Economy maggio2017

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Maggio 2017 | Euro 4,50

FEDERMANAGER: I PROGRAMMI DEI DIRIGENTI PER IL RILANCIO DELL’ECONOMIA.

IL MADE IN ITALY VE LO VENDO IO In Cina con l’ e-commerce di Jack Ma Istruzioni per l’uso di Alibaba EXPORT/1 - ESCLUSIVO

Assocamerestero: dove conviene esportare nel 2017

EXPORT/2 - STATI UNITI

ECONOMY | ANNO I | N.01 | MENSILE | MAGGIO | DATA DI USCITA IN EDICOLA: 18 MAGGIO 2017

Napolitano: « Fare affari in piena era Trump»

VITTADINI: valori, la vita torni al centro FINANZIAMENTI/1: come convincere le banche FINANZIAMENTI/2: come fare a meno delle banche INTERVISTA CON CALENDA Con il piano per l’Industria 4.0 incentivi anche a chi non fa utili

INTERVISTA CON MARONI Così la Lombardia finanzia le imprese che fanno innovazione

DE BORTOLI

TURISMO

START-UP-TELLING

ENOGASTRONOMIA

«Il terzo settore, via italiana alla sharing economy»

Le neoimprese che iniziano a fatturare e produrre profitti

Vacanze disconnesse, come e dove staccare veramente Una cantina da intenditori a portata di mouse






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EDITORIALE

UN’INFORMAZIONE CHE AIUTI A LAVORARE

C

omplimenti!», ti dicono, ma con quel tono che induce a chiedersi se apprezzino davvero o se invece considerino un po’ folle quello che fai, come a dire: DI SERGIO LUCIANO «Un nuovo giornale in edicola di questi tempi? Bel coraggio!». Be’, il coraggio aiuta - chiunque faccia impresa lo sa - a lanciare un nuovo prodotto, di qualunque genere. Ma occorre anche il calcolo delle probabilità. Col quale abbiamo messo a fuoco una certezza: c’è bisogno di un’informazione seria e autentica, che riesca a spiegare le continue novità intervenute, soprattutto dalla crisi in poi, a cambiare fin dalle radici il mondo del lavoro e dell’impresa, i consumi, le relazioni economiche, tutto l’“ecosistema” in cui viviamo. Un mondo rivoluzionato dalla Rete, dall’intelligenza artificiale, dalla globalizzazione, dal tramonto degli schemi logici tradizionali e di molte delle vecchie regole, magari imperfette ma note, ed oggi invece semplicemente saltate, senza sostituzione. C’è spazio di business per un’informazione che aiuti a fare business, a trovare lavoro, a raggiungere o mantenere o migliorare il proprio sacrosanto livello di benessere. Un’informazione utile. La password con cui il nuovo Economy vuole entrare negli interessi costanti di chi da oggi lo legge

è: utilità. Un giornale che serva a capire e a usare i tempi nuovi. Modelli, opportunità, soluzioni: per orientarsi nel “nuovo” c’è bisogno di questo, e queste sono le nostre promesse ai lettori. Che si abbiano vent’anni (beati loro) e si debba capire cosa studiare, che se ne abbiano sessanta e si viva invece l’ansia di non sapere come rinnovare la propria attività per i prossimi dieci, bisogna comunque orientarsi nel nuovo. Scremando dal sovraccarico di informazioni che ci travolge ogni giorno quelle che davvero meritano e “restano”; individuando i modelli da imitare; cogliendo e segnalando le opportunità; riconoscendo i problemi e proponendo soluzioni. Rilanciare il giornalismo “di servizio” è un modo in più per arginare la “post-verità” e superare l‘intrattenimento fine a se stesso dei social. Tutto il rispetto, e anche un po’ d’invidia per i numeri, ma c’è vita oltre la fuffa. Nel progettare il nuovo Economy ci siamo proposti insomma di realizzare uno strumento di lavoro. Che sia, però – naturalmente – anche gradevole a leggersi. E quindi largo alla narrazione piacevole, ai testimonial credibili, alle storie che comunicano da sole. Riportiamo Economy in edicola – grazie alla fiducia che la Mondadori ha dato a un gruppo di professionisti disposti a rischiare un po’, concendoci in licenza il marchio - con un mix rinnovato tra edizione cartacea, mensile, e piattaforma web, aggiornata

UNA CHIAVE PREZIOSA PER DECIFRARE E UTILIZZARE TUTTO IL NUOVO CHE CI RIGUARDA quotidianamente, con dati e documenti collegati alla rivista, a corredo e integrazione reciproca. Le novità si auto-racconteranno, speriamo, pagina per pagina. Ma una segnalazione è doverosa: se Economy rinasce lo si deve anche a un gruppo di persone e di istituzioni che hanno scommesso con noi. I nostri collaboratori, naturalmente, ma anche le nostre partnership editoriali e il nostro comitato scientifico: il colophon del giornale, già prestigioso - e destinato, speriamo, a qualificarsi ancora di più - presenta alcuni nomi cui va tutta la nostra riconoscenza. È grazie a loro che Economy ha trovato il coraggio di lanciarsi in questa rinascita. E un grazie speciale a Giorgio Mulè, senza il cui ok non saremmo nemmeno partiti.

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SOMMARIO

Maggio 2017 013

L’EDITORIALE DI SERGIO LUCIANO

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COVER STORY

IL RE DELL’E-COMMERCE VUOLE TE PER VENDERE IN CINA

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I requisiti per accedere agli scaffali di Alibaba Jack Ma, il primo imprenditore cinese ad andare sulla copertina di Forbes LE CASE-HISTORIES: Manfrotto e Moleskine

LA RICERCA/L’ITALIA CHE CRESCE È SOLO QUELLA CHE ESPORTA

Parla Auricchio: «Spazio per 100 mila esportatori»

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L’INTERVENTO

Fernando Napolitano: Come fare affari in Usa con Trump Vademecum per il mercato Usa, le nove regole d’oro da non violare mai

LA CASE HISTORY

Il provolone seduce gli Usa

LA TESTIMONIANZA

A Dubai Italia vuol dire successo

L’INTERVISTA/STEFANO CUZZILLA:

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LA TECNOLOGIA

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GESTIRE L’IMPRESA «I manager ricostruiranno il Paese» Federamanager: cosa c’è da sapere La «visione» all inclusive Industria 4.0

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Con l’Internet delle cose, rivoluzioniamo tutto o chiudiamo bottega 90 miliardi da Intesa Sanpaolo alle Pmi

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L’INTERVISTA/1 Carlo Calenda: «Imprenditori, ora tocca a voi» Export, tre anni col segno più davanti

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L’INTERVISTA/2 Roberto Maroni:

«Oltre cento milioni per le imprese»

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I MODELLI/1 Con i robot di Camozzi

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SHORT STORIES

• Cosmofarma, economia relazionale • Giuliani (ri)vince innovando • Lu-Ve, il calore del freddo • Bulgari, nuovo building a Valenza

QUEL CHE RESTA DEL MESE

in collaborazione con

ILSUSSIDIARIO.NET

• Vittadini: «La demografia e la vita» • Il senso di un’intesa • Commedia a Bruxelles, di G. Sapelli • Una guerra diversiva? di M. Bottarelli

UOMINI E DENARI

L’Italia deve recuperare credibilità

QUI YALE

ll crowdfunding e lo street-food

QUI PARIGI

Il futuro è la “banca larga

l’Iot prende il volo nel mondo

068

053

I MODELLI/2 Formula Ibm. Si parte

CI PIACE/La Bundesbank NON CI PIACE/Pellicioli

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PROFESSIONISTI 4.0

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dai dati e si vince con l’intelligenza

IL COLLOQUIO Ferruccio De Bortoli

«Il volontariato come sharing economy»

050

«Manovrina? Un salasso da 300 milioni»



SOMMARIO

071 072

073 074 076 078 080

FINANZIARE L’IMPRESA LE BANCHE NON SONO CATTIVE PRENDIAMOLE PER IL LORO VERSO

Mensile edito da Economy Srl

Cultura, comportamento e competenza finanziaria Rating? Facciamo chiarezza E intanto il sistema creditizio va in affanno I buoni fondi che rimettono i nostri debiti L’Aifi vista da vicino Fatture in rete e la liquidità entra subito in circolo

Direttore responsabile Sergio Luciano In redazione Francesco Condoluci (caporedattore), Marco Scotti, Riccardo Venturi Contributors Gaetano Fausto Esposito, Camilla Sala, Giuseppe Corsentino, Giovanni Francavilla, Alfonso Ruffo

084-085 L’ARTE DEL BILANCIO

Chi ha le carte in regola le metta bene in mostra Quali vantaggi implica la revisione Ma quanto costa revisionare?

086 087

OSSERVATORIO ECONOMICO

Il private equity sta riscoprendo Il made in Italy: come giovarsene? Come devono essere le aziende per attrarre?

112 112

089

COMUNICARE L’IMPRESA E’ LA COMUNICAZIONE, BELLEZZA E IL CLIENTE VA SEGUITO A VISTA

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FoodFwd: la ricetta digitale per il mondo del food

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Bebe Vio: dolcezza ed energia un testimonial magico per un brand

095 098 100 101 102

STORY-LEARNING

Le mille vite di Saes Getters Reinventarsi e restare leader Tecnoinvestimenti, dividendi boom Universitrading per fare Borsa come i «guru» di Wall Street IDBGroup la dolcezza che fa rima con l’etica Novavision scommette sull’elettromedicale 4.0

104-105 IL PAESE CHE CRESCE

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Jti è prima nei top employer L’energia di AB arriva in Canada Fluid-o-tech, l’azienda già nel futuro Canclini tessile raddoppia Bts, energia pulita fino in GiapponeMoncler continua a crescere

STARTUP-TELLING TUTTI GLI ERRORI DA EVITARE

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• La Bocconi e il motore dei lavoretti • Radar di sicurezza per anziani • Una App che crea i concorsi a premi • L’energia diventa intelligente • Mandami lo scontrino, ti compenserò • I protettori del copyright • Tutti i modi per dire «Buon appetito»

VITA DA MANAGER LO STRESS BELLO E AMARO DI ESSERE MANAGER OGGI

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Dirigenti allo specchio: Simoni, Rinaldi, Serafini Voglio una vacanza disconnessa

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DOMANDE & OFFERTE MANGI CHIC PAGHI POP

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VINO IN TAVOLA? CON UN CLICK LA SCIENZA IN CAMPO

«Nutraceutica «eccellenza barese»

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E POI IL PIACERE...

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Moda & gioielli oggi sposi Riva e Lamborghini, bellezza in moto Bolgheri, l’Eldorado dei «fine wines» L’albergo a ore oggi non imbarazza più

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MOTORI

per far vivere la start-up Ritardo Italia in investimenti digitali

110-111 IL NUOVO CHE CRESCE

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Talent Garden fa fiorire start-up e talenti in Italia e in Europa Le tappe fondamentali nella crescita Ristrutturazioni intelligenti, la sfida vinta da Casarenova

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Quando la sportiva incontra l’eleganza Jaguar, emozioni a trazione integrale

MUST HAVE Fuji, Simzxtv, Huawei, Samsung

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A PLACE TO BE Ginori, De Nigris, L’oro di Arezzo

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LE RAGIONI DEL GOSSIP Indovina chi viene a cena

Hanno collaborato Guido Casetta, Silvana Delfuoco, Federico Ferrero, Marco Gemelli, Gilda Giuffrida Isa Grassano, Alessandro Luongo, Alessandro Luciano Valerio Malvezzi, Susanna Messaggio, Luigi Orescano, Rita Palumbo, Monica Setta, Elisa Stefanati Grafica e impaginazione Raffaela Jada Gobbi Liliana Nori Segreteria di redazione Monia Manzoni Dominio web www.economymag.it Comitato scientifico Marco Gay, Anna Gervasoni, Fernando Napolitano, Giulio Sapelli, Antonio Uricchio Amministratore unico Giuseppe Caroccia Editore incaricato Domenico Marasco Partnership editoriali Aifi – Assocamerestero - Confprofessioni – Federmanager – Università Carlo Cattaneo Liuc Hrcommunity Casa editrice Economy s.r.l.

Corso Vittorio Emanuele 15 20121 Milano - Tel. 02-8688641 Registrazione Tribunale di Milano n. 101 del 14/03/2017

©2017 Arnoldo Mondadori Spa Tutti i diritti riservati Pubblicato da Economy s.r.l.su licenza di Arnoldo Mondadori Editore Spa

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Stampa

G.CANALE & C. S.p.a Via Liguria, 20 Borgotaro (TO)


Duca


ORIO AL SERIO MALPENSA

Duomo

LINATE


COVERSTORY 24 CASE HISTORY MOLESKINE E MANFROTTO VINCENTI SUL WEB

26 ASSOCAMERESTERO RICERCA ESCLUSIVA DOVE ESPORTARE NEL 2017

IL RE DELL’E-COMMERCE VUOLE TE PER VENDERE I TUOI PRODOTTI A 500 MILIONI DI CONSUMATORI CINESI Se Trump “compra americano”, chiunque ora può esportare in Cina sugli scaffali digitali di Alibaba, il colosso inventato da Jack Ma. Però non è una sfida per chiunque: ecco i segreti per vincerla di Sergio Luciano

30 IL VADEMECUM FERNANDO NAPOLITANO «FARSI APPREZZARE IN USA»

32 PROVOLONE PADANO NEGLI STATES CON I FONDI UE L’APERITIVO ALL’ITALIANA

34 LA FRONTIERA ANTONELLO MARTINEZ «DUBAI, CHE CHANCE!»

«S

cinese, 100 milioni di persone su un miliardo mall is powerfull, small is beautiful»: pae mezzo, si calcola guadagnino oltre un miliorola di Jack Ma, il più forte imprenditore ne di dollari l’anno. Ebbene, quest’astronave mondiale dell’ecommerce con Alibaba, che dell’ecommerce che l’Occidente non ha ancoda circa un anno e mezzo è sbarcata anche in ra capito fino in fondo, che Italia a caccia di imprese - medio-grandi ma anche IL PORTALE TMALL HA VENDUTO è stata capace di vendere IN 33 SECONDI 355 GIULIA ai cinesi in 33 secondi 350 piccole! – che abbiano l’iDELL’ALFA ROMEO AL PREZZO dentikit (e i prodotti) giusti DI 58 MILA EURO: UNA POTENZA Giulia dell’Alfa Romeo a una media di 60.000 euro sulla per finire sui giganteschi, COMMERCIALE SENZA PARI sua piattaforma B2C Tmall, infiniti scaffali digitali del guarda anche alle piccole e medie imprese suo centro commerciale virtuale Tmall ai quaitaliane di marca. Quelle che hanno prodotti li si approvvigionano ogni anno 443 milioni di utenti. Consumatori comuni ma anche super JACK MA DURANTE IL SUO INTERVENTO ALLA GLOBAL CONFERENCE ricchi, visto che un buon 7% della popolazione ON WOMEN AND ENTREPRENEURSHIP

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COVERSTORY

innovativi, di qualità, trendy e che rappresentano il lifestyle italiano. «Quando Jack Ma andò a Wall Street nel giorno della quotazione ci tenne a dirlo: Alibaba è un colosso al servizio delle Pmi», spiega Rodrigo Cipriani Foresio, managing director del Gruppo Alibaba per il Sud-Europa, di stanza a Milano. «Questo significa che aiutiamo le imprese che hanno le caratteristiche adatte ad esportare in Cina. Perché riuscirci non è un gioco da ragazzi. È una grandissima opportunità per le aziende esportatrici italiane (l’italia esporta più in Svizzera che in Cina), ma bisogna andare attrezzati ed organizzati». Già: premessa tutt’altro che scontata. Precisa Cipriani «Ci sono almeno tre precondizioni necessarie per entrare su Alibaba: occorre avere, o costruirsi, la capacità di aprire un negozio digitale, che non è come aprirne uno in via Montenapoleone, richiede competenze tecniche per adattarlo alle specifiche dei nostri portali, per questo noi consigliamo di rivolgersi a un partner specializzato che sia d’aiuto all’azienda per configurare lo store e gestirlo; se non si ha già un’esperienza di export tradizionale in Cina, occorre studiare «OCCORRE AVERE, O COSTRUIRSI, LA CAPACITÀ DI APRIRE UN NEGOZIO DIGITALE, CHE NON È COME APRIRNE UNO IN VIA MONTENAPOLEONE» E RICHIEDE COMPETENZE TECNICHE SPECIFICHE

il mercato cinese, le esigenze dei consumatori locali e le loro abitudini; è infine necessario prevedere un piano di marketing organico e di medio- lungo periodo. Alle imprese interessate chiediamo di illustrarci il loro piano industriale per i primi 3 anni, per permetterci di capire come pensano di sfruttare le opportunità offerte dal digitale in Cina». D’accordo, ma quando costa? I manager di Alibaba riuniti in Italia – attualmente in un bell’ufficio in corso Europa, a Milano, sotto la

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MA QUANTO COSTA APRIRE UNO STORE SUGLI SCAFFALI ELETTRONICI DI ALIBABA? SOLO 5-10 MILA DOLLARI MA NE SERVONO MOLTI DI PIÙ PER IL LANCIO E LA PROMOZIONE

BRAND 1000 SU ALIBABA ITALIANI

41%

FASHION FOOD

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&WINE

8% 10% COSMESI

%

MUM&

9% HOME&

FORNITURE

BABY

5% AUTOMOTIVE

SOPRA IL TEAM ALIBABA PER L'ITALIA. DA SINISTRA: MANFREDI MINUTELLI, ERNESTO ALBERT ANTONINI MANGIA, ALBA RUIZ LAIGLE, LUCAS LEE, ANGELICA LIN

guida di un capitano di lungo corso come Cipriani Foresio, sono molto chiari: per aprire un negozio, la cifra che Alibaba richiede varia tra 5 e 10mila dollari circa, ma il vero investimento è quanto occorre per il piano di lancio del negozio e della sua gestione. L’obiettivo di Alibaba non è quello di aprire quanti più store possibile, bensì aprire negozi di prodotti che vendano: il modello di business di Alibaba è basato infatti unicamente su una commissione sul venduto (tra il 2 ed il 5% in funzione della categoria merceologica). Ad oggi sono già 150 le aziende italiane che hanno aperto i loro store on-line su Alibaba. Ci sono, ovviamente, i colossi: del Gruppo Fca si è detto, ma ci sono anche, Ferrero, Pirelli, Ariston. Però poi è meno ovvio trovarci anche altri brand, magari non altrettanto grandi, ma


ALIBABA IN NUMERI

1999 VIENE FONDATA LA PIATTAFORMA

4 APRILE A HANGZHOU IN CINA

443

MILIONI

427

MILIONI

UTENTI UTENTI IN TUTTO IL MONDO

O CACCAVALE, CHRISTINA FONTANA, JIAO LIU, RODRIGO CIPRIANI FORESIO,

internazionalmente riconosciuti, come la Perla, PegPerego, De Longhi e Calzedonia. Ci sono anche aziende sorprendenti, perché di nicchia, come la Savinelli, che produce 100 mila pipe all’anno e fattura 20 milioni. E del resto ci sono state anche alcune aziende grandi che hanno fallito lo sbarco su Alibaba perché hanno sbagliato l’approccio al mercato o al canale, mentre aziende molto più piccole, proponendo progetti ad hoc, studiati attentamente per il pubblico cinese, hanno avuto molto successo… perfino qualche startup che, prima della “cura Ma”, fatturava nemmeno due milioni di dollari. Voler aprire uno store su Alibaba e pensare di vendere i propri prodotti solo perché dall’altra parte del computer ci sono centinaia di milioni di consumatori è sbagliato, perché

ATTIVI DA MOBILE

12

MILIONI

VENDITORI ATTIVI

485 FATTURATO 2016

MILIONI DI DOLLARI

46 MILA

+42

MILIONI DI PACCHI

SPEDITI OGNI GIORNO

DIPENDENTI FULL-TIME AL 30 SETTEMBRE 2016

21


COVERSTORY

I REQUISITI PER ACCEDERE AGLI SCAFFALI DI ALIBABA 1) Avere una buona organizzazione aziendale Il primo requisito per un’azienda che voglia “sfondare” in Cina su Alibaba è quella di avere una struttura produttiva e organizzativa capace di sostenere ilboom di domanda che può derivare dall’avvio di una vendita consistente di prodotti on-line. 2) Avere o procurarsi le capacità tecnologiche Poi occorre avere, o procurarsi, la capacità di aprire un store digitale, il che richiede competenze tecniche per adattare il proprio e-store alle specifiche dei portali cinesi, configurarlo e gestirlo, anche rispetto alle esigenze di customer care. 3) Preparare un piano di marketing E’ anche necessario preparare e sottoporre ad Alibaba un piano di marketing serio e di medio-lungo periodo. SOPRA E NELLA PAGINA A FIANCO IL QUARTIER GENERALE DI ALIBABA ITALIA A MILANO.

sugli scaffali ci sono – a competere – anche 1 costruendo». miliardo di prodotti a listino. Non basta quinFatto sta che ad oggi le imprese italiane che si di entrare nello scaffale, bisogna farsi notare. sono proposte per Alibaba sono state centinaE fare marketing on-line: le aziende , con gli ia e di queste, da quando il colosso ha aperto strumenti messi a disposizione da Alibaba i suoi uffici a Milano, 50 hanno aperto il loro possono farlo da sole. store. Non sono troppo poche? Tanto per dare un’idea del mercato, l’11 no«Può sembrare una selezione molto se non vembre del 2016, il Single troppo severa», spiega NEL SINGLE DAY DEL 2016, Day, è stato battuto il record Manfredi Minutelli, buIN UN SOLO GIORNO, SONO STATI di fatturato: in un solo giorsiness development maFATTURATI 17,8 MILIARDI no 17,8 miliardi di dollari, DI DOLLARI CON IL 37% DEI CINESI nager di Alibaba in Italia, con Il 37% dei cinesi che CHE HA COMPRATO QUALCOSA responsabile per il segutilizzano le piattaforme di mento food&wine, «ma Alibaba che ha comprato prodotti internazioè un dato da spiegare. Ci capita spesso che nali, il che vuol dire che l’estero piace molto. molte aziende ci approccino convinte che AliDunque, la sfida è allettante: comprendere le baba acquisti i loro prodotti e provveda poi esigenze dei consumatori cinesi e formulare a rivenderli direttamente, quando invece noi offerte che le intercettino. «Nel marketing il facciamo un altro mestiere. Il nostro ruolo è vuoto non esiste», dice Ernesto Caccavale, che fornire l’infrastruttura tecnologica e i servizi dall’Italia si sta occupando dell’espansione di che facilitino gli scambi tra merchants e acquiAlibaba sul mercato spagnolo: «Se c’è una dorenti – cosa che fa di Alibaba, per definizione, manda, e in questo momento c’è, vuol dire che un marketplace. Difatti le aziende che aprono ci sarà presto o tardi un’offerta. Noi la stiamo il proprio store ne sono le uniche e vere re-

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4) Preparare un piano industriale triennale E devono anche illustrarci il loro piano industriale per i primi 3 anni, per permetterci di capire come vogliono sfruttare al meglio l’opportunità offerte dal digitale in Cina”. 5) Verificare la necessaria disponibilità economica Per entrare sui portali Alibaba occorre stanziare, per iniziare bene, circa 100 mila euro. 6) L’opportunità offerta da E-Marco Polo E’ un accordo dedicato al settore agroalimentare e sottoscritto tra il gruppo Cremonini, la società di consulenza The Cambridge Management Consulting Labs (CMC Labs) e Alibaba, con Intesa San Paolo e Unicredit come partner finanziari. E-Marco Polo prende per mano le piccole imprese “candidate” italiane e si propone come suo general contractor” con i fornitori che gestiranno in Cina l’intero processo di vendite on-line. 7) Prevenire il rischio-contraffazione E’ facile ed efficiente, ma occorre pensarci in tempo e aderire al progetto di Alibaba denominato “Aliprotect”, grazie al quale i brand possono proteggersi dai falsari direttamente sulle piattaforme del colosso.


Sotto: Rodrigo Cipriani Foresio, Managing director del Gruppo Alibaba per il Sud-Europa Manfredi Minutelli, Business development manager di Alibaba Italia

non hanno una struttura tale da permettere l’apertura di un proprio store, hanno la possibilità di vendere i loro prodotti sulle nostre piattaforme, grazie a soluzioni come ALibaba. com, che fa solo B2B, o come E-Marco Polo che è un progetto "Umbrella Model" lanciato di recente e che si avvale di un partner Italiano forte come Cremonini, uno tecnologico, Cmc Lab, e dei due principali gruppi bancari del nostro Paese Intesa e Unicredit». sponsabili e definiscono in tutto e per tutto le Si tratta di uno store su Tmall che offre le strategie commerciali, di branding e il rapporeccellenze alimentari italiane; E-Marco Polo to con il cliente finale. Il che non significa tutprende per mano l’azienda “candidata”a ventavia che verranno poi lasciate sole: è infatti dere e si pone come suo general contractor compito prioritario del nostro team seguirle verso tutti i fornitori che gestiranno in Cina i e indirizzarle dai primi passi fino all’esordio servizi logistici a supporto dei processi di imsul mercato ed oltre». La “branch” italiana di port, marketing, customer care, le strategie e Alibaba fa la prima istruttoria sulle candidatule azioni di brand-marketing. re, poi l’ultima parola spetta agli uffici cinesi: E il problema dei falsi? «Per noi la prevenzio«Finora tutte le nostre proposte sono state ne dei falsi è una priorità assoluta», afferma accettate con entusiasmo». Cipriani Foresio, «e proprio con questo obMa quanto è utile, verabiettivo abbiamo messo OGNI GIORNO SONO CIRCA mente, essere su Alibaba? a punto un sistema molto 200 MILIONI I CONSUMATORI «Serve molto», risponde efficace per proteggere la ONLINE CHE UTILIZZANO Minutelli, «ogni giorno proprietà intellettuale dei LE PIATTAFORME DI ALIBABA sono circa 200 milioni i ENTRANDOCI IN MEDIA 7 VOLTE nostri merchants: ossia consumatori online che Aliprotect, grazie al quautilizzano le nostre piattaforme dal loro smarle i brand, che abbiano o meno uno store su tphone entrando in media 7 volte al giorno Alibaba, possono proteggersi dai falsari die rimanendoci 22 minuti in totale, non solo rettamente sulle nostre piattaforme. In Italia, per comprare, ma per informarsi, chattare e tanto per fare un esempio, abbiamo siglato un scambiarsi reviews dei prodotti, guardare fiaccordo di protezione con il Ministero delle ction, film ed altri contenuti: tutto questo fa Politiche Agricole, Alimentari e Forestali per di Alibaba il più grosso ecosistema dell’e-comaiutare l’industria italiana a proteggere 9 ecmerce al mondo. È importante sapere che ancellenze agroalimentari italiane fra le quali che aziende di piccole e media dimensioni che Prosecco e Pamigiano Reggiano».

JACK MA, IL PRIMO IMPRENDITORE CINESE AD ANDARE SULLA COPERTINA DI FORBES È stato il primo imprenditore cinese a conquistare la copertina di Forbes e viene accreditato di un patrimonio di circa 29 miliardi di dollari, ma verosimilmente approssimato

per difetto. Il suo nome, Jack Ma, è l’occidentalizzazione del nome cinese Ma Yun. Nato il 15 ottobre 1964 ad Hangzhou, provincia di Zhejiang (poche centinaia di chilometri da Shanghai), Jack Ma

impara l’inglese sin dai primi anni dell’adolescenza e inizia come guida turistica. Nel 1995 fonda il portale delle Pagine Gialle cinesi, primo sito web commerciale del Paese, con la benedizione del

Ministero per il Commercio Estero e la Cooperazione Internazionale. Il 1999 è l’anno della fondazione di Alibaba, portale di e-commerce business-to-business che ben presto estende al dettaglio.

23


COVERSTORY I MODELLI

T

Un treppiedi sulla Muraglia La scelta della Manfrotto, leader negli accessori fotografici di altissima qualità, si sta rivelando vincente sin da subito

ra le aziende che compaiono negli scaffali virtuali di Alibaba, c’è anche Manfrotto, leader mondiale nella realizzazione di accessori professionali per foto e video. Nel 2016, l’azienda veneta, che dal 1989 fa parte del gruppo inglese Vitec, ha registrato un fatturato di 151,4 milioni di sterline, con una crescita del 17,5%. L’amministratore delegato di Manfrotto e della Photographic Division di Vitec Group, Marco Pezzana, racconta con soddisfazione il rapporto con il colosso cinese: «Negli ultimi quattro anni, da quando abbiamo preso direttamente in carico la distribuzione, la nostra penetrazione è stata alta. In maniera diretta, e indiretta tramite i nostri clienti, stimiamo superi il 50% delle vendite in Cina, con crescite che a seconda del canale possono superare anche il 60». Dal 2013, Manfrotto è sul marketplace TMall, uno dei brand di Alibaba, inizialmente autorizzando alcuni clienti chiave ad operare sulla piattaforma. Da circa un anno, quindi, è stato aperto «un negozio monomarca dedicato a

Un taccuino da Marco Polo Moleskine ha puntato sul mito tutto occidentale di Hemingway per proporre ai cinesi la sua collezione di oggetti per scrivere

D I taccuini mitici preferiti da Hernst Hemingway sono il prodotto simbolo, non certo l’unico, della Moleskine

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ici agenda e il collegamento con Moleskine è immediato. Sarà per il logo inconfondibile, sarà per una fortunata combinazione di eventi. Fatto sta che il brand Moleskine si è potuto permettere di sbarcare sugli scaffali, fornitissimi, di Alibaba. L’avventura è iniziata nel 2013, «ma negli ultimi due anni – racconta Arrigo Berni, CEO dell’azienda - la collaborazione si è sviluppata maggiormente andando ad individuare gli elementi per la diffusione di Moleskine al pubblico cinese on-line. Un requisito fondamentale per lo sviluppo della collaborazione è stata la localizzazione delle attività: Moleskine ha una sua

Manfrotto e gestito direttamente dall’azienda con il supporto di un provider logistico. Il successo è stato immediato». Manfrotto in Italia è un’eccellenza, ma il pubblico cinese come si è comportato di fronte a questo marchio? «Il consumatore cinese è brand driven – spiega Pezzana – e Manfrotto con tutti i suoi marchi negli ultimi anni ha raggiunto la posizione di leader indiscusso nel segmento medio-alto dove opera». Dall’azienda, insomma, trapela ottimismo anche per il futuro: «Il rapporto con Alibaba è ottimo e gli sviluppi consistono nel lancio di negozi monomarca su TMall per gli altri brand del gruppo – conclude l’a.d. – continueremo dunque ad investire sulla piattaforma e a lanciare nuovi store fino a coprire tutti i nostri brand».

A sinistra Marco Pezzana, CEO di Manfrotto

sede a Shangai e due anni fa abbiamo costruito un team ecommerce localmente che collabora quotidianamente con il team di Alibaba». Fondamentale, per penetrare in un mercato vastissimo ma ancora poco noto è stato il cosiddetto “storytelling”, ovvero il racconto dell’identità e delle peculiarità di Moleskine. E l’esperimento è riuscito benissimo, tanto che – spiega il CEO – «rapidità e proattività di Moleskine, unita a un’importante crescita nelle vendite, ci hanno permesso di essere coinvolti sempre di più nelle attività di piattaforma e di stringere una partnership diretta con Alibaba». Il passe-partout per entrare nel gigantesco negozio virtuale cinese è stato il marketplace Tmall, che ha consentito all’azienda di raggiungere un tasso di crescita molto elevato, con una punta, nel 2016, dell’80%. E il futuro è roseo: secondo Berni, infatti, la sensazione dell’azienda da lui guidata è quella di «trovarsi al posto giusto nel momento giusto», per poter aggredire il più grande mercato digitale del mondo.


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First Eagle Amundi International Fund Mira a generare rendimenti positivi e a preservare il capitale nel lungo termine(2) Investe in titoli sottovalutati rispetto al loro valore intrinseco Un fondo con un track record ventennale di successo (3)

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(1) Il maggiore asset manager europeo per totale di masse in gestione (AUM) - Fonte IPE “Top 400 asset managers” pubblicato in giugno 2016 e basato sugli AUM a dicembre 2015. Tutti gli AUM sono stati ricalcolati da Amundi escludendo gli asset manager con capogruppo al di fuori dell’Europa continentale. (2) Per ulteriori dettagli sulla politica d’investimento si prega di far riferimento al prospetto di First Eagle Amundi e al KIID (Key Investor Information Document). (3) Investment rating di First Eagle Amundi International Fund, classe IU-C. © [2016] Morningstar, Inc. tutti i diritti riservati. L’informazione qui contenuta: a) è di proprietà di Morningstar e/o di suoi fornitori di contenuti; b) non può essere copiata o distribuita; c) non è garantito che sia accurata, completa e tempestiva. Né Morningstar né i suoi fornitori di contenuti sono responsabili per qualsiasi danno o perdita derivante dall’utilizzo di questa informazione. Messaggio pubblicitario con finalità promozionali. Il presente documento contiene informazioni inerenti a First Eagle Amundi International Fund (il “Comparto”) di First Eagle Amundi (la “Sicav”), organismo di investimento collettivo in valori mobiliari, costituito ai sensi della Parte I della Legge del 17 dicembre 2010, promulgata in Lussemburgo, sotto forma di società di investimento a capitale variabile, iscritta presso il Registro del Commercio e delle Imprese Lussemburghese con il n. B 55.838. La Sicav ha sede al 28-32, place de la gare, L-1616 Luxembourg. Il Comparto è stato autorizzato alla commercializzazione al pubblico dalla CSSF (Commissioin de Surveillance du Secteur Financier du Luxembourg) ed è offerta in Italia in conformità alle applicabili disposizioni tempo per tempo vigenti. I potenziali investitori devono esaminare se i rischi annessi all’investimento nel Comparto siano appropriati alla propria situazione. In ogni caso, si raccomanda di consultare un consulente finanziario al fine di determinare se l’investimento nel Comparto sia appropriato. Il valore delle azioni e il profitto derivante da un investimento nel Comparto potrebbero diminuire o incrementarsi. Il Comparto non offre alcuna garanzia di rendimento. Inoltre, i risultati passati non sono indicativi di quelli futuri. ll presente documento non rappresenta un’offerta a comprare né una sollecitazione a vendere. Esso non è rivolto ad alcuna “U.S. Person” come definita nel Securities Act of 1933 e nel prospetto. Prima dell’adesione leggere il KIID, che il proponente l’investimento deve consegnare prima della sottoscrizione, e il Prospetto della Sicav, disponibile gratuitamente, unitamente alle ultime relazioni annuali e semestrali e allo statuto, presso le sedi dei soggetti collocatori, nonché sul sito internet www.amundi.com/ita. |


COVERSTORY LA RICERCA

CIBO SUL PODIO A PARIGI

BERLINO PREMIA

1°Agroalimentare

L’ITALIA CHE VA È SOLO QUELLA CHE ESPORTA Ci sono 200 mila imprese che regolarmente vendono i loro prodotti all’estero. E l’export quest’ anno crescerà del 2,8%. Un’indagine esclusiva di Assocamerestero spiega perchè della Redazione VI IMMAGINATE SE L’ITALIA CRESCESSE DEL 2,8% ALL’ANNO? Quasi il doppio della Germa-

nia? Sarebbe un sogno. Ebbene: una “parte” dell’Italia che cresce così c’è, ed è qui a due passi, alla porta accanto, dirimpetto, intorno a noi. E’ l’Italia che esporta. Sono circa 200 mila imprese, di cui 180 mila sotto i 50 dipendenti: piccole ma dinamiche. “Le esportazioni si confermano il traino della crescita italiana: nel 2017 le vendite di prodotti italiani all’estero dovrebbero appunto registrare un incremento del 2,8% su base annua”, dice Gaetano Fausto Esposito, segretario generale di Assocamerestero, l’associazione che riunisce e rappresenta 78 Camere di commercio italiane in 54 Paesi stranieri e che ha elaborato per Economy un sondaggio esclusivo su tendenze e preferenze dei vari mercati stranieri rispetto al made in Italy. “Nonostante la domanda mondiale mostri segnali di rallentamento, i nostri brand piacciono praticamente ovunque”, aggiunge Esposito. Ebbene: non approfittare di questo “pregiudizio positivo” del mondo verso la produzione italiana è un peccato madornale. Esportare dovrebbe diventare la parola d’ordine di tutta l’industria manifatturiera. Il “made in Italy” tira. Piace, seduce, in tutto il mondo. E un’impresa italiana può oggi trovare all’estero quello spa-

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1°Agro

2° Meccanica

2°Arredo 3° Moda

FRANCIA

GERM

4°Autoveicoli 5°Meccanica

4° Arr 5°Autov

zio di mercato che non si trova più, o non sempre, qui da noi. A volte, può trovarlo addirittura con meno concorrenza, oltre che con più domanda. Con più valore aggiunto. Insomma: con più guadagno. L’indagine esclusiva effettuata per Economy da Assocamerestero, con la collaborazione delle Camere all’estero, traccia un quadro esauriente. Le risposte sono venute da 42 Paesi del mondo – dall’Australia a Hong Kong, dalla Polonia al Canada (nel box l’elenco preciso delle località da cui sono arrivate le risposte, on-line su www.economymag.it tutti i dati). E non sono state mai scontate. Alla domanda su quali siano oggi i settori che offrono maggiori opportunità di business per le aziende italiane, nel 43,4% dei casi la risposta non ha premiato – contrariamente al prevedibile – la produzione agro-alimentare, che pure è ben messa, bensì la produzione meccanica e dell’arredo-casa (42,6%). I settori in cui l’Italia presenta il maggior valore aggiunto rispetto ai competitor sono, complessivamente, l’agroalimentare (nel 30,3% dei casi), la moda e i prodotti per la persona (nel 18,1%), l’innovazione e Ict (nel 15,5%), l’arredamento (15,5%), la meccanica (12,3%), l’ambiente e l’energia (il 4,2%) e l’automotive (il 3,9%).

LE CCIE NEL MONDO Economy ringrazia vivamente Assocamerestero e le Camere ad essa associate che da 49 Paesi del mondo hanno risposto al questionario: HONG KONG, PECHINO, SEOUL,DUBAI, TOKYO, MUMBAI, DOHA, SINGAPORE, JOHANNESBURG, BANGKOK, HO CHI MINH CITY, QUITO, CITTÀ DEL GUATEMALA, LIMA, CARACAS, TIRANA, BRUXELLES, AARHUS, NIZZA, FRANCOFORTE, ATENE, AMSTERDAM, VARSAVIA, LISBONA, PRAGA, MOSCA, BRATISLAVA, BARCELLONA, MADRID, STOCCOLMA, ZURIGO, ISTANBUL, IZMIR, IL CAIRO, TEL AVIV, LA VALLETTA, CASABLANCA, TUNISI, MENDOZA, ROSARIO, SAN PAOLO, SANTIAGO DEL CILE, MONTREAL, CITTÀ DEL MESSICO, HOUSTON, NEW YORK, CHICAGO, PERTH, SYDNEY

78 CAMERE IN 54 PAESI NEL MONDO

18.000 ASSOCIATI (88% AZIENDE LOCALI)

300.000 IMPRESE


A ANCHE I ROBOT

MACCHINE UTENSILI PER TRUMP

oalimentare

a

1° Meccanica 2°Agroalimentare

3° Moda

2°Arredo

MANIA

STATI UNITI

redo veicoli

4°Moda 5°Autoveicoli

LE MIGLIORI OPPORTUNITÀ DI BUSINESS QUALI SONO I SETTORI CHE OFFRONO MAGGIORI OPPORTUNITÀ DI AFFARI PER LE AZIENDE ITALIANE?

MECCANICA

AGROALIMENTARE

2 4° AUTOVEICOLI 5° MODA&PERSONA 6° FARMACEUTICO&BIOMEDICALE 7° AMBIENTE&ENERGIA

1

“Insomma, se nella comune percezione il successo del made in Italy è ancora legato ai settori del buono (pensiamo all’agroalimentare) e del bello (e qui tutto il campo della moda, del fashion e dell’arredo-design)”, osserva Esposito, “è sempre più percepita anche all’estero la grande forza della meccanica specializzata, che continua ad essere il core dell’attivo dei nostro conti con l’estero, visto che il 62% (48 miliardi) dell’attivo made in Italy nel 2016 è stato appunto generato da questo settore. Tutto questo appare confermato anche dal dato relativo agli ordinativi dell’industria, che a febbraio 2017 risultano in crescita del 7,8%, grazie soprattutto al boost della domanda dall’estero (+20%)”. L’indagine conferma che quando le nostre imprese vanno all’estero a vendere, incontrano sulla propria strada dei competitor agguerriti che sono, prevalentemente, tedeschi e francesi: tedeschi nell’arredamento, nella meccanica e negli autoveicoli; e francesi nell’agroalimentare e nella moda, per quanto in quest’ultimo campo il predominio francese si nutra soprattutto dei tanti gloriosi brand italiani che sono stati acquisiti negli ultimi vent’anni. L’INDAGINE RISCONTRA ANCHE CHE L’ITALIA È BEN POSIZIONATA, IN TUTTO IL MONDO, COME PAESE-PARTNER NEL MONDO DEGLI AFFARI SECONDO I BUSINESSMEN LOCALI

ARREDO&CASA

3 8° INFRASTRUTTURE&COSTRUZIONI 9° INNOVAZIONE&ICT 10°DIFESA

In generale, i primi dieci Paesi competitor dell’Italia sono risultati dall’indagine: la Germania (31,3% delle risposte), la Francia (22%), la Cina (15,4%), la Spagna (8,1%), Stati Uniti (5,8%), Giappone (4,6%) Svezia (3,1%), la Corea del Sud (2,7%), la Turchia (1,5%) e il Regno Unito (1,2%). L’indagine riscontra anche che l’Italia è ben posizionata, in tutto il mondo, come Paese-partner nel mondo degli affari secondo i businessmen locali. Nel 60,4% dei casi, l’Italia è tra i primi cinque Paesi partner. Nell’8,3% dei casi è addirittura il primo Paese partner; e nella maggior parte dei casi è il terzo Paese partner (25%). Per ottenere questi risultati, gli imprenditori italiani che esportano si danno da fare: “La selezione indotta dalla crisi ha portato

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COVERSTORY LA RICERCA

IL MEGLIO DELL’ITALIA NEL MONDO

LE ATTIVITÀ DELLE IMPRESE

QUALI SONO I SETTORI IN CUI L’ITALIA PRESENTA MAGGIOR VALORE AGGIUNTO RISPETTO AI COMPETITOR?

QUALI SONO LE PRINCIPALI ATTIVITÀ SVOLTE

22,8%

PROMOZIONE (FIERE/MISSIONI

21,7%

ATTIVITÀ DI ESPORTAZIONE (DI

17,4%

PRODUZIONE ALL’ESTERO

15,8%

ATTIVITÀ DI IMPORTAZIONE

AGROALIMENTARE

MODA&PERSONA

INNOVAZIONE&ICT

30,3%

18,1%

15,5%

13,6%

DISTRIBUZIONE PRODOTTI

6° AMBIENTE&ENERGIA 7°AUTOVEICOLI

8,7%

COLLABORAZIONI R&S

4° ARREDO&CASA 5° MECCANICA le aziende italiane ad investire molto nel contenuto di valore-servizio dei prodotti”, spiega Esposito: “Facciamo sempre più qualità nella vendita all’estero, e in molti casi siamo anche più competitivi rispetto ad alcuni anni fa, vendendo di più e meglio. L’internazionalizzazione diviene sempre più complessa con l’affermarsi delle cosiddette catene globali del valore, cioè dei nuovi processi di subfornitura globale, con la possibilità di realizzare convenienze aziendali scomponendo a livello internazionale le diverse fasi di produzione e di approvvigionamento: oggi circa l’80% delle esportazioni mondiali riguardano questo fenomeno. Anche l’Italia partecipa al rimescolamento globale della produzione, pur se meno di altri Paesi, e questo ha forti implicazioni sulle politiche di promozione, che devono avere sempre più un approccio multi-paese”. Già: la promozione. Le imprese italiane che esportano partecipano a fiere e missioni (22,8% dei casi), impiantano all’estero uno stabilimento produttivo (17,4%), si dedicano ad attività incrociate di ricerca e sviluppo (8,7%). E pensano che per fare di più ci vorrebbero forti campagne di comunicazione sul made in

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Parla Auricchio: Spazio per 100 mila esportatori Presidente Auricchio, c’è fame di made in Italy nel mondo. Come convincere i tanti imprenditori italiani ma ancora chiusi nei confini nazionali a tentare la via dell’export? «Partirei dai numeri», risponde Giandomenico Auricchio (nella foto), presidente di Assocamerestero: «Lo scorso anno il nostro Paese ha esportato beni del made in Italy per 417 miliardi di euroa, con un incremento dell’1,2% su base annua, e il trend positivo prosegue negli ultimi mesi. Le nostre esportazioni nel 2016 sono cresciute di più di quelle di Germania e Francia, e anche di più della media mondiale. Quindi l’ampliamento di mercato è una necessità e non più solo una opportunità. Da tante fonti poi vediamo che le imprese esportatrici hanno una migliore redditività dei prodotti di quelle che non esportano, infatti le più colpite dalla crisi sono state quelle attive solo sul mercato interno». Eppure, evidentemente, l’idea di esportare spaventa! «Certo, occorre sapere che vendere su mercati più ampi richiede un investimento, non solo in capitale fisico, ma anche in capitale

umano, cioè nelle competenze aziendali capaci di gestire questo processo. Sono convinto che la sfida non è tanto riuscire a vendere una partita di merci all’estero – molti ne sono capaci – ma piuttosto rimanere in modo continuativo sui mercati. Serve una strategia aziendale seria e soprattutto di medio periodo se si vogliono avere dei risultati duraturi. E poi voglio anche fare una battuta: internazionalizzarsi significa anche riuscire ad acquisire materie prime e semilavorati a condizioni migliori dall’estero. Insomma, anche importare meglio - in diversi settori - è una scelta importante con molte convenienze da sfruttare”. Ma c’è spazio all’estero per nuove imprese italiane esportatrici?


E ITALIANE IN TRASFERTA

E DALLE IMPRESE ITALIANE ALL’ESTERO?

CONSIGLI PER LE VENDITE AD AVVISO DELLA SUA CAMERA, QUALI MISURE SAREBBERO PIÙ OPPORTUNE PER SOSTENERE IL MADE IN ITALY IN QUESTO MOMENTO?

I)

Agevolare la distribuzione dei prodotti italiani all’estero

PRODOTTI O SERVIZI)

18,9%

15,3%

Intensificare le missioni

15,6%

16,4%

Sviluppare una forte campagna di comunicazione

17,1% 16,7%

Accentuare il coordinamento tra gli enti promotori delle missioni Tutelare di più i marchi italiani nel mondo Migliorare le condizioni di credito all’export

«Molto spazio: secondo stime Unioncamere ci sono 112.000 imprese che hanno le potenzialità per spingersi oltreconfine se ben supportate». E secondo Lei, oggi, la rete del sistema Italia è adeguata alle esigenze di chi voglia andare all’estero senza essere ancora sicuro sul da farsi? «Guardi, se ci riferiamo alle aziende piccole e medio-piccole, che tra l’altro in questi anni hanno espresso brillanti performance sui mercati internazionali, dico sempre che per andare bene all’estero occorre prepararsi bene in Italia. Qui c’è un ruolo importante che, anche alla luce della recente riforma, può essere svolto dal sistema camerale, l’unico – per capillarità e presenza – in grado di approcciare questa imprenditoria sul territorio. Per quanto riguarda la rete all’estero, negli ultimi anni si sono fatti importanti progressi. Il Governo, e il Ministro Calenda in prima persona, hanno dato un impulso importante allo sviluppo dell’azione pubblica, l’approccio dell’Agenzia ICE è molto più mirato e il merito va anche ai vertici dell’Agenzia. Da diversi anni lo stesso approccio della diplomazia è cambiato, più attento e vicino alle esigenze delle imprese, consolidando una funzione importante di raccordo e di coordinamento della promozione all’estero. Adesso occorre fare un ulteriore passo, che è quello della personalizzazione dei servizi e della multilateralità sui mercati». E qui entrate in ballo voi come Camere di commercio italiane all’estero? «Certamente! Da imprenditore dico che siamo una piattaforma straordinaria per

lo sviluppo del business delle aziende sui mercati internazionali: perché siamo una rete fatta da imprenditori, che conoscono quindi “dal di dentro” le esigenze di chi vuole internazionalizzarsi, e siamo anche un network multi-mercato con una presenza capillare di 78 strutture in 54 mercati. Anche noi abbiamo intrapreso un processo di riorganizzazione per essere sempre più al passo con le nuove esigenze delle aziende, e mi pare che i risultati ci sono, visto che una recente indagine della Farnesina ci dice che la nostra offerta di servizi è conosciuta dal 55% delle imprese che vanno all’estero, valori molto superiori a quelli di altri operatori. Certo vorremmo essere utilizzati ancora di più, perchè pensiamo di poter dare un contributo sostanziale alle esigenze delle aziende nello scovare opportunità di business e assicurare un maggiore radicamento sui mercati». Quanto si è evoluta, a Suo avviso, negli ultimi anni (dalla crisi in qua) la capacità di esportare delle imprese italiane? «Molto e in modo convinto. La crisi ha segnato un’esperienza spesso drammatica per tante aziende, ma è stata anche un’occasione per ripensarsi e cambiare approccio al mercato. Parliamoci chiaro, ci sono stati tanti che non sono riusciti a intercettare i nuovi trend, ma siamo il secondo paese manifatturiero esportatore europeo, dopo la Germania, abbiamo posizioni di eccellenza che ci pongono ai primi posti.

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Italy (17,1%), più missioni (16,7%), un maggior coordinamento tra gli enti di promozione (16,4%), e migliori condizioni di credito all’export (15,3%). “In merito agli interventi di promozione per l’internazionalizzazione”, osserva Gaetano Fausto Esposito, “c’è una crescente domanda di assistenza delle imprese piccole e/o micro, che fanno registrare una forte vivacità sull’estero: gli ultimi dati disponibili a livello europeo, ci dicono che nel 2013 queste aziende hanno esportato 50 miliardi di euro, più di tutte le piccole imprese tedesche, francesi e inglesi messe assieme. Ciò significa che serve sempre di più una assistenza personalizzata e capillare sul territorio: un approccio particolarmente sviluppato dalla rete delle Camere di commercio italiane all’estero. Poiché l’Italia è una realtà diversa in termini non tanto produttivi quanto imprenditoriali, il nostro percorso di sviluppo (e le policies relative) devono tenere in debito conto questa diversità, spesso fatta ancora di territori e imprese che si collegano con altre realtà nel mondo, secondo un percorso originale di network che rischia spesso di sfuggire ai più”.

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L’INTERVENTO

promesse elettorali – muro con il Messico, bandire entrate da alcuni paesi islamici, abolire il NAFTA - attraverso “executive orders”, che evitano il Congresso, e di tweets che danno il senso dell’azione. Il GLI USA RIMANGONO PER L’ITALIA UN MERCATO NON SFRUTTATO. MENTRE GLI INVESTIMENTI ESTERI DIRETTI ITALIANI NEGLI USA SONO RECORD.

«Vi spiego come fare business con Trump» Qualcosa nel modo con cui l’Italia vuol fare affari con gli Usa – spiega uno dei massimi esperti di interscambio con l’America – deve cambiare, perché alcune nostre istanze sono infondate. di Fernando Napolitano

I

l Presidente Trump si è insediato da 70 giorni. Nel 2018 ci saranno le elezioni di metà mandato che cambiano gli equilibri al congresso. Il successo di ogni amministrazione dipende dall’economia: creazione di posti di lavoro e riduzione delle tasse. Trump, come tutti i presidenti neofiti, commette errori. La percezione della gravità di questi è amplificata dallo scontro muscolare con i media liberal. In questa fase, il presidente vuole dare una risposta immediata alle

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OLTRE LA CONSULENZA Fernando Napolitano, oggi consigliere d’amministrazione d Mediaset e di una importante società quotata al Nasdaq, è stato per vent’anni in consulenza, fino a diventare amministratore delegato della Booz Allen Hamilton in Italia, prestigiosa casa di strategie economico-politiche. Da sei anni ha fatto il grande passo: imprenditore in proprio, nel settore della conoscenza e della promozione del business, cross-border tra Italia e America. Un modo per fare “give-back”, il gusto tutto americano di restituire un po’ della fortuna che si è avuta nella vita professionale...

successo di queste iniziative è scarso. Quest’approccio, che taglia i corpi intermedi, ha provocato la reazione del sistema federale che sta sterilizzando questi ordini. Questo scontro si svolge in un’economia che va bene. È prevista crescere del 2.7% nel 2017, la disoccupazione è al 4.6% e l’inflazione al 2.6%. La FED ha rialzato i tassi d’interesse. Cosa si profila per l’Italia che vuole fare business negli Usa? L’ultimo executive order ha chiesto ai ministri di capire, in 90 giorni, il perché del grande deficit commerciale Usa e ha chiesto di proporre della azioni per ridurlo. Le minacce di una guerra commerciale titolata dai giornali sono il riflesso di quanto sopra. L’Europa rimane il più grande datore di lavoro negli Usa, un grande partner commerciale e alleato strategico. Non tutte le policy del presidente sono condivisibili ma non

anticipiamo dei cambiamenti di scenario che compromettano il rapporto con i principali alleati europei tra cui l’Italia. Qualcosa, però, deve cambiare nel modo con cui l’Italia fa business negli Usa anche perché alcune istanze, vedi la carne bovina, non sono infondate. Il business tra i due Paesi è marginale. Nel 2016, secondo il United States Census, gli Stati Uniti hanno importato dall’Italia US$ 45 miliardi – meno del 10% dell’export totale italiano. La Germania, nel 2016, ha esportato US$ 114 miliardi. Il PIL tedesco è 1.7 volte quello italiano, non 2.5 come nel caso dell’export Usa! Gli Stati Uniti rimangono per l’Italia un mercato non sfruttato Gli investimenti diretti esteri italiani nel 2015 in USA sono a un massimo storico, US$ 7.3 miliardi, a fronte, però, di un netto peggioramento di quelli Usa in Italia, US$ 0.3 miliardi. Esistono tre direttrici di sviluppo per l’Italia negli Stati Uniti: informazione sull’Italia, aziende e modulo start-up. Dal 2013 ogni febbraio a New York, IB&II organizza il summit Italy Meets the United States of America per avere un dialogo diretto con opinion maker e investitori Usa sulle opportunità che l’Italia offre. Lo scorso 14 febbraio i settori pharma, energia, telecom, manufacturing e dell’alimentare hanno illustrato


VADEMECUM PER IL MERCATO USA: LE NOVE REGOLE D’ORO DA NON VIOLARE MAI

1

DOVE?: gli Stati Uniti sono un continente immenso. Dove si focalizza l’azione? Si parte sempre dalle coste. È buona pratica pensare alla regione Usa che si vuole approcciare come una sommatoria di città

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LE AZIENDE ITALIANE DEVONO

3

FARE ANCHE ACQUISIZIONI

4

PER CONQUISTARE I CLIENTI

ASPETTATIVE: il mercato Usa è la mecca della competitività. Ogni passo del processo deve essere gestito con professionisti che conoscano quel mercato e abbiano una reputazione e una performance che possa essere verificata da storie di successo “UN BUON PRODOTTO SI VENDE DA SOLO!”: nulla di più falso! Il mercato Usa, leggi dei succedanei, ha un’ampia e variegata offerta di beni che possono essere comparabili e competitivi con prodotti italiani PREPARAZIONE: studio di mercato, identificazione dei partner e fornitori, piano di esecuzione, selezione della location dove aprire le operations: la tentazione/attitudine italiana è fare “risparmiando”. Il mercato Usa è un mercato per risk takers e di investitori. La location deve essere coerente con il segmento/indutria che si vuole servire

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IL CONSUMATORE USA: è più sofisticato di quello che tipicamente gli italiani riconoscano. Il consumatore Usa è ingegnerizzato per una valutazione costante del “value for money”. Avendo a disposizione un’ampia offerta, il consumatore valuta e paragona tutto. Il servizio al cliente, oggi denominata “customer experience” e cioè la soddisfazione dei desiderata del cliente ha un valore dirimente

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ACCESSO AL CREDITO: lavorare con player come SACE o MC Square Capital per studi di fattibilità, avere garanzie per accedere al credito bancario e/o investitori Usa

7

MANAGEMENT: non essere tentati dall’inviare in Usa “persona di fiducia” ma che non abbia una formazione e esperienza lavorativa negli Stai Uniti. Quel mercato richiede risorse competenti che abbiamo esperienza di vendite, distributivo, finanziario, risorse umane, after sales. Personale di questo genere costa

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MARKETING E AUTHENTICITY: gli Usa hanno inventato il paradigma del merketing. Non si può operare in quel mercato senza capitali che, dato un prodotto, deve essere investito per la notorietà e popolarità. La moda/ design e l’industria alimentare, ad esempio, hanno svolto un lavoro straordinario. Negli Stati Uniti, oggi l’Italia e’ sinonimo di stile e gusto, per il lavoro di marketing e autenticità “made in Italy” è un unicum

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ESECUZIONE: l’esecuzione della strategia è il punto più delicato. Si perde o si guadagna se le fasi precedenti sono state gestite con coerenza

INSEDIARE SITI PRODUTTIVI E INVESTIRE IN MANAGEMENT le opportunità – con Sace, Invitalia e la Regione Emilia-con la presenza di investitori Usa che hanno, e con profitto, investito in Italia. Le aziende italiane devono insediare siti produttivi, fare acquisizioni e investire in management qualificato per servire il mercato Usa, il più competitivo al mondo. Oltre FCA, aziende farmaceutiche (Chiesi, Kedrion), energetiche (Enel), del lusso (Luxottica) e dell’alimentare (Rana), solo per fare alcuni esempi, hanno perseguito con successo questa strategia. Questo è il nuovo modello di export, o Export 2.0. SACE è uno straordinario facilitatore che si è già proteso verso il mercato Usa per chiudere accordi con banche per garantire accesso al credito per le aziende italiane. Esistono operatori, Mc Square Capital, che hanno la comprensione dei due mondi e accompagnano le aziende italiane nel mercato

Usa anche in coordinamento con SACE. Le start-up devono evolvere verso un modello di service innovativo per le aziende e focalizzarsi sull’exit. Il programma BEST e il One Week Accelerator Program di New York (OWP) raggiungono questi obiettivi. BEST consente a giovani italiani di trascorrere 8 mesi in Silicon Vally studiando imprenditorialità’ presso la Santa Clara university e di lavorare con una start-up di Silicon Valley. Al rientro, sono messi in contatto con aziende per creare la loro start-up. OWP consente alle start-up italiane con obiettivi di mercato Usa di incontrare i player chiave del sistema di Venture capital di New York. Questi programmi sono scalabili. I grandi numeri sono quelli che l’Italia necessita per un’interlocuzione sempre più autorevole con gli Usa. Anche con l’amministrazione Trump.

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COVERSTORY I MODELLI

Il provolone seduce gli Usa con l’happy hour all’italiana Accordo tra Consorzio Provolone Valpadana, Consorzio per la Tutela dell’Asti e I.V.S.I., per una promozione a tridente negli States, finanziata dall’Unione Europea di Angelo Curiosi

L‘

unione fa la forza, anche sul mercato americano. «E quindi, per conquistare i consumatori degli Stati Uniti, abbiamo pensato di unire le nostro forze con quelle di altri due prodotti italiani tipici e promuoversi tutti insieme negli States: con quel che insieme rappresentiamo di più invitante: l’aperitivo tipico italiano!»: parola di Libero Stradiotti, Presidente del Consorzio Tutela Provolone Valpadana, che ha messo in atto un piano di promozione senza precedenti. LIBERO STRADIOTTI, PRESIDENTE DEL CONSORZIO: «PROVOLONE VALPADANA, SALUMI E VINO RAPPRESENTANO IL TIPICO APERITIVO ITALIANO, PERFETTO PER GLI USA»

«Il concetto è chiaro: provolone Valpadana, salumi e vino italiano sono i tre jolly dell’aperitivo italiano, della happy hour tricolore, e sono perfetti per sfondare negli Stati Uniti», spiega, «e così, con il Consorzio per la Tutela dell’Asti e l’Istituto Valorizzazione Salumi Italiani (I.V.S.I), abbiamo costituito un’AssoLIBERO STRADIOTTI, PRESIDENTE DEL CONSORZIO TUTELA PROVOLONE VALPADANA

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CENT’ANNI DI GRANDE QUALITÀ Auricchio, Latteria Soresina, Latteria di Piadena e Latteria Ca’ Dè Stefani sono quattro aziende ultracentenarie – molto celebri – tra le undici che aderiscono al Consorzio Tutela Provolone Valpadana, nato nel 1975, con l’obiettivo di promuovere e difendere un’eccellenza italiana che dal ’95 ha ottenuto la Denominazione di origine protetta. Del gustoso formaggio si producono annualmente tra le 5 e le 6000 tonnellate, nelle due tipologie – “dolce” e “piccante”, e anche affumicato – e in quattro forme: a salame, a pera, a melone, tronco conica. Il periodo di stagionatura può variare dai dieci ai novanta giorni. Dal punto di vista energetico, 100 grammi di provolone padano apportano mediamente 365 calorie.

ciazione temporanea d’impresa e sfruttando i fondi europei andremo a sviluppare una campagna di promozione di questi prodotti che partirà a settembre e andrà avanti per tre anni». «Un’agenzia specializzata ci affiancherà anche in un percorso di comunicazione, con tv, radio, giornali, eventi - continua Stradiotti - offriremo degustazioni, col nostro provolone Valpadana a cubetti, studiate al meglio per colpire il gusto di distributori e buyer, ma anche di consumatori e critici gastronomici. Ci presenteremo con la credibilità dei prodotti italiani ma anche con la forza dell’Unione Europea. Abbiamo ancora alcuni dettagli da stabilire, ma siamo certi di essere sulla strada giusta». Insomma, l’happy hour all’italiana va a sedurre gli Stati Uniti: e lo fa puntando su prodotti semplici ma anche per questo perfetti per i palati americani. «E lo facciamo in chiave europea - conclude il presidente - seguendo le indicazioni del ministro Calenda il quale dice cose giuste, secondo noi, anche in merito alla nostra possibilità di dare valore aggiunto prezioso e “italiano” al latte importato da altri paesi europei, purchè naturalmente identificato!».


4 6 M FA S T

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COVERSTORY LA TESTIMONIANZA

Dubai, eterno paradiso dei petrodollari L’avvocato Antonello Martinez ha aiutato molte imprese a imporsi negli Emirati Arabi. E ci svela le dritte per chi vuole provarci

«FARE BUSINESS A DUBAI può offrire motivi

di grande soddisfazione a un’azienda italiana. La burocrazia è ridotta all’osso, ci sono 24 free zone a tassazione zero, il costo del lavoro è bassissimo e per chi sa fare impresa c’è una pronta e concreta redditività». Antonello Martinez, 63 anni, avvocato civilista fondatore dello Studio Legale Associato Martinez&Novebaci, rappresenta in Europa il Dipartimento dello sviluppo Economico del Governo di Dubai. Martinez ha aiutato tante aziende italiane a entrare con successo sul mercato di Dubai. È quindi la persona adatta a rispondere a qualche domanda utile a chi medita di entrare nel mercato degli Emirati.

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Qual è il punto di forza su cui le aziende italiane possono far leva a Dubai? Si può indubbiamente affermare, senza tema di smentita, che gli emiratini nutrano una vera e propria passione per tutto ciò che rappresenti lo “stile italiano”, sia esso declinato in termini di design, di food&beverage, di alta moda, di luxury goods o standard produttivi di eccellenza distintiva. A ciò si aggiunge una nota e ben stabilita relazione di rispetto e reciproca amicizia tra i popoli italiano ed emiratino, il quale nutre una relazione speciale con gli italiani, con un feeling che non esiterei a definire “epidermico”. Ma chi pensa di arrivare in una terra di conquista è meglio che stia a casa perché Dubai è oggi una realtà concreta e molto smaliziata…

Quali le debolezze e gli errori che fanno più spesso? Dubai è terra di grandi opportunità ma è contaminata da un pletora inesauribile di personaggi assolutamente di scarso profilo, opportunisti e anche veri e propri truffatori che per pochi Diram sono disposti a fare qualsiasi cosa. Ho visto innumerevoli situazioni di imprenditori che in Italia mai si sarebbero fidati di finti avvocati incontrati per caso in albergo, di finte camere di commercio o di persone appena conosciute, e che invece in quel luogo spesso cadono in ingiustificabili facilonerie.

UNA CRESCITA SENZA SOSTA L’aumento del Pil a Dubai segue ritmi ancora più serrati rispetto a quelli già eccellenti degli Emirati Arabi Uniti nel loro complesso. Nel 2014 la crescita è stata pari al 6,4%, contro il 5,2% del 2013. L’aeroporto di Dubai ha superato anche Heathrow, divenendo così il primo in termini

di transito di passeggeri internazionali (83,6 mln nel 2016). A 10 km da Dubai sta sorgendo per Expo 2020 una nuova città, con circa 100 nuovi alberghi a 5 stelle e un nuovo aeroporto che sarà il più grande del mondo - quello attuale diventerà hub della Emirates.

AVERE UN PARTNER LOCALE È UNA PREMESSA ESSENZIALE PER LA DISTRIBUZIONE Ci può dire almeno un caso di azienda italiana che il suo studio ha accompagnato sul mercato di Dubai? Lo Studio, tra le altre, in dodici anni ha seguito 22 operazioni di successo dall’Italia verso gli Emirati Arabi. Per ragioni di riservatezza e di deontologia non posso divulgare i nomi di queste aziende; per fare un esempio basti pensare che tutti e dico proprio tutti, gli attuali desalinizzatori presenti nel territorio di Dubai sono stati prodotti e installati da un’azienda italiana assistita, per l’appunto, dal nostro Studio Legale. Le imprese delle free zones sono considerate straniere, e quindi devono avere un distributore-agente locale; la chiave è dunque quella di avere un partner locale? Avere un partner locale è sicuramente un vantaggio sia per quanto riguarda la distribuzione e la vendita sul territorio sia per quanto riguarda gli aspetti di compliance alla normativa fiscale e contabile locale. Si deve sottolineare che avendo gli Emirati un diritto di matrice inglese, all’eventuale maggioranza azionaria del partner non corrisponde necessariamente un’analoga distribuzione degli utili.

Leggi l’intervista integrale su: www.economymag.it


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GESTIRE L’IMPRESA Il buon andamento dell’economia è funzione diretta della buona gestione delle imprese: ed è di questo tema, in tutte le sue articolazioni che si occupano queste pagine.

44 INDUSTRIA 4.0 UN PRIMO TRIMESTRE BOOM CON GLI AIUTI DEL GOVERNO

46 PARLA CALENDA «IMPRENDITORI, AGITE! INVESTIRE CONVIENE!»

50 PARLA MARONI «COME LA LOMBARDIA AIUTA LE IMPRESE CHE INNOVANO»

54 PARLA DE BORTOLI «IL TERZO SETTORE È LA CHIAVE PER LA SHARING ECONOMY»

COME E PERCHÈ I MANAGER RICOSTRUIRANNO IL PAESE Intervista-manifesto con il presidente della Federmanager Stefano Cuzzilla: «Lavoriamo per la crescita, siamo responsabili e non corporativi. Perciò, fidatevi di noi» di Marco Scotti

«Ntchdog. Però siamo attenti a ciò che oi non svolgiamo la funzione di wa-

avviene nelle istituzioni, nazionali ed europee. Ci interessa per far ripartire il Paese». Cinquant’anni, da un biennio alla guida di Federmanager, Stefano Cuzzilla è un uomo che è da sempre vicino alla stanza dei bottoni senza subirne il fascino. Anche perché l’associazione – che rappresenta 180.000 tra manager, quadri e alte professionalità – non può permettersi pastrocchi politici. C’è da portare avanti un progetto e c’è da farlo bene, dandosi un orizzonte temporale di «almeno 10 anni», ci dice. Dialoga con la politica e con la PA perché «l’accreditamento istituzionale deve portarci ad avere leggi migliori per il rilancio del Paese e della nostra industria. A prescindere da chi siede al governo».

Cuzzilla, dica la verità: le sue richieste sono di parte, vuole leggi che vadano a vantaggio del management… La tutela della categoria manageriale è la nostra mission. Quindi certamente lavoriamo per una legislazione che tuteli i colleghi. Abbiamo però capito che il modo migliore per farlo è lavorare per un Paese migliore. Tutta la nostra attività, a partire da quella svolta dalle Commissioni Sanità e Politiche industriali che abbiamo istituito all’interno di Federmanager, è guidata da questo grande senso di responsabilità. Soffriamo dei virus pandemici che si chiamano corruzione, burocrazia, evasione fiscale. Questi malanni affliggono l’Italia da troppo tempo e finiscono per azzerare gli sforzi di chi, come i manager, lavora alla modernizzazione e alla crescita del Paese.

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GESTIRE L’IMPRESA

FEDERMANAGER, COSA C’È DA SAPERE Cos’è:

ALL’ITALIA SERVE UNA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE PIÙ MODERNA E UNA GIUSTIZIA PIÙ EQUA, MA SOPRATTUTTO UN SISTEMA CHE PREMI IL MERITO E CHE VALORIZZI I CERVELLI Crescita che potrebbe avere degli scossoni dopo l’addio (o arrivederci) all’Europa da parte di Londra: vi preoccupano le conseguenze di Brexit? Quello che succede Oltremanica sta già avendo una certa influenza sui mercati ma non vanno fatti allarmismi. Solo per dare un esempio, dagli ultimi dati sui venture capitalist osserviamo uno spostamento degli investimenti dalla Gran Bretagna ad altri Paesi, come la Francia che sta scommettendo molto su innovazione e start up. L’Italia su questo può solo fare meglio. Abbiamo bisogno però di una strategia complessiva a livello europeo che non penalizzi Piazza Affari rispetto ad altri circuiti. Un ambito in cui sicuramente possiamo fare meglio è quello dell’imposizione: secondo lei ci sono le basi per arrivare a un’Unione fiscale? Noi dobbiamo innanzitutto rivedere il nostro modello fiscale, che grava tutto su lavoratori dipendenti e pensionati con una

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26 aprile 1945: “sindacati provinciali e regionali dei dirigenti di aziende industriali danno vita ad una Associazione Nazionale, apolitica, autonoma e indipendente, con l’obiettivo, oltre che la tutela degli interessi degli associati, di porre al servizio della comunità le energie della categoria dirigenziale per contribuire alla ricostruzione economica e sociale del paese”.

180.000 MANAGER E 57 SEDI

Federmanager si rivolge a una platea di 180.000 tra dirigenti, quadri e alte professionalità, in servizio e in pensione, attraverso una rete composta da 57 sedi sul territorio. Una presenza capillare che contribuisce all’integrazione del paese nel contesto globale.

MODELLO DI RAPPRESENTANZA

L’Organizzazione promuove il ruolo professionale del manager attraverso un innovativo modello di relazioni industriali, che comprende anche la stipula di contratti collettivi di lavoro e un sistema di welfare che tiene conto dell’individuo all’interno della collettività. Favorisce occasioni di networking e di partecipazione che rafforzano il senso di appartenenza alla categoria manageriale e lo scambio di know how. Rivolge il proprio bagaglio esperienziale all’opinione pubblica, alla politica e alle istituzioni, mettendo a disposizione competenze qualificate al servizio del Paese. Aderisce alla CIDA – Confederazione Italiana Dirigenti e Alte Professionalità – attiva nel settore pubblico e in quello privato del management.

Cosa fa: CONTRATTI COLLETTIVI

Federmanager offre un modello di relazioni industriali fondato sul dialogo e sulla collaborazione, anche a livello aziendale e territoriale.

PREVIDENZA

L’associazione di categoria interviene L’associazione di categoria incentiva l’adesione ai Fondi di previdenza integrativa, le cui prestazioni si aggiungono ai trattamenti pensionistici di legge. Offre ai propri iscritti il Fondo pensione Previndai, nato dalla sinergia con Confindustria, con oltre 79.000 iscritti, una contribuzione annua di 840 milioni di euro e un patrimonio gestito da 10 miliardi di euro. Per i manager delle pmi c’è Previndapi, l’ente di previdenza complementare condiviso con Confapi.

WELFARE

Nell’ottica di piani di welfare più moderni e più orientati alle esigenze personali, Federmanager ha attuato Fondi di Assistenza Sanitaria per gli iscritti e per i loro familiari, favorendo gli investimenti in prevenzione e nelle prestazioni a integrazione del SSN. L’accordo bilaterale con Confindustria ha dato vita al Fasi (Fondo Assistenza Sanitaria Integrativa) con oltre 300mila assistiti che può contare su circa 3.000 strutture convenzionate. Il Fondo Fasdapi nasce dall’accordo con Confapi. Assidai, che opera anche a integrazione di Fasi, assicura in modo completo la salute di tutti i manager e quadri dell’industria.

CONSULENZA E ASSISTENZA

La federazione offre ai suoi iscritti consulenza di carattere contrattuale, previdenziale, legale e fiscale.

COPERTURE ASSICURATIVE

Programmi di welfare aziendale e individuali studiati da Praesidium spa per rispondere alle esigenze di copertura assicurativa del manager, della sua casa e della sua famiglia.

FORMAZIONE

L’accesso a piani di formazione continua è assicurato da Federmanager Academy, la management school del sistema. Inoltre, Fondirigenti, fondo interprofessionale di categoria con oltre 75.000 dirigenti, offre un sistema integrato per l’aggiornamento formativo, progetti di ricerca, sperimentazione e riorientamento al lavoro. Infine, Fondazione IDI e Fondo Dirigenti Pmi si rivolgono alle esigenze di aggiornamento dei manager delle pmi.

POLITICHE ATTIVE

Federmanager accompagna i manager nel riorientamento della carriera professionale e nelle fasi di ricollocazione. Sia attraverso un servizio di certificazione delle competenze manageriali sia attraverso la propria società CDi Manager, specializzata nel temporary management.

CONVENZIONI

Un network interamente dedicato ai manager e alle loro famiglie che consente agevolazioni, vantaggi e promozioni esclusive per servizi e prodotti.


curva di progressività eccessiva. Poi, senza un fisco omogeneo a livello europeo, o almeno non discriminatorio, gli investimenti non premieranno certo le idee né i talenti. Dobbiamo spingere affinché Bruxelles vigili su chi gioca in modo scorretto. Eppure molte aziende italiane hanno spostato la sede legale in quei Paesi dal fisco più amico. Anche questo è scorretto? Quello che serve all’Italia per attrarre investimenti e aziende è la stabilità politica. Poi non guasterebbe avere un’amministrazione pubblica più snella e una giustizia più veloce. Soprattutto serve un sistema premiante che riconosce il merito, che non fa scappare all’estero i cervelli migliori, che trattiene le produzioni ad alto valore aggiunto, che paga stipendi più alti a chi raggiunge risultati migliori. Si fa demagogia sui tetti agli stipendi e non si pensa che per rilanciare il Paese servono le persone. Da Vittorio Colao (CEO di Vodafone), a Diego Piacentini (già in Amazon, ora tornato in Italia) e Luca Maestri (CFO di Apple), sono molti i manager italiani che guidano realtà multinazionali. Esiste un management “made in Italy” che è più apprezzato all’estero? Il profilo del management italiano è apprezzato perché possiede delle doti uniche. Non mi riferisco soltanto alla creatività e alla capacità di adattamento tutta italiana, ma alle competenze di gestione di processi complessi e di leadership. Molte multinazionali estere si affidano ai manager italiani per favorire l’innovazione e per catturare i segreti che rendono la manifattura made in Italy un brand esclusivo a livello globale. Ritiene che le imprese italiane abbiano maturato la stessa cultura verso il management? In questo Paese ci sono quasi 6 milioni di microimprese, quelle con meno di 10 ad-

detti rappresentano il 94,6% del totale. Solo il 20% dell’intera forza lavoro è impiegata nell’impresa di grande dimensione e multinazionale. Praticamente tutta la nostra industria è a carattere familiare. Da una nostra indagine sull’universo delle Pmi abbiamo rilevato che il 65% di esse è consapevole che la sfida dell’innovazione e della competitività si vince con figure manageriali in grado di gestire il cambiamento. Noi siamo impegnati a far crescere e sedimentare questa consapevolezza: senza l’apporto di competenze manageriali non è possibile farcela. Quali skill sono essenziali per stare sul mercato? Serve la capacità di innovare e i manager sono portatori sani di innovazione. Secondo

l’Istat le imprese guidate da giovani imprenditori, nel 2016, sono state capaci di creare il 30% di posizioni lavorative in più rispetto agli imprenditori anziani. Nel Paese c’è una spinta al rinnovamento che non dobbiamo lasciar cadere. Inoltre, servono le competenze specifiche per stare sui mercati internazionali e che riguardano le informazioni sulla concorrenza, l’affidabilità di partner commerciali esteri, le normative dei diversi Paesi, le possibilità di finanziamento e i relativi canali di accesso. Poi c’è la partita di Industry 4.0. Dei 10 uomini più ricchi del mondo, 4 devono il loro benessere alle nuove tecnologie. I nomi di Gates, Bezos, Zuckerberg e Ellison sono solo il simbolo di un cambiamento di

LA VISIONE “ALL INCLUSIVE” DI INDUSTRIA 4.0 Industria 4.0: un investimento complessivo da 2.900 miliardi che l’Europa ha messo in campo da qui al 2030 per affrontare tutte le nuove sfide. L’Italia è pronta a mettere sul piatto circa 225 miliardi, un terzo di quanto farà la Germania nello stesso periodo. Il “Piano Calenda” prevede sgravi fiscali anche significativi in cambio di investimenti consistenti da parte delle imprese, che devono anche impegnarsi in un percorso di cooperazione con il sistema universitario per la creazione di centri di eccellenza (vedi gli articoli nelle pagine successive). Se Industry 4.0 è un tema considerato fondamentale, perché ancora non riesce a decollare? Per rispondere a questo

dilemma Federmanager ha messo a punto un piano biennale di intervento, “Industry 4.0 ALL INCLUSIVE”, che intende dare pervasività alle competenze manageriali su tutto il territorio nazionale, a prescindere dal livello di digitalizzazione e di produttività raggiunto. «Serve una visione di Industry 4.0 inclusiva – si legge nel piano – e non tesa a creare nuove aristocrazie di territori. Una Industry 4.0 ALL INCLUSIVE, cioè aperta e che non favorisca nuovi digital divide». Soggetto attuatore è Federmanager Academy, la management school del sistema, che interviene con 720 ore di formazione mirata su circa 6.000 manager. L’obiettivo è offrire al mercato italiano una delle principali risorse strategiche

abilitanti previste dal piano nazionale Industria 4.0 ma non ancora supportate dall’investimento pubblico: vale a dire, il capitale umano, con una formazione manageriale estremamente ampia a sottolineare come servano tante skill, e non solo quelle di area ICT. Il percorso formativo si rivolge ai manager in servizio ma anche a quelli in attesa di essere reinseriti nel mondo del lavoro. Il progetto, dopo una fase preliminare di progettazione esecutiva su contenuti e metodologie, sta raggiungendo in loco il fabbisogno di innovazione dei manager e delle imprese. In due anni, il settore industriale avrà dove trovare i suoi manager 4.0.

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GESTIRE L’IMPRESA

paradigma che è trasversale. L’avvento delle nuove tecnologie sta rivoluzionando i processi e il modo stesso di intendere la manifattura. Io credo che la manifattura sia il sale della nostra economia. Ma deve modernizzarsi e farsi digitale. Cosa sta facendo Federmanager per accompagnare questo processo? Stiamo attribuendo significato alla parola “industria 4.0”. Manager e imprenditori devono adottare un nuovo “digital mindset”. A tal fine agiamo su formazione e politiche attive. Molte azioni sono condivise tra noi e le organizzazioni datoriali, Confindustria e Confapi per prime. Abbiamo lanciato un piano di azioni biennale su Industria 4.0 che è già operativo e coinvolge tutte le 57 sedi che abbiamo sul territorio. Un piano di investimenti privati? Sì, stanziati all’interno del sistema bilaterale. Il nostro è un modello di relazioni industriali che si è evoluto. Siamo proattivi, gestiamo risorse proprie per accelerare i processi di sviluppo di imprese e management e per introdurre strumenti d’azione concreti, che rappresentino best practice per il Paese. Lei crede nella contrapposizione tra uomini e robot? Macchine e uomini non sono né antagonisti né alleati, ma è certo che avremo ripercussioni in termini occupazionali. Determinati mestieri sono già sostituiti dall’automazione, ma questo non farà assolutamente venir meno la domanda di capitale umano. Non credo che si arriverà a tassare i droni, piuttosto va costruito un sistema di competenze sempre più qualificate. Voi avete perso molti manager dall’inizio della crisi a oggi… È vero, ma questo è un fattore collegato inevitabilmente ai tassi di mortalità delle nostre PMI e al ristagno dell’economia italiana nel suo complesso. Registriamo anche segnali di controtendenza che riguardano gli over 50. Certamente il fatto che per il 2017 si preveda una crescita del PIL del +1% (o dello 0,8 secondo il FMI) non ci entusiasma.

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Abbiamo un pensionato ogni 1,4 lavoratori occupati. Questo è un paese che invecchia e che ha un deficit su PIL che ci immobilizza. Sulla previdenza si sono fatti molti errori. Qual è un piano giusto per le pensioni? Dobbiamo espellere dalla voce previdenza quei sostegni economici che hanno natura assistenziale. Va fatta chiarezza sui conti perché, al netto di tutti gli oneri diversi, il nostro è oggi uno dei sistemi più sostenibili al mondo. Semmai, il tema vero è l’adeguatezza delle pensioni future dei nostri giovani, considerando che il mercato del lavoro, estremamente flessibile, è caratterizzato da forti discontinuità e da ingressi tardivi. Noi lo diciamo da anni che previdenza e assistenza vanno separate e che non andremo molto lontano senza una lotta seria all’evasione fiscale e contributiva. Il peso del welfare è tutto sulle spalle dei soliti noti: chi percepisce una retribuzione superiore ai 55.000 euro annui paga, da solo, un terzo

delle imposte. Il sistema di welfare pubblico sta scricchiolando e le nuove generazioni? Verso le nuove generazioni siamo già in debito. Se non vogliamo spaccare la coesione sociale, dobbiamo far decollare il welfare complementare. Guardiamo alla sanità: oggi i cittadini si trovano da soli ad affrontare il costo della cura quando, per esempio, a causa delle lunghe liste d’attesa, scelgono la sanità privata. Parliamo di oltre 35 miliardi all’anno di spesa out of pocket. Sono risorse in un certo senso sprecate, che se fossero intermediate da soggetti non profit, affidabili e regolamentati tornerebbero in circolo senza gravare su famiglie e aziende. Il SSN necessita di un secondo pilastro che sia integrativo delle sue prestazioni. Se mettiamo al centro il bisogno del cittadino tutto il sistema diventa più sostenibile, e non solo in senso economico ma nel senso di maggiore equità.

LE COMPETENZE

I VALORI

L’IDENTIKIT

DEL MANAGER SVILUPPARE IL TALENTO E VALORIZZARE IL LAVORO IN TEAM

LEADERSHIP

ETICA CAPACITÀ ORGANIZZATIVE E DI PROCESSO ORIENTAMENTO AL RISULTATO

SAPER ANTICIPARE E GESTIRE I CAMBIAMENTI

PROPENSIONE ALL’INNOVAZIONE



GESTIRE L’IMPRESA LA TECNOLOGIA

CON L’INTERNET DELLE COSE O RIVOLUZIONIAMO TUTTO OPPURE SI CHIUDE BOTTEGA Il piano Industry 4.0 varato dal governo Renzi incentiva gli investimenti digitali: approfittiamone per crescere (l’alternativa è uscire dal mercato) di Riccardo Venturi

CON IL PIANO INDUSTRIA 4.0 la Quarta Ri-

voluzione Industriale si affaccia finalmente anche in Italia. Macchine intelligenti e componenti industriali si interconnettono tra loro e con la Rete secondo i meccanismi dell’Internet of things, scambiando informazioni la cui corretta interpretazione permette maggiore flessibilità, velocità, produttività. Una svolta tagliata su misura per le nostre Pmi, cui si schiude la possibilità di crescere in modo esponenziale in tempi brevi, anche costruendo partnership in mercati lontani. Il Piano Industria 4.0 ha solidi argomenti per convincere le imprese a investire, come dimostrano le due misure cardine: il super ammortamento, che prevede l’incremento del 40% del costo fiscale di beni materiali nuovi, e soprattutto l’iper ammortamento, che consente di incrementare del 150% il costo deducibile di tutti i beni strumentali acquistati per trasformare l’impresa in chiave tecnologica e digitale 4.0. Il costo netto di un investimento da un milione di euro, che è pari a 760mila euro nel caso dell’ammortamento ordinario, scende a 664mila euro con il super ammortamento, e a 400mila con l’iper ammortamento. Incentivi importanti, cui si aggiungono il credito all’innovazione della Nuova Sabatini dal 2,75 al 3,57% e il credito d’imposta al 50% alla Ricerca e Sviluppo, cumulabili tra loro e con super e iper ammortamento, e altre misure quali la Patent Box con la tassazione agevolata sui redditi da proprietà in-

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tellettuale, e le detrazioni fiscali fino al 30% per gli investimenti in capitali di rischio. La forza d’urto del Piano sta convincendo molte imprese a rompere gli indugi, come spiega lo stesso ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda nell’intervista a Economy: lo indica l’aumento del 22,2% degli ordini di macchinari nel primo trimestre ‘17, oltre all’impennata delle domande per la Nuova Sabatini e alla rilevazione secondo la quale l’iper ammortamento ha un ruolo centrale per circa un terzo delle imprese che prevedono di aumentare gli investimenti nel 2017. Con i chiarimenti contenuti nella circolare del Ministero dello Sviluppo Economico e dell’Agenzia delle Entrate, pubPopolazione mondiale

7.2 miliardi

7.6 miliardi

Dispositivi connessi

25 miliardi

50 miliardi

3.47

6.58

2015

2020

Dispositivi connessi per persona

CRESCE SENZA SOSTA L’INTERCONNESSIONE GLOBALE

CON L’INDUSTRIAL IOT I MACCHINARI SI INTERCONNETTONO TRA LORO E CON LA RETE

blicata con qualche ritardo a fine marzo, il Piano Industria 4.0 è pienamente operativo. La circolare ha chiarito alcuni dubbi residui, precisando per esempio che per beneficiare dell’iper ammortamento i beni, che devono far parte dei settori meccatronica, robotica, big data, sicurezza informatica, nanotecnologie, materiali intelligenti, stampa 3D e Internet, devono essere stati acquistati nel corso del 2017, mentre quelli consegnati nel 2016 possono accedere al solo super ammortamento. Per accedere all’iper ammortamento il bene, oltre ad essere entrato in funzione, dovrà essere interconnesso al sistema aziendale di gestione della produzione o alla rete di fornitura; l’interconnessione dovrà essere autocertificata oppure, per i beni di costo superiore a 500mila euro,


DA INTESA SANPAOLO 90 MILIARDI ALLE PMI

E

certificata da una perizia esterna. Sia i beni super ammortizzabili sia quelli iper ammortizzabili devono essere acquistati entro il 31 dicembre 2017, oppure entro il 30 giugno 2018 a condizione che entro fine 2017 l’ordine risulti accettato dal venditore e sia avvenuto il pagamento di un acconto pari ad almeno il 20%. Il mancato slittamento di questo termine al 31 dicembre, che sembrava dover essere contenuto nella cosiddetta manovrina e invece è saltato, non aiuta, visti i lunghi tempi di consegna e installazione dei macchinari particolarmente complessi. Tempi a parte la chiarezza della normati-

ORA IL ROBOT IMPARA DA SÉ Sì, le macchine diventano capaci di apprendimento perché i riscontri dei sensori accumulano dati in una memoria centrale, in cloud, che li elabora e li acquisisce per utilizzarli in futuro.

Si chiama Progettare il futuro l’accordo triennale tra Confindustria Piccola Industria e Intesa Sanpaolo, dedicato alla competitività e alla trasformazione delle imprese per cogliere le opportunità offerte dalla Quarta Rivoluzione Industriale, forte di un plafond da 90 miliardi di euro. Per presentarlo è in corso un Road Show su tutto il territorio nazionale, che si concentra sui meccanismi di funzionamento di Industria 4.0 grazie ai quali le Pmi hanno una straordinaria opportunità di crescita globale, inimmaginabile fino a qualche anno fa. «Il sistema imprenditoriale italiano dopo aver dimostrato di avere la forza necessaria per superare la crisi deve oggi sostenere le sfide della quarta rivoluzione industriale che rappresenta una grande opportunità, ma che necessita di diverse iniziative sul fronte della patrimonializzazione, della formazione e della digitalizzazione. Azioni che richiedono investimenti sia finanziari che nel capitale umano. L’accordo con Confindustria ci vede impegnati a sostenere il sistema produttivo italiano forti della nostra capacità di rappresentare l’acceleratore dell’economia reale in Italia» dice Carlo Messina, consigliere delegato e Ceo di Intesa Sanpaolo. «Il cambiamento che le aziende stanno affrontando è epocale e richiede nuovi strumenti e linee d’azione. Per questo crediamo fortemente nel sesto accordo siglato con Intesa Sanpaolo: il nostro obiettivo è avere imprese capaci di affrontare e vincere le sfide del futuro. Collaboreremo, con il supporto delle strutture territoriali, per valorizzare questa intesa e mettere le Pmi in condizione di anticipare e prevedere i cambiamenti in atto» dice Alberto Baban, presidente Piccola Industria Confindustria.

va ormai è massima, ma questo non significa che tutti i problemi siano superati, come spiega Alfredo Mariotti, direttore generale di Ucimu-Sistemi per produrre, l’associazione dei costruttori italiani di macchine utensili, robot, automazione e di prodotti a questi ausiliari, che conta oggi oltre 200 imprese associate con oltre il 70% del made in Italy di settore: «Il piano è semplice da intendere e facilmente applicabile. Ma l’acquisizione di un nuovo macchinario è solo il punto di partenza: per portare Industria 4.0 all’interno dell’azienda chi vuole sfruttare la possibilità di acquisire macchinari con l’iper ammortamento deve prima sapere cosa vuole fare, dove vuole arrivare, quali costi deve sostenere. Si tratta di riorganizzare tutto il processo produttivo in base ai dati che si riescono a raccogliere, di saperli leggere e interpretare, di evitare lo spionaggio. Il problema insomma non riguarda il Piano, ma il fatto che sulla digitalizzazione della fabbrica le nostre Pmi rispetto alle grandi imprese qualche deficit ce l’hanno ancora, questo scotto lo devono pagare perché per colmare il gap si deve investire». La stessa Ucimu ha attivato una serie di incontri e corsi di formazione per accompagnare le imprese nella nuova avventura, con un’attenzione particolare ai costi a regime dell’Industria 4.0. Un ruolo di sostegno alle Pmi dovrebbe essere svolto anche dai Digital Innovation Hub e dai Competence Center – il bando per la costituzione di questi ultimi è stato annunciato dal ministro Calenda. I primi hanno il compito di fare da ponte tra imprese, ricerca e finanza, di fornire servizi ad alto valore aggiunto, in particolare alle Pmi, cui dare informazioni su come attingere ai finanziamenti e sostenere la formazione di manager e operatori. I secondi saranno pochi e selezionati, con un forte coinvolgimento di poli universitari di eccellenza e grandi player privati.

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GESTIRE L’IMPRESA L’INTERVISTA

L’APPELLO DI CALENDA: «IMPRENDITORI NON MOLLATE È IL MOMENTO DI RIPARTIRE» Il ministro dello Sviluppo Economico: «Sfruttando l’iperammortamento, di fatto è il tempo a pagare gli investimenti, ma bisogna avere un progetto industriale forte e aver capito le nuove tecnologie»

R

di Riccardo Venturi

isultati inconfutabili e idee molto chiare sul futuro. Anche da ministro, Carlo Calenda ha poco del politico e molto (più) del manager. Niente proclami e nessuna promessa: il titolare del Mise preferisce parlare coi numeri. A cominciare da quelli del Piano Industria 4.0, ribattezzato appunto col suo nome, “Piano Calenda”. E semmai con le direttive concrete che nel suo ruolo ha il titolo di dare. «Le misure, introdotte nella legge di Bilancio 2017, sono pienamente operative – spiega in quest’intervista esclusiva per il primo numero di Economy – i dati completi saranno disponibili dai prossimi bilanci e dichiarazioni dei redditi, ma ad oggi, su alcune misure già monitorate, abbiamo riscontri più che positivi: nello scorso mese di aprile, la Nuova Sabatini ha registrato un forte incremento delle domande con una quota di finanziamento prenotato pari a 726 milioni di euro – ovvero un +110% rispetto alla media mensile 2016 – di cui 218 per beni Industria 4.0. Nel primo trimestre di quest’anno, il Fondo di Garanzia ha registrato un aumento di circa il 15% delle domande e dei finanziamenti accolti, rispetto al primo trimestre 2016». Per quanto attiene il super e l’iperammortamento, il credito d’imposta per Ricerca&-

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Sviluppo e la Finanza a supporto del Venture Capital, gli indicatori chiave verranno aggiornati su base annuale e alcuni dati come l’andamento IVA sulle fatture per beni strumentali, permetteranno di avere il polso della misura solo a fine giugno, ma il ministro anticipa che c’è già molto fermento: «Da numerose testimonianze di imprese e associazioni di categoria, fare piani che riguardano gli investimenti agevolati da Industria 4.0 è diventata l’attività prioritaria. Secondo una prima rilevazione effettuata da Banca d’Italia e Il Sole-24 Ore, per circa un terzo delle imprese che prevedono un aumento degli investimenti nel 2017, la misura dell’iperammortamento ha avuto un ruolo molto influente». Per Calenda, insomma, la Quarta Rivoluzione Industriale è pronta a scattare anche nel nostro Paese.

FIDATEVI, LE MISURE DEL PIANO INDUSTRIA 4.0 SOSTERRANNO ANCHE CHI NON FA UTILI


Secondo molto istituti di ricerca, però, queste nuove tecnologie avranno dei pesanti effetti collaterali: i Cobot potrebbero rendere inutili molti più posti di lavoro di quanti se ne creeranno nella produzione, programmazione e gestione dei nuovi sistemi. Non la preoccupa questo rischio? La storia dice che ogni rivoluzione industriale ha portato conseguenze nel mondo del lavoro, ma insegna anche che solo chi l’ha affrontata in maniera organica ne è uscito vincente. Voglio citarle la Germania: ha introdotto il concetto di Industria 4.0 nel 2011 e oggi è la prima economia manifatturiera d’Europa, con un tasso di disoccupazione del 4,6%. L’Italia potrà essere competitiva solo se riuscirà ad aumentare la qualità dei prodotti e la competenza degli addetti, differenziandosi dai “paesi low cost” più attrattivi per il minor costo del lavoro. Dobbiamo conquistare nuovi settori e puntare sul “reshoring” di quelle attività che, a causa di una concorrenza fiscale e retributiva talvolta selvaggia, sono state delocalizzate. Di certo c’è che il mondo del lavoro va ridisegnato: l’effetto principale dell’automazione non sarà necessariamente l’eliminazione di posti di lavoro, ma la loro ridefinizione. La risposta al cambiamento delle competenze e delle attività richieste in ambito economico, non deve essere l’allarmismo o il “protezionismo”, ma un investimento strategico

nell’istruzione: bisogna puntare su conoscenza, competenze e capitale umano. Un innovatore straordinario come Bill Gates ha ipotizzato un tassa sulla capacità produttiva dei Cobot col cui gettito sostenere il reddito dei nuovi disoccupati…. Lei che ne pensa? A mio avviso una tassa del genere, nel nostro Paese, porterebbe solo all’arresto degli investimenti in beni strumentali avanzati, con impatti negativi sulla competitività. No, io credo piuttosto che è tempo di passare dalla tutela passiva della disoccupazione a politiche attive in grado di promuovere formazione e capacità di inserimento professionale. Nel Piano Industria 4.0, non a caso, è coinvolto anche il Ministero del Lavoro che ha avviato un tavolo dedicato a seguire le problematiche che scaturiscono dalla Quarta Rivoluzione Industriale, coinvolgendo il mio Ministero, quello dell’Istruzione Università e Ricerca, le parti sociali e altri enti interessati. Quanto a Bill Gates, mi consenta di ricordare che la sua impresa ha stabilito sedi in Irlanda, Singapore e Porto Rico per pagare meno tasse. Per cui io gli risponderei che se anche le grandi compagnie hi-tech pagassero il dovuto laddove realizzano i loro profitti, si potrebbero finanziare nuove politiche di sostegno ai lavoratori oggetto dei possibili contraccolpi della tecnologia, senza dover inventare altre tasse. Da uno studio OCSE del 2015 le imposte evitate ogni anno dalle web corporation, solo in Europa sono stimate attorno ai 70 miliardi di euro all’anno, di cui un decimo riguarda l’Italia. Il CARLO CALENDA, MINISTRO DELLO SVILUPPO ECONOMICO

tema attuale non è dunque la tassa sulle nuove tecnologie, ma l’adeguamento del fisco alla nuova realtà 4.0: in un mondo produttivo sempre più dematerializzato, è anacronistico pensare che le imposte siano ancorate alla residenza fiscale di un’azienda che produce e genera utili in molti e differenti Paesi. Il suo Piano di incentivi piace, ma non a tutti e non in tutto: la rimproverano perché l’iperammortamento premia solo le aziende che generano cospicui utili ante– imposte. Se invece non generano utili, o peggio hanno debiti, l’iperammortamento ovviamente non serve… Be’, è difficile pensare che chi non genera utili, faccia grandi investimenti, le pare? Queste misure hanno anche il vantaggio di contribuire a far “emergere” gli utili nei bilanci. L’iperammortamento è premiante per chi adotta com-

L’EX-MANAGER CHE SA QUEL CHE DICE Carlo Calenda è figlio dell’economista Fabio e della regista Cristina Comencini, e quindi nipote di Luigi che gli fece fare il piccolo Enrico nello sceneggiato televisivo Cuore. è stato assistente di Luca Cordero di Montezemolo. Laurea in giurisprudenza, diritto internazionale, passa dall’occuparsi di diritti tv alla Ferrari, dove segue il marketing e la quotazione in borsa. Molla Montezemolo per fondare Sky in Italia, poi però torna a casa, e segue il maestro in

Confindustria dove diventa direttore degli affari internazionali. Scende nell’agone politico con Italia Futura, la fondazione che doveva lanciare Montezemolo. Non se ne farà nulla, ma Calenda finirà candidato con Scelta Civica, e poi chiamato da Enrico Letta a fare il viceministro al Mise. Carica che conserverà con il Governo Renzi, per poi essere mandato a Bruxelles come rappresentante dell’Italia. Quindi il ritorno da ministro a seguito delle dimissioni della Guidi.

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GESTIRE L’IMPRESA L’INTERVISTA

portamenti virtuosi e riprogramma la fabbrica nella logica 4.0: tra le misure del Piano, rappresenta quella in grado di portare una spinta innovativa indispensabile per garantire competitività e produzione di ricchezza nel presente e nel futuro. Ma Industria 4.0 prevede iniziative di cui possono godere anche imprese che non generano utili: penso al credito d’imposta per Ricerca & Sviluppo, che potrà generare un credito da portare in compensazione per oneri e contributi comunque dovuti dalle imprese. Poi c’è la Nuova Sabatini per le imprese che, investendo in tecnologie 4.0, potranno beneficiare di contributi in conto interessi maggiorati del 30%. E infine il Fondo di Garanzia per supportare le imprese e i professionisti che hanno difficoltà ad accedere al credito bancario. IL CREDITO D’IMPOSTA PER RICERCA & SVILUPPO POTRÀ GENERARE UN CREDITO DA PORTARE IN COMPENSAZIONE PER ONERI E CONTRIBUTI COMUNQUE DOVUTI DALLE IMPRESE ANCHE SE NON FANNO UTILI

E le imprese italiane? Le sembrano consapevoli della crucialità della Quarta Rivoluzione? Sì, credo che i nostri imprenditori sappiano quanto questa sia una sfida cruciale per loro che e l’intero Paese: la difficoltà semmai sarà declinare le tante opzioni tecnologiche sui singoli casi aziendali. Nel lanciare il Piano, uno dei rischi che ho temuto di più è che la scarsa conoscenza del tema ne

impedisse la piena attuazione. Perché, senza gli imprenditori, Industria 4.0 rimane un Piano di carta. Per questo motivo, ho inviato a circa un milione di imprese una guida alle misure e una circolare sviluppata in collaborazione con l’Agenzia delle Entrate che risponde alle esigenze sollevate da vari fronti in questi primi mesi. A breve partirà il bando per la costituzione dei Competence Center che, in aggiunta ai Digital Innovation Hub, avranno l’obiettivo di incentivare le conoscenze e le abilità in quelle imprese che vorranno massimizzare i benefici derivanti dalla Quarta rivoluzione.

Come potrà l’Italia destreggiarsi in un mondo dominato dal trumpismo che smantella gli accordi commerciali? Il 2016 non è stato affatto semplice: si sono aperti scenari inimmaginabili, come Brexit e l’elezione di Trump, che comunque rispettiamo, in quanto scelte democratiche. Sono state messe in discussione certezze su cui abbiamo investito nel tempo, dall’Europa agli scambi su scala globale. Le politiche protezionistiche costituiscono un forte rischio al ribasso per le prospettive dell’intero commercio internazionale: l’abbandono o la riformulazione del TTP, del TTIP e del Nafta e l’introduzione di tassazione all’importazione di merci potrebbero innescare ritorsioni da parte di altri paesi che, attraverso nuove barriere tariffarie e svalutazioni competitive, produrrebbero un effetto domino per l’economia globale. Secondo il rapporto Global Trade Alert, il ricorso a

EXPORT, TRE ANNI COL SEGNO PIU’. «MA POSSIAMO MIGLIORARE» «In questi 3 anni, l’export è aumentato di 18 miliardi, +5% rispetto al 2014, raggiungendo nel 2016 il livello record di 417 miliardi, con un saldo commerciale positivo di 51 miliardi di euro. Questi sono

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grandi risultati, il cui merito è prima di tutto delle imprese, ma non sono un punto di arrivo: considerando che in Germania le esportazioni in beni e servizi coprono circa il 46% del PIL, noi, come seconda

nuove misure restrittive è aumentato di oltre il 50% negli ultimi due anni e per oltre l’80% in capo a Paesi membri del G-20. Al momento tuttavia, non registriamo particolari frizioni rilevanti con gli Stati Uniti. La relazione tra Europa e Usa rimane imprescindibile per riequilibrare la globalizzazione e costruire una governance in grado di assicurare parità di condizioni per tutti. SECONDO IL RAPPORTO GLOBAL TRADE ALERT, IL RICORSO A NUOVE MISURE RESTRITTIVE È AUMENTATO DI OLTRE IL 50% NEGLI ULTIMI DUE ANNI E PER OLTRE L’80% IN CAPO A PAESI CHE FANNO PARTE DEL G-20

Lei ha avuto un ruolo elevatissimo anche a Bruxelles, sia pure per poco. Avrà certamente una sua idea sul futuro dell’istituzione sovranazionale forse più in crisi: l’Unione Europea, appunto. L’Europa è un’istituzione estremamente dinamica, paradossalmente più dinamica di ogni singolo Stato che la compone. L’Unione è stata disegnata in un’epoca diversa da questa: consensuale e con un’economia strutturalmente in forte crescita. Il mondo è cambiato e, di conseguenza, deve cambiare la governance europea. C’è bisogno di risposte concrete e rapide su difesa, commercio e migrazione. Al suo interno, l’Ue deve tenere maggior conto delle esigenze dei vari Stati: non c’è peggior ingiustizia che fare regole uguali per chi ha priorità e bisogni diversi. Occorre una politica in grado di garantire più flessibilità e quindi crescita. Questa è la vera arma contro il populismo.

economia manifatturiera europea, possiamo aspirare ad andare ben oltre l’attuale 30%. Per supportare questa crescita, in Legge di Bilancio abbiamo stanziato altri 100 milioni per il Piano Made in Italy e,

grazie anche al lavoro svolto con le principali associazioni, stiamo testando l’efficacia del segno descrittivo a tutela delle eccellenze italiane contro i prodotti italian sounding».


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Maroni: «Oltre cento milioni per le imprese che innovano» Intervista con il presidente della Regione Lombardia: «In quattro anni abbiamo finanziato investimenti per 1,5 miliardi in un territorio leader in Europa. Stiamo costruendo una vera “Lombardia Valley”» di Giordano Fatali La ricerca e l’innovazione rendono, ma costano. E per tante aziende, soprattutto piccole e medie, uscite dalla crisi con l’affanno, anticipare i soldi per fare ricerca è un problema. Che potrebbero risolvere, in molti casi, se sapessero che a due passi – proprio “a chilometro zero”, i soldi ci sono. Basta allungare metaforicamente la mano: basta saperlo, compilare le domande, farsi avanti. L’indirizzo giusto può essere, per chi risiede entro i suoi confini amministrativi, quello della Regione Lombardia, l’ambito in cui nasce (e cresce, per fortuna) il 20% del Pil italiano. «La nostra Giunta regionale ha approvato una delibera con la quale si incrementa di 66,73 milioni di euro la dotazione finanziaria destinata alla sottoscrizione degli Accordi per GIORDANO FATALI, FONDATORE E PRESIDENTE DI HRCOMMUNITY IN ALTO IL GOVERNATORE ROBERTO MARONI

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milioni di euro a fondo perduto (POR FESR la ricerca», spiega in questa intervista esclusiva 2014-2020), garantendo fino a 4,5 milioni di a Economy Roberto Maroni, presidente della euro a progetto. Sono stati presentati oltre Regione Lombardia, «finalizzati a favorire lo 90 progetti, di cui 51 giudicati ammissibili sviluppo di progetti di ricerca che abbiano alla fase di negoziazione: i partenariati sono rilevanti ricadute sulla competitività del molto ampi, coinvolgono infatti 311 soggetti territorio lombardo, attraverso l’utilizzo di di cui 110 organismi di ricerca e 201 imprese, accordi pubblico-privato tra la Regione e altri per investimenti Enti. Grazie a questo provvedimento, la «SONO STATI PRESENTATI 90 PROGETTI proposti pari a 316 dotazione finanziaria DI CUI 51 AMMESSI ALLA NEGOZIAZIONE. milioni di euro. Il ENTRO MAGGIO 40 MILIONI, 94% di questi progetti sarà dunque pari a CON UN EFFETTO-LEVA DI 73, prevede l’utilizzo di 106,73 milioni di AI PRIMI 12 ACCORDI» tecnologie abilitanti euro». e sempre per il 94% si arriverà a brevettare Presidente, ci spieghi meglio: cosa sono il prodotto al termine del progetto. Con i 40 questi Accordi? milioni del primo stanziamento si arriverà «Gli Accordi per la ricerca e l’innovazione sono alla sottoscrizione, entro la fine del mese di tra le principali novità contenute nella legge maggio 2017, dei primi 12 Accordi. L’effetto 29 e sono stati avviati in via sperimentale già a leva sarà di 73 milioni di euro». partire da giugno 2016. Sono un vero e proprio In quali settori intendete investire i patto negoziale tra Regione Lombardia e una finanziamenti in ricerca e innovazione? aggregazione fatta da almeno un’impresa «Il nostro obiettivo è, da sempre, quello di e un centro di ricerca e/o Università, che raggiungere, in termini di finanziamenti presentano un’innovazione di prodotto o di in ricerca e innovazione, il 3 per cento del processo di altissimo profilo. La Regione ha Prodotto interno lordo della Lombardia. messo a disposizione, in prima battuta, 40


Dal 2013 al 2017 Regione Lombardia ha finanziato direttamente 85 interventi di ricerca e innovazione su una molteplicità di ambiti strategici: efficienza energetica, banda ultra larga, tecnologie per il terziario, ammodernamento delle aziende agricole, ricerca biomedica, smart cities, start up, formazione continua, mobilità elettrica… Un investimento complessivo di 1,5 miliardi di euro in 4 anni, in un territorio all’avanguardia in Europa per competitività (800.000 imprese, 1000 brevetti l’anno, 1574 start up innovative), per ricchezza del sistema della ricerca (13 università, 1000 centri di ricerca e trasferimento tecnologico, 19 IRCCS, 12 istituti CNR, 9 cluster tecnologici) e per la qualità del capitale umano (250.000 studenti universitari, 50.000 addetti alla ricerca scientifica, 50% delle sperimentazioni cliniche italiane). Un sistema che, tra pubblico e privato, investe in ricerca, sviluppo e innovazione 8,7 miliardi di euro l’anno, pari al 2,5 per cento del Pil lombardo. Ci stiamo quindi avvicinando concretamente al traguardo». Si è anche letto del progetto Open Innovation, sempre vostro. Di che si tratta? «Contestualizziamo. Il sistema di collaborazione pubblico-privato è tra le chiavi del successo che la Lombardia può vantare in tanti settori. Gli Accordi sono un esempio importante di quanto si può raggiungere attraverso la collaborazione tra pubblico e privato, creando le migliori condizioni per rispondere ai bisogni della società, aumentare la competitività del sistema produttivo e incrementare la qualità della vita dei cittadini. Attraverso i 9 cluster tecnologici regionali riconosciuti abbiamo coinvolto nella governance e nella definizione delle politiche tutto l’ecosistema dell’innovazione, facilitando l’attivazione di collaborazioni nei diversi ambiti tecnologici applicativi. È il paradigma dell’innovazione aperta, appunto l’Open Innovation, secondo il quale nel contesto competitivo vince chi è in grado di coinvolgere le migliori competenze, da qualsiasi parte provengano».

E dunque? «Per dare questa opportunità e favorire l’aggregazione tra coloro che si occupano di ricerca e innovazione, anche in realtà molto diverse tra loro, Regione Lombardia ha fatto nascere ‘Open Innovation’ (www. openinnovation.regione.lombardia.it), piattaforma collaborativa sulla quale oggi lavorano quasi 6000 persone, che ha permesso finora di mettere in circolo 8000 opportunità di collaborazione da tutto il mondo e che favorisce un rapporto più immediato tra Amministrazione e cittadinanza. La legge regionale 29/2016 ‘Lombardia è ricerca e innovazione’ è nata seguendo questo metodo di coinvolgimento diretto. Regione Lombardia ha inoltre deciso di rendere a tutti disponibile, con licenza gratuita e open source, la Piattaforma Open Innovation, per favorire la creazione di nuove collaborazioni nazionali ed internazionali e permettere ad altri soggetti pubblici e privati di adottare lo stesso metodo collaborativo». E pi lei è andato in visita in Silicon Valley: con quale bagaglio è tornato? «Quella a San Francisco e in Silicon Valley è stata una tre giorni di estrema utilità e grande interesse, nel cui ambito abbiamo fatto un ulteriore passo verso la realizzazione di quella che chiamiamo ‘LombardyValley’. Ci sono andato per vedere cosa è accaduto là, cosa sta accadendo e, soprattutto, come. E sono tornato ancora più consapevole che la nostra

LA PARTNERSHIP CON HRC L’autore di questa intervista è il fondatore e presidente di Hrcommunity Giordano Fatali (nella foto piccola della pagina accanto). Insieme con Economy. Hrc - la più dinamica se non la più grande tra le associazioni dei capi delle risorse umane - seguirà un percorso di incontri, approfondimenti

e dibattito su tutti i temi di maggiore attualità per le imprese e chi vi lavora sui problemi del «capitale umano». Oggi infatti sempre più spesso è la gestione delle risorse umane lo snodo cruciale nell’innovazione dell’impresa. E chi se ne occupa riveste un ruolo chiave e ha bisogno di confronto.

NELLA STANFORD UNIVERSITY UN FORTE MODELLO PER MECCANISMI E INSEGNAMENTI DA ATTUARE ANCHE IN LOMBARDIA regione non ha nulla da invidiare all’area californiana. Dalla visita alla sede della IBM è emersa l’opportunità, anzi la necessità di realizzare il Centro Watson Health a Milano, realtà all’avanguardia, anche per diagnosi più precise, in tempi rapidi e a costo inferiore per il sistema sanitario. Nei quartieri generali dei Social - Twitter, LinkedIn e Facebook - ci siamo confrontati con chi ci lavora e ogni giorno li rinnova, consapevoli del grande impatto di questi strumenti sulla vita di tutti noi, anche per comunicare in modo diretto, in tempo reale, e raccontare cosa si fa, come nel caso delle Istituzioni. Alla prestigiosa Stanford University, al centro di un vero e proprio distretto della ricerca, è emersa la forte interrelazione tra università e imprese e l’efficacia del meccanismo legato alla ricerca all’interno dell’Ateneo, che sprona a fare sempre meglio, per poter continuare a insegnare e a studiare in quegli ambienti esclusivi. Insegnamenti, metodi e meccanismi da attuare anche in Lombardia, dove strumenti, strutture e talenti non mancano e che, con l’impegno di tutti, e col traino di Milano, dove porteremo presto realtà straordinarie, può davvero aspirare a un grande ‘Rinascimento’, di portata europea e mondiale».

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GESTIRE L’IMPRESA I MODELLI

LODOVICO CAMOZZI, PRESIDENTE E CEO DEL GRUPPO CAMOZZI

Camozzi Group e Abb si sposano con l’Iot Il gruppo di Brescia, leader nel meccanotessile avanzato, sta rivoluzionando la sua produzione con l’Internet delle cose

C

’era una volta lo stabilimento nel quale all’improvviso un componente si guastava, la produzione rallentava o si bloccava, in attesa della riparazione o della sostituzione. Ora se un componente inizia a usurarsi o si avvicina al punto critico che rende probabile una rottura, il sistema “se ne accorge” con netto anticipo, richiede autonomamente l’intervento di riparazione, segnalando il problema in centrale, e ottimizzando i tempi di ripristino. Si chiama “manutenzione predittiva” ed è un esempio tipico delle straordinarie applicazioni industriali del cosiddetto Internet delle cose. Che da tempo è stato messo a punto, ed è installato attivamente presso molte industrie

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UNA STORIA NATA NELLA FIOM La storia di Camozzi ha inizio nel 1964 quando a Lumezzane, un piccolo paese in provincia di Brescia, i tre fratelli Attilio, Luigi e Geromino Camozzi cominciarono a produrre in proprio componenti pneumatici per l’automazione

industriale. Attilio, che di fatto è il leader dell’iniziativa, era stato operaio metalmeccanico lui stesso, iscritto alla Fiom. E memore di queste origini ha sempre voluto porre al centro della sua attività la valorizzazione del capitale umano. E’ mancato un anno e mezzo fa, e la guida del gruppo è passata al figlio Lodovico, che già da molti anni lo aveva affiancato operativamente.

clienti, da Camozzi Group, 10 aziende leader nei rispettivi settori: automazione, macchine tessili, macchine utensili, trasformazione meterie prime e mondo IoT, presenti in oltre 70 Paesi, con più di 2.400 dipendenti mondiali. E’ un Gruppo con un’anima tecnologica spiccatissima, che nel 2011 ha creato una divisione, la Camozzi Digital, in cui ha integrato tutte le competenze in R&S, elettronica, progettazione e sperimentazione digitale e con cui ha sviluppato tutta una serie di prodotti di nuova generazione. Avvalendosi di partnership di rango internazionale su Internet delle cose, intelligenza artificiale e robotica: innanzitutto la piattaforma Azure e Microsoft Cortana Analytics suite, “e siamo grati a Microsoft Italia per aver creduto nella nostra tecnologia che ci posiziona tra i leader industriali» spiega Lodovico Camozzi, Presidente e Ceo del Gruppo Camozzi. Ma un’ulteriore importantissima sinergia industriale, senza precedenti in Italia, si è poi concretizzata con ABB Robotica e con Evolut, per la messa a punto di un impianto d’avanguardia a Polpenazze del Garda, nello stabilimento produttivo del gruppo Camozzi. E’ stata infatti realizzata una cella robotizzata di assemblaggio in cui un robot collaborativo YuMi, già celebre in Italia per essere stato utilizzato in modalità sperimentale all’Expo di Milano, lavora a contatto diretto, in assoluta sicurezza, con un collega in carne e ossa per montare una valvola, in un processo industriale digitalizzato e totalmente efficiente. I dati che si ricavano dai sensori applicati alla produzione sono trasmessi in tempo reale, via cloud, alla piattaforma di Camozzi Digital dove vengono utilizzati per estrarne informazioni funzionali. “È dal 2011 che noi di Camozzi abbiamo intrapreso un nuovo modo di relazionarci con i nostri clienti, oggi sempre più attenti al ritorno dell’investimento e all’affidabilità degli impianti, cioè all’efficienza del loro comparto produttivo” spiega Camozzi: “E oggi l’Industrial Internet of Things consente di ottenere un rapido aumento dell’efficienza e della produttività; non sfruttare questo patrimonio, oggi, sarebbe un errore imperdonabile”.


La formula IBM Si parte dai dati e si vince con l’intelligenza Il colosso americano ha aperto a Monaco la sede globale dell’Internet of Things. E per l’Italia propone un approccio specifico

L

a capacità di interpretare in tempo reale la grande mole di dati prodotta dalle applicazioni industriali dell’Internet of things è la chiave di volta dell’efficacia di Industria 4.0. È un campo nel quale IBM non teme concorrenti, grazie in particolare alla piattaforma gestita in cloud Watson Iot. Watson è il nome attribuito - in onore del fondatore dell’IBM - al potentissimo sistema centrale di calcolo che rappresenta oggi la più avanzata realtà dell’intelligenza artificiale al mondo. Gli esempi di applicazioni concrete di Industria 4.0 sono ormai all’ordine del giorno. Un caso recente di grande impatto della partnership offerta alle aziende dal colosso globale dell’informatica viene dalla multinazionale tedesca Schaeffler, tra i leader mondiali nella produzione di cuscinetti, da quelli di pochi millimetri fino ai più grandi usati nelle turbine eoliche. Schaeffler li ha sensorizzati, facendone una preziosa fonte di informazioni sul funzionamento delle stesse turbine eoliche, di treni, motori di automobili e così via. IBM ci ha messo la capacità di raccogliere e interpretare i dati, ottenendo l’ottimizzazione delle prestazioni e la sostanziale abolizione delle avarie. «Stiamo entrando in un’era nella quale i componenti possono monitorarsi e valutare le proprie prestazioni, perfino ordinare la pro-

L’AMMINISTRATORE DELEGATO DI IBM ITALIA, ENRICO CEREDA

L’APPROCCIO IBM PER IL MERCATO ITALIANO IBM Italia ha messo a punto un approccio specifico per il nostro mercato che si basa sulla comprensione di 4 elementi:

1 Il modello di business dell’azienda, che va verso un prodotto che è anche servizio; 2 la revisione dei processi di business necessari a supportare questo modello. Per esempio i servizi di after sales evoluti di tipo proattivo - predittivo; 3 l’elemento organizzativo: ci sono nuove figure professionali e nuove funzioni aziendali che devono lavorare in modo diverso, sinergico e veloce; 4 l’ecosistema. IBM mette a disposizione non solo i propri prodotti, ma anche un ecosistema locale di partner per la sensoristica di base.

pria sostituzione quando necessario» dice Peter Gutzmer, vicepresidente e direttore tecnico di Schaeffler. In Germania, a Monaco, IBM ha creato il proprio quartier generale Watson IoT globale, ma anche in Italia si propone alle imprese come partner ideale per entrare nell’Iot e quindi in Industria 4.0. «IBM è sempre pronta per supportare la trasformazione all’interno dei diversi settori industriali», dice Stefano Rebattoni, General Manager Global Technology Services, a capo dell’unità di IBM Italia dedicata a Industria 4.0. «Oggi lo fa all’interno del settore manifatturiero tramite progetti di consulenza e di implementazione di proprie tecnologie e soluzioni, accompagnando e sostenendo nei fatti chi vuole abbracciare in anticipo questa Quarta Rivoluzione Industriale. Una scelta che assicura vantaggio competitivo, qualità e flessibilità al proprio sistema di produzione».IBM, insomma affianca le aziende per fare un’analisi delle loro effettive esigenze, valutare in quali aree l’innovazione può portare benefici e definire un percorso d’azione, il relativo budget e stabilendo un punto d’arrivo preciso e procedendo per solidi passi progressivi. (R.V.)

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GESTIRE L’IMPRESA ETICA&AFFARI

Volontariato, la sharing economy italiana Parla Ferruccio De Bortoli, l’ex direttore del Corsera e del Sole-24 Ore che da dieci anni è impegnato nella Vidas, associazione milanese che assiste i malati terminali di cancro di Sergio Luciano NON CHIAMATELA MAI BENEFICENZA, e ne-

simo diversamente, ma non meno di prima. anche solidarietà va bene: è troppo poco. Il Direttore, cosa c’entra il volontariato con volontariato, il terzo settore, è molto di più. la sharing economy? «È il laboratorio di tutte le formule virtuose C’entra, perché questo nostro Paese ha un della sharing economy»: il giornalista econocapitale sociale, nel senso di umano, estremamico che si cela dietro lo sguardo azzurro di mente elevato, e le buone relazioni tra perFerruccio De Bortoli non dorme affatto mensone lo mettono a frutto. Se gli esseri umani tre l’ex bis-direttore del Corriere racconta devono condividere beni comuni o servizi di come mai si trova a presiedere la Vidas, una prossimità in una diversa dimensione della delle associazioni assistenziali senza fini di vita urbana, avere un buon tessuto di relaziolucro più apprezzate d’Italia. «Dopo dieci anni ni, quindi un capitale sociale fatto di volondi consiglio e due di presidenza, posso dire, tariato e persone che donano il loro tempo, dall’interno, che il terzo settore è una leva espredispone a ciò. Il terzo settore, inoltre è senziale dell’economia italiana, di cui sottovaun ammortizzatore privato di straordinaria lutiamo non solo l’importanza sociale ma anefficacia. Se dal 2008 ci siamo impoveriti del che la portata sistemica». L’unico giornalista a 10% e abbiamo perso il 25% della produziopotersi fregiare di due ne industriale senza IL TERZO SETTORE È UNA LEVA querele nello stesso subire gravi contracmese da parte sia di ESSENZIALE DELL’ECONOMIA DEL PAESE, colpi in termini di tenDI CUI SOTTOVALUTIAMO NON SOLO Silvio Berlusconi che sioni sociali, è anche L’IMPORTANZA SOCIALE MA ANCHE di Massimo D’Alema; grazie al terzo settore. LA PORTATA SISTEMICA l’unico direttore di Ma, in termini ecogiornale ad avere pilotato una quotazione in nomici, di che stiamo parlando? Borsa, quella del Sole 24 Ore, che portò 250 Di circa il 4% del Pil, creato da oltre 300 mila milioni dentro le casse (e non fuori!) delorganizzazioni, con un’occupazione di 700 la casa editrice; l’alchimista della libertà di mila persone e 4 milioni di volontari. È una stampa che ha saputo esprimere il massimo leva di crescita con un moltiplicatore molto dell’indipendenza possibile dentro l’unico elevato. Induce investimenti e crea occupaquotidiano-istituzione del Paese (e “quindi” zione. Il governo Renzi ha giustamente varato oggi, a 65 anni, non sembra servire più agli una riforma del Terzo Settore, la legge 106 editori italiani) ebbene: sta servendo il prosdel 2016, ipotizzando per la prima volta una

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UN LIBRO SUI “POTERI FORTI” È uscito in questi giorni, per i tipi de “La nave di Teseo”, il primo libro che Ferruccio de Bortoli dedica alla sua

lunga militanza giornalistica. “Poteri forti (o quasi). Memorie di oltre quarant’anni di giornalismo”, questo il titolo del volume nel quale l’ex direttore del Corriere e del Sole-24 Ore - che oggi presiede la Longanesi - racconta l’esperienza maturata in decenni di carriera. Molti saranno inquieti.

fondazione nazionale con un grande obiettivo pubblico – il lavoro, la lotta agli sprechi, la manutenzione del territorio in funzione della tutela del paesaggio e della prevenzione delle calamità – ma non è stata ancora regolamentata. E lei, come si trova qui? Molto bene. Entrare alla Vidas è stata per me una grande prova personale e una lezione di civiltà. Se invece vuol sapere come ci sono arrivato, lo devo a Giovanna Cavazzoni, la fondatrice, che mi chiamò dieci anni fa in consiglio e poi insistette affinchè io facessi il presidente. Purtroppo è mancata un anno fa… Ma la Vidas fa un’attività triste: assiste i malati terminali di cancro… Fino al varo della legge 34 del 2010, che regola le cure palliative, il malato terminale veniva mandato a casa dagli ospedali, come uno scarto della società. Perdeva la dignità


CON 300 MILA ORGANIZZAZIONI, 700 MILA OCCUPATI E 4 MLN DI VOLONTARI, QUESTO SETTORE PRODUCE IL 4% DEL PIL di paziente. Una volta giudicato terminale, non lo si considerave più meritevole di accudimento perché non poteva più guarire. Qui c’è stato il messaggio di grande civiltà della Vidas. Nell’ultimo tratto la vita c’è ancora, anzi per certi versi è anche superiore per intensità, perché il passato viene rivalutato con i ricordi. Se una persona viene assistita amorevolmente, se le famiglie sono poste nella condizione di non essere travolte dal dolore, allora si compie un atto di grande civiltà, anzi, di misericordia civile, un qualcosa che io stesso avevo sottovalutato a lungo. E ora, invece… Be’, oggi la Vidas è la sedicesima associazione per raccolta del 5 per mille su 36 mila associazioni che concorrono. E operiamo solo nella città metropolitana di Milano… Com’è stato possibile? Dando ancora un po’ di vita vera a chi ha perso ogni speranza, tutelando la loro dignità, permettendo loro di vivere i ricordi con meno angoscia. E facendo tutto questo come associazione aconfessionale, tutelando cioè tutti i riti, in una logica di integrazione e manutenzione del tessuto sociale. Su quante risorse potete contare? Abbiamo un bilancio di 9 milioni annui, finanziato dal 5 per mille nella misura del 15%

circa. Il resto arriva da donazioni, lasciti e contributi pubblici: avendo un ospedale, l’Hospice Vidas, abbiamo un accreditamento, che si estende anche all’assistenza domiciliare. Ma non accreditiamo tutti questi posti letto in hospice, lasciamo spazi liberi anche per chi non è coperto dal Servizio sanitario nazionale, come gli immigrati clandestini. Non diciamo no a nessuno: siamo arrivati ad avere fino a 200 malati assistiti contemporaneamente. Abbiamo 120 dipendenti e oltre 250 volontari. Sviluppi futuri? Ci stiamo attrezzando per occuparci anche di terminalità pediatrica. Un mondo con venature di dolore e disagio sociale ancora più forti. Si è studiato che la malattia mortale di un bambino, oltre alla famiglia, coinvolge nell’insieme 2-300 persone, perché diventa un’icona di sofferenza per intere comunità. È un settore in cui naturalmente ci sono terminalità più lunghe, per cui occorrono professionalità specifiche. Nel 2019 apriremo il nostro primo hospice pediatrico. Cosa ne pensa della morte? Bisognerebbe parlarne senza tabù. L’esorcizzazione della morte che si respira intorno a noi è una forma di regressione della società, mentre la fine della vita è un fatto naturale con cui si deve convivere. È un tema al quale dedichiamo attenzione attraverso il nostro comitato scientifico, che si occupa molto di bioetica. Ovviamente non bisogna confondere le cure palliative con l’eutanasia, sono cose completamente diverse. Noi ci impegniamo a rendere più sopportabile il dolore e a prolungare in maniera dignitosa la vita dei malati terminali. E del testamento biologico, che ne dice? Lo considero un passo avanti. Ricordo che il Cardinal Martini, nel 2007, mandò al Sole un articolo che titolammo “Io, Welby e la morte”, nel quale esortava ad evitare l’accanimento

terapeutico, spiegando che ciò non significava accelerare la morte ma accompagnare verso l’esito finale una persona senza inutili accanimenti. È un tema delicatissimo, al quale personalmente mi sono avvicinato con cautela, a fronte della mia impreparazione. E dunque? Apprezzo lo spirito della Vidas. Nella parte finale della vita acquistano valore i piccoli gesti: anche uno sguardo o una carezza. Un semplice istante può essere sorgente di gioia e di serenità, di relazioni autentiche, di riscoperta di legami o rapporti familiari. Si vedono famiglie che si riuniscono, padri che si riconciliano coi figli, persone che ritrovano le ragioni dello stare insieme. Mi rimprovero il fatto che, un po’ come tutti, non pensandoci, per troppo tempo ho lasciato che il problema non esistesse. Parla da credente... Io sono cattolico, ma Vidas, ripeto, è una struttura aconfessionale. Infatti penso che visitare infermi e occuparsi degli altri sia una forma di educazione civica tra le più alte. Noi invece esorcizziamo la morte e continuiamo a vivere in una sorta di artificialità psicologica. Per me questa alla Vidas è una grandissima esperienza umana. Mi ha fatto rendere conto di quanta vita sprechiamo. Siamo dissipatori e irresponsabili. Ma ce ne accorgiamo solo nell’ultimo tratto della nostra esistenza.

UNA MANO TESA DA 35 ANNI Fondata nel 1982 da Giovanna Cavazzoni, la Vidas fornisce assistenza a Milano, Monza e in altri 112 comuni dell’hinterland milanese. Nel 2016 ha assistito 1.254 pazienti di cui 236 nell’Hospice, erogando 75 mila giornate di assistenza. Per la costruzione della Casa Sollievo Bimbi, l’associazione ha stanziato oltre 15 milioni di euro. I lavori si concluderanno in tempo per l’apertura, fissata al 2019.

Per approfondire: www.vidas.it

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SHORT STORIES

Health care

Ricerca&Sviluppo

Cosmofarma, l’economia corre sul filo delle relazioni

Giuliani (ri)vince innovando Rentrée trionfale sulla scena fieristica più importante del settore, Cosmofarma Exhibition, con un premio alla ricerca, nella categoria “Dermocosmesi e tricologia”.

Paola d’ordine della fiera: economia relazionale. È quella su cui si giocherà, sul mercato nazionale ma anche all’estero, la partita della crescita dei prossimi anni. Trade show, exhibition, fiere e congressi sono sempre più luoghi privilegiati per fare networking, intercettare key trend di settore e generare contatti positivi. Come disse Bill Gates nel Duemila, al neoeletto presidente della Fiera di Milano Michele Perini che, incontrandolo a Davos, gli confidò la sua ansia circa il declino delle fiere “fisiche”: “Dont’worry, Mike: people need to meet people!”. Riprova eloquente si è avuta quest’anno al Cosmofarma Exhibition di Bologna, evento leader per il mondo della farmacia a livello europeo nell’ambito dell’Health Care, del Beauty Care e di tutti i servizi legati al mondo della farmacia, per un intero weekend la parola chiave è stata economia relazionale: tre giorni di esposizione, 600 incontri B2B, aziende provenienti da oltre 20 paesi nel mondo. È stato questo il ritmo dell’International Buyer Program che si tiene ogni anno in occasione della manifestazione. In un solo weekend, concrete opportunità di Business nell’ambito di meeting “one to one” ad alta rotazione con “speedy date” di 20 minuti. La piattaforma consente ai Buyer indipendenti, ai proprietari di drugstore e farmacie di incontrare vis-à-vis produttori e aziende farmaceutiche - grazie ad un sistema che seleziona gli espositori che meglio rispondono alle loro necessità - ottimizzando la propria presenza in fiera. DI ELISA STEFANATI

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SOPRA, UN MOMENTO DEI FITTI INCONTRI D’AFFARI SVOLTISI NEL CORSO DEL COSMOFARMA.

«Cosmofarma per il quinto anno ha confermato l’International Buyer Lounge connotandosi sempre più come fiera di progetto e non solo di prodotto», riassume soddisfatto il direttore di Cosmofarma Roberto Valente: «L’International Buyers Program rappresenta una piattaforma di successo che favorisce e promuove l’incontro tra domanda e offerta del mercato della farmacia anche in un comparto, quello dei prodotti cosmetici Made in Italy, ad alto tasso di esportazione». A conferma arrivano gli ultimi dati sul fatturato dell’industria cosmetica italiana che nel 2016 ha superato 10 miliardi e mezzo di euro. «Di questi 10 miliardi il 40% rappresenta il dato di esportazione verso i mercati tedesco in primis, francese e statunitense», prosegue Valente, «e le esportazioni nel 2016, hanno segnato un incremento del 12 % sul 2015». All’International Buyer Program 2017 si sono candidate 20 aziende provenienti da territori “nuovi” per Cosmofarma, come Arabia Saudita, Ucraina, Hong Kong, Giappone, Grecia e Gambia. «Sicuramente le attività di scouting in essere e i nuovi contatti provenienti dalla trasferta ad Expopharm hanno portato nuova linfa al database» ha concluso Valente, sempre più convinto dell’importanza della promozione dell’incontro tra domanda e offerta del mercato della farmacia, se capace di abbinare

il momento espositivo al dialogo B2B. Cosmofarma scommette da anni anche su formazione e aggiornamento. L’edizione 2017 ha ospitato oltre 80 convegni, organizzati direttamente da Cosmofarma, dalle aziende espositrici e dalle associazioni di settore. Sapere, conoscenza e condivisione. E così accanto all’economia relazionale, si fa strada l’economia dell’esperienza che necessita di uno sforzo comune di trasformazione e rinnovamento che fa dialogare tutti gli attori della filiera. Lo strumento fiera non è né a monte nè a valle del sistema produttivo: la capacità di successo degli eventi fieristici rimanda alla qualità delle reti, logistiche, universitarie, di comunicazione, e di accoglienza. Il potenziale relazionale delle esposizioni è di favorire l’implementazione dell’intero sistema come moltiplicatore di valore al servizio della competizione delle imprese.

Per l’azienda farmaceutica Giuliani un riconoscimento gratificante. «Siamo un’azienda leader nella dermocosmesi e per la salute dei capelli, che da sempre investe in ricerca scientifica ed innovazione tecnologica», commenta Gianmaria Giuliani, «e col nostro marchio di punta Bioscalin, quest’anno siamo anche stati main sponsor del laboratorio di tricologia, curato dal dermatologo Fabio Rinaldi, presidente dell’ International Hair Research Foundation. Il sapere è un bisogno primario, come il cibo o il sonno. È necessario renderlo accessibile. La ricerca scientifica, come momento di crescita del sapere, è alla base dei valori della Giuliani». Con quali novità vi siete presentati a Cosmofarma? Con scoperte scientifiche che hanno identificato un nuovo meccanismo di stimolo della fase di vita del capello e che abbiamo integrato nella linea Bioscalin Signal Revolution. Questa linea è frutto della collaborazione con il gruppo di ricerca del professor Paus ed ha portato all’identificazione di recettori chemosensoriali, in grado di influenzare la fase di crescita del capello. E Giuliani ha scoperto e brevettato la molecola S-R, in grado di stimolare questi recettori. Una vera e propria nuova terapia nei trattamenti anticaduta. Per illustrarla, a Cosmofarma abbiamo allestito un’area per un viaggio “virtuale” all’interno del capello, che rende protagonisti i visitatori, con un’esperienza interattiva ed insolita. Nel 2015 avevate vinto l’Innovation and Research Award per la categoria Alimentazione.


UN IMPIANTO DI RAFFREDDAMENTO DELLA LU-VE APPENA INSTALLATO

Expansion

In mezzo: acquisizioni, quotazioni e aggiudicazioni di altre commesse prestigiose. Il che, tradotto in numeri, equivale ad un 2600% di crescita in trent’anni. Un

risultato a dir poco straordinario, ancor di più perché ottenuto da una “multinazionale tascabile” e in un settore apparentemente maturo come la tecnologia del raffreddamento. L’azienda in questione è la lombarda LU-VE, e il suo fondatore Iginio Liberali non nasconde la soddisfazione mentre racconta di «lavorare a stretto contatto con una decina di università nel mondo». A marzo scorso, l’azienda ha approvato il passaggio dal segmento Aim all’Mta della Borsa di Milano. Nell’ottobre 2016 c’era stata invece l’acquisizione dell’indiana Spirotech: «Un’operazione – spiega Liberali – che ci ha permesso di ampliare la linea dei componenti

Quest’anno, un nuovo successo. Una conferma importante per il futuro dell’azienda? Ricerca scientifica ed innovazione volte ad un reale miglioramento della salute dei consumatori sono un valore presente da sempre nel dna della Giuliani. Abbiamo investito su un reparto di ricerca e sviluppo interno e sulla collaborazione con i principali gruppi di ricerca europei, supportandone la ricerca di base e questo fa la differenza. E i numeri ce lo confermano. Il 2016 è stato un anno record per il brand in termini di crescita: oltre il +10% rispetto all’anno precedente. Il terreno della ripresa è fertile solo se non viene sottratto alla ricerca scientifica, il ruolo di motore indispensabile per la crescita e di

rilancio culturale ed economico del Paese. È il secondo premio che vinciamo a Cosmofarma. E non c’è due senza tre...

Lu-Ve: solo la crescita “non raffredda” Ha realizzato gli impianti di raffreddamento del Teatro Bolshoi di Mosca, poi quelli dell’Eliseo di Parigi, in ultimo quelli del Canale di Panama.

di grande volume per l’industria elettrodomestica. La crescita, d’altronde, non può che avvenire in quei mercati che hanno ancora margini di crescita significativi». La presenza all’estero si è andata rafforzando anche fuori Europa: è il caso della commessa (da quasi un milione di euro) vinta per realizzare gli impianti di raffreddamento dei sistemi di comando del nuovo canale di Panama. Un progetto con una forte presenza italiana (Salini-Impregilo su tutti) che ha rappresentato un grande successo per l’azienda lombarda. È di questi giorni, poi, la notizia della vittoria di due gare per Telefonica, la compagnia di Tlc spagnola, secondo operatore al mondo grazie alla fortissima penetrazione in tutta l’America Latina. «Dobbiamo fare soprattutto da soli – dice il patron di LU-VE in merito allo scarso apporto dato dalle istituzioni – forse adesso sta un po’ migliorando, ma guardando in Germania, c’è da morire d’invidia». «L’Industry 4.0 – aggiunge – ha cambiato e cambierà moltissimo il mondo del lavoro. La rivoluzione è già iniziata anche per quanto riguarda la produzione». «Stiamo lavorando con consulenti importanti perché tutti i processi e le fasi di intermediazione saranno superate. Ed è un mondo nel quale purtroppo l’Italia è un po’ indietro».

Investimenti

BULGARI, NUOVA MANIFATTURA A VALENZA

Una nuova manifattura di gioielli a Valenza, nell’Alessandrino, storico distretto orafo. L’ha inaugurata Bulgari, storica maison che esprime una volta di più la vocazione a coniugare tradizione e innovazione. La nuova manifattura si compone di due edifici. La Cascina dell’Orefice è il luogo in cui lavoravano i primi orafi a Valenza, all’inizio del XIX secolo. Arricchita di una nuova ala rivestita in vetro, la struttura è stata interamente ristrutturata e denominata “Glass House”. Il secondo edificio racchiude invece gli impianti di produzione, disposti su tre piani: 14.000 metri quadri, 300 nuovi posti di lavoro entro il 2020. Progettata da Open Project, uno studio di architettura e ingegneria specializzato nella gestione integrata di complessi per l’industria, la Manifattura Bulgari si fonde con naturalezza nell’ambiente circostante. È stata costruita utilizzando tecnologie e materiali dall’impatto ambientale ridotto, con un’attenzione particolare alla sostenibilità. La struttura comprende inoltre la nuova Bulgari Jewellery Academy, dove i nuovi dipendenti avranno la possibilità di imparare le storiche tecniche di gioielleria. La prima classe conta 21 giovani artigiani.

Sopra: Giammaria Giuliani, (Ricerca e Sviluppo Giuliani Spa e membro del CdA di Giuliani Spa

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QUEL CHE RESTA DEL MESE in collaborazione con ILSUSSIDIARIO.NET

Parla Vittadini: «La demografia e la crisi della vita come valore» GIORGIO VITTADINI, PRESIDENTE DELLA FONDAZIONE PER LA SUSSIDIARIETÀ

U

n male oscuro serpeggia in Italia, e determina o almeno spiega gran parte della crisi che stiamo vivendo e della ripresa che stenta: «La vita come valore, come ideale, come concetto sacro della persona umana unica e irripetibile, si sta perdendo, cioè stiamo abbandonando ciò che nella nostra storia ci ha resi diversi dai Paesi del Nord Europa o dagli Usa, dove chi non vince è un reietto»: è molto diretto Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà e professore ordinario di Statistica alla Bicocca di Milano, nel proporre la sua sintesi del “Rapporto sulla sussidiarietà 2016-2017”, a cura di Gian Carlo Blangiardo, al quale è stato dato un titolo imprevedibile, al punto da averlo sottolineato con tre puntini sospensivi: “Sussidiarietà e... crisi demografica”. Vittadini, perché questo tema? Per scandagliare e trasmettere il vero tema in gioco, cioè il crollo del desiderio di vita dell’uomo, che determina anche un calo del dinamismo economico. Questo crollo del desiderio di vita si misura anche dei dati demografici. Ci spieghi. Partiamo dai numeri. Dopo aver perso 130mila abitanti nel corso del 2015, anche nel 2016 il nostro Paese ha registrato una consistente diminuzione di popolazione, 86 mila unità in meno, confermando una dinamica negativa mai osservata lungo l’ultimo secolo della sua storia. Dopo dieci anni di parziale

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LA COPERTINA DI “SUSSIDIARIETÀ E... CRISI DEMOGRAFICA”, RAPPORTO SULLA SUSSIDIARIETÀ 2016-2017

ripresa c’è stato nell’ultimo quinquennio un forte calo della natalità. Sempre più marcato e strutturale. Anche gli immigrati, una volta arrivati in Italia, fanno meno figli. Perché le condizioni materiali di vita e lavoro sono spesso tali da rendere proibitivo fare figli. E nell’insieme c’è stato il venir meno di un sentimento positivo della vita; si vede qui la stanchezza di un Paese dove non si fanno figli temendo che avranno una vita grama, o per non complicarsi la propria, già difficile. Dai calcoli di Luigi Campiglio risulta che, negli ultimi anni, in un modo o nell’altro, sono stati sottratti alle famiglie 8 miliardi di spesa pubblica. Per non parlare del trattamento riservato alle donne che lavorando scelgono di avere figli: sono discriminate. E la mortalità? Nel 2015 ha avuto un picco che neanche du-

I

l claim che scelsero, quando nacquero, spiazzò chi lo lesse: “Il quotidiano approfondito”. Da allora – dieci anni fa – questa promessa ilsussidario.net l’ha sempre mantenuta. Con un approccio rivoluzionario rispetto ai “mantra” del web, tutti sperticamente protesi verso i soliti miti e trucchi – velocità, gallerie d’immagini, gattini e gossip. Ilsussidiario.net ha dimostrato, con gli oltre 6 milioni di visitatori unici che oggi lo leggono, come anche il web possa essere il luogo dell’attenzione e

rante la seconda guerra mondiale... Vuol dire che tra gennaio-marzo e in luglio-agosto scatta una sorta di selezione dei deboli: “Se non ce la fai più ti lasciamo andare”. L’attesa di vita negli ultimi anni infatti è calata. La vita del debole conta di meno, conta solo la vita di quelli che contano. Non si comprende quanto possa ancora servire chi non è più al massimo della produttività. Da qui anche l’aumento della depressione. Ma l’immigrazione non controbilancia tutto questo? Gli italiani pensano che in Italia gli immigrati siano il 30% della popolazione quando invece sono l’8%. Non si coglie che siamo un paese di transito, la maggior parte potendo non si ferma qui perché – a parte Milano – non siamo in grado di offrire loro percorsi lavorativi adeguati. Inoltre: il 7% dei giovani laureati italiani

IL SENSO DI UN’INTESA

della concentrazione. Accanto a uno sguardo ampio sulla quotidianità, che dà risalto alle notizie, ilsussidiario.net propone ogni giorno una scelta di approfondimenti, valorizzata in home-page, redatti da personalità del mondo accademico, intellettuale, istituzionale e politico, di estrazioni e ispirazioni differenti. Un editore libero, la Fondazione per la Sussidiarietà, e un direttore-fondatore di fervido

talento, con un’ottima squadra giornalistica e gestionale, hanno permesso il miracolo. Chi scrive ci collabora praticamente dalla fondazione. Nella massima libertà d’opinione. Opportunità rara e preziosa. E’ dunque stato naturale proporre, e gratificante realizzare, questa partnership editoriale che inizia con le due pagine che state leggendo e proseguirà in molti modi, sia su www.ilsussidario.net che sulle pagine di Economy.


va all’estero a lavorare. E il capitale umano del Sud continua ad affluire al Nord. Con quali conseguenze? Meno occupati, meno reddito, avremo presto un milione di novantenni che non potranno permettersi la giusta assistenza. E dunque? Sono tutti aspetti dello stesso male: non apprezzare l’anziano e lo straniero, non sentire il bisogno di fare figli, non sperare nella rinascita del Sud. Tutto ciò significa la stessa cosa, che è il valore della vita a essere messo di fatto in discussione. In questo senso, il problema demografico è, in realtà, la conseguenza di ciò: la persona non è più il centro della società. E sul piano sociale, come reagire? Riscoprendo la forza dell’ideale e dei corpi intermedi. Altro che finiti: sono più importanti che mai. Anche il desiderio di fare figli nasce quando non ci si sente soli, ma parte di una comunità: di una famiglia, di una parrocchia, di una qualsiasi comunità territoriale che può sostenerti, magari nel trovare l’asilo per tuo figlio e aiutarti ad affrontare i sacrifici. E anche sull’altro fronte, quello della mortalità. I deboli sono aiutati solo nelle società in cui ci sia spazio per la carità e la solidarietà. A Milano gli immigrati si integrano più facilmente perché sono sostenuti da tutto il mondo del non profit, laico e religioso. Una ripresa demografica sta nella valorizzazione dei corpi intermedi: la politica degli ultimi anni li ha demonizzati, ancor più di quanto non si siano rovinati da soli, per cavalcare il modello di un rapporto diretto tra l’individuo e il demiurgo che catechizza e si fa seguire. Un esempio? Il tema di fondo è la costruzione del soggetto, del soggetto che vive di relazioni. Mi viene in mente Succiso, un paesino nell’Appennino tosco-emiliano. Si erano ridotti in pochissimi, poi i giovani hanno deciso di fare una cooperativa che ha fatto ripartire diverse attività e il vecchio centro si è ripopolato. Ecco: un esempio di come la vita delle persone abbia bisogno di comunità. Anche una famiglia per star bene e crescere d eve coltivare i legami umani attorno a sé. (Sergio Luciano)

GIULIO SAPELLI

MAURO BOTTARELLI

Articolo pubblicato il 30 Aprile 2017

Articolo pubblicato il 29 Aprile 2017

COMMEDIA A BRUXELLES

UNA GUERRA DIVERSIVA?

Il Consiglio europeo di sabato 29 aprile 2017 rimarrà alla storia. Doveva essere un’assemblea di tutti i capi di stato aderenti all’Ue per discutere della Brexit, ovvero del ritorno alla situazione del rapporto tra gli stati nel continente simile a quella che esisteva prima della seconda metà degli anni Settanta, quando il Regno Unito, a circa venti anni di distanza dalla creazione del Mercato unico europeo, decise di farne parte pur con quella specificità e diffidenza che la condusse poi a non lasciare la sterlina per l’euro. Il Regno Unito è una civilizzazione giuridica e politica ben specifica: è retto dal sistema della common law piuttosto che dal codice napoleonico e da ciò che da esso ne deriva, ha un passato e ancora un presente imperiale che hanno fatto sì che con la sua lingua e con il suo sistema legale abbia potuto incarnare i presupposti stessi della globalizzazione inveratasi a partire dal decennio Ottanta del Novecento, influenzando profondamente il continente europeo, pur non facendovi mai parte. Il possesso dell’arma nucleare e l’adesione alla Nato candida il Regno Unito - a differenza della Francia che ha l’atomica, ma non quello spirito anti-sovranista che invece non appartiene al Regno Unito - a essere una grande potenza globale. Insomma, il fatto che una tale civilizzazione, a un certo punto della sua storia politica e civile abbia detto no all’Ue avrebbe meritato una riflessione approfondita e una sorta di esame di coscienza da parte dei primi Ministri riuniti in assemblea. Un tempo occasioni siffatte davano vita a formidabili oratorie, a sfoggi di eloquenza e contribuivano di per se stesse a fare la storia, erano occasioni formative, divulgative: i giovani si formavano su ciò che avveniva in occasioni simili, e lo stesso nostro culto degli Antichi, che ha formato intere e intere generazioni, nasce nel confronto tra le visioni politiche personali e i grandi drammi della storia. Sì, perché la Brexit è stata ed è un dramma storico...

Ovviamente non si può dare la colpa a Donald Trump che ha appena festeggiato i suoi primi 100 giorni alla Casa Bianca, ma il dato di fatto, resta: nel primo trimestre di quest’anno l’economia Usaè cresciuta solo dello 0,7%, sotto le attese dell’1% e con la peggior lettura da tre anni a questa parte. Ma c’è di peggio, perché andando a vedere le varie componenti, a soffrire il risultato peggiore sono stati i consumi personali, cresciuti su base annua solo dello 0,23%, il peggior risultato dal 2009. Piccolo promemoria: l’economia Usa si basa al 70% sui consumi. Cosa significa questo? Allarme rosso. Non a caso, Donald Trump, intervistato dall’agenzia Reuters, ha detto che un conflitto «grande, grande» con la Corea del Nord, a causa del programma nucleare e missilistico di Pyongyang è possibile, anche se lui preferirebbe una soluzione diplomatica. «Senz’altro, c’è la possibilità che si arrivi a un grande, grande conflitto con la Corea del Nord. Ci piacerebbe risolvere le cose attraverso la diplomazia, ma è molto difficile». Nell’intervista, inoltre, Trump ha detto di voler far pagare alla Corea del Sud il costo del sistema antimissile Thaad (un miliardo di dollari), mentre ha annunciato di voler rinegoziare gli accordi commerciali con Seul: insomma, monetizzazione totale della propria protezione, di fatto racket politico. Infine, Trump ha elogiato il presidente cinese Xi Jinping per i suoi tentativi di mediazione con Pyongyang: «Ci prova davvero, credo. Non vuole vedere caos e morte. È una brava persona, l’ho conosciuto bene». Il solito gioco delle parti di cui vi parlo da giorni. Ma c’è dell’altro, dietro le quinte. Giovedì, nel silenzio generale, lo stesso Donald Trump ha firmato la delega al Pentagono riguardo le decisioni operative in Siria e Iraq: ovvero, sul numero di soldati da schierare e di tattiche da utilizzare, non è più la Casa Bianca ad avere l’ultima parola, bensì i generali. Una mossa, questa, che potrebbe aver fatto irritare il formale “alleato” cinese...

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http://www.ilsussidiario.net/News/ Economia-e-Finanza/2017/4/30/ FINANZA-E-POLITICA-Sapelli-lacommedia-che-svela-il-vero-volto-dellUe/761946/

http://www.ilsussidiario.net/News/ Economia-e-Finanza/2017/4/29/SPYFINANZA-Gli-Usa-cercano-la-guerra-pernascondere-i-guai-economici/761738/

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L’INTERVENTO UOMINI E DENARI

che, soprattutto visto da lontano, si presenta dannatamente lungo e costante? Credibilità è la risposta. L’Italia deve recuperare credibilità in Europa e nei consessi globali perché possa esserle consentito di fare quello che oggi le

L’Italia deve recuperare credibilità

viene negato. E cioè allineare la politica fiscale interna a quella monetaria espansiva molto opportunamente introdotta e mantenuta da Mario Draghi alla Bce. Ci vuole, insomma, più spesa pubblica soprattutto nel campo delle infrastrutture dove abbiamo carenze che sono sotto gli occhi di tutti e spesso, come nel caso

Conversazione con Dominick Salvatore, l’economista italiano più ascoltato negli Stati Uniti

dei sempre più frequenti crolli, si trasformano

di Alfonso Ruffo

trappola del basso deficit nella quale ogni go-

O

in tragedie umane. Ma come spendere con il peso del debito pubblico che ci portiamo addosso? Come evitare la verno, anche quello con le migliori intenzioni,

rgoglioso della sua origine italiana

e dottore di ricerca. Nel 2010 è stato nominato

cade e si fa male? Solo rassicurando i nostri

- è nato a Napoli nel 1940 da padre

per la Medaglia Nazionale della Scienza dall’al-

partner che facciamo sul serio, che le riforme

abruzzese e madre piemontese tra-

lora presidente Barack Obama. Il suo libro Te-

strutturali di cui cianciamo da tempo saranno

scorrendo l’infanzia in Abruzzo - ma infinita-

oria e Problemi di Microeconomia, tradotto in

introdotte per davvero e senza interruzioni o ri-

mente grato al padre per averlo portato negli

diciotto lingue, è stato venduto in 800mila copie

pensamenti con l’obiettivo di ridurre, tra l’altro,

Stati Uniti nel 1954 dove quindi vive oltre 60

e vanta numerose edizioni illegali.

l’ingombro di una burocrazia nemica dell’im-

anni, Dominick Salvatore è l’economista inter-

Tutto questo per dire, a chi non dovesse già co-

presa come dimostra la difficoltà di aprirne

nazionale più in vista d’America (non a caso ne

noscerlo, che qualche titolo a parlare della si-

una per il numero e la stupidità degli adempi-

presiede l’Associazione) alternando consulen-

tuazione italiana ce l’ha con il vantaggio di non

menti richiesti.

ze alle Nazioni Unite, alla Banca Mondiale e al

essere immischiato nelle faccende domestiche

E poi occorre abbassare le tasse. Di molto, in

Fondo monetario internazionale con seminari e

e di conservare dunque un’autentica libertà di

modo che l’effetto si senta e i privati siano in-

convegni che tiene in tutto mondo (ne ha con-

pensiero. Ed ecco il racconto autorizzato di un

coraggiati a investire. Certo non sarà facile e si

tati oltre mille) come dimostrano tre milioni di

colloquio privato avuto con lui nel cuore della

dovrà chiedere la responsabile collaborazione

miglia percorse in aereo per spostarsi da un

Grande Mela.

dei sindacati che dovranno cambiare pelle se

continente all’altro.

Il cammino delle riforme va bene, sostiene l’e-

vorranno essere protagonisti degli anni che

Affabile nei modi e rigoroso nella teoria, Salva-

conomista, ma è affrontato con troppa timidez-

abbiamo di fronte. Dal mercato del lavoro a

tore è passato per tutti i gradini della carriera

za. Colpa senza dubbio dell’instabilità politica:

quello della scuola ci sarà bisogno di introdur-

alla Fordham University di New York nella quale

uno dei tratti più preoccupanti del nostro Pa-

re shock positivi in grado di spezzare le rendite

ha ricoperto il ruolo di Dean (una specie di ret-

ese che mostra una tendenza e fare e disfare

di posizione e premiare finalmente il merito.

tore) dopo essere stato, procedendo all’indie-

invece che insistere sull’ammodernamento del

Anche gli investitori internazionali potrebbero

tro, professore ordinario, associato, assistente

sistema. Non a caso il costo unitario del lavoro

essere invogliati a scommettere in un contesto

è più alto di quello dei concorrenti e nonostante

del genere smettendo la brutta abitudine di

l’introduzione di nuove tecnologie la produt-

fare shopping prendendo il meglio e impove-

tività continua a crollare con la conseguenza

rendo, a conti fatti, il territorio.

che interi pezzi dell’apparato industriale vanno

Ecco, la ricetta per riportare il Paese all’altezza

in rovina. Le piccole aziende, dove si annidano

che merita esiste. Richiede coraggio e respon-

veri gioielli in grado di competere a livello inter-

sabilità diffusa. Come il caso Alitalia conferma,

nazionale, non possono sopperire con la loro

la somma degli egoismi e delle inettitudini pro-

taglia alla dimensione del problema.

duce un risultato negativo del quale tutti pa-

E allora? Come fare per scongiurare un declino

gheranno (pagheremo) le conseguenze.

ALFONSO RUFFO. IN ALTO, DOMINICK SALVATORE

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MESSAGGIO PUBBLICITARIO

SG ETC/ETN COLLATERALIZZATI

BOND FUTURE

TASSI DI CAMBIO

MATERIE PRIME

MERCATI AZIONARI

MERCATI AZIONARI MATERIE PRIME TASSI DI CAMBIO BOND FUTURE

LONG / SHORT X1 X3 X5

ASSET CLASS

LONG/SHORT

Leva fissa

Codice ISIN

Codice Negoziazione

FTSE MIB¹ FTSE MIB¹ EURO STOXX 50¹ EURO STOXX 50¹ WTI Future¹ WTI Future¹ GAS Naturale Future¹ GAS Naturale Future¹ ORO Future¹ ORO Future¹ LONG USD SHORT EUR¹ SHORT USD LONG EUR¹ LONG USD SHORT EUR¹ SHORT USD LONG EUR¹ BTP Future¹ BTP Future¹ OAT Future¹ OAT Future¹

LONG SHORT LONG SHORT LONG SHORT LONG SHORT LONG SHORT LONG SHORT LONG SHORT

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QUI YALE, RACCONTI DA UN’ALTRA AMERICA

Food: per il business basta un carretto É quello che è servito al francese Adil Choikary per impiantare in un campus universitario un’attività di ristorazione “da strada” a basso costo e alta redditività. Un modello da copiare di Alessandro Luciano

IL FASCINO CHE LA NOSTRA PENISOLA SUSCITA IN USA È INDISCUSSO: c’è più Italia a

Hollywood che a Cinecittà. L’ennesima controprova è il successo di Eataly che in pochi anni ha aperto due punti vendita a New York, uno a Boston ed uno a Chicago, con un fatturato tutto a stelle e strisce che si aggira intorno ai 250 milioni di dollari. Ma, ovviamente, non c’è solo Eataly. L’italian food, anzi, l’italian-way-of-eating, tira da matti, e a tutti i livelli. Ma bisogna stare attenti. Nonostante il peso – significativo, senza dubbio – del brand “Italian”, la ristorazione negli Usa rimane uno spazio competitivo e affollato. Come muoversi, dunque, se si vuole investire nel settore ristorativo per limitare al minimo il rischio di fallimento che connota il settore? È una domanda alla quale, nel suo piccolo, Adil Choikary e la sua società di ristorazione “Crêpes Choupette” ha dato una risposta in francese, offrendo tuttavia un esempio valevole erga omnes. Agosto 2014, New Haven, cittadina da 130 mila abitanti in Connecticut (a un’ora e mezzo da Manhattan) del tutto irrilevante, se non fosse la casa della prestigiosa Yale University. Adil – trentasettenne parigino della medio-borghesia, con una carriera iniziata nel mondo assicurativo e finanziario – decide di mollare tutto, comprare una bici-carretto, installarvi una macchina per cuocere le crêpes e ritornare “dove cominciano tutte le imprese: sulla strada”. Per fortuna, o per strategia, azzecca due scelte fondamentali: il mercato locale e l’idea-street food. Sul mercato locale: i campus delle maggiori università americane hanno tre caratteristiche che offrono a Crêpes Choupette le possibilità di un successo

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immediato a New Haven, e cioè: una popolazione giovane, di classe medio-alta, che spende (tanti) soldi altrui (quelli dei genitori); un traffico densissimo, prevedibile e prevalentemente pedestre, dovuto agli spostamenti di breve raggio da lezione a lezione; e, infine, gli affitti medio-bassi rispetto ai centri delle grandi città. Aggiungete a tutto ciò il fascino di una bici-carretto con un emigrato francese che serve crêpes al brie, sulle note di “La Vie en Rose”, e il gioco è fatto. Dal punto di vista dell’imprenditore, invece, un carretto significa anche bassi costi d’investimento (2-3 mila dollari) e zero costi di affitto del locale, così da ridurre il rischio sul capitale. Insomma, nel giro di 4 mesi Adil ha avuto talmente successo in seno alla comunità del campus che, già a maggio 2015, ha potuto aprire una crêperie finanziata con il crowdfunding dagli stessi studenti. Da allora, l’amministrazione dell’università ha cominciato ad affidare a Crêpes Choupette anche il catering per alcuni eventi: attività che a tutt’oggi rappresenta circa il 30% del fatturato di Adil. Nel 2016, lo staff di Adil, tra carretto e crêperie, ha raggiunto i 10 impiegati full-time. Tanto che alla fine dell’anno scorso, quest’azienda partita dalla strada ha avviato i lavori per un ristorante francese adiacente alla crêperie, e vorrebbe esportare il business bici-carretto-crêperie anche nei campus di Harvard e della Columbia. Un’idea vincente che, a questo punto, potrebbe essere mutuata per portare anche lo street food italiano nei campus dei college Usa e magari arrivare a farne un importante franchise. Cosa aspettate, dunque?

CROWDFUNDING, NUMERI DA RECORD NEGLI STATES Il crowdfunding è una modalità di finanziamento secondo la quale un gruppo di finanziatori individuali e indipendenti (la “crowd”) presta denaro ad un privato o un’impresa tramite una piattaforma online con la promessa di una qualche ricompensa in futuro – un ritorno monetario, delle azioni, o un prodotto. Il finanziato ottiene tassi o modalità più vantaggiose rispetto a quelli istituzionali, e i finanziatori rischiano una somma molto minore di quella che rischierebbe una

banca. Secondo una ricerca della Cambridge University, tra il 2013 e il 2015, il crowdfunding a interesse pecuniario è passato da un volume totale di prestiti emessi pari a 2.81 miliardi di dollari a 25.72 miliardi, quasi decuplicandosi. Nello stesso periodo, 268.524 piccole e medie imprese sono state finanziate sommando tutte le modalità di crowdfunding negli States. Insomma, un settore nel quale gli Usa sono senz’altro avanti ma, che come tutte le innovazioni, si sta affermando anche in Europa.



QUI PARIGI, APPUNTI DALLA DÉFENSE

Banda larga? No, il futuro è la banca larga In Francia l’ha fatta Orange. Gratuita, accessibile da smartphone o dagli stessi negozi di telefonia. I giornali scrivono che “peut faire trembler les banques”. Anche Telecom ci farà un pensierino? di Giuseppe Corsentino

FORSE IL BRAVO AMMINISTRATORE DELEGATO DI TELECOM FLAVIO CATTANEO dovrebbe

lasciar perdere il “risiko telefonico” – il suo azionista di maggioranza Vincent Bollorè, patron di Vivendi, che immagina chissà quali deal con la sua quota del 24% e l’arrivo dell’altro concorrente francese Xavier Niel di Free che minaccia sfracelli sul mercato italiano – e guardare invece a quello che ha fatto, proprio in questi giorni, il suo omologo d’Oltralpe, Stéphane Richard, il gran capo di Orange, un colosso con 28 milioni di clienti (senza contare i 30 milioni nei paesi francofoni d’Africa), 41 miliardi di euro di fatturato e tre di utili netti. Che cosa ha fatto di così sconvolgente Monsieur Richard? Tutti concentrati, appunto, sul risiko telefonico, in Italia si sono accorti in pochi che il 15 maggio scorso Richard ha aperto…una banca: Orange Bank, con il suo bel logo arancione. Per ora riservata ai 150 mila dipendenti del gruppo, dal 6 luglio sarà aperta a tutti i clienti e a chiunque vorrà aprire un conto recandosi in una delle 850 boutique della compagnia – chiamiamoli pure sportelli – oppure collegandosi via internet con smartphone, tablet o pc. «C’est un nouveau chapitre de nostre histoire…Orange est aussi une banque. Et une banque avec l’expérience client au cœur de son modéle». Richard l’ha annunciato con queste parole («Orange è già una banca, con in più la capacità di mettere il cliente al centro del suo modello di business») alla recente convention parigina di Show Hello, vetrina annuale del settore. E conoscendolo, bisogna credergli. In effetti, Orange Bank è qualcosa di più e di di-

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verso rispetto alle “neo-banche” – secondo la definizione coniata dagli economisti – già lanciate dalla Gdo e perfino dai “buralistes”, i tabacchini francesi, con le loro 25mila tabaccherie trasformate in altrettante agenzie bancarie, per non dire dei vecchi istituti di credito che ora si vestono (o si travestono) da neo-banche come ha fatto, per dire, Bnp Paribas (e in Italia la sua controllata Bnl) con il circuito “Hello Bank”. Orange Bank no, è un’altra cosa: ha lo stesso vantaggio logistico di chi ha una rete commerciale, migliaia di addetti alle vendite e un bacino enorme di clienti che, con un telefonino o un tablet, potranno fare qualsiasi operazione, perfino chiedere un mutuo o gestire un conto titoli (magari con l’ausilio di Watson, il robot Ibm che dà consigli sempre più intelligenti e mirati man mano che gli si parla, anche al telefono, e lui, conoscendo sempre di più il suo proprietario, è in grado di affinare via via le sue risposte). Anche se il vero “big bang” della neo-banca arancione è la sua assoluta gratuità. Orange Bank non costerà niente, zero charge, ed è proprio questa la novità che inquieta i vecchi banchieri – Orange peut faire trembler les banques, insomma è un terremoto, si legge in un paper di Boston Consulting France – soprattutto se alla gratuità dei servizi, si aggiunge l’altra anticipazione fornita da Richard: tempo un anno, e la sua banca produrrà 400 milioni di utili. Flavio Cattaneo sta già studiando come replicare il modello francese e aprire la sua Banca Telecom. Altro che banda larga: il futuro dei telefonici è la “banca larga”.

LA TELEFONIA IN CRISI FA I CONTI (CORRENTI) “La rivoluzione di Orange”, ha titolato in prima pagina Les Echos, il primo quotidiano economico francese. La rivoluzione è che stavolta il colosso telefonico non mette a disposizione i suoi asset a questo o a quel gruppo bancario, ma li sfida sul loro terreno, facendosi la sua banca: la più grande “web-bank” (e non solo, perché i negozi Orange diventeranno sportelli) del Paese. Probabilmente, spiegano gli economisti che hanno coniato la definizione di “neo-banca”, siamo di fronte non tanto a una rivoluzione tecnologica (“la banque dans le

poche”, la banca in tasca, lo slogan dei supermercati che vendono anche conti correnti, è già usurato), ma a un cambiamento di modello. Dettato, anzi imposto, dal mercato che, ormai, non remunera più il business telefonico con prezzi sempre più bassi e controlli dei regolatori sempre più rigidi. Ormai la fibra si vende come l’Adsl, il G4 come il G3 e il G5 è ormai alle porte. Per cui di fatturato generato via roaming, neanche a parlarne. E allora non resta altro che cambiare mestiere. C’è chi punta ai contenuti (video e film) e chi alla banca (larga, appunto).


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LA BUNDESBANK RIABILITA LE BANCHE LOCALI La Banca centrale tedesca chiede alla Bce un “alleggerimento” delle norme sugli istituti territoriali. Meglio tardi che mai

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a come, ci piace la Bundesbank? Significa avere il gusto dell’orrido! Nossignore, o meglio: anche un Orco può dirla giusta, una volta ogni tanto. E’ stato il caso della banca centrale tedesca (nella foto il Presidente Jen Weidmann) – simbolo asfissiante dell’eurocrazia che ha strangolato l’idea d’Europa – che però è intervenuta sul settore del credito cooperativo e delle banche “di territorio” chiedendo alla Banca centrale europea, per bocca di Andreas Dombret, membro del comitato esecutivo, chiede un alleggerimento della pressione regolamentare per ben 800 banche locali tedesche. Quel che finora la Bce spalleggiata dalla Banca d’Italia e dall’ex governo Renzi, non ha mai voluto. Già qualche settimana fa, al riguardo, si era pronunciato nello stesso senso il Ministro delle finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble. Adesso insiste la Bundesbank. Sono pezzi da novanta. Come mai? Semplice: perché in Germania le casse di credito cooperativo e le banche popolari sono architravi del sistema economico. Fanno girare l’economia. Si accorgono delle piccole e medie imprese territoriali. Come del resto le loro consorelle italiane. Certo, fanno anche pasticci. Come le loro consorelle italiane. Ma il solo disastro delle perdite della Deutsche Bank o dell’inabissamento della Commerzbank, che cooperative non sono, pesa di più di tutti i dissestucci delle popolari. Così come in Italia il maxibuco di Mps oggi, e di Capitalia ieri (che si è scontato nelle megaperdite di questi anni di Unicredit) fa impallidere perfino Vincentina e Veneto Banca. La mossa della Bundesbank viene seguita con attenzione quindi in tutta Europa, Italia compresa, dove l’Associazione nazionale delle banche popolari ha elogiato un intervento che contrasta “un processo di omologazione che sta coinvolgendo le banche più piccole dell’unione nonché le funzioni dì supervisione bancaria delle banche centrali nazionali “.

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+ LA LUCIDITÀ + IL PENTIMENTO + LA VISIONE SOCIALE + IL REALISMO L’IRRICONOSCENZA IL PESSIMISMO LA DISINVOLTURA UN PO’ DI SPOCCHIA

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o, non mi viene in testa di investire in qualunque media esposto alla pubblicità»: viva la faccia! Come dar torto a Lorenzo Pellicioli, presidente di De Capital, in questa tagliente risposta che ah dato a chi gli chiedeva se il suo gruppo fosse interessato a entrare nel Sole 24 Ore? Pellicioli è uno che sa quel che dice, non solo ma anche sul settore editoriale. Dal ’78 al ’90 ha fatto di tutto in editoria: da Rete4, che contribuì a far passare dalla Mondadori alla Fininvest, a all’Espresso fino alla Manzoni Pubblicità, che guidò – pur sotto la regia del fondatore, Carlo Caracciolo, in anni d’oro per il settore. Passato poi in De Agostini, ha pilotato il gruppo, d’accordo con il consuocero Marco Drago, verso altri lidi, portando la mitica casa degli atlanti e dell’Enciclopedia Universale quasi del tutto fuori dal business editoriale, dopo aver spremuto il limone al meglio con una lunga stagione di co-svendite (celebre quella con Repubblica) e puntando su ben altri business: assicurazioni, con la Toro comprata a 1500 miliardi di vecchie lire e rivenduta al doppio dopo neanche due anni alle Generali che due anni prima l’aveva snobbata; il gioco, con il colosso Gtech; e in genere con la finanza, basti pensare alla lucrosissima toccata e fuga nella Seat, comprata alla privatizzazione e rivenduta alla Telecom con 6,4 miliardi di plusvalenza. Che gli puoi dire a uno così bravo? Solo una cosa, forse. Il gruppo De Agostini-Boroli, in quanto investitore nei fondi di Wise Sgr, ha contribuito a lasciare una significativa traccia nel maxi-buco del Sole, quando appunto Wise vendette al giornale della Confindustria per 40,2 milioni - nel pieno della gestione allegra di cui oggi il nuovo vertice del Sole sta riparando i danni – il gruppo di riviste tecniche Gpp pagato due anni prima 10,5 e poi svalutato di 14 milioni e fuso nella capogruppo. Con una simile premessa, un elegante silenzio non avrebbe guastato. Ma si sa, lo stile non è da tutti. E poi, come pretenderlo da un tale furbacchione?

NON CI PIACE CHE ROBA BRUTTA I MEDIA ESPOSTI ALLA PUBBLICITÀ Lorenzo Pellicioli, cresciuto nell’editoria, prende le distanze dal settore e dal Sole24Ore. Legittimissimo, ma lo stile è un’altra cosa


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PARLA IL 12,5% DEL PIL Confprofessioni, Confederazione italiana libere professioni, è la più importante organizzazione di rappresentanza dei liberi professionisti in Italia che riunisce 20 associazioni professionali nell’ambito dell’Economia e Lavoro (Dottori commercialisti ed Esperti contabili, Consulenti del lavoro, Revisori contabili); del Diritto e Giustizia (Avvocati, Notai); dell’Ambiente e Territorio (Ingegneri, Architetti, Dottori Agronomi, Geologi, Tecnici); della Sanità e Salute (Medici di medicina generale, Dentisti, Veterinari, Psicologi, Pediatri) e delle professioni emergenti (Professionisti e Artisti, Archeologi). Lo scorso novembre ha celebrato i suoi 50 anni di attività. Firmataria del CCNL dei dipendenti degli Studi Professionali, nel 2001 è stata riconosciuta parte sociale. Presente in ogni Regione, con una propria delegazione territoriale e attiva a Bruxelles con un desk europeo, oggi Confprofessioni raggruppa un sistema produttivo composto da oltre 1 milione e mezzo di liberi professionisti su un comparto di 4 milioni di operatori pari al 12,5 % del Pil nazionale.

IL PRESIDENTE DI CONFPROFESSIONI GAETANO STELLA

Manovrina? È un salasso da 300 milioni Nell’ultima correzione dei conti pubblici è stato esteso lo split payment. Stella: «Alchimia finanziaria inutile e dannosa»

P

agano i professionisti. Il conto più salato della manovrina di primavera rischia di cadere sulle spalle di avvocati, commercialisti, notai, architetti e ingegneri ecc. che, a partire dal 1° luglio 2017, lasceranno nelle casse dello Stato circa 300 milioni di euro, secondo i calcoli dei tecnici del ministero dell’Economia che hanno così quantificato il gettito lva sul totale degli acquisti della Pubblica amministrazione proprio sulle prestazioni professionali. La sorpresa è contenuta nella manovra correttiva del ministro Piercarlo Padoan, che ha esteso ai liberi professionisti la “scissione dei pagamenti dell’Iva” (split payment) dalle fatture emesse nei confronti della P.A, enti pubblici e aziende controllate, e società quotate in Borsa. In pratica, le amministrazioni verseranno

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l’Iva esposta nella fattura del professionista direttamente nelle casse dell’Erario, sottraendo liquidità a volte preziosa per la sopravvivenza dell’attività degli studi professionali. In nome della lotta all’evasione, lo split payment “allargato” punta a incamerare complessivamente 1 miliardo di euro nel 2017 e 1,5 miliardi nel 2018; tuttavia la mossa di Padoan, già benedetta dai tecnocrati di Bruxelles, ha messo in fibrillazione il mondo delle professioni, che ha più di una ragione per censurare quella che il presidente di Confprofessioni, Gaetano Stella, ha definito «alchimia finanziaria inutile contro l’evasione e dannosa all’attività dei professionisti». Se la legge di Stabilità varata da Matteo Renzi nel 2015 aveva escluso i professionisti dallo split payment, come confermato all’epoca da una circolare dell’Agenzia delle Entrate, la manovra correttiva del governo Gentiloni li ha rimessi nel mirino, puntando però su un bersaglio dove è impossibile evadere. «I liberi professionisti sono già soggetti alla ritenuta d’acconto Irpef nella misura del 20%, sono sottoposti all’obbligo della fatturazione elettronica e sono tenuti alla nuova trasmissione trimestrale dell’Iva - sottolinea Stella - Tutti i compensi percepiti sono pertanto già tracciati e quindi se davvero l’obiettivo del Governo è la lotta all’evasione sta sbagliando strada».

Agli occhi dei professionisti, lo split payment così come confezionato nel decreto legge 50/2017, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale 95/2017, è l’ennesima “mazzata” ai danni di una settore economico che negli ultimi anni ha visto aumentare i costi per adeguarsi alle richieste del governo e calare i fatturati tra il 20 e il 40% e le professioni più colpite sono proprio quelle che prestano servizi e consulenze alla pubblica amministrazione (architetti, ingegneri, avvocati e commercialisti). «Sottrarre l’incasso dell’Iva agli studi significa togliere liquidità in una fase di pesante contrazione dei redditi professionali e, forse ancora peggio, si riducono i limiti della compensazione dei crediti Iva con i debiti, dagli attuali 15 mila si passa a 5 mila euro, dimenticando poi che l’Unione europea ha avviato una procedura di infrazione contro l’Italia per i ritardi dei pagamenti della pubblica amministrazione». Conclude Stella: «Ci auguriamo che il Parlamento possa correggere questa palese distorsione, altrimenti l’unica alternativa è abolire la ritenuta d’acconto». Con questa pagina, tra Confprofessioni ed Economy, inizia una partnership editoriale che di mese in mese approfondirà i tanti temi attuali di un mondo professionale che sta evolvendo.


L’andamento dei prestiti alle aziende negli ultimi 12 mesi (valori in milioni di euro) Gennaio 2016 800.000 750.000 700.000 650.000 600.000 550.000 500.000 450.000 400.000 350.000 300.000 250.000 200.000 150.000 100.000

FINANZIARE L’IMPRESA

Gennaio 2017

791.749 776.173

-3,48%

-5,15%

-12.722

+7,82%

-14.378 279.222

11.524

264.844

147.358 FINO A 1 ANNO

365.169 352.447

-1,97% -15.576

158.882

FINO A 5 ANNI

OLTRE 5 ANNI

TOTALE

FONTE: ELABORAZIONE CENTRO STUDI DI UNIMPRESA SU DATI BANCA D’ITALIA

FINANZIARE L’IMPRESA Economy si occuperà costantemente di quest’argomento: come riuscire a finanziare la propria impresa, a trovare le risorse economiche necessarie per dar vita ai progetti, supportare gli investimenti, far crescere il business... In collaborazione con Win the bank, azienda di formazione specializzata.

76 I MAGNIFICI 22 CHI SONO E CHE FANNO I FONDI ALTERNATIVI ALLE BANCHE

80 FATTURE IN RETE ECCO LA SFIDA DI WORKINVOICE PER PICCOLE E MEDIE IMPRESE

84 L’ARTE DEL BILANCIO A COSA SERVE E QUANTO COSTA LA REVISIONE DEI CONTI

86 OSSERVATORIO LIUC PRIVATE EQUITY: I NUMERI DELLA RIPRESA

LE BANCHE NON SONO CATTIVE, PRENDIAMOLE PER IL LORO VERSO Bisogna capire di cosa hanno bisogno i bancari per erogarci un finanziamento e fornirglielo: una strada praticabile da molte più aziende di quante sappiano di poterla percorrere

L

di Valerio Malvezzi

e banche sono cattive, non danno più soldi alle imprese, non aiutano l’economia! Questo è il ritornello che più frequentemente ritorna nei social. Se non che, discutere di morale, per quanto appassionante, non aiuta l’imprenditore a risolvere il suo problema, né il professionista ad assisterlo. Quindi, lascio di buon grado l’approccio morale e vengo al nocciolo del problema. E il problema, caro lettore, sei tu. Tua, e solo tua, è la colpa se non ottieni il credito da una banca. Ogni volta che scrivo questa frase, ovviamente, vengo – comprensibilmente, dato gli scandali che ogni giorno ve-

niamo a conoscere - preso a male parole. Ma il punto è che, mentre qualcuno si scandalizza, qualcun altro si rimbocca le maniche e risolve il proprio problema. Pensate che non ci siano persone che, ogni giorno, ottengono il denaro dalle banche? E credete forse che siano tutti “amici degli amici”? È scomodo da ammettere, ma ogni giorno migliaia di imprenditori sono finanziati, correttamente, dal sistema bancario. E sapete perché? Perché sanno come fare. Eppure, il credito arriva alla piccola e micro impresa solo nel 20% dei casi (fonte OCSE). La ragione è semplice: perché manca la cultura finanziaria. Parto dalle basi, rivolgendomi a imprenditori e professionisti. Le regole cosiddette di Basilea non sono state fatte per tutelare le banche, ma il sistema dei risparmiatori. DA SINISTRA VALERIO MALVEZZI, ECONOMISTA, E MASSIMO BOLLA, ESPERTO DI MARKETING.

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FINANZIARE L’IMPRESA WIN THE BANK

Nelle foto: qui a sinistra Ignazio Visco, governatore della Banca d’Italia, in basso a destra Danielle Noui, responsabile della Vigilanza Bancaria Europea in BCE

CULTURA, COMPORTAMENTO, E COMPETENZA FINANZIARIA: A LEZIONE DELLE 3 “C” DA WIN THE BANK

Se il credito concesso a un’impresa non è meritevole (come purtroppo i casi di malaffare di questi anni documentano), i capitali a rischio sono quelli dei risparmiatori, a vario titolo. Ergo, voglio dare a imprenditori e professionisti alcuni consigli di negoziazione bancaria.

LE REGOLE DI BASILEA 2 HANNO STRAVOLTO COMPLETAMENTE IL VECCHIO SCHEMA DI RELAZIONE TRA I CLIENTI E I LORO ISTITUTI DI CREDITO. ORA LA LOGICA CHE DOMINA È QUELLA, SPERSONALIZZATA, DEL RATING

La prima cosa da avere, per negoziare in modo vincente con una banca, è la cultura bancaria. Il mondo è cambiato e occorre conoscere le cose nuove. Sapere cosa significhi working capital, o capex, piuttosto che ebitda o ebit non è un fatto di spocchia, ma di necessità. Non sono cose complesse, e sono entrate nel linguaggio corrente al pari del termine “week end” o “fiction” televisiva. La seconda cosa è sapere che è vero che le banche danno solo soldi a chi non ha bisogno (ed è dimostrabile economicamente con tanto di grafici). Ma la domanda vera è: e allora, perché andiamo sempre in banca nel momento del (maggior) bisogno? Coloro che negoziano con successo in banca sanno che occorre la pianificazione finanziaria, che è una cosa che si impara, come pianificare la spesa settimanale al supermercato. La terza questione attinente alla cultura è che, oggi, non si va più in banca a “parlare” e nemmeno

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Il fenomeno del “credit crunch” (restrizione creditizia) è drammaticamente attuale. Al di là delle rassicurazioni che giungono periodicamente dall’ABI (Associazione Bancaria Italiana) o dalla Banca d’Italia, nei fatti la situazione è molto grave. Da anni, ormai, si assiste a una curva decrescente nella concessione del prestito alle imprese non finanziarie (cioè a quelle del comparto produttivo) e non è affatto vero che il trend sia invertito. Pmi, per essere bancabili bisogna studiare La principale differenza riguarda però la dimensione delle imprese, e non solo la rischiosità. Dal 2010 al 2016 le imprese di piccola dimensione hanno “perso” 31 miliardi di finanziamenti, nonostante negli ultimi 6 anni l’incidenza percentuale delle imprese con meno di 20 dipendenti sul totale delle sofferenze bancarie sia sceso del 6%, passando dal 25,7% al 19,7%. Nei fatti, i dati dicono che sono le piccole e le micro imprese quelle che soffrono maggiormente della situazione di credit crunch, non certo le grandi. Qui necessitano due considerazioni. La prima è che non sto pensando, come faranno certamente taluni, a una spiegazione scandalistica. I casi del Monte dei Paschi di Siena, di Banca Etruria, delle banche venete, solo per citare i più recenti e noti, non spiegano certamente un fenomeno diffuso. La ragione alla quale penso è di tipo cognitivo e culturale. Molto semplicemente, statistiche OCSE dello scorso anno indicavano come di quel credito, solo il 20% arrivasse alla piccola impresa, e quindi per converso ben l’80% fosse destinato, nel nostro Paese, alla grande impresa. La seconda è che le micro, piccole e medie imprese, complessivamente ammontano nel nostro Paese a circa il 99% del totale, e quindi questo documenta un fallimento pressochè totale del sistema. La causa principale, come dicevo, è cognitiva. Mentre la grande impresa ha capitali, risorse e uomini pronti ad accettare la sfida del cambiamento delle regole del mercato bancario, la piccola e micro impresa è stata colta, soprattutto in Italia, impreparata. L’impreparazione avviene a due livelli.

Il primo livello è quello dell’imprenditore, il quale deve avere, delle tre “C” necessarie a negoziare sul mercato, le prime due: la Cultura finanziaria e il Comportamento finanziario. La Cultura finanziaria è un requisito fondamentale per la negoziazione bancaria. Il Comportamento finanziario corretto è una competenza fondamentale per mantenere un corretto rapporto con il sistema bancario. A nessun altro può demandare tali conoscenze. Il secondo livello è quello del tecnico, che nella grande impresa è solitamente riservato al CFO, ruolo inesistente nella piccola e micro impresa. In questo caso, la terza C, cioè la Competenza finanziaria, deve essere rinvenuta in un consulente esterno. Trattasi però di competenze specialistiche non comunemente rinvenibili in qualsiasi studio di commercialista. Sapere come si analizza un bilancio in chiave di rating bancario, come si scrive un business plan o un piano industriale, come si valuta finanziariamente un investimento, sono solo alcuni esempi di competenze tecniche altamente specialistiche. Tali competenze sono certamente rinvenibili nelle grandi imprese, le quali, non a caso, accedono al credito bancario, anche in epoca di credit crunch. E le piccole imprese? Questo è lo scenario del nostro Paese, caratterizzato da uno stravolgimento del mercato bancario, che rappresenta il primo e pressochè insostituibile mercato del denaro per una micro e piccola impresa. Di fatto, questo è il tessuto imprenditoriale del nostro attuale sistema economico. Per tali ragioni, servono competenze differenti. Quelle negoziali, cioè commerciali e di corretta gestione aziendale, sono affrontate, per gli imprenditori, nel Corso Win The Bank. Si tratta di un Corso di 3 giorni, nei quali vengono forniti agli imprenditori tutti gli elementi necessari a una gestione aziendale finalizzata a mantenere l’azienda in una soglia di bancabilità, come la comprensione delle determinanti del rating bancario e della Centrale dei Rischi, ma anche gli elementi fondamentali della negoziazione bancaria. Quelle tecniche specialistiche, cioè rivolte a liberi professionisti, sono affrontate invece nel Corso Master Bank. Si tratta di un master di un anno, articolato in dodici giornate, a cadenza mensile, finalizzate a trasferire ai professionisti strumenti operativi in materia di fund raising per i propri clienti. Per approfondire: www.winthebank.com


a “vedere se mi danno un finanziamento”. Andate forse da un concessionario “a vedere se vi concede l’ultimo modello di automobile”? In banca voi siete un acquirente, e la banca un fornitore. Troppo spesso molti dimenticano questa verità indiscutibile, presentandosi più come questuanti, che come acquirenti. Ma se è vero – come è vero – che in banca si va a comperare una merce particolare chiamata denaro, è altrettanto vero che si tratta di uno dei mercati negoziali più complessi. Ci si deve presentare con un piano: questo piano è articolato in tre tappe: preparazione, trattativa e consolidamento del rapporto. Di queste, la prima è senza dubbio la più difficile, lunga e complessa. Stranamente, nessuno o quasi la considera importante. La quarta grande tematica in tema di cultura riguarda la conoscenza del quando convenga indebitarsi, in quale modalità e fino a quale livello. Il denaro bancario non è affatto tutto uguale, anzi. Spesso, vedo persone che comperano il denaro che interessa al marketing della banca, e non quello che sarebbe opportuno per la propria impresa. Curiosamente, vedo imprenditori e professionisti che studiano molti mercati, dal marketing alle vendite, dalla produzione alla concorrenza. E poi, quasi nessuno ritiene di dover studiare l’unico mercato necessario a far funzionare qualsiasi impresa del mondo: quello del denaro. Tutti i piccoli imprenditori sono rimasti fermi alla logica della banca sotto casa, conoscono un mercato bancario morto e defunto anni fa, si fanno guidare dalla logica

RATING? FACCIAMO CHIAREZZA Vediamo di sfatare alcuni falsi miti e di dare alcuni consigli ad imprenditori e professionisti. Un mito deriva dalla frase che sentiamo dire a qualche bancario: mi spiace, il rating ha detto no. Al che, se uno chiede chiarimenti, si trova di solito di fronte a un muro di gomma. Sia chiaro, se vi trovate in questa situazione, e il vostro interlocutore non è in grado di spiegarvi cosa ci sia dietro quella macchina mostruosa – il rating, che paura! – non avete che una strada: cercare una banca con una direzione più competente.

La verità è che non è mai il rating a dire no, ma un uomo o una donna. Intanto dirò subito che è vero anche l’opposto; anche quando si concede sempre il credito non è mai il rating a dire sì, ma un uomo o una donna. E allora, facciamo chiarezza. Intanto, sul fatto che il rating non sia prevedibile. Questa è una sciocchezza assoluta. Intanto, esistono diversi sistemi di rating e quelli ai quali, probabilmente, siete interessati se leggete questo articolo sono i rating cosiddetti “interni”, cioè quelli bancari. E’assolutamente vero che non esista “il rating”, cioè un giudizio universale, poiché avremo tanti rating quante sono le banche che li adottano. Quindi, diffidate da società di consulenza che promettono di darvi “il rating”, semplicemente perché è una cosa seria come credere a babbo natale. Tuttavia, il rating è prevedibile? Assolutamente sì. Esistono modelli sintetici, cioè modelli di stima usabili da consulenti esterni i quali, dotati di competenza tecnica in questa materia, possono

dare una stima previsionale di quanto, largo circa, attendersi da un giudizio bancario. Sono diversi gli elementi che concorrono a formare il giudizio di rating. Di questi, un consulente esperto, un finanzialista, vi consiglierà di monitorarne quattro. Il primo è il bilancio, nella parte quantitativa, che conduce a indicatori e indici sulla storia. Ma non basta. Sempre più, in futuro, diventerà importante, nella valutazione bancaria, la parte quantitativa prospettica, cioè la capacità di predisporre un business plan corretto, cioè sviluppato secondo la metodologia finanziaria, in grado di documentare anche i flussi di cassa. Il terzo parametro è ancora più rilevante, se parliamo di piccole e non di grandi imprese. Si tratta del giudizio andamentale, formato dal combinato disposto del rapporto con la singola banca e del rapporto con il sistema bancario nel suo complesso. Saperlo leggere, monitorare, cambiare, non è competenza banale. Il risultato si legge in un documento che pochi piccoli imprenditori (e loro consulenti) conoscono aprofonditamente: la Centrale dei Rischi. Il quarto parametro è spesso trascurato ed è parimenti importante. Si tratta del giudizio qualitativo, cioè di quel complesso di parametri che l’uomo o la donna di banca valuta prima di decidere se –

questo è il punto – la vostra impresa merita o meno di essere seguita. Il sofwtare, il rating, è uno strumento per il tecnico così come lo è per la TAC per il medico. L’analisi è importante, ma chi decide se e come

operare è il medico, non il software.

Quindi, non è affatto vero che il risultato non sia prevedibile, poiché è possibile, con una ragionevole approssimazione, conoscere il probabile giudizio prospettico di una banca, studiando il vostro comportamento passato. Secondariamente, è assolutamente falso il fatto che il rating sia immutabile. Ciò è vero ex post, cioè dopo che il giudizio sia stato emesso. Non è assolutamente vero ex ante, cioè prima che questo sia stato formulato. In altri termini, vi sto invitando all’azione e a non lasciarvi andare all’inutile e sterile fatalismo del “tanto tutto dipende dal software”. Al contrario: tutto dipende solo e unicamente da voi. Quindi, se si vuole essere bancabili, occorre studiare. Occorre capire come funziona un sistema di rating, cosa si deve modificare nei propri indici di bilancio, cosa si può fare in Centrale dei Rischi e cosa si deve evitare. Si deve capire quali sono gli errori perdonabili e quelli che, invece, non vi lasceranno scampo. Sappiatelo, non è un processo automatico: non esiste il sito www.dammiilrating.it! Al contrario, cominciate, sin da oggi, a lavorare, duramente, per rimettere i parametri della vostra impresa in una soglia di bancabilità. Ci vorranno anche mesi per ottenere risultati, ma il rating si può migliorare e il giudizio finale dipende sempre da un uomo o una donna. Prova ne sia il fatto che, in vent’anni di professione, non ho mai visto una delibera firmata da un software.

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FINANZIARE L’IMPRESA WIN THE BANK

suo spossessamento). Il tuo comportamento, in tale logica, è semplicemente fondamentale al formarsi di un giudizio positivo o negativo. Eppure, sono ancora tanti gli imprenditori che pensano sia possibile giocare, all’italiana, con dell’emergenza e del bisogno e non di rado gli istituti bancari. Di nuovo, non sto dando corrono in emergenza a fare il “giro delle sette giudizi di valore o morali, ma di oggettiva opparrocchie”, mendicando e non comperando. portunità. Professionisti che inventano “scatoSoprattutto non conoscono la regola di base. le cinesi”, fatture che vanno e vengono, anticipi Dato che voi in banca andate a comperare dedi dubbia esigibilità, una gestione piuttosto naro, la sola cosa di cui dovete parlare è quelallegra e talora incompetente dell’ultimo giorla: denaro, cash, cassa. Chissà perché, in tanti no del mese sono solo alcuni dei moltissimi si perdono in discorsi di altra natura, per poi esempi che potrei fare al riguardo. Il mondo dire di cosa hanno bisogno, del direttore di banca amico di comunicare con la banca con il telegrafo o e non quale opportunità “che mette a posto le cose” è il piccione viaggiatore. La modalità di comuUN CONTO ECONOMICO portano alla banca. Il che è definitivamente scomparso. nicazione attuale è fatta di documenti scritti e TRASPARENTE E UN PIANO – esattamente – il contrario DI BUSINESS LOGICO SONO Purtroppo, per qualcuno. Per previsionali, costruiti apposta per la banca e LE DUE “PRECONDIZIONI” di ciò che io insegno a fare. fortuna, per tutti gli altri. Sta presentati dallo stesso imprenditore. Il ruolo INDISPENSABILI La seconda grande temadi fatto che il vostro comportadell’imprenditore, per quanto circondato da PER ANDARE tica è una parola che inizia mento, al pari della vostra culprofessionisti specializzati in questa materia, IN BANCA A CHIEDERE nuovamente con la lettera QUATTRINI. SENZA LE QUALI tura finanziaria, ha un impatto diventa ancora più centrale. Ho citato non a “c” ed è Comportamento determinante sia sulla Centracaso i professionisti, poiché la terza variabile IL RISULTATO MANCHERÀ finanziario. Intanto, presenle dei Rischi, sia sul rapporto cruciale inizia nuovamente (come la cultura e tarsi in banca ritenendo che “contino solo le cosiddetto andamentale con la vostra banca. il comportamento) dalla lettera C. Si tratta delgaranzie”, è l’errore più classico. Coloro che Allo stesso modo, la modalità di rapporto con le competenze finanziarie. Le grandi imprese dicono che, nel mercato attuale, contino solo la banca storica, data dalla regola che io chiahanno solitamente una figura dipendente le garanzie, non hanno capito nulla di ciò che mo “BCB” (brochure, camerale, bilancio), è preposta a gestire questa materia: si tratta del è successo negli ultimi anni, con i bilanci bansemplicemente tanto attuale quanto pensare CFO (Chief Financial Officer), che in italiano cari ingolfati di case e immobili il cui valore, quando va bene, è dimezzato. Oggi le banche cercano operazioni che abbiano la caratteE INTANTO IL SISTEMA CREDITIZIO VA IN AFFANNO ristica prioritaria: il reddito. Ma comportaLa crisi delle banche ricapitalizzazioni che il prestiti, che risultano mento non significa solo sapere queste cose, riguarda vari aspetti: mercato non sempre infatti in inesorabile calo ma comportarsi correttamente nella gestione in primis si evidenzia la approva. da diversi anni. Vi è infine presenza di elevati stock di Il crescente numero di da recuperare la fiducia del denaro. Sapere cosa sia, come funziona e sofferenze in bilancio, nati da crediti deteriorati, con da parte dei risparmiatori, come si gestisce una Centrale dei Rischi, per una politica di concessione le nuove regole imposte “scottati” dai recenti scandali del credito sconsiderata e dalla BCE, impattano delle 4 banche regionali, esempio, è assolutamente essenziale. Eppure, talora al di fuori delle regole negativamente anche delle 4 banche Venete, e dal pochissimi professionisti e piccoli imprendidi corretta gestione. sulla concessione di Monte dei Paschi di Siena. L’altra grande criticità tori hanno contezza di tale fondamentale eleriguarda la scarsa redditività mento del rating bancario. Una volta vigeva causata da un modello di economia incentrato sul il detto: a pagare e morire c’è sempre tempo. dogma del pensiero unico Oggi vige il detto: se pensi così (o lo accetti) neoliberista, che ha portato le imprese a fallire. sei morto da tempo. Comportamento significa La crisi del sistema sapere che un acquirente di denaro si comeconomico si ripercuote sul circuito bancario. porta in un ben preciso modo, sapendo quali Questi aspetti erodono i sono le regole. Alla banca interessa una sola margini e generano perdite, rendendo necessarie cosa: se il denaro ritorna indietro (in subordine, maggiorato di congruo compenso per il A destra Antonio Patuelli, presidente dell’Associazione Bancaria Italiana (ABI)

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Prestiti per classi di dimensione e rischio (medie 2014-16; variazioni percentuali 12 mesi)

PER RIASSUMERE DI CHE SI TRATTA Le nuove regole internazionali sul credito bancario impongono alle imprese di prepararsi molto meglio prima di andare in banca a chiedere soldi: in queste pagine vi spieghiamo come si fa

6 4 2

CHE SIGNIFICA

0

L’accuratezza nell’esposizione del bilancio è il primo requisito richiesto, ed è fondamentale un piano industriale preciso che illustri l’uso che si vuol fare di quei soldi

-2 -4 -6 -8 SANE

VULNERABILI

LE DIMENSIONI CONTANO! La ripresa del credito è stata registrata soprattutto per le imprese di media e grande dimensione. Le micro imprese, nonostante la solidità, continuano a registrare una contrazione del credito che evidenzia come le banche siano più restie a concedere crediti ad imprese prive di un’organizzazione complessa. A conferma della maggiore selettività degli intermediari, è diminuito anche il credito alle aziende di nuova costituzione, sulle quali le banche dispongono di minori informazioni sulla capacità di rimborso. Il flusso di nuovi finanziamenti alle imprese rischiose, inoltre, si è ulteriormente ridotto, così come a quelle vulnerabili, indipendentemente dalla dimensione.

tradurremmo direttore finanziario. Si badi bene: finanziario e non meramente amministrativo. La piccola impresa, viceversa, per molte ragioni non può permettersi di avere internamente una figura del genere. Ed ecco perché il piccolo imprenditore che si rivolge solitamente al commercialista per le questioni tecniche trova spesso un interlocutore pronto sulla parte societaria e fiscale ma non sempre specializzato in quella finanziaria. La mancanza di tecnica, per esempio nella pianificazione del fabbisogno finanziario, conduce non

micro

PERCHÈ CI RIGUARDA

RISCHIOSE

piccole

medie

grandi

Come Economy racconta e racconterà, ci sono molti altri modi, oltre la banca, per finanziare le imprese, ma il credito bancario, piaccia o meno, resta essenziale e bisogna saperlo ottenere

FONTE: RAPPORTO STABILITÀ FINANZIARIA 2016, BANCA D’ITALIA

di rado a negoziazioni più simili all’acquisto i negoziatori devono vincere (o perdere) in dell’affettato dal salumiere che a una provvimodo equilibrato. Alla lunga, il negozio altrista di fonti finanziarie coerenti con le uscite menti non reggerebbe, o non si chiuderebbe di cassa prima dei finanziamenti prospettici neppure. Quindi, la negoziazione vincente con (UCF, in gergo, cioè unlevered cash flows). Mi una banca non può che condurre a un negodia duecentomila di zio vincente per ambo cassa, centomila di anle parti. In teoria dei SENZA LE GIUSTE COMPETENZE ticipo fatture, magari giochi, parleremmo TECNICHE NELLA PIANIFICAZIONE cinquantamila di pro- DEL PROPRIO FABBISOGNO FINANZIARIO, di una situazione Win SI FINISCE PER ANDARE IN BANCA miscuo: un po’ come Win, cioè nella quale A CONDURRE NEGOZIAZIONI PIÙ SIMILI dire due etti di morentrambi i giocatori ALL’ACQUISTO DI AFFETTATO tadella, un etto di pro- DAL SALUMIERE CHE A UNA PROVVISTA sono vincenti. Ma, per DI FONTI FINANZIARIE sciutto, ma di quello risultare un vincente, buono, tagliato fino e bisogna prima di tutto senza grasso. Alla fine, molti non sanno che la sgomberare il campo dalla morale e accettare, questione centrale di una negoziazione banSocraticamente, di non sapere. Se io non so, caria efficiente è una e una sola: presentare mi doto degli strumenti di conoscenza. Solo alla banca non un problema, ma una opportugli sprovveduti pensano davvero che sia più nità. Solo che, nella sua semplicità, questa reimportante conoscere le persone (gli amici, il gola è disattesa, quotidianamente. Il commerdirettore di banca, il politico), per aver succescio di denaro, come ogni commercio, non può so. Non bisogna conoscere le persone, ma la avere un vincente e un perdente, ma entrambi materia.

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FINANZIARE L’IMPRESA

I BUONI FONDI CHE RIMETTONO I NOSTRI DEBITI L’ultima frontiera della disintermediazione bancaria è rappresentata dal cosiddetto “private debt” che, a differenza del private equity, investe sul debito delle imprese, non sul capitale, e non entra nella governance aziendale. Sono già 22 gli operatori in Italia di Francesco Condoluci CENTO MILIARDI IN MENO DI FINANZIAMENTI EROGATI alle imprese, rispetto al

periodo pre-crisi. La stretta del credito in Italia è tutta in questo dato (fonte Deloitte), circoscritto agli ultimi 5 anni e relativo alle erogazioni bancarie che si sono assottigliate da 900 a 800 miliardi di euro. Ma la quota di credito bancario evaporato è conseguenza delle aziende che hanno chiuso (oltre 70mila nel quinquennio di riferimento) o piuttosto del fatto che gli istituti creditizi hanno stretto i cordoni della borsa? Le banche, ovviamente, sostengono la prima ipotesi, ma l’interrogativo è più che mai aperto, così come del resto lo stesso mercato del credito. Nel quale si fa sempre più incisivo il ruolo dei credit funds: forme di finanziamento complesse che, in una fase così asfittica per il canale tradizionale del finanziamento bancario, sembrano offrire grandi (e più rapide) potenzialità di crescita alle piccole e medie imprese, e in particola-

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re a quelle con un merito di credito basso. I cento miliardi di “credito sparito” stanno aprendo, dunque, per converso, spazi importanti a chi offre capitali freschi a quel sistema produttivo, rappresentato appunto dalle Pmi, che rappresenta, non va dimenticato, circa il 70% del Pil. NEL 2012 L’ALLORA MINISTRO SACCOMANNI INVOCÒ L’USO DEI FONDI DI DEBITO. OGGI, SECONDO AIFI, LA RACCOLTA DI QUESTO GENERE DI FONDI IN ITALIA HA TOTALIZZATO A FINE 2016 OLTRE 600 MILIONI DI EURO

La benedizione del ministro Dopo il Decreto Sviluppo varato dal Governo Monti che nel 2012 diede anche alle imprese non quotate in Borsa la possibilità di finanziarsi sul mercato attraverso l’emissione di prestiti obbligazionari, il primo a suggellare ufficialmente la strada dei credit

PRIVATE DEBT: CHI, COSA, COME Ma come opera, tecnicamente, un fondo di private debt? Di norma, le imprese (società di capitali e in particolare Spa) che si rivolgono a un fondo di debito, cercano un’alternativa alle erogazioni bancarie perché stanno per imbarcarsi in un’operazione di fusione o acquisizione oppure vogliono crescere per linee interne e hanno bisogno di finanziamenti, o ancora sono gravate da debiti bancari. Gli investitori specializzati di private debt, molto diversi tra loro nell’offerta, così da coprire la più vasta gamma di situazioni, dopo le dovute verifiche, effettuano l’intervento sulla società target, di prassi sottoscrivendo bond/emissioni obbligazionarie (secondo Aifi, il 91% delle operazioni registrate nel 2016 è stata in obbligazioni). Il private debt, istituzionalmente orientato ad assistere l’impresa sul mediolungo periodo, può muoversi anche assieme al private equity (ad esempio nelle M&A): la natura degli strumenti in cui le due tipologie di fondo investono è molto diversa, facendo sì che i due mercati possono in alcuni casi essere complementari. Infatti, i fondi di private equity diventano a tutti gli effetti azionisti della società, mentre i fondi di debito non esercitano, se non in casi particolari, i propri effetti sull’azionariato esistente.


92 IMPRESE* FINANZIATE DA FONDI DI PRIVATE DEBT mappate dal 2014 a oggi

N°imprese

N° fondi 35

33

GLOSSARIO CREDIT FUNDS

Sono i “fondi di credito”, ovvero investitori istituzionali il cui business consiste nell’erogare credito alle piccole e medie imprese, direttamente o attraverso l’acquisto di mini-bond emessi ad hoc.

19

EQUITY

13 9 7 5

2014

2015

2016

5

2017 Rielaborazione grafica di dati AIFI

funds come alternativa concreta al credito scalpore, dal momento che a parlare era bancario in Italia fu Maurizio Saccomanni, stato l’uomo che fino a qualche settimana al tempo ministro dell’Economia e delle prima stava seduto sulla poltrona di direttoFinanze. Era il luglio di quattro anni fa, e re generale della Banca d’Italia. Ma, a postein un intervento al Dipartimento del Tesoriori, i numeri sembrano dargli ragione. Dal ro sul tema “Credit Crunch e Credit Funds”, 2013 ad oggi nel nostro Paese, la disinterSaccomanni disse senza tanti giri di parole mediazione bancaria – seppur ancora lonche «a fronte di una tanissima dalle cifre NEGLI USA I CREDIT FUNDS ORMAI possibile, significaticitate da Saccomanni INTERMEDIANO CIRCA L’80% va diminuzione dei fie relative agli Usa, DEL CREDITO A IMPRESE E FAMIGLIE, nanziamenti bancari, dove i credit funds IN ITALIA QUESTO COMPARTO le esigenze di credito ormai intermediano STA CONOSCENDO UNA CRESCITA dell’economia docirca l’80% del crediLENTA MA PROGRESSIVA vranno essere soddito a imprese e famisfatte da altri attori, soprattutto investitori glie – ha fatto segnare una crescita lenta ma istituzionali, e da nuove forme di intermeprogressiva. Strumenti come private equity diazione finanziaria, di cui sono un esempio e venture capital, ovvero fondi privati dii credit funds, ovvero quei fondi che erogasposti a investire nei capitali di rischio puro no credito trasformando scadenze, rischi, delle imprese non quotate in Borsa, si sono liquidità». Fu una sorta di presa d’atto del ritagliati anche in Italia un ruolo sempre passaggio ad una nuova fase di “intermepiù credibile quali potenziali finanziatori diazione non bancaria”. E non mancò di fare alternativi agli istituti di credito. Basti pen-

Capitale proprio dell’azienda, versato, generalmente, attraverso la sottoscrizione di titoli azionari o quote. La sua remunerazione dipende dalla redditività e dal successo dell’iniziativa, sia in termini di utile prodotto e distribuito ai soci tramite dividendi, sia in termini di aumento di valore delle azioni. È un termine contrapposto ai mezzi di terzi (debt)

FONDO DI PRIVATE DEBT

Fondo comune di investimento, la cui politica di investimento si focalizza su strumenti finanziari di debito emessi dalle imprese, tra cui obbligazioni, cambiali finanziarie, altre tipologie di strumenti finanziari di debito, nonché finanziamenti, sotto forma di trattativa privata.

PRIVATE EQUITY

Termine utilizzato per indicare, in modo generale, l’attività dell’investitore nel capitale di rischio puro. Implica l’acquisizione di quote societarie e l’ingresso nella gestione dell’azienda.

PRIVATE DEBT

Termine utilizzato per indicare, in modo generale, l’attività dell’investitore in capitale di debito. I fondi di debito non prevedono di norma l’ingresso di propri esponenti negli organi di governance della società.

VENTURE CAPITAL

Attività di investimento in capitale di rischio realizzata da operatori professionali e finalizzata alla realizzazione di operazioni di early stage (prime fasi di vita di un’impresa) ed expansion (fasi di sviluppo ed espansione geografica o merceologica) di un’attività già esistente e avviata, ma con flussi di cassa negativi e grandi potenzialità di crescita.

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FINANZIARE L’IMPRESA

OPERATORI DI PRIVATE DEBT CENSITI DALL’OSSERVATORIO AIFI - DELOITTE 1. ADVAM PARTNERS 2. ANTHILIA CAPITAL PARTNERS SGR 3. DUEMME SGR 4. EMISYS CAPITAL 5. EQUITA SIM 6. FININT & PARTNERS 7. FUTURIMPRESA SGR (ANTARES AZ I) 8. H.I.G. EUROPEAN CAPITAL PARTNERS ITALY 9. HEDGE INVEST SGR 10. LENDIX 11. MUZINICH & CO 12. PENSPLAN INVEST SGR 13. PIONEER SGR 14. PRIVATE EQUITY PARTNERS 15. QUADRIVIO CAPITAL SGR 16. RIELLO SGR 17. RIVERROCK 18. TENAX CAPITAL LTD 19. THREE HILLS CAPITAL PARTNERS 20. VER CAPITAL 21. ZENIT SGR 22. ZEPHIR CAPITAL 78

sare che anche le stesse banche – sembra un paradosso, ma è reale – stanno lavorando per erogare, attraverso credit fund dedicati ai mini bond emessi dalle imprese italiane, quel credito che, in quanto “banche”, strutturalmente non riescono più a garantire.

L’anno della disintermediazione

E in questa che – nel mondo della finanza, almeno per ora – va assumendo sempre più i contorni di una vera “rivoluzione del credito” destinata probabilmente a troncare

per sempre la vecchia simbiosi tra banche e imprese, ora cresce anche il settore del “private debt” che, in luogo del capitale (come fa il private equity), acquista il debito delle imprese target. L’anno della svolta sembra essere stato proprio quello passato: il 2016, se da un lato, sul fronte private equity e venture capital, ha segnato un dato record sull’ammontare investito pari a 8,2 miliardi (il più alto di sempre in Italia), dall’altro ha visto una contrazione nella raccolta (-47% rispetto al 2015). Il private debt invece, dal

L’AIFI VISTA DA VICINO Nata nel maggio del 1986, è l’Associazione Italiana del Private Equity, Venture Capital e Private Debt, ha sede a Milano e da più di 30 anni riunisce gli investitori istituzionali nel capitale di rischio presenti in Italia. Svolge essenzialmente un ruolo di coordinamento e di rappresentanza istituzionale, in Italia e all’estero, degli interessi dei soggetti attivi sul mercato italiano nel private equity, nel venture capital e, da qualche anno, anche del private debt. Ma non solo: favorisce infatti anche la raccolta e la divulgazione di informazioni, i contatti fra gli associati, il mercato e altri organismi esterni, e sviluppa i rapporti con i vari organi normativi e di vigilanza, italiani e stranieri, per promuovere l’emanazione di provvedimenti legislativi

e regolamentari volti a disciplinare e a favorire l’attività istituzionale di investimento. L’Associazione rappresenta, in sostanza, fondi e società che operano attraverso il capitale di rischio, investendo in aziende con l’assunzione, la gestione e lo smobilizzo di partecipazioni prevalentemente in società non quotate. AIFI si occupa anche di diffondere la cultura del capitale di rischio delle opportunità ad esso collegate presso la classe imprenditoriale, e di formare gruppi manageriali qualificati sia nelle società associate sia nelle loro partecipate. Gli operatori associati sono le società finanziarie di partecipazione, le società di gestione di fondi chiusi italiani, le advisory companies

Per approfondire www.aifi.it

di fondi chiusi internazionali, le banche italiane e internazionali con una divisione dedicata all’attività di private equity, le finanziarie regionali, le società pubbliche per la nascita e lo sviluppo di attività imprenditoriali. Sono inoltre associati, in qualità di aderenti: associazioni, enti, istituti di ricerca, studi professionali, società di revisione e consulenza, interessati allo sviluppo del mercato italiano del capitale di rischio. Attualmente, è presieduta dall’economista e manager Innocenzo Cipolletta, mentre il ruolo di direttore generale è affidato a Anna Gervasoni, professore ordinario di Economia e Gestione delle imprese presso l’Università Carlo Cattaneo di Castellanza nonché presidente del Private Equity Monitor.


IPSE DIXIT COLAZIONE PRIVATE DEBT, MILANO, 2017

Nelle foto a sinistra Innocenzo Cipolletta, Presidente AIFI

Origine dei capitali raccolti per tipologia di fonte nel periodo 2013-I sem. 2016 (prime sei fonti)

6%

Nell’immaginario collettivo, ormai le banche sono brutte, sporche e cattive, mentre i privati risolvono i problemi. È sbagliato. Mi piacerebbe che tra banche e fondi di debito si parlasse piuttosto di complementarietà”

FONDI PENSIONE

9%

CASSE DI PREVIDENZA

13%

SETTORE PUBBLICO

26%

BANCHE

15% 16%

FONDI DI FONDI ASSICURAZIONI ISTITUZIONALI IL MERCATO ITALIANO DEL PRIVATE EQUITY, VENTURE CAPITAL E PRIVATE DEBT NEL 1° SEMESTRE 2016, AIFI

canto suo, può vantare il “segno più” sia in le attività del comparto, sono stati investiti termini di investimenti (+87%) che di rac707 milioni di euro e realizzati 128 deal. colta: quest’ultima passata dai 383 milioni Solo nel 2016, le operazioni sono state 65 dell’anno precedente a 632, con un increper un ammontare complessivo di 378 mimento del 65%. Numeri piccoli, perlomelioni – ha spiegato il direttore generale Aifi, no in valori relativi al mercato globale, ma Anna Gervasoni nel corso dell’ultimo convesufficienti per far dire ad Aifi – fonte uffigno di presentazione dell’Osservatorio sul ciale dei dati e assoprivate debt organizÈ IN ATTO UNA “RIVOLUZIONE DEL ciazione dei private zato in collaborazioCREDITO” DESTINATA PROBABILMENTE equity, private debt e ne con Deloitte – è A TRONCARE PER SEMPRE LA VECCHIA venture capital – che una crescita costanSIMBIOSI TRA BANCHE E IMPRESE. adesso «anche il prite, dunque. I fondi di GRAZIE ANCHE AI NUOVI STRUMENTI vate debt ha un merprivate debt hanno IMPORTATI DAGLI STATI UNITI cato in Italia». Fino al finanziato 19 aziende 2014, in effetti, i fondi di debito nemmeno nel 2014, 33 nel 2015, 35 nel 2016 e già 5 esistevano: oggi sono già 22 quelli attivi, quest’anno, per un totale di 92. È un mercaraccolti da 18 operatori associati Aifi (su un to nuovo e ancora poco conosciuto ma che, totale di 26 presenti in Italia), e 13 di questi a regime, può riversare sulle imprese un sono in fase di raccolta dei capitali degli inmiliardo all’anno, da dedicare alla crescita. vestitori italiani e stranieri. «Dall’inizio delCi aspettiamo molto da questo 2017».

LUCA MANZONI, RESPONSABILE CORPORATE BANCO BPM

In futuro i comportamenti delle banche cambieranno. Si andrà verso un modello di house-bank, ci saranno cioè banche con meno clienti e clienti con meno banche. Questo aprirà grandi fette di mercato agli operatori del debito”

ALESSANDRO PROFUMO, PRESIDENTE EQUITA SIM

L’azienda che amministro ha fatto ricorso al private debt, usufruendo così, grazie al fondo Antares, di risorse a medio e lungo termine. Chi ritiene intrusivi gli interventi di questi nuovi soggetti, è ottuso. Non ne percepisce la portata” LORENZO FALCONI, DI ACQUE MINERALI SPA

NELLA FOTO STEFANO ROMITI, PRESIDENTE DI ANTARES, CHE HA SOTTOSCRITTO IL BOND DA 6 MILIONI DI ACQUE MINERALI D’ITALIA

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FINANZIARE L’IMPRESA

FATTURE IN RETE E LA LIQUIDITÀ ENTRA SUBITO IN CIRCOLO Si chiama Workinvoice ed è una start-up lanciata da banchieri esperti che vogliono superare i limiti del factoring ”storico”. Con l’aiuto di Internet e del crowdsourcing I TEMPI DI PAGAMENTO DELLE FATTURE in

Italia sono nettamente i più lunghi d’Europa. Secondo lo European Payment Report, nel 2016 le fatture B2B sono state pagate mediamente a 80 giorni nel Bel Paese, molto più del doppio della media dell’Unione Europea – i giorni di attesa sono 69 in Spagna, 48 in Francia, 29 nel Regno Unito e 15 in Germania. Per oltre la metà delle nostre imprese, il ritardo nei pagamenti ha un impatto negativo di gravità medio-alta nell’impedire la crescita dell’azienda. Molte portano in banca le fatture per un’anticipazione del credito. Ma si sta affermando anche in Italia, e a ritmo molto sostenuto, l’invoice trading, ovvero la cessione delle fatture commerciali a investitori attraverso un portale dove vengono messe all’asta. Prima società a proporre questo servizio alle Pmi italiane e leader di mercato è Workinvoice che, in meno di due anni di attività, ha superato i 50 milioni di euro di crediti scambiati e punta a transarne 100 nel 2017. Possono utilizzare Workinvoice le imprese che hanno forma giuridica di società di capitali, per fatture da minimo 10mila euro emesse verso clienti del settore privato. Il meccanismo è semplice e ricorda quello di eBay: l’azienda che cede il credito stabilisce una base d’asta; il miglior offerente, o più spesso chi raggiunge il prezzo “preferito” indicato dall’azienda cedente, si aggiudica il credito ed effettua direttamente sul conto corrente dell’impresa un versamento a titolo di acconto pari al 90% della somma dovuta. Quando il cliente dell’azienda cedente

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EUROPEAN PAYMENT REPORT 2016

AUSTRIA BELGIUM BOSNIA BULGARIA CROATIA CZECH REPUBLIC DENMARK ESTONIA FINLAND FRANCE GERMANY GREECE HUNGARY IRELAND ITALY LATVIA LITHUANIA NETHERLANDS NORWAY POLAND PORTUGAL ROMANIA

Missing data

SERBIA

Missing data

SLOVAKIA SLOVENIA SPAIN SWEDEN SWITZERLAND UK

02

04

Average Contractual Payment Terms in days. B2B

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0

100

Average time in days that customers actually take to pay. B2B

A CONFRONTO I TEMPI DI PAGAMENTO MEDI CONTRATTUALI IN GIORNI E I TEMPI EFFETTIVI . L’ ITALIA È IL MERCATO PIÙ LENTO

IL MERCATO DEL FACTORING “TRADIZIONALE” Nata nel 2013, Workinvoice ha chiuso tre round di finanziamento per un totale di 1,6 milioni di euro, con la partecipazione di alcuni business angels. L’ultimo aumento di capitale ha segnato l’entrata in società con una quota del 2% di Maurizio Cereda, ex banker di Mediobanca, per anni a capo dei servizi di equity capital market. «Vedere entrare in società personaggi che provengono dal mio stesso settore

è senz’altro motivo di soddisfazione personale. Ma è anche il segnale di un profondo interesse che si sta sviluppando intorno all’invoice trading in Italia» dice il Ceo Matteo Tarroni. La crescita degli ultimi mesi ha portato Workinvoice ad avere la più ampia quota di mercato tra tutte le piattaforme europee di P2P business lending, secondo quanto riportato dal Liberum AltFi Volume Index Continental Europe, indice di

riferimento per il settore. E già si pensa ai prossimi passi: «Non c’è una sola strada, l’evoluzione in questi casi non segue un’unica direzione. Potremmo focalizzarci su un verticale legato ad altri prodotti di debito sempre con le Pmi. Oppure sviluppare un modello “orizzontale” lavorando solo sul capitale circolante con altri servizi accessori (risk managemnt, gestione amministrativa delle fatture, modello integrato)» dice Tarroni.


MATTEO TARRONI, AMMINISTRATORE DELEGATO DELL’AZIENDA.

paga la fattura, viene accreditata la parte rimanente alla quale va sottratto uno sconto applicato all’investitore a titolo di rendimento per il periodo trascorso tra acconto e incasso, che dipende da quanto è rischioso il credito e da quanto è urgente la necessità di ricevere l’anticipo da parte dell’impresa. Il vantaggio fondamentale per l’azienda, a fronte di una fee di iscrizione di 450 euro e di una commissione compresa tra lo 0,4 e lo 0,9% calcolata sull’acconto pari al 90% dell’importo della fattura, sono i tempi di incasso: c’è la possibilità di completare l’intero processo, e quindi di ricevere il denaro, in cinque giorni lavorativi, mentre una banca impiega in media tra le 6 e le 12 settimane. «È vero che le banche e le società di factoring anticipano le fatture da secoli, ma quel che facciamo noi è profondamente diverso. Il nostro obiettivo è creare un vero e proprio mercato dei crediti commerciali, che così diventano un asset liquidabile così come tanti altri che sono nel bilancio di un’azienda. Per creare un mercato ci vuole un’adeguata flessibilità: le aziende possono cedere anche

una sola fattura, così come si può scambiare esempio, un fondo inglese è interessato vieuna sola azione in borsa. Se non ci fossero le ne e compra, se non è più interessato smette azioni, che sono la dematerializzazione del caquando vuole. I tempi di pagamento delle fatpitale, le aziende potrebbero essere vendute ture in Italia dimostrano che c’è una profonda solo in blocco, invece c’è un mercato liquido. esigenza di rendere liquidi questi asset. Non La stessa cosa avviene oggi con le fatture: con c’è niente di male nell’avere crediti commerWorkinvoice puoi cedere anche un solo crediciali, sono crediti performing. Se riesco a moto o alcuni crediti esattamente come con quanetizzare immediatamente, miglioro il circolunque asset liquidabile. Per fare ciò ci vuole lante. Le aziende falliscono per mancanza di un’infrastruttura adeguata, una standardizcassa, non di fatture» spiega Matteo Tarroni, zazione. Così come le ceo di Workinvoice. IL MECCANISMO DELLA PIATTAFORMA azioni sono tutte in sé Tra gli investitori ci STA PRENDENDO PIEDE: I TEMPI DI uguali, pur con diversi sono anche privati con PAGAMENTI DIVENTANO BREVISSIMI profili di rischio, anche capacità minima di inE I TASSI DI INTERESSE ATTRAENTI i crediti commerciali vestimento di 50mila PER GLI INVESTITORI sono contratti staneuro. I dati dimostradardizzati con diversi profili di rischio. Il web no l’utilità dello strumento: le aziende che si è il facilitatore senza il quale non potremmo sono affidate a Workinvoice hanno ricevuto fare quel che facciamo. L’altra cosa fondamenpagamenti delle fatture con 50 giorni di antitale è che il mercato deve essere aperto per cipo in media rispetto alle condizioni normali. definizione, si può entrare e uscire quando si Non solo: hanno riportato una riduzione del vuole, sia dal lato di chi vende sia da quello di proprio costo del debito fino al 30%, e fatturachi compra. Non abbiamo fatto accordi speciti in crescita in media del 64%. Per info: www.workinvoice.it fici con investitori, il mercato è aperto. Se, per

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FINANZIARE L’IMPRESA L’ARTE DEL BILANCIO

CHI HA LE CARTE IN REGOLA LE METTA BENE IN MOSTRA SOTTOPORRE A REVISIONE LEGALE VOLONTARIA il bilancio d’esercizio della propria società, anche quando non si è obbligati, è una scelta intelligente. Cerchiamo di capire perché

S

LA DOMANDA «Sono un piccolo imprenditore del Basso Piemonte – scusate se non mi firmo, ma non vorrei far sapere i fatti miei – e mi sono sentito dire dall’impiegato della filiale della Bcc dove lavoro abitualmente che sarebbe ora che mi facessi fare la revisione del bilancio. Ma non basta il collegio sindacale, dico io? E comunque a che mi servirebbe questa revisione? Quanto mi costerebbe? Quanto tempo assorbirebbe e quanta gente dovrebbe girare per gli uffici della mia azienda, e per quanto tempo? E siamo sicuri che poi davvero il bilancio revisionati mi facilita l’obiettivo di farmi finanziare dalla banca?»

L’AUTORE VALERIO MICHELI, SENIOR AUDITOR DI RSM GLOBAL SOCIETÀ DI REVISIONE E ORGANIZZAZIONE CONTABILE SPA

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e avere credito, per un’impresa italiana, è diventato sempre più difficile, presentarsi in banca con il bilancio certificato da una società di revisione contabile esterna, e non soltanto dal collegio sindacale, è sicuramente un punto di forza. Le società obbligate a sottoporre i propri conti alla revisione sono, per il codice civile, tutte le società di capitali – circa 1,1 milioni attive in Italia – ma quelle “a responsabilità limitata” sono obbligate solo se controllano una società obbligata o se per due esercizi consecutivi superano almeno due dei tre limiti indicati per la redazione del bilancio in forma abbreviata. La revisione può essere svolta da un revisore persona fisica o dal collegio sindacale (se la società non redige il bilancio consolidato e se previsto dallo statuto) e non necessariamente da una società di revisione, che però – almeno in teoria e comunque sul piano dell’immagine – assicura un lavoro più qualificato. Anche le start-up e le PMI innovative hanno l’obbligo di revisione del bilancio per mantenere lo status: cioè circa 7mila imprese in Italia. Devono sottoporre i propri conti a revisione legale anche le società che intendano emettere minibond. E quante sono le società specializzate nella revisione legale

in Italia? Al registro istituito presso il ministero dell’Economia (Mef), a gennaio le società di revisione erano 473, di cui un quarto con sede legale in provincia di Milano e il 12% in provincia di Roma. Storicamente, il panorama italiano delle società di revisione è stato “dominato” dalle cosiddette Big Four (PwC, EY, Deloitte e KPMG). Altri rilevanti network di revisione sono BDO e RSM. Le società che, pur non essendo obbligate a sottoporre il proprio bilancio a revisione legale, scelgono di farlo, facendo così “entrare in azienda” dei terzi, permettendo loro di indagare ed analizzare documenti, transazioni, contabilità, procedure interne, fanno una scelta impegnativa ma sicuramente allineata con l’evoluzione dello scenario economico-imprenditoriale. Il bilancio è uno dei principali strumenti d’informazione esterna dell’impresa e avere un bilancio certificato può apportare benefici. Il Principio di Revisione Internazionale ISA Italia 200 dichiara: “la finalità della revisione contabile è quella di accrescere il livello di fiducia degli utilizzatori di bilancio”. Un bilancio certificato con una clean opinion rispetta i principi contabili di riferimento: chiaro, veritiero e corretto, è un documento affidabile sullo stato dell’azienda e sulla disclosure dei risultati patrimoniali, economici e finanziari. La revisione di bilancio volontaria è anche un’occasione


per l’azienda di incrementare le proprie competenze e di sottoporre ad analisi e revisione le procedure, il sistema contabile e informativo, di avere una conferma sul rispetto degli adempimenti societari, di controllare le aree a maggior rischio. Ma la domanda che ci si potrebbe porre è: un bilancio certificato da un revisore o da una società di revisione comporta effetti benefici sul merito di credito di un’azienda? Favorisce un miglioramento del rating (posto che il giudizio del revisore sia positivo, senza rilievi)? La risposta a questa domanda difficilmente può essere certa e incontrovertibile: le variabili che i sistemi di rating considerano sono troppe e spesso troppo complesse IL 40% DELLE AZIENDE CON UN BUON RATING HANNO IL BILANCIO REVISIONATO, E SOLO IL 25% RIESCONO AVERE UN BUON RATING SENZA I CONTI REVISIONATI

per rilevare un effetto diretto della certificazione di bilancio sul merito creditizio della società. Non si può negare, però, che un parere sul bilancio espresso da un soggetto terzo e indipendente, quale il revisore, sia un elemento che accresca la fiducia degli stakeholder e quindi – tra questi – anche del sistema bancario. Un bilancio certificato da un revisore o da una società di revisione è un bilancio che rispetta i principi contabili, la cui finalità informativa è rispettata, un importante documento societario sul quale sono state svolte analisi e indagini contabili e non solo (risk assessment, verifiche sulle procedure aziendali et similia). Pur tenendo a mente che un bilancio certificato senza rilievi può essere ottenuto anche da un’azienda non particolarmente performante, uno studio di Cerved mostra come la presenza di un revisore di bilancio sia un segnale forte di maggiore affidabilità. Il 40% delle aziende con Cerved Group Rating nell’area di sicurezza massima e con rating massimo hanno il bilancio revisionato, contro un 25% che non lo hanno; dunque Cerved conferma che le aziende (e in particolare le PMI) hanno bisogno di strumenti che riescano a certificare la loro affidabilità economico-finanziaria.

QUALI VANTAGGI IMPLICA LA REVISIONE?

MA QUANTO COSTA REVISIONARE?

LA REVISIONE DEL BILANCIO d’esercizio e la presenza in azienda dei revisori è certamente da considerare un aspetto utile, positivo e anche vantaggioso per le società. Ma, assodato che un bilancio certificato (positivamente) da una società di revisione può dare benefici in termini di rating, la domanda ulteriore potrebbe essere: vi sono altri benefici?

OLTRE AI PURI COSTI MONETARI derivanti dal compenso spettante alla società di revisione o al soggetto preposto, la società che decide di sottoporsi a revisione dovrà affrontare i costi derivanti dall’organizzazione del lavoro da essa derivante. Ciò è quantificabile nel tempo dedicato dal personale ai revisori: colloqui, richieste documentali, conte inventariali, reportistica e simili.

DI SICURO È UN REQUISITO NECESSARIO per accedere al mercato dei minibond, come anche per ottenere e/o mantenere lo status di startup o PMI innovativa. Tra i benefici riscontrabili c’è quello riguardante il credito d’imposta per attività di ricerca e sviluppo: il decreto attuativo stabilisce che “le imprese con bilancio certificato sono esenti dagli obblighi previsti” ai fini dei controlli della documentazione e ciò si interpreta come esimente sia per le società obbligate alla revisione, sia per quelle che la scelgono volontariamente. LA SOCIETÀ CHE VOLESSERO GODERE del credito d’imposta per Ricerca & Sviluppo, senza bilancio certificato, dovrà invece rendicontare i costi all’Agenzia dell’Entrate e tale documentazione dovrà essere certificata da un soggetto abilitato alla revisione. TRA I REQUISITI PER PARTECIPARE alle gare sopra soglia comunitaria è quello di avere nel DGUE (Documento di Gara Unico Europeo) gli ultimi due bilanci certificati; sempre in ambito comunitario, per partecipare ai progetti UE la Commissione Europea consiglia fortemente che i bilanci delle società siano oggetto di audit. La revisione però non è la panacea di tutti i mali e non vuole neanche esserlo. Il revisore indaga, analizza, testa e si forma un’opinione indipendente: non è né un consulente, né un confidente degli imprenditori. LA REVISIONE DEI BILANCI quindi non previene le crisi di impresa, non può porre rimedio a tensioni finanziarie o a inefficienze produttive dovute a personale inadeguato, non sempre riesce a individua comportamenti illeciti o fraudolenti.

LE FIGURE AZIENDALI MAGGIORMENTE coinvolte sono sicuramente il personale dell’area amministrativa – CFO, capo contabile, controller – gli amministratori e i soci, ma anche lo staff di altre funzioni quali la logistica, le risorse umane e l’area commerciale, per citarne alcune. CI SONO POI COSTI NON MONETARI ma di natura organizzativa e psicologica. E che inducono anche le società obbligate a preferire spesso di affidare la revisione al collegio sindacale o al revisore unico persona fisica ma non alla società esterna di revisione: questa scelta può essere letta come un modo per mantenere un’autonomia gestionale di cui spesso le imprese sono gelose. AVERE IN AZIENDA UNA SOCIETÀ di revisione che certifichi il bilancio d’esercizio è certamente un onere, poiché per l’audit è necessario e imprescindibile il supporto del management e dello staff aziendale, ma non deve essere vista come un’entità che ne limiti l’autonomia decisionale. L’AUDIT NON È UN’ATTIVITÀ DI CONSULENZA e i revisori non intervengono nelle scelte societarie, ma cercano sufficienti elementi probativi affinché il revisore esprima un giudizio sul bilancio d’esercizio. Ciò non limita l’autonomia gestionale di una società. L’INFLUENZA DELLA SOCIETÀ DI REVISIONE può essere casomai virtuosa: poiché la società, al termine delle sue attività emetterà una relazione che può essere positiva o negativa, le imprese saranno invogliate ad applicare le best practice contabili e gestionali affinché l’esito dell’audit sia senza rilievi.

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FINANZIARE L’IMPRESA OSSERVATORIO ECONOMICO

IL PRIVATE EQUITY STA RISCOPRENDO IL MADE IN ITALY: COME GIOVARSENE? Con queste pagine Economy inaugura la partnership strategica con l’università Carlo Cattaneo Liuc di Castellanza. Studi e ricerche profilati sulle esigenze delle imprese che saranno mensilmente proposti ai lettori

(confronto 2015-2016, in milioni di euro) 2016

2015

48% 47%

21%

<30

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31-60

17% 10%

61-100

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101-300

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6%

>300

IL GRAFICO DIMOSTRA CHE IL MAGGIOR NUMERO DELLE ACQUSIZIONI SI È CONCENTRATO SIA NEL 2015 CHE NEL 2016 SU AZIENDE DAI RICAVI INFERIORI AI 30 MILIONI DI EURO.

LE ACQUISIZIONI PER PREZZO

A

vete un’impresa manifatturiera e volete venderla, o al contrario rifinanziarla per farla crescere? O invece producete beni di largo consumo - prodotti per la cura della della casa e della persona – e avete la stessa intenzione. Ebbene, siete avvantaggiati: le vostre tipologie produttive sono quelle che piacciono di più ai fondi di “private equity”, quegli investitori privati che sono diventati famosi per aver adocchiato e comprato in tutto o in parte, facendole crescere, aziende di successo come Moncler, Optima, Mutti, Kos, Fortesan, Boccaccini e molte altre. Sono solo alcuni dei dati, per certi versi sorprendenti, contenuti nel sedicesimo “Rapporto Pem” (in sigla: Private Equity Monitor) curato dall’omonimo osservatorio dell’Università Carlo Cattaneo Liuc, partner scientifico di Economy.

Aderenza al mercato

Attenzione: non è “aria fritta”, come spesso gli imprenditori pensano che sia questo geANNA GERVASONI, DOCENTE DI ECONOMIA DEGLI INTERMEDIARI FINANZIARI ALLA LIUC

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LE ACQUISIZIONI PER FATTURATI

(confronto 2015-2016, in milioni di euro) 2016

2015

40% 35% 25%

21%

17%

0%

24%

19% 17%

2%

0.0 - 3.0x

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6.1 - 9.0x

9.1 - 12.0x

> 12x

IL GRAFICO DIMOSTRA CHE IL MAGGIOR NUMERO DELLE ACQUISIZIONI SI È CONCENTRATO NEL 2016 SU AZIENDE DAL RAPPORTO TRA VALORE D’IMPRESA ED EBITDA TRA 6,1 E 9 VOLTE.

nere di lavori delle università. Tutt’altro: c’è una forte e costante aderenza al mercato, quello vero, dietro questi dati. Leggendoli in trasparenza chiunque può capire se la propria azienda è adatta o meno ad attrarre investimenti: sia per vendere, sia per finanziare la crescita. Il che, di questi tempi, può essere un toccasana. Ma cosa si intende per “private equity”? Lo chiarisce bene l’Osservatorio, nelle premesse sulla sua attività: si tratta di “investimenti realizzati da investitori istituzionali nel capitale di rischio. Le operazioni monitorate sono di quattro tipi: investimenti per passaggio di proprietà, per crescita, per riconversione gestionale o per risanamento aziendale (Expansion, Buy out, Replacement e Turnaround). Da notare, che tra il 2000 ed oggi l’Osservatorio ha monitorato

e studiato ben 1.500 operazioni di investimento realizzate a partire dal 1998 (un database disponibile on line previo abbonamento).

Un buon trend

Ebbene, diciamo subito che il 2016 ha confermato la decisa ripresa delle attività del settore registrata nel 2015, con 100 operazioni concluse, in linea con le 108 del 2015 e bel lontane dalle poche del 2013: solo 63. Si è trattato prevalentemente di acquisizioni di controllo (buy out): cioè le aziende hanno cambiato padrone (meno frequenti le operazioni riferite a pacchetti azionari di minoranza). Curioso esaminare la classifica degli operatori d’investimento più attivi del 2016: il principale è stato Hellmann&Friedman, un fondo basato a San Francisco che


Anna Gervasoni – LIUC - Università Cattaneo, AIFI

Aperitivo

Aperitivo Il Private Equity Monitor – PEM® è un’iniziativa supportata da:

Il Private Equity Monitor – PEM® è un’iniziativa supportata da: ®

Il Private Equity Monitor – PEM è®un’iniziativa supportata da: Il Private Equity Monitor – PEM è un’iniziativa supportata da:

Gli sponsor dell'Osservatorio PEM

COME DEVONO ESSERE LE AZIENDE PER ATTRARRE IL PRIVATE EQUITY • I SETTORI CHE PIACCIONO Dunque appartiene al settore manifatturiero il 27% delle aziende che hanno convinto i fondi di private equity ad investire in esse. Al 14% si collocano le aziende del largo consumo e al terzo posto, col 10%, quelle del settore alimentare e quelle legate alla cura della persona. Al quarto posto in questa graduatoria di attrattiva settoriale si collocano le aziende Ict (information communication technology (8%), in vista anche il settore dei servizi finanziari (7%), abbastanza attivi anche quelli del commercio al dettaglio e all’ingrosso e delle utilities (rispettivamente, 4% e 3%). In

calo il terziario, che scende dall’11% al 7%. Il 69% degli investimenti si è indirizzato verso imprese che non superano un fatturato di 60 milioni di euro, in aumento rispetto a quanto registrato lo scorso anno (63%), ma cresce il peso delle realtà tra 31 e 60 milioni di Euro (21% vs 16%). • IL FATTURATO MEDIO Significa che non è indispensabili essere grandi aziende per farsi comprare. I deal su aziende di grandi dimensioni hanno rappresentato appena l’8% del mercato, anche in aumento rispetto al 2015: tra questi, si ricordano quelli di grande

IL MERIDIONE, ETERNO FANALINO DI CODA Ma in quale aree territoriali si concentra l’interesse dei fondi di private equity? Domanda retorica: dove c’è più business. E dove c’è un mercato finanziario popolato di vari protagonisti. LEADERSHIP LOMBARDA Per questo, sul fronte della distribuzione regionale, la Lombardia è e si conferma anche nel 2016 la regione che da sempre risulta essere il principale bacino per gli operatori, nel corso del 2016 ha rappresentato il 39% del mercato. Basti pensare che dal 2000 ad oggi – da quando cioè opera l’Osservatorio Pem – si sono svolte in Lombardia 554 operazioni contro le 204 della seconda regione, che è l’Emilia Romagna. VENETO IN RIPRESA Complice forse anche il passaggio generazionale, che da spesso una buona rsgione per vendere all’imprenditore, il Veneto ha visto raddoppiare nel 2016 le operazioni sulle sue aziende. PUGLIA ULTIMA Nel Mezzogiorno, nel corso del 2016 si sono chiuse appena cinque operazioni, di cui quattro in Campania ed una in Puglia. Eppure si tratta di un balzo rispetto all’anno prima, in cui erano state appena tre.

rilevanza conclusi per Artsana e Setefi. • LA REDDITIVITA’ CHE FA GOLA Si sa che sul mercato delle compravendite di aziende, il parametro di riferimento fondamentale per stabilire un prezzo è quello dell’Ebitda, che in italiano si traduce con “margine operativo lordo” ma che nella sigla inglese più precisa significa: earnings before interest tax depreciation and amortization, cioè l’utile generato dall’attività industriale prima di essere ridotto dagli interessi passivi su debiti e finanziamenti, dalle tasse, dalle svalutazioni degli asset e dagli ammortamenti. Ebbene,

i prezzi di compravendita – secondo l’Osservatorio – sono stati in media pari a 7,9 volte l’Ebitda delle aziende acquisite. Insomma, se un’azienda fattura 10 milioni e ne produce 2 di ebitda, vale 15,8 milioni di euro. • IL PREZZO RISPETTO AI RICAVI Se invece si studia il rapporto tra i prezzi pagati, si scopre che esso è stato in media pari a 1,3. Quindi un’azienda che fattura 10 milioni è stata pagata 13. Naturalmente questo dato va incrociato con quello precedente, sul rapporto con l’Ebitda e con tutti gli altri – notorietà, patrimonio eccetera che concorrono alla definizione del prezzo finale.

chiude con 5 operazioni, famoso per l’acquiferma il ruolo di assoluto rilievo degli invesizione della società di software marchigiastitori esteri (ben il 54% delle operazioni na TeamSystem e quest’anno per aver rileè stato concluso da fondi non domestici, in vato, insieme con il fondo di Singapore Gic, leggero aumento rispetto al 53% del 2015). per 1,8 miliardi la Allfunds Bank, piattaforInsomma, il made in Italy di marca fa gola, ma distributiva multimanager di prodotti di a dispetto dei problemi del Paese attestati asset management anche recedenteINSOMMA, IL MADE IN ITALY DI MARCA rivolta a investitori mente dal declasFA GOLA, A DISPETTO DEI PROBLEMI istituzionali, consamento inflittoci DEL PAESE ATTESTATI ANCHE DAL DECLASSAMENTO INFLITTOCI DA FITCH trollata al 50% da da Fitch. ParalleIntesa Sanpaolo, che lamente, risulta in ha maturato 800 milioni di euro di plusvaaumento il livello di concentrazione nel lenza. Con 3 investimenti ciascuni seguono 2016: 23 operatori hanno raccolto intorno a Aksìa, Alto Partners SGR, Ardian, Consilium sé il 50% dell’attività d’investimento, rispetSGR ed Investindustrial. Tra le grandi opeto ai 26 del 2015. razioni firmate il turnaround della Ducati, Famiglie venditrici gli investimenti in Artsana, Aston Martin, In termini di deal origination – cioè di voFlos, Sergio Rossi, Valtur e molti altri. Ma lontà di origine dell’affare – non emergono non solo questi pochi grandi nomi gli opeparticolari inversioni di tendenza: le imratori italiani del private equity: anzi. In prese private e familiari, registrando un intermini di offerta, il rapporto Pem conferma cremento delle preferenze (70% nel 2016, il numero di operatori attivi in Italia, che si rispetto al 61% nel 2015), continuano a attesta a quota 85 considerando sia i Lead rappresentare molte delle opportunità di inche i Co-investors (+2% rispetto al 2015). Il vestimento. Le cessioni di rami d’azienda di rapporto tra operazioni concluse e numero imprese italiane scendono dal 13% all’8%. di operatori risulta, pertanto, pari a 1,2 (vs 1,4 nel 2015). Inoltre, l’anno scorso si con-

In collaborazione con l’Universita’ Carlo Cattaneo – LIUC

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learning to excel since 1969


COMUNICARE L’IMPRESA “Non fare pubblicità per risparmiare soldi è stupido come fermare l’orologio per risparmiare tempo”: la vecchia battuta di Henry Ford è più attuale che mai, di fronte al bombardamento di offerte, opportunità e disinganni che le imprese subiscono in questa materia. Infiniti fronti da presidiare, tanti – troppi – nuovi media da monitorare, il perenne interrogativo sull’effettiva utilità della Rete e dei social come veicolo per incrementare le vendite: a volte sembra potentissimo altre volte inesistente. Perché mai un’impresa che utilizza consulenti per gestire le sue esigenze finanziarie, tecnologiche, strategiche, fiscali e legali, dovrebbe ritenere che per comunicare bene può “far da sé”? Solo perché a molti, erroneamente, la comunicazione non sembra una “roba da specialisti”. Invece lo è. Ed Economy, da questo numero, agli specialisti vuol dare voce: perché siano utili, con i loro consigli, alle imprese che vogliono comunicare bene.

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L’INTUIZIONE DI BEBE VIO TESTIMONIAL DELLA RINASCITA

È LA COMUNICAZIONE, BELLEZZA! E L’AZIENDA VA SEGUITA A VISTA Dieci anni di smartphone hanno maledettamente complicato un’attività che resta sempre cruciale per le imprese di Luca Vergani*

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ieci anni di smartphone hanno reso più semplice la vita delle persone, ma anche maledettamente più complicato – e interessante – il lavoro di chi, come MEC, aiuta le aziende a decidere quali canali utilizzare per “far incontrare” consumatori e marche. Quello che una volta era un semplice processo di selezione e acquisto di spazi pubblicitari da parte dei centri media, oggi è diventato un lavoro estremamente complesso. Per questo MEC si definisce Agenzia Media, cosa ben diversa dal ‘vecchio’ centro media, accezione ormai sorpassata per un lavoro che è profondamente cambiato nel tempo, sempre più concentrato sull’aspetto consulenziale e sull’analisi di persone, mercati, mezzi, contenuti e dati. MEC, l’agenzia di cui sono Amministratore Delegato, non è quindi semplicemente un intermediario che per conto delle aziende clienti acquista spazi pubblicitari: la mission di MEC è diventare il miglior business partner delle aziende, in grado di ispirare soluzioni innovative e garantire eccellenti risultati, focalizzandosi sulla * LUCA VERGANI, CEO DI MEC

crescita dei suoi professionisti, del business dei clienti e dell’industry. La sua leadership deriva dalla tendenza ad esplorare soluzioni e territori sempre nuovi nelle aree di Media Planning e Buying, Digitale Media, Mobile, Search, Performance Marketing, ROI, Digitale Analytics, Data Management, Social Media, Analytics and Insight, Sport, Entertainment & Content, Content Marketing, Retail, Integrated Planning; nonché dall’approccio alla gestione delle diverse attività di comunicazione sempre più data driven. Grazie ai volumi gestiti garantisce rilevanti vantaggi anche in termini di Buying e Trading e, parallelamente al presidio delle attività media tradizionali, sviluppa costantemente ricerche e tool proprietari in grado di fornire ai propri clienti know how esclusivo su consumatori e modalità di fruizione dei mezzi. In questa ottica è nata FoodFWD, un vero e proprio ‘cantiere’ di ricerca aperto da MEC e GroupM (holding media del Gruppo WPP, a cui fa capo anche MEC) per offrire alle aziende del settore food & beverage insight strategici per le attività di marketing e comunicazione dei propri brand e rispondere a uno dei temi strategici più attuali: qual è il valore che il digitalee può offrire alla marca in ogni passo del processo di acquisto alimentare.

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COMUNICARE L’IMPRESA

FoodFwd: la ricetta digitale per il mondo del food Nella comunicazione del settore food il digitale svolge un ruolo fondamentale. Lo studio FoodFWD, sviluppato da MEC e da GroupM, ha individuato sette ingredienti per il successo.

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l settore alimentare è al primo posto nella classifica degli investimenti in comunicazione, con un totale di oltre 844 milioni di euro nel 2016, in crescita dello 0,8% rispetto al 2015; ma solo il 14% è stato dedicato nello scorso anno ai canali digitali. Da questi dati MEC e GroupM hanno tratto spunto per lo sviluppo di FoodFWD, uno studio condotto attraverso l’analisi dei trend di ricerca su Google e interviste a una community di 1400 food blogger, che ha dimostrato il ruolo fondamentale che il digitale svolge nel settore food. Obiettivo di FoodFWD era non tanto l’analisi puntuale dei trend di ricerca o dei contenuti più diffusi nei blog, ma la necessità di rispondere a uno dei temi più strategici del business attuale: qual è il valore che il digitale può offrire alla marca in ogni step del processo d’acquisto alimentare? Abbiamo così identificato i 7 “ingredienti” chiave e le tendenze emergenti nel mondo del

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food sui canali digitali.

#1 VIDEO-COMUNICAZIONE: le food blogger

confermano l’importanza strategica dell’uso combinato di tutte le diverse forme di audiovisivo per la costruzione di una comunicazione di marca efficace. Formati diversi raggiungono infatti diversi obiettivi: attenzione, ricordo o generazione di risposte grazie all’interazione e alla socializzazione. #2 STORYTELLING 3.0: l’indicazione delle food blogger è quella di privilegiare contenuti che raccontano in modo trasparente l’origine delle materie prime e di valorizzare la “naturalità”. #3 IL TESTIMONIAL: la celebrità fine a se stessa non può più essere il criterio elettivo, diventa invece fondamentale un volto che possieda una credibilità di partenza affermata (opinion-leader e talenti emergenti nelle comunità digitali) e che incarni il carattere più funzionale ai bisogni specifici della categoria. #4 FOOD BLOG: i food blog sono i luoghi ideali per osservare i cambiamenti negli stili

alimentari. Per questo MEC e GroupM hanno sviluppato #foodblogger, piattaforma che consente di collaborare con le comunità di blogger per progetti di ricerca e consulenza finalizzati, ad esempio, alla prova e alla valutazione di prodotti in lancio, attività di test su temi di comunicazione o per laboratori di co-creazione. #5 SOCIAL NETWORK: il legame tra cibo e il piacere della condivisione designa i social network a territorio ideale per le attività di ingaggio del consumatore. L’integrazione tra le varie piattaforme permette alle marche di amplificare sinergicamente i propri messaggi ben oltre i confini di un singolo social network ma permette anche di combinare linguaggi testuali e visivi. #6 SHOPPING RELOADED: in un’epoca in cui la spesa tradizionale tende verso l’inerzia della routine e quella digitale soddisfa soprattutto benefici funzionali (come risparmio di soldi e tempo) per rigenerare lo shopping bisogna puntare sull’ibridazione. Ne sono un esempio i mercati metropolitani con spazi che alternano senza soluzione di continuità occasioni di acquisto e momenti di consumo. #7 E-COMMERCE: l’e-commerce non è un negozio on-line ma un modello di business che impone di ripensare l’intero processo di acquisto dal punto di vista dei dati. Questo fa sì che l’e-commerce diventi una fonte a cui attingere per ridefinire strategie di mercato e una risorsa per la conoscenza e la segmentazione dei consumatori. I 7 ingredienti sono espressione diretta dei tre macro-obiettivi del marketing e della comunicazione: video, storytelling e testimonial lavorano su brand awareness e brand equity, social e blogger intervengono su engagement e call to action, shopping ed e-commerce approfondiscono aspetti sulle nuove esperienze d’acquisto.



COMUNICARE L’IMPRESA I VALOROSI

Bebe Vio, dolcezza ed energia Quando un testimonial magico può ridare identità a un brand Gianfilippo Mancini, amministratore delegato di Sorgenia, racconta l’incontro con l’incantevole icona dello sport paralimpico positivo e vincente: «È stato naturale trovarsi!». E descrive le strategie di un’azienda rinata dalle sue ceneri di Luigi Orescano UNO SGUARDO CHE STORDISCE, UN OVALE

“nuova” Sorgenia. «Ci siamo trovati mese dopo mese in una situazione nella quale i insieme determinata: Bebe Vio - vent’anni, risultati, l’entusiasmo, le nuove prospettive schermitrice - è stata il grande regalo che le dell’azienda iniziavano a essere sempre Paralimpiadi di Rio hanno fatto agli italiani, migliori, ed a subire un gap sempre più facendo scoprire un’icona di positività nel grande, e penalizzante, tra la percezione Paese dei Millennials che troppo spesso né esterna che l’azienda aveva e la realtà dei fatti, studiano né cercano lavoro. E adesso questo che migliorava a vista d’occhio, per fortuna». concentrato atomico di sentimenti e valori E allora Mancini comincia a riflettere, si declinati nel sorriso ha scelto – ed è stata confronta col suo staff, si arrovella: «Come scelta – di associare la propria immagine trasmettere un messaggio immediato che a quella di un brand industriale notissimo descrivesse a tutti la nostra nuova situazione? ma non altrettanto Come far passare il «L’IDEA CI È NATA DAL VISSUTO positivamente concetto che l’azienda DI SORGENIA. UN’AZIENDA ricordato: Sorgenia. ha iniziato a sentirsi CHE A SUA VOLTA HA VISSUTO Come mai? Qual è di nuovo sulla giusta UN TRAUMA DURISSIMO MA HA TROVATO stato il nesso, per una strada, per produrre LA FORZA PER RIALZARSI» persona come Bebe, prospettive, progetti che oggi ha il mondo a disposizione, se solo lo e risultati, per crescere?». Comodo sarebbe vuole? Una sfida intellettuale per gli addetti ai stato poter cancellare con un colpo di spugna lavori della comunicazione… un passato di cui l’attuale gestione non ha «Sinceramente, l’idea ci è nata dal vissuto alcuna colpa, ma la proprietà – le banche di Sorgenia. Un’azienda che a sua volta ha creditrici divenute azioniste – ne hanno invece vissuto un trauma durissimo ma ha trovato tante, per aver lasciato correre la gestione la forza per rialzarsi», racconta a Economy, perdente pilotata dall’azionista fondatore, con molta semplicità, Gianfilippo Mancini, il gruppo Cir della famiglia De Benedetti. E da due anni amministratore delegato della dunque Sorgenia era stata per anni associata,

PERFETTO, un’espressione dolcissima ma

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su media, a parolacce come debiti e perdite, se non peggiori, poiché aveva una quota di maggioranza in una centrale di Savona, tuttora oggetto di inchieste inquietanti su asseriti gravissimi danni ambientali. Dunque per restituire positività al nome di Sorgenia non bastava un’idea brillante: ci voleva un miracolo. «E i miracoli», riprende sorridendo Mancini, «li fanno gli angeli come Bebe. Coraggiosa, sensibile, forte, piena di entusiasmo per le sfide che l’attendono. Un piccolo titano, che è riuscita a trovare in se stessa la forza sublime di estrarre da un dramma un trionfo, non solo sportivo ma esistenziale e umano di portata mondiale. Per me, ragionando sugli elementi che dicevo prima, pensare a lei è stato immediato. E’ una ragazza che non si può fare a meno di amare, immediatamente; e sentendola parlare, quando la si conosce di persona, ancora di più». Oggi Bebe Vio ha una notorietà straordinaria, che va ben al di là dei suoi successi sportivi: «Quando dall’idea siamo passati a incontrare lei e i suoi genitori – orgogliosamente non vuole essere seguita da un agente – abbiamo raccolto un’adesione spontanea, naturale. Il messaggio che le chiedevamo di rappresentare le si armonizzava perfettamente. Ci trovava dentro lo stesso mix di fiducia e passione che è nel suo carattere. Frutto delle esperienze che ha saputo affrontare. E’ una figura che racconta ai suoi coetanei come in realtà i sogni si possano realizzare davvero, se solo si riesce a guardare la realtà e il futuro con occhi giusti. Avere a che fare con lei, vederla combattere in pedana, guardare le sue foto: impossibile fare queste cose e non chiedersi perché non sia possibile a tutti noi essere altrettanto pieni di fiducia e slancio pur avendo avuto problemi di solito ridicoli a confronto con quello che ha saputo affrontare lei. “Insomma, nel momento in cui l’abbiamo contattata e incontrata e le abbiamo raccontata l’azienda, Bebe si è entusiasmata. È stato semplice, un amore reciproco e immediato». Insomma, una scelta del capo? «Ma sì, non lo nego, ma ho un team straordinario, con il quale sviluppare i


L’AZIENDA HA COSTI COMPETITIVI E SVETTA NELLE CLASSIFICHE DEI COMPARATORI SULLA CONVENIENZA DEI PREZZI RISANAMENTO E RILANCIO

messaggi è stato altrettanto entusiasmante. Così come il nostro claim: “Non conta quanto è difficile la tua sfida, conta l’energia che ci metti”». Dietro le quinte, una faticaccia gestionale. «Una trasformazioe radicale sia sul piano industriale che commerciale», spiega Mancini, che conosce assai bene il settore in cui opera. «Siamo un operatore elettrico alternativo, nato con la liberalizzazione, per superare le difficoltà note abbiamo dovuto efficientare i costi e siamo oggi, probabilmente, i più snelli nel produrre energia, a basso costo e in modalità flessibile, e con una forte digitalizzazione». Costi che «permettono oggi di offrire alle famiglie un risparmio su bolletta mediamente di un 15%», continua Mancini il quale, pur tenendo in somma considerazione la fetta largamente preponderante della clientela corporate, vuole tornare in forza anche sulla clientela al dettaglio. Ma l’ingrediente segreto di questa competitività risiede nel fatto che Sorgenia vende energia

Con 400 milioni di euro di ricapitalizzazione, due anni fa, e l’uscita di scena della Cir di De Benedetti, Sorgenia ha iniziato un cammino di risanamento che oggi inizia a vedere la luce. Giovanni Mancini, il manager cui si sono affidate le banche creditrici divenute azioniste, proveniva dall’Enel

dove fino al 2014 è stato direttore della Divisione Generazione ed Energy Management (GEM) e della Divisione Mercato.

autoprodotta, senza intermediazioni: «Chi va su qualunque comparatore di prezzi lo constata. E questa convenienza, aggiungo, non nasce solo dall’integrazione verticale tra produzione e distribuzione. Abbiamo scelto anche di relazionarci con clienti residenziali unicamente via web, il che ci dà ulteriori grossi vantaggi di prezzo». Non dover pagare i cosiddetti “teleseller” o comunque gli agenti che costano grosso modo 100 euro per cliente acquisito è un bel vantaggio: «È il cliente che sceglie noi, e non siamo noi a rompere le scatole a lui con le tentate vendite. Ci scelgono, come le dicevo,

attraverso i comparatori, l’informativa on-line e tanto passaparola. E’ un modo di vendere che lascia l’iniziativa al cliente, che si informa ed è evoluto». Le strategie di web-marketing sono tutte fatte in casa, e il direttore vendite viene da Facile.it. «Abbiamo l’intenzione e la consapevolezza», sintetizza Mancini, «di portare un po’ di rivoluzione digitale nel mondo dell’energia…». E poi c’è un fortissimo effetto-green: «Un nostro cliente che scelga di utilizzare solo energia verde può chiedere di approvvigionarsi dall’impianto rinnovabile a lui più vicino, individuadolo grazie alla georeferenza che ci arriva dal suo cellulare. Un 10% dei nuovi clienti sceglie questa opzione. E non a caso stiamo accelerando con gli investimenti sulle rinnovabili». Di questo passo, quale medaglia punta a conquistare l’elettricità di Bebe Vio? La cassa è tornata positiva, le banche creditrici hanno tirato un sospiro di sollievo perché l’azienda si autofinanzia, è in corso un fortissimo abbattamento del debito. «I nostri obiettivi sono presto detti», conclude Gianfilippo Mancini: «Puntiamo a raggiungere entro 5 anni il mezzo milione di clienti, cogliendo così finalmente appieno le opportunità che erano state schiuse con la liberalizzazione».

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LE MILLE VITE DI SAES GETTERS REINVENTARSI E RESTARE LEADER Massimo Della Porta ha gestito per anni l’eredità prestigiosa di un monoprodotto vincente: il getter. Poi cancellato dagli schermi televisivi piatti. E ha rivoluzionato l’azienda. Vincendo

STORY-LEARNING LE IMPRESE DA CUI SI PUÒ IMPARARE

Diciamoci la verità: come tutti i vocaboli, e gli slogan, su cui mette le zampe la propaganda politica, anche la parola “storytelling” inizia a stufare. Anche perché in italiano – lingua antica e “saggia”, “raccontare storie” è espressione ambigua, che può anche significare “raccontare frottole”. Le storie d’impresa che Economy pubblica in questa sezione sono e saranno storie “istruttive”: modelli, esempi da imitare, soluzioni da applicare, sfide da condividere. Uno “story-learning”, semmai. Anche perché, si sa, la storia è maestra di vita. Da millenni: per gli individui, ma anche per le imprese. E la storia, e le sue storie, la facciamo noi.

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di Marco Scotti

omanda: come si fa a risalire la china il primo televisore ultrapiatto, i dispositivi dopo che il proprio fatturato in un comprodotti da SAES diventano improvvisaparto è calato da un centinaio di milioni a mente inutili, con un fatturato che passa, meno di un milione? La risposta è una sola: racconta Della Porta, «da oltre 100 milioni innovazione. È questa la ricetta vincente a zero, portandoci completamente fuori dal messa a punto da Massimo Della Porta, premercato». Come ci si riprende da un imsidente di SAES Getters, azienda con sede a passe del genere? Grazie alle intuizioni del Lainate che per i primi sessant’anni di vita management e all’abnegazione dei dipenaveva potuto contare sui getter, ovvero quedenti. «Ci è andata bene perché eravamo gli apparati che – tra le altre funzioni – conentrati nelle leghe a memoria di forma, un sentono il funzionamento del tubo catodico percorso che aveva richiesto molta ricerca, nella trasmissione delle perché il materiale semIL PRIMO PRODOTTO CHE immagini. Per raccon- INTRODURREMO, ANCHE A BREVE, brava pronto all’uso e È UNA PLASTICA IN GRADO DI tare meglio la storia di invece non lo era. Intorno ASSORBIRE L’ETILENE, UN GAS questa eccellenza lomal 2007 il mercato e la barda bisogna partire dal CHE VIENE GENERATO DA QUASI tecnologia erano invece TUTTE LE VERDURE nuovo millennio, quando maturi. Eravamo particola tecnologia degli schermi Lcd, dopo oltre larmente ricchi, nonostante avessimo anche vent’anni di sperimentazione, è matura per remunerato il mercato, avevamo oltre 100 soppiantare l’ormai obsoleto tubo catodico. milioni di euro in cassa», e con quelli sono La SAES è dentro questo business e ha tra i andati alla conquista di tre aziende attive principali clienti la Samsung, seppur attranel settore biomedicale, sbocco più naturale verso l’intermediazione di altre aziende. Ma IN ALTO: MASSIMO DELLA PORTA, AMMINISTRATORE DELEGATO quando nel 2008 il colosso coreano lancia DI SAES GETTERS

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STORY-LEARNING

A destra, sistemi per la produzione del vuoto

per le leghe a memoria di forma. La prima realtà acquistata era un gioiellino – «ma gestito malissimo» – che ha permesso a SAES di entrare in contatto con il segmento, potendo così evitare le trafile delle agenzie del farmaco per l’approvazione dei dispositivi biomedicali. «La piccola azienda – afferma Della Porta – ci ha permesso di acquistarne una seconda e poi una terza, che ci siamo presi con la forza. Oggi sono racchiuse in un’unica realtà e, pur non essendo leader nel settore, potevano contare su una robusta storia nel mondo delle applicazioni medicali». Oggi l’azienda di Della Porta può contare su quattro “gambe”, che vivono di vita propria pur essendo partite tutte dal medesimo tutte queste realtà – dice Della Porta – l’uknow-how, cioè quello acquisito in 60 anni nica che riesco in qualche modo a scusare è di produzione di getter. La prima branca Blockbuster, che si è trovata schiacciata dalaziendale è quella storica, la seconda è quella concorrenza del web e appesantita dalla la della purificazione selettiva dei gas, la terpiù grave crisi immobiliare del dopoguerra, za le leghe a memoria di forma. La quarta, con una quantità esorbitante di negozi, tutti che è quella che ha il maggior potenziale, di loro proprietà». riguarda il cosiddetto “active packaging”, Innovazione rimane sempre la parola chiaovvero confezioni con materiali plastici più ve di SAES, anche quando si chiede conto intelligenti capaci di al suo presidente del OGGI LA SAES, CHE HA REINVESTITO rallentare il decadiperché abbia deciso – NEL BIOMEDICALE, SI OCCUPA ANCHE DI ACTIVE PACKAGING DEGLI ALIMENTI mento tipico degli situazione più unica E PUNTA FORTE SUL MERCATO alimenti, costituendo che rara – di scindere DELLA PLASTICA INTELLIGENTE una più efficace baril processo di ricerca riera contro l’umidità. Tutto si tiene, poiché in tre diversi gruppi: ricerca, sviluppo e inla plastica intelligente, una sorta di evoludustrializzazione. «Da noi la ricerca è molto zione della tradizionale pellicola, sfrutta il più vicina a quella che potrebbe fare lo Stato know-how dell’assorbimento selettivo dei italiano se avesse ancora dei centri di ricergas. E quest’ultima “gamba”, secondo Delca, noi facciamo delle radici tecnologiche la Porta, potrebbe diventare un’autentica non necessariamente collegate a un busigallina dalle uova d’oro.La storia di SAES ness vero e proprio: investiamo in un matesarebbe potuta essere completamente diriale senza avere un cliente ma solo perché versa, e avremmo potuto parlare di un altro ci sembra che abbia delle potenzialità. Lo Blockbuster, o Kodak, oppure Agfa o qualsviluppo, invece, ha ben più di un cliente, e siasi altra azienda nel mondo che non ha ha dietro di sé un imprenditore che chiede capito quale fosse la portata, epocale, dei tempi stretti e costi ridotti. Infine abbiamo cambiamenti che si stavano verificando. «Di anche la funzione industrializzazione, in cui

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si passa dal prototipo alla realizzazione su larga scala». Il futuro dell’azienda è tracciato: dopo una serie di acquisizioni, ora è il momento della “digestione”, ma non si escludono delle joint venture, soprattutto per quanto riguarda il mercato degli smartphone: «Stiamo sviluppando le telecamere sensibili al calore per il telefonino, un mercato difficile, competitivo e aggressivo. Nel mercato della telefonia la ricerca di un partner è utile perché abbassa i rischi e ti espone meno agli investimenti». Contemporaneamente, si manterrà dritta la barra per le applicazioni in campo alimentare degli ultimi ritrovati dell’azienda lombarda: «Il primo prodotto che introdurremo, anche a breve, è una plastica in grado di assorbire l’etilene, un gas che viene generato da quasi tutte le verdure. L’applicazione più immediata potrebbe essere per le fragole, un mercato enorme in cui però lo spreco è spaventoso: alcune ricerche sostengono che circa il 70% di questi frutti di bosco venga gettato via perché non siamo in grado di conservarli. Chi si aggiudica questa partita mette le mani su un mercato potenziale da centinaia di milioni di euro. E noi ci siamo».


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Tecnoinvestimenti, utili da economia mista Il gruppo presieduto da Enrico Salza nato nel 2009 è diventato un fenomeno di efficienza per i servizi avanzati alle imprese restando sotto il controllo delle Camere di commercio

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n giovanotto torinese di ottant’anni Trust (sicurezza digitale) si intendono le sootto anni fa si è inventato un gruppo luzioni informatiche per l’identità digitale e di aziende ultratecnologiche a conla dematerializzazione dei processi secondo trollo pubblico e s’è appena tolto la bella la normativa applicabile, con prodotti e sersoddisfazione di staccare un altro dividenvizi come la posta elettronica certificata, la done per i suoi azionisti: è Enrico Salza, conservazione elettronica, la firma digitale, Cavaliere del lavoro, appunto ottant’anni il la fatturazione elettronica e soluzioni per la prossimo 25 maggio, un nome che è un motrasmissione sicura e semplificata di docunumento a quel “modello italiano” che ha menti legali e finanziari. Le attività di quevinto tutto in tutto il mondo, quello dell’esta business unit sono svolte da InfoCert, conomia mista pubblico-privata e del capiuna delle maggiori Certification authority talismo familiare-istinazionali e uno dei TECNOINVESTIMENTI, CHE HA MILLE tuzionale. Non privo tre Identity provider DIPENDENTI E OTTO SEDI IN ITALIA, di pecche, certo: ma OPERA IN TRE SETTORI: DIGITAL TRUST, autorizzati ad operavigoroso, e ricco di CREDIT INFORMATION & MANAGEMENT re in ambito SPID e E SALES & MARKETING SOLUTIONS visione e di idee. E da Visura, acquisita questo gruppo nato nel luglio 2016. nel 2009 con Salza da allora al comando è I servizi della business unit Credit InforTecnoinvestimenti, figlio legittimo del bimation & Management, che opera tramite strattato ma efficiente (a volte efficientisle controllate Assicom, Ribes e RE Valuta, simo, con buona pace di Matteo Renzi che intervengono nei processi di erogazione, vaha tentato di polverizzarlo) sistema della lutazione e recupero del credito. Camere di commercio italiane. Il Gruppo è presente in questo settore con Ebbene, Tecnoinvestimenti – controllata per servizi di informazione camerale e commeril 56% da Tecno Holding, cioè dalle Cameciale che rispondono all’esigenza di acquire di commercio di Torino, Padova, Parma, sire informazioni da rendere pubbliche ai Unioncamere e varie altre, oltre che al 10% sensi di legge, di consultare report per la da Quaestio, e quotata all’Aim dal 2014 – ha valutazione del merito creditizio di nuovi fatturato nel 2016 147,3 milioni di euro con clienti, fornitori e partner. I servizi di busiun’Ebitda di 29,7 milioni e un risultato netto ness information consistono in pratiche di di 12,1 milioni. E ha pagato ai soci 4,047 mifido automatizzate, report per la determinalioni di dividendi, con un aumento del 60% zione del grado di solvibilità, informazioni sul 2015 e un “pay-out ratio” del 33,4%. relative al bilancio di un’impresa e alla siPer macinare tanti ricavi e tanti utili, Tectuazione debiti e crediti, servizi investigatinoinvestimenti – che ha mille dipendenti e vi, immobiliari e catastali. otto sedi in Italia - opera in tre settori: DigiCon la business unit Sales & Marketing Sotal Trust, Credit Information & Management lutions Tecnoinvestimenti offre, tramite la e Sales & Marketing Solutions. Per Digital controllata Co.Mark, acquisita nel marzo

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ENRICO SALZA

2016, servizi a valore aggiunto di supporto alle PMI e a reti di imprese per la creazione di opportunità commerciali in Italia e all’estero. In particolare il Gruppo offre servizi di definizione dei mercati esteri e dei canali distributivi che identificano le condizioni ottimali per i clienti, l’agevolazione dei contatti, l’avviamento delle trattative, la chiusura degli ordini, la gestione e il coordinamento delle reti commerciali. Co.Mark è tra i soggetti accreditati a ricevere dalle aziende i Voucher per l’internazionalizzazione, le misure governative di incentivazione economica all’espansione all’estero delle PMI italiane. SOLO NEL 2016, HA ACQUISITO IL 70% DI CO.MARK S.P.A., SOCIETÀ LEADER NEI SERVIZI PER L’EXPORT DELLE PMI E IL 60% DI VISURA, SPECIALIZZATA IN SERVIZI PER IL PROCESSO TELEMATICO

Tecnoinvestimenti non aveva tutto ciò, quand’è nata: cioè, lo aveva tra i propri obiettivi, non tra i propri asset. E per costruire il gruppo, ha sempre investito, pur continuando a guadagnare.



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Nella foto, da sinistra Bruno Moltrasio e Marco Doni

track-record. Moltrasio è sulla scena del trading Italiano da 20 anni, veramente pochi sono così longevi in questo settore, e questo significa solo una cosa che è bravo e sa quello che fa quando fa trading. Insieme a Michele Bogliardi sono una forza. Ig Markets ha scelto loro e i loro metodi per il proprio megaportale di trading on-line. “Ora stiamo spingendo il nuovo metodo che abbiamo messo a punto: lo abbiamo chiamato Metodo Trading Semplice.... C’è un videocorso che dà le basi operative, un forum e infine un servizio che abbiamo chiamato ‘Segnale didattico’, la nostra operatività costante. Poi, ogni 15 giorni, puoi seguire un webinar che ti aggiorna su quel che c’è di nuovo”. Doni spiega che il loro “Metodo trading semplice è rivoluzionario perché consente di applicare la strategia dello spread trading Dall’iniziativa di Marco Doni e Bruno Moltrasio, due traders-on-line anche a livello di investitore individuale con professionali, è nata una società di formazione dalla formula innovativa risorse finanziarie limitate. Insomma, mettiamo a disposizione del signor Rossi, con a scusi, perché – visto che lei è un mondo, il mondo del trading. modalità d’uso semplificate, il metodo più trader borsistico di successo – perE pensiamo che questo significhi condivideavanzato del controllo del rischio, la piattade tempo a insegnare agli altri come re le nostre conoscenze e le nostre esperienforma Metatreder4, di solito applicato solo in si fa trading? A rivolgere questa domanda a ze con più persone possibili, per permettere ambienti assolutamente professionistici ed Marco Doni, fondatore di Universitrading ina tanti di raggiungere la propria libertà finanesclusivi”. sieme con Bruno Moltrasio, ci si sente furbi. ziaria, di ottenere successi personali, gratifiMa perché “Universitrading”? “Siamo una Ma è la risposta che ti smonta: “Certo che io cazioni e soddisfazioni”. società di education. E insegnando, studiamo faccio trading, e che sono bravo, e quindi guaUniversitrading funziona come un’universia nostra volta”, spiega Doni. “Personalmente dagno. Ma faccio trading dal pomeriggio in tà multipiattaforma sto studiando per fare “PERCHÈ UNIVERSITRADING? avanti: ovviamente sul mercato americano. vera e propria: corsi portfolio manager SIAMO UNA SOCIETÀ DI EDUCATION. Al mattino di solito sono libero. E mi piace tradizionali con test e con Romolus Asset E, INSEGNANDO, STUDIAMO A NOSTRA l’idea di insegnare anche agli altri come fare giornate di lezioni dal Management di JoseVOLTA. VOGLIAMO FARE LA DIFFERENZA trading. Sono un imprenditore, e faccio tutto vivo, ma anche webiph D.Virgilio...”. Già, NEL MONDO DEL TRADING”. quello che mi piace fare. Anche insegnare”. nar e tutoring. “Inseperché nel trading Ineccepibile. E per queste ragioni, Doni e gniamo tecniche e sistemi diversi, con diversi non si può mai dormire sugli allori. E dunMoltrasio hanno fondato Universitrading, tipi di trading. Io mi sono specializzato nelle que Universitrading impartisce corsi on-line, una vera e propria scuola di trading finanopzioni settimanali, Moltrasio sui Futures. E “studiati da noi secondo lenostre strategie e ziario, con insegnanti esperti, qualificati e ci sono molti altri tutor di assoluto livello!”. metodologie, anche educative. Chi diffida dei di fama riconosciuta. “Io e Moltrasio”, spiega Come Michele Bogliardi o Agata Gimmillavideocorsi ne segua uno nostro: sono curaDoni, “vogliamo fare la differenza nel nostro ro, più un’altra decina di trader dal brillante tissimi, chiarissimi: si convincerà”.

Universitrading, per fare Borsa come i “guru” di Wall Street

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Nella foto, Andrea Muzzi, Ad e Direttore Generale Idb Group

IDB Group la dolcezza che fa rima con l’etica L’Industria Dolciaria Borsari, che raggruppa sei brand storici della pasticceria italiana, ha scelto di investire su materie prime provenienti da filiera controllata

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al 2016 l’IDB Group (Industria Dolciaria Borsari) è in possesso del Sistema di Gestione per la salute e sicurezza sul lavoro BS OHSAS 18001: 2007. Acquista parte delle materie prime di cacao e derivati nell’ambito del Programma Fairtrade che garantisce condizioni di lavoro dignitose anche in zone afflitte da un profondo sfruttamento della manodopera. Dal 2001 ha ottenuto il certificato di prodotto NON OGM. Inoltre, ha ottenuto il TRE STELLE Superior Taste Award, istituto dall’International Taste and Quality Institute di Bruxelles per una serie di prodotti. Dal 2015 per il panettone classico, dal 2016 per la pasticceria fine a base pastafrolla, dal 2017 per il pandoro classico e il panettone imbibito al passito di Pantelleria. L’azienda è tra le prime realtà italiane nella produzione dei cosiddetti lievitati da ricorrenza (panettoni, pandori e colombe). La realizzazione dei prodotti da forno richiede una preparazione lenta e scrupolosa: alla base, infatti, vi è sempre il lievito madre, autentico tesoro dell’IDB Group. Grazie a questa secolare tradizione è possibile donare fragranza e sofficità ai lievitati. Per la realizzazione del

panettone, ad esempio, sono necessari tre giorni per passare dal lievito di rinfresco al prodotto finito. Il procedimento si svolge in sei fasi ben precise: miscelatura, spezzatura, lievitazione, cottura, raffreddamento naturale, confezionamento. IDB Group si occupa della realizzazione, della produzione e della commercializzazione di prodotti dolciari con i propri sei marchi: Antica Pasticceria Muzzi, Borsari, Giovanni Cova & C., Scar Pier, Torroni Bedetti, Golfetti e Muzzi Tommaso e Figli. Oltre alla produzione e realizzazione per i propri brand, IDB Group si occupa anche, seppur in misura minore, della produzione conto terzi. Presidia il mercato della pasticceria con la produzione diretta di specialità come torroni, merendine e cioccolati. Inoltre ha anche una presenza al dettaglio con quattro pasticcerie dislocate sul territorio italiano: 2 a Foligno, una a Milano (Il Bistrot Flagship Store) e una SPECIALIZZATA NELLA PRODUZIONE DI PANETTONI, PANDORI E COLOMBE E ALTRI PRODOTTI DA FORNO, IDB È UNA DELLE REALTÀ ITALIANE PIÙ IMPORTANTI DEL SETTORE: NEL 2017 HA FATTURATO 47 MILIONI

a Polesina (Emporio Restaurant e Pasticceria). Il fatturato dell’azienda è quasi triplicato in nove anni passando da poco più di 15 milioni di euro del 2009 ai 44 del 2017 con un obiettivo target per il 2018 fissato a oltre 47 milioni. Dal 2000 la fabbrica è stata profondamente modificata portando la superficie totale dell’azienda a 40.000 m2 di cui 10.000 m2 dedicati alla produzione e 7.000 allo stoccaggio. Il numero di lavoratori cambia a seconda della stagione: sotto Natale arrivano a 350, mentre per Pasqua si sfiorano i 200. Le nuove linee produttive hanno consentito di incrementare la produttività degli impianti, portando la produzione a livelli superiori.

Ad esempio, la linea per lievitati classici può raggiungere il numero di 2.500 unità all’ora, mentre la linea deputata alla produzione di pasticceria da tè può arrivare a 19.000 unità per ora, e la linea cioccolato può realizzare fino a 90 kg, sempre in 60 minuti, di prodotto. L’IDB Group ha fatturato nel 2017 44 milioni di euro, di cui l’80% realizzato in Italia. I maggiori mercati esteri (anche se l’export coinvolge oltre 60 paesi) sono l’Europa, gli Stati Uniti e il Sud America. IDB è una realtà unica, in grado di rispondere alle specifiche esigenze del mercato italiano ed estero. Gli stabilimenti aziendali si trovano in provincia di Rovigo (Badia Polesine), in provincia di Ancona (Falconara Marittima) e in provincia di Perugia (Campello sul Clitunno). L’azienda ha inoltre una quota di mercato pari al 60% per panettoni, pandori e colombe nelle pezzature comprese tra i 40 e i 100 grammi. La filosofia che anima la strategia di IDB Group è un mix di elementi, proprio come per un buon dolce: da una parte c’è l’importanza imprescindibile della componente umana, dall’altra c’è l’ambizioso tentativo di costituire il migliore e più solido esempio di aggregazione tra aziende dolciarie.

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Nella foto, Flavio Peralda, presidente e Ceo di Novavision

Novavision scommette sull’elettromedicale 4.0 Per l’azienda di Misinto il momento della manifattura digitale è adesso. E la partnership con il Policlinico San Matteo di Pavia accresce il valore

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roblema: come incrementare del 40% il fatturato di una media impresa – anzi, più piccola che media – in un solo anno, e nel bel mezzo di una crisi economica che non accenna a placarsi? La soluzione Novavison l’ha trovata, visto che nel 2016 ha chiuso il bilancio con circa 12 milioni di euro di ricavi, con una crescita del 41% rispetto al 2015: e si chiama “Industria 4.0”. Novavision è un’azienda leader nella produzione di dispositivi medici e apparecchiature elettromedicali e il suo Presidente e Ceo Flavio Peralda ha idee molte chiare, al riguardo: per lui, non può esistere una manifattura senza digitale. Connessione tra sistemi fisici e digitali, analisi complesse attraverso big data e adattamenti real-time. Tecnologie intelligenti, interconnesse e collegate ad Internet sono le chiavi per entrare nella nuova economia. “E’ un tema importantissimo per noi, il digitale”, spiega Peralda a Economy, “che l’azienda intende inserire costantemente nella strategia legata all’innovazione. Ad oggi tutti i nostri processi produttivi sono integrati a sistemi interconnessi in real time; tutti gli

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operatori possiedono tablet che dettagliano i percorsi; i nostri device hanno a bordo sistemi IoMT (Internet of medical things) per una relazione in tempo reale da remoto tra medico/paziente/azienda”. DALLA SEDE CENTRALE IN BRIANZA A METÀ STRADA TRA MILANO E COMO, L’IMPRESA FA BUSINESS IN OLTRE 20 PAESI CON INNOVAZIONI, BREVETTI E CONTINUA RICERCA

Dalla sede centrale di Misinto, Brianza pulsante a metà strada tra Milano e Como, Novavision fa business così in oltre 20 paesi. Sta accelerando e vuole accelerare: «I modelli di business sono cambiati: oggi tutto è connesso e si va verso due direzioni: opportunità, ma anche sfide; tutto quello che serve per innovare esiste già, basta saperlo utilizzare in modo diverso e creativo». «Le nostre divisioni biotecnology e retail&contract», prosegue, «crescono costantemente e con successo grazie all’attenzione che poniamo ogni giorno in questa direzione. Esempio e risultato di successo è il prodotto

EVA (Enhancer Vaginal Anatomy) che ha inserito a bordo la tecnologia Radiofrequenza quadripolare dinamica che si pone sul mercato della ginecologia come una novità assoluta. Abbiamo reso compatibile innovazione, sicurezza, efficacia e confort nel trattamento di patologie come l’atrofia vaginale. Tutto questo siamo noi». Ma anche sostenibilità, responsabilità ambientale, etica e sociale, grande attenzione al welfare sociale sono parte della missione aziendale. Ed è anche grazie a questo approccio che la ricerca e la tecnologia Novavision hanno potuto avvalersi della collaborazione del Policlinico San Matteo di Pavia. Una scelta che ha trasformato profondamente i processi produttivi esaltando l’alta specializzazione delle divisioni medicali ed estetiche. Flavio Peralda ritiene determinante e di estrema importanza la tematica delle relazioni e delle ricerche medico scientifiche affidate alle università italiane. Le collaborazioni non sono solo frutto di investimenti, ma sono necessarie serietà e competenza che devono contraddistinguere le realtà aziendali. C’è ancora molto da fare, sono solo 40 mila le imprese in Italia che vendono prodotti e servizi on line contro le 200 mila della Francia. Sono ancora pochi in Italia i grandi player privati industriali e ICT in grado di guidare la trasformazione della manifattura italiana. Tutto bene, dunque? Sì, ma potrebbe e dovrebbe andar meglio: perché lo sviluppo dell’industria 4.0 ha bisogno di strumenti finanziari ed impulsi strategici per competere e Flavio Peralda non ha esitazioni “ L’Italia potrebbe essere portavoce di innovazione strategica in diversi settori, e invece si trova purtroppo spesso in posizioni secondarie perché non gode del supporto del tessuto economico/finanziario, del coraggio e dello spirito di squadra che porterebbero valore aggiunto al nostro paese». (E.S)


I NUMERI PARLANO PER NOI GAV

2,3 MILIARDI DI EURO

FONDI OPERATIVI

20

IMMOBILI

1,64

MILIONI DI MQ

Sorgente SGR opera dal 1999 nell’ambito della finanza e del risparmio gestito. Con 20 fondi operativi e un patrimonio immobiliare di 2,3 mld di euro, si colloca oggi tra i primi operatori di settore, con fondi sia a distribuzione che ad accumulo, specializzati in immobili di ogni tipo, in particolare iconici e anche in operazioni a sviluppo. Offre inoltre investimenti in energie rinnovabili (idroelettrico e fotovoltaico), infrastrutture, NPL e PL. Sorgente SGR ha ottenuto nel 2016 la certificazione MQ2 da Moody’s per le ottime capacità manageriali, un processo di investimento ben documentato, una elevata qualità degli immobili e una forte capacità di generazione di operazioni immobiliari.

*L’indice dei fondi gestiti da Sorgente SGR registra nel I semestre 2016 una performance pari al 2,7% calcolata tramite la media ponderata delle performance sui NAV dei singoli fondi/comparti gestiti. Dati al 30/06/2016.

www.sorgentesgr.it


STORY-LEARNING IL PAESE...

JTI ITALIA È PRIMA NEI TOP EMPLOYER

LE ECCELLENTI CONDIZIONI DI LAVORO DELLA JTI IN 31 UFFICI IN 28 PAESI IN EUROPA

La sede italiana della multinazionale del tabacco guida la classifica Vincere è difficile, ripetersi lo è ancora di più. Dev’essere questo il motto che si ripetono nella sede italiana di JTI, la multinazionale del tabacco che, per il settimo anno consecutivo, ha ottenuto la certificazione “Top Employer Italia”. L’attestazione, conferita dal Top Employer Institute, quest’anno diventa ancora più importante perché colloca l’azienda al primo posto tra le dieci eccellenze certificate dall’ente. In JTI devono essere ormai abituati ai riconoscimenti: anche

nel 2017, infatti, hanno ricevuto il “Top Employer Europe”, che certifica le eccellenti condizioni di lavoro nelle 31 sedi dislocate in 28 paesi del continente. Nel 2016, il gruppo aveva ricevuto riconoscimenti anche in Medio Oriente e Asia-Pacifico, a riprova di una filosofia che ha consentito di entrare nel ristrettissimo novero delle compagnie certificate come “Global Top Employer”. Un successo che dimostra quanto sia cruciale riuscire a creare un ambiente di lavoro stimolante.

L’EFFICIENZA DI AB ARRIVA IN CANADA Un successo la cogenerazione dell’azienda di Orzinuovi

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Il settore dell’automotive canadese sceglie l’eccellenza italiana nell’efficienza energetica. La AB di Orzinuovi (Bs) è stata selezionata per realizzare un impianto che fornisca energia elettrica e termica alla Polycon Industries, parte di Magna International Inc. il più grande produttore di parti per automobili del Canada e una delle più grandi aziende del Paese. Fondata a Orzinuovi nel 1981 da Angelo Baronchelli, la AB è oggi il riferimento globale della cogenerazione, grazie alle proprie soluzioni modulari Ecomax® da 100 a 10.000 kWe. Fino a oggi sono stati installati oltre 1.100 impianti per un totale di potenza elettrica nominale che supera i 1.300 MW. Negli ultimi

anni la capacità produttiva è quadruplicata e il numero di dipendenti ha superato le 700 unità. La multinazionale italiana dell’efficienza energetica in questi anni ha avviato impianti per grandi aziende quali, tra le altre, quelli di CocaCola, Ferrero, Cremonini, Amadori, Orogel, Pfizer e Mapei consentendo loro un risparmio economico e di emissioni di CO2 emessa notevoli. AB è oggi presente con filiali dirette in Europa, Russia, Israele, Turchia, USA, Messico, Brasile e, appunto, Canada. Proprio nel Nord America la Polycon Industries, per il suo stabilimento di produzione a Gueph, in Ontario, ha deciso di dotarsi di un impianto di cogenerazione made in AB.

FLUID-O-TECH, L’AZIENDA GIÀ NEL FUTURO

L’AZIENDA MILANESE USA METODI INNOVATIVI COMEL IL VISUAL MANAGEMENT

Il gruppo lombardo investe in ricerca e sviluppo. E cresce all’estero. «Si fa scouting tecnologico, si collabora con centri di ricerca, università, altre aziende per intuire il futuro. Siamo un’azienda di medie dimensioni che compete nel mondo e per questo non ci è possibile limitarci a un prodotto e a un mercato tradizionale, fagocitato da produzioni a basso costo». È questa la ricetta messa a punto dalla Fluid-o-tech, un’azienda milanese che vive costantemente nel futuro. È giunta alla terza generazione, nata per creare le pompe per le macchine

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professionali da caffè: oggi realizza il 30% del suo fatturato attraverso l’automotive. Come? Investendo sempre in ricerca e sviluppo. Nel 2006, la Fluid-o-tech brevetta una pompa per dosare ammoniaca e acqua: detto così, non sembra di grande utilità. Ma è il componente principale dei motori diesel di nuova generazione, gli Euro 6. Il fatturato complessivo è arrivato a 72 milioni, ed è destinato a salire: il 7% dei ricavi va in R&D.

UN IMPIANTO IN OFFICINA DI AB, AZIENDA SCELTA DALLA CANADESE POLYCON INDUSTRIES

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...CHE CRESCE STORY-LEARNING

PER LO STORICO MAGLIFICIO LA FASE DI RICERCA SUI TESSUTI RAPPRESENTA L’INNOVAZIONE

CANCLINI TESSILE RADDOPPIA Lo storico maglificio lobardo cresce e punta sull’export

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URA KATSUTOSHITITOLARE BIOGAS KYUSHU COMPANY E MICHAEL NIEDERBACHER CEO BTS

IL DEBUTTO IN BORSA, ISPIRATO ALLE IMMAGINI DELLO SBARCO SULLA LUNA.

Continua, inarrestabile, l’ascesa della Canclini Tessile. Un’azienda storica nata a Guanzate (Como) nel 1925 che ha saputo guardare con un occhio di riguardo all’export. All’inizio di quest’anno, ha rilevato il Maglificio Mida, pur lasciando la famiglia Colombo – storica azionista – nei gangli aziendali. Può essere anche questa la formula del successo? Entrare in una società senza pensare di scardinarla dall’interno ma di armonizzarsi con essa mantenendo sempre il know-how? Probabile. Intanto la Canclini tessile ha quasi raddoppiato il fatturato negli ultimi quattro anni, passando

dai 27,7 milioni del 2012 ai 45,2 del 2015. Due anni fa, grazie all’acquisto del marchio svizzero Hausmman + Moos 1811 ha avuto un balzo nel fatturato del 10%. L’intento principale di Canclini è di mantenere sempre un occhio vigile sull’export: il 40% del fatturato viene fatto in Europa, il 15% in Asia, il 10% negli USA. Per ampliare ulteriormente i propri mercati, l’azienda di Guanzate ha deciso di realizzare una joint venture con il gruppo Italdenim per la realizzazione di “Blue 1925”, un marchio di denim sostenibile che ha ricevuto anche la certificazione di Greenpeace. Tutti i tessuti sono fatti in Italia.

BTS, ENERGIA PULITA FINO IN GIAPPONE L’azienda di Brunico farà due impianti nel paese del Sol Levante Un investimento da oltre 100 milioni di capitale messo a punto da Virtual Equity Partners consente all’azienda altoatesina BTS, specializzata in biogas, di sviluppare il R&D del marchio nei mercati europei e internazionali. La BTS è un’autentica eccellenza italiana, ammirata e studiata in tutto il mondo. La sua sede operativa si trova a Brunico, in provincia di Bolzano. Negli ultimi dieci anni ha installato oltre 200 impianti in Italia e ora, anche grazie agli investimenti americani, può permettersi di lanciare la sua candidatura ad azienda di riferimento del settore anche nel

resto del mondo. A dicembre 2016 è stato reso noto che la BTS realizzerà due impianti in Giappone. Il primo, a Fukuoka, avrà una potenza installata di 370 kW. Il secondo, a Rikuzentakata, erogherà circa 1 MW. Ma la cosa più importante è che questo secondo impianto consentirà all’azienda altoatesina di proporre, per le aree contaminate dal disastro di Fukushima Daiichi del 2011, “una soluzione agroenergetica che potrebbe portare grandi vantaggi in termini di decontaminazione e sostegno delle popolazioni colpite”. Uno scopo alto che nobilita il progetto.

MONCLER CONTINUA A CRESCERE Nel 2016 ha superato il miliardo di euro di fatturato

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Non è un plebiscito ma poco ci manca: 22 broker su 24 consigliano l’acquisto di titoli Moncler, gli altri due di mantenere le posizioni. Perché? Perché l’azienda resa celebre dai piumini si trova di fronte a una grande sfida. Dopo essere sbarcata in borsa nel dicembre del 2013, l’azienda ha continuato a crescere e anche lo scorso anno i numeri sono stai molto lusinghieri: il consensus degli analisti stima che si sia sfondato il muro del miliardo di euro di fatturato, contro gli 880 milioni del 2015. L’Ebitda dovrebbe attestarsi a 335 milioni (contro i 300 di 12 mesi prima) e l’utile netto dovrebbe passare da 167 a

186 milioni. Risultati rassicuranti che però ora necessitano di nuova benzina: se è da apprezzare il fatto che, con l’adesione al Patent Box – profitti derivanti dall’attività intellettuale -, dovrebbero ulteriormente alzarsi i ricavi, è sulla vendita e sui mercati che si gioca la vera partita di Moncler. Remo Ruffini, presidente e direttore creativo, deve riuscire a espandere il perimetro del gruppo e, al tempo stesso, aumentare l’efficienza dei singoli punti vendita. Un compito non da poco, soprattutto in un momento in cui il contesto internazionale resta difficile e i mercati ancora volatili.

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Territori: chi avanza e chi insegue

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i dati al 31 dicembre 2016

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/ Nord-ovest: 30,7% / Nord-est: 24,9% / Centro: 21,4% / Mezzogiorno: 23,4%

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Milano è la prima provincia italia a superare le 1000 startup innovative. 1° Milano: 1040 (15% totale nazionale) 2° Roma: 572 (8% totale nazionale) 3° Torino: 301 (4% totale nazionale)

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TUTTI GLI ERRORI DA EVITARE PER FAR VIVERE LA STARTUP STARTUP-TELLING INVENTARSI LA VITA 4.0 Non è solo moda, anzi non lo è per niente: il fenomeno delle startup, che ormai brulicano in Italia, è la rivisitazione aggiornata di un gene italiano storico, l’arte di inventarsi la vita, che al Sud diventa «di arrangiarsi». È da questo gene che sono sempre derivati i successi più straordinari degli italini nel mondo, in ogni campo. Che non a caso oggi trovano conferma nelle tecnologie e nella manifattura. Quindi, sono startup, ma cresceranno.

Meno di una startup italiana su cinque resiste oltre i 5 anni. Luca Scali, Ceo di Hub 21, ne ha analizzate più di 9mila. E ne ha tratto numerose indicazioni, preziose per chi vuole farcela di Riccardo Venturi

I

n Italia ogni giorno nascono sei nuove creto» dice Scali. Che prima di spiegare gli startup. Ma la loro probabilità di sopravvierrori da evitare indica le caratteristiche venza oltre i cinque anni è minore del 20%: delle startup di successo: «Ci sono due tipi in altri termini, il rischio di fallire è superiodi innovazione: incrementale, quando porta re all’80%. Quali sono gli errori da evitare al miglioramento di qualcosa che esiste già, per non fare la fine degli oltre quattro quinti come quando si è passati dal telefono fisso delle startup italiane? Lo abbiamo chiesto a al cordless; radicale, quando rappresenLuca Scali, Ceo di Hub21, polo tecnologico, ta un balzo in avanti, una vera invenzione, scientifico e culturale che sostiene la nacome il passaggio dal telefono fisso al celluscita e lo sviluppo di startup, co-autore con lare. Spesso e volentieri le storie di successo Silvia Vianello di Startup digitali & PMI Indelle startup riguardano innovazioni non novative (Hoepli), una guida incrementali ma radicali. PER AVERE SUCCESSO pratica per evitare gli errori Ma non basta: la startup UNA STARTUP DEVE più comuni che portano al deve avere la capacità di AVERE LA CAPACITÀ fallimento. Scali ha analizintercettare un reale bisoDI INTERCETTARE UN zato 9270 startup italiane, gno delle persone piuttosto BISOGNO REALE digitali ma anche manifattuche limitarsi ad aumentare riere, gran parte delle quali fallite, quindi le l’efficacia delle imprese. È quel che hanno sue indicazioni non sono basate su concetti fatto Uber, Blabla car, Airbnb. Questo è un fil astratti bensì su storie vere, su persone in rouge che si ritrova nelle startup di succescarne ed ossa che nella gran parte dei casi so. E poi attenzione: a differenza di quel che non ce l’hanno fatta a portare a compimensi crede, l’idea della startup di per sé vale to il loro sogno. «Faccio l’imprenditore e IN ALTO: NUMERO DI STARTUP INNOVATIVE DIVISO PER REGIONI. sono abituato a essere estremamente con-

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STARTUP-TELLING

6.745 STARTUP INNOVATIVE +12% IN SEI MESI +31% IN UN ANNO +112% IN DUE ANNI

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re: testare, sbagliare, imparare, migliorare, queste sono le vere chiavi del successo».

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1% dell’intero successo. Il 99% dipende da realizzazione e gestione quotidiana». Si potrebbe pensare che la maggior parte dei fallimenti di startup italiane avvengano per insufficienza di fondi. Ma non è così. Secondo i dati dell’osservatorio di Hub 21, il 41% degli insuccessi è riferibile all’area Mercato, il 34% all’area Team e gestione, solo il 20% all’area Finance. Il Ceo Luca Scali spiega quali sono, alla luce delle esperienze raccolte, gli errori da evitare in ciascun ambito.

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sto caso posso fare la app più bella del mondo, ma sono comunque destinato a chiudere presto. Una quarta motivazione di fallimento è la scarsa conoscenza delle metriche, degli indici di performance del traffico o delle vendite che sono associati alla nostra app o al nostro sito web. Bisogna saper fare stime corrette, spesso invece vedo business plan campati per aria. È importante fare test, magari spendere qualche centinaia di euro per testare le modalità: se non so chi è l’utente che viene sul mio sito, che usa la mia app, AREA MERCATO. «Quando lanci un’iniziaallora tutto il mio piano marketing è camtiva, una nuova impresa manifatturiera pato per aria, e il mio business plan non è come una app per smartphone, il principio credibile. Il che significa che non ho capacità di base non cambia: devi avere una precisa di fare mercato e quindi chiuderò nel giro di conoscenza di quel mercato, delle sue regopochi mesi. Lo dico sempre ai ragazzi delle le, delle dinamiche di fiscalità, delle storie startup: metriche, metriche, metriche! Se di successo e di insuccesso. È necessario non me le fate capire, studiamole insieme. studiare la concorrenza non solo per difUn altro motivo di fallimento è l’errata deferenziarsi, ma anche per capire come chi finizione delle tempistiche. Si può sbagliare ce l’ha fatta è riuscito ad arrivare all’utente per eccesso o per difetto, perdere il momenfinale in maniera efficace. to giusto per l’ingresso sul Se non lo si fa, si fallisce. mercato attendendo troppo STUDIARE A FONDO IL MERCATO E LA Un’altra crescente causa di o viceversa». A leggere forse CONCORRENZA fallimento è il pensarsi unia qualcuno sarà già passaÈ NECESSARIO ANCHE ci, credere di avere un’idea ta la voglia di imbarcarsi in PER LANCIARE UN’APP rivoluzionaria e che non esiun’impresa così complicata... stano concorrenti, che non ci siano modelli «A chi pensa che fare una startup sia bello, di confronto, business model simili: questo facile, perché va anche di moda, è uno Status è un gravissimo errore che manifesta superSymbol, dico che è assurdo, non si rendono ficialità, che io chiamo miopia digitale. Una conto di quanta fatica ci voglia. Sono appena terza causa di fallimento si riferisce alla stato nella Silicon Valley con i ragazzi delle necessità di dare soluzione a un bisogno. startup che seguiamo, abbiamo incontrato Magari ho fatto un’applicazione bellissima quasi 200 investitori, il Ceo di Whatsapp Jan per il cellulare, un sito web bellissimo ma Koum, siamo stati a Berkeley e Stanford, e nessuno li utilizza proprio perché non sto tutti ci hanno detto che il nostro approccio dando una soluzione a un bisogno. In queal mondo digitale l’unico che può funziona-

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Nella pagina a fianco dati percentuali sull’incidenza delle startup innovative in Italia. A fianco trend demografici al 31 dicembre 2016

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AREA TEAM E GESTIONE. «Per fare una startup ci vuole una magia, un equilibrio costante nel team. Avere un team sbilanciato o incompleto è causa di fallimento. Dev’essere composto in modo equilibrato con tre componenti: tecnica, manageriale e di marketing. Se queste tre aree non sono coperte il team è squilibrato, e a me investitore la cosa spaventa, anche perché aumenta l’investimento necessario per andare a cercare altre risorse. Gli investitori verificano subito se c’è questo equilibrio. Le prime domande che fanno in genere sono: chi fa parte del team e che tipo di business model volete adottare, e in quale mercato? L’investitore cerca di capire se la startup è scalabile, cioè se superato un elemento di copertura dei costi fissi posso riuscire ad aumentare le mie vendite senza un ulteriore incremento dei costi fissi. La scalabilità fa sì che oltre un certo momento con un piccolo investimento ottengo un effetto più che proporzionale. Se all’inizio ci vogliono 200mila euro investiti per avere un fatturato di 100mila, se aggiungo 100mila euro di investimento i ricavi passano, diciamo, a un milione. Sono scalabile se le metriche sono chiare, e il mercato risponde alla comunicazione off e on line. Un altro errore che porta al fallimento è l’incapacità di cambiare strategia in maniera rapida in base alla risposta del mercato, un aspetto della miopia digitale. Se i test di comunicazione e di vendita dicono che sto sbagliando percorso, spesso i membri del team si dimostrano rigidi per aspetti psicologici, non vogliono uscire dalla comfort zone. Dovrebbero cambiare strategia, ma non lo fanno e falliscono. Sbagliare tempi e modi del Pivot, cioè della modifica del business model il cui esempio più celebre è la


nascita di Instagram da Burbn, può determinare il fallimento della startup. Altro errore che può essere fatale: molte volte i ragazzi delle startup sono adrenalinici. Ok, ci vuole tanta passione, tanta tanta determinazione, questo sì, ma mai arroganza. È una caratteristiche che ho riscontrato più spesso nei ragazzi italiani, escono dalla Bocconi o dal Politecnico di Milano o di Torino e si fanno più importanti di quello che sono. Io lo dico sempre: ragazzi attenti, la porta del successo è larga, perché le opportunità il mercato digitale le offre, ma è anche bassa: si deve essere umili, disposti al sacrificio ma non arroganti, altrimenti sbatti la testa e fallisci. Si deve aggiungere che in Italia si dovrebbe essere non più arroganti ma al contrario più umili: l’anno scorso sono stati solo 114 milioni di euro gli investimenti in Startup, contro gli 8 miliardi della sola Berlino e i 2-3 miliardi della Francia. Certo poi si deve garantire un minimo di rimborso spese, i ragazzi si devono concentrare sulla startup e non fare tre lavori per pagare le bollette...

Fare una startup finanziata in Italia è veramente difficile, ancora più difficile. Un altro errore da fallimento: spesso i ragazzi confondono la crescita con lo sviluppo. Senza crescita non si paga lo sviluppo. Spesso i ragazzi preferiscono avere il sito più bello, tendono a preferire lo sviluppo alla crescita senza tener conto del fatto che ci vuole anche il mercato. Infine, bisogna saper studiare e ascoltare cosa dice il mercato. Ascoltare i feedback che vengono da interviste e canali social, anche quando sono negativi».

AREA FINANCE. «Sono due i grossi motivi di fallimento. Il primo è la scorretta stima dei fondi necessari per il proprio sviluppo, perché se ne chiedono troppo pochi o troppi. Sia in un caso che nell’altro il dialogo con il mercato dei capitali è sbagliato, e il risultato è il fallimento. Il secondo è che una volta ottenuti i soldi dagli investitori, oppure una volta che si inizia a fatturare, si spende troppo e male per voci di costo non produttive, senza analizzare gli effetti di quella spesa.

RITARDO ITALIA IN INVESTIMENTI DIGITALI LUCA SCALI, CEO DI HUB21, fotografa così il ritardo italiano nella capacità di investire sul digitale: «Nell’UE il 5,2% del Pil deriva dall’economia digitale. In Germania ci sono picchi dell’8-10%, in Inghilterra siamo al 12,3% del Pil, in Italia a meno del 3%. La borsa di Francoforte è strapiena di startup tipo il Nasdaq, in Italia ce ne sono 2 o 3. In Italia su 60 milioni di abitanti circa 28 hanno accesso a internet, e solo 6 acquistano sulla Rete. Negli Stati Uniti su 500 milioni di abitanti ci sono altrettanti acquirenti on line... Eppure le competenze che ci sono nella Silicon Valley sono paragonabili a quelle dei miei ragazzi. Ingegneri, informatici,

programmatori sono preparati come i miei, ma il sistema è più friendly, un sistema in cui si può scalare. Non è solo una questione di dollari ma anche di ecosistema. Durante la nostra visita abbiamo incontrato l’ad di Whatsapp, che ha un miliardo di clienti e vale 40-50 miliardi. Non aveva bodyguard né autista, ed era raggiungibile, all’interno del contesto in cui eravamo si è fatto avvicinare con facilità e mi ha dedicato 5 minuti della sua vita, salutandomi con un: ciao Luca, come va? L’Italia invece non è ancora un ecosistema ma un aggregato di feudi medievali. L’agenda digitale 2.0 a oggi ha fornito una serie di agevolazioni fiscali, ma

alla fine ti ritrovi a fare sempre i conti con te stesso. Non è vero che posso fare startup a costo zero, con il notaio e la camera di commercio ho sempre 4-500 euro di costi, negli Usa non esistono queste cose. Per questo pur avendo tante eccellenze, pur vincendo premi in giro per il mondo, spesso queste non si traducono in imprese, almeno in imprese italiane».

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Incidenza:

quante società di capitali sono startup innovative? Dato nazionale: 0,42% Top performer: in Trentino Alto Adige oltre 10 società di capitali si 1000 sono sturtup innovative Inoltre si deve essere anche validi ragionieri. Chiedo sempre ai ragazzi: come fatturare il primo milione di euro? Le loro risposte spesso denotano un’idea vaga dell’approccio al bilancio della società. Magari non sanno se il prezzo è comprensivo oppure no di iva. Su 500mila euro per esempio se non hai previsto l’Iva sbagli di 100mila euro e quindi fallisci. Fra le altre possibili cause di fallimento ascrivibili all’area Finance c’è anche il cattivo dialogo con gli investitori: una delle chiavi del successo è trovare quelli giusti, che siano in grado di capire le dinamiche del business model e quindi di avere le corrette aspettative di ritorno». Ci sono poi tre ulteriori potenziali motivi di fallimento alla voce Altri, che pesa un 5% del totale: «problemi legali, per esempio un sito internet senza la privacy a posto; aspettative sbagliate circa i tempi necessari al successo, e conseguente “burnout” del founder; location sbagliata, specie quando è importante la logistica o la dotazione di infrastrutture».

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STARTUP-TELLING IL NUOVO...

SE LA BOCCONI “SPOSA” IL MOTORE DEI LAVORETTI Taskhunters e’ una comunita-piattaforma che risolve problemi pratici ai clienti coi lavori degli studenti Avete promesso un dolce per un’occasione speciale ma vi siete accorti di non avere a disposizione latte e uova e non potete uscire di casa? Per risolvere i piccoli problemi di una vita lavorativa troppo intensa c’è Taskhunters, una start-up che affida le faccende di casa a studenti di fiducia. Il sistema è semplicissimo: una volta registrati sul sito, si può inserire una “task” – ovvero una mansione – che non si ha tempo di svolgere, offrendo un compenso a chi la svolga per noi.

L’INCUBATORE DELL’UNIVERSITA’ SPEED MI AP LI HA SELEZIONATI

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RADAR DI SICUREZZA PER ANZIANI Si chiama gramp.It e monitora i movimentii in casa

COME UNA PLAYLIST PER GIOCARE CON IL VINO Viniamo, un e-commerce che dialoga con i clienti e li aiuta a scegliere divertendosi Una festa? Un’occasione speciale? Il vostro matrimonio? Qualsiasi sia la ricorrenza che dovete festeggiare, Viniamo vi viene in aiuto. Come? Guidandovi passo passo nella realizzazione di una vostra personale cantina, partendo dai vostri gusti e affiancandovi nella selezione dei vini che fanno al caso vostro, come se fosse una playlist. Potrete decidere non soltanto la tipologia di bottiglia – preferite un bianco? un rosso? delle bollicine? – ma anche l’etichetta, che potrà essere personalizzata con un’immagine che rappresenti voi o l’evento che volete celebrare. Viniamo offre una selezione di oltre 200 differenti vini, ma il numero è destinato a salire, mentre i prezzi vanno da 6 euro fino a oltre 50. FELICIA PAOLOMBO GENERAL MANAGER DI VIVIANO E UN FRAME DAL SITO

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Quando le persone cui vogliamo bene invecchiano, la prima preoccupazione è che continuino a essere autosufficienti anche nello svolgimento di quelle piccole cose che compongono la vita quotidiana: assunzione di farmaci, fare la spesa, e anche, perché no, ricordarsi di prendere le chiavi di casa quando si esce. Per ricordare alle persone anziane cui i parenti non possono prestare attenzione 24 ore al giorno – ma che non vogliono ancora affiancare loro personale sanitario o badanti – è nato Grampit, un sistema composto da diversi device che consente di monitorare la vita di ogni giorno di un anziano. Questa app è quindi un efficace strumento per aiutarlo nelle incombenze quotidiane.

UN’IMMAGINE DAL SITO CON IL DISPOSITIVO DI ALLARME IN EVIDENZA

UNA APP CHE CREA I CONCORSI A PREMI ON-LINE Leevia consente la profilazione dei partecipanti secondo le esigenze di marketing Leevia è la app che offre agli utenti tutte le funzionalità necessarie per lanciare un contest online di successo pienamente in linea con la normativa italiana sui concorsi a premi. I contest possono essere personalizzati nella grafica, nei colori e nei contenuti. Con Leevia è possibile creare un contest in linea con l’immagine del brand e del sito, personalizzando interamente l’intera interfaccia. Leevia consente anche un’efficace profilazione dei partecipanti secondo le esigenze di marketing.

IL TEAM DI LEEVIA DA FACEBOOK

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...CHE CRESCE STARTUP-TELLING

L’ENERGIA DIVENTA INTELLIGENTE Domoki ha raccolto mezzo milione con un’app

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Domoki è una app che consente un uso più razionale dell’energia elettrica e del riscaldamento, facendo risparmiare all’utente tra i 300 e i 700 euro all’anno. L’app consente un controllo sui dispositivi come frigorifero, lavatrice, lavastoviglie e aria condizionata attraverso la programmazione o il comando da remoto. Domoki è un microcomputer che si installa nelle scatole elettriche standard, realizzato da Almadom.us, una startup nata nel 2015 che in meno di 6 mesi ha raccolto il suo primo investimento di 500.000 euro grazie a business angels che hanno scommesso sul progetto.

L’HOME PAGE DI DOMOKI SU UNO SMARTPHONE CHE ATTIVA IL SISTEMA

MANDAMI LO SCONTRINO, IO TI COMPENSERÒ CON UN BUONO La sfida di Tickete, una piattaforma con cui le aziende conoscono meglio i propri clienti Tickete è una piattaforma che collega un gran numero di imprese disposte a offrire buoni acquisto ai consumatori che comprano i loro prodotti in cambio del fatto che essi li inviino le foto degli scontrini appena ottenuti. I consumatori ci guadagnano la possibilità di vincere i premi. Le aziende che aderiscono a Tickete in compenso riescono a tracciare i comportamento di consumo dei loro clienti anche nell’ambiente “analogico” del negozio tradizionale.gli utenti disposti a fotografare i propri scontrini fiscali con buoni sconto e giftcard. Tickete è Online dal 14 marzo del 2015.

UNA VIDEATA DI TICKETE CHE CONSEGNA UN PREMIO AD UN CONSUMATORE

TUTTI I MODI IN CUI SI PUÒ DIRE: “BUON APPETITO” Si chiama Gnammo e conta quasi 200mila fan su Facebook che organizzano pranzi e cene Gnammo è una app che gestisce eventi a contenuto gastronomico, mettendo in rete oltre 7.000 tavole apparecchiate. L’app è stata ideata da tre soci: Cristiano Rigon, Walter Dabbicco e Gianluca Ranno e si è rapidamente affermata come la più importante piattaforma di social eating, ovvero la condivisione di esperienze relative alla cucina, sia a casa propria che al ristorante. È attiva già dal febbraio del 2012 e oggi conta su Facebook quasi 200.000 “fan”. Offre a tutti la possibilità di organizzare pranzi, cene ed eventi a casa propria e, al contempo, ampliare la propria cerchia di amicizia. Tra i partner di Gnammo ci sono Ferrarelle, Monini, Angelo Poretti, Sheraton.

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I PROTETTORI DEL COPYRIGHT Su Kopjra ha puntato 150mila euro Tim Ventures

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Kopjra è un’azienda specializzata nella protezione della proprietà intellettuale digitale ed è l’organizzatore di Legal Tech Forum, il primo summit italiano sulle tecnologie legali. La start-up è stata creata da Tommaso Grotto, attualmente CEO dell’azienda, un esperto di contrasto alla pirateria informatica, gestisce Kopjra insieme ad altri quattro soci: Pier Raffaele Catena (Chief Legal Officer), Matteo Scapin (Chief Marketing Officer), Emanuele Casadio (CTO) e Luca Trevisan (CFO). Fondata nel 2014, nel 2015 l’azienda ha ricevuto un contributo di 150.000 euro da Tim Ventures, l’incubatore d’imprese di Telecom e di Club Italia Investimenti 2 Spa.

IL TEAM DI KOPJRA IN UN MOMENTO DI SODDISFAZIONE

DUE TAVOLATE “SOCIAL” GRAZIE A GNAMMO L’APP CHE FA CONOSCERE NUOVI AMICI GRAZIE ALLA CUCINA

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STARTUP-TELLING I VALOROSI

Nella pagina a fianco uno degli spazi co-working di Talent Garden. A fianco Davide Dattoli, CEO di Talent Garden

Talent Garden fa fiorire startup e talenti in Italia e in Europa Davide Dattoli racconta le tappe fondamentali per la crescita di Talent Garden e indica alcune trappole da schivare

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avide Dattoli, 26 anni, è CEO e cofounder di Talent Garden, nato nel 2011, che nel giro di pochi anni è diventato il più grande network di coworking d’Europa per numero di sedi. I campus sono 18 in 5 Paesi europei (oltre alle sedi italiane ci sono quella di Barcellona, di Tirana, di Bucarest e di Kaunas in Lituania), con oltre 1500 professionisti del digitale, della tecnologia e della creatività che ci lavorano, 410 aziende che «fioriscono nel giardino», 85mila persone che ogni anno «si contaminano» nei campus. Grazie ai 12 milioni di euro raccolti a novembre non solo dai family office italiani di Tamburi Investment Partners, ma anche da Endeavor Catalyst, un fondo cui parteci-

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pa il fondatore di LinkedIn Reid Hoffman, e 500 Startups, uno dei più importanti acceleratori di startup californiani diretto da Dave McClure, entro il 2018 è prevista l’apertura di una decina di nuovi spazi. Talent Garden ha chiuso il 2016 con un fatturato di circa 5 milioni di euro e un team che conta una settantina di persone, il triplo del 2015. Fatturato e numero si sedi sono sempre raddoppiati ogni anno, ma soprattutto cresce il valore delle sinergie tra i talenti che ci lavorano, difficile da quantificare. Il motto di Talent Garden è Work, Learn Connect: oltre agli spazi di coworking propone corsi di formazione ed eventi. Il funzionamento dei campus è semplice: per entrare in un Talent Garden devi presentare una richiesta che viene votata dalla community. Un processo di selezione utile per aumentare la qualità dei partecipanti. L’accettazione della richiesta permette di comprare una membership. L’espansione in Europa è funzionale a quella delle startup: un “abitante” di Milano può entrare nelle altre sedi europee, con buone chance di trovare le persone giuste per aiutare il business in quei paesi.

I NUMERI DI TALENT GARDEN 15%

30%

AZIENDE

STARTUP

5%

ALTRO

20%

AGENZIE

18 CAMPUS PAESI 5EUROPEI 1500 12 MILIONI TALENTI

30%

FREELANCE

EURO RACCOLTI


LE TAPPE FONDAMENTALI NELLA CRESCITA DI TALENT GARDEN / PARTENZA

«Una delle fasi più difficili è la partenza. Con Talent Garden abbiamo trovato un grande supporto nel tessuto della piccola imprenditoria bresciana. Non abbiamo ricevuto solo capitali, ma anche l’esperienza, il know how di imprenditori tradizionali che hanno apprezzato il nostro progetto, anche se lanciato da gente che di esperienza ne ha meno di loro, fatto in un modo diverso. Così siamo riusciti a partire, a fare quel passaggio da 0 a 1 che spesso è la parte più difficile».

/ SCALABILITÀ

«Il secondo step è quello dello scalare. Nella mia visione nessun business, nessun nuovo progetto può essere pensato su scala solo locale. Qualche tempo fa era possibile, ma oggi ogni progetto deve essere pensato da subito per essere globale. Per questo nel team non abbiamo inserito solo italiani, ma anche background di diverse nazionalità. Così abbiamo visioni diverse su diverse problematiche, un elemento che favorisce la scalabilità, ma siamo un team affiatato, una caratteristica necessaria».

/ FARE SISTEMA

«All’inizio siamo partiti con l’idea del coworking a Brescia. Poi ci siamo detti: perché non coinvolgere altre realtà? Allora è nata l’idea di provare a fare sistema con altre realtà che fanno cose simili, in modo da averne non 10 che si copiano a vicenda, ma di creare un network, la più grande rete europea. In Italia tendiamo al giardinetto, ma in questo modo tutti condividiamo un modello e cresciamo insieme. È stata una scelta che ha portato valore e continuerà a portarne».

QUALCHE TRAPPOLA DA EVITARE / MEGLIO FALLIRE SUBITO

«Ok al cambio in corsa, se le cose non funzionano bisogna provare a cambiare, ma senza esagerare: se non gira provo a cambiare, riprovo e se ancora non va, stop, mi fermo e chiudo. Il tentativo o i tentativi di modificare il progetto iniziale devono avvenire in un tempo chiaro, per non tirarla all’infinito, il che è tipicamente italiano: la tiro lunga e intanto mi guardo intorno in cerca di una via d’uscita... Non si fa startup per avere un lavoro, ma per cambiare, innovare, costruire qualcosa che funzioni bene».

/ CONDIVISIONE DEGLI OBIETTIVI

«Ho imparato che quando si parte si deve essere sempre molto allineati su dove si vuole arrivare. Nella mia prima esperienza con Viral Farm questo non è successo, eravamo un gruppo di amici, come spesso accade, ma alla fine non ha funzionato perché pur facendo cose interessanti non avevamo la stessa visione di business».

/ OCCHIO FARE IMPRESA È DIFFICILE «Nella retorica sul mondo delle startup una delle cose di cui si parla di meno è

la difficoltà di fare impresa. Si celebrano i round di finanziamento e non i risultati economici raggiunti e anche le difficoltà, o perfino l’aver chiuso, come elementi positivi, senza tener conto del fatto che un finanziamento è comunque un debito, ci sono soci che mettono capitale che vogliono diventi 4-5 volte tanto nel giro di poco. Non è una cosa “figa”, ma un debito e una responsabilità. Noi di Talent Garden abbiamo preso l’anno scorso uno dei round di investimenti più ampi della storia, ma è un onere, una responsabilità che abbiamo. Le cose da celebrare sono il fatturato, il margine che la società genera, le opportunità create anche in termini di assunzioni»

/ NON È VERO CHE

fare startup in Italia è più difficile, almeno per la ricerca di capitali... «Secondo me non è vero che, poniamo, a Berlino fare una startup sia più facile. In Italia ci sono capitali diversi, meno venture capital ma più famiglie che hanno enormi capitali e voglia di investire, come dimostra Tamburi Investment Partners che sostiene Talent Garden. Sono i capitali di alcune

delle più grandi famiglie che investono in aziende d’eccellenza, e spesso sono perfino superiori al necessario. Le startup italiane pensano poco ai family office, eppure c’è tanta voglia di investire anche nel nostro Paese. Credo che anche il gruppo di imprenditori bresciani che ha creduto in una realtà giovane importante come la nostra sia un esempio interessante».

/LA VERA DIFFICOLTÀ È

quella di trovare le competenze. «Ci sono pochi grandi casi successo dai quali attingere a livello di bacino di competenze. Manca la cosiddetta PayPal Mafia della Silicon Valley (i cui ex fondatori e dipendenti hanno poi fondato altre realtà di grande successo quali LinkedIn, YouTube, Yelp, SpaceX, Yammer..., ndr). In Italia mancano persone che abbiano sia competenze sia esperienza, che abbiano lavorato e siano cresciuti velocemente. L’idea di Talent Garden è quella di ospitare tutte le competenze del mondo digitale negli stessi luoghi funzionali, e di creare l’esperienza necessaria; insomma siamo una startup che vuole aiutare le startup a crescere».

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STARTUP-TELLING

Nella foto, da sinistra Mariano Cavallaro, Lara Colombo e Jerry Cavallaro

Ristrutturazioni intelligenti, la sfida vinta da Casarenova Una start-up immobiliare che è già un piccolo fenomeno, rileva appartamenti da ristrutturare a Milano, li restaura e li rivende a stretto giro

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are soldi con l’edilizia: poteva sembrare una “mission-impossible”, in Italia, dalla crisi in qua. A meno che… a meno che, come ha fatto Gerry Cavallaro, non si imbroccasse la specializzazione settore giusta, il mercato giusto e l’idea in più che potesse convincere i clienti. «È quel che abbiamo fatto noi, tre anni fa», racconta Cavallaro, fondatore e presidente di Casarenova (o meglio: di Rien, la società immobiliare che ha battezzato il servizio e il marchio Casarenova), «e, incrociando le dita, possiamo dire che le cose vanno bene». Cerchiamo di capire come e perché: «Abbiamo rivoluzionato il modo di concepire e realizzare le ristrutturazioni edilizie, che facevamo da sempre», spiega Cavallaro, «e abbiamo lanciato la nostra formula sulla piazza più importante e dinamica d’Italia, Milano. Il

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successo riscosso ci permette oggi di pianificare una progressiva estensione territoriale: ma senza fretta, vogliamo crescere sani». In sostanza, l’azienda ha incrociato il “know how” costruttivo che aveva nelle ristrutturazioni con un approccio finanziario per cui, invece di proporsi al cliente già proprietario di casa per gestirgli i lavori di ristrutturazione – come fa la stragrande maggioranza delle medie imprese edili italiane, che ormai solo di quello vivono, o sopravvivono, vendendo unicamente sul prezzo – Casarenova acquisisce gli immobili, li ristruttura e li rivende chiavi in mano. «Il nostro obiettivo è fornire un grande valore aggiunto ai clienti e quindi guadagnare bene a nostra volta», spiega l’imprenditore, «abbiamo scommesso su Milano, piazza leader del settore, e sui tagli immobiliari piccoli: monolocali, bilocali, al massimo trilocali, rivolgendosi al mercato più fertile che c’è, quello delle coppie giovanie dei single. E il 2016 è stata un’ottima annata. E presto ci espanderemo su altre piazze». Operativamente, e di solito, l’azienda agisce così: individua l’appartamento ideale per

I PUNTI DI FORZA

ESCLUSIVITÀ DELLA FORMULA

SPECIALIZZAZIONE

PROFESSIONALE

SPECIFICITÀ TERRITORIALE FUNZIONALITÀ

PER

I PROSSIMI PASSI 1 Estensione dei mercati 2 Crescita dimensionale 3 Capitalizzazione finanziaria 4 Digitalizzazione un intervento di ristrutturazione che possa avvalersi degli sgravi fiscali previsti dalla normativa, lo acquista con il compromesso, avvia i lavori e intanto cerca il compratore finale. Naturalmente c’è qualche acquirente che chiede una ristrutturazione più personalizzata, e la richiesta può anche essere accolta ma negoziando bene modalità e costi: l’ideale è però procedere con un lavoro standard ma di ottima qualità, che oltretutto per«IL NOSTRO OBIETTIVO È DI FORNIRE UN GRANDE VALORE AGGIUNTO AL CLIENTE, E QUINDI DI GUADAGNARE BENE ANCHE NOI. E ABBIAMO PUNTATO SU MILANO, PIAZZA LEADER»

mette a chi lo esegue di ottimizzare costi e tempi e a chi compra di ricevere un immobile in perfetta efficienza in tutte le parti usurabili, dai servizi agli infissi, e con impianti nuovi e certificati. Di fatto – spiega lo staff di Casarenova sul sito www.casarenova.it – questo approccio permette a una coppia giovane di acquistare un appartamento nuovo a tutti gli effetti ma ad un prezzo molto vicino a quello degli appartamenti malandati e da ristrutturare. «La realtà del mercato, invece – conclude Gerry Cavallaro - è che, a parte alcuni immobili in vendita in condizioni davvero improponibili, ciò che viene spacciato per ristrutturato spesso è un appartamento che è stato rivisto già da qualche anno, oppure risistemato esterioramenrte, con piastrelle di seconda scelta, un laminato posato sul vecchio pavimento, e una tinteggiatura».




-Prima di fare il piano economico del prossimo anno, vediamo com’è andata l’anno scorso.

DIRIGENTI ALLO SPECCHIO

120 VACANZE UNPLUGGED RIPOSARSI DAVVERO SEPARATI DALLO SMARTPHONE

- Perchè quest’anno non lo saltiamo? - Sarebbe irrazionale non averne uno.

LO STRESS BELLO E AMARO DI ESSERE MANAGER OGGI

Interviste a cura di Susanna Messaggio

Sono sempre più importanti nelle aziende, sono quindi sempre più importanti per la vita della collettività: i manager. Sono anche sempre meglio pagati. Ma anche sempre più stressati. Per questo Economy dedica in particolare a loro le pagine che seguono. Con la loro testimonianza sul modo di vivere il rapporto con l’azienda, le loro gratificazioni, i loro gusti, le loro ansie e i loro desideri. In alto una “strip” di Scott Adams, il disegnatoreumorista americano più geniale nel raccontare i tratti paradossi e i molti tic del mondo manageriale, che negli Stati Uniti definisce i comportamenti standard fatalmente poi adottati in tutto il mondo, Italia compresa.

-Abbiamo chiuso in positivo senza neppure seguire il piano, proprio come ogni anno.

Parla Paolo Crepet, psichiatra e sociologo: «I sessantenni sono più esperti dei quarantenni nel gestire la tensione. La soluzione è studiare e darsi una visione di lungo periodo».

«L

o stress è sempre stato il compagno di viaggio del manager, quel che oggi è diverso è che è diventato più difficile gestirlo»: Paolo Crepet, psichiatra e sociologo, tra i più attenti ed esperti del mondo del lavoro, consulente aziendale di fama, non ha dubbi: i tanti casi di cronaca che descrivono una situazione di stress psicofisico crescente nella categoria dei top-manager nascino dalle nuove tensioni che attraversano il mondo dell’alta dirigenza. Gratificato ma pressato, ben pagato ma precario: «E poi vedo una differenza tra fasce anagrafiche», prosegue Crepet, «I manager, o anche gli imprenditori, tra i 35 e i 45 anni provengono spesso da situazioni di privilegio familiare, educativo, economico, e non hanno imparato a gestire lo stress. Quando arriva sono impreparati. I sessantenni, invece, lo stress lo gestiscono perché lo conoscono da molti lustri…Per questo apprezzo le esperienze di alternanza scuola-lavoro: perché insegnano ai ragazzi che il lavoro è stressante!».

Per Crepet l’errore da non fare, per un manager, è quello di pensare che il denaro venga prima delle idee: «Nossignore, sono le idee ad essere preminenti e prioritarie”, e lo studio che permette di trasformare un’idea in un successo. «I manager devono avere esperienze internazionali: capire il modo di ragionare altrui aumenta enormemente esperienza. La cultura per me è anche questo. Quando Jobs fu mandato via da Apple venne in Italia a studiare il caso Olivetti!». «L’innovazione avviene per contaminazione e ibridazione», prosegue, «da solo non fai niente. Non esci da solo da una crisi, hai bisogno di idee e supporto degli altri, chiunque siano. Oggi essere manager significa avere una visione d’insieme, è sbagliato pensare che un processo possa essere gestito alla giornata. I manager di serie A hanno visione; quelli di serie B non guardano oltre il loro naso».

NELLA FOTO, PAOLO CREPET, TRA I PIÙ ASCOLTATI CONSULENTI AZIENDALI PER LA GESTIONE DELLE RISORSE UMANE

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VITA DA MANAGER DIRIGENTI ALLO SPECCHIO

PUBBLICO &PRIVATO Ma l’abito fa il monaco? Certo che no, eppure l’aspetto esteriore conta nel mondo del lavoro e conta nel rapporto che ciascuno di noi ha con se stesso. E descrive di ognuno quanto tiene all’estetica, che gusto ha nello scegliere i particolari, quanto investe sull’apparire… Ecco perché, senza eccedere, qualche nota estetica su abiti, accessori e – in generale – il look di un manager non è un tema da sottovalutare… Tra pubblico e privato.

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2.

Alessandro Simoni, Senior Marketing Manager Unilever

Fabio Rinaldi, dermatologo, presidente IHRF, docente presso l’Università di Firenze

Si sente valorizzato nella sua attività? Nella maggioranza dei casi l’azienda valorizza le attività e le persone che le portano valore: è un rapporto biunivoco. Unilever mi dà l’opportunità di esprimermi e di fare quello che mi piace, consentendomi di gestire marchi di grande successo, io cerco di ripagarla col lavoro e l’entusiasmo. Io sento di far parte di una famiglia/squadra con cui condivido valori ed obiettivi, una grandissima motivazione.

Si sente valorizzato nella sua attività? Ne sono molto contento e ormai, dopo 36 anni di lavoro, ho realizzato tutto ciò che mi ero prefissato. Dopo la specialità in dermatologia ho avuto la fortuna di approfondire argomenti scientifici e clinici molto importanti, che mi hanno permesso di svolgere ruoli apicali nella direzione della divisione dermatologica di due importanti ospedali di Milano. Dopo sono riuscito a realizzare la mia attività privata, sviluppandola in modo scientifico: ricerca e sviluppo in settori pionieristici come la cultura cellulare per la cura delle ulcere diabetiche, applicazione dei laser in chirurgia dermatologica, studi sulle malattie tricologiche, tema sul quale ho pubblicato il primo lavoro mondiale sui disturbi di personalità di pazienti che perdono i capelli. E infine la prima ricerca scientifica sull’uso del plasma ricco di piastrine nella cura della alopecia areata.

Di che ha paura e su cosa fa affidamento? Ho paura di non avere più paura. La paura è parte della crescita, vuol dire che ci si sta spingendo oltre, cercando di migliorarsi, uscendo dalla “comfort zone”. Eliminarla del tutto non è un bene. Faccio affidamento sul mio team, la mia prima fonte di apprendimento. Qual è la sua miglior dote? Cerco di rendere le cose semplici, e di far accadere le cose. La passione e l’entusiasmo ti spingono avanti. Se penso a tutto quello che abbiamo fatto negli ultimi 2 anni… il lancio di un brand rivoluzionario nell’igiene Orale (Zendium) il rilancio della piattaforma Mentadent Professional con i programmi per Dentisti e Farmacie, e la neonata White Now Touch. Le cose a cui non potrebbe mai rinunciare? Al divertimento. Sono romano, devo ridere.

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A un manager brillante e amante della “Dolce vita” come Alessandro Simoni consigliamo: 1. Un Panama extra fine sfoderato, ala piccola Borsalino, 360 euro 2. Occhiale Leisure Society, 518 euro 3. Nuovo Daytona presentato a Basilea 2017: 25.650 euro

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Quali per lei le doti di un manager moderno? Guardare fuori dalle mura dell’azienda. I consumatori/clienti stanno cambiando ad una velocità mai vista prima. Il distacco dalla realtà è un rischio reale. Come vede i giovani che desiderano crescere come lei? Ha un consiglio? Guardarsi sempre intorno. La squadra fa il sistema. L’empatia la rafforza. Il mettersi in gioco è importante, cercando di non scivolare. Di non perdere l’equilibrio anche se si ha troppo da fare. Organizzandosi: un modo per crescere.

Ci spieghi meglio il lavoro in clinica. Una clinica privata autonoma va gestita con professionalità, etica, ma anche in modo aziendale e per questo ho sviluppato modelli di gestione su visite e terapia con un sistema di “home therapy” per permettere al paziente di eseguire la terapia al suo domicilio. L’ultima novità è rappresentata da visite di telemedicina per poter fare diagnosi a distanza con una qualità simile a quella in clinica. Questo ha ridotto i tempi di attesa e i costi e soprattutto permette a pazienti di fare terapie avanzate senza muoversi da casa. In più, da 30 anni sono consulente per grandi aziende farmaceutiche dermatologiche, collaboro con varie università e ultimamente sto lavorando con il dipartimento di anatomia dell’università di Brescia nel campo della crono-dermatologia. Be’, sì: tutto ciò mi fa sentire valorizzato! Di che ha paura e su cosa fa affidamento? Mi preoccupa la situazione della sanità pubblica che penalizza un po’ la possibilità di svolgere bene il lavoro medico. Mi fa paura una certa comunicazione nel settore medico ormai fuori


a nessuna cosa materiale. Non sono geloso della mia auto, posso cambiare casa, gettare via tutto il mio guardaroba. Niente, nessun rimpianto... Due domande che le piacerebbe sentirsi fare? “Quali sono per te le doti di un manager moderno?”. E io rispondo che oggi le soft skills sono sempre più importanti. I giovani hanno valori diversi rispetto alla mia generazione. Il lavoro è importante per loro, ma deve essere sempre inserito in un progetto di vita più ampio. Autenticità e rispetto oggi fanno la differenza. Il manager deve fare un passo indietro, mettersi in discussione. Seconda domanda: “Che lavoro avresti fatto se non avessi fatto questo?”. E io rispondo: il cuoco, o lo chef come si dice oggi. Amo cucinare, ma ancor più mangiar bene”.

4.

Roberto Serafini, direttore generale L’Oreal Luxe Italia, presidente e ad Helena Rubistein Italia Spa 5.

Fabio Rinaldi è un gentleman d’altri tempi. E non ha bisogno di consigli sul personal look. 4. Usa profumo Au Sauvage (63 euro) 5. Ama indossare scarpe Ferragamo “francesine” (1.850 euro) controllo: notizie scorrette da parte di medici o finti medici che danno messaggi falsi e illusori a cui molte persone credono, affidandosi a cure pericolose o “cialtrone”. Io credo nella professionalità scientifica, nell’etica, nel modo di relazionarsi coi pazienti. Per fortuna i medici seri sono molti di più di quelli non seri. Qual è la sua miglior dote? Penso la capacità imprenditoriale che mi ha permesso di gestire prima le due unità ospedaliere e poi la mia clinica che fa circa 3 mila pazienti l’anno. Le cose a cui non potrebbe mai rinunciare? Di sicuro il tempo che passo alla mia casa al mare, a coltivare gli agrumi e godermi la vista fumando un toscano con il mio bassotto in braccio. Non vedo l’ora di ritirarmi in pensione a godermi la vecchiaia insieme a mia moglie. Sto frequentando anche un corso di apicultura. Come vede lo sviluppo della sua professione? La ricerca scientifica in dermatologia fa continui progressi. A breve affronteremo il lavoro in modo diverso. Bisogna riprendere una visione più sistematica, cioè considerare qualsiasi problema cutaneo come una parte del corpo. Dobbiamo re-imparare a fare i medici ma questo vale per tutte le specialità. Vedo in futuro più collaborazione con varie branche mediche, e più spazio per la medicina rigenerativa e la terapia personalizzata. Ogni medico poi dovrà imparare a fare il manager, con un occhio alla gestione ammistrativa.

Si sente valorizzato nella sua attività? Faccio ciò che ho sempre mio sognato, sin dall’università. Per me è il lavoro più bello del mondo. Per questo sono grato a l’Oreal, perché mi ha dato questa straordinaria opportunità. Piu che una grande azienda: lo definisco un luogo dove la bellezza prende forma... in tutte le sue forme. Qualcosa capace anche di rinforzare i tuoi valori.

Non è facile dare suggerimenti a un professionista come Roberto Serafini che lavora nel mondo della bellezza. 6. Suggeriamo un abito Kiton monopetto 3 pezzi in cashmere, seta e lino (prezzo su richiesta) 7. Per viaggiare, una 48 ore in vitello stampato evolution: 1.490 euro

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Di che ha paura e su cosa fa affidamento? Dal punto di vista professionale non ho paura di niente. Non è presunzione ma consapevolezza. Posso invece dire di sentire il peso e la responsabilità di gestire oltre 400 persone. Un onore sicuramente ma anche una grande responsabilità. Su cosa faccio affidamento? Direi sulla mia esperienza e sugli errori. Sembra contradditorio, ma penso che sia il vero bagaglio di un manager. Qual è la sua miglior dote? Dovreste chiederlo ai miei collaboratori, magari chiedendo anche qual è il mio maggiore difetto. Direi comunque l’entusiasmo. Uno dei miei più preziosi collaboratori, che oggi non c’è più, diceva che l’unica cosa che non può mai mancare in quello che facciamo è l’entusiasmo. L’entusiasmo nel lavoro e nella vita mi ha portato a diventare quello che sono. Un lato bambino (o meglio fanciullo) è quello che mi fa muovere e vedere le cose in maniera sempre diversa. Attiva la mia curiosità. L’entusiasmo è contagioso. Sul lavoro ha aiutato me e il mio team a ottenere risultati importanti, a tratti straordinari. L’Oreal Luxe, la divisione di cui sono direttore generale per l’Italia, ha migliorato costantemente le quote di mercato e la profittabilità. Lancôme, Yves Saint Laurent, Armani, Biotherm, Kiehl’s, Helena Rubinstein, sono dei marchi straordinari. Nati per vincere. Le cose a cui non potrebbe mai rinunciare? Agli affetti. Quelli veri, quelli delle persone che contano della mia vita. Invece, non mi attacco

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VITA DA MANAGER

Breve guida alle vacanze “disconnesse”

Residenze d’epoca, eremi e rifugi di montagna. Tutti rigorosamente no-tech: senza internet, senza pc, possibilmente senza telefono. Per ritrovare un andamento lento e fermare lo stress lavoro-correlato di Isa Grassano

re e ore con lo sguardo chino sullo smartphone o sul tablet, oppure alla scrivania davanti a un pc. Per lavoro, o per piacere; per scrivere una mail, un messaggio o un articolo sul blog aziendale, telefonare e rispondere alle videochiamate, per scorrere la bacheca social o per leggere le ultime notizie. C’è poco da fare: in quella che Rifkin, già nel Duemila, chiamava “l’era dell’accesso”, nessuno riesce più a sfuggire alla “sindrome da iperconnessione”. Quasi impossibile staccare la spina, anche per poco tempo. «È il bisogno di esserci», spiega Daniela Spaziano, psicologa del lavoro e responsabile HR dell’agenzia per il lavoro Articolo1, «un desiderio insopprimibile di avere il contatto costante con il proprio network reale o virtuale, di poter scambiare informazioni lavorative o private con più interlocutori contemporaneamente. Tutto ciò impone un ritmo e una frenesia che per il soggetto diviene “normalità” e più

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UN NEW BUSINESS TURISTICO Il digital detox si sta affermando come nuovo driver turistico, tanto che persino i tour operator si stanno adattando a queste necessità, proponendo destinazioni incentrate sul “benessere psico fisico”. Tra questi i Viaggi dell’Elefante, che dal 2 al 5 giugno propone una vacanza al Verdura Resort, perla siciliana della Rocco Forte Hotels, all’insegna della metodologia Digital Felix ideata da Alessio Carciofi, autore del libro “Digital Detox” (edizioni Hoepli) su come gestire l’equilibrio vita-lavoro. Quattro giorni nei quali sperimentare l’evoluzione del benessere: quello dell’anima. Previsti workshop a tema: “come trasformare le cattive abitudini digitali per avere più tempo e più energia” o “rallenta, riduci e riprogramma: come trovare un equilibrio che parte da noi stessi”. E quindi sessioni di meditazione e cene con lo smartphone in modalità aereo, a lume di candela. Per approfondire: www.digitaldetox.it

aumentano velocità e contatti, più la persona si adatta. Ma quello che ne deriva è un aumento dello stress lavoro-correlato». Una patologia che in Europa rappresenta oggi il problema di salute più frequente legato all’attività lavorativa, dopo i disturbi muscoloscheletrici.

Rifugiarsi nello spazio aperto

Che fare dunque? La parola d’ordine è una e una soltanto: disconnettersi. Partire per luoghi dove non ci sono campi elettromagnetici, dove non c’è segnale per il telefono, non c’è rete internet per controllare le e-mail, dove non si chatta, né si videoparla. L’unica via di fuga, insomma, è cercare occasioni per disintossicarsi dalla connessione continua e riappropriarsi del proprio tempo, per re-imparare a godere dei paesaggi circostanti o dell’andamento lento della quotidianità. «Bisogna ascoltare le proprie passioni ed i propri bisogni per ca-


pire qual è la vacanza che può farci ritrovare la giusta dimensione di relax e di ritorno a noi stessi, senza la preoccupazione della mail non letta, il post non commentato, le scadenze non rispettate. Sicuramente ciò che aiuta è dedicare molto tempo alle attività all’aperto. Uno degli aspetti che oggi si sacrifica di più è sicuramente la vita al di fuori degli ambienti chiusi che assicurano l’iperconnessione. Mare, montagna, attività sportive, escursioni consentono una connessione diretta con la natura, in grado di aiutare a “rallentare” dando benefici alla mente e al corpo. Bisogna stimolare la curiosità e la mente, che spesso si arenano dietro un display, ritrovare il gusto della scoperta e di quanto possa arricchire un’esperienza realmente vissuta», conclude.

Luoghi e itinerari unplugged

Chi è in cerca di idee, luoghi e offerte per “staccare la spina” (e non solo in senso lato), fortunatamente ha parecchio da scegliere. La propagazione dello stress da iperconnessione e la necessità sempre più impellente e diffusa di fare “vacanze nella disconnessione”, per converso, ha finito per alimentare infatti un mercato nuovo, un turismo di nicchia che oggi comprende hotel, agriturismi e resort i quali, all’hi-tech, preferiscono il no-tech, garantendo un benessere totally green. Una torre del XIII secolo, lo sguardo sulle linee dolomitiche dello

Sciliar e il segnale dello smartphone che non riceve, sono ad esempio i fotogrammi ideali della vacanza “digital detox” proposta dal Romantik Hotel Turm di Fiè allo Sciliar che ha volutamente lasciato alcune aree di questa antica struttura prive di connessione internet. In questo hotel altoatesino sembra, inoltre, di passeggiare in una galleria d’arte: alle pareti ci sono opere e dipinti di artisti famosi come Dalì, Picasso e Klimt. Essere irraggiungibili, nel bel mezzo della natura umbra, è il privilegio che si concede chi sceglie di immergersi nelle atmosfere medievali del millenario Castello di Petroia, circondato da una tenuta di 250 mq che sconfina tra boschi e pascoli. Qui, in provincia di Perugia, il tempo è scandito dai ritmi naturali: il territorio si può esplorare percorrendo a piedi i 20 km di sentieri un tempo tracciati dai contadini ed allevatori ed oggi diventati strade per trekking slow. Un’altra oasi no-tech è Poecilya a Carloforte, nella zona più remota e selvaggia dell’isola di San Pietro, al largo della Sardegna. Perfetta per chi desidera vivere la straordinaria energia della Madre Terra. Camere semplici, quasi monastiche, totalmente prive di comfort abituali come tv, telefono, internet. Manca persino l’aria condizionata, sostituita da una più vetusta pala di ventilazione. Così il vero fresco è affidato alla brezza che arriva dal mare.

In basso, il Castello di Spessa nel Collio goriziano. Nella pagina accanto, l’Eremito, eremo umbro del Trecento dove si dorme in cellette rigorosamente singole e si pranza in silenzio

PROVATI PER VOI VIGILIUS MOUNTAIN RESORT

Design-hotel ecosostenibile in Alto Adige, a 1500 m di altezza sul passo del Monte San Vigilio, vicino il paesino di Lana. Raggiungibile solamente in funivia, dalle condutture sgorga acqua minerale. Camere senza televisori: per rilassarsi, passeggiate di fit-walking con personal trainer. Pawigl 43, Monte San Vigilio, Lana (Bz) tel. 0473.556600 www.vigilius.it

RIFUGIO ZOIA

Un mix tra natura, disintossicazione da città e relax a 2021 metri, nel cuore del Gruppo del Bernina, su una piccola altura che regala un panorama unico sui monti e sulla valle. Struttura ecofriendly, acqua riscaldata dai pannelli solari. A disposizione anche un solarium. Via Vassalini, 50 Chiesa in Valmalenco (So) Tel. 0342.451405 www.rifugiozoia.it

CASTELLO DI SPESSA

In questa raffinata residenza d’epoca nel cuore del Collio goriziano, Giacomo Casanova era un habitué. Atmosfere settecentesche e appartamenti digital detox, ricavati da una vecchia casa colonica con vista sul maniero. Arredi rustici ma con tutti i confort, tranne la connessione internet. Via Spessa, 1 Capriva del Friuli (Go) tel. 0481.808124 www.castellodispessa.it

EREMITO

Eremo umbro del ‘300, ricavato da un vecchio monastero, lo chiamano “l’hotel dell’anima”. Immerso nel silenzio e circondato dal verde. Si dorme in piccole cellette singole, senza tecnologia. Illuminato con torce e candele, si mangia in silenzio e solo prodotti dell’orto. Si pratica anche yoga. Località Tarina 2 Parrano (Tn) tel. 0763.891010 www.eremito.com

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MANGI CHIC, PAGHI POP L’ ALTA CUCINA CAMBIA FACCIA Basta locali esclusivi. Il tempo degli scontrini a tre zeri è finito. Sono sempre di più gli chef di grido che, accanto ai loro ristoranti stellati, aprono bistrot proponendo menù d’autore a costi accessibili. Un modello che da Milano si è diffuso in tutta Italia

DOMANDE &OFFERTE Quella che ha caratterizzato l’ultimo decennio, non è stata solo una crisi economica ma anche una crisi di stili di vita. L’insostenibilità di certi modelli di consumo, la tendenza al risparmio, il cambiamento delle abitudini - anche alla luce della rivoluzione digitale e della ritrovata consapevolezza sugli sprechi e impatti ambientali - tutto ciò ha finito per incidere anche sulla domanda e quindi sulla produzione dei beni e dei servizi. In un’economia che oggi, quindi, molto più che in passato, è condizionata dal continuo variare della domanda, Economy vuole indagare sulle dinamiche che determinano questo incessante cambiamento dei bisogni e su come, di conseguenza, si adegua (si deve adeguare!) il mercato

128 WINE DELIVERY BOTTIGLIE IN TAVOLA BASTA UN CLICK

130 NUTRACEUTICA LA RICERCA NEL FOOD ESALTA LA TRADIZIONE

di Silvana Delfuoco enti euro. Non di più. Nell’anno VIII della Grande Crisi, gli italiani, o almeno la maggior parte, non sono più disposti a spendere oltre per una cena fuori. Anche un caposaldo dell’italian way of life come il pasto “fuoricasa” paga dazio, dunque, alla contrazione della spesa media mensile che ha drasticamente ridimensionato le abitudini di consumo, comprese quelle più radicate. Un’uscita serale in pizzeria o in un ristorante/trattoria ogni 30 giorni, per uno scontrino medio che non si schioda dalla forchetta 10/20 euro. Secondo l’ultimo rapporto della Federazione Italiana Pubblici Esercizi sulla ristorazione, è questa l’unica “trasgressione” che, ad oggi, si può permettere il 67% dei nostri connazionali. Tra i quali soltanto l’1,3% gode, per altro, del previlegio di poter spendere più di 50 euro al ristorante. Numeri che spiegano, senza tanti giri di parole, le difficoltà con le quali deve fare i conti la ristorazione in Italia. Eppure, e lo dice la Guida Michelin, ossia la Bibbia dell’alta ristorazione internazionale,

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siamo noi il Paese che, con 343 “stellati”, attualmente occupa la seconda posizione nel mondo per numero di locali premiati (con la fatidica “stella”, appunto). Un paradosso? No, non esattamente. Nonostante i 259 milioni fatturati nel 2016 (dati JFC), anche per i locali italiani di “fascia top”, quelli cioè che possono vantare una o più stelle, non è tutto oro quello che luccica. Anzi. Per soddisfare i requisiti richiesti dalla Guida e rimanere nel Gotha dei fornelli, le uscite, da quelle di gestione a quelle per le materie prime, spesso si avvicinano pericolosamente alle entrate. Ecco allora che, per rendere sostenibile l’attività ristorativa, sono sempre più gli chef blasonati che scelgono di diversificare, affiancando alle loro “mangiatoie di lusso”, dei locali meno impegnativi sul piano dei costi fissi e, dall’altro lato, anche più accessibili a una clientela che vuole sì risparmiare ma senza rinunciare alla cucina di qualità. Pur di continuare a brillare, si è passati insomma dai ristoranti gourmet alle trattorie. O, se volete, dalle stelle alle stelline.

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DOMANDE&OFFERTE

Nella foto a sinistra, il Blupum di Ivrea firmato da Davide Scabin che però ha chiuso dopo il secondo anno

In principio fu Sadler…

I NUMERI DELLA GUIDA MICHELIN

PROVATI PER VOI HAFA STORIE

Piatti della tradizione piemontese affiancati da cucina marocchina, anche in mezze porzioni. Tutto sotto il controllo di Christian Milone, giovane stella dello Zappatori di Pinerolo. Si mangia con 15 euro senza vino Galleria Umberto I 10/13 – Torino Tel. 011.19486765 www.hafastorie.it

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vacciuolo. Ed è imminente l’apertura di un Tra i primi a imboccare questa nuova strada locale analogo a Torino nei pressi, si sussurè stato Claudio Sadler, uno dei più noti chef ra, della chiesa della Gran Madre. In questi milanesi che, nel 2008, ha pensato di affilia“fratelli minori” si arriva a risparmiare anre al suo “bistellato” di via Ascanio Sforza che 90 euro rispetto al Villa Crespi sul Lago (menù medio: 138 euro) un locale più easy, d’Orta, ristorante principale del mattatore il Chic ‘n Quick, dove si può cenare con 55 di Masterchef. Nasce invece come paneteuro e fare un business lunch con soli 20 teria, prodotti di alta gastronomia e piatti euro. L’idea è stata quella della trattoria in pronti “I Banchi-Pane al pane” del bistellato versione moderna, dove gustare una cuciCiccio Sultano, patron del Piazza Duomo di na d’eccellenza in un ambiente tranquillo, Ragusa. Ma le dimensioni del locale, aperto dall’eleganza meno pretenziosa e, ovvianel 2015 nei bassi di Palazzo Di Quattro a mente, meno costosa. Un messaggio che Ibla, sono tali da permettere di soddisfare ha fatto scuola. Nel giro degli ultimi anni si tutte le esigenze: dal pranzo veloce, al corso è infatti moltiplicato di cucina, alla mostra LA FORMULA DEI NUOVI LOCALI APERTI il numero dei bistrot d’arte. Senza per alCOL NOME O LA CONSULENZA aperti nel nome o con tro dover rinunciare DEGLI CHEF STELLATI, FUNZIONA. la diretta consulenza a must come il “maMA C’È ANCHE CHI HA STECCATO di chef coronati. A ialino in porchetta” o Modena, ad esempio, a fianco della miti“l’insalata di mare su finta pizza”. Qualche ca Osteria Francescana, incoronata l’anno incidente di percorso, tuttavia è e da metscorso a New York come miglior ristorantere in conto. Segno che non sempre l’aperte al mondo e dove per mangiare bisogna tura di un bistrot è la soluzione ai problemi. prenotare almeno tre mesi prima (prezzo Ha chiuso senza colpo ferire, al suo secondel menù degustazione: 220 euro), ci si può do anno, il Blupum di Ivrea firmato Davide fermare per l’aperitivo e magari proseguire Scabin. E altrettanto ha fatto l’Altro Vissani con la cena spendendo meno di 40 euro, di Orvieto. Ma come dice lo stesso Vissani nell’open space Franceschetta58, nata e «nella vita non esistono successi senza falcresciuta sempre sotto la tutela di Massimo limenti». Per cui basta rimboccarsi le maBottura. Difficilissimo prenotare, nonostanniche e riaffilare i coltelli per ripartire da te la disponibilità su tre piani, nel nuovo capo. E soprattutto, stella o non stella, senza Café&Bistrot novarese di Antonino Cannaperdere, né far perdere, l’appetito.

ANIKO- SALUMERIA ITTICA

Si entra per fare la spesa, poi ci si ferma anche per la cena. Ecco il nuovo locale di Moreno Cedroni, due stelle Michelin alla Madonnina del Pescatore sul lido di Ancona. Prezzo medio: 10/12 euro Piazza Saffi, 10 – Senigallia (AN) Tel. 071.7931228 www.morenocedroni.it

THE CORNER

Nuova avventura per Marco Martini, tra i più giovani stellati d’Italia. La sua è la cucina della tradizione e della memoria: “i gesti di mia madre, i piatti che mi hanno cresciuto”. Menù da 3 portate: 17 euro Viale Aventino, 121 – Roma Tel. 06.45597350 www.thecornerrome.com

PISACCO

Bistrot contemporaneo, BibGourmand Michelin, curato dallo chef stellato Andrea Berton. Piatti innovativi e tradizionali, ma vale una sosta anche per un semplice panino. Pranzo in settimana: 12 euro Via Solferino, 48 – Milano Tel. 02.91765472 www.pisacco.it


«A certi prezzi la ristorazione a Milano non è sostenibile»

IL MIO RISTORANTE COSTA 1.500 EURO

Lo chef Lo Basso (una stella Michelin dal 2011), dall’alto del suo ristorante sul Duomo, fa il controcanto ai colleghi e mette in guardia: «mafie in agguato»

AL GIORNO. COME POTREI FARE UTILI CON MENÙ DA 25?

di Francesco Condoluci «Il business lunch? No, grazie. Non ci penso nemmeno». Felice, “Felix”, Lo Basso da Molfetta, ha una stella Michelin appuntata sul petto e pochi peli sulla lingua. Lui, a quelle che chiama «certe mode tutte milanesi», è allergico. E non per una questione di spocchia. Ma per un ragionamento che potrebbe essere preso in prestito per una lezione di microeconomia (in salsa pugliese) sull’elasticità o meno dei beni. «A Milano - dice - ci sono 10 mila locali e circa 1,5 milioni di abitanti. Non siamo in una metropoli. Quelli che girano per i ristoranti, e parlo degli stellati, sono sempre gli stessi. Non è che abbassando il prezzo, si aumenta il numero dei clienti, e così si riesce a stare in piedi. Io ad esempio punto a fare 10 coperti da 300 euro e non 60 da 50. Chi ha soldi da spendere viene da me e paga la qualità, anche delle materie prime, e senza sconto. Mi spiego?». Racconta che quando è sbarcato a Milano, nell’anno di Expo, all’Unico (il ristorante al 20° piano della scintillante WJC Tower in zona Portello) i suoi nuovi soci gli hanno subito parlato di un menù-pranzo a 25 euro. «Li ho guardati: ma siete matti? Come fai a far pagare 25 euro il pranzo e 150 la cena? Che facciamo: di giorno diamo da mangiare zucchine marce e la sera quelle buone? No, scusate, se il ristorante è lo stesso, il personale è uguale, la materia prima pure, è una presa in giro far pagare poco chi viene a pranzo e tanto chi viene a cena. È poco corretto nei confronti della clientela serale».

Dall’Unico, questo chef che s’è fatto da solo – partendo dalla Puglia per arrivare in Lombardia, dopo essere passato da Rimini e Val Gardena – è approdato un anno fa sulla terrazza più esclusiva di Milano, quella con vista sulla Madunina, al piano più alto del lussuoso TownHouse Hotel aperto da Alessandro Rosso Group. Una location, quella del “Felix Lo Basso Restaurant”, scelta perché il panorama, da solo, vale qualunque prezzo e perché qui, ammette lo chef, «si può puntare a una clientela da 300 euro a persona». «Io, ogni mattina – aggiunge – non appena apro la porta, solo di costi fissi, vado a meno 1.500 euro. Per il mio break even dovrei incassarne 5 mila al giorno. Ma mica ci riesco tutti i giorni! Pentito di aver accettato la sfida? No, perché questo ristorante è il più bello di Milano e oggi la location incide per il 70% sulla scelta del cliente. E poi perché comunque, ho il mio ritorno. Diversamente da tanti locali in città che, al di là dell’apparenza, sono in debito d’ossigeno. Qui, con la ristorazione non diventi ricco. Ci sono troppi ristoratori improvvisati e troppe concessioni comunali a chi non è del mestiere. Ecco perché fanno la guerra dei prezzi. Una guerra al ribasso. Eppure Milano è “la capitale del gusto”... Tutta fuffa, credimi. In questa città la ristorazione è molto “pompata” dai media, siete voi giornalisti ad esaltare certi locali e certi personaggi, magari solo perché sono vostri amici.

Si fanno un sacco di eventi inutili, tutte copie conformi. Fuori è diverso, fare ristorazione è un’altra cosa. Vi siete mai chiesti perché nessuno chef di fama mondiale apre a Milano? Perché non c’è business e perché questa città, rispetto al mondo, è indietro di 20 anni. Come si fa a chiudere la metro a mezzanotte? Ma nemmeno la stella Michelin aiuta? Be’, a me di sicuro ha cambiato la vita. Il problema è mantenerla: devi tenere sempre un certo livello e questo costa parecchio. Ecco perché non posso scendere sotto certi standard. E chi non ha il ristorante al Duomo come fa? Mah, se i muri sono di proprietà, se il locale è a conduzione familiare, allora puoi anche stare dentro le spese. Che qui a Milano, ripeto, sono folli. Gli affitti sono alle stelle, si paga a 180 giorni e con assegni post-datati. Ripeto: pochi guadagnano davvero. E poi non puoi crescere perché se assumi personale, il fisco ti massacra. Ecco perché la mafia ha buon gioco... Che vuoi dire? Che i ristoranti di Milano sono in mano alla criminalità organizzata? No, non tutti. Ai livelli più alti, anzi, è quasi impossibile. Dove lo chef è patron, la mafia non entra: ma ce ne sono tantissimi in mano alla camorra. So di locali che pagano 40 mila al mese di affitto. Quanto dovrebbero fatturare all’anno: 3 milioni? È fuori dalla realtà. Con Expo, qui sono arrivati i soldi della camorra. E se vai in difficoltà, visto che lo Stato non ti aiuta, fai presto a finire nelle loro mani». 

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DOMANDE&OFFERTE

Bottiglie in tavola? Basta un click

Maschio, 48 anni, spesa media per una bottiglia 13 euro, preferenza per i rossi: questo, secondo uno studio di Nomisma, l’identikit dell’acquirente di vino on-line in Italia. E sono sempre più i siti e le app che permettono di comprare bottiglie in Internet e vedersele consegnate in tempi record di Alessandro Luongo ono le otto di sera e aspettate ospiti per cena: a chi non è mai capitato di ritrovarsi, a questo punto, senza una bollicina per l’aperitivo o un rosso strutturato per proseguire? Se vivete in una grande città, potete stare tranquilli: il problema non si porrà più. La soluzione, infatti, ora è a portata di smartphone. Merito di un nuovo servizio che consente di ordinare da bere da casa attraverso un’applicazione mobile o un sito web. I tempi di consegna? Trenta minuti circa. Quanto basta per non sfigurare con i vostri invitati, insomma. Dopo il cibo, anche il vino entra nel business crescente del “delivery” a domicilio, anche se il trend dell’acquisto online di bottiglie procede un po’ a singhiozzo.

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I Millennials vogliono di più

«Nel comparto del consumo alcolico in generale, l’e-commerce è sicuramente un

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fenomeno in ascesa, ma il suo peso è ancora marginale rispetto alle vendite totali» conferma Denis Pantini, responsabile di Wine Monitor, l’osservatorio di Nomisma sul mondo dell’enologia che, assieme all’enoteca VINO75.COM di Firenze, di recente, attraverso un survey ha tracciato l’identikit dell’acquirente di vino on-line in Italia. «In Francia e nel Regno Unito questo tipo di vendite supera il 10 per cento, mentre in Cina anche il 20 – aggiunge – gli stessi produttori di vino ne sono consapevoli, così come hanno dichiarato le 200 imprese da noi intervistate». Insomma, il 50 per cento degli interpellati vende in rete i propri vini, per via diretta o tramite siti specializzati, mentre un altro 17 per cento, secondo i dati di Nomisma, ha intenzione di ricorrere a questo canale «già nei prossimi anni». Dal punto di vista dei consumer invece, a tutt’oggi l’acquisto digitale di una bottiglia

VINI: I BEST-SELLER IN RETE 1. PROSECCO DOC Toblar (11 euro) 2. SAUVIGNON Vignaioli Specogna (15 euro) 3. PERNERO - PINOT NERO, Travaglino (12 euro)

(Dati Winelivery) 1. CHAMPAGNE BRUT “R DE RUINARD” Ruinarti (49 euro) 2. BRUNELLO DI MONTALCINO GREPPO Biondi Santi (75 euro) 3. TRENTO GIULIO FERRARI RISERVA Ferrari (75 euro)

(Dati VINO75.COM)

I BRAND PIÙ VENDUTI 1. DONNAFUGATA 2. FERRARI 3. CANTINA TRAMIN

(Dati tannico.it)


da 0,75 ml (Iva inclusa) si aggira in media Magro, fondatore di Winelivery, ultima nata attorno ai 13 euro, superando i 14 nel caso tra le startup del genere ma prima per ridei rossi fermi e degli spumanti, mentre è sultati raggiunti nell’area di Milano - dal 1° uomo e vicino ai 50 anni l’acquirente medio gennaio 2016 offriamo alla città un servizio di vino on-line. Scendendo più nel dettaglio unico di consegna a casa, fino all’una di notdelle fasce d’età, tra chi compra vino in Inte, anche le due nel week-end, di circa 700 ternet, paradossalmente sono i Millennials referenze fra birra, vino, alcolici. Consegniail target che, pur contando meno in termini mo in trenta minuti dall’ordine online e alla di quantità acquistate rispetto alla “genegiusta temperatura». Winelivery ha davanti razione X” (compresa tra 36-55 anni) e ai a sé un progetto ambizioso (imminente lo cosiddetti “baby boomer” (56-65 anni), che sbarco a Bologna e Torino e poi quello in Euspende di più arrivando a sborsare anche ropa nel 2018) e alle spalle un’idea fondante 16 euro per una bottiglia di rosso. Dunque, molto semplice, nata da un’esigenza persoanche per le aziende nale: era una sera di MAGRO (WINELIVERY): «L’ORDINE MEDIO vitivinicole il futuro due anni fa quando SI AGGIRA INTORNO AI 23 EURO, delle vendite passa MA CI SONO ANCHE ORDINI IN PERDITA. Magro, che stava per dal web? Secondo SOTTO I 16 EURO, LA CONSEGNA DI UNA mettersi a cenare con BOTTIGLIA NON È SOSTENIBILE. ORA Andrea Nardi Dei, il futuro socio Andrea PERÒ ABBIAMO BISOGNO DI VISIBILITÀ, amministratore deleAntinori, si accorse QUINDI ACCETTIAMO IL RISCHIO» gato e Ceo di VINO75. di essere a corto di COM, la risposta è decisamente sì. In partibottiglie di birra in casa. «Figurati se non c’è colare per la piccola e media impresa. «Dalla qualcuno che ce la consegna a domicilio, ci nostra esperienza come piattaforma tecnosiamo detti. E invece abbiamo scoperto che logica di riferimento per pmi vitivinicole di nessuno offriva questo servizio» racconta. eccellenza – dice – l’e-commerce rappresenEh già: i colossi del food delivery si davano ta sempre di più un canale di vendita fondabattaglia sul cibo ma nessuno aveva ancora mentale per la loro strategia commerciale». pensato al beverage, almeno in Italia. «SiaI piccoli produttori infatti, fanno fatica a mo in ritardo di almeno 6 anni rispetto al essere distribuiti in maniera capillare, speresto del mondo», sostiene il giovane starcie nelle grandi città. E così, molte cantine tupper di studi bocconiani e trascorsi nelsono costrette a battere mercati alternativi. la consulenza per l’utilizzo di applicazioni Tra questi sta prendendo sempre più piede mobili, «negli Usa il fenomeno è partito nel appunto il delivery a domicilio. 2010, con il nome di “Alcol delivery” e oggi ci sono aziende che fatturano 10 milioni di Solo per bevitori digital friendly dollari l’anno». In Italia però, come detto, il «I nostri fornitori sono in buona parte trend è incoraggiante. Secondo i dati Istat, aziende medio-piccole di Brescia, Mestre, solo nelle città sono 781.567 le occasioni Firenze, Roma, Napoli - spiega Francesco settimanali di consumo di alcolici da parte

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dei 18-45enni “digital friendly” (quelli cioè che usano uno smartphone). «Se riuscissimo a conquistare l’1 per cento di questo pubblico – conclude Magro – vorrebbe dire circa 7 mila consegne a settimana». Il risultato di un anno intero di attuale lavoro, ottenuto cioè in una sola settimana. Ecco perché Winelivery, che sogna la quotazione in Borsa o l’acquisizione da parte di una big company, oggi pensa molto più prosaicamente a fare cassa: «La consegna di una singola bottiglia di vino è sostenibile per vini sopra i 16 euro, ma al momento consegniamo di tutto, per incrementare più possibile il numero dei clienti».

PROVATI PER VOI WWW.WINELIVERY.COM

WWW.VIVINO.COM

WWW.XTRAWINE.COM

WWW.TANNICO.IT

L’unica app in Italia che consegna a domicilio alcolici di qualità in 30 minuti e alla giusta temperatura. Vanta oltre 700 referenze e personalizza la consegna delle bottiglie. Nata a Milano, arriverà presto anche a Bologna e Torino.

L’applicazione che trasforma lo smartphone in uno scanner per etichetta e ti dice dove trovarla. Fornisce tutte le informazioni sulle bottiglie di vino ai consumatori di ogni parte del pianeta. Ha 20 milioni di utenti.

Enoteca online realizzata da un gruppo di amici sommelier, e informatici. Il sito è intuitivo e le schede del vino, molto dettagliate, semplificano la scelta e facilitano l’acquisto. Spedizione gratuita oltre i 120 euro.

Con oltre 7.500 vini, viene considerata la più grande enoteca online. Etichette selezionate da esperti. Su 10 bottiglie vendute in rete, 3 vengono consegnate da Tannico. Ha una linea business e in 48 ore consegna in tutta Italia.

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LA SCIENZA IN CAMPO di Antonio Uricchio

Nutraceutica, “eccellenza barese” Nelle aule dell’Università Aldo Moro e il Politecnico di Bari la tradizione agroalimentare pugliese viene esaltata dalla ricerca e dall’innovazione tecnologica: corsi di laurea, postlaurea e ricerche dall’approccio interdisciplinare puntano a migliorare il rapporto tra cibo e salute e tra cibo e ambiente

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arola da poco entrata nel vocabolario comune, “nutraceutica” sta a indicare una nuova scienza che congiunge nutrizione e farmaceutica, indagando il potere salutistico degli alimenti. Tale disciplina si collega alla cosiddetta “medicina d’iniziativa” in quanto la dieta quotidiana, ove costruita in funzione delle molecole bioattive presenti negli alimenti, può prevenire l’insorgere di malattie, limitare la spesa sanitaria e persino assolvere a funzioni terapeutica. Perché aspettare che una malattia si manifesti (“medicina d’attesa”) invece che intervenire attraverso la scelta di uno stile di vita sano e di una alimentazione basata sulla scelta di cibi nutrizionalmente bilanciati e funzionali?

Alimenti da 110 e lode È questa la linea che l’Università di Bari Aldo Moro ha sviluppato sia nelle attività di ricerca che di costruzione dei percorsi didattici. Tra

ANTONIO URICCHIO, RETTORE DELL’UNIVERSITÀ ALDO MORO DI BARI

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i tanti progetti sviluppati, la ricerca agroalimentare sul prodotto nutraceutico per eccellenza: l’olio extravergine di oliva, premiato dalla Regione Puglia prima, e dalla Fondazione Ager poi; ma anche sui microortaggi, sulla borragine, sulle capacità antiage dei polifenoli estratti da alcuni vini rossi... Sul piano didattico, sono stati introdotti nuovi corsi di laurea tra i quali scienza della nutrizione per la salute umana e biologia della nutrizione, e molti percorsi specialistici anche post laurea in sintonia con imprese dell’agroindustria, della chimica verde, della farmaceutica innovativa ma anche chef e ristoratori. Un impegno forte che ha reso l’Università di Bari Aldo Moro protagonista assoluta nello studio dei cosiddetti cibi funzionali intendendo, con tale espressione, quelli che limitano lo stress ossidativo cellulare, intervenendo nella modulazione di processi infiammatori e guidando la vita del microbiota intestinale con effetti anche sul rallentamento il declino cognitivo. La tradizione pugliese in materia di food viene così esaltata dalla ricerca e dall’innovazione tecnologica, anche con l’obiettivo di potenziare i pregi salutistici degli alimenti. Ultrasuoni, microonde e campi elettrici pulsati diventano tecnologie innovative in grado di sostenere la nutraceutica con un approccio metodologico che si avvale delle com-

petenze ingegneristiche del Politecnico del capoluogo pugliese. Università Aldo Moro e Politecnico di Bari sono infatti impegnati nella valorizzazione di tecnologie emergenti per l’elaborazione di prodotti funzionali, recupero di sostanze nutraceutiche dai sottoprodotti e valorizzazione energetica degli scarti (Puglia Emerging Food Technology). Insieme hanno poi dato vita a un nuovo corso di laurea in bioingegneria dei sistemi medicali. In definitiva l’approccio di ricerca circolare che mette insieme specialisti dei settori più disparati (giuristi con farmaceutici, tecnologi alimentari con ingegneri, economisti con biochimici, medici con agrari) ha permesso di affrontare il tema con un approccio multi-attore e interdisciplinare che mette al centro della ricerca la salute dell’uomo in relazione all’ambiente in cui vive e lo rende un unicum biota. Biota? Quando la scienza sposa la lingua…. Ma questa è un’altra storia.

UN TREND IN CRESCITA Il mercato della nutraceutica, negli ultimi due anni, nel nostro Paese, ha fatto registrare un incremento del 7,4% nei canali distribuitivi come farmacie e parafarmacie. L’Italia si colloca tra i paesi europei più attenti a questi nuovi prodotti e se, come sostengono le previsioni, il mercato globale della nutraceutica nel 2020 supererà quello farmaceutico (nel 2016 il primo ha fatto registrare un fatturato di 25 miliardi, dei quali il 2,4% solo in Italia), va da sé che questa nuova frontiera può rappresentare un interessante volano di crescita socioeconomica, per un Paese come il nostro che ha a disposizione materie prime già ad altissimo valore salutistico.

JOB OPPORTUNITIES Le professionalità richieste nel campo della nutraceutica, sono in primis di figure come quella dell’esperto del farmaco, visto che il prodotto nutraceutico deve essere progettato, prodotto, e trasformato con lo stesso rigore di quello farmaceutico. L’Università di Bari, con i suoi corsi di laurea specialistici a ciclo unico (Farmacia-Chimica e Tecnologie Farmaceutiche) e triennali, con gli spin-off e le collaborazioni con aziende e startup regionali e nazionali, leader nel settore, si propone come fucina di nuove professioni e opportunità imprenditoriali.


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NON È PECCATO: I PIACERI CHE FANNO BENE “…e poi il piacere”, abbiamo titolato questa sezione: perché trattarsi bene, volersi bene, concedersi pause piacevoli dopo il lavoro, non soltanto “non è peccato” ma è necessario. Anche per riprendere ancor meglio con il “dovere”. E quindi: bei posti, buon cibo, un po’ di lusso (per chi può). Non fanno la felicità: però aiutano.

136 DESIGN AUTHENTIC LIVING: I MOBILI RIVA ISPIRATI ALLE LAMBORGHINI

138 FINE WINES VIAGGIO A BOLGHERI, L’EL DORADO DEI VINI ITALIANI DI QUALITÀ

140 HOTEL DAY-USE IL VECCHIO ALBERGO A ORE CAMBIA FORMULA E NON IMBARAZZA PIÙ

NOZZE DI LUSSO TRA MODA&GIOIELLI

Fashion e oreficeria si uniscono nella Confindustria Moda: un’organizzazione unica per dare nuovo slancio al Made in Italy e riconquistare la leadership del “sistema persona” nel mondo di Rita Palumbo ’outfit eretto a sistema. In primis associativo, probabilmente anche promozionale, si spera anche economico. Fashion & gioielli, moda e oreficeria, gli abiti e i loro accessori preferiti – i preziosi – diventano un tutt’uno sotto le insegne del made in Italy, quello hard luxury nella fattispecie. Dopo decenni da separati in casa e con rapporti improntati più alla freddezza e all’incomunicabilità che ad altro, i due assi portanti del cosiddetto “sistema persona”, alla fine, come nel più classico degli happy end, si sono uniti in matrimonio. Di interessi, certo, ma tant’è. Quel che conta è il risultato. O meglio, la nuova famiglia che s’è andata a formare e che, in questo caso, si chiama Confindustria Moda. La location scelta per queste nozze, un po’ tardive ma comunque scintillanti, tra il mondo del fashion e quello dell’oreficeria è stata Milano. E il patrimonio comune dei due novelli coniugi è di quelli da capogiro. Confindustria Moda, infatti, sarà una federazione da 88 miliardi e 441 mila euro di fatturato, generato da 67.873 impre-

L

se che, tra comparto tessile, moda, gioielli e accessori, che occupano 581.662 mila lavoratori. Degli 88 miliardi e più miliardi di euro, il 62% è frutto dell’export: già perché, moda e gioielli sono i settori con il miglior surplus nella bilancia commerciale in Italia, quelli che in sostanza, seppur tra alti e bassi, tengono alto il vessillo del Made in Italy nel mondo.

La casa comune dell’italian style

Il neonato gruppo familiare finirà per abbracciare, come detto, tutti i componenti del “sistema persona”: abiti, gioielli e preziosi, accessori come borse e occhiali. L’universo degli outfit, appunto. Tutto ciò che caratterizza l’immagine, lo stile, il gusto, la cultura dell’eleganza: valori rispetto ai quali, malgrado la recessione globale e la contrazione dei consumi, le nostre imprese, numeri alla mano, sono riferimenti indiscussi in tutto il mondo. Quello celebrato a Milano è stato insomma un matrimonio tra due settori che prima nemmeno dialogavano (a tutto disca-

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E POI IL PIACERE...

La moda donna e la gioielleria, seppur con risultati variabili, continuano a trainare il made in Italy di alta gamma

INDUSTRIA

MODA DONNA

in Italy di alta gamma. Il sistema, a tutt’oggi, infatti, continua a vivere alti e bassi. I segnali di ripresa riguardano in modo particolare, manco a dirlo, la moda femminile e la gio(ELABORAZIONE SMI, SISTEMA MODA ITALIA) ielleria. Secondo le stime preliminari elaborate da Smi (Sistema Moda Italia) nel 2016, e per il terzo anno consecutivo, l’industria italiana della moda donna (abiti, maglieria, camiceria e abbigliamento in pelle) registra fattuESPORTAZIONI (DATI ISTAT GENNAIO-NOVEMBRE 2016) rati in crescita dovuti soprattutto all’export. Per ciò che concerne invece l’oreficeria e la bigiotteria, secondo un’indagine Istat rivolta alle imprese con più di 20 addetti, la crescita l’anno scorso è stata del 9,3% con risultati positivi sia sul fronte interno che pito del made in Italy) e che oggi, invece, all’estero. Numeri negativi invece per l’einsieme possono dare un’ulteriore spinta sportazione di metalli preziosi, a causa di alle potenzialità del un calo importante MERCATO INTERNO NEL 2016 nostro macrocosmo PER IL PRESIDENTE DELLA FEDERORAFI della domanda mondel “lusso”. «Al di là IVANA CIABATTI, CONFINDUSTRIA MODA diale di gioielli in oro, «DOVRÀ SUPPORTARE LE IMPRESE delle formule, ritengo in particolare da parNON SOLO SULLA CRESCITA, MA ANCHE che finalmente siamo SUL PIANO DEL CAMBIO DI MENTALITÀ» te dei due grandi acriusciti a imbroccare quirenti Cina e India. la giusta direzione – commenta Ivana CiaIn sintesi: risultati buoni, ma non troppo. batti, presidente nazionale della Federorafi «La casa comune dovrà supportare le noche riunisce Orafi, Argentieri, Gioiellieri e stre imprese non solo nella crescita ma anFabbricanti – moda e gioielleria devono neche nel cambio di mentalità – ha aggiunto QUANTITÀ ESPORTATE NEL 2016 cessariamente percorrere percorsi comuni, Ivana Ciabatti – cioè dando spazio ai giovani semplicemente perché si ispirano agli stessi e creando opportunità necessarie per travalori. Immaginare, progettare e realizzare mandare la nostra creatività e modernizzaVALORE ESPORTAZIONI (2016) un abito di alta classe, così come un gioiello re la nostra capacità manifatturiera». che non sia solo un monile prezioso, significa saper fare oggetti intrisi di una cultura storicamente legata alla bellezza. C’è un filo LA CONFINDUSTRIA MODA VISTA DA VICINO invisibile che lega i due settori ed è l’identiConfindustria moda Aip (Associazione Italiana La federazione avrà una casa tà, quel mix di elementi concreti e impalparaggruppa le imprese Pellicceria), Anfao, comune e un programma di bili che fanno riconoscere un oggetto italiaassociate a Smi e a quella Assocalzaturifici e Federorafi eventi e di attività congiunte e Fiamp (Federazione Italiana (Federazione Nazionale contemporanee, concentrate no in tutto il mondo».

13 MILIARDI FATTURATO NEL 2016

7,7 MILIARDI FATTURATO EXPORT CRESCITA

3,2%

GIOIELLERIA

& BIGIOTTERIA +6,7% CRESCITA

+10,7

CRESCITA %EXPORT

METALLI PREZIOSI

-1,8%DECRESCITA -4,6%DECRESCITA

Export: trend a due facce

L’obiettivo palese di Confindustria Moda è spingere al massimo l’acceleratore del Made

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dell’Accessorio Moda e Persona) che riunisce Aimpes (Associazione Italiana Manifatturieri Pellettieri e Succedanei),

Orafi Argentieri Gioiellieri Fabbricanti ). In dirittura d’arrivo anche l’adesione dell’Unione Nazionale Industria Conciaria.

– salvo cambi di programma – durante la settimana Milano Moda Donna del prossimo mese di settembre come primo banco di prova.



E POI IL PIACERE...

Riva1920 e Lamborghini: bellezza in movimento Legno e motori. Tecnologia e artigianalità. L’azienda di mobili di Cantù firma una collezione di arredi ispirati alle leggendarie supercar, per un progetto, all’insegna dell’eccellenza made in Italy, messo a punto dall’estro del designer di fama internazionale Karim Rashid di Francesco Condoluci

U

na scrivania ispirata ad un paraurti. Un tavolo che ricorda uno spoiler. Un divano con i braccioli tagliati a spigolo, come fossero alettoni. Legno massello e cuoio nero a fare il verso ad alluminio e fibra di carbonio. È il car design applicato all’arte antica dell’ebanisteria o, se volete, il legno – elemento statico per antonomasia – che, per una volta, si fa interprete di concetti aerodinamici e diventa materia prima per una “bellezza in movimento”: un mix inedito tra due storiche tradizioni dell’italian style che ha preso corpo e forma in una collezione di mobili di grande fascino e forte impatto visivo, presentata in anteprima all’ultimo Salone del Mobile a Milano. Si chiama “Authentic Living” e a mettere la firma su questo progetto, tanto ambizioso quanto perfettamente riuscito, sono stati due “autentici” campioni del Made in Italy d’alta gamma: Automobili Lamborghini e Riva1920. L’una, l’azienda (oggi di proprietà Volkswagen) con sede a Sant’Agata Bolognese, icona mondiale delle auto sportive di lusso; l’altra, una delle massime espressioni del distretto di Cantù, leader nella produzione di raffinati mobili

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LA COLLEZIONE AUTHENTIC LIVING: IL TAVOLO SPEED E LE SEDIE KLUTCH, IL DIVANO DYNAMIC, LA LIBRERIA FINESSE, LA SCRIVANIA KLIP

progettati da archistar e grandi designer internazionali come Mario Botta, Matteo Thun, Antonio Citterio, Philippe Starck.

Fusione “a caldo” di stili

A fare da trait-d’union tra questi due mondi, solo apparentemente distanti, ci ha pensato una matita d’eccezione: quella di Karim Rashid, estroso e poliedrico disegnatore di fama mondiale, con un portfolio che annovera circa 2 mila progetti creati per interni, packaging, moda, materiali. A Sant’Agata Bologne-

se, nello storico stabilimento produttivo di Lamborghini, Rashid s’è lasciato stupire dalla «perfetta e inaspettata combinazione tra robotica e lavoro manuale» dalla quale oggi nascono le leggendarie supercar con il Toro Miura nello stemma. I primi disegni della collezione di mobili targata Lamborghini sono arrivati, non a caso, direttamente sul tavolo del centro stile della casa automobilistica, «ispirati, di getto, dalle forme aerodinamiche delle vetture e dalla loro bellezza al contempo progressista e straordinaria», ha spiegato

DA SINSTRA: BORIS PUDDU, DAVIDE RIVA, KARIM RASHID, STEFANO DOMENICALI, MITJA BORKERT E MAURIZIO RIVA


RIVA CENTER, UN SANTUARIO DEL LEGNO A CANTÙ il designer egiziano-canadese. A Riva1920 – la Lamborghini Huracàn; la libreria Finesse una stirpe di mobilieri che in quattro genedai montanti asimmetrici ispirati al modello razioni, da piccoli falegnami, sono diventati Aventador, e poi la sedia Klutch, il divano Dyplayer mondiali nel segmento hard luxury del namik e Speed il tavolo dai bordi “irregolari” legno-arredo, specializzati nella produzione – una sorta di marchio di fabbrica del brand ecosostenibile – è toccato quindi il compito Riva1920 – poggiato su un’unica gamba. Tutdi materializzare l’afflato creativo di Rashid, te creazioni in legno massello e cuoio nero addolcendo, secondo lo stile classico dell’acaratterizzate da dettagli frutto di sapienza zienda che oggi fa capo ai tre fratelli Mauartigianale come i cassetti a coda di rondine, rizio, Davide e Anna i curvati scavati nel Riva, le caratteristiche massello, le appliIN CASA RIVA, SI USA SOLO LEGNO PROVENIENTE DA AREE linee spigolose delle cazioni in cuoietto, DI FORESTAZIONE CONTROLLATA, scocche Lamborghile finiture a base di COME IL KAURI NEOZELANDESE, ni. La selezione di olio e cera naturaO RIUTILIZZATO, COME NEL CASO arredi venuta fuori le. «Cercavamo un DELLE BRICCOLE VENEZIANE da questa originale partner che facesse fusione a caldo tra legno e motori, tra autodell’unicità e della qualità la propria mission, motive e arredamento, per dirla alla Rashid a garanzia di un prodotto esclusivo ed au«è una collezione semplice, minimalista ed tentico», ha dichiarato l’ex direttore sportivo estremamente sensuale, nella quale si può Ferrari oggi chairman e Ceo di Lamborghini, vedere un senso di fluidità e una fusione di Stefano Domenicali, «e l’abbiamo trovato in forme organiche e pure, senza mai sacrificare Riva1920 al quale ci unisce la passione e la il comfort». Ne fanno parte Klip, la scrivania costante ricerca in favore dell’innovazione e dalle linee morbide e sinuose che richiama della bellezza».

Per chi volesse conoscere da vicino il mondo di Riva1920 e fare un’esperienza esclusiva nel settore della manifattura dei mobili di lusso, l’indirizzo da segnare è il civico 137 di via Milano a Cantù. È qui, dove è nata e s’è sviluppata tutta la storia del brand, che la famiglia Riva ha eretto qualche anno fa una sorta di tempio pagano che onora il legno e la mano dell’uomo capace

di plasmarlo. Riva Center è un edificio interamente coperto di larice che, oltre allo showroom aziendale, ospita il Museo (privato) più grande d’Europa nel suo genere, con oltre 4 mila pezzi che raccontano, a tutto tondo, la storia del legno e della sua lavorazione. Una collezione unica, fatta di macchinari e utensili antichi, che rappresenta la summa della tradizione artigiana brianzola e italiana.

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E POI IL PIACERE...

Bolgheri, l’El Dorado dei “fine wines”

Una terra che trasforma in oro tutti i vini che produce. Le sue etichette pregiate primeggiano, per valori economici, nelle classifiche mondiali del settore. Ma dietro al successo, non c’è solo la qualità nel bicchiere di Marco Gemelli

asta un tris di nomi – Ornellaia, Sassicaia, Masseto – per far brillare gli occhi agli intenditori di bottiglie pregiate di tutto il mondo. E non solo per la gradevolezza e la qualità nel bicchiere. Etichette come queste, rappresentano, allo stato, veri e propri “beni-rifugio”, valutati migliaia di euro in tutte le aste internazionali del settore. Eppure, la loro area di provenienza, Bolgheri, sulla costa toscana, fino a 30 anni fa era un luogo pressoché sconosciuto alla ribalta vinicola mondiale. Oggi invece, questo piccolo paesino della Maremma livornese, che vanta più vigneti che abitanti, è famoso in tutto il pianeta per essere un’area feconda che trasforma in oro (quasi) tutti i vini prodotti dai suoi filari di vite. L’ultima conferma è arrivata, a inizio anno, quando Liv-ex, l’indice del mercato dei “fine wines” che monitora gli scambi delle più importanti etichette vinicole, ha registrato, nella top 100 del 2016 dei prezzi medi per

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cassa, l’ottavo posto di Masseto (del quale tre anni fa da Sotheby’s vennero battuti 15 litri a 50mila euro), classificando invece il Sassicaia al primo posto nella graduatoria per quantità vendute, con quasi 20mila bottiglie piazzate sul mercato.

L’eno-sistema del territorio

In un’economia globalizzata dove l’apporto del territorio di origine delle merci è sempre meno importante, il settore vitivinicolo continua a distinguersi – ed è questo forse il suo valore più prezioso – perché la produzione non è delocalizzabile. Nel campo dei vini di qualità il territorio (o il terroir, alla francese) continua e continuerà fare la differenza: è il combinato disposto tra microclima, terreno, esposizione al sole e al vento, che, di fatto, non è replicabile. Dunque, con l’ecosistema i vini hanno un rapporto quasi simbiotico. Dal Tignanello (Antinori) alle Pergole Torte (Montevertine),

dal Grattamacco al Boscarelli, dalla Vigna L’Apparita (Castello di Ama) fino al Paleo (Le Macchiole): se i cosiddetti “Supertuscans” che tengono alte le insegne del vino italiano sono allo stesso tempo causa ed effetto del successo del territorio di provenienza, ciò vale a maggior ragione per Bolgheri, autentica El Dorado dell’enologia made in Italy. Ciò che questo territorio ha dato ai suoi vini – terreni sabbiosi e limosi, particolari condizioni di altitudine e di esposizione a sole e vento – i vini gliel’hanno restituito, con gli interessi, sotto forma di notorietà trasversale con riflessi positivi anche sull’indotto turistico della zona. Un vero e proprio “eno-sistema” che ha fatto di Bolgheri un brand-moltiplicatore del valore economico delle sue bottiglie.

Non solo marketing

La storia, però, parte da lontano. E precisamente dall’intuizione di una manciata di


imprenditori visionari e lungimiranti, con finiscono sia sul mercato interno, in crescita il marchese Mario Incisa della Rocchetta in significativa, sia sulle tavole di Usa, Svizzetesta, che nel 1944 iniziò a sperimentare col ra e dei paesi asiatici dove sono particolarCabernet nella Tenuta di San Guido, ponenmente apprezzate la bassa acidità e i tannini do le basi di quel Sassicaia che 25 anni più morbidi. tardi – grazie al figlio Nicolò e all’enologo Tra autarchia e stile libero Giacomo Tachis – avrebbe iniziato a conSi potrebbe pensare che l’affare-Bolgheri quistare il mondo, intimorendo persino i abbia fatto gola ai colossi internazionali, ma cugini d’Oltralpe. «Il loro esempio – spiega il non è così: «Dei 45 produttori del consorzio presidente del consorzio di tutela Bolgheri – puntualizza Zileri Dal Verme – solo un paio Doc, Federico Zileri Dal Verme – è stato seafferiscono a proprietà straniere: Tenuta guito, successivamente, da nomi altrettanto Argentiera, con l’imprenditore austriaco importanti come Gaja, Folonari, Allegrini o Stanislaus Turnauer, e Tenuta Le Colonne, Berlucchi, che hanno portato Bolgheri agli del petroliere argenattuali 1200 ettari A FARE LA DIFFERENZA tino Bulgheroni». L’uldi vigneti e alla creÈ IL TERROIR, SICURAMENTE, tima acquisizione in azione della Doc per MA ANCHE L’AMPIEZZA LIMITATA effetti è italianissima: il bianco e rosato DELL’AREA DI PRODUZIONE quella cioè dell’azienprima (1984) e per il E UNA POLITICA INTELLIGENTE DI POSIZIONAMENTO COMMERCIALE da campana Feudi rosso poi (1994)». A di San Gregorio che portare i vini di Bolnel febbraio 2016 ha acquistato la cantina gheri a raggiungere prezzi importanti, oltre e i vigneti di Campo alle Comete (15 ettari alla qualità eccelsa delle oltre 6 milioni di vitati di Merlot, Cabernet Sauvignon, Caberbottiglie prodotte, sono la limitata ampieznet Franc, Syrah e Petit Verdot) e ha già ha za geografica del territorio e un’intelligente messo sul mercato la prima annata dell’ampolitica di posizionamento commerciale: se basciatore della casa: Bolgheri Doc Stupore il Doc base oscilla tra i 12 e i 20 euro, il Su2015. Del successo del brand-Bolgheri, sul periore va dai 40 ai 100 euro. Etichette che territorio riescono comunque a beneficiare anche coloro non hanno i terreni o le vigne migliori. Nella Toscana dei disciplinari stringenti e della valorizzazione dei vitigni autoctoni, Bolgheri, del resto ha cercato la sua individualità controcorrente, con un disciplinare flessibile e vitigni internazioPREZZO PER UNA BOTTIGLIA nali – Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon e Merlot – mentre il Sangiovese “pesa” apDURANTE UN ASTA DA SOTHEBY’S pena l’1,5% della superficie vitata. In altre parole, una volta stabiliti parametri come la resa per ettaro, i vignaioli sono liberi di scegliere lo stile del vino, col risultato che oggi monovitigni come il Masseto coesistono con i blend che rappresentano l’85% della produzione. «Tutto ciò ci consente grande libertà d’espressione – conclude Zileri Dal Verme – i grandi vini di Bolgheri, pur con stili differenti, hanno tracciato una strada che altri hanno seguito».

2012

1.850

EURO

MASSETO 2007

1624 19.488 BOTTIGLIE CASSE VENDUTE NEL 2016

SASSICAIA

PROVATI PER VOI BOLGHERI ROSSO SUPERIORE DOC SAPAIO 2013 (PODERE SAPAIO)

Blend di Cabernet Sauvignon (70%), Petit Verdot (20%) e Cabernet Franc (10%). Bouquet di frutta nera matura, leggero sentore floreale, note balsamiche e cuoio. In bocca è energico e potente. Accompagna bene: menù di terra, cacciagione. Prezzo in enoteca: 50 euro

BOLGHERI ROSSO DOC BRUCIATO 2015 (TENUTA GUADO AL TASSO, ANTINORI) Prodotto da Cabernet Sauvignon (65%), Merlot (20%) e Syrah (15%). Rosso rubino scuso, con sfumature violacee: equilibrato, armonioso e avvolgente, si abbina a formaggi, zuppe, arrosti e brasati. Gli 8 mesi in barrique e i 4 in bottiglia, lo rendono intenso e morbido. Prezzo in enoteca: 16 euro

BOLGHERI ROSSO DOC POGGIO AI GINEPRI 2014 (TENUTA ARGENTIERA)

Cabernet Sauvignon (40%, Syrah 30%, Merlot 25%, Petit Verdot (5%), per un rosso che al naso esprime sentori di fiori bianchi, frutta rossa e note speziate. Rotondo in bocca, complesso, di buona struttura e persistenza, ideale per zuppe e minestre della tradizione. Prezzo in enoteca: 16 euro

BOLGHERI ROSSO SUPERIORE DOC GRATTAMACCO 2014 (COLLE MASSARI)

Un rosso formato da Cabernet Sauvignon (65%), Merlot (20%) e Sangiovese (15%). Alterna intensi sentori fruttati con note balsamiche, di macchia mediterranea e una nota affumicata sul finale. Vino di struttura, persistenza e grande armonia: si accompagna perfettamente con carni rosse come il filetto di chianina. Prezzo in enoteca: 66 euro

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E POI IL PIACERE...

L’albergo a ore? Oggi non imbarazza più

Si sono diffuse in tutte le grandi città gli hotel che affittano le camera tra le 10 e le 18, o anche tra le 18 e le 24, per coppie clandestine o (più di rado) trasvolatori in jet-lag di Marco Scotti

iete preda della passione più travolgente? Sognate un rendez-vous con l’amante e casa vostra è off-limits? Da oggi c’è una nuova soluzione, gli hotel day use. Letteralmente sarebbero gli hotel per uso diurno e sono la nuova frontiera dei cosiddetti alberghi a ore. Ma attenzione, non stiamo parlando di squallidi motel sulle provinciali dove passare qualche momento di fugace trasgressione. Piuttosto con questo termine si intendono strutture di lusso (generalmente quattro o cinque stelle) messe a disposizione durante il giorno, in orari da definire. Formalmente chi ricorre a questa soluzione lo fa per motivi di business, per poter avere un luogo confortevole in cui rilassarsi magari durante un viaggio. In realtà, la discrezione e l’attenzione con cui viene gestita la prenotazione delle camere fa presagire che lo scopo primario sia decisamente più di piacere, e meno di dovere.

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DA NORD A SUD, LE CITTÀ PIÙ RICHIESTE IN ITALIA MILANO Vi è mai capitato di rimanere bloccati per uno scalo di 10 ore? Qui potrete immergervi nel comfort tra un volo e l’altro a partire da 74 euro. TORINO Quante volte avete sognato di avere un ufficio a portata di mano durante una trasferta di lavoro? Camere e spazi attrezzati fino all’80% di sconto. BOLOGNA Perchè non abbinare una pausa durante una lunga fiera campionaria a qualche ora di relax in un Day Use Hotel con SPA con meno di 50 euro? ROMA Perchè non cedere alla tentazione di una fuga romantica diurna in una delle cornici più suggestive al mondo risparmiando fino a 150 euro?

I portali di riferimento Intanto partiamo proprio da qui: come riservare una camera durante il giorno (mediamente dalle 10 alle 18, ma gli orari possono essere modificati)? Esistono due portali - Dayuse Hotels e Daybreak - che offrono un’ampia scelta di camere. Le possibilità, infatti, sono molteplici, anche in strutture a cinque stelle. Matrimoniale? Suite? Con accesso alla spa o alla piscina? Ma perché passare attraverso i portali invece che rivolgersi al sito internet degli hotel? Perché nessun albergo offre online questi servizi e se si telefona al centralino non sempre si ottiene una risposta affermativa. A Milano, per esempio, la reception conferma senza alcun problema la possibilità di effettuare questo tipo di prenotazioni, mentre a Roma, un grande hotel a 5 stelle – forse per mantenere il proprio allure – rimanda, non senza imbarazzo, ai portali Dayuse e Daybre-


A sinistra, dall’alto verso il basso: una cena romantica sulla terrazza del Radisson Blu Es. Hotel a Roma , il giardino con piscina del Living Place a Bologna, l’ingresso dell’hotel Milanoscala, Hotel Ville sull’Arno a Firenze e la sala Lavazza del Boston Art Hotel a Torino

ak, dove sono esposti i prezzi e le tipologie di camere disponibili.

camera quanto costerebbe? 210 euro, con un risparmio del 29% circa. Per carità, niente di male. Ma forse un po’ più di trasparenza saGuida ai prezzi rebbe da apprezzare. Visto che sicuramente Ecco, qualche domanda in più è lecito farsela saremo stati sfortunati, proviamo a cambiare relativamente alle tariffe applicate dagli hotel città: a Torino un albergo a pochi passi dal per la notte o per la giornata. I portali Dayuse Museo Egizio, viene venduto a 65 euro dalle e Daybreak parlano, per un hotel in centro a 10.30 alle 18, mentre si dichiara che la notMilano, a due passi dal Duomo, di uno sconto te costerebbe 180 euro, con uno sconto del del 75% per una camera doppia “superior”: 64%. Ma sarà vero? No, non è vero. Lo sconto costerebbe 600 euro, viene via per 150 euro. c’è, ed è anche imponente: la stessa camera, Se però si va sul sito dell’albergo medesimo per la notte, verrebbe a costare 108 euro, e si prova a prenotare una notte, l’amara sorcon uno sconto del 40%. Perché questa diffepresa: la camera non costerebbe 600 euro, ma renza quando comunque si beneficia di una 202,50, con un risparriduzione particolarI PORTALI DAYUSE E DAYBREAK, mio del 26% circa. mente interessante? PER UN HOTEL IN CENTRO A MILANO 600 euro è il prezzo Forse perché, messe A DUE PASSI DAL DUOMO, della suite con salotin questo modo, le ofSEGNALANO UNO SCONTO DEL 75% tino privato… Sarà siferte sembrano meno PER UNA CAMERA DOPPIA “SUPERIOR” curamente un errore, vantaggiose e meno una svista. E invece no. Proviamo con un altro allettanti. E per chi potrebbe dover convivere hotel, questa volta dietro il Teatro alla Scala: in con qualche senso di troppo, uno sconto poco questo caso il prezzo dichiarato da Dayuse è “appetitoso” potrebbe non valere la trasgresdi 150 euro, con un risparmio del 59% rispetsione. Che il cuore, si sa, è uno zingaro. Ma il to ai 361 euro. Ma sul sito dell’hotel la stessa portafoglio è sempre fisso lì, nella tasca.

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E POI IL PIACERE MOTORI

PERCHÉ SÌ: Bellezza senza tempo, motore possente e divertimento assicurato, il tutto con grande eleganza, la tranquillità della trazione integrale e un sound che mette il sorriso

DUE IMMAGINI DELLA JAGUAR F-TYPE COUPÈ AWD CARATTERIZZATA DAL LOGO “S” E SPINTA DAL 3.0 DA 380 CV CON CAMBIO AUTOMATICO

Jaguar, divertimento a trazione integrale

La F-Type Coupé S, la prima in gamma dotata dell’AWD, è una vettura di grande fascino e potenza. Un mix di comfort e grinta senza uguali

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di Guido Casetta

na delle più belle auto dell’ultimo decennio. La Jaguar F-Type, fin dal lancio, ha conquistato il cuore degli appassionati, grazie a linee impeccabili e un gusto retrò abbinato ad uno stile moderno. Abbiamo deciso di provare per voi la più potente abbinata al 6 cilindri, caratterizzata dal logo “S” e spinta dal 3.0 da 380 cavalli, la prima in gamma dotata della trazione integrale All Wheel Drive. Linee armoniose e proporzioni studiate nei dettagli sono due ingredienti fondamentali del successo di questa vettura. La versione a quattro ruote motrici presenta alcune peculiarità, come il cofano in alluminio caratterizzato da un rigonfiamento centrale più profondo, mentre

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sui lati si trovano le nuove prese d’aria, posizionate più distanti e più avanti rispetto a quelle delle versioni a trazione posteriore. All’interno, la F-Type propone un abitacolo premium, caratterizzato da una plancia semplice, ben fatta, e arricchita dall’ottimo impianto di infotainment con schermo touchscreen da 8 pollici.

Brividi al volante L’unico motivo per smettere di ammirare le sue forme sinuose è sedersi a guidarla. La posizione di guida è pressoché perfetta, tra sterzo regolabile e una seduta molto bassa. Il 3 litri a sei cilindri, con compressore volumetrico, eroga una potenza massima di

FOTO DI: GABRIELE BOLOGNESI

380 CV e 460 Nm di coppia ed è abbinato al cambio ZF automatico a 8 marce. Questo permette alla F-Type di passare da 0 a 100 km/h in 5,1 secondi e raggiungere una velocità massima di 275 km/h. L’otto marce propone cambiate intuitive e passaggi di marcia fluidi, soprattutto in manuale, mentre il 3.0 eroga i suoi 380 CV in maniera lineare, ma diventa rabbioso quando i giri salgono, accompagnando il tutto con un sound da brividi. L’assetto è un mix di comfort e sportività, perfetto per guidare in città senza problemi ma anche sulle strade tutte curve. La trazione integrale con coppia on-demand e l’Intelligent Driveline Dynamics sono capaci di mantenere un difficile equilibrio, monitorando continuamente la distribuzione della coppia tra anteriore e posteriore. Comportamento e sensazioni di guida sono quelle di una trazione posteriore, con l’efficacia di una integrale. Il prezzo di partenza della F-Type Coupé AWD è di circa 90mila euro per la versione “S” da 380 CV con cambio automatico.


Quando la sportività incontra l’eleganza Design, spazi, performance: la Ferrari GTC4Lusso è “un’auto totale”: un’esperienza di guida unica in qualunque situazione di Federico Ferrero

È

l’ultima interpretazione della Casa di Maranello sul tema vetture in configurazione 4 posti. Si tratta della Ferrari GTC4Lusso e il suo nome richiama illustri predecessori come la 330 GTC e la 250 GT Berlinetta Lusso, che coniugavano eleganza e raffinatezza dei materiali a prestazioni estreme. Con antenate così, le aspettative non possono che essere elevate. Vediamo come va su strada la 12 cilindri del Cavallino. Il design della Ferrari GTC4Lusso reinterpreta in una chiave nuova il concetto di coupé shooting brake. Non è facile nascondere i 4.92 metri di lunghezza, ma le linee dinamiche e scolpite della fiancata spezzano la massa complessiva, trasmettendo la sensazione di un volume compatto e atletico. Al posteriore sono inseriti i fanali sdoppiati, che fanno coppia con i codini di scarico, contribuendo a rendere più poderoso e aggressivo l’insieme del posteriore, oltre a marcare la spalla e ad allargare la vettura orizzontalmente. Se parliamo di interni, la prima cosa che colpisce è la presenza del Dual Cockpit: due aree funzionali contrapposte e bilanciate dedicate al conducente (Driver Cockpit) e al passeggero (Passenger Cockpit), divise dalla parte centrale che racchiude le funzioni di comfort comuni a entrambi gli occupanti. Al centro della plancia c’è il sistema infotainment con schermo 10,25”

LA GTC4 REINTERPRETA IL CONCETTO DI COUPÉ SHOOTING BRAKE

full HD capacitivo, pensato per la massima immediatezza d’uso e per la massima fruizione dei contenuti. Sotto il cofano, a spingere la Ferrari GTC4Lusso, troviamo il V12 da 6.262 cc con 690 CV e 679 Nm di coppia massima. Le prestazioni sono da sportiva vera con la velocità massima di 335 km/h e l’accelerazione da 0 a 100 km/h in 3,4 secondi.

Uno stile che non tradisce La GTC4Lusso è la prima Ferrari ad essere equipaggiata con l’evoluzione del sistema quattro ruote motrici 4RM EVO, integrato con ruote posteriori sterzanti, funzione che abbiamo apprezzato durante il nostro test drive e che ha reso il peso dell’auto quasi inavvertibile. Uno sterzo chirurgico ci ha permesso di pennellare le curve con estrema disinvoltura, senza entrare mai in crisi. Queste doti si aggiungono ad altri componenti che fanno parte del patrimonio di Ferrari, come il differenziale autobloccante elettronico, il controllo elettronico delle

FOTO DI: ALESSANDRO ALTAVILLA

sospensioni, il velocissimo cambio Cambio F1 a doppia frizione 7 marce e il controllo della trazione F1-Trac, che regalano un’esperienza di guida unica, tipica di Ferrari. Il prezzo della Ferrari GTC4Lusso parte da 270 mila euro, soldi ben spesi. Per chi può.

PERCHÉ SÌ: Ferrari ha pensato alla GTC4Lusso come auto totale, perfetta per l’utilizzo di tutti i giorni, in grado di portarvi ovunque ed in qualsiasi condizione, spaziosa ed accogliente per 4 passeggeri, performante come una supercar e con il sound appagante di un V12 d’altri tempi. What else?

Per info: www.autoappassionati.it

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MUST HAVE

INSTAX SQUARE SQ10, la novità più attesa del 2017

Instax Square SQ10, la prima fotocamera istantanea che stampa i tuoi istanti in formato quadrato. Ideata per gli amanti della fotografia a tutto tondo e per chi ama sperimentare le novità. La SQ10 è la prima fotocamera della gamma Instax dotata del nuovo “sistema ibrido Instax”, un sensore che cattura l’immagine e una tecnologia digitale che elabora le immagini integrate con il sistema Instax esistente. Queste tecnologie migliorano la capacità della SQ10 di scattare fotografie più luminose in condizioni di scarsa luminosità e primi piani da una distanza di fino a 10 cm, con nuove funzioni come il controllo automatico dell’esposizione, la rilevazione umana, e la messa a fuoco automatica. La SQ10 è dotata di una memoria interna capace di salvare fino a 50 fotografie. Differenti modalità di scatto e filtri permettono di personalizzare ulteriormente i propri ricordi, prima e dopo lo scatto. Ha un sistema con doppio otturatore dotato di due pulsanti di scatto, uno a destra e uno a sinistra. Questo non solo permette ai mancini di premere il pulsante di scatto con la loro mano dominante, ma anche di utilizzarlo come un tasto per cambiare la modalità di scatto. Disponibile nell’unica variante colore Black. Prezzo al pubblico: 289 euro.

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SIMZXTV, la tv senza schermo Se la tv a schermo piatto è meno ingombrante rispetto ai vecchi televisori, SIM2XTV semplicemente elimina lo schermo. Come? Proiettando le immagini sulla parete, o su uno schermo. L’unico ingombro è quello dell’elegante proiettore hi-tech, un oggetto di design creato da Giorgio Revoldini con una forma contemporanea in alluminio e acciaio inox. Ma volendo si può far sparire anche quello, incassandolo in un mobile oppure nel soffitto. L’XTV è il risultato di anni di ricerca italiana, che integra capacità di progettazione, di artigianato e di ingegneria. Grazie alla tecnologia d’illuminazione laser offre alta luminosità e oltre 20.000 ore di visione. La sua lente innovativa con ottica ultra-corta consente di produrre immagini fino a 110” a pochi cm di distanza dalla parete o dallo schermo. Proprio l’utilizzo della tecnologia laser consente al display di raggiungere, quasi istantaneamente, un picco di luminosità di 2900 ANSI lumen. L’XTV dispone di tre ingressi HDMI per collegare le sorgenti video (lettore UHD BD, DVR satellite/via cavo, computer/server, console per videogiochi). Costa 14mila euro.

Huawei P10 e P10 Plus, combinazione di tecnologia Stile e tecnologia: con gli smartphone top di gamma P10 e P10 Plus Huawei rilancia la sfida al mercato italiano, il più importante del colosso cinese dopo quello, enorme, di casa. Dotati di una doppia fotocamera e di una camera frontale realizzate in collaborazione con Leica, P10 e P10 Plus presentano nuove funzionalità come il riconoscimento facciale 3D, l’illuminazione dinamica e uno zoom pensato per realizzare ritratti d’autore. Grande attenzione anche al look: grazie alla collaborazione con Pantone Color Institute, Huawei P10 è disponibile in nuovi colori di tendenza, compreso il verde Greenery considerata la nuance del 2017. Huawei spinge forte sulla fotografia insieme a Leica: la nuova doppia fotocamera da 20 + 12 MP incorpora nuove funzionalità, come il riconoscimento facciale 3D, per cogliere in modo più veloce e accurato le caratteristiche del viso con grande ricchezza di dettagli. I prezzi al pubblico: 679,90 euro per il P10 e 829,90 per il P10 Plus.

Samsung S8 e S8plus, è record Sono arrivati in Italia i Samsung Galaxy S8 e Galaxy S8+, nuovi smartphone della famiglia Galaxy molto attesi dagli appassionati. Lo dimostra l’andamento della prevendita, nella quale Samsung ha registrato risultati senza precedenti: solo per l’Italia, l’azienda ha registrato volumi superiori del 60% rispetto alle prenotazioni raccolte al lancio di S7 e S7 Edge e adesioni quasi 4 volte superiori alle campagne precedenti nei primi 3 giorni. Galaxy S8 e S8+ si presentano come modelli innovativi sia dal punto di vista del design che da quello tecnologico, e allo stesso tempo raccolgono l’eredità dei modelli precedenti nella gamma Galaxy, di cui mantengono caratteristiche molto apprezzate come resistenza ad acqua e polvere, supporto per MicroSD fino a 256GB, always on display per visualizzare ora o notifiche quando lo schermo è in standby, ricarica rapida e wireless. Hanno una fotocamera frontale da 8 MP per selfie di qualità e una posteriore Dual Pixel da 12 MP, a suo agio anche in condizioni di scarsa luminosità. Galaxy S8 e S8+ sono in vendita al prezzo di 829 e 929 euro.


A PLACE TO BE

Ginori, la storia della porcellana al Bargello Una mostra sulle statue di porcellana prodotte nella manifattura di porcellana di Sesto Fiorentino, divenuta nel 1896 Richard Ginori, la più antica in Italia e tuttora funzionante. La si può visitare al bellissimo Museo Nazionale del Bargello di Firenze dal 18 maggio al primo ottobre. Nel percorso espositivo le più importanti sculture prodotte nel primo periodo della Manifattura sono messe in dialogo con opere della collezione permanente del museo e presentate in confronti inediti con cere, terrecotte o bronzi che servirono come modello totale o parziale delle porcellane. Divisa in sei nuclei tematici, la mostra racconta quindi la storia della trasformazione di un’invenzione scultorea in una porcellana: e questo processo è analizzato attraverso ricerche originali incentrate su singoli casi studio. Dal Museo Ginori sono state gentilmente concesse le due opere più importanti dell’intera collezione: la Venere dei Medici, che riproduce la celeberrima statua della Tribuna, e il monumentale Camino, coronato dalle riduzioni delle Ore del Giorno e della Notte delle tombe medicee di Michelangelo, restaurato in occasione della mostra. Grazie alla collaborazione con l’Accademia Etrusca di Cortona, verrà esposto in mostra lo straordinario Tempietto della gloria della Toscana donato da Carlo Ginori all’Accademia, anch’esso restaurato per la mostra. Il Tempietto riassume e concentra non solo le ambizioni artistiche, ma anche quelle politiche del fondatore della Manifattura. Altre sculture sono in prestito da istituzioni italiane e straniere.

GLI INTERNI DELLA BOUTIQUE DEL BALSAMICO APERTA DA DE NIGRIS A MILANO

investimento iniziale di 5 milioni di Euro, destinati a diventare 10 con i prossimi sviluppi. Il Retail Manager nazionale Walter Moretti, figura proveniente dal mondo fashion (Hermes), si avvale di store manager selezionati dal mondo dell’Home che gestiscono le varie unità locali e i rispettivi eventi settimanali. Le Boutique propongono aceti balsamici in vari invecchiamenti, in boccette e ampolle regalo, aceti fruttati o in perle, e coinvolgono il pubblico in un’esperienza olfattiva con mosti, aceti e legni profumati. Tutto in location dal design particolarmente curato.

Aceto balsamico, ecco le boutique di De Nigris 1889 De Nigris 1889, leader nella produzione di Aceto Balsamico di Modena, sta aprendo le sue raffinate boutique monomarca in diverse location di prestigio. Dopo aver inaugurato il flagship

L’Oro di Arezzo ha (finalmente) il suo museo Un comparto che da solo vale oltre 2 miliardi di euro per Arezzo: si tratta dell’oreficeria e gioielleria, autentica eccellenza territoriale che oggi trova la sua collocazione in un museo situato nel Palazzo Fraternita dei Laici, un edificio ricco di storia realizzato tra il Trecento e il Cinquecento. Dopo il restauro terminato nel 2011, il palazzo, che ha ospitato per secoli il Tribunale, è pronto a diventare la casa dell’oro. L’accordo trovato tra Regione Toscana e Comune di Arezzo, che verseranno, rispettivamente, 660.000 euro e 740.000 euro per arrivare agli 1,4 milioni necessari per la realizzazione del progetto. Altri soldi potrebbero arrivare attraverso i Fondi Europei e la Camera di Commercio, insieme ad Arezzo Fiere e Congressi, ha già garantito un supporto economico. L’inaugurazione ufficiale è avve-

di Milano in corso Magenta, le due Boutique del Balsamico negli aeroporti di Napoli e Bologna e quella al Balsamico Village, il parco a tema creato tra Carpi e Modena, le prossime aperture saranno a Firenze, Venezia e Roma, nel centro delle città. Il piano ne prevede una decina nel giro di due anni. Per questo De Nigris 1889 ha creato una nuova business unit, con un

nuta lo scorso 6 maggio, con un testimonial d’eccezione: il presidente del Parlamento Europeo Antonio Tajani. Il progetto non riguarderà solo l’oro, anche se sarà sicuramente l’attore principale del museo: il museo si compone di dieci stanze, di cui sette saranno dedicate ai tesori della città, dalla pittura del 3-400 all’archeologia. Tre stanze, invece, saranno interamente adibite a esposizione dell’arte orafa cittadina, una sapienza che ha radici antichissime, addirittura etrusche.

COSA

Linkontro Nielsen QUANDO

18-21 maggio DOVE

Forte Village

Industria e distribuzione, viva l’agilità La profonda trasformazione del largo consumo guidata da una visione consumer-centric, che trova nella rivoluzione digitale il suo punto focale. Questo il tema dell’edizione 2017 de Linkontro Nielsen, dal titolo “Get Agile! Il nuovo imperativo dell’era della discontinuità”. Al Forte Village di Santa Margherita di Pula, in Sardegna, tra gli ospiti attesi l’economista Jean Paul Fitoussi e il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Graziano Delrio. Si parlerà del cambiamento dei paradigmi di riferimento del settore, causati da una tecnologia che sta abilitando innovazioni un tempo impensabili.Il consumatore, così, modifica continuamente i propri comportamenti.

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LE RAGIONI DEL GOSSIP a cura di Monica Setta

INDOVINA CHI VIENE A CENA SE NON HA IL PROBLEMA DEL CONTO Ci sono posti dove è un “must” esserci. La lista d’attesa può durare anche un mese. Ma c’è chi sceglie il catering riservato a casa propria CI SONO POSTI DOVE È UN MUST ESSERCI, anche se la lista d’attesa può durare oltre un mese. Come ha spiegato spesso Bernard Arnault, detto Béa, l’ineffabile patron del colosso Lvmh che ha appena inglobato la maison Dior, il lusso continua a nutrirsi, anche in tempi di crisi, di status symbol senza conoscere barriere di prezzo o di accesso. A Roma gli indirizzi top dove bisogna mettersi in coda per pranzare o cenare sono tre. Al primo posto, da quando ha riaperto i battenti oltre un mese fa, l’Hotel Eden (Dorchester collection) che è sempre sold out. Cenare nella terrazza affacciata sul verde di villa Borghese (solo 35 posti) significa opzionare un tavolo con larghissimo anticipo. Più facile, semmai, prendere un aperitivo nel roof dove, dopo il tramonto, i tavolini da cocktail si alzano di qualche centimetro diventando la “base” di un table habillè. Qui, viene servita, oltre a mille specialità di carne o pesce, anche un’ottima pizza vegana con champagne. Altro plus della capitale è il Pacifico, il ristorante del Palazzo Dama che offre, affidato allo chef Nazaev Esparza Zaragoza, già cuoco del Mayta di Dubai, un esempio di cucina peruviana-nikkei di cui è caposcuola nel mondo Jaime Pesaque. Come per il giapponese Zuma di palazzo Fendi (terzo indirizzo top nella capitale) conquistare un tavolo al Pacifico vuol dire mettersi in fila almeno due settimane prima. Ma che cosa hanno di speciale questi brand? «Sono locali per Happy few, ossia per pochissimi» spiegano i sociologi del settore come Danielle Alleres o Mauro Ferraresi che agli sviluppi attuali del concetto di status symbol ha dedicato uno dei rari libri pubblicato nel 2001 da Franco Angeli, ma ancora attualissimo. Non si ha lusso senza lo sguardo di pochi che

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presuppone l’esclusione dei molti. Ecco dunque che in questi posti non si arriva se non preceduti da una telefonata, una mail o un fax dove viene indicata a volte anche la carta di credito. «Inevitabile selezionare la clientela» dice il plenipotenziario dell’Eden Luca Virgilio a Economy «logico che l’albergo è aperto a tutti ma l’accessibilità è garantita da una prenotazione vincolante. Da quando abbiamo riaperto, la lista è lunghissima, anche perché ai

normali clienti del ristorante, del bar o della spa si sommano coloro che abitano in albergo e magari pagano mille euro per una camera». Entrare nel tempio laico del lusso romano è comunque un’esperienza forte. L’ Hotel Eden vanta marmi bianchi del Pakistan lavorati dagli artigiani di Carrara, un ristorante stellato sulla terrazza con vista mozzafiato e la spa (la prima in Europa) firmata da Sonia Darak, la guru di Leonardo

Di Caprio o Gwneth Paltrow. Progettato dall’architetto francese Bruno Moinard conta ben 39 suite che costano da 900 a 15 mila euro. La più ambita è la penthouse da 200 metri quadrati con vista sul verde di villa Borghese, maggiordomo 24h ed essenza di profumo in boccetta sul comodino da spruzzare sui cuscini prima di dormire per conciliare il sonno. Palazzo Dama & Dom, sono invece due boutique hotel progettate da Antonio Girardi che aprirà entro

fine anno un altro albergo del genere a Milano nel quadrilatero della moda. Anche qui cura dei dettagli, scenografica piscina per gli aperitivi all’aperto, perfino un club danzante. Ma le frontiere del lusso estremo non si fermano ai tre indirizzi musthave del perimetro romano che conta. I super ricchi che davvero hanno soldi da spendere non vanno neanche al ristorante. Preferiscono organizzare in

casa menú a base di ostriche & champagne affidandosi alle mani esperte di Corrado Tenace, numero uno di Oyster Oasis che fa arrivare i preziosi prodotti dall’Irlanda con voli speciali. Raffinato selezionate di ostriche, Tenace viene chiamato da big del salotto buono della finanza per banchetti riservatissimi dal costo proibitivo per i comuni mortali (una cena in 6/8 arriva a costare con i vini anche 20mila euro) oppure per cene in casa dove è obbligatoria la privacy più assoluta su identià e conversazioni. Altro filone è quello dell’home restaurant di cui a Roma è esponente di punta Alberto Colamonici che organizza dinner open house nel suo splendido appartamento di Trastevere con cucina a vista. Salottiero, amabile conversatore, Alberto apparecchia ma si ferma a cena con gli ospiti (i committenti che pagano non meno di 100 euro a cranio per degustare una pasta alla carbonara su piatti di porcellana inglese) raccontando retroscena curiosi dei piatti a lá carte. Non sono pochi i Paperoni che si affidano a questo “mercato” della ristorazione extra lusso. I nomi? Sicuramente non manca nell’elenco l’imprenditore più liquido di Roma, al secolo Francesco Gaetano Caltagirone editore del Messaggero. Proverbiale la sua riservatezza perfino in tavola. Niente ristoranti, ma solo cene homemade, vero mister Oyster Oasis?




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