DUCATI IL RACCONTO DI UN MITO
Ogni volta che entro nel museo rivivo le emozioni del passato e riscopro il nostro presente. La scelta accurata dei modelli esposti, gli aneddoti dietro a ogni traguardo raggiunto e gli eroi che hanno scritto una storia lunga oltre 90 anni, trasformano la visita al museo in un’esperienza che ti mette a contatto con i nostri valori e la nostra marca. Il museo è un palcoscenico sul quale Ducati mette in scena la sua incredibile storia, offrendo un’esperienza attraverso la quale puoi percepire il significato e la potenza della marca. È il luogo in cui celebriamo la nostra storia mettendo in mostra passato e presente per consentirci di osservare attentamente il nostro patrimonio, per un’incessante ricerca dell’eccellenza, per progettare moto in grado di offrire emozioni uniche e migliorare le nostre performance sui circuiti di tutto il mondo. Nel prossimo futuro vogliamo andare anche oltre, progettando moto dove creatività, tecnologia, qualità e design si fondono in un amalgama unica al mondo. Perché non progettiamo solo moto, ma un universo di emozioni. Abbiamo fatto la storia, ora siamo pronti per scrivere il futuro. Ti lascio alle pagine di questo libro immaginando di entrare nel Museo Ducati. È stato creato per te!
Claudio Domenicali Amministratore Delegato Ducati Motor Holding S.p.A.
Il Museo Ducati, attraverso l’esposizione, le installazioni e i colori vuole testimoniare i valori fondanti della marca: Style, Sophistication e Perfomance. Ognuno di questi valori va interpretato in quanto ogni parola contiene più di un significato. Style è soprattutto nel design che contraddistingue ogni singolo modello: il design italiano, riconosciuto e amato in tutto il mondo per il suo inconfondibile fascino e il suo grande valore iconico. Il simbolo del design motociclistico è la Ducati 916, che dal 1994 rappresenta un capolavoro assoluto di stile e prestazioni, frutto della stessa attenzione per i dettagli che un sarto impiegherebbe nel confezionare un abito su misura. Ma lo stile è anche nel modo in cui ogni modello interpreta un’epoca o determina i trend per le motociclette del futuro. Lo stile del museo, concepito secondo l’idea di una galleria d’arte, riesce a mostrare ogni modello valorizzandone il suo valore intrinseco. Sophistication, invece, rappresenta l’approccio intransigente che adottiamo in tutto ciò che facciamo. La ricerca della tecnica migliore è la strada che percorriamo ogni giorno per raggiungere il nostro obiettivo finale. Una soluzione evoluta come il sistema desmodromico è un chiaro esempio di come noi di Ducati puntiamo al massimo senza mai scendere a compromessi. Per noi Sophistication è la capacità di considerare ogni dettaglio come una parte fondamentale del tutto. E il museo declina questo stesso concetto in maniera del tutto sorprendente, presentando i nostri modelli, sia da gara sia da strada, così come la nostra storia. Per un visitatore che si trova faccia a faccia con le nostre moto da gara e con i trofei che celebrano innumerevoli vittorie in pista, le prestazioni potrebbero essere interpretate come espressione del nostro DNA sportivo. In realtà, Performance per noi significa molto più di una bandiera a scacchi o della potenza necessaria per vincere una gara. È ciò che consente ai Ducatisti di vivere la migliore esperienza di guida, è il divertimento che provano quando tutti i sensi vengono appagati dalla leggerezza della moto, dalla sua agilità, dal suono del motore che si confonde col battito del cuore. E questa è l’esperienza che vogliamo trasmettere all’interno del museo, un’area espositiva progettata per accompagnare i visitatori attraverso la leggenda di Ducati. Ogni moto o traguardo vuole essere un momento in cui ogni visitatore del museo trattiene il respiro e scopre le emozioni uniche
Andrea Ferraresi Direttore Centro Stile Ducati
È vero che il Museo racconta la storia di Ducati dalle origini fino ai giorni nostri, accompagnando il visitatore lungo un percorso di quasi 100 anni; tuttavia, il concept alla base del Museo Ducati ricorda più una galleria d’arte che non una collezione storica. Il Museo è stato progettato sulla base dei due valori che caratterizzano il design delle moto Ducati - leggerezza ed essenzialità – e vuole trasmettere queste sensazioni ai visitatori esponendo i modelli iconici che oggi rendono unico il marchio Ducati. Quando mi è stato chiesto di elaborare un concetto per il Museo, sapevo che l’unico modo di esporre i modelli sarebbe stato quello di considerarli delle vere e proprie opere d’arte. Dovevano impossessarsi dello spazio intorno a loro, diventando protagonisti assoluti. Le forme e i colori delle moto dovevano risaltare in primo piano, con un contorno delicato di allestimenti diafani ed eterei che non distraesse il visitatore dalla bellezza di ogni modello. Volevo che le moto apparissero fluttuanti su uno sfondo bianco, come sollevate in aria e pronte per essere cavalcate, non semplicemente esposte come in un museo tradizionale. Mi sono ispirata ai valori fondamentali del marchio Ducati: Style, Sophistication e Performance. Avevo una storia da raccontare. Ero consapevole che ogni modello poteva contribuire in modo unico a narrare la storia dell’azienda, quindi dovevo fare in modo che ogni moto raccontasse la propria verità. E questi nostri valori sono apparsi in maniera del tutto naturale. Adottando un approccio moderno, le linee pulite delle moto non sono mai sopraffatte dagli elementi che solitamente guidano il visitatore all’interno di un museo. Al contrario, ogni spazio espositivo accentua la bellezza della moto, aggiungendo una dimensione particolare alla storia raccontata. Il Museo comunica attraverso le emozioni, esprimendosi con un linguaggio che oltrepassa il lato razionale della storia. La mia speranza è che vengano toccate le corde giuste di ogni visitatore, accompagnandolo lungo un viaggio che gli permetta di ripercorre le vittorie, riscoprire i traguardi raggiunti e percepire la passione.
Paola Bosi Art Direction Ducati Corporate & Creative Center
1. Ducati moments 2. Origini 3. Storia delle moto stradali 4. Storia del racing
Percorsi narrativi Il museo Ducati è concepito per narrare la storia dell’azienda attraverso quattro diversi percorsi che guidano il visitatore dalle origini fino ai giorni nostri. I Ducati moments sono i protagonisti del primo di questi percorsi: parliamo dei fatti, delle persone e delle innovazioni tecnologiche che hanno scandito l’evoluzione dell’azienda. Proseguendo, le Origini narrano i primi venti anni della Casa di Borgo Panigale dal 1926 al 1946, quando Antonio Cavalieri Ducati fonda la Società Scientifica Radio Brevetti Ducati, specializzata in tecnologie di comunicazioni radio. I prodotti sviluppati dai tre fratelli Adriano, Bruno e Marcello, spaziano dai condensatori ai rasoi elettrici, alle macchine fotografiche ottenendo i primi successi sul mercato. Con la produzione di componenti motoristiche e di motocicli ha inizio una nuova era: la storia delle moto stradali. Protagonisti di questo percorso sono i venti modelli più iconici che hanno fatto grande la storia dell’azienda, modelli raccontati attraverso un’esposizione in quattro diverse sale del museo. La storia Ducati nelle competizioni costituisce l’ultimo percorso narrativo, che si sviluppa attraverso l’esposizione di una ricca collezione di moto da corsa posizionate lungo il perimetro del museo. Ogni modello racconta una vittoria e un pilota il cui nome rimarrà scritto nell’albo d’oro Ducati. La sezione del museo è completata da una esposizione di trofei e tute appartenuti a quattro di questi grandi campioni.
DUCATI MOMENTS
1926 | I Fratelli Cavalieri Ducati
Adriano Cavalieri Ducati fotografato con un’apparecchiatura radio “ACD” (1924).
Il 4 Luglio del 1926, supportati dal padre Antonio, i tre fratelli Cavalieri Ducati, Adriano, Bruno e Marcello, fondano una piccola azienda nel centro di Bologna con il nome di Società Scientifica Radio Brevetti Ducati. Sulla scia delle rivoluzionarie scoperte di Guglielmo Marconi nel campo delle trasmissioni radio a lunga distanza, che gli valgono il Premio Nobel per la Fisica, la piccola società inizia a sviluppare e vendere condensatori. Trascorsi meno di dieci anni dalla fondazione dell’azienda e in seguito al successo dei componenti elettrotecnici prodotti, i fratelli Ducati decidono di costruire una nuova sede a Borgo Panigale, alle porte di Bologna. Da un organico di appena due operai e una segretaria nel 1926, la società arriva a contare migliaia di dipendenti nel 1936, quando viene inaugurato il nuovo stabilimento.
Guerra Mondiale, le necessità militari portano gli sforzi produttivi della fabbrica di Borgo Panigale a concentrarsi sulle attrezzature per il supporto delle Forze Armate Italiane.
Contemporaneamente, l’azienda espande le proprie competenze introducendo sul mercato prodotti come radio, interfoni, rasoi elettrici e calcolatrici elettromeccaniche. Quando, nel 1940, l’Italia è coinvolta nella Seconda
Verso la fine della guerra, le truppe tedesche si ritirano dall’Italia meridionale, ma continuano a occupare lo stabilimento di Borgo Panigale. Con il bombardamento del 12 ottobre 1944 la produzione si ferma.
Riproduzione del sistema di trasmissione dell’apparecchiatura radio “ACD”.
1946 | Cucciolo
Pubblicità del Cucciolo (1948).
Linea di montaggio del Cucciolo (Archivio Motociclismo, 1947).
Subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, il paese attraversa un momento di generale rinascita, grazie a una forte crescita economica. Il tema della mobilità diventa presto di fondamentale importanza e per Ducati c’è la necessità di rimettere in piedi la fabbrica e avviarne di nuovo la produzione. Per questo, quando arriva il momento di riavviare la produzione, i fratelli Ducati decidono di dedicarsi ad un nuovo settore: la produzione di componenti motoristiche e motocicli. Nel 1946 rispondono alla diffusa esigenza di mobilità del Paese con il Cucciolo, un micromotore applicabile a qualsiasi bicicletta. Pratico, compatto ed economico (venduto a 48.000 Lire, pari a 700 Euro), il Cucciolo si adatta a svariati tipi di combustibile, raggiunge i 50 km/h e riesce a coprire una distanza di 100 km con un litro di benzina. In breve tempo, anche grazie alla rete commerciale di Ducati che già prima della guerra esporta in tutto il mondo, il Cucciolo diventa un successo internazionale.
1954 | Taglioni e la Marianna
Nel 1948 i fratelli Ducati cedono la proprietà dell’azienda alle Partecipazioni Statali. La produzione viene scorporata e vengono costituite due aziende distinte: Ducati Elettrotecnica (oggi Ducati Energia) e Ducati Meccanica, l’attuale Ducati Motor Holding S.p.A., che si specializza nel settore delle due ruote. Fatto il suo ingresso nel mondo del motociclismo, Ducati decide di cimentarsi con le gare di Gran Fondo, eventi molto seguiti e quindi decisivi per farsi conoscere dal grande pubblico. Così, il 1° maggio 1954, arriva in azienda un nuovo progettista, l’ingegner Fabio Taglioni. La scelta si rivela subito vincente e nel 1955, la sua Gran Sport “Marianna”, prima moto da corsa di casa Ducati equipaggiata con un motore monocilindrico di 100 cc, si aggiudica il titolo delle due gare più popolari dell’epoca: il Motogiro d’Italia e la Milano-Taranto. Nato a Lugo nel 1920, Taglioni è stato uno dei progettisti più importanti dell’azienda e la Marianna, che prende il nome dall’anno mariano in cui ha fatto il suo debutto, domina la scena italiana delle corse su strada per tutta la seconda metà degli anni ‘50. Grazie alla popolarità di queste competizioni, che radunano autentiche folle di persone ai lati delle strade, Ducati diventa sinonimo di successo per prestazioni e affidabilità.
Taglioni in sella alla Ducati 250 da corsa della scuola guida Spaggiari. (Archivio Motociclismo, 1970). A destra, Francesco Villa al 3° Motogiro d’Italia. (Foto di Walter Breveglieri, 1955).
1956 | Desmo
Disegno Tecnico del sistema desmodromico.
Sull’onda dei successi ottenuti dalla Marianna nelle gare su strada, Ducati decide di puntare sulle competizioni su pista e incarica l’ingegner Taglioni di progettare una moto da Gran Premio da 125 cc. Crea quindi un nuovo motore, derivato da quello della Gran Sport Marianna e dotato di un particolare sistema di distribuzione: il Desmo, che regola meccanicamente l’apertura e la chiusura delle valvole senza molle e che permette di avere prestazioni migliori, con una maggiore affidabilità. Il Desmo Ducati debutta nel 1956 al Gran Premio di Svezia, sulla 125 GP del pilota modenese Gianni Degli Antoni che si aggiudica la prima posizione. La prova più significativa dell’affidabilità delle moto Ducati arriva nel 1957, con il giro del mondo di Leopoldo Tartarini e Giorgio Monetti in sella a due Ducati 175 T: un viaggio lungo oltre 60.000 km, percorsi attraverso cinque continenti in un anno. Un’avventura memorabile, che contribuisce a rendere Ducati un marchio conosciuto e ammirato a livello internazionale.
1962 | Scrambler
Pubblicità storica Scrambler. Sotto, dettaglio Ducati sul serbatoio Scrambler.
Al volgere degli anni ’50, beni di consumo che solo dieci anni prima sembravano inaccessibili diventano improvvisamente alla portata di tutti. Il lancio delle prime utilitarie permette a sempre più famiglie di possedere un’automobile e così le motociclette cedono il loro tradizionale ruolo di mezzo di trasporto per acquisire quello di simbolo di libertà, di trasgressione e di uno stile di vita su strada. Gli anni Sessanta vedono la nascita di uno dei modelli Ducati più iconici: lo Scrambler. Moto ispirata alle Scramble Races così popolari negli Stati Uniti, lo Scrambler 250 con il suo motore monocilindrico da 250 cc a carter stretto, conquista subito l’attenzione del pubblico. Nel 1968 viene riproposto sul mercato italiano in versione aggiornata con motore di 450 cc e una gamma colori vivace. Una moto destinata a diventare un’icona di libertà di un’intera generazione: pensata per il tempo libero, piacevole da guidare, con un manubrio largo, una sella ampia e una posizione di guida perfettamente centrata.
1972 | La vittoria alla 200 Miglia di Imola
I primi anni ‘70 segnano l’arrivo sul mercato e nelle corse delle moto di grossa cilindrata. Ispirati dalle famose corse americane per moto da 500 e 750 cc come la Daytona 200, il 23 Aprile 1972 viene organizzata la prima edizione della 200 Miglia di Imola a cui partecipano tutte le case motociclistiche. Ducati, in sole tre settimane, elabora la 750 GT Desmo, ingaggia quattro piloti e schiera altrettante moto sulla griglia di partenza. Di fronte ad alcuni dei più talentuosi piloti dell’epoca, compreso il pilota più titolato di tutti i tempi Giacomo Agostini, le Ducati risultano imbattibili durante tutte le qualifiche. Il britannico Paul Smart passa in testa alla gara all’ultimo, portando la sua Ducati 750 Imola Desmo a tagliare il traguardo davanti a 75.000 spettatori, mentre Bruno Spaggiari si aggiudica il secondo posto, completando così un weekend indimenticabile. Dopo queste importanti vittorie il passaggio al Desmo diviene definitivo anche per la produzione di serie. Paul Smart e Bruno Spaggiari in gara (1972).
Paul Smart sul 1° podio (Archivio Motociclismo, 1972).
1978 | Mike Hailwood trionfa al Tourist Trophy
Venti anni dopo il suo debutto con Ducati, una delle personalità più di spicco nella storia del racing, Mike Hailwood, si accorda con il team NCR per guidare una Ducati 900 al Tourist Trophy del 1978 sull’Isola di Man, uno degli eventi motociclistici più importanti di tutti i tempi. Dopo quattro anni di assenza dalle competizioni, nessuno si aspetta che Hailwood possa conquistare la vittoria. Invece, grazie anche al supporto del capo meccanico della squadra, Franco Farné, Mike prende letteralmente d’assalto gli oltre 60 Km del circuito stradale, aggiudicandosi la vittoria. Noto al pubblico anche come “Mike the Bike”, Hailwood tiene fede al suo soprannome, sorprendendo tutti e scrivendo un’autentica pagina di storia per se stesso, per il Tourist Trophy e per Ducati. Una vittoria così inaspettata al Tourist Trophy rafforza ulteriormente la reputazione di Ducati, proiettandola verso imprese ancora più grandi negli anni ‘80. Poster commemorativo della vittoria di Mike Hailwood (1978).
1985 | Ducati trova il suo colore: il Rosso
Nel 1986 il designer riminese Massimo Tamburini crea la Paso 750, chiamata così in onore del centauro Renzo Pasolini, detto appunto “Paso”. Tamburini adotta soluzioni all’avanguardia, come ad esempio la carenatura integrale che nasconde alla vista le parti meccaniche. La sua caratteristica colorazione introduce il rosso monocromatico come colore ufficiale che contraddistingue tuttora le sportive Ducati.
1988 | La prima vittoria in Superbike
SUPERBIKE: LA 851 CON LUCCHINELLI VINCE LA PRIMA GARA
Ducati decide di fare il suo ingresso nel Campionato del Mondo Superbike, la categoria delle moto da corsa derivate dalla produzione di serie che nel 1988 disputa la sua prima edizione mettendo in pista la sua prima Superbike: la Ducati 851, che prende questo nome dalla sua cilindrata. È il 3 aprile di quello stesso anno quando, con l’ex campione del mondo delle 500 Marco Lucchinelli, si aggiudica la gara d’esordio sul circuito di Donington. Sviluppato da Massimo Bordi e Gianluigi Mengoli nel 1986, il motore della Ducati 851 rappresenta il primo bicilindrico desmodromico a 4 valvole prodotto da Ducati. Luchinelli termina al quinto posto quella stagione, ma una cosa è già chiara a tutti: Ducati è destinata a vincere.
1990 | Il titolo Superbike piloti Quando, nel 1990, il Campionato del Mondo Superbike giunge alla sua terza stagione, Ducati ha già iniziato a sviluppare una serie di nuove tecnologie che permettono al team ufficiale di imporsi sugli avversari. Il motore bicilindrico a 4 valvole con iniezione elettronica, i numerosi pezzi in fibra di carbonio per contenere il peso, i materiali compositi speciali e molte altre caratteristiche sono la dimostrazione di come Ducati stia consolidando la propria leadership nella categoria Superbike. In sella ad una 851 bicilindrica con motore Desmoquattro, Raymond Roche procura a Ducati il suo primo titolo piloti. È l’inizio dell’epoca d’oro della casa bolognese che ottiene una serie di vittorie nel Mondiale Superbike e diventa la casa più titolata di questo campionato.
Celebrazione di Raymond Roche nel Campionato Mondiale Superbike (1990). A destra, foto del Campionato Modiale Superbike (1990).
1992 | Monster
Il Monster 900 è il modello più longevo mai prodotto dalla Casa di Borgo Panigale, con oltre 325 mila esemplari realizzati in venticinque anni di produzione ininterrotta. Presentato al pubblico nel 1992 alla fiera internazionale di Colonia, ha immediatamente riscosso grande interesse nel settore grazie al suo design rivoluzionario. Ridotto all’essenziale, il Monster è concepito con una ciclistica direttamente derivata dalle Superbike con motore stradale da 904 cc e un serbatoio con una caratteristica silhouette a schiena di bisonte. Niente carenatura. È così che il Monster 900 dà vita al segmento delle naked sportive e diventa ben presto anche il modello più personalizzato tra le moto costruite a Borgo Panigale. Con il Monster il concetto di moto evolve: non si tratta più di un semplice mezzo di trasporto, ma di un vero fenomeno culturale, condiviso ancora oggi da un’intera community di appassionati: quella dei Monsteristi.
1993 | Ducati 916
Quando Massimo Tamburini crea la Ducati 916 è chiaro a tutti che si tratta di un autentico capolavoro di design e ingegneria. Dal momento in cui viene svelata al pubblico in occasione del Salone di Milano, nel 1993, la 916 rivoluziona la scena del motociclismo mondiale e, a decenni di distanza, è ancora considerata una delle più belle moto mai costruite. La 916 non solo vanta un design unico ma presenta anche caratteristiche tecniche che fissano nuovi punti di riferimento per le moto sportive degli anni ‘90. La grandissima cura riservata a ogni suo più piccolo dettaglio rende la 916 un esempio di come, per la prima volta nella storia della produzione Ducati, i concetti di Style, Sophistication e Performance possano essere fusi insieme in un’unica moto, che risulta vincente sia su strada che in pista. Nell’arco della sua carriera agonistica, la 916 vince quattro Campionati del Mondo Superbike e pone le basi per le future vittorie fino ai primi anni 2000.
1998 | Il World Ducati Week
L’estate del 1998 segna la celebrazione della community Ducati. La prima edizione del World Ducati Week viene organizzata tra lo stabilimento Ducati di Borgo Panigale e il Misano World Circuit, oggi dedicato a Marco Simoncelli. Quintessenza dell’universo Ducati, il World Ducati Week è il più grande raduno Ducati al mondo e rappresenta ormai un appuntamento imperdibile per migliaia di tifosi e appassionati provenienti da ogni angolo della terra. Una miscela perfetta di motori e divertimento che confermano che Ducati rappresenta molto più di una moto.
Ducati Bologna
Misano World Circuit Marco Simoncelli
1999 | Ducati Corse Spinta dal grande successo che le Ducati riscuotono nelle gare internazionali, l’azienda decide di costituire una struttura interna completamente dedicata alle competizioni. Ducati Corse nasce nel 1999 sulla scia delle numerose vittorie conquistate nel Campionato del Mondo Superbike. La sua sede si trova nello stabilimento di Borgo Panigale dove lavora un team dedicato. Ducati Corse vanta un palmarès che comprende numerosi titoli mondiali in Superbike e nel 2007, Casey Stoner corona la sua avventura nel Campionato del Mondo MotoGP, conquistando il titolo Piloti, Costruttori e Team.
2003 | La prima vittoria in MotoGP
Ducati inizia a gareggiare in MotoGP nel 2003, dopo che l’anno precedente i regolamenti della categoria fanno sì che ai motori a due tempi da 500 cc vengano affiancati i motori a quattro tempi fino a 989 cc. Dopo essersi distinto per aver raggiunto dei tempi impressionanti durante i test invernali, Loris Capirossi si conferma il più veloce di tutti anche in occasione dei test IRTA sul circuito di Catalunya, dove stabilisce il nuovo record della pista spagnola e fa registrare la velocità massima più elevata. Al primo appuntamento della stagione nel 2003, Capirossi conquista la prima fila in qualifica e termina la gara sul podio. In occasione della sesta gara stagionale in Catalunya, ottiene la pole position nelle prove ufficiali e porta la Ducati Desmosedici al traguardo. Con una vittoria, sei podi, tre pole position e un giro veloce, è chiaro a tutti che Ducati, terza nella classifica costruttori, ha fatto il suo ingresso in MotoGP con l’obiettivo di competere ai massimi livelli.
2007 | Campioni del Mondo MotoGP
I regolamenti della MotoGP vengono nuovamente modificati nel 2007, quando a competere nella categoria sono ammessi soltanto i motori a quattro tempi fino a 800 cc. Ducati si presenta al via con una moto così potente che Casey Stoner domina letteralmente la stagione. Con la Desmosedici in grado di aggiudicarsi ben dieci vittorie, Ducati conquista tutti e tre i titoli della massima categoria: quello Piloti, quello dei Costruttori e, non per ultimo, quello del Team. Con il successo ottenuto in MotoGP nel 2007, Ducati diventa la prima casa italiana in trentaquattro anni a conquistare il titolo Piloti e quello Costruttori nella classe regina.
Poster celebrativo di Casey Stoner per la vittoria del Campionato Mondiale MotoGP (23 settembre 2007).
2012 | Panigale
Dopo anni di successi nel Campionato del Mondo Superbike, l’evoluzione delle supersportive Ducati genera un nuovo concetto di moto. Questa svolta epocale si ha con l’avvento della Panigale, presentata in anteprima al Salone di Milano del 2011. Frutto di un esemplare mix tra design e prestazioni, la Panigale rappresenta una nuova generazione di moto Ducati dove tutto viene rivoluzionato, dal nuovo motore Superquadro al telaio. Obiettivo: ottenere il massimo delle performance. La Panigale è concepita attorno a un telaio monoscocca in alluminio che funge anche da airbox e che la rende compatta, agile e leggera. Questo modello rappresenta l’inizio di un nuovo capitolo nell’evoluzione Ducati, introducendo nuove soluzioni tecniche nella categoria delle supersportive e vincendo prestigiosi premi di design come il Red Dot Award. La 1199 Panigale diventa anche la prima motocicletta a vincere il Compasso d’Oro, unendo stile iconico, prestazioni di altissimo livello e il meglio della tecnologia derivata dalle competizioni.
2014 | Scrambler Icon Svelato in occasione del World Ducati Week del 2014 e prodotto a partire dal 2015, Ducati Scrambler identifica un vero e proprio brand dalla spiccata personalità che comprende una gamma diversificata di modelli, di soluzioni personalizzabili e una linea completa di accessori e capi d’abbigliamento. Il nome richiama uno dei modelli Ducati più popolari, lo Scrambler degli anni ’60, che viene reinterpretato attraverso il recupero di alcuni dei suoi tratti più caratteristici: il manubrio largo, la sella ampia e il serbatoio a goccia che tornano anche nello Scrambler Icon. Un mix perfetto di tradizione e modernità di successo che ha portato alla nascita di una community dallo spirito spensierato che oggi è protagonista della “Land of Joy”.
SELF – EXPRESSION DESIGN POST-HERITAGE FREEDOM AND FUN
FREE-SPIRIT
NON – CONFORMIST ESSENTIAL
INVENT YOUR OWN STYLE
SCRAMBLING CONTEMPORARY ICON
THE LAND OF JOY
ORIGINI 1926-1945
Condensatori Il 4 luglio del 1926 Antonio Cavalieri Ducati e i suoi tre figli, Adriano, Bruno e Marcello, fondano quella che allora era conosciuta come Società Scientifica Radio Brevetti Ducati iniziando a produrre condensatori con l’obiettivo di alimentare la crescente industria che si stava sviluppando attorno alle trasmissioni radio. Il condensatore a onde corte Manens diventa il loro prodotto di punta: Adriano, studente di Fisica, lo progetta a soli diciannove anni. Realizzato nel seminterrato della residenza di famiglia nel centro di Bologna, è il primo di una serie di condensatori e componenti elettrici destinati alla produzione delle apparecchiature radiofoniche. Di immediato successo commerciale, il Manens viene prodotto e distribuito in grandi quantità, evolvendosi fino ai primi anni ‘30, quando la famiglia Ducati decide di trasferire la produzione e costruire lo stabilimento di Borgo Panigale.
Immagine delle lavorazioni del condensatore elettrico a mica (catalogo di prodotto 1937).
Radio Ducati Nel 1939, poco prima della Seconda Guerra Mondiale, Ducati passa dalla produzione dei condensatori a quella delle apparecchiature radiofoniche complete. Tutti i componenti necessari vengono infatti realizzati all’interno dello stabilimento di Borgo Panigale e, ben presto, la gamma delle radio Ducati guadagna la leadership nel mercato italiano. Molta attenzione viene data al design dei vari modelli e, per sottolinearne la cura costruttiva, le radio vengono spesso rivestite con legni pregiati come radica, pera e olivo. I fratelli Ducati, in particolare Adriano, traggono ispirazione da un altro genio bolognese, Guglielmo Marconi, i cui studi pionieristici gli erano valsi il premio Nobel solo pochi anni prima che Ducati iniziasse la propria attività.
Pubblicità della Radio Mobile Ducati in radica di pero (1937).
Dufono Con un design elegante, razionale e per molti versi futuristico, il Dufono in bachelite nera o bianca prodotto da Ducati a metà degli anni ‘30 è il precursore dei moderni sistemi di interfono e teleconferenza. Esso rende possibile la comunicazione audio all’interno di un’azienda, un hotel, una banca o persino un ospedale. Ritenuto innovativo per le opportunità che offre, tra cui la capacità di velocizzare la comunicazione all’interno di una qualsiasi struttura, il Dufono viene riconosciuto sia come oggetto di design che come strumento funzionale e pratico. Le nuove tecnologie di trasmissione radio che sono alla base del suo sviluppo, sono le stesse che Adriano Ducati aveva utilizzato per realizzare comunicazioni a lunga distanza tra l’Italia e gli Stati Uniti.
Estrapolato di una grafica esplicativa sugli utilizzi del Dufono (1938). A sinistra Pubblicità del Dufono (1938).
Rasoio Ducati Nel 1940 Ducati ha un’altra brillante intuizione che porta l’azienda al lancio del primo rasoio elettrico italiano, unendo l’esperienza nella meccanica di precisione a quella nel settore dei dispositivi elettrici. Il Raselet vanta un design ergonomico e funzionale e, ancora una volta, la bachelite bianca o nera viene utilizzata per sottolineare la cura estetica del prodotto. Sotto al rivestimento esterno è alloggiato un motore elettrico da 6.000 giri al minuto che alimenta il movimento delle lame, assicurando una rasatura a secco, senza schiuma o acqua. E come recita la pubblicità, sottolineando il costante orientamento di Ducati verso il futuro: “Non si può arrestare il progresso!”
Pubblicità Raselet (1938).
Proiettore Ducati Mantenendosi sempre al passo con i tempi, Ducati decide di entrare nel mercato degli strumenti ottici di precisione. Negli anni ‘40 viene dunque sviluppato un proiettore a passo ridotto da 16 mm in linea con quelle che all’epoca rappresentano le più moderne tecnologie cinematografiche.
Duconta Poco prima della Seconda Guerra Mondiale, Ducati fa il suo ingresso in un altro segmento di mercato, presentando la prima calcolatrice elettromeccanica italiana, la Duconta, di cui ne sono rimasti solo pochissimi esemplari.
Macchina fotografica Con buona probabilità, uno dei prodotti più sofisticati tra quelli che vedono la luce all’interno dello stabilimento di Borgo Panigale è la microcamera fotografica Ducati Sogno. Dotata di un rapido otturatore a tendina e di obiettivi intercambiabili con lenti di alta precisione, viene progettata prima della Seconda Guerra Mondiale, ma introdotta sul mercato solo dopo il conflitto.
A sinistra Antonio Cavalieri Ducati Junior, figlio di Bruno, ritratto in una pubblicità della macchina fotografica Ducati (1943). In questa pagina Cartolina pubblicitaria del proiettore Ducati (1948). Immagine della calcolatrice Duconta (1943).
STORIA DELLE MOTO STRADALI
1946 | Cucciolo
L’Italia del dopoguerra ha bisogno di un nuovo inizio e una delle necessità più urgenti è la mobilità. Quella dei mezzi di trasporto è una questione vitale per aiutare la ripresa economica del Paese dopo gli anni del conflitto. La ricostruzione della fabbrica di Borgo Panigale dopo il bombardamento dell’ottobre 1944 rappresenta un’opportunità che Ducati sfrutta per rilanciare le proprie attività. La struttura elettrotecnica viene convertita per operare in un nuovo settore e nel 1946 viene sviluppato il primo motore ausiliario per biciclette. Il Cucciolo rappresenta il primo passo che Ducati intraprende nel settore motociclistico e il primo passo verso la rinascita dell’azienda. Basato sul progetto di Aldo Leoni e derivato da un’idea di Aldo Farinelli, giornalista tecnico con la passione per il motociclismo, il Cucciolo consiste in un motore da 48 cc che viene venduto come kit applicabile a qualsiasi tipo di bicicletta. Compatto e poco costoso, il motore a quattro tempi con cambio a due marce sviluppa una velocità di 50 km/h e percorre 100 km con un litro di carburante.
Il Cucciolo non solo riesce a trasformare qualsiasi bicicletta, conferendole potenza e agilità, ma ha anche la capacità di trasformare Ducati come azienda e gioca un piccolo ruolo nel recupero post-bellico dell’Italia. Il Cucciolo rappresenta inoltre un prodotto facile da espor-
tare nei mercati internazionali. Non passa molto tempo, infatti, prima che ottenga successo anche all’estero. In una fotografia in bianco e nero che lo ritrae con il Chrysler Building sullo sfondo, il Cucciolo percorre le strade di New York.
1949 | Ducati 60 Poco dopo il successo del Cucciolo, Ducati è fortemente proiettata verso il futuro e inizia a produrre nello stabilimento di Borgo Panigale la sua prima motocicletta completa, la Ducati 60. Una cosiddetta motoleggera, che ha ancora la fisionomia di una bicicletta piuttosto che di una moto, alimentata da un’evoluzione del motore Cucciolo e con un consumo di un litro ogni 100 km. Con un peso di soli 44 kg, la Ducati 60 è facile da guidare e particolarmente confortevole. Ciò la rende interessante anche agli occhi del pubblico femminile, che con essa è in grado di coprire brevi distanze in città o in campagna senza dipendere da altri mezzi di trasporto.
Pubblicità della Ducati 60 (1949).
1956 | 125 Sport Nel 1956 Ducati si specializza definitivamente nel settore più sportivo del motociclismo. La 125 Sport, infatti, non solo possiede la stazza di una vera e propria moto ma anche le prestazioni. Progettata da Fabio Taglioni subito dopo il suo arrivo in Ducati, la 125 Sport presenta soluzioni tecniche già viste sulla Gran Sport Marianna che aveva conquistato numerose vittorie nelle gare di Gran Fondo a metà degli anni ‘50. Una di queste innovazioni è il motore a coppie coniche, soluzione che fa il suo debutto al Motogiro d’Italia. Nella stessa gara, sia la 125 Sport che la 100, ottenuta attraverso una piccola riduzione della cilindrata, ottengono a loro volta grande successo. La 125 Sport è una delle prime moto stradali ad adottare soluzioni tecniche presenti sugli esemplari da corsa. Gli ottimi risultati ottenuti in una gara così popolare, naturalmente, ne decretano il successo anche dal punto di vista commerciale.
Il Miracolo del Motogiro Le gare di Gran Fondo sono molto popolari negli anni ‘50. Quando Ducati partecipa al Motogiro d’Italia con la 125 Sport non risulta tra le favorite, perché la maggior parte delle moto in lizza per la vittoria sono più potenti. Inaspettatamente, però, sia la 100 che la 125 Sport si aggiudicano la corsa per due anni di fila, fino a quando, nel 1957, le gare di Gran Fondo vengono abolite. Nessuno si aspettava di vedere le Ducati trionfare in questo modo e per questo motivo, la 125 Sport guadagna l’appellativo di “Miracolo del Motogiro”. Sul serbatoio del carburante compare infatti la scritta “miracolo” circondata dal motivo di una bandiera a scacchi. Un modo semplice per celebrare una grande impresa.
1956 | Monocilindrico 125 S Il successo ottenuto della Marianna nelle gare di Gran Fondo è tale da convincere Ducati a sviluppare ulteriormente il monocilindrico a coppie coniche da 125 cc per usarlo anche sulle moto di produzione. Questo è il primo motore che Fabio Taglioni progetta per le competizioni e segna l’inizio di una lunga serie di monocilindrici stradali, la cui cilindrata cresce fino a 450 cc verso la metà degli anni ‘70. Le persone che hanno assistito ai successi Ducati durante il Motogiro d’Italia desiderano infatti una moto sportiva con prestazioni simili da poter guidare su strada. Ducati vanta una lunga tradizione nell’adattare alla produzione di serie i motori inizialmente concepiti per le corse e il monocilindrico 125 S è in un certo senso il primo rappresentante di questa filosofia.
1956 | Siluro Una delle moto più sorprendenti tra quelle esposte all’interno del museo è senza dubbio il Siluro ed è piuttosto facile capire perché questa particolarissima Ducati 100 sia stata soprannominata come un missile subacqueo. Realizzato sulla base della Gran Sport Marianna di Fabio Taglioni che vinse il Motogiro d’Italia e altre gare di Gran Fondo negli anni ‘50, il Siluro è equipaggiato con un motore da 98 cc. Sono sufficienti giusto poche modifiche rispetto al progetto originale di Taglioni e, il 30 novembre 1956, il Ducati Siluro è pronto per esprimersi al meglio sull’anello di velocità della pista di Monza. Nelle mani di Santo Ciceri e Mario Carini, il Siluro stabilisce quarantasei record mondiali di velocità. Tra questi resta memorabile la percorrenza di 1000 km in sei ore raggiungendo la velovità massima di 170 km/h. Il Siluro, è così performante da stabilire nuovi record di velocità anche nelle categorie riservate a moto con cilindrata fino a 250 cc.
Design aeronautico Il progetto di questa Ducati è interamente incentrato sulla velocità. Oltre a essere il più leggero possibile, il Siluro è anche frutto di attenti studi aerodinamici, che traggono ispirazione dal mondo dell’aeronautica. La carenatura integrale in alluminio è stata progettata in modo da avere una forma simile alla fusoliera di un aeroplano. Al posto delle viti sono stati utilizzati dei rivetti per evitare che il flusso d’aria attorno alla carrozzeria incontrasse maggiore resistenza.
1957 | 175 T Una delle imprese più significative compiute in sella a una Ducati nel corso del XX secolo è quella che vede protagonisti Leopoldo Tartarini e Giorgio Monetti. Con l’intento di far conoscere il marchio a livello globale e promuovere la 175 T, Tartarini e Monetti partono infatti per un viaggio di 60.000 km, attraversando cinque continenti e facendo tappa in trentasei paesi diversi. In questo modo, Ducati non solo aumenta la sua popolarità in tutto il mondo, ma dimostra anche l’affidabilità del motore monoalbero a camme in testa da 14 CV che equipaggia la 175 T, diretta discendente della Marianna progettata dall’ingegner Taglioni. Entrambi dipendenti Ducati, Tartarini e Monetti partono il 30 settembre 1957 per rientrare poi il 5 settembre 1958. Il viaggio dura un anno e i visitatori del museo possono vedere le riprese video che documentano la loro avventura. È presente inoltre una mappa che indica le tappe fondamentali del viaggio.
1970 | Scrambler 450
Presentato con successo negli Stati Uniti durante il 1962 su richiesta dell’importatore locale, lo Scrambler guadagna popolarità anche in Italia con l’avvento della versione da 450 cc. Un’intera generazione di giovani italiani, nati poco dopo la Seconda Guerra Mondiale, viene influenzata dalle tendenze in voga oltreoceano. È lì, infatti, che è nata gran parte della musica degli anni ‘60 e che lo stile tipico della West Coast ha avuto origine. L’America, la California, il surf, il senso di libertà e la vita all’aria aperta conquistano i ragazzi e le ragazze all’inizio degli anni ‘70. Nato ispirandosi alle Scramble Races, lo Scrambler si distingue anche per le sue colorazioni anticonformiste, almeno per gli standard Ducati dell’epoca, come il giallo e l’arancione della prima serie, o il verde e l’azzurro della seconda serie. Facile da guidare, con un motore versatile e supportato da un’immagine fresca e attraente nei confronti dei giovani italiani, lo Scrambler 450 guadagna un posto importante negli annali Ducati.
1971 | 750 GT
Quello che accade negli anni ‘70 ha un impatto importante sul mondo del motociclismo. Le moto di grossa cilindrata iniziano a raggiungere il mercato europeo con motori dalla cilindrata sempre maggiore per raggiungere grandi prestazioni. Questo trasforma le moto in prodotti sempre più sportivi, in cui le prestazioni recitano un ruolo sempre più importante. La 750 GT, con il suo motore da 748 cc, rappresenta la risposta Ducati a questo fenomeno. Fabio Taglioni progetta infatti un nuovo motore bicilindrico a L a coppie coniche in grado di eccellere sia su strada sia in pista. Nel 1971, la 750 GT entra in produzione dimostrandosi subito all’altezza degli altri modelli presenti sul mercato in termini di prestazioni. Il suo motore stretto e compatto rende la moto più snella rispetto alle concorrenti, ma ciò che caratterizza la 750 GT è l’inconfondibile suono del motore.
Il sound Ducati Una delle caratteristiche distintive di una Ducati è senza dubbio il suono inconfondibile del suo motore, le cui origini risalgono al 1971, con l’avvento del primo motore bicilindrico progettato da Fabio Taglioni per la 750 GT. L’esposizione della 750 GT è enfatizzata da una installazione che riproduce in modo materico l’onda sonora generata dal motore. Essa è caratterizzata da un picco in corrispondenza del massimo regime di rotazione, cui segue la successiva fase di rilascio. A completare l’installazione vi è poi un monitor che riproduce in modo astratto le onde sonore, conferendo un’altra dimensione sensoriale al sound Ducati.
Potente ed elegante, la 750 GT è la prima bicilindrica stradale Ducati. Nel 1973 essa costituisce la base sulla quale Ducati sviluppa una delle moto più belle e apprezzate degli anni ‘70, la 750 SS Desmo, esposta al museo Guggenheim di New York durante la mostra The Art of the Motorcycle.
1978 | Bicilindrico 900
A metà degli anni ‘70 Ducati sviluppa un bicilindrico a L di 900 cc in sostituzione del precedente motore a coppie coniche da 750 cc. La cilindrata viene portata esattamente a 864 cc ed è previsto anche il sistema desmodromico della distribuzione. Nel 1975 questo nuovo motore, facilmente riconoscibile per la forma squadrata dei carter, fa il suo debutto sulla 900 SS e su altri modelli in produzione fino al 1984. Nel 1973, il motore a carter quadri viene utilizzato su un prototipo della 900 SS durante le 24 ore del Montjuïc. Vincendo quella che era considerata una delle classiche gare di durata dell’epoca, Ducati dà una chiara dimostrazione delle doti di potenza e affidabilità del suo nuovo motore.
1979 | Pantah
Poco prima della fine degli anni ‘70, Ducati mette in produzione uno dei suoi modelli di maggior successo, la Pantah 500. Taglioni si rende conto che è giunto il momento di unire le prestazioni del motore bicilindrico all’agilità del telaio a traliccio di nuova concezione. Insieme a Gianluigi Mengoli, Taglioni fa compiere un nuovo step evolutivo al bicilindrico a L, implementando un sistema desmodromico a 2 valvole comandato mediante cinghie dentate in gomma, al posto delle coppie coniche. Il nuovo telaio a traliccio, con il motore saldamente fissato ad esso, rende la moto più agile e maneggevole.
Nel 1979 la rivista italiana Motociclismo elegge la Pantah come la migliore sportiva di 500 cc della sua epoca. Ed è proprio a partire da questo modello che in Ducati nasce una nuova generazione di moto sportive. Per Ducati, infatti, la Pantah 500 segna sia la fine della gestione statale sia l’inizio di una nuova era. In pratica, vengono a crearsi i presupposti ideali affinché l’azienda si trasformi in uno dei marchi più famosi al mondo. Gli elementi necessari ci sono tutti. Il design, le performance, lo stile iconico, il sound inconfondibile, il caratteristico layout del telaio e la generosa erogazione del motore: tutto ciò è ormai racchiuso nel cuore di ogni Ducati.
1979 | Telaio a traliccio Uno dei capisaldi nella storia dell’evoluzione tecnica Ducati è costituito dal telaio a traliccio, introdotto per la prima volta nel 1979 sulla Pantah 500. Realizzato con tubi d’acciaio, questo telaio ha il vantaggio di risultare leggero e al tempo stesso rigido in modo da garantire una grande precisione nella guida, rendendo la moto agile e maneggevole. Tutto ciò permette di ottenere un perfetto mix tra prestazioni e guidabilità, che abilita Ducati a costruire moto estremamente divertenti da guidare. Da quel momento il telaio a traliccio diventa uno degli elementi chiave nella produzione Ducati. All’interno del museo il traliccio è rappresentato come una costellazione che metaforicamente illumina il cammino intrapreso da Ducati.
1985 | 750 F1
A metà degli anni ‘80 la fabbrica di Borgo Panigale attraversa una fase di ulteriore sviluppo grazie alla nuova proprietà dell’azienda. Con l’intento di rinnovare lo spirito competitivo del marchio nasce la 750 F1. La prima moto di questa nuova era viene creata facendo leva sulle prestazioni. La 750 F1 rappresenta a pieno titolo l’antesignana dei futuri modelli supersportivi. Essa adotta lo stesso telaio utilizzato in quel momento sulle TT1 e TT2 da competizione, che le conferisce grande compattezza, leggerezza e agilità. Il risultato è una moto essenziale oltre che straordinariamente divertente da guidare. Con la sua bellissima livrea tricolore, la 750 F1 è anche simbolo dell’eccellenza motoristica italiana e rappresenta l’ultima Ducati progettata dall’ingegner Fabio Taglioni, a più di trent’anni di distanza dal suo ingresso nella fabbrica di Borgo Panigale. Dopo aver completato il progetto, infatti, Taglioni si ritira, lasciando un patrimonio fatto di modelli che, proprio come la 750 F1, tracciano un segno indelebile nella storia della produzione Ducati.
1986 | Paso
Dopo aver affermato la sua forte identità italiana con la 750 F1, Ducati è pronta a scrivere un altro capitolo fondamentale della sua storia. Nel 1986 Massimo Tamburini progetta la sua prima moto per Ducati, la Paso 750, che rappresenta una svolta epocale sotto molti punti di vista. Questa è una delle prime moto stradali ad adottare la carenatura integrale ed è anche il modello che associa definitivamente il rosso al colore ufficiale del marchio Ducati. Nato a Rimini, Tamburini dedica la sua vita al design motociclistico spinto da una passione che coltiva fin da giovane. Ben presto la Paso diventa un simbolo del design motociclistico degli anni ‘80 e decreta l’ingresso del marchio Ducati nell’ambito del design industriale. Le sue linee fluide vengono ulteriormente evidenziate dalla colorazione rossa, che rende il suo stile ancora più esclusivo e affascinante. Il nome Paso è un omaggio a Renzo Pasolini, pilota di grande talento anch’egli nato a Rimini.
Il Rosso Ducati Uno dei simboli del cambiamento epocale che Ducati attraversa negli anni ‘80 non è costituito da una moto, da un progettista o da un motore. È semplicemente un colore: il Rosso. La Paso 750, infatti, è stata progettata pensando anche a questo, con la carenatura integrale, il cupolino e persino la sella che danno risalto all’impatto del colore rosso. Il rosso significa passione e questo colore è associato all’energia e all’impegno che Ducati dedica al mondo delle corse e all’ottenimento di prestazioni sempre più elevate. Questo colore diventa uno dei tratti distintivi delle moto costruite a Borgo Panigale, delineando lo scenario sul quale Ducati costruisce il proprio futuro.
1988 | 851 Tricolore
Se il Desmoquattro rappresenta una pietra miliare nella storia dello sviluppo dei motori Ducati, la 851 è la sua incarnazione. Costruita per conquistare il mondo delle corse, la 851 Tricolore sfoggia con orgoglio i colori della bandiera italiana e costituisce la prima rappresentante di una nuova generazione di moto stradali ad alte prestazioni prodotte negli anni ‘90. Nel 1986, su progetto di Gianluigi Mengoli e Massimo Bordi, viene allestito il primo prototipo di un bicilindrico da 748 cc dotato di iniezione elettronica. Due anni più tardi la cilindrata sale fino a 851 cc, aprendo un nuovo capitolo nella storia delle supersportive Ducati. Il disegno tecnico che accompagna la moto esposta nel museo rappresenta la sezione verticale della testa del motore Desmoquattro, dove si distinguono chiaramente le 4 valvole, il sistema desmodromico e i due alberi a camme. Fin dalla prima uscita in pista il nuovo motore a 4 valvole mette in evidenza l’indole racing della 851. Nonostante si tratti di un modello prodotto in serie, infatti, sono numerosi i dettagli concepiti per l’uso in pista; ne è un esempio il sistema di sgancio rapido del serbatoio che consente un rapido accesso alle parti meccaniche sottostanti durante le soste ai box.
1988 | Desmoquattro 851
Alla fine degli anni ‘80 Ducati fa un enorme passo avanti dal punto di vista tecnico grazie alla progettazione di un motore che ha lasciato il segno su due decenni di storia motociclistica. Il Desmoquattro 851, costruito nel 1988 per la moto che porta il suo stesso nome, è infatti il primo bicilindrico desmodromico a quattro tempi con raffreddamento a liquido, 4 valvole per cilindro e iniezione elettronica. L’851 è probabilmente una delle unità propulsive più significative tra quelle sviluppate da Ducati negli ultimi trent’anni. Tecnologicamente in anticipo sui tempi, questo motore vanta un livello tecnico tale che, per quindici anni, viene costantemente aggiornato risultando sempre oltremodo competitivo rispetto agli avversari. L’851 e i suoi derivati vincono infatti numerose gare nel Campionato del Mondo Superbike, per un totale di undici titoli costruttori.
1990 | Cagiva Elefant Fino a questo momento Ducati ha avuto successo grazie ai suoi modelli stradali, alle sue moto da competizione e allo Scrambler. A cavallo tra gli anni ‘80 e ‘90 con l’Elefant prende forma una nuova avventura nel fuoristrada. Edi Orioli vince infatti la Parigi-Dakar nel 1990 bissando il successo nel 1994, sempre in sella alla Elefant motorizzata Ducati. Una moto che si dimostra estremamente performante anche in competizioni simili, come l’Atlas Rally in Marocco o il Rally dei Faraoni in Egitto. L’Elefant viene assemblata nel reparto Corse presso lo stabilimento di Borgo Panigale e presenta una serie di caratteristiche peculiari per meglio adattarsi alle condizioni estreme dei raid africani. Il motore di 904 cc eroga 85 CV e consente alla moto di raggiungere velocità fino a 200 km/h anche lungo le piste del deserto che caratterizzano i rally più impegnativi. Il bicilindrico a L viene equipaggiato con pistoni costruiti appositamente, dotato di una frizione rinforzata e allestito con una serie di particolari in magnesio che riducono il peso e migliorano la resistenza. Tutto è studiato in funzione delle esigenze del pilota, come il road-book posizionato davanti al manubrio, protetto da uno schermo di plexiglas trasparente.
1992 | 900 Superlight
Mentre la 851 raccoglie successi sia in pista sia fuori, Ducati si dedica anche a un’altra tipologia di moto che risulta particolarmente apprezzata dai Ducatisti di tutto il mondo: la 900 Superlight, che rappresenta un’edizione limitata della 900 SS. Con la sua configurazione monoposto, la 900 Superlight è un altro esempio di come Ducati sia in grado di anticipare i tempi nel campo della ricerca e sviluppo, soprattutto per quanto riguarda la riduzione del peso. Costruire moto il più possibile leggere è da sempre una priorità: la leggerezza, infatti, garantisce una migliore maneggevolezza e maggiori prestazioni, oltre a garantire sicurezza e divertimento nella guida. Quando nel 1992 la 900 Superlight compare per la prima volta sul mercato, presenta numerosi componenti sviluppati per ridurre il peso complessivo della moto. La ricerca della leggerezza, che trent’anni dopo ritornerà con la 1199 Superleggera, è ottenuta grazie ad una selezione dei migliori materiali: i parafanghi in fibra di carbonio, il codone monoposto in fibra di vetro, l’asta di reazione del freno posteriore in fibra di carbonio e i cerchi scomponibili in alluminio e magnesio. Particolari che all’epoca vengono utilizzati sui modelli da competizione.
1993 | Monster
Presentato il 2 ottobre del 1992 alla fiera internazionale di Colonia, il Monster è il modello più longevo prodotto dalla casa di Borgo Panigale. Equipaggiato con un telaio a traliccio strettamente derivato dalla 851 e con un motore ricco di coppia da 904 cc perfetto per l’uso stradale, il Monster 900 rivoluziona il concetto di naked definendo una nuova categoria di moto, le naked sportive. Nei primi bozzetti la moto è senza carenatura e gli elementi essenziali vengono definiti attorno al telaio a traliccio: il serbatoio del carburante a schiena di bisonte che ha fatto storia e il grande faro anteriore che domina la vista frontale. Minimalista e iconico, il Monster viene subito apprezzato dal pubblico per le grandi opportunità di personalizzazione che lo rendono unico dando vita a una nuova community Ducati, quella dei Monsteristi. Una schiera di appassionati che con uno specifico linguaggio esprime la propria personalità e dimostra la propria appartenenza a questo nuovo gruppo di Ducatisti. La nuvola di parole nelle diverse lingue che fa da sfondo al Monster all’interno del museo vuole infatti rappresentare i valori fondamentali di ciò che è diventato un fenomeno globale. Il Monster è il modello più personalizzato tra le moto costruite a Borgo Panigale e ha ispirato un pubblico vastissimo. Uno dei suoi elementi più iconici, il serbatoio del carburante, è disponibile in una miriade di colori diversi. Cento serbatoi in miniatura in dieci diversi colori sono fissati alla parete dietro la moto e rappresentano il simbolo dei molti modi in cui il Monster può essere personalizzato.
Il serbatoio a sgancio rapido La prima caratteristica che distingue chiaramente il Monster, quando si osserva la moto, è probabilmente la generosa dimensione del serbatoio del carburante, che si estende tra il pilota e il manubrio. Uno sguardo più attento rivela inoltre un altro dettaglio che dimostra la creatività che contraddistingue il design del Monster. Per accedere alla batteria, ai fusibili, al filtro dell’aria e ad altri componenti, è necessario sollevare il grande serbatoio del carburante. Per farlo, non occorrono né viti né attrezzi. Sulla parte anteriore del serbatoio, infatti, basta sganciare quello che è a tutti gli effetti l’attacco di uno scarpone da sci che lo rende pratico e leggero.
1994 | 916
Nel 1994, l’evoluzione del DNA Ducati raggiunge il definitivo consolidamento. Massimo Tamburini progetta il suo capolavoro, la 916, che nel 2014 viene descritto dalla rivista Motorcycle News come “la moto più bella degli ultimi 50 anni”. Essa rappresenta l’essenza stessa del DNA Ducati: per la prima volta i concetti di Style, Sophystication e Performance sono perfettamente fusi in un’unica iconica moto. La 916 ha tutto ciò che è possibile ritrovare su ogni Ducati progettata e costruita a partire dalla metà degli anni ‘90. Come un’autentica opera d’arte, la 916 è equilibrata, elegante e razionale, senza alcuna concessione al superfluo, oltre a risultare incredibilmente emozionante ed efficace nella guida. In aggiunta al suo design inconfondibile, presenta anche caratteristiche tecniche innovative che le fanno vincere il premio di “Moto dell’Anno” su quasi tutte le riviste specializzate dell’epoca. La 916 rappresenta senza dubbio un modello di grande successo. Con essa Tamburini va a cercare la perfezione fino all’ultimo dettaglio disegnando persino la testa di alcune viti. Nulla doveva essere lasciato al caso. La 916 è senza dubbio un vero e proprio capolavoro di design, ma è anche la perfetta sintesi dei tre valori che ancora oggi contraddistinguono la marca. Ed è proprio questo che vuole sottolineare l’installazione dedicata, che richiamando la doppia elica del DNA, diventa rappresentazione fisica di Style, Sophistication e Performance, tratti genetici delle moto Ducati.
Guidando sotto la pioggia Considerato da molti come una sorta di scultore che modella le proprie moto fino a raggiungere la perfezione, Tamburini disegna la 916 seguendo esattamente la stessa filosofia. Ogni volta che il prototipo si evolve, invece di testarlo in galleria del vento, Tamburini prende la moto e percorre le strade tra San Marino e Rimini durante le giornate di pioggia. In questo modo, infatti, può osservare le tracce lasciate dalle gocce d’acqua lungo le sovrastrutture, valutando il comportamento aerodinamico di ciascun elemento e ottenendo le informazioni necessarie per ottimizzarne il design. Ed è così che, passo dopo passo, il capolavoro prende forma.
2006 | Desmosedici RR L’idea principale alla base della Desmosedici RR è quella di portare su strada la replica di una vera moto da Gran Premio. Concettualmente derivata dalla GP06 da competizione, la Desmosedici RR rappresenta la prima MotoGP replica mai realizzata al mondo. Tutto, dal design al layout, dalle dimensioni ai materiali utilizzati, trae ispirazione dalla moto da competizione. Le prestazioni raggiungono livelli estremi grazie anche a freni, pneumatici e sospensioni anch’essi derivati dall’esperienza in MotoGP e il motore da 989 cc rappresenta la versione omologata per l’uso stradale del quattro cilindri Desmo a V di 90° con 16 valvole che equipaggia la Desmosedici in pista. Tra il 2006 e il 2007, la Desmosedici RR viene prodotta in serie limitata ed esclusiva in soli 1500 esemplari e diventa subito un oggetto da collezione. Quando viene messa in commercio, infatti, la risposta da parte del pubblico è talmente rapida che tutti gli esemplari previsti vengono venduti in poco tempo.
Rivestimenti in ceramica Ogni singolo elemento della Desmosedici RR trae ispirazione dalla moto che gareggiava su circuiti di tutto il mondo nel 2006, per questo motivo Ducati ha cercato di replicare gli stessi standard utilizzati sulla moto da Gran Premio. L’uscita dei tubi di scarico provenienti dalla bancata superiore del motore, ad esempio, è dotata di una protezione in carboceramica che scongiura eventuali danni al codone dovuti alle alte temperature. Sono presenti dunque soluzioni e materiali sofisticati, in grado di resistere a condizioni di utilizzo estreme e che offrono un alto livello di sicurezza sia in pista che fuori. La Desmosedici RR beneficia della stessa cura e impostazione tecnica di una vera moto da competizione, conferendole un posto speciale nella storia della produzione Ducati.
2007 | 1098 Quando Ducati progetta la 1098, l’obiettivo principale è quello di creare il perfetto connubio tra performance e tradizione utilizzando le tecnologie implementate nelle Ducati da gara. Con il suo inconfondibile stile Ducati, la 1098 è una supersportiva dalle forme attraenti, pronta a dare il meglio di sé sia su strada che in pista. Nella sua livrea rossa, la 1098 è caratterizzata da alcuni elementi distintivi come il codone proiettato verso l’alto, il frontale compatto, il doppio silenziatore di scarico posizionato sotto la sella e il forcellone monobraccio, tipici del design delle moto sportive create a partire dalla 916. Tutto è inoltre ridotto all’essenziale per contenere il peso e aumentare le prestazioni ai massimi livelli.
2010 | Multistrada 1200
Nel 2012 Ducati introduce uno dei suoi modelli di maggior successo degli ultimi tempi, la Multistrada 1200. Fortemente evoluta rispetto alla sua prima versione lanciata nel 2003, la Multistrada 1200 porta il segmento delle Dual Sport a un livello completamente nuovo, garantendo nuovo significato al concetto di moto versatile. Basata sul motore derivato dalla 1098, la Multistrada 1200 è provvista di tutto il corredo tecnologico e prestazionale sviluppato nelle competizioni. È infatti considerata la moto più potente della categoria Dual Sport perché in grado di erogare 150 CV. Il suo design e i suoi volumi, rivoluzionari rispetto alle superbike Ducati prodotte fino a quel momento, nascono ispirandosi al concetto di SUV del mondo automobilistico in voga a partire dagli anni 2000. Pur appartenendo a un segmento totalmente nuovo per l’azienda, la Multistrada 1200 possiede tutti gli elementi del DNA Ducati: Style, Sophistication e Performance.
Grazie alla nuova tecnologia dei Riding Mode, la Multistrada 1200 può essere considerata come quattro moto in una, progettata per rispondere a molteplici utilizzi. Premendo un solo pulsante l’elettronica avanzata consente al pilota di selezionare una serie di parametri specifici che adattano questa moto a quattro diverse situazioni: dal viaggio touring, alle strade sterrate, dalla guida sportiva, fino a quella in città. Qualsiasi siano le condizioni stradali, la Multistrada 1200 garantisce il massimo piacere di guida, regolando le sospensioni e modificando i controlli elettronici e le prestazioni del motore in base alle esigenze del pilota. Inoltre, per ogni modalità di guida è prevista anche una serie di accessori speciali. Le emozioni si moltiplicano. Comfort e sicurezza sono garantiti in ogni momento. Oltre alla diversa erogazione della potenza, la gestione elettronica di ciascun riding mode regola il controllo della trazione, il controllo dell’impennata e le impostazioni dell’ABS.
L’installazione all’interno del museo rappresenta la mappa di Bologna su cui sono indicati i diversi percorsi stradali adatti alla sperimentazione dei quattro Riding Mode di questa moto.
Il Riding Mode Urban rende la Multistrada 1200 perfetta per l’utilizzo urbano, mentre la modalità Sport imposta le sospensioni e la potenza del motore in modo da garantire le emozioni che è lecito aspettarsi da una Ducati. La modalità Touring consente di percorrere chilometri alla ricerca di nuove mete da raggiungere, mentre una vasta gamma di accessori è disponibile per rendere la permanenza in sella sempre più piacevole. E quando è il momento di abbandonare il nastro d’asfalto e imboccare una strada bianca, il Riding Mode Enduro consente di affrontare le sconnessioni del terreno garantendo il massimo divertimento.
2013 | 1199 Superleggera
Nel 2013 Ducati crea un nuovo punto di riferimento nel mondo del motociclismo con la 1199 Superleggera. Sviluppata a partire dalla 1199 Panigale, la 1199 Superleggera nasce con l’obiettivo di ridurre il peso il più possibile, portando le prestazioni a un livello mai raggiunto prima. Della 1199 Superleggera vengono costruiti solo 500 esemplari in serie numerata e il successo, sia dal punto di vista tecnico sia commerciale, è immediato: il motore è ancora più performante di quello della 1199, la potenza massima supera i 200 CV, mentre il peso a secco è di soli 155 kg. Le prestazioni della 1199 Superleggera risultano superiori a qualsiasi supersportiva costruita fino a quel momento. Con essa, Ducati raggiunge nuovi livelli di raffinatezza tecnica, dando vita a una moto unica per la sua unicità e per le emozioni che è in grado di suscitare durante la guida.
2014 | Ducati Testrastretta 1200 DVT
Quanto detto per la Multistrada 1200 in termini di massima versatilità vale anche per il Ducati Testastretta 1200 DVT, un motore altamente sofisticato che dimostra ancora una volta come la parola “compromesso” non faccia parte del vocabolario Ducati. E a testimonianza della sua versatilità questo motore rivoluzionario fa il suo debutto sulla Multistrada 1200, migliorandone ulteriormente le capacità di adattamento alle diverse condizioni di utilizzo. L’esclusivo sistema desmodromico a fasatura variabile modifica istantaneamente l’erogazione del motore privilegiando, in base alle necessità, la potenza, la reattività o semplicemente la fluidità e la facilità di guida. Il processo è continuo e dinamico, così appena cambiano le condizioni di guida, il motore si adatta immediatamente. Un dispositivo di alta precisione rileva il regime di rotazione e modifica l’incrocio delle valvole, ottimizzando così le prestazioni. Quando il motore funziona agli alti regimi, l’erogazione della potenza è simile a quella di una supersportiva, mentre ai regimi più bassi garantisce maggiore fluidità in modo da rendere la guida più confortevole.
2015 | Scrambler Icon In produzione tra il 1962 e il 1975, il Ducati Scrambler riemerge nel 2015 come modello che identifica un vero e proprio brand. Quando lo Scrambler viene presentato al World Ducati Week del 2014 è come se Ducati non avesse mai smesso di produrlo. Protagonista di una sorta di viaggio nel tempo, lo Scrambler mantiene il suo concetto originale, ma con tecnologie e caratteristiche tecniche attuali. Progettato con cura per evocare le stesse sensazioni del modello che ha conquistato intere generazioni durante gli anni ‘60 e ‘70, lo Scrambler presenta molti dettagli che ricordano la storia di questo modello, come per esempio la scritta sul tappo del serbatoio “Born in 1962”. Basta girare la chiave d’accensione e avviare il motore per farsi coinvolgere dallo spirito Scrambler. Costruito non solo in funzione del look, ma anche per enfatizzare il divertimento di guida, lo Scrambler possiede un’identità forte che mescola e tiene in equilibrio passato e presente. Un modello che, grazie alla sua facilità di guida e le sue molteplici personalizzazioni, è da sempre icona di un lifestyle spensierato. Lo Scrambler è più di una semplice moto. È un marchio con una forte identità che dà vita a un universo di gioia, divertimento e libertà. Il primo ad essere presentato è lo Scrambler Icon, che con il suo design iconico e la sua facilità di guida conquista subito una nuova generazione di appassionati dallo spirito libero.
La forte personalità del Ducati Scrambler porta il nuovo marchio a espandere velocemente i propri confini al di là delle moto, degli accessori e dell’abbigliamento. L’energia e la creatività che caratterizzano l’universo Scrambler, favorendo la libertà di espressione e la condivisione di emozioni positive, sono rappresentate dalla Land of Joy. La Land of Joy è dove lo Scrambler ha origine e raffigura il desiderio di esplorare nuove frontiere, inventare il proprio stile e divertirsi. Sono queste, infatti, le sensazioni che si provano stando in sella allo Scrambler. La Land of Joy è dove ci si sente orgogliosi e liberi di lasciare una traccia. È il luogo in cui la moto assume la stessa personalità di chi la guida, e non viceversa. Ed è entrando nella Land of Joy che è possibile personalizzare lo Scrambler in base al proprio modo di essere, senza limiti di creatività e fantasia.
2017 | Desmosedici Stradale Frutto dell’esperienza che Ducati ha maturato nel Campionato del Mondo MotoGP, il motore Desmosedici Stradale garantisce le stesse emozioni che ci si aspetta di provare in sella a una vera moto da pista. È infatti costruito per equipaggiare i modelli supersportivi al top della gamma Ducati e per assicurare un’esperienza di guida adrenalinica. Estremamente compatto e leggero, questo V4 eroga oltre 214 CV e garantisce una coppia elevata fin dai bassi regimi, offrendo al tempo stesso un arco di utilizzo molto ampio. Le prestazioni di questo motore sono dovute anche al sistema desmodromico della distribuzione che permette il raggiungimento del regime massimo di rotazione di 14.500 giri/min. Il layout a V di 90° consente compattezza ed una perfetta integrazione all’interno del veicolo.
STORIA DEL RACING
1949 | Cucciolo Racing
Quando Ducati fa il suo ingresso nel settore delle competizioni, è proprio grazie al Cucciolo che ottiene le prime vittorie. Le corse dedicate ai micromotori sono molto popolari negli anni ‘40 e questi motori vengono installati su alcune motoleggere modificandole per aumentare la loro potenza. La prima vittoria Ducati è ad opera di Mario Recchia, che si aggiudica il Gran Premio di Viareggio del 15 febbraio 1947. Successivamente nel 1950 Ugo Tamarozzi e Glauco Zitelli conquistano sul circuito di Monza diversi record mondiali di velocità nella classe 50 cc.
1956 | Gran Sport 125 Marianna
Franco Farnè sulla Marianna 125, Motogiro d’Italia. (Foto di Walter Breveglieri, 1956).
La Gran Sport Marianna è la prima moto progetta da Fabio Taglioni poco dopo il suo ingresso in Ducati. La moto viene costruita per competere nelle gare di Gran Fondo, simili alle corse automobilistiche come la Mille Miglia.
La Gran Sport Marianna domina anche un’altra famosa gara di Gran Fondo, la Milano-Taranto che por ta i partecipanti a sfidarsi percorrendo la penisola italiana da nord a sud.
È proprio nel 1955 che la Gran Sport Marianna, prima moto da corsa Ducati, si aggiudica il Motogiro d’Italia, competizione famosa a livello nazionale. Nel 1956 Maoggi e Gandossi si aggiudicano due vittorie assolute rispettivamente nella categoria 125 cc e nella categoria 100 cc.
La sella lunga è concepita per permettere al pilota di adottare una posizione di guida diversa a seconda della situazione di guida. Che si tratti di un rettilineo o di una salita, il pilota può modificare la sua posizione per raggiungere la massima performance di guida.
I doppi cavi per le riparazioni d’emergenza In questo tipo di competizioni gioca un ruolo fondamentale l’abilità del pilota nel riparare la propria moto quando se ne presenta la necessità. Per questo motivo la Marianna è equipaggiata con due cavi per il freno e due cavi per la frizione. In caso di eventuale rottura il pilota si ferma sul ciglio della strada per rimuovere il cavo rotto e collegare il nuovo, dovendo fissare il nuovo cavo in una sola estremità. Questo comporta un apprezzabile risparmio di tempo. Una piccola cassetta degli attrezzi consente a chi sta in sella di gestire piccole riparazioni ed evitare così inutili ritardi durante la gara.
1958 | 175 F3
Nel 1957 Ducati introduce quella che può essere considerata l’antesignana delle moderne superbike. È infatti questo l’anno in cui la 175 F3, derivata dal modello di produzione Sport 175, vince la sua prima gara a Monza nel Gran Premio delle Nazioni. Con il supporto del meccanico Francesco Villa, in forze al reparto Corse di Ducati, la 175 F3 ripete il successo sul circuito di Monza nel 1959 e nel 1960 aggiudicandosi il Gran Premio della classe 175.
L’antenato del GPS Costruita per competere nelle corse su strada, la 175 F3 non solo deve andare più forte possibile, ma ha anche il compito di facilitare la guida del pilota. Questo è il motivo per cui nella parte superiore del serbatoio del carburante sono visibili quattro piccoli ganci necessari a fissare la cartina stradale. Un innovativo sistema che permette al pilota di orientarsi durante le lunghe tappe del Motogiro d’Italia o della Milano-Taranto. Questa soluzione risulta quindi essere un primordiale sistema di navigazione che facilita il pilota nel percorso di gara.
1959 | 125 GP Desmo
Progettata da Fabio Taglioni, la 125 GP Desmo è la prima Ducati dotata di distribuzione desmodromica e anche la prima moto da corsa prodotta dall’azienda bolognese ad essere provvista di carenatura. Fa il suo debutto nel 1956 e nello stesso anno Gianni Degli Antoni la porta alla vittoria nel Gran Premio di Svezia a Hedemora. Negli anni seguenti Ducati va vicina alla conquista del titolo mondiale con tre vittorie all’attivo, conquistate da Alberto Gandossi in Belgio e Svezia, e da Bruno Spaggiari in Italia. Nel 1959 un giovane Mike Hailwood domina il GP dell’Ulster e conclude il Campionato del Mondo 125 al terzo posto.
Vittoria di Bruno Spaggiari, Gran Premio delle Nazioni di Monza (1958). A destra Mike Hailwood vittorioso sulla Ducati 250 Desmo (1960).
1960 | 250 GP Desmo
Nel 1960 Ducati continua a schierare le proprie moto nelle competizioni nazionali e internazionali, ma non più con un team ufficiale. Il bicilindrico Desmo da 250 cc rappresenta un’altra delle creazioni di Fabio Taglioni e viene realizzato appositamente per Mike Hailwood, con sella e sospensioni personalizzate. La vittoria in diverse gare del campionato britannico vale a Hailwood il soprannome di “Mike the Bike” che si dimostra essere uno dei piloti più talentuosi al mondo, con una carriera che si estende per due decenni sia nei campionati moto che auto. Ognuna delle 250 GP Desmo che Hailwood porta in gara ha il serbatoio del carburante realizzato a mano, in modo da accogliere perfettamente le ginocchia del pilota e migliorarne l’aerodinamica.
Il Cavallino Rampante Nonostante venga immediatamente associato al simbolo della Ferrari, il Cavallino Rampante ha una lunga storia che coinvolge anche Ducati. Emblema di Francesco Baracca, pilota di aerei da combattimento durante la Prima Guerra Mondiale, viene utilizzato anche dal Direttore Tecnico Ducati Fabio Taglioni che di Baracca era concittadino. Entrambi sono infatti nati a Lugo, località situata a meno di un’ora di macchina da Bologna. Baracca dipinge il Cavallino Rampante sulla fusoliera del suo aereo da combattimento e Taglioni lo fa riprodurre sulla 250 GP Desmo, dopo averlo utilizzato anche sulla 125 GP Desmo.
1971 | 500 GP Bicilindrica
Dopo un decennio durante il quale l’impegno agonistico è portato avanti da squadre private, nel 1971 Ducati rientra nel Mondiale classe 500 cc in forma ufficiale con la 500 GP Bicilindrica. Con l’obiettivo di competere con le migliori moto della scena internazionale, Ducati sviluppa la sua prima bicilindrica da corsa, caratterizzata da un motore a coppie coniche con configurazione a L di 90° e cilindrata di 500 cc. Portata in gara da Phil Read nel Campionato del Mondo classe 500 cc, questa moto rappresenta la base sulla quale viene sviluppata la prima Ducati bicilindrica stradale: la 750 GT.
1972 | 750 Imola Desmo
Serbatoio in plexi La moto che per mano di Paul Smart ha trionfato alla 200 Miglia di Imola davanti a 75.000 spettatori è stata anche la prima Ducati a impiegare una striscia verticale non verniciata sul serbatoio in vetroresina grazie alla quale era possibile controllare il livello del carburante anche dall’esterno. Tuttavia, la vera ragione di questa scelta tecnica era la necessità di rendere la moto il più possibile leggera, eliminando quindi ogni accessorio superfluo. Non c’era quindi spazio per un indicatore del livello di carburante o una semplice spia della riserva e la striscia trasparente era la soluzione perfetta per monitorare il livello di carburante.
Uno dei successi agonistici più importanti per Ducati è probabilmente anche uno dei meno attesi. Nel 1972 Fabio Taglioni progetta la 750 Imola Desmo, che deriva dalla 750 GT ma è spinta da un motore bicilindrico a L con distribuzione desmodromica. Oltre alla sua colorazione metallizzata tanto in voga negli anni ’70, la 750 Imola Desmo viene allestita appositamente per partecipare alla 200 Miglia di Imola, il cui circuito è noto per la sua particolare percorrenza in senso antiorario. Proprio per questa caratteristica, Ducati decide di montare gli scarichi in modo asimmetrico, in modo da evitare il tocco con l’asfalto nelle numerose curve a sinistra. Questa decisione si rivela vincente e, contro i migliori piloti dell’epoca tra cui Giacomo Agostini, il 23 aprile 1971 Ducati schiera il britannico Paul Smart e l’italiano Bruno Spaggiari grazie ai quali la casa di Borgo Panigale batte la concorrenza. Paul Smart porta la 750 Imola Desmo alla vittoria mentre Bruno Spaggiari termina sul secondo gradino del podio, completando il trionfo Ducati.
1975 | 750 SS Desmo
Franco Uncini in sella alla Ducati 750 SS Desmo (1975).
Sull’onda del successo ottenuto nella 200 Miglia di Imola, Ducati prosegue lo sviluppo del sistema desmodromico sia per le moto da strada che per quelle da corsa. Così, nel 1974 la 750 SS Desmo fa il suo debutto nelle competizioni di campionato italiano per moto derivate dalla produzione di serie, dando vita ad una categoria che in un certo senso rappresenta la progenitrice dell’odierna superbike. Entrambi gli scarichi della 750 SS Desmo risultano appositamente rialzati per assicurare sufficiente luce a terra nelle pieghe al limite e con essa Franco Uncini si aggiudica il titolo di campione italiano della classe 750 cc nel 1975. Due anni dopo, sempre in sella a una 750 SS, Cook Neilson trionfa nella leggendaria 200 Miglia di Daytona.
1978 | 900 SS IOM TT
Il 1978 rappresenta un altro anno eccezionale nella storia agonistica Ducati. Quattro anni dopo aver abbandonato le competizioni motoristiche a causa di un incidente avvenuto in Formula 1 durante il Gran Premio di Germania del 1974, Mike Hailwood, che con Ducati ha corso e vinto molto nei primi anni della sua carriera, fa il suo ritorno al Tourist Trophy dell’Isola di Man. Lo Snaefell Mountain Course rappresenta uno dei circuiti stradali più impegnativi al mondo, un concentrato di pura adrenalina. A bordo della sua 900 SS, Mike Hailwood battaglia contro un altro grande pilota della fine degli anni ‘70, Phil Read su Honda, e alla fine riesce a batterlo contro ogni previsione. Una vittoria spettacolare ottenuta all’età di trentotto anni, esattamente venti anni dopo il suo debutto nelle competizioni motociclistiche.
Mike Hailwood, Tourist Trophy (1978).
La pallina da tennis Nel 1978 le visiere a strappo non sono ancora state inventate, ma Mike Hailwood ha il suo personale stratagemma per mantenere una buona visibilità durante una gara così dura e impegnativa come il Tourist Trophy. Dietro al cupolino della sua Ducati 900 SS, in modo che risulti sempre a portata di mano, Mike fa installare una pallina da tennis tagliata a metà in modo da ospitare una spugna imbevuta d’acqua che al bisogno utilizza per pulire la visiera del casco.
1981 | 600 TT2
Il 1980 segna l’inizio di una nuova era per le moto da corsa Ducati. La 600 TT2 è infatti basata sul motore Pantah da 597 cc con distribuzione comandata tramite cinghie dentate e costituisce anche la prima Ducati da competizione a impiegare il telaio a traliccio. Il design che la caratterizza è razionale ed essenziale: ciò contribuisce a ridurre il peso e le dimensioni complessive della moto, rendendola più agile e più competitiva. Tra il 1981 e il 1984 la 600 TT2 vince quattro titoli mondiali consecutivi con il britannico Tony Rutter, mentre nel 1981 e 1982 si aggiudica il Campionato Italiano prima con Massimo Broccoli e poi con Walter Cussigh.
1986 | 750 F1
Nata come evoluzione della 600 TT2, la 750 F1 prende il nome dalla categoria in cui gareggia ed è la moto con cui Ducati rafforza ulteriormente il suo impegno nel mondo delle competizioni. Essa rappresenta inoltre l’ultima moto da corsa progettata da Fabio Taglioni ed è caratterizzata da un nuovo motore bicilindrico con cilindrata maggiore rispetto ai modelli precedenti. Tra il 1985 e il 1986 la 750 F1 vince numerose competizioni nazionali e internazionali. Con essa Juan Garriga domina la 24 Ore del Montjuïc, una gara di endurance spagnola, Virginio Ferrari vince il Campionato Italiano F1 nel 1985 e Marco Lucchinelli si aggiudica la Battle of the Twins sul famoso circuito di Daytona.
Il doppio tappo di rifornimento Sulla 750 F1 tutto è progettato per massimizzare la velocità, sia su strada sia su pista. La batteria, ad esempio, è inserita nel codone, facilmente raggiungibile dall’esterno, e non è più fissata con delle viti, ma con un sistema di sgancio rapido realizzato utilizzando dei connettori per chitarra elettrica. Inoltre, il serbatoio del carburante nella versione da gara è dotato di due tappi per il rifornimento, dimezzando quindi i tempi necessari per riempirlo durante le soste ai box.
Marco Lucchinelli in sella alla Ducati 750 F1, circuito di Daytona (1986).
1990 | 851 F90 Il 3 aprile 1988, in occasione della prima gara del Campionato del Mondo Superbike sul circuito di Donington, fa il suo debutto la 851 con motore bicilindrico a 4 valvole raffreddato ad acqua. Progettata da Gianluigi Mengoli e Massimo Bordi, la 851 ottiene subito il primo posto grazie a Marco Lucchinelli. Solo due anni più tardi il pilota francese Raymond Roche ottiene 8 vittorie stagionali e conquista il titolo di Campione del Mondo Superbike. La competitività della Ducati 851 F90 è sottolineata da ben sedici podi conquistati in ventisei gare, che comprendono anche la vittoria di Giancarlo Falappa ottenuta sempre sul circuito di Donington. Il pilota di Jesi corre per Ducati fino al ritiro nel 1994, dopo numerose vittorie in sella alle “Rosse” di Borgo Panigale, l’ultima delle quali a Misano con la 916. Raymond Roche sulla Ducati 851 F90 (1990).
1991 | 888 F91 Sull’onda dei successi ottenuti dalla 851, Ducati aumentata la cilindrata del motore con la 888 F91 affidando le moto ufficiali all’americano Doug Polen e al francese Raymond Roche. Concepita come una delle prime moto a prevedere un uso significativo della fibra di carbonio e dei materiali compositi per ridurre il peso, la 888 F91 domina la scena vincendo ventitré delle ventisei gare previste dal Campionato del Mondo Superbike nel 1991. Doug Polen, che guida la moto numero 23, ottiene il titolo Piloti e Ducati si aggiudica il primo dei due titoli Costruttori conquistati con la 888. Un dominio così netto nel Mondiale Superbike, a soli tre anni dalla creazione del campionato, proietta Ducati al vertice delle competizioni motociclistiche.
1992 | 888 F92 Ducati conquista il titolo Costruttori nel Campionato del Mondo Superbike anche nel 1992 aggiudicandosi un totale di 20 vittorie grazie al talento di piloti come Doug Polen, Raymond Roche e Giancarlo Falappa. Il team ufficiale è diretto da Franco Uncini, con Franco Farné come capo meccanico. Doug Polen e Raymond Roche concludono il campionato rispettivamente al primo e secondo posto, mentre Giancarlo Falappa, soprannominato il “Leone di Jesi” per il suo stile di guida aggressivo e coraggioso, ottiene quattro importanti vittorie in sella alla sua 888 numero 9. Ducati completa il campionato del 1992 aggiudicandosi il titolo Costruttori con un vantaggio di oltre cento punti sul secondo classificato. Un’altra indiscussa vittoria.
1993 | Supermono Costruito in soli 67 esemplari, il Supermono viene realizzato esclusivamente per gareggiare nell’omonima categoria sia in Italia che all’estero. Il motore monocilindrico a 4 valvole raffreddato ad acqua ha una cilindrata di 550 cc e con una potenza di 75 CV può raggiungere una velocità massima di 220 km/h. Il design è opera di Pierre Terblanche, mentre il responsabile tecnico che trasforma questo progetto in realtà è Claudio Domenicali, futuro amministratore delegato dell’azienda. Caratterizzato da numerosi elementi innovativi e da linee eleganti e aerodinamiche, il Supermono gareggia con successo in tutte le competizioni alle quali prende parte. Grazie all’ampio utilizzo di materiali compositi come fibra di carbonio e lega di magnesio, il Supermono pesa solo 100 Kg, dimostrando tutta la sua raffinatezza tecnica. Con questa Ducati, nel 1993, Mauro Lucchiari vince il titolo Piloti nel Campionato Europeo Supermono, mentre Ducati si aggiudica quello Costruttori.
Mauro Lucchiari in sella alla Supermono 550 (1993).
1994 | 916 F94 Oltre a essere un’autentica icona di design, la 916 diviene ben presto anche il simbolo del predominio Ducati nel Campionato Mondiale durante gli anni ‘90. Equipaggiata con soluzioni tecniche innovative, la 916 rappresenta la Ducati da competizione più vittoriosa di tutti i tempi, con quattro titoli Costruttori vinti nel 1994, 1995, 1998 e 1999. In sella alla 916, il britannico Carl Fogarty, noto come “King Carl”, ha vinto quattro titoli iridati e per moltissimo tempo è rimasto il pilota di maggior successo nella storia del Campionato del Mondo Superbike. Conosciuto anche con il soprannome di “Foggy”, Carl rimane all’interno della famiglia Ducati fino alla fine della sua carriera e la sua moto con il numero 2 entra ben presto nell’immaginario dei tifosi.
A sinistra Carl Fogarty vittorioso sulla Ducati 916 (1994).
1996 | 916 F96 Un’altra Ducati con il numero 2 passa alla storia nel 1996 ed è quella di Troy Corser, il primo pilota australiano a lasciare il segno per la Casa di Borgo Panigale. Con la 916 F96 Corser vince infatti il titolo Piloti e fa conquistare a Ducati un altro titolo Costruttori nel Campionato del Mondo Superbike. Nel 1996 anche il suo compagno di squadra, lo statunitense John Kocinski, vince cinque gare e conquista una manciata di podi, consolidando la supremazia della Ducati 916. La 916 F96 è sostanzialmente la stessa moto usata nel 1994 e nel 1995. Con essa il suo progettista Massimo Tamburini raggiunge un livello di perfezione tale in termini di tecnica e design che c’è ben poco da cambiare. Con il suo doppio scarico in fibra di carbonio posizionato sotto la sella, il potente impianto frenante e il forcellone monobraccio, la 916 F96 scrive un altro importante capitolo della storia Ducati.
Troy Corser in sella alla Ducati 916 (1996).
2001 | 996 F01 Nel 2001 dopo aver ottenuto due vittorie nella stagione precedente, sempre in sella a una Ducati un altro pilota australiano, Troy Bayliss, fa il suo esordio a tempo pieno nel Campionato del Mondo Superbike. In sella alla 996 F01 Bayliss conquista il titolo Piloti con sei vittorie e nove podi all’attivo e, insieme al compagno di squadra Rubén Xaus, porta Ducati ad aggiudicarsi il titolo Costruttori per il quarto anno consecutivo. Questa è l’ultima stagione in cui viene impiegata la 996 R equipaggiata con il motore Testastretta che aveva sostituito il precedente Desmoquattro. Mantenendo il suo caratteristico numero 21 anche nelle stagioni successive, Troy Bayliss conquista con Ducati nel 2006 e nel 2008 altri due titoli iridati, diventando il secondo pilota più vittorioso nella storia del Mondiale Superbike.
La livrea commemorativa Nel 2001 Ducati festeggia il suo 75° anniversario e il 30 settembre a Imola, in occasione dell’ultima gara stagionale del Campionato del Mondo Superbike, decide di rievocare una delle sue vittorie più significative. In quel momento Troy Bayliss è in testa alla classifica con ampio margine. La livrea speciale scelta per la 996 F01 richiama i colori della 750 Imola Desmo con cui, quasi trent’anni prima e sempre sullo stesso circuito, Paul Smart aveva vinto la 200 Miglia di Imola del 1972 precedendo Bruno Spaggiari, anch’egli su Ducati.
A destra Troy Bayliss in azione sulla 996 F01; tracciato di Imola (2001).
2003 | 999 F03 Dopo dieci anni di vittorie nel Campionato del Mondo Superbike prima con la 916 e poi con la sua discendente 996, Ducati presenta la 999 che subito monopolizza il podio della prima gara stagionale con Neil Hodgson, Rubén Xaus e James Toseland. A bordo della sua moto numero 100, il britannico Neil Hodgson vince undici delle prime dodici gare, conquistando così il titolo di Campione del Mondo Superbike del 2003. La 999 domina l’intera stagione e Hodgson ottiene altre due vittorie e sette secondi posti. A fine stagione il britannico fa disegnare una riga rossa sul doppio zero del suo numero di gara, trasformando così il 100 usato fino a quel momento nel numero 1 di campione del mondo.
Neil Hodgson in sella alla Ducati 999 F03 (Assen, 2003).
2003 | Desmosedici GP03
Prima vittoria di Loris Capirossi sulla Desmosedici GP03; circuito di Catalunya, Barcellona (2003).
In seguito a un cambio regolamentare che nel 2002 dà vita alla nuova classe MotoGP, Ducati annuncia il suo ritorno nella massima categoria del Campionato del Mondo dopo un’assenza durata trent’ anni. Progettata da Filippo Preziosi e affidata a Loris Capirossi e Troy Bayliss, la Desmosedici GP03 si rivela una moto estremamente potente grazie al suo motore a quattro tempi con raffreddamento a liquido e distribuzione desmodromica. Subito competitivo, Capirossi si qualifica in prima fila e porta la sua moto numero 65 sul podio alla prima gara stagionale che si svolge in Giappone sul circuito di Suzuka. Giunti alla sesta gara del 2003, sul circuito di Catalunya Loris taglia il traguardo davanti a tutti, siglando la prima vittoria della Desmosedici. Grazie anche al compagno di squadra Bayliss, Ducati ottiene un onorevole secondo posto nella classifica Costruttori alla sua prima stagione in MotoGP.
La carenatura forata Una vittoria e otto podi nella sua prima stagione iridata dimostrano la competitività della Desmosedici GP03. Tuttavia, la notevole potenza sviluppata dal motore rende necessarie alcune soluzioni che garantiscano l’affidabilità in gara. La moto è infatti soggetta a un forte surriscaldamento. Per questo la carenatura viene perforata nella parte anteriore attorno al numero 65, in modo da mantenere entro livelli accettabili le temperature d’esercizio, soprattutto in occasione dei Gran Premi più caldi, come quello sul circuito di Catalunya del 15 giugno 2003, dove si registra un temperatura atmosferica di 40°C. Questo stratagemma viene poi abbandonato, ma è ancora visibile sulla moto di Loris Capirossi esposta all’interno del museo.
2007 | Desmosedici GP07
Casey Stoner, Gran Premio di Valencia (2007).
Appena quattro anni dopo il suo ritorno nel Campionato MotoGP, Ducati riesce nella straordinaria impresa di vincere sia il titolo Costruttori sia quello Piloti. Nel 2007 i regolamenti della MotoGP riducono la cilindrata massima consentita a 800 cc e Ducati risponde con una nuova versione della sua Desmosedici. Al nuovo progetto corrisponde anche un nuovo pilota: il giovane australiano Casey Stoner, infatti, si unisce a Loris Capirossi per completare il team ufficiale in sella alla Desmosedici GP07. Nella sua prima stagione con la Casa di Borgo Panigale, Casey vince dieci gare e ottiene altri quattro podi, totalizzando i punti necessari per aggiudicarsi il titolo Piloti del 2007 e far vincere a Ducati il suo primo Campionato Costruttori in MotoGP. Capirossi aggiunge un altro successo alla sua carriera con Ducati andando a vincere il Gran Premio del Giappone.
Il codice a barre patriottico Durante la stagione la Desmosedici GP07 sfoggia un’inconfondibile livrea rossa con un grosso codice a barre bianco e nero posizionato ai lati della carenatura. Nell’ultima gara della stagione a Valencia, tenutasi il primo fine settimana di novembre, la livrea viene cambiata per celebrare la vittoria di Ducati nel Campionato Costruttori. In omaggio all’Italia, il codice a barre sulla moto numero 27 assume i colori della bandiera italiana e sotto di esso viene aggiunta la scritta “Made in Italy”. Stoner arriva secondo a Valencia, ma corona il 2007 con un titolo per sé e uno per Ducati.
2008 | 1098 F08 Un anno dopo la grande stagione di Ducati in MotoGP, il Campionato del Mondo Superbike vede al via la 1098 F08. Il 2008 rappresenta la prima stagione per questa Ducati e l’ultima per Troy Bayliss. Troy ha trentanove anni, ma è ancora in grado di competere ai massimi livelli. Ed è esattamente ciò che fa insieme al team ufficiale riportando Ducati in vetta al Mondiale Superbike dopo il successo in MotoGP. Undici vittorie gli consentono di conquistare il titolo Piloti con ampio margine sui diretti avversari.
L’equazione vincente Troy Bayliss realizza ciò che nessun altro pilota Ducati ha mai fatto nel Campionato del Mondo Superbike, vincendo tre titoli Piloti con tre generazioni di moto diverse: la 996 R, la 999 e la 1098. E il modo in cui domina la sua ultima stagione è la conferma di come il pilota australiano si sia reso protagonista di una carriera straordinaria, con cinquantadue vittorie complessive. Per celebrare il suo terzo titolo Troy decide di insegnare al mondo un po’ di matematica, aggiungendo un segno più tra il 2 e l’1 del suo numero di gara, che diventa pertanto 2 + 1, a indicare “tre volte campione del mondo”. E, per chiudere in bellezza, appone la propria firma sul serbatoio della moto dopo l’ultima gara.
Troy Bayliss, circuito di Magny Cours (2008).
2010 | Desmosedici GP10 Per la stagione 2010 Ducati presenta la Desmosedici GP10. La moto viene costruita attorno al motore, che risulta pertanto elemento stressato della ciclistica, e sfoggia un telaio monoscocca in fibra di carbonio. Chiaramente diversa da tutte le altre moto schierate in gara, la GP10 si distingue ancora di più quando, a metà stagione, alla moto vengono aggiunte due innovative appendici aerodinamiche ai lati della carenatura. A bordo della sua moto numero 69 Nicky Hayden conquista un brillante terzo posto nel Gran Premio di Aragón, chiudendo settimo in classifica generale con 163 punti. Con tre vittorie e sei podi all’attivo Casey Stoner firma la sua ultima stagione come pilota ufficiale Ducati. Questi risultati portano il suo palamarès con la squadra ufficiale a un record di ventitré vittorie in soli quattro anni.
2011 | 1198 F11 Il 2011 è un altro anno trionfale per Ducati nel Mondiale Superbike. Carlos Checa è, infatti, il primo spagnolo ad aggiudicarsi il titolo Piloti in questo campionato. In sella alla 1198 F11 Carlos Checa ottiene quindici vittorie, garantendo a Ducati un altro titolo Costruttori, il 17° nella storia del campionato. Ed è sempre grazie a lui che Ducati supera il tetto delle trecento vittorie nel campionato.
Carlos Checa vittorioso sulla Ducati 1198 F11; circuito di Assen (2011).
Questo libro ha preso vita grazie al lavoro e alla dedizione di:
Editorial Director P. Cianetti
Photography Supervisor S. Pavoni
Project Manager F. Rossetti
Colour and Visual Consultant Ritoccando S.r.l.
Art Director P. Bosi
Product Content Supervisors A. Ferraresi, G. Malagoli
Main Photographer G. De Sandre
Historical Content Supervisor L. Lodi
Contributing Photographers Archivio Motociclismo, Archivio Ducati, A. Alai, L. Capuano, M. Mannoni, Milagro, PhotoZAC, S. Bramante, W. Breveglieri
Chief Editor Consulente Modis, F. Novellino Editing L. Miniati, K. Hantout (con’vince)
Il presente libro è di proprietà di Fondazione Ducati, la quale ha ottenuto le necessarie autorizzazioni a utilizzare i contenuti che sono qui riprodotti (a titolo esemplificativo e non esaustivo: marchi, loghi, testi, immagini, grafiche, indice) da parte dei rispettivi titolari. Fondazione Ducati si dichiara disponibile a corrispondere quanto dovuto, secondo gli usi e la prassi del settore, a chi avanzasse legittime pretese sui contenuti riprodotti nel presente libro. È vietata ogni riproduzione, modifica o altro uso del libro o dei suoi contenuti senza il previo consenso scritto di Fondazione Ducati e dell’editore.
© Fondazione Ducati - L’ente che con passione e orgoglio si dedica alla attività no profit di Ducati. © 2019 Skira editore, Milano Tutti i diritti riservati ISBN: 978-88-572-3959-0 Finito di stampare nel mese di settembre 2019 a cura di Skira editore, Milano Printed in Italy www.skira.net