02
ITINERARI TURISTICI PIACENTINI SOMMARIO GUIDA ITINERARI PIACENTINI N. 1 - Luglio 2020 ITINERARI TURISTICI PIACENTINI N. 1 - Luglio 2020 Realizzazione TWM srl - Pubblicità e Distribuzione Via Beati, 51 - Piacenza Tel. 0523 610912 a cura di: Riccardo Murtinu Grafica, Impaginazione e Pubblicità effequar - TWM srl Stampa Printall srl Via Croce Rossa, 34/36 26845 Codogno (LO) Tel. 0377 379418 Supplemento al settimanale L’Eco di Piacenza n. 18 del 09/07/2020 Direttore Responsabile: Tosi Danilo Stampato in 30.000 copie, distribuito a cura di TWM srl - Pubblicità e Distribuzione, presso gli uffici comunali del Turismo, i cestelli dell’Eco di Piacenza, le attività commerciali di Piacenza e provincia, provincia di Parma, Pavia, Lodi e Cremona.
VAL TREBBIA • Cascate del Perino-Carlone • Pietra Parcellara e Perduca • Anse del Trebbia e Sella dei Generali • Bobbio • Castelli - Rivalta
Pag. 5 Pag. 6 Pag. 7 Pag. 8 Pag. 9
VAL NURE-CHERO • Lago Moo e Lago Bino • Grazzano Visconti • I Bersani • Castelli - Gropparello
Pag. 11 Pag. 12 Pag. 14 Pag. 15
VAL D’ARDA • Riserva del Piacenziano • Parco Provinciale del Monte Moria • Veleia Romana • Castell’Arquato • Castelli - Vigoleno
Pag. 17 Pag. 18 Pag. 20 Pag. 22 Pag. 23
VAL TIDONE • Sentiero del Tidone • Diga del Molato • Monte Penice • Castelli - Rocca d’Olgisio
Pag. 25 Pag. 26 Pag. 27 Pag. 28
Itinerari 2020
GUIDA ITINERARI PIACENTINI N. 1 - Luglio 2020
VAL D’ONGINA-ARDA • Monticelli e Isola Serafini • Villa Verdi • Castelli – San Pietro in Cerro • Cortemaggiore
Pag. 30 Pag. 31 Pag. 32 Pag. 32
IN CITTA’ • Quattro dipinti • Tre Basiliche • Le Statue di Piazza Cavalli • Palazzo Farnese • Palazzo Gotico
Pag. 34 Pag. 36 Pag. 37 Pag. 38 Pag. 39
GUSTO • Ricette Piacentine
Pag. 41
03
Itinerari 2020
Cascate del Perino-Carlone • Pietra Parcellara e Perduca Anse del Trebbia e Sella dei Generali Bobbio • Rivalta
Itinerari 2020
VALTREBBIA - SENTIERI CASCATE DEL PERINO-CARLONE
LE CASCATE DEL PERINO E DEL CARLONE, DUE GIOIELLI DI NATURA INCONTAMINATA Zone incontaminate, magici rumori di acqua che scorre e tranquillità in un ambiente incontaminato. Questo è quanto si può trovare tra le escursioni più affascinanti che si possono fare nella provincia di Piacenza, alla scoperta di cascate dall’atmosfera unica. In Alta Val Trebbia famosissime e straordinarie sono le Cascate del Perino: l’omonimo torrente, nella parte centrale del corso forma addirittura 12 cascate, anche con altezze ragguardevoli. Il torrente, infatti, scorre incassato in una stretta gola compiendo nel raggio di 2 km una dozzina di salti formando cascate naturali. Sono cinque le cascate principali e la più grande, la cascata superiore raggiunge un salto massimo di 17 metri. Durante i secoli i numerosi “salti” del Perino sono stati sfruttati dall’uomo con diversi mulini. Per raggiungere questi luoghi magici il percorso è semplice e di difficoltà escursionistica. Si parte dalla Chiesa di Calenzano, frazione di Bettola (PC). Proprio di fronte alla chiesa, a fianco di un pilastrino in mattoni, si imbocca un sentiero in discesa, con segnavia bianco-rosso del CAI, che porta ad incrociare una strada inghiaiata in discesa. Seguendo la strada si arriva fino a Zini e a Calenzano Fondo (agriturismo) poi, si prosegue tra le ultime case sulla sterrata in discesa (cartello “cascate”) e dopo 5 minuti si tiene la destra sulla sterrata in discesa, fino ad incontrare un cartello in legno che indica, a destra, il vialetto di accesso alla cascata n. 1, attrezzato con panchine, scalini e parapetti. Per ammirare la cascata, al centro di una parete concava, si scende fino al greto. Risalendo al precedente bivio, svoltando a destra si raggiunge, dopo pochi minuti, il mulino di Riè, recentemente ristrutturato. Appena dopo il mulino si trova un nuovo cartello con l’indicazione “cascate” che invita a proseguire sulla strada, fino ad un nuovo cartello, con l’indicazione “cascate 2 e 3”. Seguendo la strada, a destra in discesa,
viene poi indicato il percorso da compiere per raggiungere la seconda cascata del Perino, molto suggestiva, con un impetuoso getto d’acqua che ha scavato un’ampia cavità alla base. Ritornati al cartello, se si seguono i segnavia CAI bianco-rossi, dopo pochi passi si incontra, sempre sulla destra, un belvedere attrezzato con tavolo e panche, da cui si gode un’eccellente visuale della cascata n.3, caratterizzata da tre distinti salti. Restando in Val Trebbia, anche altre cascate sono da scoprire, nel territorio di Bobbio: le Cascate Termali del Carlone. Incastonate in un luogo incontaminato nella valle del torrente Carlone non lontano dal piccolo borgo di San Cristoforo di Bobbio, le cascate del Carlone fanno da coronamento ad un territorio ricco di cascate e cascatelle. Ai piedi delle cascate c’è un laghetto d’acqua termale che ha proprietà termominerali ed è presente una fonte salina di acqua salsa, ricca di magnesio. L'acqua del torrente Carlone, grazie all’alta concentrazione di minerali di sali, ha proprietà termali. Per arrivare alla cascata, da Bobbio si imbocca via del Bargo e si prosegue fino alla piccola frazione di San Cristoforo, antico borgo arroccato del X secolo, che sorge sull’ancor più antico Vidulium romano. Famoso per le sue case e tetti in pietra locale, è di grande interesse la chiesa parrocchiale e la Casa-Torre fortificata circolare. In corrispondenza di un tornante inizia il sentiero che porta alle cascate, (segnavia Cai 160) da percorrere a piedi seguendo i segnavia del sentiero.
05
VALTREBBIA - SENTIERI PIETRA PARCELLARA E PERDUCA
PARCELLARA E PERDUCA: LE “PIETRE” PIACENTINE DA SCOPRIRE
06
Chiunque conosca le colline piacentine e sia appassionato di camminate conosce bene le “pietre” del territorio piacentino: la Pietra Parcellara e la Pietra Perduca. Le pietre sono mete immancabili nell’estate piacentina, due luoghi magici da vivere e scoprire. La Pietra Parcellara, situata tra il Comune di Travo e il Comune di Bobbio è una ofiolite di serpentino nero (si tratta di una parte di crosta di un antico oceano riaffiorata). Alta 836 metri sul livello del mare, la Pietra Parcellara permette, dalla sua sommità, una visione panoramica unica sulla Val Trebbia, la Val Luretta e anche sul Monte Penice. Sul monte della Pietra Parcellara, anticamente chiamato “Prescigliera”, venne costruito, in epoca longobarda, un castrum monastico, che faceva parte dei possedimenti dell’Abbazia di San Colombano di Bobbio. Passato successivamente sotto il controllo dei Malaspina, nel 1120 la zona venne occupata da Piacenza con le truppe guelfe, senza però riuscire a strappare il territorio ai Malaspina. Soltanto nel 1155 la “Pietra” venne ceduta alla famiglia dei “Perducca” feudataria della Pietra Perduca, anch'essa fortificata e dotata di castello. Nel 1269 il comune di Piacenza occupa il territorio e il feudo di Parcellara oltre al castello, che verrà completamente distrutto, nonostante le proteste del vescovo di Bobbio. Oggi resta soltanto, ai piedi della pietra, l'oratorio della Madonna di Caravaggio, vicino alla località Brodo, alle dipendenze della chiesa parrocchiale di Mezzano Scotti. Per raggiungere la Pietra Parcellara si può passare da Perino seguendo per la frazione Donceto, superando Brodo, fino all’Oratorio della Madonna di Caravaggio, arrivando in cima con un sentiero dedicato. La Pietra Perduca si trova non lontano dalla prima, proseguendo sulla stessa strada verso Montà-Corbellino, fino a raggiungere, dopo località Montà, un comodo parcheggio, da cui si può proseguire fino alla cima.
Itinerari 2020
La Pietra Perduca, nel Comune di Travo, anch’essa di origine marina, ha alla sua base la Chiesetta di Sant’Anna eretta nel X secolo, che svetta dominando la valle. Il luogo è stato abitato da epoche ancora più remote, visto che sempre qui si trovano anche i “letti dei Santi” ovvero due grandi vasche, colme d’acqua, scavate forse durante l’Età del Bronzo. Secondo alcuni storici le “vasche” sarebbero state usate in epoca celtica per rituali e culti legati alla fecondità, e forse proprio per questo la piccola chiesetta sorta non lontano è stata dedicata a Sant’Anna, che in età avanzata concepì la Vergine Maria. All’interno della chiesa, inoltre, è conservato un sasso dove sarebbe incisa l’impronta della Madonna stessa. Un luogo, quindi, che oltre al panorama mozzafiato, mescola magia e fede.
Itinerari 2020
VALTREBBIA - SENTIERI ANSE DEL TREBBIA E SELLA DEI GENERALI
ITINERARI SPETTACOLARI: DALLE ANSE DEL TREBBIA ALLA SELLA DEI GENERALI La Val Trebbia, secondo la leggenda definita da Ernest Hemingway “la valle più bella del mondo” propone per l’estate tantissimi itinerari, che spaziano dall’arte, con Bobbio capofila dopo l’elezione a Borgo dei Borghi 2019 fino alle escursioni con viste mozzafiato. Tra i panorami più spettacolari che si possono trovare nella splendida valle non si può non citare quello che offre il borgo di Brugnello, tra Marsaglia e Bobbio, costruito su uno strapiombo sul fiume Trebbia. Un paesino antico dove il tempo sembra sospeso in un’atmosfera fiabesca, con un panorama in grado di emozionare e affascinare. Tra case realizzate in pietra e persiane intagliate, si trova anche la Chiesa di Cosma e Damiano del XIV secolo. L’edificio è attorniato da una splendida terrazza che si affaccia proprio sul fiume, in uno dei tratti caratteristici, famosi e spettacolari, nel suo susseguirsi di anse, che hanno reso questo luogo imperdibile. Sempre a Brugnello, inoltre, si narra che attorno all’anno 1000 esistesse addirittura un castello, di cui peraltro restano pochissime tracce, caduto in declino dopo la soppressione della parrocchia negli anni 30 e lo spopolamento del piccolo borgo. Brugnello è raggiungibile seguendo la Strada Statale 45 da Piacenza fino a Marsaglia: appena dopo il ponte sul fiume Trebbia si seguirà sulla destra una strada tortuosa e
stretta ma asfaltata che porterà in cima. Un’altra destinazione spettacolare tra Val Trebbia e Val Nure è la Sella dei Generali: vero spartiacque tra le due valli, la “Sella” è un altopiano, a oltre 1200 metri di altitudine, con salite ripide e rampe da scalare, ma offre un panorama unico nel suo genere su Val Trebbia e Val Nure. La zona è ricca di sorgenti ed è ideale anche per osservare le stelle, in un’atmosfera unica di natura incontaminata e da riscoprire. Durante l’estate, normalmente, l’altipiano è teatro anche di eventi, concerti e appuntamenti, per chi ama le escursioni e l’avventura. Per arrivare alla Sella dei Generali si sale da Perino seguendo per il Passo del Cerro/Bettola. Dopo circa 3 km si prosegue sulla strada che porta al piccolo borgo di Aglio e si passa nel suggestivo bosco fino a Pradovera. Si prosegue, a questo punto, per altri 3 km fino al Passo Santa Barbara. L’altipiano comincia così a rivelarsi, anche se “l’arrivo” è dopo circa 1 km e mezzo.
07
VALTREBBIA - BORGHI BOBBIO
Itinerari 2020
BOBBIO, UNO SCRIGNO DI STORIA E CULTURA, DA RISCOPRIRE
08
Un itinerario nella provincia di Piacenza deve fare tappa nel borgo di Bobbio, in Val Trebbia. Borgo dei Borghi 2019, Bobbio è il più importante centro della valle: arroccato sulle sponde del Trebbia che scavalca con l’iconico ponte gobbo, Bobbio è un vero e proprio scrigno di arte e storia, tutto da scoprire, anche oltre le fresche acque del fiume. Già insediamento romano nel 14 a.C. la sua storia è legata indissolubilmente alla figura di San Colombano, monaco missionario irlandese, nato nel 540 d. C. e noto per aver fondato da abate numerosi monasteri e chiese in Europa, e aver stabilito una regola monastica che in seguito fu assimilata a quella benedettina. Il nord Italia, ai tempi di Colombano era governato dai longobardi, guidati dal Re Agilulfo, sposato con Teodolinda, fervente cattolica. Proprio grazie alle predicazioni di Colombano il Re si convertì al cattolicesimo e, per favorire la conversione dei sudditi donò a Colombano una antica chiesa, che fu il primo nucleo della futura Abbazia di San Colombano. Proprio a Bobbio San Colombano compì diversi miracoli e creò una delle più importanti biblioteche d’Italia (da cui venne presa ispirazione anche per il romanzo Il Nome della Rosa). Colombano morì a Bobbio, il 23 novembre del 615 lasciando in eredità uno spirito apostolico che attraversò i secoli. Con Carlo Magno Bobbio ottenne privilegi imperiali e fu sede di un feudo di grande importanza. In questo periodo il territorio di Bobbio raggiunse la sua massima estensione comprendendo la zona della Val Trebbia, dell'Oltrepò Pavese, della Val Curone, della Val Staffora, della Val Tidone e della Val d'Aveto. Il feudo aveva possedimenti un po’ in tutto il Nord Italia, con territori controllati anche in Liguria, Toscana, Monferrato e nelle Langhe. Nell’883 l'abate Agilulfo inizia la costruzione del nuovo monastero ma durante il X secolo inizia per Bobbio un periodo di decadenza legato anche all'affievolirsi della protezione imperiale e papale. Il secolo successivo fu però di ripresa, tanto che nel 1014, grazie anche all’imperatore Enrico II, Bobbio diventa sede vescovile e ottiene il titolo di città formando il primo comune. Primo vescovo fu l'abate Pietroaldo. Nel 1133 la diocesi di Bobbio, fino ad allora abbazia territoriale, diventa diocesi “suffraganea” alla nuova sede metropolitana di Genova, e la Contea di Bobbio fu ridotta alla Val Trebbia fino a Torriglia, alla Val d'Aveto fino a Santo Stefano d'Aveto (GE), all'Oltrepò, alla Val Tidone (Pecorara, Pianello Val Tidone) e alla Val Curone.
Proprio in questo periodo inizia la costruzione del Duomo di Bobbio: in stile romanico, fu costruito a partire dal 1070 e terminato dopo cinque anni. Il fronte della chiesa era in posizione arretrata rispetto alle due torri laterali allora di altezza simile. La torre di sinistra era la vera torre campanaria e presentava in sommità una apertura in forma di trifora. La struttura resterà sostanzialmente immutata fino al XIII secolo, quando fu sopraelevato il pavimento e furono allungati i due bracci del transetto e venne ultimata la copertura. Nel 1370 viene creata la cappella di San Michele nella parte iniziale della navata di destra, dove sono ancora visibili tracce di pitture trecentesche, mentre nel 1448 iniziano i lavori per la realizzazione della cripta. La facciata attuale, allineata alle due torri risale, invece, al 1463. Il Duomo di Bobbo resterà cattedrale fino al 1986 della diocesi di Bobbio, successivamente, fino al 1989, concattedrale dell'arcidiocesi di Genova-Bobbio, ora concattedrale della diocesi di Piacenza-Bobbio e sede del vicariato di Bobbio. Ma Bobbio, come accennato, è anche la città del Ponte Gobbo: il ponte per la sua particolare forma è uno dei simboli della città, anche se non è precisamente databile, proprio per il sovrapporsi di rifacimenti e lavori nei secoli. Si sa che il primo nucleo del ponte è sicuramente di età romana, forse costruito dopo la conquista da parte di Roma dell'allora borgo ligure-celtico. Sono ritrovate tracce di un ponte più antico sottostante, di epoca altomedievale, mentre dal 1590 si cominciò ad allungarlo verso la sponda sinistra. Per secoli il ponte fu meta di pellegrini e processioni religiose con benedizioni con la costruzione vicino agli argini di croci ed immagini votive. La leggenda che lega il ponte al demonio parla del diavolo che avrebbe costruito il ponte “gobbo” nella speranza di allontanare gli abitanti dal monastero e dalla religione.
Itinerari 2020
VALTREBBIA - CASTELLI RIVALTA
CASTELLO DI RIVALTA, TRA STORIA E BELLEZZA Sulle sponde del Trebbia, a Rivalta, frazione di Gazzola si staglia l’inconfondibile sagoma del Castello. L’imponente complesso fortificato, sorge in un luogo ricco di storia e in posizione strategica: già in epoca romana, probabilmente, il luogo era sede di un piccolo accampamento fortificato mentre proprio in questa zone fu combattuta la famosissima Battaglia del Trebbia, che vide la vittoria dei cartaginesi di Annibale sui Romani, guidati dal console Tiberio Sempronio Longo, nel 218 a.C. La prima testimonianza del Castello di Rivalta risale al 1025, in un atto di acquisto. Tra il XV e il XVIII secolo il castello subì profonde trasformazioni che adattarono l'edificio alle nuove necessità militari causate dall'introduzione dell'artiglieria. Nei secoli successivi il Castello vide ulteriori lavori di adeguamento, stavolta a dimora signorile, con un nuovo cortile, con porticato e loggiato. Nel 1808 il possesso del castello passò al ramo dei Landi conti di Caselle e marchesi di Chiavenna. Negli ultimi anni del XIX secolo l'edificio venne comprato dal conte Carlo Zanardi Landi di Veano, rimanendo, in seguito, nelle proprietà dei suoi eredi. Oggi il Castello è una sontuosa residenza signorile, circondata dal magnifico parco, e annovera tra gli ospiti abituali i componenti della famiglia reale d'Inghilterra e della famiglia reale d'Olanda.
Ancora abitato dai Conti Zanardi-Landi, ed interamente arredato, il Castello ospita un bellissimo Museo del Costume Militare con una sezione espositiva dedicata a 90 divise militari dal Risorgimento alla seconda Guerra Mondiale. Sono visitabili il cortile, il salone d'onore, la sala da pranzo, la cucina del rame, le cantine, le prigioni, le camere da letto, la torre, con la sua caratteristica forma rotondeggiate, inconfondibile nel panorama piacentino, la sala delle armi dedicata alla Battaglia di Lepanto, la galleria, la sala del biliardo, il Museo del Costume Militare, il Museo dell’Arte Sacra. Particolarmente interessanti anche le preziose testimonianze del passato militare, con tre vessilli e undici bandiere risalenti alla battaglia di Lepanto (7 Ottobre 1571).
09
Itinerari 2020
Lago Moo e Lago Bino • Grazzano Visconti I Bersani • Gropparello
Itinerari 2020
VALNURE E VALCHERO - SENTIERI LAGO MOO E LAGO BINO
LAGO MOO E LAGO BINO, I LAGHI PIACENTINI Il territorio di Piacenza è particolarmente favorevole per i viaggi nella natura e una gita in riva al lago può essere rigenerante, soprattutto se in zone ancora intatte nel loro ambiente. Il nostro viaggio per i laghi piacentini non può che partire dal Lago Moo, il piccolo bacino, di origine glaciale, situato su un altopiano nel Comune di Ferriere. All’altezza di 1100 metri sul livello del mare, il lago Moo è di poche decine di metri quadrati di superficie, ma il casto altopiano circostante lo rendono una meta perfetta per una escursione in tranquillità. Il Lago Moo è raggiungibile seguendo la ex strada statale 654 della Val Nure, proseguendo dall'abitato di Ferriere verso la frazione di Canadello, dove inizia un ampio sentiero, lungo circa 4 km e non percorribile con mezzi a motore. Le pendenze e la difficoltà modesta ne fanno un ottimo itinerario escursionistico per famiglie. Normalmente il mese di luglio è caratterizzato in questa zona da Festinquota, organizzata dalla Pro Loco di Ferriere. Si tratta di una bellissima occasione per stare a contatto con la natura, in un raduno campestre in tenda, per vivere un’esperienza unica nel suo genere. Sopra al lago Moo, seguendo un sentiero numerato (029)
si raggiunge il Lago Bino. Il lago è raggiungibile anche da un altro sentiero, numerato 033, che parte dal paese di Cassimoreno passando per la cascata dell'Aquila, frazione di Ferriere, raggiungibile deviando dalla strada provinciale 654R all'altezza di Bosconure. Anch’esso di origine glaciale il lago Bino è formato in realtà da due laghi (il termine “bino”, infatti, deriverebbe dal latino “binus” ovvero doppio). Il Lago Bino maggiore ha avuto origine da un ghiacciaio che scendeva dal Monte Ragola, che formò una conca allungata: al ritiro del ghiacciaio la conca si riempì d’acqua formando il lago. Una “nervatura” di roccia affiorò nel lago dividendo il settore a sud in due rami. Dopo una frana il lago venne poi separato, formando un piccolo specchio d’acqua, il lago Bino minore. Il lago Bino Maggiore raggiunge un'estensione di circa 12 000 metri quadri e la sua profondità massima è di circa 3,5 metri. Il torrente immissario proviene dalla sovrastante torbiera del Pramollo mentre non esiste un vero e proprio emissario, con l’acqua che filtra nel terreno e si raccoglie più in basso nel Rio del lago Bino, affluente del torrente Lardana, a sua volta affluente del Nure. Parte della superficie lacustre è ricoperta dalla ninfea gialla. Il lago Bino minore, invece, si estende per circa 400 metri quadri, con una profondità massima di 2,8 metri. Il suo livello è molto variabile a seconda delle stagioni, visto che il suo immissario è un ruscello stagionale.
11
VALNURE VALCHERO - BORGHI GRAZZANO VISCONTI
GRAZZANO VISCONTI, STORIA E ATMOSFERE MEDIEVALI MAGICHE
12
In pochi luoghi si respira un’atmosfera medievale e magica come a Grazzano Visconti. Sebbene ricostruito nel Novecento, l’origine di Grazzano è molto antica: il luogo viene citato, infatti, in documenti dell’anno Mille, riguardo al alcune donazioni di terre al Monastero di San Savino di Piacenza. Inoltre, negli archivi della famiglia Visconti di Modrone sono conservate tre pergamene, relative ad atti risalenti al XII secolo. Nel dettaglio nel 1114 Sigifredo da Vigolzone Sigifredo da Vigolzone e sua moglie vendono a tale Azone Aldeci tutti i loro beni posti nel territorio di Grazano al prezzo di lire sei e mezzo. Nel 1121 Cerolapersico vende ad Ansaldo alcuni beni posti sempre sul fondo di Grazano e nel territorio al prezzo di lire otto. Nel 1152 i coniugi Ansaldo di Grazano e Alchinda con il figlio Onidedo vendono a Bernardo, abate del monastero di San Sisto un prato con mulino al prezzo di lire settanta e denari dieci di Piacenza. Questi sono i primi atti dove viene indicato il territorio di Grazzano. Il nome del luogo potrebbe derivare da Graccus Graccianus personaggio che nell’antichità avrebbe posseduto diverse terre in questa zone. Grazzano tenne solo questo nome fino agli inizi del '900, quando acquista anche l’appellativo “Visconti” per volontà del conte Giuseppe Visconti - padre del regista Luchino che decide di riportare a nuova vita il castello medievale, edificato da Gian Galeazzo Visconti e di sostituire le fatiscenti case rurali del borgo con nuovi edifici in stile quattrocentesco. Il Castello di Grazzano è stato costruito nel 1395 forse sui resti di una struttura preesistente mentre, nel 1414 venne concessa a Bernardo Anguissola da parte del futuro imperatore Sigismondo di Lussemburgo l'investitura sul castello di Grazzano. Da segnalare, tra le tante vicissitudini che coinvolsero il Castello, tra rivolte e guerre, che nel 1547 ospitò gli incontri che portarono alla congiura culminata
Itinerari 2020
con l'uccisione del duca Pier Luigi Farnese. Nel 1689 il castello fu interessato da alcuni lavori, che portarono anche alla sostituzione dell’orinario ponte levatoio, mentre nell’Ottocento venne riadattato a residenza di campagna. Negli ultimi anni dell’Ottocento il castello era ormai in rovina; rimase della famiglia Anguissola fino alla morte dell’ultimo conte Filippo, che morì senza eredi, passando il castello alla moglie Francesca Visconti dalla quale passò, nel 1883, al nipote Guido Visconti di Modrone. Il figlio di questi, Giuseppe, all’inizio del Novecento concepì un ampio progetto di riqualificazione. I lavori di costruzione del borgo si svolsero nel 1905 e il 1906 e videro Giuseppe Visconti impegnato nei ruoli di direttore dei lavori, pittore e affrescatore, mentre i lavori di restauro del castello furono completati tra il 1906 e il 1908. Oggi siamo in grado di ammirare il castello, restaurato: con l’architetto Campanini, il Duca Giuseppe lo ha trasformato nella ristrutturazione: è stata consolidata la struttura che viene sopraelevata, vengono inserite nuove merlature e viene resa quadrangolare la torre d’angolo a nord-est, originariamente cilindrica. Sono ridisegnate anche la distribuzione delle stanze interne e gli arredi. Tra le curiosità la leggenda vuole che il castello, sia abitato ancora oggi anche da un fantasma: si tratta di Aloisa, moglie di un capitano di ventura morta di dolore per l’abbandono del marito. Lei stessa racconta la propria storia al Duca Giuseppe – che, fra le altre cose, era anche un medium – e guida la sua mano per farsi fare un ritratto su cui modellare le statue che ancora oggi si trovano nel borgo. Dopo aver avuto sfortuna in amore nella sua vita, oggi lo spirito di Aloisia protegge gli innamorati i cui sentimenti non sono ricambiati. Altri monumenti da non perdere a Grazzano sono la Cortevecchia, testimonianza di cultura contadina, perfettamente conservata, il Monastero, a fianco della Chiesa Parrocchiale. Fu la sede dell'ordine dei "Monaci Olivetani" ma non si conosce la data esatta della costruzione, comunque anteriore all’anno 1000, come risulta da alcuni documenti della Curia. Passeggiando per il borgo si possono
Itinerari 2020
VALNURE VALCHERO - BORGHI GRAZZANO VISCONTI Mercurio, sovrastata da due falde. Poco oltre Piazza Guido Visconti si incontra una fonte battesimale, che presenta al centro un riquadro raffigurante la Vergine con Bambino e due angeli nella lunetta superiore. A Grazzano, infine, non poteva mancare la sala teatrale: ricavata trasformando l'esistente caseggiato destinato a deposito di carbone per la linea tranviaria che fino al 1916 attraversava l'abitato, ospitò le sceneggiature del conte Giuseppe, fondatore della "Compagnia del Teatro di Milano", e le prime regie di Luchino Visconti.
incontrare, poi, diverse fontane: la Fontana del Biscione, collocata nella piazza omonima, copia fedele di quella fatta realizzare da Luca Beltrami in occasione di un restauro del Castello Sforzesco di Milano, la Fontana del Salice, al centro di Piazza Guido Visconti con una colonnina in cotto che ha sulla sommitĂ la statua della Vergine con Bambino e la Fontana delle Ceramiche in piazza Guido Visconti che ospita una statua a mezzo busto ispirata al dio
13
VALNURE VALCHERO - BORGHI I BERSANI
Itinerari 2020
I BERSANI: IL VILLAGGIO MAGICO
14
A cavallo tra Val Chero e Val Riglio sorge il piccolo borgo de I Bersani, nel Comune di Gropparello. Il piccolo paese, raggiungibile sia da Gropparello che da Carpaneto, attraverso la SP14 è un vero gioiello in miniatura, in grado di stupire con atmosfere magiche. La bellezza de I Bersani sono gli splendidi dipinti che raffigurano tutte le più famose fiabe. Passeggiando nel borgo si potranno incontrare Pinocchio, la Sirenetta, Cenerentola, oppure Cappuccetto Rosso. Un viaggio ai Bersani è un ritorno al passato, al bambino che c’è in tutti noi, in un mondo fantastico che solo le fiabe sanno donare. Inoltre passando per i Bersani si potrà anche godere dei bei panorami collinari, tra valli incontaminate, immersi nella natura. I bellissimi, tecnicamente dei murales, sono stati realizzati dall’Associazione Arte Nostra, coinvolgendo anche alcuni studenti del Liceo Artistico Bruno Cassinari di Piacenza, rendendo questa piccola frazione di Gropparello un borgo unico, da visitare e ricordare, per chi vuole vivere una giornata all’insegna della magia. I Bersani sono magici d’estate, ma ancora di più durante l’inverno, in particolare nel periodo natalizio: il borgo, infatti, per Natale, diventa il teatro ideale per suggestivi presepi, realizzati dagli stessi abitanti in modo artigianale con l’utilizzo di materiali di riciclo. Ad ogni angolo di potranno trovare Natività particolari ed
originali con tanti personaggi e scene suggestive, che rappresentano i mestieri tradizionali antichi, riportando i visitatori ai tempi passati ricordando le nostre tradizioni. Il borgo de I Bersani è, quindi, una tappa da non perdere per scoprire un altro angolo del nostro territorio e la creatività dei suoi abitanti. Il borgo è raggiungibile in auto da Gropparello attraverso la SP10 oppure da Carpaneto attraverso la SP14, passando sul ponte del torrente Chero e salendo seguendo le indicazioni. Nel borgo è presente un parcheggio e un Bed & Breakfast.
Itinerari 2020
VALNURE VALCHERO - CASTELLO GROPPARELLO
GROPPARELLO, IL CASTELLO DELLE FIABE In linea d’aria a metà strada tra Val Nure e alta Val d’Arda sorge il Castello di Gropparello. Posto su un picco di straordinaria bellezza, le origini del Castello risalgono all’VIII secolo. Il più antico documento conosciuto che cita Gropparello risale all’810: si tratta dell’atto con cui nientemeno che l'Imperatore Carlo Magno concede il luogo in feudo all’allora Vescovo di Piacenza Giuliano II. La fortificazione di epoca carolingia probabilmente sorge su una precedente fortificazione, forse di epoca romana, che poteva essere una semplice torre di guardia o un castrum del III-II secolo avanti Cristo. Il Castello, dalla proprietà ecclesiastica, nel corso dei secoli passa a diverse famiglie, dai Pallavicino agli Sforza, dai Campofregoso ai Fulgosio fino agli Anguissola. Il Castello di Gropparello, a differenza di molti altri è a pianta irregolare, una forma speciale certamente dovuta alle asperità del terreno su cui sorge, ed è forse il più limpido esempio di arte di fortificazione del territorio e della valle. All’interno del Castello da non perdere la Sala degli Strumenti Musicali che contiene una collezione con pianoforte ottocentesco gran coda, firmato da Pierre Erard, una splendida arpa settecentesca, ma anche un clavicembalo italiano, un arciliuto a 10 cori, flauti barocchi diritti e traversi, cromorni, bombarde, un liuto ed una viella popolare, oltre ad un clavicordo meccanico costruito a Vienna. Tra le esperienze da provare nel Castello di Gropparello c'è quella di dormire nel Castello, nella Torre del Barbagianni, sospesa tra il ponte levatoio e il cortile centrale. Sempre all’interno non manca l’occasione di assaporare il buon cibo con la Taverna Medievale, in un giardino di rose fuori dal tempo. Oggi l'interesse della visita va anche oltre l’aspetto storico artistico: i proprietari del Castello, signori Gibelli, hanno, infatti, creato nel bosco adiacente al maniero il primo parco emotivo d'Italia, e lo hanno chiamato “Parco delle
Fiabe”. I bambini vestiti da cavalieri, con l'assistenza di una guida, possono così scoprire tracce del passaggio di fate, gnomi, elfi e streghe, vivendo una favola in prima persona. In 20 ettari si susseguono sentieri, piccoli giardini nascosti, radure tra i boschi secolari. Il miglior percorso di visita prevede di partire dal Castello con le sale nobili, camminamenti di ronda, il mastio e i cortili, per poi spostarsi nel Parco delle Fiabe con sentieri nel bosco, sia per la visita guidata, sia per l'avventura dei bambini. Suggestive anche le Gole del Vezzeno, Museo della Rosa Nascente: un percorso di visita legato alla rosa come fiore e come foriero di simboli legati a tutte le popolazioni anche dell'antichità con 108 varietà di rose per un totale di 1350 piante.
15
Itinerari 2020
Riserva del Piacenziano • Parco Provinciale del Monte Moria Veleia Romana • Castell’Arquato • Vigoleno
Itinerari 2020
VALDARDA - SENTIERI RISERVA DEL PIACENZIANO
NELLA PREISTORIA CON LA RISERVA NATURALE GEOLOGICA DEL PIACENZIANO Tra Carpaneto Piacentino, Castell'Arquato, Gropparello, Lugagnano Val d'Arda e Vernasca, si estende la Riserva Naturale Geologica del Piacenziano. Il Piacenziano (in precedenza noto anche come Astiano, Redoniano, o Romaniano) è un’epoca geologica ed è il secondo dei due piani in cui è suddiviso il Pliocene, la seconda delle due epoche del Neogene. Iniziò circa 3,6 e terminò 2,58 milioni di anni fa. Nella letteratura scientifica il nome Piacenziano viene introdotto da dal geologo e stratigrafo svizzero Karl Mayer-Eymar nel 1858. Il nome, naturalmente, si lega a Piacenza, nella cui provincia, furono identificate le sezioni stratigrafiche di quello specifico periodo. Nelle valli piacentine, infatti, furono trovati numerosissimi reperti fossili che risalivano proprio a quel periodo, dalla “balena” ad ambienti marini profondi. L’area ha un'estensione di oltre 300 ettari, distribuita in nove zone, posta nelle valli del Chero, dell'Ongina, dell'Arda, del Chiavenna e del Vezzeno. Ecco le nove zone della riserva. 1-Rio Rosello: Nel comune di Gropparello, nell'alveo del piccolo torrente emergono fossili appartenuti ad ambienti marini subtropicali risalenti a circa 3,4 milioni di anni fa, quando queste zone erano mare. 2-Valchero: Sul torrente Chero, in pareti a strapiombo le sabbie argillose grigie, contenenti fossili di ambienti costieri, si alternano a sabbie gialle riferibili ad ambienti di spiaggia vicini alla battigia. Le successioni sono databili tra 2,6 e 2,1 milioni di anni fa. 3-Calanchi di Rio Carbonaro: Qui si trovano sedimenti sabbiosi ricchi di fossili da sedimenti marino-costieri tra 3,4 a 3 milioni di anni fa. Proprio in questa terza zona, nel 1983, venne rinvenuto il cranio di una balenottera, che oggi è conservato nel museo “G. Cortesi” di Castell'Arquato. 4-Voragine di Osteria di Montezago: Si tratta di una profonda voragine situata nello spartiacque tra la val Chero e la val Chiavenna, delimitata da ripide pareti sulla cui som-
mità si trovano lembi di terreno sospesi sul vuoto. I reperti fossili ritrovati risalgono a circa 3,1-2,8 milioni di anni fa. La storia della voragine è strettamente legata a Cortesi che qui, tra il 1815 e il 1816, rinvenne gli scheletri completi di due balene. 5-Calanchi di Rio Stramonte: È la zona più estesa della riserva, le pareti con calanchi vedono l'alternanza di strati argillosi e sabbiosi con reperti da ambienti marini e costieri tra 3,2 e 2,1 milioni di anni fa. 6-Torrente Arda: A nord di Castell'Arquato il tratto di alveo dell’Arda è profondamente incassato tra pareti molto ripide. Qui sono visibili depositi marino-costieri e depositi fluviolacustri. Sono stati trovati, in questa zona fossili che documentano il ritiro del mare e il deterioramento climatico che culminò 1,8 milioni di anni fa con l'arrivo nel Mediterraneo di organismi adatti a climi temperati-freddi. 7-Calanchi monte Giogo: Ben visibile anche da lontano e molto spettacolare, a ridosso di Lugagnano Val d'Arda, i calanchi del Monte Giogo sono certamente la zona più scenografica della riserva. Nella parte inferiore affiora lo stratotipo del Piacenziano, con moltissimi fossili. Qui vennero rinvenuti nel 1831 i resti di un rinoceronte e, nel 1842, di un delfino. 8-Calanchi monte Padova e monte Falcone: In questi calanchi, sul monte Falcone, nel 1934, venne ritrovato uno scheletro di balena incompleto, oggi conservato al museo G. Cortesi, 9-Monte la Ciocca: Gli strati di questa zona mostrano il passaggio da ambienti marini profondi, a quelli meno profondi del pliocene medio. Anche qui furono ritrovati resti dello scheletro fossile di una balena furono (nel 1986).
17
VALDARDA - SENTIERI PARCO PROVINCIALE DEL MONTE MORIA
Itinerari 2020
ALLA SCOPERTA DEL PARCO PROVINCIALE DEL MONTE MORIA
18
Tra i tanti itinerari che caratterizzano le colline piacentine, il Parco provinciale del Monte Moria coniuga storia, natura e paesaggio. Si parte da Veleia Romana, la cui area archeologica è visitabile tutti i giorni, per rivivere la storia in mezzo alla natura. Fondata dai liguri veleiati venne conquistata dai romani, che la trasformarono in una perfetta città romana, elevandola al rango di municipium nella tarda età repubblicana e capoluogo di una zona medio-appenninica che si estendeva tra i fiumi Trebbia e Taro. Dalla fine del III secolo Veleia inizia il suo declino, che porterà poi all’abbandono della città, forse anche in seguito ad eventi franosi. Veleia è stata riscoperta nel 1747 con il ritrovamento della Tabula Alimentaria, la più grande iscrizione romana al mondo giunta fino ai giorni nostri, che farà partire scavi archeologici che riporteranno alla luce parte dell’antica città, a partire dal 1760. Sebbene gran parte dei reperti ritrovati siano attualmente al Museo Archeologico Nazionale di Parma, nato proprio nel periodo del Ducato, con il preciso scopo di ospitare i reperti di Veleia, l’area archeologica offre ancora scorci e un disegno urbano ancora visibile, dal foro alle terme, fino alle botteghe e alle case. All’interno dell’area di Veleia, inoltre, è stato allestito un “antiquarium” dove è presente una copia della tabula alimentaria (l’originale si trova a Parma) e alcuni reperti rinvenuti durante gli scavi, come monete, piccoli oggetti di uso quotidiano. Nel foro sono ancora oggi visibili, invece, basamenti in marmo con le iscrizioni originali e alcune parti di colonnato, restaurati e riposizionati durante alcuni lavori di restauro. Accanto all’area archeologica sorge la chiesa di Sant’Antonino, antichissima pieve che, anche nella dedicazione (Antonino, secondo la leggenda era un legionario romano) mantiene il legame con l’antica città accanto a cui è stata costruita. Ma il Parco provinciale del Monte Moria offre anche nu-
merosi percorsi naturalistici e paesaggistici: si tratta di una zona naturale a difesa del patrimonio boschivo, che copre tre quarti della superficie del parco. Sono presenti castagneti da frutto con esemplari centenari, mentre la parte del Parco che comprende la Croce dei Segni presenta una distesa di faggi che scendendo si tramuta in un universo di arbusti come il carpino, il nocciolo, il maggiociondolo e il caprifoglio. Non mancano il pino silvestre e piccoli abeti. Il sottobosco del Monte Moria è rinomato per la produzione di funghi e ed è ricco, a seconda dell’altitudine di felci, erba fragolina, limodoro, gigli e splendide orchidee. Anche la fauna è ricca, con cinghiali, tassi, daini, volpi, scoiattoli, poiane, picchi e sparvieri. Nel cuore del parco c’è anche il Rifugio: si tratta di una struttura dotata di un locale per la ristorazione e di alcune camere che possono ospitare fino a 25 persone. Il parco è raggiungibile da Piacenza passando per San Giorgio-Carpaneto, e proseguendo per Castell’Arquato, Lugagnano, Parco Provinciale. Si può raggiungere passando anche da Veleia Romana, seguendo per il piccolo borgo di Rustigazzo e per Parco Provinciale.
Itinerari 2020
VALDARDA
19
VALDARDA - BORGHI VELEIA ROMANA
VELEIA ROMANA: DALL’ANTICHITÀ AD OGGI
20
Il territorio piacentino spesso intreccia storia, natura e cultura: per conoscere i tesori del nostro territorio è d’obbligo una tappa negli scavi archeologici di Veleia Romana. Situata nel Comune di Lugagnano, dominando la Val Chero, la nascita di Veleia risale a ben prima della dominazione romana. Il villaggio è stato fondato, infatti, dai liguri “veleiati”, popolazione da cui prenderà il nome la città romana, e venen conquistata da Roma, ancora repubblica, diventando un municipium e capoluogo di una zona medio-appenninica che si estendeva tra i fiumi Trebbia e Taro. Il declino inizierà, però, con il III secolo, con l’impero in crisi e, probabilmente, una serie di frane che hanno portato all’abbandono della città. Grazie ai ritrovamenti di alcuni sepolcri è stato possibile verificare come la zona di Veleia fosse abitata già in epoca preistorica, mentre il primo nucleo abitato, come accennato, è stato fondato dai veleiati, popolazione ligure, citata nel 200 a.C. anche come alleata di insubri e cenomani negli assedi a Piacenza e Cremona. Nel 158 a.C. il villaggio viene conquistato dai romani, che ne fanno una vera città romana, che diventerà prima colonia (89 a.C.) poi municipio (49 a.C.). Lo sviluppo di Veleia, fuori dalle strade commerciali e lontana dai principali centri è probabilmente legato alla presenza di sorgenti di acqua termale: si trattava di acque cloruro-sodiche, oggetto di devozione per le loro proprietà terapeutiche e apprezzate anche per usi alimentari. Sempre in quegli anni la città diventa capoluogo di una zona che si estende tra i fiumi Trebbia e Taro e nel 42 a.C. viene concessa agli abitanti la cittadinanza romana. Lo sviluppo della città è continuo sia nella tarda Repubblica che durante l’impero, ma, a partire dalla fine del III secolo inizia la decadenza: danni prodotti dalle frane, crisi economica con concentrazione dei terreni nelle mani di grandi proprietari e instabilità dell’impero porteranno la città ad essere abbandonata. L'epigrafe più recente ritrovata
Itinerari 2020
negli scavi risale al 276 d.C. ma dall’analisi di alcune monete tardo-imperiali è dimostrata la sopravvivenza di Veleia fino al V secolo prima del completo abbandono. Dimenticata e scomparsa, nel XII secolo, sui suoi resti, ormai del tutto sconosciuti e sotterrati da ulteriori frane, viene costruita, la chiesa dedicata a Sant’Antonino. La chiesa, con ogni probabilità, nasce su una antico edificio di culto, che potrebbe aver a sua volta ricalcato un antico tempio proprio della città romana. Veleia viene riscoperta come città romana, però, solo nel 1747, casualmente, durante i lavori di sistemazione di un campo, quando viene alla luce una tavola iscritta di bronzo, che poi verrà identificata con la tabula alimentaria traianea, ad oggi la più grande iscrizione romana in bronzo mai ritrovata. Inizialmente, però, non venne compreso il valore del ritrovamento, e i frammenti della tavola furono venduti ad alcune fonderie della zona: fortunatamente il conte Giovanni Roncovieri venuto in possesso di uno dei frammenti e capitone il valore riuscì a salvare la tabula dalla distruzione
Itinerari 2020
acquistando tutti i frammenti insieme al conte Antonio Costa, canonico della cattedrale di Piacenza.
VALDARDA - BORGHI VELEIA ROMANA La tabula alimentaria (oggi nel Museo Archeologico di Parma, mentre a Veleia ne resta una copia) riporta istituzioni alimentari create dall'imperatore Nerva e regolate dal suo successore Traiano allo scopo di far fronte alla crisi della piccola proprietà agricola e alla stasi demografica. Esse concedevano capitali in prestito agli agricoltori, dietro garanzia ipotecaria e ad un basso saggio di interesse (5 %), e ne devolvevano le rendite all'assistenza dei fanciulli poveri incoraggiando così l'incremento sia agricolo che demografico. La Tavola descrive inoltre il territorio del municipio di Veleia, con i principali 16 pagi (villaggi). Altra iscrizione importante ritrovata a Veleia è la Lex Rubria de Gallia Cisalpina (49-42 a.C.) che stabiliva i modi di concessione della cittadinanza romana ai Transpadani. Il ritrovamento della “tabula” dà il via ad uno dei primi scavi archeologici, che continueranno con pause e riprese fino al 2008. Da non perdere, nella visita, oltre all’area archeologica effettiva, con colonne e iscrizioni ma senza statue (traslate a Parma, come gran parte dei reperti ritrovati) anche l'antiquarium che illustra, in cinque macro aree, tutti i momenti più significativi dello sviluppo della città. Oggi Veleia continua a vivere, con il tradizionale festival di Teatro Antico estivo, che porta nell’antico foro personaggi delle cultura e dello spettacolo con letture e monologhi su storia e miti antichi.
21
VALDARDA - BORGHI CASTELL’ARQUATO
Itinerari 2020
CASTELL’ARQUATO, UN SALTO NEL MEDIOEVO IN VAL D’ARDA
22
Uno dei luoghi più magici della provincia di Piacenza è senz’altro il borgo medievale di Castell’Arquato. Arroccato su una collina che domina la vallata, Castell’Arquato è “città d’arte” è stato insignito della Bandiera Arancione dal Touring Club Italiano e fa parte del club de “I borghi più belli d'Italia”. Abitato fin dal Paleolitico e poi nella prima età del Ferro, il territorio di Castell’Arquato viene conquistato da tribù gallo-celtiche, poi dai romani che, con ogni probabilità costruiscono un primo “castrum” proprio per controllare i liguri. Durante l’impero si sviluppa come piccolo capoluogo rurale, grazie anche alla posizione dominante e favorevole. La leggenda vuole che il nome Castell'Arquato, derivi dal nome del cavaliere romano Caio Torquato, a cui sarebbe attribuita la fondazione del borgo anche, se, probabilmente, il nome riprende la forma quadrata del primo insediamento militare o la disposizione dell’insediamento. Il primo documento in cui viene citato Castell’Arquato è un atto di vendita del 13 marzo 760, in cui si può leggere la dicitura in finibus castri Arquatense. Negli ultimi decenni prima dell’anno 1000 il borgo è amministrato dai Vescovi di Piacenza. Grimerio dal 1204 al 1207 lo sceglie come dimora in seguito alle lotte sorte con il comune di Piacenza. Nel 1220 il vescovo Vicedomino devolve alla comunità locale tutti i beni di sua proprietà, perciò, a partire da quell’anno Castell'Arquato viene retto per tre anni da consoli, in seguito sostituiti dalla figura del podestà nominato dal comune di Piacenza. Nel 1256 Castell’Arquato subisce l'assalto del nobile ghibellino Oberto II Pallavicino, che però non riesce a portare a compimento l’assedio. Nel 1316, invece, Galeazzo I Visconti riuscirà, supportato da Corrado Malaspina, dopo un anno di assedio, a conquistare Castell’Arquato. Successivamente il borgo sarà fortificato e dal 1342 incomincia la costruzione della rocca. Il borgo negli anni sarà poi conquistato da Francesco e Giovanni Scotti, poi saranno ancora i Visconti a governare (nel 1416 il borgo si chiamerà addirittura Castel Visconti) poi nel 1499 Castell'Arquato passa sotto dominio francese e poi sotto lo Stato Pontificio. Nel 1541 papa Paolo III Farnese concede l'indipendenza al borgo dal comune di Piacenza, mentre Ottavio Farnese lo eleverà a Marchesato. Dal 1707 passa sotto il Ducato di Parma e Piacenza, fino all’Unità d’Italia. Ricco di storia e palazzi non può mancare, a Castell’Arquato, una visita alla Rocca Viscontea. Sorta su fondazioni
precedenti tra il 1342 e il 1349 per volontà di Luchino Visconti, era adibita a sede della guarnigione militare ed è dominata dal mastio, alto 42 metri. A differenza di altri castelli, la rocca mantenne, negli anni, una funzione prettamente militare, senza subire alcuna opera di conversione a residenza nobiliare. All'interno del mastio è ospitato il Museo di vita medievale che presenta diversi allestimenti: multimediale con video che ricreano gli interni della rocca durante il medioevo, una stanza sui rapporti e le comunicazioni della rocca con i castelli limitrofi e approfondimenti su torri e feritoie e una stanza dedicata agli assedi, in omaggio alla funzione difensiva avuta dalla rocca a partire dalla sua costruzione. Castell’Arquato è famoso anche per “Ladyhawke”, film girato nel 1985 proprio nel borgo piacentino. Non si possono non citare, poi, i resti fossili ritrovati esposti all’interno del Museo Geologico di Castell’Arquato nei locali dell'ex ospedale Santo Spirito. Imperdibili, in particolare, i resti delle balene, dei delfini e del granchio fossile provenienti dalla riserva geologica del piacenziano. La Collegiata del borgo, poi, ospita un museo, proprio a fianco della chiesa che permetterà di scoprire le testimonianze più importanti del medioevo religioso della Val d’Arda. Parlando di Castell’Arquato, poi, non si può dimenticare Luigi Illica, librettista arquatese per Puccini e Mascagni: il Museo a lui dedicato, posto di fianco alla casa in cui nacque, presenta quattro sezioni in cui si raccontano la sua vita, le sue opere, testimonianze come lettere e fotografie e ospita materiali come spartiti e incisioni.
Itinerari 2020
VALDARDA - CASTELLI VIGOLENO
VIGOLENO, IL CASTELLO E IL BORGO FORTIFICATO Uno dei luoghi più suggestivi della Val d’Arda, nel Comune di Vernasca, è senza dubbio il Castello e il borgo fortificato di Vigoleno, che si pone, dominando la valle, sul confine tra province di Piacenza e Parma. Vigoleno è un bellissimo borgo fortificato, pervenuto intatto fino a noi, con tutte le sua atmosfere medievali e le architetture fortificate. La fondazione di Vigoleno risale al X secolo mentre la prima data “documentata” è il 1141, quando il castello era un avamposto, sulla strada che conduceva a Parma, del Comune di Piacenza. Vigoleno, nel corso dei secoli, come spesso accade, passerà di mano molte volte, dalla famiglia Scotti, ai Pallavicino, ai Piccinino, perfino ai Farnese e venne più volte distrutto e ricostruito. Arrivando al XX secolo, nel 1922, la principessa Ruspoli Gramont lo fece restaurare e ne fece sede di incontri mondani. Tra le sue mura passeggiarono Gabriele D'Annunzio, l'attore Douglas Fairbanks, Max Ernst, la diva del cinema Mary Pickford, la scrittrice Elsa Maxwell, il pianista Arthur Rubinstein e tanti altri. Come Castell’Arquato, anche Vigoleno fu teatro di parte delle riprese del film “Ladyhawke” di Richard Donner con Rutger Hauer e Michelle Pfeiffer. Il borgo di Vigoleno è completamente circondato di mura merlate, che sono interamente percorribili sull’originale cammino di ronda. Vigoleno ha un unico accesso, da una particolare estensione
del castello a forma tondeggiante, che proteggeva il vero portale d’ingresso. Il cuore di Vigoleno è, però, la sua splendida piazza, con fontana centrale, dove si affacciano il mastio, la parte residenziale, l’oratorio e la cisterna/ghiacciaia. Il borgo si compone anche di un piccolo gruppo di case tutte strette intorno alla suggestiva pieve di San Giorgio, mentre tra le abitazioni e le mura si trova un giardino. Durante la visita non si può non notare il Mastio, un imponente torrione di pianta quadrangolare con feritoie, beccatelli e merli ghibellini, che ospita sale museali con documenti storici e fotografici. Un camminamento di ronda, inoltre, lo collega alla seconda torre e da qui alla parte residenziale. Da segnalare, su una torretta affacciata sulla piazza una bella meridiana, datata 1746. La visita, libera o guidata, passa dal Mastio, al Borgo, fino alla Chiesa Romanica e al Piano nobile del Castello..
23
Itinerari 2020
Sentiero del Tidone • Diga del Molato Monte Penice • Rocca d’Olgisio
Itinerari 2020
VAL TIDONE - SENTIERI SENTIERO DEL TIDONE
IL SENTIERO DEL TIDONE, A PIEDI, IN BICI O A CAVALLO NELLA NATURA Un percorso affascinante, lungo quasi 70 km, che attraversa campagne, monti, dighe, circondati dalla natura da fare a piedi, in bici o anche a cavallo. Questo è il Sentiero del Tidone, un percorso che costeggia l’intera asta del torrente Tidone attraversando due regioni (Emilia-Romagna e Lombardia), due provincie (Piacenza e Pavia) e diversi comuni (Rottofreno, Sarmato, Borgonovo Val Tidone, Pianello Val Tidone, Alta Val Tidone, Zavattarello, Romagnese). Il sentiero parte da Boscone Cusani, in località Gerra Vecchia, nel comune di Rottofreno, fiancheggia il Po fino al punto di confluenza del Tidone. Il percorso risale il torrente fino alla grande diga del Molato dove, costeggiando il lago di Trebecco, arriva in provincia di Pavia e termina alla sorgente del torrente in località Case Matti. Il Sentiero è quasi interamente in terra battuta o ghiaia, fatto salvo una piccola parte che ricalca strade secondarie in asfalto, e propone l’attraversamento del torrente in alcuni punti, con guadi, oppure con varianti che permettono di godere della vista del torrente e della natura circostante senza mai doverlo attraversare. Lungo tutto il percorso, infatti, sono presenti cartelli in legno che indicano il tracciato e danno informazioni dettagliate, anche sulla distanza progressiva. Nella parte collinare del versante piacentino del Tidone il sentiero tocca aree di sosta attrezzate e non mancano informazioni (tramite bacheche) sulla flora e sulla fauna del territorio. Realizzato interamente senza l’utilizzo di capitale pubblico e grazie al lavoro e alla determinazione di un gruppo di volontari, il Sentiero del Tidone rappresenta un’occasione per scoprire la bellezza e la varietà paesaggistica della Val Tidone seguendo un percorso inconsueto. Nel 2012, con un gruppo di appassionati, è nata l’idea del sentiero, che ha preso vita, con un primo percorso di 45
km, che attraversava il territorio piacentino, inaugurato ufficialmente il 10 maggio 2014. Nell’agosto 2015 il Sentiero è stato completato, raggiungendo la sorgente (2 km oltre Pozzallo), per una lunghezza complessiva di 69 km di natura e bellezza tutte da scoprire. Nel dettaglio il percorso tocca tante località da scoprire, da Boscone Cusani si risale, infatti, fino al primo guado, prima di Veratto, poi Agazzino, Mottaziana, Breno e Bilegno, e poi ancora Fabbiano fino a Pianello Val Tidone e Trevozzo. Il sentiero tocca, poi, alcuni mulini, numerosi nel tratto collinare, per poi toccare Nibbiano, Caminata e arrivare alla Diga del Molato. Da qui il sentiero risale fino al Monte Lazzarello, Pietra di Corvo arrivando infine in località Case Matti e alla sorgente del Tidone ad oltre 900 metri sul livello del mare. Il Sentiero del Tidone, inoltre, permette di conoscere, facendo alcune deviazioni, alcuni gioielli della valle, dalla splendida Rocca d’Olgisio, al Santuario di Santa Maria del Monte, fino al Santuario di Santa Maria sul Monte Penice.
25
VAL TIDONE - SENTIERI DIGA DEL MOLATO
Itinerari 2020
DIGA DEL MOLATO, TRA ACQUA E NATURA SUL TIDONE
26
La Diga del Molato, con il suo Lago artificiale di Trebecco è una delle mete più suggestive della Val Tidone. L’imponente Diga, costruita negli anni 20 a fini irrigui e idroelettrici, sorge sbarrando il corso del Tidone, formando un ampio bacino di 83 Km quadrati, capace di contenere poco meno di 8,6 milioni di metri cubi d’acqua. All’altezza di 359 metri s.l.m. la Diga risente nella sua architettura dei canoni dell’epoca, con il monumentalismo tipico degli anni Venti, in particolare nel fronte, caratterizzato da più livelli di archi multipli dotati di speroni. Tra il 1990 e il 2006 la diga venne sottoposta ad alcuni interventi finalizzati all'adeguamento della struttura, tra cui il ripristino delle parti in calcestruzzo, la riabilitazione degli scarichi esistenti e la realizzazione ex novo di alcuni scarichi di superficie, mentre tra il 2016 e il 2019, il Consorzio di Bonifica, ente proprietario della Diga conduce una nuova serie di lavori di restauro, compreso il consolidamento spondale del Tidone nei pressi dell'invaso, che porta la Diga all’aspetto e alla capienza odierni. La Diga è raggiungibile e visitabile seguendo la Strada Provinciale 412R da Borgonovo, Pianello, Nibbiano e proseguendo oltre Caminata.
Oltre all’interesse storico-architettonico del luogo, lo sbarramento ha formato un invaso, chiamato Lago di Trebecco, a pieno titolo inserito, sebbene artificiale, nelle caratteristiche del territorio. Il lago, infatti, si trova ai piedi del Monte Bissolo, rilievo sulla sponda destra del Tidone, con boschi di latifoglie e prati dediti a pascolo e pascoli alberati. Sulla sponda opposta alla strada, inoltre, il lago è diventato una tappa immancabile del Sentiero del Tidone, che collega la sorgente del torrente al fiume Po.
Itinerari 2020
MONTE PENICE, LA VETTA TRA VAL TIDONE E VAL TREBBIA Con i suoi 1460 metri s.l.m. il Monte Penice è uno dei monti più alti dell’Appennino piacentino, e domina senza dubbio la Val Tidone, facendo da spartiacque con la Val Trebbia. La sommità del Penice è facilmente raggiungibile con la strada carrozzabile, ultimata nel 1927 su disegno del canonico Carlo Muzio, che si stacca dalla strada provinciale 461 del Passo del Penice. Chi arriva sul Monte Penice trova uno scenario mozzafiato, con da un lato Bobbio, sul fondovalle, verso il Trebbia, da una parte l’appennino ligure, e dall’altra la Pianura. Il Passo, raggiungibile sia da Bobbio, con la SP461 sia da Pianello-NibbianoZavattarello-Romagnese, con la SP412R, permette di salire facilmente in cima, dove si trova il Santuario di Santa Maria e imponenti ripetitori televisivi e radiofonici, visibili da moltissimi km di distanza, e diventati parte integrante dello “Skyline” del Penice negli anni. La fondazione del santuario dedicato alla Madonna, sulla sommità del Monte, risale al VII secolo, anche se la chiesetta attuale al XVII secolo. Le fonti ci dicono che la Madonna sia qui venerata da più di 1350 anni per una promessa fatta da san Colombano in persona alla regina dei Longobardi Teodolinda e, secondo la leggenda, il santuario sarebbe stato eretto sopra un più antico tempio pagano celtico-ligure. Nell'XI secolo il santuario è già alle dimensioni attuali: la chiesa ha il titolo di
VAL TIDONE - SENTIERI MONTE PENICE
Madre di Dio che diverrà in seguito "Santa Maria in Monte Penice" o più comunemente "Madonna del Penice". Una statua del Cristo Redentore (recentemente rimossa per restauro) fu posta qui il 14 ottobre del 1900. La festa della Madonna del Penice si tiene nella seconda domenica di settembre ma già in estate c’è la processione notturna di Ferragosto, illuminata da fiaccole, dal passo del Penice fino in vetta. Sulle pendici del Penice, inoltre, in tempi recenti sono stati costruiti impianti per gli sport invernali; il Passo del Penice fa parte di un comprensorio sciistico con il comune di Romagnese e con le frazioni di Casa Matti e Pozzallo.
27
VAL TIDONE - CASTELLI ROCCA D’OLGISIO
Itinerari 2020
ROCCA D’OLGISIO, IL CASTELLO CHE DOMINA LA VALLE
28
Rocca d’Olgisio, nel comune di Pianello Val Tidone, è certamente uno dei castelli più affascinanti della valle. Costruita su un ripido crinale a 564 metri s.l.m. dalla Rocca si gode di una vista panoramica (all’epoca della costruzione, evidentemente legata alla difesa) su tutta la pianura e sulle valli circostanti. Secondo la tradizione la Rocca apparteneva, già all’inizio del V secolo a un nobile di nome Giovannato, ma le prime notizie certe sul complesso fortificato risalgono al 1037 quando un certo Giovanni, canonico nella cattedrale di Piacenza, cedette la proprietà del castello ai monaci di San Savino, che la mantennero fino al 1296. Nel periodo successivo subentrarono vari proprietari, fino al 1378 quando Gian Galeazzo Visconti assegnò la rocca e il feudo a Jacopo Dal Verme. I Dal Verme, poi, ne mantennero il possesso, con varie interruzioni, fino all’estinzione della famiglia, avvenuta nel XIX secolo. Ulteriori passaggi di proprietà videro il castello depredato degli arredi, fino al 1979, con la famiglia Bengalli, che ha provveduto alla ristrutturazione e al ripristino dell'antico splendore della rocca. Durante la seconda guerra mondiale, Rocca d’Olgisio tornò al suo antico compito di difesa, diventando sede di una brigata della I^ divisione partigiana di Piacenza. Fu bersaglio, perciò di artiglieria e attacchi da parte delle truppe tedesche presenti nella zona. Il complesso fortificato di Rocca d’Olgisio si compone di ben tre cinte murarie, di cui l'ultima costruita nell'Ottocento, che circondano i fabbricati principali, costruiti in epoche diverse, a cui si accede con due ingressi. Sullo stipite del portone per entrare nel cortile della Rocca dalla terza cinta muraria è scolpito il motto Arx impavida (fortezza impavida ovvero fortezza che nulla teme). Questo ingresso, in particolare, fino all’inizio dell’Ottocento aveva
anche un ponte levatoio ed era protetto da un’inferriata a saracinesca. Trovandosi nel cortile d’interesse è il pozzo, profondo una cinquantina di metri che è circondato da diverse leggende di passaggi segreti e vie di fuga dal castello. Di particolare interesse nel complesso di Rocca d’Olgisio, poi, sono l'oratorio, la torre della campana, il mastio con saloni affrescati e un loggiato di vedetta cinquecentesco. Poco oltre le cinte di mura, inoltre, ci sono alcune grotte che ospitavano una necropoli preistorica, e sono legate ad avvenimenti leggendari e sacri: la grotta delle sante (Faustina e Liberata), dei coscritti e del cipresso. Santa Faustina e Santa Liberata, infatti, sono nate nella Rocca. Fuggite dal castello per evitare il matrimonio imposto dal padre, si rifugiarono a Como dove fondarono un monastero, diventando entrambe monache benedettine. Il castello è visitabile da aprile a ottobre nei giorni festivi (o su prenotazione e visite guidate) ed è raggiungibile in auto da nord, attraverso una strada asfaltata, da Pianello Val Tidone o da sud, a piedi, dalla frazione Chiarone, (sentiero 209, dislivello 250 m) passando da boschi e calanchi. Tra la flora nativa importanti i fichi d'India nani (Opuntia compressa).
Itinerari 2020
Monticelli e Isola Serafini • Villa Verdi San Pietro in Cerro • Cortemaggiore
VAL D’ONGINA - ARDA MONTICELLI E ISOLA SERAFINI
Itinerari 2020
ISOLA SERAFINI E MONTICELLI, IL RESPIRO DEL PO
30
Il Po ha sempre avuto un legame speciale con il territorio e la città di Piacenza e camminando lungo Isola Serafini, la più grande isola del bacino fluviale del Po si può riscoprire il respiro del grande fiume, tra tradizione storia e natura. L’isola ospita la centrale idroelettrica “Carlo Bobbio”, che produce energia grazie ad un doppio sbarramento, realizzata nel 1958. Una passeggiata in questo territorio permette di entrare in contatto con il grande fiume, tra arte e storia, con il vicino borgo di Monticelli d’Ongina, e natura, con la presenza di zone umide e sabbioni che richiamano numerose specie di uccelli sia stanziali che migratori come rondini di mare, fraticelli, falchi, gufi, picchi, gruccioni. Risalendo l’argine partendo dalla località di San Nazzaro si può assaporare al meglio il territorio, ammirando il grande fiume e la conca prodotta dall’unica centrale idroelettrica del suo corso. Con i recenti lavori alla conca, inoltre, è stato realizzato un impianto di risalita, che permette ai pesci del fiume di oltrepassare l’ostacolo della diga, ristabilendo un habitat naturale di assoluto pregio. Continuando a seguire l’argine, si può trovare Monticelli d’Ongina. Di pregio, nel paese, è la splendida Rocca Pallavicino-Casali, che ospita il Museo Etnografico del Po. La fondazione del paese risale al 163 a.C. con un accampamento romano, anche se l'area sarà bonificata quasi cinquanta anni dopo. Lo stesso nome del paese, Monticelli, ricorda, probabilmente, “monticelli” di sabbia tra gli acquitrini. Nel 774 d.C. Carlo Magno fece dono di questo territorio al Vescovo di Cremona, ma nel 914 il borgo venne diviso tra la diocesi cremonese e quella piacentina. La Rocca risale invece al 1248 quando Monticelli divenne l'avamposto difensivo dei cremonesi nel territorio emiliano. La rocca, come la vediamo oggi, si deve a Rolando Pallavicino, che aveva ottenuto la signoria di Monticelli all'inizio del XV secolo. Si tratta di un castello di pianura, con quattro torri cilindriche e al suo interno si possono ammirare affreschi con episodi
della vita di San Bassiano, opera di Bonifacio Bembo. Al suo interno da non perdere il Museo del Po che contiene tantissimi strumenti di lavoro di barcaioli e pescatori, una vera e propria testimonianza storica della vita rivierasca di Monticelli e non solo, di un tempo ormai perduto nel piacentino. Tra i reperti di maggior pregio anche una piroga preistorica risalente a circa 4000 anni fa. Come non segnalare, infine, che Monticelli d’Ongina è famoso anche per il suo aglio, particolarmente apprezzato sui principali mercati internazionali, grazie a condizioni ambientali, climatiche e geofisiche tipiche di questo territorio.
Itinerari 2020
VAL D’ONGINA - ARDA VILLA VERDI
A SANT’AGATA DI VILLANOVA, ALLA SCOPERTA DELLA VILLA DI GIUSEPPE VERDI Nella piccola frazione di Sant’Agata di Villanova sorge Villa Verdi, splendida tenuta abitata da Giuseppe Verdi dal 1851, che rese progressivamente sempre più sua. Proprio qui, nel piacentino, Verdi abitò per tantissimi tempo ritornando sempre in questa casa di campagna dall’atmosfera unica e tranquilla, dai suoi viaggi in Italia e in Europa. Originariamente la villa fu acquistata da Verdi per i propri genitori, Carlo Verdi e Luigia Uttini. Nel 1851, però, dopo la morte della madre, il padre preferì tornare a vivere a Busseto. Da quell’anno, quindi Giuseppe Verdi e Giuseppina Strepponi si stabilirono a Sant'Agata. Verdi amava la villa, tanto che dette indicazioni precise e dettagliate, quando vi si trasferì, per l’ampliamento della casa originale, fino a darle le forme e dimensioni attuali. In particolare furono aggiunte due ali alla costruzione originale, completandola con una grande terrazza sulla facciata. Furono costruite serre, una cappella e la rimessa per le carrozze sul retro. In pochi anni, la residenza divenne una splendida villa dove i canoni estetici del tempo e i gusti del maestro trovavano un perfetto connubio. Ancora più monumentale, però, è lo splendido parco della Villa, che vide Verdi e Giuseppina impegnati per molti anni, piantando alberi, anche di specie esotiche. Verdi curò personalmente la gestione dei terreni agricoli
della tenuta, tanto che al censimento, si dichiarò “agricoltore”. Il grande parco offre oggi viste spettacolari con grotte, una ghiacciaia ed il bellissimo ponte rosso, ma anche alberi monumentali, statue, e un piccolo laghetto. Nella sua Villa di Sant’Agata, il maestro ospitò tanti amici, tra cui il librettista e compositore Arrigo Boito, ma dopo la morte delle moglie, avvenuta nel 1897, Verdi, sebbene continuando ad abitare a Sant'Agata, la frequentò meno assiduamente: negli ultimi anni, infatti, amava trascorrere il periodo invernale al Grand Hotel et de Milan, dove morì nel 1901. Dopo la morte di Verdi la villa è divenuta un museo e oggi se ne possono visitare alcune stanze, rigorosamente conservate, tra cui la stanza da letto di Verdi, quella della Strepponi, lo spogliatoio, lo studio con il pianoforte del maestro e la camera dell'hotel Milan, ricostruita, dove si spense. Villa Verdi è uno dei tanti tesori del territorio piacentino, mantenuto e conservato grazie alla famiglia Carrara Verdi erede del maestro, e rappresenta forse il modo migliore per scoprire l’uomo Verdi, oltre la fama e il genio musicale. Il legame con Piacenza di Giuseppe Verdi è ben documentato, oltre che dalla sua splendida Villa di Sant’Agata, anche dalla sua carica di consigliere provinciale. Da segnalare, inoltre, che l’Ospedale di Villanova fu voluto e finanziato dal maestro per la cura di persone ammalate e indigenti della campagna piacentina.
31
VAL D’ONGINA - ARDA SAN PIETRO IN CERRO - CORTEMAGGIORE
Itinerari 2020
SAN PIETRO IN CERRO, IL CASTELLO E LA MAGIA DI UN TEMPO Il Castello di San Pietro in Cerro, ubicato nell’omonimo Comune, è un gioiello fortificato, un castello di pianura, nella splendida campagna piacentina. Costruito nel 1460 per volere di Bartolomeo Barattieri, nobile e ambasciatore di Piacenza presso la corte di Papa Giulio II della Rovere, il Castello è rimasto di proprietà della famiglia Barattieri fino al 1993 preservandone, così, l’antico splendore. Inizialmente costruito con un fossato difensivo, la sua trasformazione in residenza, ne ha portato al riempimento, per far posto al giardino e all'apertura di finestre sulle facciate. Esempio di dimora gentilizia quattrocentesca, il Castello, oggi, permette di fare un tour guidato alla scoperta di ben 30 sale riccamente decorate ed arredate. Si potrà ammirare lo splendido salone d'onore, decorato con scene di caccia con il falco, oppure i bellissimi salotti del piano nobile, con motivi decorativi neoclassici. L’arredamento, inoltre, permette di fare un vero e proprio salto nel tempo, immergendosi nelle antiche atmosfere del castello. Portali a trompe l'oeil, tendaggi ed anfore, tutto è stato conservato o restaurato e rende la visita al ca-
32
stello un’esperienza da non perdere. Le cucine, al pian terreno contengono utensili di rame ed uno splendido lavello in cotto. Tra le tante meraviglie del castello, da segnalare la Biblioteca Storica con oltre 2.000 volumi sulla storia di Piacenza (consultabile su appuntamento). Nell'ala ovest dei sotterranei del Castello, inoltre, è allestita la mostra permanente di 39 statue dei Guerrieri di Xian, fedeli riproduzioni degli originali autenticate dal governo cinese (la mostra è visitabile la domenica e i festivi). Il sottotetto del Castello, inoltre, ospita il Museum in Motion con opere di pittura e scultura del secondo dopoguerra di artisti italiani ed internazionali con una particolare attenzione per gli artisti piacentini, dove si tengono anche laboratori didattici.
CORTEMAGGIORE: ARTE E STORIA DELLA “COLLEGIATA” Spostandosi verso Cortemaggiore, tra i luoghi più interessanti da visitare, c’è senz’altro la Basilica di Santa Maria delle Grazie e San Lorenzo (già “Collegiata” prima dell’elevazione a Basilica Minore nel 2008). La chiesa fu costruita nel 1481, su un progetto di Giberto Manzi. Si tratta di una basilica a croce latina a tre navate. Al suo interno è conservato un polittico di 12 tavole di Filippo Mazzola, padre del Parmigianino: fu realizzato per la consacrazione della Collegiata nel 1499. Nel corso di lavori di restauro fu diviso nel 1880 e, ad oggi si è riusciti a ricostruire quasi completamente l’opera: mancano ancora, infatti, due dipinti: un San Cristo, attualmente conservato al Museo Nazionale di Budapest, e un Salvatore non ancora rintracciato. Sempre all’interno la cappella dedicata a san Lorenzo, nella navata sinistra, contiene il mausoleo dedicato ai fondatori di Cortemaggiore, realizzato nel 1499 per volontà di Rolando II Pallavicino: sono qui conservate le spoglie di Gian Lodovico Pallavicino, primo marchese di Cortemaggiore, e della moglie Anastasia Torelli. Una curiosità sulla Basilica è legata alla cappella del Santissimo Sacramento, sempre nella navata di sinistra: qui è conservato un dipinto raffigurante La Vergine degli Angeli, realizzato nel 1847 dal pittore par-
mense Francesco Scaramuzza. Tradizione vuole che il dipinto sia stato fonte di ispirazione per Giuseppe Verdi, che era solito chiudersi in preghiera di fronte all'opera. Sembra, infatti, che “La Vergine degli Angeli”, l'inno religioso che chiude il finale dell'atto II de “La forza del destino” sia stato ispirato a quest’opera. D’interesse, inoltre, la reliquia della Sacra Spina, omaggio, nel 1521 del re di Francia Francesco I e lo splendido organo a canne meccanico Adeodato Bossi-Urbani del 1860 in presbiterio.
Itinerari 2020
Quattro dipinti • Tre Basiliche • Le Statue di Piazza Cavalli Palazzo Farnese • Palazzo Gotico
ITINERARI A PIACENZA QUATTRO DIPINTI
Itinerari 2020
QUATTRO DIPINTI, QUATTRO SIMBOLI DI PIACENZA
34
“La prima virtù per un dipinto è di essere una gioia per gli occhi” diceva Eugène Delacroix, artista e pittore francese dell’800 e chi passa a Piacenza può riempire i propri occhi con alcuni capolavori che sono anche simboli della città. Dal Ritratto di Signora di Gustav Klimt alla Ricci Oddi, appena ritrovato dopo il furto nel 1997, al Tondo di Botticelli, custodito gelosamente a Palazzo Farnese, fino all’Ecce Homo di Antonello da Messina, al Collegio Alberoni e alla Madonna Sistina, che a Piacenza è rimasta solo in copia (l’originale è, infatti, a Dresda) ma che era stata realizzata da Raffaello specificamente per la Chiesa di San Sisto, con la sua storia che sarà legata sempre alla nostra città. Sono quattro dipinti, che per Piacenza sono anche quattro simboli, inconfondibili, insostituibili, che caratterizzano la storia e l’identità della città. Per esplorarne la storia si deve partire dal dipinto “ritrovato”, il “Ritratto di Signora” di Gustav Klimt. Capolavoro dell’arte contemporanea era custodito alla Galleria d’Arte Moderna fino al furto avvenuto nel 1997: si pensava fosse ormai perduto e si stavano affievolendo le speranze, quando, nel dicembre del 2019, fu trovato un quadro in una nicchia del giardino della Ricci Oddi durante dei lavori di manutenzione del verde, che si è rivelato essere proprio il Klimt rubato. Il “Ritratto di Signora” è un quadro dipinto da Gustav Klimt, tra il 1916 e il 1917, che misura 60 cm per 25 e acquistato dalla Galleria Ricci Oddi di Piacenza nel 1925. Nel 1996, dopo un’analisi ai raggi X, si scopre che il “Ritratto” altro non era che una versione ridipinta di un altro lavoro (perduto) di Klimt, ovvero il “Ritratto di una giovane donna”. In questo dipinto, oggi “nascosto” sotto la superficie, la ragazza indossa cappello e sciarpa. Rispetto alla sua identità, invece, si pensa che si tratti di un'amante del pittore che, morta improvvisamente, Klimt decise di ritrarre in un dipinto. Il “Ritratto di Signora” è stato dipinto nell’ultimo periodo di vita di Gustav Klimt, morto nel 1918 a seguito di un ictus che lo condusse alla morte di ritorno da un viaggio in Romania. L’opera più famosa del pittore austriaco è, probabilmente, “Il Bacio”, dipinto tra il 1907 e 1908, nel suo cosiddetto periodo “aureo”, derivato, forse, dall’incanto dopo un viaggio a Ravenna, dove ammirò i famosi mosaici. Nel “periodo maturo” della sua carriera, quello del “Ritratto di Signora” invece, il suo stile si avvicina ad altri stili, come quello di Claude Monet, minimizzando, invece, oro e linee. Un altro simbolo di Piacenza è il “Tondo” del Botticelli. Ufficialmente “Madonna adorante il Bambino con San Giovannino” il quadro fu dipinto da Sandro Botticelli tra il 1475 e il
1480. Il committente è tuttora ignoto e le prime tracce documentate risalgono al 1642 e ad un elenco degli arredi dell'Oratorio di San Francesco nel castello di Bardi, proprietà del principe Federico II Landi. Il quadrò giungerà a Piacenza nel 1862, dove è conservato tuttora nella pinacoteca dei Musei Civici di Palazzo Farnese. Il “Tondo” rappresenta la Madonna inginocchiata e adorante in preghiera davanti al Bambino, adagiato su un cuscino di rose recise dai due vicini cespugli. La terza figura del quadro è San Giovannino, inginocchiato ed adorante. Nella parte bassa si trova dipinta una finta cornice in legno, al di sotto della quale si può leggere la frase: “QUIA RESPESIT HUMILITATE ANCILE SUE”, tratta dal Canto del Magnificat, derivante dal Vangelo di Luca (1, 4655), il cui significato: "Perché Dio osservò l’umiltà della Sua Ancella". Lo sfondo ricorda paesaggi leonardeschi. La preziosa cornice intagliata è originale ed è stata dorata alla foglia d'oro. Spostandoci da Palazzo Farnese al Collegio Alberoni, troviamo un altro dipinto eccezionale: l’Ecce Homo di Antonello da Messina. Realizzato attorno al 1475, il dipinto fa parte del lascito del Cardinale Giulio Alberoni al Collegio da lui fondato a Piacenza nel 1752. Il quadro fu quasi sicuramente acquisito dal cardinale a Roma intorno al 1725, insieme ad altri arredi e resterà sempre al Collegio. Considerato all’epoca della sua realizzazione di scarso valore, il dipinto finirà anche all’asta dopo la morte del cardinale (che aveva disposto di vendere le
Itinerari 2020
opere d’arte per acquistare ulteriori terreni) ma resterà invenduto. Una “fortuna” che permette, oggi, a tutti, di poter ammirare questo preziosissimo capolavoro tra i più intensi e drammatici di Antonello da Messina. Il soggetto del quadro costruisce una sintesi tra Ecce Homo e quella del Cristo appoggiato alla colonna della flagellazione, e questo espediente mette in contatto il dipinto con lo spettatore. Rispetto alle altre versioni dell’Ecce Homo realizzate da Antonello da Messina, la versione di Piacenza e senza dubbio la più riuscita, per la sicurezza dell'impostazione degli spazi e la sapiente gradazione degli effetti luminosi. Antonello sembra aver raggiunto, in questo dipinto, la perfetta sintesi tra realismo “fiammingo”, con una raffinata resa di particolari come capelli, peli della barba, lacrime, stille di sangue, cartellino con la firma dove appare una data poco leggibile, e la visione plastico-prospettica tipica del rinascimento italiano. Infine dobbiamo viaggiare con la fantasia per l’ultimo dipinto: sebbene realizzato da Raffaello appositamente per la Chiesa piacentina di San Sisto, la Madonna Sistina oggi, si trova a Piacenza solo come copia dell’originale, ora a Dresda. Il dipinto è stato realizzato tra il 1513 e il 1514 e forse doveva simulare una finta finestra al centro dell'abside della Chiesa di San Sisto, realizzata nella sua forma attuale per dare un nuovo tempio al convento nel 1490. Dopo una crisi indotta probabilmente da una rovinosa piena del Po, i monaci del convento di San Sisto decidono di vendere l’opera d’arte, nel 1754, ad Augusto III di
ITINERARI A PIACENZA QUATTRO DIPINTI
Polonia, che offrì però una copia di Giuseppe Nogari da collocare nella sede originaria (tutt’ora presente nella Chiesa; non si tratta, quindi di una copia “moderna”). Elettore di Sassonia col nome di Federico Augusto II, egli integrò la tela alla collezione che costituì il nucleo dell'attuale Gemäldegalerie Alte Meister ed al suo arrivo a Dresda avrebbe accolto il dipinto nella sala del trono esclamando: "Fate posto per il grande Raffaello". Nel secondo dopoguerra il dipinto fu poi trafugato e trasferito a Mosca nel 1945, ma fece ritorno a Dresda nell'ottobre 1955. Nel dipinto una tenda verde scostata rivela una stupefacente epifania mariana, tra i santi Sisto papa e Barbara (riconoscibile per la torre). Maria appare discendente da un letto di nubi, col Bambino in braccio, mentre guarda direttamente verso lo spettatore. Anche i due santi accentuano, coi loro gesti, il momento teatrale indicando e guardando verso l'esterno. In basso al centro si affacciano due angioletti pensosi, tra le realizzazioni più popolari di Raffaello e del Rinascimento, spesso riprodotti anche come soggetto indipendente.
35
ITINERARI A PIACENZA TRE BASILICHE
Itinerari 2020
TRE ITINERARI, TRE BASILICHE: LA CATTEDRALE, SANT’ANTONINO E SANTA MARIA DI CAMPAGNA
36
Piacenza ha moltissime splendide Chiese, ricche di opere d’arte, storia e cultura. Ecco allora tre itinerari tra le basiliche di Piacenza. Non si può che partire dalla Cattedrale, il centro della religiosità della città. Il Duomo nasce sulle ceneri dell’antica Chiesa di Santa Giustina (co-patrona di Piacenza insieme a Sant’Antonino) distrutta nel 1117 da un terremoto (la Chiesa era stata costruita nell’885 d.C. come Cattedrale ereditando il ruolo da Sant’Antonino, che invece risale al IV secolo). Nel 1122 il vescovo Aldo fa partire i lavori per la nuova Cattedrale, che sarà dedicata a Santa Maria Assunta. Il Duomo viene consacrato nel 1132 mentre l’Angelo dorato (l’Angil dal Dom) sarà issato sulla guglia dell’altissimo campanile, progettato da Pietro Vago, nel 1341. Durante il rinascimento vengono aggiunti arredi ed altari, mentre nel 1897 il vescovo Giovan Battista Scalabrini fece partire un restauro per riportare la Cattedrale alle caratteristiche originarie, sebbene cancellando storiche testimonianze artistiche. Passando invece, a Sant’Antonino, la prima basilica, paleocristiana, risale addirittura al IV secolo e fu eretta per volere di Vittore, primo vescovo di Piacenza. Nel 400 Savino trovò miracolosamente i resti di Sant’Antonino sotto quella che è oggi la piccola Chiesa di Santa Maria in Cortina. Anche se fuori dalle mura, nel Medioevo fu la Cattedrale della città anche per il fatto che proprio davanti alla basilica passa la via Francigena, che collegava i paesi del Nord Europa con la Terra Santa. Per proteggersi da incursioni crescenti si pensò, però, di spostare la Cattedrale all’interno delle mura (nella nuova Santa Giustina) senza però “abbandonare” Sant’Antonino, ricostruita nell’870 per volere del vescovo Paolo. Nuove incursioni imposero restauri nel X e XI secolo, che portarono la Chiesa nel 1004 alle sue forme attuali. Nel XII e XIII secolo venne costruita la “porta del paradiso” e nel 1183 accolse i firmatari per i preliminari della Pace di Costanza. Gregorio X,
unico Papa piacentino, fu canonico di Sant’Antonino. La Basilica è ancora nel cuore di tutti i cittadini di Piacenza, nel loro legame storico e culturale con Sant’Antonino. Un’altra Basilica di grande importanza è quella di Santa Maria di Campagna: eretta tra il 1522 e il 1528, su progetto dell’architetto Alessio Tramello è una della più importanti della città. Nel 1095, sul suo piazzale fu indetta la prima crociata da Papa Urbano II, durante il Concilio di Piacenza (che contò qualcosa come 200 vescovi, 4.000 ecclesiastici e 30.000 laici, e per questo si tenne all’aperto, fuori dalle mura). A quei tempi esisteva forse un piccolo tempio in quel luogo, dedicato alla Vergine Maria. Tradizione vuole che fosse stato eretto sulla tomba di alcuni martiri del IV secolo. Nei secoli il sacello divenne troppo piccolo, perciò, fu necessario costruire una nuova Chiesa. Tramello progettò una enorme basilica a croce greca con una perfetta simmetria tra le parti architettoniche. La Chiesa fu decorata dal Pordenone e dal Sojaro. Pier Luigi Farnese chiamò a reggere il nuovo tempio i Frati Minori che costruirono il convento e nell’aprile del 1561 la chiesa fu consacrata.
Itinerari 2020
ITINERARI A PIACENZA LE STATUE DI PIAZZA CAVALLI
ALESSANDRO E RANUCCIO: STORIA E ARTE DELLE DUE STATUE EQUESTRI PIÙ FAMOSE DI PIACENZA Chiunque senta nominare Piazza Cavalli, oltre al grande palazzo Gotico, uno tra i simboli di Piacenza, non può che collegare la piazza alle due straordinarie statue equestri dedicate ad Alessandro e Ranuccio Farnese. Il legame tra i due “cavalli” e i piacentini è indissolubile quasi sconfinando nel mitologico: chiunque decida di fare una passeggiata in centro, oppure semplicemente chi si dia appuntamento in piazza non può che prendere come punti di riferimento le due statue, che, seppur all’ombra del Gotico dominano senza dubbio la piazza. Le statue di bronzo che hanno reso la piazza grande di Piacenza unica nel suo genere, furono commissionate da Ranuccio I Farnese, duca di Parma e Piacenza dal 1592 al 1622, che desiderava così rendere omaggio alle gesta del padre, Alessandro Farnese, assicurando, nel contempo, anche memoria futura del suo regno. Ranuccio per il lavoro convocò Francesco Mochi, da Roma, che aveva già lavorato al Duomo di Orvieto e che frequentava spesso il palazzo Farnese romano, guadagnandosi un’ottima fama. Furono commissionate due grandi statue di bronzo, che dovevano celebrare la famiglia Farnese, riconquistando anche il favore della popolazione. L’ubicazione scelta, già dall’inizio fu quella che sarà poi definitiva, ovvero la grande piazza del Comune (palazzo Gotico in quel periodo era la sede dell’amministrazione comunale). Il Mochi, dopo aver disegnato e preparato il calco per la prima statua, quella di Ranuccio, ne iniziò la fusione nell’estate del 1612. Nella statua Ranuccio è raffigurato con aria flemmatica e gentile, con un diploma stretto nella mano destra e con un abbigliamento da valoroso romano antico. Altrettanto aggraziato sarà il cavallo di Ranuccio, con una zampa alzata e perfettamente “controllato” dal duca. Il secondo cavallo, quello di Alessandro, invece, avrà una realizzazione più lunga e complessa, forse anche per le dif-
ferenze stilistiche evidenti rispetto alla prima statua. Realizzata tra il 1620 e il 1625 la seconda statua rappresenta Alessandro Farnese avvolto in un ampio mantello, dinamico in una posizione “rivoluzionaria”, non statica o flemmatica. Il cavallo montato da Alessandro, inoltre, è impetuoso, con lo sguardo acceso, con una muscolatura “tirata” e pronta ad andare al galoppo e perfino la criniera è mossa e “in disordine”. Si tratta di un evidente incontroscontro di due diverse personalità e due diversi modi di intendere la vita. Le statue, inoltre, sono arricchite con iscrizioni e bassorilievi, che, per Ranuccio, rappresentano allegorie del buon governo e periodi di pace, mentre per Alessandro mostrano l’assedio di Anversa, e la liberazione di Parigi, episodi che videro Alessandro protagonista, nelle sue guerre a fianco della Spagna. Le due statue, inoltre, così uguali e così diverse, mostrano la loro differenza anche negli sguardi dei protagonisti che guardano in direzioni diverse. È interessante ricordare come Alessandro Farnese, chiamato nel 1577 nella Fiandre da Filippo II di Spagna non governò mai il ducato di Parma e Piacenza, diventandone formalmente duca alla morte del padre Ottavio nel 1586, ma preferendo lasciare la reggenza a Ranuccio (solo 17enne). Durante il soggiorno a Piacenza, il Mochi realizzò anche la statua in stucco di Ranuccio Farnese in ginocchio nella Basilica di Santa Maria di Campagna.
37
ITINERARI A PIACENZA PALAZZO FARNESE
Itinerari 2020
PALAZZO FARNESE, SCRIGNO DI TESORI PIACENTINI
38
Palazzo Farnese è uno dei più importanti palazzi di Piacenza: posto a nord del centro storico, il palazzo ospita i Musei Civici e l’Archivio di Stato, oltre a tantissime opere d’arte e collezioni, dal “Tondo” di Botticelli alla collezione di carrozze storiche, mentre sul suo cortile si affaccia anche il Museo Archeologico di Piacenza, dove è conservato un altro simbolo della città il “Fegato Etrusco”. Palazzo Farnese viene costruito ai tempi di Margherita d’Austria, duchessa di Parma e Piacenza, figlia di Carlo V e moglie di Ottavio Farnese (che preferirà risiedere a Parma, mentre la duchessa preferirà sempre Piacenza). Lo scopo del Palazzo non era difensivo, vista l’alleanza con l’impero, sugellata dalle nozze tra Ottavio e Margherita, ma doveva essere simbolo del potere dei Farnese. Il primo incarico di costruire la nuova residenza fu affidato all’architetto Francesco Paciotto, che, nel 1558, si proponeva di utilizzare proprio le vecchie fondamenta del castello visconteo, non lontano dalle rive del Po. I problemi legati all’impossibilità di utilizzare le antiche fondamenta, tuttavia, portarono i duchi a rivolgersi ad un altro architetto, legato alla casata Farnese, Jacopo Barozzi detto il Vignola. Nel nuovo progetto, datato 1561, il Vignola pensò di ingrandire l’edificio e aumentare la grandezza del cortile, abbandonando l’idea di costruire sulle preesistenti architetture viscontee. Palazzo Farnese resterà, però, incompiuto: i lavori si interruppero nel 1602. La mancanza di fondi e la mutata situazione politica del Ducato, portarono a lasciare il progetto del gigantesco palazzo a metà: una dimensione, peraltro, più che sufficiente alle esigenze ducali (la capitale del Ducato, d’altro canto era a Parma). Con l’estinzione dei Farnese nel 1731 e il passaggio dei loro beni ai Borbone inizia la decadenza del Palazzo: Carlo di Borbone, divenuto re di Napoli, nel 1734 trasferì quadri e arredi da Piacenza alla città partenopea. Il palazzo fu poi saccheggiato dalle truppe di Napoleone nel 1803, mentre nel 1822 fu adibito a caserma della guarnigione austriaca. Durante la seconda Guerra Mondiale fu anche il rifugio per i senza tetto. Soltanto nel 1965 viene costituito l’Ente per il restauro e l’utilizzazione di Palazzo Farnese, che permise il rifacimento delle coperture e degli intonaci delle sale, la ripulitura di stucchi e il restauro e ricostruzione dei pavimenti. All’inizio degli anni ’90 le sale del primo piano sono state rese idonee ad accogliere le collezioni artistiche della pinacoteca e viene restaurata la splendida Cappella Ducale. Vengono restaurati negli stessi anni anche il piano se-
minterrato e le facciate esterne. Oggi Palazzo Farnese è sede dei Musei Civici, e al suo interno si possono trovare alcuni capolavori come il “Tondo” del Botticelli, dipinto tra il 1475 e il 1480. Il committente è tuttora ignoto e le prime tracce documentate risalgono al 1642. Si tratta di un vero capolavoro, che rappresenta la Madonna adorante il Bambino con San Giovannino, tra rose e cespugli, con uno sfondo che ricorda paesaggi leonardeschi. Sempre nel complesso di Palazzo Farnese, nel Museo Archeologico (oggi in un locale della vecchia “Cittadella”) è conservato anche il Fegato Etrusco o Fegato di Piacenza. Si tratta di un modello bronzeo di fegato di pecora con iscrizioni etrusche, usato dai sacerdoti aruspici per le divinazioni risalente al II-I secolo a.C. Rinvenuto da un contadino durante l'aratura il 26 settembre 1877 nella località Ciavernasco, nei pressi di Settima, frazione di Gossolengo, il fegato è una straordinaria testimonianza del proseguire anche nell’antica Roma degli antichi culti etruschi. Il fegato bronzeo è suddiviso in sedici regioni marginali (che rappresentano probabilmente la ripartizione della volta celeste) e ventiquattro regioni interne. Ciascuna regione riporta inciso il nome di una divinità. Nel prossimo futuro, inoltre, Palazzo Farnese aprirà una nuova sezione dedicata al mondo romano: Piacenza, infatti, è da sempre legata in modo speciale a Roma, a cui deve la sua stessa fondazione.
Itinerari 2020
ITINERARI DEL GUSTO PALAZZO GOTICO
GOTICO, IL PALAZZO DI PIACENZA Uno dei palazzi simbolo della città di Piacenza è senz’altro Palazzo Gotico. Il gande palazzo domina Piazza Cavalli, la principale della città ed è il vero cuore di Piacenza. Il “Gotico” in realtà era il Palazzo Comunale della città ed ha mantenuto questa funzione per secoli, prima dello spostamento della sede del Comune a Palazzo Mercanti. Il “Gotico” venne costruito a partire dal 1281 e sorge sopra un’area dove persistevano il convento di San Bartolomeo e la chiesa di Santa Maria de Bigulis. I lavori furono condotti da quattro architetti: Pietro da Cagnano, Negro de Negri, Gherardo Campanaro e Pietro da Borghetto. Il Palazzo, secondo il progetto originale doveva essere a piata quadrangolare ma è incompiuto, probabilmente per una crisi a seguito di una pestilenza. Lo stile del Palazzo è quello dei broletti lombardi. Il Palazzo si regge su un grande portico con archi acuti, rivestiti in pietra bianca e marmo rosso di Verona, mentre la parte superiore è realizzata in cotto. Il primo piano vede ampi finestroni, ad arco, che possono assomigliare a grandi cornici con decorazioni geometriche e piccole colonne a sostenerli. Il palazzo ha anche un rosone in marmo, sul lato sinistro. L’attuale aspetto del Palazzo, però, si deve ai restauri del 1908, che hanno eliminato l’orologio, posto sulla torretta di sinistra,
spostandolo sulla facciata del Palazzo del Governatore, un balcone, che era al centro della facciata ed altri elementi, come una decorazione centrale dove era posizionata una campana. All’interno c’è un grande salone originariamente creato per le grandi assemblee, ma che nel corso dei secoli fu utilizzato anche come magazzino o teatro. L'11 giugno 1351 fu ospitato l'illustre poeta Francesco Petrarca mentre il 18 febbraio 1561 fu utilizzato come sede per i festeggiamenti del carnevale che quell’anno rimase famoso per le giostre e feste straordinarie indette dal Duca Ottavio Farnese. Una Madonna col Bambino, del sec. XIII, un tempo posata in una nicchia della facciata, è ora conservata ai Musei Civici di Palazzo Farnese e sostituita da una copia.
39
Itinerari 2020
Itinerari 2020
DULS E BRÜSC Ingredienti: Zucchero Aceto Uva passa Carne di pollo (o di maiale, o tacchino) Acqua Strutto Olio Cipolla Pane grattugiato Preparazione: Fate lessare mezzo pollo (o tacchino oppure carne di maiale) e quando è ad un terzo della cottura toglietelo dal brodo e lasciatelo scolare. A questo punto tagliatelo a pezzi e mettetelo in un tegame di coccio con una salsina precedentemente preparata a base di strutto, olio e cipolla tritata. Fate rosolare il tutto, rimescolate e aggiungete: un grosso bicchiere con tre parti di acqua e una d’aceto, alcuni cucchiai di zucchero, e l’uvetta passa rinvenuta in acqua. Lasciate bollire lentamente e, prima di togliere dal fuoco, aggiungete il pane grattugiato, badando che il liquido non venga completamente assorbito.
ITINERARI DEL GUSTO RICETTE
TAGLIATELLE RICOTTA E NOCI Ingredienti: Per la pasta 3 uova intere 400 g di farina Acqua Per il condimento 30 g di burro 30 g di olio 150 g di ricotta Formaggio Grana 5-6 noci Sale Preparazione: Impastate la farina con le uova, aggiungendo, ma solo se necessario, pochissima acqua. Tirate la sfoglia e tagliate tante “liste” alte circa un dito. In un recipiente preparate il condimento con olio, burro, sale e infine ricotta. Amalgamate bene e fate cuocere. Tolto il tegame dal fuoco, unite le noci spellate, tritate finemente e versate il composto nelle tagliatelle (che nel frattempo avrete fatto cuocere in acqua leggermente salata). Cospargete, poi, con formaggio Grana grattugiato.
41
ITINERARI DEL GUSTO RICETTE
COPPA ARROSTO Ingredienti: Coppa fresca di maiale Vino bianco secco Burro Olio Cipolla Rosmarino Sale e pepe 42
Preparazione: Lasciate intenerirsi per qualche giorno la coppa fresca, steccatela con aglio e rosmarino e fatela dorare in un tegame con olio, burro e cipolla tritata. Quando sarà ben rosolata, bagnate l’arrosto con mezzo bicchiere di vino bianco secco e continuate con la cottura (se possibile in forno con recipiente coperto) rivoltandolo e bagnandolo più volte con sugo per mantenerlo il più possibile morbido. A tre quarti di cottura togliete il coperchio affinché l’arrosto si “colori” bene e il sugo si restringa. La Coppa può poi essere servita a fette, con sugo.
Itinerari 2020
FOCACCIA CON I CICCIOLI Ingredienti: 1/2 Kg di farina bianca Sale Acqua Lievito di pane Lievito di birra Ciccioli freschi Preparazione: Tagliate i ciccioli a pezzetti e fateli soffriggere in una padella con strutto oppure olio e lasciate in caldo. Potete poi impastare la farina con acqua, sale e i due tipi di lieviti. Per ultimi unite i ciccioli tiepidi. Fate riposare un’ora / un’ora e mezzo sotto un tovagliolo e un panno di lana. Rompete, poi, l’impasto, amalgamate, date forma rotonda o quadrata, schiacciando con le nocche e infornate con forno caldo (poi abbassate la temperatura).
Itinerari 2020
ITINERARI DEL GUSTO RICETTE
MALFATTI
BUSLANÊI (ciambelline)
Ingredienti: 1/2 Kg di spinaci o biete 4 hg di ricotta 4 uova 2 manciate di formaggio grattugiato Un pizzico di sale Odore di noce moscata 4 cucchiai di farina bianca
Ingredienti: Farina Burro Latte Zucchero
Preparazione: Iniziate lessando gli spinaci, poi scolateli, strizzateli e tagliateli fini. Con un poco di burro li farete poi passare in un tegame. Lasciateli raffreddare e, quando saranno tiepidi, versateli in una terrina con la ricotta, i tuorli e gli albumi leggermente montati. A questo punto aggiungete la farina, il sale, l’odore di noce moscata e il formaggio grattugiato, fino ad ottenere un composto abbastanza sodo. Amalgamate bene il tutto, poi, con un po’ di farina, formate una “biscia” larga circa un pollice. Tagliatela a pezzetti di 2 cm circa e cuoceteli in acqua salata. Una volta pronti condite il tutto con burro fuso e formaggio.
Preparazione: Impastate farina, burro, zucchero e latte, formando cordoni regolari. Tagliate i cordoni a pezzi che andranno chiusi ad anello sull’indice della mano sinistra. Le ciambelline così ottenute andranno poi scottate in acqua non bollente e messe in forno molto caldo per circa mezz’ora. A questo punto le ciambelline vanno infilate con un grosso filo bianco a formare lunghe collane, che andranno messe nel forno tiepido per un’ora; ne usciranno “biscottate” e si manterranno fresche a lungo.
43