Il racconto dei tre rinnegamenti di Pietro nei Vangeli sinottici, "Uscito fuori pianse amaramente"

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FACOLTÀ TEOLOGICA DI SICILIA

STUDIO TEOLOGICO S. PAOLO CATANIA __________________________________________________

IGNAZIO COCO

«USCITO FUORI, PIANSE AMARAMENTE» Il racconto dei tre rinnegamenti di Pietro nei vangeli Sinottici

______________________ Tesi per il Baccalaureato in Teologia

______________________

Relatore: Ch.mo Prof. ATTILIO GANGEMI

__________________________________________________ Anno accademico 2005-2006


Benedirò il Signore in ogni tempo, sulla mia bocca sempre la sua lode (Salmo 33,2). Ai miei genitori che mi hanno ininterrottamente accompagnato e sostenuto lungo il cammino del seminario e dello studio. A mia nonna Giovannina e ad Anna Russo che dalla Casa del Padre continuano a rendersi presenti nella mia vita mediante la loro preghiera ed intercessione.

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Il diniego di Pietro, DUCCIO DI BUONINSEGNA, Museo dell'opera del Duomo, Siena.

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Premessa

In questa premessa considero quattro aspetti: lo scopo e l’indole del presente lavoro, il metodo usato, i limiti, la bibliografia. Propongo anche, come quinto aspetto, una divisione del lavoro.

1. Lo scopo e l’indole Lo scopo per cui ho intrapreso questo lavoro fondamentalmente è quello di avere un’ulteriore possibilità di accostamento alle Sacre Scritture. Dopo avere seguito nel quinquennio teologico tutti i corsi di esegesi ho desiderato riprendere e sviluppare, in maniera più specifica, un qualche aspetto particolare. Da tale ulteriore accostamento mi prefiggo due vantaggi: uno spirituale e un altro pastorale. Dal punto di vista spirituale questo lavoro sicuramente accrescerà in me il gusto delle Sacre Scritture, alle quali il cristiano deve sempre riferirsi nella sua vita; dal punto di vista pastorale esso mi aiuterà a perfezionare un metodo di accostamento ai testi biblici, indispensabile a chi, come me, è chiamato ad essere annunziatore della Parola di Dio. Il tema specifico poi, i tre rinnegamenti di Pietro, mi ha affascinato fin da quando mi sono accostato, nel terzo anno del quinquennio teologico, in maniera più sistematica ai Vangeli. Parlando della narrazione della passione, il relatore sottolineò che il vero dramma non era la passione e morte di Gesù, peraltro già preannunziate dalle Scritture, bensì era, oltre al tradimento di Giuda, il 4


sonno e la mancanza di preghiera dei discepoli al Getsemani, la loro fuga al momento della cattura di Gesù, il rinnegamento di Pietro nel palazzo del sacerdote. Tuttavia, a differenza del tradimento di Giuda, il rinnegamento di Pietro aveva un epilogo positivo: egli, dopo il suo peccato, aveva pianto amaramente, suggerendo così implicitamente ai vangeli che egli aveva ritrovato la via della salvezza. Ho compreso che il racconto dei rinnegamenti di Pietro conteneva un messaggio spirituale per tutti i cristiani, ed ho pensato che poteva essere fruttuoso affrontare questo tema. In maniera più personale, l’esperienza di Pietro costituisce poi un motivo di fiducia e di speranza anche per la mia vita personale e il mio futuro ministero presbiterale. Spesso ci si sente assaliti dalla paura di non riuscire a perseverare nella fedeltà cristiana e sacerdotale. L’esperienza di Pietro mostra che non è importante non avere momenti di debolezza, ma è importante riconoscerli, piangere amaramente su di essi, tornare a Gesù e riprendere il cammino.

2. Il metodo usato Il metodo usato perciò è stato quello strettamente esegetico, servendomi di tutti i metodi che l’esegesi moderna indica e che sono richiesti dal testo stesso. In particolare mi sono aperto, dove era necessario, alla critica testuale, all’analisi strutturale, alla ricerca terminologica, soprattutto ho privilegiato il metodo del confronto.

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In particolare, ho confrontato letterariamente e tematicamente i racconti dei tre evangelisti; ho riletto poi diacronicamente e sincronicamente i singoli elementi.

3. I limiti Riconosco i limiti del mio lavoro. Essi sono di due tipi e riguardano

sia,

oggettivamente,

il

tema

in

se

stesso,

sia,

soggettivamente, anche il modo come ho condotto l’analisi. I limiti soggettivi riguardano l’applicazione dei metodi esegetici sopra indicati. Pur avendo seguito nel quinquennio i corsi soprattutto di

NT,

mi sono trovato infatti alla prima esperienza di un lavoro a

diretto contatto con il testo. Non posso perciò non riconoscere una certa rudimentalità nel mio accostamento. I limiti oggettivi poi sono stati imposti dal testo stesso, il racconto dei rinnegamenti di Pietro nei vangeli Sinottici, che ha indotto man mano ad operare delle scelte. Esso infatti, inserito nel contesto del processo di Gesù davanti al Sinedrio e nel contesto più ampio della narrazione della passione, avrebbe dovuto essere letto anche alla luce di questi due contesti. In particolare, segnalo nel mio lavoro un limite specifico. In tutti e quattro i vangeli i tre rinnegamenti di Pietro sono preceduti dalla narrazione della predizione di Gesù. Questa avvenne, secondo Matteo e Marco, nel cammino verso il Getsemani quando Gesù, alla luce dell’oracolo di Zaccaria, preannunziò ai discepoli lo scandalo che avrebbero patito in quella notte. Secondo Luca, e anche secondo Giovanni, invece avvenne nel contesto della cena. 6


Ho tralasciato di considerare anche la predizione di Gesù sia perché, come anche il relatore mi ha suggerito, non l’ho ritenuta indispensabile allo sviluppo del presente lavoro, sia anche perché avrei dovuto probabilmente considerare anche il contesto peculiare in cui essa è inserita. Alla predizione di Gesù accennerò nelle conclusioni a tutto il lavoro.

4. La Bibliografia Pure la bibliografia è limitata. Ho potuto utilizzare soltanto i testi che ho trovato in loco nella biblioteca dello Studio Teologico S. Paolo di Catania ed altri che sono riuscito a reperire altrove, grazie all’aiuto del relatore. Mi sono servito prevalentemente dei commentari dei tre vangeli sinottici e di altri Studi monografici riguardanti specificamente i tre rinnegamenti di Pietro. Ho compilato la lista bibliografica servendomi delle liste e delle citazioni proposte dai vari autori nei loro commentari e studi, e consultando anche, con l’aiuto del relatore, l’Elencus Bibliographicus edito dal Pontificio Istituto Biblico e dalla Rivista New Testament Abstracts che, da quasi cinquanta anni, segnala tutti gli studi riguardanti il NT. Nella selezione delle opere bibliografiche ho scelto soltanto quelle che, in base ai titoli o ai sommari proposti da altri autori, mi sembravano più importanti e pertinenti. La quasi totalità degli studi indicati in bibliografia sono citati nel corso del lavoro. Qualche altro studio, pur consultato e indicato, si è rivelato poco utile al mio scopo; qualche altro non è stato citato nel corso del lavoro perché non è stato possibile reperirlo. 7


5. La divisione del lavoro Dopo la premessa, le sigle e abbreviazioni, e l’introduzione, divido il mio lavoro in sei capitoli. Nel primo capitolo propongo un confronto più generico dei tre rinnegamenti nei vangeli Sinottici. Nel secondo, terzo e quarto capitolo considero, in maniera più specifica, rispettivamente il primo, secondo e terzo rinnegamento nei racconti dei tre evangelisti. Nel quinto capitolo rileggo in maniera sincronica gli elementi peculiari dei tre rinnegamenti. Infine, nel sesto capitolo considero specificamente il verbo a\(pa)rneéomai nel NT e rileggo i tre rinnegamenti di Pietro alla luce dei loghia evangelici sulla sequela e la confessione di Gesù. Seguono infine le conclusioni, la bibliografia e l’indice.

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Sigle e Abbreviazioni

BibOr

Bibbia e Oriente (Milano)

BibRes

Biblical Research (Chicago);

BibToday

The Bible Today (Collegeville NY);

BZ

Biblische Zeitschrift (Paderbon);

CBQ

Catholic Biblical Quarterly (Washington);

BibKir

Bibel und Kirche (Stuttgart);

ChurchQuartRev

Church Quarterly Review (London);

CiencTom

Ciencia Tomista (Salamanca);

DownRev

Downside Review (Bath);

EspVie

Esprit et Vie (Langres);

EThRel

Études Théologiques et Religieuses (Montpellier);

EvT

Evangeliche Theologie (München);

ExpTim

Expository Times (Edinbourgh);

GLNT

Grande Lessico del Nuovo Testamento (Brescia);

JSNT

Journal for the Study of the New Testament (Sheffield);

NRTh

Nouvelle Revue Théologique (Louvain);

NTS

New Testament Studies (Cambridge);

RHPhR

Revue

d’Histoire

et

de

Philosophie

Religieuses (Strasbourg); RB

Revue Biblique (Paris);

RevAfricThéol

Revue Africaine de Théologie (Alger); 9


RevThéolLouv

Revue théologique de Louvain (Louvain);

SciEccl

Sciences Ecclesiastiques (Montréal);

ScottJTh

Scottish Journal of Theology (London);

StudPat

Studia Patavina (Pavia);

TQ

Theologische Quartalschrift (Tübingen);

VD

Verbum Domini (Roma);

ZNW

Zeitschrift

für

die

neutestamentlische

Wissenschaft (Berlin); ZSTh

Zeitschrift für die systematische Theologie (Berlin);

ZTK

Zeitschrift für Theologie und Kirche (Tübingen).

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INTRODUZIONE

In tutti e quattro gli evangelisti la narrazione della passione si articola in cinque parti fondamentali: 1. Gli eventi al Getsemani; 2. Il processo di Gesù davanti ai giudei; 3. Il processo di Gesù davanti a Pilato; 4. Gli eventi al Calvario; 5. La sepoltura. Fermando la nostra attenzione sulla seconda parte, il processo di Gesù davanti ai giudei, notiamo una differenza fondamentale tra Giovanni ed i Sinottici: questi narrano il processo davanti al Sinedrio; Giovanni invece riferisce un dialogo tra Gesù e un certo sacerdote Anania o Anna. Prescindiamo nel nostro lavoro dai problemi specifici che questa differenza comporta; ci è sufficiente notare come Giovanni e i Sinottici concordano nel fatto che, in entrambi i casi, si tratta di giudei. C’è però una concordanza fondamentale tra i quattro evangelisti: nel contesto di questo processo, sia davanti al Sinedrio come davanti ad Anna, tutti narrano i rinnegamenti di Pietro. Ciò pone il problema se Pietro abbia rinnegato nel luogo dove si radunava il Sinedrio, come esplicitamente dichiarano Matteo e Marco o se nel cortile del palazzo di Anna come vuole Giovanni e come sembra anche insinuare Luca.

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Questo problema è un problema storico dal quale però anche prescindiamo nel nostro lavoro. Mentre tutti i vangeli menzionano concordemente i rinnegamenti, emergono però tra di essi delle differenze cronologiche e letterarie. Dal punto di vista cronologico tutti, come indica la menzione del canto del gallo, collocano i rinnegamenti di Pietro durante la notte. Mentre però Matteo e Marco li menzionano dopo il processo davanti al Sinedrio avvenuto di notte, Luca li colloca prima di quel processo avvenuto, secondo lui, al mattino. Emerge allora il seguente schema: Matteo / Marco

Luca

Processo davanti al Sinedrio

Rinnegamenti di Pietro

Rinnegamenti di Pietro

Processo davanti al Sinedrio

Questa inversione letteraria di ordine pone il problema se c’è una relazione tematica e teologica tra le due parti e quale essa sia. Prescindendo anche da quest’ultima problematica, notiamo un’altra differenza tra i Sinottici e Giovanni. Mentre i Sinottici menzionano i tre rinnegamenti insieme, come una unità letteraria, prima o dopo del processo davanti al Sinedrio, Giovanni invece smembra letterariamente i tre rinnegamenti, inserendo, tra il primo e il secondo, la narrazione del processo-dialogo tra Gesù ed Anna. Come abbiamo detto nella premessa, il nostro studio riguarda soltanto la narrazione nei Vangeli Sinottici, essendo a conoscenza del fatto che un collega sta lavorando sui rinnegamenti di Pietro nel Vangelo di Giovanni.

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Capitolo Primo: I TRE RINNEGAMENTI DI PIETRO NEI VANGELI SINOTTICI

Tutti e quattro gli evangelisti parlano dei tre rinnegamenti di Pietro. Limitandoci specificamente ai vangeli Sinottici, essi, nel vangelo di Matteo, sono contenuti in 26,69-75; nel vangelo di Marco si trovano in 14,66-72; nel vangelo di Luca infine in 22,54-62. In tutti i vangeli essi sono inseriti nel contesto della narrazione della passione. Insieme alla narrazione dei tre rinnegamenti, i vangeli narrano anche la loro predizione da parte di Gesù. Da essa però prescindiamo nel presente lavoro.

1. Il vangelo di Matteo Nel vangelo di Matteo i rinnegamenti sono immediatamente preceduti dai vv 67-68, dove sono narrati i maltrattamenti e gli scherni inflitti a Gesù da parte di soggetti non ben definiti. Risalendo poi ancora, nei vv 59-66, è narrato il processo notturno davanti al Sinedrio, che si conclude con la dichiarazione dei sinedriti che Gesù è reo di morte. Nel precedente v 58, era stata introdotta la figura di Pietro che segue da lontano. E infine, nel v 57, è menzionata la cattura e la conduzione di Gesù nella casa del sacerdote Caifa. Rileggendo il vangelo di Matteo, dopo gli eventi al Getsemani, che si concludono con la cattura e con la conseguente fuga dei discepoli (v 56), abbiamo il seguente ordine di eventi:

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1. (v 57): Gesù è catturato al Getsemani e condotto da Caifa; 2. (v 58): Pietro segue da lontano; 3. (vv 59-66): il processo notturno davanti al sinedrio; 4. (vv 67-68): i maltrattamenti e gli scherni inflitti a Gesù; 5. (vv 69-75): seguono poi subito dopo i tre rinnegamenti di Pietro. Dopo i tre rinnegamenti, segue, in 27,1, la menzione di un secondo raduno, stavolta diurno, del sinedrio. Segue, nel v 2, il trasferimento di Gesù dal Sinedrio al pretorio di Pilato. Nel v 3 poi, fino al v 10, Matteo narra il triste epilogo di Giuda; comunque questo episodio non verrà sviluppato poiché non rientra tra gli obiettivi del presente lavoro. Al nostro scopo è sufficiente notare che di Pietro non si parlerà più in tutta la narrazione della Passione, anzi in tutta la narrazione evangelica.

2. Il vangelo di Marco La narrazione di Marco sostanzialmente coincide con quella di Matteo. Anche in Marco, risalendo dai vv 66-72, nel v 65 sono menzionati i maltrattamenti e gli scherni. Risalendo poi ancora, nei vv 55-64, è narrato il processo notturno davanti al sinedrio, che si conclude con la dichiarazione dei sinedriti che Gesù è reo di morte. Nel v 54 anche il secondo evangelista narra che Pietro, dopo la cattura di Gesù al Getsemani e la conseguente fuga di tutti i discepoli, seguiva Gesù da lontano.

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Infine, nel v 53, è menzionata la conduzione di Gesù dal Getsemani alla casa del sacerdote, dove si radunarono tutti i membri del Sinedrio, elencati nelle tre categorie di: sacerdoti, anziani e scribi1. Rileggendo ancora in maniera successiva gli avvenimenti narrati da Marco, dopo la fuga dei discepoli al Getsemani (v 50)2 seguono: 1. (v 53):

la conduzione di Gesù nella casa del sommo sacerdote;

2. (v 54):

la menzione della sequela di Pietro;

3. (vv 55-64): il processo davanti al Sinedrio; 4. (v 65):

la narrazione dei maltrattamenti e degli scherni inflitti a Gesù;

5. (vv 66-72): i tre rinnegamenti di Pietro. Dopo i tre rinnegamenti, in 15,1a, anche Marco menziona un secondo raduno del sinedrio, al mattino, al quale segue poi, nel v 1b, la narrazione della conduzione di Gesù dal Sinedrio al pretorio di Pilato3.

3. Rilettura di Matteo e Marco Come possiamo notare, dopo gli eventi al Getsemani e prima del processo davanti a Pilato, negli eventi gravitanti attorno al processo davanti al sinedrio, i due evangelisti procedono parallelamente nei seguenti punti:

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In questo punto Marco diverge rispetto a Matteo in due particolari: omette anzitutto la menzione della cattura, e omette poi la specifica menzione di Caifa, limitandosi a menzionare soltanto il sommo sacerdote. 2 Marco, unico tra tutti gli evangelisti, dopo la fuga dei discepoli, introduce nei vv 51-52 l’episodio del giovane che seguiva rivestito da una sindone, ma che poi fuggì nudo, al momento in cui fu catturato. 3 Marco non dice nulla sulla sorte di Giuda, menzionata da Matteo tra la conduzione di Gesù a Pilato e l’inizio del processo romano. 15


1. Conduzione di Gesù dal sacerdote davanti al sinedrio; 2. Sequela di Pietro da lontano; 3. Processo davanti al sinedrio; 4. Maltrattamenti e insulti contro Gesù; 5. I tre rinnegamenti di Pietro; 6. Secondo raduno del sinedrio. In Matteo e in Marco perciò i tre rinnegamenti sono menzionati dopo il processo davanti al sinedrio e dopo i maltrattamenti inflitti a Gesù.

4. Il vangelo di Luca Anzitutto anche Luca parla della conduzione di Gesù in casa del sommo sacerdote (ei\v thèn oi\kòan tou% a\rciereéwv) (v 54a). Come in Marco, anche Luca introduce il termine a\rciereéwv mediante l’articolo tou%. Non si tratta perciò di un sacerdote qualsiasi, bensì del sommo sacerdote, che però anche Luca evita di menzionare. Segue poi (v 54b) ancora la menzione della sequela di Pietro. A differenza però di Matteo e Marco, Luca non introduce subito la menzione del processo davanti al sinedrio, ma direttamente i tre rinnegamenti di Pietro (vv 55-62). Ai tre rinnegamenti segue poi anche in Luca, nei vv 63-65, la menzione dei maltrattamenti e degli scherni inflitti a Gesù. Infine, nei vv 66-71, abbiamo il processo davanti al sinedrio che, a differenza di Matteo e Marco, esplicitamente da Luca è collocato al mattino4.

4

Cfr v 66: «come si fece giorno (w|v e\geéneto h|meéra)». 16


Nella narrazione Lucana perciò troviamo la seguente successione di eventi: 1. (v 54a):

la conduzione di Gesù dal sacerdote;

2. (v 54b):

la sequela di Pietro;

3. (v 55):

Pietro che stava con i servi;

4. (vv 56-62): i tre rinnegamenti; 5. (vv 63-65): gli scherni; 6. (vv 66-71): il processo davanti al sinedrio al mattino. Possiamo confrontare lo schema di Luca con quello di Matteo e Marco: Matteo e Marco

Luca

1. Conduzione al sinedrio;

1. Conduzione al sacerdote;

2. Sequela di Pietro;

2. Sequela di Pietro;

3. Pietro che stava con i servi;

3. Pietro che stava con i servi;

4. Processo davanti al sinedrio; 4. Rinnegamenti; 5. Maltrattamenti ed insulti;

5. Maltrattamenti ed insulti;

6. Rinnegamenti di Pietro;

6. Processo davanti al sinedrio.

7. Secondo raduno del sinedrio. Le due tradizioni, quella matteo - marciana e quella lucana, in parte concordano, in parte divergono. Concordano nei primi tre elementi, cioè nella conduzione di Gesù al sinedrio (Matteo e Marco) o dal sacerdote (Luca), nella sequela di Pietro e nella sua posizione tra i servi.

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Discordano poi soprattutto nel fatto che Luca trasferisce al mattino quel processo davanti al sinedrio che, secondo Matteo e Marco, sarebbe avvenuto invece durante la notte. Ciò determina un’altra differenza: i tre rinnegamenti di Pietro che, secondo Matteo e Marco, sarebbero avvenuti dopo quel processo nel quale Gesù fu dichiarato reo di morte, secondo Luca invece sarebbero avvenuti prima. I tre evangelisti concordano nel fatto che i tre rinnegamenti avvennero di notte, ma, mentre secondo Matteo e Marco avvennero dopo il processo notturno davanti al Sinedrio e dopo la menzione degli scherni, secondo Luca invece avvennero prima sia del processo che degli scherni.

5. Il vangelo di Giovanni Nel confronto dei rinnegamenti di Pietro, i quali sono narrati dai vangeli Sinottici, in parte ci riferiamo anche a Giovanni che narra pure a riguardo di essi. Notiamo subito però una differenza fondamentale tra Giovanni e i Sinottici. Mentre i tre vangeli Sinottici fanno seguire i tre rinnegamenti l’uno dopo l’altro senza alcuna interruzione, Giovanni invece introduce una divisione, collocando tra il primo e il secondo rinnegamento una lunga parte riguardante sia la posizione di Pietro, sia anche, e soprattutto, il dialogo tra Gesù e il sacerdote Anna (cfr Gv 18,19-24). Non interessa al nostro lavoro specificamente la narrazione giovannea, riteniamo utile tuttavia proporre, anche in relazione al quarto evangelista, uno schema strutturale.

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Dopo il primo rinnegamento, in 18,17, Giovanni introduce, nel v 18, una duplice narrazione, riguardante sia l’azione dei servi, i quali, avendo fatto del fuoco, si scaldavano, sia anche la posizione di Pietro che stava con loro e si scaldava. Nei vv 19-24 poi l’evangelista riferisce il dialogo tra Gesù ed Anna, caratterizzato anche dall’intervento repressivo di un servo che diede uno schiaffo a Gesù. Nel v 25a poi, l’evangelista ripropone, con qualche differenza, la menzione della posizione di Pietro, già descritta nel v 18; quindi, nel v 25b, introduce la seconda domanda a Pietro, seguita dal secondo rinnegamento. Possiamo proporre il seguente schema strutturale del racconto giovanneo: 1. (v 17): leégei ou&n t§% Peétr§ h| paidòskh h| qurwroév: mhè kaì suè e\k tw%n maqhtw%n eù tou% a\nqrwépou touétou; leégei e\ke_nov: ou\k ei\mò 2. (v 18): ei|sthékeisan deè oi| dou%loi kaì oi| u|phreétai a\nqrakòan

pepoihkoétev,

o$ti

yu%cov

h&n,

kaì

e\qermaònonto: h&n deè kaì o| Peétrov met’au\tw%n e|stwèv kaì qermainoémenov 3. (vv 19-24): dialogo tra Gesù ed Anna 4. (v 25a): h&n deè Sòmwn Peétrov e|stwèv kaì qermainoémenov, 5. (v 25b): ei&pon ou&n au\t§%: mhè kaì suè e\k tw%n maqhtw%n au\tou% eù; h\rnhésato e\ke_nov kaì eùpen: ou\k ei\mò

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Come possiamo constatare dallo schema proposto, l’evangelista separa la prima domanda a Pietro, con il conseguente rinnegamento, dalla seconda. Nelle due domande sono identiche le parole mhè kaì suè e\k tw%n maqhtw%n eù (forse che anche tu dei discepoli sei?). Le domande stesse però presentano due differenze. Anzitutto nella prima domanda chi interroga Pietro è la serva portinaia (h| paidòskh h| qurwroév), mentre nella seconda quelli che interrogano restano molto vaghi; l’evangelista usa una forma verbale alla terza persona plurale generica: «dissero (eùpon)». La seconda differenza riguarda il modo come Gesù è indicato: mentre nella prima domanda leggiamo l’espressione lunga «di quest’uomo (tou% a\nqrwépou touétou)», nella seconda domanda invece Gesù è semplicemente alluso soltanto con il pronome personale di terza persona singolare «di lui (au\tou%)»5. Pure i due rinnegamenti di Pietro sono identici, varia la formula introduttiva6. Le identiche parole di Pietro sono brevi e laconiche, drammatiche nella loro brevità: ou\k ei\mò (non sono).

5

Si può notare anche una terza differenza, che riguarda l’ordine delle parole. Nella prima domanda il verbo eù precede l’espressione tou% a\nqrwépou touétou (eù tou% a\nqrwépou touétou); nella seconda domanda il verbo eù invece segue il pronome au\tou% (au\tou% eù). Si ottiene così il seguente schema concentrico: eù tou% a\nqrwépou touétou au\tou% eù 6 Nel v 17 la formula introduttiva è leégei e\ke_nov; nel v 25b il verbo al presente leégei è sostituito con il verbo aoristo eùpen, e questo è ampliato mediante le parole h\rnhésato e\ke_nov (negò quello). 20


Dopo il primo rinnegamento, l’evangelista, nel v 18, nota che: «stavano i servi e i ministri avendo fatto del fuoco e si scaldavano; anche Pietro era con loro stante e scaldandosi». Quest’ultima frase, riguardante la posizione di Pietro, è quasi identica a quella che l’evangelista riproporrà nel v 25a, dove tornerà ancora a menzionare questa posizione. Possiamo stabilire tra le due espressioni il seguente confronto: 18b

25a

h&n

h/n

deè

deè

kaì o| Peétrov

Sòmwn Peétrov

met’au\tw%n e|stwèv

e|stwèv

kaì

kaì

qermainoémenov

qermainoémenov

Come appare da questo confronto, le due espressioni sono quasi identiche. Prescindendo dal fatto che, nel v 25a, l’evangelista passa da o| Peétrov a Sòmwn Peétrov, notiamo soltanto due differenze, che però si rivelano fondamentali. Anzitutto l’evangelista, nella seconda frase, omette sia la particella kaò che l’espressione pronominale met’au\tw%n. Omettendo nel v 25b questi due elementi, l’evangelista passa a descrivere la posizione di Pietro da una prospettiva più relazionale a una prospettiva più assoluta. Nel v 18 i due elementi, la particella kaò e l’espressione pronominale met’au\tw%n, indicavano che Pietro partecipava anche lui 21


ad un gruppo dove era inserito; nel v 25b invece egli è presentato come se fosse solo. Si capisce allora perché l’evangelista enfatizzi il nome di Pietro con quello più ampio di Simon Pietro. Al centro risaltano i vv 19-24 che descrivono il dialogo tra Gesù ed Anna, che sembra costituire il cuore di tutta la narrazione giovannea del processo di Gesù davanti ai giudei. Possiamo allora concludere che il quarto evangelista, a differenza dei vangeli Sinottici, smembra i tre rinnegamenti di Pietro, inserendoli, in maniera stretta, come parte integrante, nel contesto più ampio del dialogo tra Gesù ed Anna. Possiamo cogliere così, tra il primo e il secondo rinnegamento, uno sviluppo concentrico in cinque punti, che proponiamo nel seguente modo: 1. (v 17): primo rinnegamento; 2. (v 18): posizione di Pietro che stava e si scaldava; 3. (vv 19-24): dialogo tra Gesù ed Anna; 4. (v 25a): posizione di Pietro che stava e si scaldava; 5. (v 25b): secondo rinnegamento. Seguono poi nella narrazione del quarto evangelista altri due elementi: 1. (v 26): Il terzo rinnegamento; 2. (v 27): il canto del gallo7. Tutte queste osservazioni ci confermano quanto abbiamo detto prima, che, mentre i tre vangeli Sinottici presentano insieme i tre

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Possiamo notare che, a differenza dai tre vangeli Sinottici, il quarto evangelista non parla del pianto di pentimento di Pietro. 22


rinnegamenti, costituendo così un unico blocco letterario, Giovanni invece separa il primo dal secondo. La struttura letteraria sopra proposta ci dice che tale smembramento non è casuale, bensì intenzionale nell’evangelista: egli lo ha attuato per dei motivi la cui considerazione però esorbita dal nostro lavoro.

6. Osservazioni generali Proprio l’intenzionalità giovannea sopra indicata, che emerge dalla precisa struttura letteraria di tutto il racconto, ci permette di cogliere due aspetti: Anzitutto i tre vangeli Sinottici, dal punto di vista della connessione dei tre rinnegamenti, sembrano rispecchiare meglio la tradizione. Questa li aveva trasmessi come un blocco unico, che il quarto evangelista avrebbe poi smembrato. Giustamente nota Morris8 che è inverosimile che essi siano avvenuti in stretta successione. Come vedremo in seguito, gli stessi evangelisti offrono degli indizi che permettono di concludere che tra l’un rinnegamento e l’altro deve essere intercorso un certo lasso di tempo. Inoltre il fatto che i tre rinnegamenti sono riferiti da tutti e quattro gli evangelisti indica che essi furono ricordati molto presto nella chiesa primitiva. Prescindiamo però nel nostro lavoro dal racconto di Giovanni dei rinnegamenti di Pietro (Gv 18,12-27) e fermiamo la nostra attenzione soltanto sui vangeli sinottici.

8

Cfr L. MORRIS, The Gospel according to Matthew, Grand Rapids 1992, 687; cfr anche ID., Luke, Grand Rapids 19892, 315. 23


7. I tre rinnegamenti nella valutazione degli interpreti Prescindendo dalla storia delle tradizioni ricostruita da Klein9 e anche dalla storia dell’interpretazione proposta da Herron10, che direttamente non rientrano nel nostro lavoro, le osservazioni proposte dagli interpreti riguardano la storicità dei rinnegamenti, l’unità letteraria dei racconti stessi, i motivi per cui Pietro rinnegò, il confronto tra gli evangelisti, lo scopo per cui i rinnegamenti di Pietro furono narrati.

7.1. La storicità dei rinnegamenti A riguardo della storicità dei rinnegamenti di Pietro, gli interpreti in genere concordano. Bonnard11 osserva che essi, nell’insieme, hanno il carattere di verosimiglianza storica; non si vede infatti quale avrebbe potuto essere l’origine cultuale o apologetica di tali racconti12. Boyd13 poi nota che soprattutto il racconto di Marco rivela un progresso nel grado della defezione di Pietro così psicologicamente vero, che deve ricondursi ad un avvenimento reale e non ad una costruzione letteraria.

9

Cfr G. KLEIN, Die Verleugnung des Petrus. Eine traditionsgeschichtliche Untersuchung, in ZTK 58 (1961) 285-328; cfr in questo senso anche T.E. BOMERSHINE, Peter’s Denial as Polemic or Confession: The Implications of Media Criticism for Biblical Hermeneutics, in Semeia 39 (1987) 47-68 e N. WALTER, Die Verleugnung des Petrus, in Theologsche Versuche 8 (1977) 45-61. A Klein però risponde Linnemann, cfr E. LINNEMANN, Die Verleugnung des Petrus, in ZTK 63 (1966) 1-32. 10 Cfr R.W.Jr. HERRON, Mark’s Account of Peter’s Denial of Jesus: A History of Its Interpretation, New York 1981. 11 Cfr P. BONNARD, L’évangile selon Saint Matthieu, Paris 19702, 391. 12 Cfr anche in questo senso HILL D., The Gospel of Matthew, Grand RapidsLondon 1972, 347. 13 Cfr W.J.P. BOYD, Peter’s Denial – Mark 14,68; Luke 22,57, in ExpTim 67 (1955-56) 340-342: 341. 24


Tuttavia Thompson14, pur concordando nella globale storicità dell’avvenimento, ritiene più storico il racconto giovanneo, per il fatto che nel quarto Vangelo manca il pentimento di Pietro.

7.2. L’unità letteraria dei racconti stessi In genere gli interpreti non fanno problema a riconoscere che, nei vangeli sinottici, il racconto dei tre rinnegamenti di Pietro costituisce una unità letteraria. Limitandoci in maniera esemplificativa soltanto a qualche autore, Pesch15 nota che il racconto sinottico dei rinnegamenti costituisce una unità non scomponibile. Osserva tuttavia che il testo attuale però non consente di dedurre che la storia del rinnegamento fosse, all’origine, una unità narrativa che circolava separatamente e, solo in un secondo momento, sarebbe stata introdotta nel contesto. Altrove lo stesso autore16 specifica che il racconto del rinnegamento non è né una unità isolata dalla narrazione della passione, né è costituita da unità separate. Taylor17 osserva pure che la storia del rinnegamento di Pietro forma una unità letteraria, in cui l’interesse si apre verso una conclusione drammatica. Wilcox18 però, a riguardo di Marco, osserva che, nel c 14, anche il v 54 faceva parte di un blocco della storia del rinnegamento, nei vv 66-72, interrotto poi dalla narrazione del processo davanti al Sinedrio. 14

Cfr J.R. THOMPSON, Saint Peter’s Denials, in ExpTim 47 (1935-1936) 381-382: 382. 15 Cfr R. PESCH, Il Vangelo di Marco, II, trad. it., Brescia 1982, 655. 16 Cfr ID., R. PESCH, Die Verleugnung des Petrus. Eine Studie zu Mk 14,54.66-72 (und Mk 14,26-31), in Neues Testament und Kirche, a cura di J. Gnilka, Freiburg 1974, 42-62: 53. 17 Cfr V. TAYLOR, Marco, trad. it., Assisi 1977, 571. 25


Quanto poi al mescolamento di paralleli e differenze tra Giovanni e i Sinottici, che troviamo nei racconti dei rinnegamenti, Fortna19 ritiene che ciò probabilmente è il prodotto di tradizioni parallele ma distinte, relativamente non toccate dall’attività redazionale degli evangelisti. Nel problema della storicità dei rinnegamenti può rientrare anche quello della loro fonte. Da dove partì la tradizione nella chiesa dei rinnegamenti di Pietro? Morris20, giustamente a nostro parere, osserva che essa poteva provenire soltanto da Pietro. Pietro poi avrebbe narrato i suoi rinnegamenti perché la chiesa doveva sapere che aveva un capo debole e peccatore, che certo aveva peccato, ma che tuttavia si era pentito e il Signore lo aveva condotto in alto.

7.3. I motivi per cui Pietro rinnegò I motivi per cui Pietro rinnegò, sono facilmente comprensibili. È lo stesso motivo per cui i discepoli, al momento della cattura al Getsemani, fuggirono tutti. Possiamo supporre che Pietro, quasi sfidando se stesso, volle darsi coraggio e, pur da lontano, seguì Gesù. Poi però, nel cortile del sacerdote, di fronte alla realtà dei fatti, sarebbe stato sopraffatto dalla paura.

18

Cfr M. WILCOX, The Denial Sequence in Mark 14,26-31.66-72, in NTS 17 (1970-1971) 426-436: 433. 19 Cfr R.T. FORTNA, Jesus and Peter at the High Priester’s House. A Test Case for the Question of the Relation between Mark’s and John’s Gospels, in NTS 24 (1978) 371-383: 382. 20 Cfr L. MORRIS, The Gospel according to Matthew, cit., 688. 26


Gardiner21 però spiega, forse gratuitamente, che Pietro sapeva che, se si fosse presentato come discepolo, sarebbe stato cacciato dal posto dove invece egli voleva trovarsi. Morris22 invece ritiene che Pietro rinnegò, non perché attualmente era oggetto di ostilità, ma perché quello non era il momento di correre rischi.

7.4. Il confronto tra gli evangelisti Confrontando infine il racconto dei quattro evangelisti, Guyot23 conclude che essi concordano nei seguenti punti: a. Pietro rinnega tre volte prima del canto del gallo e, perciò, durante la notte; b. Il contesto remoto, il processo davanti ai giudei, è uguale; le divergenze

riguardano

particolari

minimi,

quali:

la

determinazione del posto preciso e il posto dei rinnegamenti; c. I rinnegamenti sono tre; tuttavia gli evangelisti differiscono tra di loro in relazione alle persone che interrogano, alle domande proposte a Pietro e alle sue risposte. Mac Eleney24 poi, per spiegare nei rinnegamenti le differenze di Matteo e di Luca, nei dettagli, rispetto a Marco, rimanda a tecniche letterarie dei tre evangelisti, senza essere, pertanto, necessario ricorrere a fonti particolari.

21

Cfr W.D. GARDINER, The Denial of St. Peter, in ExpTim 26 (1914-1915) 424426: 424-425. 22 Cfr L. MORRIS, The Gospel according to Matthew, cit., 687. 23 Cfr G.H. GUYOT, Peter Denies His Lord, in CBQ 4 (1942) 111-118. 117-118. 24 Cfr N.J. MAC ELENEY, Peter’s Denial’s – How Many? To Whom? In CBQ 52 (1990) 467-472: 471-472. 27


7.5. Lo scopo della narrazione dei rinnegamenti Lo scopo per cui i rinnegamenti di Pietro furono narrati nella chiesa primitiva, non può essere certamente quello di denigrare, o comunque, di gettare ombra sulla figura di colui che Gesù aveva costituito capo della sua chiesa. Nulla, in ogni caso, suggerisce tale scopo nelle narrazioni stesse; né alcun interprete propone una simile motivazione, piuttosto lo scopo sembra essere catechetico. Così, secondo Keener25, includendo il racconto del rinnegamento nella narrazione della passione, la tradizione primitiva avrebbe voluto mettere in guardia i discepoli contro l’apostasia nel tempo della persecuzione. Matteo, ma anche gli altri evangelisti, vogliono indicare due possibilità che i cristiani hanno nella loro caduta, o piangere amaramente con Pietro, oppure suicidarsi come Giuda. Ortensio da Spinetoli26 poi osserva che la chiesa doveva già registrare dei casi di apostasia. Il ricordo della caduta e della conversione di Pietro poteva essere anche per gli attuali apostati un invito alla resipiscenza e alla speranza.

25 26

Cfr C.S. KEENER, Matthew, Downers Grove (Illinois) 1960, 379. Cfr O. DA SPINETOLI, Matteo, Assisi 19935, 723. 28


Capitolo Secondo: IL PRIMO RINNEGAMENTO (Mt 26,69-71; Mc 14,66-69; Lc 22,56-58; cfr Gv 18,17)

Il primo rinnegamento di Pietro, nei vangeli Sinottici, si legge in Mt 26,69-71, in Mc 14,66-69, in Lc 22,56-58. Possiamo distinguere in tutti e tre i racconti: le circostanze, la domanda rivolta a Pietro e la risposta data da questi alla domanda.

1. Le circostanze Proponiamo anzitutto un confronto tra le tre narrazioni: Matteo

Marco

Luca

(v 58) o| deè Peétrov

(v 54) o| deè Peétrov

(v 54) kaì o| Peétrov

h\kolouéqei

a\poè makroéqen

h\kolouéqei

au\t§%

h\kolouéqhsen

makroéqen.

a\poè makroéqen

au\t§% (v 55) periayaéntwn

e$wv

e$wv e"sw

deè pu%r

th%v au\lh%v

ei\v thèn au\lhèn

e\n meés§

tou% a\rciereéwv

tou% a\rciereéwv

th%v au\lh%v

kaì ei\selqwèn

kaì h&n

kaì

e"sw e\kaéqhto

sugkatisaéntwn sugkaqhémenov e\kaéqhto

metaè

metaè

o| Peétrov 29


tw%n u|phretw%n

tw%n u|phretw%n

meésov au\tw%n.

i\de_n toè teélov kaì qermainoémenov proèv toè fw%v

In questa descrizione possiamo distinguere alcuni aspetti: la sequela di Pietro dal Getsemani al palazzo del Sacerdote, l’arrivo di Pietro nel palazzo, la posizione da lui assunta.

1.1. La sequela di Pietro Matteo (v 58)

Marco (v 54)

Luca (v 54b)

o| deè Peétrov

o| deè Peétrov

kaì o| Peétrov

h\kolouéqei

a\poè makroéqen

h\kolouéqei

au\t§%

h\kolouéqhsen

makroéqen.

a\poè makroéqen

au\t§%

In questo primo punto, Matteo e Marco concordano quasi alla lettera. Notiamo soltanto due differenze: anzitutto c’è una inversione di ordine degli elementi: l’espressione a\poè makroéqen, che in Matteo segue all’espressione h\kolouéqei au\t§%, in Marco invece precede. Inoltre

Matteo

usa

il

verbo

a\kolouqeéw

all’imperfetto

(h\kolouéqei), sottolineando così la continuità dell’azione di Pietro; Marco invece usa il verbo all’aoristo (h\kolouéqhsen), evidentemente con valore ingressivo: Pietro intraprese un cammino di sequela dietro Gesù catturato. 30


Luca propone un’espressione abbastanza vicina a quella di Matteo e Marco e inoltre, come Matteo, usa il verbo a\kolouqeéw all’imperfetto (h\kolouéqei). Notiamo in Luca soltanto tre differenze: anzitutto il terzo evangelista non usa la particella iniziale deé, ma introduce la sua narrazione mediante la congiunzione kaò; inoltre usa l’avverbio semplice makroéqen senza la particella a\poé; infine omette il pronome personale au\t§%. Tutti e tre gli evangelisti concordano tematicamente in due aspetti: nel fatto che Pietro seguì Gesù dopo la cattura, e nel fatto che seguiva da lontano.

1.2. L’arrivo di Pietro nel palazzo del sacerdote Matteo

Marco

e$wv

e$wv e"sw

th%v au\lh%v

ei\v thèn au\lhèn

tou% a\rciereéwv

tou% a\rciereéwv

kaì ei\selqwèn e"sw L’arrivo di Pietro nel palazzo del sacerdote è descritto soltanto da Matteo e Marco. I due evangelisti sostanzialmente concordano sia letterariamente che tematicamente: giunto nel palazzo del sacerdote, Pietro entrò dentro. I due evangelisti però non dicono nulla sul modo come Pietro abbia fatto ad entrare. Di ciò però ci informerà Giovanni.

31


Marco accosta le due particelle e$wv e"sw (fin dentro) e introduce il termine thèn au\lhén mediante la particella di moto a luogo ei\v (ei\v thèn au\lhén)1. Matteo smembra invece le due particelle e lega la seconda, e"sw, ad un nuovo verbo che egli introduce, ei\selqwén; il primo evangelista così esplicitamente nota che Pietro, giunto nel palazzo del sacerdote, vi entrò dentro. Secondo Matteo, Pietro, entrato (ei\selqwén), sedeva (e\kaéqhto) dentro nel palazzo (e"sw) con i servi (metaè tw%n u|phretw%n). Entrambi gli evangelisti concordano nella espressione ei\v th%n au\lhén. Quest’ultima espressione di Marco, nel v 66, è caratterizzata con la particella kaétw (in basso), donde deduciamo che Gesù era salito nei piani superiori del palazzo. Matteo, invece, precisa che Pietro «sedeva fuori nel cortile». Dall’indicazione di Matteo deduciamo che Pietro stava fuori mentre Gesù era entrato dentro.

1.3. La posizione di Pietro La posizione di Pietro nel palazzo del sacerdote è descritta da tutti e tre gli evangelisti. Possiamo proporre il seguente confronto: Matteo

Marco

Luca periayaéntwn deè pu%r e\n meés§ th%v au\lh%v

La au\lhé dove i servi sono raccolti, potrebbe essere, secondo Bock, un cortile o un’area attorno ad un atrio aperto, cfr D.L. BOCK, Luke, Leicester 1994, 360. 1

32


kaì h&n e"sw

kaì sugkatisaéntwn

e\kaéqhto

sugkaqhémenov

e\kaéqhto

metaè

metaè

o| Peétrov

tw%n u|phretw%n

tw%n u|phretw%n

meésov au\tw%n.

i\de_n toè teélov kaì qermainoémenov proèv toè fw%v Luca anzitutto narra che era stato acceso un fuoco nel mezzo del palazzo (e\n meés§ th%v au\lh%v). Tale indicazione è condivisa, come vedremo, anche da Giovanni ed è presupposta da Marco. Il terzo evangelista, però, non dice chi siano quelli che hanno acceso quel fuoco: lo specificherà Giovanni che, in 18,18, attribuirà quest’azione ai servi (dou%loi) e ai ministri (u|phreétai). In Luca il plurale (periayaéntwn) resta invece indeterminato; forse sono quegli stessi che catturarono Gesù (sullaboéntev) e lo condussero nella casa del sacerdote (ei\shégagon) (v 54a). Marco presuppone la presenza del fuoco; scrive infatti che Pietro, essendosi seduto, si scaldava al fuoco (kaì qermainoémenov proèv toè fw%v): non dice però che esso era stato acceso. La posizione di Pietro, in tutti e tre gli evangelisti, è indicata come “seduto”. Matteo e Luca usano lo stesso verbo intransitivo all’imperfetto e\kaéqhto: Pietro aveva assunto questa posizione.

33


Matteo e Luca specificano che egli stava seduto con i servi (metaè tw%n u|phretw%n). Marco

invece

usa

una

proposizione

perifrastica:

h&n

sugkaqhémenov con il verbo composto sugkaéqhmai: era sedente insieme, sedeva cioè insieme agli altri. Matteo e Marco attribuiscono anche uno scopo a questa posizione assunta da Pietro. Secondo Matteo egli sedeva “per vedere la fine (i\de_n toè teélov)”, cioè per sapere quale sarebbe stato l’epilogo della cattura di Gesù. Marco invece nota semplicemente che Pietro si scaldava (qermainoémenov): evidentemente si era seduto per scaldarsi anche lui insieme agli altri. Luca infine non assegna alcuno scopo alla posizione di Pietro, nota soltanto che egli sedeva “in mezzo a loro (meésov au\tw%n)”, si direbbe in maniera tale da farsi notare.

1.4. La ripresa della posizione di Pietro Dopo avere descritto la posizione di Pietro, Matteo e Marco introducono la narrazione del processo stesso. Dopo questa narrazione, i due evangelisti, prima di introdurre la narrazione dei rinnegamenti, rievocano ancora la posizione di Pietro2. Tale rievocazione manca in Luca; il terzo evangelista infatti, come abbiamo notato, dopo la descrizione della posizione di Pietro, introduce subito la narrazione dei tre rinnegamenti, trasferendo poi dopo, al mattino, il processo davanti al sinedrio.

2

Cfr Mt 26,59-68; Mc 14,55-65. 34


Possiamo notare tale rievocazione nei primi due evangelisti: Matteo (v 69)

Marco (v 66)

o| deè Peétrov

kaì o"ntov

e\kaéqhto

tou% Peétrou

e"xw

kaétw

e\n t+% au\l+%

e\n t+% au\l+%

Tutti e due gli evangelisti hanno la stessa espressione e\n t+% au\l+%. Matteo riprende lo stesso verbo e\kaéqhto; Marco invece, in

forma di genitivo assoluto, nota che Pietro “era (o"ntov)” nel cortile. Matteo precisa che Pietro era “fuori (e"xw)”: donde si deduce che Gesù era dentro; Marco invece specifica che egli era “sotto (kaétw)”, donde si deduce che Gesù era stato condotto nei piani superiori del palazzo.

1.5. Il racconto Giovanneo Come abbiamo già precisato, il racconto giovanneo non entra direttamente nella nostra considerazione. Riteniamo tuttavia, in questa fase di confronto tra i vari racconti, riferirci anche a Giovanni, per definire meglio gli elementi fondamentali della tradizione evangelica. Il racconto giovanneo concorda in tre elementi tematici con il racconto dei Sinottici. Anzitutto nel fatto che Pietro, dopo la cattura, seguì Gesù. Con i vangeli Sinottici il quarto evangelista condivide non solo il fatto, ma anche

l’elemento

letterario

del

verbo

a\kolouqeéw

all’imperfetto (h\kolouéqei), come Matteo e Luca.

35

(18,15),


Inoltre condivide il fatto che Pietro entrò nel palazzo del sacerdote. Pure Giovanni indica quel palazzo con il termine au\lhé3. In Giovanni, benché riferita ad altro personaggio, il discepolo, leggiamo l’espressione ei\v thèn au\lhèn tou% a\rciereéwv che si legge identica in Mc 14,54. Infine Giovanni condivide pure la menzione del fuoco dove Pietro sedette e si scaldava. Con Luca condivide, benché con diversa espressione, il fatto che i servi fecero del fuoco4. Con Marco poi condivide il participio presente qermainoémenov (cfr Mc 14,54)5. Questi elementi comuni con i Sinottici indicano che anche il quarto evangelista si ricollega ad una certa tradizione evangelica a riguardo. La narrazione giovannea però è ricca di particolari assenti nei Sinottici, che rivelano che il quarto evangelista, oltre che riferirsi alla tradizione evangelica, è anche testimone oculare di quegli eventi. In particolare, gli elementi specifici più importanti della narrazione giovannea sono tre, di cui i primi due forse dovettero sfuggire alla tradizione sinottica. Anzitutto Giovanni ci informa che Pietro non era il solo a seguire, ma che con lui c’era un altro discepolo, presentato come “noto (gnwstoév)” al pontefice.

Prescindiamo dal senso pregnante che assume in Giovanni il termine au\lhé. Esso infatti nel quarto vangelo, oltre che per il palazzo del sacerdote, è usato per indicare il recinto delle pecore dove entra il pastore (cfr Gv 10,1.16). 4 In Lc 22,55 leggiamo l’espressione periayaéntwn deè pu%r; in Gv 18,18 leggiamo invece l’espressione a\nqrakòan pepoihkoétev. 5 Giovanni non usa però una forma del verbo kaéqhmai, per caratterizzare la posizione di Pietro, bensì il participio perfetto e|stwév. 3

36


Inoltre il quarto evangelista ci informa che, se Pietro poté entrare nel palazzo di Anna, ciò avvenne grazie alla mediazione, verosimilmente garante, di quel discepolo. Prescindendo dal valore simbolico della narrazione giovannea, l’espressione Peétrov ei|sthékei proèv t+% quérç e"xw (Pietro stava verso la porta fuori) storicamente rivela che Pietro, in un primo momento, dovette avere impedito l’accesso, o, almeno, dovette attendere che il discepolo uscisse. Il terzo elemento differente consiste nel fatto che Giovanni menziona la posizione di Pietro presso il fuoco a scaldarsi dopo il primo rinnegamento, per riprendere tale menzione nel v 25, prima del secondo rinnegamento.

1.6. Conclusione In conclusione, tutti e quattro gli evangelisti concordano nei seguenti elementi. Anzitutto il fatto che, dopo la cattura al Getsemani, Pietro seguì Gesù. Secondo i vangeli Sinottici, Pietro seguì da lontano (makroéqen). Giovanni non ha questa precisazione. Dobbiamo ritenere storicamente più verosimile l’indicazione dei Sinottici. Dopo la fuga, menzionata da Matteo e Marco, Pietro sarebbe tornato (forse stimolato dal discepolo?) e avrebbe seguito il corteo che conduceva Gesù prigioniero. Alla tradizione primitiva doveva appartenere il fatto che Pietro, in una maniera o nell’altra, sarebbe entrato nel palazzo del sacerdote. Il modo come egli poté entrare non fu tramandato.

37


Il fatto stesso potrebbe essere passato alla tradizione attraverso il racconto di Pietro stesso, che non ritenne di dovere precisare il modo, o forse nemmeno Pietro si sarebbe reso conto dell’intervento del discepolo. Non avremmo probabilmente mai conosciuto questo particolare se il discepolo stesso non lo avesse narrato. Infine alla tradizione primitiva, doveva appartenere il fatto, non riferito da Matteo forse perché, nell’economia del racconto, non era ritenuto necessario, che Pietro, esposto anche lui al freddo notturno, si unì al gruppetto dei servi che stavano fuori, nel cortile, e bivaccavano al fuoco.

2. Il primo rinnegamento stesso Nel primo rinnegamento, come del resto anche negli altri successivi, dobbiamo distinguere tra la domanda rivolta a Pietro e la risposta da lui data.

2.1. La domanda Nell’ambito della stessa domanda, dobbiamo distinguere tra l’introduzione narrativa dell’evangelista e la domanda stessa rivolta a Pietro.

2.1.1. L’introduzione narrativa Matteo (v 69a)

Marco (vv 66-67a)

Luca (v 56a) i\dou%sa deè au\toén

kaì prosh%lqen

e"rcetai

paidòskh tiv

au\t§%

mòa

kaqhémenon 38


mòa paidòskh

paidiskw%n

proèv toè fw%v

tou% a\riciereéwv

kaì a\tenòsasa

kaì i\dou%sa

au\t§%

toèn Peétron qermainoémenon e\mbleéyasa au\t§% leégousa:

leégei:

eùpen:

I tre evangelisti concordemente attestano che la prima a porre una domanda a Pietro sia stata una serva (paidòskh). Ramsay6 spiega che il fatto che c’era una donna alla porta, cosa insolita per i giudei, può essere un antico uso ebraico che i sacerdoti ancora mantenevano, anche quando era caduto in disuso nel popolo. Matteo e Marco concordano anche nell’uso dell’aggettivo numerale femminile mòa, con valore indefinito7. Luca invece usa l’aggettivo indefinito tòv. Matteo introduce la figura di questa serva in maniera assai scarna. Scrive soltanto che “si accostò (prosh%lqen)”. Marco invece propone una introduzione più particolareggiata. Nota anzitutto, al genitivo assoluto, la circostanza che Pietro era nel cortile (o"ntov tou% Peétrou e\n t+% au\l+%); usa il verbo semplice

6

Cfr RAMSAY W.M., The Denials of Peter, in ExpTim 27 (1915-1916) 410-413 (I): 413. 7 La formulazione letteraria è diversa. Matteo scrive mòa paidòskh; Marco invece scrive, al partitivo, mòa tw%n paidiskw%n . 39


e"rcetai; precisa che è serva del sacerdote; sottolinea il fatto che essa vide e scrutò Pietro8. Luca concorda con Marco tematicamente nel fatto che la serva prima vide, poi scrutò Pietro. Il primo verbo, al participio aoristo, i\douésa, è identico; il secondo verbo però diverge: Luca non usa il verbo e\mbleépw (e\mbleéyasa) di Marco9, ma quello ancora più intensivo a\tenòzw (a\tenòsasa)10. Luca amplia inoltre la circostanza notando che la serva vide Pietro che sedeva (kaqhémenon) al fuoco (proèv toè fw%v). I tre evangelisti concordano in due elementi; Marco e Luca concordano poi anche in un terzo. Questi due elementi sono: anzitutto quello insieme letterario e tematico che si tratta di una serva (paidòskh); concordano inoltre negativamente nel fatto che nessuno di essi precisa ulteriormente l’identità di questa serva. Il terzo elemento in cui Marco e Luca concordano, è il fatto che la serva non si limitò soltanto a vedere Pietro, ma lo studiò attentamente. 8

Notiamo a riguardo una formulazione strutturale alternata e concentrica insieme, dove al centro emerge il participio qermainoémenon: i\dou%sa toèn Peétron qermainoémenon e\mbleéyasa au\t§%. Si sottolinea così il fatto che la serva non solo vide Pietro, ma anche lo scrutò attentamente. 9 Il verbo e\mbleéyasa indica fissare, guardare intensamente, cfr V. TAYLOR, Marco, cit., 572. 10 Il verbo a\tenòzw è un verbo peculiare di Luca, cfr A. PLUMMER, The Gospel according to S. Luke, Edinbourgh 19225, 516. Lagrange spiega che questo verbo è nello stile di Luca, come e\mbleépw è nello stile di Marco, cfr M.J. LAGRANGE, Évangile selon Saint Luc, Paris 19487, 568. 40


Giovanni concorda con i Sinottici nel fatto che si tratta di una serva: anche il quarto evangelista infatti usa il termine paidòskh. Giovanni però offre una precisazione molto importante: questa serva era la portinaia (h| qurwroév), con cui il discepolo, prima di introdurre Pietro, aveva parlato. Probabilmente questo particolare sfuggì o non fu ritenuto importante dalla tradizione sinottica. Per Giovanni invece esso deve avere un significato simbolico particolare11. Prescindendo da un eventuale senso simbolico, la precisazione giovannea si rivela storicamente molto verosimile; come verosimile appare anche l’indicazione di Marco e Luca che la serva scrutò attentamente Pietro. La portinaia, nonostante l’intervento del discepolo, non dovette trascurare di osservare Pietro e di rivolgergli anche una domanda prima di farlo entrare. Meno verosimile invece si rivela la duplice precisazione sinottica che la serva si avvicinò e scorse Pietro seduto al fuoco. Probabilmente i Sinottici vollero spiegare come una serva abbia rivolto una domanda a Pietro.

2.1.2. La domanda stessa Mettiamo a confronto, per questo elemento, la formulazione proposta dai tre Sinottici, confrontata poi con quella di Giovanni. Matteo

Marco

Luca

kaì suè

kaì suè

kaì ou/tov

Il termine qurwroév si legge in Giovanni solo due volte, qui al femminile (h| qurwroév) e in 10,3 al maschile (o| qurwroév).

11

41


h&sqa

metaè

suèn au\t§%

metaè \Ihsou%

tou% Nazarhnou%

h&n

tou% Galilaòou;

h&sqa tou% \Ihsou%

Matteo e Marco, nonostante qualche vistosa mutazione di ordine negli elementi, fondamentalmente coincidono. Secondo Mann12 la narrazione marciana assume un tono drammatico che può essere adeguatamente spiegato mediante l’accostamento di indipendenti testimoni oculari. L’elemento più rilevante sembra essere il passaggio dal termine tou% Galilaòou in Matteo al termine tou% Nazarhnou% in Marco.

Luca presenta delle differenze. Anzitutto la sua espressione è più breve rispetto a quella degli altri due evangelisti; inoltre Luca non usa la particella metaé con il genitivo13, bensì la particella suén con il dativo. La peculiarità lucana più significativa però consiste nel fatto che, a differenza dei primi due evangelisti, e a differenza anche di Giovanni, secondo il terzo evangelista la serva non si rivolge direttamente a Pietro, ma agli altri che sedevano al fuoco, in mezzo ai quali (meésov au\tw%n) egli sedeva (e\kaéqhto). Sembra che, secondo Luca, la serva abbia voluto ancora di più smascherare Pietro, rivelando a tutti la sua vera identità, impedendogli così di mimetizzarsi nascondendosi in mezzo agli altri.

12

Cfr C.S. MANN, Mark, Garden City, New York 1986, 630. Per l’uso di metaé con il genitivo per indicare l’appartenenza al gruppo dei discepoli, cfr W. GRUNDMANN, metaé, in GLNT, XII, trad. it., Brescia 1979, 15511560: 1553-1554.

13

42


In ogni caso, i tre evangelisti concordano in diversi elementi tematici. Anzitutto, secondo i Sinottici, la serva non pose una domanda, ma fece una affermazione sull’identità di Pietro: egli era con Gesù14. A riguardo possiamo notare l’espressione kaì sué (anche tu) che mira a sottolineare il legame che Pietro aveva con Gesù. Inoltre, sia con la particella metaé che con la particella suén, l’affermazione della serva riguarda “l’essere con Gesù”. Infine possiamo notare nei tre Sinottici la forma all’imperfetto del verbo ei\mò, sia alla seconda persona singolare (h&sqa) che alla terza (h&n)15. Sembra che questo imperfetto sia carico di una certa enfasi e miri a evidenziare il contrasto tra la posizione precedente di Pietro “con Gesù” e quella attuale che egli adesso ha assunto16. Giovanni in parte concorda e in parte discorda con i vangeli Sinottici. Anche il quarto evangelista usa la stessa espressione kaì sué. Le parole della serva a Pietro, in Giovanni, formulate come interrogativa retorica negativa (mhé), che esige pertanto una risposta affermativa, e 14

Nota Evans che il tono della serva non è accusatorio, ma il timore di Pietro è innegabile. La serva, a principio, vede (i\dou%sa) Pietro, poi lo scruta (e\mbleéyasa) e lo identifica con uno di quelli che erano con Gesù, cfr C.A. EVANS, Mark 8,27-16,20, Nashville 2001, 464. Cole spiega che la serva deve avere visto Pietro prima in compagnia di Gesù e lo riconobbe come suo discepolo, cfr R.A. COLE, Mark, Grand Rapids 19892, 231. 15 Nota Taylor che h&sqa è un’antica forma di imperfetto, usata, in attico, per il genuino imperfetto h&v, cfr V. TAYLOR, Marco, cit., 572. 16 L’affermazione della serva, in Matteo e Marco: h&sqa metaè \Ihsou%, contrasta con la posizione assunta da Pietro metaè tw%n u|phretw%n; Pietro, che prima era con Gesù, adesso è con i servi del sacerdote. Analogamente l’espressione lucana suèn au\t§% contrasta con la posizione assunta da Pietro meésov au\tw%n (in mezzo a loro). 43


rivolte direttamente a lui, appaiono ancora più forti. Il modo come la serva si rivolge a Pietro, dovrebbe indurre quest’ultimo a riconoscere la sua identità. La peculiarità maggiore di Giovanni però, che lo differenzia notevolmente dai vangeli Sinottici, consiste nel fatto che, secondo questo evangelista, la serva non chiede a Pietro se “era” (allora) con Gesù, ma se “è “ (tuttora) dei discepoli di Gesù. Si introduce nel quarto vangelo la tematica esplicita del “discepolo”, che non era assente nei vangeli Sinottici, ma che era in essi soltanto implicita.

2.2. La risposta di Pietro Anche nella risposta di Pietro distinguiamo tra la formula introduttiva narrativa e le parole stesse di Pietro.

2.2.1. La formula introduttiva Matteo (v 70a)

Marco (v 68a)

Luca (v 57a)

o| deè h\rnhésato

o| deè h\rnhésato

o| deè h\rnhésato

leégwn :

leégwn:

e"mprosqen paéntwn leégwn:

I tre evangelisti nella formula introduttiva sono quasi identici. Sono identici Marco e Luca; Matteo invece aggiunge l’espressione e"mprosqen paéntwn (davanti a tutti). Il primo evangelista sottolinea così che il rinnegamento di Pietro fu un rinnegamento pubblico e

44


perciò anche solenne17. In tutti e tre gli evangelisti leggiamo lo stesso verbo, all’aoristo, h\rnhésato. Sul valore di questo verbo e, conseguentemente, sull’indole dei rinnegamenti di Pietro, dovremo tornare più avanti. Ci limitiamo adesso soltanto a riferire qualche osservazione proposta dagli interpreti. Anzitutto Hooker18 osserva che i due verbi che troviamo nelle narrazioni evangeliche, il verbo semplice a\rneoémai e il verbo composto a\parneoémai, sono interscambiabili. Ellis19, riflettendo su questo verbo, ritiene che il peccato di Pietro nasce da timore e, in ciò, si distingue da quello di Giuda; nondimeno ha pure il carattere di apostasia. Secondo Gerardson20 il verbo a\rne_sqai implica un proprio attaccamento; Pietro così dichiara di non avere alcuna relazione con Gesù. Egli nega di avere Gesù come suo signore e maestro; nega pure il suo attaccamento a Gesù e anche di conoscerlo. Riesenfeld21, dopo un’analisi di testi, conclude che i sensi di questo verbo, nel NT, possono essere divisi in due gruppi, entrambi dei quali esistono nel greco profano. Essi sono: oggettivamente “negare”; soggettivamente “rifiutare”, “non desiderare di conoscere”. 17

Gli interpreti non hanno mancato di sottolineare la gravità del rinnegamento di Pietro, data appunto dal fatto che essa avviene davanti a tutti, cfr W.F. ALBRIGHT - C.S. MANN, Matthew, Garden City 1971, 337, che vedono un richiamo a Mt 10,33; R. FABRIS, Matteo, Roma 19962, 557; D.A. HAGNER, Matthew, II, , Dallas (Texas) 1995, 804-805. Klostermann però osserva che l’espressione va presa con molta relatività, perché gli e|stw%tev saranno menzionati solo nel v 73, cfr E. KLOSTERMANN, Das Matthäusevangelium, Tübingen 19714, 216. 18 Cfr M.D. HOOKER, The Gospel according to St. Mark, London 1991, 364. 19 Cfr E.E. ELLIS, The Gospel of Luke, Grand Rapids 1983 (rist. dal 19742), 260. 20 Cfr B. GERARDSON, Confession and Denial before Men: Observations on Matt 26,57-27,2, in JSNT 13 (1981) 46-66: 54. 21 Cfr H. RIESENFELD, The Meaning of the Verb a\rne_sqai, in ConTN 11, Lund 1947, 207-219: 218-219. 45


Da questi due sensi fondamentali derivano tutte le sfumature che troviamo nel greco biblico. Secondo Schlier22 nel concetto di “rinnegare” rientrano due atteggiamenti fondamentali: esso si riferisce ad una persona e presuppone un precedente atteggiamento di obbedienza. Riferito a Gesù, esso può attuarsi in tre modi: non riconoscere la richiesta di Gesù di volere essere imitato; non tenere conto dei diritti del prossimo; non accettare la retta dottrina. Il quarto evangelista non ha il verbo h\rnhésato, ma, in maniera assai lapidaria, introduce le parole di Pietro mediante l’espressione: leégei e\ke_nov.

2.2.2. Le parole di Pietro Matteo (v 70b)

Marco (v 68b)

Luca (v 57b)

ou\k oùda

ou"te oùda

ou\k oùda

ou"te e\pòstamai suè tò leégeiv

tò leégeiv,

au\toèn,

kaì e\xh%lqen

guénai

e"xw ei\v toè prosauélion kaì a\leéktwr e\fwénhsen

Cfr H. SCHLIER, a\rneéomai, in GLNT, I, trad. it., Brescia 1965, 1247-1256: 1251-1252. 22

46


Nella formulazione della risposta di Pietro, tutti e tre gli evangelisti hanno la stessa espressione ou\k (ou"te) oùda; l’oggetto però è diverso. Luca ha come oggetto il pronome personale au\toén: ciò che Pietro nega di conoscere è la persona stessa di Gesù23. Il terzo evangelista fa concludere la risposta di Pietro mediante il vocativo guénai (donna)24. In Matteo e Marco invece l’oggetto della non conoscenza di Pietro non è la persona di Gesù, bensì le parole stesse della donna: Pietro ignora ciò che la donna dice25. Notiamo in entrambi gli evangelisti l’espressione tò leégeiv (ciò che dici), ampliata da Marco mediante il verbo e\pòstamai (capisco)26. L’esclusione di ciò che la donna afferma è da parte di Pietro assoluta e totale27: egli non sa né capisce ciò che la donna dice28.

23

Nota Tiede che Pietro, nella narrazione lucana, ha rinnegato: di conoscere Gesù (v 34), di essere suo seguace (v 58), di essere uno dei galilei che sono con Gesù (v 60), cfr D.L. TIEDE, Luke, Minneapolis (Minnesota) 1988, 367. Secondo Wiefel Luca elabora una tradizione che sta alla base del racconto di Marco, cfr W. WIEFEL, Das Evangelium nach Lukas, Berlin 1987, 382. 24 Notiamo in Luca una inversione di prospettiva; mentre la donna si era rivolta al gruppo dove si trovava Pietro, questi invece si rivolge direttamente alla donna. Forse Luca avrà voluto sottolineare la forza con cui Pietro ha cercato di allontanare da sé ogni sospetto. 25 Morris osserva che, nel primo rinnegamento, Pietro si mostra piuttosto evasivo. La prima risposta è una semplice dichiarazione che Pietro non conosce ciò che la serva dice. Il vero e proprio rinnegamento si avrà la seconda volta, cfr L. MORRIS, The Gospel according to Matthew, cit., 688. 26 Derrett ritiene l’espressione ou!te oùda ou!te e\pòstamai suè tì leégeiv una allusione al Sal 82 (81),5: Pietro volontariamente si associa non con il suo maestro ma con i nemici che lo rinnegano e lo rigettano. 27 Tale esclusione è rafforzata dalle particelle correlative negative ou"te… ou"te (né…né). 28 Possiamo notare la struttura stessa dell’espressione marciana. ou"te e\pòstamai suè tò leégeiv. Essa è chiaramente concentrica: ou"te e\pòstamai verbo suè pronome tò pronome leégeiv verbo 47


Giovanni concorda con i Sinottici nel fatto stesso del rinnegamento. Si limita però soltanto all’espressione laconica ou\k ei\mò (non sono). Tale espressione è identica a quella duplice espressa da Giovanni il Battista in 1,20-21, detta però in senso del tutto diverso. Sembra che le due espressioni ou\k ei\mò di Pietro e di Giovanni costituiscano una delle tante inclusioni letterarie di tutto il vangelo e stabiliscano una contrapposizione tra i due personaggi: uno nega di essere il Cristo, l’altro nega di essere suo discepolo. Quanto poi all’oggetto su cui Pietro nega, notiamo la peculiarità di Giovanni: Pietro non nega di conoscere Gesù (Luca), né nega di conoscere le parole della donna (Matteo e Marco), bensì di essere suo discepolo. Marco conclude la sua narrazione con l’indicazione che Pietro uscì fuori (kaì e\xh%lqen e"xw)29, verso l’ingresso (ei\v toè proauélion)30. Questa indicazione, il fatto che Pietro sia uscito, o almeno abbia tentato di uscire, dopo il primo rinnegamento, è condivisa anche, come vedremo, da Matteo.

È strano e stilisticamente pesante il pronome soggetto sué prima del pronome tò: era più logico il contrario. La struttura concentrica enfatizza entrambi i pronomi: Pietro rifiuta non solo il contenuto delle parole della donna ma anche il fatto che esse provengono da lei. La posizione del pronome sué poi enfatizza di più il secondo aspetto. Sembra che Pietro voglia dire che le parole della serva non hanno alcun valore per il fatto che provengono da lei: la serva non sa quello che dice. 29 Nota Evans che Pietro uscì, rinunziando anche a scaldarsi, per sfuggire alle osservazioni della donna, cfr C.A. EVANS, Mark 8,27-16,20, cit., 465. Pesch osserva che, il fatto che Pietro esca dal cortile verso il vestibolo, o atrio, denota la sua insicurezza, cfr Cfr R. PESCH, Il Vangelo di Marco, II, cit., 659. 30 Spiega Mann che il proauélion è il vestibolo che conduce nel cortile centrale, cfr C.S. MANN, Mark, cit., 630. Secondo Taylor è il vestibolo che guida dalla porta (pulwén) verso il cortile interno (au\lhé), cfr V. TAYLOR, Marco, cit., 574. 48


A riguardo dell’uscita di Pietro, né Luca né Giovanni dicono nulla: essa perciò appartiene alla tradizione di Matteo e di Marco. Tuttavia questi ultimi due evangelisti non contraddicono: Luca poté avere omesso questo particolare perché non lo conosceva; Giovanni poté invece averlo omesso per suoi particolari scopi teologici. È verosimile storicamente che Pietro, sentendosi riconosciuto, abbia tentato di allontanarsi, cercando la via di uscita da un luogo che diventa per lui insicuro. Abbiamo già detto che questa indicazione, sul piano letterario, conclude la narrazione del secondo rinnegamento. Possiamo porre però il problema se essa realmente conclude il secondo rinnegamento o non piuttosto, come in Matteo, introduce il terzo. Questo problema sembra dipendere dal fatto se si ritiene identica o meno l’espressione di Marco kaì a\leéktwr e\fwénhsen (e il gallo cantò). Di un canto del gallo, dopo il primo rinnegamento, gli altri evangelisti non dicono nulla. L’espressione kaì a\leéktwr e\fwénhsen anche in Marco però è criticamente incerta31. Se la si ritiene originale con diversi codici32, allora tutta l’espressione conclude il primo rinnegamento. Nota l’evangelista che, dopo di esso, Pietro tentò di uscire e lo sorprese il canto del gallo.

31

Solo Marco, nella predizione del rinnegamento da parte di Gesù, parla di un duplice canto del gallo. L’attestazione testuale è abbastanza ampia: solo i codici ) D W, diversi codici dell’antica versione latina, le versioni armena ed etiopica depennano in Mc 14,30 l’avverbio numerale dòv, intendendo così un solo canto, cfr Novum Testamentum graece et latine, a cura di A. Merk, Romae 199211, ad locum; Novum Testamentum graece, a cura di E. Nestle - K. Aland, Stuttgart 199527, ad locum; The Greek New Testament, a cura di K. Aland - M. Black C.M. Martini - B.M. Metzger - A. Wikgren (TGNT), Stuttgart 19883, ad locum. 32 Si tratta dei codici maiuscoli A C D X Y. 49


Se invece, con altri codici33, la si ritiene non originale, l’indicazione che dopo il primo rinnegamento Pietro uscì, o tentò di uscire, letterariamente può anche introdurre il secondo. L’abbondanza dei codici che attestano lascerebbe pensare che la prima menzione del canto del gallo, come l’espressione e\k deuteérou nel v 72, sia originale. Riteniamo tuttavia questo problema di secondaria importanza per il nostro scopo.

2.3. Conclusione Possiamo allora concludere che nel primo rinnegamento i tre vangeli Sinottici seguono una tradizione comune, ampliata però nella tradizione dei primi due evangelisti. Possiamo anche supporre che questa tradizione, come rivelano certe consonanze letterarie, in alcuni punti fosse stata già fissata in forma scritta. Giovanni sostanzialmente non si distacca dalla tradizione dei vangeli Sinottici, anche se egli, in alcuni punti si rivela originale, introducendo o sottolineando elementi più consoni alla sua prospettiva teologica. L’elemento peculiare di Giovanni consiste poi nel fatto che, secondo il quarto evangelista, la domanda rivolta a Pietro non verte né sul suo essere con Gesù, né sul suo appartenere alla cerchia di quelli che erano con Lui, bensì sul fatto se egli era discepolo di Gesù. Proprio questo, secondo il quarto evangelista, nella sua laconica risposta, Pietro nega: egli non è certamente uno dei discepoli di quell’uomo.

Ci riferiamo ai codici ) B L W Y*, alla versione siro sinaitica, alle versioni copta e georgica, al Diatessaron di Taziano.

33

50


Capitolo Terzo: IL SECONDO RINNEGAMENTO (Mt 26,71-72; Mc 14,69-70a; Lc 22,58; cfr Gv 18,25)

Al primo rinnegamento, segue immediatamente, nei vangeli Sinottici, il secondo. Giovanni invece, come abbiamo già notato, smembra i primi due rinnegamenti, introducendo nel mezzo la duplice menzione della posizione di Pietro (vv 18.25) e il processo – dialogo tra Gesù e il sacerdote Anna (vv 19-24). Anche per questo secondo rinnegamento distinguiamo tra la domanda rivolta a Pietro e la risposta che egli ha dato ad essa.

1. Domanda rivolta a Pietro La menzione della seconda domanda rivolta a Pietro è legata, in Matteo, da una indicazione circostanziale: essa infatti è rivolta a Pietro quando uscì per avviarsi verso la porta. Analoga indicazione si legge anche in Marco, ma, come abbiamo notato, è incerto se essa concluda il primo rinnegamento o se introduca il secondo. Luca invece non ha tale circostanza, ma ne introduce un’altra sua propria di indole cronologica.

1.1. La circostanza dell’azione di Pietro Prescindendo dal diverso legame letterario su indicato, possiamo confrontare tale circostanza nei primi due evangelisti: Matteo

Marco

e\xelqoénta deè

kaì e\xh%lqen e"xw 51


ei\v toèn pulw%na

ei\v toè proauélion kaì a\leéktwr e\fwénhsen

Prescindendo dalla menzione del canto del gallo, in Marco, i due evangelisti concordano sia nell’uso del verbo e\xeércomai all’aoristo, rispettivamente al participio circostanziale in Matteo (e\xelqoénta) e all’indicativo coordinato in Marco (e\xh%lqen), sia nel complemento di moto a luogo, introdotto mediante la particella ei\v con l’accusativo. Il luogo stesso, pur concordando in certo modo tematicamente, letterariamente però diverge. In Matteo leggiamo il termine pulwén (ei\v toèn pulw%na)1, che indica la porta, in Marco invece è usato il termine proauélion (ei\v toè proauélion), che indica probabilmente, come abbiamo già notato, il portico davanti che dalla porta immette nel cortile. Evidentemente questo termine non era fissato dalla tradizione. In entrambi gli evangelisti il verbo e\xeércomai è all’aoristo. Questo aoristo, in relazione al seguente complemento di moto da luogo, deve avere il valore di un aoristo ingressivo. Pietro, dopo il primo rinnegamento, si alzò dalla cerchia dove era seduto e si diresse verso l’uscita2. Prima però di completare la sua azione, mentre era ancora dentro, fu raggiunto dalla seconda domanda.

1

Il termine indica il grande portone di ingresso. Da qui Gnilka deduce, anche per Matteo, in sintonia con Giovanni, che la serva che era comparsa era la portinaia, cfr J. GNILKA, Il vangelo di Matteo, II, trad. it., Brescia 1991, 637. 2 Nota Grundmann che, dopo il primo rinnegamento Pietro si tradisce per il fatto che va dal cortile interno al vestibolo. I servi lo guardano e la stessa serva dichiara la sua appartenenza alla cerchia di Gesù, cfr W. GRUNDMANN, Das Evangelium nach Markus, Berlin 198910, 418. 52


Luca, come abbiamo notato, non riferisce questa circostanza. Egli invece riferisce una indicazione cronologica, che però è alquanto vaga. Nota il terzo evangelista che “dopo un poco (metaè bracué)” a Pietro fu rivolta la seconda domanda. L’indicazione cronologica lucana tuttavia non contraddice quella locale di Matteo e Marco. Forse la tradizione primitiva sapeva che la seconda domanda fu rivolta a Pietro poco tempo dopo la prima. Luca conservò l’indicazione tradizionale; la tradizione di Matteo e Marco invece precisò la circostanza in cui Pietro fu raggiunto dalla seconda domanda.

1.2. L’introduzione narrativa Stabiliamo anzitutto un confronto tra i tre evangelisti: Matteo

Marco

Luca

kaì h| paidòskh eùden

i\dou%sa

e$terov

au\toèn

au\toèn

i\dwèn

a"llh

h"rxato

au\toèn

kaì leégei

paélin

to_v e\ke_

leégein

e"fh:

to_v parestw%sin Notiamo anzitutto nei tre evangelisti una differenza nei soggetti che interrogano Pietro. Secondo Matteo esso è un soggetto

53


indeterminato femminile (a"llh)3, secondo Luca invece è un soggetto indeterminato maschile (e$terov). Sia in Matteo che in Luca chi interroga la seconda volta è un personaggio diverso dal primo. Sorprende invece il soggetto in Marco. Egli scrive h| paidòskh (la serva). La presenza dell’articolo indica che si tratta della stessa persona che aveva interrogato la prima volta, già menzionata, in maniera più generica, come mòa tw%n paidiskw%n (una delle serve). È difficile immaginare che ad interrogare la seconda volta sia stata la stessa serva che interrogò la prima volta. Si potrebbe pensare che la serva, vedendo Pietro che si allontanava, manifestò a tutti la sua convinzione4. L’espressione seguente i\dou%sa au\toén (avendolo visto) rimanda però non ad una seconda percezione della stessa persona, ma alla prima fatta da una persona diversa. Tuttavia, che Marco pensi alla stessa persona, è suggerito dalla espressione h"rxato paélin (cominciò di nuovo). Dopo avere fatto la sua osservazione, la donna avrebbe taciuto, ma poi avrebbe ripreso insistendo e ribadendo sulla sua convinzione. La donna dovette parlare di nuovo mentre Pietro era ancora vicino, se questi poté sentire e rispondere.

3

Nota Gundry che, la seconda volta, Matteo introduce un’altra figura, indicata mediante il pronome generico a’llh; introduce quest’altra figura in accordo al numero di due o tre testimoni, cfr R.H. GUNDRY, Matthew, Grand Rapids 1982, 549. 4 Mann spiega che, essendo quella serva la portinaia, si trovava nel proauélion, cfr C.S. MANN, Mark, cit., 574. 54


Sembra però che Marco, riferendo la seconda domanda alla stessa persona, non abbia evitato una certa incongruenza contenuta nell’espressione i\dou%sa au\toén, che esige invece persona diversa. In ogni caso notiamo negli evangelisti, a riguardo del soggetto che interroga, una differenza tra il primo rinnegamento e il secondo. Nel primo rinnegamento tutti gli evangelisti, compreso Giovanni, concordano che ad interrogare sia stata una serva; il termine paidòskh doveva così appartenere alla tradizione. Nel secondo rinnegamento invece la tradizione non precisava nulla a riguardo della persona che interroga. Essa rimaneva indeterminata e indeterminata la lasciarono pure gli evangelisti, menzionandola con termini generici. Pure Giovanni lascia nel vago il secondo soggetto che interroga. Egli addirittura non indica nemmeno una persona singola, ma si esprime usando il plurale generico eùpon (dissero). In tutti e tre i vangeli Sinottici troviamo una forma dell’aoristo eùden (vide) seguita da un oggetto pronominale invariato au\toén, ovviamente riferito a Pietro. Il verbo invece è adattato nei vari evangelisti alla diversa costruzione sintattica. Avremmo così: Matteo

Marco

Luca

eùden

i\dou%sa

i\dwèn

au\toén

au\toén

au\toén

Questa espressione doveva essere già presente, formulata anche letterariamente, nella tradizione primitiva. Come abbiamo già notato, essa presuppone un soggetto che interroga diverso rispetto a quello del primo rinnegamento. 55


Abbiamo pure notato una certa incongruenza a cui va incontro Marco presupponendo lo stesso soggetto. Se il secondo evangelista avesse voluto evitare tale incongruenza, forse avrebbe dovuto unire al participio i\douésa una circostanza che giustificava nello stesso soggetto una ulteriore azione di vedere, quale, per esempio, “avendolo visto mentre si allontanava”. Notiamo nel racconto di Matteo e Marco un ulteriore elemento assente in Luca. Secondo i primi due evangelisti le dirette parole che provocano il rinnegamento di Pietro, introdotte da una forma del verbo leégw, hanno dei destinatari. Secondo Matteo esse sono rivolte a “quelli (che stavano) lì (to_v e\ke_)”5; secondo Marco sono rivolte a quelli che “erano presenti (to_v parestw%sin)”. I due evangelisti divergono nella formulazione letteraria dell’espressione, ma coincidono tematicamente. Luca invece non ha alcuna specificazione. Si limita, in maniera generica, ad introdurre le parole dell’anonimo, che parla, mediante il verbo generico e"fh (disse).

1.3. Le parole riguardanti Pietro Le parole presentano delle divergenze nei tre evangelisti. Proponiamo ancora un confronto sinottico:

5

Morris nota che, in Matteo, la persona che interroga negli altri due rinnegamenti, è indeterminata. Forse si trattava di un gruppo di servi che parlottava attorno al fuoco, e perciò tutti partecipavano alla discussione, cfr Cfr L. MORRIS, The Gospel according to Matthew, cit., 687; cfr anche ID., Luke, cit., 315. 56


Matteo

Marco

Luca

o$ti ou/tov

ou/tov

kaì suè

h&n

e\x au\tw%n

e\x au\tw%n

metaè \Ihsou%

e\stin

tou% Nazwraòou Marco introduce il discorso diretto mediante la particella dichiarativa o$ti. Notiamo una differenza tra i primi due evangelisti e Luca; più precisamente una inversione di prospettiva rispetto alle parole del primo rinnegamento. Nel primo, Matteo e Marco formulavano l’espressione alla seconda persona singolare: la serva cioè si rivolgeva direttamente a Pietro; Luca invece formulava l’espressione alla terza persona singolare: la serva non si rivolgeva direttamente a Pietro, ma ad altri non specificati dall’evangelista. Adesso invece si verifica il contrario. In Matteo e Marco l’anonimo personaggio o la serva si rivolgono non a Pietro ma ai presenti, e si esprimono alla terza persona singolare; in Luca invece l’anonimo personaggio si rivolge, alla seconda persona singolare, direttamente a Pietro. Matteo e Marco condividono lo stesso pronome dimostrativo ou/tov, mentre Luca ha il pronome personale sué; inoltre Marco e Luca condividono la stessa espressione e\x au\tw%n che esprime

57


appartenenza6: Pietro appartiene alla cerchia di “essi”, cioè di quelli che erano attorno a Gesù. Matteo presenta un’espressione analoga alla prima: metaè \Ihsou% tou% Nazwraòou (con Gesù il nazareno)7. Anche la seconda volta Pietro è definito come colui che era con Gesù. Giovanni invece formula una domanda in parte identica, ma in parte diversa rispetto alla precedente. Possiamo proporre il seguente confronto: Prima domanda

Seconda domanda

mhè

mhè

kaì

kaì

suè

suè

e\k

e\k

tw%n maqhtw%n

tw%n maqhtw%n

au\tou%

tou% a\nqrwépou touétou

Le differenze sono specificamente due: anzitutto l’inversione degli ultimi due elementi: nella seconda domanda il verbo eù è collocato alla fine. La

differenza

maggiore

però

consiste

nel

fatto

che

dall’espressione enfatica tou% a\nqrwépou touétou della prima domanda si passa al più debole, quasi evanescente, pronome au\tou%. Nota Bock che il pronome sué, unito all’espressione e\x au\tw%n, enfatizza l’unione tra Pietro e Gesù, cfr cfr D.L. BOCK, Luke, cit., 360. 7 Nota Gächter che il termine Nazwra_ov è quello usato abitualmente da Matteo, cfr P. GÄCHTER, Das Matthäusevangelium, Innsbruck 1962, 892, e, secondo Gundry, è sinonimo di Nazarhnoév, cfr R.H. GUNDRY, Matthew, cit., 549. 6

58


2. Il rinnegamento di Pietro Ancora una volta distinguiamo nel rinnegamento di Pietro tra la formula introduttiva e le dirette parole di Pietro.

2.1. La formula introduttiva Confrontiamo anzitutto la formula introduttiva narrativa nei tre evangelisti: Matteo

Marco

Luca

kaì

o| deè

o| deé

paélin

paélin

Peétrov

h\rnhésato

h\rne_to

e"fh

metaè o$rkou Notiamo alcune somiglianze tra i vari evangelisti. Anzitutto è comune a Marco e Luca l’espressione o| deé; Matteo usa soltanto la congiunzione kaò. Matteo e Marco condividono lo stesso avverbio paélin, unito ad una forma del verbo a\rneéomai. In Matteo il verbo è formulato all’aoristo (h\rnhésato) probabilmente con valore completivo; in Marco invece il verbo è formulato all’imperfetto (h\rne_to) con chiaro valore iterativo8.

Il carattere ripetitivo del verbo h\rne_to è evidenziato anche da Mann, cfr C.S. MANN, Mark, cit., 632.

8

59


Le due forme del verbo a\rneéomai, all’aoristo e all’imperfetto, esprimono prospettive diverse: un’azione puntualizzata e definitiva il primo, e un’azione iterata il secondo. Probabilmente però le due forme del verbo a\rneéomai, insieme, ci aiutano a ricostruire la verità dei fatti. Pietro ripeteva continuamente (Marco) il suo rinnegamento, nel tentativo di convincere gli astanti ai quali era arrivata l’insinuazione della donna. Alla fine Pietro ricorse al giuramento (metaè o$rkou) (Matteo), concludendo così il suo tentativo di convincere gli astanti contro le parole della donna. Il giuramento in Matteo assume una forza particolare, evidenziata anche dagli interpreti. Nota Gundry9 che la menzione del giuramento, nel v 72, prepara le imprecazioni del v 74; secondo Gächter10 è verosimile che, la seconda volta, Pietro abbia rinnegato in maniera più energica. Marco così sottolineerebbe il tentativo continuo di Pietro; Matteo, parallelamente, la conclusione del tentativo sigillata da un giuramento. Luca non ha nulla di tutto ciò: egli si limita ad introdurre le parole di Pietro con una frase molto breve, senza il verbo a\rneéomai, ma non priva di efficacia: o| deè Peétrov e"fh (Pietro disse). Giovanni si avvicina di più al primo evangelista. Egli condivide anche con Marco l’uso del verbo a\rneéomai; ma condivide con Matteo l’uso del verbo all’aoristo (h\rnhésato).

9

Cfr R.H. GUNDRY, Matthew, cit., 550. Cfr P. GÄCHTER, Das Matthäusevangelium, cit., 891.

10

60


Abbastanza efficace, ed anche significativo, si rivela il pronome e\ke_nov con cui il quarto evangelista menziona Pietro nella sua introduzione. La considerazione di questo elemento però direttamente non rientra nel nostro studio.

2.2. Le parole di Pietro Le parole di Pietro sono riferite soltanto da tre evangelisti. Marco invece si ferma all’imperfetto narrativo a\rneéomai. Evidentemente il secondo

evangelista

ha

ritenuto

più

efficace

descrivere

l’atteggiamento di Pietro con questo imperfetto che non usando qualsiasi altra sua parola. Possiamo confrontare gli altri tre evangelisti: Matteo

Luca

Giovanni

ou\k

ou\k

ou\k

oùda

ei\mò

ei\mò

toèn a"nqrwpon Giovanni e Luca concordano alla lettera nella laconicissima espressione ou\k ei\mò, ampliata da Luca mediante il vocativo a"nqrwpe, analogamente al vocativo guénai della prima risposta; Pietro smentisce di essere quello che altri hanno dichiarato che lui fosse. Matteo ripete il verbo oùda che ha introdotto nelle precedenti parole di Pietro, ma con diverso oggetto: l’ignoranza di Pietro non riguarda più le parole della donna, bensì la persona stessa di Gesù

61


(toèn a"nqrwpon)11. In questo senso, la seconda risposta di Pietro in Matteo coincide con la prima in Luca.

3. Osservazioni conclusive Il confronto che abbiamo evidenziato tra i tre evangelisti mostra che la tradizione, a riguardo del secondo rinnegamento di Pietro, doveva essere più fluttuante di quanto non lo fosse la prima. Le differenze infatti che emergono tra i vari evangelisti mostrano una certa incertezza nei particolari che essi lasciarono talora indeterminati, come nel caso della specificazione della persona che stimolò il rinnegamento, o che magari colmarono in maniera autonoma. La peculiarità dei singoli rinnegamenti in ogni evangelista emergerà meglio dal loro confronto globale, che proporremo in seguito, all’interno di ciascuna narrazione evangelica. Tuttavia possiamo dire che il secondo rinnegamento non presenta sostanziali differenze né rispetto al primo né rispetto al racconto parallelo degli altri evangelisti. Il problema è sempre quello di essere “con Gesù” o di appartenere alla sua cerchia. Ciò è appunto quanto a Pietro viene contestato e quanto precisamente egli nega. Giovanni sostanzialmente concorda con i Sinottici; rimane tuttavia, anche nel secondo rinnegamento, la sua prospettiva peculiare che lo differenzia dagli altri evangelisti, quella di essere dei discepoli di Gesù; ciò è quanto a Pietro viene richiamato, e ciò che egli invece decisamente nega.

11

Secondo Gundry la non conoscenza di Pietro indica apostasia, Cfr GUNDRY, Matthew, cit., 551. 62

R.H.


Capitolo Quarto: IL TERZO RINNEGAMENTO (Mt 26,73-74; Mc 14,71a; Lc 22,59-60; cfr Gv 18,26-27)

Il terzo rinnegamento segna il culmine dei rinnegamenti di Pietro1. Esso è legato, nei vangeli Sinottici, a due eventi conclusivi: il canto del gallo e il conseguente pentimento e pianto di Pietro. In questo paragrafo consideriamo il suo terzo rinnegamento, il canto del gallo e il pentimento di Pietro.

1. Il terzo rinnegamento Anche per il terzo rinnegamento distinguiamo tra la domanda rivolta a Pietro e il suo rinnegamento.

1.1. La domanda rivolta a Pietro Pure per la terza domanda rivolta a Pietro distinguiamo tra le circostanze riferite in forma narrativa dagli evangelisti e la conseguente domanda rivolta a Pietro.

1.1.1. Le circostanze narrative Proponiamo a riguardo delle circostanze narrative il seguente confronto tra i tre evangelisti:

1

Nota Harrington che Marco propone un progresso dei rinnegamenti: evasione, negazione di essere discepolo, negazione, con giuramento imprecatorio, di non avere mai conosciuto GesĂš, cfr W.J. HARRINGTON, Mark, Wilmington / Delaware 1979, 232. 63


Matteo

Marco

Luca

metaè mikroèn

kaì

kaì diastaéshv

deè

metaè mikroèn

w|seì w$rav mia%v

proselqoéntev

paélin

oi| e|stw%tev

oi| parestw%tev

a"llov tiv

eùpon

e"legon

dii=scuròzeto

t§% Peétr§:

t§%

leégwn

Peétr§

Tutti e tre gli evangelisti presentano una indicazione cronologica. Essa però in Matteo e Marco rimane indeterminata: i primi due evangelisti infatti scrivono la stessa espressione metaè mikroén (dopo un poco), introdotta da Matteo mediante la particella deé e da Marco mediante la particella kaò. Luca invece offre una indicazione più precisa. Egli scrive infatti: kaì diastaéshv w|seì w$rav2 mia%v (ed essendo trascorsa circa un’ora)3, determinando così concretamente il tempo trascorso tra il secondo e il terzo rinnegamento. Nessuno dei tre evangelisti però precisa dove sia avvenuto questo terzo rinnegamento e dove Pietro sia stato o cosa abbia fatto in questo lasso di tempo. Anche questa terza volta i soggetti, che con il loro intervento provocano il rinnegamento di Pietro, restano vaghi. Notiamo infatti nei tre evangelisti le seguenti espressioni:

Il verbo classico diò=sthmi è peculiare di Luca, cfr A. PLUMMER, The Gospel according to S. Luke, cit., 516. Nota Evans che in At 27,28 indica il tempo che passa, cfr C.F. EVANS, Saint Luke, London / Philadelphia 1990, 826. 3 Marshall osserva che solo Luca precisa che si tratta dell’intervallo di un’ora, cfr J.H. MARSHALL, The Gospel of Luke, Exeter 1978, 843. 2

64


Matteo

Marco

Luca

proselqoéntev

paélin

oi| e|stw%tev

oi| parestw%tev

a"llov tiv

Emerge ancora una volta un’incertezza nella tradizione a riguardo delle persone che interpellano Pietro e provocano il suo terzo rinnegamento. Matteo e Marco, in maniera più generica, si riferiscono “ai presenti”4. Matteo li introduce mediante il participio aoristo proselqoéntev (essendosi accostati); Marco invece li introduce mediante l’espressione avverbiale paélin, che indica che già siamo alla fine dei rinnegamenti stessi. Luca ancora di più evidenzia il carattere indeterminato della persona; scrive infatti l’espressione a"llov tiv, dove il pronome indefinito tòv rende ancora di più indeterminato il pronome a"llov. Luca tuttavia assegna a questo tale indefinito un’azione ben precisa, espressa mediante una forma di imperfetto del verbo dii=scuròzomai

(dii=scuròzeto),

che

significa

“farsi

forza”,

“insistere” e anche “sostenere fermamente”, “affermare”5. Il verbo imperfetto dii=scuròzeto ha il valore di imperfetto iterativo. Le seguenti parole di quel tale non sono rivolte direttamente a Pietro, ma si parla di lui alla terza persona singolare.

4

Non pare che ci sia alcuna differenza tra il participio perfetto sostantivato semplice oi| e|stw%tev di Matteo e il participio perfetto sostantivato composto oi| parestw%tev di Marco. 5 Il verbo diiscuròzomai è composto da diaè + i\scuròzomai; quest’ultimo poi deriva dall’aggettivo i"scurov (forte). Il verbo composto significherebbe “rendersi forte attraverso (intendendo la particella diaé come moto per luogo) una determinata situazione”, donde il senso di “insistere”. 65


Esso tradisce un dialogo più prolungato tra quel tale e ipotetici interlocutori, nel quale questi ipotetici interlocutori ponevano qualche dubbio sulla reale identità di Pietro, e quel tale invece ripetutamente affermava con insistenza. Anche l’imperfetto introduttivo e"legon di Marco tradisce un dialogo iterato, stavolta però tra gli astanti e Pietro; ciò a differenza di Matteo in cui l’aoristo eùpon dà l’idea di una sola dichiarazione a cui fa seguito un solo rinnegamento di Pietro.

1.1.2. Le parole riguardanti Pietro Diciamo “le parole riguardanti Pietro” perché non in tutti gli evangelisti queste sono rivolte direttamente a lui. A lui sono rivolte, alla seconda singolare, in Matteo e Marco, a riguardo di lui invece sono riferite, alla terza persona, in Luca6. In queste parole distinguiamo due parti, una affermazione ed una motivazione. Si fa una affermazione a riguardo di Pietro e si introduce una motivazione sulla quale l’affermazione si fonda.

1.1.2.1. L’affermazione Matteo

Marco

Luca

a\lhqwèv

a\lhqwèv

e\p’a\lhqeòav

kaì suè

kaì ou/tov

e\x au\tw%n

e\x au\tw%n

met’au\tou%

h&n

6

Osserva Boyd che il terzo rinnegamento in Luca è parallelo a Mc 14,68. anche se, per motivi redazionali, c’è un cambiamento di ordine, cfr BOYD W.J.P., Peter’s Denial – Mark 14,68; Luke 22,57, cit., 341. 66


In quest’affermazione Matteo e Marco coincidono. Entrambi gli evangelisti hanno gli stessi termini; Matteo amplia introducendo soltanto l’espressione kaì sué (anche tu), che però enfatizza ancora di più il precedente avverbio a\lhqwév (veramente). In Luca, corrispondente al kaì sué di Matteo, leggiamo, con analogo significato, l’espressione kaì ou/tov (anche costui): la terza volta Luca riferisce non una domanda rivolta a Pietro, bensì la confidenza di un servo ad un altro: «certo questi era con lui, perché galileo»7. Luca inoltre sostituisce l’avverbio a\lhqwév con l’espressione equivalente e\p’a\lhqeòav (in verità). Sia l’avverbio di Matteo e Marco, sia anche l’espressione di Luca, rivelano che la gente nel palazzo del sacerdote ha studiato Pietro ed è pervenuta alla conclusione che egli appartiene al gruppo di Gesù. Matteo e Marco poi caratterizzano Pietro con l’espressione già usata nei precedenti rinnegamenti e\x au\tw%n (di essi), seguita dall’indicativo presente eù (sei); Luca invece usa l’espressione, anch’essa introdotta nei precedenti rinnegamenti, met’au\tou% (con lui), seguita dal verbo all’imperfetto.

1.1.2.2. La motivazione In tutti e tre gli evangelisti la motivazione è introdotta mediante la particella esplicativa gaér (infatti). In Marco e Luca essa riguarda

7

Cfr D.L. BOCK, Luke, cit., 361. 67


l’origine galilaica di Pietro8. I due evangelisti però non spiegano donde la gente ha dedotto che Pietro fosse galileo. Al contrario, Matteo introduce un’altra espressione che potrebbe essere l’indizio che permette di concludere che Pietro fosse Galileo: kaì gaèr h| lalòa sou dh%loén se poie_ (e infatti il tuo parlare ti rende manifesto). Matteo però non spiega cosa il parlare di Pietro permetta di concludere. Le due motivazioni possono essere messe assieme e ci offrono una spiegazione completa: la gente riconobbe che Pietro fosse un galileo dal suo modo di parlare. La maniera di parlare di Pietro, menzionata in questo terzo rinnegamento, è stata oggetto di considerazione tra gli interpreti. Alcuni si limitano soltanto a notare che c’è differenza tra il dialetto galilaico e quello giudaico9. Morris10 confessa di non sapere in che modo il parlare di un Galileo differisse da quello gerosolimitano; osserva però che certamente il modo di parlare di Pietro aveva caratteristiche galilaiche: l’accento tradisce Pietro11. Secondo Benoit12 il dialetto galilaico si distingueva da quello giudaico per certi dettagli caratteristici di grammatica e di pronunzia. 8

Troviamo nei due evangelisti una espressione quasi identica: la sola differenza è il passaggio dalla seconda persona (Marco) alla terza (Luca): Marco Luca kaì kaì gaèr gaèr Galila_ov Galila_ov eù e\stòn 9 Cfr W.D. DAVIES –D.C. ALLISON, The Gospel according to Saint Matthew, III, Edinburgh 1997, 547; W. GRUNDMANN, Das Evangelium nach Matthäus, Berlin 1968, 418. 10 Cfr L. MORRIS, The Gospel according to Matthew, cit., 688. 11 Cfr ID, Luke, cit., 316. 12 Cfr P. BENOIT, L’évangile selon Saint Matthieu, Paris 19613, 165. 68


Gächter13 spiega che i galilei non distinguevano le gutturali e, in ciò, erano derisi dal Talmud; Evans14 precisa che, secondo il Talmud, i galilei scambiavano ) per ( e viceversa15. Il fatto che Pietro avesse il suo accento galilaico mostra, secondo Smith16, che egli era “uno di quelli”, cioè un membro della comunità dei discepoli. Schweizer17 però nota che tale appellativo implicava disprezzo; così infatti Gesù è chiamato fin dal primo rinnegamento. Forse esso serviva ad indicare Pietro come un potenziale rivoluzionario. Infine Rothenaicher18, dal punto di vista del testo, ritiene primario non Matteo, ma Marco, perché Matteo ha un modo di esprimersi più coerente e più perfetto di Marco.

1.2. La risposta di Pietro Anche

nelle

parole

di

Pietro

bisogna

distinguere

tra

l’introduzione narrativa dell’evangelista e le parole direttamente pronunziate da Pietro.

1.2.1. L’introduzione narrativa Nell’introduzione narrativa i primi due evangelisti, Matteo e Marco, procedono parallelamente, concordando in diversi elementi:

13

Cfr P. GÄCHTER, Das Matthäusevangelium, cit., 892. Cfr C.A. EVANS, Mark 8,27-16,20, cit., 466. 15 Evans cita b.Ber 32a e b.Meg 24b. 16 Cfr R.H. SMITH, Matthew, Minneapolis (Minnesota) 1989, 316. 17 Cfr E. SCHWEIZER, Il Vangelo secondo Matteo, trad. It., Brescia 2001, 462. 18 Cfr F. ROTHENAICHER, Zu Mk 14,70 und Mt 26,73, in BZ 23 (1935-1936) 192193: 193. 14

69


Matteo

Marco

toéte

o| deè

h"rxato

h"rxato

kataqematòzein

a\naqematòzein

kaì o\mnuéein

kaì o\mnuéein19

Le differenze tra i due evangelisti sono praticamente soltanto due: anzitutto Matteo introduce l’espressione mediante l’avverbio toéte (allora), che segna anche il culmine di tutta l’azione, Marco invece mediante l’espressione o| deé; Matteo inoltre usa il verbo composto kataqematòzein, Marco invece l’altro verbo composto a\naqematòzein. Con quest’ultima espressione i due evangelisti indicano che la separazione di Pietro da Gesù è totale e il rinnegamento è massimo. La tradizione di Matteo e Marco narra che Pietro, nel terzo rinnegamento, rafforzò la dichiarazione della propria estraneità da Gesù anche con degli spergiuri. Luca invece si limita ad introdurre le parole di Pietro con una frase molto semplice e scarna: eùpen deè o| Peétrov (disse Pietro).

1.2.2. Posizioni degli interpreti È difficile distinguere l’esatta sfumatura che diversifica i due verbi kataqematòzein (Matteo) e a\naqematòzein (Marco). Forse al nostro scopo non interessa nemmeno precisare la loro differenza.

L’infinito o\mnuéein è attestato da diversi codici maiuscoli, tra cui il Sinaitico e l’Alessandrino, e diversi codici minuscoli. Il codice vaticano, seguito dai codici L, G e da molti altri minuscoli, legge invece all’infinito aoristo o\mnuénai. 19

70


Ci limitiamo perciò a riferire quanto gli interpreti di Matteo notano a riguardo del verbo kataqematòzein e quanto riferiscono gli interpreti di Marco a riguardo del verbo a\naqematòzein.

1.2.2.1. Il verbo kataqematòzein A riguardo di questo verbo, in se stesso e nella sua relazione al verbo seguente o\mnuéein, Davies-Allison20 ritengono che i due verbi (kataqematòzein e o\mnuéein) non sono una endiadi. Secondo Gnilka21 il verbo kataqematòzein esprime una maledizione rafforzata. Può darsi che sia stato Matteo a formare questo verbo; esso però, in ogni caso, deriverebbe dal verbo katanaqematòzein22. Osserva Grundmann23 che Matteo usa qui il verbo più raro kataqematòzein, che nel NT si legge soltanto qui. Con esso si invoca la maledizione di Dio su di sé se quello che si dice non è vero. In questo senso si esprimono, più o meno, anche Hagner24 e Lagrange25. Secondo

Keener26

“spergiurare”

significa

invocare

una

maledizione su se stesso, se ciò che si dice non è vero27. Ciò in Pietro appare ancora più stridente per il fatto che egli aveva solennemente dichiarato che non avrebbe rinnegato.

20

Cfr W.D. DAVIES –D.C. ALLISON, The Gospel according to Saint Matthew, III, cit., 548. 21 Cfr GNILKA J., Il vangelo di Matteo, II cit., 638. 22 Gnilka cita Glaue, cfr P. GLAUE, Der älteste Text der geschichtlichen Bücher des NT, in ZNW 45 (1954) 90-108: 94. 23 Cfr W. GRUNDMANN, Das Evangelium nach Matthäus, cit., 548. 24 Cfr D.A. HAGNER, Matthew, II, Dallas (Texas) 1995, 807. 25 Cfr M.J. LAGRANGE, Évangile selon Saint Matthieu, cit., 511. 26 Cfr C.S. KEENER, Matthew, cit. 379. 27 Cfr anche M.D. HOOKER, The Gospel according to St. Mark, cit., 365. 71


Gli autori però notano che il verbo kataqematòzein, è attivo; si pone perciò la domanda se Pietro maledice, se stesso o Gesù. Diversi interpreti, oltre Davies-Allison28 sopra citati, ritengono che l’oggetto sia Gesù. Egli maledice Gesù nel tentativo di provare che non è suo discepolo. Questa stessa prospettiva è tenuta anche da Brown29, Gundry30, Merkel31.

1.2.2.2. Il verbo a\naqematòzein A riguardo di questo verbo gli interpreti non propongono significati sostanzialmente diversi da quelli proposti a riguardo del verbo kataqematòzein nel vangelo di Matteo. Secondo Gould32 esso esprime l’invocazione della pena divina se Pietro non dice la verità. Lührmann33 si limita soltanto a notare che Pietro maledice e rinnega. Nota Lagrange34 che nei LXX il verbo significa “votare alla distruzione”. Osserva però che nell’AT mai si invocava il Kherem su se stessi, ma ci si appellava al giudizio di Dio se si faceva questa o quella cosa. Il verbo significa anche “maledire”: Pietro maledice se stesso se quello che dice non è vero.

28

Cfr W.D. DAVIES –D.C. ALLISON, The Gospel according to Saint Matthew, III, cit., 548. 29 Cfr R.E. BROWN, La morte del Messia; dal Getsemani al sepolcro. Un commentario ai racconti della passione nei quattro evangeli, trad. it., Brescia 1999, 685-686. 30 Cfr R.H. GUNDRY, Matthew, cit., 552. 31 Cfr H. MERKEL, Peter’s Curse, in The Trial of Jesus, London 1970, 66-71: 70. 32 Cfr E.P. GOULD, Critical and Exegetical Commentary on the Gospel according to S.Mark, Edinbourgh 19074, 281. 33 Cfr D. LÜHRMANN, Das Markusevangelium, Tübingen 1987, 253. 34 Cfr M.J. LAGRANGE, Évangile selon Saint Marc, Paris 19294, 408. 72


Taylor35 tiene pure, più o meno, lo stesso senso: Pietro, questa terza volta, invoca l’ira di Dio sul suo capo se quello che dice non è vero. Secondo Evans36 l’imprecazione di Pietro forse non è rivolta contro se stesso, bensì contro Gesù, che, per sottolinearne la distanza, evita addirittura di menzionare.

1.2.2.3. Altri aspetti degli interpreti Quanto poi all’accostamento di questo verbo, sia in Matteo che in Marco, con il verbo o\mnuéein, secondo Lohmeyer37 i due verbi sono una endiadi; secondo Taylor38 essi debbono essere distinti: il contenuto del giuramento è il fatto di non conoscere quell’uomo. Più tematicamente, Morris39 nota che Pietro cominciò a giurare e spergiurare: spera che, usando un certo linguaggio vigoroso e terreno, egli avrebbe persuaso gli ascoltatori che non aveva nulla a che fare con Gesù.

1.2.3. Le parole di Pietro Pure nelle parole dirette di Pietro i primi due evangelisti coincidono in parte alla lettera; entrambi infatti hanno l’identica espressione o$ti ou\k oùda toèn a"nqrwpon (che non conosco l’uomo). Marco però amplia aggiungendo l’espressione tou%ton o£n leégete (questo [uomo] che voi dite). Con quest’ultima espressione il secondo

35

Cfr V. TAYLOR, Marco, cit., 575. Cfr C.A. EVANS, Mark 8,27-16,20, cit., 466. 37 Cfr B. LOHMEYER, Das Evangelium des Markus, Göttingen 195312, 333. 38 Cfr V. TAYLOR, Marco, cit., 575. 39 Cfr L. MORRIS, The Gospel according to Matthew, cit., 688. 36

73


evangelista indica che la separazione di Pietro da Gesù ormai è totale e il suo rinnegamento è massimo. Luca concorda con i primi due evangelisti nell’espressione ou\k oùda (non conosco), ma con diverso oggetto: in Matteo e Marco l’oggetto è Gesù, indicato con l’espressione toèn a"nqrwpon; in Luca invece è quello che dice la persona che interpella Pietro: o£ leégeiv (ciò che dici)40. Luca però recupera anche il termine a"nqrwpov, riferendolo però non a Gesù come oggetto del verbo oùda, bensì, al vocativo, alla persona che ha interpellato Pietro.

1.3. Confronto con Giovanni Il terzo rinnegamento, in Giovanni, è del tutto peculiare; leggiamo infatti nel quarto vangelo il seguente testo: leégei eàv e\k tw%n douélwn tou% a\rciereéwv, suggenhèv w!n ou/ a\peékoyen Peétrov toè w\tòon: ou\k e\gwé se eùdon e\n t§% khép§ met’au\tou% (dice uno dei servi del sacerdote, parente essendo di colui a cui Pietro recise l’orecchio: non io te vidi nel giardino con lui?). Il testo giovanneo è molto pregnante; ci limitiamo perciò soltanto a poche osservazioni. Anzitutto Giovanni elimina qualsiasi differenza di tempo, dando così l’impressione che la domanda che provocò il terzo rinnegamento sia eseguita, senza alcun intervallo, alla seconda. Inoltre, a differenza dei Sinottici che lasciavano nel vago la persona che interroga, da Giovanni essa è ben definita mediante 40

Osserva Morris che difficilmente il rinnegamento può andare oltre, cfr L. MORRIS, Luke, cit., 316. 74


molteplici indicazioni. Essa è un servo del sacerdote, testimone oculare degli eventi al Getsemani, e inoltre è parente di colui al quale Pietro, ancora al Getsemani, recise l’orecchio. Costui ha potuto constatare, appunto come testimone oculare, la presenza di Pietro nel giardino assieme a Gesù; può perciò contestare, in forma di interrogativa retorica, le precedenti negazioni di Pietro e affermare che egli era con Gesù. La risposta di Pietro in Giovanni è laconica. Di lui l’evangelista non riferisce alcuna parola; si limita soltanto ad osservare, in forma narrativa, che egli alla fine rinnegò (paélin ou&n h\rnhésato o| Peétrov). Il verbo h\rnhésato, riferito in forma narrativa e rafforzato dall’avverbio paélin, sembra significare nella narrazione di Giovanni che Pietro, in tutta coscienza e in maniera definitiva, è giunto al culmine del suo rinnegamento. La

formulazione

giovannea

riecheggia

quella

lucana.

L’espressione ou\k e\gwé se eùdon e\n t§% khép§ met’au\tou% (non io vidi te nel giardino con lui), richiama quella di Luca: «anche costui con lui (met’au\tou%) era».

2. Il canto del gallo (Mt 26,74; Mc 14,72; Lc 22,60; Gv 18,27b) Al terzo rinnegamento di Pietro segue, in tutti i vangeli, la menzione del canto del gallo. Tale menzione è importante perché stabilisce una relazione con la predizione del rinnegamento da parte di Gesù41.

41

Cfr Mt 26,34; Mc 14,30; Lc 22,34; Gv 13,38. 75


Quanto Gesù aveva predetto a Pietro si è puntualmente verificato e il canto del gallo è la conferma della verità delle parole di Gesù. Anche per questo elemento possiamo stabilire un confronto tra tutti e quattro gli evangelisti: Matteo

Marco

Luca

Giovanni

kaì eu\qeéwv

kaì eu\quèv

kaì paracrh%ma

kaì eu\qeéwv

e"ti e\k deuteérou

lalou%ntov au\tou%

a\leéktwr

a\leéktwr

e\fwénhsen

a\leéktwr

e\fwénhsen

e\fwénhsen

a\leéktwr.

e\fwénhsen

In tutti gli evangelisti si leggono identici sia il verbo e\fwénhsen che il sostantivo a\leéktwr; evidentemente questi due elementi erano già presenti, anche letterariamente, nella tradizione primitiva. Matteo e Marco poi sono quasi identici nella stessa struttura della frase. Si nota soltanto il passaggio dall’avverbio eu\qeéwv in Matteo, all’avverbio eu\quév in Marco. Il secondo evangelista poi, in base alla sua indicazione di due canti del gallo, aggiunge l’espressione e\k deuteérou (per la seconda volta).

Luca non usa l’avverbio eu\qeéwv o eu\quév, ma introduce l’espressione analoga, con uguale significato, paracrh%ma. La strettissima connessione tra l’intervento del personaggio che obietta a Pietro e il canto del gallo è sottolineata da Luca anche mediante l’espressione al genitivo assoluto e"ti lalou%ntov au\tou% (mentre ancora egli parlava).

76


Pietro non ha ancora finito di parlare che il gallo cantò. Si direbbe che egli sia direttamente smentito dallo stesso canto del gallo e, indirettamente, da Gesù stesso. Giovanni coincide con i vangeli Sinottici; leggiamo infatti anche nel quarto evangelista gli stessi elementi che nei primi tre evangelisti. Addirittura l’espressione giovannea è identica a quella di Matteo. Nonostante l’identità degli elementi, emerge tuttavia, a riguardo del canto del gallo, una notevole differenza di prospettiva tra i Sinottici e Giovanni. Secondo i vangeli Sinottici, come vedremo dopo, il canto del gallo risveglia in Pietro il ricordo delle parole di Gesù: egli aveva rinnegato così come Gesù gli aveva predetto. Il ricordo delle parole di Gesù suscitò in lui un pentimento che si tramutò in pianto amaro. Giovanni, come appare soprattutto nel dialogo tra Gesù e Pietro in 21,15-1942, non ignora il pentimento di Pietro, ma esplicitamente non lo descrive. Il suo racconto dei rinnegamenti di Pietro non si conclude con la descrizione del pentimento bensì con il canto del gallo. Emerge così la differenza di prospettiva di cui abbiamo parlato sopra. Nei vangeli Sinottici il canto del gallo segna l’inizio del pentimento di Pietro; in Giovanni invece costituisce la fine dei rinnegamenti. Si direbbe che in Giovanni quel canto sia la conferma di un rinnegamento già pienamente consumato.

42

Cfr A. GANGEMI, I racconti post-pasquali del Vangelo di San Giovanni. 77


3. Il pentimento di Pietro (Mt 26,75; 14,72; Lc 22,61-62) A riguardo del pentimento di Pietro, confrontiamo soltanto i vangeli

Sinottici.

Giovanni,

come

abbiamo

già

indicato,

esplicitamente non lo descrive. Distinguiamo pure in questa descrizione due parti: il ricordo da parte di Pietro delle parole di Gesù e la menzione del suo pianto.

3.1. Il ricordo delle parole di Gesù Stabiliamo anzitutto un confronto sinottico tra i tre evangelisti: Matteo

Marco

Luca kaì strafeìv o| Kuériov e\neébleyen t§% Peétr§ kaì

kaì e\mnhésqh

kaì a\nemnhésqh

u|pemnhésqh

o| Peétrov

o| Peétrov

o| Peétrov

tou% r|hématov

toè r|h%ma

tou% r|hématov

\Ihsou% ei\rhkoétov

tou% kuròou w|v eùpen

w|v eùpen

au\t§%

au\t§%

o| \Ihsou%v o$ti

o$ti

o$ti

prìn

prìn

prìn 78


a\leéktwra

a\leéktwra

a\leéktwra

fwnh%sai

fwnh%sai

fwnh%sai shémeron

dìv tròv

tròv

a\parnhés+

me

me:

a\parnhés+

a\parnhés+ me tròv.

79


3.1.1. Riflessioni degli interpreti Oltre che i singoli elementi, gli interpreti hanno considerato due aspetti più generali del pentimento di Pietro: il pentimento stesso e la coincidenza del canto del gallo. Ci limitiamo ad indicare, in maniera esemplificativa, soltanto qualche loro riflessione.

3.1.1.1. Il pentimento di Pietro Fabris43 osserva che è palese in Matteo il contrasto tra il pentimento di Pietro e la storia di Giuda, che si pente pure per avere tradito il sangue innocente, ma che non trova la strada per la conversione. La storia di Pietro può essere così proposta ai cristiani che, nella persecuzione, sono tentati di rinnegare il Signore. Grundmann44 poi, sottolineando il fatto che Pietro scoppiò a piangere, spiega che ciò significa che la storia di Pietro nella sua relazione a Gesù non è giunta alla sua fine. Secondo Keener45, Pietro che piange è presentato dall’evangelista come il modello della risposta appropriata che il discepolo deve dare nella sua caduta. Secondo Morris46 infine il grido di Pietro è espressione di pentimento che mostra tutta la sua lealtà a Gesù. Dice Morris che qui si manifesta il vero Pietro.

43 44 45 46

Cfr R. FABRIS, Matteo, cit., 542. Cfr W. GRUNDMANN, Das Evangelium nach Markus, cit., 418. Cfr C.S. KEENER, Matthew, cit., 379. Cfr L. MORRIS, The Gospel according to Matthew, cit., 690. 80


3.1.1.2. Il canto del gallo Tutti gli evangelisti menzionano il canto del gallo, che, secondo i vangeli sinottici, segna l’inizio del suo pentimento. Marco addirittura menziona un duplice canto. Spiega Grundmann47 che a quel canto Pietro si trova quasi ad un bivio tra il non poter più credere e in dover credere. Secondo Gächter48 è verosimile che si tratti di un solo canto del gallo; così anche Wenham49. Brady50, al contrario, ritiene originale in Marco il duplice canto del gallo. Lattey51 osserva poi che l’interesse per il canto del gallo nacque nella tradizione primitiva in relazione alla profezia del rinnegamento di Pietro. Il tempo del canto non si può determinare, forse tra le ore tre e le cinque del mattino. Una proposta singolare, quanto meno da verificare, è stata avanzata da Mayo52. Secondo tutti gli interpreti, il gallo, al cui canto inizia la conversione di Pietro, sia il comune animale volatile. Mayo però ritiene che il segno dato da Gesù, e poi riconosciuto da Pietro, non era il canto di un gallo domestico che si era svegliato, ma il “gallicinium”, il suono della bucina che segna la fine della terza veglia e determina il cambio di guardia.

47

Cfr W. GRUNDMANN, Das Evangelium nach Markus, cit., 418. Cfr P. GÄCHTER, Das Matthäusevangelium, cit., 893. 49 Cfr J.W. WENHAM, How Many Cock-Crowings? The problem of Harmonistic Text-Variants, in NTS 25 (1978-1979), 523-525. 50 Cfr D. BRADY, The Alarm to Peter in Mark’s Gospel, in JSNT 4 (1979) 42-57. 51 Cfr C. LATTEY, A Note on Cock-Crow, in Script 6 (1953) 53-55. 52 Cfr C.H. MAYO, St. Peter’s Token of the Crock-Crow, in JTS 22 (1921) 367370. 48

81


3.1.2. Convergenze e differenze In questa descrizione i tre evangelisti, oltre che tematicamente, coincidono in diversi punti, anche letterariamente. Le differenze appaiono marginali. Una prima differenza è nel verbo che indica il ricordo. Matteo usa il verbo semplice mimn+éskw (e\mnhésqh), Marco il verbo composto a\namimn+éskw (a\nemnhésqh), Luca infine il verbo composto u|pomimn+éskw (u|pemnhésqh). Inoltre Matteo e Luca introducono l’oggetto al genitivo (tou% r|hématov), Marco invece all’accusativo (toè r|h%ma)53. In Matteo la parola che Pietro ricorda è quella di “Gesù (}Ihsou%)”, in Luca invece è quella del “Signore (tou% kuròou)”; Marco introdurrà il nome o| }Ihsou%v poco dopo. Marco e Luca introducono l’espressione w|v eùpen au\t§% (come disse a lui), Matteo invece sostituisce questa espressione con la forma participiale ei\rhkoétov (che disse). Luca introduce l’avverbio shémeron (oggi); Marco invece introduce l’avverbio numerale dòv (la seconda volta). Infine rispetto all’espressione di Matteo tròv a\parnhés+ me, gli altri due evangelisti operano delle inversioni: Marco anticipa il pronome meé anteponendolo al verbo, Luca posticipa l’avverbio numerale tròv, posponendolo al pronome meé.

53

Osserva Mann che, in Marco, il verbo è costruito con l’accusativo, come in 1Cor 4,17; 2Cor 7,15; Eb 10,32; il buon uso grammaticale avrebbe richiesto invece il caso genitivo, cfr C.S. MANN, Mark, cit., 632. 82


La fondamentale convergenza letteraria dei tre evangelisti indica che la descrizione già nella fonte doveva essere fissata anche sul piano letterario. Le parole che Pietro ricorda sono quelle che Gesù gli ha detto quando gli aveva preannunziato il rinnegamento. In Matteo le parole ricordate da Pietro nel v 75 sono identiche a quelle dette da Gesù nel v 34. In Marco le parole ricordate nel v 72 sono quasi identiche a quelle dette da Gesù nel v 30: notiamo soltanto qualche lieve mutamento di ordine nelle parole.

3.1.3. La peculiarità lucana: lo sguardo di Gesù In Luca le parole dette da Gesù nel v 34 sono invece un po’ diverse da quelle ricordate da Pietro nel v 61. Nel v 34 leggiamo: leégw soi, Peétre, ou\ fwnhései shémeron a\leéktwr e$wv tròv me a\parnhés+ ei\deénai (dico a te, Pietro, non canterà oggi il gallo finché tre volte negherai di conoscere me). A riguardo del ricordo di Pietro però ciò che è soprattutto importante è la precisazione lucana che Gesù, voltatosi, guardò Pietro (kaì strafeìv o| Kuériov e\neébleyen t§% Peétr§). Su questo sguardo di Gesù a Pietro si sono fermati, più o meno, tutti gli interpreti. Ci limitiamo qui soltanto ad indicare alcune posizioni più significative. Spiega Bock54 che Gesù conosce il cuore di Pietro e gli prepara una reintegrazione. Tiede55 poi osserva che proprio questo sguardo fu

54 55

Cfr D.L. BOCK, Luke, cit., 361. Cfr D.L. TIEDE, Luke, cit., 367. 83


la causa del pentimento di Pietro. Secondo Fitzmyer56 nello sguardo di Gesù ci può essere un richiamo alla sua preghiera57. Gesù però non ha pregato perché Pietro non cadesse, ma perché, caduto, si rialzasse. Marshall58 nota che il particolare dello sguardo di Gesù è ritenuto da alcuni come invenzione lucana59 o come un elemento pre-lucano60; ritiene però che è possibile che ciò avvenne quando Gesù fu condotto da Anna a Caifa, oppure quando egli si trovava nel cortile. Lagrange61 ritiene lo sguardo di Gesù molto bello, e nulla autorizza a dubitare della sua storicità. Matteo e Marco lo omettono forse perché avevano detto che Gesù era stato condotto dentro; Luca invece non lo ha detto, dando così l’impressione che Gesù era lì con i soldati. Secondo Schweizer62 Luca presuppone che Gesù si trovasse nello stesso cortile dove si trovava anche Pietro, oppure che, essendo in casa, era visibile da Pietro magari attraverso una finestra aperta. Emerge subito una domanda: quando Gesù, sul piano storico, poté essere in grado di guardare Pietro, se egli era all’interno della casa e Pietro era fuori? Wiefel63 si chiede in quale momento poté avvenire lo sguardo di Gesù. Qualche risposta è stata già ipotizzata dagli interpreti sopra citati. Morris64 ipotizza tre possibilità: Gesù era nel cortile, era sopra in una stanza che permetteva di guardare giù, durante il trasferimento 56

Cfr J.A. FITZMYER, The Gospel according to Luke, II, Garden City / New York 1985, 1460. 57 Cfr Lc 22,32. 58 Cfr J.H. MARSHALL, The Gospel of Luke, cit., 844. 59 Menziona Dibelius, Leaney, Klein, Schneider. 60 Menziona Catchpole. 61 Cfr M.J. LAGRANGE, Évangile selon Saint Luc, cit., 570. 62 Cfr E. SCHWEIZER, Il vangelo secondo Luca, trad. it., Brescia 2000, 328. 63 Cfr W. WIEFEL, Das Evangelium nach Lukas, cit., 383. 64 Cfr L. MORRIS, Luke, cit., 316. 84


da Anna a Caifa. In ogni caso, Gesù era in un posto in cui poteva vedere Pietro. Secondo Plummer65 probabilmente Pietro era nel cortile e Gesù era dentro: è improbabile che Gesù fosse dentro quando Pietro rinnegò. Egli può essere stato visibile attraverso porte e finestre, ma difficilmente può avere sentito. Una risposta potrebbe esserci suggerita da Giovanni. Narra il quarto evangelista che Anna mandò legato Gesù da Caifa (Gv 18,24). Per potere essere trasferito dalla casa di Anna a Caifa, Gesù dovette uscire fuori e verosimilmente attraversare il cortile dove era Pietro. Fu in questa circostanza che lo sguardo di Gesù incrociò quello di Pietro? Quando avvenne tale trasferimento? Avvenne quando Gesù fu oggetto di scherno da parte dei servi del sacerdote, stando fuori? In realtà forse all’evangelista non interessa nemmeno precisare il tempo e il luogo dove lo sguardo di Gesù poté incrociare quello di Pietro. A lui interessa soltanto stabilire una relazione di dipendenza del pentimento di Pietro dallo sguardo di Gesù66. Secondo il terzo evangelista non fu il canto del gallo a risvegliare il ricordo di Pietro e indurlo al pianto penitente, bensì lo sguardo di Gesù67 che, voltatosi 65

Cfr A. PLUMMER, The Gospel according to S. Luke, cit., 517. L’espressione lucana, sul piano strutturale, si articola in due parti costruite in maniera alternata: kaì strafeìv o| Kuériov e\neébleyen t§% Peétr§. Si direbbe che da Gesù parta una misteriosa parola che raggiunge e colpisce Pietro. 67 Analogo sguardo da parte di Gesù si legge nell’episodio di Zaccheo in Lc 19,5. Nel v 3 leggiamo che egli cercava di “vedere” Gesù ma non poteva a motivo della folla poiché era piccolo di statura. Nel v 4 poi leggiamo che egli corse avanti e salì su un sicomoro per “vederlo”, poiché doveva passare da lì. Nel v 5 però, 66

85


(strafeòv), lo fissò (e\neébleyen) in maniera quasi penetrante68 e molto significativa69.

3.2. La menzione del pianto Del pianto di Pietro, come abbiamo già ripetutamente osservato, parlano, almeno esplicitamente, soltanto i tre vangeli Sinottici, dopo la descrizione del terzo rinnegamento e la menzione del canto del gallo. In questo modo, il pianto di Pietro appare come il nobile epilogo di una vicenda assai triste e lo riscatta dalla codarderia in cui era caduto, vittima della sua stessa presunzione. Stabiliamo ancora una volta un confronto tra i tre vangeli Sinottici: Matteo

Marco

Luca

kaì

kaì

kaì

e\xelqwèn

e\pibalwèn

e\xelqwèn

in maniera sorprendente, leggiamo che quando Gesù giunse nel luogo, non fu lui a vedere Gesù, bensì Gesù a vedere lui. Leggiamo infatti nel v 5 il participio aoristo a\nableéyav che significa appunto “avendo guardato”, questo verbo è diverso, ma analogo rispetto al verbo e\neébleyen del nostro testo. 68 Il verbo e\neébleyen del nostro testo deriva dal verbo e\mbleépw che significa: “guardare (bleépw)” “in (e\n)”. Esso esprime perciò l’azione di guardare dentro. Pietro così è oggetto di uno sguardo penetrante di Gesù che lo obbliga a rientrare in sé stesso e a prendere coscienza sulla verità del momento. Oggetto di simile sguardo penetrante di Gesù, con lo stesso verbo e\mbleépw, Pietro lo è anche in Gv 1,42 dove leggiamo che «avendolo visto Gesù (e\mbleéyav), questi gli disse: Tu sei Simone il figlio di Giovanni». Alla luce anche di questo testo possiamo pensare che lo sguardo di Gesù sia arrivato a Pietro in maniera penetrante e sconvolgente. 69 Come nell’episodio di Zaccheo, lo sguardo penetrante di Gesù, espresso con il verbo e\mbleépw, induce Pietro a rientrare in sé stesso e lo porta a vedere la propria situazione. Sia nel caso di Zaccheo che nel caso di Pietro lo sguardo di Gesù determina un mutamento. Il mutamento di Zaccheo è quello di convertirsi e promettere a Gesù di restituire quello che ha preso e di rendere il quadruplo a chi egli ha rubato; in relazione a Pietro lo sguardo di Gesù determina invece il ricordo di ciò che il Signore gli aveva detto. 86


e"xw e"klausen

e"xw e"klaien

e"klausen

pikrw%v

pikrw%v.

Matteo e Luca sono identici. L’espressione kaì e\xelqwén (ed essendo uscito) ha certo un senso locale: Pietro uscì dal palazzo del sacerdote. Non sappiamo però dove sia andato: non lo ritroveremo più infatti per tutto il tempo della passione. L’espressione può avere anche un senso simbolico, come potrebbe suggerire la menzione del pianto amaro: Pietro si allontanò da quel mondo che giudicava, condannava e maltrattava Gesù, nel quale lui, per potervi entrare, aveva dovuto pagare il prezzo del rinnegamento. Si direbbe che, uscendo fuori e piangendo amaramente, Pietro abbia ritrovato se stesso e la sua posizione con Gesù. Matteo e Luca usano il verbo klaòw (piangere) all’aoristo (e"klausen). Esso si intende bene come un aoristo ingressivo: cominciò a piangere. Può intendersi però anche come un aoristo completivo: l’azione globale di Pietro, dopo il rinnegamento, fu quella di piangere, a prescindere dalla durata del pianto. L’avverbio pikrw%v in Matteo70, che significa “amaramente”71, esprime forte intensità72: il pianto a cui Pietro si abbandonò fu quello di un pianto forte e intenso, che esprimeva il suo sincero pentimento73. Secondo Davies-Allison l’espressione pikrw%v e"klausen richiama Is 22,4 e Is 33,7, cfr W.D. DAVIES –D.C. ALLISON, The Gospel according to Saint Matthew, III, cit., 549. 71 Cfr D.A. HAGNER, Matthew, II, cit., 805. 72 Nota Gnilka che il pianto amaro è segno di sconvolgimento interiore, cfr J. GNILKA, Il vangelo di Matteo, II, cit., 639. 73 Osserva Fabris che il suo sincero pentimento riabilita Pietro agli occhi di tutta la comunità, cfr R. FABRIS, Matteo, cit., 558. 70

87


Albright-Mann74 osservano che in Matteo ci sono due tipi di tristezza: quella di Pietro che guidò al pentimento e quella di Giuda che portò al suicidio. Marco, nella sua formulazione, è più breve rispetto a Matteo e Luca, ma, nella sua brevità, il secondo evangelista si rivela ancora più efficace. Il secondo evangelista scrive l’espressione e\pibalwèn e"klaien.

3.3. L’espressione di Marco e\pibalwèn e"klaien Marco non usa anzitutto il participio aoristo e\xelqwén, bensì il participio aoristo e\pibalwén dal verbo e\pibaéllw che, al transitivo, significa “gettare (baéllw) sopra (e\pò)”, ma che, all’intransitivo, ha il senso di “irrompere con violenza, prorompere”. È difficile tradurre in buon italiano questo participio. Parafrasando, possiamo dire che Pietro irruppe in un pianto improvviso e violento. Esso caratterizza l’inizio della reazione di Pietro a cui fa seguito l’azione continua espressa dall’imperfetto e"klaien. Questo imperfetto esprime continuità75. Marco in questo modo vorrebbe sottolineare che Pietro si abbandonò ad un pianto violento e prolungato. L’espressione marciana, per il suo carattere stereotipato, si rivela alquanto complessa. Gli interpreti non hanno mancato di discutere anche su di essa. Anderson76 riferisce al verbo e\pibaéllw, nel testo di

74 75 76

Cfr W.F. ALBRIGHT - C.S. MANN, Matthew, cit., 337. L’imperfetto denota un pianto continuato, cfr C.S. MANN, Mark, cit., 632. Cfr H. ANDERSON, The Gospel of Mark, Grand Rapids / London 1976, 333. 88


Marco, diversi significati: coprire la propria testa, gettarsi nei propri vestiti, anche precipitarsi fuori77. Danson78 traduce: «quando pensò a ciò (when he thought thereon), piangeva». L’espressione tradisce la carica emotiva di Pietro che ricordò, anche in seguito, le parole di Gesù. Cole79 traduce semplicemente «cominciò a pensare»; così, più o meno, anche Evans80. Herron81 ritiene, con Moulton, che la frase esprime l’iniziale parossismo e la lunga continuazione. In questa stessa prospettiva di inizio è anche Lee82, che traduce “cominciò a piangere”, “si accinse a piangere”. Spiega che tale traduzione è suffragata da Diogene Laerzio (VI,27), il quale ha l’espressione e\peébalen teretòzein (cominciò a fischiettare). Secondo Lagrange83 il verbo indica la crisi di pianto che scoppia improvvisamente, ma non esclude il senso di inizio. Secondo Pesch il verbo equivale al latino “aggredior (porre mano a qualcosa)”84. L’identità della formulazione in Matteo e Luca suggerisce che l’espressione era già così formulata nella fonte. Il primo e terzo evangelista l’avrebbero conservata perché già esprimeva bene l’intensità del dolore di Pietro.

77

Una panoramica delle diverse interpretazioni è proposto da Brown, cfr R.E. BROWN, La morte del Messia; dal Getsemani al sepolcro. Un commentario ai racconti della passione nei quattro evangeli, cit., 691-692. 78 Cfr J.M. DANSON, The Fall of St. Peter, in ExpTim 19 (1907-1908) 307-308. 79 Cfr R.A. COLE, Mark, cit., 232. 80 Cfr C.A. EVANS, Mark 8,27-16,20, cit., 466. 81 Cfr R.W.Jr. HERRON, Mark’s Account of Peter’s Denial of Jesus: A History of Its Interpretation, New York 1981, 141. 82 Cfr LEE G.M., St. Mark 14,72: e\pibalwèn e"klaien, in ExpTim 61 (1949-1950) 160; cfr ID., Mark 14,72: e\pibalwèn e"klaien, in Bib 53 (1972) 411-412. 83 Cfr M.J. LAGRANGE, Évangile selon Saint Marc, cit., 409. 84 Cfr R. PESCH, Il Vangelo di Marco, II, cit., 662. 89


Marco invece avrebbe introdotto autonomamente le due sottolineature del carattere improvviso e violento del pianto e della sua continuità.

4. Osservazioni conclusive ai tre rinnegamenti Il confronto che abbiamo proposto tra i tre rinnegamenti di Pietro nei vari evangelisti, suggerisce alcune conclusioni. Anzitutto i tre rinnegamenti si presentano nei tre vangeli Sinottici come una unità letteraria; ciò induce a ritenere che essi costituivano una unità già nella tradizione ripresa dai tre evangelisti. La divisione che troviamo in Giovanni tra il primo e il secondo rinnegamento sembra essere perciò dovuta al quarto evangelista che, per sue proprie esigenze letterarie e tematiche, smembrò quanto aveva ricevuto in maniera unitaria dalla tradizione. Il carattere unitario dei tre rinnegamenti si pone sul piano letterario, non su quello storico; esso infatti non implica che i tre rinnegamenti si siano verificati in immediata successione. Degli indizi nei racconti, già notati, suggeriscono anzi che essi siano avvenuti separati l’uno dall’altro, in un lasso di tempo non ben quantificabile. Essi poi sarebbero stati narrati assieme, tramandati forse dallo stesso Pietro, unico testimone di quei fatti. In ogni caso nella tradizione passò il fatto che, in casa del sacerdote, dove era riuscito ad entrare, Pietro aveva rinnegato tre volte Gesù. Mentre la tradizione appare concordemente sicura sul numero tre dei rinnegamenti, condiviso da tutti gli evangelisti, rivela nei singoli fatti concreti delle incertezze e delle lacune storiche, che gli evangelisti talora lasciarono indeterminate e che talora invece cercarono di determinare in maniera propria. 90


Rimane così incerta l’identità delle persone che contestarono a Pietro la sua appartenenza al gruppo di Gesù; come pure rimangono incerte le precise domande che gli furono rivolte e il tenore esatto delle risposte da lui date. Il fatto che il sacerdote Anna interrogò Gesù sulla sua persona e sulla sua dottrina, tema di cui non si fa alcuna menzione nei Sinottici, sembra appartenere alla specifica ed autonoma riflessione giovannea. Nella determinazione almeno di alcuni fatti, Giovanni tuttavia ci aiuta. Il quarto evangelista, almeno parzialmente testimone oculare, conferma che i rinnegamenti avvennero nella casa di un sacerdote e di notte; precisa però che questo sacerdote, la cui identità dovette sfuggire alla tradizione sinottica, non era Caifa, bensì Anna, dove Gesù fu condotto appena catturato. Inoltre Giovanni ci informa chi era la serva che provocò il primo rinnegamento: la serva portinaia. Indica infine con molta precisione chi fu quello che provocò il terzo rinnegamento e ci aiuta anche a capire perché Pietro poté entrare nella casa del sacerdote. Altri interrogativi che i racconti suscitano sul piano storico, sono probabilmente destinati a restare senza risposta. Al nostro scopo però non interessa ricostruire storicamente i fatti, ma cogliere il messaggio che, attraverso questi racconti, i quali, almeno a prima vista, non rendono onore a colui che era stato costituito da Gesù capo della sua chiesa, la tradizione prima e gli evangelisti poi vollero trasmettere. Per questo motivo continueremo la nostra ricerca fermandoci soltanto all’aspetto letterario. Tenteremo perciò di rileggere, in maniera diacronica prima e sincronica dopo, i singoli elementi che i testi presentano.

91


Capitolo Quinto: GLI ELEMENTI PECULIARI DEI RINNEGAMENTI

Dividiamo questo capitolo in due parti. Nella prima parte confronteremo diacronicamente gli elementi peculiari dei tre rinnegamenti di Pietro nei vari evangelisti; ciò ci permetterà di individuare gli elementi fondamentali evidenziati già dalla stessa tradizione primitiva. Nella

seconda

parte

invece

tenteremo

di

rileggere

sincronicamente, e in maniera progressiva, i tre rinnegamenti nell’ambito di ciascun evangelista; ciò ci permetterà di cogliere la prospettiva specifica con cui ciascuno di essi rilesse quanto aveva ricevuto dalla tradizione. Nella prima parte, cioè nella considerazione diacronica dei singoli elementi, oltre che ai tre Sinottici ci riferiremo anche a Giovanni; nella seconda parte invece considereremo soltanto i tre vangeli Sinottici.

1. I singoli elementi In questo paragrafo fermiamo la nostra attenzione e confrontiamo nei vari evangelisti, specificamente, i seguenti elementi: le varie persone che interrogano o obiettano a Pietro, il tipo di domanda che ciascuno di esse pone, il modo come i singoli evangelisti introducono le varie risposte di Pietro, infine le risposte stesse di Pietro.

1.1. Le persone che interrogano Nel primo rinnegamento le persone che interrogano Pietro nei quattro evangelisti sono le seguenti: 92


Matteo:

mòa paidòskh;

Marco:

mòa tw%n paidiskw%n;

Luca:

paidòskh tòv;

Giovanni:

h| paidòskh h| qurwroév.

Come possiamo constatare, tutti e quattro gli evangelisti concordano nel termine paidòskh; evidentemente questo elemento doveva essere già nella tradizione. I Sinottici, pur riprendendo questo elemento, non seppero precisare ulteriormente: per essi è una delle serve tra le tante. Giovanni invece identifica con molta precisione: si tratta della serva (h| paidòskh) portinaia (h| qurwroév). Nel secondo rinnegamento le persone che interrogano Pietro nei quattro evangelisti sono le seguenti: Matteo:

a"llh (un’altra);

Marco:

h| paidòskh (la serva);

Luca:

e$terov (un altro);

Giovanni:

eùpon (dissero).

In questo secondo rinnegamento le varie indicazioni degli evangelisti rivelano la totale incertezza nella tradizione: questa non tramandò una figura particolare. La tradizione di Matteo e Marco pensò ad una figura femminile; Marco addirittura, usando ancora il termine paidòskh con l’articolo, lascia pensare, come abbiamo già osservato, che sia stata la stessa serva ad interpellare per la seconda volta Pietro.

93


Luca invece pensa ad una figura maschile (e$terov), che rimane però indeterminata. Giovanni infine probabilmente preferì conservare l’incertezza della tradizione, non menzionando alcun personaggio, ma introducendo la domanda a Pietro con il verbo plurale generico eùpon. Nel terzo rinnegamento le persone che interrogano Pietro nei quattro evangelisti sono le seguenti: Matteo:

oi| e|stw%tev;

Marco:

oi| parestw%tev;

Luca:

a"llov tiv;

Giovanni:

eàv e\k tw%n douélwn.

Anche in questo terzo rinnegamento le varie indicazioni degli evangelisti rivelano la totale incertezza nella tradizione: questa nemmeno per il terzo rinnegamento tramandò una figura particolare che interpellò Pietro. Possiamo notare tuttavia nella tradizione specifica di Matteo e Marco, analogamente al secondo rinnegamento, un certa tendenza ad identificare. Matteo e Marco infatti rimandano più specificamente ai presenti, così come nel secondo rinnegamento avevano tentato di identificare rimandando ad una figura femminile. Luca invece, scrivendo l’espressione a"llov tiv, avrebbe conservato il carattere generico e vago che il personaggio aveva nella tradizione. Giovanni invece, come aveva fatto per il primo rinnegamento, determina, anche per questo terzo, con molta precisione il personaggio che interpellò Pietro, fornendo di lui particolari storicamente inoppugnabili: egli è uno dei servi, cognato di quello a cui Pietro

94


recise l’orecchio e che, come lui stesso dichiara, era presente al Getsemani. Possiamo perciò concludere che, tranne che nel primo rinnegamento, la tradizione non precisò il personaggio che interpellò Pietro. È soltanto precisato parzialmente il primo personaggio: si tratta di una paidòskh di cui la tradizione sinottica non seppe dire di più. Un tentativo di precisazione del secondo e terzo personaggio si nota nella tradizione più specifica di Matteo e Marco. Tale parziale precisazione del personaggio legato al primo rinnegamento non sembra avere particolare importanza. Tale precisazione può essere dovuta ad un testimone oculare, e nulla vieta che possa essere stato lo stesso discepolo che parlò con quella serva in favore di Pietro. In ogni caso, riferendo dei rinnegamenti di Pietro, non sembra che la tradizione abbia attribuito molta importanza alla persona che interpellò Pietro e che provocò i suoi rinnegamenti; per questo essa sarebbe rimasta indeterminata. Diverso invece è il caso di Giovanni, che identifica con molta precisione il primo e il terzo personaggio: il primo, la serva, è la portinaia; il terzo è parente di colui che Pietro colpì al Getsemani. Qui emerge una domanda, la cui risposta però esorbita dal nostro lavoro: perché il quarto evangelista ebbe cura a precisare quei personaggi? Soltanto per amore di cronaca, o perché attribuì ad essi un particolare significato?

95


1.2. Le parole rivolte a Pietro Parliamo non di “domande” rivolte a Pietro, bensì di “parole” rivolte a lui, perché mai esse hanno il carattere di una domanda. In tutti gli evangelisti infatti, e tutte e tre le volte, abbiamo a che fare con delle affermazioni, davanti alle quali, direttamente o indirettamente, Pietro è posto. Possiamo notare che anche in Giovanni gli interventi rivolti a Pietro sono formulati come interrogativa retorica negativa, che esige, pertanto, una risposta positiva. Le parole che provocano il primo rinnegamento nei quattro evangelisti sono le seguenti: Matteo:

kaì suè h&sqa metaè \Ihsou% tou% Galilaòou;

Marco:

kaì suè metaè tou% Nazarhnou% h&sqa tou% è \Ihsou%;

Luca:

kaì ou/tov suèn au\t§% h&n;

Giovanni: mhè kaì suè e\k tw%n maqhtw%n eù tou% a\nqrwépou touétou. Tutti e tre i vangeli Sinottici, benché con metaé e il genitivo in Matteo Marco e con suén e il dativo in Luca, concordano nell’aspetto di “essere con Gesù”. Giovanni invece presenta un’altra prospettiva: non quella dell’essere con Gesù, bensì, come indica la costruzione con e\x e il genitivo con valore partitivo, quella dell’appartenenza ad un gruppo, specificamente al gruppo dei discepoli di Gesù. Possiamo notare come in questo primo intervento, in Matteo, Marco e Giovanni, Pietro è interpellato direttamente mediante il pronome di seconda persona singolare sué; in Luca invece è 96


interpellato solo indirettamente, mediante il pronome di terza persona singolare ou/tov. Le parole che provocano il secondo rinnegamento nei quattro evangelisti sono le seguenti: Matteo:

ou/tov h&n metaè \Ihsou% tou% Nazwraòou;

Marco:

ou/tov e\x au\tw%n e\stin;

Luca:

kaì suè e\x au\tw%n eù;

Giovanni:

mhè kaì suè e\k tw%n maqhtw%n au\tou% eù.

Notiamo, al di là delle differenze letterarie già notate, come anche in queste quattro espressioni emergono i due aspetti tematici già notati: essere con (metaé) Gesù ed essere di (e\x) “essi”, cioè appartenere al gruppo dei suoi discepoli. A differenza delle parole nel primo rinnegamento, in quelle del secondo solo Matteo insiste nella tematica dell’essere “con Gesù”; Marco e Luca che, nelle parole precedenti, condividevano la stessa prospettiva

di

Matteo,

adesso

invece

introducono

quella

dell’appartenenza. Le parole che provocano il terzo rinnegamento nei quattro evangelisti sono infine le seguenti: Matteo:

a\lhqw%v kaì suè e\x au\tw%n eù;

Marco:

a\lhqw%v e\x au\tw%n eù;

Luca:

kaì ou/tov met’au\tou% h&n;

Giovanni:

seè eùdon e\n t§% khép§ met’au\tou%.

In queste parole tornano ancora le due tematiche sopra indicate; si nota però un’inversione negli evangelisti. Matteo, che, già due volte

97


aveva sottolineato l’essere con Gesù, adesso, invece adotta, insieme a Marco, l’aspetto dell’appartenenza. Luca torna all’aspetto dell’essere con Gesù, introdotto già nelle prime parole; Giovanni, che nelle prime due volte aveva evidenziato l’aspetto dell’appartenenza, adesso adotta quello dell’essere con Gesù. Possiamo proporre il seguente quadro prospettico: Primo intervento

secondo intervento

terzo intervento

Matteo:

metaé

metaé

e\x

Marco:

metaé

e\x

e\x

Luca:

suén

e\x

metaé

Giovanni:

e\k

e\k

metaé

Questo prospetto mostra chiaramente come in tutti e quattro evangelisti le parole rivolte a Pietro gravitano attorno a due temi fondamentali. Essere con Gesù, appartenere al gruppo gravitante attorno a Gesù. Questo stesso quadro mostra che, mentre le due tematiche erano presenti nella tradizione, questa non doveva fissarne l’ordine. Dobbiamo perciò concludere che l’attuale distribuzione è dovuta ai singoli evangelisti. Forse però possiamo scorgere una diversa tendenza nella tradizione di Matteo e Marco e in quella di Luca e Giovanni. La tradizione di Matteo e Marco rivela la tendenza ad iniziare con la tematica dell’essere (metaé) con Gesù e finire con quella dell’appartenenza (e\x); quella lucano-giovannea, al contrario, avrebbe preferito iniziare con quella dell’appartenenza (e\x) e finire con quella dell’essere con (metaé) Gesù. 98


1.3. L’introduzione alle parole di Pietro L’introduzione alle parole di Pietro sono importanti perché in esse gli evangelisti interpretano, offrendo così un giudizio, su quelle stesse parole. L’introduzione alle parole di Pietro nel primo rinnegamento sono le seguenti: Matteo:

o| deè h\rnhésato e"mprosqen paéntwn leégwn;

Marco:

o| deè h\rnhésato leégwn;

Luca:

o| deè h\rnhésato leégwn;

Giovanni:

leégei e\ke_nov.

In tutti e tre i vangeli Sinottici l’introduzione alle parole di Pietro è caratterizzata dal verbo a\rneéomai nella forma all’aoristo (h\rnhésato), evidentemente con valore completivo. Matteo sottolinea il carattere pubblico del rinnegamento introducendo l’espressione e\mprosqen paéntwn (davanti a tutti). L’introduzione

alle

parole

di

Pietro

poi

nel

secondo

rinnegamento sono le seguenti: Matteo:

paélin h\rnhésato metaè o$rkou;

Marco:

o| deè paélin h\rne_to;

Luca:

o| deè Peétrov e"fh;

Giovanni:

h\rnhésato e\ke_nov kaì eùpen.

Anche nelle parole che introducono il secondo rinnegamento troviamo il verbo a\rneéomai. Notiamo

però

alcune differenze rispetto

precedente. 99

all’introduzione


Anzitutto il verbo a\rneéomai non si legge più in Luca, ma è introdotto in Giovanni. Inoltre in Marco è espresso non più nella forma di aoristo completivo (h\rnhésato), bensì nella forma di imperfetto iterativo (h\rne_to). Marco così sottolinea che non una volta, ma ripetutamente Pietro rinnegò. Infine Matteo rafforza ancora il rinnegamento introducendo l’espressione metaè o$rkou (con giuramento), mediante la quale l’evangelista sottolinea che, per essere creduto nella sua negazione, Pietro ricorse al giuramento. L’introduzione alle parole di Pietro infine nel terzo rinnegamento sono le seguenti: Matteo:

toéte h"rxato kataqematòzein kaì o\mnuéein;

Marco:

toéte h"rxato a\naqematòzein kaì o\mnuéein (v 1 o\mnuénai);

Luca:

eùpen deè Peétrov;

Giovanni:

paélin ou&n h\rnhésato Peétrov.

Stavolta il verbo a\rneéomai si legge solo in Giovanni. Luca si accontenta di introdurre il terzo rinnegamento soltanto con le parole eùpen deè Peétrov (disse Pietro). Significativa è l’introduzione in Matteo e Marco. I due evangelisti non usano più il verbo a\rneéomai ma introducono i due verbi, kataqematòzein (Marco: a\naqematòzein) e o\mnuéein, informandoci così che Pietro accompagnò il suo rinnegamento con delle imprecazioni e degli scongiuri.

100


Benché usato non sempre e non nella stessa posizione, il verbo a\rneéomai caratterizza in tutti gli evangelisti le introduzioni alle parole di rinnegamento di Pietro. Possiamo proporre il seguente quadro prospettico: 1° rinnegamento 2° rinnegamento 3° rinnegamento Matteo:

Marco:

h\rnhésato

h\rnhésato

h\rnhésato

kataqematòzein

metaè o$rkou

kaì o\mnuéein

h\rne_to

a\naqematòzein kaì o\mnuéein

Luca:

h\rnhésato

e"fh

eùpen

Giovanni:

leégei

h\rnhésato

h\rnhésato.

Questo quadro prospettico ci mostra un crescendo di intensità, nelle varie introduzioni, in Matteo, Marco e Giovanni. In Matteo il crescendo è determinato dall’espressione metaè o$rkou nel secondo rinnegamento e dai verbi kataqematòzein e o\mnuéein nel terzo. In Marco è determinato dal passaggio dalla forma all’aoristo del verbo a\rneéomai (h\rnhésato) alla forma all’imperfetto iterativo (h\rne_to) e poi dagli stessi due verbi a\naqematòzein e o\mnuéein nel terzo, usati già da Matteo. In Giovanni infine esso è determinato dal passaggio dal verbo leégei al verbo h\rnhésato, e da questo, all’espressione paélin h\rnhésato.

101


1.4. Le parole di Pietro Giungiamo così alle dirette parole con cui Pietro attua il suo rinnegamento. Anch’esse sono diverse nei vari interventi e nei vari evangelisti. Le parole con cui Pietro attua il primo rinnegamento, sono le seguenti: Matteo:

ou\k oùda tò leégeiv;

Marco:

ou"te oùda ou"te e\pòstamai suè tò leégeiv;

Luca:

ou\k oùda au\toén, guénai;

Giovanni:

ou\k ei\mò.

I primi tre evangelisti condividono lo stesso verbo oùda, ma con oggetto diverso. In Matteo e Marco l’oggetto è ciò che (tò) la donna dice (leégeiv)1; in Luca è la stessa persona di Gesù (au\toén). In Giovanni Pietro si limita soltanto a negare quello che la donna dice, il fatto cioè di essere discepolo di Gesù. Le parole con cui Pietro attua il secondo rinnegamento, sono inoltre le seguenti: Matteo:

ou\k oùda toèn a"nqrwpon;

Marco:

-------------------;

Luca:

a\"nqrwpe, ou\k ei\mò;

Giovanni:

ou\k ei\mò.

Possiamo notare in Marco l’accostamento dei due pronomi sué e tò: in questo modo entrambi ricevono particolare enfasi.

1

102


Marco la seconda volta non riferisce alcuna parola di Pietro; in questo modo, il secondo evangelista concentra tutta l’enfasi sull’imperfetto h\rne_to. Luca e Giovanni concordano nella stessa espressione ou\k ei\mò, con cui Pietro rifiuta la particolare identità che gli viene attribuita, quella di essere “uno di essi” secondo Luca, e quella di essere “dei discepoli” di Gesù secondo Giovanni. Matteo conserva anche la seconda volta il verbo oùda; stavolta però l’oggetto della non conoscenza non è ciò che gli viene detto, bensì la persona stessa di Gesù, indicata con il termine accusativo toèn a"nqrwpon. Le parole con cui Pietro attua infine il terzo rinnegamento, sono le seguenti: Matteo:

ou\k oùda toèn a"nqrwpon;

Marco:

ou\k oùda toèn a"nqrwpon touéton o£n leégete;

Luca:

a\"nqrwpe, ou\k oùda o£ leégeiv;

Giovanni:

-------------------.

Il quarto evangelista la terza volta non riferisce alcuna diretta parola di Pietro. Egli fa poggiare tutta l’enfasi sul verbo h\rnhésato, reso più enfatico dall’avverbio paélin. Torna ancora nei tre vangeli Sinottici, in questo terzo rinnegamento, come nel primo, il verbo oùda, ma con una inversione per quanto riguarda gli oggetti. Nel primo rinnegamento la non conoscenza, in Matteo e Marco, riguardava ciò che aveva detto la donna e, in Luca, la persona stessa di Gesù; nel terzo rinnegamento si nota invece l’inverso: in Matteo e 103


Marco, la non conoscenza riguarda la persona stessa di Gesù2, in Luca, invece ciò che ha detto l’interlocutore di Pietro. Matteo e Marco presentano una frase nella prima parte identica, Marco amplia, evidentemente di sua iniziativa, con l’espressione touéton o£n leégete (questo che dite). Le risposte di Pietro nei vari rinnegamenti e nei vari evangelisti ancora una volta rivelano l’incertezza della tradizione. I singoli evangelisti avrebbero introdotto le varie risposte di Pietro secondo un loro criterio personale. Non riteniamo tuttavia necessario proporre adesso un quadro prospettico come per gli elementi precedenti; è sufficiente soltanto notare che le risposte di Pietro si riconducono a tre aspetti: 1. La negazione da parte di Pietro, mediante l’espressione ou\k ei\mò, della sua appartenenza al gruppo dei discepoli o “di essi”: Luca (secondo rinnegamento): a\"nqrwpe, ou\k ei\mò; Giovanni (primo rinnegamento): ou\k ei\mò; Giovanni (secondo rinnegamento): ou\k ei\mò. 2. La negazione da parte di Pietro della conoscenza di ciò che dice l’interlocutore: Matteo (primo rinnegamento): ou\k oùda tò leégeiv; Possiamo notare in Luca il vocativo a"nqrwpe, che richiama il precedente vocativo guénai. Si può stabilire tra le due espressioni anche uno schema concentrico: ou\k oùda au\toén guénai a"nqrwpe, ou\k oùda tò leégeiv Ci chiediamo se con questi due vocativi guénai e a"nqrwpe l’evangelista non voglia esprimere anche un aspetto di universalità, quasi a dire che Pietro rinnega davanti a tutti. 2

104


Marco (primo rinnegamento): ou"te oùda ou"te e\pòstamai suè tò leégeiv; Luca (terzo rinnegamento): a\"nqrwpe, ou\k oùda o£ leégeiv. 3. La negazione da parte di Pietro della conoscenza della persona stessa di Gesù: Luca (primo rinnegamento): ou\k oùda au\toén, guénai; Matteo (secondo rinnegamento): ou\k oùda toèn a"nqrwpon; Matteo (terzo rinnegamento):

ou\k oùda toèn a"nqrwpon;

Marco: (terzo rinnegamento): ou\k oùda toèn a"nqrwpon touéton o£n leégete. A questi tre aspetti se ne può aggiungere un quarto: l’assenza di qualsiasi risposta diretta; ciò avviene in Marco nel secondo rinnegamento, e in Giovanni nel terzo.

1.5. Conclusione Questa breve analisi mostra come la tradizione sostanzialmente sapeva cosa era stato richiesto a Pietro e cosa, di conseguenza, egli aveva negato. La tradizione però era incerta a quale rinnegamento apparteneva una specifica domanda con la sua specifica risposta. Dobbiamo concludere perciò che l’attribuzione ai singoli rinnegamenti delle domande specifiche e delle conseguenti risposte appartiene ai singoli evangelisti. Se esse quindi siano state proposte nei racconti attuali con un ordine particolare, bisogna interrogare non la tradizione, bensì i

105


singoli evangelisti, ciò che ci prefiggiamo di fare nei paragrafi seguenti. Due aspetti tematici, prescindendo dalla peculiare formulazione di Giovanni, emergono però più sicuri dalla tradizione, il duplice oggetto delle domande rivolte a Pietro, se anche lui era con Gesù e se apparteneva a quelli con Gesù, e il fatto stesso del rinnegamento indicato con il verbo a\rneéomai.

2. I tre rinnegamenti nei singoli evangelisti Dopo avere considerato diacronicamente e confrontato i singoli elementi nei vari evangelisti, adesso tentiamo di rileggerli nel contesto globale della narrazione di ciascun evangelista. Ciò ci permetterà, come abbiamo già osservato, di cogliere la prospettiva con cui essi sono stati introdotti nel suo racconto da ciascuno di essi. In questo paragrafo ci riferiamo esclusivamente ai vangeli Sinottici; la prospettiva giovannea, per la particolare struttura del testo e per gli elementi nuovi che introduce, si rivela particolare ed esige una considerazione specifica; essa pertanto, esorbita dal nostro lavoro.

2.1. Il racconto di Matteo (26,69-75) Il racconto di Matteo riprende tutti gli elementi della tradizione, colmando però qualche lacuna, introducendo qualche sottolineatura e offrendo anche una propria sistemazione dei vari elementi.

106


2.1.1. Lo sfondo locale e cronologico Il racconto del primo evangelista parte dall’indicazione che Pietro sedeva (e\kaéqhto) (v 69) fuori (e"xw) nel palazzo. La precisazione che era “fuori” indica che, secondo Matteo, Gesù fu condotto dentro. In quella posizione, seduto, Pietro è raggiunto dalla serva che fa la sua osservazione, alla quale egli risponde affermando di non sapere quello che lei dice. Dopo questo primo rinnegamento, Pietro dovette iniziare un cammino che lo conduceva all’uscita (e\xelqoénta deè ei\v toèn pulw%na) (v 71). Tuttavia egli non uscì; la sua uscita completa è descritta solo alla fine, nel v 75 (e\xelqwèn e"xw), in concomitanza con il suo pianto amaro. Possiamo ipotizzare che, secondo il primo evangelista, Pietro compì un cammino che lo conduceva verso l’uscita. Prima però di potere uscire, fu raggiunto dagli altri due interventi che provocarono gli altri due rinnegamenti. Il terzo rinnegamento non dev’essere avvenuto subito; deve essere intercorso un lasso di tempo, non lungo, che l’evangelista non sa precisare e si limita a scrivere “dopo un poco”. Questo “poco tempo” sembra essere superiore al tempo necessario per raggiungere l’uscita. Qui però all’evangelista non possiamo chiedere di più. Restando tuttavia sul piano delle supposizioni, forse l’evangelista pensava che, benché si fosse avviato verso l’uscita, in realtà Pietro abbia indugiato, unendosi magari a qualche altro gruppo, come suggerisce il soggetto oi| e|stw%tev del v 73. 107


2.1.2. I soggetti che interpellano Pietro I soggetti che interpellano Pietro e che provocano il suo rinnegamento, sono i seguenti: Una serva (mòa paidòskh): primo rinnegamento (v 69); Un’altra non ben definita (a"llh): secondo rinnegamento (v 71); I presenti (oi| e|stwétev): terzo rinnegamento (v 73). Non emerge in questa successione di soggetti alcun significato particolare. Forse l’evangelista obbedisce in questa descrizione ad una immagine di luogo: la serva raggiunse Pietro mentre era seduto, l’“altra” lo avrebbe incrociato mentre tentava di uscire, lo avrebbe riconosciuto e lo avrebbe additato a quelli che erano lì; i presenti (oi| e|stw%tev) potrebbero essere un nuovo gruppo al quale Pietro, prima di uscire tentò di unirsi. Possiamo però osservare un progresso nei personaggi davanti ai quali Pietro rinnegò. Nel primo rinnegamento i personaggi ci sono e sono presupposti: Pietro infatti rinnegò “davanti a tutti”. Tuttavia essi esplicitamente non sono menzionati. Nel secondo rinnegamento essi, in maniera più generica, sono indicati con l’espressione “quelli lì (to_v e\ke_)”. Nel terzo rinnegamento invece sono menzionati “i presenti (oi| e|stw%tev)”. Emerge una domanda alla quale però preferiamo non dare alcuna risposta: vorrebbe l’evangelista, con questo progresso di personaggi, descrivere il progressivo coinvolgimento di Pietro in quella sede, in concomitanza al progredire dei suoi rinnegamenti? 108


2.1.3. Le parole rivolte a Pietro Le parole rivolte a Pietro, secondo il primo evangelista, sono le seguenti: Primo rinnegamento: kaì suè h&sqa metaè \Ihsou% tou% Galilaòou; Secondo rinnegamento: ou/tov h&n metaè \Ihsou% tou% Nazwraòou; Terzo rinnegamento: a\lhqw%v kaì suè e\x au\tw%n eù. Possiamo scorgere in queste tre espressioni quasi un decrescendo che sembra significare un progressivo allontanamento di Pietro da Gesù. La prima espressione evoca l’essere con Gesù alla seconda persona singolare; la seconda evoca ancora l’essere con Gesù, ma alla terza persona singolare; la terza evoca l’appartenenza al gruppo di Gesù. Si direbbe che Pietro si è man mano allontanato da Gesù ed è anche uscito dal gruppo di coloro che erano con Lui.

2.1.4. Le introduzioni narrative alle parole di Pietro Nelle introduzioni narrative alle parole di Pietro possiamo scorgere un progresso di intensità. Esse, secondo Matteo, sono: Primo rinnegamento: h\rnhésato e"mprosqen paéntwn; Secondo rinnegamento: h\rnhésato metaè o$rkou; Terzo rinnegamento: h"rxato kataqematòzein kaì o\mnuéein. Il progresso in queste frasi nel rinnegamento emerge più chiaro: dal rinnegamento pubblico, Pietro passa al rinnegamento con giuramento; da questo, passa poi alle imprecazioni e agli scongiuri.

109


In questo progresso, l’evangelista sottolinea così che il rinnegamento di Pietro appare totale e, in certo senso, anche irreversibile.

2.1.5. Le parole di Pietro Anche nelle parole di Pietro si può scorgere una progressione nei rinnegamenti. Le sue parole, secondo Matteo, sono le seguenti: Primo rinnegamento: ou\k oùda tò leégeiv; Secondo rinnegamento: ou\k oùda toèn a"nqrwpon; Terzo rinnegamento: ou\k oùda toèn a"nqrwpon. Sembra che, in un primo momento, Pietro voglia nascondersi dietro l’incomprensione delle parole che la serva gli rivolge; in un secondo momento invece passa alla diretta non conoscenza di Gesù che, ripetuta due volte, acquista una certa enfasi. È significativo il modo come Pietro menziona Gesù, soltanto con il termine toèn a"nqrwpon. Si direbbe che per lui Gesù è divenuto come un uomo tra i tanti di cui si può dire di non conoscerlo.

2.1.6. Conclusione Sembra che nella narrazione di Matteo emergano, attraverso i vari elementi su indicati, due linee che possiamo definire regressiva e progressiva. La linea regressiva consiste nella relazione di Pietro a Gesù; questa linea però può essere, in diverso senso, anche intesa progressiva, come progressivo regresso ed allontanamento da lui.

110


Pietro sempre più si è allontanato da Gesù ed è uscito anche dalla cerchia di quelli che erano con lui. La linea progressiva consiste invece nello stesso rinnegamento. Pietro rinnega con un sempre più crescendo di intensità. Il suo rinnegamento si fa sempre più forte e Gesù man mano scompare fino ad essere ridotto ad un uomo qualsiasi. Il rinnegamento di Pietro appare ancora più stridente alla luce del racconto del Getsemani. In 26,38 Gesù aveva chiesto ai tre, Pietro e i due figli di Zebedeo di restare lì e vegliare con lui (met’e\mou%). Nel v 40 poi, trovando i tre addormentati, Gesù rivolse loro un rimprovero carico di mestizia: «non avete potuto una sola ora vegliare con me (met’e\mou%)?». Pietro non vegliò con Gesù, ed ora dichiara che non era con lui. Si direbbe che il suo rinnegamento, trovi la sua causa, in ultima analisi, nel fatto che egli non vegliò con Gesù e perciò non pregò.

2.2. Il racconto di Marco (14,66-72) Anche il racconto di Marco riprende tutti gli elementi della tradizione, offrendo però di essi anche una propria sistemazione. Sostanzialmente il racconto di Marco, tranne in qualche specifico particolare, segue quello di Matteo.

111


2.2.1. Lo sfondo locale e cronologico Il secondo evangelista ci informa che Pietro era “sotto (kaétw)”, nel cortile; Marco perciò presuppone che Gesù sia stato condotto nei piani superiori del palazzo. Non ci dice però che Pietro stava seduto. La sua posizione, nella quale è raggiunto dalla serva, in questo racconto rimane vaga. Anche Marco ci informa che Pietro si mosse per andare verso l’atrio; il fatto però che il secondo intervento è attribuito alla stessa serva (h| paidòskh), lascia supporre, nel pensiero del secondo evangelista, che Pietro non si sia allontanato dal posto dov’era. Forse possiamo pensare che la serva intervenne osservando il tentativo di Pietro di volersi allontanare e lo additò ai presenti. In realtà, secondo Marco, Pietro non uscì; mai infatti in questo racconto si dice che Pietro sia uscito. Il verbo finale e\pibalwén infatti non descrive un movimento di Pietro, bensì l’intensità del pianto in cui egli proruppe, dopo il terzo rinnegamento. Anche Marco, come Matteo, interpone tra il secondo e il terzo rinnegamento un lasso di tempo (metaè mikroén), breve, ma che non è ben quantificato.

2.2.2. I soggetti che interpellano Pietro I soggetti che interpellano Pietro e che provocano il suo rinnegamento, secondo Marco, sono i seguenti: Una serva (mòa tw%n paidiskw%n): primo rinnegamento (v 66);

112


Probabilmente la stessa serva (h| paidòskh): secondo rinnegamento (v 69); I presenti (oi| parestw%tev): terzo rinnegamento (v 70). Come abbiamo già notato, il secondo evangelista precisa il secondo personaggio che interpella Pietro identificandolo con “la serva (h| paidòskh)”. L’articolo suggerisce che si tratti della stessa serva che interrogò prima. Possiamo però notare un legame letterario che contribuisce a conferire unità a tutto il racconto. Non pare però che tale legame abbia un particolare significato e vada oltre il piano letterario. Il legame è il seguente: una delle serve (mòa tw%n paidiskw%n) interpella Pietro, poi la serva (h| paidòskh), la seconda volta, parla di lui ai “presenti (to_v parestw%sin)”, i “presenti (oi| parestw%tev)“ si rivolgono a Pietro. Otteniamo il seguente schema: mòa tw%n paidiskw%n h| paidòskh

to_v parestw%sin oi| parestw%tev

2.2.3. Le parole rivolte a Pietro Le parole rivolte a Pietro, secondo Marco, sono le seguenti: Primo rinnegamento: kaì suè metaè tou% Nazarhnou% h&sqa tou% \Ihsou%; Secondo rinnegamento: ou/tov e\x au\tw%n e\stòn; Terzo rinnegamento: a\lhqw%v e\x au\tw%n eù. 113


A differenza di Matteo, Marco, all’inverso, solo una volta menziona

l’essere

con

Gesù,

mentre

menziona

due

volte

l’appartenenza di Pietro al suo gruppo. A differenza di Matteo, che sottolineava “l’essere con Gesù”, Marco

sembra

invece

sottolineare

maggiormente

il

fatto

dell’appartenenza di Pietro al gruppo di Gesù. Ciò emerge sia dalla duplice ripetizione dell’espressione e\x au\tw%n e\stòn (eù), sia dall’enfasi con cui è introdotto il termine tou% Nazarhnou%, introdotto prima del verbo, sia anche dalla relazione che può essere stabilita tra il termine tou% Nazarhnou%, riferito a Gesù e il termine Galila_ov riferito a Pietro.

2.2.4. Le introduzioni narrative alle parole di Pietro Le introduzioni narrative alle parole di Pietro proposte da Marco sono le seguenti: Primo rinnegamento: o| deè h\rnhésato; Secondo rinnegamento: o| deè paélin h\rne_to; Terzo rinnegamento: o| deè h"rxato a\naqematòzein kaì o\mnuénai. In queste formule introduttive sembra emergere meglio non l’aspetto dell’intensità, come in Matteo, bensì quello dell’insistenza. Ciò emerge soprattutto dalla forma all’imperfetto h\rne_to nella seconda introduzione. Tale imperfetto, come abbiamo già osservato, ha un valore continuativo e anche iterativo. Pietro persiste nel suo rinnegamento e ripete le parole che ha detto, nel tentativo di far credere agli altri quello che invece per loro non era ovvio, ma lo era il contrario. 114


Il terzo intervento da cui Pietro è raggiunto mostra che non è stato creduto e che gli altri siano rimasti nella loro convinzione. Come supremo tentativo, egli ricorre alle imprecazioni e agli scongiuri.

2.2.5. Le parole di Pietro Le parole con cui Pietro rispose ai vari interventi che gli contestavano la sua appartenenza al gruppo di Gesù, secondo Marco sono le seguenti: Primo rinnegamento: ou"te oùda ou"te e\pòstamai suè tò leégeiv; Secondo rinnegamento: ----------; Terzo rinnegamento: ou\k oùda toèn a"nqrwpon tou%ton o£n leégete. Nelle parole di Pietro, riferite dal secondo evangelista, sembra emergere la passionalità e la veemenza con cui egli rinnega. Forse tale veemenza può essere dettata dalla paura di essere scoperto, come emerge dal tentativo di allontanarsi dopo il primo intervento della serva. Con le sue parole, Pietro vuol sottolineare la sua piena estraneità alla vicenda di Gesù: egli non ha nulla a che fare con lui. Ciò emerge nelle sue prime parole, ampliate, rispetto a quelle di Matteo, mediante l’espressione ou"te e\pòstamai suè tò leégeiv. Le parole della serva sono per lui totalmente incomprensibili. Possiamo notare l’enfasi del pronome sué: forse, secondo Marco, Pietro avrebbe tentato di relegare le parole della serva alla sua dimensione di serva: in quanto tale, ella è ignorante e dice parole incomprensibili, frutto della sua immaginazione e della sua fantasia.

115


L’estraneità di Pietro alla vicenda di Gesù emerge ancora dall’assenza di sue parole la seconda volta. Abbiamo già notato che Marco, omettendo qualsiasi parola diretta, fa ricadere tutta l’enfasi sull’imperfetto introduttivo h\rne_to. Pietro, ripetendo il suo rinnegamento, vuol mostrare che non ha niente a che vedere con Gesù. Infine tale estraneità appare nella terza risposta, dove l’evangelista, rispetto alle parole riferite da Matteo, aggiunge l’espressione tou%ton o£n leégete (questo che dite). Pietro vuol così mostrare che egli non sa nemmeno di quale uomo si parla e si basa soltanto sulle parole che ha udito.

2.2.6. Conclusione Sostanzialmente la narrazione di Marco non si discosta molto da quella di Matteo; sembra emergere però nella narrazione del secondo evangelista una diversità di prospettiva. Secondo Marco, Pietro insisterebbe sulla sua totale estraneità alla vicenda di Gesù, e proprio questo egli tenta in tutti i modi, di mostrare anche a chi gli obietta l’evidenza contraria. Egli è estraneo sia alla persona di Gesù, sia soprattutto al suo gruppo. Egli non capisce nemmeno quello che la serva dice, e non sa nulla dell’uomo di cui i presenti parlano. Il galileo Pietro non ha niente a che vedere con il nazareno Gesù. Emerge così un forte contrasto tra il galileo Pietro, il nazareno Gesù e il gruppo tra cui Pietro si trova, ma dove la sua presenza appare ingiustificata. Egli infatti è uno sconosciuto, la cui presenza nella casa del sacerdote suscita domanda e non tarda ad essere notato. L’unica 116


spiegazione possibile, confermata anche dalla sua condizione di Galileo, è che anche Pietro sia uno di quelli che erano con Gesù. Proprio questo egli con forza e insistenza tenta di negare, però con scarso successo, come appare dal fatto che le obbiezioni contro di lui sono ripetute. Ciò accresce ancora di più la paradossalità sia della posizione di Pietro nella casa del sacerdote e sia anche delle sue pretese di essere estraneo a Gesù e alla sua vicenda.

2.3. Il racconto di Luca (22,55-62) Pure il racconto di Luca infine riprende tutti gli elementi provenienti dalla tradizione a riguardo dei rinnegamenti di Pietro. Anche il terzo evangelista offre di essi una propria sistemazione. Luca però, come ci sembra di potere dedurre dagli elementi propri che introduce e dalla sua particolare sistemazione dei vari elementi, presenta i tre rinnegamenti di Pietro in una sua peculiare prospettiva. Soprattutto molto importante in questo evangelista è il fatto che introduce anche l’azione di Gesù di voltarsi e guardare Pietro. Tale azione, come abbiamo già notato, è quella che, più direttamente ancora del canto del gallo, provoca il suo pentimento. Di tale azione di Gesù, rivolta verso Pietro, gli altri evangelisti, Matteo, Marco e anche, almeno esplicitamente, Giovanni, non dicono nulla.

117


2.3.1. Lo sfondo locale e cronologico Nel racconto lucano distinguiamo l’aspetto locale da quello cronologico. Cominciando da quest’ultimo, notiamo che il terzo evangelista scandisce con maggiore precisione i tre rinnegamenti. Il secondo avviene “dopo un poco (metaè bracué)”; il terzo invece avviene “dopo circa un’ora (diastaéshv w|seì w$rav mia%v)” rispetto a quello precedente. Più importante, quasi decisivo, sembra essere l’aspetto locale. Esso è compendiato all’inizio della narrazione, nel v 56, dove possiamo cogliere una particolare struttura letteraria: periayaéntwn deè pu%r e\n meés§ th%v au\lh%v kaì sugkaqisaéntwn e\kaéqhto o| Peétrov meésov au\tw%n Questo schema mostra l’importanza del termine meésov nella descrizione lucana: il fuoco è nel mezzo del cortile; Pietro è nel mezzo di coloro che siedono. L’evangelista così sottolinea la posizione di Pietro “nel mezzo”. Si direbbe che in quel gruppo attorno al fuoco Pietro occupi un posto centrale che, come suggerisce l’imperfetto intransitivo riflessivo

118


e\kaéqhto, non gli era stato attribuito da alcuno, ma che si era scelto lui. Questo stesso schema sottolinea enfaticamente anche la posizione di Pietro. L’imperfetto e\kaéqhto sta al centro, inserito tra due soggetti, e, come imperfetto, esprime una posizione continua e perciò, in certo senso, stabile. Pietro in qualsiasi modo aveva ottenuto in quel gruppo una posizione centrale e stabile, quasi definitiva. Questa

posizione

di

Pietro

è

ulteriormente

enfatizzata

dall’evangelista dal fatto che di lui non si indica, fino alla fine, alcuna altra posizione. In quella posizione egli è raggiunto dai vari interlocutori e in quella posizione è raggiunto anche dallo sguardo di Gesù. Solo alla fine, nel v 62, l’evangelista descriverà un mutamento nella posizione di Pietro, quando egli, uscito fuori (e\xelqwèn e"xw), pianse amaramente.

2.3.2. I soggetti che interpellano Pietro I soggetti che interpellano Pietro nel terzo evangelista rimangono ancora più vaghi che negli altri evangelisti. Essi sono: Primo rinnegamento: paidòskh tòv (una serva); Secondo rinnegamento: e$terov (un altro); Terzo rinnegamento: a"llov (un altro).

119


Si direbbe che Luca non dia alcuna importanza ai personaggi che interpellano Pietro. Egli invece sembra sottolineare la loro azione previa alle loro parole. Tali azioni sono: Primo rinnegamento: i\douésa au\toén (avendo visto lui) – a\tenòsasa au\t§% (avendolo scrutato); Secondo rinnegamento: i\dwèn au\toén (avendo visto lui); Terzo rinnegamento: dii=scuròzeto (asseriva). Tutte queste azioni dei vari personaggi sembrano preparare, non senza un notevole contrasto, come diremo, l’azione di Gesù che, voltatosi

(strafeòv),

fissò

Pietro

(a\neébleyen

t§%

Peétr§)

provocando il suo pianto amaro.

2.3.3. Le parole rivolte a Pietro Le parole rivolte a Pietro nel racconto lucano sono semplici ed incisive. Esse sono: Primo rinnegamento: kaì ou/tov suèn au\t§% h&n; Secondo rinnegamento: kaì suè e\x au\tw%n eù; Terzo rinnegamento: ou/tov met’au\tou% h&n. Ci sembra che il terzo evangelista sottolinei di più la frase centrale, non solo perché è al centro, ma soprattutto perché è l’unica in cui l’interlocutore non afferma, alla terza persona, come nel primo e terzo caso, di Pietro, bensì lo interpella direttamente. Nello sfondo di due affermazioni riguardanti l’essere con Gesù, la seconda appare come una deduzione: se era con Gesù, vuol dire che apparteneva ai suoi. Ciò è appunto quanto direttamente è contestato a Pietro dal secondo interlocutore. 120


2.3.4. Le introduzioni narrative alle parole di Pietro Le introduzioni narrative alle parole di Pietro appaiono nel vangelo di Luca più semplici che non negli altri evangelisti. Esse sono: Primo rinnegamento: o| deè h\rnhésato leégwn; Secondo rinnegamento: o| deè Peétrov e"fh; Terzo rinnegamento: eùpen deè o| Peétrov. Solo la prima volta Luca usa il verbo a\rneéomai. Il terzo evangelista non sottolinea, come i primi due evangelisti, la fatica di Pietro a far credere agli interlocutori il contrario di quanto affermano. Forse Luca non diede importanza a questo elemento, o forse egli volle presentare un Pietro talmente sicuro nella sua posizione da non avere bisogno di molte parole per affermarla. Tuttavia anche Luca riprese un verbo che gli proveniva dalla tradizione, il verbo a\rneéomai, che, in certo modo, enfatizza, collocandolo al primo posto.

2.3.5. Le parole di Pietro Pure le dirette parole di Pietro sono presentate dal terzo evangelista in maniera molto semplice. Tale semplicità tuttavia sembra conferire ad esse il carattere di perentorietà. Le parole di Pietro sono: Primo rinnegamento: ou\k oùda au\toén, guénai; Secondo rinnegamento: a"nqrwpe, ou\k ei\mò; Terzo rinnegamento: a"nqrwpe, ou\k oùda o£ leégeiv. 121


Tuttavia in queste parole molto brevi si può cogliere un progressivo distanziamento da Gesù e anche una progressiva affermazione di estraneità. Pietro anzitutto dichiara di non conoscere Gesù, poi passa ad affermare di non appartenere al suo gruppo, infine definisce come incomprensibili le parole che l’interlocutore dice.

2.3.6. Conclusione Sembra che tutto il racconto lucano si sviluppi attorno alle due indicazioni della posizione di Pietro, quella iniziale quando “sedeva in mezzo ad essi (e\kaéqhto meésov au\tw%n)” e quella finale, quando “uscito (e\xelqwèn) fuori (e"xw)” pianse amaramente. Queste due indicazioni possono costituire due inclusioni tematiche a tutto il racconto. Tra queste due indicazioni si sviluppa il racconto dove sono presentati i due tipi di interlocutori, il gruppo dei tre che obiettano e Gesù che rivolge il suo sguardo. Rileggendo attentamente i vari interventi dei tre interlocutori, sembra che essi possono ricondursi ad un denominatore comune: il tentativo di mostrare a Pietro la sua estraneità al luogo dove invece lui siede. Il luogo dove egli, sedendo, ha assunto una posizione stabile, in realtà non gli appartiene e i vari interventi mirano a mostrare appunto questa non appartenenza. In questo senso, l’intervento dei tre assumerebbe un carattere sia negativo che positivo.

122


Il carattere negativo consisterebbe nel fatto che una cerchia di persone rifiuta come estraneo Pietro che ha cercato di inserirsi tra di esse: Pietro ha tutt’altra appartenenza. Il carattere positivo potrebbe consistere nel fatto che le persone che lo interpellano vorrebbero indurre Pietro ad uscire da quella posizione. In realtà quegli interventi sortiscono effetto contrario: Pietro con lucida coscienza si radica in quella posizione, affermando invece di non avere alcun rapporto di appartenenza a Gesù e alla sua scelta. Pietro sembra avere fatto così una scelta opposta a Gesù: la sua posizione ormai è quella attorno al fuoco in mezzo a quelli che siedono lì. In quella posizione, benché Luca non dica nulla a riguardo, Pietro è destinato a perire, in maniera tanto più sicura quanto più cosciente è stato il suo radicamento in essa. Qui interviene l’azione di Gesù. Quest’azione dovrebbe essere ulteriormente specificata, benché nel contesto l’evangelista non introduca a questo scopo alcun altro elemento. Nei precedenti capitoli abbiamo indicato qualche altro testo in cui è descritta analoga azione di Gesù. La descrizione dell’azione di Gesù nel nostro testo pone, come abbiamo notato, dei problemi dal punto di vista del momento e del luogo concreto in cui si è verificata. All’evangelista però questi problemi sembrano non interessare; a lui interessa soltanto sottolineare il fatto che Gesù rivolse a Pietro uno sguardo che determinò il suo pentimento.

123


Possiamo vedere qui l’applicazione dell’immagine del pastore della parabola, in Lc 15,4-7, che si è messo alla ricerca della pecora perduta e che, avendola trovata, la richiama a sé? L’idea sarebbe suggestiva, ma il testo, non offrendo alcun altro elemento, non permette né di affermare né di negare. Tuttavia è importante notare il modo come l’evangelista chiami Gesù. Egli non lo chiama mai “Gesù”; le due volte invece che lo menziona, entrambe nel v 61, lo indica sempre con il termine o| Kuériov. Forse quest’elemento ha la sua importanza. Gesù è il Kuériov al quale Pietro appartiene. In questo senso, Gesù, con il suo sguardo, intende richiamare a sé quello che gli appartiene, sottraendolo da un ambiente in cui egli si era inserito, ma al quale, come dichiarano le stesse persone di quella cerchia, egli non appartiene. In forza di tale azione di Gesù, Pietro riscopre la sua vera appartenenza, abbandona quel mondo nel quale aveva cercato di inserirsi ma che lo aveva rifiutato, esce da quel mondo e piange amaramente. In questo modo, Pietro è tornato a Gesù ed ha trovato la sua salvezza.

3. Conclusioni Le conclusioni di questo capitolo sono brevi perché esse sono state proposte man mano nel corso dell’analisi. Nel primo paragrafo, abbiamo confrontato i vari elementi ripresi dagli evangelisti, allo scopo di potere stabilire quali provengono dalla

124


tradizione e quali invece provengono dalla riflessione propria dei singoli evangelisti. Nel secondo paragrafo, abbiamo tentato di considerare i singoli elementi in ogni evangelista, allo scopo di potere cogliere la prospettiva peculiare di ogni racconto. Gli elementi che provengono dalla tradizione, sono i seguenti: 1. La presenza di Pietro nel palazzo del sacerdote; 2. Il fatto che fu indiziato tre volte, sia direttamente alla seconda persona singolare che indirettamente alla terza persona singolare; 3. La menzione della “serva (paidòskh)”, non meglio precisata, che intervenne la prima volta; 4. Le due tematiche negli interventi dei singoli personaggi: essere con (metaé) Gesù e appartenere alla cerchia (e\x) dei suoi; 5. Il verbo a\rneéomai che introduce, caratterizzandole, le risposte di Pietro; 6. Le risposte stesse di Pietro con i suoi tre aspetti: la non conoscenza di Gesù, la non conoscenza di ciò che a Pietro viene detto, non essere ciò che di lui si dice; 7. Il canto del gallo; 8. Il pianto di Pietro. La tradizione però non precisava alcuni aspetti, quali quelli del luogo e dei tempi; inoltre non precisava chi fossero, oltre la serva, gli altri interlocutori di Pietro; infine non legava ad un particolare rinnegamento il contenuto delle dichiarazioni degli interlocutori e le varie risposte di Pietro.

125


Si può concludere che nella tradizione ci fosse una certa fluttuabilità superata dalla tradizione di Matteo e Marco prima e da ogni singolo evangelista dopo. Ogni evangelista così recepì e utilizzò con una certa libertà il materiale ricevuto dalla tradizione, in base ad una sua particolare prospettiva. Quanto poi alla prospettiva di ciascun singolo evangelista, sembra che Matteo abbia voluto evidenziare due linee: regressiva e progressiva. Pietro man mano si allontana da Gesù (linea regressiva) e cresce sempre più nell’intensità del suo rinnegamento (linea progressiva). Marco invece vorrebbe sottolineare l’insistenza paradossale di Pietro sulla sua totale estraneità a Gesù e alla sua vicenda; proprio questo infatti egli tenta di mostrare, in tutti i modi, a chi gli obietta l’evidenza contraria. La prospettiva lucana infine sembra essere determinata dalla descrizione iniziale della posizione di Pietro e dalla descrizione, sua propria, dell’intervento di Gesù. Sembra che nel racconto di Luca emergano tre linee diverse: l’insistente coinvolgimento di Pietro nella cerchia del sacerdote, la dichiarazione di estraneità da parte di quelli che compongono quella cerchia, l’intervento di Gesù che richiama Pietro a sé. L’elemento fondamentale però che proviene dalla tradizione è certamente il verbo a\rneéomai che, benché non ben definito nella sua posizione, tuttavia torna come elemento costante in tutti i vangeli. Probabilmente sarà questo verbo ad illuminare e dare un senso al racconto dei rinnegamenti di Pietro; su di esso, soprattutto nei suoi usi evangelici, vogliamo fermare l’attenzione nel capitolo seguente. 126


Capitolo sesto: IL VERBO a\(pa)rneéomai NELLA TRADIZIONE EVANGELICA

Come abbiamo già indicato nel capitolo precedente, il verbo a\rneéomai o a\parneéomai è caratteristico dei tre rinnegamenti di Pietro.

1. Gli usi neotestamentari Nel NT sono attestati entrambi i verbi, sia il verbo semplice a\rneéomai sia anche il verbo composto a\parneéomai.

1.1. Il verbo semplice a\rneéomai Il verbo a\rneéomai nel NT è relativamente frequente. Complessivamente esso si legge trentadue volte, attestato in diversi scritti.

Nei

vangeli,

sia

nei

Sinottici

che

in

Giovanni,

complessivamente si legge quattordici volte. Nei vangeli Sinottici esso si legge dieci volte, oppure, tenendo conto di un testo dove una lettura variante propone il composto a\parneéomai, nove volte. In Matteo si legge quattro volte: due volte nel testo di Mt 10,33 e due volte nel nostro contesto del rinnegamento di Pietro. In Marco si legge soltanto due volte, nel nostro contesto, in relazione all’azione di Pietro.

127


In Luca si legge tre volte: in 8,45; 12,9 e nel nostro testo. In 9,23 la lettura del verbo semplice (a\rnhsaésqw) è incerta: alcuni codici1 infatti leggono il composto a\parnhsaésqw2. Pure in Giovanni il verbo, non assente, è alquanto raro. Esso si legge in tutto quatto volte, la prima volta si legge in 1,20, poi in 13,383, quindi in 18,25.27, nel contesto del rinnegamento di Pietro. Gli ultimi tre usi, 13,38; 18,25.27, sono riferiti al rinnegamento di Pietro; il primo uso, in 1,20, è riferito a Giovanni il Battista, del quale l’evangelista nota che «confessò, non negò e confessò4». Gli altri diciotto usi neotestamentari del verbo a\rneéomai sono così ripartiti: Quattro volte nel libro degli Atti degli apostoli5; Sei volte in tutto l’epistolario paolino6; Una volta nella lettera agli Ebrei7; Cinque volte nelle lettere apostoliche8; Due volte infine nell’Apocalisse9. Cfr il P75, i maiuscoli B* C W Y e molti minuscoli della Koiné, cfr Novum Testamentum graece, a cura di E. Nestle - K. Aland, cit., ad locum. 2 Il verbo semplice a\rneéomai è attestato invece dai codici Sinaitico, Alessandrino, Vaticano nella seconda correzione; inoltre dai codici D, K, L, X, da diversi minuscoli cfr l.c. 3 In 13,38 il verbo semplice è attestato dal P66, i codici B, L, ed alcuni minuscoli; altri codici invece, quali il Sinaitico, l’Alessandrino, i codici C, W, X Y ed i minuscoli della Koiné leggono il verbo composto a\parneéomai cfr Novum Testamentum graece, a cura di E. Nestle - K. Aland, cit., ad locum. 4 Il primo uso, negativo, del verbo a\rneéomai nel quarto vangelo è tanto più efficace in quanto contrappone l’atteggiamento del Battista a quello di Pietro: Pietro rinnegò di essere discepolo di Gesù, il Battista invece negò di essere lui il Cristo. 5 Cfr 3,13.14; 4,16; 7,35. 6 Cfr 1Tm 5,8; 2Tm 2,12.13; 3,5; Tt 1,16; 2,12. 7 Cfr Eb 11,14. 8 Cfr 2Pt 2,1; 1Gv 2,22 (bis).23; Gd 4. 9 Cfr Ap 2,13; 3,8. 1

128


1.2. Il verbo composto a\parneéomai Accanto al verbo semplice a\rneéomai troviamo il verbo composto a\parneéomai. Nel NT esso si legge soltanto dodici volte, incluso anche il testo di Lc 9,23 dove, come lettura variante, è attestato anche il verbo semplice a\rneéomai. A differenza del verbo semplice, attestato anche in altre parti del NT, il verbo composto a\parneéomai si legge soltanto nei vangeli Sinottici, e il suo uso è anche ben definito. Esso è, per così dire, riservato, al detto di Gesù sulla sequela, in Mt 16,24; Mc 8,34; Lc 9,23; altri cinque usi si leggono nel contesto del dialogo tra Gesù e Pietro in cui Gesù preannunzia il rinnegamento10; altri tre usi ancora nell’osservazione dei tre evangelisti che Pietro, al canto del gallo, ricordò le parole di Gesù con cui aveva preannunziato il rinnegamento11. Il dodicesimo uso si legge in Lc 12,9 dove Gesù dichiara che chi lo rinnegherà davanti agli uomini, sarà rinnegato (a\parnhqhésetai) davanti agli angeli di Dio. Giovanni, in 13,38, in cui Gesù preannunzia a Pietro il rinnegamento, non usa il verbo composto, bensì il verbo semplice a\rneéomai. Non pare che ci sia sostanziale differenza tra gli usi del verbo semplice a\rneéomai e quelli del verbo composto a\parneéomai.

10 11

Cfr Mt 26,34.35; Mc 14, 30-31; Lc 22,34. Cfr Mt 26,75; Mc 14,72; Lc 22,61. 129


Considereremo perciò specificamente i testi del NT più pertinenti tematicamente al nostro, sia che in essi è usato il verbo semplice sia anche quello composto. La considerazione di questi verbi è importante perché, come abbiamo osservato nel capitolo precedente, essi ci aiutano a collocare i rinnegamenti di Pietro nel cotesto più ampio evangelico.

2. I verbi a\rneéomai ed a\parneéomai nel resto del NT Ci riferiamo ad alcuni testi del NT, eccetto i vangeli, dove sono usati questi due verbi, soprattutto il verbo a\parneéomai, che, in qualche modo, possono illuminare i nostri testi del rinnegamento di Pietro. Importante può essere il testo di At 3,13, dove si potrebbe scorgere anche un certo paradosso: lo stesso Pietro, che una volta rinnegò Gesù davanti ai giudei, adesso accusa i giudei di avere rinnegato Gesù davanti a Pilato. Pietro spiega che essi hanno rinnegato il giusto ed il santo. Si può citare ancora il testo di 2Tm 2,12 dove, riecheggiando le parole di Gesù dei vangeli, Paolo scrive che, se lo rinneghiamo, anch’egli ci rinnegherà. Nel v 13, però continua affermando, che se noi manchiamo di fedeltà, Egli rimane fedele perché non può rinnegare sé stesso. Altri testi poi alludono a defezioni e rinnegamenti, che debbono essersi verificati nella chiesa primitiva. Così in 2Pt 2,112 l’autore parla di coloro che rinnegano «colui che li ha comprati»; inoltre Giovanni,

12

Cfr anche Gd 4. 130


in 1Gv 2,22-23, chiama “anticristi” quelli che negano il Padre ed il Figlio. Infine in Ap 2,13 la chiesa di Pergamo è lodata perché non ha rinnegato la fede in Gesù e così anche la chiesa di Filadelfia che non ha rinnegato il “suo nome (Ap 3,8)”, cioè il nome di Gesù.

3. I verbi a\rneéomai ed a\parneéomai nei vangeli Sinottici e Giovanni Nei vangeli Sinottici i due verbi sono usati in tre contesti specifici: nelle predizioni da parte di Gesù del rinnegamento di Pietro, negli stessi racconti dei rinnegamenti, nei detti di Gesù riguardanti la sequela. Già questi usi specifici ed esclusivi ci orientano sul senso dei tre rinnegamenti di Pietro. Non importa, almeno per il momento, considerare le tre predizioni. Ci fermeremo perciò soltanto sui seguenti testi: Mt 10,33 con il suo parallelo di Lc 12,9 e Mt 16,24 con i suoi paralleli di Mc 8,34 e Lc 9,23.

3.1. Mt 16,24 (cfr Mc 8,34; Lc 9,23) Questo Loghion stavolta è attestato da tutti e tre gli evangelisti. Esso è il primo di una breve redazione di Loghia di Gesù, riferita da Mt 16,24-28; Mc 8,34-9,1; Lc 9,23-2713. Questa breve redazione di Loghia poi, in tutti e tre gli evangelisti, è inserita dopo la prima predizione della passione. In Luca segue 13

Per questi Loghia nei vangeli sinottici ci riferiamo al lavoro di un collega presentato per il conseguimento del grado accademico di Licenza presso lo Studio Teologico S. Paolo di Catania, cfr P. ALESCIO, “Chi vuol venire dietro a me…”.

131


direttamente alla prima predizione; Matteo e Marco, tra la prima predizione della passione e la redazione dei Loghia inseriscono l’episodio di Pietro che si oppose all’annunzio della passione e che Gesù scacciò come Satana. In tutti e tre gli evangelisti alla redazione dei Loghia segue il racconto della trasfigurazione di Gesù. Proponiamo anzitutto un confronto tra i tre evangelisti: Matteo

Marco

Luca

toéte

kaì

e"legen deè

o| Ihsou%v

proskalesaémenov

proèv paéntav

toèn o"clon eùpen

suèn

to_v maqhta_v

to_v maqhta_v au\tou% eùpen au\to_v

ei " tiv

ei " tiv

ei " tiv

qeélei

qeélei

qeélei

o\pòsw mou

o\pòsw mou

o\pòsw mou

e\lqe_n

a\kolouqe_n

e\"rcesqai

a\parnhsaésqw

a\parnhsaésqw a\(pa)rnhsaésqw

e|autoèn

e|autoèn

e|autoèn

kaì a\raétw

kaì a\raétw

kaì a\raétw

Lettura catechetico – redazionale dei Loghia di Gesù in Mt 16,24-28; Mc 8,349,1; Lc 9,23-27, Catania 2005. 132


toèn stauroèn

toèn stauroèn

toèn stauroèn

au\tou%

au\tou%

au\tou% kaq’h|meéran

kaì

kaì

kaì

a\kolouqeòtw

a\kolouqeòtw

a\kolouqeòtw

moi

moi

moi

Come appare da questo schema, i tre rinnegamenti propongono lo stesso Loghion di Gesù, nel quale egli esorta a chi vuol venire dietro a lui, a rinnegare sé stesso, prendere la propria croce e seguirlo. Possiamo stabilire anzitutto un confronto letterario tra i due evangelisti. Prescindiamo dalla formula introduttiva, dove i tre evangelisti divergono; in Matteo, infatti, Gesù si rivolge ai discepoli (to_v maqhta_v). Marco propone invece una formula più ampliata, dove, accanto ai discepoli, è menzionata la folla o, meglio, è menzionata la folla insieme ai discepoli (toèn o"clon suèn to_v maqhta_v). Luca infine è il più generico di tutti; leggiamo infatti in 9,23 l’espressione e"legen deè proèv paéntav (diceva a tutti )14. Diverso è invece il caso delle parole di Gesù, dove distinguiamo una protasi ed una apodosi. La protasi è identica in Matteo e Marco ed è costituita dalle parole ei" tiv qeélei o\piésw mou e\lqe_n (se qualcuno vuole dietro di me venire).

14

Luca sottolinea il carattere abituale ed iterato di simile insegnamento di Gesù; mentre infatti in Matteo e Marco leggiamo l’aoristo puntualizzato eùpen (disse), in Luca invece leggiamo l’imperfetto e"legen, che esprime appunto l’idea di ripetizione. 133


Anche Luca è quasi identico agli altri due; introduce però una mutazione, a prima vista secondaria, ma che, ad una lettura più attenta, si rivela invece importante. Egli usa lo stesso verbo e"rcomai, però in diversa forma grammaticale, non più all’infinito aoristo come Matteo e Marco (e\lqe_n), bensì all’infinito presente (e"rcesqai). L’infinito aoristo di Matteo e Marco ha un carattere di aoristo ingressivo: secondo questi evangelisti, Gesù sta indicando le condizioni a chi vuole intraprendere un cammino dietro a Lui. Luca invece, con il presente, esprime la continuità dell’azione. Secondo questo evangelista Gesù sta indicando le condizioni non a chi vuole intraprendere il cammino, ma a chi vuol perseverare in esso. Si direbbe che senza queste condizioni non si può stare a lungo dietro Gesù. L’apodosi è costituita da tre forme di imperativo, tutte coordinate mediante la congiunzione kaò e che, perciò, si relazionano in maniera di successione. I tre imperativi sono: a\parnhsaésqw

e|autoèn

kaì a\raétw

toèn stauroèn au\tou%

a\kolouqeòtw

moi

Questi tre imperativi esprimono un cammino in tre tappe successive: 1. Rinnegare sé stesso; 2. Prendere la propria croce; 3. Seguire Gesù. 134


Osserviamo che i primi due imperativi a\parnhsaésqw kaì a\raétw sono imperativi aoristi; il terzo imperativo a\kolouqeòtw è invece un imperativo presente. I primi due imperativi hanno il valore di aoristo ingressivo ed esprimono perciò l’inizio di una azione: rinnegare sé stessi e prendere la propria croce; il terzo invece, come imperativo presente, non si riferisce all’inizio della sequela, bensì al perdurare in essa. Luca poi introduce nel testo l’espressione kaq’h|meéran (ogni giorno). Tale aggiunta concorda con l’infinito presente iniziale e\"rcesqai. La prospettiva del terzo evangelista sembra essere quindi più parenetica. Venire dietro a Gesù è un fatto abituale ma che si rinnova ogni giorno: perciò bisogna prendere la propria croce ogni giorno, per perseverare nella sequela di Gesù. Per tutto il resto, come abbiamo già notato, i tre evangelisti sono quasi identici. Essi unanimemente concordano in queste tre condizioni per andare dietro a Gesù. Queste tre condizioni si relazionano in maniera progressiva e la seguente esige la precedente: per seguire Gesù è indispensabile, come “conditio sine qua non”, prendere la propria croce; per potere prendere la propria croce è indispensabile prima avere rinnegato se stessi. Scorgiamo in questi tre imperativi un cammino analogo a quello dell’esodo. Per potersi mettere in cammino e giungere alla terra promessa, il popolo di Israele dovette uscire prima dall’Egitto ed affrontare le difficoltà del cammino nel deserto. Nonostante però che l’uscita dall’Egitto fosse liberazione e salvezza, il popolo del Signore più di una volta, non accettando le 135


difficoltà del deserto, desiderò tornarvi. Analogamente, rinnegare sé stessi appare come una liberazione, cioè un esodo che permette di compiere un cammino. Come il cammino dell’esodo fu caratterizzato da non poche difficoltà nel deserto, così anche adesso, il cammino del cristiano è segnato dalla presenza della croce, in un rapporto personale con Gesù15. Nel Loghion seguente, in tutti e tre gli evangelisti, Gesù con molta chiarezza avverte un fatale pericolo: se qualcuno tenta di salvare la propria vita, non la salva, ma la perde. Al contrario promette che chi accetta di perdere la propria vita, in realtà non la perde, ma la salva. Si comprende che si tratta di due piani diversi. Chi salva la propria vita davanti agli uomini, la perde quando il figlio dell’uomo verrà nella sua gloria; al contrario, chi perde la sua vita davanti agli uomini, la salva alla venuta del figlio dell’uomo. Marco e Luca, in Mc 8,38 e Lc 9,26, aggiungono anche un altro detto che contiene una minaccia: Gesù dichiara che chi si vergogna di lui e delle sue parole davanti agli uomini, anche lui si vergognerà di quegli quando verrà nella gloria del Padre suo. Alla luce di questi Loghia possiamo rileggere tutta la vicenda di Pietro. Egli nel palazzo del Sacerdote, davanti agli uomini, si vergognò di Gesù, al punto da dichiarare di non avere nulla a che fare con lui e, addirittura, anche di non conoscerlo. 15

Tale rapporto personale emerge dai tre pronomi legati a ciascun imperativo: a\parnhsaésqw e|autoèn kaì a\raétw toèn stauroèn au\tou% a\kolouqeòtw moi 136


Inoltre Pietro, almeno nel primo momento, nel palazzo del sacerdote, fece il contrario di quanto Gesù aveva proposto: egli non rinnegò se stesso, bensì Gesù; inoltre non prese la sua croce e perciò non seguì Gesù. Alla luce di questi stessi Loghia, possiamo anche comprendere in quale abisso Pietro, rinnegando, stava per cadere, se Gesù non lo avesse salvato. Luca ci informa che Pietro, dopo il canto del gallo, fu raggiunto dallo sguardo di Gesù, in seguito al quale Pietro ricordò le Sue parole. Matteo e Marco invece non riferiscono questo episodio. Tuttavia anche i primi due evangelisti attribuiscono al canto del gallo la funzione di essere veicolo delle parole di Gesù: Pietro infatti, al suo canto, si ricordò di quello che Egli gli aveva detto. Tale ricordo determina poi il suo pianto.

3.2. Mt 10,32-33 (cfr Lc 12,8-9) Il Loghion contenuto in questi versi è proposto soltanto da due evangelisti: Matteo e Luca; esso è assente in Marco. Proponiamo anzitutto un confronto letterario e tematico tra i due testi: Mt 10,32-33

Lc 12,8-9 Leégw deè u|m_n

Pa%v ou&n

pa%v o£v

o$stiv

a!n

o|mologhései

o|mologhés+

e\n e\moì

e\n e\moì 137


e"mprosqen

e"mprosqen

tw%n a\nqrwépwn

tw%n a\nqrwépwn kaì o| ui|oèv tou% a\nqrwépou

o|mologhésw

o|mologhései

ka\gwè e\n au\t§%

e\n au\t§%

e"mprosqen

e"mprosqen

tou% patroév mou

tw%n a\ggeélwn

tou%

tou% qeou%

e\n [to_v] ou\rano_v

o$stiv

o| deè

d’a!n a\rnhéshtaò me

a\rnhsaémenoév me

e"mprosqen

e\nwépion

tw%n a\nqrwépwn,

tw%n a\nqrwépwn

a\rnhésomai

a\parnhqhésetai

ka\gwè au\toèn e"mprosqen

e\nwépion

tou% patroév mou

tw%n a\ggeélwn

138


tou%

tou% qeou%

e\n [to_v] ou\rano_v Il testo, in ciascuno dei due evangelisti, comprende due parti: la prima parte è positiva ed è caratterizzata dal verbo o|mologeéw; la seconda parte invece è negativa ed è caratterizzata dal verbo a\rneéomai oppure a\parneéomai. Nella prima parte il problema è quello di confessare, nella seconda parte invece è il suo contrapposto negativo di rinnegare. Nella prima parte, quella che riguarda il “confessare”, i due evangelisti procedono quasi alla lettera16. Nella seconda parte invece, quella che riguarda il “rinnegare”, le differenze tra i due evangelisti appaiono maggiori17. Confessare e rinnegare così appaiono come due atteggiamenti che si contrappongono. Si direbbe che di fronte a Gesù non c’è via di mezzo, o si confessa o si rinnega. I due Loghia contengono un aspetto di incoraggiamento e anche di minaccia, l’incoraggiamento è dal punto di vista della confessione: chi confessa Gesù sarà confessato da Lui davanti al Padre o davanti ai Prescindendo dalle differenze più secondarie, quali il futuro o|mologhései in Matteo, che corrisponde al congiuntivo aoristo o|mologhésh in Luca, e prescindendo anche dal passaggio in Luca dalla prima persona singolare ka\gwé, alla terza persona singolare mediante l’espressione kaì o| ui|oèv tou% a\nqrwépou, la differenza maggiore consiste nel fatto che, secondo Matteo, Gesù confesserà davanti al Padre suo che è nei cieli chi lo ha confessato davanti agli uomini; secondo Luca invece tale confessione avverrà davanti agli angeli di Dio. 17 In particolare ne rileviamo solo due: anzitutto l’espressione molto enfatica ka\gwè au\toén in Matteo, con cui Gesù sottolinea che anche lui rinnegherà chi lo ha rinnegato, corrisponde in Luca al più generico futuro passivo a\parnhqhésetai (sarà rinnegato davanti a Dio); inoltre secondo Matteo tale rinnegamento avviene, in analogia con la prima parte, davanti al Padre che è nei cieli; secondo Luca invece, in maniera più sintetica, tale rinnegamento avviene davanti a Dio. 16

139


suoi angeli. L’aspetto della minaccia consiste nel fatto che chi invece lo rinnega sarà a sua volta rinnegato. Anche questi Loghia si adattano bene alla situazione di Pietro nel palazzo del sacerdote. Trovandosi stimolato a confessare Gesù davanti agli uomini, Pietro preferì non confessare, bensì rinnegare. Alla luce di questo Loghion si comprende il grande rischio che ha corso Pietro rinnegando: quello cioè di essere rinnegato anche lui da Gesù davanti al Padre e ai suoi angeli.

3.3. Il vangelo di Giovanni Nel vangelo di Giovanni il verbo a\rneéomai è usato soltanto in relazione ai rinnegamenti di Pietro. In questo senso, anche il racconto giovanneo, pur con le sue peculiarità, può essere parzialmente ricondotto alla prospettiva dei vangeli Sinottici sopra indicata. In Giovanni però il verbo a\rneéomai è usato, come abbiamo già notato, in 1,20, in relazione al Battista, del quale si dice che «confessò, non negò, ma confessò» di non essere lui il Cristo18. Ci può essere tuttavia in Giovanni un testo che illumina la vicenda di Pietro. In 12,25 Gesù dichiara. «chi ama (o| filw%n) la propria vita la perde, chi odia (o| misw%n) la sua vita in questo mondo la custodisce per la vita eterna». In questo Loghion non si legge il verbo a\rneéomai ma si ricollega bene, e probabilmente anche vi dipende, al Loghion di Mt 16,25; Mc 8,35; Lc 9,24.

L’uso dei due verbi o|mologeéw e a\rneéomai suggeriscono una relazione con i detti dei vangeli Sinottici sopra indicati: Mt 10,32-33; Lc 12,8-9, dove appunto leggiamo i due verbi. Simile problema però non rientra nel nostro lavoro.

18

140


In ogni caso, esso caratterizza bene la vicenda di Pietro. Rinnegando, Pietro amò la sua vita, non la odiò, ma, in questo modo, rischiò di perderla.

3.4. Prospettive dei due Loghia Le due serie di Loghia, pur concordando nella tematica del rinnegamento, sembrano collocarsi in diversa prospettiva. Nella prima serie, quella proposta da Mt 16,24-28; Mc 8,34-9,1; Lc 9,23-27, rinnegare sé stessi, introdotto nel primo Loghion della serie, è il primo atto che il cristiano deve compiere, diremmo la condizione indispensabile, perché ci si possa mettere alla sequela di Gesù. Nella seconda serie di detti, quella proposta da Mt 10,32-33 e Lc 12,8-9, rinnegare Gesù, invece, è presentato come l’atteggiamento contrario a confessare. Le due serie di detti, messi insieme, sembrano tuttavia rivelare la stessa situazione concreta, quella in cui venne a trovarsi fin dall’inizio la chiesa primitiva, la persecuzione. Essere perseguitati implicava anche la perdita della propria vita ed essere uccisi. La paura della persecuzione poteva anche suscitare la tentazione di defezionare da Cristo, tanto più che molti cristiani, come sembra suggerire una certa insistenza alla fedeltà nei vangeli, probabilmente non avevano previsto il fatto della persecuzione. La prima serie di detti, quella in Mt 16,24-25 e paralleli, vuol mostrare come il fatto della persecuzione non è per nulla imprevisto, anzi è insito nella stessa persona e nel mistero di Gesù.

141


Gesù infatti risorse il terzo giorno, ma prima passò attraverso la via dolorosa della passione; non è casuale il fatto che i Loghia di Mt 16,24; Mc 8,34; Lc 9,23 siano preceduti dalla prima predizione della passione. Matteo e Marco anzi fanno precedere i Loghia più direttamente dall’episodio di Pietro che, volendosi opporre alla passione di Gesù dopo il primo annunzio, da lui fu scacciato come Satana. Chi perciò desidera mettersi alla sequela di Gesù deve entrare nella mentalità di doversi incamminare nella strada della passione, perché attraverso di essa Cristo è passato. I Loghia seguenti, che formano tutta l’unità, si muovono in questa linea. Quello immediatamente seguente infatti ricorda che chi vuole salvare la propria vita la perde e chi invece perde la propria vita la salva. Si vorrebbe in questo modo ricordare ai cristiani che salvare la propria vita, defezionando da Gesù, significa perderla, mentre chi perde la sua vita, accettando di essere ucciso, in realtà la salva perché Cristo non ha esitato a perdere la propria vita, ma poi l’ha ritrovata nella sua resurrezione. Anche il Loghion successivo, di indole più sapienziale, nel quale ci si chiede che cosa giova all’uomo guadagnare il mondo intero se poi perde l’anima, rivela un tempo di persecuzione. Sappiamo dagli atti dei martiri come tante volte questi erano talora sollecitati alla defezione con lusinghe di grandi ricchezze. Il detto di Gesù ricorda che, se anche queste fossero il mondo intero, non varrebbero nulla di fronte alla perdita della propria vita, per riscattare la quale l’uomo non potrebbe dare nulla.

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I Loghia che stiamo considerando sembrano perciò essere stati redatti allo scopo preciso di sostenere i cristiani nel tempo di persecuzione: essi debbono resistere a qualsiasi tentativo di lusinga e minaccia e restare fedeli a Cristo. Nella seconda serie di detti, quella proposta da Mt 10,32-33 e Lc 12,8-9, il problema sembra essere analogo. Essi rivelano la preoccupazione di sostenere ancora i cristiani in quella situazione di persecuzione. I cristiani sono chiamati a confessare Cristo anche a prezzo della propria vita e non rinnegarlo. L’epilogo sarà in base a quello che essi hanno operato: se in terra hanno confessato Gesù, egli li confesserà davanti agli esseri celesti, siano essi Dio o i suoi angeli. Se invece lo hanno rinnegato, anche loro rischiano di essere, a loro volta, da Lui rinnegati ed essere esclusi dalla sua gloria. Alla luce di questi Loghia, ai quali ci siamo brevemente riferiti, possiamo tornare a rileggere tutta la vicenda di Pietro. Essa può essere riletta sia alla luce della prima serie dei Loghia di Gesù, quelli inseriti nel contesto di Mt 16,24-28; Mc 8,34-9,1; Lc 9,23-27, sia anche alla luce della seconda, quelli proposti da Mt 10,32-33 e Lc 12,8-9. Alla luce della prima serie di testi, l’episodio di Pietro assume un carattere particolare. Al Getsemani Pietro dichiarò che non si sarebbe mai scandalizzato; in quel contesto, è chiaro che egli confidò nella sua autosufficienza o forse anche nel suo affetto e devozione a Gesù. Effettivamente Pietro, almeno in un primo momento, fu fedele al suo proposito; narrano infatti tutti i vangeli che, dopo la cattura, egli seguì Gesù. Leggiamo in Mt 26,58, in Mc 14,54, in Lc 22,54 e anche in Gv 18,15, che Pietro lo seguiva. I tre vangeli Sinottici specificano che egli 143


seguiva da lontano; Matteo, Marco e Giovanni precisano che egli addirittura entrò nel palazzo del sacerdote, rimanendo nel cortile. Possiamo confrontare questa descrizione con il Loghion di Gesù in Mt 16,24; Mc 8,34 e Lc 9,23. In questo Loghion sono indicate, come abbiamo già notato, le condizioni per chi vuole andare dietro Gesù: rinnegare sé stesso, prendere la propria croce e seguire. Nella sequela di Pietro, dopo la cattura, mancano perciò due elementi: rinnegare sé stesso e prendere la propria croce. C’è però il terzo elemento, quello della sequela, ma questo elemento ha una caratteristica: Pietro segue da lontano. Il seguire di Pietro da lontano ha tutta una verosimiglianza storica. Matteo e Marco ci informano che al momento della cattura i discepoli, avendo lasciato Gesù, fuggirono tutti. È verosimile che poi Pietro, riavutosi dallo smarrimento, sia tornato sui suoi passi, magari seguendo il drappello dei soldati in maniera tale da non essere visto19. In questa sequela di Pietro concorda anche Giovanni in 18,15, il quale però, da una parte non specifica come i Sinottici, che Pietro seguiva da lontano, dall’altra però aggiunge il particolare che con lui seguiva anche il discepolo. In ogni caso non possiamo dire che nel racconto della passione, Pietro stia attuando un vero cammino di sequela. L’indicazione «da lontano» e il fatto che Pietro non rinnegò sé stesso e non prese la propria croce, dicono che non compì un vero cammino di sequela.

19

Il fatto che Pietro seguiva Gesù da lontano può anche richiamare il Sal 87,9 (LXX): «hai allontanato (e\maékrunav) i miei conoscenti (touèv gnwstouév mou) da me (a\p’e\mou%)»; cfr v 19: «Hai allontanato (e\maékrunav) da me (a\p’e\mou%) amico e prossimo (fòlon kaì plhsòon) ed i miei conoscenti (touèv gnwstouév mou) dalla tribolazione (a\poè talaipwròav)». 144


L’epilogo è evidente: al momento opportuno, quando doveva appunto rinnegare se stesso, prendere la propria croce e seguire Gesù, Pietro cercò di salvare la propria vita rischiando così fortemente di perderla. Probabilmente l’avrebbe perduta se non fosse intervenuto il suo pentimento verificatosi al canto del gallo. Analoga prospettiva emerge dal confronto con i Loghia di Mt 10,33 e Lc 12,9: in questo detto, come abbiamo già notato, si stabilisce un confronto tra chi confessa Gesù davanti agli uomini e chi invece lo rinnega. Pietro difatti rinnegò Gesù davanti agli uomini, smentendo chi gli obiettava di essere stato con Lui e dichiarando di non averlo mai conosciuto. In questo modo, Pietro rischiò così di essere poi rinnegato da Gesù20.

4. Conclusione Emerge così, alla luce dei Loghia evangelici sulla sequela, tutta la drammaticità del rinnegamento di Pietro e tutta la gravità della sua situazione. Ma possiamo porre un problema: perché la chiesa primitiva narrò con tanta insistenza i rinnegamenti di Pietro, sì da presentarli ben otto volte, quattro volte nell’annunzio di Gesù e quattro volte nel fatto concreto? Non era meglio nascondere con il velo della misericordia il momento di drammatica debolezza del capo? Una chiara risposta dai testi non emerge. Possiamo però supporre che la chiesa primitiva, narrando i rinnegamenti di colui che Gesù stesso aveva posto a capo della sua chiesa, volle vedere nella vicenda

20

Cfr Mt 10,33; Lc 12,9. 145


di Pietro un esempio da additare, catecheticamente, a tutti i cristiani desiderosi di mettersi dietro a Gesù. Tale esempio è insieme negativo e positivo: da una parte i cristiani infatti non debbono fare come ha fatto Pietro, dall’altra essi debbono imitarlo. In ciò vediamo una funzione del capo: essere additato come esempio di comportamento non solo nella fedeltà ma anche nella infedeltà. L’esempio negativo da evitare è quello di pretendere, come fece Pietro, di non scandalizzarsi di fronte alla passione. Scandalizzarsi significa inciampare nell’ostacolo che si incontra nel cammino e cadere. L’ostacolo di Pietro fu certo la passione di Gesù, e fu tale perché Pietro pretese di affrontarla fidandosi soltanto delle proprie forze e dei propri sentimenti. L’errore di Pietro fu quello di avere preteso di potere confidare soltanto sulle proprie forze. I Loghia sulla sequela spiegano bene perché al momento le sue forze vennero meno ed egli inciampò e cadde: Pietro non rinnegò sé stesso e perciò non prese la propria croce. Qui però emerge un’altra domanda: è possibile per l’uomo che si mette in cammino dietro a Gesù rinnegare sé stesso? Non sarebbe un andare contro l’istinto umano di conservazione? La risposta ci viene dalla relazione tra i Loghia sulla sequela ed i racconti dei rinnegamenti di Pietro. Secondo la narrazione della passione, soprattutto, quella di Matteo e Marco, in ultima analisi, i rinnegamenti di Pietro affondano le loro radici al Getsemani. Tutti e tre gli evangelisti riferiscono un insegnamento o una esortazione di Gesù fondata sul suo stesso esempio. L’esortazione è a vegliare e a pregare per non cadere in tentazione. 146


Questa esortazione, e soprattutto l’esempio di Gesù che vegliò e pregò, rivelano che il Getsemani fu il momento della tentazione sia per Gesù che per i discepoli. Gesù però non dormì, ma vegliò e pregò e nella tentazione non cadde. La tentazione che provò Gesù fu quella di rifiutare il calice che il Padre gli aveva dato, ma Gesù pregò e bevve il calice. I discepoli invece non vegliarono, dormirono e non pregarono21. La tentazione che essi sperimentarono, come appare soprattutto in Matteo e Marco, fu quella di abbandonare Gesù, e in questa tentazione essi caddero. Matteo e Marco dicono esplicitamente che avendolo abbandonato fuggirono tutti. Qui sta il vero fondamento della caduta di Pietro. I cristiani, alla luce dell’esperienza negativa di Pietro, debbono sapere che per seguirlo bisogna rinnegare sé stessi, prendere la propria croce. Ma rinnegare sé stessi, alla luce dei racconti del Getsemani, è possibile soltanto nella preghiera. Qui risalta in tutta la sua grandezza l’esempio di Gesù il quale pregò e così poté rinnegare sé stesso, quando antepose la volontà del Padre alla sua. Ma Pietro nella chiesa primitiva rimase e rimane, anche nella chiesa di sempre, come un esempio positivo da imitare. Tutti e tre i vangeli Sinottici narrano che, al canto del gallo, egli si ravvide e pianse amaramente.

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Per quest’aspetto ci riferiamo al lavoro di un collega presentato per il conseguimento del grado accademico di Licenza presso lo Studio Teologico S. Paolo di Catania, cfr J.T. AMBATT, «Vegliate e pregate per non cadere in tentazione (Mt 26,41; Mc 14,38; Lc 22,40.45)». La tentazione dei discepoli nel contesto della preghiera di Gesù al Getsemani, Catania 2004. 147


Il canto del gallo sembra avere nei racconti dei vangeli Sinottici un duplice valore. Da una parte sancisce il rinnegamento, dall’altra segna l’inizio del ravvedimento. Tutti e tre gli evangelisti notano che il canto del gallo determinò in Pietro il ricordo della Parola di Gesù che aveva appunto annunziato che prima di quel canto lo avrebbe rinnegato tre volte. Che valore ha questo ricordo? E quale è stata la sua forza, sì da determinare il pianto di Pietro? Si tratta di un semplice ricordo intellettuale oppure della forza della parola di Gesù che, in quel momento, risuona potente nel cuore di Pietro sì da indurlo al pianto? Non è chiaro dai racconti stessi quale dei due aspetti prevalga, anche se propendiamo per il secondo, che la parola di Gesù cioè, pur nel ricordo, manifesti ancora questa sua potenza. Luca, come abbiamo notato, aggiunge il particolare che al canto del gallo Gesù guardò Pietro. Quando lo guardò? Tale sguardo, come abbiamo già osservato, storicamente sembrerebbe inverosimile perché Gesù era dentro e Pietro era fuori. Si aggiunge anche la difficoltà di conciliare storicamente Matteo e Marco da una parte e Luca dall’altra. Secondo Matteo e Marco, Pietro rinnegò dopo il processo davanti al sinedrio che avvenne durante la notte, secondo Luca rinnegò prima di quel processo che avvenne al mattino. Tenendo conto anche di Giovanni, forse potremmo ricostruire così: Gesù prima, come narra Giovanni, fu condotto nella casa di Anna dove subì l’interrogatorio di cui parla il quarto evangelista, poi sarebbe rimasto nel cortile del palazzo di Anna nell’attesa di essere deferito davanti al sinedrio.

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Forse nel secondo momento, quando cioè Gesù, uscito fuori, fu in balia dei servi, avvenne che il suo sguardo si sia incrociato con quello di Pietro. Il fatto però che Luca riferisca di questo sguardo, senza dir nulla delle circostanze in cui avvenne, induce a scorgere in esso un aspetto più profondo, spirituale. Pietro fu raggiunto non solo dal ricordo delle sue parole, ma anche da un contatto fisico con Lui; sperimentò una più incisiva presenza di Gesù che lo indusse ad uscire fuori e a prorompere in un pianto amaro. In ciò ci sembra di scorgere ancora un insegnamento rivolto dalla chiesa primitiva ai cristiani: Pietro costituisce un esempio positivo non solo, e non prima di tutto, per il fatto che pianse amaramente, ma per il fatto di non avere chiuso il cuore alla parola di Gesù. Ciò costituisce un messaggio e un invito a quei cristiani, che magari spinti dalla paura, hanno potuto rinnegarlo. A loro si vorrebbe dire che anche in quella loro situazione Gesù interviene. Il problema allora è quello di non chiudersi alla Sua parola, lasciarsi raggiungere da essa, piangere amaramente, come Pietro, e quindi tornare. Simile esortazione, rivolta non con le parole, ma con l’esempio vivo di un eminente apostolo, vuole essere ancora più pressante. I Loghia di Gesù, che abbiamo considerato, mostrano le conseguenze drammatiche di chi rimane nel suo rinnegamento: costui salva momentaneamente la sua vita, ma la perde per la vita eterna. Se poi la perde, certamente non potrà riacquistarla anche se desse il mondo intero; se poi rinnega Cristo deve rassegnarsi ad essere rinnegato da Lui nella sua manifestazione gloriosa. Non può infatti 149


pretendere di condividere la gloria futura escatologica chi non ha condiviso la passione. Tutto questo sviluppo suscita in noi una domanda alla quale ipoteticamente pensiamo di poter dare una risposta. La chiesa primitiva, narrando i rinnegamenti di Pietro, culminanti nel pentimento, volle proporre Pietro soltanto come un modello di comportamento, oppure aveva qualche altra preoccupazione? La nostra risposta, che proponiamo soltanto in maniera ipotetica non avendo elementi precisi per cui fondarla, sarebbe che la chiesa primitiva avrebbe voluto forse rispondere ad una domanda di tanti cristiani: come mai il rinnegatore è capo della chiesa22? La risposta sarebbe molto semplice: Pietro non è soltanto colui che rinnegò Gesù, ma è anche, e soprattutto, colui che, uscito fuori, pianse amaramente.

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Cfr a riguardo A. GANGEMI, Il dialogo tra Gesù e Pietro e la tradizione neotestamentaria, in In Charitate Pax, a cura di F. Armetta e M. Naro, Palermo 1999, 63-99: 90-93. 150


CONCLUSIONI

Le conclusioni di tutto il lavoro a riguardo dei tre rinnegamenti di Pietro nei vangeli Sinottici, si riferiscono specificamente a due aspetti fondamentali: l’aspetto storico-letterario e quello tematico-catechetico.

1. L’aspetto storico-letterario Anche qui distinguiamo tra l’aspetto storico dei tre rinnegamenti di Pietro e quello letterario con cui il racconto è stato inserito nella globale narrazione evangelica della passione di Gesù.

1.1. L’aspetto storico Dal punto di vista storico, tutti e quattro i Vangeli concordano sia nel fatto che Pietro, in concomitanza al processo davanti ai Giudei, ha rinnegato Gesù, sia anche nel fatto che tale rinnegamento è avvenuto tre volte. Non si può onestamente dubitare della storicità del fatto, che Pietro cioè abbia rinnegato Gesù. Come giustamente ha notato qualche interprete citato nel corso del nostro lavoro, la chiesa primitiva non avrebbe avuto motivo di inventare questi rinnegamenti. Caso mai essa avrebbe seguito tendenza inversa, non quella di narrare, bensì quella di occultare. Tale occultamento, oltre che evitare di offuscare la figura di Pietro, sarebbe stato anche un atto di carità nei confronti di colui che Gesù stesso aveva costituito capo della sua chiesa, ma che aveva ceduto in un momento di debolezza.

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Il fatto però che la chiesa primitiva narrò questi rinnegamenti, indica due cose: anzitutto che essi erano realmente avvenuti e che, inoltre, come vedremo, anche in quelli essa scorse un significato positivo. Quest’episodio, se è lecito estendere la riflessione a tutti gli altri avvenimenti evangelici, mostra come la chiesa primitiva era ben lontana da qualsiasi velleità di mitizzare i suoi personaggi, ma, senza nascondere nulla, ha riferito i fatti così come essi sono accaduti, pur nel tentativo di coglierne il loro significato. È difficile invece stabilire la verità storica del numero tre dei rinnegamenti. Nulla infatti permette di definire se questo numero corrisponda ai reali fatti storici o sia dovuto alla riflessione della comunità primitiva. Una certa fluttuabilità negli elementi riferiti dai vangeli lascerebbe propendere a favore della seconda possibilità: il numero tre forse sarebbe dovuto non ai reali fatti storici, nel senso cioè che Pietro concretamente rinnegò tre volte, bensì alla riflessione primitiva che fissò tale numero. In ogni caso tale determinazione dev’essere avvenuta in un’epoca molto antica, dal momento che il numero tre dei rinnegamenti è attestato da tutti gli evangelisti. Forse potremmo ricostruire in questo modo il processo di riflessione. Si sapeva nella comunità che Pietro aveva negato, davanti ad un gruppo di servi, nella casa del sacerdote, di conoscere Gesù o di appartenere al gruppo dei suoi discepoli; tale conoscenza doveva provenire dallo stesso Pietro unico diretto testimone di quei fatti.

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Magari Pietro avrà confessato, in atteggiamento di profonda umiltà, dopo il ravvedimento, la sua colpa davanti al gruppo degli altri discepoli, la notte stessa della passione o dopo l’esperienza del Risorto. Si sapeva anche che egli aveva rinnegato più volte, magari senza precisarne il numero, che poteva anche non essere definito con esattezza nel trambusto di quella notte. In ogni caso, la conoscenza di un plurimo rinnegamento può indicare che Pietro stesso non solo non aveva nascosto la sua colpa, ma non aveva fatto alcun tentativo per sminuirla. In un secondo momento poi, nel progresso della trasmissione, sarebbe stato precisato anche il numero dei rinnegamenti: essi sono stati tre. In questo caso il numero indicherebbe non più la reale quantità storica, bensì l’insistenza, diremmo quasi ostinata, di Pietro nei rinnegamenti. Il numero tre, ancora in una ulteriore fase di trasmissione, sarebbe poi diventato un numero fisso nella tradizione primitiva, ed avrebbe raggiunto così tutti e quattro gli evangelisti. La nostra ricostruzione, che tuttavia riteniamo non improbabile, non pretende di andare oltre il piano della semplice possibilità, nel tentativo di colmare, in qualche modo, il vuoto che ci sembra di scorgere tra i fatti realmente accaduti e il racconto stesso evangelico che, pur fluttuante nei particolari, globalmente però lascia pensare ad un processo previo di formazione.

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1.2. L’aspetto letterario Tutti e tre i vangeli sinottici concordano nel presentare i tre rinnegamenti l’uno dopo l’altro, in ordine di stretta successione. Gli evangelisti stessi tuttavia non mancano di sottolineare, talora anche di precisare, come il lasso di tempo sia intercorso tra l’uno e l’altro rinnegamento. D’altra parte è verosimile che essi siano avvenuti in momenti diversi, se teniamo conto che si collocano in un lasso di tempo molto lungo, che va da quando Gesù cioè fu condotto dal sacerdote, fino al canto del gallo che ci riporta alle prime ore dell’alba. Tuttavia il racconto dei tre rinnegamenti fu redatto in maniera unitaria. Nulla infatti suggerisce che siano circolati racconti singoli e più brevi di ciascuno di essi: in questo caso avremmo dovuto avere delle peculiari differenziazioni. Possiamo dire perciò che i tre rinnegamenti, fin dal principio, furono narrati insieme, costituendo così una precisa unità letteraria e redazionale, che è appunto il racconto dei rinnegamenti di Pietro. Giovanni, nella sua narrazione, intreccia i tre rinnegamenti con il processo-dialogo davanti ad Anna. Più precisamente tra il primo e il secondo rinnegamento il quarto evangelista colloca la menzione della duplice posizione di Pietro al fuoco con i servi e, tra queste due menzioni, introduce, in 18,19-24, il dialogo tra Gesù e il sacerdote Anna. Non interessa in questo lavoro considerare specificamente il racconto di Giovanni. Al nostro scopo è sufficiente notare che lo smembramento dei tre rinnegamenti nel racconto giovanneo non sembra essere originale; non attesta perciò una trasmissione autonoma dei singoli rinnegamenti. 154


Piuttosto sembra che il quarto evangelista abbia conosciuto e ripreso il racconto unitario tradizionale dei tre rinnegamenti e, per suoi particolari motivi, lo abbia smembrato, intrecciandolo con il racconto del processo. Dal punto di vista letterario, i tre evangelisti, pur concordando nella prospettiva di fondo, presentano una certa fluttuabilità nei singoli elementi, nelle persone che interrogano, nelle parole rivolte a Pietro o dette da Pietro, nell’ordine delle domande. Ciò rivela che il racconto non fu trasmesso con la precisione dei particolari, ma con una certa indeterminazione in relazione ad essi. Sul piano letterario, essi concordano in diversi elementi: nel fatto che, la prima volta, è stata una serva (paidòskh), magari nei sinottici non meglio precisata, a rivolgere la domanda a Pietro; nella costruzione di metaé con il genitivo in relazione “all’essere con Gesù”; nella costruzione di e\x e il genitivo in relazione all’essere “dei discepoli di Gesù”, nella menzione del gallo (a\leéktwr), nell’uso del verbo klaòw. Ciascun evangelista poi, o una tradizione parziale soggiacente a due di essi, precisò, in maniera più autonoma, sia la globale formulazione letteraria delle singole espressioni, sia anche l’ordine dei contenuti delle domande e delle risposte. Se la concordanza letteraria è più limitata, la concordanza tematica nei tre evangelisti è quasi totale. Ciascuno di essi però formulò letterariamente in maniera autonoma, in base anche alla propria sensibilità, mostrando così delle particolari sottolineature che abbiamo cercato di cogliere nel corso della nostra analisi.

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2. Aspetto tematico-catechetico Anche in questo secondo paragrafo riteniamo opportuno distinguere i due aspetti, quello tematico e quello catechetico.

2.1. Aspetto tematico L’aspetto tematico già è stato in parte indicato, in maniera collaterale, nel paragrafo precedente. Al di la delle diverse formulazioni e del diverso ordine, tutti e tre gli evangelisti riconducono i tre rinnegamenti di Pietro a tre aspetti fondamentali: l’essere con Gesù, conoscerlo, e appartenere al gruppo dei suoi discepoli. L’essere con Gesù implica non solo la vicinanza fisica, ma anche la profonda relazione con Lui; la sua negazione indica la totale assenza di questa relazione. I tre evangelisti mostrano come Pietro ha negato non solo di essere stato con Lui, ma addirittura di averlo anche conosciuto. La distanza che Pietro prende da Gesù è perciò assoluta e totale. Tale distanza è ostinatamente mantenuta da Pietro anche a dispetto dell’evidenza dei fatti. Tutti e tre gli evangelisti infatti, nel terzo rinnegamento, si appellano al linguaggio di Pietro che tradisce la sua origine galilaica. Non è necessario concludere, in assoluto, che l’essere un galileo equivalga ad essere con Gesù, ma nell’ambito della casa del sacerdote e nel contesto di quegli avvenimenti, dove tutti hanno un origine giudaica in quanto appartenenti più o meno a quella casa, la presenza di un galileo non può avere altra spiegazione se non il fatto che egli era con Gesù di Nazareth. 156


Questo elemento dell’origine galilaica di Pietro, tradita, secondo Matteo, dal suo linguaggio, doveva essere, in quanto attestato dai tre sinottici, alquanto antico nella tradizione. Forse però il confronto con Giovanni suggerisce che l’elemento ancora più antico non era questo, bensì il fatto che Pietro, entrato, aveva rinnegato anche di fronte alla dichiarazione di testimoni oculari. Il quarto evangelista forse ci da’ una indicazione storica ancora più precisa: si trattava infatti della testimonianza oculare di un servo che era presente al Getsemani al momento della cattura. La tradizione sinottica probabilmente sapeva che la terza volta quelli che interrogavano Pietro si erano appellati ad un dato oggettivo; non sapeva però quale esso fosse. Non doveva sapere inoltre della presenza al Getsemani di un servo testimone. Individuò perciò questo dato oggettivo, che smentiva le negazioni di Pietro, con il fatto del suo accento galilaico. L’altro elemento tematico è l’appartenenza di Pietro alla cerchia dei discepoli di Gesù: egli nega di avere avuto mai a che fare con il gruppo dei suoi discepoli. Tematicamente prima viene la non appartenenza al gruppo dei discepoli e poi l’essere stato con Gesù o semplicemente averlo conosciuto: si può infatti non appartenere ad un gruppo ma avere avuto a che fare in qualche modo con il suo capo o averlo conosciuto. Le smentite di Pietro, al di là dell’ordine seguito da ciascun evangelista, sono così progressive: Pietro non solo smentisce di essere appartenuto al gruppo dei discepoli, ma addirittura dichiara di non avere niente a che fare con Gesù e di averlo nemmeno conosciuto. L’impressione che si ottiene dalle narrazioni evangeliche è quella di un Pietro completamente solo, isolato. Egli non appartiene a 157


nessuno. Non appartiene ai servi della casa del sacerdote e infatti, se questi gli rivolgono delle domande, vuol dire che lo percepiscono come una presenza estranea. Essi avvertono che Pietro non è uno di loro e di conseguenza deve essere con Gesù. Ma non è nemmeno con Gesù; egli infatti, addirittura con imprecazioni e giuramenti, ha preso, in maniera totale e definitiva, qualsiasi distanza da Lui. Negando di essere con Gesù e dichiarando di non avere nulla a che fare con Lui, Pietro appare completamente solo.

2.2. L’aspetto catechetico Ma perché la comunità primitiva narrò i rinnegamenti di Pietro? Perché poi li inserì nel contesto della narrazione della passione? La risposta potrebbe essere anche ovvia. La comunità primitiva parlò dei rinnegamenti di Pietro perché questi erano realmente accaduti; li narrò poi nel contesto della passione perché lì, nella casa del sacerdote dove Gesù fu condotto per essere giudicato, essi realmente avvennero. Una lettura più attenta dei racconti evangelici tuttavia mostra che la comunità primitiva prima e gli evangelisti poi non abbiamo narrato i rinnegamenti di Pietro soltanto per amore di verità storica: in questo senso avrebbero anche potuto sottacerli o, in maniera più vaga, semplicemente accennarli. L’insistenza e l’ampiezza con cui i rinnegamenti furono narrati, nel contesto specifico della passione di Gesù, suggeriscono che in essi fu visto un significato profondo e che contenevano un insegnamento.

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Il significato di questi racconti, che magari, almeno in un primo momento, poterono essere stati trasmessi e narrati indipendentemente dal racconto più ampio della passione, dev’essere catechetico. I tre rinnegamenti di Pietro avevano tanto da insegnare ai cristiani. Abbiamo stabilito, nel sesto capitolo di questo lavoro, un confronto tra il racconto dei rinnegamenti di Pietro e le raccolte evangeliche dei loghia sulla sequela di Gesù. In questo confronto i tre rinnegamenti di Pietro appaiono come l’esempio negativo e l’atteggiamento antitetico a quello che Gesù aveva proposto ed insegnato. Gesù aveva detto che chi vuol venire dietro a Lui deve rinnegare sé stesso, prendere la sua croce e seguirlo. Pietro andò dietro Gesù dal Getsemani al palazzo del sacerdote; ma, al momento opportuno, non rinnegò sé stesso, bensì Gesù e, di conseguenza, non prese la sua croce. Ma l’aspetto fondamentale che illumina l’episodio dei tre rinnegamenti, rendendo così positivo quello che in realtà era negativo, è il loro epilogo: il pianto di Pietro che fu causato dal ricordo delle parole di Gesù al canto del gallo. Prescindendo da Giovanni che, a riguardo non dice nulla, tutti e tre gli evangelisti notano che, al canto del gallo, Pietro ricordò le parole di Gesù e, uscito fuori, pianse amaramente. Luca anzi menziona addirittura lo sguardo di Gesù con cui egli raggiunge Pietro. Chi ha richiamato ed ha ricondotto Pietro in se stesso non è stato perciò il canto del gallo, bensì le parole stesse di Gesù o, se vogliamo, Gesù stesso, mediante il ricordo da parte di Pietro delle sue parole.

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In questo modo emerge un aspetto molto luminoso: Gesù appare così come il Salvatore che esercita questa sua funzione proprio nel contesto in cui egli, per salvare gli altri, dona anche la vita. Abbiamo richiamato nel corso del lavoro l’episodio riferitoci soltanto da Matteo in 14,28-31, quando Gesù salvò Pietro tirandolo fuori dalle acque1, nelle quali, altrimenti, sarebbe certamente perito. È possibile che quest’episodio alluda alla salvezza ottenuta da Pietro, dopo la sua caduta mediante il rinnegamento: egli supplicò il Signore e questi lo salvò. La prospettiva però dei racconti dei rinnegamenti appare un po’ diversa. Se, in essi, emerge la grandezza della persona di Gesù e della sua parola che, ricordata, salva, emerge anche la grandezza della persona di Pietro. Essa consiste nel fatto che egli si è lasciato raggiungere da quella parola, ad essa ha obbedito ed ha tradotto la sua obbedienza in un pianto amaro e continuo. Matteo e Luca, e forse anche Marco mediante il suo participio e\pibalwén, sottolineano il fatto che Pietro “uscì (e\xercomai)”. Con questa “uscita” gli evangelisti descrivono soltanto l’uscita materiale di Pietro dalla casa del sacerdote, o forse non indicano, come suggerisce il pianto, la sua uscita spirituale dalla sua situazione di allontanamento di Gesù? Mettendo insieme la prospettiva del racconto dei rinnegamenti e quella dell’episodio del capitolo 14 del vangelo di Matteo sopra evocato, possiamo ricostruire forse tutto il cammino spirituale di Pietro in quattro momenti precisi: 1

Si può richiamare anche Lc 5,8, dove Pietro, confessando di essere peccatore, prega Gesù di allontanarsi da lui 160


1. Egli, mediante il ricordo, è giunto dalla parola di Gesù (rinnegamenti); 2. Ha pianto amaramente sul suo peccato (rinnegamenti); 3. Ha implorato di essere salvato (Mt 14); 4. Gesù lo ha salvato e lo ha ricondotto nella barca (Mt 14). Se questa nostra ricostruzione è valida, emerge allora, tacita, la grandezza di Gesù che ha salvato Pietro e la grandezza di questi che si è lasciato salvare. Tutto ciò, mentre riabilita profondamente Pietro, può costituire anche un esempio che i cristiani debbono imitare. Come testimonia un po’ tutto il NT, e come appare anche dai loghia evangelici sulla sequela di Gesù sopra menzionati, la persecuzione caratterizzò fin dall’inizio la vita della chiesa primitiva. Molti discepoli che avevano aderito a Gesù, magari in un primo momento con entusiasmo, di fronte alla realtà della persecuzione vennero meno e preferirono negare non solo la loro appartenenza al gruppo dei discepoli ma anche la loro relazione a Gesù o di averlo anche semplicemente conosciuto. Rinnegare Gesù davanti agli uomini è gravissimo e contiene anche un altissimo rischio, quello cioè, come indicano i loghia sulla sequela, di essere da lui non riconosciuti e rinnegati davanti al Padre suo nella sua gloria. Ma chi ha rinnegato Gesù in un tribunale, magari, come Pietro, in un momento di debolezza o di paura, è veramente destinato irrimediabilmente a perire? Per costui non c’è più speranza di salvezza?

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A queste domande la chiesa primitiva avrebbe risposto proponendo l’esempio di Pietro. Esso non è l’esempio di un cristiano qualsiasi, bensì l’esempio di colui che Gesù stesso aveva costituito capo della sua chiesa e che poi, come appare dagli Atti degli Apostoli, divenne suo coraggioso testimone (At 3-4) fino al martirio (Gv 21,1819). Anche Pietro rinnegò Gesù, addirittura davanti ai servi del sacerdote, spinto dalla paura; ma poi, raggiunto dalla parola di Gesù, pianse amaramente e fu salvato. I cristiani che hanno rinnegato Gesù possono perciò tornare a Lui, a condizione però che essi aprano il loro cuore alla Sua parola e piangano amaramente il loro peccato. In questo modo essi troveranno salvezza, così come l’ha trovata Pietro. In questa prospettiva, l’episodio dei tre rinnegamenti, ben lungi dal gettare ombra sul Capo della chiesa, esalta la sua figura, e diventa anche per i cristiani apostati un motivo di speranza ed un incoraggiamento a tornare a Gesù. Tenendo conto poi del fatto che i vangeli narrano non solo i rinnegamenti di Pietro, ma anche le sue predizioni da parte di Gesù, delle quali noi non abbiamo parlato nel nostro lavoro, ci sembra di scorgere anche un altro aspetto catechetico. La predizione di Gesù, secondo Matteo e Marco, avvenne lungo il cammino del Getsemani 2 , quando egli predisse ai discepoli lo scandalo che avrebbero patito. Luca invece riferisce la predizione nel contesto della cena quando, in maniera più drammatica, rivolgendosi direttamente a lui, Gesù annunzia a Pietro che Satana ha chiesto di vagliare i discepoli come si vaglia il grano (Lc 22,31-34). 2

Cfr Mt 26,31-35; Mc 14,27-31. 162


Tutti e tre gli evangelisti, concordemente, notano la sicurezza con cui Pietro smentì la predizione di Gesù, dichiarando che, magari a differenza degli altri, egli sarebbe rimasto unito a Lui. Secondo Matteo e Marco, Pietro dichiara che non si sarebbe mai scandalizzato; secondo Luca la sua protesta è ancora più forte: egli dichiara di essere pronto ad andare con Gesù persino in carcere o alla morte. In tutti e tre gli evangelisti Gesù, non senza una certa ironia, risponde annunziando il suo rinnegamento. Ci sembra di scorgere anche in questo fatto una tacita esortazione ai cristiani: essi sono esortati a non fidarsi mai della propria sicurezza ed autosufficienza. Su di essa Pietro infatti si sarebbe fondato, ma proprio per questo egli venne meno. Possiamo osservare anche come, tra le predizioni dei rinnegamenti e gli episodi dei rinnegamenti stessi, c’è nel mezzo la preghiera di Gesù al Getsemani. In tutti e tre i vangeli Sinottici3 Gesù esorta i discepoli a vegliare e pregare per non cadere in tentazione. Gli evangelisti sottolineano, soprattutto Matteo e, più ancora, Marco, che Gesù si rivolse specificamente a Pietro quando trovò i discepoli addormentati. Pietro, in quel momento tragico, non pregò e dormì; questa, in ultima analisi, è la vera causa del suo rinnegamento. La tentazione di rinnegare si rivelò più forte di qualsiasi suo proposito. I cristiani sono così tacitamente esortati a seguire via inversa: non confidare in se stessi, bensì pregare per non cadere nella tentazione come Pietro.

3

Cfr Mt 26,41; Mc 14,38; Lc 22,40.46. 163


Emerge così nei vangeli un tacito insegnamento: per confessare Gesù e non rinnegarlo è indispensabile confidare non sulle proprie forze, bensì sulla preghiera. Un ultimo aspetto vorremmo considerare in queste conclusioni. Esso va oltre i limiti del nostro lavoro; per questo lo proponiamo soltanto come semplice intuizione che, quantomeno, sarebbe da approfondire. Ci sembra che il rinnegamento di Pietro debba essere collocato e letto anche in tutto lo sfondo dei personaggi che si intrecciano nella narrazione della passione. Qui però dovremmo distinguere tra Matteo e Marco da una parte e Luca dall’altra. In Matteo e Marco abbiamo i seguenti personaggi: 1. I discepoli che dormono e fuggono; 2. Pietro che rinnega; 3. Il Cireneo che porta la croce; 4. Il Centurione che professa. Questi quattro tipi di personaggi possono essere tematicamente relazionati in maniera alternata: alla fuga dei discepoli si contrappone il Cireneo che porta la croce di Gesù; ai rinnegamenti di Pietro si contrappone la confessione del Centurione. Forse la prospettiva che emerge è quella di un duplice cammino, o, se vogliamo, una situazione storica seguita da una tacita esortazione. I cristiani che, come i discepoli, non hanno pregato e che, come Pietro hanno rinnegato, sono esortati, dopo avere pianto amaramente, a prendere, come il Cireneo la croce di Gesù, per pervenire anch’essi alla professione di fede del Centurione.

164


Ciò significa che soltanto dopo avere preso su di sé la sua croce si può pervenire alla professione di fede che Gesù è il figlio di Dio. Luca invece sembra presentare una diversa prospettiva; ma anche qui ci limitiamo a proporre soltanto una semplice intuizione. Il terzo evangelista non narra la fuga dei discepoli al Getsemani, ma introduce il dialogo tra Gesù e il ladrone sulla croce, in Lc 23,42. Tenendo conto di questo elemento peculiare lucano, la richiesta del ladrone a Gesù di ricordarsi di lui nel suo regno e la risposta rassicurante da parte di Gesù, ci sembra di scorgere in Luca il seguente sviluppo: 1. Pietro rinnega ma poi piange amaramente; 2. Il cireneo porta la croce di Gesù; 3. Il ladrone, che condivide la crocifissione, implora perdono; 4. Il centurione confessa. Anche in Luca sembra così emergere un aspetto catechetico. Al rinnegamento di Gesù deve seguire l’accettazione della sua croce, condividerla implorando perdono per condividere poi la sua gloria, riconoscere con il centurione che Gesù è giusto (dòkaiov).

165


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175


Indice

Premessa

4-8

1. Lo scopo e l’indole

4-5

2. Il metodo usato

5-6

3. I limiti

6-7

4. La Bibliografia

7

5. La divisione del lavoro

8

Sigle e Abbreviazioni

9-10

INTRODUZIONE

11-12

Capitolo Primo: I TRE RINNEGAMENTI DI PIETRO NEI VANGELI SINOTTICI

13-27

1. Il vangelo di Matteo

13-14

2. Il vangelo di Marco

14-15

3. Rilettura di Matteo e Marco

15-16

4. Il vangelo di Luca

16-18

5. Il vangelo di Giovanni

18-23

6. Osservazioni generali

23

7. I tre rinnegamenti nella valutazione degli interpreti

24-28

7.1. La storicità dei rinnegamenti

24-25

7.2. L’unità letteraria dei racconti stessi

25-26

7.3 I motivi per cui Pietro rinnegò

26-27

7.4. Il confronto tra gli evangelisti

27

7.5. Lo scopo della narrazione dei rinnegamenti

28

176


Capitolo Secondo: IL PRIMO RINNEGAMENTO (Mt 26,69-71; Mc 14,66-69; Lc 22,56-58: cfr Gv 18,17)

29-50

1. Le circostanze

29-38

1.1. La sequela di Pietro

30-31

1.2. L’arrivo di Pietro nel palazzo del sacerdote

31-32

1.3. La posizione di Pietro

32-34

1.4. La ripresa della posizione di Pietro

34-35

1.5. Il racconto giovanneo

35-37

1.6. Conclusione

37-38

2. Il primo rinnegamento stesso

38-50

2.1. La domanda

38-44

2.1.1. L’introduzione narrativa

38-41

2.1.2. La domanda stessa

41-44

2.2. La risposta di Pietro

44-50

2.2.1. La formula introduttiva

44-46

2.2.2. Le parole di Pietro

46-50

2.3. Conclusione

50

Capitolo Terzo: IL SECONDO RINNEGAMENTO (Mt 26,71-72; Mc 14,69-70a; Lc 22,58; cfr Gv 18,25)

51-62

1. Domanda rivolta a Pietro

51-58

1.1. La circostanza dell’azione di Pietro

51-53

1.2. L’introduzione narrativa

53-56

1.3. Le parole riguardanti Pietro

56-58

2. Il rinnegamento di Pietro

59-62 177


2.1. La formula introduttiva

59-61

2.2. Le parole di Pietro

61-62

3. Osservazioni conclusive

62

Capitolo Quarto: IL TERZO RINNEGAMENTO (Mt 26,73-74; Mc 14,71a; Lc 22,59-60; cfr Gv 18,26-27)

63-91

1. Il terzo rinnegamento

63-75

1.1. La domanda rivolta a Pietro

63-69

1.1.1. Le circostanze narrative

63-66

1.1.2. Le parole riguardanti Pietro

66-69

1.1.2.1. L’affermazione

66-67

1.1.2.2. La motivazione

67-69

1.2. La risposta di Pietro

69-75

1.2.1. L’introduzione narrativa

69-70

1.2.2. Posizioni degli interpreti

70-73

1.2.2.1. Il verbo kataqematòzein

71-72

1.2.2.2. Il verbo a\naqematòzein

72-73

1.2.2.3. Altri aspetti degli interpreti

73

1.2.3. Le parole di Pietro

73-74

1.3. Confronto con Giovanni

74-75

2. Il canto del gallo (Mt 26,74; Mc 14,72; Lc 22,60; Gv 18,27b)

75-77

3. Il pentimento di Pietro (Mt 26,75; 14,72; Lc 22,61-62)

78-90

3.1. Il ricordo delle parole di Gesù

78-86

3.1.1. Riflessioni degli interpreti

80-81

3.1.1.1. Il pentimento di Pietro

80 178


3.1.1.2. Il canto del gallo

81

3.1.2. Convergenze e differenze

82-83

3.1.3. La peculiarità lucana: lo sguardo di Gesù

83-86

3.2. La menzione del pianto

86-88

3.3. L’espressione di Marco e\pibalwèn e"klaien

88-90

4. Osservazioni conclusive ai tre rinnegamenti

90-91

Capitolo Quinto: GLI ELEMENTI PECULIARI DEI RINNEGAMENTI

92-126

1. I singoli elementi

92-106

1.1. Le persone che interrogano

92-95

1.2. Le parole rivolte a Pietro

96-98

1.3. L’introduzione alle parole di Pietro

99-101

1.4. Le parole di Pietro

102-105

1.5. Conclusione

105-106

2. I tre rinnegamenti nei singoli evangelisti

106-124

2.1. Il racconto di Matteo (26,69-75)

106-111

2.1.1. Lo sfondo locale e cronologico

107

2.1.2. I soggetti che interpellano Pietro

108

2.1.3. Le parole rivolte a Pietro

109

2.1.4. Le introduzioni narrative alle parole di Pietro 2.1.5. Le parole di Pietro

109-110 110

2.1.6. Conclusione

110-111

2.2. Il racconto di Marco (14,66-72)

111-117

2.2.1. Lo sfondo locale e cronologico 2.2.2. I soggetti che interpellano Pietro 179

112 112-113


2.2.3. Le parole rivolte a Pietro

113-114

2.2.4. Le introduzioni narrative alle parole di Pietro

114-115

2.2.5. Le parole di Pietro

115-116

2.2.6. Conclusione

116-117

2.3. Il racconto di Luca (22,55-62)

117-124

2.3.1. Lo sfondo locale e cronologico

118-119

2.3.2. I soggetti che interpellano Pietro

119-120

2.3.3. Le parole rivolte a Pietro

120

2.3.4. Le introduzioni narrative alle parole di Pietro

121

2.3.5. Le parole di Pietro

121-122

2.3.6. Conclusione

122-124

3. Conclusioni

124-126

Capitolo sesto: IL VERBO a\(pa)rneéomai NELLA TRADIZIONE EVANGELICA 127-150 1. Gli usi neotestamentari

127-130

1.1. Il verbo semplice a\rneéomai

127-128

1.2. Il verbo composto a\parneéomai

129-130

2. I verbi a\rneéomai ed a\parneéomai nel resto del NT

130-131

3. I verbi a\rneéomai ed a\parneéomai nei vangeli Sinottici e Giovanni 131-145 3.1. Mt 16,24 (cfr Mc 8,34; Lc 9,23)

131-137

3.2. Mt 10,32-33 (cfr Lc 12,8-9)

137-140

3.3. Il vangelo di Giovanni

140-141

3.4. Prospettive dei due Loghia

141-145

4. Conclusione

145-150

180


CONCLUSIONI

151-165

1. L’aspetto storico-letterario

151-155

1.1. L’aspetto storico

151-153

1.2. L’aspetto letterario

154-155

2. Aspetto tematico-catechetico

156-165

2.1. Aspetto tematico

156-158

2.2. L’aspetto catechetico

158-165

Bibliografia

166-175

1. Fonti

166

2. Strumenti di lavoro

166-167

3. Commentari dei vangeli

168-171

3.1. Il vangelo di Matteo

168-169

3.2. Il vangelo di Marco

169-170

3.3. Il vangelo di Luca

170-171

4. Studi

172-175

Indice

176-181

181


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