Bollettino Diocesano Maggio-Giugno 2013

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BOLLETTINO DIOCESANO

l’Odegitria

Anno LXXXIX n. 3

Bollettino Diocesano

3-2013

Arcidiocesi di Bari - Bitonto • Largo S. Sabino, 7 • 70122 Bari Arcivescovado: Tel.: 080 5214166 Curia Metropolitana: Tel.: 080 5288111 Fax: 080 5244450 • 080 5288250 www.arcidiocesibaribitonto.it • e-mail: curia@odegitria.bari.it

Registrazione Tribunale di Bari n. 1272 del 26/03/1996 Spedizione in abbonamento postale comma 20/c art. 2 L. 662/96 Filiale di Bari

Maggio - Giugno 2013



BOLLETTINO DIOCESANO

l´Odegitria

Atti ufficiali e attività pastorali dell’Arcidiocesi di Bari-Bitonto


BOLLETTINO DIOCESANO

l´Odegitria Atti ufficiali e attività pastorali dell’Arcidiocesi di Bari-Bitonto Registrazione Tribunale di Bari n. 1272 del 26/03/1996 ANNO LXXXIX - N. 3 - Maggio - Giugno 2013 Redazione e amministrazione: Curia Arcivescovile Bari-Bitonto P.zza Odegitria - 70122 Bari - Tel. 080/5288211 - Fax 080/5244450 www.arcidiocesibaribitonto.it - e.mail: curia@odegitria.bari.it Direttore responsabile: Giuseppe Sferra Direttore: Gabriella Roncali Redazione: Beppe Di Cagno, Luigi Di Nardi, Angelo Latrofa, Paola Loria, Franco Mastrandrea, Bernardino Simone, Francesco Sportelli Gestione editoriale e stampa: Ecumenica Editrice scrl - 70123 Bari - Tel. 080.5797843 - Fax 080.2170009 www.ecumenicaeditrice.it - info@ecumenicaeditrice.it


SOMMARIO DOCUMENTI DELLA CHIESA UNIVERSALE MAGISTERO PONTIFICIO Omelia nella S. Messa per la canonizzazione dei Martiri d’Otranto Professione di fede con i vescovi italiani Chirografo per l’istituzione di una Pontificia Commissione Referente sull’Istituto per le Opere di Religione

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CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO E LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI Decreto per la menzione del nome di san Giuseppe nelle preghiere eucaristiche II, III e IV

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DOCUMENTI DELLA CHIESA ITALIANA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA LXV Assemblea generale Comunicato finale dei lavori

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DOCUMENTI E VITA DELLA CHIESA DI BARI BITONTO MAGISTERO E ATTI DELL’ARCIVESCOVO Intervento alla manifestazione “Dieci piazze per dieci comandamenti” (Bari, 15 giugno 2013)

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CURIA METROPOLITANA Cancelleria Sacre ordinazioni e decreti Ufficio Presbiteri La giornata di santificazione sacerdotale: relazione di S.Em. il card. Walter Kasper su L’interpretazione e la ricezione del Concilio Vaticano II L’esperienza formativa estiva dei preti giovani

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CENTRO DI STUDI STORICI DELLA CHIESA DI BARI-BITONTO Presentazione de Il seme e il fiore di G. Micunco: relazione sulla vita e la spiritualità della beata Elia di S. Clemente di suor Grazia Loparco, docente alla Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione “Auxilium”

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CENTRO DI STUDI STORICI DELLA CHIESA DI BARI-BITONTOMUSEO DIOCESANO DI BARI La mostra a Grumo Appula in occasione del X anniversario della morte del card. Francesco Colasuonno

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PUBBLICAZIONI

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DIARIO DELL’ARCIVESCOVO Maggio 2013 Giugno 2013

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C HIESA U NIVERSALE

MAGISTERO PONTIFICIO Omelia nella S. Messa per la canonizzazione dei Martiri d’Otranto e altri Santi (Piazza San Pietro, 12 maggio 2013)

Cari fratelli e sorelle! In questa settima domenica del Tempo di Pasqua ci siamo radunati con gioia per celebrare una festa della santità. Rendiamo grazie a Dio che ha fatto risplendere la sua gloria, la gloria dell’Amore, sui Martiri di Otranto, su madre Laura Montoya e su madre María Guadalupe García Zavala. Saluto tutti voi che siete venuti per questa festa – dall’Italia, dalla Colombia, dal Messico, da altri Paesi – e vi ringrazio! Vogliamo guardare ai nuovi Santi alla luce della Parola di Dio proclamata. Una Parola che ci ha invitato alla fedeltà a Cristo, anche fino al martirio; ci ha richiamato l’urgenza e la bellezza di portare Cristo e il suo Vangelo a tutti; e ci ha parlato della testimonianza della carità, senza la quale anche il martirio e la missione perdono il loro sapore cristiano. Gli Atti degli Apostoli, quando ci parlano del diacono Stefano, il protomartire, insistono nel dire che egli era un uomo «pieno di Spirito Santo» (6,5; 7,55). Che significa questo? Significa che era pieno dell’Amore di Dio, che tutta la sua persona, la sua vita era animata dallo Spirito di Cristo risorto, tanto da seguire Gesù con fedeltà totale, fino al dono di sé. Oggi la Chiesa propone alla nostra venerazione una schiera di martiri, che furono chiamati insieme alla suprema testimonianza del

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Vangelo, nel 1480. Circa ottocento persone, sopravvissute all’assedio e all’invasione di Otranto, furono decapitate nei pressi di quella città. Si rifiutarono di rinnegare la propria fede e morirono confessando Cristo risorto. Dove trovarono la forza per rimanere fedeli? Proprio nella fede, che fa vedere oltre i limiti del nostro sguardo umano, oltre il confine della vita terrena, fa contemplare «i cieli aperti» - come dice santo Stefano – e il Cristo vivo alla destra del Padre. Cari amici, conserviamo la fede che abbiamo ricevuto e che è il nostro vero tesoro, rinnoviamo la nostra fedeltà al Signore, anche in mezzo agli ostacoli e alle incomprensioni; Dio non ci farà mai mancare forza e serenità. Mentre veneriamo i Martiri di Otranto, chiediamo a Dio di sostenere tanti cristiani che, proprio in questi tempi e in tante parti del mondo, adesso, ancora soffrono violenze, e dia loro il coraggio della fedeltà e di rispondere al male col bene.

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Il secondo pensiero lo possiamo ricavare dalle parole di Gesù che abbiamo ascoltato nel Vangelo: «Prego per quelli che crederanno in me mediante la loro parola: perché tutti siano una cosa sola; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi» (Gv 17,20). Santa Laura Montoya è stata strumento di evangelizzazione prima come insegnante e poi come madre spirituale degli indigeni, ai quali infuse speranza, accogliendoli con l’amore appreso da Dio e portandoli a Lui con una efficacia pedagogica che rispettava la loro cultura e non si contrapponeva ad essa. Nella sua opera di evangelizzazione madre Laura si fece veramente tutta a tutti, secondo l’espressione di san Paolo (cfr 1Cor 9,22). Anche oggi le sue figlie spirituali vivono e portano il Vangelo nei luoghi più reconditi e bisognosi, come una sorta di avanguardia della Chiesa. Questa prima santa nata nella bella terra colombiana ci insegna ad essere generosi con Dio, a non vivere la fede da soli - come se fosse possibile vivere la fede in modo isolato -, ma a comunicarla, a portare la gioia del Vangelo con la parola e la testimonianza di vita in ogni ambiente in cui ci troviamo. In qualsiasi luogo in cui viviamo, irradiare questa vita del Vangelo! Ci insegna a vedere il volto di Gesù riflesso nell’altro, a vincere indifferenza e individualismo, che corrodono le comunità cristiane e corrodono il nostro cuore, e ci insegna ad accogliere tutti senza pregiudizi, senza discriminazioni,


MAGISTERO PONTIFICIO senza reticenze, con amore sincero, donando loro il meglio di noi stessi e soprattutto condividendo con loro ciò che abbiamo di più prezioso, che non sono le nostre opere o le nostre organizzazioni, no! Quello che abbiamo di più prezioso è Cristo e il suo Vangelo. Infine, un terzo pensiero. Nel Vangelo di oggi, Gesù prega il Padre con queste parole: «Io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro» (Gv 17,26). La fedeltà dei martiri fino alla morte e la proclamazione del Vangelo a tutti si radicano, hanno la loro radice nell’amore di Dio effuso nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo (cfr Rm 5,5), e nella testimonianza che dobbiamo dare di questo amore nella nostra vita quotidiana. Santa María Guadalupe García Zavala lo sapeva bene. Rinunciando a una vita comoda – quanto danno arreca la vita comoda, il benessere; l’“imborghesimento” del cuore ci paralizza –, rinunciando a una vita comoda per seguire la chiamata di Gesù, insegnava ad amare la povertà, per poter amare di più i poveri e gli infermi. Madre Lupita si inginocchiava sul pavimento dell’ospedale davanti agli ammalati e agli abbandonati per servirli con tenerezza e compassione. E questo si chiama: “toccare la carne di Cristo”. I poveri, gli abbandonati, gli infermi, gli emarginati sono la carne di Cristo. E madre Lupita toccava la carne di Cristo e ci ha insegnato questo modo di agire: non vergognarsi, non avere paura, non provare ripugnanza a “toccare la carne di Cristo”! Madre Lupita aveva capito che cosa significa questo “toccare la carne di Cristo”. Anche oggi le sue figlie spirituali cercano di riflettere l’amore di Dio nelle opere di carità, senza risparmiare sacrifici e affrontando con mitezza, con perseveranza apostolica (hypomon ), sopportando con coraggio qualunque ostacolo. Questa nuova santa messicana ci invita ad amare come Gesù ci ha amato, e questo comporta non chiudersi in se stessi, nei propri problemi, nelle proprie idee, nei propri interessi, in questo piccolo mondo che ci arreca tanto danno, ma uscire e andare incontro a chi ha bisogno di attenzione, di comprensione, di aiuto, per portagli la calorosa vicinanza dell’amore di Dio, attraverso gesti di delicatezza, di affetto sincero e di amore.

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Fedeltà a Cristo e al suo Vangelo, per annunciarlo con la parola e con la vita, testimoniando l’amore di Dio con il nostro amore, con la nostra carità verso tutti: sono luminosi esempi ed insegnamenti che ci offrono i Santi proclamati oggi, ma che suscitano anche domande alla nostra vita cristiana: Come io sono fedele a Cristo? Portiamo con noi questa domanda, per pensarla durante la giornata: come io sono fedele a Cristo? Sono capace di “far vedere” la mia fede con rispetto, ma anche con coraggio? Sono attento agli altri, mi accorgo di chi è nel bisogno, vedo in tutti fratelli e sorelle da amare? Chiediamo, per intercessione della Beata Vergine Maria e dei nuovi Santi, che il Signore riempia la nostra vita con la gioia del suo amore. Così sia.

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C HIESA U NIVERSALE

MAGISTERO PONTIFICIO Professione di fede con i vescovi della Conferenza Episcopale Italiana

Cari fratelli nell’Episcopato, Le letture bibliche che abbiamo sentito ci fanno riflettere. A me hanno fatto riflettere tanto. Ho fatto come una meditazione per noi vescovi, prima per me, vescovo come voi, e la condivido con voi. È significativo - e ne sono particolarmente contento - che il nostro primo incontro avvenga proprio qui, sul luogo che custodisce non solo la tomba di Pietro, ma la memoria viva della sua testimonianza di fede, del suo servizio alla verità, del suo donarsi fino al martirio per il Vangelo e per la Chiesa. Questa sera questo altare della Confessione diventa così il nostro lago di Tiberiade, sulle cui rive riascoltiamo lo stupendo dialogo tra Gesù e Pietro, con l’interrogativo indirizzato all’Apostolo, ma che deve risuonare anche nel nostro cuore di vescovi. «Mi ami tu?»; «Mi sei amico?» (cfr Gv 21,15 ss). La domanda è rivolta a un uomo che, nonostante solenni dichiarazioni, si era lasciato prendere dalla paura e aveva rinnegato. «Mi ami tu?»; «Mi sei amico?». La domanda è rivolta a me e a ciascuno di noi, a tutti noi: se evitiamo di rispondere in maniera troppo affrettata e superficiale, essa ci spinge a guardarci dentro, a rientrare in noi stessi. «Mi ami tu?»; «Mi sei amico?».

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Colui che scruta i cuori (cfr Rm 8,27) si fa mendicante d’amore e ci interroga sull’unica questione veramente essenziale, premessa e condizione per pascere le sue pecore, i suoi agnelli, la sua Chiesa. Ogni ministero si fonda su questa intimità con il Signore; vivere di Lui è la misura del nostro servizio ecclesiale, che si esprime nella disponibilità all’obbedienza, all’abbassamento, come abbiamo sentito nella Lettera ai Filippesi, e alla donazione totale (cfr 2,6-11). Del resto, la conseguenza dell’amare il Signore è dare tutto - proprio tutto, fino alla stessa vita - per Lui: questo è ciò che deve distinguere il nostro ministero pastorale; è la cartina di tornasole che dice con quale profondità abbiamo abbracciato il dono ricevuto rispondendo alla chiamata di Gesù e quanto ci siamo legati alle persone e alle comunità che ci sono state affidate. Non siamo espressione di una struttura o di una necessità organizzativa: anche con il servizio della nostra autorità siamo chiamati a essere segno della presenza e dell’azione del Signore risorto, a edificare, quindi, la comunità nella carità fraterna. Non che questo sia scontato: anche l’amore più grande, infatti, quando non è continuamente alimentato, si affievolisce e si spegne. Non per nulla l’apostolo Paolo ammonisce: «Vegliate su voi stessi e su tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha costituiti come custodi per essere pastori della Chiesa di Dio, che si è acquistata con il sangue del proprio Figlio» (At 20,28). La mancata vigilanza - lo sappiamo - rende tiepido il Pastore; lo fa distratto, dimentico e persino insofferente; lo seduce con la prospettiva della carriera, la lusinga del denaro e i compromessi con lo spirito del mondo; lo impigrisce, trasformandolo in un funzionario, un chierico di stato preoccupato più di sé, dell’organizzazione e delle strutture, che del vero bene del Popolo di Dio. Si corre il rischio, allora, come l’apostolo Pietro, di rinnegare il Signore, anche se formalmente ci si presenta e si parla in suo nome; si offusca la santità della Madre Chiesa gerarchica, rendendola meno feconda. Chi siamo, fratelli, davanti a Dio? Quali sono le nostre prove? Ne abbiamo tante; ognuno di noi sa le sue. Che cosa ci sta dicendo Dio attraverso di esse? Su che cosa ci stiamo appoggiando per superarle? Come per Pietro, la domanda insistente e accorata di Gesù può lasciarci addolorati e maggiormente consapevoli della debolezza della nostra libertà, insidiata com’è da mille condizionamenti inter-


MAGISTERO PONTIFICIO ni ed esterni, che spesso suscitano smarrimento, frustrazione, persino incredulità. Non sono certamente questi i sentimenti e gli atteggiamenti che il Signore intende suscitare; piuttosto, di essi approfitta il nemico, il diavolo, per isolare nell’amarezza, nella lamentela e nello scoraggiamento. Gesù, buon Pastore, non umilia né abbandona al rimorso: in Lui parla la tenerezza del Padre, che consola e rilancia; fa passare dalla disgregazione della vergogna – perché davvero la vergogna ci disgrega - al tessuto della fiducia; ridona coraggio, riaffida responsabilità, consegna alla missione. Pietro, che purificato al fuoco del perdono può dire umilmente «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene» (Gv 21,17) – e sono sicuro che tutti noi possiamo dirlo di cuore –, nella sua prima Lettera ci esorta a pascere «il gregge di Dio [...], sorvegliandolo non perché costretti ma volentieri [...], non per vergognoso interesse, ma con animo generoso, non come padroni delle persone a noi affidate, ma facendoci modelli del gregge» (1Pt 5,2-3). Sì, essere Pastori significa credere ogni giorno nella grazia e nella forza che ci viene dal Signore, nonostante la nostra debolezza, e assumere fino in fondo la responsabilità di camminare innanzi al gregge, sciolti da pesi che intralciano la sana celerità apostolica, e senza tentennamenti nella guida, per rendere riconoscibile la nostra voce sia da quanti hanno abbracciato la fede, sia da coloro che ancora «non sono di questo ovile» (Gv 10,16): siamo chiamati a far nostro il sogno di Dio, la cui casa non conosce esclusione di persone o di popoli, come annunciava profeticamente Isaia nella Prima Lettura (cfr Is 2,2-5). Per questo, essere Pastori vuol dire anche disporsi a camminare in mezzo e dietro al gregge: capaci di ascoltare il silenzioso racconto di chi soffre e di sostenere il passo di chi teme di non farcela; attenti a rialzare, a rassicurare e a infondere speranza. Dalla condivisione con gli umili la nostra fede esce sempre rafforzata: mettiamo da parte, quindi, ogni forma di supponenza, per chinarci su quanti il Signore ha affidato alla nostra sollecitudine. Fra questi, un posto particolare, ben particolare, riserviamolo ai nostri sacerdoti: soprat-

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tutto per loro, il nostro cuore, la nostra mano e la nostra porta restino aperte in ogni circostanza. Loro sono i primi fedeli che abbiamo noi Vescovi: i nostri sacerdoti. Amiamoli! Amiamoli di cuore! sono i nostri figli e i nostri fratelli! Cari fratelli, la professione di fede che ora rinnoviamo insieme non è un atto formale, ma è rinnovare la nostra risposta al “Seguimi” con cui si conclude il Vangelo di Giovanni (21,19): porta a dispiegare la propria vita secondo il progetto di Dio, impegnando tutto di sé per il Signore Gesù. Da qui sgorga quel discernimento che conosce e si fa carico dei pensieri, delle attese e delle necessità degli uomini del nostro tempo. Con questo spirito, ringrazio di cuore ciascuno di voi per il vostro servizio, per il vostro amore alla Chiesa. E la Madre è qui! Vi pongo, e anche io mi pongo, sotto il manto di Maria, Nostra Signora. Madre del silenzio, che custodisce il mistero di Dio, liberaci dall’idolatria del presente, a cui si condanna chi dimentica. Purifica gli occhi dei Pastori con il collirio della memoria: torneremo alla freschezza delle origini, per una Chiesa orante e penitente. Madre della bellezza, che fiorisce dalla fedeltà al lavoro quotidiano, destaci dal torpore della pigrizia, della meschinità e del disfattismo. Rivesti i Pastori di quella compassione che unifica e integra: scopriremo la gioia di una Chiesa serva, umile e fraterna.

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Madre della tenerezza, che avvolge di pazienza e di misericordia, aiutaci a bruciare tristezze, impazienze e rigidità di chi non conosce appartenenza. Intercedi presso tuo Figlio perché siano agili le nostre mani, i nostri piedi e i nostri cuori: edificheremo la Chiesa con la verità nella carità. Madre, saremo il Popolo di Dio, pellegrinante verso il Regno. Amen. Roma, Basilica Vaticana, 23 maggio 2013


D OCUMENTI

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C HIESA U NIVERSALE

MAGISTERO PONTIFICIO Chirografo per l’istituzione di una Pontificia Commissione Referente sull’Istituto per le Opere di Religione

Comunicato della Segreteria di Stato Il Santo Padre ha istituito una Pontificia Commissione Referente sull’Istituto per le Opere di Religione con Chirografo del 24 giugno c.m. Come si noterà dal testo del Chirografo pubblicato oggi, l’opportunità di stabilire una Commissione Referente è sorta dal desiderio del Santo Padre di conoscere meglio la posizione giuridica e le attività dell’Istituto per consentire una migliore armonizzazione del medesimo con la missione della Chiesa universale e della Sede Apostolica, nel contesto più generale delle riforme che sia opportuno realizzare da parte delle istituzioni che danno ausilio alla Sede Apostolica. La Commissione ha lo scopo di raccogliere informazioni sull’andamento dell’Istituto e di presentare i risultati al Santo Padre. Come specificato nel Chirografo, durante il corso dei lavori della Commissione, l’Istituto continua ad operare secondo il Chirografo del 1990 che lo erige, salvo disposizioni diverse del Santo Padre. Le finalità e le attribuzioni della Commissione sono descritte più dettagliatamente nel Chirografo stesso. I membri della Commissione sono: S.Em.za card. Raffaele Farina, presidente S.Em.za card. Jean-Louis Pierre Tauran, membro S.Ecc. mons. Juan Ignacio Arrieta Ochoa de Chinchetru, coordinatore Mons. Peter Bryan Wells, segretario

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Prof.ssa Mary Ann Glendon, membro La Commissione comincia il proprio lavoro in questi giorni. Il Santo Padre si augura una felice e produttiva collaborazione tra la Commissione e l’Istituto.

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Con Chirografo del primo marzo 1990, il beato Giovanni Paolo II eresse con personalità giuridica pubblica l’Istituto per le Opere di Religione, dando una nuova configurazione all’Istituto e conservandone il nome e le finalità. Nella medesima prospettiva, tenendo conto che Egli volle meglio adeguare le strutture e le attività dell’Istituto alle esigenze dei tempi; seguendo l’invito del Nostro Predecessore Benedetto XVI di consentire ai principi del Vangelo di permeare anche le attività di natura economica e finanziaria; sentito il parere di diversi cardinali e altri fratelli nell’Episcopato, nonché di altri collaboratori, e alla luce della necessità di introdurre riforme nelle Istituzioni che danno ausilio alla Sede Apostolica, Noi abbiamo deciso di istituire una Commissione Referente sull’Istituto per le Opere di Religione che raccolga puntuali informazioni sulla posizione giuridica e sulle varie attività dell’Istituto al fine di consentire, qualora necessario, una migliore armonizzazione del medesimo con la missione universale della Sede Apostolica. La Commissione svolge i propri compiti a norma del presente Chirografo e delle Nostre disposizioni operative. 1. La Commissione è composta da un minimo di cinque membri tra cui un Presidente che ne è il rappresentante legale, un coordinatore che ha poteri ordinari di delegato e agisce nel nome e per conto della Commissione nella raccolta di documenti, dati e informazioni necessari, nonché un segretario che coadiuva i membri e custodisce gli atti. 2. La Commissione è dotata di poteri e facoltà adeguati allo svolgimento delle proprie funzioni istituzionali entro i limiti stabiliti dal presente Chirografo e le norme dell’ordinamento giuridico. La Commissione raccoglie documenti, dati e informazioni necessari allo svolgimento delle proprie funzioni istituzionali. Il segreto d’ufficio e le altre eventuali restrizioni stabiliti dall’ordinamento giuridico non inibiscono o limitano l’accesso della Commissione a documenti, dati e informazioni, fatte salve le norme che tutelano l’autonomia e l’indipendenza delle Autorità che svolgono attività di


MAGISTERO PONTIFICIO vigilanza e regolamentazione dell’Istituto, le quali rimangono in vigore. 3. La Commissione è dotata delle risorse umane e materiali adeguate alle sue funzioni istituzionali. Qualora sia utile, si avvale di collaboratori e consulenti. 4. Il governo dell’Istituto continua a operare a norma del Chirografo che lo erige, salvo ogni Nostra diversa disposizione. 5. La Commissione si serve della sollecita collaborazione degli organi dell’Istituto, nonché del suo intero personale. Inoltre, i Superiori, i Membri e gli Officiali dei Dicasteri della Curia Romana e gli altri enti ad essa collegati, nonché dello Stato della Città del Vaticano, collaborano parimenti con la Commissione. La Commissione si serve anche della collaborazione di altri soggetti, spontaneamente o su richiesta. 6. La Commissione Ci tiene informati delle proprie attività nel corso dei suoi lavori. 7. La Commissione Ci consegna gli esiti del proprio lavoro, nonché l’intero suo archivio, in modo tempestivo alla conclusione dei lavori. 8. L’attività della Commissione decorre dalla data del presente Chirografo. 9. Sarà reso noto lo scioglimento della Commissione. Dato in Vaticano il 24 giugno 2013, primo anno del mio Pontificato

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C HIESA U NIVERSALE

CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO Decreto circa la menzione di san Giuseppe nelle preghiere eucaristiche II, III e IV

Per decisione di papa Benedetto XVI, accolta e confermata da papa Francesco, la Congregazione per il culto divino il primo maggio ha pubblicato un decreto che dispone che san Giuseppe venga menzionato accanto alla Madonna anche nelle preghiere eucaristiche II, III e IV. Fino ad oggi la menzione “... con san Giuseppe suo sposo” era riservata al solo canone romano.

Mediante la cura paterna di Gesù, san Giuseppe di Nazareth, posto a capo della Famiglia del Signore, adempì copiosamente la missione ricevuta dalla grazia nell’economia della salvezza e, aderendo pienamente agli inizi dei misteri dell’umana salvezza, è divenuto modello esemplare di quella generosa umiltà che il cristianesimo solleva a grandi destini e testimone di quelle virtù comuni, umane e semplici, necessarie perché gli uomini siano onesti e autentici seguaci di Cristo. Per mezzo di esse quel Giusto, che si è preso amorevole cura della Madre di Dio e si è dedicato con gioioso impegno all’educazione di Gesù Cristo, è divenuto il custode dei più preziosi tesori di Dio Padre ed è stato incessantemente venerato nei secoli dal popolo di Dio quale sostegno di quel corpo mistico che è la Chiesa. Nella Chiesa cattolica i fedeli hanno sempre manifestato ininterrotta devozione per san Giuseppe e ne hanno onorato solennemen-

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te e costantemente la memoria di Sposo castissimo della Madre di Dio e Patrono celeste di tutta la Chiesa, al punto che già il beato Giovanni XXIII, durante il Sacrosanto Concilio Ecumenico Vaticano II, decretò che ne fosse aggiunto il nome nell’antichissimo Canone Romano. Il Sommo Pontefice Benedetto XVI ha voluto accogliere e benevolmente approvare i devotissimi auspici giunti per iscritto da molteplici luoghi, che ora il Sommo Pontefice Francesco ha confermato, considerando la pienezza della comunione dei Santi che, un tempo pellegrini insieme a noi nel mondo, ci conducono a Cristo e a lui ci uniscono. Pertanto, tenuto conto di ciò, questa Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, in virtù delle facoltà concesse dal Sommo Pontefice Francesco, di buon grado decreta che il nome di San Giuseppe, Sposo della Beata Vergine Maria, sia d’ora in avanti aggiunto nelle Preghiere eucaristiche II, III e IV della terza edizione tipica del Messale Romano, apposto dopo il nome della Beata Vergine Maria come segue: nella Preghiera eucaristica II: «ut cum beata Dei Genetrice Virgine Maria, beato Ioseph, eius Sponso, beatis Apostolis»; nella Preghiera eucaristica III: «cum beatissima Virgine, Dei Genetrice, Maria, cum beato Ioseph, eius Sponso, cum beatis Apostolis»; nella Preghiera eucaristica IV: «cum beata Virgine, Dei Genetrice, Maria, cum beato Ioseph, eius Sponso, cum Apostolis». Quanto ai testi redatti in lingua latina, si utilizzino le formule che da ora sono dichiarate tipiche. La Congregazione stessa si occuperà in seguito di provvedere alle traduzioni nelle lingue occidentali di maggior diffusione; quelle da redigere nelle altre lingue dovranno essere preparate, a norma del diritto, dalla relativa Conferenza dei Vescovi e confermate dalla Sede Apostolica tramite questo Dicastero. Nonostante qualsiasi cosa in contrario. Dalla Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti 1 maggio 2013, S. Giuseppe artigiano


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C HIESA I TALIANA

CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA LXV Assemblea generale

Comunicato finale dei lavori (Roma, 20-24 maggio 2013)

Se si potesse raccontare in uno scatto fotografico la 65ª Assemblea generale della Conferenza Episcopale Italiana – riunita a Roma, sotto la guida del card. Angelo Bagnasco, dal 20 al 24 maggio 2013 – l’immagine ritrarrebbe i vescovi delle Chiese che sono in Italia far corona attorno alla tomba di San Pietro, a ridirsi le ragioni e le esigenze del loro aver consacrato la vita nella fede nel Signore Gesù. Fra loro – uno di loro, come ha voluto evidenziare – papa Francesco, che invita ciascuno a misurarsi con la domanda enorme – «l’unica questione veramente essenziale» – posta da Gesù a Pietro: “Mi ami tu?”. Poco prima, il card. Bagnasco gli aveva espresso la «convinta adesione» a vivere «l’unità della comunione ecclesiale come una grazia e una missione». Il Presidente dei vescovi italiani ha ricondotto a tale appartenenza la fecondità dell’annuncio evangelico e della testimonianza della carità. E il papa, nel ringraziare e incoraggiare, ha rilanciato: «Avete tanti compiti: la Chiesa in Italia, il dialogo con le istituzioni culturali, sociali e politiche…». In quest’orizzonte si sono svolti i lavori assembleari. Il confronto ha contribuito a comporre il volto del territorio nazionale, segnato dalla povertà di prospettive e dalla mancanza di lavoro, che lacerano – come «una lama dolorosa» – la carne della gente. A fronte di questa grave sofferenza, che vede le comunità ecclesiali in prima fila nell’opera di prossimità solidale, l’Assemblea ha de-nunciato con forza il divario tra benestanti e nuovi poveri, richiamando i responsabili della cosa pubblica a pensare al bene del Paese. Nel contempo, i vescovi hanno condiviso l’esigenza di non appiattirsi

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sulla dimensione assistenzialistica, per offrire una teologia della storia, che aiuti a interpretare gli eventi. Ne è parte anche il rinnovato impegno per il compito educativo, a cui sono dedicati gli Orientamenti pastorali del decennio. In questa direzione, i vescovi hanno approfondito il tema dell’anno in corso, legato alla figura degli educatori nella comunità cristiana. Nella medesima direzione si pone anche il Convegno ecclesiale nazionale del 2015, di cui è stato scelto il titolo. L’Assemblea ha, quindi, dato spazio ad alcune determinazioni in materia giuridico-amministrativa: la presentazione e l’approvazione del bilancio consuntivo della CEI per l’anno 2012, nonché delle ripartizioni e assegnazioni delle somme derivanti dall’otto per mille per l’anno 2013; l’approvazione di due delibere sul master per l’insegnamento per l’insegnamento della religione cattolica e sugli statuti tipo degli Istituti diocesani e interdiocesani per il sostentamento del clero; la presentazione del bilancio consuntivo dell’Istituto centrale per il sostentamento del clero per l’anno 2012. Distinte comunicazioni hanno illustrato il motu proprio Intima Ecclesiae natura, un seminario di studi per nuovi vescovi, la situazione dei settimanali diocesani, un’iniziativa nazionale sulla scuola. Inoltre, sono stati presentati alcuni appuntamenti di rilievo: la Giornata della carità del Papa, la Giornata mondiale della Gioventù e la 47ª Settimana sociale dei cattolici italiani; è stato presentato il calendario delle attività della CEI per l’anno 2013-2014. Ai lavori assembleari hanno preso parte 224 membri, 31 vescovi emeriti, 21 delegati di Conferenze episcopali europee, rappresentanti di presbiteri, religiosi, consacrati e della Consulta nazionale delle aggregazioni Laicali, nonché esperti in ragione degli argomenti trattati. Tra i momenti significativi vi è stata la concelebrazione eucaristica nella Basilica di San Pietro, presieduta da S.E. mons. Adriano Bernardini, nunzio apostolico in Italia.

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1. Con il cuore del Papa «Grazie per questo saluto. Complimenti per il lavoro di questa Assemblea: sono sicuro che il lavoro è stato forte!». Con queste parole, pronunciate a braccio, papa Francesco ha risposto al saluto del card. Bagnasco in apertura della celebrazione della professio fidei, che nella Basilica di S. Pietro, giovedì 23 maggio, ha coinvolto tutti i vescovi italiani. Il Santo Padre ha, quindi, aggiunto: «Avete tanti compiti: la Chiesa in Italia, il dialogo con le istituzioni culturali,


CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA sociali e politiche – è compito vostro, non facile –, il lavoro per rendere forti le Conferenze regionali, perché siano voci delle diverse realtà. So inoltre che c’è una Commissione che opera per ridurre il numero tanto pesante delle diocesi…». E ha concluso: «Andate avanti con fratellanza. Andate avanti, in quello spirito di dialogo che ho ricordato: con le istituzioni culturali, sociali e politiche. Questo è cosa vostra. Avanti, Eminenza! Avanti!». Del resto, fin dal primo istante, il vescovo di Roma è stato partecipe “a titolo speciale e unico” dell’Assemblea generale. I Pastori della Chiesa che vive in Italia ne hanno incrociato a più riprese lo sguardo: il suo nome, le sue parole, i suoi gesti sono riecheggiati ripetutamente nel corso dei lavori, a conferma della piena condivisione di quanto affermato dal cardinale Presidente già nella Prolusione: «Il nostro cuore desidera pulsare con il cuore di Papa Francesco». Tale sintonia i vescovi l’hanno ricondotta a conseguenze precise: l’impegno a uscire dai “piccoli porti” dell’autoreferenzialità; il rinnovamento dell’impostazione pastorale nella linea di una maggiore essenzialità, di un linguaggio più semplice e di una piena dedizione educativa; l’assunzione coraggiosa della funzione profetica; la disponibilità ad andare verso le periferie… In questo cammino di radicalità evangelica – che, come è stato ampiamente sottolineato, sta attirando una nuova attenzione sulla Chiesa – i vescovi si sono riconosciuti come i primi destinatari degli appelli del Papa a quella santificazione personale che rimane la condizione per quella di sacerdoti e comunità. Di qui, la particolare significatività che ha rivestito la solenne celebrazione della professio fidei, presieduta dal papa sulla tomba di san Pietro. L’iniziativa, posta a conclusione della visita – iniziata da Benedetto XVI e proseguita da Francesco – ad limina Apostolorum delle 226 diocesi italiane, era stata voluta dal Consiglio Permanente come momento qualificante dell’Anno della fede. In questa direzione il contributo assembleare ha evidenziato come una fede debole esponga anche il pastore a quei pericoli indicati dallo stesso Santo Padre: la tiepidezza, la dimenticanza, persino l’insofferenza, nonché quelle deviazioni che sono frutto di compromessi con lo spirito del mondo. In realtà, l’Assemblea si è riconosciuta nella sin-

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cera e appassionata tensione a Cristo, nella convinzione che la Chiesa vive della Sua luce e la riflette nelle opere, che la rendono presenza amica in cui si manifesta la mano provvidente di Dio, l’annuncio del Vangelo, il segno di quella maternità ecclesiale che è fonte di consolazione e di speranza anche e soprattutto per quanti oggi sono maggiormente provati.

2. Voce della gente

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Riprendendo a piene mani alcuni spunti della prolusione, i vescovi si sono fatti voce delle situazioni di grave sofferenza in cui versa il Paese: l’alta percentuale di disoccupazione giovanile, la perdita del lavoro nella fascia adulta, le conseguenze economiche e il disorientamento psicologico sulle famiglie, la delusione a fronte di promesse di legalità sistematicamente disattese, l’inaccettabile sperequazione di risorse tra iper-garantiti e nuovi poveri, la condizione esposta degli immigrati, il degrado nelle carceri. Pienamente condiviso è stato anche l’appello ai responsabili della cosa pubblica, perché pensino al Paese e alla gente senza ulteriori distrazioni né populismi inconcludenti e dannosi, ma ponendo ciascuno sul tavolo le migliori risorse di intelletto, di competenza e di cuore. Nella luce della dottrina sociale della Chiesa è stata avvertita l’esigenza di farsi coscienza critica della città degli uomini, attenti a educare a nuovi stili di vita, sapendo che crescente è la fascia delle povertà. È stato osservato che, se in determinate circostanze non ci si può esimere dal far fronte alle richieste di solidarietà – esemplare, al riguardo, la testimonianza della Caritas in seguito al terremoto che lo scorso anno ha colpito sette comunità diocesane, distribuite tra Emilia Romagna, Veneto e Lombardia – la Chiesa non può ridursi a essere una presenza puramente sostitutiva dello Stato sociale. Con questo, i vescovi hanno ribadito a più riprese la volontà di camminare con la gente, animati da quella fede operosa, che distingue la Chiesa dalle diverse agenzie e che parla nei tanti segni di prossimità posti dai parroci e dalle comunità cristiane: il loro spessore permette di non risolvere l’annuncio nella denuncia e nella sola risposta caritativa. Anche per evitare questa deriva, è stata avvertita la necessità di assumere quel discernimento che nasce da una teologia della storia


CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA e si esprime nella capacità di interpretare ciò che accade alla luce congiunta di fede e ragione: un giudizio, quindi, che mentre restituisce speranza, impegna alla progettazione di un nuovo assetto sociale. A queste condizioni – di cui è intessuta la vita buona e onesta di tanta gente – i vescovi hanno espresso la fiducia che dalla crisi si potrà uscire più saggi, maturando anche quella sobrietà intellettuale che prende le distanze tanto dall’indebita enfatizzazione della crescita continua, quanto dalla frammentazione della persona in un individualismo esasperato. In questa luce è emersa con forza ancora più evidente l’estrema attualità del compito educativo a cui la Chiesa italiana ha dedicato questo decennio.

3. L’identità degli educatori Il confronto assembleare si è svolto nella prospettiva di una comunità ecclesiale che educa conducendo ogni uomo alla sequela dell’unico e vero Maestro. I vescovi hanno recuperato la consapevolezza che educare presuppone l’adulto; vive di cura, di custodia e di formazione, elementi che rimandano a precisi criteri di scelta quanto alla figura dell’educatore. In continuità con la riflessione programmatica degli Orientamenti pastorali del decennio, i lavori hanno focalizzato la figura degli educatori nella comunità cristiana, soffermandosi in particolare sui criteri per la loro scelta (fede accolta e vissuta, senso di appartenenza alla Chiesa, capacità relazionali e di prossimità, competenze specifiche, spirito di gratuità e di collaborazione) e sulla loro formazione permanente (la catechesi degli adulti, quale “forma della catechesi”, la valorizzazione di esperienze formative che appartengono agli ambiti di vita delle persone, il coinvolgimento nei diversi momenti della vita della comunità, a partire dalla carità, dalla liturgia, dalla pastorale familiare). Quanto alla definizione di nuove figure educative, se ne sono individuate alcune: evangelizzatori degli adulti, coppie impegnate nella pastorale battesimale e post-battesimale, persone in grado di accompagnare nelle situazioni di fragilità, nelle crisi familiari, nei luoghi

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della cura e dell’accoglienza; mediatori per l’integrazione degli immigrati nella comunità cristiana; animatori di percorsi su temi sociali e inerenti il mondo della comunicazione.

4. Una fede che si fa cultura dell’umano “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo” è il titolo, definito dall’Assemblea generale, del prossimo Convegno ecclesiale nazionale (Firenze 2015). Già nella sua definizione mira a non ridurre la fede cristiana a uno dei tanti fattori umani che innestano processi culturali e sociali, ma a riconoscerla come la sorgente della vita nuova per ogni persona e per l’intera società. Il confronto culturale – per cui anche la scelta della sede nel capoluogo toscano risulta particolarmente significativa – intende rivendicare che l’originario umanesimo non solo non esclude la trascendenza, ma ha radici cristiane. Ai vescovi è, quindi, stata presentata la modalità di preparazione al Convegno stesso: nel primo anno (2013-2014), sulla base di uno strumento di lavoro, si attiverà un coinvolgimento delle diocesi per la raccolta di contributi sul tema. Una volta raccolto il materiale, si procederà nell’anno pastorale 2014-2015 al cammino verso il Convegno, aiutati da un documento che orienti le Chiese locali e le realtà ecclesiali a riflettere sul tema in vista della loro partecipazione all’evento.

5. Comunicazioni e informazioni

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Ai vescovi è stato presentato il motu proprio Intima Ecclesiae natura, entrato in vigore in data 10 dicembre 2012. Con questo documento – le cui origini sono nell’enciclica Deus caritas est – Benedetto XVI ha inteso formalizzare la riflessione teologico-pastorale sulle «diverse forme ecclesiali organizzate del servizio della carità» e collocarle all’interno di un più preciso quadro normativo. La Lettera apostolica intende «esprimere adeguatamente nell’ordinamento canonico l’essenzialità del servizio della carità nella Chiesa ed il suo rapporto costitutivo con il ministero episcopale, tratteggiando i profili giuridici che tale servizio comporta nella Chiesa, soprattutto se esercitato in maniera organizzata e col sostegno esplicito dei


CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA Pastori». Una comunicazione ha portato l’attenzione sulla prossima Giornata mondiale della Gioventù (Rio de Janeiro, 23-28 luglio 2013), dove sono attesi circa 7000 giovani italiani – la cui partecipazione è sostenuta anche dalla Presidenza della CEI – e una quarantina di vescovi. Per molti gruppi sarà anche l’occasione per andare in visita a realtà sostenute da missionari italiani, rinsaldando un legame con la Chiesa dalla quale sono partiti. Una comunicazione è stata dedicata alla prossima Settimana sociale dei cattolici italiani (Torino, 12-15 settembre 2013), di cui è stato distribuito il programma generale, con la scheda di preiscrizione e l’indicazione del numero dei delegati per ciascuna diocesi. La Settimana – «occasione privilegiata per far conoscere a tutta la comunità cristiana la dottrina sociale della Chiesa» – è dedicata a “La famiglia, speranza e futuro per la società italiana”, come titola il documento preparatorio, su cui le diocesi sono invitate a lavorare fin d’ora. Nella consapevolezza della centralità della scuola e della formazione professionale come ambiente educativo, è stata presentata ai vescovi l’iniziativa di una grande mobilitazione nella primavera 2014 in Piazza S. Pietro a Roma, alla presenza del Papa, per ribadire l’interesse della Chiesa in Italia verso le tematiche educative e scolastiche, nonché la incontestabile responsabilità della famiglia e delle sue scelte in merito. Alla scuola sarà dedicata una sessione anche nel corso della Settimana sociale; altre proposte, accompagnate dalla Segreteria generale e dagli Uffici interessati, saranno rivolte a livello diocesano e regionale. È stata, quindi, presentata in Assemblea una riflessione sulla situazione dei settimanali diocesani, in un momento in cui la sostenibilità economica di molti di loro potrebbe offuscare il valore di questa informazione vicina alla gente e capace di raccontare la Chiesa e il Paese. Una comunicazione si è soffermata su un Seminario di studi per i vescovi nominati negli ultimi anni. L’iniziativa, in calendario per i giorni 11-13 novembre 2013, intende offrire alcune indicazioni di base utili per un corretto inquadramento di tematiche ricorrenti nello svolgimento del lavoro oggi richiesto ai Pastori. Altre informazioni hanno riguardato la Giornata per la carità del Papa (30 giugno 2013), quale appunta-

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mento annuale che esprime il profondo vincolo che unisce le Chiese in Italia con il Successore di Pietro, e alcune iniziative all’interno dell’Anno della fede. Al riguardo, ai vescovi sono stati ricordati l’invito all’ora di adorazione eucaristica domenica 2 giugno, dalle 17 alle 18, nelle cattedrali di tutto il mondo, in comunione col Santo Padre; la Giornata della Evangelium vitae (15-16 giugno), che offrirà l’opportunità di riunirsi, insieme al Santo Padre, in una comune testimonianza del valore sacro della vita (per cui è stato rinnovato l’appello a favorire l’adesione all’iniziativa “Uno di noi”, a tutela dell’embrione). Infine, a Roma, il pellegrinaggio di seminaristi, novizi, novizie e dei giovani che stanno compiendo un cammino di discernimento vocazionale (4-7 luglio 2013), quello dei catechisti, con un congresso internazionale (26-29 settembre 2013), e quello delle famiglie alla Tomba di Pietro (26-27 ottobre).

6. Adempimenti in materia giuridico-amministrativa

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L’Assemblea ha approvato l’istituzione del master di secondo livello per l’insegnamento della religione cattolica nella scuola primaria e dell’infanzia ai sensi del punto 4.2.2 della nuova Intesa, sottoscritta il 28 giugno 2012, che ha significativamente innovato tutti i profili di qualificazione professionale degli insegnanti di religione cattolica. I vescovi hanno, quindi, approvato alcune modifiche dello statuto-tipo degli Istituti diocesani e interdiocesani per il sostentamento del clero. Inoltre, hanno avviato un esame delle disposizioni concernenti la concessione di contributi finanziari della CEI per i beni culturali ecclesiastici e per l’edilizia di culto, in vista di una successiva approvazione da parte dell’Assemblea generale. Infine, è stato presentato e approvato il bilancio consuntivo della CEI per l’anno 2012; sono stati definiti e approvati i criteri per la ripartizione delle somme derivanti dall’otto per mille per l’anno 2013 ed è stato illustrato il bilancio consuntivo dell’Istituto centrale per il sostentamento del clero per l’anno 2012.


CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA 7. Nomine Nel corso dei lavori, l’Assemblea generale ha eletto Presidente della Commissione Episcopale per le migrazioni S.E. mons. Francesco MONTENEGRO, arcivescovo di Agrigento. Il Consiglio Episcopale Permanente, nella sessione del 22 maggio, ha provveduto alle seguenti nomine: – Presidente del Comitato per la promozione del sostegno economico alla Chiesa Cattolica: S.E. mons. Donato NEGRO, arcivescovo di Otranto. – Presidente del Comitato per gli interventi caritativi a favore dei Paesi del Terzo Mondo: S.E. mons. Alfonso BADINI CONFALONIERI, vescovo di Susa. – Membro della Commissione episcopale per l’educazione cattolica, la scuola e l’università: S.E. mons. Gennaro PASCARELLA, vescovo di Pozzuoli. – Presidente Nazionale Femminile della Federazione Universitaria Cattolica Italiana (FUCI): Rita PILOTTI. – Consulente ecclesiastico nazionale dell’Associazione Italiana Maestri Cattolici (AIMC): padre Salvatore CURRÒ, C.S.I. – Coordinatore nazionale della pastorale per gli immigrati cattolici lituani in Italia: don Petras ŠIURYS (Telsiai-Lituania). La Presidenza, nella riunione del 20 maggio, ha provveduto alle seguenti nomine: – Presidente della Commissione Presbiterale Italiana: S.E. mons. Mariano CROCIATA, Segretario generale della CEI. – Membri del Comitato per la promozione del sostegno economico alla Chiesa cattolica: dott. Carlo BINI, mons. Luca BRESSAN (Milano), dott. Matteo CALABRESI, prof. Giorgio FELICIANI; dott.ssa Elisa MANNA; mons. Domenico POMPILI, Sottosegretario della CEI. – Presidente della Federazione tra le Associazioni del Clero in Italia (FACI): don Pier Luigi BETTOLI (Imola). – Vice Presidente della Federazione tra le Associazioni del Clero in Italia (FACI): don Pantaleo ABBASCIA (Manfredonia-Vieste-San Giovanni Rotondo).

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MAGISTERO E ATTI DELL’ARCIVESCOVO Intervento alla manifestazione “Dieci piazze per dieci comandamenti” (Bari, 15 giugno 2013)*

«Non commettere atti impuri»: a dir la verità, la formulazione originaria della Bibbia è un’altra. Dice: «Non commettere adulterio» (cfr Es 20,14; Dt 5,18), secondo quanto è stato ripreso anche dal nuovo Catechismo della Chiesa cattolica. Perché questa difformità? Perché si sottolinea «Non commettere adulterio»? Perché si ritiene che il valore della famiglia è strettamente legato alla bellezza della sessualità; il non rispetto della famiglia è il frutto molte volte di un disordine più ampio sul piano della sessualità. Allora l’estensione «Non commettere atti impuri» è legittima. Per comprendere correttamente la portata di questo comandamento è necessario andare all’origine del momento della creazione, narrato dalla Bibbia: «Dio creò l’uomo, lo fece a somiglianza di Dio; maschio e femmina li creò» (Gen 5,1-2). Questo è segno di amore, di una circolazione di amore. Ecco perché quando ci troviamo di fronte al valore dell’amore, al valore del corpo possiamo dire che la Bibbia si presenta come una religione del corpo. Anche il cristianesimo è una religione del * La manifestazione, che si è tenuta in Piazza Prefettura, è stata organizzata dal Rinnovamento nello Spirito nazionale in collaborazione con il Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione in occasione dell’Anno della Fede.

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corpo, perché Gesù stesso è Figlio di Dio che si è fatto uomo, che si è fatto carne. Nell’Eucaristia mangiamo la “carne” di Cristo. Per rendere maggiormente visibili questi beni-valori, potremmo trasformare il divieto «Non commettere adulterio», «Non commettere atti impuri», in una formulazione positiva: “Abbi un cuore fedele e limpido”. Attraverso due atteggiamenti fondamentali: la fedeltà e la castità. Sono due virtù non di moda, che sembrano aver perso il loro smalto, ma che risultano indispensabili per costruire una civiltà dell’amore. La fedeltà. Una persona che ama sul serio, ama in un modo esclusivo; quando due persone si amano, sentono che vogliono amarsi totalmente e per sempre. La seconda virtù è la castità: noi sottolineiamo spesso della castità soprattutto l’aspetto negativo, identificandola con un atteggiamento impaurito e timido di fronte al sesso, di fronte al piacere sessuale. Invece non è così. La castità è segno di amore che si apre, che si apre nell’oblazione e nell’offerta di sé, che sa difendere la sessualità dai pericoli dell’egoismo e dell’aggressività. E allora la castità non è riservata a pochi, al vescovo, ai preti o a coloro che si consacrano. La castità è un’esperienza di tutti. Riguarda i piccoli, riguarda i giovani, riguarda i fidanzati, riguarda anche i coniugi. Perché? Perché attraverso la castità si cresce nell’amore. Allora questa capacità di amare, questa arte di amare ci permette di guardare al futuro con fiducia, ci permette di dire che attraverso la fedeltà e la castità noi siamo capaci di essere sempre più fedeli e più limpidi, vivendo l’amore. Certo, quando Gesù si è trovato di fronte all’adultera, non l’ha condannata, ma ha aggiunto «Va’ e d’ora in poi non peccare più» (Gv 8,11). Quando papa Francesco richiama la misericordia, richiama una cosa molto bella: soltanto attraverso il riconoscimento del proprio peccato, del proprio fallimento, possiamo camminare con fiducia verso il futuro, sapendo che è proprio l’amore misericordioso di Dio riversato nei nostri cuori che ci rende felici. Perché «l’Amore dà senso alla vita». + Francesco Cacucci Arcivescovo di Bari-Bitonto


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CURIA METROPOLITANA Cancelleria

1. Sacre ordinazioni, ammissioni, ministeri istituiti - La sera del 24 giugno 2013, Solennità di S. Giovanni Battista, nella chiesa parrocchiale di S. Giuseppe in Bari, S. Ecc. mons. Francesco Cacucci, arcivescovo di Bari-Bitonto, durante una concelebrazione eucaristica da lui presieduta, ha ordinato presbitero il diacono Alfredo Gabrielli, del clero diocesano.

2. Atti arcivescovili S. Ecc. l’Arcivescovo, con decreto arcivescovile del - 12 giugno 2013 (Prot. n. 24/13/D.A.S.), ha accettato formalmente la rinuncia all’ufficio di parroco della parrocchia del Sacro Cuore in Bari presentata dal sacerdote diocesano don Giovanni Paccione per raggiunti limiti di età.

3. Nomine e decreti singolari A) S. Ecc. l’Arcivescovo ha nominato, in data: - 12 giugno 2013 (Prot. n. 25/13/D.A.S.-N), mons. Domenico

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Ciavarella all’ufficio di amministratore parrocchiale della parrocchia Sacro Cuore in Bari; - 15 giugno 2013 (Prot. n. 26/13/D.A.S.-N), l’ing. Francesco Iacobellis all’incarico di commissario e legale rappresentante della Confraternita SS. Addolorata in Bari-Carbonara; - 25 giugno 2013 (Prot. 29/13/D.A.S.-N.), don Alfredo Gabrielli all’ufficio di vicario parrocchiale della parrocchia S. Maria Veterana in Triggiano.

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CURIA METROPOLITANA Ufficio presbiteri Giornata di santificazione sacerdotale (Oasi S. Maria, 14 giugno 2013)

Card. Walter Kasper

L’interpretazione e la ricezione del Concilio Vaticano II. Rinnovamento che scaturisce dall’origine

1. Il Concilio – una storia incompiuta Più di cinquant’anni fa, il 11 ottobre 1962, papa Giovanni XXIII aprì a Roma il Concilio Vaticano II. Destò speranze ben oltre il mondo cattolico, lasciando un’agenda che, da molto tempo, non si è finito di elaborare. È un concilio incompiuto. I papi Giovanni Paolo II e Benedetto XVI dissero: « il Concilio Vaticano sia la bussola per il terzo millennio». Ma questa bussola è ancora in movimento. «C’è guerra sul Concilio», affermò un giornale italiano già in occasione del quarantesimo anniversario della conclusione del Concilio. E questa guerra continua anche in questi giorni. Per la mia generazione, il Concilio è restato fino ad oggi qualcosa che ci ha dato l’impronta. Ho un ricordo vivo dell’annuncio sorprendente, dato il 25 gennaio 1959, e della trasmissione televisiva dell’apertura e del grande interesse con cui seguimmo i dibattiti conciliari. Le esperienze fatte allora sono restate un saldo punto di riferimento per il mio pensiero teologico. Ma per la maggior parte dei contemporanei il Concilio appartiene, da molto tempo, alla storia, perché tutti

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coloro che oggi hanno meno di 60 anni non hanno potuto vivere in prima persona, consapevolmente, l’avvio di allora. Per loro, il Concilio appartiene ad un’altra epoca e ad un altro mondo. Era l’epoca della guerra fredda; l’anno prima dell’inizio del Concilio era stato costruito il muro di Berlino e, durante il periodo della prima sessione, il mondo, a causa della crisi di Cuba, si ritrovò sull’orlo del baratro della guerra atomica. In questa situazione Giovanni XXIII pubblicò l’enciclica Pacem in terris, il cui cinquantesimo anniversario celebriamo quest’anno. Oggi, cinquant’anni dopo, viviamo in un mondo globalizzato, completamente diverso e in rapido cambiamento, con nuove questioni e nuove sfide. La fede ottimistica nel progresso e lo spirito dell’incamminarsi verso nuovi confini, che caratterizzarono allora l’era Kennedy, sono volati via da tempo. Per la maggior parte dei cattolici, gli sviluppi, messi in moto dal Concilio, soprattutto le riforme liturgiche, fanno parte della vita quotidiana della Chiesa. Ma ciò che vi sperimentano non è il grande avvio e non è la primavera della Chiesa che ci aspettavamo allora, ma è, piuttosto, una Chiesa che mostra segni chiari di stanchezza. Per chi conosca la storia dei venti concili riconosciuti come ecumenici, questo non costituirà una sorpresa. I tempi postconciliari furono quasi sempre turbolenti. Si pensi anche solo ai tumulti seguiti al primo Concilio ecumenico di Nicea (325) o alla divisione delle Chiese orientali ortodosse (copti, siriani, armeni etc.) dopo il quarto Concilio ecumenico di Calcedonia (451). La maggior parte dei concili poterono aprirsi la strada solo attraverso un difficile processo di ricezione. Lo stesso vediamo oggi per il Concilio Vaticano II. Il Vaticano II, però, rappresenta un caso particolare. Diversamente dai concili precedenti, non fu convocato per estromettere dottrine eretiche o per comporre uno scisma; non proclamò alcun dogma formale e non prese nemmeno decisioni disciplinari formali. Giovanni XXIII aveva una prospettiva più ampia. Vide profilarsi un’epoca nuova, cui andò incontro con ottimismo, nella fiducia incrollabile in Dio. Parlò di un obiettivo pastorale del Concilio, intendendo un aggiornamento, un “diventare oggi” della Chiesa. Non s’intendeva un adattamento banale allo spirito dei tempi, ma l’appello a far parlare la fede trasmessa nell’oggi. Questo era un programma affascinante, sebbene la sua attuazione si dimostrasse più


CURIA METROPOLITANA ardua di quanto molti, e probabilmente anche lui stesso, avessero immaginato. La larga maggioranza dei padri conciliari raccolse l’idea. Il Concilio non proclamò dogmi formali, ma volle parlare in modo autentico, cioè vincolante in senso magistrale. Muovendo dalla Sacra Scrittura e dalla Tradizione del primo secolo, volle il superamento dell’era costantiniana di simbiosi tra Chiesa e Stato, della mentalità unilateralmente antiriformista e antimoderna; volle cogliere le richieste dei movimenti di rinnovamento biblico, liturgico, patristico, pastorale ed ecumenico, sorti tra le due guerre mondiali; volle cominciare una nuova pagina della storia con l’Ebraismo, carica di gravami, ed entrare in dialogo con la cultura moderna. Fu il progetto di una modernizzazione che non voleva e neanche poteva essere modernismo. Una minoranza influente oppose resistenza pervicace a questo tentativo della maggioranza. Il successore di Giovanni XXIII, papa Paolo VI, era fondamentalmente dalla parte della maggioranza, ma cercò di coinvolgere la minoranza e, in linea con l’antica tradizione conciliare, di raggiungere un’approvazione, per quanto possibile all’unanimità, dei documenti conciliari, che in totale furono 16. Ci riuscì; ma si pagò un prezzo. In molti punti, si dovettero trovare formule di compromesso, in cui, spesso, le posizioni della maggioranza si trovano immediatamente accanto a quelle della minoranza, pensate per delimitarle. Così, i testi conciliari hanno in sé un enorme potenziale conflittuale; aprono la porta a una ricezione selettiva nell’una o nell’altra direzione. Il Vaticano II rimase un concilio di transizione, in cui prendono la parola accenti di rinnovamento, senza che ciò che è vecchio venga dismesso. Per la sintesi dei due aspetti, il Concilio poté solo delineare una cornice più o meno ampia per la ricezione postconciliare. Così si pone la domanda: quale direzione indica la bussola del Concilio e dove conduce il cammino della Chiesa cattolica, nell’ancor giovane XXI secolo? Resta nella fiducia credente di Giovanni XXIII o fa il cammino a ritroso, verso sterili atteggiamenti di difesa?

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2. Tre fasi della ricezione

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Si possono distinguere tre fasi della ricezione, fino ai giorni nostri. Anzitutto, la prima fase della ricezione entusiastica. Karl Rahner, subito dopo essere ritornato dal Concilio, in una famosa conferenza a Monaco parlò di «inizio dell’inizio». Ma Rahner restò cautamente scettico in ciò che riguarda il futuro. Altri si spinsero oltre e vollero lasciare in disparte ciò che considerarono elementi della tradizione trascinati nel Concilio come accessori, frutto di compromesso, e, come Hans Küng, effettuando un salto di quasi 2000 anni di storia della Chiesa, interpretarono la dottrina della Chiesa in modo del tutto nuovo, partendo dalla Sacra Scrittura. Pensavano che, essendo stato acceso, per mezzo del Concilio, il primo stadio del missile, fosse ora giunto il momento di passare al secondo stadio. Ma questo secondo stadio assomigliò presto ad un’astronave finita fuori controllo. La reazione non si fece attendere a lungo. Venne non solo dall’arcivescovo Lefebvre e dalla Fraternità Sacerdotale San Pio X, da lui fondata, ma anche da teologi che, durante il Concilio, erano stati annoverati tra i progressisti (Jaques Maritain, Louis Bouyer, Henri de Lubac). Diversamente da Lefebvre, essi non criticarono il Concilio in sé, ma criticarono la sua ricezione. Joseph Ratzinger, che, giovane teologo, nel suo ruolo di perito contribuì in modo determinante al Concilio, ebbe toni di riserve già al primo raduno cattolico dopo il Concilio, tenutosi a Bamberga nel 1966; da cardinale, nel suo rapporto sulla fede, intitolato Zur Lage des Glaubens (1985) [Rapporto sulla fede, Vittorio Messori a colloquio con Joseph Ratzinger, Ed. San Paolo 1985], pervenne ad una valutazione complessivamente critica della situazione postconciliare. Di fatto, nei primi due decenni dopo il Concilio, si ebbe un esodo di molti sacerdoti e religiosi; in molti ambiti si verificarono uno scadimento della prassi ecclesiastica e movimenti di protesta di sacerdoti, religiosi e laici. Papa Paolo VI parlò di «fumo di Satana», entrato da qualche fessura nel tempio di Dio. Ancora oggi, alcuni critici considerano il Concilio, nel contesto della storia della Chiesa, come una sciagura e come la maggiore calamità in tempi recenti. Ma rappresenta un corto circuito ritenere che tutto quel che avvenne dopo il Concilio sia accaduto anche a


CURIA METROPOLITANA causa del Concilio. I critici misconoscono i trend di lungo respiro che agirono già prima del Concilio e che conobbero una notevole accelerazione nei rivolgimenti sociali connessi con la protesta dei giovani e degli studenti nel 1968. Dopo il 1968 le tendenze emancipatrici ebbero effetti anche in ambiti ecclesiastici. Durante il Concilio, furono i progressisti ad essere i veri conservatori, che volevano rinnovare la tradizione antica; adesso, presero la parola progressisti di nuovo genere, che non si orientavano tanto alla tradizione più antica, quanto invece ai “segni dei tempi” e che volevano interpretare il Vangelo per le persone di oggi e per la mutata situazione sociale. Nel senso del Concilio, ciò è fondamentalmente legittimo, ma diventa problematico se, facendolo, la dottrina della fede diviene dottrina di salvezza intramondana, rischio presente in alcune forme più ideologiche di teologia della liberazione. Il Sinodo episcopale straordinario del 1985, venti anni dopo la fine del Concilio, iniziò la terza fase della recezione. Il Sinodo ebbe il compito di tirare il bilancio. Consapevole della crisi, non volle però unirsi al diffuso coro di lamenti. Parlò di situazione ambivalente, in cui, oltre ad aspetti negativi, c’erano anche buoni frutti del Concilio: il rinnovamento liturgico, che portò a una maggiore sottolineatura della Parola di Dio e a una partecipazione più forte dell’intera comunità celebrante; la partecipazione e cooperazione rafforzate dei laici alla vita della Chiesa; gli avvicinamenti ecumenici; le aperture al mondo moderno e alla sua cultura; e molti altri ancora. Fondamentalmente, il Sinodo sottolineò che la Chiesa, in tutti i concili, è sempre la stessa, e che l’ultimo Concilio doveva quindi essere interpretato in rapporto a tutti gli altri concili. Con questa regola ermeneutica, il Sinodo divenne il punto di cristallizzazione della terza fase della ricezione, quella magistrale. Il primo passo ufficiale della ricezione fu la riforma liturgica; soprattutto, fu l’introduzione del nuovo Messale, entrato in vigore la Prima Domenica d’Avvento del 1970. Questa riforma fu accolta con gratitudine dalla larga maggioranza, ma da parte di una minoranza incontrò anche critiche, in parte per ragioni teologiche e, in parte, anche perché alcuni avevano nostalgia della sacralità e dell’e-

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stetica del rito in uso fino ad allora. La concessione, fatta da Benedetto XVI nel 2007, della forma “preconciliare” della messa, come forma straordinaria, non ha risolto il problema, soprattutto per quanto riguarda la Fraternità Sacerdotale San Pio X. Perciò penso che la liturgia rimanga sull’agenda del nuovo Papa. Poi, papa Giovanni Paolo II, nel 1983, promulgò il nuovo codice di Diritto canonico, per tradurre in lingua canonica e riforme del diritto la dottrina conciliare della Chiesa. Alcuni canonisti intendono il nuovo Codice come l’interpretazione definitiva del Concilio; altri, invece, lo criticano, ritenendo che, nonostante le molte migliorie, in diverse questioni resti indietro rispetto al Concilio (questione della conciliarità, del rapporto fra Chiesa universale e locale, del ruolo dei laici ecc.). Infine, nel 1992, in occasione del 30° anniversario dell’apertura del Concilio, su sollecitazione del Sinodo del 1985, fu pubblicato il Catechismo della Chiesa Cattolica. Giovanni Paolo II l’ha inteso come contributo importante al rinnovamento della vita ecclesiale, così come voluta dal Concilio Vaticano II e come doveva essere avviata. A ciò si aggiungono molti altri documenti dottrinali, che valgono come interpretazione autentica, cioè vincolante in diverso grado, del Concilio. Essi condussero ad un certo consolidamento. Ma tra non pochi cattolici impegnati si diffondono imbarazzo e delusione crescenti circa la situazione attuale e definiscono lo sviluppo postconciliare in senso restaurativo.

3. Luci e ombre della situazione postconciliare 336

Contro il diffuso senso di sfiducia in alcuni ambiti, si dovrebbe riconoscere che non c’è carenza di aspetti positivi. Non tutto è negativo. I documenti conciliari non sono rimasti lettera morta. Hanno dato l’impronta alla vita in diocesi, parrocchie e comunità religiose, mediante il rinnovamento della liturgia, una spiritualità caratterizzata da un più forte connotato biblico e la partecipazione dei laici, e hanno stimolato il dialogo ecumenico e interreligioso. Il Concilio fu accolto positivamente in particolare dai nuovi movimenti spirituali sorti negli anni ’70. Essi sono frutto del Concilio Vaticano II e riprendono molti elementi evangelici – intendendo


CURIA METROPOLITANA l’aggettivo nel suo senso originario – e richieste ecumeniche, come pure elementi di rinnovamento carismatico, che entrarono nella Chiesa cattolica dopo il Concilio. Essi hanno portato alla luce, in modo nuovo, la molteplicità dei carismi e la vocazione universale alla santità. S’impegnano nel dialogo interreligioso, in particolare col popolo ebraico. Neanche la ricezione ufficiale è rimasta ferma. In parte, passò dal Concilio nelle riforme liturgiche, in cui il Concilio si atteneva ancora al latino come lingua normale liturgica e non si parlava di una celebrazione orientata verso il popolo. Lo stesso vale per le indicazioni socio-etiche di papa Giovanni Paolo II per l’attuazione della libertà religiosa e, infine, riguardo alla “politica” dei diritti umani, con cui Giovanni Paolo II fornì un contributo essenziale alla sconfitta delle dittature comuniste dell’Europa Orientale. Vale la pena anche accennare alla sua enciclica sull’ecumenismo Ut unum sint (1995), che è la prima enciclica sull’ecumenismo; essa approfondì le enunciazioni ecumeniche del Concilio e le portò avanti con energia. Tutto questo ha trasformato positivamente, sotto molti aspetti, il volto della Chiesa tanto all’interno quanto all’esterno. Ma ci sono anche zone d’ombra. Molti impulsi del Concilio, come l’accentuazione delle Chiese locali ossia di ogni Chiesa particolare, la collegialità dell’episcopato, la corresponsabilità dei laici, soprattutto delle donne, finora sono stati tradotti in pratica solo in parte. Per contro, il centralismo curiale si è accresciuto. Abbiamo oggi un centralismo molto più forte di prima del Concilio. D’altra parte, soffriamo per crisi e scandali, come quello della pedofilia, che ci è costata la fiducia non solo fuori ma anche dentro la stessa Chiesa. Una serie di esperienze recenti, però, ha dimostrato quanto la stessa Curia romana necessiti urgentemente di una spinta verso la riforma e la modernizzazione. Forse quest’ultimo punto sarà uno dei primi compiti del nuovo Papa. L’ecumenismo, altro tema importante del Concilio, ha dato molti buoni frutti, più di quanti ci si aspettasse al tempo del Concilio. Ma, frattanto, nei dialoghi ufficiali con le Chiese sia d’Oriente sia d’Occidente è comparso un certo raffreddamento. Le cause di ciò

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sono molteplici e si trovano in tutte le parti interessate. In rapporto alle Chiese della Riforma, è chiaro che la differente concezione della Chiesa ha come conseguenza una differente concezione dell’unità, così che, di là dallo scopo dell’ecumenismo, continuano a sussistere idee inconciliabili. Però, come progredire insieme se non abbiamo lo stesso scopo? Perciò, non ci siamo avvicinati di più ad un invito generale reciproco a partecipare all’Eucaristia, il sacramento dell’unità. Ciò rappresenta un problema pastorale grave, riguardo ai matrimoni e alle famiglie di confessione mista, e non solo a loro. A ciò si aggiungono altri problemi pastorali, come le questioni etiche, che toccano in modo immediato la prassi di vita di molti credenti; l’ etica sessuale e matrimoniale, il fatto dei divorziati risposati, il ruolo delle donne nella Chiesa; la carenza di sacerdoti e di credenti, che si fa notare sempre di più, e che porta alla fusione di parrocchie e al cambio di destinazione d’uso di chiese ed istituzioni ecclesiastiche. In alcune di tali questioni si è di fatto arrivati ad una specie di scisma orizzontale tra ciò che, “in alto”, viene insegnato come vincolante e ciò che, “in basso”, viene fatto nella prassi e che, in massima parte, viene tacitamente tollerato. Ciò porta a esporre sempre nuove richieste di riforma. Alcune richieste, come quelle per migliorare la cultura giuridica e la trasparenza, sono degne di riflessione; altre, come quella sull’ordinazione delle donne, non possono essere accolte dalla Chiesa, che si sente legata ai fondamenti della fede dati. Altre Chiese e Comunioni, che sono andate ampiamente incontro a tali desideri, e che non hanno né Papa né Curia né celibato, e che ordinano le donne e benedicono le seconde e terze nozze e anche coppie dello stesso sesso, non si trovano in condizioni migliori, quando si tratta di rendere attuale per l’oggi il Vangelo e di spingere le persone alla fede. Evidentemente, la capacità di avere futuro della Chiesa non dipende prioritariamente da tali questioni. Al contrario: una Chiesa che si appoggi al mainstream sociale diventa, in ultimo, superflua. Non diventa interessante se si orna con piume non sue, ma se fa valere la propria causa in modo credibile e convincente e se compare come contrafforte all’opinione pubblica dominante. Riassumendo: le zone di luce e d’ombra mostrano che il Concilio ha scatenato una dinamica che non può essere fatta regredire. Ma


CURIA METROPOLITANA molti sentono uno stallo e una stagnazione, ciò vuol dire: il Concilio e la sua ricezione non sono ancora conclusi 50 anni dopo la sua apertura. Pertanto, c’è occasione di occuparsi ancora, approfonditamente, dei testi conciliari, per trarne i tesori, non ancora esauriti, che vi si trovano. Facendolo, si pone la domanda: come dobbiamo interpretare il Concilio, così ricco di strati?

4. Questioni di ermeneutica conciliare - Il Concilio: evento, lettera e Spirito Naturalmente, non si può mitizzare il Concilio o ridurlo ad un paio di frasi a effetto. Non si può nemmeno usarlo come cava di pietra da cui prendere il materiale per singole tesi desiderate. È necessaria un’ermeneutica conciliare, cioè un’interpretazione meditata. Sull’argomento di recente si è accesa una discussione animata. Punto di partenza devono essere i testi conciliari, la cui interpretazione va fatta secondo le regole e i criteri universalmente riconosciuti per l’interpretazione dei concili. Bisogna trarre il senso di ogni affermazione, con cautela, dalla storia della redazione, spesso complessa; poi, bisogna collocarla nel complesso, articolato e ricco di tensioni, di tutte le affermazioni conciliari; di nuovo, bisogna intendere ciò nel complesso della intera Tradizione e del suo sviluppo storico, come pure della ricezione avuta nel frattempo. Infine, ogni singola affermazione va interpretata, nel quadro della gerarchia delle verità (UR 11) , partendo dal suo centro cristologico. Inoltre, sia Giuseppe Alberigo, aperto alle riforme, sia Roberto de Mattei, di tendenze restauratrici, che sono interpreti recenti, importanti, del Concilio, hanno rimarcato che un concilio non è un’assemblea in cui si parli solo di produzione e redazione di documenti. Ogni concilio è collocato in una situazione storica determinata; è un evento straordinario, che ha un’importanza simbolica. Tali atti ed eventi simbolici si imprimono nella memoria collettiva della Chiesa in modo perfino più forte e profondo quanto le formule dogmatiche, di ardua comprensione per un cristiano medio. Così, già il fatto che, dopo il Vaticano I e le sue definizioni di pri-

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mato di giurisdizione e d’infallibilità del Pontefice, si arrivasse ad un Vaticano II, cosa che in precedenza molti avrebbero visto come non necessaria, ha una valenza simbolica. Rende chiaro che la Chiesa non è un’istituzione monarchica assoluta, ma che, in quanto Communio, è, per sua natura, fatta per la comunicazione. Perciò i successori degli apostoli, sul modello del Concilio apostolico di Gerusalemme, nelle situazioni critiche si sono ogni volta radunati per trovare, nello Spirito Santo, consenso sul cammino comune. Pietro ebbe allora un ruolo decisivo, ma col coinvolgimento e l’approvazione dell’intera comunità (Atti 15). Già questo è un indizio importante per il proseguimento della ricezione del Concilio. La recezione, sotto la moderazione del Magistero, è questione dell’intero popolo di Dio. Un ulteriore, importante indizio l’ha dato papa Benedetto XVI, in un discorso ai cardinali e ai collaboratori della Curia romana tenuto il 22 dicembre 2005, in occasione del 40° anniversario della chiusura del Concilio. Così ha introdotto la fase più recente del dibattito sull’interpretazione del Concilio. Ha chiarito che il consenso non deve essere solo sincronico (riguardante la Chiesa attuale) ma anche diacronico (riguardante la Chiesa in ogni epoca). Ha contrapposto due ermeneutiche: quella della discontinuità e della rottura, che ha respinto, e quella “della riforma, del rinnovamento”. Le parole del papa sono state, spesso, interpretate in modo unilaterale, tralasciando di considerare che non ha contrapposto, come molti affermano, l’ermeneutica della discontinuità all’ermeneutica della continuità. Il Papa ha parlato di un’ermeneutica della riforma e del “rinnovamento nella continuità” della Chiesa. Quello della riforma è, nel complesso della Tradizione medioevale, un termine fondamentale e una sfida che si ripropone di continuo. Riforma non significa solo necessario adattamento pratico di singoli paragrafi a circostanze nuove. Chi parla di riforma, presuppone che sussistano deficit e disfunzioni che rendono necessario rifarsi a tradizioni più antiche, dimenticate, in particolare all’inizio apostolico, rinnovandole creativamente. La riforma vuole corrispondere al richiamo profetico e gesuano alla conversione; sa che la Chiesa necessita continuamente di purificazione e che deve continuare a fare il cammino della penitenza e del rinnovamento (LG 8; UR 4). La Tradizione, dunque, non è una realtà statica e rigida, ma è qual-


CURIA METROPOLITANA cosa di vivo; è una realtà storica. Così imparai, da studente, da Johann Adam Möhler (+1838) e così insegnò John Henry Newman (+1890), beatificato nel 2010. Seguendo questa traccia, Yves Congar ha operato una distinzione fra Tradizione (singolare) e tradizioni (plurale). Le molte tradizioni esprimono l’unica Tradizione ogni volta in modo legato alla Storia; ma, nel processo di trasmissione, devono essere sempre approfondite, interpretate e, in parte, anche corrette. Così, la novità di Gesù Cristo (Ireneo di Lione) non apparirà mai vecchia, ma tornerà, di continuo e nuovamente, ad irradiare in novità mai logora. La Tradizione è, in ultimo, opera dello Spirito Santo, per mezzo del quale il Gesù Cristo innalzato stesso realizza la sua presenza nella Chiesa in modo continuamente nuovo. È questo che s’intende con ‘aggiornamento’. Ciò esprime quel che dicono le antifone, comincianti con «hodie», delle grandi solennità: «Hodie Christus natus est»; «Hodie Christus in coelum assumptus est». Questa comprensione viva della continuità si dimostra nel modo e nella maniera in cui il Concilio stesso ha concepito la Tradizione. Ciò è chiaro nella maniera in cui il Concilio ha interpretato l’antico assioma Extra ecclesiam nulla salus, «non c’è salvezza fuori dalla Chiesa» (DS 802; 875; 1381), nel senso di una possibilità di salvezza di tutti gli esseri umani (LG 16; GS 10; 22). Nel modo più chiaro, questo si vede nella libertà di religione, proclamata dal Concilio. Perché dal Sillabo (1864), col suo rigetto del liberalismo e dell’indifferentismo, come pure della libertà religiosa, intesa in senso liberale, non c’è uno sviluppo in linea retta, logica che conduca ai documenti conciliari Gaudium et spes e Dignitatis humanae (1965), che proclamano tanto la libertà di religione quanto i diritti umani, certamente ora sotto l’influsso di premesse affatto diverse e in rapporto alla Tradizione patristica antica (DH 10). Lo stesso vale per il rapporto tra l’enciclica Mortalium animos (1928), che rigetta un ecumenismo frainteso in senso sincretistico, e il decreto sull’ecumenismo Unitatis redintegratio (1964), che definisce il movimento ecumenico come impulso dello Spirito Santo (UR 1; 4). Il discorso del Papa sulla riforma e il rinnovamento della Chiesa nella continuità, dun-

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que, se alle argomentazioni fondamentali seguono conseguenze pratiche, potrebbe continuare ad essere utile e riaccendere nuovamente il fuoco del Concilio, cioè potrebbe, nella continuità, far vigere di nuovo l’impulso innovatore del Concilio. La Tradizione, secondo un detto molto citato di Tommaso Moro (+1535), non deve trasmettere la cenere ma il fuoco. Non abbiamo bisogno di un adattamento liberale, ma, sulla traccia del Concilio, di un adattamento radicale, cioè di un rinnovamento spirituale che venga dalle radici apostoliche e dal fuoco dello Spirito Santo.

5. Nuovo avvio sulla traccia del Concilio

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Come può apparire tale rinnovamento e verso dove può andare il cammino ulteriore? Non ho un programma complessivo. Posso, in conclusione, accennare solo ad alcuni, pochi, punti di vista, che mi sembrano importanti. Il Concilio ha accolto, in modo critico-costruttivo, richieste importanti della modernità. Oggi, mezzo secolo dopo, dall’età moderna siamo passati a quella postmoderna, ossia, come dicono altri, siamo dentro l’età tardomoderna. Molte vecchie questioni si pongono in modo nuovo; molte questioni si sono acuite. Anche molti ideali dell’Illuminismo vengono oggi messi in discussione. La fede nel progresso, che c’era allora, come pure la fiducia nella ragione, sono scosse. Ciò non significa che il Concilio non sia più attuale. Al contrario: nella nuova situazione, come ha detto Giovanni Paolo II, diventiamo, in un certo modo, alleati delle richieste legittime dell’Illuminismo. Già Anselmo di Canterbury enunciò l’assioma: «Fides quærens intellectum». La Chiesa deve prendere sul serio le richiese legittime dell’età moderna. Deve difendere la fede sia contro il pluralismo e il relativismo postmoderni sia contro le tendenze fondamentaliste che rifuggono dalla ragione. Non dobbiamo diventare succubi di una concezione della fede comoda e fondamentalista, che ha paura della ragione, o di una concezione della fede emotiva e sentimentale e rintanarci in un angolo dove esercitare la devozione, ma dobbiamo rendere conto (apologia) ad ognuno della speranza che è in noi (1 Pt 3, 15). Dobbiamo entrare nel dialogo, argomentando in favore della nostra fede.


CURIA METROPOLITANA Un secondo punto di vista devo, giustamente, aggiungerlo. Dobbiamo prendere atto che la situazione è cambiata, dai tempi del Concilio. La Chiesa è diventata Chiesa mondiale, in modo nuovo. Nel nostro mondo globalizzato, oltre due terzi dei cattolici non vivono in Europa, ma nell’emisfero Sud. Il problema dell’unità e della molteplicità si pone, quindi, in modo affatto nuovo. Il Concilio ha concepito la Chiesa come communio, come unità e molteplicità. L’unità nel ministero petrino è un bene alto e un dono del Signore alla sua Chiesa; una ricaduta nella mentalità da Chiesa nazionale sarebbe, nel nostro mondo globalizzato, tutt’altro che capace d’indicare la via verso il futuro. Ma accettare un centro non significa accettare un centralismo debordante. Giovanni Paolo II, nell’enciclica Ut unum sint (1995), ha sollecitato a meditare su nuove forme di esercizio del primato. Questo è d’importanza fondamentale non solo per il proseguimento del dialogo ecumenico, ma anche per la Chiesa cattolica che, oggi, è collocata in culture e situazioni sociali molto differenti. Qui si trova un problema cruciale irrisolto della ricezione del Concilio. Penso, a questo riguardo, non solo alla riforma nella Curia, ma, in primo luogo, soprattutto al rinnovamento del principio sinodale della Chiesa. Terzo punto di vista. Il problema dell’unità e della molteplicità si acuisce nella questione della libertà del singolo essere umano e del singolo cristiano. Oggi, si parla molto dell’individualizzazione della nostra società. Il problema si pone anche nella Chiesa. I problemi si pongono per molti cristiani e curatori d’anime, soprattutto nelle questioni etiche. Il Concilio ha accolto la richiesta nelle sue dichiarazioni sulla coscienza. Ha definito la coscienza il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità (GS 16). Joseph Ratzinger ha analizzato accuratamente quest’affermazione in un commento già nel 1968, concludendo che il Concilio non ha ancora completato la sua affermazione. Ha rimandato a John Henry Newman (+1890), che così termina la sua famosa lettera al duca di Norfolk (1874): «Se fossi costretto, dopo aver pranzato, durante i brindisi, a farne uno alla religione, allora berrei certo al Papa; ma, prima alla coscienza e poi al Papa».

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Per Newman, la coscienza è l’effettivo vice di Cristo, in cui l’autorità della Chiesa ha i suoi limiti. La Chiesa non può mettersi al posto della coscienza personale; viceversa, anche il singolo è rimesso al sostegno che viene dalla Chiesa, se si tratta di distinguere la voce, di solito flebile, di Dio dalle voci rumorose intorno a noi. La Chiesa non può aiutare il singolo mediante un codice di norme; deve aiutarlo mediante la formazione della coscienza e il consiglio. Facendolo, dovrà anche dire: seguire la coscienza non è la via comoda sulla strada larga delle opinioni correnti e del favore delle masse; è, di solito, la via stretta, erta e solitaria. Ciò è dimostrato dai tanti testimoni, martiri dell’ultimo secolo, che, richiamandosi alla propria coscienza, rischiarono la vita e la sacrificarono. Dimostrano che il richiamo alla coscienza non è questione agevole, ma che è questione seria, spesso seria fino alla morte. La coscienza è, abbiamo detto, l’eco della voce di Dio. Questo mi conduce all’ultimo punto, il punto più importante: la questione di Dio. Già il Concilio annoverò l’ateismo, nelle sue varie modulazioni, tra le questioni serie di quest’epoca (GS 19). Tale situazione, da allora, si è acuita in modo drammatico. Nella situazione attuale non si tratta più dell’ateismo teorico e filosofica dell’Ottocento, neppure del cosiddetto nuovo ateismo di alcuni scienziati del nuovo darwinismo, cioè di un evoluzionismo divenuto più o meno ideologico e della neurologia; neppure si tratta della teodicea, cioè il problema non solo filosofico ma esistenziale di Dio di fronte al male. Perché questo problema esiste solo per coloro che credono in Dio e non riescono riconciliare la onnipotenza di Dio e la sua bontà con l’esistenza del male nel mondo. Finalmente il problema non sono gli atei devoti, o meglio gli agnostici, che sentono il vuoto e sono in ricerca, che si trovano nell’ “atrio delle gentili”. Karl Rahner una volta disse: «Un vero ateo o un agnostico è un caso pastorale fortunato perché con lui si può almeno discutere». Però, il problema di oggi è che Dio non è più un problema, ovvero sembra che non sia più un problema e che la sua esistenza non interessa ovvero sembra che non interessi più. Il problema è l’indifferenza. E ciò che è sconcertante è il fatto che quelli senza Dio non sono più cattivi, e non sono meno felici (ovvero non sembrano essere meno felici) quanto la media dei fedeli. Sono uomini come noi tutti, benché noi secondo la nostra antropologia siamo del parere che rimanga-


CURIA METROPOLITANA no sotto la misura umana, la qual cosa Tommaso d’Aquino chiamò acedia, che non è solo la pigrizia ma un’opacità che non riesce più ad alzarsi ed estendersi all’altezza dell’essere umano. Insomma: siamo di fronte a una situazione paradossale. In tale situazione non possiamo curarci soltanto degli effetti sociali, culturali e politici della fede, considerando la fede in Dio come premessa ovvia. Neppure basta curarci soltanto delle questioni di riforma interne alla nostra Chiesa; queste questioni sono interessanti solo per gli insider. Le persone lì fuori, nell’“atrio delle gentili”, hanno altre domande: da dove vengo e dove vado? Perché e per quale fine esisto? Perché il male, perché la sofferenza del mondo? Perché devo soffrire? Come posso metterci fine e come posso viverci? Questa situazione ci sollecita, da parte della Chiesa, ad essere “teologi” il cui compito è il logos di teós, il parlare di Dio. Non è un programma nuovo, ma è il programma stabilito, già nel XIII secolo, da uno dei maggiori teologi della cristianità: Tommaso d’Aquino. Già all’inizio della sua Summa Theologica, disse che, nella teologia, si tratta di Dio e di tutto il resto nella sua relazione con Dio. Ma come fare questo oggi? Questa, mi pare, è la grande domanda e la sfida per noi oggi. Non dobbiamo parlare di una trascendenza vaga, ma dobbiamo parlare concretamente del Dio che, in Gesù Cristo, si è rivelato come Dio con noi e per noi, del Dio infinitamente misericordioso a cui noi, nella preghiera, possiamo dire “Abba, Padre”. Benedetto XVI, in occasione del giubileo del Concilio, a ragione ha proclamato un Anno della Fede. Senza un solido fondamento di fede, tutto il resto rimane sospeso in aria. Certo, ho i miei dubbi che ciò possa avvenire mediante un catechismo, che, in fondo, è un manuale teologico arido, fin troppo voluminoso. La vita si può accendere solo con la vita. Nel confronto con la indifferenza vale solo se noi nella nostra vita facciamo e testimoniamo la differenza. Come disse il profeta: «La gioia per Dio è la nostra forza». Il Concilio ha destato la gioia per Dio. Bisogna anzitutto riaccenderla di nuovo in noi, affinché possa entusiasmare anche gli altri. Il cammino avviato dal Concilio non è finito. Dobbiamo continuare a farlo, con pazienza e coraggio e, nonostante tutto, con una hila-

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ritas interiore. Ognuno di noi è solo una piccola luce. Anche il movimento di rinnovamento preconciliare cominciò con singoli individui e piccoli gruppi. Nel rinnovamento postconciliare non andrà diversamente. Se non ci facciamo rovinare la gioia, allora, un giorno, essa potrà passare agli altri. La gioia è contagiosa. Può contribuire a far sì che la Chiesa, in un mondo che cambia velocemente ed è profondamente insicuro, diventi, in modo nuovo, bussola e segno d’incoraggiamento. Questa gioia è ciò che auguro a voi e la auguro a tutti noi.

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CURIA METROPOLITANA Ufficio presbiteri L’esperienza formativa estiva dei preti giovani (Vienna, 17-22 giugno 2013)

Il viaggio di noi sacerdoti giovani, insieme al nostro Arcivescovo e ad alcuni sacerdoti con qualche anno in più di sacerdozio, si è svolto quest’anno a Vienna. Città prestigiosa, metropoli del Centro Europa, situata sulla riva destra di un ramo del Danubio. Città di nobile aspetto per chiese e grandiosi palazzi barocchi e per i solenni edifici del periodo neoclassico ed ottocentesco. Nella Vienna storica abbiamo ammirato il Ring, “l’anello dell’Imperatore”, grande arteria lungo la quale si affacciano l’Opera, la Cattedrale gotica di Santo Stefano, il Palazzo del Belvedere, la Kärnterstrasse, la Cripta Imperiale, il Palazzo Imperiale dell’Hofburg, il Graben, il Kohlmarkt. Nella Vienna moderna e delle nuove architetture, invece, abbiamo ammirato la Hundertwasserhaus, l’inceneritore, le case popolari, la Donau-City. Successivamente abbiamo visitato il Castello di Schönbrunn: in origine casa di caccia, divenuto successivamente il più famoso e il più bello dei palazzi imperiali austriaci, residenza estiva degli Asburgo e Patrimonio Unesco. Meraviglioso il pranzo in ristorante sulla torre girevole Donauturm, dove abbiamo potuto ammirare dall’alto l’affascinante Vienna.

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Non è mancata la Camera dell’Arte e delle curiosità (Kunstkammer) al Kunsthistorisches Museum (Museo di Storia dell’Arte), di nuovo accessibile dopo dieci anni. La collezione, completamente rinnovata, è ritenuta nel suo genere una delle più importanti del mondo. La Kunstkammer affonda le sue radici nelle “camere del tesoro e delle meraviglie” di tradizione asburgica e racchiude collezioni di oggetti fin dal tardo Medioevo. Ogni giorno abbiamo insieme celebrato l’Eucaristia nella DonauCity Kirche, grazie all’accoglienza e disponibilità del rettore p. Albert. Non è mancata una passeggiata nel Bosco Viennese, dove abbiamo visitato l’Abbazia cistercense di Heiligenkreuz, splendido gioiello dell’arte austriaca, e Baden, deliziosa cittadina biedermeier con eleganti edifici, richiamo per l’aristocrazia di un tempo e la high society di oggi. Ancora una passeggiata nella Rathaus-Platz. L’ultima serata a Vienna si è coronata con una cena con musica in una tipica taverna “Heurigen” a Grinzing, sulle dolci colline viennesi. Giorni trascorsi nel segno dell’amicizia e della fraternità sacerdotale, scanditi da qualche momento di riposo. Come ogni anno, prima di tornare a Bari, insieme all’Arcivescovo un momento di verifica dell’anno trascorso, in cui abbiamo avuto modo di augurare un fecondo ministero a don Andrea Favale, come nuovo educatore del Propedeutico a Molfetta, e a don Donatello, come nuovo rettore del nostro Seminario Arcivescovile. Grazie a tutti i partecipanti! Alla prossima! don Paolo Candeloro 348


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CENTRO DI STUDI STORICI DELLA CHIESA DI BARI-BITONTO Grazia Loparco, fma

Presentazione de Il seme e il fiore. Vita e spiritualità della beata Elia di San Clemente (1901-1927)

Il Centro di Studi storici della Chiesa di Bari-Bitonto ha accolto nella sua collana la biografia della beata Elia di San Clemente, monaca carmelitana scalza nel monastero di S. Giuseppe, dichiarata beata nel 2006, al secolo Teodora o Dora Fracasso (1901-1927), scritta dal prof. Giuseppe Micunco. Questo fatto, sotto il profilo culturale ed ecclesiale, prova una concezione di Chiesa attenta anche ai tesori meno in vista, come nel caso di una biografia femminile che richiede capacità e finezza di penetrazione, per lasciar cogliere il segreto di una vita riuscita grazie a una sorgente interiore superiore alle aspettative comuni. In genere l’attenzione storica, non quella agiografica o semplicemente edificante, soprattutto grazie ai woman studies degli ultimi cinquant’anni si è appuntata su biografie di donne rilevanti per carattere, estrazione sociale o culturale, per imprese notevoli a cui hanno dato origine. La beata Elia di San Clemente non ha vissuto con manifestazioni straordinarie evidenti, eppure in 26 anni ha elaborato un’esperienza umana e spirituale a tutto campo, inserendosi attivamente nella vita della città e della Chiesa secondo le possibilità proprie di una giovane di estrazione popolare. Certo, non si trattava di una ragazzina e poi giovane fragile, volubile, continuamente bisognosa di tutele come ritenevano alcuni diffusi pregiudizi del tempo, che in

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genere riconoscevano una donna non tanto per la sua soggettività, ma in rapporto alle relazioni parentali maschili: moglie di, figlia di, sorella di, madre di…. Dora maturò una determinazione, un senso di responsabilità mosso dalla fede e dall’amore, fondati su un’esperienza familiare sana e realista rispetto alle esigenze della vita. Siamo grati al prof. Micunco per aver saputo valorizzare tanti dettagli biografici, per averli incastonati nella realtà sociale, politica, ecclesiale della città di Bari dove visse Dora. La raccolta fotografica e la documentazione relativa al processo di beatificazione arricchiscono tale consistenza informativa. Scandagliando diversi aspetti, fino a quello educativo e delle politiche scolastiche presenti a inizio ’900, l’Autore ricostruisce la cornice in cui prende corpo una giovane vita femminile di modesta estrazione. Mons. Salvatore Palese, direttore del Centro di Studi storici, mette in luce nella Presentazione del testo la peculiarità di Dora Fracasso e come nel volume «L’esistenza terrena e la spiritualità sono state oggetto di accurata analisi, con precisi riferimenti documentali e costante aderenza ai suoi scritti. […] Se poco c’è da dire sull’attività di questa giovane (1901-1927), moltissimo si può attingere dalla ricostruzione che ne ha fatto l’autore, del modo come questa cristiana è diventata santa in pienezza di vita, tanto da lasciare il segno nei contesti in cui è vissuta. Dalle pagine introduttive a questa specie di “storia dell’anima” emerge il contesto sociale e culturale, religioso e politico della Chiesa barese di questi tre decenni; tanto quanto è necessario per storicizzarla e non chiuderla nell’orizzonte individuale. In verità, fu una stagione di santi preti e di santi laici, quella di Dora Fracasso divenuta suor Elia di san Clemente»1.

350 Proprio grazie a studi recenti stanno emergendo diversi elementi di rinnovamento spirituale in terra barese, uomini e donne, sacerdoti, religiosi e laici. Dunque il volume riguarda la storia religiosa del territorio, in cui la biografia viene inserita nel suo “piccolo mondo”2. 1

Cfr Salvatore PALESE, Presentazione, in Giuseppe MICUNCO, Il seme e il fiore. Vita e spiritualità della beata Elia di San Clemente (1901-1927), « Per la storia della Chiesa di Bari-Bitonto. Studi e materiali» 28, Edipuglia, Bari 2013, p. 8. 2 Cfr ivi, p. 9.


CENTRO DI STUDI STORICI DELLA CHIESA DI BARI-BITONTO Nell’archivio del monastero carmelitano dell’Incarnazione, in Spagna, pare ci sia una scritta indicativa del senso della documentazione conservata con cura: «Questo è il luogo in cui i morti aprono gli occhi ai vivi». Una biografia documentata è pure un “luogo” in cui mettersi in ascolto di una vita, non per alimentare vuote nostalgie di tempi passati immaginari, ma ben radicati nel nostro tempo, per percepire un messaggio forte e chiaro di superamento di fatalismi e pessimismi che soffocano le energie, invece di potenziarle in un investimento propositivo e responsabilizzante. La Prefazione dell’Arcivescovo di Bari-Bitonto, mons. Francesco Cacucci, ben mette in luce il valore di un modello fiorito nella Chiesa locale, riproposto in quest’anno della fede3.

Il contesto In genere le ricostruzioni storiche della Chiesa meridionale in età moderna e contemporanea mettono in luce le sue carenze di formazione, riflesse in abitudini poco edificanti, in una religiosità popolare rituale, con il rischio di rimanere il più delle volte a un livello piuttosto esteriore, di gusto teatrale e spagnoleggiante. Non di rado le pratiche religiose arrivavano a intrecciarsi con pratiche superstiziose e collisioni dannose con il potere e gli interessi economici. Gli studi di Gabriele de Rosa avevano messo a nudo queste linee fino all’800, situandole nel contesto sociale, economico, culturale del meridione, che le rendevano comprensibili4. Non di meno le relazioni di alcuni visitatori apostolici tra fine ’800 e inizi ’900 rilevavano le lacune nelle condizioni di vita di molti sacerdoti, con riflessi negativi sulla cura pastorale. Grazie agli studi di Pietro Borzomati5 e di altri autori, anche legati 3

Cfr Prefazione, pp. 11-13. Cfr G. DE ROSA, Vescovi, popolo e magia nel sud. Ricerche di storia socio-religiosa dal XVII al XIX secolo, Guida, Napoli 1971. In molti scritti successivi lo storico ha scandagliato, tra l’altro, la correlazione tra storia religiosa e società in diverse aree del Paese. 5 Cfr P. BORZOMATI, Aspetti e momenti di storia della vita consacrata e della Chiesa nel Mezzogiorno, 4

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al Centro di Studi storici di Bari, che hanno ampliato l’attenzione alle diverse componenti ecclesiali, stanno però emergendo figure di santità locale che consentono di superare le generalizzazioni e integrare la ricostruzione storica. Alcune fonti esterne finora poco esplorate possono arricchire ulteriormente il quadro. Ad esempio, una recente ricerca sulle relazioni delle ispettrici governative, stilate in seguito alla visita nei collegi, educandati, orfanotrofi retti da religiose di vita attiva in terra d’Otranto sempre nello stesso arco di tempo (precisamente 1886-1901), mette in luce la risonanza e la percezione dell’ambiente pugliese e religioso femminile agli occhi di una funzionaria del Ministero, di provenienza settentrionale, interessata allo sviluppo didattico e alla modernizzazione delle strutture educative. A suo giudizio, pochi erano gli istituti femminili che si salvavano per la qualità richiesta da uno Stato al passo con i tempi e quasi nessuno era stato fondato in Puglia, perciò le prime religiose venivano da altri contesti, prima che le comunità si arricchissero di vocazioni locali. L’interscambio di mentalità che si generava portava modifiche anche nel modo di intendere l’apostolato femminile6. Certamente tra fine ’800 e primi anni del ’900 ci fu qualche ispezione ministeriale anche nel monastero S. Giuseppe di Bari, prima dell’arrivo di Dora, dunque sarebbe utile indagare nell’Archivio centrale dello stato per conoscere la situazione locale filtrata attraverso il giudizio autorevole di una funzionaria inviata del governo. Nella raffica anticlericale del 1906, come si apprende dal volume di Micunco, il monastero si salvò proprio grazie all’impegno educativo7. Diversi monasteri conservavano ancora classi femminili ed educan352 Salvatore Sciascia, Caltanissetta-Roma 2006. Il volume presenta diversi percorsi biografici, sulla base di lunghe indagini sulla religiosità meridionale, reperibile in numerose pubblicazioni. 6 La fonte è particolarmente interessante per comprendere la relazione tra i funzionari ministeriali, che vigilavano con mentalità accentratrice, i provveditori e ispettori, e le realtà educative locali innestate in mentalità differenziate in tutta la penisola. In merito alla Terra d’Otranto, cfr G. LOPARCO, Gli istituti religiosi educativi femminili in Terra d’Otranto alla luce delle ispezioni governative di fine ’800, in M. SPEDICATO (a cura di), Ministerium pauperum. Omaggio a mons. Salvatore Palese, Edizioni del Grifo, Lecce 2013, pp. 203-214. 7 Cfr MICUNCO, Il seme e il fiore, cit., p. 18.


CENTRO DI STUDI STORICI DELLA CHIESA DI BARI-BITONTO dati, secondo un’antica prassi, gradualmente caduta in disuso per lasciare il posto ai più moderni collegi. In quegli anni la figura della suora di vita attiva non era ancora stata molto assimilata nel contesto meridionale in cui le ragazze erano poste dinanzi alla scelta classica, aut murus aut maritus; tra vita matrimoniale o religiosa, e scegliendo la consacrazione avevano dinanzi la vita monastica, a certe condizioni, o quella di monache in casa, o bizzoche… che talvolta scadevano in figure poco apprezzate nell’ambiente. La vocazione monastica era più tradizionale, affermata anche nell’immaginario pubblico e femminile. Nel tempo della secolarizzazione, sviluppando un nuovo rapporto tra società e Chiesa in Occidente, il cambio culturale più evidente in alcune aree, permise alle donne di assumere maggiormente la responsabilità della missione ecclesiale, non per una rivendicazione di diritti, cosa impensabile nella mentalità cattolica e femminile del tempo, ma come risposta consapevole a una chiamata. Così suore dedite alla vita apostolica, ma poi anche laiche impegnate ad esempio nell’Azione cattolica e consacrate restando nel mondo, diedero vita a modelli istituzionali più rispondenti alle trasformazioni sociali ed ecclesiali in atto, senza per questo sostituire la vita monastica. Del resto anche Dora aveva conosciuto le suore sacramentine e nel suo monastero c’era un impegno educativo.

La persona L’autore, Giuseppe Micunco, offre nel volume una accorta e paziente valorizzazione delle informazioni sulla beata Elia, utilizzando le testimonianze della Positio e i suoi scritti. Ci fidiamo di lui quando scrive di aver cercato documentazione in tutti gli archivi possibili, religiosi e civili, e prendiamo atto che alcune domande di approfondimento forse non possono trovare risposta a causa delle lacune archivistiche. Da una vicenda biografica molto semplice egli ha saputo porre in risalto aspetti peculiari della vita spirituale di una giovane donna. Ne ricaviamo una storia anche familiare, una rico-

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struzione di relazioni interpersonali, di mentalità, di costume. Ci immergiamo nella vita piuttosto inquieta della città dal punto di vista e di osservazione dei ceti popolari. Il biografo in molti casi si fa interprete, mediatore di comprensione di significati, amplificatore di approfondimenti che a volte appaiono audaci, perché potrebbero cadere nell’arbitrio. Invece la profonda conoscenza dell’ambiente e della personalità della biografata evita forzature fuorvianti e offre al lettore osservazioni e commenti consoni alla figura di Dora Fracasso. È come un decodificare la sua grammatica umana e spirituale per renderla più intellegibile a lettori distanti da quel contesto e da una sensibilità che usava un linguaggio molto semplice per esprimersi. Gli storici avvezzi allo stile dell’agiografia rinnovata preferiscono forse un linguaggio più asciutto a uno ricco di commenti che talora deborda verso la parenesi, tuttavia la scrittura della biografia di suor Elia ne esce calda e colorita, edificante con fondamento. L’autore si è fortemente immedesimato in suor Elia, le dà voce in modo da chiarire il suo pensiero e i suoi gesti in diverse occasioni, prevenendo possibili equivoci da parte del lettore. Si cura di dissipare fraintesi, contestualizzando scritti e mentalità, avendo sempre davanti la distanza tra passato, la Bari d’inizio secolo, e il presente, la mentalità del lettore che legge e interpreta. I commenti dell’autore prevengono i dubbi del lettore, e intrecciano un dialogo sui significati veicolati dalle parole e dai gesti di Teodora, poi suor Elia. Anche le testimonianze al Processo di beatificazione vengono contestualizzate e presentate organicamente, con una interpretazione attenta a evitare anacronismi. Tramite questa biografia, interpretata secondo una lettura credente, tendente a una scrittura devozionale, conosciamo suor Elia, ma anche l’autore. 354 La persona di suor Elia emerge presto con un forte temperamento, moderato nelle espressioni, capace di osservazione acuta della realtà, vissuta intensamente, e fortemente attratta dalla vita spirituale, dal ritiro nella cella interiore in cui dimorare con Dio, amore presto scoperto e scelto in modo irrevocabile e tenace. Fede, affettività, intelligenza, non vivono contraddizione o competizione in una persona orientata presto all’Essenziale. Queste qualità strutturanti, indirizzate all’integrazione, connotano il suo linguaggio, la sua


CENTRO DI STUDI STORICI DELLA CHIESA DI BARI-BITONTO comunicazione. Suor Elia emerge come monaca molto concreta nel tradurre la contemplazione in scelte, gesti quotidiani, ordinari, secondo le esigenze della famiglia, dell’impegno parrocchiale, e poi della regola monastica con le mansioni affidatele in una comunità normale, inclusa la presenza di difficoltà di comprensione e limiti delle persone. Qualche volta la narrazione sembra tornare indietro nel tempo, su fatti già annunciati, dopo aver lasciato spazi a commenti, espansioni di un altro tema. Così ad esempio a riguardo della sorella Domenichina in convento, o all’incomprensione subita nel compito educativo affidato a suor Elia a favore delle educande, in cui si lascia spazio a ipotesi, non conoscendo bene le motivazioni della rimozione. L’autore tratta con delicatezza le informazioni, ragiona, entra empaticamente nel vissuto di una comunità monastica femminile. La biografia si muove quasi su due piani: quello dei pochi fatti, dove non si riscontrano eventi periodizzanti o grandi difficoltà visibili, a eccezione delle tappe fondamentali della vita e della malattia degli ultimi tempi, e quello dell’interpretazione degli stessi, da parte dell’autore e di testimoni al processo. Di certo, si entra in un microcosmo intessuto di ferialità in cui si concentra un’intensa esperienza umana sintetizzata nella fede e nell’amore. Il linguaggio di suor Elia La semplicità dell’universo mentale di suor Elia, l’orizzonte circoscritto della sua esperienza umana e della conoscenza, connotano la sintassi del suo rappresentare il mondo interiore. Non aveva strumenti raffinati di dottrina spirituale per decifrare ed esprimere il vissuto, ma non rinunciò a trovare un linguaggio in grado di creare una comunicazione tra interno ed esterno. Il mondo della sua esperienza le offriva tante metafore, spesso attinte dalla natura, come avveniva in genere nell’educazione femminile, ma arricchite di una forte connotazione di fede, e ancor prima di vita, di speranza, di amore. Quello che potrebbe sembrare immaginario adolescenziale piuttosto sentimentale, leggiadro, ma quasi alternativo

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alla realtà concreta, evasione confinata nei disegni e nelle poesie, in lei prende corpo e si innerva, si radica, diventa processo vitale. Lo mette efficacemente in rilievo mons. Cacucci nella Prefazione. Il seme, il fiore, la pianta, il frutto… sono immagini bibliche ma anche immagini comuni. Vicine all’esperienza generativa, avvertite particolarmente consoni all’esperienza femminile sensibile alla vita, percepita e seguita nelle diverse fasi, con le sfumature di morte e di vita, e la cura necessaria perché ci sia sviluppo. Dagli scritti di suor Elia non risulta un linguaggio autoreferenziale, intimistico, né uno spiritualismo disincarnato e alienante. Anche negli ultimi suoi anni più segnati da prove e difficoltà, queste immagini non si perdono, come un richiamo alla continuità dell’esperienza religiosa, dove il momento della prova non annulla il ricordo dei momenti sereni, guarda in alto, verso il cielo stellato, per riprendere fiducia e corroborare le forze. Il mondo interiore, i riferimenti alla grazia, la capacità di esprimere un parere su situazioni diverse lette alla luce della fede, si riflettono nelle sue parole come pure nei gesti, che diventano linguaggio di amore forte e delicato altrettanto efficace. La consapevolezza del limite, invece di generare in suor Elia ripiegamenti o scoraggiamenti, in genere muove all’abbandono fiducioso all’azione di Dio, fonte di risorse insperate. Le difficoltà sono certamente trasfigurate dalla fede, appaiono “dolcissima prova”, scuola attraverso cui comprendere la vita8. Solo un atteggiamento umile, consapevole del proprio posto in rapporto agli altri, alla vita, a Dio, può produrre tali frutti.

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Donna di relazione Dora e poi suor Elia, pur amando star ritirata, non è una giovane isolata. L’amore, come leva interiore poggiata sull’umiltà, la apre continuamente alla relazione interpersonale con Dio, con Gesù, con i familiari, le amiche… la vocazione religiosa non ha ristretto la dimensione umana di Dora, anzi l’ha potenziata a interessi più elevati e universali rispetto alle conoscenze locali e modeste che erano alla sua portata. Suor Elia matura e rimane donna fino in fondo, anche da carmelitana, lungi da immagini angeliche che tendevano

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Cfr ivi, pp. 268-269.


CENTRO DI STUDI STORICI DELLA CHIESA DI BARI-BITONTO a creare dicotomie e a spersonalizzare ciò che invece può essere solo incarnato in soggettività concrete, storicamente connotate. Così sviluppò la dimensione sponsale e filiale, proprie di una giovane vita. Forse ebbe meno tempo, anche cronologico, per maturare una forma più esplicita di maternità spirituale, sebbene sia molto presente la dedizione, l’offerta, l’amore oblativo di matrice eucaristica. D’altronde Teresina di Lisieux, a cui suor Elia si ispirava per affinità e contingenze storiche ancor più che a santa Teresa d’Avila, si direbbe, mediava una spiritualità dell’infanzia, del sentirsi e di-ventare piccoli, con responsabilità e convinzione, per affidarsi totalmente al Signore. L’amore appare a ogni passo la spinta interiore inesauribile, misurata dalle esigenze quotidiane: «Bisogna saper fiorire dove Dio ci ha seminati». E questo è ancor più rilevante se si pensa che la formazione religiosa comune, popolare come era la sua famiglia, era basata sul catechismo di Pio X, che attraverso espressioni dogmatiche, esatte ma piuttosto astratte e prescrittive, non favoriva particolarmente un rapporto affettuoso, caldo, personale con Dio. Dunque la famiglia oltre che la parrocchia fu una mediazione fondamentale per un’apertura profonda al mondo della fede inteso nel senso più coinvolgente, totalizzante e personale. Nel monastero Il monastero fu per Dora lo spazio fisico e simbolico desiderato e vissuto come scuola, esercizio di una vita di preghiera intensa, che libera la persona dai condizionamenti umani e sociali per introdurla a significati e orizzonti ampi. Le letture dei grandi santi carmelitani evidentemente l’aiutarono a situarsi in un modello istituzionale congeniale alle sue attese. Le difficoltà non sono mancate. Non sappiamo molto dei contenuti della formazione spirituale, delle letture, delle regole disciplinari vigenti nel monastero, della sua incidenza nel territorio e nella Chiesa locale, tuttavia attraverso gli scritti e le testimonianze si desumono vari aspetti. Così i riferimenti alla S. Scrittura, a santa Teresina, al direttore spirituale colorano i pensieri di suor Elia, affinano le intenzioni e i giudizi.

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Alcuni accenni alludono all’orario comunitario… alla giornata tipo… alle fonti di sussistenza del monastero, alle doti che dovevano portare le monache; alla composizione della comunità per tempo di permanenza. La geografia culturale oggi suggerisce nuovi approfondimenti sul rapporto tra istituzioni, territorio, simboli, valori veicolati e diffusi tramite contatti di vario genere. Il registro più presente negli scritti di suor Elia è la confidenza in Dio; quello che emerge dagli episodi comunitari è il servizio, l’umiltà, la disponibilità alle sorelle e alle superiore. Giustamente si mette in rilievo che la clausura non coincide con la chiusura, il ripiegamento intimistico. Anzi, la famiglia, le persone conosciute, le esigenze esterne restano ben presenti nel cuore e nella preghiera di suor Elia, che vive nel “cielo stellato”, pur dimorando in clausura. Microcosmo e macrocosmo si toccano in una persona, riflesso vivo dell’universo e dell’umanità.

Il significato e il messaggio per oggi

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Suor Elia è discretamente in scena come una giovane donna con un progetto, con un forte senso della vita, a cui orienta tutto con impegno tenace e soprattutto con amore e convinzione. Osservandola, nella sua situazione, possiamo chiederci che percezione avesse di quanto stava capitando intorno a lei. Stavano crescendo il socialismo e il fascismo, c’erano crisi economiche, politiche e sociali. Che canali aveva per rendersene conto? A lei arrivavano gli effetti, non aveva gli strumenti per valutare più in profondità, tuttavia la sua persona incide nel suo ambiente grazie a una presa di posizione seria e modesta. Vive intensamente la realtà dalla sua angolatura, uscendo dallo schema pregiudiziale delle ragazze delle fasce popolari tutte intente ai piccoli interessi privati e familiari. La mozione evangelica, il rapporto personale con Gesù potenzia le sue risorse, le eleva, immettendola nel cuore dei cambiamenti. Il Vangelo, rinnovando le persone dall’interno, è la molla rivoluzionaria più potente per uomini e donne senza distinzione. Di qui il rinnovamento sociale. Ella attesta a tutti la chiamata alla santità, da religiose o da laici nella famiglia. La vocazione è stata per lei molla per maturare una forte soggetti-


CENTRO DI STUDI STORICI DELLA CHIESA DI BARI-BITONTO vità sotto la spinta di un amore che fa sentire la responsabilità ampia di cooperare alla salvezza. Ella esprime un forte senso ecclesiale, che mette in contatto la clausura con la vita esterna attraverso i canali della preghiera, dell’offerta, del sacrificio vissuti come dono generoso e gioioso. Emerge pure la preziosità della guida spirituale: fra Elia che comprese le vie di Dio su di lei e riuscì ad indirizzarla, alternando sapientemente presenza ed assenza. Un valore molto attuale vissuto da suor Elia è la cura delle relazioni interpersonali. Nella delicatezza, la reciprocità, il perdono, l’attenzione ai familiari, mai dimenticati. Che violenza dovette farsi in diverse circostanze, anche in monastero? Senza vittimismi, vive da forte, andando alla radice, e senza perdere l’occasione di vivere da sposa. Ebbe capacità di perforare il quotidiano, per scorgervi un’occasione propizia alla coerenza, a mettere un tassello molto concreto nella sua risposta d’amore, segno di grande libertà interiore. Mostrò intelligenza viva nel passare dagli slanci interiori nella sua cella, nella preghiera prolungata anche notturna, alla verifica feriale nelle vicende comunitarie. Per questo le sue immagini di fiori, piantine, che possono alludere a un mondo interiore semplice, sentimentale, non si riducono a immagini vezzose, ma poi leggere e inconsistenti alla prova dei fatti. Il suo vocabolario era ristretto, ma in quelle immagini portava la ricchezza simbolica e semiotica di un mondo interiore, della presenza di Dio che sapeva scorgere viva in ogni manifestazione del creato. Scritti e gesti sono segno di un vero realismo spirituale che scorge nell’ordinario la presenza dell’invisibile reale. Senza perdere tempo. Questo volume restituisce al monastero, a Bari, alla Chiesa locale la funzione identitaria delle biografie dei santi. Essi esprimono un rapporto radicale tra santi e territorio, santi e cultura locale, che può rispecchiarsi in figure ricche di valori, maturati nel suo contesto e concentrati in percorsi specifici. Una figura così densa sfugge al rapporto spesso enfatizzato tra politica, costume e devozioni, per restituire l’autenticità della vita di fede. La santità è espressione di una vita pienamente realizzata sul piano compiutamente umano. Questa biografia rientra nella santità fe-

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riale, a riprova che non sono necessarie condizioni ambientali esterne eccezionali per vivere in pienezza, e al contempo che non ci sono condizioni di disagio che diventino impedimento insuperabile per chi decide realmente di vivere il Vangelo. Nel contesto della Bari popolare con suor Elia è maturata un’esperienza portatrice di un messaggio che va oltre il suo circoscritto momento storico. Diventa un messaggio universale. La sua biografia appare un tuffo nell’impossibile diventato possibile. La vocazione religiosa emerge così come spinta interiore a curare la qualità della vita umana, propria e altrui, per renderla dignitosa e in essa seminare l’annuncio evangelico che fiorisce attraverso la linfa feriale della carità e del servizio. “Bisogna saper fiorire dove Dio ci ha seminati”.

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CENTRO DI STUDI STORICI-MUSEO DIOCESANO DI BARI La mostra nel X anniversario della morte del card. Francesco Colasuonno

La ricorrenza del decimo anniversario della morte del cardinale Francesco Colasuonno, a Grumo Appula, il 31 maggio 2003, occasiona questa mostra che descrive il suo lungo percorso di vita, dal 2 gennaio 1925. Il Centro di Studi storici della Chiesa di Bari-Bitonto e il Museo diocesano di Bari, con crescente entusiasmo e convinzione, si sono fatti carico di illustrare la vicenda umana ed ecclesiastica di questo “prete del Novecento”. Essa ora emerge nella sua grandezza e si colloca nel ruolo “più alto” del clero barese, operante nello scenario del mondo cattolico contemporaneo. Le due istituzioni raccolgono il desiderio della famiglia e la volontà delle comunità parrocchiali della città, nonché l’attesa della comunità civile di Grumo Appula. Così promuovono il delicato passaggio dalla “memoria del cuore” di questo loro figlio alla “memoria storica”, ricostruita e illustrata con le fonti di ogni genere che si cominciano ad organizzare con ordine. La venerazione affettuosa ed orante di quanti visitano la sua tomba nella natia chiesa parrocchiale, sollecita di definire tratti e periodi della sua intensa attività al servizio della Santa Sede, luoghi e scenari in cui il “prete” di Grumo Appula ha curato sempre la vita religiosa e la condizione cristiana delle popolazioni in cui si è trovato inserito. Don Francesco, andando per quattro continenti, si portò

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nel cuore la gente del suo paese pugliese, come attestano le centinaia di lettere ai familiari e le migliaia di fotografie a noi pervenute, nonché registrazioni sonore e rassegne di stampa conservate con cura. Vanno ricordati i tanti volumi della sua biblioteca, che gli furono donati con dediche, e i numerosi oggetti lasciati nella casa dove, alla fine, è venuto a chiudere i suoi giorni, in quella primavera inoltrata dei primi anni del terzo millennio cristiano. In questo “clima familiare” a lui caro e nell’esigenza di conoscere l’intera sua storia, la mostra si stende come un lungo “racconto di vita” che il cardinale fa a quanti lo ricordano ancora e a quanti domandano cosa realmente fece lontano dalla Murgia barese. Questa indole narrativa dei diciannove pannelli, come si auspica, consentirà a tutti, grandi e piccoli, di conoscere la cronologia e la geografia di questo ecclesiastico che ovunque ha parlato con la lingua della gente del luogo, inglese, indiano, mandarino, portoghese, russo, tedesco e francese, e “grumese”. Verrà il tempo in cui la sua attività di rappresentante della Santa Sede nei vari paesi del mondo, e in quelli dell’Europa orientale in modo speciale, sarà precisamente studiata con la documentazione conservata negli archivi vaticani. Ora si inizia con le indicazioni esatte che lo stesso cardinale ci offre. Grumo Appula e l’Arcidiocesi di Bari-Bitonto sembrano ora come la “madre” che raccoglie il figlio ritornato e ascolta amorosamente il racconto delle sue fatiche per promuovere la Chiesa cattolica nella diffusione del Vangelo di Gesù. Bari, 31 maggio 2013 362

Salvatore Palese Direttore del Centro di Studi Storici della Chiesa Bari-Bitonto Michele Bellino Direttore del Museo Diocesano di Bari


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PUBBLICAZIONI Antonio Parisi

La musica liturgica in Italia

Presentazione a La musica liturgica in Italia. Cinquant’anni di fatti, idee, speranze di Antonio Parisi Edizioni Messaggero, Padova 2013

INDICE: Presentazione; 1. Per incominciare…: Insegnamento della musica nella scuola italiana – Panorama con qualche eccezione positiva – Cristiani e cittadini - Inquinamento acustico nella nostra vita quotidiana – La rivoluzione del Vaticano II – Prima del Concilio Vaticano II – Cantare la messa; 2. Il canto dell’assemblea: espressione fuori moda?: La guida del canto per l’assemblea; 3. Ministerialità o professionalità?; 4. Partecipazione: quasi uno show?; 5. Feriale e festivo: ogni celebrazione è una festa?; 6. Incarnazione: chi ha paura dell’uomo?; 7. Et-et oppure aut-aut? Il tormento fra tradizione e rinnovamento 8. Gradualità: legge cristiana (teoria della scala); 9. Pertinenza rituale di un canto: perché non cantare a Pasqua il “Tu scendi dalle stelle”?; 10. Arte del celebrare o semplice funzionalità?; 11. Formazione: tre mesi per diventare organisti; 12. Solennità: Messa di Mozart per soli, coro e orchestra; 13. Forme e funzioni: a ogni rito una forma appropriata; 14. Il silenzio: finalmente un po’ di pace; 15. Giovani e liturgia: un binomio credibile?; 16. Il gregoriano: che bei tempi!: Un po’ di chiarezza nei termini – Il pensiero della Chiesa – Veniamo all’oggi del canto gregoriano – Che cosa fare?; 17. L’organo: un re decaduto; 18. Il coro: basta una divisa e una cartella e il coro va in onda; 19. L’animatore musicale: un piccolo Bach; 20. Il cantore solista: quale voce?; 21. Le Ave Maria: perché non si possono cantare durante i matrimoni?; 22. Il Repertorio: la nostra Sanremo; 23. La formazione oggi in Italia; 24. Conclusioni; 25. Per riflettere: L’assemblea, segno di comunione – Cantare – Come cantare? – Diversità dei doni – Il canto liturgico – Il coro – La liturgia – La musica – La Parola – Leggere la Bibbia – Parola cantata e parola poetica - L’acclamazione – La litania – Il tropario – L’inno – Il cantico a ritornello; Bibliografia.

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È opportuno fermarsi per qualche istante e interrogarsi su questi cinquant’anni di riforma della liturgia e della musica liturgica. Vorrei narrare questo cammino fatto di luci e ombre, di passi avanti e nostalgie retrospettive, di momenti di stanca e di entusiasmi passeggeri. A che punto siamo? Dove ci stiamo dirigendo? Testi e contenuti della riforma sono stati realizzati, ed era il passaggio affidato agli esperti e alle commissioni di lavoro; invece l’altro livello, quello della comunità, cioè gli utenti della liturgia, si è imposto con fatica e ha ancora bisogno di interventi e di approfondimenti. Una rilettura e uno studio dei vari documenti va inserito di nuovo in agenda; si pensa, da parte di non pochi sacerdoti, che basta essere utenti della liturgia per diventare automaticamente degli esperti. Ovviamente queste pagine affronteranno il problema del canto e della musica all’interno della celebrazione con tutte le conseguenze che ne derivano per i vari responsabili e fruitori del canto. Non intendo compiere una trattazione tecnica e completa, ma solo presentare alcune considerazioni ad alta voce su temi ricorrenti, tuttora attuali e ancora irrisolti: la partecipazione dell’assemblea, gli attori del canto, l’uso degli strumenti, le forme musicali nella liturgia, la formazione, il silenzio. Questi e altri argomenti riguardano non soltanto gli operatori musicali, ma anche i pastori e i liturgisti, perché tale materia deve riguardare la loro azione pastorale. Le fratture di oggi tra tradizione e innovazione, fra musica colta e musica popolare hanno una storia molto più antica, non sono conseguenza della riforma. Già dal VI secolo si crea una distanza fra l’assemblea e i ministri incaricati. I fedeli diventano sempre più assistenti e il canto diventa sempre più esercizio e impegno esclusivo dei cantori e dei chierici. L’uso della lingua latina e le difficoltà tecniche di tanti canti escludono completamente la partecipazione dei fedeli. Nel secondo millennio si verifica l’invadenza della musica sui riti e la presenza di cantori professionisti che di fatto escludono l’assemblea. La riforma, per correggere queste fratture, ha messo l’accento sull’assemblea come soggetto della celebrazione, sulla parola di Dio annunciata nella propria lingua, sul canto come forma privilegiata di partecipazione ai vari riti. Si è cercato di coniugare insieme il


PUBBLICAZIONI binomio testo musica da una parte e rito-assemblea dall’altra parte. Rimane tuttora la tentazione di giudicare un canto liturgico a partire soltanto dalla musica, trascurando gli altri aspetti rituali e comunitari. Sono presenti nella costituzione conciliare due parole – munus ministeriale – che indicano la strada da percorrere per la musica liturgica. Funzione ministeriale del canto e della musica: tutto viene collegato al rito e tutto parte dal rito, qui tutto si ricompone e tutto vi trova cittadinanza. Non è una semplice funzionalità che viene segnalata, come hanno pensato alcuni, ma si recupera all’interno del rito l’elemento simbolico, estetico, solenne, emozionale. Non basta solo cantare, ma occorre celebrare cantando, ecco la grande sfida della riforma. Questi anni sono stati un periodo di grandi discussioni e polemiche interminabili, fra tradizionalisti e innovatori, fra musicisti e liturgisti, fra giovani e adulti, fra cori e assemblee, fra Associazione Italiana Santa Cecilia (Aisc) e Universa Laus (UL); abbiamo fatto litigare anche gli strumenti (organo contro chitarra) e le forme musicali (inni e corali contro le canzoni). La battaglia è terminata con alcuni protagonisti ormai morti con le loro convinzioni, altri arroccati sul monte Aventino, altri ancora attivi nella mischia quotidiana. Il guaio è che sono alcuni giovani, per fortuna pochi, che non hanno vissuto il prima della riforma, perché giovani, a volere un ritorno al passato solo perché antico e quindi nobile e dignitoso. Ho visto su youtube il video di una celebrazione del rito antico, in canto con tre ministri, e ho pensato una sola cosa: che pena! È arrivato il tempo di guardare avanti e di camminare insieme ponendosi alcuni obiettivi condivisi. L’Ufficio liturgico nazionale potrebbe mettersi a capo di questo cammino, invitando intorno a un tavolo tutti i vari contendenti1, e affrontare i temi ancora sul tappeto: la formazione, il repertorio, gli studi musicali, un eventuale direttorio, la liturgia delle ore, gli aspetti pratici ed economici dei

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Anni fa mi rimase impressa l’espressione di un vescovo: in riferimento ai musicisti, usò questa frase: «Ah! Voi siete quelli che litigano sempre».

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musicisti di chiesa, i vari sussidi e pubblicazioni musicali, gli uffici diocesani di musica sacra. Un’ultima proposta: perché l’Ufficio liturgico nazionale non si attrezza con un ufficio o una sezione di musica sacra al proprio interno? Questi cinquant’anni sono stati un periodo di grandi discussioni, a volte anche di polemiche accalorate che hanno rappresentato il passaggio da un passato glorioso (è stato sempre così?) verso un futuro incerto ma colmo di speranze e di attese. Il presente non è stato un facile periodo di transizione verso una nuova musica; l’augurio è che questo presente diventi meno litigioso e più fecondo in un cammino comune di confronto sereno e condivisione gioiosa. In fin dei conti operiamo tutti per lo stesso fine: la gloria di Dio e la santificazione dei fedeli. mons. Antonio Parisi Direttore dell’Ufficio diocesano di Musica sacra

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DIARIO DELL’ARCIVESCOVO Maggio 2013

1 – Al mattino, presso la masseria Odegitria in Cassano delle Murge, incontra la comunità della parrocchia Cattedrale. 2 – Al pomeriggio, in Cattedrale, incontra i cresimandi dell’VIII e dell’XI vicariato. 3 – Al pomeriggio, in Cattedrale, incontra i cresimandi del IX vicariato. 4 – Alla sera, presso la parrocchia Immacolata in Modugno, guida la lettura del film Il villaggio di cartone di Ermanno Olmi. 5 – Al mattino, presso la parrocchia Maria SS. Addolorata in Mariotto, celebra la S. Messa per l’inizio della Missione Popolare e amministra le cresime. – Alla sera, presso la parrocchia S. Leone Magno in Bitonto, celebra la S. Messa per il 50° anniversario della fondazione della parrocchia. 6 – Al pomeriggio, presso il Pontificio Seminario regionale “Pio XI” di Molfetta, incontra i seminaristi teologi. 8 – Al mattino, presso il molo S. Nicola, concelebra la S. Messa presieduta da S.Em. il card. Fernando Filoni, Prefetto della Congregazione per la evangelizzazione dei popoli, e assiste all’imbarco della statua del santo patrono. – Alla sera, presso il molo S. Nicola, partecipa alla cerimonia per lo sbarco della statua del santo patrono.

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9 – Alla sera, nella Basilica di S. Nicola, concelebra la S. Messa per la solennità della Traslazione delle ossa del Santo presieduta dal card. Filoni e partecipa al prelievo della santa manna. 11 – Al mattino, a Roma, nella Basilica di S. Paolo fuori le Mura, partecipa alla concelebrazione eucaristica per la beatificazione di mons. Luigi Novarese, fondatore del Centro Volontari della Sofferenza, presieduta da S.Em. il card. Tarcisio Bertone, Segretario di Stato. 12 – Al mattino, in Piazza S. Pietro in Roma, partecipa alla concelebrazione eucaristica presieduta da Sua Santità il Papa Francesco per la canonizzazione dei Martiri di Otranto. 15 – Alla sera, presso il monastero S. Giuseppe in Bari, partecipa alla presentazione del volume del prof. Giuseppe Micunco Il seme e il fiore. Vita e spiritualità della beata Elia di S. Clemente, O.C.D. 16 – Al mattino, presso la Casa del clero, presiede la riunione del Consiglio Presbiterale diocesano. 16-19 – Visita pastorale alla parrocchia Santa Famiglia in Bari. 20-24 – A Roma, partecipa ai lavori della LXV Assemblea generale della Conferenza Episcopale Italiana. 25 – Al mattino, presso l’Oasi S. Maria in Cassano Murge, tiene l’incontro con le monache Clarisse della regione su “La vita di fede nella dimensione ecclesiale”. – Al pomeriggio, in Cattedrale, partecipa all’incontro conclusivo dei “Laboratori della fede”. – Alla sera, presso la parrocchia SS. Trinità in Mola di Bari, celebra la S. Messa per il 50° anniversario dell’ordinazione sacerdotale di don Getulio Anella, S.D.V. 26 – Al pomeriggio, presso l’Arena delle Vittorie in Bari, presiede la celebrazione eucaristica per l’incontro regionale dell’ACR. – Alla sera, presso la parrocchia S. Maria del Carmine in Noicattaro, celebra la S. Messa per il 25° anniversario di ordinazione sacerdotale del parroco don Tino Lucariello. 27 – Al pomeriggio, presso l’Istituto De Mattias in Bari Carbonara, celebra la S. Messa per il X anniversario della canonizzazione di santa Maria De Mattias. – Alla sera, presso la parrocchia Resurrezione in Bari, incontra il XII vicariato per l’inizio della Visita pastorale.


DIARIO DELL’ARCIVESCOVO 28 – Alla sera, presso la parrocchia S. Giovanni Bosco in Bari, incontra il VI vicariato a conclusione della Visita pastorale. 29 – Al pomeriggio, presso il monastero S. Giuseppe in Bari, celebra la S. Messa per la festa della beata Elia di S. Clemente, O.C.D. – Alla sera, presso la parrocchia Stella Maris in Bari Palese, incontra le comunità parrocchiali di Palese e Santo Spirito sul cap. VIII della Lumen gentium. 30 – Alla sera, nel Santuario di S. Maria delle Grazie in S. Giovanni Rotondo (Fg), celebra la S. Messa in preparazione alla ostensione del corpo di san Pio da Pietrelcina. 31 – Alla sera, presso il monastero S. Chiara in Mola di Bari, celebra la S. Messa per il 25° anniversario di professione religiosa di suor Chiara Crocifissa, O.S.C.

Giugno 2013 1 – Al pomeriggio, presso il Seminario arcivescovile, partecipa al Meeting diocesano dei ministranti. – Alla sera, presso la parrocchia S. Maria Assunta in Grumo Appula, celebra la S. Messa per il decimo anniversario della morte del card. Francesco Colasuonno e inaugura, all’interno del Municipio, la mostra realizzata dal Centro Studi Storici della Chiesa di Bari-Bitonto e dal Museo diocesano di Bari, con il patrocinio delle istituzioni civiche e religiose locali. 2 – Al mattino, presso il Santuario dei SS. Medici Cosma e Damiano in Bitonto, celebra la S. Messa per il 40° anniversario della erezione della parrocchia, con la partecipazione del coro della diocesi di Roma diretto da mons. Marco Frisina. – Alla sera, in Cattedrale celebra la S. Messa nella Solennità del SS. Corpo e Sangue di Cristo e partecipa alla processione per le vie della città sino a Piazza del Ferrarese dove imparte la benedizione eucaristica.

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4 – Al mattino, a Turi, presiede i lavori della Conferenza Episcopale Pugliese. – Alla sera, nella chiesa del Gesù in Bari, partecipa alla celebrazione del decimo anniversario dell’Associazione dei Commercialisti cattolici. 5 – Al mattino, presso il Seminario arcivescovile, incontra l’équipe educativa. – Al pomeriggio, in Cattedrale, celebra la S. Messa a conclusione del percorso di formazione organizzato dall’Ufficio catechistico diocesano per l’iniziazione cristiana dei ragazzi diversamente abili. – Alla sera, presso la parrocchia SS. Salvatore in Bari Loseto, guida la catechesi alla comunità. 6-9 – Visita pastorale alla parrocchia S. Marco in Bari. 7 – Alla sera, nella solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù, celebra la S. Messa con la benedizione della nuova chiesa della parrocchia del Sacro Cuore di Gesù in via Cardassi. 10 – Alla sera, presso la parrocchia S. Cuore in Mola, tiene l’incontro interparrocchiale sulla Lumen gentium. 12 – Al pomeriggio, presso l’Oasi S. Martino in Bari, incontra i candidati diaconi. 12 – Al mattino, presso la sala consiliare del Palazzo di Città, partecipa alla conferenza stampa per la presentazione della manifestazione “Dieci piazze per dieci comandamenti”, organizzata dal Rinnovamento nello Spirito in collaborazione con il Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione in occasione dell’Anno della fede. – Alla sera, presso la parrocchia S. Agostino in Modugno, celebra la S. Messa e guida la catechesi alla comunità sulla Lumen gentium. 13 – Al mattino, nella cripta della Cattedrale, celebra la S. Messa nell’anniversario dell’ordinazione episcopale. – Alla sera, presso l’Hotel Excelsior in Bari, celebra la S. Messa per i partecipanti al convegno organizzato dalle ACLI di Puglia per l’Anno della fede sul tema “Solo il Vangelo fa nuove le ACLI”. 14 – Al mattino, presso l’Oasi S. Maria in Cassano Murge, partecipa alla Giornata di santificazione del clero: relatore S. Em. il card. Walter Kasper con una meditazione dal titolo: Interpre-


DIARIO DELL’ARCIVESCOVO tazione e ricezione del Concilio Vaticano II. Rinnovamento che scaturisce dall’origine. 15 – Alla sera, in Piazza Prefettura, partecipa alla manifestazione “Dieci piazze per dieci comandamenti”. 16 – Al mattino, presso la parrocchia S. Cecilia in Bari, celebra la S. Messa con il rito della dedicazione della chiesa parrocchiale. – Alla sera, nella Basilica di S. Nicola, celebra la S. Messa per il 25° anniversario dell’ordinazione diaconale di don Nicola Rondinone. 17-22 – Partecipa al corso di formazione estiva dei preti giovani a Vienna. 23 – Al mattino, presso la parrocchia S. Paolo in Bari, celebra la S. Messa per il conferimento del ministero straordinario della S. Comunione alle suore Missionarie della Carità. – Alla sera, presso la parrocchia S. Pasquale in Bari, celebra la S. Messa e benedice le nuove cancellate. 24 – Alla sera, presso la parrocchia S. Giuseppe in Bari, celebra la S. Messa per l’ordinazione sacerdotale di don Alfredo Gabrielli. 25 – Alla sera, presso l’Istituto delle Suore Francescane Alcantarine in Bari Palese, incontra il gruppo della Fondazione “Frammenti di luce”. 26 – Alla sera, in Cattedrale, celebra la S. Messa per la memoria liturgica di san Josemaria Escrivà de Balaguer, fondatore dell’Opus Dei. 27 – Alla sera, presso la parrocchia Preziosissimo Sangue in S. Rocco in Bari, conclude il ciclo di incontri sull’Anno della fede. 28 – Al mattino, presso la Facoltà Teologica Pugliese, presiede l’incontro della Commissione dell’Alto Patronato. – Al pomeriggio, presso la cappella delle Suore Missionarie Francescane di Gesù Crocifisso in Bari-Palese, celebra la S. Messa per il 60° anniversario dell’ordinazione sacerdotale di don Nicola Troccoli. 29 – Alla sera, presso la parrocchia S. Maria Maddalena in Bari, celebra la S. Messa per il 50° anniversario di ordinazione sacerdotale del parroco don Filippo Ciavarella.

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30 – Al mattino, nella cappella del Corpus Domini in Bari, celebra la S. Messa per la festa del Preziosissimo Sangue di Cristo. – Alla sera, presso la parrocchia S. Lorenzo in Valenzano, celebra la S. Messa e amministra il sacramento del Battesimo.

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l’Odegitria

Anno LXXXIX n. 3

Bollettino Diocesano

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Arcidiocesi di Bari - Bitonto • Largo S. Sabino, 7 • 70122 Bari Arcivescovado: Tel.: 080 5214166 Curia Metropolitana: Tel.: 080 5288111 Fax: 080 5244450 • 080 5288250 www.arcidiocesibaribitonto.it • e-mail: curia@odegitria.bari.it

Registrazione Tribunale di Bari n. 1272 del 26/03/1996 Spedizione in abbonamento postale comma 20/c art. 2 L. 662/96 Filiale di Bari

Maggio - Giugno 2013


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