Bollettino Diocesano Ottobre-Dicembre 2016

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BOLLETTINO DIOCESANO

l´Odegitria

Atti ufficiali e attività pastorali dell’Arcidiocesi di Bari-Bitonto


BOLLETTINO DIOCESANO

l´Odegitria Atti ufficiali e attività pastorali dell’Arcidiocesi di Bari-Bitonto Registrazione Tribunale di Bari n. 1272 del 26/03/1996 ANNO XCII - N. 4 - Ottobre - Novembre - dicembre 2016 Redazione e amministrazione: Curia Arcivescovile Bari-Bitonto P.zza Odegitria - 70122 Bari - Tel. 080/5288211 - Fax 080/5244450 www.arcidiocesibaribitonto.it - e.mail: curia@odegitria.bari.it Direttore responsabile: Giuseppe Sferra Direttore: Gabriella Roncali Redazione: Beppe Di Cagno, Luigi Di Nardi, Angelo Latrofa, Paola Loria, Franco Mastrandrea, Bernardino Simone, Francesco Sportelli Gestione editoriale e stampa: Ecumenica Editrice scrl - 70123 Bari - Tel. 080.5797843 - Fax 080.2170009 www.ecumenicaeditrice.it - info@ecumenicaeditrice.it


D OCUMENTI

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C HIESA USNIVERSALE OMMARIO

DOCUMENTI DELLA CHIESA UNIVERSALE MAGISTERO PONTIFICIO Discorso ai membri del Pontificio Istituto “Giovanni Paolo II” per gli studi sul matrimonio e la famiglia

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Messaggio per la LIV Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni: “Sospinti dallo Spirito per la missione”

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Discorso alla comunità del Pontificio Seminario Regionale Pugliese “Pio XI”

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DOCUMENTI DELLA CHIESA ITALIANA CONFERENZA EPISCOPALE PUGLIESE Consulta Regionale del laicato Il Convegno “I Laici in una Chiesa in uscita”: Relazione del prof. Giuseppe micunco

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DOCUMENTI E VITA DELLA CHIESA DI BARI-BITONTO Visita a Bari di S.S. il Patriarca Ecumenico Bartolomeo I, Arcivescovo di Costantinopoli-Nuova Roma: Laudatio dell’Arcivescovo Mons. Francesco Cacucci per il conferimento a S.S. il Patriarca Bartolomeo del premio “San Nicola” (Bari, Basilica di San Nicola, 5 dicembre 2016)

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Lectio magistralis di S.S. Bartolomeo I durante l’apertura dell’anno accademico 2016-2017 della Facoltà Teologica Pugliese: “Adriatico e Ionio, mari di comunione” (Bari, Basilica di San Nicola, 5 dicembre 2016)

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Omelia di S.S. Bartolomeo durante la celebrazione del Vespro per la consegna della chiesa del Sacro Cuore alla Comunità greco-ortodossa di Bari (Bari, 5 dicembre 2016)

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Intervento di S.S. Bartolomeo durante la visita al Pontificio Seminario Regionale Pugliese “Pio XI” (Molfetta, 6 dicembre 2016)

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Omelia dell’Arcivescovo nella S. Messa per la solennità di San Nicola, alla presenza di S.S. Bartolomeo (Basilica di San Nicola, 6 dicembre 2016)

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Intervento di S.S. Bartolomeo durante la S. Messa nella solennità di San Nicola (Bari, Basilica di San Nicola, 6 dicembre 2016)

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MAGISTERO E ATTI DELL’ARCIVESCOVO “Con il cuore di Dio. Famiglie in cammino”: Proposta per il cammino pastorale 2016-2017

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CURIA METROPOLITANA Cancelleria Sacre ordinazioni e decreti Uffici: Liturgico, Arte Sacra-Museo-Musica sacra Notti Sacre 2016

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CONSIGLI DIOCESANI Consiglio Pastorale Diocesano Verbale della riunione del 3 maggio 2016

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Consiglio Presbiterale Diocesano-Consiglio Pastorale Diocesano Giornata di discernimento e sinodalità “I giovani: la nostra profezia” Verbale della riunione congiunta del 2 giugno 2016 Relazione di don Michele Birardi

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ISTITUTO SUPERIORE DI SCIENZE RELIGIOSE “ODEGITRIA” Relazione del Direttore in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico 2016-2017 (Bari, 10 novembre 2016)

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AZIONE CATTOLICA ITALIANA Scuola Diocesana Unitaria di Azione Cattolica: “Essere famiglia oggi” ( (Bari, 7, 14 e 16 ottobre 2016)

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DIARIO DELL’ARCIVESCOVO 382

Ottobre 2016 Novembre 2016 Dicembre 2016

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INDICE GENERALE DELL’ANNATA

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D OCUMENTI

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C HIESA U NIVERSALE

MAGISTERO PONTIFICIO Discorso ai membri del Pontificio Istituto “Giovanni Paolo II” per gli studi sul matrimonio e la famiglia

Eccellenza Reverendissima, Monsignor Preside, gentili Professori, cari alunni, sono particolarmente lieto di inaugurare assieme a voi questo nuo-vo anno accademico del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II, il trentacinquesimo dalla sua fondazione. Ringrazio il Gran Cancelliere, Sua Eccellenza Mons. Vincenzo Paglia, e il Preside, Mons. Pierangelo Sequeri, per le loro parole, ed estendo la mia riconoscenza anche a tutti coloro che sono stati alla guida dell’Istituto. 1. La lungimirante intuizione di san Giovanni Paolo II, che ha fortemente voluto questa istituzione accademica, oggi può essere ancora meglio riconosciuta e apprezzata nella sua fecondità e attualità. Il suo sapiente discernimento dei segni dei tempi ha restituito con vigore all’attenzione della Chiesa, e della stessa società umana, la profondità e la delicatezza dei legami che vengono generati a partire dall’alleanza coniugale dell’uomo e della donna. Lo sviluppo che l’Istituto ha avuto nei cinque continenti conferma la validità e il senso della forma “cattolica” del suo programma. La vitalità di questo progetto, che ha generato una istituzione di così alto profilo, incoraggia a sviluppare ulteriori iniziative di colloquio e di

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scambio con tutte le istituzioni accademiche, anche appartenenti ad aree religiose e culturali diverse, che sono oggi impegnate a riflettere su questa delicatissima frontiera dell’umano.

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2. Nella congiuntura attuale, i legami coniugali e famigliari sono in molti modi messi alla prova. L’affermarsi di una cultura che esalta l’individualismo narcisista, una concezione della libertà sganciata dalla responsabilità per l’altro, la crescita dell’indifferenza verso il bene comune, l’imporsi di ideologie che aggrediscono direttamente il progetto famigliare, come pure la crescita della povertà che minaccia il futuro di tante famiglie, sono altrettante ragioni di crisi per la famiglia contemporanea. Ci sono poi le questioni aperte dallo sviluppo delle nuove tecnologie, che rendono possibili pratiche talvolta in conflitto con la vera dignità della vita umana. La complessità di questi nuovi orizzonti raccomanda un più stretto legame tra l’Istituto Giovanni Paolo II e la Pontificia Accademia per la Vita. Vi esorto a frequentare coraggiosamente queste nuove e delicate implicazioni con tutto il rigore necessario, senza cadere «nella tentazione di verniciarle, di profumarle, di aggiustarle un po’ e di addomesticarle» (Lettera al Gran Cancelliere della Pont. Università Cattolica Argentina, 3 marzo 2015). L’incertezza e il disorientamento che toccano gli affetti fondamentali della persona e della vita destabilizzano tutti i legami, quelli famigliari e quelli sociali, facendo prevalere sempre più l’“io” sul “noi”, l’individuo sulla società. È un esito che contraddice il disegno di Dio, il quale ha affidato il mondo e la storia all’ alleanza dell’uomo e della donna (Gen 1, 28-31). Questa alleanza – per sua stessa natura – implica cooperazione e rispetto, dedizione generosa e responsabilità condivisa, capacità di riconoscere la differenza come una ricchezza e una promessa, non come un motivo di soggezione e di prevaricazione. Il riconoscimento della dignità dell’uomo e della donna comporta una giusta valorizzazione del loro rapporto reciproco. Come possiamo conoscere a fondo l’umanità concreta di cui siamo fatti senza apprenderla attraverso questa differenza? E ciò avviene quando l’uomo e la donna si parlano e si interrogano, si vogliono bene e agiscono insieme, con reciproco rispetto e benevolenza. È impossibile negare l’apporto della cultura moderna alla riscoperta della dignità della differenza ses-


MAGISTERO PONTIFICIO suale. Per questo, è anche molto sconcertante constatare che ora questa cultura appaia come bloccata da una tendenza a cancellare la differenza invece che a risolvere i problemi che la mortificano. La famiglia è il grembo insostituibile della iniziazione all’alleanza creaturale dell’uomo e della donna. Questo vincolo, sostenuto dalla grazia di Dio Creatore e Salvatore, è destinato a realizzarsi nei molti modi del loro rapporto, che si riflettono nei diversi legami comunitari e sociali. La profonda correlazione tra le figure famigliari e le forme sociali di questa alleanza – nella religione e nell’etica, nel lavoro, nell’economia e nella politica, nella cura della vita e nel rapporto tra le generazioni – è ormai un’evidenza globale. In effetti, quando le cose vanno bene fra uomo e donna, anche il mondo e la storia vanno bene. In caso contrario, il mondo diventa inospitale e la storia si ferma. 3. La testimonianza della umanità e della bellezza dell’esperienza cristiana della famiglia dovrà dunque ispirarci ancora più a fondo. La Chiesa dispensa l’amore di Dio per la famiglia in vista della sua missione d’amore per tutte le famiglie del mondo. La Chiesa – che si riconosce come popolo famigliare – vede nella famiglia l’icona dell’alleanza di Dio con l’intera famiglia umana. E l’apostolo afferma che questo è un grande mistero, in riferimento a Cristo e alla Chiesa (cfr Ef 5,32). La carità della Chiesa ci impegna pertanto a sviluppare – sul piano dottrinale e pastorale – la nostra capacità di leggere e interpretare, per il nostro tempo, la verità e la bellezza del disegno creatore di Dio. L’irradiazione di questo progetto divino, nella complessità della condizione odierna, chiede una speciale intelligenza d’amore. E anche una forte dedizione evangelica, animata da grande compassione e misericordia per la vulnerabilità e la fallibilità dell’amore fra gli esseri umani. È necessario applicarsi con maggiore entusiasmo al riscatto – direi quasi alla riabilitazione – di questa straordinaria “invenzione” della creazione divina. Questo riscatto va preso sul serio, sia nel senso dottrinale che nel senso pratico, pastorale e testimoniale. Le dinamiche del rapporto fra Dio, l’uomo e la donna, e i loro figli, sono la chiave d’oro per capire il mondo e la storia, con tutto quello che

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contengono. E infine, per capire qualcosa di profondo che si trova nell’amore di Dio stesso. Riusciamo a pensare così “in grande”? Siamo convinti della potenza di vita che questo progetto di Dio porta nell’amore del mondo? Sappiamo strappare le nuove generazioni alla rassegnazione e riconquistarle all’audacia di questo progetto? Siamo certo ben consapevoli del fatto che anche questo tesoro noi lo portiamo “in vasi di creta” (cfr 2 Cor 4,7). La grazia esiste, come anche il peccato. Impariamo perciò a non rassegnarci al fallimento umano, ma sosteniamo il riscatto del disegno creatore ad ogni costo. È giusto infatti riconoscere che a volte «abbiamo presentato un ideale teologico del matrimonio troppo astratto, quasi artificiosamente costruito, lontano dalla situazione concreta e dalle effettive possibilità delle famiglie così come sono. Questa idealizzazione eccessiva, soprattutto quando non abbiamo risvegliato la fiducia nella grazia, non ha fatto sì che il matrimonio sia più desiderabile e attraente, ma tutto il contrario» (Esort. ap. postsin. Amoris laetitia, 36). La giustizia di Dio risplende nella fedeltà alla sua promessa. E questo splendore, come abbiamo imparato dalla rivelazione di Gesù, è la sua misericordia (cfr Rm 9,21-23).

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4. Il duplice appuntamento sinodale dei Vescovi del mondo, cum Petro e sub Petro, ha concordemente manifestato la necessità di ampliare la comprensione e la cura della Chiesa per questo mistero dell’amore umano in cui si fa strada l’amore di Dio per tutti. L’Esortazione apostolica Amoris laetitia fa tesoro di questo ampliamento e sollecita l’intero popolo di Dio a rendere più visibile ed efficace la dimensione famigliare della Chiesa. Le famiglie che compongono il popolo di Dio ed edificano il Corpo del Signore con il loro amore, sono chiamate ad essere più consapevoli del dono di grazia che esse stesse portano, e a diventare orgogliose di poterlo mettere a disposizione di tutti i poveri e gli abbandonati che disperano di poterlo trovare o ritrovare. Il tema pastorale odierno non è soltanto quello della “lontananza” di molti dall’ideale e dalla pratica della verità cristiana del matrimonio e della famiglia; più decisivo ancora diventa il tema della “vicinanza” della Chiesa: vicinanza alle nuove generazioni di sposi, perché la benedizione del loro legame li convinca sempre più e li accompagni, e vicinanza alle situazioni di debolezza


MAGISTERO PONTIFICIO umana, perché la grazia possa riscattarle, rianimarle e guarirle. L’indissolubile legame della Chiesa con i suoi figli è il segno più trasparente dell’amore fedele e misericordioso di Dio. 5. Il nuovo orizzonte di questo impegno vede certamente convocato, in un modo del tutto speciale, il vostro Istituto, che è chiamato a sostenere la necessaria apertura dell’intelligenza della fede al servizio della sollecitudine pastorale del Successore di Pietro. La fecondità di questo compito di approfondimento e di studio, in favore di tutta la Chiesa, è affidata allo slancio della vostra mente e del vostro cuore. Non dimentichiamo che «anche i buoni teologi, come i buoni pastori, odorano di popolo e di strada e, con la loro riflessione, versano olio e vino sulle ferite degli uomini» (3 marzo 2015). Teologia e pastorale vanno insieme. Una dottrina teologica che non si lascia orientare e plasmare dalla finalità evangelizzatrice e dalla cura pastorale della Chiesa è altrettanto impensabile di una pastorale della Chiesa che non sappia fare tesoro della rivelazione e della sua tradizione in vista di una migliore intelligenza e trasmissione della fede. Questo compito chiede di essere radicato nella letizia della fede e nell’umiltà di un gioioso servizio alla Chiesa. Della Chiesa che c’è, non di una Chiesa pensata a propria immagine e somiglianza. La Chiesa viva in cui viviamo, la Chiesa bella alla quale apparteniamo, la Chiesa dell’unico Signore e dell’unico Spirito alla quale ci consegniamo come «servi inutili» (Lc 17,10), che offrono i loro doni migliori. La Chiesa che amiamo, affinché tutti possano amarla. La Chiesa in cui ci sentiamo amati oltre i nostri meriti, e per la quale siamo pronti a fare sacrifici, in perfetta letizia. Dio ci accompagni in questo cammino di comunione che faremo insieme. E benedica sin d’ora la generosità con la quale vi accingete a seminare il solco che vi è affidato. Sala Clementina, 27 ottobre 2016 Francesco

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D OCUMENTI

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C HIESA U NIVERSALE

MAGISTERO PONTIFICIO Messaggio per la LIV Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni

Sospinti dallo Spirito per la missione

Cari fratelli e sorelle, negli anni scorsi, abbiamo avuto modo di riflettere su due aspetti che riguardano la vocazione cristiana: l’invito a “uscire da se stessi” per mettersi in ascolto della voce del Signore e l’importanza della comunità ecclesiale come luogo privilegiato in cui la chiamata di Dio nasce, si alimenta e si esprime. Ora, in occasione della 54a Giornata mondiale di preghiera per le vo-cazioni, vorrei soffermarmi sulla dimensione missionaria della chiamata cristiana. Chi si è lasciato attrarre dalla voce di Dio e si è messo alla sequela di Gesù scopre ben presto, dentro di sé, l’insopprimibile desiderio di portare la Buona Notizia ai fratelli, attraverso l’evangelizzazione e il servizio nella carità. Tutti i cristiani sono costituiti missionari del Vangelo! Il discepolo, infatti, non riceve il dono dell’amore di Dio per una consolazione privata; non è chiamato a portare sé stesso né a curare gli interessi di un’azienda; egli è semplicemente toccato e trasformato dalla gioia di sentirsi amato da Dio e non può trattenere questa esperienza solo per sé: «La gioia del Vangelo che riempie la vita della comunità dei discepoli è una gioia missionaria» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 21). L’impegno missionario, perciò, non è qualcosa che si va ad aggiungere alla vita cristiana, come fosse un ornamento, ma, al contrario, è situato nel cuore della fede stessa: la relazione con il Signore implica l’essere mandati nel mondo come profeti della sua parola e testimoni del suo amore.

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Se anche sperimentiamo in noi molte fragilità e possiamo talvolta sentirci scoraggiati, dobbiamo alzare il capo verso Dio, senza farci schiacciare dal senso di inadeguatezza o cedere al pessimismo, che ci rende passivi spettatori di una vita stanca e abitudinaria. Non c’è posto per il timore: è Dio stesso che viene a purificare le nostre “labbra impure”, rendendoci idonei per la missione: «È scomparsa la tua iniquità e il tuo peccato è espiato. Poi io udii la voce del Signore che diceva: “Chi manderò e chi andrà per noi?”. E io risposi: “Eccomi, manda me!”» (Is 6,6-8). Ogni discepolo missionario sente nel cuore questa voce divina che lo invita a “passare” in mezzo alla gente, come Gesù, «sanando e beneficando» tutti (cfr At 10,38). Ho già avuto modo di ricordare, infatti, che in virtù del Battesimo, ogni cristiano è un “cristoforo”, cioè “uno che porta Cristo” ai fratelli (cfr Catechesi, 30 gennaio 2016). Ciò vale in modo particolare per coloro che sono chiamati a una vita di speciale consacrazione e anche per i sacerdoti, che generosamente hanno risposto “eccomi, Signore, manda me!”. Con rinnovato entusiasmo missionario, essi sono chiamati ad uscire dai sacri recinti del tempio, per permettere alla tenerezza di Dio di straripare a favore degli uomini (cfr Omelia nella Santa Messa del Crisma, 24 marzo 2016). La Chiesa ha bisogno di sacerdoti così: fiduciosi e sereni per aver scoperto il vero tesoro, ansiosi di andare a farlo conoscere con gioia a tutti! (cfr Mt 13,44). Certamente, non poche sono le domande che sorgono quando parliamo della missione cristiana: – che cosa significa essere missionario del Vangelo? Chi ci dona la forza e il coraggio dell’annuncio? – Qual è la logica evangelica a cui si ispira la missione? A questi interrogativi possiamo rispondere contemplando tre scene evangeliche: l’inizio della missione di Gesù nella sinagoga di Nazareth (cfr Lc 4,16-30); il cammino che Egli fa da Risorto accanto ai discepoli di Emmaus (cfr Lc 24,13-35); e infine la parabola del seme (cfr Mc 4,26-27). Gesù è unto dallo Spirito e mandato. Essere discepolo missionario significa partecipare attivamente alla missione del Cristo, che Gesù stesso descrive nella sinagoga di Nazareth: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri


MAGISTERO PONTIFICIO la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore» (Lc 4,18-19). Questa è anche la nostra missione: essere unti dallo Spirito e andare verso i fratelli ad annunciare la Parola, diventando per essi uno strumento di salvezza. Gesù si affianca al nostro cammino. Dinanzi alle domande che emergono dal cuore dell’uomo e alle sfide che si levano dalla realtà, possiamo provare una sensazione di smarrimento e avvertire un deficit di energie e di speranza. C’è il rischio che la missione cristiana appaia come una mera utopia irrealizzabile o, comunque, una realtà che supera le nostre forze. Ma se contempliamo Gesù Ri-sorto, che cammina accanto ai discepoli di Emmaus (cfr Lc 24,13-15), la nostra fiducia può essere ravvivata; in questa scena evangelica, abbiamo una vera e propria “liturgia della strada”, che precede quella della Parola e del Pane spezzato e ci comunica che, in ogni nostro passo, Gesù è accanto a noi! I due discepoli, feriti dallo scandalo della Croce, stanno ritornando a casa percorrendo la via della sconfitta: portano nel cuore una speranza infranta e un sogno che non si è realizzato. In loro la tristezza ha preso il posto della gioia del Vangelo. Che cosa fa Gesù? Non li giudica, percorre la loro stessa strada e, invece di innalzare un muro, apre una nuova breccia. Lentamente trasforma il loro scoraggiamento, fa ardere il loro cuore e apre i loro occhi, annunciando la Parola e spezzando il Pane. Allo stesso modo, il cristiano non porta da solo l’impegno della missione, ma sperimenta, anche nelle fatiche e nelle incomprensioni, «che Gesù cammina con lui, parla con lui, respira con lui, lavora con lui. Sente Gesù vivo insieme con lui nel mezzo dell’impegno missionario» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 266). Gesù fa germogliare il seme. Infine, è importante imparare dal Vangelo lo stile dell’annuncio. Non di rado, infatti, anche con le migliori intenzioni, può succedere di indulgere a una certa smania di potere, al proselitismo o al fanatismo intollerante. Il Vangelo, invece, ci invita a rifiutare l’idolatria del successo e della potenza, la preoccupazione eccessiva per le strutture, e una certa ansia che risponde più a uno spirito di conquista che a quello del servizio. Il seme del Regno, benché piccolo, invisibile e talvolta insignificante, cresce silenziosamente grazie all’opera incessante di Dio: «Così è il regno di Dio: come un

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uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa» (Mc 4,2627). Questa è la nostra prima fiducia: Dio supera le nostre aspettative e ci sorprende con la sua generosità, facendo germogliare i frutti del nostro lavoro oltre i calcoli dell’efficienza umana. Con questa fiducia evangelica ci apriamo all’azione silenziosa dello Spirito, che è il fondamento della missione. Non potrà mai esserci né pastorale vocazionale, né missione cristiana senza la preghiera assidua e contemplativa. In tal senso, occorre alimentare la vita cristiana con l’ascolto della Parola di Dio e, soprattutto, curare la relazione personale con il Signore nell’adorazione eucaristica, “luogo” privilegiato di incontro con Dio. È questa intima amicizia con il Signore che desidero vivamente incoraggiare, soprattutto per implorare dall’alto nuove vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata. Il Popolo di Dio ha bisogno di essere guidato da pastori che spendono la loro vita a servizio del Vangelo. Perciò, chiedo alle comunità parrocchiali, alle associazioni e ai numerosi gruppi di preghiera presenti nella Chiesa: contro la tentazione dello scoraggiamento, continuate a pregare il Signore perché mandi operai nella sua messe e ci dia sacerdoti innamorati del Vangelo, capaci di farsi prossimi con i fratelli ed essere, così, segno vivo dell’amore misericordioso di Dio. Cari fratelli e sorelle, ancora oggi possiamo ritrovare l’ardore dell’annuncio e proporre, soprattutto ai giovani, la sequela di Cristo. Dinanzi alla diffusa sensazione di una fede stanca o ridotta a meri “doveri da compiere”, i nostri giovani hanno il desiderio di scoprire il fascino sempre attuale della figura di Gesù, di lasciarsi interrogare e provocare dalle sue parole e dai suoi gesti e, infine, di sognare, grazie a Lui, una vita pienamente umana, lieta di spendersi nell’amore. Maria Santissima, Madre del nostro Salvatore, ha avuto il coraggio di abbracciare questo sogno di Dio, mettendo la sua giovinezza e il suo entusiasmo nelle sue mani. La sua intercessione ci ottenga la stessa apertura di cuore, la prontezza nel proferire il nostro “Eccomi” alla chiamata del Signore e la gioia di metterci in viaggio (cfr Lc 1,39), come Lei, per annunciarlo al mondo intero. Dal Vaticano, 27 novembre 2016, I Domenica di Avvento Francesco


D OCUMENTI

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C HIESA U NIVERSALE

MAGISTERO PONTIFICIO Discorso alla comunità del Pontificio Seminario Regionale Pugliese “Pio XI”

Grazie tante, per le parole e anche per i sentimenti*. Grazie! Non sono state parole fredde e questo fa piacere, quando c’è il calore del fratello che parla, e non ha paura di sembrare forse un po’ ridicolo, ma dice quello che sente. E questo fa bene. E così io non posso rispondere freddamente. Il discorso “freddo” preparato vi sarà consegnato. E io dirò quello che mi verrà spontaneamente. Per me Molfetta è una parola che ha tante risonanze, tante. E mi riporta a una donna, una suora, una grande donna, che ha lavorato tanto nei seminari, anche in Argentina, vicina alla nostra casa di formazione: suor Bernadetta, era delle vostre parti. Quando io, come maestro dei novizi e anche come superiore provinciale, avevo qualche problema con qualcuno, lo mandavo a parlare con lei. E lei, due “schiaffi spirituali”, e la cosa si sistemava. Quella saggezza delle donne di Dio, delle mamme. È una grazia crescere nella vocazione sacerdotale avendo vicino queste donne, queste mamme, che sanno dire le cose che il Signore vuole che siano dette. Lei poi è stata trasferita a Roma, e io sempre quando venivo la andavo a trovare. Ricordo che l’ultima volta che l’ho vista le ho telefonato, e lei: “Prima di andarsene, venga un’altra volta” – “Ma perché?” – “Voglio che mi

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Discorso pronunciato a braccio dal Santo Padre.

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dia la santa Unzione [degli infermi], perché non ci vedremo più”. Quel senso della donna, 85 anni già… E un giorno di Tutti i Santi le ho dato l’Unzione dei malati e lei se n’è andata a metà dicembre. Questo lo voglio dire per rendere omaggio a questa donna e a tante come lei, che consacrano la vita al Signore e sono vicine all’apostolato dei preti, sono vicine alla formazione dei preti nei seminari; hanno quella saggezza, quella saggezza delle mamme; sanno dire quello che il Signore vuole che sia detto. E per me è un dovere fare il nome di suor Bernadetta oggi. E ringrazio la vostra terra per averci dato una donna così. Poi, il vostro è un seminario, e un seminario forma i sacerdoti. I sacerdoti che, alle volte, hanno problemi, sbagliano… Quando vengono gli scandali dei sacerdoti siamo abituati a sentirli! La stampa le compra bene quelle notizie, paga bene quelle notizie. Perché è così, la regola dello scandalo ha una quota alta nella borsa dei media! Come formare un sacerdote affinché nella sua vita non ci sia un fallimento, non crolli? Ma solo questo? No, di più! Perché la sua vita sia feconda. Sì, feconda! Non solo che sia un buon prete che segue tutte le regole. No, no. Che dia vita agli altri! Che sia padre di una comunità. Un sacerdote che non è padre non serve. “Vai, fatti monaco, lì…”; ma anche un monaco che non è padre non serve. La paternità della vocazione pastorale: dare vita, far crescere la vita; non trascurare la vita di una comunità. E farlo con coraggio, con forza, con tenerezza. E voi – 180 ha detto? – siete entrati in questa strada per diventare padri delle comunità. Qui, in Italia, avete il vantaggio di avere una storia di parroci bravi, bravi, bravi, che ci danno l’esempio di come andare avanti. Guardate i vostri padri nella fede, guardate i vostri padri, e chiedete al Signore la grazia della memoria, la memoria ecclesiale. “La storia della salvezza non è incominciata con me” – ognuno deve dirsi. “La mia chiesa ha tutta una tradizione, una lunga tradizione di sacerdoti bravi”: prendere questa tradizione e portarla avanti. E non finirà con te. Cerca di lasciare l’eredità a chi prenderà il tuo posto. Padri che ricevono la paternità degli altri e la danno ad altri. È bello essere sacerdote così. Una volta ho trovato un parroco di un paese piccolo, un bravo parroco: “Tu cosa fai?” – “Io conosco il nome di ognuno dei miei parrocchiani, della gente” – “Dimmi, ogni persona?” – “Tutti! Anche il nome dei cani!”. Era vicino alla gente.


MAGISTERO PONTIFICIO E qui arriviamo a un’altra parola che vorrei dire a voi seminaristi: “vicinanza”. Non si può essere sacerdote col distacco dal popolo. Vicinanza al popolo. E quello che ci ha dato l’esempio più grande di vicinanza è stato il Signore, non è vero? Con la sua synkatabasis si è fatto vicino, vicino, vicino fino a prendere la nostra carne. Vicinanza! Un sacerdote che si distacca dal popolo non è capace di dare il messaggio di Gesù. Non è capace di dare le carezze di Gesù alla gente; non è capace – e prendo l’immagine tua [si rivolge al Rettore che ha parlato prima]– di mettere il piede perché non si chiuda la porta [si riferisce a un’immagine citata dal Rettore, in cui il piede di Gesù impedisce che si chiuda la Porta della Misericordia]. Vicinanza alla gente. E vicinanza vuol dire pazienza; vuol dire bruciare [consumare] la vita, perché – diciamo la verità – il santo Popolo di Dio stanca, stanca! Ma che cosa bella è trovare un sacerdote che finisce la giornata stanco e che non ha bisogno delle pastiglie per addormentarsi bene! Quella stanchezza sana del lavoro, del dare vita agli altri, continuamente al servizio degli altri. Quando incomincerete: “Io adesso vorrei un’altra cosa… Ho la parrocchia, ma io vorrei fare scuola là…”. Ma perché vuoi la scuola? Per i soldi? Hai paura della povertà? Senti, se hai paura della povertà, la tua vocazione è in pericolo! Perché la povertà sarà quello che farà crescere la tua donazione al Signore e sarà quella – la povertà – che farà da muro per custodirti, perché la povertà nella vita consacrata, nella vita dei sacerdoti, è madre e muro. È madre e muro: dà vita e custodisce. Un sacerdote vicino alla gente, vicino ai problemi della gente. Quella parola, “vicinanza”. Quando tu trovi un sacerdote che si allontana dalla gente, che cerca altre cose – sì, viene, dice la Messa e poi se ne va, perché ha altri interessi rispetto al popolo fedele a lui affidato – questo fa male alla Chiesa. Vicinanza! Come Gesù è stato vicino a noi. Non c’è un’altra strada: è la strada dell’Incarnazione. Le proposte gnostiche sono tante oggi, e uno può essere un buon sacerdote, ma non cattolico, gnostico, ma non cattolico. No, no! Cattolico, incarnato, vicino, che sa accarezzare e soffrire con la carne di Gesù negli ammalati, nei bambini, nella gente, nei problemi, nei tanti problemi che ha la nostra gente. Questa vicinanza vi aiuterà tanto, tanto, tanto!

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Per essere vicini come Gesù, per saper “mettere il piede” come Gesù che evita che si chiuda la porta [della Misericordia. Si riferisce alla medesima immagine di prima], è necessario conoscere Gesù. Ma io domanderei: quanto tempo voi state seduti davanti al Tabernacolo, ogni giorno? Una delle domande che io facevo sempre ai sacerdoti, anche bravi, a tutti, era: tu, alla sera, come vai a letto? E loro non capivano: “Ma cosa mi domanda?” – “Sì, sì! Come vai a riposarti? Cosa fai?” – “Oh sì, torno stanco. Prendo due bocconi e poi me ne vado a letto… Guardo la televisione… Mi riposo un po’…” - “Ah, bello. Ma tu non saluti ‘Quello’ che ti ha inviato alla gente? Almeno passare un attimino dal Tabernacolo” – “Ah sì, è vero! Ma mi addormento…”. Benedetto il Signore! Cosa c’è di più bello che addormentarsi davanti al Signore? A me succede… Questo non è peccato, non è peccato. Anche santa Teresa di Gesù Bambino ci insegna a fare questo. Per favore, non lasciate il Signore! Non lasciare solo il Signore nel Tabernacolo! Voi avete bisogno di Lui. “Ma non mi dice niente! Mi addormento…”. Addormentati. Ma è Lui che ti invia, è Lui che ti dà la forza. La preghiera personale con il Signore, perché tu devi essere per la tua gente come Gesù. “Ah, ma io non pensavo, quando sono entrato in seminario, che questa sarebbe stata la strada… Io pensavo ad essere prete… Ho pensato di fare tante cose belle…”. E questo è importante, ma più importante è incontrare Gesù, e partendo da Gesù fare tutto il resto. Perché la Chiesa non è una ong, e la pastorale non è un piano pastorale. Questo aiuta, è uno strumento; ma la pastorale è il dialogo, il colloquio continuo – sia sacramentale, sia catechetico, sia di insegnamento – con la gente. Stare vicino alla gente e dare quello che Gesù mi dice. E la pastorale chi la porta avanti? Il Consiglio pastorale della diocesi? No. Anche questo è uno strumento. La porta avanti lo Spirito Santo. “E dimmi, com’è il tuo rapporto con lo Spirito Santo?” – “Ah, c’è uno Spirito Santo?”. Quella domanda che ha fatto san Paolo [ai discepoli di Efeso], e quella risposta, è sempre attuale (cfr At 19,2). Tutti diciamo il Gloria al Padre, tutti diciamo “Credo nello Spirito Santo”; ma, nella tua vita, come entra lo Spirito Santo? Tu sai distinguere le ispirazioni dello Spirito nel tuo cuore? “Ma, Padre, questo è per i mistici”. No, è per tutti noi! Quando lo Spirito ci porta a fare una cosa e quando l’altro spirito, quello cattivo, ci porta a fare un’altra cosa, sai distinguere l’uno dall’altro? O la tua vita si regge soltanto su “ho voglia di…”? Lo Spirito


MAGISTERO PONTIFICIO Santo. La docilità allo Spirito. Una cosa a cui dobbiamo pensare tanto nella nostra vita pastorale: la docilità allo Spirito. Voi, in seminario, dovete studiare, imparare a crescere nella preghiera, conoscere la vita spirituale. Poi, in seminario, siete tanti, e la vita comunitaria è importante. E poi studiate. Quattro pilastri: la vita spirituale, la preghiera; la vita comunitaria con i compagni; la vita di studio, perché dobbiamo studiare: il mondo non tollera la figuraccia di un sacerdote che non capisca le cose, che non abbia un metodo per capire le cose e che non sappia dire le cose di Dio con fondamento; e quarto: la vita apostolica; voi il fine settimana andate in parrocchia e fate questa esperienza. Questi quattro pilastri, che siano sempre presenti. “Ma qual è più importante?”. Tutti e quattro sono importanti. Se ne manca uno, la formazione non è equilibrata. Tutti e quattro. E voi, superiori e formatori, dovete aiutare affinché questo accada, che sia così. L’equilibrio di questi quattro pilastri non va trascurato. E tornando allo Spirito Santo, vorrei sottolineare una virtù, una virtù che è tanto importante e necessaria nel sacerdote: lo zelo apostolico. E per avere questo bisogna aprirsi allo Spirito Santo: sarà Lui a darvi lo zelo apostolico. Bisogna chiederlo! Lo zelo discreto, ma lo zelo apostolico. Io potrei continuare a parlarvi, ma credo che sia sufficiente così. Ho incominciato con una suora, voglio finire con un sacerdote. Ho iniziato con l’icona di quella suora che per me è stata un esempio di docilità allo Spirito Santo, di amore a Gesù e di amore alla carne di Cristo concreta. E voglio finire con una icona, una icona senza una persona, ma che io ho visto da ragazzo tante volte: il telefono – perché non c’era la segreteria telefonica, non c’erano i telefonini – il telefono sul comodino del parroco. Questi bravi preti, che si alzano a qualsiasi ora della notte per andare da un malato, a dare i sacramenti. “Ma io devo riposarmi… Il Signore salva tutti… Stacco il telefono”. Questo [la disponibilità] è lo zelo apostolico, questo è sciogliere [consumare] la vita al servizio degli altri. E alla fine cosa ti resta? Cosa? La gioia del servizio del Signore! Pensate alla suora e pensate al telefono sul comodino; pensate alla

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gente; pensate al Tabernacolo; pensate ai quattro pilastri. Tante cose da pensare… E pensate anche ai vescovi, ai vostri padri: se tu hai qualcosa contro di lui, oggi o domani, il primo che deve sapere questo è lui, e non gli altri nelle chiacchiere. Voi non chiacchierate mai, siate maschi bravi, che non chiacchierano… Grazie tante! È l’ora dell’Angelus. Possiamo pregare insieme.

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Cari fratelli vescovi e sacerdoti, Cari seminaristi*, vi incontro con gioia e saluto tutti voi che formate la comunità del Pontificio Seminario Regionale Pugliese Pio XI, accompagnati dai vescovi della Regione. Ringrazio il Rettore per le sue cortesi parole, e saluto in modo speciale voi, cari seminaristi, che, grazie a Dio, siete numerosi. Vorrei riprendere brevemente con voi quanto ho detto durante l’Assemblea dei vescovi italiani nella primavera scorsa sull’identità e il ministero dei presbiteri. In quella occasione ho descritto il ministero di un presbitero attraverso una triplice appartenenza: al Signore, alla Chiesa, al Regno. Una tale appartenenza, naturalmente, non si improvvisa, né nasce dopo l’ordinazione se prima – appunto negli anni del Seminario – essa non è stata coltivata, custodita, fatta crescere con attenzione e senso di responsabilità. Ecco perché oggi vorrei approfittare della vostra visita per riprendere quella riflessione, che reputo importante anche per dei giovani seminaristi che si stanno preparando a diventare preti. Innanzitutto, la parola “appartenenza” porta in sé l’idea di sentirsi parte di un tutto. Solo se ci sentiamo parte di Cristo, della Chiesa e del Regno, cammineremo bene negli anni del Seminario. Per cogliere il tutto bisogna alzare lo sguardo, smetterla di pensare che io sia il tutto della mia vita. Il primo ostacolo da superare è dunque il narcisismo. È la tentazione più pericolosa. Non tutto inizia e finisce con me, posso e devo guardare oltre me stesso, fino ad accorgermi della bellezza e della profondità del mistero che mi circonda, della vita che mi supera, della fede in Dio che sostiene ogni cosa e ogni persona, anche me. *

Discorso preparato dal Santo Padre.


MAGISTERO PONTIFICIO Come potrò accorgermi di Cristo, se guardo solo a me stesso? Come riuscirò a gustare la bellezza della Chiesa, se la mia unica preoccupazione è salvarmi, risparmiarmi, uscire indenne da ogni circostanza? Come potrò entusiasmarmi nell’avventura della costruzione del Regno di Dio, se ogni entusiasmo è frenato dalla paura di perdere qualcosa di me? In questo tempo liturgico di Avvento, che fa risuonare forte l’invito del Signore alla vigilanza, siamo invitati a vigilare sul rischio reale di essere narcisisti, perché senza questa vigilanza nessun cammino vocazionale è realmente possibile. Appartenere, poi, significa anche saper entrare in relazione. Occorre prepararsi ad essere anzitutto uomini di relazione. Con Cristo, con i fratelli con cui condividiamo il ministero e la fede, con tutte le persone che incontriamo nella vita. E a saper vivere bene le relazioni si inizia in seminario! Non si può pensare di camminare verso il sacerdozio senza avere preso questa decisione nel cuore: voglio essere un uomo di relazione. Sia questa la prima attenzione in questi anni, la prima meta formativa. Posso verificare realmente, man mano che passano gli anni e l’ordinazione si avvicina, se sto progredendo su questa dimensione: se la mia capacità relazionale sta crescendo, sta maturando. La costruzione della comunità, che un giorno dovrete guidare come sacerdoti, inizia nella vita di tutti i giorni in seminario, sia tra di voi, sia con le persone che incontrate nel vostro cammino. Non sentitevi diversi dai vostri coetanei, non ritenete di essere migliori degli altri giovani, imparate a stare con tutti, non abbiate paura di sporcarvi le mani. Se domani sarete preti che vivono in mezzo al popolo santo di Dio, oggi iniziate ad essere giovani che sanno stare con tutti, che sanno imparare qualcosa da ogni persona che incontrano, con umiltà e intelligenza. E alla base di tutte le relazioni ci sia la relazione con Cristo: man mano che lo conoscete, che lo ascoltate, che vi legate a Lui nella fiducia e nell’amore, fate vostro il suo amore, mettetelo nei rapporti con gli altri, diventate “canali” del suo amore attraverso la vostra maturità relazionale. Il luogo in cui cresce la relazione con Cristo è la preghiera, e il frutto più maturo della preghiera è sempre la carità. Infine, l’appartenenza va confrontata col suo opposto, che è l’e-

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sclusione, lo scarto. Chi cresce nell’appartenenza a Cristo e scopre in Lui uno sguardo che si rivolge a tutti, come può nel suo stile di vita essere un uomo che esclude? Iniziate dalla vita comune che fate in seminario: c’è qualcuno che è escluso? Che rimane ai margini? La vostra appartenenza a Cristo vi chiede di andargli incontro, di portarlo al centro, di aiutarlo a sentirsi anche lui parte della comunità. Man mano che crescete nel senso di appartenenza alla Chiesa e assaporate la bellezza della fraternità, sappiate chiedere a voi stessi di compiere la fatica del perdono, nelle piccole come nelle grandi cose. Se nulla nella vita ci esclude dallo sguardo misericordioso del Signore, perché mai dovrebbe allora essere il nostro sguardo ad escludere qualcuno? So che siete un Seminario grande, visitato dalla grazia del Signore con tante vocazioni. Questa abbondanza è anche una responsabilità. Occorre stare attenti alla qualità del cammino formativo, i numeri non bastano. Per questo, perché possiate sempre camminare in una buona qualità formativa, vi assicuro la mia preghiera, ringraziandovi per la vostra visita. E anche voi, per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Roma, Sala Clementina, 10 dicembre 2016

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D OCUMENTI

DELLA

C HIESA I TALIANA

CONFERENZA EPISCOPALE PUGLIESE Consulta Regionale del laicato

Il Convegno “I laici in una Chiesa in uscita”

Promosso dalla Consulta Regionale del Laicato della Conferenza Episcopale Pugliese, si è tenuto a Bari, presso l’aula Mons. Mariano Magrassi, l’1 ottobre 2016, il Convegno regionale delle Aggregazioni laicali. Al Convegno, presieduto da S.E. mons. Vito Angiuli, vescovo di Ugento-S. Maria di Leuca, Presidente CEI e CEP della Commissione Episcopale per il laicato, e coordinato dal sig. Pino Piscopo, Segretario regionale della Consulta per il laicato della Chiesa pugliese, era presente una larghissima rappresentanza delle Consulte diocesane delle Aggregazioni Laicali provenienti da tutta la Puglia. Il tema del Convegno, “I laici in una Chiesa in uscita”, è stato introdotto dal prof. Giuseppe Micunco, Direttore dell’Ufficio Laicato dell’Arcidiocesi di Bari-Bitonto (riportiamo in allegato il testo dell’intervento), che, rifacendosi soprattutto al magistero di papa Francesco, ha proposto alcune linee per rilanciare l’impegno dei laici al servizio della Chiesa e della società. Sono seguite due testimonianze. La prima del dott. Giuseppe Gabrielli della Comunità di Sant’Egidio di Bari, su “Accoglienza ai fratelli extracomunitari”, ha presentato, alla luce di alcune considerazioni del fondatore della Comunità prof. Andrea Riccardi, le iniziative promosse dalla Comunità stessa sia a livello nazionale, quella soprattutto dei corridoi umanitari, che locale, quella della mensa e dell’assistenza agli extracomunitari presenti nella nostra città.

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La seconda testimonianza è stata presentata da S.E. mons. Filippo Santoro, Arcivescovo di Taranto, presidente CEI e CEP della Commissione Episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace, che, riprendendo soprattutto l’Enciclica Laudato si’ di papa Francesco, si è soffermato in modo particolare sulla situazione dell’ILVA di Taranto, insistendo sulla dignità del lavoro e sul diritto di tutti a vivere di esso, nella salvaguardia anche della salute dell’uomo e della bellezza e della bontà del creato. È seguito un ricco e interessante dibattito, moderato dal Segretario Pino Piscopo. Ha quindi preso la parola mons. Angiuli, rispondendo ad alcune richieste di chiarimento, rallegrandosi per la partecipazione di tanti delegati e invitando a mantenere i contatti per successivi impegni. Un momento di preghiera ha concluso il Convegno. Il segretario CRAL Pino Piscopo

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Il direttore Ufficio Laicato dell’Arcidiocesi Bari-Bitonto Giuseppe Micunco


CONFERENZA EPISCOPALE PUGLIESE

I laici in una Chiesa in uscita

1. La Chiesa in uscita A volte, a considerare le nostre comunità, i cristiani che ne fanno parte, mi ricordo di zi’ Dima Licasi, il protagonista de La giara di Pirandello, che, per riparare la giara si chiuse lui stesso, senza rendersi conto delle conseguenze, al suo interno e poi non voleva più uscirne: uscirne gli sarebbe costato caro, il prezzo della giara da risarcire al proprietario; tanto valeva starci dentro; ma nemmeno il proprietario voleva essere lui a romperla, altrimenti ci avrebbe rimesso lui… Era la logica borghese di fine Ottocento, primo Novecento: sistemati e tranquilli, primo problema i soldi. Poi le due guerre mondiali, l’esistenzialismo, e il bisogno di ‘uscire’ dal ‘sistema’: Sulla strada e I vagabondi del Dharma (cioè della verità) di Jack Kerouac, e Siddharta di Hermann Hesse, e la beat generation e i Beatles, e Giovanni XXIII e il Concilio: tutti fuori. Ci diceva p. Balducci: non più una Chiesa alla finestra, ma che esce per strada… Ma poi il ‘riflusso’, anche nella comunità cristiana (nella giara si sta bene…), nonostante la Populorum progressio di Paolo VI, e san Giovanni Paolo II («spalancate le porte a Cristo») e Benedetto XVI (Deus caritas est, Sacramentum caritatis, Caritas in veritate…), questo anche per via della crisi... E adesso papa Francesco: “uscite”… Che è poi l’invito di tutta la Scrittura. Parto da un testo del Cantico dei cantici: Uscite figlie di Sion, guardate il re Salomone con la corona che gli pose sua madre, nel giorno delle sue nozze, nel giorno della gioia del suo cuore (Ct 3, 11).

È l’invito che il Signore, lo Sposo, fa alla sposa, alla Chiesa, alla comunità cristiana, a ‘uscire’ da Gerusalemme, dalla ‘città della

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pace’, dalla pace vissuta nella liturgia, ma anche dalla pace come la dà il mondo, e che spesso ci va bene anche nella chiesa, per guardare al ‘Re della pace’, alla pace come la dà lui, che «non è venuto a portare la pace ma la spada» (cfr Mt 10, 34). E ancora il Cantico dice: Ecco, la lettiga di Salomone: sessanta prodi le stanno intorno, tra i più valorosi d’Israele. Tutti sanno maneggiare la spada, sono esperti nella guerra; ognuno porta la spada al fianco contro i pericoli della notte (Ct 3, 7-8).

Diceva don Tonino Bello che al congedo dalla celebrazione liturgica bisognerebbe dire: “la pace è finita, andate a messa”, cioè ‘in missione’ nel mondo: «Se dall’Eucaristia non si scatena una forza prorompente che cambia il mondo, capace di dare a noi credenti l’audacia dello Spirito Santo, la voglia di scoprire l’inedito che c’è ancora nella nostra realtà umana, ...è inutile celebrare l’Eucaristia… Questo è l’inedito nostro: la piazza. Lì ci dovrebbe sbattere il Signore, con una audacia nuova, con un coraggio nuovo. Ci dovrebbe portare là dove la gente soffre oggi... La Messa ci dovrebbe scaraventare fuori. Anziché dire la Messa è finita, andate in pace, dovremmo poter dire: la pace è finita, andate a Messa. Ché se vai a Messa finisce la tua pace» (Affliggere i consolati - Lo scandalo dell’Eucaristia, Edizioni La Meridiana, Molfetta 1997).

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Il re, abbiamo sentito, porta «la corona che gli pose sua madre nel giorno delle sue nozze». La ‘corona’ è quella umanità che gli ha donato la Madre Maria nel giorno della sua incarnazione, giorno delle nozze tra Dio e l’umanità, e il suo popolo, e la Chiesa. Ma è anche la corona di spine dei dolori, delle sofferenze dell’umanità: sposando l’uomo, Dio ha sposato anche le sue sofferenze. È la lettura dei Padri. Benedetto da Bari, un santo monaco barese, vissuto nell’abbazia benedettina di Cava dei Tirreni, nel 1200, nella sua opera intitolata I sette sigilli così spiega (capp. 236-238):


CONFERENZA EPISCOPALE PUGLIESE Sta scritto: «Vedete Salomone col diadema con cui lo coronò sua madre» (Ct 3, 11), cioè “vedete Dio nella sua umanità, che, da lui assunta dalla vergine madre, egli collocò alla destra della maestà del Padre”. Sua madre lo coronò, quando la vergine, concependo dallo Spirito Santo, offrì dalla sua carne la materia a quella sacrosanta carne, con la quale, apparendo nel mondo, distrusse in noi, morendo, il regno della morte e ci restituì, risorgendo, la vita. […] Perciò l’apostolo dice: «Vediamo Gesù per la morte che ha patito coronato di gloria e di onore, ecc.» (Eb 2, 9), «nel giorno delle sue nozze e della letizia del suo cuore» (Ct 3,11), nel tempo cioè dell’incarnazione, perché per unire a sé la Chiesa, dall’utero della Vergine «uscì come lo sposo dal talamo suo» (Sal 18, 6), ed era il giorno della letizia del suo cuore, in cui il mondo si allietava per il fatto che, per il dono della sua incarnazione, doveva essere condotto alla conoscenza e alla visione della divinità eterna. Perciò lui dice: «Rallegratevi con me perché ho ritrovato la mia pecora che si era perduta» (Lc 15, 7). …

Ma poi anche: Uscite, […] e vedete con attenta contemplazione «colui che vi ha chiamato nella sua ammirabile luce» (1 Pt 2, 9), il re grande, il re di pace, con la corona di spine, che è ornamento di carità, di grande misericordia, [...] Perciò è in considerazione di un così grande dolore che il profeta, in persona di Cristo, invita tutti quelli che passano per via, dicendo: «O voi tutti che passate per via, guardate e vedete se c’è un dolore simile al mio» (Lam 1, 12). Via è la vita presente, per la quale tendiamo verso la patria, per la quale passiamo insieme a questo mondo che passa…

Se usciamo dall’indifferenza (il papa ripete spesso che è il contrario della misericordia, come nella parabola del buon Samaritano, come nella storia di Lazzaro e del ricco epulone) lo vediamo questo dolore: la guerra (la ‘terza guerra mondiale a pezzetti’, come dice papa Francesco) e Aleppo devastata, tanti profughi e tanti morti nel nostro

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mare, tanti martiri cristiani (di recente tre sacerdoti in Messico), tanti poveri, tanti giovani disoccupati, le ferite nel matrimonio e nella famiglia, le ferite dell’ambiente. Ha detto il card. Bagnasco lunedì scorso (26 settembre 2016) al Consiglio permanente della CEI: Ci spiace dover ripetere alcune cose, ma – in quanto Pastori che vivono in mezzo al loro popolo – abbiamo l’obbligo di dar voce a chi non ha voce o ne ha troppo poca. Le nostre parrocchie sono testimoni di come la povera gente continui a tribolare per mantenere sé e la propria famiglia. Vediamo aumentare la distanza fra ricchi e poveri; lo stesso ceto medio è sempre più risucchiato dalla penuria dei beni primari, il lavoro, la casa, gli alimenti, la possibilità di cura. Con speranza sentiamo le dichiarazioni rassicuranti e i provvedimenti allo studio o in atto; ma le persone non possono attendere, perché la vita concreta corre ogni giorno, dilania la carne e lo spirito. La fiducia nel domani diminuisce, gli adulti che hanno perso il lavoro sono avviliti o disperati, molti giovani – che mostrano spesso genio e capacità sorprendenti – si stanno rassegnando e si aggrappano ai genitori o ai nonni, impossibilitati a farsi una vita propria. Gli indicatori ufficiali parlano chiaro: i nuovi contratti sono diminuiti del 12,1% (Ministero del Lavoro), il PIL non è cresciuto, la disoccupazione, tra i 15 e i 24 anni, è salita al 39,2% (ISTAT). Anche la produzione industriale risulta diminuita dello 0.8% (ISTAT).

Benedetto da Bari così continua e il suo è un invito ineludibile:

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Vedetelo, non tanto nella bellezza della sua divinità, ma nell’obbrobrio dell’umanità da lui assunta, «con il diadema di cui lo coronò sua madre», uscite dalla porta della città, perché anche lui, per salvare il popolo con il suo sangue, ha patito fuori della porta. «Andate a lui fuori dell’accampamento, portando il suo disonore» (Eb 13, 14). Seguitelo, perché «per voi ha patito, lasciandovi un esempio perché ne seguiate le orme» (1 Pt 2, 12). Perché, se chiedete in quale modo dobbiamo seguirlo, ascoltate lui: «Chi vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mt 16, 24).

Uscire è prima di tutto ‘rinnegare se stessi’, uscire dall’indifferenza. Gesù è uscito dal seno del Padre: la Trinità Amore è Dio in uscita, è


CONFERENZA EPISCOPALE PUGLIESE “Io sono per”, come dice il verbo ebraico, che non indica, come nella filosofia greca, il puro essere ontologico di Dio, ma la sua vera essenza, l’ ‘essere per’. Scrive Hans Küng a proposito del nome divino: «Secondo l’interpretazione oggi fornita dai principali esegeti dell’Antico Testamento: vi si esprime la presenza di Dio, la sua esistenza dinamica, il suo essere presente, reale, operante, il suo infondere sicurezza, il tutto in una formulazione che non permette oggettivazioni, cristallizzazioni e fissazioni di sorta. Il nome Jahvé quindi significa: “Io sarò presente!” – guidando, aiutando, rafforzando, liberando» (Dio esiste, trad. it., Milano 1979, pp. 691-692).

È il Dio che «scende perché ha visto la miseria del suo popolo» (cfr Es 3, 8: i Padri, come Ireneo ad esempio, vi hanno visto il Cristo preesistente). È il Dio che invita Abramo a uscire dalla sua terra (cfr Gen 12, 1), che invita Mosè e il popolo d’Israele a uscire dall’Egitto (cfr Es 3, 10); che invita Davide a uscire dalla sua casa a Betlemme, dal suo lavoro di pastore (1 Sam 16, 13); che invita i profeti, come Amos (cfr Am 7, 14-15) a uscire dalle loro ordinarie occupazioni per profetizzare. È Gesù che invita continuamente i suoi discepoli a uscire, ad andare; soprattutto quando stanno chiusi per timore dei Giudei, e se si chiudono nel cenacolo, lui entra a porte chiuse (cfr Gv 20, 19). È lo Spirito che il giorno di Pentecoste spalanca le porte del cenacolo perché gli apostoli vadano in tutto il mondo (cfr At 2, 1 sgg.)… Non è una novità di papa Francesco. Diceva Paolo VI nella Evangelii nuntiandi: la Chiesa «quando prende coscienza di sé diventa missionaria». Con una bella lettura di Ap 3, 20, Francesco, parlando del giubileo della misericordia (udienza generale del mercoledì, 18 novembre 2015), ha detto che «il Signore sta alla porta e bussa», perché vuole che lo facciamo uscire dal nostro cuore, dopo che ci è entrato; ha detto: E se la porta della misericordia di Dio è sempre aperta, anche le porte delle nostre chiese, delle nostre comunità, delle nostre parrocchie, delle nostre istituzioni, delle nostre diocesi, devono essere aperte, perché così tutti possiamo uscire a

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portare questa misericordia di Dio. Il Giubileo significa la grande porta della misericordia di Dio ma anche le piccole porte delle nostre chiese aperte per lasciare entrare il Signore – o tante volte uscire il Signore – prigioniero delle nostre strutture, del nostro egoismo e di tante cose.

È l’amante prigioniero di cui parla la nostra Beata barese Elia di San Clemente, lo Sposo che teniamo ben chiuso nel tabernacolo, magari anche in quello del nostro cuore, come lo Sposo del Cantico che “spia di dietro le inferriate”, mentre la sposa è a letto, ha già tutto sistemato e non vuole ancora sporcarsi i piedi per aprirgli (cfr Ct 2, 8-14). Ma poi sappiamo che la sposa si dispiace e si pente, ed esce e corre a cercarlo per le strade della città…

2. I laici in uscita

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Quello che papa Francesco dice della Chiesa in uscita, lo dice per tutta la Chiesa, per tutto il santo popolo di Dio, senza distinzioni di ruoli, di gerarchie, di ministeri, di condizioni di vita, di vocazioni. La gente (ma lo facciamo anche noi) parla, dice: “Cosa fa la Chiesa?”, e pensa subito ai vescovi, ai preti, forse anche ai laici ‘impegnati’; non pensa a tutto il popolo di Dio. Forse si è aiutati in questo da un modo di fare degli ordinati, che tendono a prendersi tutta la responsabilità di pastori, e sanno più e meglio di tutti quale sia la strada giusta… Già il Concilio ammoniva: «I sacri pastori sanno di non essere stati istituiti da Cristo per assumersi da soli tutto il peso della missione salvifica della Chiesa verso il mondo (LG 30). Il Concilio, a volte ancora lo ricordiamo e lo ripetiamo, ha riproposto la Chiesa come popolo di Dio. Quante volte abbiamo ricordato e ripetuto la rivoluzione operata anche nel testo della Lumen gentium, nel porre il capitolo sul popolo di Dio prima di quelli sulle varie componenti, a cominciare dai pastori. Papa Francesco lo ha di recente ripreso nella lettera dello scorso marzo 2016 al card. Marc Ouellet, Presidente della Pontificia Commissione per l’America Latina:


CONFERENZA EPISCOPALE PUGLIESE Guardare al Popolo di Dio è ricordare che tutti facciamo il nostro ingresso nella Chiesa come laici. Il primo sacramento, quello che sugella per sempre la nostra identità, e di cui dovremmo essere sempre orgogliosi, è il battesimo. Attraverso di esso e con l’unzione dello Spirito Santo, [i fedeli] «vengono consacrati per formare un tempio spirituale e un sacerdozio santo» (Lumen gentium, n. 10). La nostra prima e fondamentale consacrazione affonda le sue radici nel nostro battesimo. Nessuno è stato battezzato prete né vescovo. Ci hanno battezzati laici ed è il segno indelebile che nessuno potrà mai cancellare. Ci fa bene ricordare che la Chiesa non è una élite dei sacerdoti, dei consacrati, dei vescovi, ma che tutti formano il Santo Popolo fedele di Dio. Dimenticarci di ciò comporta vari rischi e deformazioni nella nostra stessa esperienza, sia personale sia comunitaria, del ministero che la Chiesa ci ha affidato. Siamo, come sottolinea bene il Concilio Vaticano II, il Popolo di Dio, la cui identità è «la dignità e la libertà dei figli di Dio, nel cuore dei quali dimora lo Spirito Santo come in un tempio» (Lumen gentium, n. 9). Il Santo Popolo fedele di Dio è unto con la grazia dello Spirito Santo, e perciò, al momento di riflettere, pensare, valutare, discernere, dobbiamo essere molto attenti a questa unzione.

Aggiungerei che c’è anche una responsabilità dei laici nel favorire quello che in fondo resta un clericalismo bello e buono, che non dispiace ai pastori, ma non dispiace nemmeno ai laici: riposiamoci tutti… Abbiamo dimenticato che il Concilio ci ha richiamati tutti a essere, proprio in forza del nostro battesimo, sacerdoti, profeti e re. Ai pastori torna più facile, anche se non sempre, ricordarlo, ma i laici tendono a dimenticarlo, quando proprio non lo ignorano del tutto. Il Concilio ci ha detto che siamo tutti chiamati alla santità, ma quanti ancora lo sanno e si comportano di conseguenza? E anche qui, c’è una responsabilità dei pastori, che sono stati posti come sentinelle, ma c’è anche una responsabilità di laici che hanno dimenticato cosa ha fatto di loro il battesimo, “sepolti e risorti con Cristo”; cosa fa di loro l’Eucaristia: “siete quello che ricevete”, diceva sant’Agostino ai

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suoi fedeli; veniamo ‘deificati’, diceva san Tommaso. E l’Eucaristia ci scaraventa fuori, diceva don Tonino. Mi piace ricordare tre parole che mons. Santoro proponeva pochi giorni fa a San Giovanni Rotondo alla sua comunità diocesana per l’apertura del nuovo anno pastorale, la prima soprattutto, la ‘commozione’: «Lasciarsi commuovere significa patire una gioia o un dolore degli altri e muoversi. È un aspetto fondamentale del nostro essere cristiani. La commozione è un muoversi verso l’altro ed è un muoversi insieme, non è un impegno di semplice buona volontà, ma è l’esperienza dell’amore di Cristo». Le altre due parole erano ‘vita quotidiana’ e ‘servizio’: commuoversi, vivere e servire. È mettere insieme i due termini ebraici per dire la misericordia (rahamîm/hesed). I pastori danno la vita per il vangelo, per il regno di Dio. I laici devono fare altrettanto, nella loro condizione. Non ci si può contentare da parte dei pastori di chiedere loro una collaborazione alla pastorale parrocchiale. L’abbiamo ripetuto con insistenza nel Convegno Ecclesiale Regionale di San Giovanni Rotondo (ricordiamo la bella relazione della dott.ssa Annalisa Caputo) qualche anno fa, riprendendo l’invito di Benedetto XVI: «È necessario migliorare l’impostazione pastorale, così che, nel rispetto delle vocazioni e dei ruoli dei consacrati e dei laici, si promuova gradualmente la corresponsabilità dell’insieme di tutti i membri del Popolo di Dio. Ciò esige un cambiamento di mentalità riguardante particolarmente i laici, passando dal considerarli “collaboratori” del clero a riconoscerli realmente “corresponsabili” dell’essere e dell’agire della Chiesa, favorendo il consolidarsi di un laicato maturo ed impegnato». E per ottenere questo, diceva ancora Benedetto XVI (Discorso pronunciato a fine maggio 2009 nella Basilica di San Giovanni in Laterano all’apertura del Convegno ecclesiale della diocesi di Roma): «Occorre in primo luogo rinnovare lo sforzo per una formazione più attenta e puntuale alla visione di Chiesa della quale ho parlato, e questo da parte tanto dei sacerdoti quanto dei religiosi e dei laici. Capire sempre meglio che cosa è questa Chiesa, questo Popolo di Dio nel Corpo di Cristo». Già, la formazione, in cui la Parola di Dio deve avere il posto centrale. E anche qui, dopo i primi entusiasmi postconciliari, c’è stata, complessivamente una caduta di attenzione. Solo la Parola di Dio fatta carne nell’Eucaristia e nel corpo di Cristo che è la Chiesa può fare di noi una Chiesa in uscita. E rinnegare se


CONFERENZA EPISCOPALE PUGLIESE stessi è la prima condizione per ‘uscire’: non rimanere chiusi in se stessi, ritenere gli altri superiori a noi stessi, gareggiare nello stimarci a vicenda, la carità… Essere la carità, l’amore nella Chiesa e nel mondo. Santa Teresina, in un monastero di clausura, è la patrona delle missioni, perché dalla carità nasce la missione, la carità è già missione: “da come vi amate capiranno che siete miei discepoli” (Gv 13, 35). Ed ‘ una carità da vivere, anzi da ‘essere’ ovunque. Nella comunità cristiana. Tra le Aggregazioni laicali. Carismi per il bene comune. Nella famiglia. Sul posto di lavoro. Nella politica. Nell’economia. Nella cultura. E quanti insegnamenti a riguardo nella Evangelii gaudium, nella Laudato si’, nell’Amoris laetitia. Papa Francesco all’assemblea plenaria del Pontificio Consiglio per i Laici (17 giugno 2016): Vorrei proporvi, come orizzonte di riferimento per il vostro immediato futuro, un binomio che si potrebbe formulare così: “Chiesa in uscita – laicato in uscita”. Anche voi, dunque, alzate lo sguardo e guardate “fuori”, guardate ai molti “lontani” del nostro mondo, alle tante famiglie in difficoltà e bisognose di misericordia, ai tanti campi di apostolato ancora inesplorati, ai numerosi laici dal cuore buono e generoso che volentieri metterebbero a servizio del Vangelo le loro energie, il loro tempo, le loro capacità se fossero coinvolti, valorizzati e accompagnati con affetto e dedizione da parte dei pastori e delle istituzioni ecclesiastiche. Abbiamo bisogno di laici ben formati, animati da una fede schietta e limpida, la cui vita è stata toccata dall’incontro personale e misericordioso con l’amore di Cristo Gesù. Abbiamo bisogno di laici che rischino, che si sporchino le mani, che non abbiano paura di sbagliare, che vadano avanti. Abbiamo bisogno di laici con visione del futuro, non chiusi nelle piccolezze della vita”.

Come zi’ Dima nella giara. Nella Evangelii gaudium (n. 49) ha ripetuto una cosa detta già altre volte: una Chiesa che rinunciasse a seguire il suo Signore sarebbe

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una Chiesa malata: «preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze». Questo va fatto insieme, nella carità. In EG 28-29 dice: [La parrocchia] è comunità di comunità, santuario dove gli assetati vanno a bere per continuare a camminare, e centro di costante invio missionario. Però dobbiamo riconoscere che l’appello alla revisione e al rinnovamento delle parrocchie non ha ancora dato sufficienti frutti perché siano ancora più vicine alla gente, e siano ambiti di comunione viva e di partecipazione, e si orientino completamente verso la missione. Le altre istituzioni ecclesiali, comunità di base e piccole comunità, movimenti e altre forme di associazione, sono una ricchezza della Chiesa che lo Spirito suscita per evangelizzare tutti gli ambienti e settori. Molte volte apportano un nuovo fervore evangelizzatore e una capacità di dialogo con il mondo che rinnovano la Chiesa. Ma è molto salutare che non perdano il contatto con questa realtà tanto ricca della parrocchia del luogo, e che si integrino con piacere nella pastorale organica della Chiesa particolare.

Gli ha fatto eco mons. Angiuli in una intervista rilasciata (28 maggio 2015) dopo la nomina a presidente della Commissione CEI per il laicato:

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È necessario agire con uno stile sinodale [nota: l’esperienza di Firenze…]. In questa prospettiva, la Commissione avrà anche il compito di promuovere una maggiore convergenza tra le diverse forme ed espressioni del laicato organizzato: associazioni, movimenti, gruppi ecclesiali. Inoltre, dovrà tenere conto del fatto che vi sono molti laici che non fanno parte di nessuna realtà organizzata. In Evangelii gaudium papa Francesco scrive: «I laici sono semplicemente l’immensa maggioranza del popolo di Dio» (EG 102). Questi christifideles sono un tesoro prezioso per la Chiesa, soprattutto se si considera che la missione non consiste nell’organizzare “eventi”, ma nel testimoniare la propria fede in Cristo nella vita ordinaria con un stile semplice e gioioso.


CONFERENZA EPISCOPALE PUGLIESE È la gioia del vangelo, è la letizia dell’amore. Essere Chiesa in uscita, essere laicato in uscita, è fondamentalmente essere la carità, l’agape. Senza la carità, senza l’amore che viene da Dio Trinità Amore, dalla sua Parola, dai sacramenti, dal Battesimo e dall’Eucaristia soprattutto, nulla giova. Concluderei ancora con le parole di Benedetto da Bari (239): «La carità è la via più eccellente che conduce a Cristo. Ecco, avete, figlie di Sion, un buon esempio di pietà, vi è stato proposto il modello dell’apostolo, vi è stata mostrata la via da seguire, se volete andare dietro di lui. Ma ora vi mostro una via ancora più eccellente. La via più eccellente è quella della carità, che supera le lingue degli uomini e degli angeli, e se non l’hai, sei simile a un bronzo o a un cembalo che tintinna (cfr 1 Cor 13, 1)». «Questa è ‘terribile come esercito schierato’ (Ct 6, 4) ‘mille scudi vi sono appesi, tutte armature di eroi’ (Ct 4, 4). È questo il muro inespugnabile della casa d’Israele, la torre di Davide che guarda verso Damasco (Ct 7, 5), con i suoi propugnacoli, eretta per vincere nemici invisibili, che quotidianamente tramano di attaccarci. È la carità, ripeto, la via più eccellente: o figlie di Sion, camminate in essa. “Camminate – dice l’apostolo – nell’amore, come anche Cristo ci ha amati” (Ef 5, 2)». Buon lavoro a tutti. Giuseppe Micunco Direttore Ufficio Laicato dell’Arcidiocesi di Bari-Bitonto 413



D OCUMENTI

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V ITA

DELLA

C HIESA

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B ARI -B ITONTO

VISITA A BARI DEL PATRIARCA BARTOLOMEO I Visita a Bari di S.S. il Patriarca Ecumenico Bartolomeo I, Arcivescovo di Costantinopoli-Nuova Roma

Laudatio dell’Arcivescovo Mons. Francesco Cacucci a S.S. il Patriarca Bartolomeo per il conferimento del premio “San Nicola” (Bari, Basilica di San Nicola, 5 dicembre 2016)

Santità, è un onore per la Facoltà Teologica Pugliese accoglierLa, nel venticinquesimo anniversario della Sua elezione ad Arcivescovo di Costantinopoli e Patriarca Ecumenico, per conferirLe il premio ecumenico “San Nicola”, nella Basilica che custodisce il corpo del Santo. Sua Santità l’Arcivescovo di Costantinopoli Bartolomeo I, al secolo Demetrios Archondonis, è nato nel 1940 nell’isola di Imvros. In Turchia, prima a Imvros e poi a Istanbul ha iniziato il Suo percorso formativo e, successivamente, compiuti gli studi superiori di Teologia, lo ha continuato in prestigiose istituzioni accademiche europee: il Pontificio Istituto Orientale dell’Università Gregoriana di Roma, l’Istituto Ecumenico di Bossey in Svizzera e l’Università di Monaco in Germania. Un tale itinerario di studio e di esperienze basta da solo a rendere conto dell’ampiezza di vedute e della capacità di relazione con culture e sensibilità diverse che unanimemente vengono riconosciute al Patriarca Bartolomeo. Non va poi dimenticata la vasta conoscenza delle lingue che derivano dagli studi e dai

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soggiorni all’estero del Patriarca: dall’italiano all’inglese, dal francese al tedesco, oltre che il greco e il turco. Quando nell’ottobre del 1991 fu eletto duecentosettantesimo Arcivescovo della Chiesa fondata da sant’Andrea, con il titolo di Arcivescovo di Costantinopoli e Patriarca Ecumenico, fu subito chiaro che avrebbe potuto impiegare a vantaggio della Cristianità il ricco tesoro accumulato negli anni in cui aveva, con rigore e pazienza, costruito la Sua formazione umana e religiosa, grazie alla quale era in condizione di vedere i problemi, di indicare le vie di soluzione e di impegnarsi personalmente per affrontarli. Così ha lavorato senza mai risparmiarsi per la riconciliazione tra le Chiese cristiane; si è fatto promotore di una coscienza ambientalistica che Gli ha procurato il titolo di “Patriarca verde”; si è impegnato in incontri interreligiosi rendendo possibile il dialogo anche quando sembrava impossibile trovare interlocutori disponibili. Tra i temi caratterizzanti l’attività del Patriarca Bartolomeo alcuni spiccano per il coinvolgimento che producono spontaneamente in tutti, senza differenze. È il caso di temi come la pace nel mondo, i diritti umani, la libertà religiosa, la tolleranza religiosa e la tutela ambientale.

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VISITA A BARI DI S.S. IL PATRIARCA ECUMENICO BARTOLOMEO I Gli anni del ministero di Sua Santità Bartolomeo sulla prima Cattedra delle Chiese cristiane ortodosse nel mondo sono caratterizzati da un’intensità e da una ricchezza davvero difficili da raccontare. Ha chiarito fin dal primo giorno della Sua intronizzazione alla sede patriarcale: «Il Patriarcato Ecumenico rimane un’istituzione puramente spirituale, un simbolo di conciliazione e una forza disarmata, resta distaccato da ogni politica e si tiene lontano dalla “fallace arroganza del potere secolare”». Questa è la Sua visione del Patriarcato Ecumenico. E noi La accogliamo in questa Facoltà Teologica con rispetto e onore, proprio a partire da queste Sue parole. Tuttavia dell’Ortodossia, che conta oggi più di 250 milioni di fedeli, in Occidente sappiamo ancora troppo poco. La Sua presenza qui a Bari, in una città che ha nell’apertura internazionale uno dei suoi tratti caratterizzanti, anche grazie alla memoria dell’amato e venerato San Nicola, ci porta a scoprire un cristianesimo capace di unire il mistero e la libertà, di fare della bellezza una via della conoscenza, di entrare a contatto con una spiritualità non disincarnata ma che si manifesta nella piena rivelazione della persona e della comunità. Sua Santità è al contempo il figlio e il primo rappresentante di un bimillenario cristianesimo che ha in Oriente le sue radici e nella tradizione bizantina la sua manifestazione. Tuttavia ha saputo unire nella Sua persona i due mondi, quello orientale e quello occidentale. Può esprimere la saggezza dell’Oriente nel linguaggio dell’Occidente. È un uomo che, per il suo percorso di fede e di studi, ha saputo essere un ponte tra le due culture, quella orientale bizantina e quella occidentale latina. La Sua personalità, la rete ecclesiale della Sua Chiesa, venticinque anni di viaggi e di incontri – come mai i Suoi predecessori – fanno del Patriarca Bartolomeo un costruttore di ponti, proprio nel senso profondo della parola: pontifex. Della Sua ampia produzione letteraria mi limito a citare la raccolta di scritti Speaking the Truth in Love: Theological and Spiritual Exhortations of Ecumenical Patriarch Bartolomew, il cui titolo è una precisa rappresentazione della personalità dell’Autore. “Dire la verità nell’amore” descrive l’atteggiamento che contraddistingue lo stile di Sua Santità: Egli non ha mai rinunciato alla verità e ha saputo

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farlo sempre con amore, circostanza che Gli procura l’attenzione non solo dei cristiani ortodossi di cui è il riconosciuto capo spirituale, ma anche di tutte le persone alle quali si rivolge. Verità e amore sono due temi di grandissimo rilievo nella letteratura neotestamentaria, soprattutto grazie all’opera giovannea che ha dato tanto alla verità quanto all’amore una consistenza personale, sicché non è possibile per un cristiano pensarli come categorie puramente concettuali. Il Patriarca è testimone di come la relazione con il Cristo, Verità e Amore, debba essere vissuta concretamente nel parlare a tutti in verità e con amore. Le molte lauree honoris causa conferiteGli da istituzioni accademiche in tutto il mondo sono l’attestazione delle Sue qualità magisteriali e, al tempo stesso, dicono quanto ampiamente la Sua fama sia diffusa e apprezzata in ogni parte della terra. La parola del Patriarca e la Sua presenza hanno raggiunto un incalcolabile numero di persone, tutte colpite da un messaggio che non lascia indifferenti. Prima di consentire a tutti la felice opportunità di fare esperienza dell’insegnamento di Sua Santità vorrei richiamare un avvenimento straordinario, lungamente atteso, del quale il Patriarca Bartolomeo è stato l’artefice. Nello scorso mese di giugno è stato celebrato a Creta il Santo e Grande Sinodo della Chiesa Ortodossa. Dopo la solenne liturgia della festa di Pentecoste il Patriarca Bartolomeo, che ha convocato il Sinodo Panortodosso e lo ha condotto a termine, ha detto che era stata scritta una pagina storica. E davvero è stata scritta una pagina storica, non solo per l’Ortodossia ma per tutta la Cristianità. Vale la pena di riascoltare le parole di padre John Chryssavgis, portavoce del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli: «Ci sono stati tanti sviluppi, così come molti cambiamenti nel corso di centinaia di anni. Sviluppi politici, sociali, anche scientifici. La Chiesa non può più rimanere fuori da queste discussioni. Deve piuttosto trasformarle, attingendo alla sua ricca ed antica tradizione spirituale, articolando nuove risposte, per non ripetere sempre le stesse». L’attenzione alla storia tesa alla costruzione dell’unità di tutti i cristiani costituisce l’orizzonte d’impegno senza il quale l’annuncio cristiano rischia la sterilità. Questo è l’orizzonte d’impegno che anche la nostra Facoltà Teologica si sforza di rendere possibile, con la sua ricerca, con la sua offerta formativa e con il suo Istituto di


VISITA A BARI DI S.S. IL PATRIARCA ECUMENICO BARTOLOMEO I Teologia ecumenica, con la speranza di offrire un contributo alla realizzazione dell’uomo nuovo in Cristo. Concluderò la mia breve, e certo non completa presentazione, con alcune parole di Sua Santità a proposito della parola “ecologia”. «La parola “ecologia” contiene il prefisso “eco”, derivato dalla parola greca “oikos”, che vuol dire “casa” o “abitazione”. Sfortunatamente e, in realtà, molto egoisticamente abbiamo ridotto il suo significato e ristretto la sua applicazione. Questo mondo è davvero la nostra casa. È la casa di ognuno, proprio come è anche la casa di ogni creatura vivente e di ogni forma di vita creata da Dio. È un segno di arroganza presumere che noi esseri umani abitiamo da soli questo mondo. Ancora di più, è un segno di arroganza immaginare che soltanto la generazione presente goda delle sue risorse». Queste parole, che possono riferirsi direttamente al Convegno organizzato dalla nostra Facoltà nell’aprile 2016, «La cura della casa comune», mi pare esprimano una volta di più la sintonia esistente tra la nostra Istituzione Accademica e il Patriarca Ecumenico Bartolomeo I. Santità, di Lei ammiriamo e da Lei vogliamo imparare soprattutto la passione per l’unità. La ringraziamo per il dono della Sua presenza e per quanto vorrà comunicarci la Sua Lectio magistralis. + Francesco Cacucci Arcivescovo Metropolita di Bari-Bitonto Gran Cancelliere della Facoltà Teologica Pugliese

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“Adriatico e Ionio, mari di comunione” Lectio magistralis di Sua Santità K.K. Bartolomeo I, Arcivescovo di Costantinopoli – Nuova Roma e Patriarca Ecumenico durante l’apertura dell’anno accademico 2016-2017 della Facoltà Teologica Pugliese (Bari, Basilica di San Nicola, 5 dicembre 2016)

Eccellenza Reverendissima Arcivescovo Metropolita di BariBitonto, Monsignor Francesco Cacucci, Ἱερώτατοι ἀδελφοί Ἱεράρχαι, Vostra Eccellenza Mons. Brian Farrell, Segretario del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, Rev.mo Prof. Angelo Panzetta, Preside della Facoltà Teologica Pugliese, Eccellenze, cari fratelli nell’Episcopato, Reverendissimi Padri, Illustri Autorità, Carissimi studenti, Fratelli e sorelle in Cristo,

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È un onore tutto particolare per il Patriarcato Ecumenico e per la nostra Modestia, essere presenti quest’oggi qui a Bari, nella cornice di questa maestosa Basilica di San Nicola, per intrattenerci un poco con Voi e ringraziare Dio, per questa occasione dell’apertura dell’anno accademico della Facoltà Teologica Pugliese. Ringraziamo il signor Preside e tutte le Autorità accademiche, per averci voluto invitare a prendere parte a questo importante appuntamento della vita della Facoltà Teologica Pugliese, con i suoi tre Istituti, centro di studi teologici e filosofici, luogo di dialogo ecumenico e di confronto culturale e scientifico, e soprattutto luogo di incontro di ricercatori e studenti, non solo di questa Regione dalla vocazione ecumenica, ma anche dalle altre Regioni d’Italia e di altri Paesi.


VISITA A BARI DI S.S. IL PATRIARCA ECUMENICO BARTOLOMEO I

Un particolare grazie all’Eccellentissimo Arcivescovo Metropolita di Bari-Bitonto, Mons. Francesco Cacucci, per le calorose parole rivolteci e soprattutto per l’invito a visitare questa Città e a commemorare insieme la memoria del nostro comune Padre tra i Santi, San Nicola vescovo di Mira di Licia, le cui sante e taumaturgiche reliquie sono custodite nella cripta di questa Basilica. Altresì siamo molto commossi e grati per aver voluto attribuire al Patriarca Ecumenico l’importante riconoscimento del Premio Ecumenico “San Nicola”. Lo accogliamo da una parte come un dono di Dio non solo per la nostra Modestia, ma come un riconoscimento alla Santa e Grande Chiesa martire di Cristo, il Patriarcato Ecumenico, Primo Trono della Chiesa Ortodossa, che presiede, nella carità e nella diaconia all’unità, la sinfonia delle Sante Chiese Ortodosse Autocefali Locali. E dall’altra parte, lo accogliamo come segno profetico dell’unità di tutte le Sante Chiese di Dio, il cui cammino teologico tra le nostre Chiese e l’amore, il rispetto e la collabo-

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razione sono uno dei tratti fondamentali. Non possiamo così dimenticare in questo solenne momento il fraterno amore e la stima che legano la nostra Modestia, vescovo della Nuova Roma, al Santissimo Fratello Vescovo della Chiesa della Antica Roma, Papa Francesco, a cui inviamo il nostro saluto ed il bacio di pace. E poiché è tradizione all’apertura di ogni anno accademico, rivolgere qualche pensiero per l’occasione, permetteteci di meditare brevemente con voi sulla comunione, la kοινωνία, la cui pratica realizzazione è avvenuta molte volte sulla vostra terra di Puglia. L’aspetto primo e capitale della comunione lo ritroviamo nell’augurio finale della II Lettera ai Corinzi: «La grazia del nostro Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio Padre e la comunione dello Spirito Santo, sia con tutti voi» (2 Cor 13,13). Nella esperienza interrelazionale delle Persone Divine, vi è la piena rivelazione di Dio Padre, di Dio Figlio e di Dio Spirito Santo, rapporto amorevole interpersonale di comunione eterna. Una comune partecipazione di grazia, amore e comunione alla vita di Dio, che diviene esperienza stessa della koinonia, esperienza di comunione, ossia dell’“essere in relazione”. Se nell’ accezione comune possiamo definire la “comunione” come una sorta di armonia tra due o più persone, nella esperienza trinitaria essa è piena compartecipazione di scopi, sentimenti ed ideali. È intima relazione tra le Persone Divine e allo stesso tempo intima relazione di Dio in Cristo con i credenti, grazie allo Spirito Creatore. Nel Vangelo di Giovanni la koinonia viene descritta come un dimorare, un abitare stabilmente del credente in Cristo e di Cristo nel credente: «Io sono nel Padre mio e voi in me ed io in voi» (Gv 14, 20). Essa è anche esperienza concreta di vita in Cristo. San Paolo nelle sue Lettere definisce aspetti vissuti o che saranno vissuti di questa esperienza comunionale con Cristo, usando i termini di sin-ergia, sim-biosi, sin-fonia, sim-patia: «il nostro uomo vecchio fu con-crocifisso con Lui» (Rom 6,6); «con Lui fummo consepolti, con-risuscitati (Col 2,12-13) e con-vivificati…. Con Lui consoffriamo e siamo co-eredi (Rom 8,17)… con-regneremo con Lui (2 Tim 2, 11-1; Rom 6,8) e saremo con-glorificati (Rom 8,17)). Questa koinonia con Cristo significa partecipare alla sua Passione, alla sua Morte e alla sua Risurrezione per entrare nel suo Regno di Gloria. Questo aspetto relazionale manifesta due facce della stessa medaglia: da una parte la relazione libera della sinergia dell’uomo col


VISITA A BARI DI S.S. IL PATRIARCA ECUMENICO BARTOLOMEO I Dio Filantropo, rappresentata dalla Incarnazione, questo amore portato per primo da Dio all’uomo e «interazione dell’amore discendente di Dio e dell’amore ascendente dell’uomo» (P. Evdokimov), che san Nicola Cabasilas definisce manikòs eros amore folle di Dio per l’uomo. «Dio si presenta e dichiara il suo amore…; respinto, attende alla porta…. Per tutto il bene che ci ha fatto, non domanda in risposta che il nostro amore; e in cambio ci rimette ogni debito». Questa relazione di comunione di libertà manifesta l’adagio patristico che afferma: «Dio può tutto, salvo costringere l’uomo ad amarlo». Nella relazione con Lui tuttavia Egli ci ha resi partecipi della natura divina, comunicandoci la sua vita e venendo a dimorare in noi. «Dio – scrive sant’Atanasio il Grande – si è fatto uomo affinché l’uomo potesse diventare dio secondo la grazia», partecipando alla santità di Dio (2 Pt 1,4). La relazione teandrica dell’Incarnazione si fa quindi partecipazione alla trasfigurazione della natura: «Tu che mi hai dato la tua carne in nutrimento, Tu che sei un fuoco che consuma gli indegni, non bruciarmi, o mio creatore, ma piuttosto penetra nelle mie membra, in tutte le mie articolazioni, nei miei reni e nel mio cuore, fortifica le mie ginocchia e le mie ossa, illumina i miei cinque sensi, e stabiliscimi tutto intero nel tuo amore» (Simeone Metafraste). L’uomo diventa secondo la grazia ciò che Dio è per natura. Dall’altra faccia della stessa medaglia, la relazione si manifesta non tanto verso qualcuno, ma verso la partecipazione al “qualcosa”, aver parte in qualcosa, dare una parte di qualcosa. Significa partecipare insieme della natura divina attraverso la grazia dataci da Dio a tutti gli aspetti della vita cristiana: alle benedizioni, alle prove e tribolazioni, alla consolazione, al sostegno, alla solidarietà, alla fraternità. Significa condivisione della fede, condivisione della spiritualità, pregare gli uni per gli altri, significa realizzare concretamente questa comunione delle nostre vite e metterla in pratica. Significa fare la esperienza di comunione nel dialogo, nella pace e nell’unità. «Erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nella unione fraterna (...τῇ κοινωνίᾳ), nella frazione del pane e nella preghiera» (Atti 2,42). Pertanto se siamo riconciliati con Dio per mezzo di Gesù Cristo,

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intimi con lui, percepiamo i fratelli come coloro che ci appartengono, che condividono la nostra stessa origine trinitaria e che camminano verso la stessa meta che è Cristo che ricapìtola tutto in sé. «Se un membro soffre, tutte le membra soffrono; mentre se un membro è onorato, tutte le membra ne gioiscono insieme» (1 Cor 12,26). L’amore trinitario ci rende persone in relazione, soggetti comunionali, connaturati nel dialogo, capaci di una relazione d’amore che trasfigura il nostro io, e ci rende capaci di agire e pensare che la pace sgorga dal dialogo e che il dialogo porta all’unità. Fratelli e sorelle in Cristo, la nostra Santa Chiesa Ortodossa ha manifestato la sua koinonia nello scorso mese di giugno, quando a Creta, per decisione unanime di tutti i Santi Primati delle Chiese Ortodosse Autocefale, è stato convocato il Santo e Grande Concilio della Chiesa Ortodossa. Dopo quasi 55 anni di preparazione, di discussioni, di incontri, di sinassi dei Primati, nonostante i problemi occorsi a pochi giorni dalla sua convocazione, questa grande assise conciliare ha parlato con una sola voce ai propri fedeli, alle Chiese e al mondo. Testimonianza di comunione ed esempio di relazione ad immagine delle relazioni delle Persone Divine, nella Enciclica al mondo essa ha definito i principi fondanti della comunione: «La Chiesa non vive per se stessa. Offre alla intera umanità, attraverso l’elevazione e il rinnovamento del mondo in cieli nuovi e terra nuova (vedi Ap 21, 21). Pertanto dà la testimonianza evangelica e distribuisce nell’ecumene i doni di Dio: il Suo amore, la pace, la giustizia, la riconciliazione, la forza della Risurrezione e l‘attesa dell’eternità» (Enciclica, Introduzione). Essa ha inoltre espresso il modo di esprimersi della sua comunione: «La Chiesa è per se stessa Concilio, fondata da Cristo e guidata dallo Spirito Santo, in accordo col detto apostolico: “Abbiamo deciso, lo Spirito Santo e noi” ἔδοξε τῷ Ἁγίῳ Πνεύματι καὶ ἡμῖν (Atti 15,28)», e ha introdotto la comunione di santità: «La santità sgorga dal solo Santo. È partecipazione dell’uomo alla santità di Dio, nella “comunione dei santi”, come viene proclamato nella esclamazione del sacerdote durante la Divina Liturgia: “Le cose sante ai santi” Τὰ ἅγια τοῖς ἁγίοις, e nella risposta dei fedeli: “Uno il Santo, uno è il Signore, Gesù Cristo, a gloria di Dio Padre. Amen” Εἷς ἅγιος, εἷς Κύριος, Ἰησοῦς Χριστός, εἰς δόξαν Θεοῦ Πατρός. Ἀμήν» (Enciclica, cap. 3-4). Il Santo Concilio ha quindi sentito l’esigenza della comunione col


VISITA A BARI DI S.S. IL PATRIARCA ECUMENICO BARTOLOMEO I mondo, e con tutto ciò che ad esso è connesso. «La vita dei cristiani è una testimonianza inconfutabile del rinnovamento in Cristo di ogni cosa – “Quindi se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, τὰ ἀρχαῖα παρῆλθεν”, ecco ne sono nate di nuove” (2 Cor 5,17) e una chiamata per tutti gli uomini ad una partecipazione personale in libertà, alla vita eterna, alla grazia del nostro Signore Gesù Cristo, all’amore di Dio e Padre, per vivere nella Chiesa la comunione dello Spirito Santo» (cap. 2, 6). Particolare attenzione è stata data alla vocazione comunionale della famiglia come “Chiesa domestica”, ai bambini ed ai giovani e alla loro educazione in Cristo: «Al centro della sollecitudine pastorale della Chiesa si trova una formazione che guarda non solo alla cultura intellettuale, ma anche all’edificazione e allo sviluppo di tutta la persona come essere psico-somatico e spirituale in accordo con il principio trittico Dio, uomo, mondo…. Così, la pienezza del popolo cristiano trova un sostegno esistenziale, nella comunione divino-umana della Chiesa e vive in essa la prospettiva pasquale della deificazione per grazia» (cap. 9). Il Concilio si è occupato dei cambiamenti attuali, della necessità di una attenzione alla persona umana, difronte alle conquiste scientifiche, alla genetica e alle nuove scienze, che sviliscono l’essere umano, quale icona di Dio. Ha alzato la sua voce per la povertà diffusa, per la minaccia che incombe sull’ambiente naturale, ricordando che: «Nei sacramenti della Chiesa, la creazione si afferma e l’uomo è incoraggiato ad agire come economo, custode e “sacerdote” della creazione, portando davanti al Creatore in modo glorificante: “Il Tuo dal Tuo, a Te offriamo in tutto e per tutto” Τὰ σὰ ἐκ τῶν σῶν σοὶ προσφέρομεν κατὰ πάντα καὶ διὰ πάντα – e coltivando un rapporto eucaristico con la creazione» (cap. 14). Non ha inoltre sottaciuto i problemi derivanti dalla globalizzazione, dagli estremi fenomeni di violenza e della immigrazione: «In nessun momento l’opera filantropica della Chiesa si è limitata semplicemente ad un atto di carità occasionale verso i bisognosi e sofferenti, ma piuttosto ha cercato di sradicare le cause che creano problemi sociali» (cap. 19).

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Particolare attenzione il Concilio ha dedicato al dialogo, come esperienza intrinseca al sentire ortodosso, in linea con quanto abbiamo prima espresso per il concetto di comunione: «In questo spirito di riconoscimento della necessità di una testimonianza e di una disponibilità, la Chiesa Ortodossa ha sempre attribuito grande importanza al dialogo, e in particolare a quello con i cristiani non ortodossi» (cap. 7, 20).

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Figli amati nel Signore, Il santo e Grande Concilio, con i suoi documenti, è stato un “mare di comunione” per la intera Chiesa Ortodossa e per il mondo, i cui frutti si raccoglieranno lentamente. Frutti di comunione sono invece stati raccolti e si raccolgono in questa terra di Puglia, bagnata dal Mar Adriatico e dal Mar Ionio, aperti sul grande Mare Nostrum, il mare tra le terre, la Μεσόγειος, o Mare Mediterraneo, culla di storia, civiltà, lingue, culture e religioni capaci di interconnessioni e di scambi, che hanno guidato i processi sociali dell’intera area per secoli, contribuendo alla crescita dei popoli che ad esso si affacciano. Se il Cristianesimo, nella sua accezione orientale ed occidentale, ha giocato un ruolo fondamentale, dopo l’editto di Milano, non di meno l’Ebraismo e poi l’Islam hanno contribuito nelle alterne fasi storiche a trovare vie di comunione e di coesistenza. Il susseguirsi dell’Impero Romano, delle invasioni barbariche, dell’Impero Romano d’Oriente a Bisanzio, di quello Ottomano, non aveva mai rotto la sinfonia di comunione tra le varie anime esistenti tra i popoli dell’area, nonostante le tensioni mai sopite, quanto la nascita degli Stati nazionali e la crisi della Prima Guerra Mondiale. L’identità nazionale non esprimeva più l’ appartenenza ad un popolo o ad una religione, ma diveniva elemento di divisione e di contrapposizione. Le guerre balcaniche e anche la recente crisi della ex-Jugoslavia sono il frutto di una ricomposizione nazionale, priva di un fondamento di comunione, che spesso ha privato anche le Chiese della capacità di superare l’etnofiletismo, sempre condannato dal Patriarcato Ecumenico. Anche la caduta dei sistemi totalitari dell’Europa orientale ha provocato risentimenti e incapacità di preservare una koinonia di intenti per la possibile difesa dei valori umani e per la guida dei processi economici, sociali e politici


VISITA A BARI DI S.S. IL PATRIARCA ECUMENICO BARTOLOMEO I degli stati stessi. La stessa Unione Europea ha faticato e fatica a comprendere la grande valenza del Mediterraneo e la sua portata storico-religiosa, stritolata tra laicizzazione e secolarizzazione. Tuttavia Adriatico e Ionio, alla caduta del Muro di Berlino e soprattutto durante la caduta del regime albanese e la guerra dell’exJugoslavia sono stati il primo luogo di immigrazione verso la Puglia e verso la Grecia. In questi luoghi, nonostante i problemi legati a difficoltà di ordine economico, una economia di comunione ha saputo accogliere e integrare nel proprio tessuto sociale un grande numero di immigrati, così come aveva fatto nel passato con le immigrazioni del periodo tardo bizantino e dopo la caduta di Costantinopoli nel 1453. Gli anni che sono seguiti alle immigrazioni degli anni ’90 non hanno portato i paesi europei a comprendere o a vedere quello che accadeva sull’altra sponda del Mare Nostrum. Il Mediterraneo, il mare dell’incontro e della cultura, della convivenza di religioni e popoli, si è trovato improvvisamente attraversato da ondate di disperati che fuggono da guerre, dal fondamentalismo religioso, apparso sulla scena medio-orientale, da carestie, prodotte troppe volte dalla ingordigia di pochi a scapito di molti, da tirannie che rendono impossibile la vita, dalla mancanza dei più elementari beni di sopravvivenza. Come essere allora oggi in relazione con Dio e con i nostri fratelli e sorelle che soffrono, manifestando l’amore della relazione trinitaria, con cui abbiamo aperto questi brevi pensieri. Come dare pratica attuazione alle proposte umane e sociali del Grande Concilio della Chiesa Ortodossa e come alimentare i principi di dialogo, amore e pace, in un mondo sconvolto e davanti ad un mare che è diventato la tomba di tanti fratelli e sorelle che sognavano una vita migliore. Crediamo che il ruolo delle religioni divenga fondamentale nel creare, avviare e consolidare un principio di comunione per la collaborazione e la comprensione reciproca, allontanando i fondamentalismi che si trovano in tutte le società e religioni. C’è necessità di ricreare la reciproca stima tra i popoli, superando diffidenze, violenza, stragi e genocidi. Bisogna che la giustizia sociale e la giustizia tra le nazioni prevalga sui meri interessi della economia mondiale e della

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globalizzazione più sfrenata, così da porre fine a migrazioni incontrollate. Nessuno lascia piacevolmente il proprio focolare domestico se non è proprio incalzato dalle necessità o dalla violenza. Allo stesso tempo ci vuole una economia di comunione che sappia accogliere, senza creare il malcontento sociale nei paesi ospitanti. Se tutti i soggetti interessati sapranno accettare con coraggio la giustizia, la libertà, e la verità come pilastri della pace e se le religioni sapranno creare ponti tra individui, popoli e culture, allora potremmo essere ancora segno di speranza per l’umanità. Solo così Adriatico e Ionio, Puglia e Italia e le altre sponde dei nostri mari torneranno ad essere luoghi di comunione per tutti. Grazie.

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VISITA A BARI DI S.S. IL PATRIARCA ECUMENICO BARTOLOMEO I

Omelia di Sua Santità Bartolomeo, durante la celebrazione del Vespro per la consegna della chiesa del Sacro Cuore alla Comunità greco-ortodossa di Bari (Bari, Chiesa del Sacro Cuore, 5 dicembre 2016)

Eccellenza Reverendissima Arcivescovo Metropolita di BariBitonto, Monsignor Francesco Cacucci, Eminenze, Eccellenze, Illustre signor Console di Grecia, sig. Stelios Campanale, Autorità tutte, Fratelli e sorelle in Cristo, È felice l’occasione di celebrare questa sera, con tutti voi la memoria del nostro Santo tra i Santi Nicola, vescovo di Mira di Licia, il Taumaturgo, le cui sante reliquie che emanano mirra riposano in questa splendida città di Bari. Mira e Bari, Oriente e Occidente sono spiritualmente legati attraverso questo Santo, la cui venerazione ha varcato tutti i confini degli uomini. Egli è il Santo forse più venerato nell’Oriente cristiano, dopo la Vergine Maria, la Madre di Dio, la Theotokos, e per questo ogni anno si riversano in questa città migliaia di pellegrini ortodossi da tutti gli angoli della terra, per poter passare accanto alla cripta del Santo, per essere pellegrini con lui, per ottenere una grazia con le sue preghiere. È confidenziale il rapporto che il fedele ortodosso ha con i santi, ma è familiare il rapporto che tantissimi fedeli hanno con san Nicola. Testimonianza è il grande numero di Chiese a lui dedicate e anche la sua icona è tra le icone più conosciute e venerate. Non è solo il Santo del mare, che ricorda il suo transito da Mira a Bari, così come viene festeggiato particolarmente dai nostri fedeli ortodossi di lingua slava nel mese di maggio con

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la Festa della traslazione delle sue reliquie, ma è il Santo della verità, della mitezza e della giustizia. Come canta la Innologia della Chiesa d’Oriente, Egli è veramente: Κανών πίστεως καὶ εἰκών πραότητος, ἐγκρατείας Διδάσκαλος, Regola di fede, e immagine di mitezza e Maestro di continenza. Ha difeso la verità delle fede contro Ario, che negava la divinità di Cristo; secondo alcune fonti partecipò anche al Concilio di Nicea nel 325, dove dimostrò tutta la sua sapienza e la sua etica di vita. Fu un vescovo mite ma giusto, come ricordano i racconti sulla salvezza delle tre fanciulle da una vita di peccato e la liberazione dei tre prigionieri innocenti. Ma come vescovo a Mira, dopo la liberazione del Cristianesimo ad opera del grande Costantino, seppe organizzare la Chiesa di Cristo con grande attenzione alla purezza della fede e alla giusta condotta della vita dei fedeli. Con la umiltà ha raggiunto alte vette e con la povertà la ricchezza: διὰ τοῦτο ἐκτήσω τῂ ταπεινώσει τὰ ὑψηλά, τῂ πτωχείᾳ τὰ πλούσια. È quindi un esempio di fede per i credenti di ogni epoca, è il Santo della confidenza, e della rettitudine. Per questo è anche un Santo ecumenico, che unisce tutti in un abbraccio davanti all’Altare di Dio. È l’abbraccio che sentiamo questa sera, Eccellenza Reverendissima, Arcivescovo di Bari-Bitonto, amato Fratello in Cristo, Mons. Francesco Cacucci, della Chiesa locale con la nostra Sacra Arcidiocesi d’Italia e Malta, e con il suo vescovo il nostro fratello, il Metropolita Gennadios, per la concessione di questo Sacro Tempio per gli usi liturgici della nostra locale Comunità greco-ortodossa. La chiesa è infatti il centro della vita parrocchiale, è il luogo in cui si celebra il Santo Mistero della Divina Eucarestia e tutti gli altri Santi Misteri, è il luogo della contemplazione e della preghiera, è il luogo in cui la Liturgia, Ἔργον τοῦ Λαοῦ, diviene Liturgia dopo la Liturgia e forma la comunità. Questo esempio di amore fraterno, che rinsalda gli storici legami tra questa Chiesa di Bari con il nostro Trono Ecumenico di Costantinopoli, è il frutto maturo delle relazioni delle nostre Santissime Chiese, dopo l’incontro benedetto dal Signore, avvenuto più di 50 anni orsono a Gerusalemme, tra i nostri grandi Padri nella Fede, il Papa Paolo VI ed il Patriarca Atenagora, sulle cui orme camminiamo e continueremo a camminare anche la nostra Modestia e il nostro amato Fratello, il Vescovo della Antica Roma, Papa Francesco.


VISITA A BARI DI S.S. IL PATRIARCA ECUMENICO BARTOLOMEO I Fratelli e sorelle, figli amati nel Signore, tutto questo avviene con la preghiera e la intercessione di san Nicola, che ha voluto che questa sera il Patriarca Ecumenico fosse testimone di questo importante gesto d’amore, gesto – non dimentichiamolo – già avvenuto proprio cinquanta anni fa, nel 1966 – qui a Bari – quando, sull’onda dell’incontro di Gerusalemme e del Concilio Vaticano II, per espresso desiderio del nostro amato Predecessore di beata memoria, il Patriarca Ecumenico Atenagora, dell’Arcivescovo di Bari Enrico Nicodemo e dei Padri Domenicani, nella cripta di San Nicola veniva edificata la Cappella Ortodossa, benedetta dall’allora Archimandrita di Napoli, e oggi Metropolita d’Italia e Malta Gennadios. Sono lontani quegli anni, ma in questo tempo il Signore, il Re della Pace e Salvatore delle nostre anime, ha operato con potenza. Il dialogo teologico tra le nostre Chiese avanza, i rapporti sono fraterni, rispettosi, calorosi, e anche quando le difficoltà compaiono, la pazienza e la preghiera sono le nostre armi. Anche in questo il nostro Santo Padre Nicola ci è Διδάσκαλος, Maestro. Voglia Dio, per le preghiere del Santo dell’unità, san Nicola, benedire questa comunità, tutta la città e tutti coloro che in essa vivono, operano e lavorano per il bene di essa; voglia dare sapienza e saggezza alla sua Chiesa ed ai suoi pastori e a voi amato Fratello Arcivescovo, che ringraziamo di tutto cuore, affinché il nome di Dio sia sempre invocato e glorificato nei secoli. Amen. 431


Intervento di S.S. Bartolomeo, durante la visita al Pontificio Seminario Regionale Pugliese “Pio XI” (Molfetta, 6 dicembre 2016)

Eccellenza Reverendissima Mons. Domenico Cornacchia, Vescovo di Molfetta, Ruvo, Giovinazzo e Terlizzi, Eminenze, Eccellenze, Reverendissimo don Gianni Caliandro, Rettore della Comunità del Seminario, Reverendi Padri, Fratelli e sorelle , figli amati nel Signore,

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«Ed ecco che cosa è bello o che cosa dà gioia, se non l’abitare dei fratelli insieme! Come unguento profumato sul capo, che scende sulla barba, la barba di Aronne, che scende sull’orlo della sua veste; come rugiada dell’Ermon, che scende sui monti di Sion, perché là il Signore ha disposto la benedizione e la vita in eterno» (Sal 132). Con queste parole del Salmo, desideriamo manifestarvi la nostra gioia di poter stare oggi con voi, in questo maestoso centro del Pontificio Seminario Pugliese “Pio XI” che, sotto la vigile attenzione dei vescovi di questa regione e l’amorevole attenzione dei vostri padri, educatori e maestri, accompagna coloro che il Signore ha scelto per il servizio alla sua Chiesa ed ai fratelli. Siamo giunti da Costantinopoli, dalla sede della Santa e Grande Chiesa di Cristo, il Patriarcato Ecumenico, che secondo l’espressione dei Santi Canoni della Chiesa, presiede nel servizio di unità la sinfonia delle Sante Chiese Ortodosse Autocefale, per festeggiare quest’anno con voi la memoria del nostro Santo Padre Nicola, Vescovo di Mira di Licia, il Taumaturgo, le cui vivificanti reliquie riposano a Bari, e con l’occasione la nostra Modestia, unitamente al rispettabile seguito che ci accompagna, abbiamo potuto gioire alla vista di quanto la Provvidenza e l’Amore di Dio ha operato e opera in questa terra e tra i suoi ospitali abitanti.


VISITA A BARI DI S.S. IL PATRIARCA ECUMENICO BARTOLOMEO I Questa prima visita di un Patriarca Ecumenico a questa terra, in duemila anni di storia ecclesiastica, ha rinsaldato antichissimi legami, che il susseguirsi del tempo e le vicissitudini della storia, se possono alle volte aver allentato, mai hanno reciso, perché non possiamo non pregare in ogni Divina Liturgia per «la pace del mondo intero, per la stabilità delle sante Chiese di Dio e per l’unione di tutti». E questi giorni di permanenza in Puglia ci hanno manifestato ancora una volta la vocazione ecumenica di questa terra, intreccio di radici del cristianesimo greco e del cristianesimo latino. Questa visita alla vostra Comunità pertanto, oltre a gioire per quanto vediamo, vuole portarvi la testimonianza dell’amore che il Patriarcato Ecumenico e tutta la Chiesa Ortodossa hanno per voi, che vi preparate a servire la Chiesa, o che già la servite nel ministero ordinato. Vogliamo esortarvi pertanto, come un padre con i propri figli, affinché la vostra vocazione sia piena alla chiamata del Padre Celeste, sia una vocazione vivificata dallo Spirito Santo, che testimonia l’annuncio che il Figlio ci ha lasciato. Una vocazione di amore e di relazione, secondo l’esempio delle Tre Persone Divine nella Santissima Trinità. Seguite, ascoltate i vostri maestri, i vostri professori, i vostri padri spirituali, amateli e rispettateli, perché è preziosa la loro opera agli occhi del Signore. Anche noi vogliamo incoraggiarvi in questa splendida Comunità, proponendovi cinque percorsi, che reputiamo importanti: 1. La formazione teologica Formarsi teologicamente non significa apprendere solamente delle nozioni offerte dalle varie materie dell’ordinamento degli studi; teologo, è colui che prega, è colui che parla delle cose di Dio, non come un osservatore esterno, ma come un vero imitatore, immerso nella conoscenza di Dio. Cristo annunciava e ammaestrava, insegnando le cose di Dio. La Chiesa nel corso della sua bi-millenaria storia è attenta a quanto lo Spirito dice: «Il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto» (Gv 14, 26). In que-

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sto modo fin dalla Chiesa nascente si è diviso il grano buono dalla zizzania, affinché solo la Verità fosse annunciata. I Padri della Chiesa indivisa hanno manifestato con i loro insegnamenti il soffio dello Spirito ed i Concili Ecumenici hanno attuato il percorso teologico della Chiesa. È fondamentale quindi che la Tradizione, espressione della vivificante Parola di Dio, e la stessa esegesi biblica accompagnino chi si accinge a servire nella Chiesa. 2. La formazione spirituale Conoscere Dio significa fare esperienza di Dio con il cuore, e la preghiera è il mezzo e lo strumento che pone ognuno di noi davanti al Volto di Dio. Ma dobbiamo farci soprattutto noi stessi preghiera, perché la preghiera è un mistero radicato nella nostra coscienza spirituale. Efrem il Siro diceva: «La preghiera è la madre di tutte le virtù. Preserva la temperanza, sopprime la collera, previene i sentimenti di orgoglio e d’invidia, attira lo Spirito Santo verso l’anima ed eleva l’uomo verso il cielo». Per questo anche san Serafino di Sarov diceva: «Se non conosci Dio non puoi amarlo e potrai amarlo solo se lo vedi, ma lo puoi vedere solo se lo conosci». In questo c’è però bisogno della paternità spirituale, colui che guida il neòfita al corretto cammino verso Dio, senza influenzarlo o sforzarlo, ma conducendolo per mano, per entrare nel mistero di Dio. E questo sempre in unione col vescovo, soprattutto per un prete o un confessore. Come dice sant’Ignazio di Antiochia: «Nessuno senza il vescovo faccia qualcosa che riguarda la Chiesa» (Lettera agli Smirnesi).

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3. Vita e formazione liturgica I Santi Misteri della Chiesa sono le mani di Dio nella storia dell’uomo; vivere la Liturgia e santificarsi con essa è opera del sacerdote per santificare il popolo. San Basilio, nelle sue esortazioni al sacerdote esclama: «Cerca, o sacerdote, di presentarti come un lavoratore che non ha di che vergognarsi e che dispensa rettamente la parola di verità… Presentati con cuore puro al Santo Altare». Pertanto chi serve all’Altare del Signore deve essere degno di questo servizio, deve essere cosciente, soprattutto nel celebrare la Santa Eucaristia, di essere al cospetto di Dio, del Suo Corpo e del Suo Sangue. Non “abituiamoci alla Liturgia”, ma viviamola come “fosse la prima e l’ultima e la sola”. È detto infatti: «Non date le cose sante


VISITA A BARI DI S.S. IL PATRIARCA ECUMENICO BARTOLOMEO I ai cani e non gettate le perle ai porci» (cfr Mt 7, 6). 4. Il servizio ai fratelli Il sacerdote deve avere amore per tutto, per ogni cosa, per ogni fratello e sorella e soprattutto per i più poveri. Povertà materiale e povertà spirituale sono mali che affliggono le nostre società postindustriali. Nell’epoca dell’appiattimento e della globalizzazione, il sacerdote deve essere vigile sentinella e capire la povertà dell’essere umano, non deve lasciarsi travolgere, ma deve essere porto sicuro per la nave della Chiesa e braccia che accolgono e mai giudicano. Troppe volte i nostri fratelli bussano alla porta della Chiesa, cercando un’àncora di salvezza, ma ci trovano troppo occupati nelle nostre faccende della vita. Leggiamo infatti nel Vangelo di Matteo: «In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40). 5. L’amore per l’unità della Chiesa Da questa terra così ricca di profumo di unità, non deve mancare un impegno tutto particolare a lavorare per il comandamento del Signore: Ut unum sint – ἵνα πάντες ἓν ὦσι (Gv 17, 21). Lavorare per l’unità delle nostre Chiese significa conoscerci reciprocamente, conoscere le tradizioni gli uni degli altri, significa rispetto e anche pazienza. «Vi riconosceranno da come vi amerete» (Gv 13, 35). Figli amati nel Signore, vi accompagni in questo percorso formativo la tenera protezione della Madre di Dio, la Theotokos, Colei che si è fidata completamente di Dio nel momento dell’Annunciazione, colei che ha il volto della tenerezza per suo Figlio e per tutti noi e che qui venerate con particolare ardore come “Regina Apuliae” e custodite la sua Santa Icona. Nel ringraziarvi per la vostra ospitalità, vi benediciamo tutti, portandovi nel cuore con affetto e nella preghiera con amore, «perché là il Signore ha disposto la benedizione e la vita in eterno» (Sal 132). Grazie.

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Omelia dell’Arcivescovo nella Solennità di San Nicola, alla presenza di S.S. Bartolomeo (Basilica di San Nicola, 6 dicembre 2016)

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«Giubilate, o cieli, rallegrati o terra, gridate di gioia, o monti, perché il Signore consola il suo popolo» (Is 49,13). Il giubilo che accompagna la festa di San Nicola, secondo le parole del profeta, quest’anno si moltiplica per la presenza di Sua Santità Bartolomeo I. La Sua augusta Persona, Santità, impreziosisce in modo unico questa festa e questa celebrazione. San Nicola è il Santo di tutti i cristiani. È il Santo ecumenico per eccellenza. Il cammino faticoso dell’ecumenismo, evocato, nella sua vita terrena, attraverso un significativo episodio, è narrato da uno dei più celebri autori bizantini di canoni e di encomi, sant’ Andrea di Creta. Intorno al 710 egli scriveva che Nicola non si dava pace per lo scisma provocato nella Chiesa dall’eresia ariana. Dato che uno dei maggiori seguaci di Ario era il vescovo Teògnide, cominciò a scrivergli per distoglierlo. Il temperamento energico portava però Nicola talvolta ad un linguaggio aspro. Allora egli scriveva nuovamente al vescovo: «Vieni, riconciliamoci fratello, prima che il sole tramonti sulla nostra ira (Ef 4,26)». A questo raro riferimento biografico fa riscontro la ricca percezione che di lui ha avuto il mondo cristiano. Anche quando l’ecumenismo era ancora lontano da venire, gli scrittori dai quattro angoli della terra lo vedevano come il Santo di tutti i cristiani, dagli scrittori greco-bizantini all’occidente meridionale, dal mondo slavo al mondo germanico. Tra i primi a sottolinearne l’universalità fu il panegirista greco Niceta di Paflagonia, intorno all’anno 900 dopo Cristo: «Presentandosi spiritualmente [san Nicola] riconquista gli uomini ormai senza speranza; abbellisce le chiese, conferisce prestigio ai tribunali, guida le città, indirizza rettamente i paesi. È considerato un altro salvatore per i Cristiani in quanto egli è l’immagine di Cristo. […]. Rendendo Cristo propizio al mondo


VISITA A BARI DI S.S. IL PATRIARCA ECUMENICO BARTOLOMEO I riconcilia il mondo a Cristo, e ne elargisce i beni. Perciò è invocato non in questa o quella parte della terra, ma ovunque tra i popoli, dove è stato glorificato Cristo, lì viene celebrato anche quest’uomo divino: a lui sono stati eretti dappertutto templi e altari onorati. Orefici e falegnami, fabbri e commercianti, contadini e calzolai, re della terra e tutti i popoli, governanti e tutti i giudici della terra e – per dirla in breve – tutta la moltitudine dei Cristiani invoca Nicola».

San Nicola ancora oggi mantiene una straordinaria universalità. L’incessante pellegrinaggio cattolico e ortodosso alla Basilica di San Nicola è la manifestazione ecclesiale di questo universalità, e la presenza oggi qui di Sua Santità il Patriarca Bartolomeo I è come un sacro sigillo a questa devozione universale. Sulla scia dei suoi grandi predecessori del XX secolo, Sua Santità Bartolomeo è infatti particolarmente sensibile a che i cristiani insieme diano una comune testimonianza al mondo, che mai come oggi ne ha tanto bisogno. Lei, Santità, è Patriarca. La parola “Patriarca” evoca i grandi Patriarchi della storia sacra. Nella Liturgia della Parola, oggi proclamata, san Giacomo fa riferimento ad Abramo: «non fu forse giustificato per le sue opere? Vedi: la fede agiva insieme alle opere di lui, e per le opere la fede divenne perfetta». Questo abbiamo colto in Lei, Santità: è un Patriarca ricco di grande fede, che traspare dalla Sua augusta persona, dai grandi come dai piccoli gesti, con un’attenzione squisita alle persone, a cominciare dai più piccoli. Con la sua fede e le sue opere san Nicola sia sempre il suo ispiratore. L’ecumenicità di san Nicola non solo non è intaccata, ma è esaltata dal diverso modo in cui i cristiani lo hanno percepito. Alcuni lo vedono come il “rapido soccorritore”, altri come “maestro di fede”, altri come il protettore dei pellegrini, dei viaggiatori e dei commercianti, altri ancora come il santo del mare o il “patrono delle fanciulle” e dei “ bambini” . Ma in tanta diversità c’ è un punto in comune per tutti. Egli è l’immagine della misericordia, come lo videro Tommaso d’Aquino e Dante Alighieri. È la misericordia tanto propugnata sia da Lei, Santità, che dal Papa Francesco: misericordia e compassione, per accogliere e soffrire con chi soffre. A noi piace oggi considerare voi, pastori che la provvi-

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438 denza ha voluto donarci, Papa Francesco e Bartolomeo, come immagine di Nicola. Speriamo che il nostro Santo illumini tutti i cristiani nel difficile cammino verso l’unità ecclesiale. Il tempo di Avvento, che stiamo vivendo, ci trovi vigilanti e ci faccia venerare san Nicola come il “padrone di casa” del Vangelo che si cinge le vesti ai fianchi e passa a servirci. + Francesco Cacucci, Arcivescovo


VISITA A BARI DI S.S. IL PATRIARCA ECUMENICO BARTOLOMEO I

Intervento di Sua Santità Bartolomeo, durante la S. Messa pontificale in onore del Santo (Bari, Basilica di San Nicola, 6 dicembre 2016)

Eccellenza Reverendissima Arcivescovo Metropolita di BariBitonto, Monsignor Francesco Cacucci, Ἱερώτατε Μητροπολῖτα Ἰταλίας καί Μελίτης κ. Γεννάδιε, Ποιμενάρχα τῆς Θεοσώστου ταύτης Ἐπαρχίας, Eccellenze, Reverendissimo Padre Priore, Ciro Capotosto, Reverendi Padri, Illustri Autorità, Fratelli e sorelle in Cristo Immersi nella preghiera dentro questa splendida Basilica, attorniati da così tanti fratelli e sorelle, siamo giunti dalla città di Costantino, Costantinopoli, dal Fanar, la sede del Patriarcato Ecumenico, su cortese invito dell’amato Fratello in Cristo il venerabilissimo Arcivescovo Metropolita di Bari-Bitonto, Mons. Francesco Cacucci, e del Consiglio Episcopale Pugliese, per festeggiare insieme quest’anno la memoria di questo grande Santo dell’Unità, il nostro Santo Padre Nicola, vescovo di Mira di Licia, il Taumaturgo, le cui sante reliquie riposano nella cripta di questa Basilica da oltre mille anni e che tra poco venereremo insieme. Siamo giunti in Puglia, questa splendida terra che ha intrinseca la vocazione ecumenica per la sua storia, per rinsaldare l’amore e i legami che le nostre Chiese hanno vissuto comunemente nel passato, ma che neppure le vicissitudini della storia mai hanno interrotto o raffreddato i sentimenti della reciproca stima. In questi giorni abbiamo visitato molte parti della vostra regione e ci siamo rallegrati del successo di questo laborioso popolo, della sua ospitalità abramitica e della sua fervente fede cristiana, riscon-

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trabile in tutte le attività religiose e sociali della sua Chiesa. «Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui» (1 Cor 12,26). E noi abbiamo veramente gioito con voi in questo nostro pellegrinaggio, il primo di un Patriarca Ecumenico in questa terra, e siamo particolarmente grati al Signore. La vocazione ecumenica e lo stile ospitale di questa terra, lambita dal Mare Adriatico e dal Mar Ionio, ha fatto sì che essa sia terra di accoglienza, nel passato come nel presente. Nel passato qui trovarono rifugio i cristiani perseguitati a seguito di invasioni straniere, a guerre fratricide e conseguenti carestie dei paesi che si affacciano sull’altro versante del mare. Vennero accolti e si integrarono con l’allora tessuto sociale, anche mantenendo le tradizioni delle loro terre di origine, arricchendo nel contempo la nuova patria. Abbiamo visto numerose testimonianze nelle iscrizioni e nella iconografia bizantina di numerosi reperti storico-ecclesiastici, ma anche vestigia di questa presenza nella terra del Salento. Ma anche in un passato molto recente, questa terra ha saputo essere terra di accoglienza per quelle genti che fuggivano da paesi totalitari, in cui non era possibile essere discepoli di Cristo. Nonostante le difficoltà che tutto questo comporta, e gli inevitabili problemi che possono sorgere, questa terra non ha mai chiuso le sue porte, non è mai rimasta indifferente al grido di aiuto di tanti fratelli e sorelle nel bisogno. Oggi purtroppo, ancora una volta il Mare Mediterraneo, mare di cultura, mare di solidarietà, mare di collaborazione, è divenuto mare di ondate di profughi e migranti da ogni dove. Come cristiani non restiamo indifferenti a questo grido di dolore, - e questa terra sappiamo che continua a fare la sua parte, - ma allo stesso tempo non possiamo tacere davanti allo scandalo della mercificazione dell’essere umano, del fondamentalismo religioso che pretende di agire nel nome di Dio, dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo e del depauperamento delle risorse naturali a vantaggio di pochi e a svantaggio di molti, soprattutto dei più poveri. La casa comune, l’ambiente naturale appartiene a Dio e non siamo solo i suoi economi, non siamo nuovi dei senza Dio. Per questo abbiamo alzato il grido assieme al nostro amato Fratello a Roma, Papa Francesco, dall’isola di Lesbo verso tutti i potenti della terra, verso coloro che hanno in mano le sorti dell’u-


VISITA A BARI DI S.S. IL PATRIARCA ECUMENICO BARTOLOMEO I manità, e continuiamo a farlo nel nome di Dio, Padre onnipotente e Padre misericordioso. Come cristiani, tuttavia, abbiamo un’arma forte, un’arma di pace, un’arma invincibile, che è la preghiera, e questa sera noi siamo qui per pregare insieme il nostro Santo dell’Unità, che continui a essere nostro amico e nostro compagno sulla via della salvezza e dell’unità. Pregando infatti i santi, noi preghiamo Cristo per mezzo delle membra del suo Corpo. La Chiesa, secondo san Paolo, è “casa di Dio” e “famiglia”; «noi riconosciamo nei santi i nostri fratelli maggiori in Cristo, che ci sostengono nella nostra ricerca della città celeste» (P. Evdokimov). I santi infatti, anche dopo la loro dipartita, continuano ad essere membra viventi della Chiesa, con la loro preghiera sono un legame tra le cose di lassù e le cose di quaggiù. «Supplicando i santi – scriveva il noto teologo P. Evdokimov – noi preghiamo Cristo presente in loro e ci rivolgiamo a quella potenza di amore di Cristo che fa tutti il suo corpo»1. Così noi tributiamo il giusto onore e la venerazione alle Sante Reliquie dei santi per la grazia del legame incorruttibile del corpo con lo Spirito divino e secondo la tradizione della Chiesa antica, anche con la analoga presenza testimoniata dalla loro icona. Il nostro Santo Padre Nicola è il testimone di questa santità, ma egli è anche il Santo di tutti, il Santo che non conosce confini di nazionalità, di cultura, di confessione religiosa. Quanti sono, tra gli altri, i nostri fedeli ortodossi, provenienti da ogni angolo della terra, che accorrono in questa Basilica, per gustare dell’amore che emana la santità di questo grande Vescovo Taumaturgo! Dopo la icona di Cristo e della Vergine, la icona di san Nicola è quella più conosciuta, più onorata, non manca nelle case dei fedeli. Ma perché questo Santo è così amato, nonostante non ci siano scritti teologici o documenti rilevanti sulla sua opera? Crediamo perché san Nicola è stato un vescovo amato dal suo popolo, un vescovo che ha vissuto per la verità della fede, nella sua battaglia contro la eresia ariana del suo tempo, ma anche il vescovo giusto nella sua 1

P. EVDOKIMOV, La nouveauté de l’Esprit, PUF 1979.

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Chiesa. Difensore dei poveri, giudice implacabile di fronte alle ingiustizie dei potenti e ferreo combattente del peccato. Ma anche uomo mite, pieno di continenza, pronto al perdono, pieno di compassione per la debolezza dei fedeli, – che iniziava a manifestarsi con la libertà della fede cristiana a seguito dell’editto di Milano, – ma fermo aiutante nella difesa dei costumi e della rettitudine. Per questo la sua fama si è diffusa al di là dei confini della sua Chiesa a Mira di Licia. La Provvidenza di Dio ha fatto sì che il suo corpo giungesse qui a Bari, dove ancor oggi noi possiamo venerarlo con fede. La confidenza di san Nicola con Dio e con noi lo ha reso un Santo “mirovlita”, dalle cui Sante Reliquie sgorga il myron, o manna come si dice a Bari, testimonianza di santità che vivifica il credente e lo rende confidente di Dio, lo benedice. Già il nostro santo predecessore Giovanni Crisostomo diceva a tal riguardo ai pellegrini: «Sosta presso la tomba dei martiri, versa fiumi di lacrime, castiga il tuo cuore e porta con te la sua benedizione. Prendi l’olio santo, affinché il tuo corpo ne riceva unzione, la lingua, le labbra, il collo, gli occhi». Figli amati nel Signore, siamo giunti anche noi come pellegrini presso la tomba di questo grande Santo, per invocare la sua intercessione, la sua preghiera ed il suo sostegno nel nostro servizio patriarcale, per ringraziare Dio con lui, per i nostri già 25 anni di servizio all’unità della Chiesa sul Trono di Sant’Andrea, ma anche per essere forti testimoni della necessità dell’incontro dei discepoli di Cristo, affinché il mondo creda, e noi possiamo in un giorno non lontano spezzare insieme il Pane di Vita e bere al Calice della Salvezza. Permetteteci di concludere questo nostro saluto con le parole della Liturgia Bizantina per il nostro Santo Padre: «Pastori e maestri, conveniamo insieme per lodare il pastore, èmulo del buon pastore; i malati facendo l’elogio del medico; quelli che sono nei pericoli, del liberatore; i peccatori, dell’avvocato; i poveri, del tesoro; gli afflitti, del conforto; i viaggiatori, del compagno di viaggio; quelli che sono in mare, del nocchiero: tutti, facendo l’elogio del grandissimo pontefice che ovunque a noi fervido accorre, così diciamo: “Santissimo Nicola, affrettati a liberarci dall’angustia presente, e con le tue suppliche, salva il tuo gregge”» (Doxastikon delle Lodi).

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Amen.


D OCUMENTI

E

V ITA

DELLA

C HIESA

DI

B ARI -B ITONTO

MAGISTERO E ATTI DELL’ARCIVESCOVO Con il cuore di Dio. Famiglie in cammino*

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Si ringrazia il Patriarca di Venezia e la Procuratoria della Basilica di San Marco, nonché la Fabbriceria del Duomo di Monreale, per la gentile concessione dell’utilizzo delle immagini dei mosaici. *

Il presente testo è stato edito per i tipi del Centro editoriale Dehoniano, Bologna 2016.


Introduzione L’amore sponsale, incarnazione della Carità L’immagine che apre queste pagine e che fa da sfondo a tutto il nostro percorso ha una bellezza insieme poetica e malinconica. Se non ne conoscessimo il contesto – su cui torneremo – potremmo pensare che mette in scena un accompagnamento spirituale. È il Signore stesso, nelle fattezze del Verbo, che guida. Pone delicatamente le mani sulle spalle; incoraggia senza forzare, resta indietro, quasi a proteggere, a non invadere, mentre si schiude la porta che chiama al cammino, al futuro, alla storia. Il Signore stesso «scende», fino alla soglia in cui il Regno dei Cieli diventa Regno della terra, e stende le sue mani sulla coppia: uomo e donna. Il fatto che conosciamo il contesto – siamo alla «chiusura» del punto estremo del cerchio della cupola della Genesi di San Marco a Venezia1, e dunque alla cosiddetta «cacciata» dal paradiso terrestre – non toglie questa poesia e simbologia; anzi la amplifica, ricordandoci che da sempre le coppie umane sono ferite, fragili, cadute. Nonostante questo il Signore da sempre le ama. Non caccia con spade di fuoco, ma accompagna con trepidazione (e segue con le mani e lo sguardo), quando la debolezza fa uscire dal paradiso dell’amore; e aspetta con pazienza e dolore, quando la durezza del cuore, i rifiuti alzano muri al posto delle porte. «La Bibbia è popolata da famiglie, da generazioni, da storie di amore e di crisi familiari, fin dalla prima pagina, dove entra in scena la famiglia di Adamo ed Eva, con il suo carico di violenza ma anche con la forza della vita che continua (cfr Gen 4), fino all’ultima pagina dove appaiono le nozze della Sposa e dell’Agnello (cfr Ap 21,2.9)»2.

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La cupola, posta nell’atrio della Chiesa di San Marco a Venezia, rappresenta in tre fasce concentriche (e 24 scene) la «genesi», dalla creazione all’uscita di Adamo ed Eva dal paradiso terrestre. La realizzazione risale al XIII secolo, ma il modello d’ispirazione dei mosaici è molto più antico, essendo legato alla cosiddetta «Bibbia Cotton», codice miniato risalente alla cultura alessandrina del V secolo. 2 FRANCESCO, Esortazione apostolica post-sinodale Amoris laetitia (AL) sull’amore nella famiglia, 19 marzo 2016, n. 8.


MAGISTERO E ATTI DELL’ARCIVESCOVO Amore e misericordia, famiglia e alleanza si tengono insieme nella storia della salvezza. Ecco allora la nostra proposta. In questi ultimi anni (dal 2012 al 2015), nella diocesi di Bari-Bitonto, abbiamo vissuto il tempo liturgico lasciandoci guidare dalle tre Virtù teologali: Fede, Speranza e Carità. Lo scorso anno siamo stati coinvolti in un «esercizio di discernimento», a conclusione della Visita pastorale in tutte le parrocchie della diocesi3. Quest’anno, alla luce del cammino finora compiuto e della 66.ma Settimana Liturgica Nazionale vissuta a Bari nello scorso agosto 2015, sul tema Eucaristia Matrimonio Famiglia, prolunghiamo la nostra riflessione sulla Carità, lasciandoci interrogare da quel luogo, quell’ambito particolare in cui l’amore prende carne: l’unione dello sposo e della sposa, figura paradigmatica di ogni amore di amicizia4. L’icona scelta come guida ci ricorda la grande dignità che Dio stesso attribuisce alla coppia, ma allo stesso tempo non ne nasconde fragilità e povertà. Il tempo che stiamo vivendo sembra mostrare con più evidenza i segni di questa contraddizione. Papa Francesco, consapevole del momento critico che attraversano le coppie e le famiglie credenti e non, ha voluto dedicare due anni al Sinodo sulla Famiglia. Né dobbiamo sottovalutare il fatto che, dopo il Sinodo, l’Esortazione apostolica sulla Famiglia, Amoris laetitia, sia stata offerta alla comunità cristiana nell’Anno Giubilare della Misericordia5. 3

Cf. F. CACUCCI, Memoria fedeltà profezia. Visite pastorali 2007-2014, 2 voll., Ecumenica, Bari 2015. Anche la Sacra Scrittura lo conferma. Se prendiamo le pagine del Cantico dei Cantici troviamo che l’amata e l’amato si chiamano tra loro anche amica e amico oltre che sorella e fratello. Come se l’amore sponsale integrasse in sé le altre forme di amore. Dobbiamo ricordare che la Bibbia si apre con una coppia, quella di Adamo ed Eva, e si chiude con una coppia, quella di Cristo Sposo e della Chiesa sua Sposa. Lo ricorda anche papa Francesco nell’Amoris laetitia. 5 «Questa Esortazione acquista un significato speciale nel contesto di questo Anno Giubilare della Misericordia. In primo luogo, perché la intendo come una proposta per le famiglie cristiane, che le stimoli a stimare i doni del matrimonio e della famiglia, e a mantenere un amore forte e pieno di valori quali la generosità, l’impegno, la fedeltà e la pazienza. In secondo luogo, perché si propone di incoraggiare tutti ad essere segni di misericordia e di vicinanza lì dove la vita familiare non si realizza perfettamente o non si svolge con pace e gioia» (AL 5). 4

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La Chiesa, ha detto il papa, è un «ospedale da campo», ma anche punto di riferimento, segno elevato fra le nazioni per essere strumento di salvezza; si avvicina con premura, senza rinunciare a proporre il progetto di Dio. Allora: da un lato vogliamo vivere il nuovo Anno liturgico con il cuore attento al Vangelo dell’amore nuziale che trova in Cristo e nella Santa Trinità l’origine e il fine della vocazione all’amore; dall’altro lato vogliamo provare, da un punto di vista formativo e pastorale, a coinvolgerci maggiormente nel mistero del matrimonio e della famiglia, prendendo a modello alcune coppie bibliche e approfondendo il Rito del matrimonio. Emerge anche quest’anno la centralità della nostra scelta, del metodo mistagogico: uno sguardo alla storia della salvezza che la Chiesa celebra nella liturgia e che diventa ispirazione e orientamento per la vita quotidiana dei cristiani.

Sguardo d’insieme 1. Un amore gratuito e potente Giuseppe e Maria: la vocazione al matrimonio Avvento-Natale «L’alleanza di amore e fedeltà, di cui vive la Santa Famiglia di Nazaret, illumina il principio che dà forma ad ogni famiglia, e la rende capace di affrontare meglio le vicissitudini della vita e della storia. Su questo fondamento, ogni famiglia, pur nella sua debolezza, può diventare una luce nel buio del mondo» (AL 66).

446 2. Un amore in uscita Abramo e Sara: genitori e figli Tempo Ordinario (Prima parte) «La Chiesa è chiamata a collaborare, con un’azione pastorale adeguata, affinché gli stessi genitori possano adempiere la loro missione educativa. Deve farlo aiutandoli sempre a valorizzare il loro ruolo specifico, e a riconoscere che coloro che hanno ricevuto il sacramento del matrimonio diventano veri ministri educativi, perché nel formare i loro figli edificano la Chiesa, e nel farlo accettano una vocazione che Dio propone loro» (AL 85).


MAGISTERO E ATTI DELL’ARCIVESCOVO 3. Un amore accompagnato dalla misericordia Adamo ed Eva: le ferite delle famiglie Quaresima «La storia di una famiglia è solcata da crisi di ogni genere, che sono anche parte della sua drammatica bellezza. Bisogna aiutare a scoprire che una crisi superata non porta ad una relazione meno intensa, ma a migliorare, a sedimentare e a maturare il vino dell’unione» (AL 232).

4. Un amore di risurrezione L’Amato e l’Amata del Cantico dei Cantici: famiglia e giorno del Signore Pasqua-Pentecoste «Il cammino comunitario di preghiera raggiunge il suo culmine nella partecipazione comune all’Eucaristia, soprattutto nel contesto del riposo domenicale. Gesù bussa alla porta della famiglia per condividere con essa la Cena eucaristica (cfr Ap 3,20). Là, gli sposi possono sempre sigillare l’alleanza pasquale che li ha uniti e che riflette l’Alleanza che Dio ha sigillato con l’umanità sulla Croce» (AL 318).

5. Un amore pieno di bellezza Isacco e Rebecca / Giacobbe e Rachele: famiglia e comunità cristiana Tempo Ordinario (Seconda parte) «La Chiesa è famiglia di famiglie, costantemente arricchita dalla vita di tutte le Chiese domestiche. Pertanto, in virtù del sacramento del matrimonio ogni famiglia diventa a tutti gli effetti un bene per la Chiesa. In questa prospettiva sarà certamente un dono prezioso, per l’oggi della Chiesa, considerare anche la reciprocità tra famiglia e Chiesa: la Chiesa è un bene per la famiglia, la famiglia è un bene per la Chiesa» (AL 87).

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1. Un amore gratuito e potente

Epifania, Battistero della Basilica di San Marco, Venezia

«L’alleanza di amore e fedeltà, di cui vive la Santa Famiglia di Nazaret, illumina il principio che dà forma ad ogni famiglia, e la rende capace di affrontare meglio le vicissitudini della vita e della storia. Su questo fondamento, ogni famiglia, pur nella sua debolezza, può diventare una luce nel buio del mondo» (AL 66).

Giuseppe e Maria: la vocazione al matrimonio Avvento-Natale

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Nell’immagine «Ecce veniat desideratus eius» (ecco viene il «suo» desiderato): con questa espressione del profeta Aggeo (scritta sul cartiglio della Cupola dell’Emmanuele, nella Basilica di San Marco a Venezia) viene introdotto il mistero dell’Incarnazione, e il suo percorso dall’Annunciazione all’Epifania. Il desiderio resta il tema portante di questo percorso. Pensiamo al mosaico di Maria al pozzo (che troviamo nella piccola navata occidentale del transetto di San Marco) in cui la sete d’amore della Vergine (l’attingere l’acqua) viene al


MAGISTERO E ATTI DELL’ARCIVESCOVO contempo interrotta dall’annuncio dell’angelo e dilatata nell’infinito. Il desiderio che Maria ha di Giuseppe e di Dio viene trasformato, nella chiamata a «dare» innanzitutto più amore, prima che prenderlo dal pozzo: tant’è che la brocca infine sembra più «innaffiare» il tronco di Iesse che attingere acqua.

Pensiamo poi al «lungo» mosaico dell’Epifania (presente nel mosaico del Battistero, sempre a San Marco), scandito in tre tappe: la visita dei Re Magi a Erode, l’adorazione del Bambino e il sogno di Giuseppe. Anche in questo caso possiamo cogliere il filo conduttore del desiderio, la «lunga» attesa e infine il suo compimento. La natività non ha un mosaico a sé a San Marco, la cui tradizione musiva si rifà alla matrice bizantina, che celebra unitariamente la festa liturgica della Nascita e quella della Manifestazione. Anche per questo la famiglia di Nazaret pare non avere una centralità. Ma questa scelta, lungi dall’essere un limite, nell’immagine diventa forza espressiva. Maria e Giuseppe sono inseriti nella corrente del desiderio: desiderio del Desiderato, da sempre, da tutte le genti (qui simboleggiate dai Magi). Sappiamo come una particolare ipotesi

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etimologica collega il «de-siderare» alle stelle (sidera): e al nostro «fissarle ardentemente», proprio perché sono lontane e ci mancano (de-). Ma potremmo forse anche spingerci un po’ oltre nell’interpretazione e pensare questo de- come un da (origine e provenienza), sottolineando che non siamo noi l’origine delle stelle e del Desiderio, ma è Lui che viene a noi («tu scendi dalle stelle»). Quindi è bello osservare al centro della scena la stella (che ha guidato i Magi) e il Bambino, che prende forma «in» Maria proprio a partire Giuseppe (e prima ancora del Padre in loro) e fine del desiderio di ogni uomo. È evidente qui il parallelismo «sponsale» che ci sta guidando: perché Maria è sì la sposa di Giuseppe, ma è anche la Chiesa (Sposa di Cristo), come la sua postura in questa immagine ci ricorda in maniera evidente: una «porta» davanti ad un edificio; una mano che si tende e accoglie. Invito anche per noi, a farci Chiesa aperta, in uscita, verso i più lontani. Dietro la Vergine, Giuseppe: i suoi sogni, i suoi pensieri, la sua cura (per Maria e Gesù) e ancora il suo amore e il suo desiderio.

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Nella storia della salvezza L’Avvento, allora: come tempo dell’attesa, del desiderio. La stessa vita è «la ginnastica del desiderio» (sant’Agostino). Se Gesù è il «desiderato delle genti» («Se squarciassi i cieli e scendessi!» dice Isaia) per le sue nozze con l’umanità (Natale), modello fondamentale di attesa in questo tempo liturgico diventa per noi la coppia: Giuseppe e Maria. L’incontro, il matrimonio di Giuseppe e di Maria fu unico nel suo genere. Essi unirono le loro esistenze davanti a Dio per aiutarsi, amarsi, far crescere in loro e incarnare il Desiderio stesso di Dio-amore. Di fronte al fatto inedito («Maria si trovò incinta»), Giuseppe non poté nascondere il suo turbamento. È l’oscurità della fede. Un celebre medico e psicologo, Paul Chauchard, ha descritto Giuseppe come «un uomo normale, del tutto reale, e non un’utopia. […] Un uomo giovane, modello degli sposi, innamorato di una giovane donna che le circostanze gli imponevano di non trattare secondo la norma coniugale. Giuseppe è modello di controllo della sensibilità e dell’affettività al servizio dell’amore, nel rispetto e nella tenerezza. Egli è l’ideale della vera virilità in relazione autentica con la vera femminilità della vergine Maria»6. 6

Cit. in B. MARTELET, Giuseppe di Nazaret, Paoline, Roma 1983, p.6.


MAGISTERO E ATTI DELL’ARCIVESCOVO Nella celebrazione liturgica San Giovanni Crisostomo dice che Giuseppe «ubbidì di gran cuore», con Maria. Perciò Dio è andato oltre i loro desideri. Il loro amore gratuito fino all’assolutezza del dono e potente fino alla generazione di ciò che sembrava impossibile accompagna i nostri piccoli desideri, e li fa crescere nella potenza della gratuità. Lo esprime bene, questo, una preghiera della Chiesa in Avvento: «O Dio, Padre buono, tu hai rivelato la gratuità e la potenza del tuo amore, scegliendo il grembo purissimo della Vergine Maria per rivestire di carne mortale il Verbo della vita: concedi anche a noi di accoglierlo e generarlo nello spirito con l’ascolto della tua parola, nell’obbedienza della fede» (Colletta alternativa, IV domenica di Avvento A).

Anche una preghiera della liturgia nuziale per gli sposi chiede a Dio: «effondi su di loro la grazia dello Spirito Santo perché, con la forza del tuo amore diffuso nei loro cuori, rimangano fedeli al patto coniugale» (Benedizione nuziale, Prima formula). Leggendo la propria storia nella storia più grande che Dio dischiude davanti a loro, i fidanzati e gli sposi cristiani imparano a rinnovare ogni giorno l’obbedienza della fede che li rende forti di fronte ad ogni minaccia. Nella storia degli uomini Al tempo del loro fidanzamento, Giuseppe e Maria, come tutti gli innamorati, sognavano ogni felicità. Il tempo del fidanzamento e comunque della preparazione al matrimonio può trovare un prezioso riferimento al tempo di Avvento. I fidanzati vanno coinvolti nel cammino della comunità e aiutati a vivere questo tempo di preparazione come tempo di attesa, di desiderio, di vigilanza e di discernimento. È compito della comunità aiutare i fidanzati a comprendere che: «il matrimonio è una vocazione, in quanto è una risposta alla specifica chiamata a vivere l’amore coniugale come segno imperfetto dell’amore tra Cristo e la Chiesa. Pertanto, la deci-

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sione di sposarsi e di formare una famiglia dev’essere frutto di un discernimento vocazionale» (AL 72). L’ideale sarebbe quello di riservare al tempo di Avvento l’inizio per la preparazione al matrimonio dei fidanzati, prevedendo in una delle quattro domeniche la presentazione e l’accoglienza dei fidanzati, con l’eventuale consegna del Rito del Matrimonio. Ricordando sempre che per tutti (anche per chi non è chiamato alla vocazione matrimoniale) la coppia cristiana è segno e simbolo di quell’amore sponsale che Cristo ha per la Chiesa e quindi per ognuno di noi: in maniera unica e speciale. Per cui in Avvento (e sempre) sentiamoci realmente tutti desiderati; e chiamati a coltivare – nel Desiderato, Emmanuele – la bellezza dei nostri sogni e dei nostri desideri d’amore.

2. Un amore in uscita

452 Cupola di Abramo, particolare (Viaggio per Canaan), Basilica di San Marco, Venezia

«La Chiesa è chiamata a collaborare, con un’azione pastorale adeguata, affinché gli stessi genitori possano adempiere la loro missione educativa. Deve farlo aiutandoli sempre a valorizzare il loro ruolo specifico, e a riconoscere che coloro che hanno ricevuto il sacramento del matrimonio diventano veri ministri educativi, perché nel formare i loro figli edificano la Chiesa, e nel farlo accettano una vocazione che Dio propone loro» (AL 85).


MAGISTERO E ATTI DELL’ARCIVESCOVO Abramo e Sara: genitori e figli Tempo ordinario (Prima parte)

Nell’immagine Nella cupola di Abramo, sempre in San Marco, troviamo in continuità, quasi come un fregio, quindici scene. Le prime tre sono: il Signore parla ad Abramo (e lo fa partire per Canaan); il viaggio per Canaan; il Signore parla ad Abramo. Il richiamo biblico di riferimento, mosaicato sopra questo trittico unitario, è: «Il Signore disse ad Abram: “Vattene dal tuo paese, verso il paese che ti indicherò”. Prese la moglie e Lot, figlio di suo fratello, per incamminarsi verso il paese di Canaan. Abram aveva settantacinque anni quando lasciò Carran». L’immagine scelta come riferimento di questa prima parte del Tempo liturgico ordinario è la seconda (la partenza per Canaan) e si frappone tra i due quadri (simmetrici nel contenuto) in cui Dio parla ad Abramo. Una famiglia in cammino, con tutte le sue relazioni e i suoi beni. Una famiglia in uscita: chiamata, ancora una volta, a rimettersi in gioco. Una famiglia in ascolto, di un Dio che sempre parla, sempre chiede e sempre dona. Sara guarda in avanti, Abramo indietro. E i due sguardi si intrecciano e completano, nella continuità di una fedeltà alla propria storia: una storia piena di cesure, interruzioni, cadute, angosce, timori di aver dato tutto per non avere nulla7. Eppure una storia che nessuno di questi limiti riesce a spezzare. Legata indietro nella continuità e in avanti verso la promessa. Una storia feconda e infinita, proprio per la sua fedeltà: a se stessa e al Signore.

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«Tutto quello che avviene ad Abramo e Sara è raccontato per noi, per strappare a tutti i credenti biblici di tutti i tempi una concezione della coppia come strumento per far figli, anzi, come strumento di affermazione di sé tramite i figli, al punto tale che senza di essi la coppia si sentirebbe come fallita» (A. GASPERONI, Iddio li creò … famiglia, a cura della Comunità di Caresto, Edizioni OR, Milano 1997, p. 99).

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Nella storia della salvezza Non a caso, subito dopo il Battesimo al Giordano, la liturgia domenicale presenta la chiamata dei primi discepoli lungo il mare di Galilea. Nella storia sacra, principale modello di chiamata è Abramo. Ma Abramo non entra da solo in questo progetto. Egli è coinvolto insieme a Sara sua moglie, e la sua obbedienza attira su di sé la benedizione attraverso la promessa di un figlio. Perché «nulla è impossibile a Dio». Per la prima volta viene rivolta questa espressione a Sara (che aveva novant’ anni) e poi sarà ripetuta a Maria. Quando Giovanni Paolo II è andato a Nazaret, nell’omelia, ha presentato Maria come la nuova Sara, la madre del popolo cristiano8. Sara e Abramo sono la roccia sulla quale poggia la fede del popolo ebraico. Perciò leggiamo nel profeta Isaia: «Guardate alla roccia da cui siete stati tagliati […] Guardate ad Abramo vostro padre, a Sara che vi ha partorito: poiché io chiamai lui solo, lo benedissi e lo moltiplicai» (51,1-2). Ancora oggi Dio chiama a fidarsi e abbandonarsi al suo progetto di bene. Non da soli. Nella celebrazione liturgica «Oggi la Chiesa, lavata dalla colpa nel fiume Giordano, si unisce a Cristo suo Sposo, accorrono i Magi con doni alle nozze regali e l’acqua cambiata in vino rallegra la mensa» (Antifona al Benedetto, Epifania).

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La liturgia del tempo di Natale introduce al Tempo ordinario con la metafora delle nozze. Un’immagine che, mentre annuncia e celebra il mistero dell’Incarnazione, allo stesso tempo ricorda l’ingresso di Cristo nella vita pubblica. Dio vuole celebrare le nozze tra il Figlio e l’intera umanità9. Ecco, quindi, Gesù sulle strade della Galilea chiamare i primi discepoli a seguirlo (III domenica del Tempo ordinario A), come lo Sposo aveva già invitato la Sposa del Cantico a seguirlo: 8

Cfr «L’Osservatore Romano», 26 marzo 2000, p. 5. «Nel patto d’amore tra un uomo e una donna si riflette quindi il disegno d’amore di Dio verso il suo popolo. È il grande mistero nuziale che segna tutta la storia dell’Alleanza fino al suo compimento nell’unione sposale tra Cristo e la Chiesa» (CEI, Il mistero “grande” dell’amore. Indicazioni per la valorizzazione pastorale del nuovo Rito del Matrimonio n. 7).

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MAGISTERO E ATTI DELL’ARCIVESCOVO «Ora l’amato mio prende a dirmi: “Àlzati, amica mia, mia bella, e vieni, presto!”» (Ct 2,10)

«Questo mistero è grande», direbbe san Paolo. E la sua grandezza e misteriosità si fa icona concreta in quanti, ancora oggi, con coraggio, nonostante ogni difficoltà umana, decidono di celebrare il sacramento del matrimonio. Ogni coppia che sceglie di dire il proprio «sì» nel Signore, come i primi discepoli sul lago, accoglie l’invito di Gesù a seguirlo perché riconosce nel suo Amore la sorgente del proprio amore. E si lascia innanzitutto amare da Lui, chiedendogli di non lasciarsi «sedurre dalle potenze del mondo, ma a somiglianza dei piccoli del Vangelo» di seguire «con fiducia il suo sposo e Signore, per sperimentare la forza del suo Spirito» (Colletta alternativa, IV domenica del Tempo ordinario A). Nella storia degli uomini «Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato?» (V domenica). Se si perde il sapore della vita si perde il sapore stesso dell’amore. Questo vale sicuramente per i fidanzati che scelgono di celebrare il sacramento del matrimonio, e vogliono con questo dare «sapore» al proprio amore, perché nelle nozze «il modo di amare di Dio diventa la misura dell’amore umano»10. Ma vale anche per ognuno di noi, battezzato e amato in Cristo. La domenica del Battesimo, che conclude il tempo della manifestazione e apre al Tempo ordinario, può essere l’occasione per la memoria del proprio battesimo, così come avviene nel Rito del matrimonio. Allo stesso tempo, la domenica del Battesimo può essere tempo e luogo propizio per ricordare la responsabilità che i genitori hanno verso i figli, e occasione per un inserimento più pieno nella comu10

BENEDETTO XVI, Lettera enciclica Deus caritas est sull’amore cristiano, 25 dicembre 2005, n.11. Cfr anche quanto detto dalla CEI in relazione al nuovo Rito del Matrimonio, la cui ricchezza invita a «far sì che il dialogo d’amore dei fidanzati e degli sposi si lasci plasmare sempre più dal linguaggio dell’amore divino» (Il mistero «grande» dell’amore, n. 2).

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nità. È quello che la celebrazione del Battesimo chiede nei Riti di accoglienza: «Cari genitori, chiedendo il Battesimo per il vostro figlio, voi vi impegnate a educarlo nella fede, perché, nell’osservanza dei comandamenti, impari ad amare Dio e il prossimo, come Cristo ci ha insegnato. Siete consapevoli di questa responsabilità?».

Allo stesso tempo siamo chiamati a coinvolgerci maggiormente, come comunità, (compatibilmente con gli orari e la disponibilità, magari attraverso coppie di animatori) nei matrimoni celebrati in parrocchia, che spesso rischiano di apparire celebrazioni private. Sarà bene valorizzare la Festa della famiglia che la nostra diocesi celebra nella domenica del Battesimo di Gesù, caratterizzata dal Rinnovo delle promesse nuziali.

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MAGISTERO E ATTI DELL’ARCIVESCOVO

3. Un amore accompagnato dalla misericordia

Cupola della Genesi, particolare (Cacciata dal paradiso terrestre), Basilica di San Marco, Venezia

«La storia di una famiglia è solcata da crisi di ogni genere, che sono anche parte della sua drammatica bellezza. Bisogna aiutare a scoprire che una crisi superata non porta ad una relazione meno intensa, ma a migliorare, a sedimentare e a maturare il vino dell’unione» (AL 232).

Adamo ed Eva: le famiglie ferite Quaresima Nell’immagine Torniamo a vedere nella sua totalità l’immagine scelta per la copertina e in generale come guida del nostro percorso. Come dicevamo all’inizio, più che la cacciata dal paradiso terrestre, in questa scena vediamo descritta, in modo mirabile, la misericordia di Dio che si manifesta in Gesù, il quale, amorevolmente (non con la spada di fuoco) accompagna Adamo ed Eva verso il mondo, dopo aver ricoperto le loro nudità di vesti, e dopo aver donato loro zappa e fuso, per lavorare la terra, e ri-crearla. Non è una fine, ma un nuovo ini-

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zio, e forse il vero inizio della storia: dal grembo della misericordia. Lungi dal chiudere (chiudere il ciclo della cupola della Genesi; e chiudere il paradiso all’umanità ferita), questa immagine apre. E ci consegna l’idea che mai l’uomo e la donna perdono la loro regalità di figli di Dio. Ce lo mostra bene Eva, quasi su un trono; e Adamo, amorevolmente intento a prendersi cura della casa comune (per dirla con la Laudato si’ di papa Francesco). In quest’ottica il volto cristiforme del Padre non appare solo come una necessità iconica o una ripetizione della tradizione che vuole il Logos protagonista dell’esamerone figurativo, ma un annuncio e una promessa. Mai la caduta sarà l’ultima parola, perché il Signore, ieri oggi e sempre, ci accompagna, ci precede e ci aspetta. Antico e Nuovo Testamento si incontrano. Il tocco geniale delle maestranze veneziane ce lo dice con la Croce, posta tra le foglie dell’albero (morte e vita, peccato e salvezza), alimentato dalla fiamma viva dell’amore che brucia e non consuma, a cui sempre possiamo attingere.

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Nella storia della salvezza L’intuizione formidabile di questo particolare del nartece di San Marco ci conforta e sostiene nel percorso che stiamo vivendo nell’Anno della misericordia. Il racconto del peccato di Adamo ed Eva, la prima coppia, che la liturgia della I domenica di Quaresima ci propone, ci serve per allargare il nostro sguardo sulla misericordia di Dio. E ci chiede di farci a nostra volta sguardo di misericordia per tutte le esperienze di amore ferito, deluso, caduto. Se le opere di misericordia sono – seguendo san Paolo – rallegrarsi con quelli che sono nella gioia e piangere con quelli che sono nel pianto (cfr Rm 12,15), allora l’accompagnamento delle coppie è a suo modo un’opera di misericordia. Anzi, secondo la tradizione giudaica, proprio la prima opera di misericordia è assistere ai matrimoni. Perché? Perché è stato Dio il primo a farlo. Dio ha unito Adamo ed Eva in matrimonio e li ha benedetti. E, dopo il peccato, Egli stesso, quando erano nudi, li ha vestiti con «tuniche di misericordia»11, e accompagnati alla soglia di un nuovo inizio. Anche Gesù, a Cana di Galilea, ha compiuto la sua prima opera di 11

«La frase “si accorsero di essere nudi” rappresenta il passaggio dall’amarsi all’armarsi, dal


MAGISTERO E ATTI DELL’ARCIVESCOVO misericordia, che l’evangelista Giovanni definisce l’inizio dei segni, per una coppia di sposi. Nella celebrazione liturgica Una delle formule per la benedizione nuziale offerte dalla liturgia può aiutare le nostre famiglie ad entrare nello spazio sacro della Quaresima: «O Dio, in te, la donna e l’uomo si uniscono, e la prima comunità umana, la famiglia, riceve in dono quella benedizione che nulla poté cancellare, né il peccato originale né le acque del diluvio» (Benedizione nuziale, Prima formula).

A caratterizzare il tempo quaresimale sono soprattutto le ultime tre domeniche, attraverso il racconto della samaritana, del cieco nato e di Lazzaro. Il Vangelo di queste domeniche presenta Gesù che, affrontando tre situazioni diverse, porta ad una svolta nella vita delle persone che incontra. Questi tre incontri possono suggerire un percorso anche per le famiglie delle nostre comunità. Nei tratti della donna samaritana possiamo riconoscere la realtà di tante persone e famiglie che vivono con rassegnazione la loro dolorosa situazione, le loro ferite d’amore12. La tragedia del cieco nato ricorda che siamo tutti coinvolti in una storia segnata dalla sofferenza, dal limite, dalla fragilità: situazioni che talvolta superano il peccato personale. Infine la risurrezione di Lazzaro porta lo sguardo sulla minaccia che segna la nostra vita. Ma la morte non è solo quella fisica. A volte la morte del cuore toglie il respiro alle nostre famiglie e diventa l’ultima parola su una situazione che ormai «già manda cattivo odore» (Gv 11,39). L’episodio di Lazzaro spinge a fare l’unica cosa affidata alla nostra responsabilità: «togliere la pietra» che ha messo il sigillo di morte su una relazione e confidare nella potenza del Signore perché «risorga». non avere bisogno di difendersi davanti all’altro alla necessità della difesa» (A. GASPERONI, Iddio li creò … famiglia, cit., p. 48). 12 Cfr F. CACUCCI, Lo splendore della speranza. Verso le periferie della storia, EDB, Bologna 2013, pp. 37-39. [Cfr anche Bollettino Diocesano Odegitria, ottobre 2014, pp. 495-535, ndr].

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Nella storia degli uomini La storia di Adamo ed Eva continua ancora oggi nelle nostre famiglie, che sperimentano l’esperienza del peccato come fallimento, smarrimento, tradimento, o diffidenza. Il cammino quaresimale, però, presentandoci l’incontro di Gesù con la samaritana, il cieco nato e Lazzaro, attesta che incontrando Dio possiamo incontrare noi stessi in tutta la nostra verità. Questo vale anche per le nostre famiglie. La Quaresima ci offre l’immagine del deserto, non solo come spazio di penitenza e di silenzio, ma soprattutto come luogo di conversione e ascolto. Per il popolo d’Israele il deserto è tempo e spazio necessario per riaccendere la nostalgia del primo Amore e riscoprire la bellezza del perdono13. Occorre sempre ricordare che non si può mai slegare il peccato dal perdono e dalla misericordia. La misericordia di Dio ha la capacità di risvegliare il peccatore: «se sono caduta, mi rialzerò» (Mi 7,8). La Quaresima diventa tempo propizio nel quale approfondire in comunità, con i pastori, il capitolo ottavo dell’Amoris laetitia sulle vite ferite e sulle situazioni dette «irregolari». Come vescovo vorrei indicare per quali vie procedere, nel nostro contesto culturale e pastorale, cercando di essere fedeli, oggi, al Signore e al magistero della Chiesa. Il criterio principale, ripreso dalla Familiaris consortio, riguarda il «ben discernere le situazioni»14, soprattutto da parte dei pastori. Papa Francesco, pur sottolineando che ogni rottura del vincolo matrimoniale è «contro la volontà di Dio», aggiunge che la Chiesa è «consapevole della fragilità di molti suoi figli» (AL 291). Nel n. 304 dell’Amoris laetitia, a proposito delle norme e del discernimento, il papa «prega caldamente che ricordiamo ciò che insegna san Tommaso d’Aquino e che impariamo ad assimilarlo nel discernimento pastorale». E cita il Santo Dottore: «Sebbene nelle cose generali vi sia una certa necessità, quanto più si scende alle cose particolari, tanto più si trova indeterminazione»15. 13

«Quando siamo stati offesi o delusi, il perdono è possibile e auspicabile, ma nessuno dice che sia facile. La verità è che la comunione familiare può essere conservata e perfezionata solo con un grande spirito di sacrificio. Esige, infatti, una pronta e generosa disponibilità di tutti e di ciascuno alla comprensione, alla tolleranza, al perdono, alla riconciliazione» (AL 106). 14 GIOVANNI PAOLO II, Esortazione apostolica Familiaris consortio [FC], 22 novembre 1981, n. 84. 15 TOMMASO d’AQUINO, Sth I-II, q. 94, art. 4.


MAGISTERO E ATTI DELL’ARCIVESCOVO Continuando nell’approfondimento, è illuminante quanto san Tommaso dice, di seguito, a proposito della legge naturale: «si deve concludere che la legge naturale quanto ai primi principi universali (principia communia) è identica presso tutti gli uomini, sia per la sua rettitudine oggettiva, sia per la sua conoscenza. Ma rispetto a molte sue applicazioni, che sono quasi conclusioni dei principi universali, è identica presso tutti… nella maggior parte dei casi (in plurimis); ma in pochi casi (in paucioribus) possono esserci delle eccezioni, sia quanto alla bontà delle sue norme, che quanto alla conoscenza. Infatti possono intervenire ostacoli particolari… E quanto alla conoscenza va notato che ci sono alcuni i quali hanno la ragione sconvolta dalle passioni, o dalle cattive consuetudini, oppure dalle cattive disposizioni naturali»16.

La flessibilità della norma unita all’inviolabilità di principio si spiega perché l’esistere dell’uomo nel mondo è condizionato da tanti fattori storici, i quali possono paralizzare la vita dell’uomo, che, pur avendo Dio in sé, ha nella sua natura elementi di «argilla»17. Alla luce della dottrina tomista, si comprendono le parole di papa Francesco: «l’imputabilità e la responsabilità di un’azione possono essere sminuite o annullate» (AL 302). Ciò nulla ha a che vedere con un individualismo etico, che considera la coscienza arbitra assoluta delle sue determinazioni. Qui si richiede la responsabilità dei pastori, che, «senza sminuire il valore dell’ideale evangelico», devono «accompagnare con misericordia e pazienza le possibili tappe di crescita delle persone» (AL 308). È la via caritatis (AL 306), contraria al rigorismo (AL 305) e al relativismo (AL 307). È una vera sfida, che sollecita una conversione pastorale. Ecco allora qualche indicazione per attuare percorsi di misericordia: a) «I divorziati non si considerino separati dalla Chiesa, potendo e anzi dovendo, in quanto battezzati, partecipare alla sua vita» (FC 84); 16 17

Ibidem. Nella stessa linea è ALFONSO M. DE’ LIGUORI, Theologia moralis, Romae 1905, t 1, n. 83, 62.

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b) nulla può sostituire l’accompagnamento personale da parte dei presbiteri e di idonei operatori di pastorale familiare, superando il rischio di un discernimento «fai da te»; c) è compito dei pastori aiutare i divorziati risposati a verificare la validità del primo matrimonio, facendo verità sulla propria vita; d) l’Ufficio Famiglia, il Consultorio trovino strumenti pastorali ancora più idonei e concordati per aiutare nel discernimento, che non finisce necessariamente nell’accesso ai sacramenti. I sacramenti, mezzi ordinari di salvezza, non sono degli automatismi, una via di comodo che dispensa dal fiducioso cammino di conversione e di riconciliazione. Sono degli atti cristiani privilegiati decisivi, vertici della nostra esistenza cristiana18. Occorre, quindi, rispettare la «legge della gradualità» (FC 34; AL 295). Perché, allora, soprattutto all’inizio del percorso, non accompagnare le persone «ferite» a scoprire la «sacramentalità della Parola», riconoscendo che nella Parola di Dio è Cristo stesso ad essere presente e a rivolgersi a noi per essere accolto?19

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18

Cfr E. SCHILLEBECKX, I sacramenti punti d’incontro con Dio, Queriniana, Brescia 1966, pp. 64-67. Cfr BENEDETTO XVI, Esortazione apostolica postsinodale Verbum Domini30 settembre 2010, n. 56, dove riporta una forte affermazione di san Girolamo: «Io penso che il Vangelo è il Corpo di Cristo».

19


MAGISTERO E ATTI DELL’ARCIVESCOVO

4. Un amore di risurrezione

Gesù risorto appare alle donne, Basilica di San Marco, Venezia

«Il cammino comunitario di preghiera raggiunge il suo culmine nella partecipazione comune all’Eucaristia, soprattutto nel contesto del riposo domenicale. Gesù bussa alla porta della famiglia per condividere con essa la Cena eucaristica (cfr Ap 3,20). Là, gli sposi possono sempre sigillare l’alleanza pasquale che li ha uniti e che riflette l’Alleanza che Dio ha sigillato con l’umanità sulla Croce» (AL 318).

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L’Amato e l’Amata del Cantico dei Cantici: famiglia e giorno del Signore Pasqua-Pentecoste

Nell’immagine Nella navata laterale destra di San Marco a Venezia troviamo in unità i meravigliosi mosaici della passione, morte e risurrezione di Gesù.

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Al centro il «segno» del sepolcro vuoto, e le donne, guidate da Maria di Magdala, che vanno al sepolcro. Si recano con i loro oli e unguenti ad incontrare un corpo da ungere, e invece trovano il dito di un angelo, che indica le bende. Colpisce il contrasto tra lo splendore delle mirofore (luminose come le bende, e già segnate dal nimbo, irrorate dallo splendore della risurrezione, e rese apostole, luce per il mondo) e il buio del sepolcro, nel ventre di una grotta/monte, nel cuore della terra. A sinistra del mosaico del sepolcro, più in basso nell’arcone della volta, infatti, troviamo La discesa agli inferi, come se i maestri vene-


MAGISTERO E ATTI DELL’ARCIVESCOVO ziani volessero mostrarci quello che succede dietro il «nero» di quel vuoto sepolcro: l’Anastasis, appunto, in classico stile orientale. Gesù mantiene la promessa fatta ad Adamo sulla soglia del paradiso e lo va a riprendere là dove è caduto: dal polso e dalla mano gli ridona la vita; e con lui c’è Eva, rappresentata, in plastica unità con il suo sposo, e con le mani elevate, in preghiera e speranza, verso il Nuovo Adamo, il Nuovo Sposo20. Ancora un po’ più in basso a sinistra, nell’arcone di questa volta occidentale, le apparizioni di Gesù; in particolare quella a Tommaso e quella riportata nel particolare che abbiamo scelto: alle donne. La traccia biblica è quella di Matteo (28, 1-10). Infatti vediamo due donne vicino a Gesù (Maria di Magdala e l’altra Maria), e nel gesto del Risorto avvertiamo risuonare le parole «Pace a voi!», o – come suona l’ultima traduzione – «Salute a voi!». «Ed esse si avvicinarono, gli abbracciarono i piedi e lo adorarono» (28, 9). La sintesi teologica delle immagini della basilica patriarcale arditamente accosta l’immagine matteana al testo giovanneo (Gv 20, 17). Infatti l’iscrizione che accompagna questa apparizione è: Anse (tangere) me noli surgentem sicut et olim (non toccarmi mentre cammino come un tempo). Arditamente non solo perché ci chiama fisicamente a concentrarci su una delle due donne, Maria di Magdala, che ci piace identificare con quella più a destra, totalmente china sui piedi di Cristo, in un gesto insieme di adorazione e avvicinamento, ma anche perché in questa sintesi ci fa vedere insieme l’unicità del rapporto Gesù-risorto / Maddalena (così come è presentata da Giovanni) che insieme «non tocca» eppure abbraccia (come dice Matteo). E Maria Maddalena è tutta dentro il verde della collina e il giardino. Nuovo Eden. Amore di risurrezione. Nella storia della salvezza Il «giardino» (kepos). Lo troviamo all’inizio e alla fine del percorso 20 L’immagine dell’Anastasis, a p. 26, richiama, a mo’ di inclusione, quella iniziale della genesi. Lì il Cristo pone la Sua mano protettiva sulle spalle di Adamo; qui lo afferra per il polso, donandogli nuova vita.

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della salvezza. Nella Sacra Scrittura la ripetizione di un’idea o di un’immagine sottolinea la sua importanza. Il primo giardino è quello dell’Eden, dove Dio ha posto Adamo ed Eva, dopo averli creati. Nel giardino dell’Eden Adamo ed Eva hanno conosciuto il peccato, la caduta, la sofferenza, la morte. L’ultimo giardino è di nuovo quello del Regno: il giardino in cui l’evangelista Giovanni narra che Gesù è stato sepolto; e quello in cui narra che il Nuovo Adamo, risorto, appare, mostrandosi per primo a Maria Maddalena. In mezzo possiamo porre il giardino del Cantico dei Cantici, che ci svela la densità e il senso della simbologia: qui infatti tutto il dialogo tra l’Amato e l’Amata, la ricerca dello sposo e della sposa, è nel giardino. Ecco allora il filo: la Maddalena cerca il Cristo come la donna del Cantico dei Cantici cerca il suo amato. Trovatolo gli stringe i piedi, mentre Lui la chiama per nome, come aveva fatto Adamo davanti alla donna che Dio gli aveva donato. Il progetto originario di Dio si compie il mattino della risurrezione, quando il Risorto va verso la donna, ferita e guarita dal Suo amore, e la chiama per nome: «Maria». L’amore: simbolo concreto nel Cantico dei Cantici, incarnazione nel dialogo di amore della nuova alleanza (da sempre paragonata nei testi profetici ad uno sposalizio) in Gesù. Lui è l’Amato che cerca l’Amata. Non a caso i Padri della Chiesa, commentando le nozze di Cana, presentano Gesù come lo Sposo-Messia che dà alla sua Chiesa e ad ognuno di noi il vino della nuova alleanza (eucaristia). Insomma, nell’unità dell’immagine, troviamo condensati il giardino della creazione, il giardino del Cantico, e il giardino del paradiso aperto dal Cristo: compimento dello sposalizio con l’umanità attraverso il giardino della passione (Gv 18,1), della crocifissione e morte (Gv 19-41-42) e della risurrezione (Gv 20,11-18). 466 Nella celebrazione liturgica Nella tradizione patristica si dice che la vocazione della donna è di essere «mirofora», di portare la mirra, i profumi. Questo da un lato spiega la presenza delle donne al sepolcro di Gesù, e dall’altro lato ci ricorda che nella tradizione giudaica il profumo viene dal paradiso: e allora la vera vocazione della donna è portare il paradiso, contribuire a riaprirlo, e portare il suo profumo al mondo. È stato privilegio della donna essere prima testimone della risurrezione, men-


MAGISTERO E ATTI DELL’ARCIVESCOVO tre gli apostoli fuggivano. Perciò la donna viene chiamata «apostola apostolorum»21. A lei Gesù dice di andare dai suoi fratelli per annunciare che il Signore è risorto. Questo è il ruolo principale e importantissimo della donna nella Chiesa. Ogni donna dovrebbe poter dire e ricordare, soprattutto in famiglia, come i martiri di Abitene: «sine dominico non possumus», senza il Risorto, senza l’eucaristia, non possiamo vivere22. Perché meravigliarsi che nella lunga storia della Chiesa, e ancor oggi, sia stata soprattutto la donna ad essere «apostola dell’eucaristia»? Nella storia degli uomini Tutti abbiamo la responsabilità di aiutare le nostre famiglie a crescere nella fedeltà alla celebrazione eucaristica domenicale23. Tenendo conto che per molte comunità cristiane il tempo pasquale è legato alla celebrazione dei sacramenti dell’ iniziazione cristiana, sarebbe auspicabile riuscire a trasformare questi appuntamenti in occasione di incontro e di dialogo con le famiglie. A tal proposito è bene riprendere l’antica e mai tramontata tradizione della benedizione delle famiglie. Anzi, si potrebbe legare la visita e la benedizione delle famiglie in modo particolare di quelle coinvolte nella celebrazione dei sacramenti di prima comunione e cresima dei propri figli. Il rapporto tra la mensa eucaristica e quella domestica dovrebbe suggerire alle nostre famiglie un modo più cristiano di vivere la festa dei sacramenti, nella sobrietà, aperta ad un segno concreto di carità. 467

21

L’espressione è di san Tommaso d’Aquino. Cfr Decreto delle Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti: la celebrazione di Santa Maria Maddalena elevata al grado di festa nel Calendario Romano Generale (10 giugno 2016). 22 Cfr G. MICUNCO, Sine dominico non possumus. I martiri di Abitene e la Pasqua domenicale, Ecumenica, Bari 2004. È stato, questo, il tema del Congresso eucaristico nazionale di Bari (2005). 23 Benedetto XVI scriveva che «il reciproco consenso che marito e moglie si scambiano in Cristo, e che li costituisce in comunità di vita e di amore, ha anch’esso una dimensione eucaristica» (Sacramentum caritatis 27).


5. Un amore pieno di bellezza

Rebecca abbevera i cammelli, Duomo di Monreale

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«La Chiesa è famiglia di famiglie, costantemente arricchita dalla vita di tutte le Chiese domestiche. Pertanto, in virtù del sacramento del matrimonio ogni famiglia diventa a tutti gli effetti un bene per la Chiesa. In questa prospettiva sarà certamente un dono prezioso, per l’oggi della Chiesa, considerare anche la reciprocità tra famiglia e Chiesa: la Chiesa è un bene per la famiglia, la famiglia è un bene per la Chiesa» (AL 87).


MAGISTERO E ATTI DELL’ARCIVESCOVO Isacco e Rebecca – Giacobbe e Rachele: famiglia e comunità cristiana Tempo ordinario (Seconda parte)

Nell’immagine Ci spostiamo, per quest’ultima tappa, a Monreale (mancando a Venezia un mosaico specifico su queste coppie dell’Antico Testamento). E, in particolare, ci spostiamo su questa «istantanea» di Rebecca. Torna l’immagine del pozzo da cui siamo partiti, là dove era accaduta l’annunciazione a Maria. Torna l’immagine della sete e del desiderio. Non è un caso se spesso le coppie bibliche si incontrano proprio in questo luogo metaforico. Pensiamo a Giacobbe e Rachele, a Mosè e Zippora. I Padri della Chiesa videro, in questo, la prefigurazione dell’acqua del battesimo24 e l’incontro tra il Signore e la sua Chiesa, e più in generale con l’umanità assetata. Non a caso al pozzo sarà anche l’incontro tra l’Acqua viva e la Samaritana25. La dimensione sponsale emerge fortemente anche dal mosaico di Monreale, nonostante manchi fisicamente la figura di Isacco. E forse, per questo, emerge ancora di più: emerge – nell’assenza – il desiderio della sua presenza. Ed emerge la potenza del gesto di Rebecca, che, in attesa di essere riempita dal dono d’amore, «per prima» dona tutta se stessa, ed offre la sua acqua. In lei il desiderio è già anticipo del compimento, come indica il suo abbigliamento, che la mostra già «come una sposa adorna per il suo sposo» (Ap 21, 2). Anzi, di più, in lei il desiderio è già fecondo e generatore, come ci suggerisce la tipologia dell’anfora, in cui qual24

Cfr in particolare CESARIO DI ARLES (Sermoni 88,1). L’evangelista Giovanni ci ricorda che «era un pozzo di Giacobbe» (Gv 4, 6). A San Marco c’è un bellissimo mosaico che rappresenta l’incontro tra Gesù e la Samaritana. Le maestranze veneziane scrivono sull’immagine: «Dat potum sane fons vivus Samaritanae» (la fonte viva dà a sazietà da bere alla Samaritana). E il pozzo diventa visivamente un battistero, a forma di croce; e un albero, che emerge misteriosamente dal pozzo stesso, rimanda di nuovo al mistero della morte e della resurrezione, e al giardino dell’amore. Su questa simbologia cfr Lo splendore della speranza, cit., pp. 23-26. 25

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che interprete ha visto la forma dell’utero. Il duplice livello simbolico si infittisce e arricchisce. Da un lato la donna (in attesa dell’amato, che dona per prima, che si ingioiella per piacere all’altro e attirare il suo desiderio), sposa e madre; dall’altro la Chiesa, che dal grembo dell’acqua del battesimo genera figli e versa acqua per l’umanità assetata (i cammelli e i servi di Abramo). Infine il particolare della fune che pare uscire dall’anfora e segnare un percorso tra questa e il pozzo e l’acqua. Segno del «legame» d’amore? Segno dello Spirito che aleggia sulle acque? In ogni caso, segno della «forza» di questo amore, «sigillo» più forte della morte, più «tenace» delle distanze, più resistente delle «grandi acque» (Ct 8, 6-7).

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Nella storia della salvezza Ci vengono incontro per accompagnarci in questo lungo ultimo tempo dell’anno liturgico le due coppie bibliche: Isacco e Rebecca e Giacobbe e Rachele. Presso il pozzo l’amato vede per la prima volta l’amata (e futura sposa). Il pozzo, immagine della sete del cuore, diventa il luogo dove si incontra l’amore. Di Rebecca si dice che «era molto bella d’aspetto» (Gen 24,16); di Rachele che «era bella di forme e avvenente d’aspetto» (Gen 29,17). Perciò Giacobbe, vedendo questa bellissima ragazza, si innamora di lei; e, secondo la tradizione rabbinica, acquista una forza straordinaria, che lo rende capace di togliere con una sola mano la pesante pietra che copriva la bocca del pozzo26. Come è stato possibile? Il midrash ebraico dice: grazie alla «rugiada della risurrezione»27. Per l’evangelista Giovanni, che conosce questa tradizione, evidentemente Gesù è il nuovo Giacobbe, come il nuovo Isacco, lo Sposo Risorto dei tempi nuovi. È interessante notare che la Bibbia dica la stessa cosa per Rebecca e Rachele (come per Sara): erano molto belle. E di tutte e tre si dice che erano sterili. Bellezza e sterilità: un ritornello della Bibbia, che sarà ripreso nel Nuovo Testamento per Maria, che non è più soltanto bella come le altre donne, ma è piena di grazia (tota pulchra). Anche lei non conosce uomo e solo grazie all’intervento divino avrà un figlio. Lei è perciò la nuova Sara, la nuova Rebecca, la nuova 26 27

Cfr Bereshit Rabbah 70:12. Pirke de Rabbi Eliezer XXXII.


MAGISTERO E ATTI DELL’ARCIVESCOVO Rachele. Ancora una volta Antico e Nuovo Testamento si incontrano nel mosaico della Vergine Maria al pozzo (indicato nel tempo di Avvento-Natale)28. La Bibbia fa una distinzione tra bellezza fisica e bellezza spirituale. Quando parla del piccolo Davide, che aveva i capelli rossi ed era molto bello, la tradizione biblica dei LXX dice: era molto bello davanti al Signore, affermando che la bellezza spirituale è fondativa e sorgiva rispetto a quella fisica. È, in fondo, quello che ci ricorda il papa, quando parla della gioia e bellezza del matrimonio: «La bellezza – “l’alto valore” dell’altro non coincide con le sue attrattive fisiche e psicologiche –», e aggiunge: «L’esperienza estetica dell’amore si esprime in quello sguardo che contempla l’altro come un fine in se stesso, quand’anche sia malato, vecchio o privo di attrattive sensibili»29. Nella celebrazione liturgica Tra le letture offerte dal Lezionario del Matrimonio un brano di san Paolo merita una particolare attenzione. Nella Lettera agli Efesini (5,1-2a.2133), proprio quando parla del matrimonio come «mistero grande», l’apostolo afferma che l’amore di Cristo rende bella la sua Chiesa, «tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata». La bellezza che la Scrittura racconta di Sara, di Rebecca, di Rachele e di Maria ora possiamo contemplarla nella bellezza della Chiesa. Se la bellezza è quindi espressione dell’amore di Cristo per la Chiesa, la famiglia, luogo concreto nel quale si impara e si vive l’esperienza dell’amore, contribuisce a rendere più bella la comunità cristiana, famiglia di famiglie. Esemplare è l’esperienza di Aquila e Priscilla, collaboratori di Paolo, che presero in casa il giudeo Apollo «e gli esposero con maggiore accuratezza la via di Dio» (At 18,26). L’esperienza familiare può aiutarci a riscoprire la bellezza della Chiesa nelle nostre comunità, senza cedere alla tentazione di guardare unicamente ai suoi limiti e alla difficoltà dei rapporti. La liturgia lo 28 29

v. p. 8. AL 126-128.

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ricorda ogni volta quando si rivolge al Signore chiedendo di «non guardare ai nostri peccati, ma alla fede della tua Chiesa». Celebrare l’eucaristia è in definitiva celebrare l’amore di Dio ed entrare nel vortice di questo amore che non si lascia fermare dai nostri limiti. «Nell’alleanza tra l’uomo e la donna ci hai dato l’immagine viva dell’amore di Cristo per la sua Chiesa, e nel sacramento nuziale riveli il mistero ineffabile del tuo amore (Prefazio del Matrimonio/1).

Nella storia degli uomini «L’amore vissuto nelle famiglie è una forza permanente per la vita della Chiesa (…) “La bellezza del dono reciproco e gratuito, la gioia per la vita che nasce e la cura amorevole di tutti i membri, dai piccoli agli anziani, sono alcuni dei frutti che rendono unica e insostituibile la risposta alla vocazione della famiglia”, tanto per la Chiesa quanto per l’intera società» (AL 88).

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Un’attenzione particolare in questo tempo liturgico vogliamo rivolgerla verso le giovani famiglie della parrocchia. Non possiamo permettere che la celebrazione del matrimonio sigilli la fine di un rapporto tra la coppia e la comunità cristiana. La stessa premura che riserviamo nella preparazione al matrimonio dobbiamo cercare di alimentarla anche dopo. Questo orientamento mistagogico «provoca le nostre comunità cristiane a un salto di qualità consistente nel passare da una pastorale che prepara ai sacramenti a una pastorale di progressivo inserimento nel mistero»30. Nello stesso tempo, sarà bene che, qualora la coppia si trasferisca in un nuovo territorio, il parroco che ha curato la preparazione al matrimonio si premuri di informare il parroco del luogo di residenza della nuova famiglia, in modo che essa possa essere contattata e accolta nella nuova parrocchia.

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F. CACUCCI, La Mistagogia. Una scelta pastorale, EDB, Bologna 2006, p. 23.


MAGISTERO E ATTI DELL’ARCIVESCOVO

Conclusione Il Giubileo della Misericordia sta per concludersi, ma non si esaurisce il nostro impegno e la nostra responsabilità nell’essere testimoni della misericordia di Dio. L’attenzione verso le nostre famiglie dovrà esserne segno eloquente. Gli strumenti che la Chiesa mette nelle nostre mani per compiere questo cammino con le famiglie sono tanti, ma in modo particolare quest’anno ci accompagneranno il Lezionario per la Messa di matrimonio, l’Esortazione di papa Francesco «Amoris laetitia», Il Direttorio di pastorale familiare. Il nostro è un cammino non facile, ma gioioso. Il Signore benedica le nostre famiglie; le aiuti ad esprimere «un’immagine sempre più autentica dell’unione di Cristo con la Chiesa» (Messale Romano, Colletta per l’anniversario del matrimonio); e non si stanchi di farle risorgere, sempre. + Francesco Cacucci Arcivescovo

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D OCUMENTI

E

V ITA

DELLA

C HIESA

DI

B ARI -B ITONTO

CURIA METROPOLITANA Cancelleria

Sacre ordinazioni, ammissioni, ministeri istituiti La mattina del 26 dicembre 2016, festa di Santo Stefano, S.Ecc. Mons. Francesco Cacucci, Arcivescovo di Bari-Bitonto, durante una concelebrazione eucaristica da lui presieduta, nella Cattedrale di Bari, ha istituito diaconi permanente gli accoliti: Liberato De Caro, Giuseppe De Serio, Luigi Fanelli e Vito Frasca, incardinandoli nel clero diocesano.

Decreti arcivescovili S. Ecc. l’Arcivescovo, con decreto del – 15 novembre 2016 (Prot. n. 83/16/D.A.G.), ha istituito nell’ambito della Curia arcivescovile di Bari-Bitonto e alle dirette dipendenze del Vicario generale l’Ufficio Pastorale, attribuendogli i compiti descritti nello Statuto dell’Ufficio approvato contestualmente. – 24 novembre 2016 (Prot. n. 95/16/D.A.G.) ha indetto le elezioni per la designazione dei membri eletti del nuovo Consiglio Presbiterale e ha nominato Presidente delegato del seggio don Alessandro Tanzi, scrutatori i diaconi permanenti: Domenico Armenise, Luigi Inversi, Giovanni Caradonna e Giuseppe Delle Grazie, quest’ultimo anche con funzioni di attuario.

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Nomine e decreti singolari

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A) S. Ecc. l’Arcivescovo ha nominato, in data: – 1° ottobre 2016 (Prot. n. 58/16/D.A.S.-N.), don Michele Bellino, riconfermandolo per altri cinque anni, all’incarico di direttore del Museo Diocesano di Bari-Bitonto e co-direttore e responsabile della Sezione di Bari dell’Archivio Storico Diocesano di Bari-Bitonto; – 1° ottobre 2016 (Prot. n. 62/16/D.A.S.-N.), don Carlo Lavermicocca all’incarico di direttore dell’Ufficio Scuola della Curia diocesana di Bari-Bitonto, per cinque anni; – 1° ottobre 2016 (Prot. n. 64/16/D.A.S.-N.), don Ambrogio Avelluto all’ufficio di parroco della parrocchia “Mater Ecclesiae” in Bari, per nove anni; – 15 ottobre 2016 (Prot. n. 80/16/D.A.S.-N.), don Pasquale Muschitiello all’ufficio di assistente diocesano dell’U.N.I.T.A.L.S.I., per tre anni; – 1° novembre 2016 (Prot. n. 82/16/D.A.S.-N.), don Alessandro Tanzi all’incarico di direttore dell’Ufficio Missionario della Curia diocesana di Bari-Bitonto, per cinque anni, – 15 novembre 2016 (Prot. n. 84/16/D.A.S.-N.), don Mario Castellano all’incarico di direttore dell’Ufficio Pastorale della Curia diocesana di Bari-Bitonto, per cinque anni; – 24 novembre 2016 (Prot. n. 85/16/D.A.S.-N.), mons. Francesco Lanzolla, all’ufficio di Vicario del Primo Vicariato zonale dell’Arcidiocesi di Bari-Bitonto, per cinque anni; – 24 novembre 2016 (Prot. n. 86/16/D.A.S.-N.), mons. Domenico Falco, all’ufficio di Vicario del Secondo Vicariato zonale dell’Arcidiocesi di Bari-Bitonto, per cinque anni; – 24 novembre 2016 (Prot. n. 87/16/D.A.S.-N.), don Giuseppe Cutrone, all’ufficio di Vicario del Terzo Vicariato zonale dell’Arcidiocesi di Bari-Bitonto, per cinque anni; – 24 novembre 2016 (Prot. n. 88/16/D.A.S.-N.), don Antonio Ruccia, all’ufficio di Vicario del Quarto Vicariato zonale dell’Arcidiocesi di Bari-Bitonto, per cinque anni; – 24 novembre 2016 (Prot. n. 89/16/D.A.S.-N.), don Emanuele De Astis, all’ufficio di Vicario del Sesto Vicariato zonale dell’Arcidiocesi di Bari-Bitonto, per cinque anni; – 24 novembre 2016 (Prot. n. 90/16/D.A.S.-N.), don Marino


CURIA METROPOLITANA Cutrone, all’ufficio di Vicario del Settimo Vicariato zonale dell’Arcidiocesi di Bari-Bitonto, per cinque anni; – 24 novembre 2016 (Prot. n. 91/16/D.A.S.-N.), don Francesco Gramegna, all’ufficio di Vicario dell’Ottavo Vicariato zonale dell’Arcidiocesi di Bari-Bitonto, per cinque anni; – 24 novembre 2016 (Prot. n. 92/16/D.A.S.-N.), don Antonio Lobalsamo, all’ufficio di Vicario del Nono Vicariato zonale dell’Arcidiocesi di Bari-Bitonto, per cinque anni; – 24 novembre 2016 (Prot. n. 93/16/D.A.S.-N.), don Domenico Chiarantoni, all’ufficio di Vicario del Decimo Vicariato zonale dell’Arcidiocesi di Bari-Bitonto, per cinque anni; – 24 novembre 2016 (Prot. n. 94/16/D.A.S.-N.), don Biagio Lavarra, all’ufficio di Vicario del Dodicesimo Vicariato zonale dell’Arcidiocesi di Bari-Bitonto, per cinque anni. B) S. Ecc. l’Arcivescovo ha istituito, in data: – 1° ottobre 2016 (Prot. n. 59/16/D.A.S.-I), p. Roberto Palmisano, O.F.M., all’ufficio di parroco della parrocchia “S. Leone Magno” in Bitonto; – 1° ottobre 2016 (Prot. n. 60/16/D.A.S.-I), don Aldo Mosca, S.d.C., all’ufficio di cappellano moderatore della Cappella universitaria “Sedes Sapientiae” del Politecnico di Bari; – 1° ottobre 2016 (Prot. n. 61/16/D.A.S.-I), p. Michael Odubela, O.S.J., all’ufficio di vicario parrocchiale della parrocchia “S. Maria del Campo e della Pietà” in Bari-Ceglie del Campo; – 8 ottobre 2016 (Prot. n. 66/16/D.A.S.-I), p. Oliviero Magnone, C.P.P.S., all’ufficio di parroco della parrocchia “Preziosissimo Sangue in San Rocco” in Bari; – 10 ottobre 2016 (Prot. n. 68/16/D.A.S.-I), don Santino Maisano, S.d.C. all’ufficio di cappellano della Cappella universitaria “Sedes Sapientiae” del Politecnico di Bari; – 10 ottobre 2016 (Prot. n. 69/16/D.A.S.-I), don Tommaso Gigliola, S.d.C. all’ufficio di parroco della parrocchia “Maria SS. Addolorata” in Bari; – 25 ottobre 2016 (Prot. n. 81/16/D.A.S.-I), p. Vito Dipinto, O.F.M.,

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all’ufficio di assistente spirituale dell’Arciconfraternita di “Maria SS. della Pietà e di S. Antonio” in Bari.

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C) S. Ecc. l’Arcivescovo ha trasferito, in data – 1° ottobre 2016 (Prot. n. 63/16/D.A.S.-T.), don Vito Carone dall’ufficio di parroco della parrocchia “Mater Ecclesiae” in Bari all’incarico di direttore dell’Ufficio Chiesa e Mondo della cultura, per cinque anni; – 3 ottobre 2016 (Prot. n. 65/16/D.A.S.-T.), il diacono permanente Gaetano Morisco dall’ufficio di collaboratore della parrocchia “S. Alberto” in Bari all’ufficio di collaboratore pastorale di don Nicola Troccoli presso l’Oratorio delle Suore Missionarie Francescane di Gesù Crocifisso in Bari-Palese; – 10 ottobre 2016 (Prot. n. 67/16/D.A.S.-T.), don Francesco Ardito dall’ufficio di parroco della parrocchia “SS. Salvatore” in Capurso all’ufficio di vicario parrocchiale della parrocchia “S. Maria della Pace” in Noicattaro; – 10 ottobre 2016 (Prot. n. 70/16/D.A.S.-T.), don Antonio Lobalsamo dall’ufficio di parroco della parrocchia “Immacolata” in Adelfia all’ufficio di parroco della parrocchia “SS. Salvatore” in Capurso, per nove anni; – 10 ottobre 2016 (Prot. n. 71/16/D.A.S.-T.), don Salvatore De Pascale dall’ufficio di parroco della parrocchia “S. Giuseppe Moscati” in Triggiano all’ufficio di parroco della parrocchia “Immacolata” in Adelfia, per nove anni; – 10 ottobre 2016 (Prot. n. 72/16/D.A.S.-T.), don Emanuele Valentino Campanella dall’ufficio di parroco della parrocchia “S. Maria Annunziata” in Cellamare all’ufficio di parroco della parrocchia “S. Giuseppe Moscati” in Triggiano, per nove anni; – 10 ottobre 2016 (Prot. n. 73/16/D.A.S.-T.), don Domenico Pietanza dall’ufficio di vicario parrocchiale della parrocchia “S. Maria di Costantinopoli” in Bitritto all’ufficio di parroco della parrocchia “S. Maria Annunziata” in Cellamare, per nove anni; – 15 ottobre 2016 (Prot. n. 75/16/D.A.S.-T.), don Michele Camastra dall’ufficio di parroco della parrocchia “SS. Crocifisso” in Triggiano all’ufficio di parroco della parrocchia “S. Maria delle Grazie” in Casamassima, per nove anni; – 15 ottobre 2016 (Prot. n. 76/16/D.A.S.-T.), don Angelo Arbori-


CURIA METROPOLITANA tanza dall’ufficio di vicario parrocchiale della parrocchia “S. Michele Arcangelo” in Bitetto all’ufficio di parroco della parrocchia “SS. Crocifisso” in Triggiano, per nove anni; – 15 ottobre 2016 (Prot. n. 77/16/D.A.S.-T.), don Andrea Magistrale dall’ufficio di vicario parrocchiale della parrocchia “S. Maria delle Grazie” in Cassano delle Murge all’ufficio di vicario parrocchiale della parrocchia “S. Michele Arcangelo” in Bitetto; – 15 ottobre 2016 (Prot. n. 78/16/D.A.S.-T.), don Alfredo Gabrielli dall’ufficio di vicario parrocchiale della parrocchia “S. Maria Veterana” in Triggiano all’ufficio di vicario parrocchiale della parrocchia “S. Maria delle Grazie” in Cassano delle Murge; – 15 ottobre 2016 (Prot. n. 79/16/D.A.S.-T.), don Nicola Flavio Santulli dall’ufficio di vicario parrocchiale della parrocchia “SS. Sacramento” in Bitonto all’ufficio di vicario parrocchiale della parrocchia “S. Maria Veterana” in Triggiano. D) S. Ecc. l’Arcivescovo, in data – 15 ottobre 2016 (Prot. n. 74/16/D.A.S.), ha riconosciuto a don Giuseppe Saponaro il diritto di usufruire dei benefici previsti per la condizione di anzianità; – 15 dicembre 2016 (Prot. n. 96/16/L.A.), ha concesso licenza a S. Ecc. Mons. Vincenzo Pelvi, Arcivescovo di Foggia-Bovino, per il conferimento, nella Cappella Maggiore del Seminario Regionale di Mofetta, del ministero istituito del Lettorato ai seminaristi Giacomo Giuseppe Capozzi e Tommaso Genchi; – 27 dicembre 2016 (Prot. n. 101/16/D.A.S.), ha ritenuto esaurito il periodo ad experimentum di don Paolo Nacci sollevandolo dall’ufficio di vicario parrocchiale delle parrocchie “S. Giorgio Martire” e “Salvatore”, in Bari-Loseto.

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CURIA ARCIVESCOVILE Notti Sacre 2016

La settima edizione 2016 è stata archiviata in modo positivo; il fatto che ogni anno ci sorprende è la larga partecipazione della gente ad ogni tipo di spettacolo: dalla musica al teatro, dalle mostre all’incontro con l’autore. Concerti affollati, nelle chiese storiche della città vecchia e specialmente quando gli eventi si svolgono nelle due basiliche della Cattedrale e di San Nicola. Notiamo il bisogno e il desiderio di tanti, di essere presenti a queste serate di fine estate; possiamo parlare di una consuetudine ormai radicata ed attesa anno dopo anno.

La musica La presenza in Puglia di sei conservatori di musica ha reso la nostra terra attenta e desiderosa di eventi musicali. La Rassegna ci sta facendo scoprire opere meravigliose di musica sacra di ogni epoca e di ogni stile. Abbiamo associato insieme il Vespro della Beata Maria Vergine di Monteverdi e una messa di un giovane compositore che vive a Corato, dallo stile moderno e piacevole all’ascolto, messa che ha inaugurato la Rassegna. I giovani musicisti e compositori, guidati dalla mano preparata di un liturgista, possono veramente aprire nuove strade alla musica sacra d’oggi, che non esclude l’utilizzo

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di vari strumenti insieme ad un coro e senza escludere completamente la partecipazione dell’assemblea. Da sempre abbiamo messo insieme musica sacra da camera, scoprendo alcuni brani antichi e nuovi di vere perle musicali, e musica eseguita da orchestra e coro nello splendore delle nostre basiliche romaniche.

Giovani musicisti

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La Rassegna non presenta solo artisti locali, ma si apre anche alla presenza di artisti provenienti da varie regioni e dall’estero: l’organista francese Ledroit, la compositrice torinese Carla Rebora con il suo Stabat Mater, il gruppo di musicisti provenienti da Roma con la Cantica del Mare, rassegna di musica ebraica. Tanti i nostri giovani musicisti presenti nelle varie chiese: il contralto Catia Rotolo, i pianisti Annamaria Saponaro e Giuseppe Barile, il gruppo di fiati “Davide Delle Cese” composto da giovani musicisti, il violinista Antonio Palmiotti, il duo di arpe Fabrizio Aiello e Gabriella Russo. Una menzione particolare all’orchestra di musica barocca “Santa Teresa dei Maschi” e al coro “Florilegium Vocis”; hanno presentato in prima assoluta nella nostra regione il Vespro della Beata Maria Vergine di Claudio Monteverdi. Opera monumentale e uno dei capolavori di sempre della musica sacra; l’esecuzione nella Cattedrale di Bari ha toccato momenti di fascino e di diletto spirituale. Da sottolineare la presenza di strumentisti provenienti da varie parti d’Italia, musicisti esperti in strumenti antichi; così come i circa 50 coristi provenivano da varie parti della Puglia. Sono queste situazioni che ci convincono della bontà di questa formula di spettacolo: confrontarci con capolavori, e ne abbiamo tutte le competenze, ed aprirci al confronto con musicisti di varie provenienze e formazione. Vorremmo anche ringraziare sia l’orchestra della Città Metropolitana di Bari sia il coro del Teatro Petruzzelli: la loro presenza professionale rende “Notti Sacre” un incontro di alto valore artistico.


CURIA METROPOLITANA Esperienze formative con l’arte L’altro settore che stiamo privilegiando con particolare attenzione è dato dalla presenza di alcune eccellenze educative presenti nel nostro territorio: la “Nova Artistudium” con i suoi complessi strumentali e vocali; la presenza di alunni di una scuola di periferia di Bari con una performance su Dante e la Divina Commedia; l’attività pluriennale di “Frammenti di luce”, gruppo impegnato per una nuova evangelizzazione con l’arte; il gruppo teatrale “Teatro Archè” proveniente da una parrocchia periferica. Sono presenze che, attraverso la Rassegna di “Notti Sacre”, riescono ad emergere dal proprio recinto circoscritto, facendo conoscere la propria attività e il proprio impegno artistico-educativo.

Mostre d’arte La Rassegna 2016 si è anche contraddistinta con la presenza di cinque mostre di arte varia, allestite in alcune chiese del Borgo antico ed una attrezzata nel Museo Diocesano. Si è attenti a proporre artisti del nostro territorio che espongono i propri lavori in ambienti sacri, si arricchisce così lo spazio delle nostre chiese e le varie opere acquisiscono una nuova luce interiore. Si va anche affermando il Premio internazionale d’arte “Notti Sacre”, che ha visto la presenza di pittori provenienti da varie regioni italiane e qualcuno anche dall’estero. 483 Incontri Quest’anno la Rassegna ha ospitato il segretario generale della CEI, il vescovo mons. Nunzio Galantino. Intervistato da cinque giornalisti delle più importanti testate locali, ha spaziato, sollecitato da varie domande, fra vari temi d’attualità: il servizio di papa Francesco, la Chiesa italiana, la Chiesa in uscita, i migranti, l’8 per mille alla Chiesa, l’insegnamento della religione, la donna nella


Chiesa, le guerre in giro per il mondo, i giovani, i giornalisti, e tanti altri argomenti che hanno interessato il folto pubblico presente. Anche questa edizione è stata realizzata in varie altre diocesi e città pugliesi: Cerignola, Ascoli Satriano, Orta Nova, Lucera, Troia, Minervino Murge. Alcuni concerti sono stati presentati in queste altre città e sono stati accolti con entusiasmo e partecipazione. La Rassegna si avvale del contributo dell’8 per mille della Chiesa Italiana e di “Sovvenire” e la partecipazione dell’Assessorato alla cultura del Comune di Bari e del Teatro Pubblico Pugliese. Naturalmente la Rassegna è resa possibile grazie ai collaboratori che con vero spirito di sacrificio e in modo gratuito dedicano il loro tempo ad organizzare e preparare questo appuntamento annuale. Vogliamo evidenziare la partecipazione della diocesi, che offre gratuitamente questa Rassegna alla città, aprendo le chiese e dando il proprio contributo qualificato alla programmazione artistica di Bari. mons. Antonio Parisi

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CONSIGLI DIOCESANI Consiglio Pastorale Diocesano

Verbale della riunione del 3 maggio 2016

Il giorno 3 maggio 2016, alle ore 19.00, presso la Casa del Clero in Bari, S. Ecc.za Mons. Francesco Cacucci ha convocato e presieduto il Consiglio Pastorale Diocesano per discutere il seguente ordine del giorno: – 2 giugno 2016, Giornata di discernimento e sinodalità sul tema “I giovani: la nostra profezia” – “Missione Giovani” (24 settembre – 2 ottobre 2016) – Varie Risultano assenti giustificati: Mons. Vito Bitetto, don Paolo Bux, don Vito Campanelli, p. Ciro Capotosto, O.P., don Mario Castellano, don Carlo Cinquepalmi, mons. Francesco Colucci, p. Antonio Cofano, O.F.M., don Gaetano Coviello, mons. Alberto D’Urso, mons. Domenico Falco, p. Luigi Gaetani, O.C.D., Mons. Franco Lanzolla, don Carlo Lattarulo, don Antonio Lobalsamo, don Donato Lucariello, don Vito Marziliano, p. Luigi Orlando, diac. Lorenzo Petrera, don Angelo Romita, don Antonio Ruccia, don Michele Sardone, don Antonio Serio, suor Cadia D’Amore, suor Anna Grazia Di Liddo, suor Margherita Martellini, Sebastiano Barbone, Michela Boezio, Giovanni Calia, Gennaro Capriati, Anna Rita Gelao, Michele Guastamacchia, Fabio Laricchia, Maria Luisa Logiacco, Mariano Mazza, Ferdinando Nocerino, Donato Pietanza, Simona Piscitelli, Giuseppe Piscopo,

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Mario Prestigiacomo, Celeste Savino, Domenico Savino, Salvatore Schiralli, Attilio Simeone, Massimo Tamma, Rossana Ungolo, Giuseppe Variato, i coniugi Cinzia e Michele Vurro. Il Consiglio ha inizio con un momento di preghiera, seguito dal saluto che il Segretario rivolge a Padre Arcivescovo ed a tutti i presenti. Si procede con una mozione d’ordine tesa ad invertire i due punti all’ordine del giorno.

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1. Mons. Giovanni Caliandro, rettore del Pontificio Seminario regionale di Molfetta, interviene per presentare il progetto “Missione Giovani”: un evento che si celebrerà in diocesi, in collaborazione con il Seminario di Molfetta, dal 24 settembre al 2 ottobre 2016. L’evento esige il coinvolgimento della intera diocesi: le comunità parrocchiali, le comunità religiose, il Centro Diocesano Vocazioni e gli uffici diocesani, in modo particolare, quelli di pastorale giovanile e della scuola. Attraverso il coinvolgimento diretto dei giovani seminaristi, il progetto ha lo scopo di realizzare un intervento pastorale “allargato” e partecipato, capace di stimolare la missione dei giovani in favore di altri giovani e di testimoniare la dimensione vocazionale della vita cristiana. In quanto dimensione essenziale della vita cristiana, in quella settimana si auspica un coinvolgimento degli adulti delle nostre comunità parrocchiali a cui spetta, in virtù del battesimo, il compito indispensabile di trasmettere la fede alle nuove generazioni, interrogandosi più attentamente sui contenuti e le modalità dell’azione pastorale delle stesse comunità, sia prima che dopo l’evento. Dal 24 settembre al 2 ottobre, però, si promuoverà il protagonismo dei giovani, creando occasioni di incontro per quelli che sono all’interno delle comunità, per poi raggiungere quanti vivono al di fuori e lontano da esse; soprattutto verso coloro che, insieme al senso dell’appartenenza ecclesiale, hanno smarrito la stessa domanda di senso. Con un lessico vocazionale nuovo, si tenterà di declinare i temi vocazionali in maniera creativa, incontrando i ragazzi nei luoghi in cui quotidianamente vivono: la scuola, la piazza e i bar. Proprio la scuola, nelle diocesi in cui è già stato realizzato il progetto, si è rivelato il luogo propizio per dialogare con profitto con i giovani del territorio. Pertanto, si propone di consentire il più


CONSIGLI DIOCESANI ampio coinvolgimento possibile degli insegnanti di religione presenti negli istituti di istruzione secondaria della nostra diocesi, affinchè sia possibile incontrare gli studenti del triennio conclusivo, in presenza del docente titolare durante l’ora settimanale di religione, nel rispetto delle indicazioni degli organi collegiali e della legislazione scolastica. Dal punto di vista contenutistico e metodologico, l’intervento in classe proporrà un approccio antropologicoculturale che, prendendo spunto da alcuni “riflessi culturali” del nostro tempo, porti poi i ragazzi a interrogarsi sull’orientamento fondamentale della propria vita. A sostegno della proposta e alla luce della stessa esperienza maturata durante le visite pastorali, Padre Arcivescovo riconosce che nella nostra diocesi c’è un clima sostanzialmente favorevole e accogliente nei confronti di proposte provenienti dal mondo ecclesiale. Durante le visite, quasi tutte le scuole lo hanno accolto e, in molte occasioni, la domanda vocazionale è emersa spontaneamente durante i dialoghi avuti con gli studenti. A chiarimento degli aspetti più strettamente organizzativi dell’evento, don Donatello De Felice e don Michele Birardi informano il Consiglio che la diocesi è stata suddivisa in zone pastorali in cui è già operativa una équipe formata da un presbitero della zona, individuato all’interno del Vicariato, da giovani della stessa zona e da un seminarista. Un primo incontro organizzativo si è svolto il 27 febbraio nel Seminario Regionale di Molfetta. Il dibattito che segue la presentazione della “missione” consente di mettere in luce i punti di forza di una simile iniziativa nella nostra diocesi: – rappresenta per tutti una buona occasione per riflettere sul tema della “trasmissione della fede” alle nuove generazioni, interrogandosi sui “linguaggi” adoperati nell’azione pastorale, soprattutto nei confronti di coloro che sono più lontani dalle nostre comunità; – il progetto è un’ottima occasione di animazione vocazionale nelle nostre parrocchie e in tutto il territorio; – è auspicabile che il progetto non trascuri la varietà di forme in cui è possibile vivere la vocazione alla vita cristiana, soprattutto nella sofferenza e nell’impegno civile per la politica e la cultura.

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Alle 20.30 Mons. Gianni Caliandro lascia il Consiglio Pastorale e lo ringrazia per la collaborazione. 2. La proposta di vivere una intera giornata di discernimento da dedicare alla pastorale giovanile in diocesi, con metodo e stile sinodale, subito accolta da padre Arcivescovo, è presentata ai consiglieri dal segretario. Nel suo intervento si sofferma sui seguenti punti. A. Le ragioni della proposta

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La ragione fondamentale della proposta non è data dalla necessità di fare il punto sulla pastorale giovanile in diocesi nell’imminenza della Giornata Mondiale della Gioventù in Polonia, né da esigenze organizzative in vista della “Missione Giovani” che si svolgerà a fine settembre. La ragione importante, piuttosto, ci proviene dalla traccia pastorale 2015-2016 e dall’analisi delle stesse lettere pastorali di Padre Arcivescovo che – come scrive Diotallevi nella introduzione alla pubblicazione Memoria fedeltà profezia – «accanto e dopo l’idea della mistagogia», afferma l’urgenza dell’attenzione ai giovani. Tra le ragioni addotte e ricordate dal sociologo, ve ne sono alcune che riecheggiano e richiamano quanto anche i vescovi italiani hanno scritto negli Orientamenti Pastorali per questo decennio, Educare alla vita buona del Vangelo. a) Rispetto alle “continue e rapide trasformazioni sociali”, le consuete istituzioni educative (familiari, ecclesiali, scolastiche) risultano inadeguate, anche indipendentemente dalla eventuale bontà dei valori che propongono. Una inadeguatezza che, come ricordano gli Orientamenti, ha la sua causa in alcuni “nodi critici”: l’eclissi del senso di Dio e l’offuscarsi della dimensione della interiorità; l’incerta formazione personale in un contesto pluralistico e frammentato; le difficoltà di dialogo tra le generazioni; la separazione tra intelligenza e affettività. b) La velocità dei cambiamenti in atto impedisce il sedimentarsi di nuove istituzioni e mediazioni educative: tra i diversi attori educativi, perciò, si percepisce spesso la sensazione di essere soli o di dover iniziare tutto da capo. È evidente la “difficoltà di dialogo tra le generazioni”; giovani e adulti appaiono sempre più “mondi separati ed estranei”; non di rado


CONSIGLI DIOCESANI accade che i giovani si trovino a confronto con figure adulte demotivate e poco autorevoli, incapaci di testimoniare ragioni di vita che suscitino amore e dedizione. A soffrirne di più è la famiglia, luogo dell’educazione, “lasciata da sola a fronteggiare compiti enormi”. c) Infine, le Lettere inviate alle parrocchie alla conclusione delle Visite pastorali mettono in guardia non solo dal «rischio della diserzione educativa», ma soprattutto da «quello ancora più pericoloso della delega o del cedimento a superficiali scorciatoie educative. Su questo pericolo, anche in Consiglio Padre Arcivescovo è più volte ritornato, richiamando tutti alla necessità di “perdere tempo” con i ragazzi; a intraprendere la via del «contatto e confronto serrato tra adulti e giovani» a cominciare dall’incontro di comunità; a responsabilizzare i più giovani garantendo loro la presenza nei luoghi di partecipazione alla vita ecclesiale e sociale. B. L’obiettivo L’indicazione del 2 giugno, giornata festiva, chiede a laici, presbiteri e religiosi di cogliere una occasione importante con qualche sacrificio. Per questo, è opportuno chiarificare insieme l’obiettivo di questo appuntamento. Sicuramente sarà una giornata di discernimento; anzi, richiamandoci alla Nota pastorale di inizio anno, possiamo parlare di un “esercizio di profezia”. Bando a piagnistei e pessimismi inconcludenti, in quella giornata vogliamo anzitutto essere “fedeli alla gioia del Vangelo” a cui ci sprona l’Esortazione di Papa Francesco; quindi, alla luce della Pasqua, vogliamo “fare memoria” dei “segni” della presenza di Dio nel “chiaroscuro” della nostra esperienza concreta di parrocchia, di vicariato e di diocesi, partendo da quanto emerso nelle stesse lettere pastorali. Nell’icona biblica dell’incontro tra Filippo e l’eunuco del capitolo 8 degli Atti, a cerniera tra il martirio di Stefano narrato poco prima e l’ingresso in scena di Saulo al capitolo successivo («sempre fremente minaccia e strage contro i discepoli del Signore»), Padre Arci-

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vescovo, nella traccia, ci ha offerto un esempio concreto di cosa significhi nella Scrittura leggere la storia alla luce della Pasqua per discernere i “segni dei tempi”: quello che «la storia fa leggere come una contraddizione, agli occhi del credente si rivela come azione dello Spirito che attraverso la persecuzione rende più forte e autentico l’annuncio del Vangelo». Questo significa che la responsabilità della fede ci chiama ad essere «non cronisti della fede, ma profeti della storia». Perciò non ci limiteremo a raccontare i fatti, a descrivere le esperienze più o meno riuscite, a scambiarci informazioni su successi o fallimenti di progetti, prassi e tecniche di animazione con i giovani. Nostra intenzione, piuttosto, sarà di “aprirci al Mistero” per coglierne la presenza che, come ci ricorda il prof. Diotallevi, «è potenza che è già all’opera nelle vicende della civitas e della ecclesia, che precede le persone e la comunità parrocchiale sulle loro stesse strade»; è discernere i segni di una presenza che è, al contempo, “invito e provocazione”, cioè “fatto ed appello allo stesso tempo”. Con il nostro pastore e in comunione con lui, presbiteri, religiosi e laici tenteremo di aderire non ad una “accorata e generica raccomandazione”, ma rispondere ad un dovere essenziale e permanente della Chiesa del Vaticano II: scrutare i segni dei tempi e interpretarli alla luce del Vangelo non da “geografi” (un’altra bella similitudine usata dal prof. Diotallevi), ma come “cercatori di tracce”. Siamo consapevoli che ne va del nostro essere Chiesa: in quanto operatori pastorali, a diverso titolo e livello, sentiamo particolarmente nostra la responsabilità nei confronti dei giovani che oggi, come l’etiope del brano degli Atti, «si ritrovano soli e incapaci di comprendere quanto accade intorno a loro». C. Il metodo 490 Ci proponiamo di adottare il metodo “sinodale”, secondo una duplice è necessaria prospettiva: quella diacronica e quella sincronica. Diacronica Una Chiesa sinodale è una “Chiesa che cammina insieme”; è una Chiesa consapevole e grata di un cammino che viene da lontano; un cammino che, come ci ha ricordato il prof. G. Micunco nel suo intervento al Consiglio del 3 febbraio scorso, ha nel cosiddetto


CONSIGLI DIOCESANI “mosaico di Timoteo”, nel succorpo della Cattedrale, la sua più antica e bella testimonianza («La beata Chiesa barese si rallegra nel suo vescovo Andrea ...», ma che diacronicamente giunge sino ai nostri giorni e, tra alterne vicende, ci consegna un’altra bella testimonianza da cui non possiamo prescindere: la pubblicazione Memoria Fedeltà Profezia con tutte le Lettere pastorali di 7 anni di visita alle parrocchie della nostra diocesi da parte del nostro pastore. Siamo certi che le visite non sono state un mero e dovuto atto di governo verso la nostra Chiesa locale, ma un “autentico tempo di grazia” in cui Padre Arcivescovo è entrato «a più diretto contatto con le ansie e le preoccupazioni, le gioie e le attese della gente», come recita la Pastores Gregis (n. 46). Per questo ringraziamo ancora il nostro pastore per il dono di questa pubblicazione perché, in essa, leggiamo chiaro l’invito ad «uno sguardo che vada oltre i confini della stessa parrocchia per allargarsi all’orizzonte più ampio della Chiesa diocesana». Aprirà i lavori di quella giornata, pertanto, la relazione di don Michele Birardi, direttore dell’Ufficio di Pastorale giovanile, non per offrirci un resoconto del lavoro svolto o l’ennesima analisi del mondo giovanile, ma per aiutarci: – a recuperare la memoria di un cammino che la Chiesa diocesana ha fatto e fa con/per i nostri giovani, i nodi problematici e le opportunità; – a coltivare quello “sguardo sinodale” capace di andare oltre la specificità del settore (la pastorale giovanile non è affare di “alcuni”!) e oltre i confini della parrocchia o delle associazioni e movimenti. Da parte di ciascun consigliere, invece, in vista del 2 giugno, sarà opportuno: – arrivare preparati procurandosi la pubblicazione e leggendo l’interessante studio introduttivo del prof. Diotallevi alle pp.13-44 del primo volume; – rivedere la Relazione introduttiva e le Indicazioni pastorali consegnate da Padre Arcivescovo al Vicariato a cui ogni consigliere appartiene.

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Sincronico Da ultimo, ma non per importanza, siamo convinti che “lo stile sinodale” necessiti anche di una prospettiva per così dire “sincronica”. Lo ha ricordato chiaramente la prof.ssa Caputo, sempre nella seduta del 3 febbraio scorso, citando il discorso di Papa Francesco del 17 ottobre 2015, in occasione dei 50 anni dell’istituzione del Sinodo dei Vescovi: «Proprio il cammino della sinodalità è il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio. Quello che il Signore ci chiede, in un certo senso, è già tutto contenuto nella parola Sinodo. Camminare insieme – laici, pastori e Vescovo di Roma ...». Come ci hanno testimoniato gli interventi della nutrita delegazione diocesana a Firenze, vogliamo gustare anche noi la bellezza di sedere attorno a piccoli tavoli per dialogare con semplicità e franchezza, contribuendo a realizzare quanto mons. Nosiglia augurava nella sua Prolusione a Firenze 2016: «Lo stile sinodale vissuto sia a livello di Comitato Preparatorio, sia nel cammino delle Chiese locali, deve accompagnare il lavoro di questi giorni e sarebbe già un grande risultato se da Firenze la “sinodalità” divenisse stile di ogni comunità ecclesiale».

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Per questo, la segreteria propone di adottare per i lavori del 2 giugno, dopo la relazione introduttiva, la metodologia della discussione in piccoli gruppi (max 10/15), in cui siano equamente presenti presbiteri, religiosi e laici, con un “facilitatore” a condurre il confronto. A livello strettamente organizzativo, da ciò deriva un duplice impegno: 1 – per la segreteria del Consiglio Pastorale e Presbiterale, di individuare n.10 “facilitatori” tra presbiteri, religiosi e laici con cui incontrarsi entro fine maggio per meglio definire e coordinare i lavori dei gruppi; 2 – per ciascuno dei consiglieri, di confermare la presenza ai lavori del 2 giugno con una mail all’ufficio di segreteria entro venerdì 27 maggio, così da predisporre gruppi omogenei per i lavori. A conclusione dell’intervento del segretario, prende la parola don Michele Birardi che ribadisce il riferimento alle Lettere pastorali quale motivo ispiratore del tema della giornata, il cui titolo sarà: I giovani: la nostra profezia. Il suo intervento trarrà spunto dai nume-


CONSIGLI DIOCESANI rosi richiami, presenti in esse, alla realtà giovanile per incoraggiare le comunità ad ascoltare e dialogare maggiormente con i giovani, a cominciare dall’ “incontro di comunità”. Infatti, è evidente la difficoltà delle giovani generazioni a sentirsi parte di una comunità e sarà opportuno, in quella sede, prenderne maggiore coscienza in modo propositivo: hanno da dirci quale è il futuro della nostra Chiesa attraverso la loro vita ed i loro linguaggi. È questa la loro profezia per noi. Infine, è opportuno ribadire che quello che vivremo non sarà un convegno dedicato ai giovani, ma un primo momento di ascolto e lettura della realtà giovanile, a partire dal contesto di ciascuno: non per offrire immediate soluzioni ai problemi, ma per confrontarci e arricchire ulteriormente il contributo offerto dalle indicazioni di Padre Arcivescovo. Il dibattito che segue in aula è particolarmente vivace e partecipato e si concentra su alcune questioni: a. L’opportunità di allargare o meno la partecipazione ai lavori del 2 giugno anche ad alcuni giovani dei vicariati. La maggioranza dei consiglieri accoglie favorevolmente la proposta di invitare un giovane per vicariato. Sarà l’Ufficio di Pastorale giovanile a individuare e comunicare i nominativi alla segreteria del Consiglio Pastorale. b. La giornata del 2 giugno vedrà lavorare in forma congiunta i membri del Consiglio Pastorale, quelli del Consiglio Presbiterale e i giovani invitati, divisi per gruppi (max 10/15 persone) guidati da un facilitatore da individuare tra gli stessi membri dei due Consigli. c. Sarà compito delle segreterie decidere sull’opportunità di lasciar lavorare tutti i gruppi su una stessa traccia tematica oppure affidare a ciascuno di essi un particolare aspetto. Data l’importanza del tema, Padre Arcivescovo chiede che, in presenza di un impedimento, i consiglieri lo comunichino direttamente a lui. 3. Padre Arcivescovo comunica all’intero Consiglio che la diocesi di Torino ha avviato la causa di beatificazione del cardinale Anastasio

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Alberto Ballestrero, già Arcivescovo della nostra Chiesa. Con lettera del 16 novembre 2015, la postulazione torinese ha chiesto alla nostra diocesi di interrogare una serie di testimoni e, con decreto del 2 marzo 2016, ha costituito il tribunale diocesano, nominando giudice delegato don Ubaldo Aruanno, promotore di giustizia don Vittorio Borracci, notaio il prof. Francesco Mastrandrea. Terminata la discussione di quanto all’odg, il Consiglio si conclude alle ore 21.30 con la preghiera. Il Segretario Antonio Nicola Colagrande

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CONSIGLI DIOCESANI Consiglio Presbiterale-Consiglio Pastorale

Verbale della riunione congiunta del 2 giugno 2016 Giornata di discernimento e sinodalità:

I giovani: la nostra profezia

Il giorno 2 giugno 2016 Padre Arcivescovo, presso l’Oasi Santa Maria in Cassano delle Murge, ha convocato in forma congiunta i membri del Consiglio Pastorale e Presbiterale per vivere una giornata di discernimento in stile “sinodale”, come auspicato per tutta la Chiesa Italiana a Firenze 2016, dedicando attenzione alla situazione giovanile in diocesi. Ai lavori della giornata, come deliberato dal Consiglio Pastorale riunitosi in data 3 maggio 2016, con l’indicazione dell’Ufficio di Pastorale giovanile, sono stati invitati e risultano presenti i seguenti giovani: Alberto Marrone (XII vicariato), Michele Castaldi (IV vicariato), Luana D’Onghia (II vicariato), Vito Panniello (V vicariato), Giovanni Didonna (XI vicariato), Giuseppe Partipilo (X vicariato), Francesco Capriati (I vicariato), Fabrizio Balzano (IX vicariato), Andrea Mallardi (VI vicariato). Tra i membri dei Consigli Pastorale e Presbiterale, risultano assenti giustificati: – don Ubaldo Aruanno, don Ambrogio Avelluto, don Paolo Bux, p. Ciro Capotosto, O.P., Mons. Mimì Ciavarella, p. Antonio Cofano, O.F.M., Mons. Alberto D’Urso, Mons. Mimmo Falco, don Franco Lanzolla, don Carlo Lattarulo, don Antonio Ruccia, diac. Tommaso Cozzi, diac. Lorenzo Petrera, Nicola Augenti, Gennaro Capriati, Rossella Cinquepalmi, Nicola Costantino, Clemente Gabriele, Michele

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Guastamacchia, Antonio Lattanzio, Vincenzo Pesce, Salvatore Schiralli, Francesco Sfarzetta, Massimo Tamma, Michele Tanzi.

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I lavori hanno inizio in mattinata con un breve momento di preghiera e i saluti iniziali a Padre Arcivescovo e ai convenuti da parte di don Alessandro Tanzi, segretario del Consiglio Presbiterale. Si prosegue con la relazione del direttore dell’Ufficio di Pastorale Giovanile, don Michele Birardi (cfr Allegato 1). Al termine della relazione, hanno inizio i lavori di gruppo guidati dai seguenti facilitatori: don Tonio Lobalsamo (gruppo 1), don Enrico D’Abbicco (gruppo 2), suor Maria Rosaria Imperatore (gruppo 3), sig.ra Simona Piscitelli (gruppo 4), don Donatello De Felice (gruppo 5), don Antonio Serio (gruppo 6). I lavori dei gruppi sono articolati in una prima sessione mattutina (dalle 11,30 alle 13) e, dopo il pranzo, in una sessione pomeridiana (dalle 15 alle 16,30). Durante i lavori del mattino, i gruppi hanno adottato una metodologia narrativo-esperienziale per consentire a tutti una “narrazione” reale del proprio contesto, evitando di indulgere troppo su pessimismi e negatività. La sessione pomeridiana, invece, ha adottato una impostazione profetico-propositiva per tentare di fare emergere, dal reale e complesso mondo giovanile di cui si ha esperienza, quale “appello e domanda” viene alla nostra Chiesa locale. In maniera più specifica, la segreteria unitaria ha individuato tre piste tematiche, così affidate ai gruppi: ai gruppi n. 1 e 2 la traccia “Giovani e comunità mistagogiche” (cfr Allegato 2); ai gruppi n. 3 e 4 la traccia “Giovani e linguaggi” (cfr Allegato 3); ai gruppi n. 5 e 6 la traccia “Generazione giovani” (cfr Allegato 4). I lavori di gruppo si sono conclusi con un momento assembleare di condivisione delle riflessioni e delle proposte che, in sintesi, ha toccato le seguenti questioni. 1 – Sessione mattutina: Narriamo la vita I giovani “abitano” poco le nostre comunità: per uno “sbilanciamento” liturgico e catechetico dei percorsi formativi delle nostre comunità che non incrociano la vita concreta dei giovani; per percorsi formativi e catechetici, tra le diverse fasce di età e tra le diverse realtà associative, poco integrati e organici; per adulti, laici e presbiteri, poco accoglienti e disposti a “perder tempo” con i più giovani e perlopiù propensi a giudicare e stigmatizzare.


CONSIGLI DIOCESANI Le comunità “abitano” poco i luoghi in cui i giovani di solito vivono (scuola, università, piazze, social-network) e utilizzano ancor meno i loro linguaggi. Là dove i giovani non mancano, spesso sia ha la sensazione che Gesù sia il grande sconosciuto. La crisi del legame tra fede e vita nel mondo adulto, cioè la testimonianza di una vita coerente e di una fede credibile, è uno dei motivi di maggiore disagio del mondo giovanile nei confronti della stessa realtà ecclesiale. La temperie culturale, con il suo individualismo esasperato, più che aiutare i giovani ad interrogarsi in profondità, facendo emergere la domanda di senso, li sprona ad un pericoloso e quotidiano “arrangiarsi” che rinuncia a “progettare e sognare” per la propria vita. Alcune proposte formative stentano a privilegiare una impostazione più esperienziale, così da mettere in condizione le giovani generazioni di “incontrare” personalmente Gesù nella propria vita.

2 – Sessione pomeridiana: Illuminiamo la vita La progettazione dei cammini formativi deve puntare a “fare esperienza di Gesù”, come colui che dà pienezza e compimento al desiderio di felicità che caratterizza soprattutto il mondo giovanile. Il ruolo di adulti “credibili nella fede” e “formati nella coscienza” è importante, ma lo è ancora di più il “giovane che evangelizza il giovane”. A questo proposito, la “Missione Giovani” di prossima realizzazione potrà essere un’ottima occasione per tutti. Una corretta impostazione della pastorale giovanile parrocchiale deve superare la facile, ma pericolosa distinzione, tra “vicini e lontani”, coloro che sono “dentro e fuori”, “noi e gli altri”; come, anche, deve avere il coraggio di una apertura in chiave interparrocchiale e vicariale. La formazione delle giovani generazioni deve interrogare anzitutto lo “stile” di vita cristiano delle nostre comunità: siamo costruttori di comunione e di relazioni significative? Più che dalle parole, i giovani si lasciano interpellare da uno stile di vita attento e che ha cura della “prossimità”. Il disagio giovanile ci richiama il modello di una Chiesa “madre e maestra”, preoccupata non solo di generare “figli di Dio”, ma soprattutto di “accompagnarli” nel cammino di fede con figure educative formate e credibili. Le comunità devono imparare ad utilizzare meglio gli spazi e le occasioni di dialogo e collaborazione intergenerazionale, a cominciare dall’ “incontro di comunità” (che non sempre parla alla “vita” delle persone) e dai luoghi di corresponsabilità (in cui spesso i giovani

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sono assenti per dare spazio ai “soliti impegnati”). Al tempo stesso, è bene non dimenticare che il “piccolo gruppo” resta uno strumento importante per lo sviluppo e la maturazione delle singole persone. L’attenzione al mondo giovanile è occasione di rinnovato slancio missionario per le comunità che, altrimenti, rischiano di chiudersi in se stesse e a difesa dell’esistente. È necessario che l’Ufficio di Pastorale giovanile compia uno sforzo maggiore di coordinamento tra le varie proposte educative e le differenti realtà associative diocesane. Sono maturi i tempi per vivere un momento ecclesiale in cui i protagonisti siano i giovani, aiutandoli ad esprimere il loro “sogno e desiderio” di Chiesa: potrà essere l’occasione non solo per porre le basi di un “nuovo” progetto di pastorale giovanile, ma soprattutto per dimostrare che la Chiesa prende sul serio la loro vita, i loro interessi e bisogni, senza snobbarli o sminuirne la portata.

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Al termine degli interventi, Padre Arcivescovo ringrazia le segreterie del Consiglio Pastorale e Presbiterale per aver suggerito di vivere questa bella esperienza di sinodalità: una Chiesa raccolta con tutte le sue figure e componenti intorno al proprio pastore, non per dare anzitutto delle risposte, ma per fare discernimento insieme. Un modo per rendere ancora attuale la lezione del Vaticano II, visto che Bari è stata la prima diocesi a darsi un consiglio pastorale dopo quell’evento. Proprio lo stile sinodale, adottato durante la giornata, può rappresentare un valido antidoto al rischio del clericalismo, spesso dovuto al “leaderismo” del sacerdote e, talvolta, anche ad un “eccesso” di richiesta nei suoi confronti da parte degli stessi laici: due atteggiamenti che non aiutano a vivere la comunione nella Chiesa. Per questo, un primo effetto positivo potrà essere quello di portare in parrocchia l’esperienza vissuta, magari preferendo questa metodologia a quella in cui, su un tema, si succedono anche più esperti, ma senza la possibilità di un confronto sincero e costruttivo tra i partecipanti. Con la preghiera conclusiva e i saluti finali, l’assemblea si scioglie alle ore 17.00. Il segretario del Consiglio Presbiterale Il segretario del Consiglio Pastorale don Alessandro Tanzi Antonio Nicola Colagrande


CONSIGLI DIOCESANI

Allegato 1

“I giovani: la nostra profezia” Relazione di don Michele Birardi

Introduzione: Emmaus Era, da poco, passato il sabato; già le prime luci dell’alba iniziavano a farsi spazio nella stanza al piano superiore della casa, ben chiusa contro ogni tipo di agente esterno e silente a causa dei cuori intristiti degli amici di Gesù che avevano perso per sempre il loro maestro. Anche i due amici inseparabili, Cleopa e l’altro, si trovavano nel cenacolo con gli Undici e altri discepoli; facevano parte del gruppo di uomini e donne che si erano lasciati pro-vocare dall’amore dell’uomo di Nazaret. Avevano lasciato tutto per condividere la sua missione e passione per il Regno, per annunciare la vita liberata dalla notte del peccato, dell’odio, dell’ingiustizia, della morte, e testimoniare la speranza di un Dio che vuole fare casa con l’umanità. Eppure, proprio la speranza sembrava aver levato le tende della sua dimora da Gerusalemme e dalla vita degli amici di Gesù, come costretta ad un esilio forzato ed imposto dalla tragica e potente verità di una croce ben piantata sul Golgota, segno ineludibile quanto evidente della fine degli ideali di giustizia, pace, amore; capisaldi, anche se ora non più forieri di certezze ultramondane, delle parole e dei fatti della storia di Gesù. Il cenacolo, che, qualche sera prima, era stato costituito prima cattedrale della cristianità perché aveva ospitato i segni celebrativi della vita che si fa comunione nel gesto del pane spezzato e dono nell’acqua che lava i piedi dei Dodici, e aveva custodito, come un testamento, le parole del Maestro consegnate alla memoria della chiesa nascente, pareva, ora, una cattedrale nel deserto, luogo del silenzio. Dov’era finito il

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dinamismo fatto di sguardi, di gesti, di dialoghi, di decisioni, che, poi, è il movimento che fa dell’amore la festa della convivialità e della reciprocità? Con Gesù tutto era stato inchiodato sulla croce in quel venerdì così tragico e assurdo, ed era rimasto come un fermo immagine nella mente degli apostoli, di Cleopa e dell’altro discepolo, che, mai come ora, si sentivano colpevoli e tristi per non essere stati presenti e pronti a ricevere in dono l’ultimo respiro di vita del Maestro, consegna e indicazione a restare nell’attesa per il compimento della promessa. E invece, avevano abbandonato il campo risparmiandosi la fatica e la pazienza di chi cerca, fino alla fine, il tesoro nascosto; rifugiatisi in una stanza senza più alcun segno di vita, con la porta del cuore sbarrata davanti al futuro, spaventati e increduli destinatari del grido morente dell’uomo della croce, del tuono ribelle dell’intera creazione, del pesante rotolare di un macigno sepolcrale. Avevano parlato a lungo, Cleopa e l’altro discepolo, durante quei due giorni, i più bui della loro giovane vita. “Perché restiamo ancora qui?”, si erano confidati l’un l’altro; non c’era più alcuno da aspettare. Gli Undici erano tutti lì, di nuovo insieme, uniti dall’ascolto del racconto di Giovanni dei fatti e delle parole vissute sul Golgota, e dalla confessione del tradimento di Pietro. Maria di Magdala e altre donne erano già uscite per andare a completare i riti della sepoltura interrotti – stupendo presagio! – a causa della festa della Pasqua ebraica. In quell’alba del giorno dopo il sabato, Cleopa e il suo amico avevano percepito che, chiuso il capitolo Gesù, era urgente ritornare alla vita, ritrovare un posto dove abitare, respirare un’aria diversa da quella soffocante o straziante del cenacolo. Lì, ormai, non si sentivano più a casa da quando, venuto a mancare il Signore di casa, erano stati accantonati e accatastati nel registro delle memorie i segni della mensa fraterna e i sogni di una comunità fondata nella comunione dell’amore. Avevano deciso che non valeva la pena aderire a quel progetto frantumatosi davanti alla grossa pietra del sepolcro del Maestro. Così presero congedo dagli Undici, come fanno degli amici che, dopo aver percorso un tratto di cammino insieme, si salutano e proseguono per un’altra strada. E in questo lasciarsi tutto alle spalle per andare, non restarono nelle parole delle donne che, ritornate in fretta dal sepolcro, aprirono le porte del cenacolo alla luce della tomba vuota.


CONSIGLI DIOCESANI Ora i nostri due protagonisti rompono con questo orizzonte. Se ne vanno. E la goccia che ha fatto traboccare il vaso pare proprio essere stato l’annuncio delle donne. Ci sembra di poter dire che i due discepoli fotografino molto bene il mondo giovanile. Molti dei nostri giovani tendono a lasciarsi Gerusalemme alle spalle; le certezze di ciò che è acquisito si seguono per un po’ di tempo, poi ci si incammina per altre vie. C’è allergia oggi, di fronte a tutto ciò che sappia di istituzione, di tradizione, di certezza assodata. Nella Gerusalemme di oggi restano i nonni che si lamentano perché i figli e i nipoti non fanno pasqua. I figli e i nipoti sono tutti in cammino verso Emmaus1.

Un cammino dove l’attesa di una promessa chiede di essere accolta nello spazio dell’incontro, dove il soggetto scopre la bellezza dell’appartenersi. Viviamo in un’epoca che, per le grandi invenzioni tecnico-scientifiche, ci proietta in un futuro, ad un tempo, programmatico e impercettibile, che per i ritmi più frenetici della vita/produzione non permette soste per gustare ed elaborare gli eventi che colorano e interrogano il presente. A volte ritorna la nostalgia di un passato che non c’è più e che la memoria sterile e malinconica si affanna a riconoscere ancora “di moda”, oppure si assiste alla ferma volontà di accantonare tutto ciò che riguarda “la storia di ieri” con il suo bagaglio culturale, troppo spesso pesante per il cammino odierno! Si tratta, perciò, di riconciliarci con la nostra umanità, di avere il coraggio di rimanere contemporanei a noi stessi radicandoci nel presente, di ridare “carne” alla nostra vita, in una parola di umanizzare ogni ambito di vita, quindi anche la fede come accoglienza della Rivelazione-salvezza-liberazione di Dio che si fa qui e ora per noi! Giovanni Paolo II, nel Messaggio per la XII Giornata mondiale della Gioventù, scriveva così:

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PEREGO-MAZZA, Emmaus, icona dell’incontro con i giovani, in «Note di Pastorale Giovanile» 41 (2007) 8, p. 72.

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È lungo i sentieri dell’esistenza quotidiana che potete incontrare il Signore! E questa è la fondamentale dimensione dell’incontro: non si ha a che fare con qualcosa, ma con Qualcuno, con il Vivente.

È importante collocarsi in uno sguardo d’amore rispetto alla lettura del contesto della realtà attuale, per coglierne le sfide e le potenzialità che portano la riflessione teologica a ri-pensarsi e ri-formularsi secondo un modello ermeneutico in dialogo comunicativo con la vita concreta delle persone, in particolare dei giovani. Uno sguardo che ha guidato Padre Arcivescovo nelle visite pastorali alle comunità della diocesi (2007-2014) e che ha sempre incrociato il vissuto dei giovani. Scrive Luca Diotallevi:

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La pastorale giovanile emerge come l’unica e vera priorità e come principale preoccupazione. Per i giovani e giovanissimi vengono indicate strategie pastorali ben distinte. Priorità perché? La rapidità delle trasformazioni sociali, la velocità dei cambiamenti e la rapidità del susseguirsi degli stessi fanno risultare le istituzioni educative (familiari, ecclesiali, scolastiche..) non solo inadeguate ma impediscono il sedimentarsi delle nuove. Questo porta non solo disorientamento e sempre più frequente abbandono, ma mette in condizione chi resiste di far quasi tutto da solo e cominciare sempre tutto da capo. Per questo, l’educare non può essere opera individuale, ma necessita di un contesto normativo, valoriale e conoscitivo. Educare è una missione difficilissima poiché forte è il rischio non solo della diserzione educativa, ma anche della delega o del cedimento al fascino di superficiali scorciatoie educative (Memoria, fedeltà, profezia, vol. I, p. 40).

Giovani e ricerca di senso Essere giovani, oggi, è un problema o una risorsa per la società? È questo l’interrogativo che muove il “mondo degli adulti” a fare tavole rotonde per parlare della realtà giovanile, a scrivere progetti che riguardino il loro futuro, a organizzare eventi/manifestazioni/servizi che li facciano sentire protagonisti unici e originali della


CONSIGLI DIOCESANI loro vita. In tutto questo apparente interesse non manca una certa sfiducia di fondo che annullerebbe ogni sforzo per “dare vita e speranza” ai giovani. Si sente spesso ripetere l’espressione: “i giovani sono il futuro dell’umanità”; già, il futuro, qualcosa che per ora non c’è, perché al presente ci pensano gli adulti con la loro grande esperienza e saggezza esistenziali. Sono questi che hanno il compito di occuparsi dei giovani, di pianificare le loro scelte, il loro modo di vestirsi, di divertirsi, di studiare/lavorare; la società è un grande contenitore di proposte ben strutturate dove ciascuno può scegliere liberamente, ma in realtà solo fra quello che c’è ed è stato preparato in ogni dettaglio. Il mondo degli adulti inneggia, dilettandosi, nello sfoggio delle giovani promesse, e si prodiga nella presentazione di eccellenti, quanto imprecisati, programmi a termine indeterminato, in cui piuttosto che consegnare il futuro ai giovani, sono i giovani ad essere catapultati in un futuro senza nome né forma. Così facendo si attua un circolo vizioso che dalle false promesse evolve nella fine della promessa. La terra promessa è stata identificata con la vita virtuale, non quella sognata ma quella fantasticata e assaporata solo artificialmente e per un breve periodo. È come se il seme dovesse portare frutto stando sull’albero o rimanendo per aria, e non, invece, facendosi assorbire, diventando un’unica cosa con la terra. Accade, allora, che alla promessa, svuotata della sua intrinseca connotazione progettuale, si sostituisca l’arte del consumare, per cui si produce per consumare di più e si consuma per produrre di più2. In tutto questo, c’è ancora chi si lamenta dello stile di vita, del modo di pensare la vita dei giovani, dimenticando che essi sono ciò che la società vuole che siano, come attori nello spettacolo del mondo che recitano il copione scritto dai grandi. Il loro protagonismo fantasioso e creativo, esuberante e trasgressivo, o rientra in schemi predeterminati in modo da essere accettato, oppure viene 2

«Il disagio non è più psicologico, ma culturale. E allora è sulla cultura collettiva e non sulla sofferenza individuale che bisogna agire, perché questa sofferenza non è la causa, ma la conseguenza di un’implosione culturale di cui i giovani, parcheggiati nelle scuole, nelle università, nei master, nel precariato, sono le prime vittime» (U. GALIMBERTI, L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani, Feltrinelli Editore, Milano 2007, p. 12).

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etichettato all’interno di una scala interpretativa che va dal deviante all’idealista. Si deve parlare dei giovani, ai giovani, per i giovani, ma ci si guarda bene dal parlare con loro o, peggio, dal lasciar loro la parola e mettersi in ascolto del loro vissuto. Scrive Padre Arcivescovo: Bisogna superare il paternalismo nei confronti delle nuove generazioni, ma coinvolgere i giovani anche nelle strutture di partecipazione, come il consiglio pastorale ed il consiglio per gli affari economici (Memoria, fedeltà, profezia, vol. I, p. 210).

Ci vuole, quindi, uno sguardo simpatico e attento per cogliere nella loro vita le indicazioni direttrici che sta seguendo la società contemporanea, i problemi sociali, il nuovo modo di essere e di vivere, le trasformazioni in atto: è il modo di riconciliarci con la realtà di cui tutti, adulti e giovani, siamo plasmati e in cui si radicano sogni e progetti possibili per un futuro più umano e sensato. La cura educativa è il modo dell’educare, lo stile dell’educazione, perché accompagna il giovane nel mistero della propria vita con la logica del dono, cioè di una chiamata all’esistenza che cammina verso la realizzazione della promessa di sé nella piena umanità. La storia personale si snoda, così tra un’eredità ricevuta e un’eternità da conquistare. Come dire, una storia vocazionale3. Gli adulti devono farsi carico della crescita dei ragazzi e dei giovani. Tanti educatori dedicano tempo ed energie a servizio dei più giovani e dei piccoli, ma essi devono essere sostenuti dall’intera comunità, anzi essi stessi sono espressione di una comunità che educa. Perciò oltre al sostegno della preghiera, si richiede dalla comunità anche la disponibilità ad integrare l’opera di catechisti ed educatori con altre figure complementari che potrebbero animare il gioco e organizzare forme di oratorio, per aggregare ragazzi e giovani e accompagnarli nella crescita (Memoria, fedeltà, profezia, vol. II, p. 497).

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«È lungo la storia del soggetto che il mistero della sua identità ha preso progressivamente forma […]. Resta il fatto che è la storia personale dell’individuo l’ambito naturale ove è concretamente riconoscibile il suo volto attuale e ideale. Tale storia rappresenta dunque il criterio primo di discernimento vocazionale, sia per l’animatore sia per il giovane in questione; è essa la “casa del mistero”» (A. CENCINI, La storia personale casa del mistero. Indicazioni per il discernimento vocazionale, Edizioni Paoline, Milano 1997, p. 5).


CONSIGLI DIOCESANI Aiutare i piccoli e i ragazzi a gustare insieme il gioco è diventata una vera “emergenza educativa”. Accompagnarli anche nel periodo estivo, evitando la dispersione (specie nelle messe domenicali) e l’isolamento inculcato dalle nuove tecniche comunicative assume una dimensione caritativa e sociale di prim’ordine (Memoria, fedeltà, profezia, vol. II, p. 487).

S’impongono, dunque, due prospettive da assumere per restare in ascolto dei giovani esercitando la responsabilità della compagnia4 e della profezia5, capaci di dare significati alle esperienze, anche le più consumate, e integrarle in una vita che ritrovi i lineamenti del progetto. Si tratta della sfida e del servizio. Accostare il mondo giovanile partendo dall’ottica della sfida, vuol dire leggere il loro vissuto come provocazione a scommettere sui giovani, affinché le loro attese e spinte vitali non vengano ancora una volta bloccate. La realtà è fatta di luci e ombre e la tenebra stessa è una continua invocazione alla luce. Per poter comprendere i giovani bisogna avvicinarsi, imparare a stare con loro, non con la presunzione di chi ne sa di più, ma in un atteggiamento di servizio alla vita nella contemplazione del volto e nell’affermazione della dignità dell’altro. Don Tonino Bello rifletteva su come le comunità ecclesiali dovrebbero vivere la prossimità con i giovani. Noi ci affanniamo, sì, a organizzare convegni per i giovani, facciamo la vivisezione dei loro problemi su interminabili tavole rotonde, li frastorniamo con l’abbaglio del meeting, li mettiamo anche al centro dei programmi pastorali, ma poi resta il sospetto che, sia pure a fin di bene, più che servirli, ci

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Questo termine rimanda ad un concetto teologico della storia intesa come «l’ingresso del Dio vivente nella vicenda umana, storia dell’alleanza fra l’umano andare e il divino venire, fra l’esodo e l’avvento» (B. FORTE, La teologia come compagnia, memoria e profezia. Introduzione al senso e al metodo della teologia come storia, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (Mi) 1987, p. 6). 5 Nella vita del giovane, come nel cammino esodale, la «storia è memoria che, nella coscienza del presente, diventa progetto. Senza memoria il progetto sarebbe utopia; senza progetto la memoria sarebbe rimpianto; senza coscienza attuale, memoria e progetto sarebbero evasione» (ivi, p. 135).

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si voglia servire di loro. Perché, diciamolo con franchezza, i giovani rappresentano sempre un buon investimento. Perché sono la misura della nostra capacità di aggregazione e il fiore all’occhiello del nostro ascendente sociale. Perché, se sul piano economico il loro favore rende in termini di denaro, sul piano religioso il loro consenso paga in termini di immagine. Perché, comunque, è sempre redditizia la politica di accompagnarsi con chi, pur senza soldi in tasca, dispone di infinite risorse spendibili sui mercati generali della vita. Servire i giovani, invece, è tutt’altra cosa. Significa considerarli poveri con cui giocare in perdita, non potenziali ricchi da blandire furbescamente in anticipo. Significa ascoltarli. Deporre i panneggi del nostro insopportabile paternalismo. Cingersi l’asciugatoio della discrezione per andare all’essenziale. Far tintinnare nel catino le lacrime della condivisione, e non quelle del disappunto per le nostre sicurezze predicatorie messe in crisi. Asciugare i loro piedi, non come fossero la protesi dei nostri, ma accettando con fiducia che percorrano altri sentieri, imprevedibili, e comunque non tracciati da noi. Significa far credito sul futuro, senza garanzie e senza avalli. Scommettere sull’inedito di un Dio che non invecchia. Rinunciare alla pretesa di contenerne la fantasia6.

I volti dei giovani

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Andiamo, allora, ad incontrare i volti dei giovani, fermiamoci a contemplarli senza giudicarli, con il rispetto e la cura che si devono ad una realtà sacra che custodisce in sé un tesoro di inestimabile ricchezza: il Soffio dello Spirito. Fissiamo il volto “disincantato” del giovane: la ricerca della propria identità e del sistema valoriale di riferimento si fa presto estenuante e difficile per cui egli non crede più alla realizzazione dei grandi ideali e all’incanto di fronte a modelli di umanità autentica da seguire; così si “sistema” nella quotidianità districandosi alla meno peggio tra bisogno di autonomia e bisogno di sicurezza, rinunciando alle scelte fondanti il proprio futuro e cercando di essere felice in quello che decide di essere/fare momento per momento. I giovani si 6

A. BELLO, Tra le nuvole in fuga, La Meridiana, Molfetta (Ba) 1993, pp. 22-23.


CONSIGLI DIOCESANI sentono prigionieri e bloccati nel presente, perché esistenzialmente slegati da un passato che non appartiene più e da un futuro incerto e incomprensibile. L’istituzione, del resto, è in difficoltà a stabilire e favorire dei percorsi di crescita umana, sociale, professionale che diano al singolo la certezza di essere in cammino verso la maturità. Infatti, la società globalizzata non merita fiducia da parte delle nuove generazioni; essa, che si proclama eticamente neutra per rispetto della libertà plurale, si è deregolamentarizzata per farsi governare dalle leggi di un mercato guidato dalla flessibilità, dalla competitività, dal lavoro a tempo determinato, dalla mobilità, non solo dei capitali ma anche delle persone. Qui sta tutta l’incertezza e la precarietà del vivere umano: nell’impossibilità di fare scelte per il proprio futuro7. Travolti dal tempo, i giovani cercano di emergere dall’anonimato e dal non senso aggrappandosi al presente, al vivere qui e ora, tutto e subito, in uno smodato possesso di persone, cose e situazioni che li porta a rincorrere la novità nel moltiplicarsi delle esperienze, senza la possibilità di interiorizzare il vissuto per dargli un nome con la conseguente ricaduta nel già visto e già fatto. Questo “volto” del giovane è il riflesso e il prodotto dell’immagine di una società caratterizzata dalla complessità: non c’è più un centro unificatore e universale attorno a cui la vita trova senso e spiegazione, ma c’è una situazione pluricentrica dove coesistono diverse visioni e interpretazioni della realtà, diversi sistemi valoriali, diversi modi di vivere il proprio “essere umano”. È come andare al supermercato e scegliere di volta in volta il prodotto migliore al prezzo più accessibile. Come può la Chiesa restare fedele alla propria identità e, nello stesso tempo, essere presenza liberante in questo areopago moderno? La 7 «La scarsità o precarietà del mercato del lavoro ha condotto le giovani generazioni a disinteressarsi dal futuro, vincolando impieghi o lavoretti al presente, ai soldi e al consumo immediato e compulsivo. […] In questo modo ed esasperando con tutti i mezzi i sensi e i desideri, il consumo è percepito dai giovani come uno stile di vita normale e una regola centrale e imprescindibile dell’integrazione sociale» (J.L. MORAL, Giovani senza fede? Manuale di pronto soccorso per ricostruire con i giovani la fede e la religione, Elledici, Leumann, Torino 2007, pp. 96-97).

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sfida per l’educazione alla fede è pressante: restituire ai giovani, che la società abbandona nell’insicurezza, nell’incertezza, nella precarietà, le risorse per costruire i ponti che li riconciliano con il futuro, con l’impegno per l’ideale, con la responsabilità del progetto, con l’anelito verso il trascendente, con l’integrazione dell’identità nella storia e nella cultura8. A tal proposito così si esprimeva Viktor E. Frankl: L’autorealizzazione è soltanto possibile nella misura in cui io mi perdo, mi dimentico, non vedo più me stesso. Devo avere un motivo per il quale realizzarmi. Il motivo sta nel dedicarsi totalmente a una cosa o a una persona9.

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Ed eccoci davanti un altro “volto” del giovane: obbediente, formalista durante la settimana, “trasgressivo”, libero nel week-end. I giovani accettano di sottomettersi al ritmo vitale ordinario, senza coinvolgersi più di tanto, per dare spazio alle loro emozioni, ai loro desideri, ai loro comportamenti più veri nel tempo libero/festivo; un tempo questo di cui si sentono incontrastati artefici e padroni e del quale non devono rendere conto a nessuno se non alla loro voglia di vivere. La società complessa può essere paragonata ad una strada affollata di gente a tal punto da farti sentire un elemento di un meccanismo che procede senza la tua volontà. E, comunque, ti senti solo, uno, nessuno, centomila, e fai fatica a distinguerti dagli altri, inglobato e globalizzato in una situazione senza una forma, un perché, un fine. Vengono, dunque, a mancare quegli indicatori di marcia sociali che permettono di discernere tra il giusto e l’ingiusto, il bello e il brutto, il vero e il falso, il bene e il male, il soggettivo e l’oggettivo, l’io e il tu, il “mio” e il “comune”. La crisi delle ideologie e delle grandi narrazioni hanno privato il mondo di quell’orizzonte vitale che ampliava la prospettiva dell’essere individuale nell’essere sociale, spostando l’interesse dalla ricer-

8 Si tratta dei tre obiettivi dell’animazione culturale: la costruzione dell’identità personale dentro la cultura, la partecipazione solidale alla vita sociale, la ricerca della trascendenza e della religiosità (cfr M. POLLO, Animazione culturale. Teoria e metodo, LAS, Roma 2002, pp. 135-245). 9 V. E. FRANKL-P. LAPIDE, Ricerca di Dio e domanda di senso. Dialogo tra un teologo e uno psicologo, Claudiana, Torino 2006, p. 27.


CONSIGLI DIOCESANI ca del benessere all’impegno nel promuovere il bene comune, fondando le ragioni ultime della vita in una realtà trascendente la semplice fattualità del singolo, sia che si tratti della divinità sia che tratti della comunità umana10. Per questo, i giovani avvertono il tempo libero/festivo come tempo dedicato a se stessi, alla loro libera iniziativa (anche fin troppo stravagante), all’amicizia, all’amore, a tutto ciò che è sentimento e movimento del cuore e che non trova spazio nella routine di tutti i giorni, orchestrata da adulti i quali hanno fatto tacere la voce della poesia e tarpato le ali ai sogni in favore di un meccanismo istituzionale che livella tutto e tutti sulle leggi del progresso e della produttività. Ripartire dalla festa per liberare in ciascuno la gioia di vivere e di appartenere ad una comunità11. Educare alla festa vuol dire riportare il tempo alla sua dimensione originaria di trascendenza, donare senso allo scorrere, apparentemente anonimo, dei giorni. La festa è, da un lato, rottura degli schemi ordinari e voglia di qualcosa di nuovo, dall’altro, un’esperienza così profondamente radicata nella vita dell’uomo, da rappresentare come un punto focale attorno al quale ruota tutto il vissuto in un circolo ermeneutico che unifica i singoli accadimenti. Lungi dall’essere una fuga nel virtuale e nel disimpegno, si dispiega secondo dinamiche che tengono elevata la soglia di vitalità: c’è una parte di esistenza che chiede solo di vivere gratis e con responsabilità non un tempo libero dagli impegni, ma il tempo impegnato liberamente. La sfida dell’e10

«La società complessa produce una profonda crisi del Noi, ovvero della dimensione sociale della vita costituita da quella rete di solidarietà che consente ad ogni individuo umano l’utilizzo nel proprio progetto di vita delle risorse, materiali e spirituali, messe a disposizione dagli individui che con lui condividono lo spazio e il tempo» (M. POLLO, Animazione culturale, cit., p. 42). 11 «Un’autentica educazione deve essere in grado di parlare al bisogno di significato e di felicità delle persone. Il messaggio cristiano pone l’accento sulla forza e sulla pienezza di gioia donate dalla fede, che sono infinitamente più grandi di ogni desiderio e attesa umani. Il compito dell’educatore cristiano è diffondere la buona notizia che il Vangelo può trasformare il cuore dell’uomo, restituendogli ragioni di vita e di speranza» (CEI, Educare alla vita buona del Vangelo. Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il decennio 2010-2020, Figlie di San Paolo, Milano 2010, n. 8, pp. 17-18).

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ducazione è sul piano dell’incontro, dove l’identità personale matura ritrovandosi nell’alterità e nell’altrove. Significa crescere tendendo verso qualcosa che non c’è ma che è desiderato, amato: è la passione per l’utopia, non un divagare nel sogno, non un perdersi nell’ideologia, ma il pensare con il cuore, il vivere nella speranza.

Giovani e comunicazione

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L’educazione alla fede non può prescindere dal fatto della comunicazione, dove questa, lungi dall’essere la mera trasmissione di un messaggio da un emittente verso un ricevente, si caratterizza come evento relazionale e coestensivo tra i mondi degli interlocutori e del messaggio stesso. La comunicazione è il vero motore della vita sociale, tutto comunica e tutto si fa comunicando. L’uomo è per natura sua un essere comunicativo, è capace di percepire la realtà fuori di sé e di sentire la propria realtà profonda, di elaborare nel pensiero l’esperito, di esprimere/esprimersi attraverso il linguaggio verbale e non verbale usando svariati codici linguistici. In questa attività comunicativa egli non trasferisce semplicemente delle idee/messaggi in chi gli vive accanto, ma porta in superficie e a conoscenza dell’altro ciò che egli è in quanto uomo. Comunicare è il modo di relazionarsi, di costruire legami che creano comunità, spazi e tempi di scambio reciproco ed elaborazione del senso della vita, nel gioco dialogale del riconoscersi gli uni presenti agli altri, offrendosi reciprocamente disponibili alla comune ricerca della verità. La comunicazione favorisce l’incontro con il tu, ci fa sentire cercati dall’altro e ci fa cercare l’altro non semplicemente per trasmettere nozioni, saperi, segreti, informazioni, ma principalmente perché senza il tu, nel suo valore assoluto, l’io non sarebbe: così ci si sente parte, si partecipa alla storia gli uni gli altri nella costruzione di possibilità più umane di vita. Comunicazione, incontro, relazione, sono tre dinamiche esistenziali che creano la comunità, e che la rendono luogo affettivo ed effettivo di vita. A tal proposito, scrive Padre Arcivescovo: Sono stato colpito da alcune affermazioni fatte dai giovani nell’incontro che ho avuto con loro il primo giorno della visi-


CONSIGLI DIOCESANI ta pastorale. Con la schiettezza che è connaturale alla loro età e con una acuta capacità di analisi dell’attuale situazione sociale e culturale, hanno sottolineato i due aspetti principali che connotano il nostro tempo: da una parte si evidenziano i fenomeni di disgregazione, di frammentazione e di individualismo e, dall’altra i desideri e i bisogni di amicizia, di dialogo e di comunione. Per dirla con le parole del famoso sociologo Zygmunt Bauman, in una società complessa e globalizzata si avverte sempre più “la voglia di comunità” (Memoria, fedeltà, profezia, vol. I, p. 86).

Cosa sono il parlarsi, il guardarsi negli occhi, lo stringersi la mano, lo stare insieme tra amici, il calore di un abbraccio con chi non si vede da tempo, l’armonia e lo schiamazzo delle voci che si rincorrono nei luoghi di vita (nella preghiera liturgica come nelle liturgie laiche), il sentirsi chiamati per nome, i suoni dinamici della musica, le parole “costrette” nei dialoghi o liberate nelle improvvisazioni del teatro, le lunghe passeggiate con l’amico/a del cuore o una serata al pub, i mari aperti e le terre lontane sotto cieli infiniti raggiunti navigando in internet, i racconti di storia quotidiana che lasciano la traccia nei veloci scambi di “sms”, se non il desiderio di non essere soli e la certezza che la vita è più bella quando la si condivide con gli altri. Il mondo di comunicare, di esprimersi, di vivere dei giovani è il segno/sogno di un’esistenza sensibile all’amore, che vuole sentire/toccare l’amore nel volto dell’altro, che non si accontenta di sentirselo dire solo a parole, che accusa di sterilità e di formalità sia i proclami pieni di fiducia e di speranza provenienti dal mondo degli adulti, sia i discorsi su Dio altisonanti e dottrinali provenienti dal mondo ecclesiale. La disattenzione nei confronti del mondo giovanile rischia di rendere meno credibile l’impegno pastorale complessivo. I giovani oggi sono trascurati dalla società. Non deve accadere altrettanto nella Chiesa. Non basta l’invito alla catechesi o a prestare un servizio. È necessario stare con loro, dedicare loro un tempo privilegiato. Forse questo richiederà delle scelte e delle rinunzie (Memoria, fedeltà, profezia, vol. II, p. 520).

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La sensibilità giovanile, allora, mette al centro il loro sentimento, con la possibilità di riconoscersi nei loro desideri più profondi e più veri, nel loro bisogno/richiesta di accoglienza e di amore incondizionato, nella loro espressività creativa, nel movimento affettivo del cuore e nella frenesia delle pulsioni; un “sentire la vita” non come un testo di norme già scritte da eseguire, ma come un quadro da immaginare liberamente e da colorare in maniera estrosa ed originale dove la città diventa a misura di giovane, pulsante di bellezza. Come si fa a ripetere – talvolta paternalisticamente – che i giovani non sono interessati a Cristo nella Chiesa? Anche laddove emergono espressioni singolari o disturbate bisogna cogliere spazi di invocazione, di aiuto a scoprire Cristo e il suo Vangelo e a sentirsi partecipi e corresponsabili nella Chiesa come nella società. Per questo è necessario rendere più credibile il dialogo fra le generazioni in una società in cui i giovani sembrano avere meno voce e meno considerazione (Memoria, fedeltà, profezia, vol. II, p. 525).

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Bisogna stabilire un terreno comune di intese e di ideali, di norme e di sentimenti, luoghi accoglienti dove aprirsi all’altro senza timore di essere giudicati perché ci si sente a casa, riti e simboli che sanciscono la reciproca appartenenza ad una cultura, cioè ad un modo di vedere, leggere, esprimere, sentire la realtà, che manifesta la consapevolezza e la voglia di essere vivi, di essere interessati alla vita e di ricrearla quotidianamente su sentieri e in forme che ne comunicano tutto il valore. La prassi cristiana con e per i giovani che vuole comunicare, rendere partecipi i giovani dell’Amore di Dio per l’uomo e per tutto ciò che è umano deve seguire il movimento dall’auto-comunicazione di Dio in Gesù di Nazaret. Si tratta di compiere con coraggio e speranza quel cammino esodale che porta a lasciare le “certezze pastorali” già acquisite e perpetuate per anni che hanno reso schiavo l’agire ecclesiale della “lettera”, delle formule e di un certo sterile rigore morale, dottrinale e liturgico estraneo alla vita delle persone inquadrata come il campo dove applicare i discorsi di fede preparati a tavolino; e dirigersi verso la terra promessa dei giovani, luogo teologico che rende possibile la comunicazione di Dio che vuole parlare alla/della vita dei giovani. La sintassi viene regolata dalla semantica, il significante viene compreso nel suo significato, il segno acquista valore alla luce del sim-


CONSIGLI DIOCESANI bolo, la parola si fa voce amica che scalda il cuore, la catechesi si riscopre nel suo legame affettivo ed effettivo alla vita, il ragionamento dell’intelletto dà spazio al movimento del cuore, il calcolato fissismo degli itinerari e dei programmi pastorali prende il dinamismo dei desideri e dei sogni dei giovani. Significa puntare su un’adesione di fede “colorata” dei loro colori, esperienziale ma anche contemplativa, personale ma anche condivisa e vissuta nel cammino di gruppo, e nella vita della comunità. Scrive Luca Diotallevi: L’incontro settimanale comunitario è presentato dal vescovo come una priorità senza eccezioni. Se ci sono ritmi di incontro e di lavoro che contrastano con questa indicazione, le altre attività assumano ritmi meno intensi e cedano il primato all’incontro comunitario settimanale, in quanto, dopo la Messa domenicale, manifesta e fa vivere consapevolmente la comunità cristiana. A questo incontro debbono prendere parte e portare il proprio contributo, allo stesso modo, tutti coloro che nella stessa comunità parrocchiale hanno un ministero, fosse anche il più piccolo. Allo stesso modo debbono farlo tutti i gruppi, di qualsiasi genere. L’incontro deve essere insieme di adulti e giovani. Diverso è il discorso per le fasce d’età che vanno dai più piccoli ai giovanissimi. L’incontro settimanale comunitario appare come l’alternativa al narcisismo improduttivo giovanile in pastorale e al conservatorismo fatale dei più anziani. In quella circostanza i giovani apprendono la fede dagli adulti che sono spinti al continuo rinnovamento dalla presenza “scomoda “ dei giovani (Memoria, fedeltà, profezia, vol. I, p. 34).

Come non lasciarsi coinvolgere dai loro volti durante le celebrazioni rese belle da segni e simboli della vita, dal silenzio adorante del loro cuore durante le veglie notturne ai campi scuola, dalla loro gioia nei giorni della GMG, dalla forza rivoluzionaria delle esperienze di servizio, dai loro schiamazzi nei giorni delle feste comunitarie? Non è forse questo, il desiderio di Dio da sempre nascosto nel profondo di ciascuno, che è poi quel fondo di umanità abitato dallo

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Spirito e che occorre risvegliare e portare alla luce in una “pratica ecclesiale” che si scopre sempre più “pratica umana”?

La domenica

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La domenica è, nel nostro immaginario collettivo, il giorno – simbolo per eccellenza della festa, che rende possibile la realizzazione del desiderio di respirare finalmente la vita, dopo giorni trascorsi a svolgere “compiti imposti” e immersi in mille cose da fare tanto da sentir mancar l’aria. Oggi, più che in passato, ci rendiamo conto di abitare una società inserita in un sistema ben strutturato dove la domenica si è persa nei meandri della ferialità e non viene più riconosciuta nel suo valore culturale di festa. Essere nella festa significa vivere lo spazio/tempo della comunione, è vivere estroversi, per riconoscersi vivi grazie al “tu” che ci sta di fronte. Così la festa mette in circolo la gioia, condivide la speranza, rinvigorisce il cuore, ribadisce che siamo nati non per essere isole ma per diventare il “noi” della storia. La festa è l’invito alla realizzazione di un’umanità nuova non sottoposta a mere leggi di mercato ma a quelle della gratuità, a intraprendere processi di liberazione che, attraverso la programmazione di tempi di vita comunitaria insieme ad atteggiamenti di ascolto e accoglienza della diversità, favoriscono l’esodo dal circolo vizioso dell’io, verso la ricchezza esistenziale dell’esserecon-gli altri. È urgente ricollocare la domenica – festa come centro esistenziale sia della vita sociale sia della dimensione religiosa. La domenica deve diventare punto di gravità attorno a cui organizzare la città degli uomini, terreno di continuità tra la storia personale e la storia della società, luogo teologico in cui l’uomo si riconosce come essere in situazione in cammino verso il futuro che infinitamente lo supera e gli dà pienezza di vita. Il centro della festa domenicale, per noi cristiani, è la celebrazione eucaristica che conduce dall’isolamento, volontario o subito, all’incontro vivo ed efficace con Dio nell’esperienza gioiosa della comunità di uomini e donne che si riconoscono nell’essere discepoli di Gesù. Di questo è consapevole fin dalle origini, come attesta san Giustino (morto circa nel 165 d.C.) in una delle più antiche descrizioni della celebrazione eucaristica domenicale:


CONSIGLI DIOCESANI Quelli che possiedono aiutano tutti i bisognosi e siamo sempre uniti gli uni con gli altri. Per tutti i beni che riceviamo ringraziamo il Signore dell’universo per il suo Figlio e per lo Spirito Santo. E nel giorno chiamato “del sole” ci si raduna tutti insieme, abitanti delle città e delle campagne, e si leggono le memorie degli Apostoli, gli scritti dei Profeti, finché il tempo lo consente. Poi, quando il lettore ha terminato, colui che presiede ci ammonisce ed esorta ad imitare questi buoni esempi. Poi tutti insieme ci alziamo in piedi ed innalziamo preghiere e rendimento di grazie ed il popolo esclama dicendo: “Amen”. Si fa quindi la distribuzione a ciascuno degli alimenti consacrati, ed attraverso i diaconi se ne manda agli assenti. Quelli che hanno possibilità e tutti quelli che lo desiderano danno liberamente, ciascuno quello che vuole, e ciò che si raccoglie viene depositato presso colui che presiede. Questo soccorre gli orfani, le vedove e chi è indigente per malattia o per qualche altra causa; anche i carcerati e gli stranieri che si trovano presso di noi. Ci prendiamo cura di chiunque sia nel bisogno (Giustino, Prima Apologia, 67, 1-6).

La domenica è «il primo giorno dopo il sabato» (Lc 24, 1): il giorno del Signore non indica più il sabato, il giorno della fine della creazione, ma la domenica, il giorno della nuova creazione. È l’alba di un mondo nuovo, l’inizio di una nuova storia per sempre consegnata alla luce e alla verità del Risorto, è il giorno in cui i cristiani si riuniscono nella casa di Dio per disperdersi nel mondo e impiantare il suo Regno. L’Eucaristia domenicale fa comunità eucaristica di comunione e fraternità, sollecita nel soccorrere i poveri e gli ultimi, appassionata per l’educazione e ardente di missione. Essa è sorgente e vertice della vita parrocchiale, sacramento dal quale la comunità cristiana parte e al quale approda; illumina la vita quotidiana e riempie di gioia il tempo feriale. Scrive Padre Arcivescovo: Perché si respiri sempre più il clima di una Chiesa di popolo che raccoglie i fedelissimi, ma diventa accogliente anche verso coloro che conservano un rapporto “più debole” con la comu-

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nità cristiana, è necessario fare sintesi. Se questa unità non la vivono gli adulti, non ci può meravigliare se i ragazzi dell’iniziazione cristiana partecipano alla catechesi settimanale, ma “dimenticano” di vivere la messa domenicale. Vi esorto quindi a fare oggetto di riflessione e di approfondimento il testo del progetto diocesano sulla mistagogia. Il metodo che implica una sintesi interiore implica un impegno per un incontro settimanale comunitario, che veda i giovani, gli adulti e tutti i gruppi operanti in parrocchia riuniti insieme per percorrere l’itinerario dell’anno liturgico che nella Domenica raggiunge il culmine ed assicura la fonte cui abbeverarsi per il cammino settimanale (Memoria, fedeltà, profezia, vol. I, p. 34).

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Bisogna aiutare i giovani a vedere la celebrazione eucaristica come la sintesi e il paradigma teologico della vita quotidiana, dove l’amicizia e l’affettività, la responsabilità nello studio e nel lavoro, l’impegno in famiglia, in parrocchia, nel territorio, sono la risposta gratuita all’amore di Dio che tutto avvolge con la sua grazia. Nell’Eucaristia domenicale il giovane scopre che il segreto della vita sta nel rendere grazie, nella risposta all’amore che chiama, nella relazione fondante con il Tu che trova la sua situazione vitale nel rapporto di reciprocità gratuito e senza tensione con l’altro da me, accolto come dono. I riti di accoglienza, la proclamazione della Parola, il segno del pane e del vino, manifestano un Dio che si fa vicino e ama per primo, che parla il nostro linguaggio e si intrattiene con noi come amici, che continua ad agire per noi oggi e offre la possibilità della comunione con la Trinità, perché l’uomo sia capace di comunione e testimone di pace nella realtà in cui vive12. L’Eucaristia è un grande gioco dei doni. C’è il dono di Dio all’uomo, celebrato nel dono della salvezza realizzata nella morte e risurre12 «Domenica perché? Perché a Dio piace la convivialità e perché a Dio preme che l’uomo non si dimentichi di Lui e del suo operare a vantaggio dell’uomo, non per narcisismo divino ma per il bene stesso dell’uomo che diversamente rischia di smarrire la memoria delle origini (domenica primo giorno), la memoria degli approdi (domenica ottavo giorno), la memoria dell’evento cardine della storia (domenica di resurrezione legata al venerdì della crocifissione), e la memoria della possibilità di una vita personale e sociale sensata perché cristiforme e comunionale, possibilità in forza dello Spirito (domenica di pentecoste). Bastano questi semplici accenni a rimarcare l’importanza della domenica. Veramente in essa il tempo mondano – chronos – si fa tempo della grazia – kairòs» (G. BRUNI, A cena con il Signore. Incontro di un desiderio e di un’attesa, Ed. Insieme, Terlizzi 2006, p. 98).


CONSIGLI DIOCESANI zione di Gesù. E c’è il dono dell’uomo a Dio, celebrato nell’abbandonarsi con fiducia a Lui come Signore della nostra vita. Questo donarsi di Dio e dell’uomo costituisce la struttura fondamentale dell’Eucaristia e coinvolge persone, oggetti e situazioni. Il cammino di fede dei giovani e degli adulti deve essere segnato dal Giorno del Signore. “Vivere secondo la domenica” è l’espressione che sant’Ignazio di Antiochia ripeteva ai cristiani del suo tempo e che Benedetto XVI ha richiamato nella esortazione apostolica post-sinodale Sacramentum caritatis. La domenica è come uno scrigno che contiene un tesoro di grazia di inestimabile valore che il cristiano deve saper custodire e far fruttificare (Memoria, fedeltà, profezia, vol. I, p. 80).

Appassionare i giovani all’Eucaristia vuol dire farli sentire protagonisti della celebrazione nei diversi ministeri che vi intervengono; ma anche nella preparazione delle Letture, dei canti, delle preghiere dei fedeli, di alcuni segni, dell’aula liturgica, con particolare attenzione e gusto nella scelta dei fiori (il buon profumo e i colori sono quel tocco di delicatezza che non può mancare in una festa), e nel favorire, grazie alla loro vitalità fantasiosa, un clima di preghiera in stile comunitario. Testimoniare l’Eucaristia celebrata vuol dire essere credibili, pezzi di pane che tutti possono mangiare, essere un’ondata di santità che riordina le logiche della forza nei segni del servizio e nell’amore che porta frutto. Aiutare i giovani a fare i conti con la simpatia di Dio presente nei riti, simboli, parole, gesti della celebrazione, e che chiede a loro una risposta adeguata nella direzione dell’affamato, dell’assetato, dell’ammalato, dei miseri della terra, da accogliere.

Una storia che si fa profezia Guardare con passione e con pathos i giovani significa farci tirar dentro nel loro mondo e scommettere sul loro desiderio di vita; e

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anche soffrire quello che essi soffrono, condividere e interpretare il loro grido di liberazione da un mondo disumano, che costringe a “pensare in proprio” il successo/salvezza/benessere personale, come un bisogno di reciprocità autentica che si fa richiesta di accoglienza, denuncia dell’esclusione, desiderio di sentirsi necessari. La prima scelta profetica da fare se si vuole toccare sul vivo la realtà giovanile è l’accoglienza incondizionata che ridoni al giovane la dignità dell’essere risorsa e ricchezza. L’invocazione più bella che sgorga dal suo cuore e che anticipa ogni ricerca del senso è la richiesta di essere amato per quello che è e non dopo aver visto ciò che fa; e la risposta adeguata sarebbe favorire, nei gruppi così come nelle relazioni personali, un clima affettivo più che uno autoritario/paternalista per sottolineare il valore della persona in sé. L’immagine del Padre che vede arrivare il figlio, gli va incontro, gli butta le braccia al collo e dona la possibilità di un futuro migliore perché ama questo presente, sostituisce quella di maestri benpensanti buoni solo a puntare il dito sulle malefatte. Bisogna, quindi, rivalutare l’accompagnamento dei giovani nei loro percorsi di vita quotidiana, dai momenti di tristezza per un insuccesso alle gioie estreme per l’amore cercato e finalmente trovato, dai piccoli rifiuti ai grandi sì, dai dubbi che si fanno domande alle risposte che diventano certezze, dalle insicurezze per il domani alla speranza di un oggi colmato di senso, dall’incontro/confronto con il dolore e con il male all’imporsi del bene e della Grazia nonostante tutto. La Chiesa-comunione è chiamata a farsi compagna di vita e a perdere tempo con i piccoli e i giovani, come più volte annota Padre Arcivescovo. In particolare:

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La parrocchia non scivolerà in una sorta di stazione di servizi se si avranno nella sua vita momenti strutturali in cui giovani, adulti e anziani si ritrovino insieme. Voi sentite la parrocchia veramente come la vostra casa, la casa di tutti. Il territorio è ampio, con ulteriori sviluppi nel futuro. Perciò siete una parrocchia “giovane”, anche per un tasso di natalità incoraggiante. Esprimo sincera gratitudine ai dirigenti, agli insegnanti, al personale della scuola, agli alunni per l’affettuosa e calorosa accoglienza, segno di un terreno fecondo per una crescita educativa umana e cristiana. In questo contesto sottolineo il ruolo dell’Azione Cattolica, che contribuisce particolarmente ad alimentare la coscienza di appartenere


CONSIGLI DIOCESANI alla Chiesa locale da parte di tutta la comunità. La corresponsabilità dei laici disegna il volto missionario della parrocchia in un mondo che cambia (Memoria, fedeltà, profezia, vol. I, p. 382).

Il cammino esistenziale dei giovani è segnato dal coraggio dell’andare, dalla dignità violata, dalle attese deluse, da incontri che guariscono e risanano, dalla forza propulsiva dei sogni. La comunità è chiamata ad accogliere la sfida educativa di incrociare la strada dei giovani, anzi i giovani in cammino, per dare loro ragioni di vita e di speranza, con i segni di una presenza che non si attarda nei giudizi ma ne accompagna i passi. Particolare efficacia ha il cammino associativo dell’Azione Cattolica, che in diocesi catalizza molte risorse giovanili attorno a itinerari educativi che assicurano il riferimento a una comunità che segue il Vangelo. Sottolinea Padre Arcivescovo: Sono stato ben lieto di incontrare i giovani e i giovanissimi che assicurano alla comunità tutta uno sguardo sul futuro, colmo di speranza. Il loro percorso formativo è illuminato, per molti, dall’esperienza dell’AC. In questa parrocchia, l’Associazione raccoglie un’antica consolidata tradizione che assicura un riferimento costante alla Chiesa locale e impedisce quella chiusura nel proprio orto che non fa respirare con i polmoni della Chiesa tutta (Memoria, fedeltà, profezia, vol. I, p. 365). L’AC assicura il collegamento con la Chiesa locale, creando un respiro ecclesiale più ampio (Memoria, fedeltà, profezia, vol. I, p. 374).

Educare i giovani è l’azione dell’amore che si prende cura della debolezza, si fa carico dei desideri di felicità di chi non si vuol sentire estraneo riguardo alla storia ma la abita, rimette in piedi la promessa del futuro che non è già scritto perché è nelle possibilità di ciascuno. Se i giovani risultano oggi più disimpegnati, meno affascinati dalla vita politica, meno pronti ad esperienze forti di volontariato e/o di missione, anche meno rivoluzionari rispetto a un tempo non tanto passato, è perché si sono accorti di essere stati esclusi dalla

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vita sociale. C’è chi pensa a loro (e lo fa male), così essi decidono di costruirsi universi simbolici e reali staccati dal mondo degli adulti, con il conseguente sconfinamento nell’anonimato e nel vuoto. Per questo si impone una seconda scelta profetica che chiamerei “del ragazzo dei cinque pani e due pesci”. Prima che chiedere a loro di fidarsi di Dio, dobbiamo presentare un Dio che si fida dei giovani, del loro poco, anzi del loro tutto, perché è tutto quello che sono. Sarebbe bello fare con i giovani i progetti di pastorale giovanile, evangelizzare i giovani con i giovani, mettere in movimento il loro potenziale di pura energia vitale per cambiare le strutture di morte azionate dai grandi della terra. Nessuno dei giovani dovrebbe andare a dormire senza essersi sentito dire almeno una volta nella giornata: “ho bisogno di te, conto su di te!”. Questo fa uscire dalla solitudine entro cui ci ha costretti il mito efficientista del self-made man, dell’uomo che non deve chiedere mai, del “chi fa da sé fa per tre”. Spesso sia in ambito civile sia in ambito ecclesiale si punta sulla presenza dei giovani come cornice ad eventi fatti su misura per loro ma senza di loro; basti guardare l’età media della classe politica, o di certi collegi docenti, o dei consigli pastorali. Contare sui giovani significa dare spazio a loro nel presente, renderli protagonisti, guide della vita sociale/ecclesiale per svecchiare il nostro mondo e modo di vita, rischiando che essi mettano in crisi, capovolgendoli, i nostri schemi mentali desueti, ma con la certezza che tutto diventerà più giovane, bello, vivibile. Certo, se ci fermassimo a guardare i numeri dei giovani che vengono in chiesa alla domenica o che frequentano i gruppi parrocchiali, dovremmo affermare che c’è un disastroso calo del sentimento religioso giovanile. Se, invece, ci addentrassimo nel loro modo di vivere scopriremo un sistema di segni che “lanciano” domande di significato che a volte noi, gente di chiesa, non sappiamo cogliere. La ricerca di legami affettivi, la voglia di evasione, il loro linguaggio distintivo e tanto diverso dagli adulti, lo sfrenato navigare in internet, viaggiare, provare l’ultima moda, la trasgressione, le tante domande, i loro silenzi in famiglia, le loro assenze, il loro ritrovarsi attorno a leader (siano questi politici, cantanti, uomini di fede), non sono forse espressione del loro cercare se stessi e il senso della vita, in contrasto con un certo modo di fare che vuole imporre schemi fissi di forme di socialità e di vissuto di fede? La strada del modo di rivelarsi di Dio è la relazione tra l’umano e il divino, tra il tra-


CONSIGLI DIOCESANI scendente e l’immanente, tra il cielo e la terra, tra la parola e il silenzio. In questa linea fa capolinea un “cristianesimo umanitario e autonomo”, sganciato dall’istituzione e più legato alla persona, all’umano; non significa fare a meno della Chiesa, no! È avere le mani, il cuore e soprattutto la mente liberi perché il Vangelo possa incontrare la vita, frequentando i luoghi o non luoghi dove abitano i giovani; la strada diventa la metafora della vita e della dimora di Dio (basti pensare alle tante esperienze di annuncio in discoteca, nelle piazze, sulla spiaggia), in cui l’uomo si sente cercato nel suo profondo esistenziale senza essere giudicato13. Il Regno diventa una costruzione a cui mettere mano da parte di tutti e a partire da gesti concreti di giustizia e di pace. Credere in Dio è scoprire di essere schierati per la vita, per il desiderio di felicità e speranza; questo è il sogno stesso di Dio, e aiuta a vivere un cristianesimo ancora una volta significativo per la storia degli uomini e delle donne. Non si può continuare a restare fuori dal mondo nel chiuso di dinamiche ecclesiali che mirano a prendersi cura dell’unica pecora rimasta nell’ovile, ignorando o facendo finta di non vedere le novantanove pecore vaganti per i pascoli; o peggio, dimenticando che il compito del lievito è quello di stare nella massa perché questa fermenti. La Chiesa, sacramento universale di salvezza, è chiamata a desiderare e favorire la liberazione, la vita, la felicità, la promozione della dignità di ogni uomo e donna sulla terra. Scrive Papa Francesco al n. 24 dell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium: La comunità evangelizzatrice si mette mediante opere e gesti nella vita quotidiana degli altri, accorcia le distanze, si abbassa fino all’umiliazione se è necessario, e assume la vita umana, toccando la carne sofferente di Cristo nel popolo. Gli evange13

«Strada vuol dire: mondo, territorio, spazio su cui muoversi e incontrarsi, geografia della vita e della cultura dei popoli e singoli. […] Strada vuol dire ferialità e secolarità, storia di un popolo, con tutta la provvisorietà e il dinamismo vitale che consente di credere al futuro, nonostante le lezioni del passato e i drammi del presente. Strada che rende nomadi, pellegrini dell’eterno nel tempo. Nomadi, affascinati dalla terra, dalla sua ospitalità, ma attratti sempre dal nuovo e dall’oltre» (A. NAPOLIONI, La strada dei giovani. Prospettive di pastorale giovanile, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 1994, p. 24).

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lizzatori hanno così “odore di pecore” e queste ascoltano la loro voce. Quindi, la comunità evangelizzatrice si dispone ad “accompagnare”. Accompagna l’umanità in tutti i suoi processi, per quanto duri e prolungati possano essere.

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È l’umano il terreno comune su cui impegnarsi perché il Regno venga, e questo significa assumere l’educazione come processo di crescita umana e quindi cristiana. L’evento dell’Incarnazione ci ha consegnato un Dio che non vuole più dirsi senza l’uomo e un uomo che ha incontrato il divino nella sua umanità; così l’educazione, mentre mira alla maturazione umana, apre la possibilità del divino in noi, e l’esperienza di fede, promuovendo la crescita cristiana, la radica in un percorso di piena umanizzazione. Solo così il Vangelo diventa buona notizia per l’uomo di oggi, perché lo tocca sul vivo della sua esistenza, illumina gli angoli oscuri, riscalda il cuore degli oppressi dalla guerra, dalla fame e dalla malattia, si manifesta come Parola che denuncia l’ingiustizia e annuncia/costruisce un mondo più a misura di uomo. Spesso si guarda con sospetto e pressappochismo quelle parrocchie che fanno la scelta di non proporre a tutti, indistintamente e da subito, il “classico” itinerario di fede, mentre favoriscono processi educativi che aiutino la persona a costruire/definire la propria identità nella scoperta/rispetto dell’alterità. Del resto, un cammino di crescita di fede che non abbia ricadute esistenziali e non si giochi facendo i conti con l’umana ferialità rischia di restare una proposta sterile e datata che non rivitalizza, anzi invecchia, le nostre comunità ecclesiali. L’esempio e la testimonianza di tanti (sacerdoti, missionari, laici, vescovi) che hanno scelto di servire le “povertà” degli uomini e delle donne di oggi, e che segnano il passo di una Chiesa impegnata socialmente nella liberazione per un futuro più umano possibile, sono il segno profetico di una pastorale in situazione e umanamente orientata, perché solo quando l’umanità è favorita verso la sua piena realizzazione si può dire salvata e quindi aperta alla divinità. Prendendo in prestito due espressioni di don Tonino Bello possiamo immaginare così il binomio educazione e fede: le nostre sacrestie più che di incenso dovrebbero recare l’odore acre della terra, e le nostre comunità prima di organizzare i pediluvi alla gente dovrebbero soffermarsi a lavarsi i piedi gli uni gli altri.


CONSIGLI DIOCESANI Sfide Stiamo parlando della necessità di una prassi rinnovata riguardo alla trasmissione della fede; il modello tradizionale è andato in crisi perché non si è data la giusta attenzione al cambio socio-culturale in atto, e ciò ha prodotto ora l’accusa al mondo contemporaneo senza valori dove non c’è più posto per Dio, ora il mea culpa dei cristiani non più capaci di annunciare il Vangelo e di attirare verso Dio le folle. In realtà è andato in crisi tutto il sistema sociale fondato sul principio di autorità e sul valore della tradizione come garanzia di norme, valori, costumi universalmente validi e perpetuanti di generazione in generazione. Si sono rotti gli equilibri che favorivano il passaggio di conoscenze, religiosità e comportamenti dal mondo degli adulti a quello dei più giovani; per cui oggi i giovani non conoscono la realtà per sentito dire, non credono in Dio secondo forme preconfezionate, non assumono comportamenti imposti dall’esterno, ma legano tutto alla loro esperienza diretta e alla loro coscienza libera e autonoma. Per questo, la pastorale deve cambiare strutture, strumenti, luoghi, metodi, per passare da una semplice trasmissione di saperi ad una proposta che chiama in causa la libera appropriazione/produzione del senso del credere e l’originale elaborazione delle forme espressive/esplicitanti del credere da parte del giovane. In questa direzione, occorre rimettere al centro i percorsi di fede per i preadolescenti, anche attraverso il metodo dell’oratorio, affinché la Cresima sia il sacramento dell’ingresso nella maturità cristiana e umana. Un auspicio che Padre Arcivescovo sottolinea più volte: L’oratorio dei ragazzi permetterà di creare una continuità educativa anche dopo la celebrazione del sacramento della cresima (Memoria, fedeltà, profezia, vol. I, p. 269). L’esperienza oratoriana e ludica rappresenta la più saggia risposta pastorale a quel bisogno di continuità, dopo il sacramento della Cresima, che è la vera crux dell’itinerario dell’iniziazione cristiana (Memoria, fedeltà, profezia, vol. I, p. 365).

Sarebbe interessante puntare su comunità mistagogiche, costruire/creare comunità, luogo di relazione, spazio/tempo di esperienze

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di fede, soggetto nell’educazione alla fede, e con una mentalità mistagogica. La mistagogia, infatti, è un essere iniziati al mistero, un entrare nell’esperienza di Dio attraverso la ri-appropriazione di simboli, riti, concetti, significati, integrati nel desiderio di vita e di felicità dell’uomo che, così, si scopre aperto a qualcosa di nuovo/oltre, al trascendente. La mistagogia, come metodo pastorale, assicura l’interazione fede-vita, perché offre la possibilità di leggere/interpretare la Parola a partire dalla realtà, e di illuminare quest’ultima con la Parola di Vita. A tale scopo richiamo l’indicazione pastorale da me offerta nel progetto pastorale diocesano sulla mistagogia, che vede non solo nella sintesi fede – celebrazione – vita un punto cardine, ma che suggerisce uno strumento di attuazione specifico: l’incontro comunitario tra i vari gruppi e tra giovani e adulti, senza il quale la prospettiva comunitaria può essere a rischio. Soprattutto per leggere i segni dei tempi nel territorio insieme, e, insieme, vivere i momenti centrali della vita parrocchiale (Memoria, fedeltà, profezia, vol. II, p. 525).

Non è primaria la conoscenza dell’armamentario dottrinale per accostarsi a Dio, bensì è l’esperienza/incontro di Dio (nei sacramenti come nella vita di ogni giorno) a favorire l’interiorizzazione del senso che ne deriva e una certa propensione a vedere i segni della sua Presenza nella storia umana. Come la porta delle nostre chiese unisce la strada al tempio e il tempio alla strada, così non è possibile separare la liturgia dalla vita e la vita dalla liturgia e dalla Parola di Dio (Memoria, fedeltà, profezia, vol.I, p. 82).

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La comunità, così, è chiamata a vivere la fede “sulla soglia”, dove s’incontrano esperienza di Dio e vita umana, per assumere le sfide dell’oggi e inventare insieme prassi alternative per uscire dall’ovile verso il grande pascolo che è il mondo. Padre Arcivescovo scrive: Le giovani generazioni sono la vera ricchezza della comunità cristiana. Per questo raccomando che si instauri un dialogo sincero ed appassionato tra giovani ed adulti e che l’incontro settimanale della comunità sia un momento privilegiato per


CONSIGLI DIOCESANI uno scambio tra le diverse generazioni. Accanto a questo comune momento formativo, è opportuno che si programmi un cammino di catechesi settimanale specifica per i giovani. Lo richiede l’età, il particolare contesto culturale e sociale del nostro tempo (Memoria, fedeltà, profezia, vol. I, p. 81).

In questo atteggiamento di ascolto reciproco intergenerazionale, e allargato, alla luce della Parola di Dio e della parola dell’uomo, è possibile, nell’ottica della sperimentazione, trovare nuovi modi per essere e dirsi Chiesa, nuovi stili liturgici, di comunione, di carità da perseguire, nuovi sistemi di significati che siano in grado di dialogare con la cultura in maniera simpatica, che consentano ai giovani di maturare le scelte fondamentali per la loro vita. Lo stile narrativo utilizzato nella catechesi fa in modo che l’annuncio sia rafforzato dalla testimonianza di una storia, quella personale, salvata dalla storia di Gesù, e questo diventa Vangelo, bella notizia che salva qui e ora. Lo scambio tra le generazioni, come ho detto durante l’incontro con i giovani e gli adulti, parte dall’impegno di trasmettere la fede come “narrazione” della propria esperienza e della propria vita. Dio solo sa quanto di questo abbia bisogno la nostra società, nella quale la disattenzione ai giovani e alle nuove generazioni sta progressivamente provocando le reazioni che sono sotto gli occhi di tutti. La parrocchia diventa così “segno” nel mondo di superamento di quella incomunicabilità e distacco generazionale presenti in tante famiglie e nella nostra società. In parrocchia ci si sente una sola famiglia, se ci si conosce sempre di più e si prova la gioia di collaborare nella vita e nella missione della comunità (Memoria, fedeltà, profezia, vol. II, p. 512).

La comunità mistagogica conduce, apre la strada verso Dio, passando e soffermandosi per le vie della terra, bonificandone le paludi, raddrizzando i sentieri scoscesi, colmando le valli, preparando un cammino sicuro dove porre la dimora dell’uomo e la Tenda dell’Incontro14. 14

«Particolarmente importanti risultano per i giovani le esperienze di condivisione nei

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La crisi nella trasmissione-comunicazione della fede ai giovani spinge ad un ripensamento teologico per una nuova definizione dell’identità cristiana e alla centralità del fatto educativo nella pastorale giovanile. Innanzitutto, affinché il credere sia ragionevole e la Parola sdi Dio risulti credibile per il giovane di oggi, è necessario purificare un’immagine di Dio troppo lontana. Ci si deve fermare, finalmente, davanti al Volto di Dio: Gesù di Nazaret. Qui vediamo Dio, un Dio che non si nasconde, ma si mostra disponibile ai nostri sguardi, che non si vanta della sua onnipotenza ma predilige la sua Presenza in mezzo a noi, che non marca la differenza con la sua divinità perché è uno di noi, è il Dio-uomo, un tutt’uno con la nostra umanità grazie al suo essere divino. Il punto è questo: prima che un Dio per noi Egli è l’Emanuele, il Dio con noi, coesistenziale con l’oggi dell’uomo, fragile, debole nel suo amore totale e vero per gli uomini e per questo schierato dalla nostra parte, in modo che tutto, anche la sofferenza e il dolore, il buio e l’insicurezza, venga visitato e abitato e quindi liberato da Lui. Quando l’uomo si apre all’Oltre da sé, la sua azione diventa l’azione di Dio, prolunga l’opera creatrice di Dio, si vede inserito in un piano di salvezza che è cominciato prima di lui e proseguirà dopo, e nell’oggi della storia scopre di essere protagonista di atti creatori, generatori di vita, che contribuiscono a realizzare il sogno di una terra abitabile, concretizzazione del Paradiso. L’Incarnazione sancisce l’incontro tra la sete d’infinito dell’uomo e la nostalgia di umanità di Dio, e riconcilia l’uomo con la sua umanità, luogo e volto stesso della divinità. L’uomo si sente preso sul serio circa la sua umanità e si rende responsabile nelle sue scelte di portare la creazione verso il suo punto risolutore. Il Salmo 8 è il canto che il credente rivolge a Dio perché si sente depositario della sua fiducia, avverte di essere lui la Speranza di Dio, con-creatore per mandato divino. Don Tonino Bello commentandolo, così scriveva:

gruppi parrocchiali, nelle associazioni e nei movimenti, nel volontariato, nel servizio in ambito sociale e nei territori di missione. In esse imparano a stimarsi non solo per quello che fanno, ma soprattutto per quello che sono. Spesso tali esperienze si rivelano decisive per l’elaborazione del proprio orientamento vocazionale, così da poter rispondere con coraggio e fiducia alle chiamate esigenti dell’esistenza cristiana: il matrimonio e la famiglia, il sacerdozio ministeriale, le varie forme di consacrazione, la missione ad gentes, l’impegno nella professione, nella cultura e nella politica» (CEI, Educare alla vita buona del Vangelo. Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il decennio 2010-2020, cit., n. 32, p. 55).


CONSIGLI DIOCESANI Gli hai dato potere sulle opere delle tue mani. Tra le verità più splendide della fede cristiana, penso che emerga proprio questa: il nostro Dio non soffre di gelosia. Non considera l’uomo come suo rivale. Ma come partner che collabora con lui nel cantiere sempre aperto della creazione. Come socio, cioè, di pari dignità, nella sua cooperativa di lavoro. Non si macera nel timore che l’uomo un giorno o l’altro debba trafugargli i brevetti delle sue invenzioni. Ma gli concede i poteri delegati su tutte le ricchezze dell’universo. Non nasconde i suoi segreti nella cassaforte del mistero. Ma li squaderna sotto gli occhi dell’uomo. Perché non ne teme la concorrenza. Anzi, ne sollecita la collaborazione. Con queste parole bibliche veniamo messi a conoscenza dei nostri diritti regali su tutto il creato, da custodire e portare a compiutezza, non da manipolare a piacimento combinandolo e scombinandolo secondo le lussurie dei nostri capricci. Sul manufatto di Dio, non su tavolozze indistinte; su quadri d’autore, su capolavori con tanto di firma, che noi abbiamo l’obbligo di incorniciare e di esporre, non di imbrattare. Potere, non diritto di abuso; autorità, non spadroneggiamento sulle cose. Dio ha costituito l’uomo principe, ministro dell’ordine a servizio della vita, non anarchico distruggitore del cosmo. Gli ha affidato la tela dell’universo da lui costruita con paziente tessitura, non perché la sfilacciasse, ma perché continuasse a ricamarla con tutta la sapienza del suo genio.

Quale cristianesimo oggi? Mi sembra di capire che non si possa più insistere troppo sulla verità in sé, assoluta, come piovesse dall’alto sulle nostre teste, neutra e asettica; piuttosto, per non cadere nel relativismo, bisogna ammettere che la verità è storica, si manifesta nel suo essere relativa agli schemi interpretativi del contesto linguistico e socio-culturale. In teologia si tratterà di passare da una “ragione speculativa” che propone un sapere sistematico ed esaustivo delle verità di fede comprovate dalla Scrittura e dalla Tradizione, ad una “ragione ermeneutica” che, assumendo la normatività del messaggio cristiano nell’esperien-

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za fontale di Gesù di Nazareth, la propone come esperienza di salvezza per l’oggi, ripensandola nelle forme e strutture di significato che appartengono all’attualità della vita. È il modo più bello per rendere viva la tradizione, che rimane trasmissione del depositum fidei ma accetta la sfida di incarnarsi, reinterpretando l’Evento Gesù in un’esperienza di fede che si fa testimonianza, messaggio. La pastorale giovanile assume l’educazione come percorso privilegiato per la maturità umana e cristiana in modo da poter accogliere il Sì di Dio che si fa presenza d’amore nel cuore dei giovani, costruendo insieme i sì quotidiani alle domande di vita. E questa, oggi, è un’urgenza che non può lasciarci indifferenti. Per questo, si tratta, di purificare e convertire l’espressione della fede, il modo di dire e vivere la fede. Un Dio che ci ha creati per amore, che è tutto dalla nostra parte, ci fa dono della sua vita e ci vuole nella libertà, apre davanti a noi la possibilità di vivere nell’amore umanizzante oppure no. La crescita nella fede consiste nel far sviluppare e fruttificare il dono di grazia che è già nel cuore di ciascuno; è liberare il Soffio di Dio perché fruttifichi in gesti concreti di umanità, verso la piena realizzazione di sé. Questo Dio, oggi, sarebbe più credibile da parte dei giovani, in quanto si trova “immischiato” nel desiderio comune di emergere dall’anonimato e di vedere espresse le immense potenzialità del cuore umano, in vista del bene della società! Ci troviamo, così, nell’ottica di un cristianesimo vocazionale, dove Dio pro-voca con l’Amore gratuito e incondizionato e si fa compagno della vita, delle gioie e speranze, tristezze e angosce degli uomini e delle donne.

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L’attenzione ai ragazzi, agli adolescenti e ai giovani richiede disponibilità, generosità e formazione da parte degli educatori. Si tratta di prendere coscienza delle evoluzioni sociali a cui i ragazzi sono più facilmente esposti: la mancanza di valori porta costoro ad assenza di interessi e a un conseguente disorientamento, basta pensare al modo con cui impegnano il tempo libero. Bene hanno visto i vescovi italiani nel proporre l’impegno educativo quale progetto dei prossimi anni. Per le nostre parrocchie si tratta di ripensare quelle forme e quegli spazi che diano vita alla collaudata esperienza oratoriana o di ACR, dove nel gioco ed in altre espressioni di aggregazione si offrono ai ragazzi motivi di formazione (Memoria, fedeltà, profezia, vol.I1, p. 400).


CONSIGLI DIOCESANI Il cristianesimo deve far risaltare il Vangelo come evento liberatore degli uomini e delle donne di oggi. È un impegno ad assumere seriamente il compito della contestualizzazione della fede, di una fede che, secondo il criterio dell’Incarnazione, decide di dirsi con il linguaggio umano. Ma se il cristianesimo dovesse, con insistenza, continuare a praticare solo i sentieri teologico-pastorali dell’insegnamento, della dottrina, del Totalmente Altro, del sacrificio e della penitenza, del dover essere, a discapito di una Parola fatta carne nella storia quotidiana, dell’incontro, della ricerca della verità, dell’amore incondizionato, della vita prima di tutto e per tutti, si finirebbe per decretare, con l’inaccessibilità di annunci eterei e sovratemporali, il silenzio impassibile imposto a Dio15.

L’educazione al centro C’è bisogno, quindi, che il giovane scopra di essere abitato da Dio e che la storia di Dio e quella dell’uomo non procedono per vie parallele, ma si intrecciano come i fili formano la trama di un unico ordito. L’educazione alla fede punta e fa riconoscere come, nell’ottica dell’Incarnazione, solo ciò che è veramente umano porta in sé la traccia del divino, per cui è possibile nei fatti/eventi della vita riconoscere la presenza efficace di Dio e sentirsi parte di un progetto più grande che si realizza nei piccoli oggi della storia dove l’uomo interviene con il suo agire autentico. L’uomo che vive nel segno di una umanità autentica la giustizia, la pace, la verità, l’amore, vive già

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«Alla fede vissuta e pensata dei cristiani è chiesta, allora, l’audacia di idee e di gesti significativi ed inequivocabili di carità e di giustizia nella sequela dell’Abbandonato della Croce: il cristianesimo del terzo millennio o sarà più credibile nella carità e nel servizio che esse ispira, o avrà ben poco ascolto nel cuore dei naufraghi del secolo breve, che restano alla ricerca del senso perduto, capace di dare sapore alla vita e alla storia, come solo Cristo nel suo crocifisso amore ha saputo fare» (B. FORTE, Dove va il cristianesimo?, Queriniana, Brescia 20012, p. 155).

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l’intimità con Dio. L’educazione, allora, favorisce l’esplicitazione riflessa di tale rapporto mostrando come quelle realtà pienamente umane, in Gesù hanno il Volto di Dio, sono da Lui volute per la realizzazione della persona e della famiglia umana secondo il suo originale disegno creatore. L’educazione prevede competenza pedagogica per adattare l’itinerario di maturità umana/cristiana ai singoli, rispettandone i periodi gravidi di attese, accompagnando i travagli e le incertezze del parto, condividendo la gioia per il Dio che nasce nella vita di ognuno, secondo tempi che non possono essere previsti a tavolino. Se i progetti educativi sono essenziali, questi devono avere una certa flessibilità e imprevedibilità perché si possano davvero incarnare e riempire di senso il qui e ora del giovane. Per questo non è primario calare dall’alto la realtà di Dio con un annuncio che pretenda da subito una esplicita e convinta risposta di fede. È importante, invece, ricondurre il giovane ai suoi gesti di autentica umanità, ai suoi sforzi quotidiani di liberazione, alla sua sete di giustizia, per far riconoscere in questi eventi significativi di crescita il proprio “Oreb” o il proprio “Natale”, la compagnia di Dio che trasforma la storia in storia di salvezza, di vita e di speranza. Ogni processo educativo mette al centro la persona e la possibilità di rispondere all’universo degli appelli. A tal proposito, così si esprime Viktor Frankl: L’educazione dovrebbe mettere in moto nei giovani il processo di scoperta del senso. Deve essere nell’interesse dell’educazione non mediare soltanto il sapere, ma rendere più acuta la coscienza dei giovani, perché abbiano l’orecchio abbastanza fino da percepire tutte le possibilità di senso e le richieste insite in ogni singola situazione. A maggior ragione, in un’epoca in cui sembra che per molti i Dieci Comandamenti abbiano perso la loro validità, l’essere umano deve essere messo in grado di percepire i diecimila comandamenti che si sprigionano nelle diecimila situazioni con le quali viene confrontato. Non è l’educazione qui che può fornire un senso. In effetti, non si può dare un senso, perché il senso va trovato16.

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V. E. FRANKL-P. LAPIDE, op. cit., pp. 35-36.


CONSIGLI DIOCESANI La comunità educante/educativa è chiamata a cogliere le sfide del presente per scorgere i segni di anticreazione e i germi di creazione da portare a compiutezza. Scrive Padre Arcivescovo: L’incontro con i giovanissimi e i giovani mi ha permesso di cogliere quell’ansia educativa nei confronti di coloro che oggi sembrano meno tutelati in una società di adulti eccessivamente autoreferenziale. Non abbiate remore nel dedicare, in particolare ai ragazzi, agli adolescenti e ai giovani, le migliori energie educative della parrocchia. Guardandovi ho goduto della visione di una Chiesa di popolo che vede nei piccoli, negli adulti, nei giovani, nelle famiglie, negli anziani, nei malati, nei vicini e nei lontani un’immagine del popolo di Dio in cammino (esodo) verso la gioia del Risorto (Memoria, fedeltà, profezia, vol. I, p. 361).

Così anche il giovane potrà guardare con speranza al proprio futuro se vivrà in un ambiente educativo dove gli educatori non cercano di dare risposte ai problemi del vivere quotidiano, ma insieme ci si educa a interrogare il vissuto esistenziale personale e collettivo perché lanci gli indicatori per una prassi di vita più umana e rispondente al Soffio che respira in noi. La fede non è un processo che affronta l’uomo dall’esterno, dal di sopra, o dal passato. È un’esperienza che parte e cammina con l’io, che si può provocare solo quando si educa e si accompagna il giovane nell’esplorazione del vissuto e nella ricerca delle tracce di ulteriorità, seminate nel suo campo senza che egli lo sapesse, richiamo al progetto personale di maturità nella responsabilità dei propri passi17.

17 Il giovane «percepisce un presagio ad una pienezza attesa che non gli appartiene e che tuttavia lo sollecita: prende coscienza che la sua vita è più grande delle condizioni concrete in cui si va impegnando e spendendo: è fermentata da una nostalgia sottile e ineludibile; sembra sollecitata da un richiamo straordinariamente suadente e persuasivo» (Z. TRENTI, La fede dei giovani. Linee di un progetto di maturazione alla fede dei giovani, Elledici, Leumann, Torino 2003, p. 65).

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Quale Chiesa, oggi?

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Nella pastorale, oggi, è quanto mai urgente definire il rapporto tra la Chiesa e il mondo in una tensione dialettica che evita di escludersi o includersi a vicenda e favorisce il dialogo; si realizza, così, una sorta di reciprocità empatica e simpatica nella linea dell’autocomunicazione di Dio all’uomo. Ed è qui che si delineano due logiche di tendenza. Da una parte, la Chiesa sente il bisogno di riaffermare la sua identità in maniera forte (diremo fondamentalista?) e differente rispetto a un mondo che si è, pian piano, ripreso i propri spazi, il proprio tempo, la propria indipendenza fino a proporre agenzie educative, centri di benessere psico-fisici, vie di salvezza e felicità alternative alla Chiesa stessa. C’è il rischio di vedere “l’umano”, il mondo, la società, la cultura, la scienza, come concorrente da cui prendere le distanze. Un certo modo di presentare la fede disincarnato, quasi refrattario verso la realtà concreta, sublime, sicuro, immune dal contagio pericoloso con la storia, certamente fa breccia e trova consensi fra coloro, anche giovani, che invece di affrontare e risolvere i problemi preferiscono assumere “la droga della religione” per trovarsi su un piano altro/alto da quello reale. Dall’altra parte, c’è una Chiesa che vive una dinamica trans-ecclesiale in una logica che la porta a cercare il centro fuori da sé, nel mondo, nell’umano, nella terra calpestata e abitata dagli uomini e dalle donne, che non teme di confrontarsi e arricchirsi nell’incontro con la verità dell’altro, anzi, vive in mezzo, assumendo come propri, i dolori e le angosce, le gioie e le speranze dell’oggi della storia. È una Chiesa incentrata nell’umanità e nel desiderio di vita che arde nel cuore di tutti, perciò vive la relazione con l’alterità non in termini di estraneità e reciprocità escludente, ma, nel movimento di volti rivolti, percorrendo le strade del mondo nella compagnia dell’uomo, collaborando a trasformarle in vie di liberazione, di giustizia e di pace. Certamente è una Chiesa che sceglie di stare dalla parte dell’uomo per stare con il Dio-uomo, per essere più “popolare” e meno istituzionale.


CONSIGLI DIOCESANI Una nuova spiritualità L’integrazione fede-vita passa attraverso l’etica della contemplazione. L’essere contemplativi nell’azione “risolve” l’essere umano orientandolo sulle due direttrici della terra e del cielo che fanno dell’esistenza una strada aperta all’alterità. Educare il giovane ad una vita estatica nel dinamismo che lo trascina fuori da sé significa condurlo a sperimentare le alte vette dell’estasi mistica del mistero conciliandole con le strade impolverate dell’estasi sociale della realtà. È il criterio mistico ed etico dell’umano autentico, degli uomini e delle donne che rinunciano a chiudersi dentro una visione scontata e onnicomprensiva di Dio e del mondo e decidono di aprire gli occhi per entrare, spogli di sé, nella realtà divino-umana dell’altro per cogliere nel “tu di fronte a me” i tratti di un volto che è amore e domanda a cui rispondere con l’amore. Nell’icona evangelica della trasfigurazione (cfr Lc 9, 28-36), se Gesù non permette a Pietro di porre le tre tende sul monte Tabor è perché il suo nei nostri confronti non è un rapimento mistico che ci risparmia in anticipo le beghe e le sofferenze del viaggio, ma è un entrare nella realtà affettiva dell’Amore di Dio, direi un coinvolgimento mistico con il suo Volto che fa parte del nostro bagaglio da pellegrini e che ci permette di piantare le tende dell’Incontro e del dialogo lungo il cammino. Così, la Gerusalemme celeste, che contempliamo trasfigurata nel mistero e anticipiamo nella assemblea eucaristica radunata attorno all’altare, chiede il nostro impegno per trasformare la Gerusalemme terrena, la città dei volti concreti, in una convivenza più pacifica e più solidale con i poveri. Occorre, perciò, un confronto serio e radicale con la realtà, un ri-dimensionare, cioè dare una dimensione nuova, in senso umanitario al cristianesimo, per assumere l’umano non semplicemente come un dato ma in quanto luogo che manifesta e rivela il volto autentico del Dio incarnato, del Dio consegnatosi nell’umano. Ciò che permette di stare di fronte alla realtà, di stare nella storia da uomini e donne, è la spiritualità, il vivere nello spirito delle cose, andando oltre la pura materia per dare il nome giusto ad ogni evento e scoprirne la vera essenza nella rivelazione

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del senso per la nostra esistenza. Il principio della realtà va colorato con le sfumature del sogno e dei desideri, il futuro e la speranza sono sostenute nella fatica quotidiana di far fronte agli insuccessi e all’esperienza del dolore. Una spiritualità umana non potrà prescindere dalla prospettiva di coloro che non hanno voce e che vivono ai margini della società dell’opulenza. Se l’80% della popolazione mondiale vive alle soglie della povertà, la società non può crescere e svilupparsi secondo criteri umani. Per progettare un futuro sostenibile per tutti bisogna partire da qui, da una vita che chiede giustizia, pace, equa distribuzione delle risorse, rispetto per la dignità delle persone. Solo assumendo come dato lo stato diffuso di negazione di umanità in cui vive la maggior parte della popolazione mondiale si potrà avviare la costruzione di una nuova umanità. I giovani, per la loro spiccata sensibilità solidale e sociale, sono emotivamente vicini alle situazioni di povertà e disagio della città, per questo hanno energie da “spendere” e investire per vivere da protagonisti una storia da sentire “nostra”. Essere dentro una storia che sia vocazione, vuol dire riconoscere in Gesù di Nazaret il determinante, l’uomo nuovo, venuto a portare con parole e fatti la vita piena e abbondante, il Regno, per tutti, soprattutto per coloro che più di altri sono a corto di vita e di speranza. È grazie al suo rapporto intimo, unico e originale con il Padre che Gesù è per noi il Volto/Parola di Dio e ci ha rivelato il disegno trinitario di trasformare dei popoli in un’unica grande famiglia dove ci si comunica la vita. In Gesù Dio ha mostrato che non vuole essere neutrale e ha fatto la sua scelta preferenziale, anche se non escludente per gli altri, per i poveri, gli emarginati, i derelitti della storia, i buoni a nulla, i peccatori; con essi, i piccoli della terra, Egli vuole rinnovare la faccia della terra. In questa missione di salvezza, di liberazione, di promozione umana, Gesù ha giocato tutto se stesso perché si è appassionato all’umano fino all’amore incondizionato, gratuito, fedele del dono della sua vita, fonte viva di forza e coraggio affinché tutti si possa continuare nella lotta contro i nuclei di morte e di miseria, le strutture di peccato e di ingiustizia. Sarebbe interessante proporre ai giovani itinerari di educazione alla fede per vivere la loro spiritualità da discepoli di Gesù tra le due domande fondamentali: Chi sono io? Che cosa devo fare? Se il Dio che annunciamo loro è il Dio di Gesù di Nazaret che si è fatto i fatti


CONSIGLI DIOCESANI nostri, si è interessato alla nostra vita tanto da volerla portare a pienezza, la nostra azione educativa non mirerà a calare dall’alto la realtà di Dio come se fosse qualcosa di sovrapposta o giustapposta alla realtà dell’uomo. Il punto di partenza è la scoperta da parte del giovane della propria identità per comprendere meglio il suo posto nella società e nella Chiesa. Quando, nel Vangelo secondo Giovanni, i primi due discepoli si avvicinano a Gesù, si sentono rivolgere la domanda fondamentale: “Che cercate?”. È l’interrogativo che mette in moto nei due giovani la ricerca delle domande esistenziali, di senso, vitali. Inizia un cammino alla scoperta della loro identità, dei loro desideri/sogni, della loro visione della vita. Sono condotti a mettersi a nudo, a rendersi conto dove sta andando la loro vita, quale situazione stanno abitando, quale esodo sono chiamati a intraprendere. “Maestro, dove abiti?”. Sembrerà strano, ma in questa domanda c’è la risposta alla domanda sull’identità dei due giovani: hanno capito di voler essere discepoli, che la loro casa sarà la casa di Gesù, la loro strada la strada di Gesù, il riferimento vitale sarà il “Tu” di Gesù. “Venite e vedrete”, non è una risposta, ma l’invito a un cammino; lo scopriranno pian piano nella misura in cui si lasceranno appassionare dal Vangelo e si lasceranno condurre dall’amore liberante verso chi non trova il senso del vivere e attende la Parola che salva. La pastorale giovanile vuole, sull’esempio di Gesù, non dare risposte ma educare le domande, non cerca di sacralizzare la vita del giovane ma di far toccare l’umanità della sua esistenza, non propone un Dio che giustifica tutto e ha le ricette per tutti ma si preoccupa che il tocco di Dio sia percepito nell’esperienza umana; non usa grandi discorsi per parlare di Dio ma è convinta che il modo di Dio di rivelarsi sta nel modo umano di scoprirlo e accoglierlo. Nell’uo-mo Dio ha fatto comunione con l’umanità, nell’uomo il cielo si è fermato sulla terra, nell’uomo la storia di salvezza è diventata sentiero per raggiungere tutti dovunque, nell’uomo non c’è più né sacro né profano ma un progetto di vita abbondante in cammino verso il compimento: l’uomo in Dio e Dio nell’uomo.

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Spiritualità della strada La spiritualità della strada traduce molto bene la relazione educativa, come il viandante che si affianca ai due discepoli in cammino verso Emmaus. Un cammino che salva, in un rapporto dinamico, la meta e la strada, il progetto e le tappe che via via lo rendono visibile e possibile. Ci si mette per strada […] Perché si esce di casa? Perché si affronta l’ignoto e si abbandona una sicurezza? Perché ci si mette in una situazione precaria? […] C’è un richiamo, un invito: qualcuno o qualcosa ci ha fatto venire la voglia di uscire e di metterci in cammino verso nuovi orizzonti. C’è una intuizione, un desiderio, un sogno: c’è quel fascino dell’ignoto che batte al nostro cuore e lo seduce. […] Se senti una voce straordinaria, se vedi un fatto nuovo, non puoi restare come prima, non puoi fingere di ignorare ma devi partire e andare a vedere18.

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Viaggiare significa innamorarsi prima di vedere, di sentire, di toccare; è un’esperienza di intimità perché il “tu” desiderato vive già dentro l’io, anticipandone l’incontro e dando ragione e sostegno a ogni sforzo e rischio che si farà per raggiungerlo. È anche un’esperienza di ulteriorità, in quanto non si è in presenza di un oggetto dei desideri da possedere a tutti i costi una volta per tutte, ma di un “oltre me” che si incontra pienamente solo scoprendone i tratti nello svolgersi dei passi lungo la strada. La strada (la vita) è un mistero tutto da scoprire mentre avviene nella quotidianità dell’andare; un mistero, non un caso; un fine da cercare e interpretare esistenzialmente, non un destino da accettare incondizionatamente. Si cammina per conoscere e per conoscersi, per incontrare e per ritrovare se stessi, per consegnarsi al novum e per riconsegnarsi al proprium in modo nuovo. Viaggiare è dare modo alla libertà di non sfrenarsi mortalmente vagando nel nulla, ma di indirizzarsi verso un senso finale e vitale. Aiuta a mettere radici nella realtà per non vivere da comparse o in luoghi fantastici; cerca vie di sviluppo sostenibile con le possibilità di vita dell’ambiente circostante. Invita al gusto, alla contemplazione, alla bellezza, al coinvolgimento appassionato, propri di chi è capace di camminare senza passare

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G. BASADONNA, Spiritualità della strada, edizioni scout agesci / fiordaliso, Roma 20074, pp. 50-51.


CONSIGLI DIOCESANI oltre, fermando dentro di sé, come un germe pronto a crescere, l’immagine, il volto, il paesaggio, l’amore. Essere per strada: per vivere la strada come dono, per lasciarsi segnare da essa, per vivere da estroversi e pronti al dialogo, per innamorarsi dell’orizzonte come meta e centro esistenziale, per inventare nuovi percorsi e ritrovare nuovi mondi, cieli nuovi e terre nuove traboccanti di giustizia. La strada non è mai posseduta, mai finita, sempre è “da venire”19. Un vecchio pellegrino percorreva nel cuore dell’inverno il cammino che porta alle montagne dell’Himalaya, quando cominciò a piovere. Il custode della locanda gli disse: «Come farai, buon uomo, ad arrivare fin lassù con questo tempaccio?». Il vecchio rispose allegramente: «Il mio cuore è già arrivato, seguirlo è facile per l’altra parte di me»20.

Un nuovo inizio: Pentecoste Mi piace pensare alla Pentecoste come alla Festa della Chiesa che sa pensarsi giovane e dei giovani che sanno pensarsi Chiesa. A Pentecoste prende avvio la più antica sperimentazione che sia mai avvenuta nella storia e che continua ancora oggi: la Chiesa. Non una struttura, non un’organizzazione, ma una costruzione, quindi un cantiere, con tanto di cartello “lavori in corso” perennemente esposto. Sì, perché la Chiesa si sperimenta e sperimenta nuovi linguaggi, nuove forme per rendere il Vangelo attuale e non formale e formalizzato. Una Chiesa che punta sulla fragilità dell’amore, e quindi sulla forza dello Spirito, che compie atti creativi,

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«Il cristiano non è un nomade, ma un pellegrino. Non è angosciato dall’incertezza del futuro, ma è animato dalla speranza del futuro, fondata sulla Parola. […] L’uomo globale è un nomade che guarda indietro con nostalgia. L’uomo cristiano, invece, è un pellegrino che guarda in avanti con speranza» (I. SANNA, Nomadi o pellegrini? Sentieri di speranza, Editrice AVE, Roma 2005, pp. 211-212). 20 A. DE MELLO, La preghiera della rana. Saggezza popolare dell’Oriente, Ed. Paoline, Milano 1989, vol. I, p. 302.

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lasciandosi interrogare dal presente, vivendo con libertà il riferimento al passato, intuendo con gioia il passo del futuro. Gli apostoli, a partire dalla Pentecoste, si sono dispersi per diffondere il Vangelo sulla terra. E mi viene in mente l’anticipo della Pentecoste che sta nel libro del Genesi in quella dispersione degli uomini dopo il tentativo fallito di erigere la Torre a Babele. Una chiamata di Dio a vivere la terra e sulla terra non cercando di raggiungere il cielo, ma raggiungendo l’umanità, ogni uomo e donna, perché il Regno sia qui e ora. Solo disperdendosi ci si ritrova fuori da sé, in una prossimità che mette al riparo, anzi in uscita, da qualsiasi ambito e situazione chiusa che dà la parvenza di una comunità, ma in realtà è solo un rifugio per il bisogno di sicurezza. La Pentecoste ci dice che non ci sono approdi sicuri, ma soltanto la certezza del cammino sotto l’impeto del Soffio che non smette mai di respirare nell’umano. Animo, giovani! Coraggio, questa è una Chiesa per giovani!

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Noi della pastorale giovanile non possiamo non dirci migranti, in qualche modo. Abbiamo lasciato un luogo. Forse ogni tanto dobbiamo lasciare qualcosa. Comunque andiamo verso qualcosa (abbiamo visto che se aspettiamo non succede niente). Ci mettiamo in viaggio, a volte anche da posti che non conosciamo. A volte qualcuno resta accanto al nostro filo. Altre volte sono altri che hanno dei fili migliori dei nostri. Non sempre la cosa migliore è che qualcuno resti attaccato al filo. Possiamo lasciarlo andare e sentire che abbiamo fatto la nostra parte. Capita di avere dei compagni di viaggio che vanno per i fatti loro. Che si interessano dei giovani a modo loro. Che qualcuno si senta in prima classe e qualcuno in terza classe. Magari nelle difficoltà si impara anche a fare le cose insieme. Magari le difficoltà neanche le avevamo messe in conto. E presi dal viaggio guardiamo indietro e non si vede più niente, nemmeno il faro. E guardiamo avanti e non si vede la linea dell’orizzonte. In certi momenti non sappiamo a che punto siamo. Forse non sta succedendo nulla.


CONSIGLI DIOCESANI E vorremmo tornare indietro, dove si stava un po’ così ma con qualche punto fermo. Poi ogni tanto si arriva da qualche parte. Ci si sente stranieri, all’inizio fino a quando piano piano ognuno mette in cantiere la sua storia. Ed è già il momento di un altro viaggio, di altri fili. don Michele Birardi direttore dell’Ufficio Giovani

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“Giornata di discernimento e sinodalità” 2 giugno 2016

Tracce per il laboratorio Allegato 2 Giovani e comunità mistagogiche

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Il laboratorio intende sviluppare una riflessione sull’identità pastorale delle nostre comunità cristiane in rapporto ai giovani, chiedendosi se, legando insieme “Parola - Liturgia - Vita”, riescono a rendere i giovani capaci di “incarnare” nella vita quotidiana la bella notizia del Vangelo. Dio chiama a vivere la terra e sulla terra non cercando di raggiungere il cielo, ma raggiungendo l’umanità, ogni uomo e donna, perché il Regno sia qui e ora. Si tratta di capire se la Chiesa sa pensarsi giovane e se i giovani sanno pensarsi Chiesa. Per questo bisognerebbe assumere il metodo della sperimentazione, riguardo alla comunità ecclesiale: non una struttura, non un’organizzazione, ma una costruzione, quindi un cantiere, con tanto di cartello “lavori in corso” perennemente esposto. Le strutture e gli strumenti pastorali (tempi, spazi, forme) sono in funzione dei giovani e del loro vissuto? La pastorale giovanile è affare di pochi “eletti” o è premura dell’intera comunità, “soggetto educante”? Le nostre comunità promuovono percorsi formativi adeguati ai giovani? Gli adulti sono aiutati a maturare la loro responsabilità educativa con la testimonianza e la disponibilità a “perdere tempo” con i giovani? Le nostre comunità sono disposte a valorizzare il protagonismo giovanile, anche nei luoghi di rappresentanza e partecipazione alla vita ecclesiale?


CONSIGLI DIOCESANI

Allegato 3 Giovani e linguaggi Il laboratorio intende sviluppare una riflessione sulla capacità delle nostre comunità di sintonizzarsi con i linguaggi del mondo giovanile, a cominciare dall’ascolto e dalla capacità di intercettare le loro domande, soprattutto di quanti sono lontani dai circuiti parrocchiali e associativi. La Chiesa, infatti, si impegna a sperimentare nuovi linguaggi, nuove forme per rendere il Vangelo attuale e non formale e formalizzato. Si ha bisogno di comunità, dunque, che puntino sulla fragilità dell’amore, e quindi sulla forza dello Spirito; che compiano atti creativi, lasciandosi interrogare dal presente, vivendo con libertà il riferimento al passato, intuendo con gioia il passo del futuro. Accanto ai percorsi consueti di “evangelizzazione”, le comunità stanno maturando l’esigenza di mettere in atto processi di primo e secondo annuncio? I linguaggi attingono alle risorse dell’arte e della tecnologia? È possibile ripensare l’educazione alla fede dei giovani non in senso etico o appiattito dai/sui contenuti, ma centrato sull’appassionante relazione con Gesù? Non per “se-durre”, ma per “con-durre” a Lui? Le nostre comunità, e in particolare gli “incontri di comunità”, sono luoghi di “dialogo intergenerazionale” o la riproposizione, tutt’altro che aggiornata, di ambienti in cui prevale il “monologo”, l’indottrinamento o il pensiero di pochi?

Allegato 4 Generazione Giovani Il laboratorio intende interrogarsi su quali scelte ha fatto la comunità per narrare e trasmettere la fede alle giovani generazioni «dentro una Chiesa e una città reali e complesse» (Diotallevi). Il cammino dei giovani è alimentato dalla forza dei sogni; è tracciato da ferite; è accompagnato dall’amore, che si prende cura della fragilità, si fa

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carico delle attese di felicità, rimette in piedi la promessa del futuro. La comunità è chiamata ad accogliere la sfida educativa di incrociare la strada dei giovani, anzi i “giovani-in-cammino”, per dare loro ragioni di vita e di speranza, con i segni di una presenza che non si attarda nei giudizi, ma che accompagna. La domanda di senso dei giovani si situa nella ricerca del primato da dare alla vita, della prima linea da raggiungere per essere davvero felici, del desiderio di non sentirsi estranei alla storia, ma protagonisti di una causa e casa comune. È la domanda dell’amore; un amore gratuito, incondizionato, per sempre. La comunità cristiana ha il compito di educare alla risposta, per far maturare nei giovani la responsabilità nei confronti di un dono; il compito per un futuro che non è già scritto, ma è nelle loro possibilità e si presenta a loro come una direzione, un orientamento, un orizzonte, verso cui decidersi e muoversi per impostare la propria vita su rotte evangeliche, verso la meta della realizzazione personale. L’attenzione alla dimensione “vocazionale della vita”, in tutte le sue fasi e nella pluralità dei contesti, è caratterizzante la vita delle comunità? I giovani e gli stessi adulti sono aiutati a interrogarsi sul “senso” e “l’orientamento” da dare alla propria vita? Le nostre comunità sanno pensare e realizzare proposte formative che aiutino i giovani a “e-ducere”, cioè “tirar fuori” quanto di meglio hanno da offrire alla comunità e al mondo, in termini di vocazione alla vita, alla famiglia, all’impegno socio-politico, alla vita consacrata?

Metodologia 542

Impostiamo la riflessione nei gruppi distinguendo due momenti, al mattino e nel pomeriggio: – sessione mattutina: narriamo la vita La riflessione deve avere un carattere “narrativo-esperienziale”, consentendo a tutti di offrire una lettura “reale”, ma non “pessimistica e piagnona” dei nostri contesti. Interroghiamoci sulle “strutture” attorno a cui si articola e sviluppa la pastorale giovanile nelle nostre comunità.


CONSIGLI DIOCESANI Raccontiamoci la vita delle nostre comunità e dei giovani alla luce delle “lettere pastorali”, prestando attenzione al “nodo/tema” affidato al gruppo. – sessione pomeridiana: illuminiamo la vita La sessione pomeridiana deve avere un carattere più “profetico-propositivo”. Dopo aver ascoltato tutti, nel pomeriggio ciascuno provi ad assumere una prospettiva “diocesana”, che tenga conto di quanto detto da tutti e faccia emergere quale “appello profetico”, quale “domanda” dal mondo giovanile interpella tutta la Chiesa diocesana e le “strutture pastorali” delle nostre comunità.

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ISTITUTO SUPERIORE DI SCIENZE RELIGIOSE “ODEGITRIA” Relazione del Direttore dell’Istituto per l’inaugurazione dell’anno accademico 2016-2017 (Bari, 10 novembre 2016)

Saluto con piacere e soddisfazione tutti voi partecipanti al nostro incontro di novembre con cui diamo inizio al nuovo anno accademico 2016-2017. A tutti voi, il mio più cordiale benvenuto. Un sincero e profondo ringraziamento a S.E. mons. Francesco Cacucci, moderatore del nostro Istituto, per la sua continua e paterna presenza. A mons. Angelo Panzetta, preside della Facoltà Teologica Pugliese, alle autorità civili e militari presenti, ai docenti e, infine, a tutti gli studenti dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose “Odegitria”. Ringrazio anche tutti coloro che hanno fatto giungere un segno della loro vicinanza al nostro Istituto, in particolare i vescovi del nostro Istituto, i direttori degli Istituti Superiori di Scienze Religiose di Puglia. Saluto con animo riconoscente i coniugi Giuseppe e Lucia Petracca Ciavarella, uditori al III Sinodo straordinario dei vescovi sull’amore nella famiglia, per aver accettato l’invito ad essere qui con noi. Saranno loro che ci aiuteranno a comprendere meglio le nuove prospettive sulla imprescindibile vocazione educativa della famiglia con uno sguardo particolare alla realtà dei giovani, in sintonia così con gli orientamenti pastorali per il decennio 2010-2020 dei vescovi italiani “Educare alla vita buona del vangelo” (capp. IV-V). Ma la pietra miliare della riscoperta e della rivalorizzazione della famiglia va riconosciuta sicuramente nel Concilio Vaticano II, nel momento stesso in cui a livello mon-

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diale si stava evolvendo la realtà della famiglia e la sua stessa identità. L’Esortazione Amoris laetitia ne parla al n. 67, evocando la Costituzione pastorale Gaudium et spes, che alla famiglia riserva ben sei paragrafi (cfr GS 47-52), e la Costituzione dogmatica Lumen gentium. Il matrimonio viene definito comunità di vita e di amore, nella mutua donazione tra marito e moglie e nel radicamento sacramentale in Cristo. Gli sposi sono come consacrati a edificare il Corpo di Cristo che è la Chiesa, proprio nel formare la piccola Chiesa domestica qual è la famiglia cristiana fondata sul sacramento del matrimonio. Molto opportunamente Papa Francesco precisa: «La Chiesa, per comprendere pienamente il suo mistero, guarda alla famiglia cristiana, che lo manifesta in modo genuino» (AL 67) e nelle stessa Esortazione apostolica il Papa afferma: «I genitori hanno il dovere di compiere con serietà la loro missione educativa» (AL 17). Nonostante le difficoltà odierne nell’educare, bisogna dare alla famiglia fiducia in se stessa e nelle proprie possibilità, perché l’amore dei genitori lascia un segno determinante nella vita dei figli; perché i genitori in virtù del sacramento del matrimonio godono di una grazia speciale nell’adempiere a questo loro compito, come è affermato nel decreto conciliare Gravissimum educationis. In realtà, si tratta di un’impostazione che traduce sul piano dell’azione pastorale quello che era stato il motivo ispiratore del Concilio Vaticano II: non definire nuovi dogmi o pronunciare condanne ma individuare le forme con cui annunciare agli uomini d’oggi il Cristo risorto. La famiglia è il terreno su cui oggi, più chiaramente, emerge l’esigenza di tornare a utilizzare di nuovo il lessico del Vangelo, che spinge a pensare l’amore sponsale oltre la dimensione giuridica, in quel complesso di rapporti che accompagna ogni stagione della vita dell’uomo. 546 I professori, gli studenti e i titoli accademici conseguiti Con i nostri studenti realizziamo, giorno dopo giorno, anno dopo anno, una comunità capace di crescere in una cultura ispirata dalle verità di fede, nella consapevolezza di tradurre nella vita delle nostre Chiese locali le indicazioni magisteriali. Essi sono coinvolti nel tessuto pastorale delle nostre diocesi. Come ben sappiamo, gli ISSR pugliesi stanno attraversando un momento di grande trasformazione sia sotto il profilo della individuazione dei nuovi percorsi


ISTITUTO SUPERIORE DI SCIENZE RELIGIOSE “ODEGITRIA” formativi, sia sotto quello delle multiformi realtà sociali che si trovano ad affrontare. Si sente, pertanto, sempre più forte il bisogno della vicinanza delle istituzioni e di coloro che le rappresentano. A tal proposito, è ormai in atto un processo di riforma alla luce della nuova mappa nazionale, cui hanno contribuito, con impegno e competenza, il preside della Facoltà Teologica Pugliese e i direttori dei vari ISSR. Come si sa, l’Istituto di Trani verrà accorpato a Bari e quello di Brindisi a Lecce. Ma la novità più grande consiste nell’aver reso uniforme lo statuto, il regolamento e i piani di studi in tutti gli ISSR pugliesi. Per questi motivi, dal prossimo anno accademico andrà in vigore il nuovo percorso formativo. Gli studenti ordinari iscritti all’anno accademico 2016/2017 sono 123. Nel triennio sono così suddivisi: 15 (1° anno), 18 (2°anno), 16 (3° anno). Nel secondo anno del biennio di specializzazione sono: 58 (di cui 13 provenienti dall’ISSR di Trani). Gli studenti uditori sono 2, gli iscritti al biennio teologico–filosofico 2, gli iscritti al corso di diaconato 8, gli studenti fuori corso 4. 35 invece sono gli studenti fuori corso, e che sono impegnati nella stesura del lavoro di tesi. Poi ci sono 13 iscritti al corso di tirocinio provenienti dagli istituti di Bari, di Santa Fara e di Molfetta. Tale orientamento non può che ritenerci soddisfatti, soprattutto per le motivazioni di molti, che vedono nell’indirizzo didattico una prospettiva di impegno nella scuola come insegnanti di religione cattolica, a cui si affiancano le motivazioni di altri che vedono nel percorso formativo dell’ISSR la possibilità di una formazione seria e approfondita al fine di motivare maggiormente il proprio impegno ecclesiale. Tuttavia, il probabile aumento degli iscritti porrà al nostro Istituto qualche problema logistico che, nei prossimi anni - continuando questo trend – ci vedrà impegnati a tenerlo in seria considerazione. Le aule forse saranno insufficienti e le strutture didattiche hanno bisogno di un potenziamento. A questo punto, vorrei comunicare in questa sede che, durante quest’anno accademico, ci saranno alcuni lavori che serviranno a migliorare l’ambiente e renderlo sempre più rispondente alla fruibilità dello studente e alla didattica dei docenti. Inoltre, la segreteria sta informatizzando tutti i dati del-

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l’archivio e ha reso il nostro sito più completo; tutto ciò renderà il lavoro dei docenti più fruttuoso, attraverso la ricerca e la cura delle lezioni. I professori don Paolo Sangirardi, Francesco Sportelli e Giuseppe Micunco hanno lasciato l’insegnamento chi per limiti di età, chi per altri impegni. A loro va il nostro più sentito ringraziamento per la costanza e professionalità. Il corso di Patrologia (del prof. Sangirardi) è stato assegnato al prof. don Jean Paul Lieggi, mentre il corso di Storia contemporanea della Chiesa italiana (del prof. Sportelli) è stato assegnato al prof. don Dario Morfini. Inoltre, strutturale al percorso formativo diventa il tirocinio per i nostri studenti; la sua organizzazione vede impegnati il nostro Istituto e l’Ufficio Scuola, e, a tal proposito, voglio qui esprimere i migliori auguri, a nome di tutta la comunità accademica, al neodirettore dell’Ufficio Scuola della arcidiocesi di BariBitonto, il prof. don Carlo Lavermicocca, nonché tutor dell’Istituto per il tirocinio.

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Titoli accademici conseguiti La vitalità dell’Istituto si esprime con il conseguimento dei gradi accademici. Durante l’anno accademico 2015-2016, 20 studenti hanno conseguito il grado accademico in Laurea in Scienze religiose e 25 studenti hanno conseguito il grado accademico in Laurea magistrale in Scienze religiose. Per un totale di 45 titoli accademici. Questa sera saranno consegnate dal moderatore Mons. Cacucci le lauree. A Sua Eccellenza, esprimo, a nome di tutto l’Istituto, la riconoscenza per l’attenzione con cui si interessa e segue la vita del nostro Istituto. Hanno conseguito la Laurea in Scienze religiose: Nella sessione autunnale (23 - 24 novembre 2015): Diletta Mallardi, L’ π trinitaria nel rapporto sponsale; Luciana Ruccia, L’amore nel Cantico dei Cantici: una voce della Sapienza; Lucrezia De Finis, In cammino verso Emmaus. Analisi esegetica di Lc 24, 13-35; Gaetano Petruzzelli, Paternità e maternità “responsabile” nell’ “Humanae vitae”. Nella sessione invernale (14 - 15 marzo 2016): Antonia Antonicelli, La Sacra Scrittura negli scritti e nella spiritualità della Beata Elia di San Clemente; Ottavia Rutigliano, La dimensione del


ISTITUTO SUPERIORE DI SCIENZE RELIGIOSE “ODEGITRIA” peccato nel Salmo 51; Aldo Antonio Boffoli, La simbologia dell’acqua nel bagno rituale degli Esseni e nel battesimo di Giovanni il Battista; Annamaria Ercole, Marco 10, 45. Il riscatto per molti. Nella sessione estiva (27-29 giugno 2016): Grazia Lella, La fede trinitaria della Beata Elia di San Clemente; Vita Santina Lentini, Nuove prospettive nell’insegnamento della religione cattolica alla luce della teologia del corpo di Giovanni Paolo II; Anna Chiarella, Quale teologia morale familiare per le convivenze?; Giuseppe Petruzzelli, Famiglia piccola Chiesa domestica; Lorenzo Sabina, L’unzione e la regalità nell’Antico Testamento; Miriam Arsedea Massarelli, La formazione del cuore nella didattica montessoriana – dall’embrione spirituale all’educazione religiosa; Vincenzo Ficco, Uguali ma differenti. Formare le intelligenze musicalmente; Emanuele Lonigro, La sfida della didattica nel favorire l’incontro tra culture e religioni diverse; Anna Lisa Troia, La concezione della grazia in S. Agostino e Pelagio; Annarita Petruzzelli, Madre Teresa di Calcutta: contemplare, amare, servire; Pierpaolo Favia, L’esecrazione dell’usura nel pensiero e nel ministero episcopale di alcuni Padri della Chiesa. Hanno conseguito la Laurea Magistrale in Scienze Religiose: Nella sessione autunnale (23 - 24 novembre 2015): Giuseppe Calefati, L’eucaristia fonte e culmine della “Chiesa domestica”; Gaetano Dagostino, La Trinità nel magistero di Mons. Antonio Bello; Marina Altomare, La centralità della storia nella teologia di Bruno Forte; Rosa Santoro, La pedagogia religiosa di Don Milani e l’insegnamento della religione cattolica nella scuola oggi; Maria Armenise, La Caritas nel Bollettino Diocesano ed in altre pubblicazioni. Una panoramica; Giulia De Luca, Vita consacrata: la Federazione delle religiose nel Bollettino Diocesano e in altre pubblicazioni. Una panoramica; Monica Marzulli, Carlo Michelstaedter. La vita “luminosa” della persuasione. Nella sessione invernale (14 - 15 marzo 2016) Maria Errico, Ecclesiologia pneumatologica nella visione ecumenica; Margherita Lomangino, Le tappe del dialogo cattolico-luterano sulla dot-

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trina della giustificazione; Isabella Squicciarini, Oscar Arnulfo Romero: la voce di chi non ha voce; Angela Cataldi, La dimensione sociale dell’evangelizzazione; Antonia Lucarella, La presenza di Maria ai sacramenti; Viola Murro, Indissolubilità del matrimonio e nuove nozze nella Chiesa cattolica e nelle Chiese ortodosse; Maddalena Zita Lauta, Mito, rito e simbolo. Dalla materialità del segno all’intuizione dell’invisibile; Elio Savino, La tradizione hindu e la donna fra passato e futuro. Un percorso didattico; Annalisa Dibello, La libertà religiosa e il buon costume. Nella sessione estiva (27-29 giugno 2016) Tommaso Matrolonardo, La Serva di Dio Luisa Piccarreta. Una mistica per i nostri tempi; Daniele De Palma, La valutazione dell’insegnamento della religione cattolica nella scuola dell’infanzia alla luce dei nuovi programmi IRC; Pia Anna Vittore, Dignità e valore della vita; Lucia Sicolo, Fra Cristianesimo e Islam: l’esperienza di Louis Massignon; Carmela Patierno, Verità e storia in L. Tolstoj. Una fedeltà creativa al Vangelo; Emanuela Maldarella, Le comunicazioni sociali nella diocesi di Molfetta–[Ruvo]Giovinazzo e Terlizzi nel postconcilio Vaticano II; Filomena Didonna, Facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza (Gen 1, 26). Tracce per un umanesimo biblico; Eleonora Casulli, La musica sacra nel pensiero di Joseph Ratzinger/Benedetto XVI; Maurizio De Virgilio, Le sepolture degli Apostoli Pietro e Paolo a Roma.

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Le iniziative culturali Tra le attività culturali bisogna ricordare la pubblicazione dell’Annale del 2015: in esso si è riproposta la vita di don Mimmo Amato, come teologo e pastore. Fanno seguito 4 studi, di cui 2 prodotti dai nostri professori: il saggio del prof. Donato Lucariello, Fare corpo con la Parola. La forza interperformativa della Parola nell’agire ecclesiale, in cui l’autore descrive l’importanza di recuperare l’ascolto della Parola di Dio per edificare la comunità cristiana, evidenziandone i contenuti teologico-pastorali. L’altro saggio è del prof. Carlo Lavermicocca: Dimensioni psico-pedagogica della religiosità del bambino. Infine, due estratti delle tesi degli studenti Ivano Sassanelli su Gli elementi di sacramentaria matrimoniale nel pensiero di Carlo Rocchetta e Lucia Palmieri su L’incarnazione: via d’accesso al mistero trinitario. Un confronto tra la teologia di Rahner e la teologia di Balthasar.


ISTITUTO SUPERIORE DI SCIENZE RELIGIOSE “ODEGITRIA” Inoltre, è stata organizzata una conferenza a più voci sul tema: “Maschio e femmina li creò”. La famiglia tra natura e cultura, tenuta in questa aula magna il 25 febbraio 2016.

La Prolusione La Chiesa di Amoris laetitia è una Chiesa pienamente calata nella storia e, dunque, portata ad assumere in pienezza la propria natura missionaria e sinodale. Se, infatti, l’annuncio del kerygma è il compito essenziale dei credenti, il modo dipende dalla natura stessa di quell’annuncio. Il Vangelo della famiglia, che è esperienza della libertà che viene dal Cristo e della dimensione comunitaria della fede, è il centro di un cammino di discernimento lungo due anni, che ha investito la Chiesa portandola a ricercare l’alfabeto con cui rivolgersi alle famiglie, agli sposi, alle persone che soffrono il fallimento di un amore o il suo rifiuto. L’esortazione apostolica è l’ultimo tassello di un percorso ed è il punto di sintesi pastorale di molteplici tappe e in questo senso, Amoris laetitia è un testo sinodale, un documento corale che parla il linguaggio di una Chiesa che ritrova tutta la ricchezza e la varietà della dimensione sponsale. È in questa prospettiva che abbiamo indirizzato la riflessione che vogliamo fare questa sera. La domanda che ci siamo posti è come possiamo, attraverso il nostro percorso accademico, contribuire alla riflessione sul ruolo e sulla missione della famiglia nel tempo dell’emergenza educativa. Per fare questo, abbiamo invitato i coniugi Giuseppe e Lucia Petracca Ciavarella, che ringrazio sentitamente per aver accettato di essere con noi questa sera. Sono convinto che, per la loro formazione e per il loro impegno pastorale, siano i più indicati a svolgere la prolusione del nostro incontro; a loro affidiamo il tema: “La famiglia e i giovani nell’Amoris laetitia”. E, mentre cedo loro volentieri la parola, ci poniamo in un partecipe ascolto. Buon anno accademico a tutti! Il Direttore sac. Donato Lucariello

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AZIONE CATTOLICA ITALIANA Scuola Diocesana Unitaria di Azione Cattolica

“Essere famiglia oggi” (Bari, 7-14 e 16 ottobre 2016)

“Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità ... E se avessi il dono delle profezie e conoscessi tutti i misteri... ma non avessi la carità ... E se dessi in cibo tutti i miei beni... ma non avessi la carità ...” (cfr 1Cor 13, 1-8)

È questa l’icona biblica che Papa Francesco ha scelto e collocato al cuore della Esortazione Amoris laetitia dedicata alla famiglia dopo la celebrazione di due sinodi. E al termine della bella Scuola Unitaria di AC, dedicata appunto a Essere famiglia oggi, forse è opportuno parafrasare le parole di Paolo e dire: «Se parlassimo della famiglia in tutti i luoghi e in tutti i contesti...» a cominciare dalle nostre assemblee e persino nelle piazze; e «se quest’anno divenissimo tutti esperti conoscitori delle problematiche e delle tecniche pastorali di approccio al complesso mondo famigliare»; e «se le nostre comunità e le nostre associazioni investissero tutte le loro risorse, materiali e spirituali, di tempo e di danaro, di persone e di cose, etc ..... ma non avessimo la carità», tutto il nostro dire, fare, operare in questo anno pastorale, così come anche da indicazione del nostro Arcivescovo, rischierebbe di essere come «bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita». È prima di tutto questione di “carità”: da qui siamo chiamati a

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ripartire come singoli battezzati e come famiglie di battezzati che, nella comunità ecclesiale, sperimentano la gioia di essere Chiesa, “famiglia di famiglie”. È con la carità descritta e intesa dall’inno paolino che occorre confrontarsi e interrogarsi, se vogliamo che «La gioia dell’amore che si vive nelle famiglie sia anche il giubilo della Chiesa» (n. 1). È questa la cifra interpretativa ed il lascito della Scuola Unitaria 2016, al termine dei tre incontri che l’AC diocesana ha dedicato alla famiglia presso l’aula magna del liceo “Salvemini” di Bari. Nel primo appuntamento, è stato don Enzo Boccacini, vice direttore dell’Ufficio nazionale di pastorale della famiglia, a intervenire per aiutarci a cogliere il significato della icona paolina. «Non c’è testo migliore – ha detto – che coniughi insieme l’amore umano e quello divino». La carità di cui parla Paolo è certamente un dono “teologale”, cioè divino, ma che non si “aggiunge” né giustappone all’eros umano: piuttosto, lo vivifica dall’interno e lo eleva all’altezza dell’agape divina, fino a trasformare anche le sue ferite, piccole o grandi, in “feritoie” di luce e speranza. Per questo, se non vogliamo correre il rischio di ridurre l’attenzione alla famiglia all’ennesimo slogan o spot pastorale, con cui condire tutti i nostri eventi e contesti, salvo poi dimenticare tutto con il prossimo slogan, allora “prima di tutto la carità!”. Sì, perché vi è certamente un problema di politiche sociali che assilla la famiglia, soprattutto quelle numerose e quelle giovani; vi è altrettanto sicuramente un problema antropologico dietro il timore “giovanile” di impegnarsi in relazioni “per sempre”, come vuole il sacramento del matrimonio; è anche evidente il carattere pervasivo e ammaliante di una cultura individualista e narcisista dominante, che mortifica il “noi” coniugale a vantaggio dell’Io. Ma nonostante tutto, anzi, proprio a motivo di tutto ciò la famiglia cristiana è chiamata a far risplendere la “bellezza” del matrimonio sacramentale. Come? È ancora Papa Francesco a suggerirci una via quasi “artigianale” nel suo discorso ai fidanzati del 20141. Anzitutto la preghiera: «Gli sposi possano imparare a pregare così: 1

Cfr Papa Francesco, Discorso ai fidanzati che si preparano al matrimonio, Piazza San Pietro, 14 febbraio 2014.


AZIONE CATTOLICA ITALIANA “Signore, dacci il nostro amore quotidiano”, perché l’amore quotidiano degli sposi è il pane, il vero pane dell’anima, quello che li sostiene per andare avanti». Quindi, maturando uno “stile cristiano” nella vita coniugale perché «vivere insieme è un’arte, un cammino paziente, bello e affascinante. Non finisce quando vi siete conquistati l’un l’altro. Anzi, è proprio allora che inizia! Questo cammino di ogni giorno ha delle regole che si possono riassumere in queste tre parole: permesso, grazie, scusa!». Attraverso la preghiera quotidiana e l’esercizio concreto di piccoli gesti, la famiglia impara l’arte di amarsi. È il battesimo, pertanto, che abilita ciascuno dei coniugi in questa “arte” ed è il sacramento del matrimonio che sigilla e sostiene il “noi” coniugale, fondandolo su Cristo e facendone “il cuore della Chiesa che evangelizza”. Ce lo hanno dimostrato con la loro presenza e il loro impegno civile ed ecclesiale i coniugi Petracca-Ciavarella e i coniugi De LeoVurro, intervenuti nella seconda giornata della Scuola Unitaria. I primi, Lucia e Giuseppe, della diocesi di Manfredonia-Vieste-S. Giovanni Rotondo, entrambi medici e uditori al Sinodo sulla famiglia; i secondi, Cinzia e Michele, direttori del nostro Ufficio diocesano di pastorale della famiglia. In questo tempo di grandi trasformazioni e di inevitabile crisi di alcuni modelli tradizionali di evangelizzazione, è la famiglia che può scoprirsi come opportunità per realizzare la “conversione pastorale” auspicata da Papa Francesco nella Evangelii gaudium. Nell’esercizio quotidiano e paziente dell’amore, infatti, la famiglia realizza il suo scopo di “servire la comunità” e l’edificazione della comunione nella Chiesa divenendo, al tempo stesso, “fermento di umanità” per la stessa società. È in famiglia che riceviamo il primo annuncio della fede ed è in essa che impariamo la “grammatica” della comunione: a riconoscere e gestire il tu, il noi, la differenza, il servizio, la fatica, il dolore, la bellezza, il conflitto, la comunione. Questo sguardo, per così dire, più “teologico” sulla famiglia, con la sua ricchezza e potenzialità, non può esimerci dall’attenzione che, con tutta la Chiesa, siamo chiamati ad avere verso quelle famiglie che, invece, soffrono una dolorosa lacerazione al suo interno.

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Accoglienza e accompagnamento sono gli atteggiamenti concreti a cui ci richiama la Amoris laetitia. In questa direzione, le “Relazioni nuziali spezzate” e la “Casa di Osea” sono le due iniziative che l’Ufficio diocesano di pastorale della famiglia, ormai da qualche anno, sta promuovendo sul nostro territorio. La prima, per aiutare i separati e i divorziati ad “elaborare il lutto per la separazione subita o procurata”, tornando a sperimentare la bellezza di sentirsi Chiesa, con tutti e come tutti, “semplicemente” figli di Dio. La seconda, per fornire a tutte le coppie uno strumento e una occasione per scoprire, rinnovare e alimentare la spiritualità coniugale che, in Cristo, dà rinnovato slancio al “noi” nuziale. Davvero una bella provocazione per tutti, questa edizione della Scuola Unitaria di AC. Nessuno, acierrino, giovane o adulto, può sentirsi escluso perché ne va del nostro essere uomini e donne credenti e credibili in questo tempo; ne va del nostro essere e vivere la Chiesa, famiglia di famiglie. A maggior ragione in questo anno assembleare che ci vedrà tutti impegnati, ad ogni livello, in un lavoro di discernimento ecclesiale che per essere tale, come ci ha ricordato don Giosy Mangialardi, assistente diocesano del Settore Adulti, nel suo intervento durante la terza ed ultima giornata per introdurre i lavori sul documento nazionale, deve evitare “soggettivismi e individualismi” (tentazioni sempre forti e latenti) e orientarci alla “oggettività di Cristo” che nella comunione ecclesiale, dono e impegno, ha la sua più bella ed efficace testimonianza. La riflessione sul documento assembleare è proseguita nei gruppilaboratorio e la mattinata si è conclusa con la celebrazione eucaristica presso la parrocchia S. Marco. 556

Antonio Nicola Colagrande Vice presidente diocesano Settore Adulti


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Al pomeriggio, presso l’Hotel Palace in Bari, porta il saluto alla Festa dei Nonni organizzata dall’Associazione Federspev (Federazione medici, farmacisti, veterinari pensionati). – Alla sera, nella Basilica di S. Nicola, nell’ambito della Rassegna “Notti sacre”, partecipa al concerto eseguito dalla Orchestra sinfonica della Città Metropolitana. 2 – Al mattino, presso la Scuola Allievi della Guardia di Finanza in Bari, celebra la S. Messa per il 150° anniversario della morte di santa Maria De Mattias, fondatrice della Congregazione delle Suore Adoratrici del Sangue di Cristo. – Alla sera, in Cattedrale, partecipa al concerto di chiusura della Rassegna “Notti sacre” con l’esecuzione del Vespro della Beata Maria Vergine di Monteverdi da parte della Cappella Santa Teresa dei Maschi e del coro Florilegium Vocis, diretti dal Maestro Sabino Manzo. 3-7 – Presso la Casa San Paolo in Martina Franca, partecipa agli esercizi spirituali per i vescovi di Puglia. 8 – Al pomeriggio, presso la Casa del clero in Bari, interviene al Corso per gli operatori delle Caritas parrocchiali. – Alla sera, presso la parrocchia “Mater Ecclesiae” in Bari,

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celebra la S. Messa per l’ingresso del nuovo parroco don Ambrogio Avelluto. Al mattino, presso la parrocchia “S. Leone Magno” in Bitonto, celebra la S. Messa per l’ingresso del nuovo parroco p. Roberto Palmisano, O.F.M. Al pomeriggio, presso l’Hotel Nicolaus in Bari, celebra la S. Messa per i partecipanti al Meeting della Vita consacrata di Puglia. Alla sera, presso la parrocchia “S. Pietro Apostolo” in Modugno, tiene la catechesi comunitaria sul tema pastorale dell’anno. Al mattino, presso la Curia arcivescovile, presiede l’incontro con i Vicari zonali e i Direttori degli Uffici di Curia. Al pomeriggio, presso il Pontificio Seminario Regionale Pio XI in Molfetta, incontra i seminaristi. Alla sera, presso la parrocchia “S. Maria Annunziata” in Cellamare, celebra la S. Messa per l’ingresso del nuovo parroco don Domenico Pietanza. Alla sera, presso la parrocchia “S. Marcello” in Bari, incontra i cresimandi e i genitori. Al pomeriggio, presso la parrocchia “Spirito Santo” in Palo del Colle, incontra i ragazzi cresimati. Alla sera, presso il Seminario Arcivescovile, presiede l’Adorazione eucaristica vocazionale mensile. Al mattino, presso l’Oasi S. Maria in Cassano Murge, partecipa al ritiro del clero diocesano. Alla sera, in Cattedrale, celebra la S. Messa nel centenario della nascita di Aldo Moro e, successivamente, presso l’aula “Mons. Enrico Nicodemo”, partecipa alla commemorazione sul tema “La formazione giovanile di Aldo Moro” tenuta dai proff. Renato Moro, Miguel Gotor e Rocco D’Ambrosio. Alla sera, presso il Monastero di S. Teresa Nuova in Bari, partecipa alla presentazione del volume curato da don Michele Bellino, S. Teresa di Gesù tra Avila e Bari. Al mattino, presso la parrocchia “S. Sabino” in Bari, celebra la S. Messa e amministra le Cresime. Alla sera, presso il Santuario “Santi Medici” in Bitonto, celebra la S. Messa per la festa esterna.


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Al pomeriggio, in Bari-Torre a Mare, inaugura e benedice la “Domus Familiae”, Centro diocesano di spiritualità. Alla sera, presso la parrocchia “S. Luca” in Bari, celebra la S. Messa per la festa del Titolare. Al pomeriggio, presso l’aula “Aldo Moro” dell’Università degli studi di Bari, partecipa all’incontro “Donne operatrici di pace per una cultura dell’incontro e del dialogo” nell’ambito della II Conferenza mondiale con le donne del Medio Oriente e del Mediterraneo convocata dalla Unione mondiale delle organizzazioni femminili cattoliche e dal Forum internazionale di Azione cattolica, in collaborazione con l’Azione cattolica della diocesi. Alla sera, presso la parrocchia “S. Maria di Monteverde” in Grumo Appula, celebra la Liturgia della Parola e incontra la comunità nel 20° anniversario del Centro parrocchiale. Al pomeriggio, nella Basilica di S. Nicola, presiede l’incontro ecumenico di preghiera organizzato dall’Unione mondiale delle organizzazioni femminili cattoliche. Alla sera, presso la parrocchia “S. Giuseppe Moscati” in Triggiano, celebra la S. Messa per l’ingresso del nuovo parroco don Valentino Campanella. Al mattino, in Episcopio, presiede la riunione del Consiglio episcopale. Alla sera, presso la parrocchia “S. Fara” in Bari, presiede la Veglia Missionaria diocesana. Al mattino, presso la parrocchia “Immacolata” in AdelfiaCanneto, celebra la S. Messa per l’ingresso del nuovo parroco don Salvatore De Pascale. Al pomeriggio, presso l’Hotel Nicolaus, porta il saluto al 44° Convegno nazionale SIMFER (Società italiana di Medicina fisica e riabilitativa). Alla sera, presso la parrocchia “SS. Crocifisso” in Triggiano, celebra la S. Messa per l’ingresso del nuovo parroco don Angelo Arboritanza. Alla sera, presso il Seminario arcivescovile, celebra la S.

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Messa e partecipa all’incontro degli insegnanti di religione con il nuovo direttore dell’Ufficio Scuola don Carlo Lavermicocca. Al mattino, in Cattedrale, celebra la S. Messa per l’inaugurazione dell’anno accademico della Facoltà Teologica Pugliese. Alla sera, presso la parrocchia “Cristo Re Universale” in Bitonto, partecipa alla presentazione del restauro degli affreschi della chiesa. Alla sera, presso il Circolo Ufficiali Comando Scuole della III Regione Aerea in Bari, partecipa alla presentazione del volume La Chiesa barese e la Grande Guerra, edito a cura del Centro di Studi storici della Chiesa di Bari-Bitonto. Alla sera, presso la parrocchia “S. Maria del Carmine” in Sammichele di Bari, celebra la S. Messa per il mandato agli operatori pastorali e successivamente tiene la catechesi comunitaria sul tema pastorale dell’anno. Al mattino, presso la Casa del clero in Bari, presiede i lavori del Consiglio Presbiterale diocesano. Alla sera, presso la parrocchia “S. Francesco d’Assisi” in Bari, celebra la S. Messa alla presenza delle reliquie di sant’Antonio di Padova. Alla sera, presso la parrocchia “S. Maria della Pace” in Noicattaro, celebra la S. Messa per la commemorazione dei duecento anni dalla peste e benedice la targa ricordo dell’evento. Al mattino, presso la parrocchia “Preziosissimo Sangue in S. Rocco”, celebra la S. Messa per l’ingresso del nuovo parroco don Oliviero Magnone, C.PP.S. Alla sera, presso la parrocchia SS. Salvatore in Capurso, celebra la S. Messa per l’ingresso del nuovo parroco don Antonio Lobalsamo.


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Novembre 2016 1 – –

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Al mattino, presso la parrocchia “Ognissanti” in Valenzano, celebra la S. Messa per la solennità di Tutti i Santi. Al pomeriggio, presso la parrocchia “S. Maria delle Grazie” in Casamassima, celebra la S. Messa per l’ingresso del nuovo parroco don Michele Camastra. Al mattino, presso la chiesa del Cimitero di Bari, celebra la S. Messa per la Commemorazione di Tutti i fedeli defunti. Alla sera, in Cattedrale, celebra la S. Messa. Al mattino, presso la parrocchia “Nostra Signora di Lourdes” in Noicattaro-Parchitello, incontra l’undicesimo Vicariato. Alla sera, presso la parrocchia “S. Maria La Porta” in Palo del Colle, presiede l’Adorazione eucaristica e affida il mandato agli operatori pastorali. Nella Cattedrale di Scutari (Albania), partecipa al rito di beatificazione dei 38 martiri albanesi. Alla sera, presso la parrocchia “S. Carlo Borromeo” in Bari, celebra la S. Messa per il 50° anniversario della benedizione della chiesa. Alla sera, in piazza del Ferrarese, partecipa alla cerimonia di apertura della Tenda della Misericordia a cura del Rinnovamento nello Spirito. Al pomeriggio, presso il Pontificio Seminario regionale “Pio XI” in Molfetta, incontra i seminaristi. Al mattino, nella cripta della Cattedrale, celebra la S. Messa in suffragio dei vescovi defunti. Alla sera, presso la parrocchia “Maria SS. del Carmine” in Sannicandro di Bari, tiene la catechesi alla comunità sul tema pastorale dell’anno. Al mattino, presso la parrocchia “S. Nicola” in AdelfiaMontrone, celebra la S. Messa per la festa del patrono san Trifone.

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Al pomeriggio, nella cripta della Cattedrale, celebra la S. Messa per l’inaugurazione dell’anno accademico dell’Istituto Superiore di Scienze religiose Odegitria e successivamente, nell’aula magna “Mons. Enrico Nicodemo”, partecipa alla cerimonia accademica. Al mattino, presso l’Oasi S. Maria in Cassano delle Murge, partecipa al ritiro del clero diocesano. Alla sera, presso la parrocchia “S. Michele Arcangelo” in Bitetto, incontra i cresimandi. Al pomeriggio, presso il Santuario “Santi Medici” in Bitonto, benedice la sala dedicata a mons. Mariano Magrassi e celebra la S. Messa per il Giubileo del mondo della sanità. Al mattino, presso l’Istituto Margherita in Bari, tiene il ritiro per le religiose. Alla sera, presso la parrocchia “S. Antonio” in Bari, celebra la S. Messa per l’ingresso del nuovo parroco p. Vito Dipinto, O.F.M. Al pomeriggio, presso la Biblioteca Ricchetti in Bari, partecipa al convegno “Dignità del vivere, dignità nel morire” con S. E. mons. Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita. Alla sera, presso la Casa del clero in Bari, presiede i lavori del Consiglio Pastorale diocesano. Al mattino, in Episcopio, presiede la riunione del Consiglio di Amministrazione della Biblioteca Ricchetti. Alla sera, nella chiesa di S. Anna in Bari, presiede la veglia di ringraziamento per la beatificazione dei 38 martiri albanesi. Al mattino, in Episcopio, presiede la riunione del Consiglio di presidenza della Conferenza Episcopale Pugliese. Alla sera, nella Concattedrale di Bitonto, tiene la catechesi comunitaria a conclusione dell’Anno giubilare. Al pomeriggio, in Cattedrale, celebra la S. Messa e amministra le Cresime per la parrocchia “Preziosissimo Sangue in S. Rocco”. Alla sera, in Cattedrale, presiede la celebrazione dei Primi Vespri della Solennità di Cristo Re a chiusura dell’Anno Santo della Misericordia.


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Al mattino, presso la parrocchia “Cristo Re Universale” in Bitonto, celebra la S. Messa per la Festa del Titolare. Alla sera, presso la parrocchia “S. Caterina vergine e martire” in Bitonto, celebra la S. Messa e amministra le Cresime. Al mattino, in Cattedrale, celebra la S. Messa per la festa della “Virgo fidelis”, patrona dell’Arma dei Carabinieri. Alla sera, presso la parrocchia “S. Maria delle Grazie” in Cassano delle Murge, tiene la catechesi comunitaria sul tema pastorale dell’anno. Alla sera, presso la parrocchia “Beata Vergine Immacolata” in Bari, tiene la catechesi comunitaria sul tema pastorale dell’anno. Al pomeriggio, nella Basilica di S. Nicola, partecipa alla presentazione del volume San Domenico, il fondatore dell’Ordine dei predicatori, di p. Gerardo Cioffari, O.P. Alla sera, presso la parrocchia “S. Giuseppe” in Palo del Colle, tiene la catechesi comunitaria sul tema pastorale dell’anno. Al pomeriggio, nella Basilica di S. Nicola in Bari, celebra la S. Messa per il 65° anniversario dell’affidamento della Basilica ai Padri Domenicani. Alla sera, presso la parrocchia “S. Giovanni Battista” in Bari, celebra la S. Messa per il IV vicariato a chiusura dell’Anno giubilare. Alla sera, presso la parrocchia “Maria SS. Addolorata ” in Bari, celebra la S. Messa per l’ingresso del nuovo parroco don Tommaso Gigliola, S.d.C. Al mattino, nella Cattedrale di Cerignola, presiede la S. Messa per l’investitura di S.E. Mons. Luigi Renna, vescovo di Cerignola-Ascoli Satriano, a Grand’Ufficiale e Priore dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme. Alla sera, presso la parrocchia “S. Agostino” in Modugno, partecipa alla presentazione della tela restaurata della Madonna del Carmine. Al mattino, nella Sala dei priori della Basilica di S. Nicola, presiede la conferenza stampa di presentazione della visita

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a Bari di S.S. Bartolomeo I, Patriarca Ecumenico di Costantinopoli. Alla sera, presso la parrocchia “S. Andrea” in Bari, tiene la catechesi per la festa del Titolare. Al mattino, presso la Scuola Allievi della Guardia di Finanza in Bari, benedice le aule didattiche. Alla sera, presso la parrocchia “S. Andrea” in Bitonto, celebra la S. Messa per la festa del Titolare. Successivamente, presso il nuovo Teatro Abeliano in Bari, partecipa alla rappresentazione teatrale “La storia di Papa Francesco”, messa in scena da giovani e adulti con disabilità coinvolti dal programma di volontariato “Famiglia insieme: volontari… Amo!”.

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Al mattino, presso la Curia arcivescovile, incontra i vicari zonali. Alla sera, presso la parrocchia “Cuore Immacolato di Maria” in Bari, celebra la S. Messa per il 40° anniversario della parrocchia e benedice i nuovi locali parrocchiali. Presso l’Accademia Bonifaciana in Anagni, riceve il Premio internazionale “Bonifacio VIII”. Al mattino, presso il Comando dei Vigili del Fuoco in Bari, celebra la S. Messa per la festa di Santa Barbara, patrona del Corpo. Al mattino, nella Basilica di S. Nicola in Bari, presiede la cerimonia d’inaugurazione dell’anno accademico della Facoltà Teologica Pugliese con la lectio magistralis di S.S. Bartolomeo I, Patriarca Ecumenico di Costantinopoli, e pronuncia la laudatio per il conferimento al Patriarca del Premio “S. Nicola”. Al pomeriggio, presiede la celebrazione ecumenica dei Vespri e la cerimonia di affidamento della chiesa di corso Cavour (già sede della parrocchia “S. Cuore”) in Bari, alla


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comunità greco-ortodossa, alla presenza di S.S. il Patriarca Ecumenico Bartolomeo I. Al mattino, presso il Pontificio Seminario regionale “Pio XI” in Molfetta, accompagna il Patriarca ecumenico nell’incontro con i seminaristi. Alla sera, nella Basilica di S. Nicola, presiede la S. Messa per la Solennità del Santo Patrono, alla presenza di S.S. il Patriarca Ecumenico, che, al termine della celebrazione, saluta la Città e la Chiesa di Bari e nella cripta venera le reliquie del Santo. Al mattino, nella cripta della Cattedrale, celebra la S. Messa nel 20° anniversario della morte di don Vito Diana, primo direttore della Caritas diocesana. Alla sera, presso la parrocchia “S. Giovanni Bosco” in Bari, tiene la catechesi comunitaria sul tema pastorale dell’anno. Al mattino, presso la parrocchia “S. Giuseppe” in Bari, celebra la S. Messa per l’anniversario della consacrazione della chiesa. Alla sera, presso la parrocchia “Beata Vergine Immacolata” in Bari, celebra la S. Messa per il 60° anniversario della parrocchia. Al mattino, presso l’Oasi S. Maria in Cassano Murge, partecipa al ritiro del clero diocesano, durante il quale si svolgono le elezioni per il nuovo Consiglio Presbiterale. Al mattino, nella Sala Clementina in Roma, partecipa all’udienza del Santo Padre Francesco al Pontificio Seminario Regionale “Pio XI” di Molfetta. Al mattino, in Episcopio, incontra il Metropolita Hilarion Alfeev di Volokolamsk, Presidente del Dipartimento per le Relazioni esterne del Patriarcato di Mosca. Al pomeriggio, nel foyer del Teatro Petruzzelli in Bari, partecipa con il Metropolita alla tavola rotonda organizzata dall’Associazione “Conoscere Eurasia”, dedicata al dialogo interreligioso. Alla sera, accompagna il Metropolita nella visita alla Basilica di S. Nicola, dove venera le reliquie del Santo e pronuncia dinanzi ad esse la preghiera del moleben.

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Successivamente, assiste in Basilica al concerto di musica sacra russa, eseguito dal Coro Sinodale del Patriarcato di Mosca. Al mattino, presso la parrocchia “S. Sabino” in Bari, celebra la S. Messa per la festa della Madonna di Loreto, Patrona dell’Aeronautica. Alla sera, presso il Cinema Splendor, partecipa alla presentazione del volume 1916-2016. Tra le case degli uomini per il dono dell’Eucaristia. La parrocchia Santissimo Sacramento di Bari, 100 anni tra storia, fede e vita di comunità, a cura di Luca Anaclerio. Al mattino, presso il Museo diocesano di Bari, partecipa alla conferenza stampa di presentazione di BIBART, la prima Biennale internazionale d’Arte di Bari e Area Metropolitana (15 dicembre 2016-15 gennaio 2017), organizzata dalle associazioni Vallisa Cultura onlus e Federico II Eventi sul tema “La Ragione dell’Uomo”. Alla sera, in Cattedrale, partecipa all’incontro artistico “Natale insieme” organizzato dal Circolo delle Comunicazioni sociali “Vito Maurogiovanni” e finalizzata alla raccolta fondi per la mensa della Caritas di Santa Chiara. Al mattino, presso l’Ospedale oncologico Giovanni Paolo II, celebra la S. Messa. Al pomeriggio, presso l’Istituto Filippo Smaldone in Bari, incontra genitori e insegnanti delle scuole cattoliche sul tema “Famiglie in cammino”. Alla sera, presso la Terrazza di Casa Cascella, partecipa a un incontro culturale su San Nicola. Al pomeriggio, nella cripta della Cattedrale, presiede la celebrazione dei Vespri con i membri della Vita consacrata. Al mattino, presso la parrocchia “Sacro Cuore” in Bari, tiene la catechesi ai genitori dei bambini del catechismo e all’A.C. sulla coppia biblica Maria e Giuseppe. Alla sera, nella chiesa del Gesù in Bari, celebra la S. Messa per i cavalieri e le dame dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme. Al mattino, presso la Scuola Allievi della Guardia di Finanza in Bari, celebra la S. Messa in preparazione al Natale. Al pomeriggio, partecipa alla cerimonia di inaugurazione


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della nuova sede de “La Gazzetta del Mezzogiorno” in Piazza Moro. Al mattino, nella cappella dell’Ospedale S. Paolo in Bari, celebra la S. Messa in preparazione al Natale. Al pomeriggio, presso il Liceo Scientifico “A. Scacchi”, incontra studenti e docenti in occasione del Natale. Alla sera, nella sede del Rotary Club in Bari, incontra i soci per lo scambio degli auguri natalizi. Al mattino, presso la sede della Regione Puglia, partecipa alla commemorazione delle vittime dell’incidente ferroviario Corato-Andria. Successivamente, al C.A.R.A., in Bari-Palese, celebra la S. Messa in preparazione al Natale. Alla sera, presso la Casa Circondariale di Bari, celebra la S. Messa per i detenuti e il personale carcerario in preparazione al Natale. Al mattino, presso la chiesa di S. Chiara, celebra la S. Messa per la Soprintendenza delle Belle arti. Successivamente, presso la Curia arcivescovile, scambia gli auguri natalizi con i curiali e i collaboratori. Alla sera, presso la parrocchia “S. Croce” in Bari, celebra la S. Messa per l’anniversario della consacrazione della chiesa parrocchiale. In Cattedrale, celebra la S. Messa della Notte di Natale. Al mattino, nella Concattedrale di Bitonto, celebra la S. Messa del Giorno di Natale. Al mattino, in Cattedrale, celebra la S. Messa per l’ordinazione diaconale di Liberato De Caro, Giuseppe De Serio, Luigi Fanelli e Vito Frasca.

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D OCUMENTI

E

V ITA

DELLA

C HIESA

DI

B ARI -B ITONTO

INDICE GENERALE Indice generale dell’annata 2016

Lettera del Santo Padre Francesco a S.E. Mons. Francesco Cacucci in occasione del suo giubileo sacerdotale

127

La celebrazione dell’evento nella Cattedrale di Bari

129

DOCUMENTI DELLA CHIESA UNIVERSALE MAGISTERO PONTIFICIO Discorso in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario del Tribunale della Rota Romana

7

Messaggio per la L Giornata mondiale delle comunicazioni sociali: “Comunicazione e misericordia: un incontro fecondo”

11

Discorso ai Missionari della Misericordia

15

Dichiarazione congiunta di Sua Santità Bartolomeo I, Patriarca Ecumenico di Costantinopoli, di Sua Beatitudine Ieronymus, Arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia e del Santo Padre Francesco nel Campo profughi di Moria (Lesbo, 16 aprile 2016)

133

Discorso alla Conferenza Episcopale Italiana in apertura della 69ª Assemblea generale della CEI

137

Lettera apostolica in forma di motu proprio “Come una madre amorevole”

143

569


Lettera apostolica in forma di motu proprio istitutiva del Dicastero per i laici, la famiglia e la vita Lettera apostolica in forma di motu proprio istitutiva del Dicastero per lo sviluppo umano integrale Discorso nella Giornata mondiale di preghiera per la pace (Assisi, 20 settembre 2016) Discorso ai membri del Pontificio Istituto “Giovanni Paolo II” per gli studi sul matrimonio e la famiglia

215 217 223 383

Messaggio per la LIV Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni: “Sospinti dallo Spirito per la missione”

389

Discorso alla comunità del Pontificio Seminario Regionale Pugliese “Pio XI”

393

DOCUMENTI DELLA SANTA SEDE Congregazione per il Culto divino e la disciplina dei sacramenti Decreto “in Missa in Coena Domini”

19

Elevazione della celebrazione di santa Maria Maddalena al grado di festa: “Apostolorum Apostola”

147

Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica Linee orientative per la gestione dei beni degli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica

223

DOCUMENTI DELLA CHIESA ITALIANA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA 570

69ª Assemblea generale Comunicato finale dei lavori (Roma, 16-19 maggio 2016) Consiglio Permanente Comunicato finale dei lavori della sessione invernale (Roma, 25-27 dicembre 2015) Comunicato finale dei lavori della sessione autunnale (Roma, 26-28 settembre 2016)

151

21 235


INDICE GENERALE CONFERENZA EPISCOPALE PUGLIESE Consulta Regionale del laicato Il Convegno “I laici in una Chiesa in uscita”: relazione del prof. Giuseppe Micunco

401 403

DOCUMENTI E VITA DELLA CHIESA DI BARI-BITONTO Visita a Bari di S.S. il Patriarca Ecumenico Bartolomeo I, Arcivescovo di Costantinopoli-Nuova Roma: Laudatio dell’Arcivescovo Mons. Francesco Cacucci per il conferimento a S.S. il Patriarca Bartolomeo del premio “San Nicola” (Bari, Basilica di San Nicola, 5 dicembre 2016)

415

Lectio magistralis di S.S. Bartolomeo I durante l’apertura dell’anno accademico 2016-2017 della Facoltà Teologica Pugliese: “Adriatico e Ionio, mari di comunione” (Bari, Basilica di San Nicola, 5 dicembre 2016)

420

Omelia di S.S. Bartolomeo durante la celebrazione del Vespro per la consegna della chiesa del Sacro Cuore alla Comunità greco-ortodossa di Bari (Bari, 5 dicembre 2016)

429

Intervento di S.S. Bartolomeo durante la visita al Pontificio Seminario Regionale Pugliese “Pio XI” (Molfetta, 6 dicembre 2016)

432

Omelia dell’Arcivescovo nella S. Messa per la solennità di San Nicola, alla presenza di S.S. Bartolomeo (Basilica di S. Nicola, 6 dicembre 2016)

436

Intervento di S.S. Bartolomeo durante la S. Messa nella solennità di San Nicola (Bari, Basilica di S. Nicola, 6 dicembre 2016)

439

MAGISTERO E ATTI DELL’ARCIVESCOVO Omelia nella ordinazione episcopale di S.E. Mons. Luigi Renna, vescovo di Cerignola-Ascoli Satriano Saluto all’inaugurazione dell’anno giudiziario del Tribunale Ecclesiastico Regionale Pugliese “Con il cuore di Dio. Famiglie in cammino”: Proposta per il cammino pastorale 2016-2017

29 33 443

571


NOMINE

243

ASSEMBLEA DIOCESANA

243

L’Assemblea diocesana e la Traccia pastorale per l’anno 2016-2017 (Bari, 20 settembre 2016)

245

CURIA METROPOLITANA Vicariato generale La visita dell’Arcivescovo ai vicariati Ufficio per l’Ecumenismo e il Dialogo interreligioso La preghiera e la conversione del cuore nel movimento ecumenico Riflessioni sulla Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani Cancelleria Sacre ordinazioni e decreti

572

37

43 51, 157, 249, 475

Settore Presbiteri. Ufficio Presbiteri Le salde “fondamenta” della fede. Formazione del clero a Venezia

53

Settimana di formazione per i sacerdoti del decennio (20-24 giugno 2016)

253

Settore Diaconato e ministeri istituiti Relazione sulle attività pastorali del 2015-2016

255

Settore Vita consacrata A dieci anni dalla beatificazione di suor Elia di San Clemente

261

Settore Laicato. Consulta per le Aggregazioni laicali L’Assemblea della Consulta per la elezione del Segretario generale, del Comitato dei Presidenti, del Tesoriere

167

Settore Laicato. Ufficio Famiglia La Missione Giovani e la GMG

269

Settore Laicato. Sez. Confraternite Il Giubileo delle Confraternite dell’Arcidiocesi (4 luglio 2016)

311

Uffici: Liturgico, Arte sacra-Museo-Musica sacra, Notti sacre 2016

481

Settore Evangelizzazione. Uffici: Catechistico, Comunicazioni sociali. Missionario, Tempo libero e sport, Chiesa e mondo della cultura Incontro di formazione dei catechisti

57

Settore Evangelizzazione. Ufficio missionario Il concorso missionario “don Franco Ricci” – XV edizione

168


INDICE GENERALE Settore Carità. Ufficio Caritas Il Centro di ascolto “San Giuseppe Moscati” della parrocchia Sacro Cuore di Bari

61

Progetto “Convivialità delle differenze”. Uno spazio familiare dove vivere la genitorialità ‘liberata’ dalle sbarre del carcere

63

Settore Carità. Ufficio Migrantes Non è poi così difficile

65

CONSIGLI DIOCESANI Consiglio Pastorale diocesano Verbale della riunione del 3 febbraio 2016 Relazione del prof. Giuseppe Micunco su “Il V Convegno ecclesiale di Firenze

171 177

Consiglio Pastorale diocesano Verbale della seduta del 3 maggio 2016 Consiglio Presbiterale Diocesano-Consiglio Pastorale Diocesano Giornata di discernimento e sinodalità Verbale della riunione del 2 giugno 2016 “I giovani: la nostra profezia”: relazione di don Michele Birardi, direttore dell’Ufficio per la pastorale giovanile

495

499

FONDAZIONE FRAMMENTI DI LUCE “Frammenti di luce”. Al servizio della Bellezza... con Arte

315

573

ISTITUTO SUPERIORE DI SCIENZE RELIGIOSE “ODEGITRIA” Relazione del Direttore in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico 2016-2017 (Bari 10 novembre 2016)

545

AZIONE CATTOLICA ITALIANA Scuola Diocesana Unitaria di Azione Cattolica: “Essere famiglia oggi” (Bari, 7, 14 e 16 ottobre 2016)

553


TRIBUNALE ECCLESIASTICO REGIONALE PUGLIESE Relazione del vicario giudiziale sa. Pasquale Larocca Relazione di S.E. mons. Bruno Forte, Arcivescovo di Chieti-Vasto Recezione e applicazione del MIDI nella Regione ecclesiastica pugliese: relazione del vicario giudiziale sac. Pasquale Larocca (Roma, 17 maggio 2016)

69 81

183

FONDAZIONE S. NICOLA E SS. MEDICI - FONDO DI SOLIDARIETÀ ANTIUSURA Relazione socio-pastorale 2015-2016

321

CENTRO STUDI STORICI DELLA CHIESA DI BARI-BITONTO La Chiesa barese e la Prima Guerra Mondiale (Bari, 26 ottobre 2016)

355

PUBBLICAZIONI

105

NELLA PACE DEL SIGNORE Don Gaetano Tomanelli

109

DIARIO DELL’ARCIVESCOVO

574

Gennaio 2016 Febbraio 2016 Marzo 2016 Aprile 2016 Maggio 2016 Giugno 2016 Luglio 2016 Agosto 2016 Settembre 2016 Ottobre 2016 Novembre 2016 Dicembre 2016

111 113 117 197 200 203 369 370 371 557 561 564




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