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CRISTIAN ARDU
L'ODORE BIANCO DEL MARE
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Alla Sardegna mia terra d’incanto
Te lo devo. Te lo devo per i tuoi sassi; per il maestrale che li leviga; per il Sole che li indora. Lo devo al tuo fiero isolamento. All’orgoglio che l’onora. Al tuo riposo assoluto; al mistero che lo sfiora. Te lo devo perché mi somigli, perché ti somiglio: perché sono te. Sono l’asprezza dei tuoi rilievi. Sono la pace del tuo meriggio. *** Vanno al Mediterraneo tutto, questi miei asciutti canti. Al Mediterraneo che ho visto, quello che ho letto, quello che ho sognato. Ma poi il mio Mediterraneo sei tu, terra mia, madre antica.
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CRISTIAN
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L'ODORE BIANCO DEL MARE Poesie dal Mediterraneo
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A mò d’introduzione
Ci sono cose che non si vedono; non si assaporano; odori niente; nessun suono. Ci sono cose che sembra non esistano, non ci siano: poi chiudi gli occhi e ti parlano; magari è soltanto un sussurro timido, ma ti parlano. E il loro odore ti assale, poco a poco. Il sapore si fa vivo anche lui; finchè alla fine le vedi, le puoi vedere, te ne puoi inebriare. Sono cose che si sentono. Ecco, io il Mediterraneo lo sento. Vedo i suoi bagliori, ascolto le sue voci sciabordare, assaporo il suo gusto selvaggio, respiro i suoi profumi accesi. Questo è banale come la bellezza. Tuttavia c’è di più. Lo sento, il Mediterraneo. E’ in me. E’ me. E’ in me il suo nitore, che acceca. E’ in me la sofferenza dei suoi tramonti. La sua pigrizia maestosa. Il suo respiro è in me. Ho scattato fotografie, spesso, a inchiodarlo sulla carta, a strapparlo al tempo, che consuma. Forse è me che ho fotografato, la mia immagine riflessa nelle sue bonacce, nei suoi marosi. Qualcosa ho fotografato. Ho cercato. Qui ho voluto raccogliere qualcuna di queste fotografie. Una dopo l’altra. Come in un album.
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Versando andavo certe stille effimere versi riversi d’ostinata agonia. Gridando m’usavo sciorinare rombi ch’altro che tonfi non erano; urlavo. M’arresto un poco; poi a cader ritorno nel mezzo rigrondo riprendo. M’arrendo. E a chi tale resa rendo; per chi m’offendo se a sentir so stare scivolare seta! Chetami se lo puoi. Già dal suono risalgo se scemare ascolto questo sapore scioltosi poco a poco. Così fugace dilegua tant’anima scarna, tale fulgore accecante. Svegliami ora che puoi; che di dosso scivolatomi, – dolce effimera stilla – si è questo canto partito.
Milano – la notte tra il 21 e il 22 Febbraio del 2000
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SCIROCCO E’ vento Il fresco calore Che senti E sono Attimi aulenti Di caldo. Scirocco è Il selvaggio spavaldo Che ti sfiora Col suo alito Fuggente che innamora Tra graniti e turchese E’ vento La carezza cortese Che ti chiama Col suo canto Sottile come lama Nel silenzio. P.to Coda Cavallo il 23 Luglio del 1999
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Questa minaccia grave che sulle teste pesa come il cocchio minaccioso di un Dio,che su noi si accanisce di rabbia livida in un cielo mansueto, ha la pazienza impetuosa della natura ha tutto il silente controllo sui venti sul Sole sul terrore sereno della macchia. E mentre intimorisce il suo sguardo di pioggia, laggiÚ vedo il raggio guerriero far limpide l’acque d’opali smeraldi e turchesi. P.to Coda Cavallo il 29 di Luglio del 1999
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SALSEDINE Sceso sui sassi asciugati di scirocco Sui sentieri di sabbia aspersi Scivola il sale assetato. Schhh‌(Sospira sotto il Sole) Aspettando sperati sciacqui - senza sosta - sciaborda. Milano l’11 di Marzo del 2000
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Accigliati Sui propri caldi Prosciugati Sugl’orizzonti Che la canicola Sfoca Stanno, aridi, i campi. La loro sete Si appiattisce Al suolo Cerca riparo Tra le geometrie Dei solchi. Langue una preghiera… Si contorce inascoltata. davanti un quadro – S. Francisco nel Settembre del 1999
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Cento e cento Anni l’ulivo stremato ha atteso Le promesse Del suo mare. Cento e cento Anni gli si è Piegato addosso A respirarne Il sale. Cento e cento Anni ha il mare Sperato gli spruzzi Carezzare lenire Il suo antico ulivo. L’ulivo e il mare Non si sono mai parlati. Cento e cento anni. tra la gente – Milano nel Febbraio del 2000 (*)
* Con questa poesia l'autore ha partecipato al Bunker Poetico di Marco Nereo Rotelli nell'ambito della 49ma Biennale di Venezia Pagina 11
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Assordati dalle cicale frenetiche Sopra un mare impassibile e quieto Sotto un tramonto che nulla Alla sconfitta aveva concesso Se non l’ansimante calura Scivolammo sotto costa Come fantasmi a vela. Cercavamo l’istante iniziale L’aria spaccata dal canto Il segreto violato. Solo il ristoro dell’ombra Ci consolò dal nostro Silenzio vano. isola di Pòros – Cicladi nel luglio del 1998
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Sotto il grigiore Il rumore assordante Di granaglie D’automezzi Dentro all’algida Fuliggine cheS’insinua ai Marciapiedi: D’arancio mi brucia Negli occhi Il ricordo livido e tenue Così nitido e sincero Coi suoi rintocchi Fuggevoli e feroci Di campi stremati Dall’arsura Di granturco mozzato Sotto l’azzurro Novello. Ed è il calore Del Sole. Milano - la notte tra il 21 e il 22 dicembre del 2000
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Usciti dalle schiume timide Roboanti sottovoce al loro destino Ripetitivo e stanco Gocciolare e sudare la quiete Di quel Sole impassibile Fu l’unica nostra occasione. Allora erano sabbie bianche E lucenti sgretolate senza sosta Né incertezza; allora Erano venti fieri e possenti… Poi che anche il tempo cedette Ad un’artificiale fragilità Al Sole non restò che annerire Spiagge e scottare i venti. …finchè noi lo vorremo.
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…di tra le nubi il Sole crea sul mare isole di luce… Cayo Largo del Sur nel Gennaio del 2001
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Come l’onda rabbiosa di Maestrale frangevano l’erbe Di Saccargia. A Saccargia sono Nato ai misteri del suono Mentre a consolare i vecchi Scendevano ebbre le stelle e S’alzavano cori gutturali e feroci. Silenziosa, la chiesa era imperlata Di luce, colle sue pietre dure. Lo era la mia voce fusa al vento Nella notte di Saccargia. Santissima Trinità di Saccargia per caso – nel Giugno del 1999
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Sei sussurro leggero, Tirso, crepa nella calura, orfano d’Omodeo. Sei nascosto di verde, serpe Cedrino, bandito incappucciato di graniti. Flumendosa scontroso, gemito senza piÚ forze, nonostante tutto indomito. Siete lacrime Flumendosa e Tirso e sei lacrima Cedrino: lacrime Amare di una terra riarsa. Milano il 21 novembre del 2000
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Le carezze del mare Sono gesto antico; la sabbia Non ne è mai stanca.
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Sciaborda Agli asciutti muraglioni L’anima d’onda E asciuga ogni spruzzo La calura Sulle pietre verticali. Nasce quaggiù La voce possente Dell’acqua marina Che s’infrange rabbiosa A frantumare sabbie. Ed immobile il lentischio Rugoso e salmastro Scosso dai soffi bizzosi Resta ad aspettare Altri capricci di maestrale E lo sciabordio del mare. di ritorno da Coda Cavallo nel Giugno del 1999
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Sopra, il tempo. Stelle affollate Coi loro anni luce. Lì; vicine; da poterle toccare. Noi senza sonno Cullati pigramente In mezzo a quella baia Addormentata e piatta. Qualche birra. Due chiacchiere. Sopra, il tempo. Noi lì. Soffocati dal canto Delle cavallette. Riposati Dalla tregua notturna Del caldo. Lì, colle Nostre piccole poche parole. Sopra, il tempo. al largo di Delo – isole Cicladi nel luglio del 1998
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Ho nel cuore La bellezza Di questa terra Il suo ventre Squarciato La sua voce roca. Ho nel cuore I suoi brandelli Appesi al fil di ferro Ad essiccare. E dentro al cuore Mi rugge Questa polvere Bruciata E mi dilania. Spargi il 23 d’Agosto del 2000
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Sciolto il nodo dei turisti La terra è morta all’uomo; il mare ascolta fa le bizze si ripiega ed urla. Ma io le sue parole Non so. Non ora. P.to Coda Cavallo il 2 Settembre del 2000
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Scolora la pietà del giorno al pallido imbrunire che il sudore ne sgocciola, e l’acre odore il sapore dimesso disadorno mentre attorno ogni cosa demorde. Sfiora questo declino e si attarda uno spento languore sciogliesi l’ultima luce a sciacquare colore già mesto; vuole l’ora la vittoria che presto occorre si compia. Chino è il capo all’usato gesto ch’atteso inatteso si fa; rabbuia a misura che stempera e svanisce ciò che è stato e sparisce e sfuma. Sospesa resta una bruma scura cui avvolto ogni apparire si abbandona: innalzato ha sui fragili destini la notte le sue mura.
Giá su La Repubblica Pagina 23
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Quello è il molo dei pescispada Vedi, ha il colore violento E ne soffre. Il lamento Arriva di laggiù Che senti. Latrato che Immaginiamo insieme. Accanto gli stanno le Streghe dei ginestri. Fanno Il loro filo sottile dal tempo Dei Greci. Campestri richiami di paesini docili E indomiti, accovacciati Sul monte Arci. Ma questi Sinistri ululati che il mare Ci getta addosso, forse… Chiudiamola, sì, questa finestra Di legni vecchi e coi vetri Ricurvi. Chiudiamola, ora.
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