luogo geografico, bensì siamo noi stessi? Sì!

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È vero! Ciascuno di noi, ciascuno di voi, io, tutti! Ed essere discepolo missionario significa sapere che siamo il Campo della Fede di Dio! Per questo, partendo dall’immagine del Campo della Fede, ho pensato a tre immagini che ci possono aiutare a capire meglio che cosa significa essere discepolo-missionario: la prima immagine, il campo come luogo in cui si semina; la seconda, il campo come luogo di allenamento; e la terza, il campo come cantiere.

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1. Primo: Il campo come luogo in cui si semina. Conosciamo tutti la parabola di Gesù che narra di un seminatore andato a gettare i semi nel campo; alcuni di essi cadono sulla strada, in mezzo ai sassi, tra le spine e non riescono a svilupparsi; ma altri cadono su terra buona e producono molto frutto (cfr Mt 13,1-9). Gesù stesso spiega il significato della parabola: il seme è la Parola di Dio che è gettata nei nostri cuori (cfr Mt 13,18-23). Oggi… tutti i giorni, ma oggi in modo speciale, Gesù semina. Quando accettiamo la Parola di Dio, allora siamo il Campo della Fede! Per favore, lasciate che Cristo e la sua Parola entrino nella vostra vita, lasciate entrare la semente della Parola di Dio, lasciate che germogli, lasciate che cresca. Dio fa tutto, ma voi lasciatelo agire, lasciate che Lui lavori in questa crescita! Gesù ci dice che i semi caduti ai bordi della strada o tra i sassi e in mezzo alle spine non hanno portato frutto. Credo che, con onestà, possiamo farci la domanda: che tipo di terreno siamo, che tipo di terreno vogliamo essere? Forse a volte siamo come la strada: ascoltiamo il Signore, ma non cambia nulla nella nostra vita, perché ci lasciamo intontire da tanti richiami superficiali che ascoltiamo. Io vi domando, ma non rispondete adesso, ognuno risponda nel suo cuore: sono un giovane, una giovane, intontito? o siamo come il terreno sassoso: accogliamo con entusiasmo Gesù, ma siamo incostanti davanti alle difficoltà, non abbiamo il coraggio di andare controcorrente. Ognuno di noi risponda nel suo cuore: ho coraggio o sono un codardo? O siamo come il terreno con le spine: le cose, le passioni negative soffocano in noi le parole del Signore (cfr Mt 13,18-22). Ho l’abitudine nel mio cuore di giocare in due ruoli: fare bella figura con Dio e fare bella figura con il diavolo? voler ricevere la semente di Gesù e allo stesso tempo annaffiare le spine e le erbacce che nascono nel mio cuore? Oggi, però, io sono certo che la se-


MAGISTERO PONTIFICIO mente può cadere in terra buona. Ascoltiamo questi testimoni, come la semente è caduta in terra buona. “No, Padre, io non sono terra buona, sono una calamità, sono pieno di sassi, di spine, di tutto”. Sì, può darsi che questo sia nella superficie, ma libera un pezzetto, un piccolo pezzo di terra buona, e lascia che cada lì e vedrai come germoglierà. Io so che voi volete essere terreno buono, cristiani veramente, non cristiani part-time; non cristiani “inamidati”, con la puzza al naso, così da sembrare cristiani e, sotto sotto, non fare nulla; non cristiani di facciata, questi cristiani che sono “puro aspetto”, ma cristiani autentici. So che voi non volete vivere nell’illusione di una libertà inconsistente che si lascia trascinare dalle mode e dalle convenienze del momento. So che voi puntate in alto, a scelte definitive che diano senso pieno. È così o mi sbaglio? È cosi? Bene, se è così facciamo una cosa: tutti in silenzio, guardiamo al cuore e ognuno dica a Gesù che vuole ricevere la semente. Dite a Gesù: guarda, Gesù, le pietre che ci sono, guarda le spine, guarda le erbacce, ma guarda questo piccolo pezzo di terra che ti offro perché entri la semente. In silenzio, lasciamo entrare la semente di Gesù. Ricordatevi di questo momento, ognuno sa il nome della semente che è entrata. Lasciatela crescere, e Dio ne avrà cura. 2. Secondo: Il campo oltre ad essere un luogo di semina è luogo di allenamento. Gesù ci chiede di seguirlo per tutta la vita, ci chiede di essere suoi discepoli, di “giocare nella sua squadra”. La maggior parte di voi ama lo sport. E qui in Brasile, come in altri Paesi, il calcio è passione nazionale. Sì o no? Ebbene, che cosa fa un giocatore quando è convocato a far parte di una squadra? Deve allenarsi, e allenarsi molto! Così è la nostra vita di discepoli del Signore. San Paolo descrivendo i cristiani ci dice: «Ogni atleta è disciplinato in tutto; essi lo fanno per ottenere una corona che appassisce; noi invece una che dura per sempre» (1 Cor 9,25). Gesù ci offre qualcosa di superiore della Coppa del mondo! Qualcosa di superiore della Coppa del mondo! Gesù ci offre la possibilità di una vita feconda, di una vita felice e ci offre anche un futuro con Lui che non avrà fine, nella vita eterna. È quello che ci offre Gesù. Ma ci chiede che paghiamo

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l’entrata, e l’entrata è che noi ci alleniamo per “essere in forma”, per affrontare senza paura tutte le situazioni della vita, testimoniando la nostra fede. Attraverso il dialogo con Lui: la preghiera. Padre, adesso ci fa pregare tutti? No? Ti domando… ma rispondete nel vostro cuore, non a voce alta, ma nel silenzio: io prego? Ognuno risponda. Io parlo con Gesù oppure ho paura del silenzio? Lascio che lo Spirito Santo parli nel mio cuore? Io chiedo a Gesù: che cosa vuoi che faccia, che cosa vuoi della mia vita? Questo è allenarsi. Domandate a Gesù, parlate con Gesù. E se commettete un errore nella vita, se fate uno scivolone, se fate qualcosa che è male, non abbiate paura. Gesù, guarda quello che ho fatto! Che cosa devo fare adesso? Però parlate sempre con Gesù, nel bene e nel male, quando fate una cosa buona e quando fate una cosa cattiva. Non abbiate paura di Lui! Questa è la preghiera. E con questo vi allenate nel dialogo con Gesù, in questo discepolato missionario! Attraverso i sacramenti, che fanno crescere in noi la sua presenza. Attraverso l’amore fraterno, il saper ascoltare, il comprendere, il perdonare, l’accogliere, l’aiutare gli altri, ogni persona, senza escludere, senza emarginare. Cari giovani, siate veri “atleti di Cristo”!

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3. E terzo: Il campo come cantiere. Qui stiamo vedendo come si è potuto costruire questo proprio qui: hanno iniziato a muoversi i ragazzi, le ragazze, si sono dati da fare e hanno costruito la Chiesa. Quando il nostro cuore è una terra buona che accoglie la Parola di Dio, quando “si suda la maglietta” [si sudano sette camicie n.d.r.] cercando di vivere da cristiani, noi sperimentiamo qualcosa di grande: non siamo mai soli, siamo parte di una famiglia di fratelli che percorrono lo stesso cammino: siamo parte della Chiesa. Questi ragazzi, queste ragazze non erano soli, ma insieme hanno fatto un cammino e hanno costruito la Chiesa, insieme hanno realizzato quello che ha fatto san Francesco; costruire, riparare la Chiesa. Ti domando: volete costruire la Chiesa? [Sì….] Vi animate a farlo? [Sì…] E domani avrete dimenticato di questo “sì” che avete detto? [No…] Così mi piace! Siamo parte della Chiesa, anzi, diventiamo costruttori della Chiesa e protagonisti della storia. Ragazzi e ragazze, per favore: non mettetevi nella “coda” della storia. Siate protagonisti. Giocate in attacco! Calciate in avanti, costruite un mondo migliore, un mondo di fratelli, un mondo di giustizia, di amore, di pace,


MAGISTERO PONTIFICIO di fraternità, di solidarietà. Giocate in attacco sempre! San Pietro ci dice che siamo pietre vive che formano un edificio spirituale (cfr 1 Pt 2,5). E guardiamo questo palco, si vede che esso ha forma di una chiesa costruita con pietre vive. Nella Chiesa di Gesù siamo noi le pietre vive, e Gesù ci chiede di costruire la sua Chiesa; ciascuno di noi è una pietra viva, è un pezzetto della costruzione, e, quando viene la pioggia, se manca questo pezzetto, si hanno infiltrazioni, ed entra l’acqua nella casa. E non costruire una piccola cappella che può contenere solo un gruppetto di persone. Gesù ci chiede che la sua Chiesa vivente sia così grande da poter accogliere l’intera umanità, sia la casa per tutti! Dice a me, a te, a ciascuno: «Andate e fate discepoli tutti i popoli». Questa sera rispondiamogli: Sì, Signore, anch’io voglio essere una pietra viva; insieme vogliamo edificare la Chiesa di Gesù! Voglio andare ed essere costruttore della Chiesa di Cristo! Vi animate a ripeterlo? Voglio andare ed essere costruttore della Chiesa di Cristo, vediamo adesso… [i giovani lo ripetono] Poi dovete ricordare che l’avete detto insieme. Il tuo cuore, cuore giovane, vuole costruire un mondo migliore. Seguo le notizie del mondo e vedo che tanti giovani in tante parti del mondo sono usciti per le strade per esprimere il desiderio di una civiltà più giusta e fraterna. I giovani nelle strade. Sono giovani che vogliono essere protagonisti del cambiamento. Per favore, non lasciate che altri siano protagonisti del cambiamento! Voi siete quelli che hanno il futuro! Voi… Attraverso di voi entra il futuro nel mondo. A voi chiedo anche di essere protagonisti di questo cambiamento. Continuate a superare l’apatia, offrendo una risposta cristiana alle inquietudini sociali e politiche, che si stanno presentando in varie parti del mondo. Vi chiedo di essere costruttori del mondo, di mettervi al lavoro per un mondo migliore. Cari giovani, per favore, non “guardate dal balcone” la vita, mettetevi in essa, Gesù non è rimasto nel balcone, si è immerso, non “guardate dal balcone” la vita, immergetevi in essa come ha fatto Gesù. Resta però una domanda: da dove cominciamo? A chi chiediamo di iniziare questo? Da dove cominciamo? Una volta hanno chiesto a Madre Teresa di Calcutta che cosa doveva cambiare nella Chiesa, se

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vogliamo cominciare, da quale parte? Da dove - hanno chiesto a Madre Teresa - bisogna iniziare? Da te e da me! rispose lei. Aveva grinta questa donna! Sapeva da dove iniziare. Anche io oggi rubo la parola a Madre Teresa e ti dico: iniziamo? da dove? da te e da me! Ognuno, ancora una volta in silenzio, si chieda: se devo iniziare da me, da dove inizio? Ciascuno apra il suo cuore perché Gesù gli dica da dove iniziare. Cari amici, non dimenticate: siete il campo della fede! Siete gli atleti di Cristo! Siete i costruttori di una Chiesa più bella e di un mondo migliore. Alziamo lo sguardo verso la Madonna. Essa aiuta a seguire Gesù, ci dà l’esempio con il suo “sì” a Dio: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola» (Lc 1,38). Lo diciamo anche noi, insieme con Maria, a Dio: avvenga per me secondo la tua parola. Così sia!

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MAGISTERO PONTIFICIO

Discorso alla Via Crucis con i giovani Lungomare di Copacabana, venerdì 26 luglio 2013

Carissimi giovani! Siamo venuti oggi qui per accompagnare Gesù lungo il suo cammino di dolore e di amore, il cammino della Croce, che è uno dei momenti forti della Giornata mondiale della Gioventù. Al termine dell’Anno santo della Redenzione, il beato Giovanni Paolo II ha voluto affidare la Croce a voi, giovani, dicendovi: «Portatela nel mondo come segno dell’amore di Gesù per l’umanità e annunciate a tutti che solo in Cristo morto e risorto c’è salvezza e redenzione» (Parole ai giovani [22 aprile 1984]: Insegnamenti VII,1 [1984], 1105). Da allora la Croce ha percorso tutti i continenti e ha attraversato i più svariati mondi dell’esistenza umana, restando quasi impregnata dalle situazioni di vita dei tanti giovani che l’hanno vista e l’hanno portata. Cari fratelli, nessuno può toccare la Croce di Gesù senza lasciarvi qualcosa di se stesso e senza portare qualcosa della Croce di Gesù nella propria vita. Tre domande vorrei che risuonassero nei vostri cuori questa sera accompagnando il Signore: che cosa avete lasciato nella Croce voi, cari giovani del Brasile, in questi due anni in cui ha attraversato il vostro immenso Paese? e che cosa ha lasciato la Croce di Gesù in ciascuno di voi? e, infine, che cosa insegna alla nostra vita questa Croce? 1. Un’antica tradizione della Chiesa di Roma racconta che l’apostolo Pietro, uscendo dalla città per scappare dalla persecuzione di Nerone, vide Gesù che camminava nella direzione opposta e stupito gli domandò: “Signore, dove vai?”. La risposta di Gesù fu: “Vado a Roma per essere crocifisso di nuovo”. In quel momento, Pietro

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capì che doveva seguire il Signore con coraggio, fino in fondo, ma capì soprattutto che non era mai solo nel cammino; con lui c’era sempre quel Gesù che lo aveva amato fino a morire. Ecco, Gesù con la sua Croce percorre le nostre strade e prende su di sé le nostre paure, i nostri problemi, le nostre sofferenze, anche le più profonde. Con la Croce Gesù si unisce al silenzio delle vittime della violenza, che ormai non possono più gridare, soprattutto gli innocenti e gli indifesi; con la Croce, Gesù si unisce alle famiglie che sono in difficoltà, e che piangono la tragica perdita dei loro figli, come nel caso dei 242 giovani vittime dell’incendio nella città di Santa María all’inizio di quest’anno. Preghiamo per loro. Con la Croce Gesù si unisce a tutte le persone che soffrono la fame in un mondo che, dall’altro lato, si permette il lusso di gettare via ogni giorno tonnellate di cibo; con la Croce, Gesù è unito a tante madri e a tanti padri che soffrono vedendo i propri figli vittime di paradisi artificiali come la droga; con la Croce, Gesù si unisce a chi è perseguitato per la religione, per le idee, o semplicemente per il colore della pelle; nella Croce, Gesù è unito a tanti giovani che hanno perso la fiducia nelle istituzioni politiche perché vedono l’egoismo e la corruzione o che hanno perso la fede nella Chiesa, e persino in Dio, per l’incoerenza di cristiani e di ministri del Vangelo. Quanto fanno soffrire Gesù le nostre incoerenze! Nella Croce di Cristo c’è la sofferenza, il peccato dell’uomo, anche il nostro, e Lui accoglie tutto con le braccia aperte, carica sulle sue spalle le nostre croci e ci dice: Coraggio! Non sei solo a portarle! Io le porto con te e io ho vinto la morte e sono venuto a darti speranza, a darti vita (cfr Gv 3,16).

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2. Adesso possiamo rispondere alla seconda domanda: che cosa ha lasciato la Croce in coloro che l’hanno vista e in coloro che l’hanno toccata? che cosa lascia la Croce in ciascuno di noi? Vedete: lascia un bene che nessuno può darci: la certezza dell’amore fedele di Dio per noi. Un amore così grande che entra nel nostro peccato e lo perdona, entra nella nostra sofferenza e ci dona la forza per portarla, entra anche nella morte per vincerla e salvarci. Nella Croce di Cristo c’è tutto l’amore di Dio, c’è la sua immensa misericordia. E questo è un amore di cui possiamo fidarci, nel quale possiamo credere. Cari giovani, fidiamoci di Gesù, affidiamoci a Lui (cfr Lettera enc. Lumen fidei, 16) perché Lui non delude mai nessuno! Solo in


MAGISTERO PONTIFICIO Cristo morto e risorto troviamo la salvezza e la redenzione. Con lui, il male, la sofferenza e la morte non hanno l’ultima parola, perché Lui ci dona speranza e vita: ha trasformato la Croce dall’essere uno strumento di odio, di sconfitta e di morte ad essere un segno di amore, di vittoria, di trionfo e di vita. Il primo nome dato al Brasile è stato proprio quello di Terra de Santa Cruz. La Croce di Cristo è stata piantata non solo sulla spiaggia più di cinque secoli fa, ma anche nella storia, nel cuore e nella vita del popolo brasiliano e in molti altri popoli. Il Cristo sofferente lo sentiamo vicino, uno di noi che condivide il nostro cammino fino in fondo. Non c’è croce, piccola o grande che sia, della nostra vita che il Signore non condivida con noi. 3. Ma la Croce di Cristo invita anche a lasciarci contagiare da questo amore, ci insegna allora a guardare sempre l’altro con misericordia e amore, soprattutto chi soffre, chi ha bisogno di aiuto, chi aspetta una parola, un gesto, la Croce ci invita ad uscire da noi stessi per andare loro incontro e tendere loro la mano. Tanti volti li abbiamo visti nella Via Crucis, tanti volti hanno accompagnato Gesù nel suo cammino verso il Calvario: Pilato, il Cireneo, Maria, le donne… Io oggi ti chiedo: tu come chi di loro vuoi essere? Vuoi essere come Pilato che non ha il coraggio di andare controcorrente per salvare la vita di Gesù e se ne lava le mani? Dimmi: sei uno di quelli che si lavano le mani, che fa il finto tonto e guarda dall’altra parte? o sei come il Cireneo, che aiuta Gesù a portare quel legno pesante, come Maria e le altre donne, che non hanno paura di accompagnare Gesù fino alla fine, con amore, con tenerezza? E tu, come chi di questi vuoi essere? come Pilato, come il Cireneo, come Maria? Gesù ti sta guardando adesso e ti dice: mi vuoi aiutare a portare la Croce? Fratelli e sorelle: con tutta la forza di giovane, che cosa Gli rispondi? Cari giovani, alla Croce di Cristo portiamo le nostre gioie, le nostre sofferenze, i nostri insuccessi; troveremo un Cuore aperto che ci comprende, ci perdona, ci ama e ci chiede di portare questo stesso amore nella nostra vita, di amare ogni nostro fratello e sorella con questo stesso amore.

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Omelia nella Santa Messa Lungomare di Copacabana, domenica, 28 luglio 2013

Cari fratelli e sorelle, cari giovani!

«Andate e fate discepoli tutti i popoli». Con queste parole, Gesù si rivolge a ognuno di voi, dicendo: “È stato bello partecipare alla Giornata mondiale della Gioventù, vivere la fede insieme a giovani provenienti dai quattro angoli della terra, ma ora tu devi andare e trasmettere questa esperienza agli altri”. Gesù ti chiama ad essere discepolo in missione! Oggi, alla luce della Parola di Dio che abbiamo ascoltato, che cosa ci dice il Signore? Che cosa ci dice il Signore?Tre parole: Andate, senza paura, per servire.

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1. Andate. In questi giorni, qui a Rio, avete potuto fare la bella esperienza di incontrare Gesù e di incontrarlo assieme, avete sentito la gioia della fede. Ma l’esperienza di questo incontro non può rimanere rinchiusa nella vostra vita o nel piccolo gruppo della parrocchia, del movimento, della vostra comunità. Sarebbe come togliere l’ossigeno a una fiamma che arde. La fede è una fiamma che si fa sempre più viva quanto più si condivide, si trasmette, perché tutti possano conoscere, amare e professare Gesù Cristo che è il Signore della vita e della storia (cfr Rm 10,9). Attenzione, però! Gesù non ha detto: se volete, se avete tempo, andate, ma ha detto: «Andate e fate discepoli tutti i popoli». Condividere l’esperienza della fede, testimoniare la fede, annunciare il Vangelo è il mandato che il Signore affida a tutta la Chiesa, anche a te; è un comando, che, però, non nasce dalla volontà di dominio, dalla volontà di potere, ma dalla forza dell’amore, dal fatto che Gesù per primo è venuto in mezzo a noi e non ci ha dato qualcosa di Sé, ma ci ha dato tutto Se stesso, Egli ha dato la sua vita per salvarci e mostrarci l’amore e la misericordia di Dio. Gesù non ci tratta da schiavi, ma da persone libere, da amici, da fratelli; e non solo


MAGISTERO PONTIFICIO ci invia, ma ci accompagna, è sempre accanto a noi in questa missione d’amore. Dove ci invia Gesù? Non ci sono confini, non ci sono limiti: ci invia a tutti. Il Vangelo è per tutti e non per alcuni. Non è solo per quelli che ci sembrano più vicini, più ricettivi, più accoglienti. È per tutti. Non abbiate paura di andare e portare Cristo in ogni ambiente, fino alle periferie esistenziali, anche a chi sembra più lontano, più indifferente. Il Signore cerca tutti, vuole che tutti sentano il calore della sua misericordia e del suo amore. In particolare, vorrei che questo mandato di Cristo: “Andate”, risuonasse in voi giovani della Chiesa in America Latina, impegnati nella missione continentale promossa dai vescovi. Il Brasile, l’America Latina, il mondo ha bisogno di Cristo! San Paolo dice: «Guai a me se non annuncio il Vangelo!» (1 Cor 9,16). Questo continente ha ricevuto l’annuncio del Vangelo, che ha segnato il suo cammino e ha portato molto frutto. Ora questo annuncio è affidato anche a voi, perché risuoni con forza rinnovata. La Chiesa ha bisogno di voi, dell’entusiasmo, della creatività e della gioia che vi caratterizzano. Un grande apostolo del Brasile, il beato José de Anchieta partì in missione quando aveva soltanto diciannove anni. Sapete qual è lo strumento migliore per evangelizzare i giovani? Un altro giovane. Questa è la strada da percorrere da parte di tutti voi! 2. Senza paura. Qualcuno potrebbe pensare: “Non ho nessuna preparazione speciale, come posso andare e annunciare il Vangelo?”. Caro amico, la tua paura non è molto diversa da quella di Geremia, abbiamo appena ascoltato nella lettura, quando è stato chiamato da Dio a essere profeta. «Ahimè, Signore Dio! Ecco, io non so parlare, perché sono giovane». Dio dice anche a voi quello che ha detto a Geremia: «Non avere paura [...], perché io sono con te per proteggerti» (Ger 1,7.8). Lui è con noi! “Non avere paura!”. Quando andiamo ad annunciare Cristo, è Lui stesso che ci precede e ci guida. Nell’inviare i suoi discepoli in missione, ha promesso: «Io sono con voi tutti i giorni» (Mt 28,20). E questo è vero anche per noi! Gesù non lascia mai solo nessuno! Ci accompagna sempre.

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Gesù poi non ha detto: “Va’”, ma “Andate”: siamo inviati insieme. Cari giovani, sentite la compagnia dell’intera Chiesa e anche la comunione dei santi in questa missione. Quando affrontiamo insieme le sfide, allora siamo forti, scopriamo risorse che non sapevamo di avere. Gesù non ha chiamato gli Apostoli perché vivessero isolati, li ha chiamati per formare un gruppo, una comunità. Vorrei rivolgermi anche a voi, cari sacerdoti che concelebrate con me quest’Eucaristia: siete venuti ad accompagnare i vostri giovani, e questo è bello, condividere questa esperienza di fede! Certamente vi ha ringiovanito tutti. Il giovane contagia giovinezza. Ma è solo una tappa del cammino. Per favore, continuate ad accompagnarli con generosità e gioia, aiutateli ad impegnarsi attivamente nella Chiesa; non si sentano mai soli! E qui desidero ringraziare di cuore dai gruppi di pastorale giovanile ai movimenti e nuove comunità che accompagnano i giovani nella loro esperienza di essere Chiesa, così creativi e così audaci. Andate avanti e non abbiate paura!

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3. L’ultima parola: per servire. All’inizio del Salmo che abbiamo proclamato ci sono queste parole: «Cantate al Signore un canto nuovo» (Sal 95,1). Qual è questo canto nuovo? Non sono parole, non è una melodia, ma è il canto della vostra vita, è lasciare che la nostra vita si identifichi con quella di Gesù, è avere i suoi sentimenti, i suoi pensieri, le sue azioni. E la vita di Gesù è una vita per gli altri, la vita di Gesù è una vita per gli altri. È una vita di servizio. San Paolo, nella lettura che abbiamo ascoltato poco fa, diceva: «Mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero» (1 Cor 9,19). Per annunciare Gesù, Paolo si è fatto “servo di tutti”. Evangelizzare è testimoniare in prima persona l’amore di Dio, è superare i nostri egoismi, è servire chinandoci a lavare i piedi dei nostri fratelli come ha fatto Gesù. Tre parole: Andate, senza paura, per servire. Andate, senza paura, per servire. Seguendo queste tre parole sperimenterete che chi evangelizza è evangelizzato, chi trasmette la gioia della fede, riceve più gioia. Cari giovani, nel ritornare alle vostre case non abbiate paura di essere generosi con Cristo, di testimoniare il suo Vangelo. Nella prima lettura, quando Dio invia il profeta Geremia, gli dona il potere di «sradicare e demolire, distruggere e abbattere, edificare e piantare» (Ger 1,10). Anche per voi è così. Portare il Vangelo è portare la forza


MAGISTERO PONTIFICIO di Dio per sradicare e demolire il male e la violenza; per distruggere e abbattere le barriere dell’egoismo, dell’intolleranza e dell’odio; per edificare un mondo nuovo. Cari giovani: Gesù Cristo conta su di voi! La Chiesa conta su di voi! Il Papa conta su di voi! Maria, Madre di Gesù e Madre nostra, vi accompagni sempre con la sua tenerezza: «Andate e fate discepoli tutti i popoli». Amen.

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CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA Messaggio per la VIII Giornata per la custodia del creato

“La famiglia educa alla custodia del creato” (1 settembre 2013)

«La donna saggia costruisce la sua casa, quella stolta la demolisce con le proprie mani» (Pr 14,1). Questa antica massima della Scrittura vale per la casa come per il creato, che possiamo custodire e purtroppo anche demolire. Dipende da noi, dalla nostra sapienza scegliere la strada giusta. Dove imparare tutto ciò? La prima scuola di custodia e di sapienza è la famiglia. Così ha fatto Maria di Nazaret che, con mani d’amore, sapeva impastare «tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata» (Mt 13,33). Così pure Giuseppe, nella sua bottega, insegnava a Gesù ad essere realmente «il figlio del falegname» (Mt 13,55). Da Maria e Giuseppe, Gesù imparò a guardare con stupore ai gigli del campo e agli uccelli del cielo, ad ammirare quel sole che il Padre fa sorgere sui buoni e sui cattivi o la pioggia che scende sui giusti e sugli ingiusti (cfr Mt 5,45). Perché guardiamo alla famiglia come scuola di custodia del creato? Perché la 47ª Settimana sociale dei cattolici italiani, che si svolgerà dal 12 al 15 settembre 2013 a Torino, avrà come tema: “La famiglia, speranza e futuro per la società italiana”. Nel cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II, poi, rileggiamo la costituzione pastorale Gaudium et spes, che alla famiglia, definita «una scuola di umanità più completa e più ricca», dedica una speciale attenzione: essa «è veramente il fondamento della società perché in essa le diverse generazioni si

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incontrano e si aiutano vicendevolmente a raggiungere una saggezza umana più completa ed a comporre convenientemente i diritti della persona con le altre esigenze nella vita sociale» (n. 52). In questo cammino ci guida il luminoso magistero di Papa Francesco, che ha esortato più volte, fin dall’inizio del suo pontificato, a «coltivare e custodire il creato: è un’indicazione di Dio data non solo all’inizio della storia, ma a ciascuno di noi; è parte del suo progetto; vuol dire far crescere il mondo con responsabilità, trasformarlo perché sia un giardino, un luogo abitabile per tutti... Il “coltivare e custodire” non comprende solo il rapporto tra noi e l’ambiente, tra l’uomo e il creato, riguarda anche i rapporti umani. I Papi hanno parlato di ecologia umana, strettamente legata all’ecologia ambientale. Noi stiamo vivendo un momento di crisi; lo vediamo nell’ambiente, ma soprattutto lo vediamo nell’uomo... Questa “cultura dello scarto” tende a diventare mentalità comune, che contagia tutti. La vita umana, la persona non sono più sentite come valore primario da rispettare e tutelare, specie se è povera o disabile, se non serve ancora – come il nascituro –, o non serve più – come l’anziano. Questa cultura dello scarto ci ha resi insensibili anche agli sprechi e agli scarti alimentari, che sono ancora più deprecabili quando in ogni parte del mondo, purtroppo, molte persone e famiglie soffrono fame e malnutrizione» (Udienza generale, 5 giugno 2013). «Come la famiglia può diventare una scuola per la custodia del creato e la pratica di questo valore?», chiede il documento preparatorio per la 47ª Settimana sociale. Come vescovi che hanno a cuore la pastorale sociale e l’ecumenismo, indichiamo tre prospettive da sviluppare nelle nostre comunità: la cultura della custodia che si apprende in famiglia si fonda, infatti, sulla gratuità, sulla reciprocità, sulla riparazione del male. Gratuità. La famiglia è maestra della gratuità del dono, che per prima riceve da Dio. Il dono è il suo compito e la sua missione nel mondo. È il suo volto e la sua identità. Solo così le relazioni si fanno autentiche e si innesta un legame di libertà con le persone e le cose. È una prospettiva che fa cambiare lo sguardo sulle cose. Tutto diventa intessuto di stupore. Da qui sgorga la gratitudine a Dio, che esprimiamo nella preghiera a tavola prima dei pasti, nella gioia della condivisione fraterna, nella cura per la casa, la parsimo-


CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA nia nell’uso dell’acqua, la lotta contro lo spreco, l’impegno a favore del territorio. Viviamo in un giardino, affidato alle nostre mani. «L’essere umano è fatto per il dono, che ne esprime e attua la dimensione di trascendenza», ricorda Benedetto XVI nella Caritas in veritate (n. 34), in «una gratuità presente nella sua vita in molteplici forme, spesso non riconosciute a causa di una visione solo produttivistica e utilitaristica dell’esistenza». Reciprocità. La famiglia ha una importanza decisiva nella costruzione di relazioni buone con le persone, perché in essa si impara il rispetto della diversità. Ogni fratello, infatti, è una persona diversa dall’altra. È in famiglia che la diversità, invece che fonte di invidia e di gelosia, può essere vista fin da piccoli come ricchezza. Già nella differenza sessuale della coppia sponsale che genera la famiglia c’è lo spazio per costruire la comunione nella reciprocità. La purificazione delle competizioni fra il maschile e il femminile fonda la vera ecologia umana. Non l’invidia (cfr Gen 4,3-8), allora, ma la reciprocità, l’unità nella differenza, il riconoscersi l’uno dono per l’altro. «Questa era la nostra gara – attesta san Gregorio Nazianzeno parlando della sua amicizia con san Basilio Magno – non chi fosse il primo, ma chi permettesse all’altro di esserlo». È la logica della reciprocità che costruisce il tessuto di relazioni positive. Non più avversari, ma collaboratori. In questa visione nasce quello spirito di cooperazione che si fa tessuto vitale per la custodia del creato, in quella logica preziosa che sa intrecciare sussidiarietà e solidarietà, per la costruzione del bene comune. Riparazione del male. In famiglia si impara anche a riparare il male compiuto da noi stessi e dagli altri, attraverso il perdono, la conversione, il dono di sé. Si apprende l’amore per la verità, il rispetto della legge naturale, la custodia dell’ecologia sociale e umana insieme a quella ambientale. Si impara a condividere l’impegno a “riparare le ferite” che il nostro egoismo dominatore ha inferto alla natura e alla convivenza fraterna. Da qui, dunque, può venire un serio e tenace impegno a riparare i danni provocati dalle catastrofi naturali e a compiere scelte di pace e di rifiuto della violenza e delle sue logiche. È un impegno da condurre avanti insieme, come comu-

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nità, famiglia di famiglie. Perché i problemi di una famiglia siano condivisi dalle altre famiglie, attenti a ogni fratello in difficoltà e ogni territorio violato. Con la fantasia della carità. Un segno forte di questa cultura, appresa in famiglia, sarà infine operare affinché venga custodita la sacralità della domenica. Anche “il profumo della domenica”, infatti, si impara in famiglia. È soprattutto nel giorno del Signore che la famiglia si fa scuola per custodire il creato. Si tratta di una frontiera decisiva, su cui siamo attesi, come famiglie che vivono scelte alternative. La preghiera fatta insieme, la lettura in famiglia della Parola di Dio, l’offerta dei sacrifici fatti con amore rendano profumate di gratuità e di fraternità vera le nostre case. Roma, 7 giugno 2013, Solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù La Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace La Commissione episcopale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso

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MAGISTERO E ATTI DELL’ARCIVESCOVO Omelia per la Festa dei Santi Martiri di Otranto (Cattedrale di Otranto, 14 agosto 2013)

«Non abbiate paura!», dice insistentemente il Signore Gesù agli apostoli, dopo averli inviati come pecore in mezzo a lupi. Perché non avere paura, perché non temere? È possibile questo solo attraverso una profonda fiducia, una profonda fede in Colui che dà la vita, che libera dalla paura della morte. Questo dicono i nostri Santi Martiri di Otranto. Non dobbiamo avere paura della morte, anche se il corpo può essere ucciso. Il corpo viene dalla terra e torna ad essa. È vero: il cristianesimo è la religione del corpo, ma del corpo vivificato. La vita che non può essere uccisa è la vita dello Spirito, dell’amore che sa dare anche la vita, che fa risuscitare anche i corpi. Perché nostro pastore non è la morte, nostro pastore è il Dio della vita. Se Lui, che chiama le stelle per nome (Sal 147,4) e ha contato tutti i capelli del nostro capo, si prende cura dei dettagli minimi dei suoi figli, come non si prenderà cura della nostra vita? E poi la certezza. Chi riconoscerà Lui davanti al Padre riceverà la ricompensa. Questo riconoscimento ha fatto dire ai nostri Santi Martiri: «Noi crediamo in Gesù Cristo, Figlio di Dio, e per Gesù Cristo siamo pronti a morire!». L’obbedienza nella fede fino al dono totale di sé non delude. Come è stata vissuta questa fede? Come è possibile dare la vita? D’incanto? Per uno slancio di eroismo? Quale illusione!

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E poi questo potrebbe accadere ad una persona, ma non ad ottocento. Perché questi nostri martiri sono stati in grado di offrire la vita? Lo ha detto stupendamente il loro portavoce, il saggio anziano Antonio Primaldo. Era un uomo semplice Antonio Primaldo; però, forte nella fede, aiuta tutti a sostenersi reciprocamente per vivere il momento della prova. Essi già vivevano in un clima di fede. Era la fede che avevano ricevuto insieme alla vita dai propri genitori, attraverso la testimonianza degli anziani. Sia Antonio Primaldo che il vescovo Pendinelli erano anziani. La conferma di dieci testimoni oculari, giunta fino a noi, come attesta l’Informo Otrantino del 1539, ci assicura che la trasmissione, la Traditio fidei et martirii è giunta fino a noi. Morire per Cristo non produce pessimismo e disperazione, ma, come fu per i fratelli Maccabei, provoca gioia. «È preferibile morire per mano degli uomini, quando da Dio si ha la speranza di essere da Lui di nuovo risuscitati» (2Mac 7,14), abbiamo appena ascoltato. L’onda dei martiri, dall’Antico Testamento ai nostri Martiri di Otranto, ai martiri di oggi, è molto lunga. Il culto dei sette fratelli Maccabei si estenderà nell’occidente cristiano, dove si dedicheranno a quei martiri molte chiese. Non dobbiamo mai dimenticarlo: la fede noi la riceviamo dal Signore, perché virtù teologale; la riceviamo attraverso la comunità dei credenti, la Chiesa; finalmente attraverso i segni sacramentali. La comunità dei credenti, la Chiesa, siamo tutti noi al di là di ogni distinzione. Tant’è che la testimonianza di fede data in questa cattedrale prima dell’invasione dei turchi, vedeva qui il vescovo che esortava, annunciando la Parola e celebrando l’Eucaristia; e il predicatore, il domenicano che esortava tutti a guardare con fede al momento del dolore e della tragedia. Una Chiesa di popolo che trasmette la fede, come esperienza di vita! Chi è più forte sostiene gli altri e li coinvolge. In questa Cattedrale, come dicono le testimonianze, il vescovo Stefano aveva celebrato l’Eucaristia. Quale continuità tra l’Eucaristia celebrata, che sostiene nella fede, e il martirio! C’è continuità con il racconto che il presbitero Pietro Colonna, il Galatino, ci ha lasciato. Il riferimento è all’altare, che non è solo qui, ma anche sul Colle della Minerva, sul colle dei Martiri. Perché


MAGISTERO E ATTI DELL’ARCIVESCOVO l’altare dei Martiri è Cristo, l’altare è Lui, Agnello immolato, il sacerdote, la vittima. Non c’è soluzione di continuità tra la fede, la celebrazione del Battesimo, la celebrazione del mistero eucaristico e il martirio. Mai si dovrebbe tralasciare il rito della deposizione delle reliquie dei martiri in un altare che viene consacrato. Ho chiesto a mons. Negro le reliquie dei nostri Martiri di Otranto per la consacrazione di nuove chiese nella diocesi che il Signore mi ha affidato. Segno di comunione nell’unica chiesa di Cristo Martire. Il martirio degli Ottocento è annuncio di risurrezione. Questa è la vera vita che raccoglie i corpi conservati miracolosamente per tredici mesi, in attesa di essere poi venerati nel Cappellone di questa Cattedrale. «Perciò chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli» (Mt 10, 32). «La canonizzazione, grande festa spirituale, ci sollecita a rinnovare le promesse battesimali e a professare la fede» (i Vescovi di Puglia nel Messaggio alle Chiese di Puglia per la canonizzazione dei Martiri d’Otranto, 12 maggio 2013). Riconosciamo Gesù per riconoscenza d’amore. Lui, che per primo ci ha amati, il Padre «ha consegnato per tutti noi», come ci ha detto l’Apostolo. A distanza di tanti secoli, ci ritroviamo a vivere la celebrazione del martirio in un clima di nuova fraternità, anche con i nostri fratelli musulmani. Sono stati strumento di morte e noi vogliamo che diventino fratelli di fronte a Dio. Ecco perché dobbiamo pregare anche per loro, anche per Akmet Pasha, in ossequio a quanto il Beato Giovanni Paolo II ha mirabilmente richiamato nella sua visita qui, ad Otranto, nel 1980. Ci accompagni l’immagine dolcissima di Santa Maria di Otranto, Nostra Signora dei Martiri. Condotta dal turco a Valona, attraverso la schiava otrantina, ritorna qui, da noi venerata. Una sorta di nuovo incontro, una sorta di profezia, che deve commuovere e rallegrare il nostro cuore. + Francesco Cacucci Arcivescovo Metropolita di Bari-Bitonto

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MAGISTERO E ATTI DELL’ARCIVESCOVO “La Gloria di Dio risplende nei Santi” Lettera di S.E. Mons. Francesco Cacucci, Arcivescovo di Bari-Bitonto ai parroci e a tutte le comunità parrocchiali per l’arrivo a Bari dell’urna contenente la reliquia di S. Giovanni Bosco (22 settembre 2013)

Carissimi, «la Gloria di Dio risplende nei Santi». Il loro passaggio sulla terra è un dono di Dio con il quale Egli edifica la sua Chiesa e l’arricchisce con i doni e carismi di cui il Santo è portatore. In preparazione al bicentenario della nascita di don Bosco (16 agosto 2015), il Rettor Maggiore dei Salesiani ha ideato una peregrinazione mondiale dell’urna contenente la reliquia del Santo. Reduce da 130 paesi dei cinque continenti nei quali operano i Salesiani, l’urna sarà presente a Bari presso la parrocchia salesiana del SS.mo Redentore, domenica 22 settembre 2013 dalle ore 7.00 al mattino del giorno seguente. 411


Don Bosco, padre e maestro dei giovani, secondo le espressioni che ci ha regalato Giovanni Paolo II, ha dato loro anche la capacità di dare la vita per i più poveri. Con il suo insegnamento continua a offrire un senso alla vita di tanti giovani, a riaccendere in essi l’amore per ciò che è autentico, che nasce dal cuore. Don Bosco, dunque, viene a noi per incontrarci e per chiamare altri a lavorare nel campo in cui ha lavorato lui. Il suo passaggio sia vera esperienza di Chiesa. Con tale fiducia accogliamo l’urna del Santo Educatore. Il Signore ha benedetto la nostra diocesi e la nostra città con la presenza dei Salesiani, i “figli” di don Bosco, da oltre cento anni. Come non ringraziare il Signore per il servizio dell’Oratorio, esperienza che continua a contagiare tante comunità parrocchiali? La devozione verso don Bosco è sentita e vissuta non solo dalla Famiglia Salesiana, ma anche da genitori, educatori, animatori pastorali. Invito tutti a sostare davanti alla sua urna in meditazione, per recepire il suo messaggio che ci aiuti a condividere la sua passione per i giovani. + Francesco Cacucci Arcivescovo

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CURIA METROPOLITANA Cancelleria

1. Sacre ordinazioni, ammissioni, ministeri istituiti - La sera di sabato 6 luglio 2013, nella chiesa parrocchiale di S. Maria della Pace in Noicattaro, S.Ecc. mons. Francesco Cacucci, Arcivescovo di Bari-Bitonto, durante una concelebrazione eucaristica da lui presieduta, ha ordinato presbitero il diacono Gerry Zaccaro, del clero diocesano. - La sera di mercoledì 28 agosto 2013, memoria di S. Agostino, nella chiesa parrocchiale di S. Maria Assunta in Cassano delle Murge, S.Ecc. mons. Francesco Cacucci, Arcivescovo di Bari-Bitonto, durante una concelebrazione eucaristica da lui presieduta, ha ordinato presbitero il diacono Nicola Simonetti, del clero diocesano. 413 2. Nomine e decreti singolari A) S. Ecc. l’Arcivescovo ha nominato, in data: - 7 luglio 2013 (Prot. n. 32/13/D.A.S.-N.), don Gerry Zaccaro all’ufficio di vicario parrocchiale della parrocchia S. Pasquale in Bari; - 29 agosto 2013 (Prot. n. 36/13/D.A.S.-N.), don Nicola Simonetti all’ufficio di vicario parrocchiale della parrocchia S. Agostino in Modugno.


B) S. Ecc. l’Arcivescovo ha istituito, in data: - 27 luglio 2013 (Prot. n. 33/13/D.A.S.-I), padre Annibale Fanelli, degli Oblati di S. Giuseppe, all’ufficio di cappellano dell’Ospedale “Di Venere” in Bari-Carbonara. C) S. Ecc. l’Arcivescovo, in data - 1 agosto 2013 (Prot. n. 34/13/D.A.S.), ha riconosciuto il diritto di usufruire dei benefici previsti per la condizione di anzianità a don Giovanni Castoro. D) S. Ecc. l’Arcivescovo, in data - 1 luglio 2013 (Prot. n. 30/13/D.A.G.), ha nominato il nuovo consiglio di amministrazione dell’Istituto diocesano per il sostentamento del clero della arcidiocesi di Bari-Bitonto, per la durata di cinque anni, così composto: presidente sac. Michele Sardone; vice presidente sac. Marino Decaro; consiglieri: sac. Giuseppe Bozzi, sac. Sigismondo Mangialardi, ing. Vito Bellomo, dott. Michele Belviso, avv. Giuseppe Gisonda, dott. Rocco Luisi e ing. Arcangelo Mastroviti; ed il collegio dei revisori dei conti, per la durata di cinque anni, così composto: presidente dott. Rocco Saltino; consiglieri: dott. Giuseppe Trotta e mons. Vito Nicola Manchisi.

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CURIA METROPOLITANA Ufficio per il diaconato permanente e i ministeri istituiti

Relazione sulle attività dell’anno 2012-2013

Com’è consuetudine, ormai, agli inizi di giugno, si è concluso l’anno di corso di preparazione al diaconato permanente. Il corso, quest’anno, è stato frequentato solo da coloro che a suo tempo hanno chiesto di intraprendere il cammino per detto ministero. Ha comportato: la frequenza ad una lezione settimanale (dalle 18,00 alle 20,30) presso l’Oasi di S. Martino per le discipline specifiche del diaconato, come di seguito riportate; la frequenza all’Istituto Superiore di Scienze Religiose per le discipline, sempre attinenti al diaconato permanente, quali: Introduzione alla Sacra Scrittura, Antico e Nuovo Testamento, Teologia trinitaria-moralefondamentale-sociale-sacramentale, Storia della Chiesa, Cristologia, Patrologia, Introduzione al Diritto canonico, Ecclesiologia, Antropologia teologica e Liturgia; alcune giornate di studio e preghiera fuori sede (periodi di tre giorni di seguito e per due volte l’anno); un anno di esperienze pastorali, per i frequentanti il quinto anno di preparazione al diaconato. Per questi ultimi, Carmelo Cassano (parrocchia S. Gabriele dell’Addolorata in Bari) e Tommaso Cozzi (parrocchia del Preziosissimo Sangue in S. Rocco in Bari), i luoghi di “tirocinio” e “studio” sono stati: – Parrocchia S. Marcello in Bari per Tommaso Cozzi e parrocchia Santi Apostoli in Modugno per Carmelo Cassano;

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– Oasi S. Martino per studio e approfondimento dei documenti del Magistero, guidati dal prof. G. Micunco; – Ospedale Di Venere per la pastorale della salute, guidata da p. Francesco Rossi. I candidati frequentanti sono stati tredici (13), compreso due (5) extradiocesani: – due di primo anno (uno extradiocesano); – tre di secondo anno; – tre di terzo anno; – tre di quarto anno (uno extradiocesano); – due di quinto anno.

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Oltre al Vicario episcopale per il diaconato permanente e i ministeri istituiti, mons. Vito Bitetto, che ha guidato il corso” Religioni non cristiane”, per complessive otto (8) ore di lezione, e “Realtà ultime” per complessive 6 (sei) ore, con esami finali, diversi sono stati i docenti che si sono avvicendati nell’insegnamento delle varie discipline e nella formazione–preparazione dei candidati: – prof. Beppe Micunco ha guidato un corso di dieci (10) ore, con esame finale su Teologia del sacramento dell’ordine con esame finale; – diac. Bruno Ressa ha guidato un corso di dieci (10) ore, con esame finale, su Teologia e liturgia del sacramento del matrimonio e, sempre di dieci ore (10), su Teologia e liturgia del Battesimo, con esami finali; – diac. Luigi Inversi ha guidato un corso di cinque (5) ore su Rito di ordinazione diaconale, con esame finale; – diac. Bruno Ressa ha guidato un corso di Esercitazioni pratiche, per undici (11) ore complessive. Hanno completato l’iter formativo le seguenti altre attività: – un incontro di un pomeriggio con S.Ecc. l’Arcivescovo mons. Francesco Cacucci; – un incontro di un pomeriggio con l’economo diocesano, mons. Vito Nicola Manchisi e don Gaetano Coviello, direttore dell’Ufficio amministrativo dell’arcidiocesi; – un incontro di un pomeriggio con i diaconi;


CURIA METROPOLITANA – un incontro di un pomeriggio delle mogli dei candidati diaconi; – un incontro di un pomeriggio con le mogli dei candidati e alcune mogli di diaconi; – un incontro di un pomeriggio con i seminaristi di teologia, presso il Seminario Regionale di Molfetta; – un incontro di un pomeriggio con il delegato regionale per l’Ecumenismo; – la partecipazione alla Messa Crismale; – la festa di fraternità alla fine dell’anno formativo ha concluso il cammino annuale nella gioia. Inoltre, durante i giorni di condivisione-studio presso l’Oasi S. Maria in Cassano delle Murge, in novembre, e il Santuario della Madonna di Picciano in Matera, a giugno, si è avuto modo di riflettere, in un clima di fraternità e preghiera più intensa, sull’ VIII capitolo della Lumen gentium – vocazione alla santità (novembre 2012), nonché su celibato consacrato e castità nel matrimonio – Familiaris consortio (giugno 2013). Un ritiro spirituale nei giorni di condivisione-studio, tenuto da mons. Nicola Bonerba sull’Annunciazione, ha contribuito non poco al discernimento della propria vocazione e alla consapevolezza della necessità-importanza della preghiera personale e comunitaria. Nell’ambito delle attività annuali, nel tempo di Avvento e di Quaresima, a vantaggio dei ministeri istituiti, si sono realizzati due incontri diocesani per i lettori e due per gli accoliti. In questi incontri, dopo un momento di intensa preghiera comunitaria, si è passati ad una utile conversazione, tenuta da mons. Angelo Latrofa sulla Lettera apostolica in forma di motu proprio di Benedetto XVI Porta fidei in occasione della indizione dell’Anno della fede. Infine, grati a Dio, avendo terminato il piano di studio e il periodo formativo, il 22 dicembre 2013 saranno ordinati in Cattedrale, per imposizione delle mani di S.E. Rev.ma mons. Francesco Cacucci, due (2) diaconi permanenti: Carmelo Cassano della parrocchia S. Gabriele dell’Addolorata, in Bari, e Tommaso Cozzi della parrocchia Preziosissimo Sangue in S. Rocco, in Bari.

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Con quest’ ultima ordinazione, il numero complessivo dei diaconi permanenti nella nostra diocesi è di settantasei (76 ), oltre Orlando Matani, Raffaele Chirico, Oronzo De Santis, Lucio Vitolli, Luigi Del Vecchio, Franco Camaggio e Guglielmo Marengo che il Signore ha chiamato a sé perché vivano con Lui nella gioia eterna. Nel formulare a tutti gli auguri di buon lavoro, accompagnati dalla grazia di Dio, chiediamo per loro e per gli altri già ordinati la preghiera delle comunità in mezzo alle quali eserciteranno o già esercitano il loro ministero, perché sia reso alla Chiesa un autentico servizio e a Dio un canto di lode e di ringraziamento. È infatti necessario che tutti noi richiamiamo alla nostra mente la grande verità espressa in maniera sintetica ma luminosa nella Lumen gentium: «questi carismi, straordinari o anche semplici e più largamente diffusi, sono appropriati alle necessità della Chiesa e perciò si devono accogliere con gratitudine e gioia» (n. 12). Tutto è dono di Dio, a lode Sua sia l’esercizio del loro servizio ai fratelli. I pastori d’anime con l’aiuto dello Spirito Santo siano solleciti ad individuare tra i fedeli chi ha particolare attitudine al servizio. La volontà di Dio e le preghiere faranno il resto. Chi è chiamato, da parte sua, sappia che «servire Cristo vuol dire regnare». Mons. Vito Bitetto vicario episcopale Diac. Bruno Ressa collaboratore dell’Ufficio

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CURIA METROPOLITANA Settore Evangelizzazione. Ufficio catechistico

L’iniziazione cristiana con i ragazzi diversamente abili

Il Settore catechesi-disabili (interno all’Ufficio catechistico dell’arcidiocesi di Bari-Bitonto) ha mosso i primi passi nell’anno pastorale 2011-2012, dotandosi di un’equipe (di cui fanno parte alcuni esperti e alcuni referenti di associazioni legate all’ambito della disabilità) e costruendo un progetto, finalizzato a: – sollecitare le comunità parrocchiali a individuare alcune persone sensibili alle problematiche del Settore e disposte a ‘formarsi’ per meglio poter operare in questo ambito (in relazione in particolare alla ‘catechesi’, ma nella consapevolezza che la catechesi non può essere scissa dalla ‘liturgia’ e dalla ‘vita’); – proporre un programma ‘operativo’; – curare la formazione delle persone che a livello parrocchiale dovranno poi occuparsi di rendere realmente operativo il programma e coordinare gli interventi della comunità rispetto a quest’area di bisogno. È necessario specificare che, quando parliamo di “catechesi-disabili”, intendiamo quel percorso formativo che ha come destinatari i portatori di handicap che necessitano di una catechesi ‘speciale’. Quindi: handicap mentale e sensoriale (persone cieche o ipovedenti e sorde). Sebbene lo spettro d’azione dell’Ufficio catechistico sia per tutte le

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fasce d’età, il bisogno primario che è emerso in diocesi è legato alla “catechesi per l’iniziazione cristiana”, e dunque per lo più alla formazione dei bambini e ragazzi disabili. Infatti da un’analisi della situazione si è reso evidente che solo in poche parrocchie esistono figure preparate (e/o con esperienza) che seguono i bambini e i ragazzi disabili nella formazione. Alcuni genitori più sensibili si informano… e, invece di far seguire i ragazzi nella propria parrocchia d’origine, li spostano nelle parrocchie dove ci sono catechisti che ritengono più esperti o più attenti. In molti casi l’inserimento dei ragazzi disabili è fatto in maniera irriflessa. Seguono il percorso con gli altri senza attenzioni specifiche, arrivano (se arrivano!) al sacramento senza cura, e poi lasciano il gruppo di catechesi. Sappiamo, invece, che cosa dovrebbero fare le comunità. (1) Ricercare… i bambini/ragazzi disabili presenti nel territorio parrocchiale; (2) Integrarli… per farli diventare ‘pietre vive’ della dinamica parrocchiale (catechesi-liturgia-vita)1; (3) Curare la catechesi… per inserire i ragazzi nel gruppo di catechesi specifico per la loro fascia d’età e far vivere loro il percorso di formazione/iniziazione cristiana; (4) Promuoverli e valorizzarli… perché anche i disabili sono mandati come ‘operai’ nella vigna2, come soggetti di evangelizzazione e non solo oggetti di azione pastorale3. Da qui la necessità di persone esperte e formate che possano coordinare questo lavoro in parrocchia… L’obiettivo finale del Settore catechesi-disabili (un obiettivo a larghissima scadenza) è la costituzione di un’equipe parrocchiale che possa accompagnare nella catechesi (ma anche nella liturgia e nella vita) le persone disabili. Per arrivare a questo, un obiettivo a medio termine potrebbe essere quello di individuare e formare un gruppo di persone 420 1

Il 31 marzo del 1984, in occasione del Giubileo delle comunità con persone portatrici di handicap, Città del Vaticano (Roma), Giovanni Paolo II, nella sua omelia, già diceva: «…studiare, continuare ad applicare, e, se del caso, rivedere metodi adeguati di catechesi per le persone disabili, e seguire la partecipazione e l’inserimento di questi nelle attività culturali e nelle manifestazioni religiose, così da rendere tali soggetti – che hanno preciso titolo ad una appropriata formazione spirituale e morale – membri di pieno diritto delle singole comunità cristiane» (EV/7, 1169). 2 Cfr Christifideles laici, nn. 53-54. 3 Cfr UCN, L’iniziazione cristiana alle persone disabili. Orientamenti e proposte, EDB, Bologna 2004.


CURIA METROPOLITANA per ogni vicariato. Da questo progetto/sogno è nata l’esperienza dello scorso anno pastorale 2012-2013: una serie di incontri mensili, all’interno dei quali 1) mettere in rete le esperienze già esistenti nella nostra diocesi, alcune più conosciute, altre più nascoste (le più evidenti sono quelle delle associazioni e dei movimenti, di cui si conoscono i referenti diocesani; le più nascoste sono le esperienze che fanno singolarmente alcune parrocchie o alcuni catechisti); 2) iniziare a formarci. “Educhiamoci per educare: l’iniziazione cristiana con i ragazzi diversamente abili” è stato il titolo dei ciclo di incontri, tenuto per lo più dai referenti delle associazioni e movimenti di e per disabili presenti in diocesi (Centro Volontari della Sofferenza, Fede e luce, Movimento apostolico ciechi, Movimento apostolico sordi), ma anche da esperti di autismo (Guido D’Angelo e Adriana Trimigliozzi), sacerdoti (don Vito Palmisano, don Jean Paul Lieggi) e dalla referente regionale del Settore, nonché operatrice dell’associazione La nostra famiglia di Ostuni (dott. Annamaria Viganò). Il desiderio era quello di dare una prima immediata risposta ad alcuni interrogativi e bisogni urgenti di catechisti che ‘già’ avevano bambini disabili nei loro gruppi e non sapevano come gestire le situazioni, usando uno stile il più possibile semplice, narrativo/esperienziale. Il tentativo è stato quello di individuare, per ogni tipo di disabilità (mentale, sensoriale, uditiva, visiva, ecc.) a) le possibilità e i limiti di un bambino portatore di un handicap; b) gli strumenti che abbiamo a disposizione che possono essere già da ora utilizzati dai catechisti (testi, sussidi, audio-visivi, materiale in internet, ecc.); c) le esperienze positive che possono essere esportate come buone prassi e replicate. Gli incontri, tenuti presso la Casa del Clero, da novembre a maggio (un lunedì al mese: ore 18.30-20.30), sono stati attivi e partecipati. Alcuni hanno sfiorato le cento presenze; la media è stata di 30/40 persone. La cosa più bella è stata vedere realmente presenti (come auspicavamo nel volantino distribuito tra i catechisti all’inizio del-

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l’anno pastorale) non solo operatori pastorali della catechesi, ma figure che potrebbero diventare nuove forze in questo settore: educatori professionali, persone che lavorano in cooperative per disabili, insegnanti (in particolare insegnanti di sostegno), psicologi, studenti di medicina, e soprattutto diversi genitori con ragazzi disabili (dono di esperienza per tutti). Si sono intrecciate conoscenze e relazioni. Un seminato… tutto ancora da coltivare. È quello che speriamo di fare in questo anno pastorale (2013-2014), riproponendo il percorso mensile di formazione, ma con un carattere più laboratoriale. Alla breve introduzione di un esperto, seguiranno lavori di gruppo, per mettere a fuoco le reali necessità e provare operativamente a costruire percorsi di catechesi ‘singolari’ e ‘speciali’. Vale la pena ricordare che, come richiesto dall’Ufficio nazionale della catechesi-disabili il percorso dello scorso anno si è concluso con una Messa celebrata dall’Arcivescovo, e animata da una rappresentanza di persone disabili della diocesi (con lettura dal braille, traduzione nella lingua dei segni, Vangelo mimato, danze liturgiche, canti gestualizzati, ecc.). Una bella festa per tutti, che speriamo di ripetere al termine di questo anno pastorale. Annalisa Caputo referente diocesana del Settore catechesi-disabili

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CURIA METROPOLITANA Uffici: Catechistico, Comunicazioni sociali, Liturgico. Scuola diocesana di Teatro. Fondazione “Frammenti di Luce”. Pie Discepole del Divin Maestro

Il percorso dei “Laboratori della fede”

L’indizione dell’Anno della fede dello scorso 11 ottobre 2012 per il 50° anniversario dell’apertura del Concilio ecumenico Vaticano II, è diventato il punto di partenza anche per la nostra diocesi per realizzare l’iniziativa dei “Laboratori della fede”, un percorso per «richiamare la bellezza e la centralità della fede» (Benedetto XVI) e una risposta all’invito della Chiesa di prendere sul serio il compito della nuova evangelizzazione, «nuova nel suo ardore, nei suoi metodi, nella sua espressione» (Giovanni Paolo II ai vescovi dell’America Latina, 9 marzo 1983). I Laboratori sono stati un’esperienza, un tentativo di declinare insieme catechesi e comunicazione. «All’inizio del nuovo millennio la Chiesa si interroga sulle forme dell’evangelizzazione. Gli strumenti della comunicazione offrono ai catechisti nuove risorse e nuovi percorsi per l’educazione alla fede» (Direttorio CS della CEI, n. 56). In occasione del Giubileo del 2000, in un incontro con i giovani, il Papa Giovanni Paolo II parlò per la prima volta di un «laboratorio della fede» come dinamica appropriata attraverso cui far crescere il credente verso la statura adulta di Cristo. L’espressione ha fatto il giro del mondo, con una risonanza almeno simile a quella di «sentinelle del primo mattino», attraverso cui il

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Papa ha consegnato ai giovani la responsabilità di vegliare sullo sviluppo del nuovo millennio. Perché i «laboratori della fede»? Chi è impegnato con compiti di evangelizzazione e di catechesi, di solito concentra la sua attenzione sulle cose che deve comunicare, sulla loro correttezza e sulla loro sistematicità. È consapevole che l’oggetto della sua proposta è una bella notizia, importante per la vita e la speranza delle persone, e si preoccupa di scegliere i tempi e i luoghi più adatti. Questa preoccupazione si traduce nella fatica di costruire un clima che faciliti la comunicazione, ne assicuri l’ascolto e ne sostenga l’interiorizzazione. Un problema serio, che torna con insistenza, è quello della possibilità di verificare se il processo comunicativo ha funzionato bene. In genere, l’unità di valutazione è quella tipica di ogni comunicazione di contenuti: viene misurato il livello di comprensione e condivisione delle cose che sono state proposte. Se chi ha ascoltato la proposta sa ripetere bene quello che è stato detto, è segno che l’obiettivo è stato raggiunto. Se invece il tentativo di ripetere ciò che è stato detto fa intravedere delle lacune concettuali o esperienziali, viene chiamata in causa la correttezza del processo o, cosa più facile, le cattive disposizioni dell’interlocutore. Proprio da questo punto di vista nascono oggi lamentele a causa del livello veramente scarso di conoscenza dei contenuti della fede. Qualcuno dice: «Non sanno più neppure i dieci comandamenti… Come possiamo immaginare un buon livello di vita cristiana in una situazione di ignoranza tanto diffusa?». Il «laboratorio» spinge verso prospettive operative differenti. Il termine ‘laboratorio’ evoca, infatti, un ambiente provvisto di strumenti e materiali idonei, e una situazione che richiede alle persone una partecipazione diretta per sperimentare e produrre risultati. Il laboratorio è un metodo attivo di apprendimento che chiama in causa l’alunno perché personalmente o in gruppo sperimenti e lavori sul proprio apprendimento in un ambiente idoneo, avendo a disposizione un supporto preparato dall’insegnante. Lo scopo dei Laboratori della fede è stato quello di formare i cristiani di oggi, preparare i catechisti e gli operatori pastorali a “dire la fede” con nuovi linguaggi. Il Laboratorio non è un insieme disordinato di esperienze senza


CURIA METROPOLITANA obiettivi, contenuti e metodi; senza che si arrivi a risultati significativi e verificabili. Il Laboratorio è al servizio della maturazione della fede. Per raggiungere i suoi obiettivi usa i linguaggi attuali e le dinamiche della comunicazione, crea nuovi metodi e segue un percorso educativo. La durata di questo progetto dovrebbe essere di almeno tre anni, ma si pensa di approdare verso una forma di Laboratorio permanente. In questo primo anno gli ambiti dei Laboratori sono stati: arte e musica, narrazione, drammatizzazione, multimedialità, liturgia e iconografia. I “luoghi” dove si sono realizzati i Laboratori sono stati i locali della Curia e del Seminario diocesano. L’esperienza, annunciata nel contesto dell’Assemblea diocesana, è partita nel mese di novembre. Tre sono stati gli incontri distribuiti nell’anno pastorale e si sono svolti di sabato dalle 15.30 alle 20.00. Il 25 maggio abbiamo concluso questa prima esperienza con un evento finale realizzato in Cattedrale. In quel contesto sono stati consegnati agli iscritti gli attestati di partecipazione. Il riscontro è stato superiore alle aspettative: infatti in questo primo anno le iscrizioni sono state superiori alle 350. Ogni iscritto era chiamato a scegliere 2 dei 6 laboratori in programma. L’esperienza è stata attivata anche per il nuovo anno pastorale 2013-2014 con l’inserimento di un nuovo Laboratorio, quello di ambito vocazionale. Da sottolineare l’importanza di questa iniziativa anche a livello di collaborazione e comunione tra i diversi Uffici di Curia ed altre realtà diocesane: sono stati coinvolti infatti gli Uffici Catechistico, Comunicazioni Sociali, Liturgico, la Scuola Diocesana di Teatro, la Fondazione “Frammenti di Luce” e le Pie Discepole del Divin Maestro. don Carlo Cinquepalmi Direttore dell’Ufficio Comunicazioni sociali

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CONSIGLI DIOCESANI Consiglio Presbiterale diocesano

Verbale della riunione del 15 febbraio 2013

Il giorno 15 febbraio 2013, alle ore 9.30, presso il salone della Casa del clero in Bari, si è riunito il Consiglio Presbiterale diocesano, convocato e presieduto dall’arcivescovo mons. Francesco Cacucci. Sono presenti: il vicario generale mons. Domenico Ciavarella e i vicari episcopali: don Ubaldo Aruanno, mons. Vito Bitetto, mons. Francesco Colucci, mons. Domenico Falco, mons. Angelo Latrofa. Sono assenti: mons. Alberto d’Urso, mons. Domenico Falco, p. Luigi Gaetani, O.C.D., don Gaetano Coviello, p. Pietro Gallone, O.F.M. Cap., don Gianni de Robertis, don Antonio Eboli, don Francesco Savino, don Vito Marziliano, don Nicola Cotrone, don Vito Piccinonna. All’ordine del giorno: 1. Confronto sui programmi formativi per i sacerdoti, prima e dopo l’ordinazione. Intervengono mons. Luigi Mansi (direttore spirituale presso il Pontificio Seminario Regionale Pio XI di Molfetta), mons. Domenico Ciavarella, mons. Angelo Romita. 2. Varie ed eventuali. Dopo la preghiera dell’ora media, viene data lettura del verbale della riunione precedente (30 novembre 2012). Il Consiglio approva il verbale all’unanimità.

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L’Arcivescovo comunica lo stato di salute di alcuni presbiteri e invita a visitarli e a sostenerli con la preghiera. Ricorda la testimonianza di fede e sacerdotale di p. Leonardo Di Pinto, O.F.M. e di don Ignazio Fraccalvieri. Comunica, inoltre, che il nuovo vicario episcopale per la vita religiosa è p. Luigi Gaetani, O.C.D. L’Arcivescovo saluta e dà il benvenuto a mons. Luigi Mansi, padre spirituale nel Seminario Regionale di Molfetta.

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1. Si passa dunque al primo punto all’o.d.g. Mons. Mansi saluta e ringrazia per l’invito e l’accoglienza. Comunica che il suo intervento si riferirà in modo particolare ai documenti che sono il criterio dell’azione formativa in seminario: – Presbyterorum Ordinis. Mons. Mansi sottolinea una coincidenza: la PO fu approvata il penultimo giorno del Concilio, lo stesso in cui fu approvata la GS (7dicembre 1965). Sono arrivati al traguardo finale insieme: la figura del presbitero e la Chiesa aperta al mondo. – Pastores dabo vobis: scritta dopo il sinodo del ‘90. È il punto di riferimento più corposo per l’opera formativa in seminario. – La formazione dei presbiteri nella Chiesa italiana (2006). Ci si riferisce soprattutto all’ultimo documento: Prima parte: tratteggia l’immagine del presbitero. Di quale prete ha bisogno la Chiesa in Italia? N. 9: centralità della carità pastorale. Un prete che sia immagine di Cristo Buon Pastore (cit. n. 9 prevalenza della dimensione pastorale, all’interno della quale è compresa quella cultuale e sacrale). Elementi tipici del presbitero in Italia: 1) passione per Cristo Pastore; 2) dedizione alla Chiesa, a partire dal suo volto concreto e diocesano («rapporti oblativi … fraterni … paterni cordiali … filiali»); 3) dimensione missionaria (nelle tre dimensioni, munera) fino alla missione ad gentes. 4) radicalità evangelica. Come la Chiesa intende sviluppare questi contenuti: 1) la fase propedeutica: il documento parla di un «tempo propedeutico», che non duri meno di un anno (essere attenti al rischio della fretta). Non si ammette al seminario maggiore chi, non provenendo dal minore, non abbia compiuto almeno un anno di esperienza propedeutica. Nella comunità propedeutica inizia un cammino di


CONSIGLI DIOCESANI discernimento vocazionale. La comunità del propedeutico è collegata, ma distinta dal seminario: i ragazzi che ne fanno parte non sono seminaristi e non devono essere considerati tali. C’è un responsabile e un padre spirituale. Concluso l’anno propedeutico, il responsabile stila un giudizio sul ragazzo per la sua eventuale ammissione al seminario. Quali sono i criteri per l’ammissione? «Esperienza viva di fede … chiara percezione della chiamata … una positiva esperienza ecclesiale … personalità sufficientemente sana e ben strutturata» (n. 51). 2) seminario maggiore: articolazione in 3 bienni (novità): *1°-2° anno (biennio di discernimento, approfondimento della vita di fede battesimale e orientamento vocazionale; c’è spesso bisogno di destrutturare per poi costruire secondo Cristo); il punto di arrivo di questo biennio è la richiesta dell’ammissione agli ordini sacri (quali segni per l’ammissione? Chiarezza nella identità e maturità affettivo-sessuale); *3°-4° anno (biennio dei ministeri): il 3° anno è l’anno della Parola e porta a ricevere il ministero del lettorato; il 4° anno è l’anno del ministero eucaristico e si conclude con l’accesso al ministero dell’accolitato; *5°-6° anno (biennio orientato ai ministeri ordinati): 5° anno (orientato al diaconato); 6° anno (ingresso graduale nella vita pastorale della diocesi insieme a periodi trascorsi in seminario con corsi ed esperienze orientati alla vita pastorale). Della Pastores dabo vobis mons. Mansi ricorda soprattutto il riferimento alle quattro dimensioni della formazione: spirituale, umana, teologica, pastorale. Mons. Ciavarella sottolinea la componente umana e relazionale dell’esperienza del biennio e del decennio: i sacerdoti che vivono questa esperienza hanno il gusto di incontrarsi per condividere questo tempo. Il decennio ha 24 componenti e la quasi totalità vive questa dimensione comunionale. Negli ultimi tre anni i temi approfonditi sono stati: la direzione spirituale; l’identità del presbitero a partire dal rito

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di ordinazione; la dimensione relazionale nella vita del presbitero. Tra gli obiettivi del biennio c’è anche la conoscenza di sacerdoti della diocesi, delle esperienze associative e caritative, come anche la conoscenza dei carismi religiosi presenti in diocesi. Mons. Angelo Romita ricorda innanzitutto la portata e il significato ecclesiale della scelta di papa Benedetto XVI. Condivide la propria esperienza di formazione permanente e le coordinate del suo percorso: – Convincersi che la formazione presbiterale non è opera mia: chi forma è unicamente Cristo (attraverso la sua Parola collegata agli avvenimenti quotidiani della vita). Esprime una critica all’espressione “il presbitero rappresenta Cristo”, perché suppone una delega; il presbitero invece ri-presenta Cristo, il suo unico sacerdozio. – Esigenza dell’umanizzazione dell’essere prete: 4 elementi tacere dinanzi ai laici (ascoltare); non avere la presunzione di avere sempre ragione (umiltà di imparare); ascolto dei laici in comunione presbiterale (comunicazione/discernimento presbiterale); accoglienza delle problematiche presenti nel territorio.

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L’Arcivescovo ringrazia i relatori per i loro contributi. Al termine della comunicazione, seguono alcuni interventi: – Si chiedono maggiori informazioni sull’anno propedeutico. – Ci si chiede come possono le parrocchie aiutare la formazione in seminario. – Si solleva l’interrogativo sulla formazione amministrativo-giuridica dei candidati al sacerdozio: è prevista? in che modo si svolge? – Si sottolinea l’importanza della formazione permanente. Quali sono i ritmi della formazione permanente? Viene citato un testo di Cencini: ritmo esistenziale (vita); ritmo della quotidianità; ritmo settimanale (domenica); ritmo annuale (anno liturgico). – Si rileva come nel documento sulla formazione si tenda a dividere la vita cultuale dall’impegno pastorale. Ma lo specifico del sacerdote è anche di presiedere la liturgia. Occorre aiutare i ragazzi a lasciarsi formare dalla liturgia. Si nota una certa attenzione alla forma esteriore, all’estetica. – In alcuni casi l’esperienza dei seminaristi in parrocchia fa emergere una grande diversità nei ragazzi e si pone la domanda se il Seminario dia una linea precisa.


CONSIGLI DIOCESANI – Si sottolinea come aspetto importante della formazione la programmazione pastorale, che forse scarseggia. Quale formazione alla dimensione della carità? Quale conoscenza delle esperienze caritative della diocesi? – Si rileva come la formazione vada capita nell’oggi. Occorre confrontarsi con i modelli di formazione attuali, perché i giovani di oggi sono figli di questo tempo. La formazione “post” prende tutta la vita. Si invita alla formazione e all’approfondimento teologico (anche con la licenza). – Si nota come il Seminario porti con sé l’anomalia di essere un “mondo a parte”. Si ricorda l’importanza della dimensione del celibato nel percorso del discernimento vocazionale. Si sottolinea, inoltre, l’importanza della relazione con i docenti nella formazione teologica e dell’approfondimento della teologia pastorale. – È importante la formazione integrale del candidato al sacerdozio, per evitare divisioni nella vita del presbitero. – Si sottolinea l’importanza dei sacerdoti-animatori in Seminario. Ci vuole attenzione nello scegliere queste figure educative, forse qualche volta un po’ troppo giovani. È necessaria stabilità e maturità per questo compito. È inoltre importante per i seminaristi confrontarsi con testimoni di fede vissuta con gioia. – Si chiede quali possano essere delle proposte per la formazione permanente dopo il decimo anno di sacerdozio. Mons. Mansi riprende alcuni punti emersi dal confronto: L’anno propedeutico è pensato per coloro che non provengono dal Seminario minore. Le percentuali degli ultimi anni dicono che 1/3 dei seminaristi che entrano nel Seminario maggiore provengono dal minore, 2/3 dal propedeutico. È per molti di loro la prima esperienza di vita comune. Si punta molto sulla conoscenza di sé. Si riceve una prima catechizzazione di base, l’iniziazione alla vita liturgica, una scolarità di base (filosofia, greco, latino). Il bilancio è di un’esperienza che si è decisamente consolidata negli anni. Quanto alle parrocchie di origine, i ragazzi sono invitati a coltivare

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questo rapporto, ma nel tempo anche a conoscere altre esperienze. La formazione giuridico-amministrativa trova la sua collocazione nel 6° anno di formazione in seminario. Per quanto riguarda la formazione pastorale, ci sono diversi laboratori nel corso della formazione in seminario. La scelta delle parrocchie per il tirocinio è molto oculata, fatta a seconda di ciò che maggiormente serve alla formazione del ragazzo. Sulla formazione liturgica, si cerca di temperare, soprattutto nei primi anni, gli eccessi legati all’apparire e alla forma. L’Arcivescovo ringrazia Mons. Mansi e tutti per gli interventi. 2. P. Franco Annicchiarico, S.J. comunica che, nell’ambito della pastorale universitaria, insieme ai PP. Guanelliani, si è programmato un incontro sulle nuove tecnologie, per il quale è stato invitato il direttore di «Civiltà cattolica», p. Antonio Spadaro, S.J. Al suddetto incontro tutto il clero è invitato. La proposta è accolta unanimemente dal Consiglio Presbiterale. Si propone un incontro sulla pastorale universitaria. Il Consiglio approva. L’Arcivescovo chiede al Consiglio di suggerire dei nomi per il predicatore dei ritiri del clero per il prossimo anno pastorale. Vengono proposti i seguenti nomi: p. Ermes Ronchi, O.S.M., mons. Pierangelo Sequeri, don Giulio Meiattini, O.S.B. Il Consiglio propone a maggioranza don Giulio Meiattini, O.S.B..

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Il Vicario generale comunica ai vicari zonali di ritirare il calendario degli incontri del vescovo con i cresimandi. La riunione si conclude alle 12.45 con la preghiera dell’Angelus. Il segretario sac. Alessandro Tanzi


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Consiglio Presbiterale Diocesano

Verbale della riunione del 16 maggio 2013

Il giorno 16 maggio 2013, alle ore 9.30, presso il salone della Casa del clero in Bari, si è riunito il Consiglio Presbiterale diocesano, convocato e presieduto dall’arcivescovo mons. Francesco Cacucci. Sono presenti: il vicario generale mons. Domenico Ciavarella e i vicari episcopali: don Ubaldo Aruanno, mons. Vito Bitetto, mons. Francesco Colucci, mons. Domenico Falco, mons. Angelo Latrofa. Sono assenti: p. Lorenzo Lorusso, O.P., p. Luigi Gaetani, O.C.D., mons. Alberto d’Urso, don Gaetano Coviello, p. Santo Pagnotta, O.P., don Mario Castellano, don Giuseppe Cutrone, don Antonio Eboli, don Carlo Lattarulo, don Domenico Lieggi, don Vito Marziliano, don Vito Piccinonna. All’ordine del giorno: 1. «… e cominciarono a parlare in altre lingue …» (At 2,4). Inviati dallo Spirito … verso le periferie. Programma pastorale per l’anno 20132014. Introduce mons. Domenico Falco. 2. Don Michele Sardone presenta in sintesi la situazione dell’Istituto diocesano per il sostentamento del clero. Votazione della terna da presentare all’Arcivescovo per il rinnovo dell’incarico di presidente dell’Istituto. 3. Varie ed eventuali. Dopo la preghiera dell’ora media, viene data lettura del verbale della riunione precedente (15 febbraio). Il Consiglio approva il verbale all’unanimità. Don Vittorio Borracci comunica al Consiglio l’esperienza vissuta a Roma in occasione della beatificazione di mons. Luigi Novarese, fondatore dei Centri Volontari della Sofferenza.

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L’Arcivescovo comunica al Consiglio l’esperienza vissuta a Roma per la canonizzazione dei Martiri d’Otranto e della visita ad limina, sottolineando soprattutto la cordialità e familiarità vissuta con Papa Francesco. Comunica, inoltre, lo stato di salute di alcuni presbiteri e invita a visitarli e a sostenerli con la preghiera. Si passa dunque al primo punto all’o.d.g. 1. L’Arcivescovo ricorda che l’idea progettuale rimane quella emersa dal Sinodo e concretizzatasi nella scelta mistagogica. Quello presentato è, invece, un “programma” pastorale, attraverso il quale si approfondisce il “progetto”. Dopo aver sentito i vicari episcopali e i vicari di zona, è emersa la sottolineatura della dimensione della Pentecoste e dell’attenzione alle periferie, che non sono solo quelle urbane, ma anche quelle antropologiche. Il Consiglio Presbiterale è il luogo opportuno in cui confrontarsi sul tema. Mons. Falco sottolinea che il suo intervento è teso a ordinare le proposte emerse dagli incontri avuti dal vescovo con i vicari. Atti 2,1-4 «Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. 2Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. 3Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, 4e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi.» 434

Magistero 1. (a commento del salmo 114) L’olio prezioso che unge il capo di Aronne non si limita a profumare la sua persona, ma si sparge e raggiunge “le periferie”. Il Signore lo dirà chiaramente: la sua unzione è per i poveri, per i prigionieri, per i malati e per quelli che sono tristi e soli (Papa Francesco, Omelia nella Messa crismale 2013). 2. Dio è uscito da se stesso per venire in mezzo a noi, ha posto la sua tenda tra noi per portarci la sua misericordia che salva e dona speranza. Anche noi, se vogliamo seguirlo e rimanere con Lui, non


CONSIGLI DIOCESANI dobbiamo accontentarci di restare nel recinto delle novantanove pecore, dobbiamo “uscire”, cercare con Lui la pecorella smarrita, quella più lontana. Ricordate bene: uscire da noi, come Gesù, come Dio è uscito da se stesso in Gesù e Gesù è uscito da se stesso per tutti noi (Papa Francesco, Udienza generale del 27 marzo 2013). «Cominciarono a parlare in altre lingue»: Inviati dallo stesso Spirito verso le periferie A differenza del simbolismo legato ai 40 giorni che indica il tempo necessario alla preparazione, il termine Pentecoste, riferito il compimento dei 50 giorni, è metafora di una preparazione che ha raggiunto il suo obiettivo. Allo stesso tempo, facendo riferimento alla storia del popolo ebraico, la Pentecoste ricorda la consegna della Legge da parte di Dio sul monte Sinai. In questo modo, già nella fede ebraica, risulta evidente il profondo legame tra la liberazione (la Pasqua) e la consegna della Legge. Se Dio libera il suo popolo (Pasqua) è perché quel popolo diventi il suo popolo (Pentecoste). La festa di Pentecoste non potrebbe realizzarsi se non ci fosse la Pasqua, ma allo stesso tempo, la Pasqua non porterebbe i suoi frutti se non ci fosse la Pentecoste. Pertanto, a conclusione dell’Anno della fede, il riferimento alla Pentecoste non presenta un nuovo tema rispetto allo scorso anno, piuttosto ne indica le conseguenze per la vita della comunità e di ciascun cristiano. Il dono dello Spirito, nel racconto degli Atti, trova gli apostoli «tutti insieme nello stesso luogo». Non è una situazione occasionale, ma il segno di una fedeltà e di una appartenenza, perché lo stesso libro, nel capitolo precedente, afferma che dopo l’ascensione del Signore, gli apostoli «entrati in città, salirono nella stanza al piano superiore, dove erano soliti riunirsi» (At 1,13). Nella liturgia, si procede verso lo stesso altare per incontrare il Signore e si parte dallo stesso altare per annunciarlo agli altri. Prima di essere inviati, siamo dei chiamati. Nel racconto della Sa-mari-

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tana (proprio del Lezionario A del prossimo anno), dopo l’incontro con Gesù, la donna «lasciò la sua anfora, andò in città e disse alla gente: venite a vedere … » (Gv 4, 28-29). Attraverso il singolo credente è tutta la Chiesa che è inviata verso le «periferie dove il popolo fedele è più esposto all’invasione di quanti vogliono saccheggiare la sua fede» (Papa Francesco, Omelia nella Messa Crismale). La proposta della Traccia pastorale dovrebbe, se accolta, portare ad individuare prima di tutto quali sono oggi le “periferie” verso le quali orientare la nostra attenzione. Pur trattandosi di luoghi o situazioni ben precise, in realtà l’attenzione deve essere rivolta all’uomo che vive in quel determinato luogo e in quella particolare situazione. Si tratta, in particolare, di saper annunciare la misericordia di Dio che si fa carico delle tante povertà che segnano il nostro tempo. A questo proposito, un aiuto potrebbe offrirlo il Lezionario domenicale del ciclo A per il prossimo anno, che nel tempo quaresimale presenta Gesù che incontra tre situazioni diverse, quelle della Samaritana, del cieco nato e di Lazzaro. Allo stesso tempo, sarà opportuno riflettere su quali siano le “periferie” che esistono anche all’interno della parrocchia. Il riferimento è a quelle persone che si avvicinano alla parrocchia solo in occasioni particolari. L’impegno dovrebbe essere quello di vivere celebrazioni di Battesimi, Prime Comunioni e altri sacramenti come occasione per rivitalizzare nei fedeli una fede stanca e abitudinaria.

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L’Arcivescovo ringrazia Mons. Falco per il suo contributo. L’Arcivescovo ricorda che, a volte, nel territorio di una stessa parrocchia, c’è una disomogeneità che fa emergere alcune periferie antropologiche. Occorre anche tener presente, per esempio a partire dall’icona della samaritana, della duplice dimensione della periferia: quella esteriore e quella interiore. Al termine della comunicazione, seguono alcuni interventi: – Si suggerisce che, per arricchire il percorso, si può riproporre l’approfondimento di alcuni documenti del Concilio sulla dimensione


CONSIGLI DIOCESANI missionaria (Gaudium et spes, Ad gentes), o anche la Nota pastorale dei vescovi di Puglia sul laicato. – Occorre tener presente le Lettere a conclusione delle visite pastorali, inviate dal vescovo alle singole comunità parrocchiali, come riferimento in questo percorso. Riprendere il documento Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia. Portare attenzione ai luoghi in cui le persone vivono, al territorio (università, ospedali, ecc.). – Vengono condivise due esperienze vissute nel territorio della parrocchia S. Pasquale: 1. La presenza di molti mini appartamenti al 1° piano abitati da immigrati, ora anche da molti cinesi. 2. La realtà degli anziani lasciati soli. – È importante che le realtà parrocchiali non siano ripiegate su se stesse, ma aperte al territorio. – Si mette in evidenza l’importanza della preparazione e celebrazione dei matrimoni: nel tempo ordinario sarebbe opportuno dare attenzione a questa realtà, poiché tutto ciò che ruota intorno a questo sacramento mette in contatto con molte tipologie di periferie. – Vengono richiamati i nn. 31-33 della LG, in cui si parla dell’indole secolare dei laici. Occorre sensibilizzare alla dimensione di corresponsabilità della missione, che non è solo quella del prete. Ci sono luoghi in cui la missione arriva solo attraverso i laici. – Si evidenzia come ci sia una periferia dentro di noi, nella nostra mentalità. Per anni abbiamo sottolineato il legame tra il percorso di catechesi e la liturgia. Manca ancora l’approfondimento del legame tra la liturgia e la vita. – Si sottolinea l’importanza di competenze specifiche per affrontare le periferie dell’anima. Occorre chiedere aiuto a chi ha queste competenze. Così è anche molto importante il ruolo dei professori di religione nelle scuole. – Si propone di attingere dal materiale proposto nel 1999 sullo Spirito Santo in preparazione al Giubileo. È l’occasione di approfondire la preparazione e l’accompagnamento dei ragazzi che si preparano alla Cresima.

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– Viene proposta come icona per il prossimo anno quella della Pentecoste (At 2,1 ss.). – Viene ricordato un invito dell’Ufficio Missionario a portare attenzione alle persone presenti sul territorio provenienti dai paesi più poveri, anche di altre religioni. Quale presenza nei piani pastorali per l’approfondimento dell’ecumenismo, della mondialità, della globalizzazione? – Viene proposta un’accezione positiva della periferia. La parrocchia è per sua natura periferica. Attenzione che, come sacerdoti, non diventiamo forza disgregatrice. Due pericoli: 1. Burocratizzazione della vita parrocchiale; 2. Isolamento dalla vita vicariale e cittadina. – Si evidenzia come ci sia la tentazione di voler fare troppe cose. Il primo atteggiamento che dovremmo accogliere e coltivare è la conoscenza delle tante esperienze in cui si lega la liturgia alla vita, soprattutto nell’ambito della carità. Molti laici non conoscono le realtà che già ci sono. Occorre prestare attenzione al rischio di fare solo volontariato. Viene ricordata l’esperienza delle suore spagnole nella città vecchia e del loro lavoro nel campo del recupero delle donne vittime della tratta. – Si ricorda l’importanza di ribadire la centralità della presenza e dell’azione dello Spirito nella nostra vita. – Si sottolinea come, più che andare verso le periferie, dovremmo abitare le periferie, come luogo teologico in cui stare. Un’icona: Cristo crocifisso fuori le mura. – Viene fatta una proposta per suddividere il brano di Pentecoste adattandolo ai tempi liturgici e ad alcuni temi da approfondire: il tempo, lo spazio, la persona e la parola. 1. La periferia del tempo: il quotidiano (Tempo ordinario) 2. La periferia dello spazio: incarnazione in un luogo (Avvento-Natale) 3. La periferia della persona: conversione (Quaresima-Pasqua) 4. La periferia della parola: annuncio e testimonianza (Pentecoste) – Si nota come ci sia bisogno che tutte le comunità scelgano nella quotidianità l’apertura alle periferie del proprio territorio. Viene proposta l’icona di Nazareth, periferia del mondo. Oppure, Lc 4. – Si propone di soffermarsi sulla prima parte del tema: inviati dallo Spirito. Perché è lo Spirito il soggetto della missione. – Si invita a fare attenzione a non moltiplicare subito le iniziative.


CONSIGLI DIOCESANI L’obiettivo della metodologia mistagogica è la formazione del laicato maturo. C’è una svolta da vivere: dalla dimensione sacramentale alla dimensione missionaria. – Occorre curare la pastorale del primo annuncio, rispetto alla quale siamo un po’ poveri. L’Arcivescovo ringrazia tutti per gli interventi. L’Arcivescovo osserva che spesso la scelta mistagogica viene intesa come progetto che riguardi solo la liturgia. Il centro di tutto è lo Spirito Santo. La difficoltà è dentro di noi, perché spesso è dentro di noi che manca la sintesi. La mistagogia, però, non riguarda solo il metodo. La parola, i sacramenti, la vita, non sono solo metodologia, sono contenuto. Ma come dobbiamo guardare al mondo? Abbiamo spesso la tentazione di divenire araldi di un’ideologia che vorrebbe salvare gli uomini attraverso l’umanizzazione di questo mondo, attraverso una sorta di “religione civile”, di una “conquista morale” di questo mondo terreno e storico. Invece siamo chiamati a salvare anche questo mondo attraverso la divinizzazione degli esseri umani in Cristo secondo il disegno del Padre (cfr Rm 8,18-25 e la liturgia della Veglia Pasquale). La mistagogia è uno strumento per il cammino di divinizzazione del mondo, in armonia con la Tradizione dei Padri della Chiesa. L’impegno cristiano per il mondo presente nasce dal carattere della Chiesa del Nuovo Testamento, già fin d’ora «germe e inizio del Regno di Dio» (LG, I,5). La parrocchia non è, quindi, luogo di partenza per la missione, ma è luogo missionario. Dobbiamo recuperare una visione della Chiesa che non si identifica col Regno di Dio, perché il Regno di Dio è più grande della Chiesa. Di qui può scaturire il senso più profondo di “periferia”. È preferibile utilizzare, allora, come icona una figura specifica (sulla scia di Zaccheo, Bartimeo, ecc.). Potrebbe essere la Samaritana, “periferia” di Gerusalemme e “periferia” morale.

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2. Si passa dunque al secondo punto all’o.d.g. Don Michele Sardone presenta in sintesi la situazione dell’Istituto diocesano per il sostentamento del clero. L’Arcivescovo ringrazia Don Michele per il suo intervento. Si procede alla votazione per eleggere la terna da presentare all’Arcivescovo per il rinnovo dell’incarico di presidente dell’Istituto. Ogni membro del Consiglio Presbiterale può indicare fino a tre nomi sulla scheda. La votazione ha avuto il seguente risultato: Votanti: 33 I cinque più votati risultano essere: 1) don Michele Sardone (29) 2) don Marino De Caro (15) 3) don Domenico Chiarantoni (5) 4) don Giuseppe Bozzi (5) 5) don Sigismondo Mangialardi (4) La riunione si conclude alle 12.45 con la preghiera del Regina Coeli. Il segretario sac. Alessandro Tanzi

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DOCUMENTAZIONE A trent’anni dalla morte di mons. Nicodemo e a cinquanta dall’inizio del Vaticano II

Enrico Nicodemo è stato arcivescovo di Bari dal 1953 al 1973, ma nel medesimo periodo è stato anche uno dei protagonisti più dinamici e riconosciuti della intera Chiesa italiana. A Bari, dopo il breve periodo alla guida della diocesi calabrese di Mileto (1945-1952), è chiamato ad amministrare il significativo e delicato passaggio della vita ecclesiale dalle antiche forme di religiosità tridentina alla pastoralità rinnovata del Vaticano II. Dall’esame delle consistenti pagine del Bollettino diocesano nel periodo del Vaticano II si capisce con chiarezza che ha vissuto intensamente e fortemente in diocesi il suo motto episcopale “Fides victoria nostra”.

Rosa Dipinto

Mons. Enrico Nicodemo e la recezione del Vaticano II nell’arcidiocesi di Bari nelle pagine del Bollettino Diocesano (1959-1973) Il Bollettino Diocesano dell’Arcidiocesi di Bari è un’ottima fonte per documentare la recezione del Vaticano II dall’annuncio del Concilio stesso (1959) alla fine dell’episcopato di Nicodemo (1973). Prendere in esame in modo esclusivo lo strumento di comunicazione istituzionale dell’arcidiocesi permette di seguire compiutamente tutta l’attività conciliare e diocesana dell’arcivescovo Nicodemo e dei modi attraverso i quali lui stesso viveva il Concilio e coinvolgeva l’intera Arcidiocesi nella partecipazione

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attiva dell’evento conciliare. Attraverso l’esame delle 6889 pagine che compongono i 148 fascicoli editi nel periodo predetto è stato possibile censire in modo organico documenti, comunicati e notizie dei vari avvenimenti. Una tale ricerca va successivamente integrata con documentazione d’archivio ma la panoramica che se ne ricava è soddisfacente. Nella ricerca è stata presa a riferimento l’accezione usata da Christoph Theobald che fa riferimento a Congar, il quale afferma che «per recezione intendiamo [ ... ] il processo mediante il quale un corpo ecclesiale fa veramente sua una decisione che non si è dato da sé, riconoscendo, in quanto promulgata, una regola come adatta alla sua vita»1. Lo stesso Theobald parla di «processo di recezione ufficiale o kerygmatica» quando condivide la definizione di G. Routhier: «La recezione kerygmatica definisce l’insieme degli sforzi messi in atto dai pastori per far conoscere le decisioni di un concilio e per promuoverle efficacemente»2. Partendo dall’annuncio di un Concilio ecumenico per la Chiesa universale, il primo impatto nel Bollettino è con le rubriche de L’Odegitria da gennaio 1959 a settembre 1962. Si ritrovano qui eventi e riferimenti al Concilio tra il 1959 e il 1960 e, tra questi, la lettera pastorale per la Quaresima 1961 Nel clima del Concilio Ecumenico verso il Congresso catechistico, la prima delle lettere di mons. Nicodemo che contiene nel titolo un esplicito riferimento all’evento conciliare. Diversi i documenti, le iniziative, i riferimenti nell’approssimarsi del Concilio tra il 1961 e settembre 1962. Ad esempio, una Giornata di preghiera è voluta dall’arcivescovo per il 29 giugno 1962, festa degli Apostoli Pietro e Paolo, per dare inizio alle iniziative diocesane nella fase preparatoria del Concilio, nel clima di unità e universalità. Nell’intervento conclusivo della giornata (al termine di una conferenza tenuta nella sala consiliare del Palazzo della Provincia sul tema Orizzonti e prospettive del Concilio Ecumenico Vaticano II) mons. Nicodemo, come riporta il Bollettino, sottolinea che «tutta

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C. THEOBALD, La recezione del Vaticano II. 1.Tornare alla sorgente, EDB, Bologna 2012, p. 12, nota 13. 2 Cfr. C. THEOBALD, cit., nota 25, con riferimento a G. ROUTHIER, La réception d’un concile, Cerf, Paris 1993.


DOCUMENTAZIONE la Chiesa Cattolica, attraverso il Concilio, deve mostrare se stessa nella luce della verità e della carità». Molto interessanti le cronache e gli interventi relativi al 7 e al 9 ottobre 1962 per «Il saluto a Mons. Arcivescovo in partenza per il Concilio». Di rilievo l’indirizzo di commiato del Vicario generale mons. Michele Mincuzzi che sembra anticipare alcuni temi conciliari come la «teologia dell’episcopato nel più grande contesto della teologia della Chiesa». Il Vaticano II è costantemente presente nel Bollettino Ecclesiastico dell’arcidiocesi di Bari durante la sua celebrazione (12 ottobre 1962-8 dicembre 1965). Attraverso la pubblicazione è possibile ripercorrere tutte le sessioni conciliari dalla particolare angolatura dell’organo ufficiale diocesano. Della prima sessione (dall’11 ottobre a Natale 1962) è presentata l’attività conciliare dell’arcivescovo, che invia un primo messaggio all’arcidiocesi all’inizio del Concilio in cui sottolinea che «l’impegno ad operare per l’incremento della vita cristiana deve essere durante il Concilio ancora maggiore - sia da parte del Clero e delle organizzazioni di apostolato, sia da parte di tutti i fedeli per quanto riguarda il loro contributo di necessaria collaborazione - proprio per preparare il terreno adatto all’attuazione di quelle che saranno le disposizioni conciliari», una interessante affermazione che compendia un certo clima di disponibilità alla recezione. Nel telemessaggio inviato alla diocesi il 5 dicembre 1962, prima del suo rientro a Bari, mons. Nicodemo parla del «felice compimento lavori primo periodo Concilio Ecumenico che habet già mostrato at mondo attento e fidente Ecclesia Christi lumen gentium» e ringrazia «per i sensi di devozione da tutti mostrata verso il proprio Pastore» ed eleva con tutti (clero, autorità, fedeli) il pensiero verso il Papa «assicurandogli comune preghiera per Sua preziosa salute, affinché possa ancora a lungo guidare con tanta spirituale saggezza le sorti Chiesa e intera umanità che ammiraLo e veneraLo verso mete verità, giustizia, amore e pace». Dopo la prima sessione mons. Nicodemo dedica al Concilio la lettera pastorale del 1963 Questo è il Concilio (Riflessioni sul Concilio Vaticano II). La lettera, datata 25 gennaio 1963, è una presentazione completa ed organica dell’evento, strutturata in 48 numeri e divisa

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in tre parti: La realtà del Concilio (3-18); I compiti del Concilio (19-42); Prospettive e speranze (43-48). Le note prescrittive, in coda al documento, indicano che la lettera deve essere fatta oggetto di catechesi al popolo in tutte le messe di tre domeniche, riservando a ciascuna domenica una delle tre parti. Il Bollettino pubblica anche la lettera di Giovanni XXIII a tutti i vescovi del 6 gennaio 1963 in cui il Papa afferma che, stabilito il modus procedendi, i lavori successivi possano essere «più rapidi e sciolti», esprimendo la volontà di continuare i lavori conciliari attraverso tali particolari indicazioni. Intanto l’arcivescovo, il 25 gennaio 1963, istituisce nell’arcidiocesi il CAL, Centro di Azione Liturgica, «alla diretta dipendenza dell’Arcivescovado ed in collegamento e collaborazione con il Centro di Azione Liturgica Nazionale», confermando «la funzione della Commissione liturgica diocesana, quale organo disciplinare alla Nostra immediata dipendenza». Particolare rilevanza assume l’Ottavario di preghiere per l’unità dei cristiani che nelle notificazioni di quegli anni viene presentato nel “clima unionistico” del Concilio. Il 18 febbraio 1963 la Scuola Superiore di Teologia e Filosofia, istituita il 17 settembre 1961, organizzerà una manifestazione cittadina tenuta il 18 febbraio in cui Mons. Johannes Willebrands, segretario del Segretariato per l’Unità dei cristiani parla su Il Concilio Vaticano II e l’unione dei cristiani. Il Bollettino annota che «la grande manifestazione si è tenuta nel Teatro Piccinni: erano presenti 700 persone». L’elezione di Paolo VI è presentata dal Bollettino come la gloriosa successione di due pontificati. Nella notificazione prima della riapertura del Concilio e la seconda sessione mons. Nicodemo, dopo aver continuato a sottolineare che «Il Concilio gode dell’immancabile assistenza dello Spirito Santo, ma postula anche il massimo impegno di rettitudine, di preghiera, di studio, di ponderazione, di equilibrio da parte dei Padri che lo costituiscono», evidenzia che, «per il momento storico in cui si celebra, per la vastità della materia che tratta, per l’ansia di interiore rinnovamento e di aggiornamento che lo ispira e lo anima, per le attese che su di esso sono concentrate (il Concilio) impone ai Padri una responsabilità così vasta ed esige una tale fedeltà nell’impegno che c’è solo da tremare se responsabilità e fedeltà si confrontano con le deboli forze umane».


DOCUMENTAZIONE Per la Quaresima del 1964 mons. Nicodemo dedica una terza lettera in cui il Concilio è esplicitamente richiamato nel titolo: Chiesa e Concilio. I numeri del Bollettino del 1965 sono particolarmente ricchi di riferimenti al Concilio e alla sua attuazione specialmente, ma non solo, per l’avvio della riforma liturgica alla quale l’arcivescovo dedica la lettera pastorale Parola di Dio e Liturgia. I lavori del Concilio sono in pieno svolgimento e nell’aula conciliare si discute sulle tematiche che porteranno alla Dei Verbum. È nel 1965, inoltre, ultimo anno del Concilio, che a Bari viene istituito il Consiglio Pastorale Diocesano come riportato nel numero di gennaio del Bollettino. Nel decreto di istituzione si legge che nasce «nello spirito del Concilio Ecumenico Vaticano II, particolarmente della Costituzione Dommatica “De Ecclesia”, e in attesa di future decisioni conciliari o postconciliari». Nella lettera inviata a novembre successivo al clero di Bari riunito in ritiro, dopo aver invitato tutti ad essere «generosamente disponibili perché la dottrina del Concilio venga conosciuta e trasfusa nella vita» e «le disposizioni del Concilio siano consapevolmente accettate ed applicate» mons. Nicodemo afferma che «il Consiglio Pastorale, come sapete, è già da diversi mesi al lavoro ed io spero che si possa stabilire al più presto un piano, sia pure inizialmente limitato, di azione pastorale unitaria». Nicodemo è molto attivo anche durante la quarta sessione del Concilio con alcuni interventi. Il Bollettino documenta il ritorno in diocesi dell’arcivescovo che “notifica” il Vaticano II alla popolazione anche non frequentante per le manifestazioni di cui si riferisce. Il primissimo post-Concilio (1966–1969) è ampiamente documentato nell’organo ufficiale dell’arcidiocesi. Il 1966 è l’anno del Giubileo straordinario di conversione, rinnovamento e di studio e Nicodemo, dopo aver aperto il Giubileo, indirizza la lettera pastorale Concilio della Chiesa, Chiesa del Concilio il cui titolo è molto esplicito per quanto riguarda i contenuti. Alla luce del Vaticano II dedicherà poi la terza visita pastorale «nell’opera postconciliare di rinnovamento». È una visita del “rinnovamento” come evidenzia Ni-

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codemo nell’omelia della messa di apertura, ricca di citazioni della Lumen Gentium. A motivo della visita pastorale, la lettera indirizzata per la Quaresima 1967 avrà come titolo Incontro con la comunità. Ad essa si collega tematicamente quella del 1969 dal titolo Problemi e prospettive nella Chiesa locale (in margine alla Visita pastorale). Nel 1968, invece ritornerà in modo esplicito nel titolo il tema conciliare per l’Anno della Fede: Nell’Anno della Fede fedeltà al Concilio. Quanto alla vita dell’arcidiocesi, quando il Consiglio Pastorale Diocesano aveva già compiuto la fase di rodaggio, nasce il Consiglio Presbiterale. In regione, la CEP, sotto la presidenza di mons. Nicodemo, istituisce l’Istituto Pastorale Pugliese per il quale i vescovi pugliesi richiamano esplicitamente l’attuazione del Concilio. A presiederlo è chiamato mons. Michele Mincuzzi, vicario generale di Bari divenuto vescovo ausiliare dopo la nomina di mons. Nicodemo a vice presidente della CEI. In questi anni diventano più numerosi i riferimenti al Concilio che entra nella vita della Chiesa locale iniziando quel processo che sarà più esplicito dal 1970 al 1973. Tra i vari aspetti del post-Concilio barese emerge l’impegno ecumenico della Chiesa di Bari e del suo arcivescovo in particolare, che viene chiamato a far parte del Segretariato per l’Unità dei Cristiani. Nel 1966 mons. Nicodemo aveva curato per conto delle Edizioni Paoline l’introduzione e il commento al decreto sull’Ecu-menismo nella collana dedicata ai documenti conciliari. Nel contempo, la Basilica di S. Nicola diventa Basilica Pontificia e mons. Nicodemo è costituito delegato pontificio. A ottobre 1968 nasce l’Istituto Superiore di Teologia Ecumenica e nella primavera successiva si tiene a Bari il Convegno storico interecclesiale (patrocinato da Papa Paolo VI e dal Patriarca Ecumenico Atenagora I) su La Chiesa greca in Italia dalI’ VIII al XVI secolo. Negli anni successivi il processo di rinnovamento conciliare che dagli eventi passa piano piano alla quotidianità. Contemporaneamente la pubblicazione cambia veste e assume il titolo principale di Bollettino Diocesano. Uno sguardo sintetico a questi anni non può non ricordare le lettere pastorali dal 1970 al 1972. Si tratta di Per voi sono Vescovo, con voi sono cristiano (S. Agostino, Serm. 340, 1) che Nicodemo nel 1970 scrive nel suo 25mo di episcopato; di Discorso sulle cose (Aspetti e problemi di corresponsabilità pastorale) nel 1971 e


DOCUMENTAZIONE della sua ultima lettera pastorale (1972) Guardando al Sinodo. Si tratta di tre lettere in cui è abbastanza facile scorgere il percorso postconciliare che può essere sintetizzato nell’espressione “corresponsabilità pastorale” posta tra parentesi nel titolo del 1971. Dalle pagine del Bollettino emerge una ricchezza di interessanti documenti alcuni dei quali difficilmente reperibili in altro modo. Un “commento” del Bollettino, testimone della primissima recezione conciliare nella Chiesa di Bari, può essere dato dalla prima pagina del settimanale diocesano Tempi Nostri, che per l’ordinazione episcopale di mons. Michele Mincuzzi (ottobre 1966) titola Vescovi del Concilio una foto in cui mons. Nicodemo consacra il nuovo vescovo, suo ausiliare. Infine, i riferimenti di mons. Nicodemo al Concilio contenuti nel suo testamento sono molto espressivi del processo di recezione conciliare documentato nel Bollettino: «Il mio testamento spirituale è contenuto nella Lettera Pastorale per la Quaresima del 1970, in cui, prendendo occasione dal 25mo della mia Consacrazione Episcopale, ho espresso i sentimenti del mio animo. Il tempo, nel quale il Signore mi ha chiamato ad operare, è stato così carico di eventi da potersi collocare con una caratterizzazione inconfondibile nella storia. È stato un periodo denso e drammatico per la storia dell’umanità e nella storia della Chiesa. Un periodo dominato dal Concilio Vaticano II, che ha investito tutta la realtà della Chiesa ed indicato nuove prospettive e nuovi orizzonti, dando inizio ad un’era nuova». […] «Il mio vincolo più stretto è stato con la Chiesa di Bari, con i suoi sacerdoti e i suoi fedeli. Il mio servizio episcopale in mezzo a voi è coinciso con un periodo di evoluzione sociale della regione e di grande espansione della Città. Voi conoscete quale sia stata la mia condotta in mezzo a voi, quali direttive di fondo hanno inspirato il mio ministero, come abbia cercato di assorbire in me e di trasmettere a voi lo spirito del Vaticano II. Posso attestare dinanzi al Signore che ho compiuto tutti gli sforzi per rinnovarmi ogni giorno nello spirito del Concilio, senza rinnegare il passato, perché esso ha preparato il presente, ma superandone, in una visione globale nuova, forme,

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orientamenti e prospettive. Fino a che punto ci sia riuscito non spetta a me giudicare». La frase «Come abbia cercato di assorbire in me e di trasmettere a voi lo spirito del Vaticano II» commenta da sola l’inizio del processo di recezione del Vaticano II per la persona di Nicodemo e per la Chiesa di Bari.

Rosa Dipinto, La recezione del Vaticano II nel Bollettino Diocesano dell’Arcidiocesi di Bari (1969-1973), tesi per la laurea magistrale in Scienze Religiose, Istituto Superiore di Scienze Religiose, a.a. 2011-2012, relatore prof. Antonio Ciaula, correlatore prof. Francesco Sportelli, 13 marzo 2013.

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PUBBLICAZIONI Vito Marziliano

La stoltezza della predicazione

Prefazione di mons. Giancarlo Bregantini a La stoltezza della predicazione di Vito Marziliano Edizioni VivereIn, Monopoli 2013 Indice: Prefazione di Mons. Giancarlo Bregantini; Introduzione “Non è per me un vanto predicare il Vangelo, è un dovere per me”. Cap. I La gioia di predicare il Vangelo: Il protagonista della predicazione; Dalle parabole del “seme”; …Come Gesù, predicatore itinerante; “Come San Paolo, predicatore appassionato”; Come uno che fa una “offerta speciale” negli odierni supermarket; …Come chi riesce, durante un pasto tra amici, a tenere uniti gli invitati, con una parola accogliente, vivace e sincera; …Come i profeti del Signore; “…Non sapendo altro che Gesù Cristo e Lui Crocifisso…”. Cap. II Alla scuola della predicazione di Gesù: Il dovere di predicare; Non un improvvisatore; Con lo spirito”da figlio di Dio” per parlare con autorità; Con il dovere di predicare “il Regno di Dio”; Un profeta per il suo popolo; Predicatore di un annuncio “essenziale”. Il kerigma; Uno che, quando parla, guarisce e libera dai demoni; Predicando, ricostruisce relazioni. Cap. III La predicazione e la comunità: Ho creduto, perciò ho parlato (2Cor 4, 13); La predicazione e l’amore per la comunità; La predicazione e la comunità evangelizzante; La predicazione e la comunità con catecumeni e “ricomincianti”; Chi predica si converte con la comunità; La predicazione, la comunità, il suo territorio; Gli occhi del predicatore sulle storie quotidiane … per trasformarle. Conclusione: Predicare: una questione d’amore Postfazione: La stoltezza come virtù del dott. Onofrio Pagone

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È una finestra sulla speranza questo bel libro di don Vito Marziliano. Il suo titolo è già una diretta provocazione positiva: “La stoltezza della predicazione”. È la lettura di tante “prediche” fatte da san Paolo, in un suo celebre commento, dentro la lettera ai Corinzi. Vi sento l’eco della sua faticosa esperienza di dialogo con il popolo, dotto e sapiente, di Atene, raccontato dal capitolo 17 degli Atti: «su questo, ci sentiremo un’altra volta»! Eppure, quella parola paolina comunque trovò cuori di grande ascolto. Di cambiamento radicale per la loro vita. Di chiese nate proprio dentro quell’evidente fallimento umano. Ebbene, questo libro nasce da qui: dal sentire che ogni prete vive questa duplice esperienza. Da una parte, la fatica, un uditorio da attrarre, non sempre facile, lo sguardo fastidioso all’orologio, la ripetitività di certi momenti. È la durezza della vita di un prete. Di ogni prete e di ogni vescovo. Specie quando viene rivolto lo sguardo alla Croce di Gesù: «non sapendo altro che Gesù Cristo e Lui crocifisso…», ci narra san Paolo. Ma dall’altra, ecco che certe omelie, ovvie e apparentemente normali, te le senti ripetere dopo anni, da un cuore attento, da una testimonianza di chi, ascoltando parole fragili ed umane, ne esce consolato, carico di speranza, pronto ad una vita nuova. Don Vito in questo suo itinerario ci coinvolge. Perché parla con il cuore: stile semplice, immediato, fortemente esperienziale, positivo, ottimista. Ma vi è anche tanta mente, tanto studio, tanta riflessione sistematica. Così ridiventa sintesi, questo libro, di mente e di cuore, di riflessione e di preghiera, di lacrime e di gioie. Il grembo, credo, dentro il quale nasce questo libro è a mio giudizio l’esempio e lo stile di un grande vescovo per la Chiesa di Bari: mons. Mariano Magrassi. Sono stato a Bari circa sei anni. Da quella chiesa, sono uscito vescovo per Locri-Gerace. E fu proprio a mons. Magrassi che chiesi consiglio quando dalla nunziatura mi giunse, totalmente inaspettata, una lettera dove mi si comunicava la decisione del Papa: «Obbedisci: Al Papa non si può dire di no! Se tu obbedirai, avrai una vita impegnativa, ma la mano di Dio sarà sempre con te!». Era la saggezza di san Gregorio Magno, nella sua celebre Regola


PUBBLICAZIONI pastorale. Così ricordo quelle omelie: brevi, succose, con ben scelte citazioni patristiche, intense di spiritualità. Uno stile invidiabile. Che resta un modello anche per don Vito. Così questo libro raccoglie tutte le fatiche e le bellezze della predicazione orale: omelie, catechesi, dialoghi personali, interventi. Cioè quando un prete si fa “pastore e padre” della sua famiglia, della sua comunità. Per essa, ha dato la vita. Ne sente i drammi, odora delle sue pecore, come ci esorta papa Francesco, che ci resta modello anche nell’arte omiletica, per la sua efficacia e semplicità immediata. Grande comunicatore. Parole umili, che restano però nel cuore di noi, suoi ammirati ascoltatori. Un momento particolare in cui don Vito ci aiuta a “fare una buona e santa predica” è il momento difficile delle esequie. Qui, don Vito si fa davvero maestro. Perché si sente quante lacrime anch’egli abbia versato davanti a certi drammi familiari. Commovente l’esperienza: «ho lasciato da parte – scrive don Vito – sia le parole scontate che quelle d’occasione. Ed ho scelto la strada della Parola, la consolazione che solo il Padre celeste sa dare. L’ho difeso da accuse di ingiustizia davanti a certe bare … ed ho seminato speranza raccogliendo un immensa consolazione nel cuore dei familiari e della comunità tutta». Così il funerale, dove spesso tanta gente lontana partecipa, i fa occasione insperata di nuova evangelizzazione. Non tramite mezzi imponenti, ma solo attraverso l’umile forza della Parola di un prete: «stoltezza della predicazione!». Vi traggo, per concludere, una serie di consigli, sette in tutto, che faccio miei, dopo aver letto volentieri il libro di don Vito. 1) Sguardo sempre fisso al cuore di Cristo, “annodati a lui”, al suo cuore. «Cor ad cor loquitur», diceva quel santo vescovo che sapeva parlare alla gente di fede calvinista, che era san Francesco di Sales. 2) Una buona preparazione remota che don Vito ci chiede dentro i testi dei Padri, della parola di san Paolo soprattutto. Da lunedì mattina all’omelia di domenica mattina! Per poi tornare alla concretezza, alla vita del lunedì mattina.

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3) Grande e cordiale attenzione alla storia di un popolo, di una comunità, del periodo in cui viviamo. Con letture di giornali, articoli di fondo, aggiornamenti. Ma sempre letti con quel cuore di pastore che si fa compagno di cammino, fontana del villaggio. 4) Oserei aggiungere un consiglio, alle sagge parole di don Vito: curare il proprio “diario personale”, perché in esso si narra, si incrocia il cuore e la vita di ogni prete. Un prete che fa il diario non può che far prediche dense e vere! 5) Apertura ai poeti e alla musica. Con uno sguardo a chi ci fa volare. Volare non con le ali, ma con le parole, come narra il celebre Storia di una gabbianella … Ma è utile anche sapere ragionare come chi guida un supermercato. Non per fare commercio, ma per dare freschezza a ciò che sa narrare l’omelia. E la faccio mia, anche per i miei bravi preti di Campobasso! 6) Sul nostro comodino ci sia sempre la vita di un Santo. Cioè gli esempi concreti, precisi, documentati. Fatti che parlano. Esempi che trascinano. E che sanno condire di forza le nostre omelie. Al punto giusto. Anche per risvegliare certe assopite assemblee che, davanti ad un esempio preciso, sempre si risvegliano. E spesso, solo quell’esempio ricordano. Fulcro poi di tutta l’omelia: 7) La Croce di Cristo è la misura di ogni omelia. Quando crea due cose: una vita di preghiera e fa sgorgare buone confessioni. Cioè un cambio di vita, che vede il parroco anche padre spirituale dei cuori in cammino dei suoi fedeli! Grazie e auguri + p. Giancarlo Bregantini Arcivescovo di Campobasso-Boiano 452


PUBBLICAZIONI

Francesco d’Assisi

Cantico delle creature Cantico delle creature. Natura e società nella teologia trinitaria del Cantico di frate Sole a cura di Giuseppe Micunco Ed. Stilo, Bari 2013 Indice: Introduzione di Giuseppe Micunco Nota al testo di Nunzio Bianchi TESTO DEL CANTICO Commento di Giuseppe Micunco CONTRIBUTI: Il mercante, il cavaliere e il giullare di Dio di Vito Angiuli L’influenza del Cantico nella cultura contemporanea di Alessandro Mastromatteo Abbreviazioni bibliche Bibliografia minima

Dall’Introduzione È stato il Concilio ecumenico Vaticano II, negli anni Sessanta, sotto la spinta di una nuova teologia delle realtà terrestri, a riproporre, dopo la seconda guerra mondiale, una visione ottimistica del mondo e del creato, soprattutto nella Costituzione pastorale sulla chiesa nel mondo contemporaneo, in cui tra l’altro, per esempio, si legge: Redento da Cristo e diventato nuova creatura nello Spirito Santo, l’uomo può e deve amare anche le cose che Dio ha creato. Da Dio le riceve e le guarda e le onora come se al presente uscissero dalle mani di Dio. Di esse ringrazia il Benefattore e, usando e godendo delle creature in povertà e libertà, vien introdotto nel vero possesso del mondo, quasi al tempo stesso niente abbia e tutto possegga (cfr 2 Cor 6, 10).

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Quello del Cantico è come un risveglio di vita, dei sensi e dello spirito: si affaccia agli inizi della storia della nostra letteratura e della nuova età medievale italiana ed europea col proposito di ricapitolare il bello della nostra tradizione culturale, rilanciandolo attraverso nuovi stilemi e, soprattutto, attraverso una nuova sensibilità umana e cristiana, in un umanesimo integrale in cui «la grazia – come dice san Tommaso – non distrugge la natura, ma la porta a perfezione» («gratia non tollit naturam, sed perficit»). È un nuovo umanesimo perché, come nota Leo Spitzer, c’è, in questo Cantico, un ‘antropocentrismo’ di Francesco, che non contempla soltanto con spirito religioso ed estatico la bellezza delle creature, ma tutto rapporta all’uomo, alla sua vita materiale e spirituale. È aperta la strada che porterà, passando per Dante, Petrarca e Boccaccio, al Quattrocento. Ed è, comunque, un antropocentrismo biblico e e cristiano. Si tratta di un nuovo umanesimo, in cui Francesco, ben lungi dal disprezzare il ‘mondo’ e le sue creature, è chiamato ad esaltarne la bellezza, e per essa a lodare il suo Creatore. Ed è chiamato soprattutto a custodirla per il bene comune. È un umanesimo che ben si incontra con le positive istanze dell’attuale cultura ecologista, che già Paolo VI accoglieva nel 1971 in un documento ufficiale della Chiesa: «attraverso uno sfruttamento sconsiderato della natura, l’uomo rischia di distruggerla e di essere a sua volta vittima di tale degradazione» (Octogesima adveniens, n. 18). Benedetto XVI ha più ampiamente ripreso tale preoccupazione, mettendo l’uomo al centro del problema:

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La Chiesa ha una responsabilità per il creato e deve far valere questa responsabilità anche in pubblico. E facendolo deve difendere non solo la terra, l’acqua e l’aria come doni della creazione appartenenti a tutti. Deve soprattutto difendere l’uomo contro la distruzione di se stesso. È necessario che ci sia qualcosa come un’ecologia dell’uomo, intesa in senso giusto. Il degrado della natura è infatti strettamente connesso alla cultura che modella la convivenza umana: quando l’ “ecologia umana’ è rispettata dentro la società, anche l’ecologia ambientale ne trae profitto (Caritas in veritate, n. 51).

Un diretto riferimento al Santo di Assisi l’ha fatto il nuovo papa Francesco nell’omelia della messa d’inizio del suo ministero:


PUBBLICAZIONI Custodiamo Cristo nella nostra vita, per custodire gli altri, per custodire il creato! La vocazione del custodire, però, non riguarda solo noi cristiani, ha una dimensione che precede e riguarda tutti. È il custodire l’intero creato, la bellezza del creato, come ci viene detto nel libro della Genesi e come ci ha mostrato san Francesco d’Assisi: è l’avere rispetto per ogni creatura di Dio e per l’ambiente in cui viviamo. […] Ma per ‘custodire’ dobbiamo avere cura anche di noi stessi! Ricordiamo che l’odio, l’invidia, la superbia sporcano la vita! Custodire vuol dire allora vigilare sui nostri sentimenti, su nostro cuore, perché è da lì che escono le intenzioni buone e cattive: quelle che costruiscono e quelle che distruggono! Non dobbiamo aver paura della bontà, anzi neanche della tenerezza!

È anche questa, di un papa che non a caso ha preso il nome di Francesco, una ‘lauda’ che invita a una lode e a una custodia del creato fondata addirittura sulla tenerezza. Giuseppe Micunco

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Michele Samarelli

Una stupenda mattina di novembre Una stupenda mattina di novembre. Biografia spirituale di Maria Cordaro (1892-1913) a cura di Gabriella Roncali Ed. Stilo, Bari 2013

Indice: Introduzione di Gabriella Roncali CENNI BIOGRAFICI DELLA SIGNORINA MARIA CORDARO MORTA IN CONCETTO DI SANTITÀ IN BARI IL 12 GIUGNO 1913 Due parole a chi legge I. I primi anni; II: Sua profonda pietà; III. Suo zelo; IV. Sua umiltà; V. Del suo distacco; VI: Sua semplicità e prudenza; VII. Sua illibata purità; VIII: Sua carità; IX: Sua ubbidienza; X. Sua mortificazione; XI. Sua eroica pazienza; XII. Sua preziosa morte Appendice I Articoli pubblicati su «Il Risveglio» della signorina Maria Cordaro: Si rispetti l’infanzia!; La famiglia; I doveri dei genitori. L’esempio; I doveri dei genitori: La correzione; I doveri dei genitori. Istruzione. I doveri dei genitori. Libertà e prudenza nella scelta dello stato; I doveri dei figli(I); I doveri dei figli (II)

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APPENDICE II. SCRITTI E TESTIMONIANZE SULLA VITA DI MARIA CORDARO Testimonianza familiare di Paolo Cordaro Riservatissima Lettere: Lettera di Giovanni Binetti confessore di Maria Cordaro; Lettera di suor Immacolata; Lettera della sorella Giuseppina; Lettera di Luisa Piccarreta; Lettera di Matilde Leccisi Un lutto in redazione La biografia di Maria Cordaro APPENDICE FOTOGRAFICA


PUBBLICAZIONI Dall’Introduzione Maria Cordaro è stata una ‘piccola’ dal cuore grande di fronte a Dio e di fronte alle persone che ha incontrato. È nata e cresciuta in una buona e laboriosa famiglia del Sud, ha coltivato conoscenze e amicizie con gioia e semplicità, ha amato la virtù in letizia e umiltà, ha guardato con gli occhi della fede ciò che le accadeva, ha incontrato come compagna di strada la malattia. Insomma, ha incrociato come tutti noi la vita, e da subito in essa ha incontrato Dio che l’attendeva. Quando si rende conto dell’amore di Dio, non cerca altro e Lui le si rivela come l’amore infinito che si dona sulla croce. Per seguirlo cerca la via dell’umiltà e della mitezza a somiglianza del suo Signore, e quando si ammala comprende che nella malattia può offrire e donare la vita perché altri la ricevano: «solo la sofferenza può generare anime a Gesù» scrive santa Teresa di Gesù Bambino a Celina e Maria fa parte di quei ‘piccoli’ che fanno la scelta dell’ultimo posto, ricevono dall’alto il dono dell’intercessione e vedono la luce di Dio nel volto di ogni essere umano. Scrive l’amica Matilde: «tutti i suoi atti pensieri azioni erano comuni e ordinari ma fatti bene e perciò capaci di formare i santi». Come la sua vita è stato vangelo vivo, ricca di una pietà «non a rimorchio degli avvenimenti» ma «ispiratrice degli avvenimenti», così la stessa trama del suo parlare e del suo scrivere, semplice e trasparente, appare tutta intessuta delle parole della Sacra Scrittura, che risuona con chiarezza nel cuore di chi legge. «Anima benedetta, che amando il tuo Dio sopra ogni cosa, non cercasti altro che Lui e l’adempimento della sua volontà … anima eletta, che passasti sulla terra, come una forestiera e una pellegrina, con la mente e con il cuore rivolti alla patria celeste ov’era il tuo Dio, il tuo Gesù», anche noi confidiamo, con il tuo appassionato biografo, che quel «candido giglio strappato sì presto alla terra e trapiantato nelle eterne aiuole del Cielo» ottenga «una copiosa rifioritura di altri gigli, che vengano […] ad abbellire e allietare anche la sitibonda terra della Puglia!».

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D OCUMENTI

E

V ITA

DELLA

C HIESA

DI

B ARI -B ITONTO

NELLA PACE DEL SIGNORE don Giovanni Paccione

Il 18 luglio 2013 è deceduto improvvisamente, a Canazei, nella Valle di Fassa, Trentino, don Giovanni Paccione. Entrato sin da ragazzo nel Seminario Arcivescovile di Bari per seguire il cammino vocazionale, è passato, poi, al Seminario Regionale di Molfetta, per gli studi filosofici e teologici. Ordinato presbitero il 1 luglio 1962, ha esercitato il ministero pastorale nella comunità della Chiesa Madre di Mola di Bari (dal 1962 al 1965), come vicario parrocchiale; quindi è stato nominato parroco della parrocchia Sacro Cuore in Gioia del Colle (1965-1977); poi arciprete di Toritto (1977-1984) ed, infine, parroco della parrocchia Sacro Cuore in Bari (1984-2013). Nel corso della sua cinquantennale attività pastorale, ha realizzato opere che rimarranno certamente nella memoria dei fedeli. A Gioia del Colle, la ristrutturazione della chiesa come del cinema parrocchiale, dove ha potuto tenere diversi incontri di cineforum. A Toritto, ha costruito e realizzato il Centro parrocchiale, su una proprietà donata dal sac. Salvatore D’Innocenzo; una struttura, questa, dotata di salone, di locali per ufficio e per catechesi, oltre che di spazi e di attrezzature sportive, divenendo anche centro di spiritualità e di incontri di vita comunitaria. Al Sacro Cuore di Bari, ha visto realizzato il suo desiderio: la costruzione e l’inaugurazione della nuova chiesa nell’ex Monastero di Santa Scolastica, in via Cardassi; qui, oggi, è la nuova sede della parrocchia. Iniziato il suo ministero pastorale all’indomani dell’apertura del Concilio Vaticano II, don Giovanni si è speso subito in quel rinnovamento ispirato dal Concilio stesso. Molti ricordano l’entusiasmo con cui don Giovanni organizzava e partecipava ai campeggi per ragazzi, giovani ed adulti; le iniziative e le decisioni (spesso sofferte

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e incomprese) per coinvolgere tutta la comunità ad una sempre maggiore partecipazione attiva alla liturgia; la sua ferma insistenza nell’educare al senso di appartenenza alla comunità; il continuo richiamo alla centralità della Parola, fondamento della comunità; la sua determinazione nel guidare i catechisti ad un serio ed effettivo inserimento nella vita della comunità; la generosa e perseverante volontà di istituire e mantenere, durante le festività, negli ambienti parrocchiali del S. Cuore di Bari, la mensa per i poveri; la costanza per i tanti incontri informali con giovani ed adulti su diversi temi della realtà ecclesiale e sociale (anche nell’albergo dove annualmente dimorava nel mese di luglio). Solo gli ultimi anni della sua vita, causa la malattia che gli procurava tanta sofferenza, hanno visto don Giovanni ridurre le sue attività, mantenendo sempre determinazione ed entusiasmo nel guidare la sua comunità, fino alla tanto attesa inaugurazione della nuova chiesa parrocchiale, avvenuta venerdì 7 giugno u.s. nella solennità del Sacro Cuore di Gesù. Amava molto la montagna, dove si recava nel periodo estivo per trascorrere giorni di riposo, e proprio lì è stato chiamato dal Signore ad entrare nella beatitudine del suo Regno. «Il mio funerale sia povero: né fiori, cortei, accompagnamenti. Sia fatto nel luogo dove muoio. Sia sepolto per terra, con una croce di legno senza nome né fotografie. Sia celebrata l’Eucarestia di Pasqua» (dal testamento). Rispettando la sua volontà testamentaria, nella chiesa parrocchiale di Canazei sono state celebrate le esequie: presenti alla concelebrazione, il Vicario generale di Bari-Bitonto, mons. Domenico Ciavarella, don Massimo D’Abbicco, vicario parrocchiale al S. Cuore di Bari, e don Stefano Maffei, parroco della chiesa parrocchiale di Canazei, dedicata (coincidenza?) al Sacro Cuore. In contemporanea, una messa di suffragio è stata celebrata nella sua chiesa parrocchiale del Sacro Cuore in Bari, con la partecipazione di vari sacerdoti e di tanti fedeli che gremivano la chiesa. «Sul monte/ del tramonto/ la tua figura si ergeva…/mi sono avvicinato al tuo mistero/ d’amore… Io vorrei avvicinarmi alla tua croce/ salire con te/ portando chi mi ama e anche chi mi fa e faccio soffrire…Puoi rendere pura/ come la tua, la mia vita?/ Aiutami… perché risorga come tu/desideri per me e per chi mi hai posto vicino» (dai suoi scritti in versi: 5 aprile ‘91). Su quel “monte” ora riposa il suo corpo nell’attesa della risurrezione finale. Il Cuore di Gesù lo avvolga per l’eternità nel Suo grande “mistero d’amore”.


D OCUMENTI

E

V ITA

DELLA

C HIESA

DI

B ARI -B ITONTO

DIARIO DELL’ARCIVESCOVO Luglio 2013

1-6 – Presso l’Oasi S. Maria in Cassano Murge, guida un corso di esercizi spirituali intercongregazionale. 6 – Alla sera, presso la parrocchia S. Maria della Pace in Noicattaro, celebra la S. Messa per l’ordinazione sacerdotale di don Gerry Zaccaro. 7 – Al mattino, nella chiesa di Maria SS. degli Angeli in Bari, celebra la S. Messa per la festa della Titolare. 8 – Alla sera, in Sannicandro di Bari, partecipa alla cerimonia di intitolazione di una strada del paese a don Nicolino Guglielmi, fondatore della “Casa del fanciullo”. 11 – Al pomeriggio, presso la parrocchia S. Gabriele dell’Addolorata in Bari, celebra le esequie di p. Augusto Sagaria, C.P. 12 – Alla sera, presso il santuario dei SS. Medici in Bitonto, incontra i membri dell’UNITALSI. 27 – Alla sera, in Bitonto, inaugura i restaurati giardini pensili dell’ex Seminario diocesano. 28 – Presso la sede regionale RAI di Bari, dà un’intervista sulla prossima Giornata mondiale della Gioventù.

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Agosto 2013 4 – Al mattino, presso la parrocchia S. Giuseppe Moscati in Triggiano, celebra la S. Messa. 7 – Alla sera, presso la chiesa di S. Rocco in Gioia del Colle, celebra la S. Messa e benedice la restaurata statua lignea di “S. Rocco con la borsa”. 11 – Alla sera, nella chiesa di S. Nicola de Protonotariis in Grotteria (RC), celebra la S. Messa per la festa patronale nella chiusura dell’anno giubilare. 14 – Al mattino, nella Cattedrale di Otranto, presiede la concelebrazione della S. Messa per la festa dei Santi Martiri d’Otranto. 19 – Alla sera, presso la parrocchia Sacro Cuore in Bari, celebra la S. Messa di Trigesimo di don Giovanni Paccione. 28 – Alla sera, presso la parrocchia S. Maria Assunta in Cassano Murge, celebra la S. Messa per l’ordinazione sacerdotale di don Nicola Simonetti. 29 agosto-5 settembre – Gui da il pellegrinaggio diocesano in Terra Santa in occasione dell’Anno della fede.

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ANNOTAZIONI

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