Galimberti
Giorgio
si ringrazia
Grazie a Tommaso Maurizio
mia mamma Maria, papà Maurizio
Filomena e Vincenzo, Eleonora
Maria Sole, Valentina e Riccardo Gessica
Anna e Paolo, Antonio e Maddalena
Ilaria, Carlo e Teresa
Luca e Laura Claudia
Fabio e Sabrina
Marzio, Luisa, Douglas, Francesca,Simona
Marco, Rosa, Filippo e Stefania, Paco
Stefano e Stefania, Adolfo
Denis e Alessandro
Marco e Annalisa
Eddie e Laura
Maurizio e Filippo
Angelo e Sonia
Fabio e Claudia
Roberto e Luciano Glenda
Stefano e Roberto
Riccardo, Francesca, Giulia, Luca
È con grande emozione che vi presento questo libro di Giorgio Galimberti, copertina rigida con titolo in rilievo nero su nero, elemento base dalla Fotografia di George.
La prima parte comprende lavori più “architettonici”, poi pian piano la presenza umana si fa effettiva protagonista. Il libro è completato e delineato da alcune poesie di Gianluca Nadalini, scrittore e poeta bolognese, amico storico di George e sua anima affine.
Il lavoro di Giorgio offre uno sguardo onirico ed empatico su forme e presenze, intese anche come loci spaziotemporali. Scorci urbani metafisici vuoti, essenze di tracce di vita che passano e scorrono, sullo sfondo di architetture appena tracciate.
Linee fisiche che si riallacciano alle linee evocate che uniscono i destini degli esseri umani sempre presenti nelle sue immagini, per poi focalizzarsi sulla presenza umana, avvicinarsi e collocarla come protagonista all’interno dei loci.
Lo sguardo di George è uno sguardo incantato e pertanto incantatore, lo sguardo di un adolescente tormentato che cerca il contatto con i proprio simili e che (forse) disincantato ed in un certo senso disilluso riesce a percepire l’effimero delle vite altrui, guizzi di vita su una tela urbana appena tracciata, irreale quasi nella sua visione di sintesi.
Nel suo lavoro troviamo omaggi e passioni per grandi maestri, da Mario Giacomelli a Fan Ho e André Kertész.
Un libro che offre immagini potenti, sfumature di spazi e tempi dilatati nell’attimo che coglie presenze umane, cristallizzate nel breve passaggio dalla memoria dell’autore.
Una grande opera, fortemente e lungamente voluta anche da me, che ci mostra il talento di questo Autore.
7
Angelo Cucchetto
Lasciateli stare i sognatori, sono gente di carbone per vecchi treni a vapore, lasciateli stare nelle loro piccole case, che abitano come tasche, piene di spine e di more.
Lasciateli stare quando sono allegri, quando credono di planare lievi, lasciateli stare quando sono tristi, perché i giullari dei sorrisi non si sono nemmeno intravisti.
Lasciateli vivere i sognatori, assordati da mille rumori, sono come nuvole sospinte dal vento, quando soffiano via contando da uno a cento.
Lasciateli con una coperta in mano, quando il freddo arriva da lontano, e guardano il ghiaccio coprire, ciò che ancora vorrebbero sentire.
Lasciateli magari parlare senza senso, perché nei discorsi strani c’è probabilmente più sentimento, che gesticolano come pazzi in mezzo al fare, mentre alzano forte la voce di un perseverante provare.
Lasciateli stare questi sognatori, mentre riposano sopra ai rumori, mentre la notte decora il movimento che stringe e allarga l’idea di un possibile cambiamento.
Io conosco tanti sognatori, conosco i muri e i loro muratori, sporchi di calce e di sudore, sporchi di speranze da trattare bene. Lasciateli stare questi cosiddetti pazzi, queste persone bambine, questi adulti ancora ragazzi, lasciateli stare perché non potrete mai capire, che tutti i sognatori hanno paura di voi che toccate ma non riuscite a sentire.
E se anche voi siete maledetti sognatori, venite insieme a me, proviamo a sussurrare alle nostre facce altre centomila maledette nuove metamorfosi, nuove sognanti espressioni.
Gianluca Nadalini
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Sostengo la poesia popolare, quella che parla ai bambini e agli ubriachi, quella che potresti anche non leggere: solo sentire.
Sostegno la poesia onesta, quella che parla alle sbarre e alla libertà, quella ignorante di parole complicate, quella che odora di fogna ma anche di focaccia all’olio.
Sostengo il possibile cercando la precarietà dell’impossibile, scrivere con la mano sinistra che mi è stata concessa, scrivere con le spalle appoggiato al muro, sentire qualcosa e spiegarlo con i pochi spiccioli che riesco a raccattare dalle mie tasche.
Sostengo la poesia come fosse il mio miglior nemico e il mio peggiore amico, adornare le sensazioni con discrezione, gonfiare la bicicletta, ascoltare i fiori crescere, gettare via la spazzatura, baciare una fotografia, leggere le istruzioni riportate sulla confezione della vita.
Sostengo la collaborazione come i chiodi sostengono quadri o lasciano buchi nel muro, la poesia della normalità è stucco bianco pronto all’uso, è l’altalena che ti dice di spingere con le gambe prima avanti e poi indietro, è facile, la dovrebbe recapitare a casa il postino; sarò stupido ma sempre stupito della poesia popolare, quella che non sa mai cosa succede, quella che di notte dorme con gli incubi e con i sogni ma ride
addormentandosi.
Gianluca Nadalini
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Ho bisogno di piangere.
Di andare a Parigi.
Di baciarti quando serve.
Di controllare le mie disavventure.
Ho bisogno di avere bisogno.
Di servire, reperire, riverire, reinventare.
Ho bisogno di ossa e ossigeno.
Di “chilometro” zero, di centimetri vicini, di contatti inusuali per pelli sensibili.
Distanze.
Arrossamenti di anima, unguenti, pozioni di labbra.
Millimetri. Misure.
Contatti.
Ho bisogno di mangiare tre volte dopo i pasti. Andare e ritornare.
Delle tue “stronzate”.
Di suonare i campanelli di un “risveglio” e poi scappare via. Nascondersi.
Ho bisogno del male, del bene, della “sera” negli occhi.
Ho bisogno di questo e quello, di noi che giochiamo a giocare, delle storie che sembrano favole, delle litigate alle due del mattino, del mattino, delle pesche sciroppate dentro il barattolo, un paio di “All Star” di qualche misura in meno da mettere vicino alle mie.
Ho bisogno di concentrazione, di pazzia, di valigie da chiudere all’improvviso per “prendere” un giorno, un aereo, un treno, una macchina, una corriera, due piedi, un cammino, due mani, un secondo, un giorno, una vita.
Ho bisogno di baciarti quando non serve.
Di andare a Parigi.
Di ridere.
Se ti stringo non è possesso è appartenenza.
Gianluca Nadalini
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