Economy Dicembre 2019

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Dicembre 2019 Euro 3,50

ANNIVERSARI / I dieci anni dell’Alta Velocità, l’infrastruttura che ci ha cambiato la vita. Parla Battisti (FS)

SALTARE IL FOSSO DELL’INCERTEZZA

ECONOMY | ANNO III | N.29 | MENSILE | DICEMBRE | DATA DI USCITA IN EDICOLA: 6 DICEMBRE 2019 POSTE ITALIANE S.P.A. - SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - D.L. 353/2003 (CONVERTITO IN LEGGE 27/02/2004 N° 46) ART. 1, COMMA 1, LO/MI

Il mondo del business è in ansia. Rinvia consumi e investimenti. Ma è un errore. Ripartire si può. In che modo, lo spiega quest’inchiesta. Con le analisi di Abravanel, Baban, Fuggetta, Motterlini e molti altri

BOCCIA. «NON SIAMO UN GOVERNO-DRACULA»

PARLA IL MINISTRO DELLE REGIONI: «COSÌ RIDURREMO LE DISUGUAGLIANZE» «AFFARI SÌ, MA LECITI» Parla l’ex Pm Alfredo Robledo diventato capo d’impresa

INVESTITORI CERCANSI FRANCESCO BOCCIA

Intervista con Luigi Abete: «Spazi per le Pmi migliori»

FRANCHISING SEGRETO CONAFI, LA NUOVA VITA Le regole d’oro per scegliere l’occasione migliore da cogliere

Chiolo lancia la superpiattaforma per il recupero dei crediti

Da Harvard la retromarcia: non sempre funziona, anzi

I dieci anni di Thymos, boutique di Tesei e Latteri

STOP ALL’OPEN SPACE

ALTA FINANZA & PMI



EDITORIALE

ORA SCENDA IN PIAZZA L’ITALIA CHE INTRAPRENDE

L’

espressione inglese suona algida: “Efficiency of legal framework in settling disputes”. Tradotto, significa: “Efficienza DI SERGIO LUCIANO del quadro giuridico nella risoluzione delle controversie”. Ebbene. Sui 141 Paesi del mondo censiti dall’ultimo “Global competitiveness Report 2019” del World Economic Forum, l’Italia si colloca in questa classifica al 132° posto, appena 9 prima della fine. Una piazzamento da repubblica delle banane, con rispetto parlando. Significa che la giustizia non funziona. Capito, signor Mittal? O forse ci contava? Ha avuto poco risalto, quest’anno, la nuova edizione dell’indice di competitività più autorevole del mondo – uscita qualche settimana fa - perché miracolosamente l’Italia nell’insieme è risalita di un gradino, dal 31° posto del 2018 al 30°. Ma se si esamina con attenzione in quali ambiti siamo arretrati capiamo qualcosa in più della crisi politica, morale e psicologica – si legga la coverstory di questo numero di Economy – nella quale il Paese è oggi bloccato. Il parametro peggiore, 3 gradini ancor più giù dell’inefficienza giustiziaria, è la “flessibilità nella determinazione dei salari”. Significa

IL CORSIVO

che si guadagna quel che stabilisce il contratto di lavoro – per chi ce l’ha – e non quel che si merita. Siamo al 130° posto per tassazione sul lavoro; stessa posizione per la correlazione tra salari e produttività (ovvio, i salari sono rigidi); siamo al 126° posto nella capacità della giurisdizione di adeguarsi alle sfide regolatorie (come dire che la privacy viene regolata come se Internet non esistesse) e infatti la legge non si sa adeguare alla sfida digitale, 101° posto; siamo al 117° posto per criminalità organizzata (ovvio, la giustizia non funziona); i controlli contabili si meritano un brutto 87° posto; e all’80° per qualità di governo societario. Infine, una raffica di stroncature al sistema politico: 130° posto come visione di lungo-termine dei governi; 126° come reattività governativa al cambiamento; 124° come capacità dei governi di assicurare stabilità alle regole. Basta così, per pietà. Il declino galoppa. L’Europa non ci è amica: col 135% di debito rispetto al Pil, facciamo paura ai tedeschi e impensieriamo tutti. Quindi, il rischio che, non apprezzandoci, l’Europa ci bastoni (vedasi il caso Mes) è forte. Ma come replicare, come difendersi, se la politica italiana vagheggia di impensabili uscite dall’euro o si appella ad una sedicente elite che predica bene e poi siede nelle fondazioni dei magnati alla Soros o predica le

ABBIAMO PERSO ALTRA COMPETITIVITÀ VERSO IL MONDO COSÌ IL PAESE CHIUDE virtù del vincolo esterno, cioè l’abdicazione alla sovranità nazionale, ovvero l’eccesso opposto del sovranismo? Non è sulla politica, su questa politica, che si può contare. Chi riesce nonostante tutto a progredire e a crescere sono gli imprenditori e quelli che – dai top-manager agli operai – lavorano coesi con loro. Le speranze non devono morire, ma per sopravvivere non possono che attaccarsi a questa fascia sociale. Non perché esprima direttamente un leader: c’è bastato Berlusconi. Ma perché si faccia sentire con la politica. Senza imprese il Paese chiude. Le associazioni alzino la voce. Le sardine, senza offesa, non bastano: ci vorrebbero in piazza un po’ di pesci grossi.

NO ALLA PLASTIC TAX, OVVERO FARE L’AMBIENTALISTA CON LA CO2 DEGLI ALTRI

S

i fa presto a prendersela con i politici, anche perché sono a volte imbarazzanti nel loro agire e pietosi nel loro esprimersi. Ma è pur vero che il nostro è un Paese ormai semi-ingovernabile, per il perenne prevalere di logiche “particolari” sull’interesse generale. Prendiamo il caso della sugar tax e della plastic tax. Due sacrosanti modi per coniugare un rialzo del gettito fiscale con un intervento di educazione sociale all’uso consapevole, e quindi minore, degli imballaggi plastici – non biodegradabili – e di alimenti nocivi se abusati alla salute di grandi e piccini. Apriti cielo. S’è sollevata la “packaging valley” che usa e abusa

della plastica e non immagina di poter cambiare schemi senza saltare per aria; e i produttori di bevande dolci, che a loro volta temevano la norma come Dracula l’aglio. Morale, il governo ha fatto una mezza marcia indietro e si vedrà come finirà quando la manovra 2020 sarà legge. Ma il progetto del ministro Gualtieri - nel solco di tesi studiate dai più insigni esperti di diritto tributario, come Antonio Uricchio, membro del comitato scientifico di Economy, e molti altri - conteneva ulteriori ipotesi di “smart-tax” cioè di tasse capaci di determinare effetti sociali apprezzabili. Per esempio un incremento della tassazione degli sbarchi aerei in

Italia per incoraggiare l’utilizzo di trasporti meno inquinanti; o una tassa sullo junk-food; o ancora una maggiorazione delle tasse sui superalcolici e sul pay-out dei giochi d’azzardo legali. Le lobby si sono scatenate e hanno prevenuto queste misure, con i soliti argomenti, come ad esempio la necessità di non favorire il gioco clandestino. Ma questo fa risaltare l’ipocrisia di noi tutti – comprese le anime belle che fanno gli ambientalisti con le ciminiere degli altri – e della classe politica che blatera a vuoto sui massimi principi e poi in pratica non fa che inseguire il consenso a breve termine del suo elettorato, vero o presunto. (s.l.)

3


SOMMARIO

Dicembre 2019 013

COVER STORY

SALTARE IL FOSSO DELL’INCERTEZZA

016

RAGIONE E... PENTIMENTO

018

LA SCOPERTA DELL’ACQUA CALDA

020

SE LE DIMENSIONI NON CONTANO PIÙ

022

CHANGE MANAGEMENT

024

LUISS BUSINESS SCHOOL

013

027 GESTIRE L’IMPRESA

064

PMI E CREDITO

066

THYMOS

068

NSA PMI INDEX

Il Paese sembra bloccato. Per uscire dall’empasse, Roger Abravanel suggerisce di seguire il modello Milano Matteo Motterlini: «La non azione è una scelta» Alfonso Fuggetta: «Siamo in questa situazione da 30 anni» Alberto Baban e l’imprenditore che diventa stratega Per riuscire a cambiare davvero ci vuole più engagement Tecnologia e creatività per sopravvivere alla globalizzazione

Sono resilienti: ne meritano di più La boutique finanziaria delle Pmi La classifica dell’affidabilità

093 COMUNICARE L’IMPRESA

041 ECONOMY JOB

OPEN SPACE

Sorpresa: peggiora la produttività

REPUTATION SCIENCE

Per costruire l’immagine sul web

L’inclusività aumenta il fatturato

030

FEDERMANAGER

096

ESSELUNGA VS COOP

044

BOSCH

032

RSM-VAR GROUP

045

LABLAW

055 FINANZIARE L’IMPRESA

046

MANPOWER

048

FINDOMESTIC

Più investimenti per le imprese

058

ENDEAVOR GLOBAL

049

ENI

060

CONAFI

051

GF LEGAL

063

SEVEN CAPITAL

052

OPENJOB

Best practice per manager over 50

Nasce la partnership Var4Advisory

INTERVISTA A LUIGI ABETE

Se il fondo non ha fini di lucro

Come recuperare crediti con Iscc Rinnovabili, niente norme: è stallo

4

Le due campagne pubblicitarie

096

IL VALORE DELLA DIVERSITÀ

Impegno sociale e inclusione Lo smart working per crescere Contro le barriere della diversità Pioniera nel rispetto dei diritti Decarbonizzazione e welfare La legge sui riders ci riporta all’800 Con Family Care gestisce le badanti



SOMMARIO

Approfondimenti 071

CLASS ACTION È stata estesa alle Pmi: ecco i rischi

074 CONFPROFESSIONI Un mondo sempre più polarizzato 076

UOMINI&DENARI di Alfonso Ruffo

079

ANDAF Un pieno di cultura al congresso di Matera

082 AIFI L’azienda che brevetta fa crescere il proprio valore

071

099

STORYLEARNING

PHARMA VALLEY

102

104

PRIVATE BANKER di Ugo Bertone

088

QUI PARIGI di Giuseppe Corsentino

La metropolitana d’Italia

PLASMON

In vendita, anzi no: rilanciato con successo

110

PREMIO GAMMA DONNA

114

AGENCASA

117

COVISIAN

087

ALTA VELOCITÀ

SCARPA

CI PIACE/NON CI PIACE Affari, i promossi e i bocciati

Concorrenti alleati col contratto di rete

108

084

Da Asolo calzature tecniche da montagna Va a Sonja Blanc, ceo di Sirec Geotech Il propetch all’italiana

128

129

130

132

133

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EPIPOLI

Le carte regalo tendenza del Natale 2019

INTERFLORA

La rete di fioristi più grande del mondo

Il mensile dell’economia che cambia Direttore responsabile Sergio Luciano In redazione Marina Marinetti (caporedattore) Davide Passoni, Marco Scotti, Riccardo Venturi redazione@economymag.it Hanno collaborato Silvia Antonini, Ugo Bertone, Annalisa Caccavale, Gilda Ciaruffoli, Giuseppe Corsentino, Lorenzo Dornetti, Carlo Ferro, Giovanni Francavilla, Fabrizio Fujani, Luca Fumagalli, Fabrizio Gavelli, Giuliana Gemelli, Anna Gervasoni, Carlo Giordani, Giovanni Mariani, Matteo Musso, Franco Oppedisano, Claudio Riva, Francesco Rotondi, Alfonso Ruffo, Roberta Schira, Monica Setta, Sergio Ungaro Partnership editoriali Aifi; Assocamerestero; Confprofessioni; Federmanager; Università Carlo Cattaneo Liuc; HRCommunity; ilsussidiario.net; Consiglio nazionale consulenti del lavoro

RECROWD

Grafica e impaginazione Raffaela Jada Gobbi Liliana Nori

EASYCASSA

Per la pubblicità su questa rivista commerciale@economymag.it

Un investimento immobiliare da 500 euro Il sistema di cassa telematico di SisalPay

IN BREVE

Le new della nuova imprenditoria

E POI IL PIACERE... NATALE DI LUSSO

Segreteria di redazione Monia Manzoni Comitato scientifico Franco Tatò, Marco Gay, Anna Gervasoni, Federico Pirro, Giulio Sapelli, Antonio Uricchio Presidente e A.D. Giuseppe Caroccia

Come imbandire una tavola da gourmet

Editore incaricato Domenico Marasco

Il call center tecnologico in crescita

140

WHISKY

118

Direttore Generale Pier Carlo Barberis

120

123

SUSHI

KellyDely, il fornitore della Gdo

142

IL PAESE CHE CRESCE...

Le news dal mondo produttivo

FRANCHISING & NUOVE IMPRESE

146

LE REGOLE

Come scegliere l’offerta giusta

125

MCDONALD’S

144

MOTORI

Mercedes Classe E cabrio: Amg o no?

AUTOAPPASSIONATI

Alfa Romeo, Ford e Mercedes

LE RAGIONI DEL GOSSIP a cura di Monica Setta

Consiglieri Costantino Baldissara, Sergio Luciano Responsabile commerciale Aldo Carlo Rosina Casa editrice Economy s.r.l. Piazza Borromeo 1, 20123 Milano Tel. 02/89767777 Registrazione Tribunale di Milano n. 101 del 14/03/2017 Numero iscrizione ROC: 29993

Distribuzione

Pressdi - Via Mondadori, 1 - Segrate 02 7542097

Stampa

Stampa Rotolito. S.p.a 20063 - Cernusco sul Naviglio (MI)

Il franchising più famoso del mondo

6

Tutti i pregi di quello a stelle e strisce

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COVERSTORY

SARÒ FRANCO

ILVA, STABILIMENTO-SIMBOLO DELLA POLITICA

D

per eventuali ampliamenti a molto tempo ed esteticamente dannosa. Il ormai si scrive e vero promotore dell’iniziativa si parla dell’Ilva, di costruire un grande dei suoi problemi, di chi stabilimento nel Sud Italia, deve risolverli, di chi li ha in particolare in Puglia, fu il causati e così via, senza barese Aldo Moro, il quale che si possano vedere dichiarò poco dopo, molto le linee guida di una francamente, che il motivo di soluzione che tenga conto questa decisione era stato degli interessi del paese quello di frenare lo sviluppo e del futuro industriale del Pci nel Sud senza del sud Italia. Il fatto è riguardo all’economicità, che il megastabilimento economicità che si sarebbe di Taranto, la più grande dovuta trovare in seguito. acciaieria d’Europa, è Non solo: per questo motivo nato sbagliato, nel posto totalmente estrinseco, si è sbagliato e per i motivi distrutta una delle zone più sbagliati, senza che ve ne belle d’Italia, che avrebbe fosse una vera necessità. potuto avere L’Italia L’ACCIAIERIA FU VOLUTA sviluppi molto dell’acciaio DA ALDO MORO PER ARGINARE interessanti aveva, nel L’ASCESA DEI COMUNISTI 1965, data di IN PUGLIA. MA ANCORA OGGI e forse più nascita dello RIMANE SENZA ECONOMICITÀ consoni alla vocazione stabilimento, degli abitanti. Nessun una base industriale imprenditore avrebbe potuto sufficientemente ampia ragionare così, e infatti uno e tecnologicamente dei più interessanti sviluppi evoluta, tale da poter far dell’industria italiana fronte agli incrementi di dell’acciaio è avvenuto domanda del mercato al Nord, nel bresciano, attraverso l’ampliamento creando posti di lavoro e degli impianti e le nuove profittabilità in un territorio tecnologie senza particolari non particolarmente problemi. Il principale favorito. difetto dell’industria italiana Credo che se tirassimo dell’acciaio all’inizio degli le somme delle perdite anni ‘70, era di essere causate dallo stabilimento prevalentemente dislocata di Taranto nei suoi primi al nord, con l’eccezione vent’anni di attività, con dello stabilimento di quella cifra enorme si Bagnoli, il quale però si sarebbero potuti finanziare trovava in una località gli studi ad Oxford di tutti logisticamente sfavorevole

8

OPERAI DELL’ILVA DI TARANTO

i giovani tarantini, con benefici a lungo termine di valore inestimabile. Ma questo avrebbe contraddetto uno degli assiomi più radicati della cultura italiana, in particolare di quella meridionale, cioè che il posto di lavoro non si ottiene attraverso lo studio e la fatica della preparazione, ma attraverso raccomandazioni e favori della politica e che lo stesso posto di lavoro, anche se malpagato, non si tocca. Qualche anno dopo l’entrata in funzione dello stabilimento, di fronte alle evidenti difficoltà operative, fu siglato un accordo con Nippon Steel perché inviasse una nutrita schiera di tecnici particolarmente qualificati a Taranto per migliorarne

il funzionamento. In particolare venne assunto come amministratore delegato Hayao Nakamura. Un bravissimo ingegnere come capo delegazione. Per i giapponesi furono fatte condizioni economiche particolarmente favorevoli e si costruì un piccolo villaggio per ospitarli con asili e scuole e tutti i benefici necessari. Qualche tempo dopo mi capitò di vedere un’inchiesta televisiva sui giapponesi di Taranto, ovviamente con l’obiettivo di dimostrare come funzionasse bene questa collaborazione. In effetti erano tutti contenti, non potendo godere di condizioni simili nel loro paese. Nel finale fu intervistato Nakamura,


di Franco Tatò

ASSISTENZIALE, INCAPACE DI COMPETERE NEL MONDO anch’egli felice della sua esperienza italiana, con dichiarazioni entusiastiche sulla amabilità e allegria della popolazione, sulla bellezza dei luoghi e sull’eccellenza del cibo. Alla domanda circa le capacità lavorative dei dipendenti italiani, Nakamura rispose sorridendo che in quello c’era ancora molto da fare, lasciando intendere che non si sentiva circondato da entusiasti stakanovisti. Detto con rispetto per gli operai di Taranto, credo che oggi, cinquant’anni dopo, la situazione sia ancora

fossero particolarmente pressappoco la stessa, preparati. Mi sembra invece con l’aggravante che negli che ci troviamo di fronte a un ultimi cinquant’anni si sono gruppo di dilettanti, litigiosi accumulati errori su errori, e incompetenti, errori politici, SERVIREBBERO POLITICI ma soprattutto strategici, CAPACI E COMPETENTI: privi di manageriali. INVECE SIAMO ANCORA orientamento Nessuno invidia IN BALIA DI DILETTANTI, all’attuale LITIGIOSI E INCOMPETENTI e di visione, quindi governo che concentrati sul dibattito si trova ad affrontare una tra posizioni improvvisate situazione estremamente e inconciliabili, anziché difficile della quale non è sulla soluzione di problemi responsabile, ma questo è concreti. Emilio Riva, appunto il mestiere della un grande imprenditore politica. rovinato da una magistratura Quindi sarebbe bene irresponsabile, nel 1992 che i politici chiamati ad comprò dal Treuhandanstalt, affrontare la situazione

organismo preposto alla privatizzazione delle industrie della DDR, le grandi acciaierie di Henningsdorf, e iniziò un difficile risanamento ambientale ed economico. Di queste acciaierie non si è più parlato, se non per un trascurabile problema sindacale. E’ lo stesso Riva dell’Ilva: come mai tutto ha funzionato e continua a funzionare? Forse perché siamo nel contesto istituzionale, politico e giudiziario di un grande paese moderno, quello che noi vorremmo essere, ma non siamo.

IL CORSIVO

LA SOLIDARIETÀ DELLA NATURA TRA UOMINI E CAVALLI INFORTUNATI di Giuliana Gemelli

sofferenze create dagli enormi sforzi

età, religione, appartenenza. Accanto

cui sono sottoposti nei percorsi

ai luoghi deputati al benessere dei

n un recente

dell’endurance, la grande passione

cavalli ci sono infatti aree per il

viaggio a

degli sceicchi, che però a quelle

benessere degli umani: orti protetti

Dubai per una

latitudini non presenta i controlli e le

e produttivi, piccole scuole d’arte e di

conferenza alla

cure cui questa disciplina è sottoposta

apprendimento della cultura equestre.

American University ho avuto la

nei paesi europei.

E nell’insieme un grande rispetto,

possibilità di seguire una delle

Fortunatamente esistono sceicchi

molta umiltà, persone che sorridono.

mie passioni dominanti: l’amore

particolarmente sensibili che hanno

La guida di tutto questo è Pana, una

per i cavalli. E ho visitato un luogo

deciso di dedicare i loro possedimenti

giovane donna di origine ucraina, una

meraviglioso ai margini del deserto

al recupero dei cavalli infortunati

donna che ha fatto dell’amore per

che si trova sulla lunga strada

dopo le competizioni di endurance.

le persone e per gli animali la sua

sterrata che collega gli hotel a

Cavalli bellissimi che godono di

ragione di vita.

cinque stelle per i destrieri degli

trattamenti adeguati, box confortevoli,

Considero questa visita nel deserto

sceicchi.

aree protette da enormi tendaggi,

che vive un dono e magari anche un

Luoghi meravigliosi, pulitissimi,

zone verdi e ombreggiate. Il loro

premio inaspettato ma significativo

ombreggiati, perfettamente organizzati

ruolo, una volta rimessi in forma,

per il mio lavoro a Dubai dove non a

dove tuttavia spesso i cavalli sono

è quello di generare reciprocità

caso ho parlato di tolleranza e di

vittime di incidenti e dunque di

offrendo sostegno ai disabili di ogni

reciprocità.

I

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FRANCESCO BOCCIA E LE DISEGUAGLIANZE: «NON SIAMO UN GOVERNO-DRACULA, REDISTRIBUIREMO I PRELIEVI CHE FAREMO AI FURBASTRI CHE EVADONO» GESTIRE L’IMPRESA

Dalla Legge Quadro per l’autonomia differenziata delle Regioni, che eliminerebbe il divario tra Nord e Sud (ma non solo), alla nazionalizzazione dell’acciaio per sciogliere il nodo Ilva, passando dalle tasse “etiche” su plastica e merendine: ecco i dossier sul tavolo del ministro per gli Affari regionali e le autonomie di Marco Scotti «BASTA CON QUESTA LEGGENDA CHE SIAMO UNA SORTA DI GOVERNO “DRACULA” CHE AUMENTA LE TASSE. CI SONO TANTI FURBASTRI CHE EVADONO E IL COMPITO DELLA POLITICA È DI OPERARE UNA REDISTRIBUZIONE DEL PRELIEVO. Solo così si può abbassare la pressione fiscale. Nello specifico, introdurre una tassa sulla plastica non è sbagliata, perché le tematiche ambientali sono diventate parte integrante delle questioni nell’agenda degli italiani». Francesco Boccia, ministro per gli Affari regionali e le autonomie del Governo Conte Bis, è in carica da pochi mesi ma ha già le idee chiare su quali siano le urgenze. Se il tema Ilva rimane un gigantesco convitato di pietra sia per gli equilibri della maggioranza giallo-rossa, sia per il futuro della città di Taranto, le autonomie regionali divengono un argomento di grande rilievo per il governo. Tra istanze “separatiste” del Nord e un rapporto Svimez che fotografa in maniera impietosa le disuguaglianze tra settentrione e meridione.

Ministro, a metà ottobre si parlava di una Legge Quadro per l’autonomia differenziata delle Regioni entro fine anno: ci conferma le tempistiche? Confermato, la legge è pronta. Ho inviato la bozza alla conferenza delle regioni, aspettiamo da loro valutazioni e interventi migliorativi. Non abbiamo nessuna intenzione di perdere un minuto di tempo. Quindi dopo il passaggio con le regioni la presenteremo alle camere e contiamo di approvarla in parlamento nella sessione di bilancio. È un tema su cui si può giocare di sponda anche con forze dell’opposizione come la

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Lega? Il governatore Zaia ha bocciato la prima bozza… È mio dovere ricercare l’intesa con tutte le forze politiche così come è dovere di tutte le forze politiche non sottrarsi al confronto. Penso sia giusto lavorare insieme su meccanismi che garantiscono, attraverso l’intervento dello Stato, la perequazione automatica tra le diverse aree del Paese. Dalle infrastrutture ai servizi. Si scrive autono-

LE REGIONI LEGIFERANO TRA GLI 800 E I 900 PROVVEDIMENTI OGNI ANNO E DI QUESTI ALMENO UN CENTINAIO VENGONO POI IMPUGNATI DALLO STATO

mia, ma si legge sussidiarietà. Se diventa lotta senza quartiere alle diseguaglianze e impegno collettivo a ricucire i ritardi di sviluppo che sono presenti non solo al sud, ma anche tra nord e nord, allora avremo fatto il nostro dovere, tutti insieme. Zaia ha detto che entrerà nel merito e ci risponderà. Noi siamo in attesa dei contributi di merito. Lei ha definito questi provvedimenti una sorta di cintura di sicurezza all’interno del Titolo V della Costituzione… Esattamente. Una cintura che metta in sicurezza le aree del Paese che sono rimaste indietro. È un errore parlare soltanto delle differenze tra nord e sud: esistono tra centro città e periferie, tra aree interne e di montagna con le zone più sviluppate. Se noi mettiamo in sicurezza le aree meno sviluppate, allora dal giorno dopo possiamo partire con il firmare le prime intese con le regioni. Le trattative tra i tecnici del ministero e

le delegazioni trattanti sono riprese a ritmi serrati. Approviamo la legge quadro in parlamento e poi possiamo partire. Quali sono le principali urgenze del suo dicastero? Se guardiamo oltre l’autonomia differenziata, io ho trovato un numero spropositato di leggi regionali da impugnare. Le Regioni legiferano 800-900 provvedimenti l’anno: impugnarne da 100 a 120 l’anno non è più tollerabile. Serve un norma condivisa con le regioni per diminuire il contenzioso, rafforzando la fase preventiva. Una menzione a parte merita la tutela


&POLITICA

PENSO SIA GIUSTO LAVORARE INSIEME SU MECCANISMI CHE GARANTISCONO LA PEREQUAZIONE AUTOMATICA TRA LE DIVERSE AREE DEL PAESE delle minoranze, a partire da quelle linguistiche, molto presenti sul nostro territorio; e poi i comuni di montagna, le isole minori, i territori di confine che hanno esigenze diverse rispetto agli altri comuni e necessitano attenzione e monitoraggio costante. Avete siglato nelle scorse settimane un accordo con la Regione Sardegna da 2,1 miliardi che lei non ha esitato a definire storico: ci spieghi perché. Dopo anni di attesa per i cittadini sardi è stato un accordo storico, per questo motivo ringrazio anche il viceministro Misiani per il lavoro fatto insieme. Ha un valore ancora più importante perché in un clima politico di conflitto permanente si è solo guardato al merito e non al colore politico dei prota-

gonisti. Sarebbe stato facile prendere tem5 Stelle? po, rimandare la firma solo perché il presiSe l’esperienza rimane tale solo a livello dente della Sardegna è un esponente di uno nazionale e non diventa organica, franerà schieramento avversario, ma non sarebbe tutto. Questa non è una soluzione tampone stato corretto per i cittadini della Sardegna contro i nazionalismi emergenti che prolifeche da anni aspettavano risposte. rano non solo in Italia ma anche, ad esemC’è però un’altra regione, oltretutto pio, in Spagna. L’alternativa a una sinistra quella da cui lei proviene, che vive moinefficace, incapace di portare avanti istanmenti difficili a causa dell’affaire Ilva: ze progressiste è una destra, non i “Macron vogliamo fare un breve riassunto delle bonsai” che qualcuno vorrebbe portare in puntate precedenti? Italia. Chi non lavora per questo schieraSono stato contrario all’offerta di Arcelormento fa un favore ai sovranisti. Ma serve Mittal fin dal primo momento per ragioni inamore per portare avanti questo matrimodustriali. È agli atti la mia accesa discussionio, non basta l’interesse. E ci vuole coragne con Calenda: sono sempre stato convinto gio, cosa che mi auguro Di Maio abbia. Abche l’azienda consideri Genova e Taranto biamo tanti punti di contatto, dalla società come delle semplici “bandierine” da esibire alle tematiche ambientali, ma è necessario sullo scacchiere europeo. E ora appare tutcontinuare a remare in una direzione comuto più evidente. C’era un’altra cordata, più ne anche in Europa, unica vera casa possibiitaliana, di cui facevano parte Cdp, oltre che le per il nostro Paese. Jindal e Arvedi, che era pronta ad affrontare A proposito di tematiche ambientali, l’inil tema della decarbonizzazione, argomento troduzione di tasse come quella sulle che per Mittal è un taboo. La verità è che alla merendine o sulla plastica rischia di farvi società con sede in Lussemburgo interessaperdere consensi… vano le quote di mercato nel nostro Paese. Vorrei ricordare ai professionisti di Twitter Ora che siamo arrivati allo showdown, e degli slogan facili che se ogni giorno paqualcuno è pronto a coinvolgere qualche ghiamo insegnanti e forze dell’ordine, illualtra cordata. Basti minazione stradale LA QUESTIONE DELL’ILVA E DELLA pensare, ad eseme ospedali è grazie POSIZIONE DI MITTAL È UN TERRENO pio, ai due Matteo, al fatto che gli italiaMINATO PER LA TENUTA DI QUESTA Salvini e Renzi… ni perbene pagano MAGGIORANZA DI GOVERNO I politici devono fare tanto. Per ridurre la le leggi, strumenti efficaci che abbiamo, ma pressione fiscale è evidente che bisogna che che non stiamo impiegando. ArcelorMittal, tutti si impegnino, furbastri compresi. Non con un atto unilaterale, ha fregato la Resiamo Dracula, ma chi non versa le impopubblica italiana non volendo rispettare un ste approfitta di servizi che pagano gli altri. contratto firmato 18 mesi fa. Questa è una Non è normale e non è giusto. Poi, siccome cosa inaccettabile. Ne va della credibilità del siamo entrati in un’altra fase della dimennostro Paese e bisogna per forza reagire. sione sociale e, in ultima analisi, dell’umaniParla di nazionalizzazione dell’acciaio? tà, che porta le istanze ecologiche ad avere E perché no? Stiamo parlando della produun peso, è bene iniziare a puntualizzare alzione di un materiale fondamentale per tancuni argomenti fondamentali: facendo una te industrie. Quando il mercato fallisce tocca media aritmetica, ogni anno ognuno di noi allo Stato, indipendentemente dal fatto che produce 7,4 tonnellate di anidride carboquesto significhi rilevare una quota del 10 nica. Ma è, appunto, una media: c’è chi ne o del 100%. produce tantissima e chi per nulla. Tassare L’Ilva è anche un terreno minato per la prodotti che sono riconosciuti come inquitenuta della maggioranza: come va con i nanti non è una cattiva idea, anzi.

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COVERSTORY

L'ITALIA È BLOCCATA DALL'INCERTEZZA L'ANTIDOTO? IL «MODELLO MILANO» Non si può dire che il nostro Paese sia in crisi. Ma affermare che sia in salute sarebbe altrettanto errato. Tutto mostra che ci troviamo in una fase transitoria. Ecco come guarire secondo quattro "medici" d'eccezione di Marco Scotti

16 L'INTERVISTA/ 1 MOTTERLINI: IN ECONOMIA NON SEMPRE VINCE CHI FUGGE

18 L'INTERVISTA/ 2 FUGGETTA: MA QUALE INCERTEZZA, STIAMO RISCOPRENDO L'ACQUA CALDA

20 L'INTERVISTA/ 3 BABAN: L'IMPRENDITORE IMPARI A ESSERE UNO STRATEGA

22 CHANGE MANAGEMENT PER CAMBIARE SERVE UNA FORTE CAPACITÀ DI COINVOLGIMENTO

24 L'ELISIR DI LUNGA VITA L'80% DELLE AZIENDE NATE PRIMA DEL 1980 NON C'È PIÙ. COME RESISTERE?

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l paziente è malato. Forse non anche essere mortiferi. La produzione indumolto, ma c’è qualcosa che non va. striale cala del 2,1% su base annua: meglio Il suo nome? Futuro. della brusca frenata che ha subìto l’econoIl futuro economico sembra svogliato, fermia tedesca, il principale interlocutore delmo, depresso. Non è più lo stesso di prima. la nostra manifattura. È vero, il settore dei Ha perso il suo proverbiale ottimismo, ha camion è tracollato, facendo registrare quasi smesso di credere che tutto andrà per il il 10% in meno di immatricolazioni rispetto meglio. I sintomi sono molteplici: prima di all’anno passato. Ma anche qui è abbastanza tutto, nella sola Eufacile trovare il reropa, sono rimasti I CONTI CORRENTI EUROPEI SONO PIENI sponsabile: il giro di DI LIQUIDITÀ. LA PRODUZIONE parcheggiati 10.000 vite, che l’Europa ha INDUSTRIALE È FERMA COSÌ COME miliardi di euro sui deciso di dare contro IL NUMERO DI AZIENDE. E QUINDI? conti correnti. La il diesel, si sta in quesola Germania “flirta” con i 3.000, mentre il sto momento traducendo nella difficoltà da nostro Paese, per non farsi mancare nulla, parte degli imprenditori di capire che cosa paralizza in banca poco meno del prodotto fare con la propria flotta. Se il gasolio – aninterno lordo. che quello più green – verrà definitivamente Ma è fondato tutto questo pessimismo, tutta messo in cantina, allora bisognerà tornare quest'ansia da futuro? alla benzina, o puntare su un elettrico che Fermandoci all’Italia, ci sono tanti dati che però stenta a decollare. O, ancora, attendere non tornano ma che però non sembrano neche altri combustibili (idrogeno? metano?)

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Roger Abravanel, saggista e consulente, è stato a capo della divisione italiana di McKinsey

spicchino il volo. Ma proprio i dubbi sull’alimentazione del futuro stanno paralizzando il comparto: sicuri sicuri che la risposta giusta sia l’elettrico? E allora perché Mercedes – e in genere i tedeschi difficilmente sbagliano – ha deciso di tagliare di un miliardo le dotazioni consegnate alla divisione che sperimenta l’e-mobility? Ancora altri sintomi: il numero complessivo di aziende negli ultimi 6 anni è cresciuto di poco più di 52.000 unità. Un dato positivo o negativo? Più che altro fisiologico: chi non riesce a reggere chiude, chi ha velleità imprenditoriale apre e, nel frattempo, aumentando il numero di stranieri nel nostro Paese, sono loro a dare un minimo di “brio” a una nati-mortalità delle imprese che altrimenti sarebbe ferma. Perché una crescita di poco più di 8.000 aziende all’anno è decisamente poca cosa. Ma non è neanche un sintomo da allarme rosso come accadeva ai tempi della grande crisi finanziaria tra il 2008 e il 2011. E quindi qual è la diagnosi?

ABBIAMO SMESSO DI CRESCERE 50 ANNI FA. CI PUÒ SALVARE LA MERITOCRAZIA Economy ha voluto confrontarsi con quattro “dottori” d’eccellenza: in rigoroso ordine alfabetico, Roger Abravanel, decano della consulenza in Italia e paladino del merito; Alfonso Fuggetta, ceo e direttore scientifico del Cefriel; Matteo Motterlini, filosofo ed economista; e Ivan Ortenzi, chief innovation evangelist di Bip. A loro abbiamo chiesto la diagnosi e tutti hanno convenuto su un nome: l’incertezza. Un termine che non è necessariamente negativo, tant’è che perfino un uomo non esattamente ottimista come Giacomo Leopardi aveva avuto parole dolci per essa: “Il forse è la parola più bella

«In azienda diamo ascolto ad irrequieti e sognatori»

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a prima cosa da dire è che il tradizionale modello Vuca, che certifica volatilità, incertezza, complessità e ambiguità, deve essere mandato in soffitta. Al suo posto oggi c’è il Rica, ovvero un modello Redistribuito, Ibrido, Coordinato, Aumentato». Ivan Ortenzi, chief innovation evangelist della società di consulenza Bip, non sembra particolarmente allarmato dall’incertezza. Piuttosto, da consulente con una fortissima vocazione innovativa,

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preme per rivedere i modelli di business che sono ormai obsoleti. Ortenzi, che cosa ci può dire dell’attuale mondo in cui viviamo? Che viviamo in un periodo di incertezze perché stanno cambiando le regole, stiamo passando da un concetto di trasformazione a uno di metamorfosi che ci impone di ridefinire le catene del valore. Un tempo eravamo preoccupati per il passato, nel senso

del vocabolario italiano, perché apre delle possibilità, non certezze… Perché non cerca la fine, ma va verso l’infinito”. Due secoli dopo, le cose sono un po’ cambiate. Ad, esempio, come ci ricorda Fuggetta, perché «la nostra incertezza ha un’origine lontana: solo che noi non ci siamo accorti dei cambiamenti epocali che si stavano verificando intorno a noi». Oppure c’è chi – come Motterlini - tende a ricordare che l’incertezza può tradursi in immobilismo, che nei mercati finanziari è però già di per sé una scelta. O, ancora c’è chi come Abravanel invoca il rispetto delle regole e la certezche non sapevamo quando si sarebbero verificate le medesime condizioni di prima. Oggi è il futuro a essere complesso anche solo da immaginare perché non reggono più i vecchi modelli previsionali. E qui entra in gioco il suo Rica: di che cosa si tratta? Significa, al di là delle sigle, che cambia tutto, profondamente. Non ci sono più solo persone da gestire, ma algoritmi e robot da coordinare con gli esseri umani. E ci sono nuove possibilità che prima non immaginavamo neanche. Ad esempio? Uber Eats sta facendo qualcosa di molto interessante con i ristoranti: suggerisce


L'INCERTEZZA

za del merito. E infine c’è Ortenzi, che trova come antidoto all’insicurezza l’irrequietezza e il ribaltamento dei modelli di business fin qui acclarati. A loro quattro il compito di trovare una cura, partendo da una scrupolosa analisi dei fatti e della condizione del paziente. A noi – immodestamente – di redigere il proverbiale bugiardino. «L’incertezza – ci spiega Roger Abravanel - è data dal fatto che non c’è un sistema di regole certo: non si capisce se si vince per merito o perché è successo qualcosa di poco chiaro. Nel mondo anglosassone non trionfano tutti, ma chi perde accetta la sconfitta perché sa che è avvenuta nel rispetto delle regole. Da noi questa cosa non esiste e il sistema delle imprese è vittima dal 1970 di familismo e inciuci. Ma davvero crediamo ancora alla favola che la nostra economia si è fermata con l’avvento dell’euro o, ancora più tardi con la grande crisi finanziaria? L’Italia è ferma da quasi 50 anni, dalla fine di quel boom che ci aveva dato una crescita robusta e un debito sostenibile. Neloro quali pietanze proporre in base alle ricerche fatte nella zona in cui si trovano. Fai sushi ma dalle tue parti è molto richiesto anche il pokè? Fallo! Così ci poniamo nella condizione di capire quali saranno le nuove regole. La digital transformation è una condizione necessaria ma non più sufficiente. Lei ha parlato spesso di irrequieti come antidoto al declino delle aziende... L’irrequieto è in grado di mettere in discussione le vecchie regole e, al contempo, di crearne di nuove per il suo comfort. Fino ad ora ci siamo attenuti a delle norme perché autorevoli. Ma oggi non è più percepito il vantaggio di uno status quo ed ecco che entrano

gli anni successivi, fino alla fine del millennio scorso, abbiamo sì fatto salire il pil, ma con il deficit. Basta pensare che il rapporto debito/ pil è passato dal 25-30% al 100% a causa di riforme che hanno drogato l’Italia e gli italiani. Nel 1992 abbiamo avuto una prima battuta d’arresto e, da lì, è stato tutto un rincorrersi di spese pazze, sia con Prodi che con Berlusconi. Abbiamo perso 30 punti di pil, se paragonati agli altri Paesi». «SE VOGLIAMO RIPARTIRE DOBBIAMO PER FORZA PUNTARE SU UNA CULTURA MERITOCRATICA VOTATA A PREMIARE I MIGLIORI»

La diagnosi dell’ex numero uno di McKinsey in Italia è impietosa e non lascia grande spazio all’immaginazione. Eppure, anche in uno scenario a tinte così fosche, c’è spazio per due possibili cure a questa incertezza perdurante. In primo luogo è necessario puntare su merito e regole certe. «Finora – prosegue – abbiamo fatto finta che si potesse proseguire così. Ma se

IVAN ORTENZI, CHIEF INNOVATION EVANGELIST DI BIP

in scena gli irrequieti. Non bisogna pensare a dei destabilizzatori, ma anzi, in ultima analisi, minano l’incertezza dell’azienda e la aiutano a creare nuovi modelli di business. Anche perché mentre le aziende più grandi hanno avviato una trasformazione completa,

vogliamo ripartire dobbiamo per forza puntare su una cultura meritocratica in cui il capitale umano viene usato al meglio. La meritocrazia è competizione e selezione: i migliori vanno nelle migliori università e occupano i migliori posti di lavoro. L’incertezza si vince anche sfatando falsi miti: abbiamo la spesa pubblica più bassa d’Europa e non è vero che il Nord mantiene il Sud. L’altra ricetta fondamentale riguarda l’esempio da seguire: è Milano, senza ombra di dubbio. Perché attrae talenti, perché riesce a far arrivare le grandi multinazionali così come la finanza. Ha un sistema universitario d’eccellenza e ha la facies della grande città. Altro che distretti: bisogna abbandonare queste idee e puntare sull’economia. Il futuro è di una città come Milano, dove le regole funzionano e si riescono ad attrarre i talenti». Non si tratta di un revanscismo della vecchia Lega nordista, ma piuttosto del tentativo di incoronare un modello vincente come vero baluardo contro la paura del futuro. Facile a dirsi, ma perché non provarci? i piccoli arrancano e hanno bisogno di una svolta. Un’altra parola che ricorre spesso nei suoi scritti è “sognare”. Si riesce ancora a farlo? Abbiamo perso questa capacità e le aziende sostituiscono questa parola con “purpose”, proposito. Oggi anche quando si fa selezione del personale non gli si prefigura più uno scenario onirico, ma gli si racconta l’obiettivo che si vuole raggiungere, unendo il sogno alle competenze e agli asset aziendali. Si tratta di una modalità più “concreta” di prefigurare il futuro, in un momento in cui l’incertezza ha minato qualsiasi certezza.

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semmai un suo lento ma inesorabile "scolorimento"… Sicuramente viviamo un periodo di incertezza, un sentimento che si riverbera in primis sulle nostre decisioni e, a cascata sull’intera economia. Quello che ci insegna la neuroeconomia è che l’incertezza proprio non ci piace. Per il nostro cervello vivere nell’incertezza è un po’ come stare all’infermo. È una sensazione “corporea” di disagio.

Ragione e... pentimento Così affrontiamo il rischio Gli imprenditori, dice il «neuro-economista» Matteo Motterlini, non capiscono che cosa sta succedendo perché le politiche economiche messe in atto dai diversi governi non sono mai state di ampio respiro

«LA VERITÀ È CHE ODIAMO L’INCERTEZZA ANCORA PIÙ DEL RISCHIO. E DI FRONTE A UNA SITUAZIONE COME UN INVESTIMENTO FINANZIARIO, PREFERIAMO NON AGIRE, SCEGLIAMO LA NON AZIONE. Ma decidere di non decide-

re è già di per sé una decisione, una presa di posizione». Matteo Motterlini – filosofo ed economista, professore all’Università San Raffaele, un curriculum pieno di altre esperienze compresa quella di collaboratore per il Corriere della Sera – prova a spiegare le tecniche e le metodologie con cui l’incertezza, forse il sentimento più “paralizzante” per l’essere umano, ci impedisca di muoverci in qualsiasi direzione. Ammonendo:

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Entrano in gioco anche componenti emozionali, quindi… Esattamente. Quando non conosciamo la probabilità degli eventi attiviamo delle aree emotive, e non le facoltà razionali che ci permetterebbero di calcolare le probabilità in maniera asettica come vorrebbe la teoria economica tradizionale. Non solo, ma quando ci troviamo di fronte a guadagni e perdite, cambiamo completamente percezione. Se la probabilità di ottenere o di veder scomparire 10 euro è la stessa, secondo la psicoeconomia le perdite pesano molto di più dei guadagni. E la responsabile di questo comportamento irrazionale è l’amigdala (un complesso nucleare situato nel cervello che gestisce le emozioni e, in particolar modo, la paura, ndr).

Partiamo dal principio: che differenza c’è tra rischio e incertezza? Per la disciplina economica sono due con«In economia restare fermi è anch’essa necetti molto diversi. L’incertezza si ha quancessariamente una scelta». E questo perché do non si è neanche in grado di misurare l'incertezza va di pari passo con un attegle probabilità di successo o insuccesso. Il giamento irrazionale ma molto "umano": rischio, invece, permette almeno di fotogratendiamo a pentirci molto più facilmente di fare i perimetri. Noi esseri umani odiamo aver compiuto un'al’incertezza ancora MENTRE IL RISCHIO CONSENTE zione piuttosto che di più del rischio e spesDI CALCOLARE LE PROBABILITÀ essere rimasti fermi. so, di fronte a situaDI SUCCESSO, L'INCERTEZZA NO. E NOI zioni di questo tipo, UMANI TEMIAMO QUESTO SCENARIO Professore, viviamo preferiamo non agire. un’epoca di grande incertezza che non ha Scegliamo la non azione. Il che si traduce, in le caratteristiche “apocalittiche” dei peeconomia, nell’intenzione di non investire, riodi di crisi ma, piuttosto, la sensazione di di tenere i soldi sul conto corrente. Le azienuna perenne palude in cui diviene difficile de scelgono di non rivolgersi agli istituti di muoversi. Nessun tracollo dell’ambiente, credito per ottenere denaro in prestito.


L'INCERTEZZA

Quindi questo momento di incertezza che stiamo vivendo è una sorta di paralisi che ci blocca e ci rende totalmente immobili? Precisamente. Incertezza è sinonimo, in questo caso, di paralisi, di preservare lo status quo. Decido di non decidere. Ma sui mercati economico-finanziari, non scegliere è già di per sé una precisa presa di posizione.

Qual è la ratio che sta dietro a questo comportamento? Che l’animo umano tende a pentirsi molto più degli atti di azione che di quelli di omissione. Se investi in qualcosa e il titolo crolla si rimpiange molto di più che se si dovesse decidere di non puntare su un’azione che si rivela in futuro particolarmente interessante. Ma rimpiangere di quanto abbiamo deciso di fare rispetto a quello che abbiamo deciso di non fare fatto non ha nulla di razionale. Tutto questo si riverbera anche nelle intenzioni di acquisto di prodotti? Naturalmente. Ad esempio perché andiamo ad acquistare un’assicurazione sulla casa o contro il furto dell’auto, il che fa di noi degli individui razionali verso la paura di perdere qualcosa a cui teniamo. Ma poi corriamo a comprare i gratta e vinci o i biglietti di qual-

MATTEO MOTTERLINI, FILOSOFO ED ECONOMISTA

che lotteria, dove le probabilità di vittoria sono infinitesimali. Questo perché diamo un peso enorme alla quantità di denaro che si può vincere e uno piccolissimo alla probabilità di ottenerlo. È come se l’ammontare di guadagno fosse nella stanza mentre la possibilità di ottenerlo fosse fuori dalla finestra. Di fronte a una scommessa dovremmo calcolare il valore atteso, ma il nostro cervello non lo fa. Si concentra invece sull’illusione della grossa vincita.

Ma il cigno nero esiste? Sì certo, ed è proprio per questo che ci coglie impreparati, perché tendiamo a pensare che non possa arrivare. Un altro tema interessante che riguarda il nostro cervello è la cosiddetta “projection bias” (ovvero un pregiudizio di percezione, ndr). Significa che tendiamo ad assumere che il futuro continuerà ad assomigliare al presente. E questo riguarda qualsiasi tipo di scenario: gusti, investimenti, economia e via dicendo. I giorni, i mesi, gli anni a venire dovranno necessariamente assomigliare al presente. Se il pil non cresce, viene spontaneo immaginare che continuerà a non farlo. Ma in realtà il futuro non si prevede e molto spesso ci sorprende, nel bene e nel male..

ACQUISTIAMO ASSICURAZIONI IN MODO RAZIONALE MA POI CORRIAMO A COMPRARE I GRATTA E VINCI

E quindi, ora che il pil è fermo, viene naturale pensare che sarà sempre così ed è per questo che si sta immobili. Che cosa possono fare allora le istituzioni? Penso che in questo momento gli imprenditori siano davvero preoccupati anche perché non riescono a comprendere la ratio che muove la politica. Continuiamo a mettere in piedi finanziarie rattoppate, abbiamo impiegato 16 miliardi per sterilizzare l’aumento dell’Iva, ma abbiamo una totale incertezza (la parola ricorre) su quello che succederà. NEGLI USA C'È UNA FORTE SPINTA INNOVATIVA, C'È UNA GRANDE CULTURA DEL FALLIMENTO. PER QUESTO SI RESPIRA UN'ATMOSFERA DIVERSA

Mi pare di capire che la politica non la stia soddisfacendo granché… Gli imprenditori hanno bisogno di certezze. Negli Usa, dove c’è una fortissima spinta innovativa, parlano di “cheap small experiment”, ovvero di progetti a basso costo che hanno probabilità di fallire ma che indicano la direzione da seguire, quali scelte fare, come comportarsi. Se si va negli Stati Uniti – e questo non per voler sempre rinverdire il sogno americano – si respira un’altra atmosfera. È vero, hanno Trump e questo destabilizza un po’ perché è molto imprevedibile. Ma si respira un clima di fiducia e di ottimismo. Keynes parlava di “animal spirit”, spirito animale, collegato all’atteggiamento degli imprenditori. Come far cambiare le cose? Per quanto concerne l’azione politica ed economica, bisognerebbe riuscire a fare quanto Draghi fece per l’Europa, togliendo di torno questa sensazione di totale incertezza sul futuro. Serve un’azione rassicurante, che rilanci i giovani, che dia più respiro al nostro Paese. Le cose non vanno male, i conti funzionano. Eppure permane una paura continua del futuro. Serve davvero rilanciare la fiducia. (m.s.)

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Lo scenario è cambiato? È la scoperta dell'acqua calda È il primo browser, nel lontano 1994, ad aver rivoluzionato il modello di impresa. Peccato che ce ne stiamo accorgendo solo ora. Intervista ad Alfonso Fuggetta, ceo del Cefriel del Politecnico di Milano «CONTINUIAMO A PARLARE DI INCERTEZ-

ciso di noi? Negli impianti industriali, e glielo dico da figlio di un operaio di sabbiera, ci sono DELLO VUCA (VOLATILITY, UNCERTAINTY, condizioni di lavoro insalubri. Nelle catene di COMPLEXITY, AMBIGUITY) CHE USIAMO PER montaggio il lavoro è ripetitivo, ma anche nelle DEFINIRE LA COMPLESSITÀ DEGLI AMBIENTI filiali delle banche. DI LAVORO IN CUI CI TROVIAMO A OPERARE AI Quindi, la risposta è sì, siamo a rischio… NOSTRI GIORNI? Al 1987! Forse la verità è che Certo che lo siamo, ma non vedo un grande stiamo reagendo male, stiamo riscoprendo problema se si riuscirà a non perdere di vista l’acqua calda, siamo arrivati clamorosamente la transizione, che non si gestisce difendendo in ritardo considerando novità accadimenti i lavori vecchi, ma aiutando lavoratori a reindiche non lo erano affatto». Alfonso Fuggetta, rizzarsi. È un problema di politica industriale. ceo e direttore scientifico del Cefriel, il centro Però non si può neanche pensare di “condi innovazione digitale del Politecnico di Milavincere” un dipendente a reinventarsi, speno, prova a giocare il cie se non più giovaÈ VERO, CON L'AVVENTO DEI ROBOT ruolo di pompiere in nissimo… CI SONO POSTI DI LAVORO CHE un momento in cui “le SPARIRANNO, MA SI TRATTA DI IMPIEGHI No, certo. E infatti qui macchine” hanno auentra in gioco un’altra A BASSISSIMO VALORE AGGIUNTO mentato la percezione “gamba” della discusdi instabilità degli italiani. Il timore, neanche sione. Una precondizione è che si crei un tessutroppo velato, è che possano soppiantare la to industriale più robusto. Se abbiamo soltanto maggior parte dei lavoratori. aziende microscopiche, ogni discorso si fa più Professore, siamo a rischio sostituzione? complicato. Se invece si riesce a incentivare Secondo me l’approccio è sbagliato. È vero, ci meccanismi di aggregazione, il volume magsono posti di lavoro che potrebbero sparire. giore consente di sostenere gli investimenti C’è chi dice che siano molti, c’è chi sostiene necessari a reinventarsi. Serve un lavoro di che saranno pochi. Non è questo il punto: è concerto di tutti per capire quali siano gli struche si tratta di impieghi a bassissimo valore menti che possano aiutare le imprese. Non si aggiunto. E mi è oscuro il motivo per cui non può soltanto avviare crisi aziendali. siano spariti prima. Perché dover raccogliere E gli imprenditori come dovrebbero comall’alba i pomodori quando ci sono macchine portarsi? che possono farlo in modo più veloce e più prePer loro la tecnologia è da una parte un rischio ZA, MA LEI LO SA A QUANDO RISALE IL MO-

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ALFONSO FUGGETTA

e dall’altra un’opportunità. Se i titolari l’hanno impiegata come valore aggiunto, hanno sicuramente ottenuto dei benefici. Ma la tecnologia è una commodity? Ma nemmeno per idea! E considerarla tale è una iattura, perché vuol dire banalizzare il concetto. Certo che un pc o una linea internet lo sono, ma le competenze tecnologiche sono un asset fondamentale. Sminuirle, invece, si traduce in una pressione sui salari e sulle carriere dei giovani. Ecco, i giovani: che cosa si può fare per rendere il loro futuro meno incerto? Prima di tutto bisogna convincerli a studiare le cose giuste. Non significa che d’ora in poi potremo fare a meno delle discipline umanistiche, ma che possiamo ribilanciare l’iscrizione agli atenei “classici” con quelli delle discipline Stem. Senza dimenticare gli Its, gli Istituti tecnici superiori che garantiscono un’alta specializzazione. Sono i robot che hanno cambiato lo scenario e accresciuto il senso di inadeguatezza? A mio parere decisamente no. Penso che sia stato il pc (nel 1982). O, meglio ancora, il primo browser messo in circolazione nel 1994, Mosaic, che ha dato il via a un mondo interconnesso. Quello che stiamo facendo è un po’ miope: ci stiamo accorgendo solo ora, con tutti gli allarmi del caso, che lo scenario è cambiato. Ma siamo tanto in ritardo. (m. s.)



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L'IMPRENDITORE? DA ORGANIZZATORE A STRATEGA La visione di Alberto Baban, già numero uno di Piccola Industria, che oggi presiede Venetwork, un network di imprenditori impegnato nell'acquisizione e sviluppo di realtà ad alto potenziale di Riccardo Venturi NON PIÙ SOLO UN ORGANIZZATORE, MA UNO STRATEGA CHE SA INDAGARE LA DIREZIONE DI UN MERCATO IN CONTINUA TRASFORMAZIONE: UNA CAPACITÀ CHE È POSSIBILE ACQUISIRE A PATTO DI NON LIMITARSI ALLA PROPRIA SPECIALIZZAZIONE, MA AL CONTRARIO CONTAMINANDO LE PROPRIE CONOSCENZE CON QUELLE DI SETTORI E AMBIENTI DIVERSI. È l’evoluzione richiesta

all’imprenditore per affrontare i marosi di un sistema economico sempre più caratterizzato dall’incertezza: parola di Alberto Baban (nella foto), presidente e fondatore di Venetwork Spa, un network di imprenditori impegnato nell’acquisizione e sviluppo di realtà imprenditoriali ad alto potenziale, già presidente Piccola Industria di Confindustria. «Non bisogna farsi distrarre dall’idea sbagliata che il cambiamento sia distruttivo, generazione volta a migliorare la produttie si deve riuscire a interpretare realmente vità, che porta a una trasformazione della la fabbrica del futuro, che crescerà in un dinamica di produzione sia nel B2b sia nel ambiente ecosistemico funzionante, cosa B2c. L’altro è quello della relazione con il diversa dai distretti specializzati e vertimercato, e quindi con il cliente: si pensi all’ecali. Le dimensioni dell’azienda conteranvoluzione dell’e-commerce, per esempio sul no poco, abbiamo la fortuna di avete tante modello di Amazon, che spinge a chiedersi aziende che possono come si costruisce il CI SONO DUE MACRO-CAMBIAMENTI ambire a una forte cambiamento in reIN ATTO: IL PRIMO È TECNOLOGICO, crescita» dice Baban. lazione alla propria IL SECONDO RIGUARDA LA RELAZIONE posizione sul mercaCON IL MERCATO E CON I CLIENTI In presenza di una to, e qual è il nuovo prospettiva delineata, anche per un’azienmodello di marketing. Questi 2 macro-camda cambiare è difficile eppure possibile. Ma biamenti spesso si sovrappongono, a volte quando c’è incertezza senza una prospetcon una diversa tempistica. tiva chiara, ovvero nella situazione attuale, Ci fa un esempio? come si fa? Nella moda l’evoluzione tecnologica della Prima di tutto si deve definire cos’è il camconfezione del prodotto ha sicuramente biamento. Ci sono due macro-cambiamenti avuto un avanzamento, ma non così inin atto: il primo è quello tecnologico, con cidente come è accaduto in altri settori, l’implementazione di macchinari di nuova come la meccatronica nell’automotive. Ma

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NON BISOGNA FARSI DISTRARRE DALL'IDEA SBAGLIATA CHE IL CAMBIAMENTO SIA DISTRUTTIVO la relazione con il cliente invece è incredibilmente cambiata, perché l’e-commerce ha completamente sconvolto la modalità tipica di costruzione del rapporto tra produttore e consumatore. Comprare, e quindi vendere, da un portale è del tutto diverso rispetto a farlo in un negozio. In alcuni settori, poi, entrambi i macro-cambiamenti sono brutali, come proprio nell’automotive. Alle trasformazioni della meccatronica infatti si aggiunge il cambiamento del modello di business dovuto alle nuove scelte del consumatore. Quel che si è imparato in cento anni, con la preminenza della prestazione motoristica, è stato messo in discussione dalla richiesta crescente di auto poco inquinanti, e dall’avvento del car sharing, che cambia il rapporto con il cliente. Siamo in un’epoca dove non conta il possesso ma l’utilizzo, questo per un’azienda produttrice cambia radicalmente il modello di business.


L'INCERTEZZA

Come agire dunque di fronte a un’esigenza di cambiamento così potente? Le imprese italiane hanno sempre avuto un’ossessione per la qualità del prodotto. Abbiamo creato prodotti originali conosciuti in tutto il mondo, per questo c’è stata un’esaltazione dell’abilità della nostra manifattura. Ma oggi se ti focalizzi solo sul prodotto e costruisci qualcosa che il mercato non vuole o fuori dai tempi, sei spacciato. Il mestiere dell’imprenditore ha subito un cambiamento repentino. Oggi ci vuole molta competenza sul mercato, la capacità di indagarlo e quindi di essere previdenti rispetto ai suoi continui mutamenti. Anche perché l’accesso ai mercati cambia con una rapidità estrema. Si pensi ai dazi introdotti dagli Stati Uniti e alla Brexit, componenti imprevedibili di carattere politico. Tu puoi costruire un’alleanza in un mercato per conquistarlo con le tue reti distributive, poi il mercato ti sparisce da un giorno all’altro e non dipende da te, dalla tua capacità di proposta, ma da situazioni che non potevi prevedere. Come si potrebbe definire il nuovo ruolo dell’imprenditore? Oggi l’imprenditore è uno stratega, molto più di un tempo. Prima vestiva i panni dell’organizzatore, del capofabbrica: lo dico con un’accezione positiva, non dispregiativa, mi riferisco all’attenzione ossessiva al metodo produttivo e alla sua implementazione. Ma oggi si alimenta l’idea che sia necessario studiare i possibili trend, non per forza essere futurologi ma cercare di capire per tempo cosa succederà per cosrtuire una strategia. E poi c’è un’altra caratteristica fondamentale che oggi dev’essere propria di un imprenditore. Quale? Non può più permettersi di non saper leggere un bilancio, deve conoscere qualcosa in materia di finanza perché nell’idea della costruzione del cambiamento rientra anche un approccio ai finanziamenti totalmente cambiato. Noi che siamo bancocentrici da sempre abbiamo scoperto che c’è un accesso alla finanza diverso, che può dare

un’accelerazione molto più importante. Mi riferisco alla finanza di accompagnamento, al finanziamento da parte di fondi e altri investitori. In un’epoca di interessi globali e di tassi d’interesse zero è evidente che le proposte ci sono e favoriscono le aziende, che sono l’economia reale sulla quale poter puntare in modo solido, mentre sul mercato della finanza continua l’incertezza. A quale tipo di incertezza finanziaria si riferisce? Faccio un esempio: in questo momento in Europa il Pil tende allo zero, non è più un problema solo italiano, accade anche in Germania e agli altri cugini d’oltralpe. Eppure quest’anno mediamente il guadagno finanziario di prodotti complessi che scommettono su se stessi sfiora guadagni record del 10%. Qualcuno mi spiega il motivo per il quale la finanza guadagna così tanto e l’economia reale non cresce? È una finanza sleIERI L'IMPRENDITORE VESTIVA I PANNI DELL'ORGANIZZATORE. OGGI È UNO STRATEGA CHE NON PUÒ PERMETTERSI DI NON SAPER LEGGERE UN BILANCIO

gata dal mondo reale. Questo ha già portato a fortissime distorsioni, nella Silicon Valley ci sono aziende che capitalizzano miliardi e hanno i bilanci in rosso, cose che nel mondo reale delle aziende sono assolutamente impossibili, nessuno ti dà credito se sei in rosso. Per questo credo che riavvicinarsi al mondo reale delle aziende sia una soluzione anche per chi ha grandi capacità di investimento: tutti sanno che l’unica cosa che non manca è la liquidità. Tornando all’esigenza per l’imprenditore di saper indagare il mercato e anticiparne i mutamenti: la formazione è al passo dei tempi? Ci sono scuole che insegnano a farlo? Nì. La formazione è la chiave di tutto, non solo per quel che gli imprenditori chiedono ai propri dipendenti, ma anche per gli imprenditori stessi. Ma questa forte accelerazione dell’innovazione nasce dove diversi ambienti si contaminano, quindi uno dei

rischi che corre l’imprenditore è quello di pensare in maniera verticale, di prendere informazioni solo dal suo settore. Oggi la formazione richiede un processo più complesso, prevede di riuscire a interessarsi di tematiche al di fuori della propria specializzazione. Insomma ti devi contaminare il più possibile, interessandoti di quel che ti circonda. Tanto più che le economie sono in evoluzione continua, cangianti e camaleontiche, tutto è molto fluido. Si può fare un esempio? Ne faccio uno personale: sono convinto che un settore che conosco, quello delle attrezzature agricole, sarà fortemente evoluto dalla meccatronica che arriva da altri settori, dove è applicata alle carpenterie ferrose. Se conoscessi solo il settore agricolo, non lo potrei sapere. Le scuole che conosco sono molto più verticali, e forse non basta; ma vale la pena iniziare comunque un processo di formazione, per poi eventualmente chiedere di essere portato fuori dalla scuola a vedere che succede. Ma è ormai responsabilità dell’imprenditore trovare nella formazione un metodo, e ottenere idee contaminandosi con altre sollecitazioni. Machiavelli scrisse che introdurre “ordini nuovi” è la cosa più difficile, per l’opposizione di chi ha interesse che restino quelli vecchi. Accade anche nella burocrazia italiana. E nelle imprese? Le imprese quando non innovano vengono escluse dal mercato, quindi hanno un unico giudice. La politica ha una capacità unica di autorigenerarsi e di non avere tra le sue virtù le competenze: vive di consenso, e in epoca di social network conquistare il consenso è risultato più semplice di quel che si prevedeva. Infatti la politica non riesce a capire il mondo dell’impresa e dell’economia, e spesso quando prova a fare qualcosa la ostacola: il caso dell’ex Ilva è l’apoteosi dell’incompetenza. Le resistenze al cambiamento nelle imprese ci sono, ma quelle che non si adattano sono destinate a sparire o a ridursi a dimensioni incompatibili con il mercato.

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Tra il dire e il cambiare c'è di mezzo l'engagement Secondo l'osservatorio di Assochange solo il 38% di aziende e organizzazioni raggiunge almeno il 60% degli obiettivi prefissati. Perché mancano apertura mentale e coinvolgimento di Victor de Crunari

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n conto è decidere di cambiare l’agagement e il coinvolgimento delle persone zienda, un altro riuscirci. Più della che lavorano in azienda; specularmente, la metà dei progetti di cambiamento sua mancanza è tra i principali ostacoli al (il 52%) infatti fallisce: è quanto emerge raggiungimento degli stessi obiettivi – al dall’osservatorio 2019 di Assochange, l’asprimo posto figura la mancanza di una culsociazione che è luogo di incontro, contura aperta al cambiamento. Il problema è fronto, acquisizione che spesso le persone LA RESISTENZA È PARTICOLARMENTE e diffusione di conocoinvolte nel cambiaFORTE QUANDO LA PERSONA SVOLGE scenza sul Change mento dimostrano un UNA STESSA MANSIONE DA MOLTO management. Seatteggiamento passiTEMPO. MA NON È CATTIVA VOLONTÀ condo l’osservatovo: quasi la metà (il rio, solo il 48% di aziende e organizzazioni 47%) delle aziende e organizzazioni infatti (fanno parte del campione anche no profit e ha riferito che i suoi dipendenti partecipano enti pubblici) raggiunge almeno il 60% dealle iniziative di cambiamento con un atteggli obiettivi di cambiamento prefissati. Oltre giamento di accettazione, e un altro 6% con al supporto da parte del top management, ostilità o indifferenza. Al crescere del livello il principale fattore alla base del raggiungidi engagement delle persone, insomma, cremento degli obiettivi di cambiamento è l’ensce nettamente il tasso di successo dei pro-

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getti di cambiamento. «Quello della resistenza al cambiamento che si incontra in azienda è un tema fondamentale» dice Moira Masper, presidente di Assochange, che si propone di aiutare le organizzazioni a raggiungere gli obiettivi di cambiamento, «Non è solo una questione di volontà, ma anche di assetto fisiologico: cambiare comporta una fatica fisica notevole. A volte scelgo di non volerlo fare, ma altre volte attuo comportamenti che non mi fanno cambiare in maniera inconsapevole: c’è un aspetto psicologico importante». La resistenza è particolarmente forte quando la persona svolge una stessa mansione da tanto tempo, non solo per volontà di opposizione ma anche per la difficoltà di cambiare: di qui l’importanza di un forte dialogo intergenerazionale all’interno dell’impresa. «Spesso c’è paura rispetto a quello che accadrà e alle competenze di cui non si dispone, il timore di fallire» sottolinea la Masper, «Se l’organizzazione non fa vedere alla persona che la supporta, che le fa acquisire competenze con la formazione, la lascia in particolare difficoltà. Se per esempio si occupava solo delle fatture, che adesso vengono sputate in automatico dal sistema informatico, si chiede: e io adesso che faccio?». Eliminare le resistenze è impossibile, lavorarci invece è di somma importanza per raggiungere gli obiettivi di cambiamento. «Le resistenze vanno elaborate, comprese nelle loro vere motivazioni» osserva la presidente di AssoChange, «Non sempre le obiezioni sono pretestuose, spesso alla loro base ci sono ragioni serie. È importante costruire insieme il senso della direzione intrapresa, così la persona può decidere se stare dentro al cambiamento o tirarsene fuori». Obiettivo di Assochange è lo sviluppo di una cultura condivisa sul cambiamento nelle organizzazioni, attraverso il confronto di esperienze, lo sviluppo di modelli e l’analisi di casi di successo. Tra i soci figurano grandi aziende, banche, società di consulenza, utilities, singoli professionisti; sono coinvolte nel progetto ben 14 università – l’os-


L'INCERTEZZA

Moira Masper, presidente di Assochange

servatorio è realizzato in partnership con il Politecnico di Milano – e c’è la partnership con Assioa, l’Associazione italiana di organizzazione aziendale. «Se non ci fossero i soci che ci dicono quali tematiche vogliono affrontare, non esisterebbe l’associazione» puntualizza il presidente di Assochange, «l’obiettivo è la condivisione delle esperienze, non c’è una ricetta unica. Fondamentale è l’utilizzo di un linguaggio comune per raccontare come vengono fatte le cose, come le organizzazioni creano il cambiamento, che strumenti usano. Il nostro è un approccio molto empirico che permette di individuare le pratiche più efficaci». Un’operazione particolarmente utile considerando che il cambiamento, già di per sé difficile, è reso ancora più complesso dal ridursi del tempo a disposizione. «I piani industriali ormai non sono più a 3-5 anni, bensì a 2-3» mette in evidenza il presidente di AssoChange, «di conseguenza si riduce il tempo medio del progetto di cambiamento, e ne partono diversi insieme. Quindi oggi abbiamo più progetti e più brevi contemporaneamente nella stessa azienda: si deve riconoscere il fatto che cambiare è diventato la normalità, e in mancanza di piani a lungo termine bisogna essere rapidi ad aggiornarsi sulla direzione». Di qui la necessità di un monitoraggio costante che permetta di seguire lo stato dell’arte in modo puntuale, da cui nasce l’osservatorio AssoChange. Una pratica sistematica e costante che rimanda a un’altra caratteristica che dovrebbe essere propria dei progetti di cambiamento ma spesso non lo è: il metodo. «Il change management non è una scienza esatta ma è comunque una disciplina» puntualizza Masper, «un nostro slogan di qualche anno fa ma ancora molto attuale è “oltre il buon senso”: il tema delle metodologie, della sistematicità degli strumenti da utilizzare

NON È SOLO UNA QUESTIONE DI VOLONTÀ, MA ANCHE DI ASSETTO FISIOLOGICO non è scontato. Il che un po’ ci appartiene come cultura paese, spesso improvvisiamo piuttosto che dedicare tempo alla pianificazione». I corsi di Change management organizzati da AssoChange hanno proprio lo scopo di insegnare un metodo. «Parliamo di impostazione del cambiamento» aggiunge il presidente, «e in particolare di come si possa conciliare il metodo con l’urgenza di essere veloci, un equilibrio che si deve trovare in azienda e non va d’accordo con alcune metodologie troppo rigide, format che le strutture italiane non riescono a utilizzaI PIANI INDUSTRIALI NON SONO PIÙ A CINQUE ANNI, MA A DUE. COSÌ OGGI NELLE AZIENDE CI SONO PIÙ PROGETTI DI CAMBIAMENTO IN CONTEMPORANEA

re». Un tema di capitale importanza è quello dell’individuazione delle competenze e dei ruoli del change manager. «Da anni seguiamo l’evoluzione di questa figura manageriale» rileva la Masper, «così come quella della change capability diffusa nell’azienda, che è indipendente dalla figura deputata. L’opportunità è che ci sia qualcuno a cui è dato per mandato di pensare a come facilitare il cambiamento dell’organizzazione. Il rischio è che venga attribuita a questa persona la responsabilità che questo accada». Il change manager ha un ruolo di attivatore, di ascolto

e raccolta dei bisogni. «Può provare a canalizzare e spostare energia e risorse, ma non è lui lo sponsor del cambiamento» insiste il presidente di Assochange, «non è lui che tra l’altro ha il budget per il cambiamento; è un ruolo molto difficile, diffuso soprattutto tra le aziende di una certa dimensione, poco nelle Pmi». Il convegno nazionale di Assochange dello scorso giugno è stato dedicato al tema della diversity, e in particolare ad alcune sue importanti dimensioni: competenze, cultura, età, genere. «Si tratta di elementi che, se opportunamente valorizzati, integrati e considerati come funzionali per il raggiungimento degli obiettivi di cambiamento» precisa la Masper, «Stiamo cercando di capire se le organizzazioni costruiscano progetti di diversity, oppure utilizzino la diversity funzionalmente ai risultati di cambiamento che vogliono raggiungere». Questo approccio pragmatico non ha impedito di ospitare al convegno di giugno realtà come Auticon, azienda for-profit con finalità sociali il cui personale è formato unicamente da consulenti autistici, e Dynamo Academy, che ha dimostrato come il contatto diretto con l’esperienza di Dynamo Camp in favore dei bambini malati e delle loro famiglie possa avere validi effetti anche sulle relazioni nell’ambito del mondo delle imprese.

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COVERSTORY

L'azienda deve "ballare" al ritmo del cambiamento Competenze Stem, creatività e apprendimento permanente: sono queste le chiavi per sopravvivere alla "creative destruction". Ecco perché bisogna adattarsi a modelli culturali e aziendali più fluidi e agili di Paolo Boccardelli*

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a nuova globalizzazione, gli equisiero critico e apprendimento permanente. libri geopolitici, la digitalizzazione Ulteriori cambiamenti del lavoro saranno e i cambiamenti climatici e demogioco forza determinati dalle tecnologie: grafici rappresentano i principali trend di McKinsey si attende che il 49% delle attivitrasformazione che producono effetti non tà lavorative a livello globale possa essere solo sull’economia, ma anche sulle modalità automatizzato entro il 2055. In particolare, di lavorare, sui modelli di formazione e sulla in Italia l’automazione impatterà sul 60% società nel suo complesso. Harvard Busidelle mansioni aziendali e riguarderà circa ness Review stima che l’80% delle aziende 11 milioni di lavoratori: a oggi, però, solo il che esistevano prima del 1980 è scomparso 22% dei lavoratori ritiene che il proprio leae probabilmente un altro 17% non esisterà der abbia in mente una chiara strategia per più entro i prossimi anni; l’età media dell’organizzazione. le società dell’indice S&P 500 è passata da Nell’attuale scenario, il ruolo della forma33 anni nel 1964 a zione risulta cruciale: 24 anni e si prevede HARVARD BUSINESS REVIEW STIMA CHE se i paesi Ocse inveun’ulteriore diminu- L'80% DELLE IMPRESE CHE ESISTEVANO stono oggi l'11,3% PRIMA DEL 1980 È SCOMPARSO zione a soli 12 anni della spesa pubblica E UN ALTRO 17% LO SARÀ A BREVE entro il 2027. In altre in formazione, uno parole, poche aziende sono davvero immudegli obiettivi dell’Unesco per lo sviluppo ni alle forze della schumpeteriana creative sostenibile è che tale percentuale salga al destruction. Per poter sopravvivere in un 15-20% entro il 2030. Gli stessi leader sono contesto in cui si rende necessario ragionaorientati verso modelli culturali aziendali e re per “cicli di innovazione” e non più per formativi molto più fluidi e agili, che li conanni, un’organizzazione deve quindi saper ducono ad adottare atteggiamenti proattivi adattarsi al ritmo del cambiamento, evitanverso i potenziali cambiamenti, in contrapdo così il trauma del declino. posizione a quelli di tipo wait and see. Si è trasformato anche il mercato del lavoObiettivo dei nuovi manager dovrebbe esro, sempre più caratterizzato da sistemi sere quello di accelerare l’apprendimento, di formazione concentrati su competenze identificare i talenti, coinvolgerli in modo Stem (Science, Technology, Engineering and continuo e generare un impatto sulla soMathematics), nonché su creatività, pencietà, tenendo conto delle esigenze degli

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L'AUTORE, PAOLO BOCCARDELLI

stakeholder. Inoltre, incentivare gli investimenti digitali consente di promuovere e sfruttare al massimo le opportunità derivanti dallo sviluppo delle nuove tecnologie. Al fine di rafforzare la competitività e rendere efficiente il mercato del lavoro, è poi essenziale considerare i dati come una risorsa chiave per il conseguimento del vantaggio competitivo. In particolare, il Wef stima che in Europa il libero flusso di informazioni possa contribuire per lo 0.5-1% alla crescita dei paesi europei. Ancora più indispensabile è l’eternal learning, un apprendimento continuo dettato dalla necessità di adattare comportamenti e competenze al contesto di trasformazione. Il recente rapporto dell’Osservatorio 4.Manager evidenzia che lo scorso anno oltre la metà delle aziende in Italia ha investito in formazione, ma il 43% di queste non ha ancora attuato nei fatti strategie volte a rafforzare le competenze dei manager. I trend evolutivi socio-economici, che stanno ridisegnando i tratti essenziali delle figure manageriali, spostano così il focus verso forme più sofisticate di acquisizione, ampliamento e diffusione della conoscenza, che rappresenta un innovativo e strategico fattore produttivo. *Direttore Luiss Business School




L’OPEN SPACE È UN BLUFF SMASCHERATO DA HARVARD GESTIRE L’IMPRESA

Altro che incentivare la collaborazione tra colleghi: la mancanza di privacy incide negativamente sulla produttività del team. Lo dimostra una ricerca dell’ateneo. E l’esperto di Hr management lo conferma di Marina Marinetti

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30 FEDERMANAGER COSÌ I DIRIGENTI OVER 50 ALLUNGANO LA VITA LAVORATIVA IN AZIENDA

32 RSM ORA LA TECNOLOGIA PEDALA IN TANDEM CON LA CONSULENZA

34 FORMAZIONE A SCUOLA DI E-COMMERCE CON GLI SPECIALISTI DEL WEB

36 MADMAX IL FRANCHISING NAUTICO CHE METTE A REDDITO L’ACQUISTO DI UNA BARCA

38 ALFREDO ROBLEDO «FARE IMPRESA ONESTA NONOSTANTE LE LEGGI ASSURDE»

dire la verità un po’ lo sospettavadei casi le interazioni dirette fra colleghi, mo. Ma ora che ad Harvard l’hananziché aumentare, diminuivano. E, parano dimostrato scientificamente, dossalmente, aumentava l’utilizzo di e-mail possiamo dirlo a voce alta: l’open space è... e servizi di instant messagging. «Quello che Be’, avete presente come Fantozzi definiva spesso si ottiene», scrivono i due ricercatori il lungometraggio La corazzata Potëmkin? nella loro ricerca “The impact of the open Ecco. Altro che scatenare l’intelligenza colworkspace on human collaboration”, «è uno lettiva, altro che aumentare l’interazione spazio aperto di impiegati fisicamente prosfra colleghi, altro che rendere trasparenti i simi che fanno tutto il possibile per isolarsi processi: l’unico merito dell’open space, camentre fingono di lavorare assiduamensomai, è la riduzione te in quanto tutti li LO SPAZIO APERTO INDUCE I DIPENDENTI dei costi: quelli dei possono vedere». La A ISOLARSI MENTRE FINGONO muri. Aumento però conseguenza diretta? DI LAVORARE ASSIDUAMENTE tutti gli altri, pro«Anziché promuoIN QUANTO TUTTI LI POSSONO VEDERE duttività in primis. A vere una più vivace prendersi la briga di valutare l’effetto dell’ocollaborazione faccia a faccia, l’architettura pen space sul lavoro, i ricercatori di Harvard aperta è apparsa innescare una reazione Ethan Bernstein e Stephen Turban, con due naturale umana di ritirarsi dal contatto diindagini condotti nelle sedi centrali di alretto con i colleghi». Il corollario? «Come trettante grandi aziende americane. Hanno gli insetti sociali che sciamano entro limiti dotato i 55 dipendenti di una e i 100 dell’alfunzionalmente prestabiliti, anche gli essetra di badge intelligenti, seguendone gli re umani hanno bisogno di stabilire precisi spostamenti sia prima che dopo il trasloco confini ai contatti con gli altri». dai tradizionali uffici ai nuovi spazi aperti. «Come in tutti i cambiamenti dei modelli Scoprendo cosa? Che addirittura nel 70% organizzativi ci sono pro e contro», spiega

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GESTIRE L’IMPRESA

a Economy Pier Carlo Barberis, founder degli Stati Generali del Mondo del Lavoro, con alle spalle una carriera come Hr director per aziende come Bmc Software, Sky Italia, Eurofly, UniSource, oltre all’esperienza in Hr management in Fca, Sheraton, Hrc Academy. «È un errore sposare acriticamente un modello addottandolo, per così dire, con “regole bulgare”: tutto va fatto con buonsenso. Anche nello smart working, che adotta proprio l’open come modalità principale». Detto da uno che nella sua pluriennale esperienza di direttore del personale nelle aziende più disparate ha vissuto decine di cambiamenti, c’è da credergli. «L’opportunità offerta dall’organizzazione ergonomica all’interno delle aziende in ambito oper space, che poi si collega alla logica moderna dello smart working, può essere un aiuto alle performance delle persone al telefono con i clienti, che indispettiti per solo in alcuni settori», spiega. A partire dalle la difficoltà d’ascolto potrebbero rivolgerstartup: «Si tratta di ambienti che richiedosi altrove. Qualcosa sta cambiando, infatti. no condivisione e quindi è giusto adottare «Che il modello open space non funzioni lo l’open space come modello, non solo nei setstanno intuendo in molti», spiega Pier Carlo tori digitali, ma anche in quelli più tradizioBarberis: «I grandi studi di architettura spenali. Nelle startup c’è un’esigenza maggiore cializzati in progettazione office, se prima lo di condivisione fra colleghi», dice. Per il proponevano come soluzione per ogni amresto, invece, occorre fare alcuni distinguo: bito lavorativo, oggi sempre di più prevedo«Esistono attività tradizionali e settori che no un mix tra spazi collettivi che radunano hanno necessità di rispettare alcune fondai collaboratori e postazioni protette, chiuse, mentali regole di privacy e di riservatezza, in modo da avere, oltre alle agorà in cui si oltre che di concencrea networking, shaIL MODELLO DELLO SPAZIO APERTO trazione. L’ open sparing e contaminazioSUL LUOGO DI LAVORO NON RISPETTA ce dev’essere adot- LE ESIGENZE DI PRIVACY E RISERVATEZZA ne di idee, anche uffitato con buonsenso, ci privati in cui poter E OSTACOLA LA CONCENTRAZIONE inserendo sempre parlare in riservatezaree protette nelle quali chi ha necessità za per chiudere un accordo o trattare temi di fare conference call odi parlare con una più o meno privati, per esempio in tema di persona, collaboratore o cliente, possa usuamministrazione del personale». È anche fruire di uno spazio chiuso per motivi sia una questione di posizionamento, non sodi privacy che di educazione e di rispetto, lamente dell’azienda, ma anche del ruolo anche dell’interlocutore, che può essere personale occupato nell’organizzazione dal un cliente come un collaboratore». Così, a singolo individuo. Un po’ come la fantozziafronte di colleghi che non controllano il vona pianta di ficus, simbolo del potere. E poi lume della loro voce, creando un sottofondo c’è un tema di riservatezza: «Pensiamo a un decisamente letale per la concentrazione customer care o a dei consulenti finanziari altrui, ci sono quelli che invece il volume un conto è un customer care», sottolinea lo controllano anche troppo, sussurrando Barberis. «La rumorosità dell’open space

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AVERE UN UFFICIO INDIVIDUALE POSIZIONA IL PROPRIO RUOLO IN AZIENDA, INCENTIVANDO LA PERFORMANCE incide negativamente sia sulla produttività che sulla relazione col cliente. Non solo: avere un ufficio individuale posiziona il ruolo in azienda, aumentando la performance delle persone». E poi c’è la questione del controllo dei collaboratori: «L’open space si fonda sulla cultura del controllo, interpretata in modo molto spinto. Il modello è quello del cosiddetto micromanagement, che poi si traduce nel fatto che il tuo collega deve vedere cosa fai così non c’è bisogno più di qualcuno che ti controlli la performance, ma è l’ergonomia stessa dell’ufficio a dare la possibilità a tutti di vedere cosa fanno gli altri. Non è più il tuo capo che ti controlla, ma il tuo collega. Con l’effetto perverso che, anziché agevolare la collaborazione, l’open space, in alcuni casi , ha fatto tornare in auge quella che negli anni ‘50 si chiamava delazione». Quindi per non perdere gli effetti positivi dei cambiamenti degli spazi lavorativi bisogna pensare ad una evoluzione del modello «Non più un open space, ma un networking space», secondo Pier Carlo Barberis: «Sta cambiando il mood e anche la transizione da open space a networking space segue un approccio completamente diverso, con la contaminazione tra tradizione e innovazione».


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Manager over 50: ecco le best practice di Federmanager Presentato a Roma lo scorso 25 novembre il report per individuare le linee guida per un modello di age management in cui i "vecchi" trovino nuovi stimoli dalla contaminazione con i giovani e le loro competenze di Michele Giordani

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na volta, superata la soglia dei cinquant’anni ci si preparava al fine carriera. La pensione era vicina e la preoccupazione era semplicemente concludere la propria esperienza professionale nel miglior modo possibile. Oggi, invece, chi ha più di 50 anni sa bene di avere un lungo futuro lavorativo davanti da affrontare ed esplorare. E soprattutto da scrivere insieme a colleghi più giovani, cercando di apportare un contributo strategico al lavoro di squadra». Stefano Cuzzilla, presidente di Federmanager, racconta a Economy quali siano le motivazioni che hanno spinto l’associazione dei dirigenti a realizzare progetto finalizzato alla realizzazione di un modello gestionale per affrontare la crescita generazionale in azienda, detto anche age management. Questa tematica rientra a pieno titolo nell’alveo del diversity management e si occupa di gestire le competenze del personale aziendale, concentrandosi soprattutto sulle figure manageriali over 50 anni con attività utili a valorizzare i punti di forza delle diverse generazioni presenti in azienda. I modelli gestionali generazionali integrano l’esperienza dei manager over 50 con le abilità tecnologiche e improntate al cambiamento tipico delle figure professionali più giovani. Lo scopo di questa integrazione è valorizzare tutti i lavoratori, indipendentemente dall’età, e migliorare i risulta-

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ti di business attraverso l’inclusività. Per affrontare il tema dell’age management sfruttando la metafora sportiva, lo scorso 25 novembre è stato organizzato a Roma l’evento conclusivo di “Mba-NET: Manager, Basket and Athletics for New Enterprise Targets”. Il basket e l’atletica leggera rappresentano È LAMPANTE CHE I MANAGER OVER 50, BEN LONTANI DALL'ESSERE A FINE CARRIERA, DEVONO SVILUPPARE UNA SERIE DI SOFT SKILL

le discipline di riferimento su cui sono stati interpellati 900 manager over 50 iscritti a Federmanager. Promosso da Fondirigenti, il progetto “MBA-NET: Manager, Basket and Athletics for New Enterprise Targets” è nato con l’obiettivo di individuare le linee guida

STEFANO CUZZILLA, PRESIDENTE FEDERMANAGER

per un modello di Age management, fatto di buone prassi, casi di criticità e set di competenze per manager e imprese. Quello che emerge in modo evidente dallo studio è che se gli over 50, specie se in posizioni apicali, hanno una migliore preparazione professionale, una visione strategica più completa e maggiore sensibilità quando si parla degli interessi aziendali, le figure junior hanno mediamente un livello d’istruzione più elevato e mostrano competenze tecnologiche decisamente più avanzate. Non solo, appare lampante che i manager over 50, che pure hanno di fronte a loro ancora una ventina d’anni di carriera, devono sviluppare una serie di soft skill che oggi sono prevalentemente appannaggio delle nuove generazioni: è il caso della creatività,

ULTRACINQUANTENNI E COLLEGHI GIOVANI CHE SCRIVONO INSIEME IL FUTURO IN AZIENDA


della familiarità con le lingue straniere, della flessibilità e dell’elasticità mentale. «La gestione del fattore età – ci spiega il presidente di Fondirigenti, Carlo Poledrini – è un elemento cruciale per il quale le organizzazioni di ogni tipo e dimensione devono definire politiche e prassi organizzative idonee a fronte ai trend demografici in atto. Il nostro Fondo si propone di sostenere iniziative strategiche come questa, rivolta ai tanti manager senior che in molti casi registrano problemi nel calo di motivazione, o nella capacità di dialogo con figure più giovani, e ai quali intendiamo offrire strumenti e best practices per cogliere con slancio positivo le opportunità offerte dal futuro». Quello che è stato notato in modo più netto durante la survey condotta sui 900 manager è che il rischio che si corre negli over 50 è un generale calo di motivazione o della capacità di dialogare con figure più giovani. Alcune aziende, specialmente multinazionali, hanno già avviato e implementato alcune policy di age management. D’altro canto, la gran parte delle aziende medio-grandi e delle stesse multinazionali tascabili - per non dire delle pmi - non ha quasi mai azioni strutturate per questo tipo di problemi. Inoltre, nei manager comincia ad essere avvertita l’idea che curare il capitale umano già presente e formato è un modo per offrire valore aggiunto, ancor più necessario se si pensa che

manager performa o meno: in questa posizione vi è un elemento di concretezza perché si bada all’efficienza senza pregiudizi sull’età, ma anche una sottovalutazione (spesso ma non sempre) sul fatto che statisticamente i manager dopo una certa età rischiano di “sedersi” sulle attività consuete e poco altro, per ragioni fisiologiche o psicologiche che non devono essere sottovalutate, perché possono creare un rallentamento d’impegno di cui le aziende, e lo stesso manager in questione, non si sono accorte. «In questo progetto – chiosa il Presidente di Federmanager Academy, Gianluca Schiavi – abbiamo voluto indagare una dii lavoratori (manager e non) dovranno remensione difficile, ovvero il modo in cui il stare ancora vari anni prima del pensionamanager vive il procedere degli anni, con la mento, e che per loro come per l’azienda è motivazione che spesso si affievolisce, e la importante rafforzare e ripensare il bagafatica crescente di lavorare con persone più glio di competenze che sono una ricchezza giovani. Se qualcuno in azienda capisce per che però va valorizzata e riaggiornata. tempo questo affievolimento, e interviene «Il tema dell’age management – aggiunge con strumenti formativi e di coaching, avrà Cuzzilla – è dunque di stringente attualità recuperato un ottimo elemento che tornerà per imprese che vogliono capitalizzare il a giocare per portare alla propria identità bagaglio di competenze alla luce dell’evoluprofessionale e all’azienda un grande risulzione dei modelli di business in un mercato tato, lavorando duro “whatever it takes”». globale ad alta concorrenza. Ecco perché, Un concetto che si sostanzia nel monito già in Federmanager, esso ha assunto sempre lanciato dall’Onu (“No one should be left maggiore rilevanza behind”, nessuno doNESSUNO DEVE ESSERE LASCIATO nelle nostre attività vrebbe essere lasciaINDIETRO È UNO DEI 17 OBIETTIVI di ricerca e formazioto indietro) che rapDELL'ONU PER IL 2030: ECCO COME ne. In Italia beneficiapresenta uno dei 17 APPLICARLO ANCHE AI MANAGER mo di una eccellente obiettivi per il 2030 qualità del management. Vantiamo i manaper uno sviluppo sostenibile. «Crediamo ger più validi, non a caso apprezzatissimi fermamente – conclude Cuzzilla – nell’imall’estero. Una delle mission che avvertiamo portanza di investire sulle competenze; a prioritariamente, come Federmanager, è tal fine, il nostro sistema è impegnato nello proprio quella di sostenere con strumensviluppo costante di percorsi di formazione ti concreti i professionisti over 50 durante che possono porre basi solide per garantire tutto il lungo percorso lavorativo». l’employability dei manager. In un mercato Altri temi che emergono chiaramente dalla del lavoro così competitivo, nessuno può risurvey: nelle aziende che hanno aderito al manere fermo. Il manager deve essere inveprogetto (piccole, medio-grandi o multinace supportato per capire quale possa essere zionali tascabili), la vera linea di separazioil suo ruolo in campo, perché l’importante ne nell’ottica della proprietà non è quella non è solo partecipare. Senza tradire il prinunder o over una certa fascia anagrafica cipio cardine dettato dal barone de Couber(potremmo dire 50 o 55 anni), ma se quel tin, a noi interessa vincere. Insieme».

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GESTIRE L’IMPRESA

VAR GROUP, PUNTO DI RIFERIMENTO NELL’ICT

Ora la tecnologia pedala in tandem con la consulenza Si chiama Var4Advisory la società nata dalla partnership tra Var Group e Rsm: grazie a un approccio integrato tra Ict e consulting aiuterà le imprese a crescere e affermarsi sui mercati di Riccardo Venturi

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ettere assieme la consulenza che aiuta le aziende a capire quali sono le esigenze del business, e come muoversi di conseguenza, con l’offerta di soluzioni innovative e la profonda conoscenza del mercato italiano. È l’obiettivo che sta alla base della nascita di Var4Advisory, nuova società dedicata alla consulenza strategica e all’innovazione, partnership tra Var Group, operatore di riferimento in Italia nel settore dei servizi e delle soluzioni Ict per le imprese, parte del gruppo SeSa, quotato sul segmento Star di Borsa Italiana, e Rsm Società di revisione e organizzazione contabile Spa, che fa parte del network internazionale Rsm, leader mondiale dei servizi di audit, tax e consulting per il middle market. La nuova nata integrerà le competenze e i servizi di advisory del network globale Rsm - che abbraccia 116 Paesi, con 750

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sedi in America, Europa, Medio Oriente, Africa e Asia-Pacifico, e oltre 41.000 dipendenti nel mondo - con quelle di Var Group, forte di oltre 2000 esperti che ogni giorno traducono le tecnologie dei grandi produttori internazionali in soluzioni su misura per gli imprenditori del made in Italy. «Il nostro è un approccio integrato» dice Davide Grassano, head of management & technologies di Rsm Italia, «la tecnologia esprime tutto il suo potenziale solo se è messa al servizio di quel che serve davvero all’impresa. Lavoriamo insieme al cliente e non lo lasciamo solo con delle aree scoperte, lo supportiamo fino in fondo». Secondo il Politecnico di Milano, l’anno scorso le imprese hanno investito 3,2 miliardi in innovazione tecnologica, ma alla dotazione di soluzioni tecnologiche non sempre corri-

Var Group è uno dei principali partner per l’innovazione del settore Ict. Sostiene la competitività delle imprese made in Italy con offerte dedicate ai maggiori distretti italiani come: manufacturing, food & wine, meccanica industriale, automotive, fashion, furniture, retail & Gdo. La proposta Var Group si rinnova quotidianamente grazie alla ricerca continua e alla stretta collaborazione con start up e poli universitari. Le imprese si trovano di fronte a sfide sempre più complesse: devono poter contare su soluzioni innovative e specializzate. L’offerta Var Group trae la sua forza dalla profonda conoscenza dei processi aziendali e dall’integrazione di più elementi. È frutto del lavoro di business unit focalizzate nello sviluppo di progetti di: digital transformation, digital industries, digital cloud e digital security business technologies.

343 MLN

Fatturato al 30.04.2019

+18,5

Crescita 2019/2018

OLTRE 1900

Collaboratori 2019

28 Sedi Italia Spagna-Germania-Cina 1050

Certificazioni

46 ANNI

Esperienza


e blockchain. «Il nostro scopo è fornire strusponde la capacità di capire cosa sia davvero menti concreti per fare automazione» rimarca rilevante per il business dell’azienda. «Uno dei Grassano, «portare l’innovazione dai centri limiti dei system integrator, specie in Italia, è sperimentali alla realtà delle aziende». La terza quello di non avere un approccio volto a capire è l’affidabilità dei processi, legata in particolare le esigenze vere delle aziende», osserva Grasalla cybersecurity: un campo nel quale ci vuosano, «eppure siamo in un periodo nel quale la le la capacità di organizzare servizi sicuri, con discontinuità nel mondo che ci circonda è tall’utilizzo della tecnologia adeguata. Un campo mente forte da cambiare il business in modo ancora più delicato alla luce della nuova norradicale. Per questo è un grosso valore avere mativa europea sulla cybersecurity, che a breve una consulenza che ti faccia navigare nella diimporrà la certificazione di prodotti e servizi di rezione giusta, ti permetta di non affondare e diversi settori rischiando di avere impatti negaportare a casa risultati. I dati dell’Unione Eurotivi sulle aziende se non affrontata per tempo. pea mostrano un gap nei livelli di investimenTra le nicchie nelle quali la partnership tra Var to medi delle aziende italiane: bisogna aiutare Group e Rsm è particolarmente ricca di comle aziende italiane a investire bene in tempi petenze ed esperienza figurano l’intelligenza non facili con risorse limitate». Var4Advisory artificiale, l’automaaffianca gli imprendiLE AZIENDE ITALIANE FATICANO zione di processo, e tori italiani delineando A PASSARE DALLA LOGICA anche i controlli austrategie che adottano DEL MERO PRODOTTO A QUELLA tomatizzati dei proil principio di corpoDELL’ABBINAMENTO CON I SERVIZI cessi automatizzati, il rate responsibility, controllo dell’identità digitale delle macchine aiutandoli a definire un percorso di crescita che si sostituiscono alle persone in un mondo che crei un valore duraturo. Realizza progetdigitale, approcci e soluzioni per smart city e in ti personalizzati con una forte attenzione alla particolare lo smart sport che si applica a staresponsabilità sociale, aiutando le aziende a di e impianti sportivi. E ancora, industria 4.0, raggiungere il giusto equilibrio tra competiticon la progettazione insieme all’azienda per vità e sostenibilità, nel pieno rispetto delle pevedere dove portare vera innovazione, e per culiarità culturali di tutta la filiera del made in non sprecare le risorse messe a disposizione Italy. «Abbiamo tante aziende, specie di medie dall’Unione europea e non sempre sfruttate al dimensioni, brillanti dal punto vista della cameglio. Il tutto all’insegna dell’attenzione per pacità di realizzare nuovi prodotti» sottolinea l’ambiente e la sostenibiltà. «La trasformaziol’Head of Management & Technologies di Rsm ne digitale impone un cambiamento culturale» Italia, «ma perlopiù non stanno ancora sfrutsottolinea Francesca Moriani, a.d. di Var Group: tando la possibilità di fornire ai clienti, oltre ai «per avere successo non basta acquisire tecnoprodotti, i servizi abbinati: nel caso di un imlogie, servono, a monte progetti, scelte pondepianto, per esempio, anche un servizio di gerate, competenze. Vogliamo essere più vicini stione e controllo dello stesso. È un problema alle imprese del made in Italy e mettere a didi processo, si deve lavorare nell’ottica di dare sposizione una struttura in grado di capire e inpiù valore al cliente: così aumenti il fatturato e terpretare le sfide del midmarket entrando nei hai meno concorrenza, quindi sei più compeprocessi decisionali, affiancando i nostri clienti titivo in modo da ridefinire prodotti e servizi». nell’intero percorso di trasformazione digitale Tre le aree principali di intervento di Var4Ae adozione delle nuove tecnologie, mettendo dvisory. La prima è quella dei modelli di bule persone al centro. La partnership con Rsm siness, per accompagnare l’azienda nei campermetterà di condividere le competenze di biamenti nel segno della digital trasformation. advisory e tecnologiche con la nostra offerta di La seconda è la tecnologia, con la costruzione soluzioni innovative e la profonda conoscenza di progetti innovativi specie in tema intellidel mercato italiano». genza artificiale, automazione dei processi

«La nuova realtà garantirà lo sviluppo di iniziative di successo per le imprese italiane» conclude Rocco Abbondanza, Presidente Rsm Spa, «tracciando insieme a loro un percorso innovativo dalla consulenza strategica fino alla realizzazione in concreto di singoli progetti di digital transformation. Il network Rsm rappresenterà un interlocutore privilegiato per l’internazionalizzazione delle imprese e metterà a disposizione best practice globali nelle diverse industry».

IL NETWORK RSM

L’ascolto sensibile e costante delle necessità del mondo che ci circonda e il superamento di standard classici di servizio, sono le leve di differenziazione di Rsm rispetto al mercato tradizionale. Per questo motivo, Rsm è entrata in Italia da pochi anni ed è in costante crescita. In particolare, Rsm è un network che si occupa di revisione legale dei conti, servizi fiscali, servizi di attestazione, compliance e consulenza. La capacità di riconoscere e anticipare i cambiamenti in atto e di strutturare un sistema di riferimento a più livelli per i nostri interlocutori è la base per offrire servizi ad alto valore alle aziende. Rsm è un luogo di pensiero e di lavoro, un sistema di servizi e di relazioni nella condivisione di conoscenza, strumenti e visione. Proattività, visione, innovazione e competenza sono i fattori chiave dell’identità Rsm.

5,4 Ricavi globali in miliardi di dollari 41.000 Dipendenti 750 Uffici RSM ITALIA 7 Uffici 30 Partner 300 Professionisti

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PHOTO CREDIT: FELIX LAMBERTI

GESTIRE L’IMPRESA

A scuola di e-commerce con gli specialisti del web Marketing digitale, sistema Magento e integrazione con strumenti esterni come Amazon o eBay: è il core business di Armah, il network di professionisti creato sei anni fa da Stefano Quitadamo

DALLO SVILUPPO SOFTWARE ALLA PARTE DI VISUAL DESIGN FINO ALLE ATTIVITÀ DI MARKETING: ARMAH È UNA ECOMMERCE AGENCY FORMATA DA 17 PROFESSIONISTI CHE COPRONO VARI AMBITI DI AZIONE. «Il core business dell’azienda risiede nello sviluppo di uno dei software più importanti per questo settore ovvero Magento, anagraficamente siamo nati nel 2013 ma l’idea è figlia di un percorso mio personale iniziato nel 2001, quando i miei primi eCommerce presero vita in quello che allora era un deserto con poche cattedrali, il web», spiega a Economy Stefano Quitadamo (nella foto), formatore nonché e-commerce & Magento specialist, Amazon & eBay consultant, Seo specialist.

Quali sono i campi d’azione di Armah? Sin dall’inizio la vision è stata quella di focalizzare l’attenzione su un unico e specifico ambito, appunto quello dell’eCommerce e sull’utilizzo di un unico strumento software, Magento, ad oggi uno dei migliori e più diffusi e potenti a livello mondiale, specializzandoci nell’implementazione dello stesso e di tutte le integrazioni possibili con terze parti quali Erp, Crm e strumenti di vendita esterni come i marketplace Amazon, eBay dei quali offriamo servizi di consulenza alla vendita. A corredo dell’implementazione di

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Magento, abbiamo costruito negli anni un reparto di marketing digitale che si occupa specificatamente di realizzare piani di visibilità digitale rivolta alla conversione e allo sviluppo del business online. Quale tipo di business, in particolare? Ad oggi possiamo dire di essere altamente specializzati in tre settori differenti, primo su tutti quello farmaceutico, per il quale oltre allo sviluppo di molti progetti eCommerce, alcuni tra i leader del mercato italiano attuale. Abbiamo sviluppato una piattaforma esterna, FarmaConnect, che permette alle farmacie online innanzitutto di inserire velocemente i prodotti sul sito attraverso IL MERCATO IN ITALIA È ANCORA ACERBO PERCHÉ MOLTI IMPRENDITORI NON COMPRENDONO APPIENO LE GRANDI OPPORTUNITÀ CHE OFFRE L’ON-LINE

la banca dati nazionale del farmaco, poi di sincronizzare le giacenze dei loro magazzini fisici, acquisire le giacenze dei propri grossisti, così da poter vendere anche quello che non hanno in farmacia ma che è velocemente reperibile, ed automatizzare regole di prezzo attraverso un algoritmo che calcola automaticamente il miglior margine di vendita possibile. Fa anche tante altre cose ma vi rimandiamo alle demo sul sito. Il secondo

è il settore dell’abbigliamento, abbiamo collaborato allo sviluppo di eCommerce di top brand Italiani anche se non sotto il nostro nome diretto e il terzo sicuramente quello del lusso, anche qui tanti lavori che trovano ogni giorno il consenso dei clienti finali.

Come sta andando l’e-commerce in Italia? Il mercato in Italia è ancora acerbo, qualcosa si inizia a muovere ma molti imprenditori guardano ancora la vendita online con diffidenza, non comprendono a pieno le grandi opportunità che questo mondo offre e quindi hanno ancora qualche remora ad investire. L’esempio che faccio in questi casi è sempre lo stesso: Se investi 200 mila euro per aprire un negozio in strada, aperto 6 giorni su 7 in orari prestabiliti dove passeranno un numero sempre uguale di persone di cui solo una piccola parte entreranno ed una parte ancora più piccola acquisterà, perché pretendi di investirne meno di un quarto per sviluppare un progetto di e-commerce che rispetto al negozio fisico non chiude mai, vende anche quando dormi, non ha limiti geografici e può ospitare 100 volte il numero dei tuoi potenziali clienti offline? I numeri già ci sono e noi siamo in prima linea per supportare chi ha le giuste potenzialità e una corretta visione.


in collaborazione con

razione del budget da investire.

TANTE REALTÀ MULTIMILIARDARIE SONO PARTITE DALL’ON-LINE IN UN GARAGE

Ovvero? Facciamo un esempio: stanziamo “con i soldi del monopoly” un ipotetico budget di 10.000$, molte aziende a volte anche mal consigliate dai propri consulenti, dividono i budget in maniera errata, investendo il 60/70% nello sviluppo del sito e la restante parte nel marketing. La proporzione è esattamente inversa, fatto 100 l’investimento è 30% per lo sviluppo del sito e 70% in marketing ed il fattore di successo si alza quando l’imprenditore inizia a comprendere che non esiste legge nel mondo dell’eCommerce se non queste tre regole fondamentali: creare la piattaforma bene ed il più velocemente possibile, non esiste nulla di definitivo, ma è tutto sempre work in progress e l’ultima, forse la più importante, è che per realizzare un progetto vincente bisogna essere semplici e lineari. Informazioni essenziali e disposte in modo chiaro, aumentano notevolmente il tasso di conversione e quindi la riuscita del progetto.

Ma allora perché i commercianti sono restii ad andare sul web? Questa è una risposta che si collega in parte al discorso di prima. Innanzitutto molti imprenditori pensano che lavorare online significhi incassare soldi facendo meno lavoro, questa ovviamente è una falsa convinzione. I big del mercato insegnano che se vuoi avere successo in qualsiasi progetto e ancor più online, devi essere costanE voi come li aiutate a superare questi temente sul pezzo, investire innanzitutto problemi? il tuo tempo, che spesso è più importante Non esistono regole fisse, ogni azienda ha dell’investimento economico. Nessun prouna serie di processi che spesso è difficile fessionista potrà modificare, il noFATTO 100 L’INVESTIMENTO, IL 30% mai costruire una stro approccio è DELLE RISORSE SERVE ALLO SVILUPPO strategia di venditotalmente inverso DEL SITO INTERNET, MENTRE IL 70% ta online vincente a quello di molti VA DESTINATO AL MARKETING senza il supporto nostri competitor: costante dell’imprenditore, collaborare non imponiamo al cliente regole alle quali fa reciprocamente alla crescita economica, fatica ad abituarsi, ma costruiamo i procesleggere i numeri e confrontare giorno per si al fine di fonderli con qualcosa di già esigiorno gli andamenti, noi lavoriamo così, stente. Questo ci aiuta a diminuire i tempi di diventiamo veri e propri partner del clienapprendimento e di abitudine ad un modus te, spesso lavorando con lui anche in orari operandi totalmente o parzialmente estraindicibili o giorni festivi. neo e quindi a metterli subito sulla giusta strada operativa. Questo, affiancato da una E-commerce no limits... piattaforma correttamente costruita ed un La vendita online non ha limitazioni nembudget di spesa per il marketing adeguato, meno nell’impegno di noi poveri addetti ai consentono di evitare problemi di startup e lavori. In seconda battuta le dico che molti partire spediti verso la conquista o l’ampliaprogetti nascono senza una corretta struttumento della propria quota di mercato.

E per le piccole realtà? Uno dei maggiori vantaggi per chi vende online è sicuramente quello di poterlo fare in una condizione di totale libertà geografica, lavorando in multicanalità, ovvero costruendo una rete commerciale “automatizzata” ed infinitamente espandibile. Le piccole realtà sono più snelle, hanno meno costi di gestione ma anche meno budget da investire e nella maggior parte dei casi un potere di acquisto inferiore rispetto ai grandi gruppi. Vendere online per loro significa, seguendo una serie di regole, in un periodo medio/breve di costruire un surplus di volume dei prodotti commercializzati che attraverso una strategia commerciale divisa in più passaggi consente di aumentare il margine, guadagnare potere contrattuale verso i fornitori ed aumentare la riconoscibilità del proprio brand in maniera esponenziale. Tante realtà, oggi multimiliardarie, sono partite così.... magari da un garage!

In sintesi, perché rivolgersi a voi per avviare un e-commerce? Rivolgersi a noi significa lavorare con un gruppo di persone che hanno deciso di costruire il proprio business su attività incentrate su un unico ambito e quindi estremamente verticalizzate sulla costruzione di percorsi di business da fare insieme. Sul perchè aprire un eCommerce ti rispondo con una frase di Stephen Hawking: “L’intelligenza è la capacità di adattarsi al cambiamento” siamo in un’era dove nulla è più come prima, le abitudini dell’essere umano sono cambiate e proprio per questo è importante comprendere, osservare ed interagire in tempi brevi. Non possiamo permetterci di essere spettatori delle “Million Digital Company Americane”, dobbiamo esserne parte integrante. Non per altro Italian do it better! Info: www.stefanoquitadamo.com www.armah.it numero verde: 800300713

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GESTIRE L’IMPRESA

Mi faccio la barca... e la metto a reddito La formula per acquistare e godere di un’imbarcazione di lusso, pagandola un terzo e generare utili: è l’originale offerta del franchising nautico avviato da Alessandro Lucarelli, in arte Lucas, con la sua MadMax

di Paola Belli PARLARE CON LUCAS (AL SECOLO ALESSANDRO LUCARELLI), ECLETTICO IDEATORE E TITOLARE DEL MARCHIO MADMAX FRANCHISING NAUTICO ERA UN DOVERE,

tanto ha destato interesse nel mondo della nautica, avendo introdotto un nuovo modo di acquistare la propria imbarcazione, godere del proprio bene e farne anche un business di successo.

Lucas, già è impressionante sentir parlare d franchising nautico, ma vedere il numero impressionante di affiliati che hanno abbracciato il suo business, va decisamente oltre. Devo dire con tutta sincerità che sono sorpreso anch’io, non tanto dalla bontà del progetto in cui credevo e credo fermamente, ma dalla capacità e velocità con cui imprenditori di successo hanno capito della genialità della formula e dei rendimenti che questo investimento può generare. Il franchising nautico MadMax permette loro di comprare un’imbarcazione nuova pagandola un terzo del suo valore, averla costantemente manutenuta per usarla quando vogliono e metterla a reddito quando non la usano. Questa cosa di pagarla un terzo del suo

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valore si fa sempre un po’ di fatica a crederci… È la cosa più semplice da capire! L’affiliato acquista la propria imbarcazione con un acconto del 35 per cento ed accendendo un leasing a sette anni. Le otto settimane di altissima stagione (impossibili da non vendere), rendono all’affiliato un utile per pagare il leasing di un intero anno, quindi il leasing non è un suo problema, anzi: la barca si ripaga da sola! Le altre settimane vendute producono gli utili dell’affiliato. LO YACHT SI RIPAGA DA SOLO PERCHÉ LE SETTIMANE DI ALTISSIMA STAGIONE RENDONO ALL’AFFILIATO UN UTILE PER PAGARE IL LEASING DELL’INTERO ANNO

Ma chi trova le settimane da vendere? Siamo direttamente noi, che con la nostra rete internazionale di booking ci occupiamo di vendere le settimane, ma comunque lasciamo aperta la possibilità che anche l’affiliato possa partecipare alla vendita, coinvolgendo amici, colleghi di lavoro o propri clienti importanti, in modo da avere un ulteriore utile (si, siamo noi che paghiamo l’affiliato per il lavoro svolto di mediazione!) e creare così una vera sinergia tra l’affiliato

e la casa madre. Ci sono vantaggi fiscali? Ci sono enormi vantaggi fiscali. Il primo in assoluto è che l’affiliato non risulta possedere un bene di lusso, ma al contrario diventa proprietario di un bene strumentale che produce reddito. Il secondo è che l’iva sull’acquisto, grazie alla formula del leasing nautico, non è dovuta. E i costi di gestione? Sono bassissimi, molto lontani dall’immaginario comune. I nostri affiliati possono alare il loro catamarano nel nostro cantiere con 250 euro, hanno diritto ad un posto barca


per tutto l’inverno a 1000 euro e l’invernaggio dei motori costa una banalità. Cose difficili da credere per coloro che per anni hanno pagato ben altre cifre, ma noi siamo la riprova che con l’esperienza pluriennale nel settore, tutto questo si può fare. Fantastico, quali sono gli altri punti salienti del progetto? Lo skipper a bordo, sempre. L’affiliato non vuole che la sua imbarcazione sia “data in pasto” ai vacanzieri della domenica che, un po’ per imperizia e un po’ per menefreghismo distruggono letteralmente le barche nel giro di qualche anno. Al contrario, lo skipper a bordo da un servizio di eccellenza al cliente che viene fidelizzato ed al contempo manutiene in tempo reale il catamarano. Un ulteriore vantaggio è che al momento della rivendita il catamarano avrà mantenuto un prezzo più alto rispetto a quelli che hanno navigato senza skipper a bordo. Quali tipologia di barche proponete? Esclusivamente catamarani dai 12 ai 23 metri che ospitano fino a 12 clienti oltre l’equipaggio. Il catamarano è il mezzo per fare la vacanza al mare perfetta, il mezzo che permette anche ai neofiti, quelli che sono sempre andati in albergo 5 stelle, in villa al mare o nel club esclusivo, di essere accompagnati verso questa nuova vacanza, non più al mare, ma sul mare. Tutto questo senza rinunciare ai propri confort e con il plus di essere sempre al centro dei posti più belli, cambiando scenario due volte al giorno, accompagnati e serviti dal nostro staff, rigorosamente preparato e selezionato attraverso dei corsi professionali interni all’azienda. Quanti sono gli imprenditori che ad oggi si sono affiliati al brand? Ad oggi sono 16 gli affiliati che hanno scelto il Brand MadMax Franchising nautico,

acquistando catamarani che si collocano in una fascia di prezzo tra i 350.000 ed il milione di euro circa. È notizia fresca che un affiliato, dopo la sua seconda stagione fatta con il suo catamarano, ne ha ordinato un altro da mettere in flotta, dimostrazione inequivocabile della bontà del progetto MadMax. Quali sono gli step per affiliarsi? Il primo step è l’acquisto del catamarano versando una prima tranche di soli 35.000 euro per far partire la produzione del catamarano (nel caso di un Lagoon 40), dopo circa 12 mesi , poco prima del varo, si versa la seconda tranche di circa 90.000 euro, il resto in Leasing a 7 anni che, come dicevo prima, si ripaga da solo. Il secondo step, contestualmente all’acquisto, è affiliarsi alla rete della MadMax Franchising nautico. Il terzo step è godere del bene e vedere realizzarsi il sogno di anni, lasciando a dei professionisti le complessità e le problematiche della gestione. Si dice che un armatore è felice in due momenti: quando compra la barca e quando la rivende…. Noi siamo l’anello di congiunzione tra questi due momenti, rendendo felice tutto quello che sta nel mezzo, cioè una barca sempre pronta per andarci in vacanza, che si paga da sola sia il costo del Leasing che quello di gestione e che a fine anno genera degli utili importanti all’affiliato. MadMax Franchising nautico S.r.l. Via Aurelio Lampredi 81 57121 Livorno info@madmaxcharter.it +39 371 323 4379 +39 371 323 4443 www.madmaxcharter.it

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GESTIRE L’IMPRESA I VALOROSI

FARE IMPRESA ONESTA NONOSTANTE LE LEGGI ASSURDE Uscito dalla magistratura dopo una clamorosa denuncia al Csm, oggi l’ex procuratore aggiunto di Milano Alfredo Robledo presiede la Sangalli, un’azienda che vive di appalti pubblici: «E lavorare nella legalità costa ma si può» di Sergio Luciano «NON SI PUÒ IMPORRE LA LEGALITÀ PER LEGGE», DICE ALFREDO ROBLEDO, E TI FISSA CON UNO SGUARDO DEI SUOI, PENETRANTE, CONCENTRATO, DI QUELLI CHE QUANDO AVEVA UNA TOGA SULLE SPALLE POTEVANO FAR TREMARE. «Fare impresa

con successo rispettando le leggi si può, eccome, anche in settori molto condizionati dagli appalti pubblici. Ma non per merito delle leggi. Anzi: nonostante molte leggi. Pessime per eccesso di minuzia e mancanza di pragmatismo». Il procuratore aggiunto della Procura della Repubblica di Milano - autore di decine di inchieste celeberrime, tra cui quella che ha portato alla condanna definitiva per frode fiscale di Silvio Berlusconi - ha lasciato la magistratura un anno fa. Oggi presiede la Sangalli di Monza, una bella azienda che fornisce servizi di pulizia, vive essenzialmente di appalti pubblici e, chiedendogli di prendere la presidenza, ha voluto voltare pagina rispetto a un passato non privo di inciampi ed ha conseguito il rating di legalità istituito dall’Anac e dall’Autorità Antitrust. Robledo, uscito tra mille polemiche da una categoria castale, tanto essenziale per la vita del Paese quanto contaminata soprattutto negli ultimi anni da ombre e cadute, sta vivendo una seconda vita. Il coraggio di denunciare formalmente la condotta a suo avviso scorretta del capo della Procura Bruti Liberati davanti al Csm, finita in una sorta di verdetto di pareggio dallo sgradevole tanfo di insabbiamento, lo ha definitivamente marchiato come un apostata, un eretico. E dopo un po’ di mesi di “altro incarico” ha ritenuto di scegliere un modo diverso per difendere la legalità: dall’interno di una grande azienda. «Un modo diverso ma coerente con il primo, però», precisa: «Sono entrato in questo nuovo lavoro con tutta la mia formazione. Non sono cambiato rispet-

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to ai miei valori di riferimento. E quindi non ho sviluppato una concezione astratta della legalità». Ci spieghi meglio. Cos’è che non va nelle leggi che regolano il rapporto tra Stato e imprese? Legiferare in maniera minuziosa e ipercorrettiva è sempre stato un modo di fare pessimo. Norme come l’attuale codice degli appalti sono negative. La legge non chiara si presta a mille interpretazioni manipolative. Dev’essere invece lineare e semplice. Per quello il codice napoleonico è durato tanto. Per esempio applicare la 231 in concreto è complicatissimo. Alla Sangalli ho trovato metodi, che sto cambiando, kafkiani: per parlare con un funzionario della pubblica amministrazione bisognava andarci in due, poi scrivere una relazione, che deve passare per l’ufficio legale che deve archiviarla protocollandola, comunicarla al consiglio, e via così con infinite adempimenti burocratici che non eliminano di per sé minimamente la possibilità di delinquere. Quindi anche lei critica il codice degli appalti? Ripeto: è scritto male, prevede procedure farraginose, di fatto inapplicabili, che conducono molti appalti a nessun termine. Va semplificato, assolutamente. E la Consip? Funzionano le gare telematiche? Se si riuscissero a evitare le intrusioni corruttive sarebbero determinanti. Ma quando queste intrusioni prevalgono, cancellano qualsiasi risparmio. E l’Antimafia? Così com’è non serve più. Era stata fatta su misura di Falcone e con lui e solo con lui poteva funzionare. E per di più il correntismo l’ha infiltrata: come dimostrano le recenti nomine poi revocate dai tar piuttosto che alcune intercettazioni telefoniche.

ALFREDO ROBLEDO

Parole pesanti… Veda, a volte alla gente comune viene da chiedersi come possa pretendere legalità dai cittadini uno Stato che non ha indagato su troppi dossier gravissimi, che ha lasciato correre stragi e mafie. Le istituzioni, la lotta alla corruzione la vogliono fare davvero? Sembra che si sia creata una tale compenetrazione psicologica, nel Paese, tra corrotti e vittime della corruzione, che rende impossibile uscire dal loop. I più dicono: proprio qui, proprio da me vuoi cominciare a combattere la corruzione? Perché non cominci da quell’altro? La mia risposta è che il cittadino deve essere onesto per rispetto di se stesso. Ma nella dimensione dell’impresa, e in un quadro del genere, come si può fare business restando nella legalità? Quello che serve è selezionare e qualificare le persone, creando in azienda uno spirito di squadra di cui i capi siano esempio. La legalità dev’essere una scelta profonda e collettiva. È l’aria che respirano le persone perbene. In


IL CONCETTO DI LEGALITÀ VIENE DECLINATO CONFUSAMENTE CON UNA PROLIFERAZIONE DI NORME E STRUTTURE INUTILI E QUINDI DANNOSE Sangalli abbiamo 1100 dipendenti ed ho cercato di creare un clima in cui ciascuno sa che si può fidare degli altri. Se dai senso di dignità al tuo lavoro, isoli i comportamenti non onesti. Rispetto alle persone della mia azienda, del centro direzionale di Monza, sono sicuro che il modello 231 è superfluo. Quando tu dipendente vedi che la dirigenza è corretta e ti è vicina nell’impegno di esserlo, l’ambiente si sanifica, spontaneamente. E quindi la 231 che fa, la disapplica? Ci mancherebbe! No: la stiamo implementando ma chiarendone il senso per focalizzare al massimo l’applicazione delle sue norme all’interno senza creare né problemi di rallentamento delle procedure né di interpretazione. E le mele marce? Possono esserci, ma se si lavora bene dopo un po’ si eliminano da sole. Anche perché la mela marcia non è mai isolata, prospera solo se trova attorno a sé il giusto…riferimento colturale… È favorevole al cosiddetto whistleblowing,

la spiata legalista in azienda contro gli scorretti? Sì: in Sangalli l’abbiamo introdotta, chi vuol denunciare un comportamento illecito ha il diritto di farlo saltando management e consigli d’amministrazione e rivolgendosi direttamente all’organismo di vigilanza. Che poteri ha tenuto per sé, come presidente, per presidiare meglio l’etica d’impresa? Quello di nominare l’audit, l’organismo di vigilanza e il collegio sindacale. Ma poi puntando tutto sulla prevenzione. Ci vuole la giusta struttura di controllo, ma i guai si prevengono nella gestione. Resta il fatto che il nostro non è un Paese per onesti, le pare? No, no: niente alibi. È vero che può essere più faticoso essere onesti che disonesti, però alla lunga paga. Il guaio è che spesso i rimedi apportati dal legislatore sono stati illusori. Come nel caso dell’Anac. Mi spiego: la Francia è un Paese che ha un livello di corruzione significativo, ma ha anche una tradizione autorevole e rigorosa nella pubblica amministrazione: per cui, nonostante i corrotti, il sistema funziona. Ma la Francia, come la Gran Bretagna, ha all’attivo una storia nazionale significativa. Da noi la storia è regionale, cittadina, e la burucrazia è soffocante. Perchè critica l’Anac? Perché ha subito un’enorme distorsione della sua funzionalità. Rivolgersi all’Anac si risolve troppo spesso nel blocco totale delle operazioni. Ma anche l’antimafia si risolve spesso in discriminazioni ingiuste. Un’interdittiva prudenziale e magari infondata, destinata a rivelarsi tale in pochi mesi, basta tuttavia a tagliar fuori un’azienda da un appalto, costringerla a tagliare posti di lavoro e ridimensionarsi, salvo poi chiederle scusa a danni fatti e ormai irreparabili. Un soffio di vento manda tutto all’aria. E la legge spazzacorrotti? Dice che se una volta hai sbagliato devi andare in galera senza se e senza ma. Sono tagliate fuori. Ma se uno paga col carcere e risarcisce, e naturalmente ristruttura l’azienda secondo

spirito di legalità, dovrebbe essere riabilitato. Altrimenti le aziende muoiono. Io sostengo che lo Stato dev’essere severo e attento, ma deve sostenere le imprese corrette. Invece il concetto di legalità viene declinato confusamente, con una profilerazione di norme e strutture inutili, e quindi dannose… E lo Stato ha una brutta reputazione… Sì: non viene percepito come uno Stato legale. Lo si vede nel penale, nelle ambiguità dell’antimafia, in 1000 manifestazioni di ambiguità e di inefficienza. Ma quando dissemini nelle istituzioni prassi poco chiare… induci i cittadini alla sfiducia verso di esse. L’Italia vive una fase di confusione enorme sul fronte della legalità che è diventata un concetto evanescente. Non interiorizzato da nessuno. Quando il cittadino guarda allo Stato, dove dovrebbe vedere ovunque il culto della legalità, e se non lo trova, si smarrisce e si chiede se essere onesti abbia senso oppure no. Tornando alla sua nuova vita: come le è capitata? Un mio amico imprenditore, una persona seria che conosco da 20 anni, mi ha chiamato: “C’è un’azienda che vuole darsi un nuovo corso, la tua storia parla per te. Perché non vieni a guidarlo?”. Le piace questa nuova dimensione? L’attività nel privato è veramente bella. Mi sento addosso la responsabilità motivante di garantire la serenità a 1100 famiglie. Mi sento utile alla gente normale, ai cittadini come mio padre… Non ho mai avuto rimpianti, sono uscito da un modo ormai lontano dalla vita reale, mentre questa cosa mi avvicina alla vita reale… Però lo ammetta: è tosta. Essere onesti e imprenditori sta diventando quasi un ossimoro. Insisto: no. Potrai dover pagare un prezzo: vincerai qualche gara in meno, ma non subirai intralci e battute d’arresto. Certo, la legalità costa, non puoi rinunciare a certi presidi, è sempre bene che ci siano. Ma alla lunga premia. L’azienda è la nostra identità, che comprende lo sforzo dell’essere onesti. L’identità costa, ma è tutto.

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NON PER TUTTI, SOLO PER POCHI... affiniteatelier.com


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IL VALORE DELLA DIVERSITÀ SI MISURA NEL FATTURATO I brand che investono nell'inclusività registrano incrementi dei ricavi del 20% superiori rispetto ai marchi non inclusivi: oggi tre consumatori su quattro scelgono in base alla responsabilità sociale

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di Matteo Musso

BOSCH LA COERENZA DEI VALORI FA GRANDE IL LEADER E L'AZIENDA

45 LABLAW SI FA PRESTO A DIRE "SMARTWORKING"

46 MANPOWER LE VERE BARRIERE SONO QUELLE DELLA MENTE

48 FINDOMESTIC IN BANCA IL VALORE CHE CONTA È QUELLO DELLE PERSONE

49 ENERGIA IL FUTURO DI ENI: DECARBONIZZAZIONE E WELFARE

51 GIG ECONOMY LA LEGGE SUI RIDER CHE CI RIPORTA ALL'OTTOCENTO

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arlare di un tema è una cosa, diffondere cultura è un’altra. Francesca Vecchioni, consulente e formatrice in tematiche legate alla d&i, fa la seconda da quando otto anni fa ha creato Diversity, di cui è Presidente e della quale ha dato una definizione semplice e suggestiva: «Diversity crea caramelle, partendo dalla ricerca accademica, da ciò che può essere importante divulgare sulle tematiche dell’inclusione, per arrivare a creare dei progetti che hanno l’obiettivo di ingolosire le persone di alcune informazioni che sono molto importanti». La sua associazione ha l’obiettivo di generare cambiamenti positivi e sovente ciò avviene, secondo il giornalista e sociologo canadese Malcolm Gladwell, proprio come si diffondono le epidemie: «Per comprendere il potere delle epidemie dobbiamo accettare che, a volte, i grandi cambiamenti derivino da piccoli eventi e che spesso queste trasformazioni possa-

no verificarsi con grande rapidità». Occorre quindi possedere una salda convinzione che le persone possano cambiare comportamenti o convinzioni se esposte allo stimolo adatto. Francesca Vecchioni e il suo team fanno proprio questo, attraverso la produzione di eventi come il Diversity Media Awards (analisi e poi premi a media e personaggi che hanno contribuito a una rappresentazione valorizzante delle persone e delle tematiche di genere e identità di genere, orientamento sessuale e affettivo, età e aging, etnia e disabilità) e il Diversity Brand Summit (l’evento dedicato alle aziende e all’impatto che diversità e inclusione hanno sul business). Diffondere cultura però significa anche parlare di dati oggettivi. Per questo quanto emerge dal Diversity Brand Index (un progetto di ricerca condotto da Diversity in collaborazione con Focus Management) ha un valore inestimabile. Perché non è solo etico sviluppare una cultura

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orientata alla diversità e all’inclusione, ma è pure redditizio. La mappatura delle aziende ha riguardato le loro iniziative di Diversity&Inclusion rivolte al mercato italiano, classificandole per le sette forme di diversità riconosciute in letteratura in maniera trasversale: credo/religione, disabilità, età, etnia, genere, orientamento sessuale e status socioeconomico. Qualche numero? I brand che investono in D&I registrano una crescita dei ricavi del +20% rispetto a brand non inclusivi (+16,7% nel 2018), proprio perché il 51% dei consumatori sceglie con convinzione brand inclusivi e un ulteriore 23% preferisce brand che investono sulla Diversity&Inclusion. Oggi più che mai, l’impegno nella D&I ha non solo un forte impatto sulla reputazione delle aziende, ma è tra i fattori determinanti in grado di generare fiducia nei brand e alimentare di conseguenza brand equity e passaparola positivo, indirizzando le scelte d’acquisto di consumatrici e consumatori. Inoltre il Net Promoter Score (indicatore del passaparola) per i marchi percepiti come più inclusivi quest’anno ha raggiunto quota 85,1% (+14 p.p.) rispetto al 70,8% dello scorso anno, con un potenziale in termini di delta nella crescita dei ricavi del +20% rispetto al 16,7% del 2018, a dimostrazione della stretta correlazione tra D&I, passaparola positivo e crescita economica/ricavi dei brand. Insomma, «l’inclusione non è un più considerato come un tabù ma è un vero e proprio asset di crescita strategico per le aziende», spiega Francesca Vecchioni. Quando ha deciso di impegnarsi in prima persona sul tema diversity e inclusion? Quando ho fondato una no-profit con l’obiettivo di diffondere la cultura dell'inclusione. In realtà non esisteva un soggetto che riuscisse a ragionare con uno scopo sociale, ma attraverso delle leve di business e quindi attraverso una concezione intersezionale. Quindi non solo prendendo ad esempio il tema dell’orientamento sessuale, , dell’identità di genere oppure della disabilità, ma lavorando su tutte le aree della diversity.

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INVESTENDO SULLA DIVERSITÀ SI CREA UN AMBIENTE SOSTENIBILE E PERFORMANTE Con un approccio molto scientifico. È una delle nostre caratteristiche quella di lavorare proprio partendo da una base solida, con una stretta collaborazione con il mondo della ricerca e il mondo accademico. Siamo molto data-driven. Al tempo stesso vogliamo essere un connettore, capace di creare progetti che diffondano l'inclusione. Una leva determinante è quella della comunicazione dell'immaginario collettivo, il fatto quindi di riuscire a incidere sulle persone e sui soggetti che real-

mente fanno da volano al tema culturale. Ovvero i Diversity Media Awards. Siamo arrivati alla quinta edizione. Quando siamo partiti l’Osservatorio di Pavia è andato indietro di 15 anni per analizzare il mondo della diversità rappresentato dai media per avere un trend un po' più lungo. Questo lavoro sui media è un primo aspetto, cioè analizzare chi ha la responsabilità di rappresentare la realtà in maniera più intuitiva possibile ma soprattutto più autentica. Le economie più avanzate

I BRAND PERCEPITI COME PIÙ INCLUSIVI

FONTE: DIVERSITY BRAND INDEX


sono quelle in cui diritti civili e diritti umani non sono violati e in cui l’equità sociale e quindi l’inclusione hanno livelli alti. Sono dati reali che si ripercuotono direttamente sul sistema economico di tutta una società. Il passo successivo è come le aziende percepiscono il valore della diversity: dalla capacità di trovare e intercettare i propri talenti a quella di dare spazio alle potenzialità delle persone che operano all'interno dell’azienda stessa. Investendo sulle diversità si crea un ambiente sostenibile e anche molto performante. La ricerca che presentate nel corso del Diversity Brand Summit dimostra la stretta correlazione tra investimenti su diversity&inclusion e crescita nei ricavi. Oggi più che mai il consumatore sceglie sulla base dei valori che l'azienda rappresenta, valutando le azioni che compie e le modalità con cui le compie. Il Diversity Brand Index non parte da quello che fanno le aziende al loro interno ma da come vengono percepite. E le aziende percepite come inclusive, cioè quelle più attente alla diversità in senso ampio (orientamento sessuale, religione, etnia, età, genere, disabilità e status socioeconomico) sono più apprezzate dai consumatori, attirano più talenti e migliorano le proprie performance economiche.

ECONOMY PREMIA L'INCLUSIVITÀ Per la creazione di una cultura inclusiva le aziende più illuminate hanno ideato programmi e iniziative volti alla valorizzazione delle differenze che permettano ad ognuno di essere se stesso e dare il meglio di sé. Gli Economy Inclusion Awards, un evento prodotto dagli Stati Generali Mondo del Lavoro e dalla nostra testata, premierà il 16 dicembre a Milano i progetti di inclusione realizzati dalle aziende con l’obiettivo di far convivere etica e business. Ovvero le iniziative sulla Diversity&Inclusion di brand che hanno dimostrato maggior impegno nella responsabilità sociale d’impresa, abbattendo le discriminazioni su età, disabilità, genere ed etnia, e trasformandole in

Senza entrare direttamente nel merito di questioni politiche, l’Italia non appare il Paese più inclusivo: le nostre aziende invece? Diciamo che non siamo ancora molto avanti su questo tema. Se ne parla come se fosse una casellina da flaggare o poco più. All’interno delle nostre aziende continuano ad esserci una serie di pregiudizi rispetto ad alcune tematiche. I

NET PROMOTER SCORE L’INCLUSIONE ACCELERA LA CRESCITA

FONTE: DIVERSITY BRAND INDEX

* DIFFERENZA % NELLA CRESCITA DEI RICAVI PER I BRANDI INCLUSIVI

fattori di unione e dialogo. La kermesse è in programma lunedì 16 dicembre presso l’Auditorium Bosch in via Marco Antonio Colonna 35 a Milano. I lettori che desiderano partecipare all’evento potranno richiedere il pass di invito alla seguente email: info@economymag.com PROGRAMMA 15:00 - 16:30 Presentazioni di best practice aziendali 16:30 - 17:00 Networking time 17:00 - 18:00 Talk su progetti e sviluppi Diversity & Inclusion e consegna Economy Inclusion Awards 2019

pregiudizi di genere ad esempio non sono per forza attivati solo dagli uomini, ma anche dalle donne verso le donne stesse. Oppure l’orientamento sessuale, ma possiamo parlare delle tematiche della disabilità. Chiediamoci quante persone disabili sono nelle aziende e quante ce ne sono nei board, o quante donne ci sono nei board. Noi ci impegniamo a far comprendere il valore delle differenze e di come la diversità non sia altro che una grandissima opportunità. È certamente più faticoso avere a che fare con qualcuno che è molto differente da noi, ma quella fatica produce molto più vantaggio. Ci vuole coraggio però, ma chi non è coraggioso questo treno se lo perde. Le grandi realtà hanno probabilmente compreso questa opportunità, ma le Pmi? Lo stanno capendo o quantomeno negli ultimi due anni c'è un interesse ancora più forte. È scattata una specie di corsa all'attenzione su questo tema. Molti si stanno arrangiando per cercare di capirci qualcosa, ma è un’attività che richiede impegno e competenze. Io ho coniato il termine diversity transformation, per cui proprio come accade per la digital trasformation non è sufficiente inserire una persona per cambiare tutta un'organizzazione e positivizzare in questo senso.

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Il senso di Bosch per i giovani «I nostri valori in 1500 scuole» Beneficenza, impegno sociale e inclusione: Fabio Giuliani, amministratore delegato di Bosch per Italia e Grecia, sottolinea la valenza di lavorare per un’impresa che è detenuta per il 92% da una fondazione

di Raffaele Mancino

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o scopo con cui un leader agisce è la un posto di lavoro è la principale apprensione passione con cui lo fa», parola di Fadegli italiani, con un tasso di disoccupazione al bio Giuliani, neo amministratore de9,9%. «Abbiamo investito in progetti che affonlegato di Bosch per Italia e Grecia. Un incarico dano le radici nella nostra storia e ci spingono arrivato da pochi mesi dopo un percorso (soa continuare su questa strada. Uno di questi prattutto in ambito controlling, finance e geè Neeton, volto a favorire l’inserimento dei stione della supply chain) che di ordinario ha neet (not engaged in education, employment ben poco, tale è la qualità di un manager entraor training) nel mondo del lavoro. Si tratta di to nel gruppo tedesco nel 2005 e che da allora recuperare ragazzi dai 20 ai 34 anni che non non ha mai smesso di crescere. Tutto questo cercano attivamente un’occupazione aiutannel segno di quei valori che Bosch tramanda doli ad inserirsi nel mondo del lavoro. In Italia di generazione in generazione: «Lavorare per sono il 30%. È un progetto determinante per questa azienda, che in realtà è una fondaziola loro formazione e per il loro futuro che porne, aspetto atipico in tiamo avanti con partIL PROGETTO IDEATO CONTRO tutto il mondo, ha una ner quali ManpowerLA DISOCCUPAZIONE, “ALLENARSI PER valenza molto particoGroup e LabLaw». IL FUTURO”, HA COINVOLTO 300MILA lare. Investiamo una Sono 1500 le scuole STUDENTI E ATTIVATI 4200 TIROCINI parte degli utili nel coinvolte, con 300mila sociale ed è un elemento che indubbiamente studenti incontrati e 4200 tirocini attivati aumenta la motivazione di tutti noi e confernell’ambito del progetto “Allenarsi per il Fuma quei valori che respiriamo ogni giorno in turo”, un’iniziativa contro la disoccupazione Bosch. Riteniamo la responsabilità sociale un giovanile ideata sempre da Bosch su tutto tema fondamentale che si manifesta attraveril territorio italiano con la collaborazione di so una serie di iniziative che hanno lo stesso Randstad ed altre imprese, enti e istituzioni. comun denominatore e che si può sintetizzare «È un progetto dedicato all’orientamento e con la parola inclusione». alla maturazione delle cosiddette competenze Una sorta di vera e propria vocazione che actrasversali - prosegue Fabio Giuliani - attracompagna le innovazioni tecnologiche dell’averso la metafora dello sport grazie alle tezienda e un’attenzione concreta verso il contestimonianze di grandi atleti italiani come, tra sto in cui opera. E in quello attuale la ricerca di gli altri, la pallavolista Maurizia Cacciatori, la

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FABIO GIULIANI

schermitrice Margherita Granbassi, il judoka Pino Maddaloni e l’alpinista Marco Confortola. L’obiettivo è trasmettere valori quali passione, impegno, responsabilità e soprattutto ‘allenamento’ per raggiungere gli obiettivi personali e professionali nello sport come nel lavoro e nella vita di tutti giorni». Attenzione e impegno verso le tante sfaccettature della disoccupazione, ma nondimeno la responsabilità di trasmettere determinati valori alle proprie persone e a chi entra in azienda per la prima volta: «In Bosch vogliamo che ciascun nostro dipendente sia leader in quello che fa e che quindi sia appassionato. Uno dei primi concetti che insegniamo ai nostri leader è una filosofia che chiamiamo ‘We lead Bosch’, una serie di principi che attuiamo per essere leader efficaci ed efficienti. Lo scopo con cui un leader agisce è la passione con cui lo fa. I talenti e i giovani hanno desiderio d’apprendere, ma portano anche una cultura nuova: essi vanno valorizzati e integrati con il patrimonio esistente dell’azienda. Sosteniamo i nuovi inserimenti e li accompagniamo alla cultura Bosch». Una cultura di cui Giuliani rappresenta un esempio concreto osservando la crescita fatta all’interno del gruppo: «È vero, il mio percorso è la testimonianza dei concetti di cui sopra, ma ce ne sono molti altri. Indubbiamente esiste una coerenza nel vivere questi valori».


SI FA PRESTO A DIRE “SMART WORKING” Attraverso il rimodellamento della prestazione si vuole anche rimodellare il “sinallagma contrattuale” del rapporto di lavoro subordinato fordista: un’opportunità formativa con una visione di autonomia e di crescita di Francesco Rotondi (founder LabLaw)

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utti ne parlano, ma pochi con la contezza che il tema richiederebbe: lo smart working non è banale come lo si dipinge. Tutt’altro. A seguito della grande eco mediatica chiunque sa dell’esistenza di questo istituto; ben pochi però, ne siamo certi, comprendono, capiscono e ne conoscono il reale significato ed applicazione. Anzi, dal punto di vista populista essere contrari allo smart working significa non volere il bene del lavoratore e della di lui famiglia, essere ancorati a vecchie e superate modalità organizzative. Da un punto di vista giuridico lo smart working è stato risolto dal nostro ordinamento con una norma che prevede la possibilità di determinare che una parte della prestazione di lavoro possa essere svolta al di fuori di quello che contrattualmente è stato identificato come “luogo” o “sede” di lavoro, normalmente coincidente con l”ufficio. Quanto sopra ha fatto sì che tutto il clamore, dibattito, scontro sullo smart working riducesse lo stesso a qualche ora di prestazione – solitamente il venerdì – fuori del contesto aziendale. Poca roba. Non siamo d’accordo su ciò che è stato detto e soprattutto sulla “messa a terra” di questo istituto/ strumento/modalità organizzativa. E crediamo di essere in buona compagnia. Così, ci permettiamo di commentare l’articolo apparso su Italia Oggi l’11 novembre 2019. Cominciando dal titolo, “Smart working per aggiornarsi”, comprendiamo che troveremo interpreta-

zioni più ampie, di visione generale del cambiamento organizzativo e del valore che lo smart working può avere nelle trasformazioni e cambiamenti culturali dei lavoratori. Un cambiamento che passa attraverso concetti quali autonomia, responsabilità, obiettivi! Ed allora, Francesca Manili Pessina, Evp Human Resources di Sky Italia, ci spiega che «Smart working è una visione di inclusione: se è vero che lo Smart Working abilita un cambio culturale, e quindi facilita l’imprenditorialità e il senso di appartenenza delle persone, questo concetto deve riguardare tutti, non solo quelli che fanno attività più adatte ad essere svolte da remoto». A dare contenuto a queste affermazioni si parla di “smart uffici”, ovvero la riprogettazione degli spazi di lavoro: l’open workingche offre flessibilità di tempo, di spazio. Tutto ciò è volto al cambio culturale che non è “lavoro dove voglio…” , bensì attraverso il rimodellamento della prestazione si vuole rimodellare il vecchio sinallagma contrattuale del rapporto di lavoro subordinato for-

FRANCESCO ROTONDI

dista: “metto a disposizione il mio tempo e tu imprenditore lo organizzi e mi dici come, quando e dove svolgere ciò che mi affidi”. Il cambio culturale che anche lo smart working così come sopra delimitato tende a far sì che il lavoratore cominci a ragionare in autonomia organizzativa perché si assume la responsabilità del risultato; ovvio che in questa ottica il “luogo” e “l’orario di lavoro” assumono una diversa declinazione da quella sino ad oggi pensata. Così ragionando, lo smart working è anche opportunità formativa, ma con una visione diversa ovvero quella dell’autonomia e responsabilità diretta della propria crescita professionale. Se così fosse allora anche noi esclameremo: “viva lo smart working!”

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LE BARRIERE PEGGIORI SONO QUELLE DELLA MENTE Manpower, la multinazionale leader mondiale nelle workforce solutions, in partnership con Viaggio Italia ha coinvolto i propri collaboratori in un’iniziativa di inclusione e superamento dei limiti dettati dalla diversità di Raffaele Mancino

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ttuare politiche di Diversity & Inclusion è sempre più la strada percorsa da brand innovativi. Parliamo di realtà che da una parte hanno creato percorsi aziendali interni volti all’abbattimento di discriminazioni di vario genere (età, sesso, disabilità o altro), e dall’altra hanno lanciato progetti e messaggi commerciali inclusivi, dove etica e business convivono serenamente. Ne è un chiaro esempio l’iniziativa Beyond, nata dalla partnership di Manpower, la multinazionale leader mondiale nelle workforce solutions, con Viaggio Italia, un progetto di viaggio alla scoperta dei limiti, che dimostra come vivere con una disabilità fisica sia possibile. L’avventura è di Luca e Danilo, due ragazzi che si sono conosciuti nei corridoi dell’Unità spinale di Torino dopo un grave incidente:

una coppia di amici che ha scelto di vivere questo drammatico evento come l’inizio di una nuova vita, da vivere con nuovi occhi per vedere il mondo. Quella di Danilo Ragona (progettista e designer, presidente dell’azienda Abletoenjoy) e di Luca Paiardi (architetto e musicista, bassista degli Stearica) è una storia di coraggio,

LUCA PAIARDI E DANILO RAGONA SI SONO CONOSCIUTI NEI CORRIDOI DELL’UNITÀ SPINALE DI TORINO: INSIEME HANNO VIAGGIATO PER IL PAESE IN AUTONOMIA

libertà e autonomia. Viaggio Italia è un inno alla vita, all’amore e alla forza di non arrendersi di fronte alle difficoltà. Danilo e Luca partono sempre dall’Italia per andare alla scoperta del mondo: la loro storia è un’impresa meravigliosa, tanto che il fatto che siano su una carrozzina diventa marginale.

Nessun corso di formazione insegna quanto la genitorialità di Fabrizio Gavelli, General Manager Danone Specialized Nutrition South Europe

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n Danone Company (Danone, Mellin e Nutricia) possiamo davvero dire che le persone più felici lavorano meglio. Per questo favoriamo l’inclusione. Tutto è iniziato 11 anni fa: Mellin, con un approccio visionario, ha introdotto

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misure che favorissero la conciliazione vita lavoro e la genitorialità e da allora non ci siamo più fermati. Uno dei migliori frutti ottenuti è che la natalità interna a Danone Company è aumentata del 7,5% dal 2011 a oggi, in controtendenza rispetto a ciò che succede in Italia. Da noi poi il 100% delle mamme torna a lavorare. E quando tornano danno all’azienda un valore importantissimo: la maternità è portatrice di una carica positiva. Nessun corso di formazione

Tra i loro obiettivi infatti vi è quello di far superare i limiti mentali per i quali chi vive nelle loro condizioni può benissimo viaggiare e praticare sport; vogliono trasmettere alle persone comuni e a chi è nei centri di unità spinale il loro messaggio di autonomia e indipendenza con sorrisi e testimonianze pratiche, testando servizi e prodotti aziendali con il valore dell’accessibilità. «Riteniamo che favorire sostenibilità, integrazione sociale e inclusione delle diversità sia il modo migliore valorizzare il capitale umano e sviluppare il talento delle persone, da sempre al centro del nostro lavoro» spiega Riccardo Barberis, amministratore delegato di ManpowerGroup Italia. «La valorizzazione del capitale umano deve riguardare tutti gli ambiti e livelli lavorativi, e soprattutto laddove si presentino situazioni di disabilità o marginalità. Promuovere progetti potrà mai insegnare quanto la maternità e la paternità; i genitori imparano a lavorare con grande pragmatismo, gestendo le priorità e potenziando le capacità organizzative. E questo alimenta un percorso virtuoso: il 40 % delle promozioni in Danone infatti viene dato a donne rientrate dal congedo di maternità. Abbiamo previsto flessibilità negli orari di entrata e uscita per mamme e papà e tutti possono usufruire dello smart working. Per le mamme, è prevista anche l’integrazione del contributo economico durante il periodo di maternità facoltativa dal 30% al 60%, ci sono spazi dedicati in ufficio, come la sala allattamento, e sono disponibili corsi di educazione


L’INTEGRAZIONE È IL MODO MIGLIORE PER VALORIZZARE IL CAPITALE UMANO di inclusione porterà un beneficio a tutti: ai In seguito ha affiancato Viaggio Italia nel rosoggetti interessati, alle stesse aziende e al adshow 2019 organizzando eventi esclusivi tessuto sociale». con il coinvolgimento di main clients con un Con il progetto Beyond, Manpower ha coinforte orientamento alle tematiche relative volto in primo luogo alla Disability & inil suo pubblico in- LE AZIENDE CHE SI SONO LEGATE COME clusion. terno per mostrare SPONSOR AL PROGETTO BEYOND HANNO L’obiettivo finale è RAFFORZATO IL PROPRIO CODICE ETICO la nuova mission del DISTINGUENDOSI PER VALORE SOCIALE stato quello di reaGruppo, creando un lizzare un progetto evento nel quale Viaggio Italia ha partecipavolto a costruire nuovi percorsi di preparato come testimonial al fine di sensibilizzare zione per l’inserimento di profili portatori i colleghi con un approccio innovativo, dinadi disabilità. mico e coinvolgente. Il format della partnership ha permesso

quindi alle aziende che si sono legate come sponsor al progetto Beyond di rafforzare il proprio codice etico, distinguendosi per il loro valore sociale. L’impegno su Diversity & Inclusion infatti, non solo si lega ai valori del marchio, ma anche migliora la crescita aziendale, rafforzando la fedeltà dei clienti al brand. Quello dell’inclusione si tratta di un approccio di sistema che porta a un modello winwin al 100%, di azioni strategiche che portano benefici sia alle persone singole che alle aziende stesse.

nutrizionale. Anche i papà usufruiscono di 10 giorni di congedo parentale. Li ho presi anche io, che ho da poco avuto la mia seconda bambina. Ho potuto sperimentare il valore di queste iniziative e sono oggi particolarmente orgoglioso di vedere che la nostra parental policy è diventata il modello e l’ispirazione per Danone nel mondo. Un altro importante strumento di inclusione arriva dal nostro innovativo programma di welfare: diamo a tutti, e primi in Italia anche agli stagisti, circa 2 mila euro da spendere per una serie di servizi utili per sé e la famiglia. Le persone si sentono più motivate: il tasso di assenteismo nelle tre aziende in Italia è dello 0,6% contro una

cui per il secondo anno consecutivo il premio Diversity agli Lc Award e la Certificazione Geeis Diversity (Gender Equality European & International Standard). Di particolare importanza poi la nostra adesione a livello globale a HeForShe, movimento che supporta l’uguaglianza di genere e promosso dalle Nazioni Unite; la nostra fattuale adesione a questi principi mi ha portato ad essere citato, unico italiano, nell’Impact Report 2019 di HeforShe. Ho aderito al movimento HeforShe pensando alle mie due bambine, donne di domani, e scelgo di tradurre questa adesione in azioni concrete ogni giorno, lavorando per creare un ambiente di lavoro inclusivo.

media nazionale del 5,4%. Promuovere la diversity significa poi creare le condizioni affinché ogni persona si senta incoraggiata ad esprimere la propria unicità. Nel dicembre 2018, abbiamo promosso l’Inclusive Diversity Policy, che tutela ogni forma di inclusione e valorizza le diversità. All’interno della Policy grande attenzione è rivolta alla tematica Lgbt. Con Valore D e Parks Liberi e Uguali, Danone Company sostiene concretamente i valori dell’inclusione. Associandoci a Parks, facciamo parte di quel gruppo di aziende che hanno deciso di assumere un ruolo attivo nello sviluppo di una cultura che valorizzi le differenze. Ci siamo aggiudicati diversi premi, tra

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Il talento va accudito con i valori della responsabilità sociale Diversity, welfare, inclusione: in Findomestic l’approccio al credito ruota intorno al rispetto dei diritti civili delle risorse umane. Tanto da aggiudicarsi un premio per il miglior piano per fonti di finanziamento

di Paola Belli

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ono stati la prima realtà bancaria italiana a riconoscere alle coppie di fatto, comprese quelle dello stesso sesso, i medesimi diritti, benefit e agevolazioni delle coppie sposate. Hanno istituito un percorso per le donne vittime di violenza che entrano in un percorso di protezione, riconoscendo maggiori diritti rispetto a quelli previsti dalla legge. Hanno creato un circuito di segnalazione per le molestie in ambito professionale che permette a chi si sente vittima di molestia o testimone di effettuare una segnalazione del tutto anonima. Diffondondono e a difendono il valore della diversity, con percorsi di scoperta della diversità come fattore di ricchezza per l’organizzazione e per la società nel suo complesso. E quest’anno, durante la cerimonia dei Welfare Awards 2019 in cui vengono premiate le eccellenze italiane in tema di welfare aziendale, sono stati premiati per aver realizzato il “miglior piano per fonti di finanziamento”. Perché per Findomestic (Gruppo Bnp Paribas), che opera al servizio di oltre due milioni di clienti, ai quali si rivolge per proporre soluzioni di credito, assicurative e di risparmio, il rispetto della dignità e della personalità sono davvero i valori cardine attorno ai quali si costruisce l’ambiente di lavoro, rendendo il dialogo ed il confronto tra e con i collaboratori un potente mezzo per l’abbattimento di ogni forma di stereotipo e pregiudizio.

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ALESSANDRO AGOSTI, DIRETTORE HR FINDOMESTIC

Presente in tutta Italia, Findomestic ispira sono solo alcuni degli strumenti attraverso i la propria attività ai principi della Responquali Findomestic persegue questi obiettivi. sabilità Sociale, promuovendo un approccio Findomestic, inoltre, mette a disposizione al credito sostenibile e responsabile, per dei propri collaboratori un piano di Welfare sviluppare una relazione di lungo periodo aziendale attraverso il quale ogni dipendencon il cliente, con i partner, e con tutti i suoi te può accedere ad una vasta gamma di beni stakeholders. e servizi. Delle 2.648 persone che ne compongono Per esempio il part time, al quale hanno l’organico, circa l’87% ha contratti a tempo aderito quasi 400 dipendenti, grazie a oltre indeterminato e il 53% è rappresentato da 160 schemi orari diversi per soddisfare le donne. Ecco perché la banca è costantemenesigenze dei collaboratori. O le iniziative di te attenta alle tematiche legate alla diversità people care: polizza sanitaria, medicina pree alle pari opportunità attraverso l’indiviventiva, polizza infortuni, contributo asilo duazione di azioni concrete. Certificata dal nido/baby sitter, borse di studio dipenden2017 come azienda ti, integrazione conDELLE 2.648 CHE COMPONGONO Top Employer per le gedo facoltativo per L’ORGANICO DI FINDOMESTIC, CIRCA L’87% eccellenti condizioni HA CONTRATTI A TEMPO INDETERMINATO maternità. di lavoro, FindomeE poi la policy sulla E IL 53% È RAPPRESENTATO DA DONNE stic si è guadagnata diversity, con l’istitunel 2018 un posto nella classifica delle 15 zione di un Comitato Diversità e Inclusione migliori aziende italiane in cui lavorare, e della figura del Diversity Officer, oltre a confermandosi anche per il 2019 Bestworiniziative sviluppate durante tutto l’anno kplace Italia. che sfociano nella Diversity & Inclusion A contribuire al raggiungimento di questi Week e che toccano tutte le varie sfaccettaimportanti risultati sono soprattutto le poture della diversità (orientamento sessuale, litiche HR e le numerose iniziative messe violenza di genere e sessismo, differenze in campo per favorire un corretto bilanciadi genere e disabilità), con incontri e wormento della vita privata e lavorativa e per kshop, sui temi delle disabilità invisibili, creare un ambiente di lavoro dove poter delle molestie negli ambienti di lavoro e dei esprimere al meglio le proprie capacità propregiudizi. Tutte le attività sono sostenute fessionali. e accompagnate da una campagna social, Gestione dei talenti, programmi di on boattraverso LinkedIn, coinvolgendo tutto il arding per i neo assunti, smart working, top management della banca che ha voluto flessibilità oraria e iniziative di people care “metterci la faccia”.


IL FUTURO DI ENI TRA DECARBONIZZAZIONE E WELFARE L’employer identity è da sempre al centro della visione dell’azienda. Che, dall’assistenza sanitaria ai programmi di sostegno alle famiglie, oggi si posiziona sempre di più come una caring company di Paola Belli

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aggiungere le zero emissioni nette dell’upstream entro il 2030: la transizione energetica verso un futuro low carbon è per Eni una priorità strategica e un’azione di responsabilità verso stakeholder e ambiente. Ma senza le persone, tutto ciò sarebbe impossibile: «Questa profonda trasformazione non sarebbe possibile senza le conoscenze, l’esperienza e l’impegno delle persone di Eni, che per la società sono al centro di qualsiasi strategia, progetto, iniziativa», commenta Claudio Granata, Chief Services & Stakeholder Relations Officer. «La centralità delle persone è nel dna di Eni, e questo è testimoniato anche dall’estrema attenzione che la compagnia dedica alle proprie iniziative e al proprio sistema di welfare, basato sull’ascolto dei dipendenti, per coglierne le esigenze, spesso anticipandole e superandone in senso qualitativo le richieste». Per Eni le persone rappresentano la risorsa in assoluto più preziosa. Da questo principio nascono “i volti di Eni” (https://www.eni. com/it_IT/media/dossier/i-volti-eni.page), il format che racconta attraverso brevi video il lavoro di ogni giorno di ingegneri, tecnici e ricercatori. «Il welfare aziendale si inserisce in questo contesto, come dimensione impor-

tante della storia di Eni e della sua employer identity, ponendola al centro della propria strategia di business e posizionandosi come una caring company, un’impresa che promuove un impegno continuativo nella cura delle proprie persone per creare una catena di valore condivisa», aggiunge Granata. L’impegno di Eni in ambito Welfare trova storicamente uno dei suoi capisaldi nell’assistenza sanitaria integrativa. Dal 1° gennaio 2018 Eni ha più che triplicato l’impegno finanziario, assumendosi l’onere dell’iscrizione automatica per tutto il personale ai Fondi contrattuali di assistenza sanitaria integrativa di settore (Fasie - Opzione Base e Faschim). Oltre a ciò, grazie ad una polizza assicurativa stipulata “ad hoc” per Eni, tutti gli iscritti beneficiano di un ulteriore miglioramento delle coperture che assicura sia un incremento del rimborso per tipologie di prestazioni già riconosciute che per nuove prestazioni. Poi c’è la prevenzione: l’attività di “Igiene Industriale”, Eni wellness program (sui corretti stili di vita), il programma personalizzato Myto “my trainer on line”, le campagne di vaccinazione antinfluenzale, il Piano Diagnosi Precoce per la prevenzione oncologica, la rete solidale per facilitare il reintegro al lavoro

dei lavoratori colpiti da patologie croniche, lo “sportello” di help-line telefonica, le convenzioni con strutture sanitarie per prestazioni a costo agevolato. E l’attenzione alle famiglie, non solo con il nidoscuola Eni 0-6 di San Donato Milanese e quello nel nuovo complesso uffici di Roma Europarco, ma anche attraverso i programmi di orientamento scolastico, i soggiorni estivi, i summer camp e il contact center dedicato al supporto per le problematiche legate al care giving per genitori anziani e familiari non autosufficienti, offre servizi dall’assistenza amministrativa a quella domiciliare, dal supporto psicologico alle strutture residenziali di sollievo. E per il “domani” delle persone? Eni favorisce l’adesione consapevole a piani di previdenza complementare (aperti anche ai familiari fiscalmente a carico) e contribuisce al loro finanziamento: attualmente i dipendenti Eni iscritti al Fopdire (dedicato ai dirigenti) sono il 98% degli aventi diritto e a Fondenergia (per i lavoratori con CCNL energia e petrolio) il 93%: una opportunità di risparmio a cui lo Stato riconosce agevolazioni fiscali. L’offerta del benefit pensionistico è prassi aziendale consolidata non solo in Italia, ma in tutti i 67 paesi in cui Eni opera.

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www.statigeneralimondodellavoro.it


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Una legge sui rider mal fatta che ci riporta all’Ottocento Anziché tutelare i lavoratori della gig economy, la nuova norma rimane opaca sui termini di assunzione e rischia di agevolare nuove forme di caporalato. L’analisi di Mario Fusani, fondatore di Gf Legal

di Marco Scotti

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e vivete a Milano o a Roma, vi sarete molto opaca sui termini di assunzione». resi conto che ultimamente si sono Colpita e affondata, direbbero gli aficionados moltiplicati sui marciapiedi e per le di battaglia navale. La legge, infatti, tende a strade ragazzi che sfrecciano con le loro bicirimodulare un rapporto lavorativo tra i rider clette. Hanno in spalla dei giganteschi “cubi” e le aziende che, fino ad ora, era stato improncon i loghi dei più importanti marchi di food tato alla logica della massima indipendenza. delivery: Deliveroo, UberEats, Glovo e chi Studenti che devono arrotondare la magra più ne ha più ne metta. Il governo giallo-rospaghetta, stranieri che faticano a trovare un so-verde (trattasi di argomento trasversale lavoro stabile, disoccupati alla disperata ricerai due esecutivi che si sono alternati) ha penca di un impiego: sono i profili tipici del rider. sato bene, tra una crisi dell’Ilva e una flat tax Almeno fino ad oggi. Perché con la legge 128 da rimodulare, di legiferare a tutela dei rider. si introducono cinque capisaldi. Si individuaE, indovinate un po’, l’ha fatto malissimo. La no livelli minimi di tutela – cosa sacrosanta, montagna dell’onestà ci mancherebbe – che FINORA I RIDER ERANO LIBERI ha partorito un topovengono suddivisi in PROFESSIONISTI, MA SE SI CERTIFICA lino, la legge 128, che tre macrosettori: «Ci LA CONTINUITÀ NEL RAPPORTO è riuscita nell’intento sono quelle formali – DI LAVORO SCATTA L’ASSUNZIONE di scontentare tutti: prosegue Fusani – che lavoratori e aziende e parti sociali. «Si tratta impongono l’impiego di un contratto scritdi un provvedimento – ci spiega l’avvocato to, cosa corretta per la reciproca chiarezza e Mario Fusani, fondatore dello studio Gf Legal necessaria. Diverso è il discorso sulle tutele ed esperto di diritto del lavoro – improntato economiche: se fino a qualche tempo fa i rider al più vetero concetto di organizzazione e svivivevano di mance e di una percentuale sulle luppo della professione. E questo non perché consegne effettuate, oggi il lavoro a cottimo vengono messi in campo strumenti di tutela non è più consentito. O meglio, la parte fissa per i lavoratori, ma perché dà una serie di indeve essere superiore a quella variabile. E se dirizzi scollegati e del tutto finalizzati a dare si capita a consegnare a casa di Fedez e della solo in apparenza una posizione di tutela ai Ferragni, noti per la loro “tirchieria”… Scherrider. E dico apparente a ragion veduta: prizi a parte, la legge prevede che si debba fare ma di tutto, perché non si parla di ferie. Poi, riferimento al contratto collettivo di riferiperché non si fa nulla per evitare una forma di mento. Ma è una follia: sono fermi, come nel caporalato che, basta leggere i giornali, è già caso dei metalmeccanici, a 40 anni fa, anche emersa in tutta la sua dirompente potenza. se con qualche maquillage che adegua la reE infine, dettaglio più significativo, perché è tribuzione. E come normare un mercato to-

MARIO FUSANI

talmente nuovo come quello delle app se si usano strumenti vecchi? In questa legge non si parla di ferie, il che è terribile, mentre si garantisce una copertura assicurativa, che però deve essere messa a punto dalla piattaforma digitale». Ma la parte di più difficile comprensione e più facile da aggirare è quella relativa alla necessità di regolare il rapporto. Finora il rider era una sorta di “libero professionista”. Ora, se si certifica una continuità nel rapporto di lavoro, scatta automaticamente l’assunzione. «Stiamo tornando indietro alla fabbrica del 1800 – conclude Mario Fusani – e ci stiamo allontanando dalle forme più evolute di lavoro. Se, per esempio, ci si logga sulla app, anche con meccanismi di riconoscimento biometrico, e poi si passa il cellulare a un altro (a cui poi magari si chiede anche un contributo) si simula una continuità di lavoro che non c’è, dando vita al contempo a logiche da caporalato. Servono tre mesi di continuità per diventare dipendente, ma se ci si mette d’accordo questa soglia la si raggiunge senza quasi lavorare. E, infine, mancano tutele specifiche come nel caso del welfare aziendale: si tratta di un tetto massimo di 3.000 euro che per le categorie di persone che fanno i rider sarebbero preziosissime. Perché non pensare a una forma integrativa per aiutare, ad esempio, i figli dei lavoratori immigrati ad avere una migliore istruzione? Non farne cenno non è una mancanza e nemmeno una dimenticanza: è una carenza cerebrale».

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JOB

Badanti sì ma affidabili Garanzia per famiglie e anziani Da gennaio diventa Agenzia per il Lavoro la società Family Care Srl, del gruppo Openjobmetis: «Un’offerta strategica per la società contemporanea», spiega Rosario Rasizza, «che si svilupperà molto»

DANILO ARCAINI, RESPONSABILE DI FAMILY CARE

di Sergio Luciano

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icordo mia madre, fragilissima epCare Srl, una società specializzata nella ricerpure determinata, nella vita paralleca e nella selezione di assistenti familiari, che la tutta sua che conduceva da malata raccoglie i quattro anni di esperienza della precedi Alzheimer… inflessibile nelle sue allucinadente Divisione interna di Openjobmetis. zioni. E ricordo con grande riconoscenza la Oggi in Italia ci sono quasi 14 milioni di ultrasua badante, quasi una santa, per noi». Quansessantacinquenni e, di questi, 10 milioni hante testimonianze come questa risuonano nelno più di 70 anni. Più di 1 anziano su 3 non può la memoria di chi si occupa di geriatria e di svolgere attività domestiche, 1 su 10 non è auneurologia della terza età? O semplicemente tosufficiente. Numeri destinati a crescere data di chi un dramma come questo l’ha vissuto in l’evoluzione attesa del contesto demografico, famiglia? E quanti drammi queste sindromi come ha attestato un’indagine elaborata da The comportano appunto per le famiglie colpite European House – Ambrosetti con Openjobche vogliano unirsi atmetis in un recente IL MERCATO IRREGOLARE DEL LAVORO torno al loro congiunconvegno a Milano. DOMESTICO COPRE IL 60% DELL’ATTUALE to sofferente e non E, in cerca di aiuto, le FABBISOGNO DI SERVIZI MA, OLTRE abbandonarlo? famiglie degli anziani A ESSERE ILLECITO, È INAFFIDABILE Davvero in questo non autosufficienza si senso è dirimente il ruolo del personale sperivolgono al mondo dei lavoratori domestici, cializzato nell’assistenza agli anziani non più il cui mercato irregolare vale però il 60% del autosufficienti per motivi di salute, fisica o totale, dando vita a un fenomeno di sommerso mentale. davvero preoccupante. Ed è la ragione per cui il gruppo Openjobme«Family Care Srl è una risposta professionale e tis (Ojm), fondato e guidato da Rosario Rasizqualificata a quest’esigenza così mal gestita», za (nella foto della pagina accanto), ha deciso spiega Danilo Arcaini, responsabile commerda alcuni anni di inserirsi in un allora appena ciale Family Care Srl in Openjobmetis: «Siamo nascente comparto professionale di servizi stati dei precursori, oggi siamo una realtà forte, alla famiglia che da gennaio troverà la piena forniamo alle famiglie una consulenza comlegittimazione istituzionale: Ojm ha infatti pleta e non più un servizio di mera somminiottenuto dai ministeri competenti di poter strazione, le accompagnamo nel momento del costituire come Agenzia per il lavoro Family delicato inserimento di un badante convivente,

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OGGI IN ITALIA CI SONO CIRCA 10 MILIONI DI PERSONE OVER 70 E PIÙ DI UNA SU TRE NON PUÒ SVOLGERE ATTIVITÀ DOMESTICHE 1 SU 10 È DISABILE operando con 13 filiali completamente dedicate e gestendo un piccolo esercito della salvezza con circa mille operatori qualificati». Per una famiglia che ne abbia bisogno, rivolversi a Family Care anziché al passaparola vecchio stampo rappresenta una garanzia di professionalità e affidabilità. «Quando una famiglia ci chiama, noi innanzitutto approfondiamo in modo dettagliatissimo le esigenze della persona da assistenza: abitudini, preferenze, grado di autosufficienza. Su questa base individuiamo la persona più adatta. E la aiutiamo ad inserirsi al meglio». La selezione avviene attraverso la valutazione dei curriculum e le successive interviste. C’è


una fase di riscontro della professionalità e di eventuale formazione integrativa. «E insomma, sappiamo bene che chi fa il badante svolge un lavoro difficile, delicato e pesante. Ma riscontriamo con grande soddisfazione che la durata media degli incarichi che ci vengono affidati supera l’anno. Durante questo periodo, provvediamo a sostituire il personale quando va in ferie e comunque intervenire in tutti i casi di necessità». Sul piano gestionale, il ricorso al badante in regime di somministrazione solleva sia i lavoratori che le famiglie dalle pericolose complicazioni del lavoro autonomo diretto o, peggio - come si diceva - del lavoro nero. Family Care eroga le retribuzioni e dunque effettua i prelievi fiscali, che tengono tutti in regola. «Molti non ci pensano, ma rivolgersi ad un badante clandestino significa per esempio rischiare ritardi a volte letali nella gestione di un’emergenza: prima di chiamare l’ambulanza, un operatore che BADANTI SENZA DOCUMENTI IN REGOLA TENDONO A RINVIARE AL MASSIMO LE CHIAMATE DI EMERGENZA TEMENDO DI POTER ESSERE DENUNCIATI

non abbia carte in regola ci pensa due volte», osserva ancora Arcaini. «La nostra Divisione Family Care è nata dalla volontà di sperimentare e lanciare un’offerta di servizi che, per tutte queste ragioni, ritenevamo e riteniamo strategica con alto potenziale di sviluppo - conclude Rosario Rasizza, amministratore delegato di Openjobmetis, cui è affidato il controllo del 100 di Family Care - Oggi, dopo quattro anni, possiamo dire di avere avuto la giusta intuizione e per questo vogliamo continuare a crescere, con l’obiettivo di diventare un primario operatore nel settore dell’assistenza ad anziani e non autosufficienti, anche attraverso la futura aggregazione di realtà locali specializzate nel settore. Puntiamo ad offrire servizi di alto livello, che rispondano a tutte le necessità tipiche di momenti anche difficili, in maniera legale e tempestiva. Non si esclude in futuro di ampliare la nostra offerta proponendo servizi ad hoc, come fisioterapia, trasporto dell’assistito e molto altro».

Le cinque priorità per creare un sistema “Ageing” in Italia Sulla scorta della ricerca The European House - Ambrosetti, Family Care ha individuato i filoni chiave che il Sistema Paese dovrebbe seguire innovando sia sul piano organizzativo che fiscale ed assistenziale

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unque i dati raccolti nella ricerca Ambrosetti realizzata per Openjobmetis, sono sorprendenti: oggi in Italia ci sono quasi 14 milioni di ultrasessantacinquenni e di questi 10 milioni hanno più di 70 anni. Più di 1 anziano su 3 non può svolgere attività domestiche, 1 su 10 non è autosufficiente. Numeri destinati a crescere data l’evoluzione attesa del contesto demografico (tra 20 anni in Italia gli over 65 saranno 18,6, vale a dire 5 milioni in più). Il quadro attuale è frutto dell’allungamento dell’aspettativa di vita e di una continua diminuzione del tasso di natalità (oggi l’Italia è il Paese europeo con il tasso più basso). Il Paese diventa sempre più anziano, aumenta il rapporto tra over 65 e individui in età attiva e aumentano gli anni vissuti in non buona salute a causa del manifestarsi di patologie croniche (malattie cardiovascolari, osteoarticolari, neurologiche) con effetti rilevanti sui sistemi

sanitari e di welfare. Cresce la spesa degli Italiani per i servizi di assistenza a domicilio, mentre diminuisce la spesa per le soluzioni residenziali per anziani. In molti casi, ed è una terza opzione - sempre più diffusa - sono i familiari a farsi carico degli anziani non autosufficienti, andando a costituire l’esercito silenzioso dei cosiddetti caregiver. In assenza di assistenza pubblica o familiare, gli Italiani si rivolgono ai lavoratori domestici, il cui mercato irregolare vale il 60% del totale, dando vita a un fenomeno di sommerso davvero significativo. Family Care ha individuato cinque priorità di azione per uno sviluppo del sistema Ageing in Italia: 1. Sostenere le partnership pubblico e privato per dare una risposta adeguata all’aumento dei bisogni dell’Ageing Society; 2. Incentivare l’innovazione dei servizi offerti agli anziani (soprattutto a domicilio) e

le potenzialità delle nuove tecnologie; 3. Definire percorsi di formazione specifici e criteri di qualità per gli operatori di servizi family care; 4. Fornire attività di counseling alle famiglie per orientarle al meglio nella scelta delle soluzioni migliori; 5. Prevedere agevolazioni fiscali migliorative introducendo forme di deducibilità fiscale dal reddito (superiori rispetto alla deducibilità attuale del 19%) e meccanismi incentivanti basati su fasce di reddito, età, condizione psicofisica dell’assistito.

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FINANZIARE L’IMPRESA 58 ENDEAVOR CATALYST

NUOVI INVESTITORI CERCANSI PER FAR CRESCERE L’ECONOMIA REALE Luigi Abete, presidente di Bnl e Febaf, indica la strada per lo sviluppo possibile delle medie imprese italiane: «Per produrre un effetto macroeconomico significativo, allargare la platea dei potenziali investitori»

SE ANCHE IL NO-PROFIT COINVESTE NELLE IMPRESE

60 CONAFI RECUPERO CREDITI PIÙ AGILE GRAZIE ALLA PIATTAFORMA

63 ENERGIA LE RINNOVABILI ALLE PRESE CON LO STALLO DEGLI INCENTIVI

64 MEDIAZIONE CREDITIZIA RESILIENTI E AFFIDABILI: DIAMO CREDITO ALLE PMI

66 THYMOS «FACCIAMO CRESCERE LE PMI PRENDENDOLE PER MANO»

68 NSA PMI INDEX L’HARDWARE ITALIANO CRESCE REINVESTENDO I PROPRI UTILI

di Sergio Luciano

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a nostra generazione entrò in Eurocaria, assicurativa e finanziaria che celebra a pa per garantirsi la sicurezza della Roma il suo convegno annuale il 9 e 10 dicemstabilità e l’obiettivo della crescita. bre – riconosce che le speranze di espansione La sicurezza non è venuta meno, anzi: nella dell’Unione europea vanno ridefinite su un crisi finanziaria ed economica si è confermato orizzonte più lungo. Ma non rinuncia al ruolo in pieno come valore minimo atteso. L’obiettiproattivo che lo ha sempre distinto – senza il vo della crescita non è stato centrato ed anzi suo accordo sotto l’egida di Ciampi con i sindaoggi dobbiamo prendere atto che il processo cati guidati all’epoca da Sergio Cofferati, l’Italia sarà più lento. Chi come me ha sempre creduto difficilmente sarebbe entrata nella fase uno nell’Europa e si è adodell’euro – e richiama NON SONO BASTATI VENT’ANNI PER perato per l’euro non a un nuovo compito AFFERMARE L’EUROZONA COME LEADER grida ‘evviva’ come se le istituzioni private e GLOBALE, MA È INNEGABILE LA FORZA avesse vinto la partipubbliche: diffondere STABILIZZATRICE DELL’EURO ta, ma esce dal campo la consapevolezza del sereno per questo pareggio, convinto più che valore delle realizzazioni europee già all’attivo. mai della validità della scelta fatta negli Anni Novanta»: Luigi Abete è visionario e combatPresidente Abete, c’è dunque anche un protivo come sempre, ma si esprime col realismo blema di cultura sociale sull’euro alla base dell’analista economico di vaglia. Il presidente della disaffezione dei nostri tempi? della Bnl e della Febaf – la Federazione banSicuramente. Nella percezione diffusa come

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FINANZIARE L’IMPRESA

nella cultura d’impresa occorre capire il valore della costruzione europea anche se la si vuole considerare un pareggio e non una vittoria. In certi casi – chi segue il calcio lo sa – anche uno 0 a 0 è un risultato prezioso. Certo, avevamo aspettative diverse sull’Europa. Credevamo che l’Eurozona potesse subito affermarsi come leader globale, mentre oggi la storia ci dice che questi primi vent’anni non sono bastati. Ma ci dice anche che l’Europa unita non è affondata nella crisi e non ha lasciato che l’Italia affondasse. Essere nell’euro ci ha permesso di scampare al naufragio. Vero, però l’Italia arranca dietro Germania e Francia perdendo terreno. Ma è evidente il perché. La Francia ha un sistema istituzionale che funziona, basato sul maggioritario a doppio turno, che personalmente ho sempre invocato anche per l’Italia; ed ha una maggiore dimensione media delle imprese. E la Germania ha una struttura produttiva possente… Ma, di nuovo: un conto è, per l’Italia, prendere atto che le prospettive esaltanti di vent’anni fa - la fase dell’eurotassa pagata da tutti e dell’accordo sui salari - sono da ritarare, altro è negare la forza stabilizzatrice dell’Europa. Dobbiamo continuare a impegnarci affinché anche nell’attuale fase di più lunga preparazione della crescita l’Italia migliori, perché possiamo farlo. E porterebbe ovviamente grandi vantaggi. IL MONDO È CAMBIATO, MA LA CULTURA DELLA FINANZA È RIMASTA QUELLA DI VENT’ANNI FA, QUANDO I RISULTATI ERANO TUTTI A DOPPIA CIFRA

Che fatica, però…E quanto stress per chi lavora e per chi fa impresa, in mezzo a tanti cambiamenti imprevisti. Sì, il mondo è cambiato, la finanza pure. Ma la cultura della finanza è rimasta quella di vent’anni fa, del boom della globalizzazione, dove tutti i risultati erano a doppia cifra, e più nella decina del 20 che del 10. Oggi il mondo è diverso, ma molti ancora pensano che sia normale avere quel livello di rendimenti, dimenticando peraltro che coincidevano con ben diversi tassi d’inflazione. Oggi

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L’EUROPA UNITA NON È AFFONDATA NELLA CRISI: ESSERE NELL’EURO CI HA PERMESSO DI SCAMPARE AL NAUFRAGIO l’inflazione è sostanzialmente inesistente e le politiche monetarie faticano a farla arrivare vicino al 2%. Del resto, si sottovaluta che la bassa inflazione è effetto dell’economia reale, cioè della globalizzazione, che ci ha portato una competizione dirompente e pervasiva ed ha abbassato appunto l’inflazione. E poiché questa competizione continuerà - abbiamo ancora tutta l’Africa da integrare - chi pensa che sia normale ottenere rendimenti del 20% da qualsiasi attività è fuori strada. E poi non ottenendoli, non investe più. Invece quei rendimenti possono capitare su singoli business, ma non sono più norma o paradigma. Non si investe anche perché ottenere credito è difficilissimo, il che è paradossale in tempi di tassi rasoterra o negativi! Nessun rimprovero alle istituzioni europee? Ogni cosa, pur ben fatta, avrebbe potuto essere fatta meglio, ma le scelte di fondo sono state tutte giuste. La sacrosanta integrazione della vigilanza bancaria a livello europeo ha fatto sì che i livelli di capitale regolamentare che le banche devono detenere per poter erogare credito siano strutturalmente crescenti. Intanto, il sistema delle imprese utilizzatrici di queste risorse, soprattutto quelle picco-

le e medie, è sempre più instabile. Quindi è evidente che quella fascia di imprese, importantissima in Europa e dominante in Italia, accede al credito con più difficoltà. Non perché ci sia un perfido Signor No che le blocca, ma perché - facendo ognuno coerentemente il proprio mestiere - fatalmente chi gestisce il credito lo convoglia verso gli utilizzatori più stabili che negoziano tassi minimi. Ciò, peraltro, crea una ripercussione sulla redditività del settore bancario, per cui le banche che non hanno una dimensione adeguata faticano a mantenere stabile il loro conto economico, il che conduce all’esigenza di un ulteriore consolidamento del settore. Ma lei, che è innanzitutto un imprenditore, cosa auspica affinché l’enorme liquidità che circola nel sistema possa essere convogliata almeno in parte al finanziamento delle imprese? Oggi i canali alternativi al credito bancario sono di fatto piccoli se non inesistenti. Aumenta però il numero degli operatori della finanza che desidererebbe investire nell’economia reale. Perché si sono accorti che oggi i margini delle attività finanziarie sono spesso inferiori di quelli offerti dalle attività industriali. Eppu-


re, nonostante questo desiderio, accade ben col solo credito bancario. Ora che l’innovapoco. È carente la cultura dell’investimento di zione è diventata soprattutto di prodotto, le rischio, e c’è poca propensione al rischio. Per nostre imprese incontrano maggiori difficolpassare dall’investimento finanziario classico tà, perché per investire hanno bisogno di un a quello in economia reale si cerca l’ottimo, e maggior capitale di rischio. per definizione non lo si trova mai. Ci spieghi meglio. Il problema degli scarsi rendimenti finanUn esempio chiaro: io imprenditore posso ziari e delle barriere all’investimento in capitalizzare il valore di un mio marchio nei economia reale zavorra anche il risparmio limiti in cui la mia azienda va bene e cresce al previdenziale! punto da finanziare la raccolta di capitale di Sì, perché la normativa di garanzia dei sisterischio. Quindi, ammesso che la sponda banmi pensionistici – poiché gli investimenti in caria fosse ancora, per le imprese, quella degli economia reale non hanno Nav (net asset Anni Novanta - e non lo è - per la vigilanza value, valore patrimoniale netto) quantificabancaria non si può finanziare un livello di inbile giorno per giorno – li impedisce. Quindi, novazione che in caso di insuccesso preveda riepilogando: chi gestisce investimenti finanun eccessivo consumo di capitale. ziari classici vorrebbe differenziare puntanOGGI RIVIVIAMO IL PROBLEMA DI COME do sull’economia reale, ma non lo fa perché CAPITALIZZARE LE IMPRESE MEDIE pretende troppo ed anche perché ragiona da E MEDIO-PICCOLE PER FARLE sempre sul breve-medio termine. Chi invece DIVENTARE MULTINAZIONALI TASCABILI gestisce attivi pensionistici è impedito a investire dalle norme… Ma qualcosa si muove, dice lei! C’è poco da stare allegri… Sì, oggi il cordone della borsa del capitale di Effettivamente oggi riviviamo acutamente un debito s’è un po’ allargato, col passaggio dal problema uguale a se stesso da 30 anni: come credito bancario ai minibond. Ma resta ingecapitalizzare le imprese medie e medio-piccostito il vero problema dell’Italia: far crescere le per farle diventare multinazonali tascabili. alcune centinaia di multinazionali tascabili Ma c’è un fenomeno incoraggiante. In molti - le Merloni, le Brembo, le Tod’s di domani. casi, le imprese di media dimensione oggi Per compiere un’operazione come questa, hanno razionalizzato, rispetto a trent’anni fa, possiamo attingere in una platea di 6.000 la necessità di superare la logica del controllo imprese oggi tra i 50 e i 200 milioni di ricafamiliare e della sottomanagerializzazione. vi, di cui una metà è indipendente dai granNonostante questo, non riescono a trovare di gruppi e fa tra il 7 e il 9% di ebitda. Una facilmente soci che investano direttamente. redditività del genere può non bastare per Per questo dovrebbero essere nati gli Eltif? Esattamente: uno strumento su cui, sia come Febaf che come Luiss Business School, stiamo lavorando molto, allo scopo di allargarne l’ambito di applicazione. In che direzione? Nella direzione di accentuare il ricorso delle imprese al capitale di rischio. Mi spiego: negli Anni Ottanta e fino al Duemila, le imprese hanno innovato molto i loro processi produttivi, opeLUIGI ABETE CON IGNAZIO VISCO razione tipicamente attuabile anche

i private equity, ma se queste aziende avessero capitali, il loro ebitda potrebbe raddoppiare, eppure non riescono proprio perché non trovano capitali. Se 500 di quelli 6.000 aziende riescono a crescere a 500 milioni di ricavi globalizzandosi – visto che producono beni di nicchia globalmente commerciabili – il gioco della crescita può iniziare. Però chi mai darà questi capitali alle magnifiche 500, se per ragioni diverse non lo fanno né le banche, né i fondi di private equity e i fondi pensione anche volendo non possono investire in esse… Lo Stato? Andiamo per ordine. I Pir oggi investono solo in obbligazioni che chiunque altro acquisterebbe. Possono essere migliorati, come da più parti si chiede, ma non si risolvono così i problemi dell’economia reale. Le magnifiche 500 imprese che possono crescere hanno bisogno di politica industriale perché sono un soggetto rilevante. Dobbiamo aumentare il novero dei potenziali investitori di economia reale per produrre un effetto macroeconomico significativo. Oggi gli investimenti in Italia sono del 17-18% inferiori a quelli del 2008: sia in campo pubblico che privato. Quelli pubblici a causa di burocrazia, dissidi istituzionali e vincoli di finanza pubblica. Quelli privati perché gli investitori potenziali sono eccellenti ma pochi. E sì che la propensione ad investire per crescere nelle imprese c’è: lo dimostra il boom del piano Industria 4.0. Con l’agevolazione giusta sullo strumento importante, le aziende hanno risposto bene. Perché la cultura gestionale si è modernizzata. Una richiesta per il governo? In generale ritengo che la capacità di incidere dei governi sull’economia reale sia vicina allo zero. Quando i mercati erano protetti la politica spostava molto di più, oggi al massimo non danneggia. Mi basterebbe che il governo togliesse vincoli inutili per liberalizzare l’economia. Ma comunque, il vero problema è che la politica è presa dal marketing quotidiano e spesso confonde cose importanti con banalità.

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FINANZIARE L’IMPRESA

Se anche il no profit co-investe nelle imprese Il fondo Endeavor Catalyst è controllato da Endeavor Global, un’organizzazione senza fini di lucro che seleziona imprenditori ad alto potenziale per supportarli nella loro crescita. Anche in Italia di Marco Scotti ALLEN TAYLOR

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uale il Paese in cui investire nel sia da almeno 5 milioni di dollari e che l’improssimo futuro? La Nigeria! Basta prenditore faccia parte del network di Endequesta risposta per capire che se avor. Un altro dettaglio che fa capire come il si cercano modi di fare business diversi dal modo di muoversi di Taylor sia lontano dagli solito bisogna citofonare ad Allen Taylor. Ma schemi tradizionali è che il suo fondo d’inverischiate di non trovarlo, perché questo calistimento attua una partecipazione passiva: forniano di origine, che risiede nella Silicon tradotto, si astiene dai voti come azionista e Valley, è sempre in giro per il mondo, alla partecipa alle riunioni del Consiglio di ammiricerca di nuove possibilità di investimento. nistrazione solo come osservatore “silenzioA lui si deve il lancio di Endeavor Catalyst, un so”. Fino ad ora Endeavor Catalyst ha raccolto fondo di co-investimento che è controllato a oltre 120 milioni di dollari, realizzati in più sua volta da Endeavor Global. E quindi, un di 70 investimenti in 20 Paesi nel mondo in passo indietro: Endeavor Global è un’orgaAmerica Latina, Europa e Sud Est Asiatico, nizzazione non-profit che seleziona imprencon sette exit. Il 33% del capitale è destinato ditori ad alto potenziale per supportarli nella a società del comparto retail, seguite dal finloro crescita. In Italia, dopo l’ingresso di Sotech (23%) e dal software aziendale (19%). sTariffe.it e 3D RoboNel nostro Paese è arFINO A OGGI ENDEAVOR CATALYST HA ze, sono nel network rivato al sesto investiRACCOLTO OLTRE 120 MILIONI DI DOLLARI 44 imprenditori, se- REALIZZATI IN PIÙ DI 70 INVESTIMENTI mento: le realtà su cui guiti da Raffaele Mau- IN 20 PAESI DEL MONDO, CON SETTE EXIT il fondo ha deciso di ro che è managing puntare sono Freeda director della branch nostrana. Media, Talent Garden, Empatica, SupermerLanciato nel 2012, Endeavor Catalyst è nato cato24, Moneyfarm e Satispay. con precise regole di ingaggio: fino al 10% «Tra i nostri soci – racconta a Economy Allen del round complessivo, con un investimento Taylor – ci sono anche personaggi dello spetmassimo di 2,5 milioni di dollari, alle stesse tacolo: su tutti The Edge, il chitarrista degli condizioni dei lead investor se sono rispetU2, che è entrato nella nostra sussidiaria irtate le seguenti premesse: che il round sia landese. Abbiamo già raggiunto l’obiettivo di guidato da un “lead investor” qualificato, che puntare su cinque “unicorni” (ovvero azien-

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de che hanno una capitalizzazione superiore al miliardo di dollari) in Colombia, in Spagna, a Dubai e in Indonesia». La domanda però rimane sempre la stessa: quanto ancora bisognerà attendere prima che un unicorno si posi anche nel nostro Paese? Qualcuno si sta avvicinando all’obiettivo, ma le dinamiche di crescita continuano a essere molto lontane da quelle che si vedono in altri Paesi europei, soprattutto come la Germania (inutile paragonarsi al Regno Unito, il rischio umiliazione è dietro l’angolo…) dove la startup fintech N26 ha chiuso prima dell’estate un round di finanziamenti da 170 milioni di dollari tra gli attuali soci, raggiungendo la valutazione di 3,5 miliardi, in aumento del 30% rispetto alla precedente iniezione di liquidità avvenuta solo sei mesi prima. «Vengo in Italia un paio di volte all’anno – ci racconta Taylor – e cerchiamo di trovare dei prodotti che funzionino. Dal mio osservatorio vi posso dire che avete grandi potenzialità, ma un mercato di media grandezza in cui non è facile esplodere, ma dove non è infrequente trovare realtà interessanti che continueranno a crescere. Io non vedo nel mercato italiano un grande problema dimensionale, semmai guardo a delle opportunità da cogliere. C’è stata una prima ondata di startup


questi Paesi è il motivo che ci spinge a puntare su di loro. Se dovessimo trovare industry più rappresentative direi sicuramente il fintech e l’healthcare». Tornando al nostro Paese, Endeavor Catalyst è arrivato nel 2016, decidendo di puntare su Talent Garden. L’anno successivo Allen Taylor e il suo team hanno deciso di scommettere su Empatica, una scaleup del settore biomedicale che ha messo a punto un braccialetto in grado di monitorare le crisi epilettiche. Nel 2018 è stata la volta di Supermercato24, Moneyfarm e Satispay, mentre quest’anno

NEL 2018 ENDEAVOR CATALYST HA INVESTITO IN SUPERMERCATO24, MONEYFARM E SATISPAY, MENTRE QUEST’ANNO È TOCCATO A FREEDA MEDIA

RAFFAELE MAURO

che crescevano e poi magari si sgonfiavano, ma sono convinto che in questo Paese ci sia grandissimo talento imprenditoriale. Se dovessi scommettere sulla “next big thing”, ovvero sul prossimo successo significativo, direi, pur essendo un po’ scontata, Satispay». Interessante quando si parla con un osservatore esperto come Taylor è vedere quali siano le aree su cui puntare nell’immediato futuro in un momento in cui le frontiere, invece che aprirsi, sembrano sempre più pronte a serrarsi. «Non sono tra quelli che danno maggiore peso alla politica – ci confessa – però devo ammettere che la deriva del linguaggio che si sta verificando in giro per il momento è davvero allarmante. Stiamo mettendo a repentaglio il libero mercato, mentre il mondo sta cambiando e stanno iniziando a emergere nuove zone interessanti su cui puntare. Siamo da molto in Sud America, Turchia, Dubai e Arabia Saudita, mercati che sono già più che “emerging”. I prossimi su cui scommettere sono Vietnam, Nigeria, Bulgaria e Romania. Non facciamoci ingannare dai nomi poco “blasonati”: la Nigeria è una nazione estremamente popolosa, con un livello di povertà elevato ma anche con una classe media che sta crescendo molto. Ecco, il fatto che si stia creando una sorta di borghesia in

è toccato a Freeda Media. L’azienda creata da Davide Dattoli è quella – a sentire Taylor – che con maggiore probabilità cercherà di monetizzare il proprio investimento, dopo l’inaugurazione dell’ennesima sede in Italia.

L’investimento in Freeda Media

Endeavor Catalyst ha scelto di partecipare alla raccolta di capitale da 15 milioni di euro nella media company che si rivolge alle donne più rilevante in Italia, Spagna e Sud America. Il round di finanziamento è stato

guidato dal fondo francese Alven, già principale investitore dell’azienda, che prosegue l’impegno a supporto della società dopo il round da € 8 milioni chiuso nel maggio 2018. Hanno poi partecipato U-Start e Unicredit, che ha sottoscritto un prestito obbligazionario da 2,5 milioni di euro, family office e investitori privati di rilievo internazionale. Dal lancio a settembre 2016, Freeda Media ha raccolto più di 28 milioni di euro capitali. Ad oggi Freeda Media raggiunge ogni mese l‘80% delle donne di età 18-34 in Italia e Spagna e vanta una reach di oltre 70 milioni di persone raggiunte mensilmente sui propri canali social. Grazie all’importante raccolta di capitale, Freeda Media intende proseguire il processo di internazionalizzazione con l’apertura degli uffici di Londra: la media company con questa operazione punta a lanciare il brand Freeda nel Regno Unito e in altri mercati strategici di matrice anglosassone, per continuare la missione di diventare la voce più rilevante per un’intera generazione di donne a livello globale. Altri obiettivi sono la crescita del modello di business B2B e l’entrata nel mercato dei prodotti fisici: nel 2020 la società lancerà un nuovo brand Direct to Consumer, in uno dei settori più rilevanti per le donne Millennials e Gen Z.

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FINANZIARE L’IMPRESA

RECUPERO CREDITI PIÙ AGILE CON LA PIATTAFORMA L’Integrated system credit consulting elaborato da Conafi, la holding quotata di Nunzio Chiolo, affianca gli intermediari creditizi grazie a un algoritmo proprietario e a una specializzazione storica di Angelo Curiosi

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difficile amministrare il credito e restare umani, ma è sbagliato « pensarlo di farlo senza cuore», dice Nunzio Chiolo, e quasi si commuove: «Non dimenticherò lo sguardo di un bambino figlio di una famiglia che viveva in gravi ristrettezze, e che non aveva mai avuto un regalo vero, a Natale. Il papà aveva un piccolo stipendio e sognava un passo in avanti», racconta l’inventore di Prestitò, uno dei pionieri italiani di quella formula efficace di credito per le famiglie che è la cessione del quinto dello stipendio. «Verificai la sua richiesta, e purtroppo non aveva i requisiti per ottenere il prestito. Ebbene, non ho resistito e gli ho prestato un milione di vecchie lire senza garanzie: sulla parola. Ebbene, mi restituì tutto, a rate di 50 mila lire al mese». Benvenuti in Conafi, la holding quotata di Nunzio Chiolo (nella foto) che – in un mercato creditizio completamente sovvertito umanità possibile e cioè cercando sempre dalla crisi – è riuscito a trovare un nuovo con tutto l’impegno le migliori soluzioni per modo di fare il suo lavoro, quello del micontemperare i diritti di chi ha prestato e i cro-banchiere dal volto umano - «ma non bisogni di chi ha intascato. son banchiere, sia chiaro!», precisa sempre «Guardandomi attorno e constatando quanlui. ti problemi vivano gli intermediari finanziaOggi Nunzio Chiolo non eroga più finanziari e quanto disagio in certi contesti del tutto menti su cessione del immeritato patiscano LA PIATTAFORMA ISCC È PROGETTATA quinto dello stipeni loro clienti – raccondio (d’ora in poi, Cqs) PER SCREMARE I CREDITI IRRECUPERABILI ta a Economy Nunzio DALLE PRATICHE SUSCETTIBILI ma fa un lavoro per Chiolo - Così ho iniDI UNA LAVORAZIONE DIFFERENZIALE certi versi ancora più ziato a chiedermi se importante e soprattutto decisamente più fosse possibile mettere a disposizione del “sistemico”, nel senso che può esprimere al sistema le competenze che abbiamo in casa meglio e più vastamente le sue competenze: noi di Conafi». Il risultato? «Ne è scaturito affianca e consiglia gli operatori creditizi e un lavoro di analisi del mercato e di progetfinanziari nella difficile attività di recupero tazione e sviluppo informatico. Che ha porcrediti. tato, passo dopo passo, alla creazione di una Un compito difficile, se non arduo, sopratpiattaforma digitale proprietaria, che stiatutto per chi voglia svolgerlo con la massima mo mettendo a disposizione del sistema».

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NELLE PMI SI CELANO SPESSO MILLE RISORSE PER FRONTEGGIARE IMPREVISTI GRAZIE A STRUMENTI FLESSIBILI


Senza nessun conflitto di interesse: «Non siamo più concorrenti, Conafi ha restituito la licenza 106 che autorizza all’erogazione del credito, ma riteniamo di essere piuttosto capaci e di aver sviluppato, trattando un milione di clienti, un’esperienza non facile da reperirsi altrove sul mercato». La piattaforma digitale proprietaria eleborata da Conafi si chiama, in sigla, Iscc – che sta per “integrated system credit consulting” – ed è stata progettata per affiancare gli intermediari creditizi nell’opera di recupero di ogni genere di credito, ferma restando una specializzazione storica nel settore della Cqs. «Quindi possiamo affiancarci a qualsiasi banca ed a qualsiasi finanziaria», sottolinea Chiolo, «per agevolare e accelerare le loro operazioni di recupero». Ma come funziona questo delicato processo operativo? Innanzitutto, il cliente – e già nei primissimi giorni di rilascio della piattaforma, e sul semplice innesco del passaparola, ne sono affluiti vari – invia alla Iscc un primo flusso di documentazione, per scremare a colpo d’occhio le pratiche suscettibili di una lavorazione differenziale e quelle che risaltano per la loro sostanziale irrecuperabilità: purtroppo ce ne sono, ma sono una minoranza. A quel punto, per le pratiche suscettibili di elaborazione costruttiva, scattano una serie di verifiche incrociate sulla possibilità di identificare percorsi di rimborso e recupero sostenibili. Si acquisiscono dati ulteriori, su redditi e patrimonio, si ipotizzano riscadenziamenti, si negozia con classi creditorie diverse (dalle utilities ai fornitori) puntando sempre e comunque sulla ricomposizione “in bonis” della tensione finanziaria tra creditore e debitore. «Nelle piccole imprese e nelle famiglie italiane si celano spesso mille risorse imprevedibili»; sintetizza Chiolo, «per cui è sempre possibile cercare strumenti flessibili per far fronte ad esigenze improvvise o impreviste o sanare pendenze». Il valore aggiunto della piattaforma sta nei professionisti del settore che l’hanno creata

e che sono alle spalle dell’algoritmo con cui opera: 50 professionisti dello staff di Conafi, reduci da vent’anni di esperienza diretta di primo livello, che la crisi di liquidità occorsa dal 2009 in poi ha ben suggerito di concludere, con successo e piena stabilità economica, a favore appunto di un’attività consulenziale che non richiedesse più l’accesso diretto al mercato dei capitali, ma che permettesse a quello staff di esprimersi liberamente nelle sue migliori competenze. La piattaforma Iscc ingloba al suo interno know how, tecnologia, sistemi di scoring e algoritmi relativi all’analisi e alla valutazione di fattibilità dell’erogazione e del recupero. Il suo target è ovviamente il mondo degli intermediari creditizi: «Ci rivolgiamo – spiega Chiolo – a banche, società di gestione, recupero crediti e studi legali che hanno L’INTEGRATED SYSTEM CREDIT CONSULTING È IN GRADO DI ELABORARE IN TEMPO REALE DATI CHE ALTRIMENTI SAREBBERO POCO FRUIBILI

ricevuto l’incarico di recupero da parte dei soggetti creditori nei confronti della clientela retail (dipendenti statali, pubblici, privati o pensionati). E possiamo intervenire sia accelerando e fluidificando la definizione di posizioni per le quali siano già stati concordati dei piani di rientro, sia casi più spinosi come la sistemazione di “non performing loans” (crediti che non rendono, in sigla inglese Npl) e di “unlikely to pay” (debiti che verosimilmente non saranno rimborsati”)». Ma come funziona, tecnicamente, la piattaforma? Innanzitutto, l’algoritmo è stato scritto in totale compliance con la normativa vigente sulla privacy. Il partner che vi ricorre lo utilizza per effettuare una completa e oggettiva analisi del proprio portafogli clienti. Le posizioni sono valutate singolarmente. La piattaforma accoglie, mediante flusso informatico, un tracciato contenente

una serie di dati e documenti e restituisce in breve tempo l’output di fattibilità. Analisti umani interagiscono con l’algoritmo per aggiungere ad esso quel know how anche relazionale di cui ovviamente una macchina non può disporre. A valle di questa istruttoria, il Partner di Conafi può quindi contattare la propria clientela per comunicare la possibile alternativa per il risanamento del debito, evitando di intraprendere (o chiudendo, nel caso siano già in atto) le azioni stragiudiziali o giudiziali per il recupero e quindi migliorando sensibilmente le performance di recupero. Perché tanta efficacia? Perché nell’algoritmo di scoring della Iscc è racchiuso il frutto di 30 anni di dati e informazioni integrate con il rischio credito. Il che consente alla piattaforma di avere in tempo reale dati molto meno fruibili per chiunque altro: una quotazione per le amministrazioni terze cedute (situazione pagamenti, tempistiche e modalità dei pagamenti, concentrazione posizioni in essere, etc); una quotazione per le compagnie di assicurazioni (criteri assuntivi e tariffe sempre aggiornate, limitazione rischio di concentrazione, etc); una quotazione per i clienti (situazione lavorativa, variazione attività lavorativa, morosità, etc). D’altronde, è questo il patrimonio di Conafi, holding di partecipazioni quotata in Borsa (Mta) dal 1988, con 23,3 milioni di euro di patrimonio netto, una posizione finanziaria attiva per 18,2, 30 anni di esperienza nella Cqs, 2,5 miliardi erogati con un rischio di credito irrisorio (0,25%) d un milione di clienti. E in più, oltre cento convenzioni consolidate con primarie istituzioni economiche e associative nazionali: dall’Enpam all’Aeronautica Militare alla Capitaneria di Porto all’Anc.

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FINANZIARE L’IMPRESA

Le rinnovabili alle prese con lo stallo degli incentivi In attesa del riavvio del sistema incentivante, il revamping e il repowering degli impianti eolici sono a rischio. Così, per finanziare i nuovi impianti si ricorre alla strategia della grid parity, che supera le resistenze sociali di Sergio Ungaro Partner di Seven Capital Partners

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econdo il Piano Nazionale Integrato litazioni del processo autorizzativo, contenuEnergia e Clima, che stabilisce gli te nel Dl semplificazioni 2019, il revamping obbiettivi di produzione e utilizzo e il repowering sono a rischio. Le migliori di fonti rinnovabili nei prossimi 10 anni la stime parlano infatti di 3.5 GWh in bilico al produzione da energia eolica dovrà raddopfine vita di molte turbine, a fronte di potenpiare, un target che non potrà essere ragze da rinnovare almeno per 8 GWh entro il giunto se non grazie 2030. STIPULANDO CONTRATTI DI LUNGO a nuovi impianti e I maggiori produttori PERIODO TRA FORNITORE E UTILIZZATORE impianti di prima gedi energie rinnovabili, È POSSIBILE BILANCIARE I COSTI nerazione rinnovati o nell’attesa del riavvio DI REALIZZAZIONE DEGLI IMPIANTI ripotenziati. Il mercadel sistema incentito di nuovi impianti autorizzati oggi è di fatto vante, sono stati molto attivi sul mercato agganciato al volano degli incentivi assegnati secondario, già incentivato, dove è in atto un con il meccanismo delle aste competitive, processo di consolidamento volto a raggiunreintrodotte dal Dm 4 luglio 2019. Gli operagere economie di scala e maggiore efficienza tori, in attesa dei regolamenti di attuazione, soprattutto sulla manutenzione. Competono rimandano intanto i nuovi investimenti e gli sul mercato secondario multinazionali del interventi sugli impianti da ripotenziare. In mondo Energy e società native della green assenza degli incentivi funzionali e delle facieconomy, integrate verticalmente, che par-

tendo dallo sviluppo di nuovi progetti arrivano fino alla vendita dell’energia ai consumatori finali. Un caso emblematico di successo in tema di innovazione di processo e di servizio in questo ambito è la San Bernardo Wind Energy (Sbwe), un produttore di medie dimensioni della provincia di Cuneo con impianti in funzione di 12.5MW e autorizzazioni per ulteriori 10.8MW. La società è partecipata dal gruppo Green City Ag di Monaco che presenta una struttura finanziaria aperta agli investimenti ecologici con fondi di investimento e obbligazioni green quotate. Per la realizzazione dei nuovi impianti autorizzati, la società parteciperà alle aste competitive solo se verrà concesso un rimborso minimo. Diversamente la strategia sarà quella di finanziare il nuovo impianto a grid parity (cioè a parità tra il costo di produzione e quello di acquisto dell’energia dalla rete, in assenza di incentivi). Questa strategia è oggi possibile grazie a contratti di lungo periodo con l’utilizzatore finale, il cosiddetto Power purchase agreement (Ppa) e ai Sistemi efficienti di utenza (Seu), soluzione tecnicamente efficiente nei casi di vicinanza fisica con l’utilizzatore finale. Sbwe attualmente sta negoziando un Ppa con un pool di consumatori in cooperazione con il trader internazionale di energia elettrica Dxt Commodities, primo operatore in Italia. Quanto ai Seu, la San Bernardo Wind Energy da anni fornisce parte della propria produzione direttamente allo stabilimento della San Bernardo spa (storico marchio delle acque minerali). L’energia scambiata su questa rete interna non è gravata dai costi di dispacciamento e trasporto della rete pubblica, costi ad oggi maggiori di quello di produzione. Oltre al vantaggio economico comune alle due società, che si dividono i risparmi sui costi di trasporto, questo approccio garantisce una maggiore integrazione dell’impianto eolico nel tessuto economico e produttivo del territorio ospitante e conseguentemente una maggiore accettazione sociale dell’impianto. Un passo in avanti per superare la sindrome di Nimby (Not in my backyard).

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FINANZIARE L’IMPRESA

Resilienti e affidabili: diamo credito alle Pmi Nonostante la prudenza delle banche, le soluzioni per ottenere liquidità sono a portata di mano. Una su tutte, la mediazione creditizia, che si basa su un’attenta selezione e accede al Fondo centrale di garanzia di Davide Passoni

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robabilmente non vedremo mai un imprenditore calarsi dal lucernario di una banca appeso a un cavo d’acciaio, in orario di chiusura, per arrivare alla cassaforte e forzarla, prendendosi la somma necessaria a far sviluppare la propria azienda. Perché, se nell’attuale scenario economico l’accesso al credito costituisce una delle maggiori criticità per le Pmi, è pur vero che per queste imprese esso non è una “Mission Impossible”. Da una parte i tassi sono ai minimi storici e dall’altra le banche continuano a essere molto prudenti quando si tratta di sostenere le aziende di ridotte dimensioni, ma le soluzioni per ottenere liquidità che dia slancio a progetti di sviluppo per l’impresa, sostenendo la crescita del business, ci sono. Gli istituti di credito se ne renderebbero conto analizzando l’nsaPMIndex ’19 e il Report nsaPMI, elaborati dall’Ufficio studi del gruppo Nsa - il primo mediatore creditizio italiano per le imprese per fatturato in collaborazione con il dipartimento di Scienze aziendali dell’Università di Bologna. L’nsaPMIndex, giunto nel 2019 alla sua seconda edizione, è uno strumento che analizza i bilanci 2018 di 50mila aziende e fotografa una crescita del settore delle piccole e medie imprese pari al 4,2% rispetto all’anno precedente. Pmi solide che meritano fiducia L’indice sintetizza una complessa elaborazione di dati, concentrandosi su alcuni aspetti della vita di un’azienda (dipendenti, crescita, liquidità, investimenti…), servendosi di precisi indicatori per raggiungere l’obiettivo di far co-

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noscere a chiunque, in modo chiaro e sintetico, lo stato di un settore dell’economia italiana che rappresenta il 50% del Pil e circa il 70% dell’occupazione. Nel 2018 è stato presentato l’indice riferito all’analisi dei bilanci 2017: considerato quell’anno come test e assumendo i valori del 2016 pari a 100, il dato evidenziava un valore di 103 circa del 2017 rispetto al 2016 (+3%). Oggi, giunto al secondo anno, presi in considerazione i bilanci 2018, l’indice evidenzia, come detto, una crescita del 4,2% rispetto ai bilanci del 2017 (con un valore pari a 104,2, fatto il va-

PREVEDERE LO SVILUPPO

L’Nsa Growthlook è invece un indice predittivo di sviluppo prevedibile, che nasce dall’esigenza di valorizzare, in termini di comunicazione e visibilità, un Osservatorio Nsa sull’erogazione dei finanziamenti alle micro-Pmi (totali dati Bankitalia, garantiti e contro garantiti dal Fondo di Garanzia correlati all’analisi dell’andamento di 30mila imprese). L’Osservatorio Nsa sarà declinato per quattro macro-aree (Centro, Nord Est, Nord Ovest e Sud) ed elaborato in seguito anche per regioni e province. Con l’indice si cercherà di trovare la correlazione temporale tra finanziamenti e risultati delle aziende e, se sufficientemente attendibile, potrà fornire un indice predittivo sulla crescita o sulla decrescita delle imprese.

lore base di 100 nel 2017). I bilanci delle Pmi esaminati contribuiscono a una definizione dell’indice in miglioramento rispetto all’anno base, essenzialmente a opera di una importante stabilità del test acido (dato dal rapporto tra capitale circolante netto dalle scorte, rispetto al totale dei debiti a breve termine). L’evoluzione dell’indice negli ultimi due anni evidenzia, dunque, una crescita importante del settore. La crisi di domanda interna non sembra aver scalfito l’andamento delle piccole e medie imprese che, come mostrato dall’indice, evidenziano una buona solidità nel corso degli ultimi anni. Le Pmi hanno quindi mostrato una grande resilienza e una buona capacità di ristrutturare il proprio debito. Stando alla stretta attualità, il livello di incertezza associato alle tensioni sul commercio internazionale e alla crisi di domanda interna dell’economia tedesca non danno ancora segnali tangibili di stress sulla struttura finanziaria o economica delle piccole e medie imprese italiane. Per tenere sotto controllo queste variabili, il valore dell’indice e il suo monitoraggio saranno sempre più importanti al variare delle condizioni di contorno, rappresentate dall’evoluzione del quadro macroeconomico complessivo e da come la risposta alle tensioni sul commercio sarà recepita dalle nostre imprese esportatrici. Un quadro macroeconomico che è visto in leggero rallentamento almeno per il momento, a fronte di un generale miglioramento delle condizioni di indebitamento e di esposizione finanziaria da parte delle Pmi. A questo fa però da contraltare una maggiore


difficoltà delle imprese più piccole - in alcuni casi più in difficoltà anche rispetto alle micro-Pmi - la cui crisi di crescita meriterebbe maggiore attenzione e sostegno nell’erogazione del credito. «Nonostante i dati macroeconomici relativi all’industria italiana non siano positivi, la struttura delle micro-Pmi, e ancor di più quella delle medie imprese, non registra flessioni, a testimonianza della loro capacità di reagire più rapidamente alle difficoltà del mercato - afferma Francesco Salemi (nella foto), Amministratore delegato del gruppo Nsa - Le micro-Pmi, inoltre, mostrano una notevolissima resilienza, con una crescita consistente nonostante i rallentamenti in essere». Un punto di vista confermato dal professor Massimiliano Marzo, docente al dipartimento di Scienze aziendali dell’Università di Bologna che ha curato l’Nsa Report, tracciando un rapporto tra redditività e solidità delle piccole e medie imprese del nostro Paese, analizzandone la struttura economica e finanziaria nel 2018: «Il quadro macroeconomico è in deterioramento progressivo, a causa di diversi fattori di incertezza globale che si riverberano sulle imprese italiane, primo fra tutti le politiche commerciali internazionali e, in secondo luogo, il deterioramento della domanda nell’area dell’euro. Emerge un livello di solidità delle Pmi dal punto di vista finanziario particolarmente evidente. Ciò è il segnale di un buon livello di resilienza da parte loro di fronte alla crisi passata, ma anche del fatto che gli effetti recessivi ancora non sono visibili nei dati di bilancio del 2018». Finanziare è un buon affare Un elemento che certamente spiega il buon andamento delle piccole e medie imprese italiane è dato dalla bassa tensione finanziaria, come conseguenza di una politica dei tassi da parte della Bce particolarmente generosa, che permette alle imprese di migliorare la propria struttura finanziaria. Ecco perciò che finanziare le Pmi si può, grazie a un’attenta politica di selezione e al supporto del Fondo centrale di garanzia.

Lo dimostra un’analisi di PwC, condotta su 31mila operazioni garantite dal Fondo centrale di garanzia e intermediate dal gruppo Nsa. Si tratta di uno studio indipendente che il network internazionale, specializzato nella fornitura di servizi professionali di revisione, di consulenza e nella consulenza legale e fiscale alle imprese, ha condotto sui risultati del gruppo, nell’ambito dell’attività di mediazione creditizia e di gestione delle procedure LA STRUTTURA DELLE PMI NON REGISTRA FLESSIONI, A DIMOSTRAZIONE DELLA LORO CAPACITÀ DI REAGIRE RAPIDAMENTE ALLE DIFFICOLTÀ DEL MERCATO

relative al Fondo. Oggetto dello studio sono stati quindi i dati del Fondo centrale di garanzia e quelli gestionali della società per le pratiche lavorate dal 2006 al primo semestre 2019, intermediate dal gruppo Nsa e per le quali è stata richiesta la garanzia a copertura del finanziamento. Ebbene, dall’analisi delle 31mila operazioni di finanziamento intermediate nel biennio 2017-2019, emerge un tasso di approvazione delle pratiche presentate da Nsa al Fondo centrale di garanzia pari al 99%,

PREVEDERE IL SENTIMENT L’ecosistema in cui nasce e si sviluppa l’nsaPMIndex consta di differenti studi che analizzano lo stato delle piccole e medie imprese italiane sotto diversi punti di vista, estendendo la propria visione anche a scenari predittivi. È il caso, per esempio, dell’Nsa Pmi Outlook, l’elaborazione effettuata dall’Ufficio studi del gruppo Nsa, delle previsioni dell’andamento della propria azienda a 90 e 365 giorni, dichiarate dalle imprese clienti. L’Nsa Pmi Outlook

con un totale importo finanziato, dal 2006 a oggi, di circa 3,5 miliardi di euro. Inoltre, il default rate al netto dell’escussione della garanzia del fondo centrale calcolato da PwC si è attestato all’1,48% e, nel 2018, solo lo 0,4% delle imprese, andate in default, ha pagato meno di 4 rate. «Siamo particolarmente orgogliosi dei risultati emersi dalla ricerca di PwC che confermano la validità dei rapporti che abbiamo con banche e imprese - commenta ancora Salemi - Alle banche noi proponiamo sicurezza: zero rischi di truffe e 100% garanzie escusse, grazie a un’analisi molto dettagliata del passato e del futuro delle Pmi e a un’organizzazione fortemente orientata all’efficienza e all’efficacia del processo del credito. Alle imprese, i nostri dati danno una importante informazione: il basso rischio per le banche significa migliori condizioni per le imprese che accedono al credito tramite Nsa. Tassi, spese istruttorie e durata: trattiamo con le banche nostre clienti, le migliori condizioni di mercato e riduciamo drasticamente i tempi di delibera e di erogazioni dei finanziamenti compensati solo in caso di esito positivo».

trimestrale, rilevato al 30 settembre 2019, prevede al 55% un andamento positivo a 90 giorni e in crescita sino al 63% a 365 giorni; l’andamento stabile cala dal 40% al 33% dai 90 ai 365 giorni, mentre l’andamento negativo rimane pressoché invariato, dal 5% al 4%. L’Outlook è un’elaborazione del “sentiment” di un campione di più di 600 Pmi, tra le oltre 15mila aziende clienti del gruppo Nsa che partecipano alla rilevazione. Questa, infatti, viene

effettuata sia via web, con le aziende partner dell’iniziativa, sia tramite rilevazione diretta nei contatti tra i collaboratori del gruppo e le imprese visitate. La rilevazione testata, confrontando i dati elaborati nei mesi precedenti con i dati ufficiali sull’andamento del mercato delle Pmi, costituisce più una indicazione di tendenza che una previsione assoluta. La positività delle previsioni è comunque il dato più rilevante che emerge dalle ultime rilevazioni dell’Outlook.

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FINANZIARE L’IMPRESA

«Così sappiamo far crescere la pmi: prendendola per mano» È difficile che le grandi merchant bank si dedichino davvero alle piccole imprese. Ma una boutique finanziaria a forte caratura industriale come la Thymos di Fabio Tesei e Marinella Latteri può farlo. Ed ecco come di Sergio Luciano

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spesi tra editoria e finanzia aziendali: «Non na mentalità vincente frenata da è un miracolo, intendiamoci: è la storia inuna tipica gestione familiare: eptelligente di come la consulenza aziendale pure, la svolta imprenditoriale c’è strategica, fatta a regola d’arte, con lo spiristata. Con meno di 10 milioni di fatturato, to giusto e i tempi necessari, può veramente quel nostro cliente ha ottenuto più del doprifondare le aziende». pio come finanziamento in equity, in capita«Lavoriamo con un modello molto concrele fresco insomma»: è il sogno di ogni picto e quindi efficiente – dettaglia Latteri – io colo e medio imprenditore, è capitato ad un entro nel merito dei conti dell’azienda che signore lucano, titolare della Selettra, una si rivolge a noi per conoscerla in profondità, energy service company – società speciae quando ne ho tratto la mappa esatta della lizzata nella gestione e nel risparmio dell’esituazione esistente, passo la palla a Fabio, nergia – che ha avuto l’intuito, o la fortuna, che ha l’approccio dell’imprenditore esperdi incrociare il consulente giusto: la Thymos to di finanza aziendadi Fabio Tesei e MaTHYMOS GESTISCE OLTRE 20 DOSSIER le». rinella Latteri, una IN CONTEMPORANEA, AL FIANCO Con quest’approccio boutique finanziaDI IMPRENDITORI CON GRANDI Thymos – un nome ria milanese che in PROGETTI MA RISORSE LIMITATE scelto per il suo siquesti giorni compie gnificato greco, tra slancio, passione e coi dieci anni di vita, e che si è specializzata raggio, è il “core” romano, come Tesei – sta nella consulenza “su misura” alle piccole festeggiando il suo decennale in un ufficio e medie imprese, che le grandi merchant ovattato a due passi dal Duomo e da templi bank snobbano o, peggio, attraggono per del merchant banking come Banca Imi o poi a volte trascurare e disilludere al primo Mediobanca. problema. «Riteniamo di essere una prova vivente – «Sì, Selettra è una bella case history, un’aspiegano insieme, Tesei e Latteri – del fatto zienda che si è affidata a noi per finanziare che l’attività della banca d’affari può essere la crescita e nel giro di un anno, partendo da anche svolta ad altissimo livello ma su scala meno di 10 milioni di ricavi, è stata finanpiccola. E che, fatta in questo modo, si riveziata per più del doppio», riprende Tesei, la straordinariamente utile a una fascia di un manager gestionale con oltre vent’anni

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clientela che altrimenti nessuno dei big si degnerebbe di prendere in considerazione». Il caso Selettra è emblematico: «Ma ne abbiamo tanti, gestiamo oltre 20 dossier in contemporanea. Comunque forse il più bello e recente è proprio Selettra, perché gli ingredienti di partenza erano attraenti eppure problematici: c’era competenza e intelligenza acuta, ma c’era tanto da razionalizzare», racconta Tesei. «L’imprenditore ci chiama e ci dice: ho grandi progetti e sono sicuro che funzioneranno ma mi servono 20 milioni di euro», prosegue Latteri: «Quello che chiedi è realizzabile, ma ti devi fidare di noi. Ci mettiamo a lavorare di buona lena, costruiamo un piano industriale ambizioso, e rapidamente individuiamo un possibile project financing, un debt fund, insomma varie opportunità. Qui è scattata l’alchi-


SIAMO LA PROVA CHE L’ATTIVITÀ DELLA BANCA D’AFFARI PUÒ ESSERE SVOLTA AD ALTISSIMO LIVELLO ANCHE SU SCALA PICCOLA mia virtuosa con l’imprenditore». Vengono individuati come interlocutori per il debito il fondo Forsyte, il Fondo Riello e poco dopo, per l’equity, il Fondo Italiano per l’Efficienza Energetica, con il quale di lì a poco chiudiamo l’operazione. La cosa che ha sorpreso il tavolo di banche e consulenti è che un’azienda del Sud così piccola avesse un advisor di questo livello. «Un’operazione da manuale, perché la mentalità vincente di un imprenditore lo ha portato a credere che si potesse diventare grande, a dispetto delle premesse», chiosa Latteri, «e l’ha portato a fare i passi necessari, anche quelli non facili né inizialmente graditi». Ecco l’effetto-boutique. È immaginabile che un colosso del merchant banking avrebbe potuto e saputo lavorare per Selettra come ha fatto Thymos? No: per quanto oggi alcu-

«Di Maps siamo stati advisor finanziario, e ni big dicano di volerlo fare, non è sempre abbiamo scelto con loro e coordinato tutti vero. A volte la clientela le preferisce perchè gli interlocutori del processo di Ipo. Grazie desiderosa di coccarde lusinghiere con cui al team dei professionisti e alla coesione del crescere nell’immagine più che nella somanagement, siamo arrivati ad una quotastanza. «Peraltro, essendo nati davvero su zione per molti versi da record. Una richieun tandem, abbiamo nel dna il rispetto per sta quintupla rispetto all’offerta, i primi due il denaro, nostro e altrui – racconta Latteri giorni di sospensione del titolo per eccesso Siamo partiti senza capitali, e siamo riusciti di rialzo. E comunque solo 81 giorni per a guadagnare sin dal primo mese. “Accamquotarsi». pati” in un ufficio-residence, ma determi«La nostra filosofia è offrire soluzioni sostenati a fare impresa», aggiunge, guardandosi nibili – raccontano in Thymos – e dunque attorno compiaciuta nell’ufficio che occupa non quelle che ci fanno guadagnare di più, oggi. ma quelle capaci di creare valore nel tempo «Abbiamo iniziato cercando di offrire soe consolidare la nostra reputazione di parprattutto una consulenza di direzione detner seri e affidabili, ragionando sul lungo stinata al momento epocale in cui arrivava termine e, in linea di massima, proteggendo la crisi addosso a imprenditori che non avel’imprenditore». vano strumenti per comprenderla e affronCerto, se si è piccoli il tempo è denaro e non tarla – ripercorre Tesei - Nel 2011 ci siamo si può sbagliare. Ma trovati proiettati nel mondo delle ristrut- THYMOS È STATA ADVISOR FINANZIARIO infatti anche Thymos DI MAPS, QUOTATA IN SOLI 81 GIORNI respinge molte offerturazioni d’impresa, CON RICHIESTA DI SOTTOSCRIZIONI te di consulenza. Di perché ci chiamavano DI 5 VOLTE SUPERIORE ALL’OFFERTA quelle che accetta, per portare compeperò, s’innamora: «E del resto, sin dal nome tenze finanziarie e manageriali al capezzae in ogni altra minima cosa che facciamo, c’è le di aziende messe in ginocchio dal crollo sempre una vena di romanticismo nel nocongiunto del credito e del business». stro modo di lavorare», chiosa Fabio Tesei. «Oggi invece abbiamo seguito il mercato e Una vena romantica che però cede il passo siamo concentrati nello sviluppo di una foralla rigida logica dei numeri quando Mate cultura dell’equity – rivela Marinella Latrinella Latteri entra nella “data room” alteri – e le competenze sulla finanza straordilestita da Thymos per tanti clienti, dove si naria non servono più sulle ristrutturazioni tratta di fronteggiare tutti gli interlocutori, ma sul funding, sulle quotazioni, sul sosteanche quelli polemici, dai finanziatori nuogno allo sviluppo strategico. Che un’azienvi a quelli pregressi e magari… agguerriti. da voglia cercare un socio, un compratore E dove può capitare di incrociare il ferro o emettere un minibond, noi siamo al suo con big della revisione come del legale, da fianco. O se vuole quotarsi, magari all’Aim». Bonelli Erede a Simmons a Grimaldi. Senza Com’è accaduto con Maps, che si è presentaconflitti d’interesse, senza false prouderie. ta da Thymos con appena 10 milioni di fatE domani? «Altri dieci anni, e poi speriamo turato e l’ambizione di quotarsi in Borsa, ha chissà quanti altri ancora, dedicati sopratavuto il suo piano strategico, l’ha seguito, ha tutto a capitalizzare le aziende clienti», ed è fatto un’acquisizione ed è andata all’Aim con ancora una volta unisono. una quotazione da record.

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FINANZIARE L’IMPRESA

L’hardware italiano cresce reinvestendo i propri utili Il comparto dell’elettronica ed elettrotecnica genera il 6% del fatturato del manufatturiero nazionale e il 7% delle importazioni. Ecco la classifica delle imprese italiane più affidabili redatta dal Gruppo Nsa di Davide Passoni

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nche in un anno caratterizzato da king (vedi tabella a lato). Tra esse la Microtek una forte incertezza politica ed ecodi Pagnacco (Ud), che produce sistemi per cennomica sul fronte nazionale e intertrali radiotaxi. «La nostra affidabilità sta anche nazionale come il 2018, l’industria tecnologica nel fatto che da oltre 20 anni non compriamo italiana ha rappresentato un volano di crescidenaro dalle banche - dice Mauro Baliello, ta per tutto il sistema Paese. Lo scorso anno, presidente del cda -. Quando dobbiamo fare i suoi settori hanno fornito all’economia un investimenti per sviluppare nuove soluzioni o importante contributo, generando oltre il 3% prodotti, non siamo angosciati dall’idea di non del Pil. Il comparto Elettronica ed elettrotecriuscirci perché ci manca la liquidità. Reinvenica genera il 6% del stiamo in azienda buoA CARATTERIZZARE IL COMPARTO fatturato aggregato na parte degli utili e il DELL’ELETTRONICA È LA FLESSIBILITÀ: del manifatturiero nanostro business funSE UN MERCATO RALLENTA, LE AZIENDE zionale e il 7% delle RIVEDONO IN TEMPI CELERI LA STRATEGIA ziona perché creiamo esportazioni, occupa prodotti apprezzati. il 7% di addetti totali dell’industria manifattuSiamo un’azienda familiare, per cui ci troviariera e sostiene con le proprie tecnologie ogni mo facilmente d’accordo sugli obiettivi, anche comparto industriale. Nel 2018, la dinamica su quelli a lungo termine». dei vari settori è stata caratterizzata in termini All’estremo opposto della penisola, Elettronidi fatturato totale da un diverso andamento: ca Tirrito di Enna genera la maggior parte del a una crescita sostenuta registrata nel primo fatturato nel settore dell’illuminazione strasemestre è seguita, nel successivo, una brusca dale. «Siamo gli unici in Italia a produrre sia i inversione di tendenza. Guardando ai dati consistemi illuminanti, sia i relativi sistemi di tegiunturali elaborati da Anie Confindustria, al lecontrollo. Quello che ci caratterizza è però la progresso del 6% tra il primo semestre 2018 flessibilità - dice il titolare, l’ingegner Salvatore e il secondo 2017, è seguito nel secondo seTirrito - Quando questo mercato, legato alla mestre 2018 un -3,2%. L’andamento negativo pubblica amminisrazione, rallenta, ci spostiasi ripercuote anche sulle esportazioni, con un mo su altri settori, come quelli dei sistemi di -4% tra il secondo e il primo semestre 2018, telemetria o dell’elettromedicale. Differenziarispetto invece a un +3,7% tra i due precedenti mo business e mercati per far fronte alle possemestri. Sul fronte interno, gli effetti dovuti al sibili crisi dei diversi settori. In più, siamo poco rallentamento degli investimenti hanno portaesposti con le banche: delle nostre due linee di to a un calo del fatturato del 2,6% tra secondo credito aperte, negli ultimi due anni abbiamo e primo semestre 2018, contro un +8% tra i usufruito forse una volta e abbiamo un rating due semestri 2017. Nel settore vi sono realtà alto presso gli istituti di credito stessi». Fa paraffidabili da un punto di vista finanziario e inte invece dell’omonimo gruppo canadese la dustriale, classificate dall’Nsa Economy RanMarch Networks, attiva nel settore dei sistemi

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di videosorveglianza su IP, che ha scelto Desio, vicino a Monza, come base per il suo business in Europa. Come sottolinea il Regional Sales Manager, Claus Rønning, «il 90% del nostro fatturato è destinato all’estero (Emea), mentre gli utili sono reinvestiti nell’innovazione prodotto, con forte attenzione e partnership verso i clienti esistenti. Inoltre, le attività promozionali e di vendite sono unicamente articolate sui segmenti di mercato che abbiamo scelto come strategici, mentre il controllo crediti accurato garantisce un Dso (numero di giorni in media impiegati da un’azienda per incassare il credito, ndr) inferiore a 60 giorni».

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e nel 2018 il comparto del software ha spinto sull’acceleratore del settore ICT italiano, trainato delle Pmi, anche il segmento dell’Elettronica ed elettrotecnica si è difeso grazie al ruolo di primo piano giocato dalle aziende italiane più affidabili. Le ha classificate, per Economy, il Gruppo Nsa, il primo mediatore creditizio per le imprese italiane per fatturato, vigilato dalla Banca d’Italia tramite l’Organismo agenti e mediatori. Nsa è un mediatore creditizio specializzato nella erogazione di finanziamenti alle imprese, capace di garantire efficacia ed efficienza nei rapporti con il sistema bancario. Il rank attribuito alle aziende da Nsa che vedete nella tabella a fianco è frutto di ricerche ed elaborazione di dati commissionata da Economy all’Ufficio Studi del Gruppo Nsa. Viene calcolato sull’analisi dei bilanci, regolarmente depositati. In particolare, l’analisi classifica le imprese per solidità patrimoniale, performance, affidabilità e redditività: i medesimi parametri utilizzati per l’elaborazione nsaPmindex, l’indice sul merito creditizio. Il Gruppo Nsa adotta anche in questa ricerca l’algoritmo definito dal Disa, Dipartimento di Studi Aziendali dell’Università di Bologna, per l’elaborazione dell’indice nsaPmindex, indice annuale sullo stato delle Pmi italiane. E la tabella a fianco rappresenta una fotografia dello stato di salute delle imprese italiane, suddivise per area geografica.


Settore hardware - classifica per area geografica

SUD

NORD-OVEST

NORD-EST

CENTRO

AREA GEOGRAFICA

CLASSIFICA 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10

RAGIONE SOCIALE GA.GI. SRL ARTIGIANA ARTEL SRL MULTIPLE ACCESS COMPUTER SYSTEMS TECHNOLOGY SW PROJECT INFORMATICA S.R.L. MUCHCOLOURS S.R.L. META S.R.L. RS ELETTRONICA S.R.L. IT SYSTEMS S.R.L. SELENE S.R.L. C.B.C. ELETTRICA S.R.L. OPEN-CO S.R.L. DPI DG PRINTING S.R.L. MICROTEK S.R.L. INGG. VESCOVINI - SRL CAMAR ELETTRONICA SRL SYSTEM CABLE SRL DIEL S.R.L. URBAN S.R.L. KELEMATICA S.R.L. AEC S.R.L.- APPL. ELETTRONICHE COMPUTERIZZATE HERAEUS ELECTRO - NITE ITALY S.R.L. COMEPI S.R.L. MARCH NETWORKS S.R.L. BERTRONIC S.R.L. TECNOLOGIX S.R.L. AXCELIS TECHNOLOGIES, S.R.L. INDUCPOWER - S.R.L. DOT.ITC S.R.L. JDA SOFTWARE ITALY S.R.L. E.D.C. S.R.L. SMART METERING S.R.L. SANTECH S.R.L. LUMAX S.R.L. 3C ELETTRONICA S.R.L. LM DISTRIBUZIONE S.R.L. VISUAL SOFTWARE S.R.L. ELETTRONICA TIRRITO S.R.L. SCAEM S.R.L. TECNOSYS ITALIA S.R.L. HITECO S.R.L.

FATTURATO 1.303.578 € 1.105.138 € 997.772 € 727.609 € 587.858 € 529.097 € 2.636.181 € 1.356.479 € 2.737.615 € 676.967 € 3.329.299 € 2.878.563 € 2.176.764 € 1.351.705 € 1.329.763 € 1.189.603 € 938.877 € 924.495 € 867.604 € 779.040 € 10.271.829 € 8.543.142 € 6.538.778 € 4.211.308 € 3.252.829 € 3.138.159 € 1.467.596 € 1.275.557 € 5.041.886 € 971.817 € 1.648.317 € 727.502 € 524.742 € 1.047.396 € 834.719 € 9.157.206 € 753.201 € 576.095 € 2.742.838 € 3.272.291 €

INDIRIZZO Borgo San Lorenzo (FI) Civitella in Val di Chiana (AR) Pisa (PI) Ancona (AN) Grottammare (AP) Borgo Pace (PU) Osimo (AN) Latina (LT) Calcinaia (PI) Pomezia (Roma) San Pietro in Cariano (VR) Roncade (TV) Pagnacco (UD) Parma (PR) Carpi (MO) Castelnovo di Sotto (RE) Montecchio Maggiore (VI) Schio (VI) Forlimpopoli (FC) Creazzo (VI) Ornago (MB) Robbiate (LC) Desio (MB) Stezzano (BG) Milano (MI) Milano (MI) Moncalieri (TO) Monza (MB) Milano (MI) Milano (MI) Bari (BA) Alife (CE) Roccella Ionica (RC) Pastorano (CE) Naro (AG) Ragusa (RG) Enna (EN) Giarre (CT) Enna (EN) Atessa (CH)

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APPROFONDIMENTI

76 GIOVANNI LETTIERI

IMPRESE CONTRO IMPRESE NELLA CLASS ACTION ALL’ITALIANA La riforma estende il rimedio anche alle aziende di qualunque dimensione. Con il rischio di effetti dirompenti su concorrenza, reputazione e bilancio

NAPOLI (RI)METTE LE ALI GRAZIE A UN IMPRENDITORE OPEN-MIND

77 PWC LA DIGITALIZZAZIONE SI METTE AL SERVIZIO DEI CITY-USERS

80 LIUC BUSINESS SCHOOL PIÙ NUMERI E MENO “FIUTO” PER MIGLIORARE LE PERFORMANCE

82 AIFI IL VALORE DELL’IMPRESA CRESCE SE BREVETTA LE INNOVAZIONI

84 CI PIACE/NON CI PIACE I PROMOSSI E I BOCCIATI DEL MESE

87 PRIVATE BANKER CHE FACCIA GUADAGNARE O MENO IL GESTORE GUADAGNA SEMPRE

di Marina Marinetti

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e alle parole “class action” vi viene e seguenti, ovvero la possibilità di tutelare in mente Julia Roberts nei panni di diritti individuali omogenei attraverso un Erin Brockovich, che intentò una procedimento collettivo. Perché l’unione fa causa contro la Pacific Gas & Electric per la la forza... da esercitare contro le imprese. contaminazione con cromo esavalente delle Nulla da eccepire sul principio, per carità. Il acque di Hinkley, e il tutto vi sembra molto, problema, casomai, è come è stata riformamolto lontano, potreta la materia (dalla FORNITORI, DISTRIBUTORI, FRANCHISEE ste dovervi ricredere legge 31 del 12 aprile POTRANNO COALIZZARSI CONTRO molto presto. Per2019 che entrerà in LE GRANDI IMPRESE. IN EUROPA SOLO ché, a prescindere IL BELGIO PREVEDE QUESTA POSSIBILITÀ vigore, appunto, il 19 dal fatto che la vostra aprile prossimo). E impresa sia grande, media, piccola o nagli avvocati d’impresa sono in allarme: «Abnoscopica, financo unipersonale (ovvero se biamo esaminato il testo che entrerà in visiete un professionista), dal 19 aprile 2020 gore ad aprile e sono emerse più ombre che (e non manca molto) nel mirino potreste filuci», spiega Sara Biglieri, Head of Europe nirci voi. E il sogno (Julia Roberts) potrebbe litigation group nonché partner (nell’ufficio trasformarsi in un incubo. Quel giorno, indi Milano) di Dentons, il più grande studio fatti, entrerà in vigore la riforma della Class legale al mondo per numero di avvocati e il Action all’italiana. sesto per fatturato. «Questa legge pone seri Non fatevi fuorviare dalla terminologia: rischi per le imprese e sostanzialmente non “azione di classe” non indica un gesto rafpone nessuna disposizione a loro effettiva finato, ma definisce le previsioni dell’artitutela. Nemmeno per metterle al riparo colo 840 bis del Codice di procedura civile da azioni strumentali da parte di aziende

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APPROFONDIMENTI

concorrenti». In altre parole: a fare causa potranno anche non essere necessariamente le associazioni dei consumatori, ma qualunque soggetto: dal singolo individuo ai competitor. E a venire citata in giudizio potrà essere “qualunque impresa”. Incluse le reti di franchising o le Pmi, che si potranno coalizzare contro i colossi. Tante ombre, poche luci I nodi, nel pettine, sono diversi: «Da un lato ci troviamo nell’impossibilità per l’impresa citata in giudizio di individuare per molti mesi, fino a un anno e mezzo, il fattore di rischio della causa, perché non è possibile sapere quali e quante saranno effettivamente le controparti», commenta Sara Biglieri. «L’altro aspetto inquietante è la pubblicità, senza nessuna garanzia di confidenzialità, considerando che come primissimo atto c’è la pubblicazione online del ricorso introduttivo del giudizio, ma la causa potrebbe poi rivelarsi completamente infondata. Il terzo elemento negativo è la facilità di strumentalizzazione di questa tipologia di azione, che potenzialmente potrebbe essere “replicata” infinite volte attraverso azioni individuali di singoli». Non solo: «Uno degli aspetti più preoccupanti», aggiunge, «è l’ampliamento della sfera d’azione. La nuova legge si applicherà anche a qualsiasi condotta per presunto danno extracontrattuale: ad esempio, quindi, tutte le tematiche ambientali potranno ricadere nella nuova class action». E a coalizzarsi, come anticipato, potranno anche essere fornitori, reti di franchising, distributori. Un’anomalia tutta italiana, o quasi: «Solo il Belgio, oltre all’Italia, estende il rimedio della class action anche alle imprese». Per non parlare (ma parliamone) delle tempistiche: «Le imprese potranno trovarsi nelle condizioni di avere solo 120 giorni per depositare una memoria nella quale prendere posizione su ogni singolo aderente. Immaginiamo un’azienda con 100mila clienti. E ogni fatto che non viene contestato dall’impresa si dà per provato. Si rischia di

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perdere una causa solo perché non si è riusciti a contestare ogni singolo elemento». Un altro nodo? La pubblicità: verranno pubblicate persino le transazioni, anche se, sottolinea Biglieri, «la ragione per cui si transa è proprio la riservatezza». Paradossalmente, il problema potrebbe anche non porsi affatto: «L’assenza di possibili previsioni del rischio che la causa comporta, stante la possibilità per un numero indeterminabile di soggetti di aderire a più riprese, scoraggerà qualunque transazione». Così, anche soggetti molto regolati, come le grandi banche o i gestori di servizi telefonici, qualche problema se lo pongono: «Noi abbiamo un atteggiamento proattivo nella gestione del contenzioso e, quando possibile, cerchiamo di chiudere le vertenze con soluzioni conciliative, per mantenere un buon rapporto con il cliente e contenere l’impatto economico», commenta Antonio D’Agostino, Head of civil litigation department di Intesa Sanpaolo. «La nuova normativa sulla class action sembra non favorire queste soluzioni conciliative in tempi brevi, né una tempestiva valutazione del rischio complessivo dell’azione, anche ai fini degli accantonamenti. È difficile comunque dire se la nuova normativa potrà

incentivare le class action nei confronti delle banche, considerato anche che le loro attività sono regolate e controllate da diverse Autorità e che esistono efficienti strumenti ad hoc come l’Arbitro bancario finanziario». Difendersi, ma fino a un certo punto Ma andiamo con ordine. Chi si troverà dalla parte sbagliata del campo da gioco, tecnicamente il “resistente”, si troverà a doversi difendere con armi spuntate. «La riforma comprime fortemente i diritti della difesa», commenta Roberto Lipari, partner nell’ufficio Dentons di Roma. «L’aderente - ovvero l’attore in senso sostanziale che nel corso del giudizio può, per l’appunto, aderire all’azione promossa dal ricorrente, ndr può aderire in momenti diversi all’azione di classe e addirittura revocare l’adesione, mentre il resistente può solo subire». Peraltro, entro 60 giorni dal deposito della domanda introduttiva dell’azione di classe presso la cancelleria del Tribunale delle imprese (la cui preparazione dovrebbe comunque tranquillizzare un po’ di più il resistente), altri ricorrenti potranno proporre ulteriori azioni di classe fondate sui medesimi fatti, che saranno riunite alla prima.

QUESTA LEGGE PONE SERI RISCHI PER LE IMPRESE E NESSUNA DISPOSIZIONE A LORO EFFETTIVA TUTELA


Da sinistra: Micaela Vescia (Atm), Antonio D’Agostino (Intesa Sanpaolo), Roberto Lipari e Luca De Benedetto (Dentons). Nella pagina a fianco, Sara Biglieri (Dentons).

L’importante, quindi, è andare ogni tanto a spulciare sull’apposita sezione del sito internet del tribunale che pubblicherà il ricorso introduttivo del giudizio e una serie di atti e provvedimenti successivi del medesimo giudizio. Sì, avete letto bene: pubblicherà. «Le imprese si troveranno a dover fronteggiare un danno reputazionale, perché le domande saranno pubblicate a prescindere dalla loro fondatezza». E la pubblicazione si traduce in un effetto moltiplicatore del rischio». Un pericolo che sta già allarmando imprese come Atm, il gestore del trasporto pubblico locale a Milano: «La soddisfazione dei clienti è per noi un parametro più importante della stessa redditività», commenta Micaela Vescia, responsabile Affari legali e societari della municipalizzata. «Fornendo un servizio pubblico ad un numero non determinato né determinabile di soggetti, siamo sempre esposti in primo luogo al giudizio degli clienti». Tre fasi, altrettante bucce di banana Una volta che l’azione è dichiarata ammissibile (prima fase), si apre la seconda fase: quella del merito sull’an (come dicono gli avvocati), che poi sarebbe l’an debeaur, cioè il “se” sia dovuto un risarcimento per il danno. Altro giro, altro regalo: il tribunale fissa un termine compreso tra i 60 e i 150 giorni per l’esercizio della prima facoltà di adesione, la cosiddetta “adesione preventiva”. Significa che chiunque si riconosca, in tutto o in parte, nella situazione oggetto della causa, può accomodarsi alla tavola. L’adesione dà accesso al fascicolo telematico, cioè anche agli atti difensivi del resistente, e l’unico atto che il resistente potrà depositare per

difendersi sarà la memoria depositata nella prima fase, che andrà scritta avendo in mente anche i possibili soggetti che potranno aderire alla class action nella seconda fase. Occorrerebbe una sfera di cristallo. Se l’impresa non conosce esattamente le sue controparti, si trova di fronte a una difficoltà difensiva importante. Non solo: una volta depositati e resi accessibili al pubblico gli atti di difesa, il resistente, cioè l’impresa, sarà inevitabilmente “inchiodato” alla linea difensiva scelta. Poi ci sono i bonus (si fa per dire): il comVIENE ELIMINATA LA CONFIDENZIALITÀ: IL RICORSO VIENE PUBBLICATO SUBITO ONLINE ANCHE QUANDO LA CAUSA PUÒ ANCORA RIVELARSI INFONDATA

penso del Ctu, ovvero il Consulente tecnico d’ufficio che aiuta il giudice a valutare le prove fornite dalle parti (e che ha specifiche competenze tecniche che il giudice non possiede), in via di principio sarà a carico del resistente (il convenuto in giudizio), mentre nei procedimenti ordinari la spesa normalmente viene divisa fra le parti. E il giudice ha il potere, su istanza motivata del ricorrente, di ordinare all’impresa l’esibizione di prove. In sostanza: chi fa causa chiede di poter “guardare in casa altrui”, chi è chiamato in causa deve aprire i “cassetti di casa propria”. E se si rifiuta di farlo? Rischia di incorrere in una sanzione pecuniaria amministrativa e dovrà sborsare da 10mila a 100mila euro. «Una delle anomalie della riforma, tra l’altro, è che l’aderente può produrre una particolare forma di testimonianza scritta che al resistente non è consentita», spiega Roberto Lipari. La ciliegina

sulla torta? «Il giudice potrà anche decidere sulla base di dati statistici e presunzioni semplici». Non è mai troppo tardi Se la sentenza accoglie il merito della domanda, si passa alla terza fase: quella dell’assalto alla diligenza. Perché con l’avvio del giudizio di merito sul quantum debeatur (cioè su quanto l’impresa dovrà sborsare) il tribunale fissa un termine fra i 60 e i 150 giorni per l’esercizio della seconda facoltà di adesione da parte dei titolari dei diritti individuali omogenei. È la cosiddetta “adesione successiva”, il “non è mai troppo tardi” applicato alla class action. In offerta speciale: «L’aderente può beneficiare della causa senza sopportarne i rischi, visto che non può mai essere condannato alle spese di lite e può revocare la propria adesione anche se la terza fase si conclude con il rigetto dell’adesione», spiega Luca De Benedetto, Managing counsel nell’ufficio Dentons di Milano. E la condanna del resistente non è solo «al pagamento di somme o alla consegna di cose, ma anche delle spese di lite dell’aderente, del compenso del rappresentante comune degli aderenti, nominato dal tribunale, una sorta di curatore fallimentare, e persino di un compenso premiale direttamente al difensore del ricorrente». Avete letto bene: l’avvocato che intenta la causa avrà un premio. E, considerato il fatto che l’Italia è il paese degli avvocati (ne abbiamo il quadruplo rispetto alla Francia e il doppio della Germania) e che non tutti sono così fortunati da essere partner di importanti studi legali, scommettiamo che ci sarà un boom delle azioni “di classe”?

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in collaborazione con CONFPROFESSIONI

Professioni, un universo a due velocità Dal Congresso nazionale di Confprofessioni emerge un settore in crescita, che crea occupazione e muove un giro di affari di 211 miliardi all'anno. Una realtà estremamente polarizzata tra gap generazionali, di genere e reddituali. Ma la politica non sembra accorgersene di Giovanni Francavilla

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n un Paese che cresce dello 0,3% all'anno, in un mercato del lavoro in contrazione, l'Italia delle professioni continua a crescere, a macinare occupazione, a spingere avanti il Pil, pur tra mille difficoltà. Snobbati dalla politica, nel bel mezzo della rivoluzione digitale e sempre più polarizzati, i liberi professionisti superano quota 1,4 milioni di iscritti a un albo professionale, crescono al ritmo del 17%, coprono il 27% del mercato del lavoro indipendente, occupano 484 mila dipen-

denti e muovono un giro d'affari di circa 211 miliardi di euro. Numeri che portano il nostro Paese in cima all'Europa, sia in termini dimensionali (18 professionisti ogni mille abitanti), sia in termini di Pil (1,7 miliardi di euro), perché dove cresce la presenza di professionisti, maggiore è la ricchezza di un Paese. È un universo a due facce quello che emerge dal “Rapporto 2019 sulle libere professioni in Italia”, curato dall'Osservatorio libere professioni di Confprofessioni, coordinato dal professor Pa-

LA RELAZIONE DEL PRESIDENTE STELLA AL CONGRESSO NAZIONALE 2019 DI CONFPROF

olo Feltrin e presentato a Roma lo scorso 21 novembre al Congresso nazionale di Confprofessioni, la principale organizzazione di rappresentanza dei liberi professionisti in Italia. «Il quadro che emerge dal Rapporto 2019 di Confprofessioni coglie le peculiarità, ma anche i limiti, di una forza economica e sociale che sta attraversando una fase di profonda trasformazione che investe tutto il ceto medio», commenta il presidente di Confprofessioni, Gaetano Stella. «Numerosi

indicatori economici indicano una crescita tendenziale del settore libero professionale in Italia e in Europa, ma un'analisi più attenta fa emergere una realtà estremamente polarizzata tra professione e professione, ma anche all'interno della stessa professione, tra regione e regione, tra uomini e donne, tra classi di reddito». È una realtà in continuo movimento, dove affiorano significative differenze generazionali, di genere e reddituali: l'età media sale a 47 anni (i giovani under 34 sono 257

Nasce BeProf, la prima piattaforma digitale multicanale costruita sulle esigenze dei professionisti

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a rivoluzione digitale non spaventa i liberi professionisti che, anzi, sono pronti a cavalcare la sfida tecnologica. Dal Congresso nazionale di Confprofessioni nasce BeProf, la prima piattaforma digitale multicanale per rispondere in modo concreto alle crescente domanda di welfare, salute, formazione, informazione e di strumenti innovativi per la gestione

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e l'organizzazione dell’attività professionale. BeProf apre la strada alla trasformazione digitale della libera professione che, con la nuova piattaforma, potrà disporre di un ricco bouquet di servizi studiati da Confprofessioni, con partner di primaria importanza come Unicredit, Gruppo Zucchetti e Unisalute, per tutte le esigenze dei professionisti.

Tutto in un'unica app. Salute e welfare: un innovativo pacchetto dedicato a tutti i liberi professionisti, lavoratori autonomi e partite Iva, che attraverso la piattaforma possono beneficiare per la prima volta di formule di tutela personale a condizioni uniche e vantaggiose, finora riservate solo ai


FESSIONI

mila contro i 421 mila degli over 55); il 64% dei professionisti sono uomini, mentre le donne rappresentano il 36%; i redditi medi oscillano tra i 36 mila e i 52 mila euro l'anno, con una forte polarizzazione tra chi vede aumentare in modo significativo i propri redditi e chi vede assottigliarsi sempre più le proprie entrate. Dall'assise confederale emergono le contraddizioni di un mondo sempre più vasto, dai confini molto labili, che deve fare i conti con la fragilità della definizione stessa di

libera professione. E in questo quadro, «la frammentarietà del sistema professionale è un limite che non facilita il dialogo con la politica e le Istituzioni», sottolinea Stella. In questo senso, l'ultima manovra del Governo marca la distanza tra politica e professionisti. «Non è tanto quello che sta scritto nella legge di Bilancio, quanto piuttosto quello che non c'è scritto a provocarci quella spiacevole sensazione di non essere compresi dalla politica», afferma Stella. «Da anni chiediamo alle istituzioni l’urgenza di interventi di sostegno allo sviluppo del nostro settore: mancano norme per favorire lo sviluppo infrastrutturale degli studi professionali, a cominciare dall’incentivazione dei processi di aggregazione tra giovani professionisti; latitano interventi per

professionisti che applicano il CCNL Studi Professionali. Credito e finanza: una vetrina virtuale per scegliere i servizi finanziari più evoluti sul mercato e più aderenti alle specifiche esigenze del libero professionista. Un canale dedicato permetterà di avere a disposizione un servizio di consulenza esclusiva per superare le difficoltà di accesso al credito. Informazione: una News Room per tenersi aggiornati sui temi caldi di Economia e Fisco, Lavoro e Previdenza,

favorire il welfare dei lavoratori autonomi e delle loro famiglie, anche promuovendo l’accesso a forme mutualistiche di sanità integrativa». Insomma, il settore delle libere professioni anno dopo anno assume una crescente rilevanza in termini di forza lavoro, in termini di occupazione, in termini di contributo alla ricchezza del Paese, ma il pacchetto delle agevolazioni alle attività economiche previsto della legge di Bilancio resta indifferente alle esigenze di sviluppo e ammodernamento degli studi professionali. «Una

manovra che ignora il diritto dei professionisti ad accedere ai benefici di Industria 4.0 disattendendo quella parità con le PMI prevista a livello europeo» aggiunte il presidente di Confprofessioni. «I benefici concessi dalla cosiddetta “nuova Sabatini”, il credito d’imposta per ricerca e sviluppo e le agevolazioni per start-up innovative, sono ancora oggi preclusi ai professionisti; mentre nel caso dell’iper-ammortamento siamo addirittura in presenza di una palese incongruenza tra dato legislativo e prassi amministrativa».

LUCA DE GREGORIO, RESPONSABILE PROGETTO BEPROF

Internazionalizzazione e Fondi europei, Formazione, Salute e Welfare, Professionista 4.0. Inoltre, un'area dedicata ospiterà la rassegna stampa, i dossier tematici, le pillole-video e un esclusivo TG settimanale. Servizi per la professione: tutto quello che serve per la gestione di uno studio professionale e l'ottimizzazione della professione. Dalle banche dati camerali e catastali, ai report di affidabilità, dalla gestione delle pratiche telematiche alle soluzioni tecnologiche per la digitalizzazione dello studio.

Viaggi, cultura e tempo libero: oltre gli impegni di lavoro, un'ampia gamma di servizi dedicati a leisure & pleasure. Booking alberghiero in ogni paese del mondo e food delivering a condizioni uniche. Ma anche tante altre sorprese per chi ama l'arte, la cultura e la cucina. Community: oltre a essere un aggregatore di contenuti su misura, BeProf è anche una un punto di incontro per i professionisti, uno spazio di dialogo e confronto sui temi riguardanti la libera professione, ma anche un luogo per sviluppare una rete di contatti e nuove opportunità di business.

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APPROFONDIMENTI UOMINI&DENARI

Giovanni Lettieri, presidente di Atitech

Napoli (ri)mette le ali grazie a un impreditore open-mind Contro tutti i pronostici, Giovanni Lettieri è riuscito a restituire competitività ad Atitech, la società di Capodichino che fa manutenzione agli aerei. Come? Affrancandosi da Alitalia e conquistando gli stranieri di Alfonso Ruffo

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n un Mezzogiorno che chiude stabilimenti, lui li apre. In un Mezzogiorno che perde fatturato, lui accresce il giro d’affari. In un Mezzogiorno che licenzia, lui assume. Giovanni Lettieri, Gianni per gli amici, sta riuscendo con la sua Atitech laddove quasi tutti gli predicevano avrebbe fallito: riportare un’azienda gloriosa ma agonizzante a essere viva e, per di più, competitiva sul mercato internazionale. «Non è stato facile ribaltare la situazione - dice adesso Lettieri -. Abbiamo dovuto lavorare sodo per recuperare produttività e credibilità e farci spazio in un settore molto competitivo. Ma alla fine abbiamo avuto ragione anche grazie alla capacità delle nostre maestranze, le migliori al mondo». Rilevata sull’orlo del L’AUTORE ALFONSO RUFFO

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fallimento dall’Alitalia nel 2009, Atitech compie questo dicembre i suoi primi trent’anni che vorrà festeggiare con un grande ricevimento negli hangar di Capodichino: l’aeroporto di Napoli dove il piccolo miracolo si è compiuto. Un modo per esorcizzare la crisi che incombe tutto intorno e per segnalare che, nonostante il buio in cui è piombata l’industria del Sud, qualche luce brilla ancora a indicare che il destino non è segnato. «Fare impresa a Napoli e nel Mezzogiorno è molto difficile - osserva Lettieri -. I mali del Paese qui si presentano in forma aggravata e spesso tutti insieme. Se molti investimenti restano nel cassetto è anche perché dobbiamo fare i conti con una burocrazia ostile, più orientata a scoraggiare che a incoraggiare l’imprenditore». Specializzata nella manutenzione degli aeroplani, l’azienda napoletana è adesso tra le più grandi del settore in Europa con 70 milioni di fatturato, 650 di-

pendenti tra diretti e indiretti e una trentina di aziende sotto contratto – tra cui Air France, Ryanair, Euroatlantic, Blue Panorama, Mistral, Eurowings, Austrian Airlines - che nel corso del tempo si sono aggiunte alla compagnia di bandiera annullando il rischio del cliente unico. «Oggi Alitalia è un cliente importante - spiega Lettieri - ma non condiziona più la nostra attività che si è sviluppata, in termini di prestazioni fornite, sia in quantità che in qualità. Un processo di crescita e adeguamento alla domanda in piena evoluzione e che ci porterà a costruire a Napoli un vero e proprio hub della manutenzione aerea». Il risultato è che nel sito di Capodichino, dove i capannoni sono diventati cinque, si lavorano 270 aeromobili l’anno di cui 210 in forma pesante e 60 in forma leggera. Più di mille sono i check effettuati nei dodici mesi e nascono nuovi servizi come la verniciatura e l’intervento su pista che allargano la gamma dell’offerta e impongono un piano d’investimenti che quota circa 30 milioni tra nuove infrastrutture logistiche e tecnologia. «L’innovazione è il punto centrale del nostro impegno - informa Lettieri -: sia in termini di brevetti che di processi produttivi utili a risparmiare tempo e a recuperare efficienza. Nel nostro settore la concorrenza è molto alta e noi cerchiamo di batterla tutti i giorni anche a grazie alla freschezza dei tanti giovani che selezioniamo con cura». Già presidente dell’Unione degli Industriali di Avellino e di Napoli, un trascorso nel Cda del Sole 24 Ore e una parentesi d’impegno politico come candidato sindaco di Napoli, a Gianni Lettieri le sfide non fanno paura. È convinto che Napoli può giocare una partita fondamentale in Europa utilizzando il capitale umano disponibile e la favorevole posizione geografica nel cuore del Mediterraneo. E se quello del trasporto aereo è un settore in crescita crescerà, ancora, anche Atitech.


Smart-cities, la digitalizzazione si mette al servizio dei city user Non più cittadini, ma utenti: per rispondere a soggetti tecnologicamente evoluti, gli enti locali implementano tecnologie che aprono opportunità per imprese e commercianti. Ma il ruolo dei privati è essenziale di Giovanni Mariani *

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talo Calvino scriveva che “di una città dollari entro il 2020 e 2,5 trilioni nel 2025. non godi le sette o le settantasette meSi stanno così aprendo nuove opportunità, raviglie, ma la risposta che dà a una tua dirette o indirette, anche per le imprese e domanda”. Con la trasformazione digitale, le Pmi. Firenze, ad esempio, con l’app Oll’Amministrazione comunale è chiamata a trarno su misura consente di dare ampia gestire una domanda sempre crescente, visibilità alle botteghe artigiane, a ristoproveniente non solo da cittadini, ma anranti e altre attività commerciali di quella che da pendolari, turisti, imprese e atenei. parte di città. Venezia sta per lanciare un Il salto di paradigma da cittadino a city nuovo sistema per la gestione delle indiuser mette gli enti locali nella condizione cazioni per i siti turistici in grado di modidi dover rispondere a soggetti tecnologicaficarsi sulla base del flusso dei visitatori. mente evoluti e più esigenti sulla qualità Roma sta lavorando sul Piano Smart City dei servizi. e ha digitalizzato le procedure del Suap Questa nuova fase di (Sportello unico delcittadinanza digita- GLI INVESTIMENTI IN DIGITALIZZAZIONE le attività produttive) SPINGONO I COMUNI ALLA RICERCA le è ben fotografata che permette ad imDI PLAYER PRIVATI IN GRADO DI OFFRIRE dal Desi 2018 (Digital prenditori ed eserNUOVE TECNOLOGIE E COMPETENZE economy and society centi di liberarsi di index): oltre il 58% dei cittadini europei code e tempi di attesa potendo seguire tutsceglie l'online per individuare i servizi te le procedure necessarie per l’apertura amministrativi e oltre il 52% del campione dell’esercizio commerciale direttamente si dice pronto a condividere i propri dati per online. rendere tali servizi più personalizzabili. Lo sviluppo di nuovi servizi richiede all’enI comuni stanno effettuando investimenti te comunale di aprirsi e imparare a gestire crescenti in infrastrutture e Iot per la dicon modalità innovative il rapporto con le gitalizzazion. Come PwC siamo impegnati parti attive della città. Il design thinking e in diversi progetti di sviluppo di soluzioni i processi di co-creazione con il coinvolgismart per le più grandi città italiane. Le mento diretto dei city users, in realtà comnostre stime evidenziano una forte creplesse come Milano e Roma, si sono dimoscita del mercato mondiale generato dalstrate metodologie di progettazione molto le smart cities, che supererà 1 trilione di efficaci per disegnare nuovi servizi.

GIOVANNI MARIANI

Il ruolo delle amministrazioni, però, non si ferma all’ascolto e alla progettazione. Gli investimenti necessari per la digitalizzazione stanno spingendo i Comuni alla ricerca di player privati in grado di offrire nuove tecnologie e competenze per far crescere soluzioni e infrastrutture dedicate ai servizi. Il ruolo dell’amministrazione, quindi, si sta allargando: da soggetto decisore a soggetto orchestratore, capace di far convergere le diverse anime della città verso un obiettivo condiviso, incentivando i comportamenti virtuosi e migliorando la qualità della vita. Ma la vera sfida che attende le amministrazioni con la crescita dei servizi smart sarà l’utilizzo proficuo dell’enorme mole di dati che genereranno. La corretta gestione e analisi dei big data consentirà di creare policy e disegnare servizi che risponderanno in modo puntuale e personalizzato ai bisogni dei city user, fino ad anticiparli. Costruire la smart city di domani offre agli amministratori l’opportunità di rafforzare il rapporto con i cittadini, mostrandosi capace di saper ascoltare e di far evolvere la città in sintonia con le attese e gli obiettivi di chi la vive e contribuisce al suo benessere.

*Partner PwC Italia, Partner PwC Italia, Government & Healthcare Sector Leader

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APPROFONDIMENTI

Green is the new black la sostenibilità diventa moda L'identità di marca cede il passo ai principi "verdi": ora i consumatori scelgono in base al posizionamento dei produttori sul campo dell'ecosostenibilità. L'analisi dal punto di vista delle Neuroscienze di Lorenzo Dornetti

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el modo fashion si è sempre aderito alla regola che il “colore nero” fosse perfetto per ogni occasione. Oggi, sarebbe meglio sostituirlo con il colore verde. Siamo di fronte ad un cambio di prospettiva, un diverso modo di pensare. Si è sviluppato e diffuso nella società un brand utile per il pianeta, il brand “green”. Come legge il fenomeno la Neurovendita? Il campo di applicazione delle neuroscienze ai fenomeni commerciali. Il “green” è un “brand”. Un brand primario, di categoria superiore rispetto alle icone commerciali. L’idea verde abbraccia e caratterizza, conferisce una nuova vita agli altri “brand” esistenti. L’essere verde permette ai marchi di poter valorizzare le loro caratteristiche, in assenza di questo “bollino verde”, l’identità di marca non viene più considerata dal consumatore. Dall’accordo di Parigi del 2015, i top brand del mondo hanno aderito massivamente per ridurre l’impatto ambientale. La cosa interessante è che iniziano a fare a gara per anticipare i tempi rispetto agli obbiettivi. Amazon, ad esempio, ha dichiarato di voler raggiungere 10 anni prima i target, con un comunicato stampa intitolato: “Amazon si veste di verde”. Secondo Ismea, gli scaffali dell’ecosostenibile sono quadruplicati nei supermercati, con un +247% negli ultimi 5 anni. Una variazione significativa nelle preferenze nel carrello della spesa. Gli attori di Hollywood e le popstar fanno a gara per

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patrocinare iniziative verdi. Il fenomeno mediatico “Thunberg” è cosi prorompente da non avere uguali. Si possono citare migliaia di esempi per indicare come l’attenzione al “green” sia oggi dominante. Serve un passo indietro. Un brand per il cervello è un magnete emotivo. Quando un concetto diventa brand, l’idea diventa prima nella mente e guida in maniera inconsapevole i comportamenti. Come un concetto diventa un brand nel cervello? Occorrono 9 anni per costruire un brand. Una decina di anni fa, le tematiche di sostenibilità ambientale interessavano una nicchia di SECONDO LE NEUROSCIENZE OGGI È IMPOSSIBILE VENDERE QUALCOSA CHE NON RIMANDI AL GREEN NEL SUO PACKAGING O NEL SUO PROCESSO PRODUTTIVO

persone. I brand non crescono linearmente, ma seguono un trend esponenziale. Si sviluppano piano piano, soprattutto all’inizio, e poi esplodono diventando presenti ovunque. Oggi siamo nel picco di diffusione del brand “green”. Oggi è impossibile “vendere qualcosa” che non rimandi al green nel suo packaging o nel suo processo produttivo. La creazione di avversari è un fattore tipico. Per creare un brand serve una mission precisa che coinvolga l’annientamento di avversari, cattivi nemici da battere. Le idee si diffondono per confronto, in una dinamica di superamento del passato. In questo caso

chi aderisce al verde diventa parte del gruppo che “salva il pianeta” contro chi oggi e in passato lo “vuole distruggere”. La presenza di icon visibili è tipica nella fase del consolidamento. I brand hanno bisogno di oggetti visibili, icon evidenti. Esattamente come i loghi sulle T-Shirt, confermano il valore delle “griffe” di moda. Basta osservare il centro di qualsiasi città per vedere borracce metalliche, bici elettriche e bicchieri plastic free. Le persone vogliono indicare la loro appartenenza al brand “green” in maniera palese ed evidente. La lettura neuroscientifica del fenomeno sociale si sintetizza alla perfezione nella frase: “green is the new black”. Si è creato un brand di ordine superiore, che qualifica tutto il resto. Essere green non è più una scelta per le aziende. È un obbligo di marketing per poter rientrare nei parametri dei clienti. Se non sei green, non solo non vendi, non vieni nemmeno preso in considerazione. Se sei green te la giochi sul mercato. È’ una chiave implicita con cui il cervello compra e sceglie, da cosa mettere nel carrello a quali vestiti acquistare, dai posti in cui andare in vacanza, a cosa scegliere sul menu al ristorante. Perfino gli investimenti in borsa premiano i rendimenti delle aziende ecosostenibili. Il fenomeno “green” è diventato un super brand. Un brand con un impatto positivo per il pianeta, chi lo abita e lo abiterà. A volte il marketing è utile, non solo ai profitti.


in collaborazione con ANDAF

Più competenze verticali, ma anche più cultura: la sfida dei direttori finanziari Al centro della tre giorni di Andaf a Matera il valore della cultura per l'economia, e il suo ruolo di guida nell'evoluzione dei modelli organizzativi e di sviluppo. Si è così cercato di rispondere a un quesito cruciale: cosa fare oggi per essere pronti ad affrontare il domani e creare valore sostenibile di Sergio Luciano

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direttori finanziari degli Anni Venti di questo millennio dovranno giocare una doppia sfida: far evolvere sempre di più le proprie competenze verticali, sul fronte di una finanza aziendale articolata e complessa, attraversata per la strumentazione e le prassi dalla potenza destabilizzante dell’intelligenza artificiale; eppure, contemporaneamente, non restringere alle sole competenze specifiche la propria cultura manageriale, ma anzi aprirla ai macrovalori che ispirano la moderna gestione d’impresa, primo fra tutti la cultura e la sostenibilità. Questa doppia sfida certamente ansiogena, vissuta giorno per giorno può essere esaltante. E’ questo il senso profondo dell’intensissima “tre giorni” vissuta a Matera dall’Andaf (Associazione Nazionale Direttori Amministrativi e Finanzia-

ri), tra giovedì 24 e sabato 26 ottobre, per il 42° Congresso nazionale, organizzato in concomitanza e collaborazione con il 49° Congresso Mondiale di Iafei (International Association of Financial Executives). E la scelta di Matera, capitale europea della cultura per il 2019, è stata fortemente indicativa (e fortunata: luogo splendido, clima meraviglioso, tavola squisita), così come il titolo, fortemente suggestivo: “La cultura, valore per l’economia e guida nell’evoluzione dei modelli organizzativi e di sviluppo”. «Ponendo la cultura e la conoscenza al centro delle nostre riflessioni in quanto valore per l’economia e guida nell’evoluzione delle nostre organizzazioni – spiega Roberto Mannozzi, presidente Andaf e Direttore centrale amministrazione, bilancio, fiscale e controllo di Ferrovie dello Stato Italiane Spa – abbiamo cercato di rispondere al quesito cruciale su cosa possiamo, o meglio dobbiamo fare oggi per essere pronti ad affrontare il domani e a creare valore

ROBERTO MANNOZZI E RAFFAELLO DE RUGGIERI

sostenibile a medio e lungo termine». La due giorni ha visto la partecipazione di oltre 350 direttori amministrativi e finanziari, esponenti del mondo dell’impresa, della finanza e della consulenza provenienti da tutto il mondo: ma in realtà i giorni sono stati tre, perché il prologo ha avuto due momenti densi: una straordinaria “lectio magistralis” di Philippe Daverio sull’utopia come risposta prospettiva alla fine delle ideologie («L’utopia dichiara la sua impossibilità ad avverarsi, ma indica una strada da seguire», è stato in sostanza il suo messaggio), un’intervista pubblica con Javier Zanetti, grande calciatore ed oggi vicepresidente dell’Inter, sulla leadership, e un saluto fuori programma ad alta caratura emozionale del sindaco di Matera Raffaello De Ruggieri, un giovanotto di 84 anni, cui la città deve la rinascita dei Sassi: un’utopia trasformata in realtà. Per il resto, dalle testimonianze dell’ex ministro dell’e-

conomia Pier Carlo Padoan sul contesto macroeconomico italiano nel mondo a quelle di alcuni tra i principali attori del sistema della finanza d’impresa – tra cui i vertici di PwC, Ey, Kpmg e Deloitte, Moody’s, S&P – si è vissuto un ritmo serrato di confronto e informazione. Una tavola rotonda sulla cultura digitale, con Sap, Oracle, Microsoft, Manpower e Credimi, una sulla Via della Seta, un’intervista a Tiziano Onesti e Alessio Lorusso, un “power breakfast” con Paolo Bertoli sulla necessità di porre un’argine alla responsabilità dei Cfo e dei dirigenti preposti e poi ancora Andrea Montanino e Riccardo Vopati a confronto sul futuro dell’euro, una tavola rotonda sul social reporting e una relazione di Gregorio De Felice sugli “effetti economici di un’Italia capitale mondiale della bellezza”. Insomma, cibo per la mente. E il senso di una sfida professionale incombente ma avvincente. Che si deve vincere, ma si può vincere. Soprattutto continuando a lavorare insieme.

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APPROFONDIMENTI

Più numeri e meno «fiuto» per migliorare le performance Liuc Business School lancia il percorso formativo Managing by numbers: le competenze per decidere e gestire. Obiettivo, utilizzare le opportune misurazioni per ottimizzare i processi decisionali e la gestione aziendale di Riccardo Venturi

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hat you measure is what you get, vale a dire: si ottiene quello che si misura. Questo incipit di un articolo di Robert Kaplan e David Norton, due economisti che hanno molto lavorato sulla misurazione delle performance, dovrebbe essere più ascoltato dalle Pmi italiane, che non hanno in generale granché l’abitudine di utilizzare numeri e parametri indicatori. Per correggere questa tendenza è nato Managing by numbers: le competenze per decidere e gestire, un percorso formativo della Liuc Business School che risponde all’esigenza di imprenditori e manager, non specialisti delle tematiche economico-finanziarie, di conoscere e comprendere i numeri necessari per svolgere in modo ottimale il proprio ruolo gestionale, e rendere più efficaci i processi decisionali. «Abbiamo voluto chiamare questo corso di formazione “gestire con i numeri”, non quindi “gestire i numeri” ma misurare i fenomeni» spiega il professor Giuseppe Toscano, direttore del corso della Liuc Business School, «per capirli e quindi gestirli meglio. I numeri, quindi, non fini a se stessi, ma in quanto misure che permettono di comprendere meglio i fenomeni gestionali e di migliorare i processi decisionali». Tradizionalmente, le nostre Pmi non sono appassionate alle misurazioni: «I piccoli imprenditori italiani sono meno propensi ad affidarsi a numeri, misure e indicatori per gestire l'azienda»

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conferma Toscano, «i loro processi decisionali sono più basati su due strumenti fondamentali: il nasometro e lo spannometro. Si basano più su quello che sentono a naso, percepiscono di pancia o misurano a spanne... Non basta, poi, avere costruito le misure e, magari, avere investito anche nei sistemi informativi in grado di produrle. Occorre impiegare tempo nel leggerle, nell'analizzarle e nel riportarle nel contesto gestionale». L’atteggiamento dell’imprenditore che si affida esclusivamente al suo fiuto, non di rado peraltro geniale, è stato messo in discussione negli ultimi anni. «Gli LE PMI HANNO L'ABITUDINE DI AFFIDARSI ALL'INTUITO DEGLI IMPRENDITORI. MA I NUMERI SONO UNO STRUMENTO UTILE CHE AIUTA A FARE LE SCELTE MIGLIORI

effetti della crisi di qualche anno fa e anche di quella di oggi stanno cambiando questo atteggiamento» osserva il direttore del corso della Liuc Business School, «di fronte a scenari più difficili e pericolosi anche imprenditori e manager cominciano a sentire il bisogno di avere strumenti più sofisticati». Quel che non sempre viene compreso è che una misurazione è uno strumento, non sostituisce in nessun caso chi prende una decisione, bensì lo supporta: «Fare un investimento o lanciare un nuovo prodotto è una decisione che continueranno a fare imprenditori e manager» mette in evidenza

IL PROFESSOR GIUSEPPE TOSCANO DELLA LIUC

Toscano, «magari lo faranno con maggiore consapevolezza di quel che succede, con qualche numero in più che aiuta a prendere una decisione corretta. Si potrà anche decidere di andare in direzione diversa rispetto a quella indicata dai numeri, ma con la consapevolezza di farlo». In linea con la filosofia della Liuc, la metodologia adottata dal corso è in larga misura esperienziale. «Alterniamo momenti d’aula con business case» rimarca il direttore del corso, «i manager presenti sono organizzati in piccoli gruppi che riproducono dinamiche aziendali, e, simulando situazioni che derivano da esperienze reali d'azienda, sono chiamati concretamente a affrontare problemi gestionali, valutazioni economico-finanziarie, scelte di convenienza economica, decisioni di investimento, pricing, etc». I gruppi così formati entrano poi in competizione tra loro: «Alla fine dell’intero percorso chiameremo i partecipanti a giocare una sorta di business game» precisa Toscano, «ogni gruppo rappresenterà un'azienda e, utilizzando misure, indicatori e numeri, dovrà prendere le decisioni economicamente più convenienti perportare l'azienda al miglior risultato». Il corso si rivolge a «tutti quei ruoli in cui un manager è chiamato a prendere decisioni gestionali» specifica il direttore. Si parte il 17 gennaio; 14 le giornate previste, con la possibilità di partecipare solo a singoli moduli.


Crisi d'impresa, prevenire è meglio che curare Per essere in linea con la nuova normativa, che punta sull'approccio preventivo, è utile identificare, qualificare e certificare i processi sottostanti alla gestione di clienti e fornitori, mettendoli a sistema di Fabrizio Fujani *

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ASH IS KING, che è uno dei postulati della finanza. Più hai soldi più sei appetibile, perché se li hai vuol dire che (almeno “fino ad ora”) hai la capacità di generare ricchezza, e quindi sei “preferito” dalle banche (rating più elevato). La nuova normativa sulla Crisi di Impresa D.lgs. N.14 del 12/1/2019, parla non più di fallimento ma di approccio preventivo alle possibili aree che potrebbere generare la crisi di impresa: TUV Rheinland si pone, in qualità di ente di certificazione leader nella compliance aziendale, come un punto di riferimento per soddisfare il requisito degli assetti organizzativi, volti a prevenire la crisi di impresa; formalizzazione/condivisione/controllo e consapevolezza dei propri processi e mezzi. Identificare, qualificare e certificare i processi sottostanti alla gestione dei clienti e fornitori, intersecandoli e mettendoli a sistema con un percorso adeguato di plando-check- act, dimostrandoli e comunicandoli ai diversi stakeholder (anche al mondo bancario!), aiuta a trasferire una maggiore sostenibilità, tracciabilità, etica, trasparenza e solidità dell’azienda: questa può essere una lettura costruttiva di una normativa entrata in vigore da pochi mesi, utile per rivedere i propri modelli organizzativi e non solo come un’ulteriore incombenza a cui l’azienda deve allinearsi in un modo qualsiasi pur di essere compliance.

La Prassi 63:2019, pubblicata da pochi mesi, permette alle aziende di avere un modello di riferimento per non inventarsi nulla, ma di evidenziare/formalizzare tutto quello che viene messo in pratica tutti i giorni identificando chi si occupa delle seguenti aree e con quali competenze e deleANCHE INDUSTRIA 4.0 PER FUNZIONARE A DOVERE HA BISOGNO CHE SIANO RIVISTI IN MODO RADICALE ASSETTI E MODELLI ORGANIZZATIVI DI TUTTA L'AZIENDA

ghe: gestione dei rapporti bancari, gestione degli affidamenti, determinazione delle regole per i flussi di pagamento e incasso, gestione rischio tassi di cambi e commodities, gestione garanzie e crediti di firma, gestione del sistema informativo di tesoreria, gestione della reportistica finanziaria interna e esterna, controlli operativi e mitigazione del cybercrime risk, attività di pianificazione finanziaria/cash management e gestione del passivo, e infine non per ultima attività di Risk Management per garantire continuità operativa. Questi i contenuti di una prassi che può essere una buona base per rispondere agli assetti organizzativi richiesti dall’ultimo recente D.lgs. N14 del 12/1/2019 e anche da tutti gli standard internazionalmente riconosciuti come leva distintiva di competitività e garanzia per le società, dalle più piccole alle più grandi. Pensiamo in quante aziende oggi sia im-

FABRIZIO FUJANI

portante l’attività di "Qualifica e Monitoraggio dei Fornitori” volta ad assicurare che i fornitori di un’azienda mantengano determinati standard qualitativi di prodotto/di servizio/organizzazione per garantire ancora una volta continuità . Con il servizio di Qualifica e Monitoraggio Fornitori TÜV Rheinland Italia supporta nella determinazione degli indicatori prestazionali/di rischio/criteri di verifica - o in alternativa si recepiscono schemi di controllo già progettati dall’azienda - e si conducono di conseguenza attività di due diligence ad hoc. Accrescere la qualità del prodotto/servizio offerto o acquistato, ridurre i costi gestionali e migliorare l’immagine aziendale: sono questi in estrema sintesi i vantaggi offerti alle aziende che adottano un metodo sistematico per il monitoraggio di tutti i fornitori. Anche la quarta rivoluzione industriale, nota ai più come Industria 4.0, affonda le proprie radici non solo nell’introduzione di “nuove tecnologie” bensì anche, e soprattutto, in un radicale cambiamento nel concetto di “organizzazione” atto a recepire nuovi adempimenti e opportunità per rivedere i propri assetti/modelli organizzativi per essere dinamici, flessibili, competitivi, generatori di valore.

* partner di Aiti, funzionario di Tuv Rheinland Italia

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APPROFONDIMENTI

Il valore dell'impresa cresce se brevetta le innovazioni L’Innovation Patent Index (Ipi), creato dalla Liuc Business School, calcola la crescita di valore delle aziende che investono in brevetti. Che sono anche una fonte di informazioni su come investono le aziende di Anna Gervasoni

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na delle principali leve di creazione possano essere accolte in quanto non soddi valore è l’innovazione. Spesso disfano il criterio di novelty, ossia possiedonon sappiamo come valutarla. In no delle caratteristiche già rinvenibili nello Italia abbiamo un contesto di rinnovamenstato di conoscenza esistente al momento to diffuso in imprese che appartengono a della stesura del brevetto. Una corretsettori tradizionali e non. Abbiamo, però, ta analisi dello stato dell’arte, ridurrebbe anche molta dispersione di energie perché tempi e costi del processo di brevettazione, ripercorriamo terreni già battuti da altri; che si aggirano attorno ai 3 anni. Inoltre, ogni anno nel mondo sono depositati oltre l'analisi del contesto tecnologico supporta un milione di brevetti e in Italia, nel solo una corretta collocazione della domanda di 2018, sono state fatte oltre 32.000 richieste brevetto rispetto ai propri competitor tecdi deposito. nologici e di mercato e rispetto al proprio Nel nostro Paese il brevetto è spesso usato portafoglio di business, dando modo di cosolo come strumento di protezione dell’ingliere e sfruttare le varie opportunità nelle novazione, grazie al diritto di proprietà diverse fasi dell’innovazione. Questo perintellettuale, che dura per circa 20 anni. metterebbe di trarre vantaggi anche nel lunTuttavia soprattutto go termine, in quanto COL MACHINE LEARNING SONO STATI nell’ecosistema delle il continuo monitoANALIZZATI SEI MILIONI DI BREVETTI imprese innovative, raggio dei database IN TUTTA EUROPA PER DARE UNA MISURA il brevetto potrebbe brevettuali supporteAL VALORE DELLE NUOVE IDEE avere un valore e un rebbe decisioni quali significato più ampio, che va oltre la tutela la scelta di investire in specifiche aree tecdella propria idea. Uno di questi è l’analisi nologiche piuttosto che in altre, o di seleziodei brevetti stessi, ossia una delle più rilenare eventuali target ds acquisire. vanti fonti di informazione “innovativa” su Non solo, un’approfondita analisi del concome e dove le aziende stanno investendo. testo tecnologico risponde a domande quaCiò può avere un grande interesse sia nei li: chi sono i principali player tecnologici, il processi di selezione e valutazione dellivello di maturità della tecnologia, le aree le idee imprenditoriali, sia nelle analisi di in cui non si è brevettato, le ulteriori aree competitività, sia per identificare possibili o mercati di applicazione e le università prede nelle operazioni di acquisizione. Il e centri di ricerca con i quali poter svimonitoraggio dei brevetti permette di veluppare la tecnologia. La valutazione del rificare il livello di originalità e analizzare sistema brevettuale è una componente il contesto tecnologico in cui l’azienda opefondamentale dell’analisi del potenziale ra, per valutare il potenziale innovativo. In tecnologico, leva strategica per attrarre termini di brevettabilità, si stima che tra il finanziamenti e capitali. Per dimostra15 e il 25% delle domande presentate non re la forza dell’innovazione brevettata,

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FEDERICO VISCONTI, RETTORE DELLA LIUC

e quindi il valore della propria azienda, bisogna fornire ai potenziali investitori gli strumenti per comprendere il valore del brevetto. In questo campo ci viene in aiuto il Centro dell’Innovazione Tecnologica e Digitale della LIUC Business School con uno strumento, l’Innovation Patent Index (IPI), che permette di apprezzare il possibile valore di mercato e commerciale di un’innovazione. Mediante algoritmi di machine learning che hanno analizzato oltre 6 milioni di brevetti depositati in tutta Europa, è dimostrato che alcune informazioni presenti nel brevetto stesso sono importanti predittori delle cosiddette forward citation. Queste sono una proxy della qualità tecnica e commerciale di un brevetto, e ogni citazione extra corrisponde ad un aumento del valore di mercato di circa il 3%. Che si riflette sul valore potenziale dell’impresa. Questi predittori, misurati secondo specifiche modalità, sono la qualità, l’internazionalizzazione, il tempo e la diversificazione. Da qui nasce l’indice, l’IPI, che in maniera semplice e sintetica mette insieme queste dimensioni brevettuali e consente di vedere come i brevetti possano generare un valore futuro.


perché esiste un disegno preciso nel quale la pietra cambia posizione, forma e pezzatura sia in verticale che in orizzontale. «Un muro a secco fatto bene è come una melagrana, più bello dentro che fuori», ha affermato uno dei partecipanti, apprezzando la corretta tecnica tramandata nei secoli. Quando piove, il muretto con la malta, pur se fatto bene, tende a spanciare, mentre quelli fatti a regola d’arte consentono all’acqua di passare ed evitano il formarsi delle frane. Dati l’interesse riscontrato e la quantità di manufatti da restaurare e manutenere sul territorio, sono già previste altre edizioni del corso, anche perché, in un prossimo futuro, le imprese dovranno esibire una documentazione che certifichi la competenza del personale per questo tipo di manufatti. Il corso rilascia un attestato con messa in trasparenza delle capacità acquisite che ha validità europea. A rilasciarlo è IterEgo, che ha ricevuto il contributo di Fonarcom. Perché questa attenzione agli antichi meCon Fonarcom formazione gratuita per gli artigiani dei muretti a secco. stieri da parte di Cifa e di Fonarcom? Per Un esempio eloquente di come imprese, enti, fondazioni e maestri artigiani Carmelo La Licata, coordinatore progetti si alleano per formare personale competente in manutenzioni complesse sociali e antichi mestieri di Cifa, «non si tratta di una divagazione nella terra del prima. Proprio perché abbiamo i piedi ben n questo paese che è "un monumento Non è stato facile reperire un esperto mapiantati sul terreno della realtà imprendialla pietra”, come scriveva Goethe, ci estro artigiano, ma infine lo si è trovato in toriale, possiamo permetterci di valutare siamo da tempo scordati di molte opere Massimo Gianfranceschi. L'idea ha preso la specificità del fare impresa in Italia. cosiddette "minori”, che minori non sono, slancio e ha dato vita a un inedito percorso D’altro canto, il nostro tessuto industriale tanto che l'Unesco ha incluso i nostri mudi formazione. poggia su una miriaretti a secco tra i beni patrimonio dell'uPromosso dall’as- L'ASSOCIAZIONE DATORIALE CIFA ITALIA, de di capacità artigiaFINANZIATA DA FONARCOM E DA ITEREGO manità. Questi umili manufatti tracciano sociazione datonali che vanno proE PATROCINATA DAL CAI, AVVIERÀ ANCHE confini, arginano i terreni, rendono sicuri i riale Cifa Italia, fimosse e sostenute. UN PROGETTO SUI MAESTRI D'ASCIA pendii, fanno barriera alle acque, segnano nanziato dal fondo Se coltivate, le nostre i percorsi. interprofessionale Fonarcom e da IterEgo, radici continueranno a dare buoni frutti. Sono stati due architetti, Anna Della Tome patrocinato dal Cai, si è tenuto a settemLa ripresa può partire anche dal piccolo». masina, esperta di restauri, e Sauro Quabre il primo corso gratuito per la formaSempre sul territorio massese parte ora drelli, presidente del Cai di Massa, ad zione di artigiani dei muri a secco. una nuova avventura formativa. Cifa sta accorgersi di questa dimenticanza e ad avI muratori coinvolti vantavano un’especercando partner tra imprese, maestri arviare un percorso di recupero delle tecnirienza ventennale, ma per i muretti usatigiani, formatori, fondazioni o enti per forche di costruzione e manutenzione a secvano, a volte e di nascosto, la malta. Con mare la figura di Maestro d’ascia, visto che co, recupero reso problematico dalla quasi il corso hanno compreso che in quel carala Versilia e la Lunigiana sono da sempre totale scomparsa di artigiani competenti. pace di pietra non c’è bisogno un legante vocate alla nautica.

Aggiustare un muro a secco, mestiere antico, da imparare

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TALENT SHOW

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CI PIACE LA NUOVA FIERA CHE PROMUOVE LA LOGISTICA SOSTENIBILE Nascerà a marzo 2020 a Verona, da una partnership tra Veronafiere e la società di servizi dell’Alis e sarà un successo

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ent’anni fa tanti scommettevano che il web avrebbe azzerato le fiere fisiche, e invece le fiere sono più floride di allora. Ma per andare avanti devono evolvere continuamente. È quello che ha spinto Alis e Veronafiere ad una “santa alleanza”. La società di servizi dell’Associazione logistica dell’intermodalità sostenibile, fondata e presieduta da Guido Grimaldi, e l’ente fieristico veronese hanno annunciato il lancio, per il prossimo marzo 2020, di un nuovo evento fieristico internazionale su trasporti, logistica e intermodalità sostenibile. La fiera punta a effettuare dieci edizioni a cadenza annuale con la compartecipazione del marchio fieristico e la gestione congiunta dell’evento. La galassia del trasporto si riunirà anche alla presenza del mondo istituzionale, con la partecipazione di società di autotrasporto, di compagnie armatoriali, di compagnie ferroviarie, di terminalisti, di spedizionieri, di aziende di servizi e logistica edi interporti, coinvolgendo attivamente anche istituti tecnici superiori, università italiane ed estere. “Abbiamo trovato una piena condivisione di obiettivi con Veronafiere”, spiega Marcello di Caterina, direttore generale di Alis. “In questi anni i nostri soci hanno complessivamente investito 5 miliardi di euro con l’obiettivo di allinearsi rapidamente ai target di sostenibilità imposti dalle normative internazionali, a tutela del nostro ambiente ». Per il Direttore Generale del Gruppo Veronafiere, Giovanni Mantovani (nella foto): «La partnership con Alis Service consente di lanciare una manifestazione innovativa, che ha tutte le carte in regola per diventare evento di riferimento in Europa per i trasporti e l’intermodalità sostenibile.

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Di Caterina (Alis): «In questi anni dai nostri soci 5 miliardi per l’ambiente». Mantovani: «Evento di rilievo europeo» Le società gettonate sono cresciute del 40% a Wall Street e questo rischia di renderle meno appetibili

e ne parla da vent’anni, di “green-washing”: cioè di quell’ipocrita tendenza di molti imprenditori ad ostentare una cura per l’ambiente e per i valori dell’ecologia che nella realtà non praticano. Come dare una mano di vernice verde a una discarica inquinante… Ebbene, un recente rapporto del Wall Street Journal ha rilevato che otto dei dieci principali fondi Esg (quelli che dichiarano di investire solo in società che applicano i principi ambientalisti, sociali e di governance trasparente) mettono moltissimi dei denari loro affidati in società petrolifere e di gas. Non è un po’ in contrasto con i valori che professano? Non è, per dirla tutta, una colossale presa in giro del mercato? La verità è che – come sempre nei fenomeni economici che nascono negli Stati Uniti – tutto è rimesso all’autoregolamentazione del mercato, nel quale l’americano medio (e, ahimè, le istituzioni che elegge) ha cieca fiducia. Per cui ecco lo schiavismo digitale delle varie Uber e Lift, l’invasività nella nostra privacy di tutti i giganti del web, il dumping sociale di tante piattaforme di consegne eccetera. Sta succedendo lo stesso nel mondo degli investimenti cosiddetti sostenibili. Questi fondi che si autodichiarano “Esg”, in genere, mirano a tracciare il più ampio mercato azionario e quindi devono ancora investire ampiamente - anche in settori che non sono socialmente responsabili. Questo sta creando una ridicola concentrazione di investimenti in società sedicenti Esg. Che le fa crescere di valore, senza ragioni autentiche. Secondo Goldman Sachs, queste società sono il 40% più costose del mercato azionario nel suo complesso. Ciò potrebbe dissuadere i potenziali investitori, che potrebbero invece cercare opportunità più economiche altrove.

NON CI PIACE QUEI FONDI CHE FANNO I FURBI CON L’ECOLOGIA MILLANTATA Una denuncia del Wall Street Journal: molti investitori Usa dicono di seguire i parametri Esg ma in realtà non lo fanno


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Che faccia guadagnare o meno il gestore guadagna sempre Tosetti Value, il più importante family office italiano, lancia uno studio trimestrale sui costi dei fondi e la prima edizione rivela (o meglio conferma) che i costi non sono correlati ai rendimenti e il rischio è tutto dei clienti di Ugo Bertone

I

rischi (e i costi) sono tutti tuoi. Le provvigioni, comunque vadano le cose, spettano a me. E’ questo, in estrema sintesi, il risultato che si ricava dall’analisi che l’ufficio studi di Tosetti Value, il più importante Family Office italiano, intende dedicare (con cadenza trimestrale) al confronto tra perfomance e commissioni fisse dei fondi Ucits (attivi e passivi) distribuiti in almeno un Paese europeo. I risultati? 1) Nel 2018 la media ponderata dei rendimenti delle prime 30 società per masse amministrate registra una perdita del 5,6%. Al contrario, nei primi sei mesi del 2019, complice il rimbalzo dei listini azionari, c’è stato un guadagno medio del 9,5%. 2) Sul fronte delle commissioni applicate alla clientela, però, la differenza non si vede: l’1,05% nel 2018, anno no, l’1,04 nel 2019. Se si restringe il campo ai primi dieci operatori italiani, emerge che le fees fisse (peraltro superiori alla media) risultano pari all’1,45% annuo sia nel caso di rendimenti negativi (-6,1% l’anno scorso) che positivi (+6,1% nel primo semestre del 2019). 3) Da questa analisi, che tiene conto di L'AUTORE UGO BERTONE. TORINESE, EX FIRMA DE "IL SOLE-24 ORE" E "LA STAMPA", È CONSIDERATO UNO DEI MIGLIORI GIORNALISTI ECONOMICOFINANZIARI D'ITALIA

commissioni di gestore, oneri di banche depositarie, costo di revisione ed altri costi fissi, emerge un dato: “I ricavi ottenuti dalle società di gestione sono poco correlati con i risultati ottenuti a favore degli investitori, sui quali soli gravano invece i rischi delle attività di investimento”. Si spiega così l’apparente mistero di conti eccellenti delle società del gestito anche alla fine di annate difficili. 4) L’analisi di Tosetti Value permette di misurare l’ansia degli investimenti che, con costanza degna di miglior causa, spesso scelgono il momento peggiore per investire (quando i prezzi sono al massimo) o per liquidare gli assets. L’esame è possibile se si mettono a confronto il rendimento realizzato dal gestore. Due voci che offrono risultati differenti poiché i clienti effettuano sottoscrizioni e rimborsi in vari momenti durante la vita degli stessi prodotti di investimento. Se prendiamo per esempio il fondo Blackrock European Equity Income A2 Eur emerge in modo chiaro che negli ultimi 5 anni “ soldi sono stati messi a lavorare nei momenti peggiori”, dato che al risultato money weighted (che tiene conto di sottoscrizioni e disinvestimenti) pari a +8,9%, si contrappone il +21,47% del gestore che ha mantenuto l’investimento anche nelle fasi più turbolente. C’è da chiedersi, di fonte a questo risultato, se i consulenti hanno svol-

DARIO TOSETTI, FONDATORE DI TOSETTI VALUE

to il proprio lavoro nel modo migliore. 5) Questa ed altre domande scomode possono trovare una risposta perché sono finalmente entrate in vigore le prescrizioni previste dalla Mifid 2 che impone che i costi per i clienti vengano dettagliati in ogni componente sia in valore assoluto che in percentuale. Perla prima volta il cliente del sistema del risparmio gestito è messo in condizione di conoscere i costi veri del sistema. O almeno dovrebbe, perché l’operazione sta avvenendo a rilento, come dimostra un’altra indagine, stavolta curata dal Politecnico di Milano. 6) Riguardo all’indicazione dell’effetto cumulativo dei costi sulla redditività dell’investimento, il 44% degli intermediari dl campione (18 società di gestione) lo ha indicato in modo parziale (omettendo il dato sul rendimento e indicando il solo costo sostenuto), mentre nel 6% dei casi l’informazione è del tutto assente. 7) Altro dato negativo riguarda la poca trasparenza nella comunicazione dei “pagamenti riconosciuti da terze parti”: il 94% degli intermediari utilizza termini di non immediata comprensione (come “inducements”) per questa voce, relativa alle retrocessioni percepite per strumenti finanziari raccomandati o offerti ai propri clienti. Solo un intermediario li ha definiti come tali conformemente alle indicazioni di Esma.

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QUI PARIGI, APPUNTI DALLA DÉFENSE

Migranti, l’ipocrisia francese del sistema delle “quote” Una vignetta di Plantu punta il dito contro l’inefficacia della norma che reintroduce il metodo già collaudato negli anni Settanta da Giscard d’Estaing, quando a emigrare eravamo noi italiani di Giuseppe Corsentino

IL GIUDIZIO PIÙ PUNTUTO - E CORRETTO SULLE NUOVE NORME SULL’IMMIGRAZIONE COSIDDETTA ECONOMICA VOLUTE DA EMMANUEL MACRON A METÀ NOVEMBRE L’HA DATO IL DISEGNATORE DI LE MONDE, il mitico Plantu (Jean Plantureux), con la vignetta in cui si vede un barchino di migranti abbordato da una nave battente bandiera francese da cui un uomo che ha l’aspetto di un funzionario pubblico (un dipendente del Pôle Emploi, l’ufficio del lavoro?) li avverte che “al momento abbiamo bisogno solo di due idraulici e di tre tornitori” e invita gli altri a ripassare il giorno dopo. Non c’era modo migliore per dire della totale inutilità, inefficacia, inservibilità di una norma che reintroduce per i migranti economici - cioè per quelli che si lasciano alle spalle la povertà e sfidano il destino che li ha fatti nascere in Costa d’Avorio o in Afghanistan - il vecchio arrugginito sistema delle “quote” per cui se c’è bisogno di un fresatore o di un falegname e non si trova un francese disponibile, allora si può far entrare l’ivoriano o l’afgano così come una volta, prima che i paesi dell’Est diventassero Europa, si faceva entrare un polacco o un bulgaro. Altri tempi. Non è la prima volta che in Francia la politica sbandiera il sistema delle quote nell’illusione che basti mettere in relazione domanda e offerta di lavoro per governare una parte più o meno consistente dei flussi migratori (in realtà rappresenta meno del 13% del fenomeno, 30mila permessi l’anno, un terzo rispetto ai 90mila “ricongiungimenti familiari”, secondo gli ultimi dati del ministero dell’Interno). Ci aveva provato nel lontanissimo 1974 il pre-

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sidente Giscard d’Estaing, quando i migranti economici erano gli italiani che venivano in Francia, Belgio e Germania per fare i lavori più pesanti e peggio pagati. Ci ha provato, più di recente, nel 2006 quando i flussi erano già completamente cambiati, il presidente Sarkozy forse per dare un contentino a quegli elettori della destra lepenista per i quali valeva l’equazione del vecchio boss Jean-Marie, il papà di Marine, per cui “Un milion d’immigrés = un milion de chômeurs” (un milione di immigrati = un milione di disoccupati). Non era e non è vero affatto, ovviamente, e questo Macron che è stato ministro dell’economia lo sa bene tant’è che ha sempre considerato il sistema delle quote inefficace “parce qu’on ne sait pas les faire respecter”, perché è praticamente impossibile applicarle (per dire, basta presentare domanda d’asilo per aver diritto, a legislazione vigente, a un contratto di lavoro a tempo determinato) come aveva scritto nel suo programma elettorale. Per questo la testardaggine con cui ora ha voluto questa nuova normativa sulle “quote” (preceduta, va ricordato ai lettori italiani, da una sconvolgente intervista al magazine dell’estrema destra “Valeurs Actuelles” – mai accaduto con nessun presidente della Repubblica – in cui dichiara senza mezzi termini che “notre objectif est de faire sortir tous les gens qui n’ont rien à faire là”, che l’obiettivo del suo governo è cacciar via dalla Francia chi non ha titolo per restarci); insomma, tanto impegno per fare, anzi rifare, una legge che si sa già inapplicabile, dimostra come il dossier emigrazione è solo uno strumento utilizzato dal liberale Macron come

“l’eternel chiffon rouge”, il solito drappo rosso (così ha scritto Le Monde), da agitare davanti agli occhi dei francesi, lepenisti e non, che credono alla falsa equazione di Jean-Marie citata prima e agli slogan populisti del genere salviniano “Prima i francesi”. In realtà, è già complicato solo metterlo in cantiere questo meccanismo delle quote. La ministra del lavoro, Muriel Penicaud, ex responsabile del personale della Danone quindi una che ci capisce, rendendosene conto, preferisce chiamarle “objectifs chiffrés”. Già, ma chi fissa questi obiettivi? Chi stabilisce, per dire, che nel dipartimento di Pas de Calais, una delle aree più povere del Paese, c’è bisogno di tecnici informatici, di infermieri o di idraulici introvabili tra i giovani e/o i disoccupati locali per cui, alla fine, si può dare via libera ai siriani o agli africani? Lo stabilisce, anno per anno il governo con un decreto dopo aver sentito, si capisce, tutte le parti sociali, sindacati e imprenditori. Un lavoro gigantesco che occuperà funzionari pubblici, statistici, esperti politici, amministratori locali e quanti hanno a che fare con le dinamiche del mercato del lavoro e che non si farà a tempo a ultimare che bisognerà buttarlo via, archiviarlo, perché nel frattempo tutto sarà cambiato. L’unica cosa che non si butterà via sarà il “fall-out”, la ricaduta politica.


QUI DUBAI, APPUNTI DAL BURJ KHALIFA

Expo 2020, l’Italia parte alla conquista degli Emirati Un desk presso Ice Dubai e un sito internet dedicato: così l’agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane si prepara a sostenere gli investimenti nell’area degli Uae di Carlo Ferro, Presidente Agenzia ICE

MANCA MENO DI UN ANNO A EXPO DUBAI 2020, CHE CON 25 MILIONI DI VISITATORI ATTESI (IL VALORE STORICAMENTE PIÙ ELEVATO MAI REGISTRATO) E 8 MILIARDI DI DOLLARI DI INVESTIMENTI RAPPRESENTA UN’IMPORTANTE OPPORTUNITÀ DI CRESCITA ANCHE PER LE IMPRESE ITALIANE. Le opportunità negli Eau sono consistenti. Il Paese presenta una economia dinamica, il Pil è atteso al 3,3% nel 2020 e al 3% negli anni successivi. Il governo sta attuando ambiziose politiche di sviluppo e diversificazione dagli idrocarburi, anche a sostegno della domanda e degli investimenti associati all’organizzazione di Expo2020. L’Italia vanta ottimi rapporti con gli Eau. Lo testimoniano i consistenti seguiti della missione di sistema dell’aprile scorso, guidata dal ministro Di Maio e organizzata da Ice e Confindustria, a cui hanno partecipato 170 fra imprese, associazioni e banche. Oggi le imprese a partecipazione italiane nel paese sono 286 unità (maggio 2019), in prevalenza nei settori energetico, delle costruzioni e dei trasporti, con quasi 1000 dipendenti e 186 miliardi di euro di fatturato. L’Italia è

percepita come un partner serio e affidabile, i cui prodotti sono sinonimo di qualità, stile, gusto, cultura, creatività, eleganza. Gioielleria e oreficeria, beni strumentali, cosmetici, abbigliamento e arredamento rappresentano i settori di punta del nostro export. Per gli Eau l’Italia è il 10° Paese fornitore a livello mondiale, 4,6 miliardi di euro l’export nel 2018, il 3° tra i Paesi Ue; gli Emirati Arabi Uniti sono il primo mercato di destinazione delle nostre merci nella regione del Medio Oriente e il 21° nel mondo. L’interscambio ammonta a 5,7 miliardi di euro nel 2018, con un saldo attivo di 3,4 miliardi. Ice collaborerà attivamente al padiglione italiano nei tre filoni tematici: mobility, opportunity, sustainability. Lo faremo in stretta connessione con il leit motiv della nostra presenza: “Beauty connects people”, che vuole diffondere il modello culturale ed economico italiano. A ben guardare, tutte e tre le parole nascondono un richiamo al meglio dell’Italia: Beauty, la bellezza non solo intesa come canone estetico del made in Italy, ma anche come funzionalità dei prodotti; Connection, la capacità di fare network del sistema industriale italiano, con 88.000 aziende esportatrici; People, l’elemento umano, culturale e tecnico, alla base del successo delle nostre aziende più innovative, delle nostre start up, del nostro futuro. Avendo ben chiaro in mente queste tre parole d’ordine, Ice organizzerà una serie di iniziative allo scopo di rafforzare l’immagine internazionale dell’Italia e del suo sistema imprenditoriale; promuovere le eccellenze del

made in Italy nell’ambito delle tematiche di Expo; effettuare azioni di cross-marketing con gli altri settori del modello italiano di specializzazione internazionale; fornire un supporto alle imprese italiane al fine di utilizzare la piattaforma di Expo2020 per avviare o consolidare processi di internazionalizzazione negli Uae, nell’area del Golfo e nell’area Middle East, North Africa, Sputh Asia, un potenziale mercato di circa 3,2 miliardi di persone. Abbiamo già messo a disposizione delle aziende italiane due strumenti. Il desk presso Ice Dubai fornisce assistenza ad imprese ed istituzioni riguardo le gare per Expo e sulle opportunità di collaborazione commerciale ed industriale che si apriranno a seguito della manifestazione nei settori focus su indicati, mentre il sito specializzato (http://itaforexpo2020. com/) consente di reperire informazioni sul procurement e sulle modalità di accesso alle relative richieste di forniture. Il desk di Dubai, come del resto i desk regionali che abbiamo inaugurato nelle Regioni italiane per abbinare l’azione di promozione con una presenza costante sul territorio, costituiscono elementi iconici della cultura di servizio verso le imprese che anima la nuova Ice. La logica è di portare l’agenzia e i servizi che offre più vicino alle imprese in un’ottica di servizio nuova e più pronunciata. I desk sono espressione di una nuova azione di sistema, insieme agli altri attori dell’internazionalizzazione, in cui l’Ice raggiunge le imprese e non sono le imprese a dover cercare affannosamente informazioni talvolta difficili da reperire.

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SHORT STORIES

Verso Dubai 2020

Il padiglione italiano a Expo prende forma Posata la prima pietra davanti al viceministro dello Sviluppo Economico Stefano Buffagni e al commissario Paolo Glisenti È stata posata il 26 novembre la prima pietra del padiglione italiano all’Expo di Dubai 2020. Alla celebrazione hanno preso parte il viceministro dello Sviluppo economico Stefano Buffagni, l’ambasciatore d’Italia negli Emirati Arabi Uniti, Nicola Lener, il commissario generale per l’Italia Expo Dubai 2020, Paolo Glisenti (nella foto), e il direttore di Expo Dubai 2020, Najeeb Mohammed al Ali. L’Expo di Dubai sarà la prima nell’area Menasa (Medio Oriente, Africa settentrionale,

Letti per voi

La guerra silenziosa del cybercrimine Un libro di Giannuli e Curioni analizza la cyber war, vero campo di battaglia delle prossime guerre “Se il nemico non sa di essere attaccato non si difenderà. Provando a costruire un’intera strategia su questa premessa, centinaia di piccole operazioni cibernetiche potrebbero essere inquadrate solo a posteriori in un conflitto di intensità talmente bassa da non essere percepibile come tale e, in caso di successo, l’artefice del piano saprebbe di aver vinto, ma la controparte non si renderebbe conto di aver perso”.

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Asia meridionale) nella storia delle Esposizioni Universali iniziata nel 1851. Il suo tema generale è “Connecting Minds, Creating the Future” e si prevede che attrarrà 25 milioni di visitatori. Il Padiglione Italia sorgerà in una zona di grande visibilità tra le aree tematiche di Expo 2020 dedicate a “Opportunità” e “Sostenibilità”. Sarà, inoltre, situato vicino ai padiglioni di Emirati Arabi Uniti, India, Germania, Arabia Saudita, Giappone e Stati Uniti. Secondo le stime del progetto, il Padiglione sarà visitato in media da oltre 28mila persone al giorno per un totale di 5 milioni di visite nell’arco dei sei mesi dell’evento che comincerà il 20 ottobre 2020. Il Padiglione utilizzerà l’architettura per una rappresentazione creativa del suo tema “La Bellezza unisce le Persone”. Il progetto vede la partecipazione di Carlo Ratti, Italo Rota, Matteo Gatto e F&M Ingegneria. Concepito come Esiste una guerra silenziosa. Le armi sono invisibili, gli schieramenti fluidi e di difficile identificazione. Potrebbe sembrare una spy story da romanzo, eppure vicende come quella degli attacchi informatici avvenuti nel corso delle ultime elezioni americane sono soltanto alcuni tra i più eclatanti episodi di cyber war, una realtà a metà strada tra spionaggio e atto di guerra. Cina, Corea del Nord, Stati Uniti, Russia, cani sciolti, mercenari del web. Lo scenario è vasto e intricato, il volume Cyber war (Mimesis Edizioni - Eterotropie) prova a ricostruirlo attraverso il lavoro di due esperti: Aldo Giannuli, storico e già collaboratore di procure e commissioni d’inchiesta sulle stragi di Stato, e Alessandro Curioni, consulente specializzato in cybersicurezza e autore di fortunati saggi sul tema.

Editoriale sul web CI VUOLE UN PIANO B CONTRO UN NUOVO DIETROFRONT MITTAL

un Innovation Hub, non è solo un padiglione espositivo, ma anche dimostrativo, capace cioè di rappresentare l’expertise italiana nella creazione e nella costruzione di spazi interni ed esterni. Un altro rilevante contributo italiano a Expo Dubai 2020 sarà la cupola dell’Al Wasl Plaza, cuore dell’esposizione universale. Alta 67,5 metri, pesante 2265 tonnellate, sarà realizzata da Cimolai, che ha sede a Pordenone, e dalla milanese Rimond. Proteggerà uno spazio chiuso di ben 724mila metri cubi.

Istruzione

Università italiana meglio di Usa e Cina L’Italia ha un numero minore di atenei rispetto ad altri Paesi, ma meglio posizionati Presentata da Intesa SanPaolo una survey che certifica come l’Italia non sia così indietro dal punto di vista universitario. Prendendo a riferimento i ranking Qs e The, tra i principali per prestigio e per risonanza, è stato analizzato il numero di atenei presenti nelle prime 100, 200, 500 e 1000 posizioni a livello globale. Si tratta di percentili molto alti, considerando che una stima affidabile individuerebbe in oltre 20.000 gli atenei nel mondo. L’Italia, pur senza università tra le prime 100 in entrambi i ranking, posiziona un numero di atenei confrontabile con Francia, Germania e Cina già

di Federico Pirro Siamo sicuri che il magnate indiano sia il partner giusto per Taranto e non stia ancora bluffando? Scansiona il QR CODE per leggere l’intero articolo su www.economymag.it

nelle prime 500 e ancor di più nelle prime 1000. Poche le università per abitante rispetto ai principali Paesi europei, meno della metà rispetto a Francia, Germania, Regno Unito e circa un terzo degli Stati Uniti. Tuttavia, normalizzando i dati dei ranking sul totale di università presenti in ogni Paese, l’Italia supera tutti, incluso il Regno Unito, per numero di istituzioni universitarie tra le prime 1000. Il sistema universitario italiano nel suo complesso vede infatti addirittura oltre il 40% delle proprie istituzioni tra le top 1000, mentre gli Stati Uniti ne hanno solo l’8% del totale.


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UNA BUONA REPUTAZIONE NON SI INVENTA: SI COSTRUISCE

COMUNICARE L’IMPRESA Se non comunicate voi, lo faranno gli altri. E non solo non potrete controllare quello che dicono, ma sarà molto difficile ripristinare una buona immagine pubblica. Ecco perché stanno fiorendo agenzie specializzate nella brand reputation. Con una missione ben definita: ripristinare il buon nome dei clienti e mettere una pezza agli scivoloni comunicativi, specialmente sul web.

96 GRANDE DISTRIBUZIONE LA SFIDA TRA ESSELUNGA E COOP SI SPOSTA SUL VIDEO

Se il web “non dimentica”, lavorare per ottenere un’immagine positiva è possibile. Basta utilizzare un metodo scientifico, come quello proposto da Auro Palomba (e dal suo team di ingegneri) con Reputation Science di Marina Marinetti

I

l web è come il diamante: è per semtra Community Group e Reputation Manapre. Ricordatevelo, la prossima volta ger), la prima società in Italia ad adottare un che posterete sui social. «Mentre la approccio scientifico e integrato nel gestire la comunicazione tradizionale su carta stampata comunicazione e la web reputation di aziende, ha una durata limitata, sul web l’informazione manager e istituzioni. Tra i suoi clienti, per carimane per sempre», avverte Auro Palomba. pirci, figurano colossi come Google, Tim, Enel. Uno che, dopo una E Atlantia. AD AFFIDARSI ALL’APPROCCIO vita nel mondo della Internet non solo canSCIENTIFICO DI REPUTATION SCIENCE comunicazione, prima cella il diritto all’oblio: SONO ANCHE COLOSSI COME TIM, ENEL, come giornalista (Il è anche un formidabiATLANTIA E PERSINO GOOGLE Messaggero, Il Giornale buco della serratura le) e poi come direttore della comunicazione da cui spiare il prossimo: «Chiunque di noi, all’interno di aziende e istituzioni finanziarie, prima di incontrare qualcuno, va a vedere sul sulla reputazione ha costruito un’intera azienweb di chi si tratta. Vale per le persone, ma da, anzi due: nel 2001 ha fondato Community, anche per le aziende. Il web ormai è diventato oggi gruppo leader nel reputation manageil passaporto di ognuno di noi, di ogni azienment, e nel 2018 ha creato insieme ad Andrea da, di ogni istituzione», sottolinea Palomba. Barchiesi Reputation Science (joint venture Da qui l’idea di mettere insieme un team di

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COMUNICARE L’IMPRESA

Auro Palomba nel 2001 ha fondato la società di comunicazione Community e nel 2018 ha dato vita a Reputation Science

comunicatori, ingegneri e analisti: «Siamo quasi cento persone a occuparci di Reputation science. Partendo dallo status quo del cliente su internet, legato al mondo dei social, dei media, dei siti, abbiamo l’obiettivo di portarne l’immagine in positivo il più possibile, dove positivo, comunque, non significa falso». Per valutare brand awareness e brand reputation, chiunque ha a disposizione vari tool online, più o meno gratuiti. Il fai da te del social media monitoring, del social analytics e del marketing intelligence sono piattaforme rispetto a una serie valori, che possono essere come Agorapulse, Brandwatch, Talkwalker, la sostenibilità, l’etica, l’innovazione. Poi anaMention, Rankur, Salesforce, solo per citarne lizziamo la presenza sul web per capire che alcune. Si tratta di strumenti che di fatto monitipo di rispondenza ci sia tra come il cliente si torano diversi parametri, sfruttando l’intellivive e come viene percepito». Inutile dire che genza artificiale. Che però non basta, perché la un po’ di discrepanza si trova sempre. Resta componente umana, in certi frangenti, è fonil punto di come far emergere su internet le damentale. «Il nostro è comunque un metodo caratteristiche che l’azienda ritiene coerenti scientifico», specifica Auro Palomba. Tanto con i propri valori... e come vuole presentarche il suo team ha assegnato alla reputaziosi. Perché, se anche le cronache sono positive, ne una vera e propria unità di misura, R, che qualche scheletro nell’armadio si potrebbe ne definisce l’andamento in modo numerico comunque trovare. E fare le grandi pulizie da dall’insieme dei contenuti, implementando soli non è facile: «Di solito sono i seo che se ne anche una importanoccupano, però hanno IL VALORE DELLA REPUTAZIONE te capacità predittiva. risorse limitate». Un SI OTTIENE VALUTANDO 15 PARAMETRI «Il valore di R di ogni tema particolarmente DIVERSI IN RIFERIMENTO A FONTI, singolo contenuto è delicato nel caso di soSENTIMENT E GRADO DI PERSISTENZA calcolato tenendo in cietà quotate: «È imconsiderazione 15 parametri riferibili sia a pressionante notare come il rapporto tra vacaratteristiche fondamentali della fonte, come lore delle azioni e l’indice R sia sempre 1:1. ». importanza, pertinenza, autorevolezza, sia E qui entrano in gioco gli ingegneri della repuspecifiche del contenuto, come sentiment, tazione. «Abbiamo software proprietari che criticità e rilevanza dei topic, ottimizzazione analizzano lo sbilanciamento tra quello che della struttura, tipologia e grado di persistenil cliente ritiene essere la sua scala di valori za». Tutto chiaro? Probabilmente no, ma è per e come invece viene percepito. Le macchine questo che servono gli esperti. fanno uno scanning intenso e poi gli analisti La questione cardine della reputazione è un leggono i dati e valutano il posizionamento», po’ il paradigma dello specchio: nessuno di spiega il founder di Reputation Science: «a noi vede riflessa la propria immagine in maquel punto entra la parte di gestione della coniera oggettiva. Per questo il punto di partenmunicazione». Che crea una serie di contenuti za, spiega Palomba, è «un assesment: valutiamirati a traghettare l’immagine dell’azienda mo come si considera posizionata l’azienda verso la meta. «Spesso i clienti non si rendono

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CONSIGLIO SEMPRE DI COMUNICARE IL MENO POSSIBILE MA SENZA ECCEDERE IN RISERVATEZZA conto di avere una vera e propria miniera di contenuti da comunicare. Vedono solo i problemi. Poi, magari, sul loro sito internet hanno solo una foto e nessuna traccia della storia dell’azienda, dei suoi fondamentali, dei suoi goal». Se a questo punto vi state chiedendo quanto costi affidare la gestione della propria reputazione a una società strutturata come quella guidata da Auro Palomba, la risposta è «dipende: dai 100mila euro in sue per aziende di dimensioni medio-grandi, meno in caso di piccole imprese. Si tratta sempre di progetti a lunga scandenza». Il problema è l’algoritmo di Google, che cambia in continuazione. «I file più vecchi sono i più resilienti», sottolinea Palomba. «Se esci sul giornale ma non sul web è come se non esistessi, quindi devi fare in modo che l’articolo venga ripreso online e rimbalzi anche sui social. Ma prima che i contenuti nuovi scalzino quello vecchi ci vogliono mesi e un grandissimo lavoro». Che poi è quello di cui si occupa il team di Reputation Science. Metà comunicatori, metà ingegneri, «ma con una grande percezione della comunicazione», specifica Palomba, «con processi precisi, teorie validate e un metodo scientifico». «Faccio questo mestiere da vent’anni e ho passato i primi 15 a consigliare ai clienti di comunicare il meno possibile. Cuccia, però, oggi non esisterebbe, perché se non comunichi tu comunicano gli altri e non li gestisci».


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COMUNICARE L’IMPRESA

La sfida tra Esselunga e Coop si sposta sul video Le campagne di comunicazione delle storiche rivali della Gdo fanno leva sui rispettivi valori: da un lato la tradizione con l'agenzia Armando Testa, dall'altro la sostenibilità con Havas Milan di Silvia Antonini radizione contro contemporaneità. Esselunga e Coop Italia, protagoniste di una storica rivalità commerciale e ideologica che il “patron” di Esselunga, Bernardo Caprotti, ha raccontato nel suo celebre e controverso pamphlet “Falce e carrello”, scendono in campo con le nuove campagne istituzionali in onda dallo scorso settembre che segnano un importante cambio di passo per entrambe. Esselunga debutta in televisione con la sua prima comunicazione di brand “Più la conosci, più ti innamori”, claim che fa accenno alla sua storia e ai valori di marca che vuole affermare. Coop smette di dare “consigli per gli acquisti” e lancia ai consumatori un appello a condividere l’impegno sociale e le buone pratiche che contraddistinguono l’azienda, all’insegna di un interrogativo pieno di implicazioni: “Una buo-

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na spesa può cambiare il mondo?”. In comune, le due comunicazioni hanno l’uso del racconto emozionale ma se Coop punta sui valori che caratterizzano la narrazione positiva contemporanea in linea con la filosofia del marchio, come il rispetto per l’ambiente, la sostenibilità, la necessità di ricostruire una società più solidale, Esselunga ricorre alla propria tradizione e alla propria storia per affermare il concetto alla base del commercial. Esselunga vuole essere un “love brand”, un marchio del cuore perché oltre a essere uno dei leader della distribuzione organizzata in Italia, è anche un produttore diretto. Ciò che ancora il pubblico non sa, o sa troppo poco, è che Esselunga confeziona ogni giorno centinaia di prodotti di gastronomia, dolci, pesce e carne. L’attività di produzione risale agli anni

’60 con l’avvio delle linee di pasta fresca e prodotti da forno; oggi ci sono anche il sushi e la linea di alta pasticceria Elisenda in collaborazione con il ristorante a tre stelle Da Vittorio della famiglia Cerea. Lo spot firmato dall’agenzia Armando Testa con la direzione creativa esecutiva di Michele Mariani parte dagli esordi dell’azienda fondata nel 1957, evocati con immagini in bianco e nero e persone abbigliate secondo la moda del tempo che passeggiano davanti a un negozio Esselunga, la cui facciata è stata ricostruita esattamente come si presentava all’epoca. A cominciare da quella tracciata da un bimbo sul finestrino appannato di un’automobile, la “lunga esse” fa da filo rosso a tutto il racconto delle eccellenze del brand con l’obiettivo di far innamorare il consumatore. Il sodalizio tra l’Armando Testa e l’azienda fondata da Caprotti ha prodotto campagne come quelle – indimenticabili – con gli ortaggi utilizzati per evocare altre immagini: banane al posto dei delfini o Albert Einstein rappresentato da un cipollotto, ciliegie come palloncini


e cipolle per mongolfiere. Poi sono arrivati gli annunci che giocavano con i nomi dei personaggi famosi: “John Lemon”, “Aglio e Olio”, tanto per citare i primi. Creatività talmente iconiche da essere esposte al Musée des Affiches di Parigi (oggi Musée des Arts Décoratifs). Per la nuova creatività l’agenzia guidata da Marco Testa sceglie invece un linguaggio istituzionale, meno spiritoso di quei manifesti ma romantico al punto giusto per andare dritto al cuore del pubblico. Lo sottolinea anche il direttore generale di Esselunga Sami Kahale, che alla fine dell’anno succederà a Carlo Salza nel ruolo di amministratore delegato: non solo Esselunga è la prima insegna della grande distribuzione nata in Italia e la prima a lanciare la spesa online 18 anni fa, ma si impegna ogni giorno a garantire ai propri clienti un servizio di alta qualità, ed è questo che la nuova campagna descrive. Coop invece si affida ad Havas Milan per confezionare una comunicazione che coglie il fermento intorno ai grandi temi dell’economia circolare e della difesa dell’ambiente per invitare i propri clienti a farsi carico di una nuova consapevolezza nei consumi. Si vuole instaurare un rapporto alla pari con un pubblico informato, al quale viene proposto di fare una spesa di prodotti coltivati senza pesticidi, realizzati senza lo sfruttamento del lavoro nero, e conservati in packaging sostenibili. Protagonista della creatività è un carrello del supermercato che, una volta liberatosi dalla catena che lo tiene fermo, inizia a girare il mondo compiendo atti virtuosi, di volta in volta raccogliendo la plastica in mare, liberando le balene dalle reti, aiutando i ghiacciai a ricomporsi, portando da bere ai lavoratori dei campi. L’agenzia pubblicitaria guidata da Giovanni Porro traduce in immagini suggestive l’impegno di Coop nei confronti della comunità e il suo invito a consumare con la testa prima ancora che con il portafoglio. Spiega l’amministratore delegato di Coop Italia Maura Latini, che questa campagna si rivolge direttamente a chi crede in un consumo corretto e consapevole, al di là del prezzo e delle operazioni convenienza. Anzi, semmai la con-

venienza è doppia: per chi compra ma anche per il sistema che ci circonda. L’anima di Coop è stata raccontata per la prima volta negli anni ’70 da Ugo Gregoretti in uno spot del Carosello dove interpreta il ruolo di un ricercatore che indaga sui canti di denuncia LE DUE COMUNICAZIONI USANO ENTRAMBE IL RACCONTO EMOZIONALE MA POI DIVERGONO: COOP PUNTA SULLA SOSTENIBILITÀ, ESSELUNGA SUL BRAND

della tradizione popolare. Attraverso questo escamotage riesce a dare alla comunicazione un’impronta politica coerente con i valori dell’insegna, superando anche la diffidenza da parte di chi tra i dirigenti Coop si opponeva alla pubblicità per questioni ideologiche. Negli anni ’80 il testimonial Peter Falk porta il suo tenente Colombo nel supermercato per investigare sulla qualità dei prodotti. Nasce

in questo periodo lo slogan “La Coop sei tu” che trasferisce l’attenzione sul consumatore attento e informato. Woody Allen appone la sua firma distintiva sulle campagne degli anni ’90, caratterizzate da un linguaggio sofisticato e meno popolare. Dal 2010 al 2013 Luciana Littizzetto si fa interprete ironica dello spirito del tempo, influenzato dalla crisi economica e dalle prime avvisaglie dell’emergenza ambientale, dove lo shopping può avere un effetto rassicurante come lei stessa afferma: “Fare la spesa mi calma”. Intanto VéGé, alla vigilia dell’accordo relativo all’ingresso nel Gruppo dell’insegna Bennet a partire dal 1° gennaio, ha lanciato con l’agenzia Sunny Milano la campagna di comunicazione per celebrare i 60 anni di attività sia presso la business community, sia presso i clienti dei punti di vendita. La fidelizzazione è al centro della strategia di VéGé, che ha scelto il format del concorso per coinvolgere gli studenti universitari, tutta la business community nonché i dipendenti storici e attuali. Gruppo VéGé è tornato protagonista del mercato italiano da cinque anni. La prima fase delle attività di comunicazione si è focalizzata su toni istituzionali per riaffermare la notorietà dell’azienda e il suo ruolo nell’industria del retail nel nostro Paese. Per i prossimi anni, annuncia il responsabile della comunicazione Mauro De Feudis, l’obiettivo del marketing sarà accompagnare la crescita del Gruppo rafforzando sempre più l’importanza del suo ruolo nel mercato e lo spirito di appartenenza di chi ha scelto di operare sotto questa bandiera storica. Le celebrazioni per il 60° anniversario di attività saranno l’oggetto delle campagne curate nel 2020 da McCann Worldgroup Italia per Despar. Dal prossimo gennaio anche questa insegna si ingrandirà con l’ingresso del Gruppo 3A, detentore dell’insegna Simply, attraverso cui conquisterà un presidio nel mercato della distribuzione del Nord Ovest dove Despar non è presente. La comunicazione comunicherà i risultati del gruppo e i suoi valori, evidenziando l’impegno per la qualità e la tutela del territorio all’insegna del claim “Despar appartiene a tutti noi”.

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STORY-LEARNING, CHE COSA INSEGNANO QUESTE STORIE

Nuove iniziative e vecchie glorie: cosa accomuna le imprese di successo? La visione. Sull'alta velocità anni fa si levarono non poche voci scettiche, eppure oggi è un vettore che per un certo target di spostamenti ha sostituito l'aereo. E che i competitor possano fare squadra lo documenta il successo dei contratti di rete. Mai arrendersi, dunque: lo dimostrano le storie di Plasmon, La Scarpa e delle altre aziende che raccontiamo in queste pagine.

NEMICI-AMICI COL CONTRATTO DI RETE PER CONDIVIDERE LE PIATTAFORME Il caso della Pharma Valley toscana, dove Eli Lilly, Kedrion, Molteni Farmaceutici (e non solo) hanno creato una rete d'imprese per realizzare un polo logistico digitale all'interno dell'interporto di Marina Marinetti

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i alleereste col vostro peggior neimprese attive, i suoi 19 grandi stabilimenti, mico? E con i vostri concorrenti? Se i suoi 11.000 addetti, è la terza realtà farmal’istinto porta a rispondere di no, il ceutica italiana, con un valore della produziobuon senso potrebbe farvi cambiare idea farvi ne che raggiunge i 6 miliardi di euro l'anno (il pronunciare un sì, se allearsi significa rispar12% del totale nazionale). Eppure non ha una miare sui costi, ottimizzare la logistica, condisua piattaforma logistica e tocca appoggiarsi videre risorse e processi. È quello che stanno a quelle di Roma e di Milano. Il che, conti alla provando a fare in Toscana Eli Lilly, Kedrion mano, si traduce in 60 milioni di euro si spesa spa, Molteni, Gsk Vacche si potrebbero imLA TOSCANA È LA TERZA REALTÀ cines. Cos’hanno in pegnare altrimenti. FARMACEUTICA ITALIANA: IL VALORE comune? Sono imDietro l’iniziativa c’è lo DELLA PRODUZIONE È DI 6 MILIARDI prese farmaceutiche. DI EURO, IL 12% DEL TOTALE NAZIONALE zampino della società Eppure hanno deciso di consulenza Kpmg, di unirsi in una Rete di imprese. Il primo step che è riuscita a portare al tavolo del Ministero della partnership sarà la realizzazione di una per lo sviluppo economico Regione Toscana, piattaforma logistico digitale comune all'interComune di Collesalvetti, Autorità di sistema no dell'interporto livornese Amerigo Vespucci, portuale del Mar Tirreno settentrionale, Internel Comune di Collesalvetti. Perché proprio porto "Amerigo Vespucci", Toscana aeroporti a Livorno? Perché la Toscana, con le sue 300 spa, oltre alle imprese farmaceutiche. Insie-

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Il sottosegretario al Mise Gian Paolo Manzella. Sotto, da sinistra: Danilo Medica, Giuseppe Seghi Recli, Danilo Giorni

me, concorreranno alla realizzazione della terza - e più innovativa - piattaforma logistica italiana, grazie a un investimento da circa 60 – 80 milioni di euro, per attrezzare un'area di 125mila metri quadrati con 21mila metri quadrati di magazzini automatizzati e robotizzati (con spazio per 38mila pallet) con ambienti a temperatura controllata, 8 baie di carico e altrettante destinate alla spedizione delle merci e circa 6mila metri quadrati di uffici. A regime, verranno movimentati 52mila pallet l'anno, l'80% dei quali oltre confine. Il nuovo hub punterà sulla digitalizzazione e darà lavoro a 150 – 200 addetti, inclusi ingegneri gestionali, informatici, manager della logistica, esperti di laboratori bio-farmaceutici. E la piattaforma semplice: «Ci sono voluti cinque anni di conavrà grandi capacità di espansione per servifronti per arrivare alla firma davanti al notare eventuali altre aziende interessate. Ma per io». E gli obiettivi sono ambiziosi: «Accrescere vederla in opera occorrerà attendere almeno la nostra capacità innovativa, la competitività, fino a settembre 2020. Prima, infatti, occorrerà promuovere le capacità di internazionalizzastipulare un accordo quadro con un general zione, rafforzare l’integrazione, la specializzacontractor indipendente che fornirà i servizi zione, l’efficienza della filiera logistica, sviluplogistici integrati in pare identità e brand modalità di partership LA PIATTAFORMA ENTRERÀ IN FUNZIONE di rete, sviluppare un NON PRIMA DI SETTEMBRE 2020. con la piattaforma. Un approccio integrato e MA INTANTO OCCORRE INDIVIDUARE 4Pl, in pratica. «In Itacollaborativo alla maUN MAIN CONTRACTOR LOGISTICO lia non ne esiste nesnifattura e ai servizi suno che abbia le competenze che cerchiamo», digitali. Condivideremo modelli organizzativi spiega a Economy Giuseppe Seghi Recli, ammiche potranno sfociare su piattaforme fisiche nistratore delegato di Molteni Farmaceutici, e tecnologiche. In poche parole: il progetto family company italiana specialty leader nel permette il superamento della frammentaziomercato dei farmaci oppioidi (produce, fra gli altri, Metadone e Ketamina), nonché Presidente della Rete d’impresa Toscana Pharma Valley: «Ne abbiamo selezionato a livello internazionale una decina, dopo una prima scrematura sono rimasti in sei, che entro metà dicembre presenteranno la loro offerta economica. Il tema dei costi sarà determinante al momento di girare o non girare la chiave. Ma siamo confidenti. E contiamo sull’ingresso di nuovi retisti e sullo sviluppo di ulteriori cantieri nell’ambito del programma Pharma Valley». Mettere insieme tanti soggetti, però, è stato tutt’altro che

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DOBBIAMO FAVORIRE LA COLLABORAZIONE PER AIUTARE IL SETTORE A RIMANERE COMPETITIVO ne della catena del valore, scambiando, oltre alle informazioni, anche le best practice per capire quali possono essere i processi integrazione. Insomma, la Rete sarà un luogo aperto di aggregazione fra imprese, innovazione e competenze con un modello di partecipazione modulare: ogni soggetto sarà libero di aderire o meno alle singole iniziative». Quanto ai potenziali squilibri, in un accordo che mette le grandi multinazionali come Ely Lilly o Gsk a confronto con aziende come Molteni, che con i suoi 76 milioni di fatturato e 350 dipendenti è la più piccola fra le retiste, il problema non si pone. Perché le dimensioni, a livello di governance, non conteranno: «Il voto è capitario, ogni retista vale uno».


Così, Molteni si troverà alla pari con Kedrion, un colosso da 688 milioni di fatturato (174 dei quali realizzati in Italia) specializzato in plasmaderivati, controllato dalla famiglia Marcucci e dal Fondo strategico italiano, il cui Country manager, Danilo Medica, presiede la Rete Toscana Pharma Valley: «Ogni euro investito in sperimentazione clinica, ritorna al sistema sanitario sotto forma di risparmio, nella misura di 2,2 euro», spiega. «Eppure nel farmaceutico patiamo l’assenza di infrastrutture, fatta eccezione per Roma e Milano. È un settore, il nostro, estremamente regolato, destinato a evolvere con la distribuzione nell’ultimo miglio, la maggiore propensione all’utilizzo della via navale e lo sviluppo della cura domiciliare e dell’home delivery. Riteniamo che il settore delle scienze della vita dovesse ripensare il modello della logistica con queste forme di collaborazione tra pubblico e privato». Ma la logistica non è tutto. Gli obiettivi della Rete, spiega Medica, includono anche «sviluppare una nuova manifattura sostenibile ad alto valore aggiunto, stimolare l’innovazione digitale per connettere la filiera industriale tra grandi imprese e pmi con il sistema sanitario, favorire lo sviluppo dell’import-export, sviluppare competenze qualificate e creare occupazione, rafforzare la partnership pubblico-privata». Come? Attraverso cinque tavoli di lavoro: Ricerca sperimentazione clinica e trasferimento tecnologico, Nuove politiche sanitarie, Manufacturing e supply chain, Fabbisogni e sostenibilità dell’innovazione, Tax labour cos, regulatory e funding. Prima di tutto, però, la logistica. E non solo per le farmaceutiche: «La piattaforma che realizzeremo nell’iniziativa di sistema non sarà a disposizione solo delle aziende che fanno o faranno parte della rete», conferma Danilo Giorni, Finance & Supply chain director di Eli Lilly, la multinazionale da 25 miliardi di dollari di fatturato quotata a New York, che in Italia dà lavoro a un migliaio di persone grazie ai farmaci per la cura del diabete. «La piattaforma offrirà un servizio fisico, ma anche digitale, con analisi dei dati a supporto delle strategie aziendali. Sarà un servizio modulare, di cui le aziende avranno la libertà di usufruire o

meno, in base ai propri interessi. Avrà un cervello digitale e, oltre a dare vantaggi, ha l’intento anche di andare a integrare una filiera: oggi le aziende emettono ordini, trattano con i fornitori, si relazionano con i clienti. Domani il processo potrà essere estremamente più integrato, andando a integrare anche clienti e fornitori nel processo produttivo di filiera». Così, la nuova piattaforma sarà al tempo stesso

IL SETTORE FARMACEUTICO PATISCE LA MANCANZA DI INFRASTRUTTURE: NON CI SONO PIATTAFORME ALTERNATIVE A QUELLE DI MILANO E DI ROMA

export center, un distribution center nazionale e regionale, import & transition point, e soddisferà le esigenze di logistica inbound per liberare spazio alla produzione. «Questo è un piccolo miracolo: due delle parole proibite, antitetiche, cioè “pubblico” e “privato”, sono state sdoganate in qualcosa di reale: fare rete e cooperare», commenta Gian Paolo Manzella, Sottosegretario al Ministero dello Sviluppo economico. «Lo vediamo realizzarsi perché si è riuscito a creare un elemento di fiducia reciproca: una questione centrale per la competitività italiana. La fiducia si crea con la

curiosità, con la condivisione di interessi, andando a cercare le ragioni dell’altro. E il settore farmaceutico è un strategico per Italia: esporta, chiude il ciclo con il mondo dell’università e della ricerca che porta nel nostro Paese le grandi imprese e le radica qui. Le multinazionali sono una fonte alla quale dobbiamo attingere per quanto riguarda le pratiche, la cultura imprenditoriale, la responsabilità sociale di impresa: dobbiamo favorire più possibile la collaborazione e dobbiamo aiutare il settore a restare competitivo». Così, il ruolo della Pubblica amministrazione diventa quello del broker: «per promuovere la collaborazione tra pmi e grandi imprese, creando meccanismi di incentivo e figure di innovation management che connettano diverse imprese». Se l’esperimento riuscirà, il modello verrà adottato anche dagli altri distretti: «C’è l’impegno del Ministero di esaminare questo cervello digitale per capire se possa aggiungersi a tutta la serie di interventi già finanziati dal Mise», conferma Manzella. «Mi piacerebbe, da questa esperienza, prendere un esempio su come strutturare in maniera diversa il contratto di rete e il concetto di rete, che sempre di più deve essere sostituita dalla filiera del valore».

L'unione fa la forza, ma anche la strategia: col contratto di rete l'obiettivo diventa condiviso

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l contratto di rete , che permette di realizzare raggruppamenti di imprese per la collaborazione reciproca, è stato introdotto nell'ordinamento giuridico italiano nel 2009 in seguito all'adozione in sede europea dello Small Business Act che, individuando nella piccola e media impresa la spina dorsale della produttività europea, individuava nell'ottavo principio la costituzione di reti d'imprese per

aumentarne la competitività. Con il contratto di rete le imprese possono realizzare progetti ed obiettivi condivisi, incrementando la capacità innovativa e la competitività sul mercato, mantenendo la propria indipendenza, autonomia e specialità. La collaborazione tra imprese permette di divenire un soggetto di dimensioni tali da poter affrontare meglio il mercato, anche estero; ampliare l'offerta; divi-

dere i costi; accedere a finanziamenti e contributi a fondo perduto; godere di agevolazioni fiscali partecipare alle gare per l'affidamento dei contratti pubblici; impiegare il distacco del personale tra le imprese: l'interesse della parte distaccante sorge automaticamente in forza dell'operare della rete; assumere in regime di codatorialità il personale dipendente secondo le regole di ingaggio stabilite nel contratto di rete.

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ALTA VELOCITÀ, IL TRENO CHE CI HA CAMBIATO LA VITA Dieci anni fa i Frecciarossa iniziarono il servizio a 300 km/h tra Torino e Salerno. I costumi delle città toccate sono stati rapidamente modificati. Gianfranco Battisti, a.d. delle Ferrovie: «Abbiamo segnato la storia del Paese» di Angelo Curiosi

L’

Alta Velocità ferroviaria compie 10 anni. Tanti ne sono passati da quel 5 dicembre 2009 quando due Frecciarossa, uno partito da Salerno e l’altro da Torino, raggiunsero Milano per celebrare il completamento dell’asse ad Alta Velocità Torino – Salerno, con l’ultimazione degli ultimi due segmenti ancora mancanti, la Bologna – Firenze, realizzata quasi interamente sotto l’appennino e la Novara - Milano. A festeggiare quel traguardo furono i vertici istituzionali del Paese insieme a quelli aziendali, a personalità del mondo dell’impresa e agli amministratori locali coinvolti, dal sindaco di Salerno, Vincenzo de Luca a quelli di Torino e Milano, Sergio Chiamparino e Letizia Moratti. Tutti orgogliosi di un successo della tecnologia e dell’industria italiana, conseguito non senza discussioni, destino ha voluto che a guidare la potenzialungaggini, polemiche ed inchieste varie le cordata chiamata a salvare e rilanciare la ma con un’accelerazione finale degna di compagnia di bandiera, e integrarne meglio un’efficienza e un pragmatismo teutonici. i servizi con quelli su rotaia, sia proprio FerEra facile prevedere allora, quasi quanto è rovie dello Stato, con al comando il manager banale constatarlo adesso, che quell’infrache dieci anni fa era a capo della Divisione struttura così innovativa avrebbe cambiato Alta Velocità di Trenitalia, Gianfranco Battiabitudini e qualità di vita di milioni di persti (nella foto). Il masone: italiani e turisti. I RISULTATI PARLANO DA SOLI, nager che lanciò il E che il treno avrebbe IL NOSTRO SISTEMA È CONSIDERATO Frecciarossa e ne vinto la concorrenza DA MOLTI IL MIGLIORE AL MONDO decretò il successivo dell’aereo, e dell’auNELL’ALTA VELOCITÀ successo, accompato, soprattutto sulla gnando fin dai primi passi il nuovo brand. rotta commercialmente più appetibile, la Battisti ha di recente potuto con ragione afRoma – Milano. Del resto era già successo in fermare il suo motivo di orgoglio: «Per me altre realtà, anche in Europa. E infatti oggi è stato un privilegio aver vissuto fin dall’icirca tre viaggiatori su quattro tra Roma e nizio quest’esperienza che ha segnato la Milano scelgono il treno, non senza pesanstoria del Paese, ne ha cambiato il volto dal ti conseguenze sui conti di aziende, come punto di vista logistico e nella quale, ancora Alitalia, che non hanno saputo, o potuto, o una volta, sono state le persone ad aver fatvoluto tenerne conto e si stanno così leccanto la differenza. Sono i risultati che parlano do ferite difficili da sanare. La bizzarria del

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È NATO UN NUOVO FENOMENO SOCIALE IL PENDOLARISMO TRA LE GRANDI CITTÀ DANDO CONCRETEZZA ALLA DEFINIZIONE DI “METROPOLITANA VELOCE D’ITALIA”


per loro, quelli che vogliono il Frecciarossa, crollo giunto al suo apice nella prima metà e più in generale il nostro sistema, considedel 2018. Dal 50% si è ora passati al 70% rato da molti il migliore al mondo nell’Alta di puntualità, che è gran cosa ma non può Velocità». certo ancora soddisfare né Battisti né i tanti Battisti ha dovuto anche affrontare, circoviaggiatori che scelgono le Frecce di Trenistanza unica in Europa e nel mondo, la sfida talia o gli Italo del fondo americano. Ma se della concorrenza di una compagnia privaogni successo ha le sue ombre, sono comunta, la NTV dei vari Montezemolo e Della Valque le luci a prevalere. Questa rivoluzione le, e del loro treno Italo. La competizione ha nelle infrastrutture di trasporto del Paese, fatto comunque bene a tutti, ai viaggiatori e la seconda nel dopoguerra dopo la costrualla stessa Trenitalia, stimolata a fare semzione dell’Autostrada del Sole, ha avuto impre meglio. Oggi Italo, a tutto dispetto del portanti riflessi sul mercato immobiliare, nome, è in mano al fondo statunitense Gip, con l’impennata di valore degli immobili acquistato dai soci italiani per quasi due miprossimi alle stazioni ferroviarie toccate dai liardi, più la copertura di un debito di circa treni veloci. Questo grazie alla nascita di un mezzo miliardo. Alcuni di quei soci hanno fenomeno sociale come quello del pendolapoi reinvestito gli ingenti utili acquistando, rismo tra grandi città, reso possibile da una con un aumento di capitale, una piccolo porcontrazione dei tempi di viaggio tale da dezione dell’equity. E così una società che fino stare invidia a tanti pendolari in auto, come a pochi anni prima viaggiava sull’orlo del quelli che, ogni mattina, raggiungono Roma fallimento, con l’aiupercorrendo in auto DAL 50% SI È ORA PASSATI AL 70% to di alcune discusse le strade consolari. DI PUNTUALITÀ, CHE È GRAN COSA MA decisioni, come la Fu coniato allora uno NON PUÒ CERTO ANCORA SODDISFARE riduzione dei pedagslogan profetico, defiNÉ BATTISTI NÉ I TANTI VIAGGIATORI gi per l’utilizzo delnendo l’opera “la mela rete AV, e con una drastica modifica del tropolitana veloce d’Italia”. E Trenitalia asseproprio business plan, si è risollevata fino a condò questa vocazione iniziando a vendere trasformarsi in una gallina dalle uova d’oro. abbonamenti mensili per i passeggeri delle Miracoli dell’Alta Velocità che, fino a qui, è Frecce, pur in assenza di un contributo stadavvero una storia di successi. Sono cirtale o pubblico, come accade per gli abboca 350 milioni i viaggi compiuti in 10 anni namenti regionali. Un esempio non seguito soltanto sulle Frecce Trenitalia, con ingenti dal competitor nonostante le sollecitazioni quantitativi di anidride carbonica risparanche dell’Autorità di Regolazione dei Tramiati nell’aria che respiriamo. Nel 2009 sporti. Oltre ai binari percorsi a 300 km oratra Roma e Milano circolavano 52 Frecce al ri senza più segnali luminosi a disciplinare giorno, oggi i treni AV delle due compagnie la circolazione dei treni, con una tecnologia sono più che triplicati arrivando a 174. Tra così innovativa da essere assunta a modelFirenze e Bologna da 88 si è arrivati, a nolo da tutta Europa, va ricordato il capitolo vembre 2019, a 268. La linea così carica fa delle stazioni. Perché l’Alta Velocità ha porsì che anche un semplice starnuto, dei treni tato con sé un inatteso rilancio della grande o dei sofisticati apparati tecnologici che ne architettura civile, con la realizzazione dei gestiscono la circolazione, comprometta la terminal di Napoli Afragola, Reggio Emilia, puntualità del sistema. Battisti, poche settiRoma Tiburtina e Torino Porta Susa, progetmane dopo il suo insediamento come ammitati da archistar di fama internazionale del nistratore delegato di FS, ha strigliato i suoi calibro di Zaha Hadid, Santiago Calatrava, e costituito una task force, con dentro RFI Paolo Desideri. Anche quelle stazioni che e Trenitalia, per ricondurre le performanqualche pessimista cronico aveva salutato ce a livelli accettabili, dopo un progressivo come “cattedrali nel deserto” hanno iniziato

a ingranare e moltiplicare i viaggiatori. Ad esempio Reggio Emilia, trasformatasi in una sorta di hub dell’area medio padana e Napoli Afragola che, ancorché gli amministratori locali abbiano trascurato di munirla di adeguate strade e servizi di mobilità, sta diventando una comoda porta di accesso alla densissima area nord partenopea. Senza dimenticare infine l’ulteriore trasformazione di stazioni come Roma Termini, Milano Centrale o Napoli Centrali, diventate enormi piazze cittadine con il loro corredo di negozi e servizi aperti tutto l’anno. Sicure e accoglienti tutto l’anno, con presidi fissi di polizia e carabinieri e un network di Help Center sociali pronti a rispondere a quel disagio che le stazioni, percepite da sempre come la casa di tutti, tendono spesso ad attrarre. Insomma, nel generale pessimismo di questi tempi grigi, qualcosa di cui andare orgogliosi, come italiani, ce l’abbiamo ed è giusto festeggiarne il decimo compleanno.

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Plasmon resiste ai decenni e non lascia, anzi raddoppia Come risposta alla crisi aziendale, lo storico marchio era stato posto in vendita. Ma poi la proprietà Kraft Heinz ha cambiato idea e ha deciso di investire sul potenziamento dell’impianto produttivo di Latina di Marina Marinetti

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a madeleine sta a Proust come il Plasmon sta agli italiani. “Il” Plasmon, perché si tratta(va) di un concentrato proteico a base di latte in polvere, frutto di una ricerca scientifica congiunta fra Inghilterra e Germania, che nel 1902 l’intraprendente medico Cesare Scotti decise di produrre e commercializzare, introducendolo negli alimenti per l’infanzia, fondando a Milano il Sindacato italiano del Plasmon. Da allora, i biscotti (al) Plasmon hanno accompagnato lo svezzamento e la crescita degli italiani. Ma non sono italiani: dal 1963 sono in mano ad Heinz (che nel 2013 è stata acquistata dalla Berkshire Hathaway di Warren Buffett e dal fondo brasiliano 3G) che, dopo la fusione avvenuta quattro anni fa con Kraft Foods, si chiama Kraft Heinz Company, appunto. E che, nella primavera di quest’anno, aveva deciso che della Plasmon poteva benissimo fare a meno: il calo della natalità, la crisi

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e le tensioni con la Gdo sulla contrazione dei margini sono un mix letale anche per una multinazionale. A farsi avanti, come pretendenti, due private equity, Pai Partners e Cinven, e la svizzera Hero, oltre, pare, a un gruppo cinese. Avrebbero dovuto sborsare 700 milioni di euro per accaparrarsi un’azienda che ha un ENTRO IL 2020 L’85% DEGLI INGREDIENTI UTILIZZATI DA PLASMON NELLE LINEE DI PRODUZIONE SARÀ CERTIFICATO DI PROVENIENZA ITALIANA

giro d’affari di 200 milioni di euro, con 50 milioni di margine operativo lordo. Poi, il dietrofront: Plasmon non è più in vendita. Anzi: verrà rilanciata. Se lo storico marchio di biscotti e alimenti per l’infanzia non passerà di mano, con conseguenze nefaste specie per l’area di Latina, dove si trova lo stabilimento produttivo principale,

FELIPE DELLA NEGRA

il merito (si fa per dire) è tutto di JP Morgan, che nell’offerta ha messo in luce talmente bene pregi e potenzialità della merce in vendita che Kraft Heinz ha deciso di non vendere in più: «Sì, è vero», conferma a Economy Felipe Della Negra, general manager di Kraft Heinz per l’Italia. «È apparso chiaro il potenziale del marchio non solo sul mercato interno, ma anche globale: in Europa, in Africa, in America, in Asia. Durante il processo con JP Morgan è emersa quasi come ovvia l’opportunità che avevamo in mano: non vendere, ma fare di Plasmon e del baby food un asset strategico per Kraft Heinz.». Se oggi il mercato interno assorbe il 90% della produzione di Plasmon, nei prossimi cinque anni l’azienda punta a decuplicare la quota di export. «Anche perché, prima che la natalità ricominci a crescere in Italia, occorrerà aspettare almeno altri dieci anni», sottolinea Della


È APPARSO CHIARO IL POTENZIALE DEL MARCHIO A LIVELLO GLOBALE Negra. Nel frattempo, nell’ambito del baby food stiamo mettendo a punto nuovi prodotti nell’Innovation Center di Nijmegen». Tra probiotici del latte e sostitutivi del junkfood, il quinto gruppo alimentare del mondo punta a diventare un compagno della crescita anche dei più grandicelli. E Plasmon giocherà un ruolo decisivo: «Rispetto agli altri Paesi, in Italia lo svezzamento avviene precocemente. Non abbiamo certo intenzione di modificare la cultura italiana, ma vogliamo incrementare la nostra offerta di prodotti offrendo cibi più bilanciati nelle varie fasi di crescita», spiega il general manager di Kraft Heinz. «L’innovazione è uno dei driver storici di Plasmon, sono quasi 120 anni che lavoriamo sulla nutrizione dell’infanzia. Abbiamo deciso di proporre ai bambini merende studiate su misura per loro, lavorando anche su packaging differenti, come le pouches di frutta e yogurt adatte alle prime fasi di

manipolazione, o, dopo i due anni di età, snack della propria filiera produttiva, basato su prinche sostituiscano le patatine. E utilizzeremo le cipi di prevenzione e di controllo e qualità, con materie prime migliori: quelle italiane». il programma Oasi nella crescita. «La materia L’obiettivo, per Plasmon, è di raggiungere già prima italiana è superiore come qualità a quelall’inizio del 2020 quota 85% degli ingredienti la degli altri paesi». Perché l’85 e non il 100%, di provenienza italiana: «Abbiamo firmato un allora? «Ci sono materie prime che qui non protocollo col Ministero delle politiche agriesistono, come mango, quinoa, banana. È solo cole, alimentari, forestali e del turismo». Tra i una questione di clima». vari impegni sottoscritti da Plasmon, quello di Un ruolo chiave lo giocherà lo stabilimento di sostenere, entro 5 anni, investimenti di acquiLatina, che conta per il 70% della produzione sto fino a 25mila tonnellate di materia prima del marchio e che attualmente occupa circa italiana nei comparti carne, frutta verdure, 300 persone, ma appena il 15% dei terreno di cereali, latte, pesce e olio della filiera agroaliproprietà. «Se volessimo, ci potremmo costrumentare. Un settore che conta ben oltre 1500 ire sopra una Disneyland», scherza Della Neaddetti nelle fasi di coltivazione e trasformagra: «abbiamo investito nell’ammodernamenzione primaria.
Con il protocollo viene inoltre to delle linee, in modo da poter raddoppiare la siglata una sinergia a sostegno dell’innovaproduzione». Sugli impianti, la multinazionale zione che avverrà attraverso lo sviluppo di ha investito 64 milioni di euro nell’ultimo attività di ricerca nei diversi ambiti necessari quinquiennio, dei quali 3,3 quest’anno. E per a garantire la sicurezza dei prodotti alimentari il prossimo anno l’idea è di investire altri 3 miper i più piccoli, in collaborazione con il Conlioni. Non male, per un hub produttivo che ha siglio per la ricerca e l’agricoltura e l’analisi dovuto fronteggiare una crisi con la firma, ad dell’economia agraaprile 2018, del conLA MULTINAZIONALE HA SIGLATO ria. Il nuovo piano di tratto di solidarietà UN CONTRATTO DI SOLIDARIETÀ approvvigionamento per evitare 95 licenPER SCONGIURARE I LICENZIAMENTI guarda all’Italia come E AVVIATO UN PIANO DI INVESTIMENTO ziamenti e avviato il principale risorsa, con rilancio produttivo. l’obiettivo di continuare a garantire sempre il Così, Plasmon ha incrementato la produzione meglio in termini di qualità, sicurezza e tracdel 4% e lanciato sul mercato una nuova linea ciabilità implementando un percorso unico nel di biscotti per adulti, prodotti in 200 tonnellasuo genere con l’italianità della nostra filiera e te l’anno, trasferendo dalla Spagna, anche, la della nostra produzione. Una sorta di ritorno produzione della salsa di pomodoro Orlando alle origini: già negli anni ’80 Plasmon è stata Tomato Fritto. Ma ancora non basta: «C’è aninfatti la prima nel settore dell’alimentazione cora moltissimo spazio per crescere», concluper l’infanzia a creare un sistema di garanzia de Della Negra.

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TORNANO LE RI-BELLE

Quei clic che danno energia alle donne in difficoltà Per il secondo anno consecutivo Sorgenia, la prima digital energy company italiana, scende in campo con una campagna di solidarietà a favore delle comunità di accoglienza de La Grande Casa onlus

N

Al fianco di Sorgenia in questa campagna di on c’è solo il 25 novembre, la giorsensibilizzazione c’è ancora La Grande Casa nata che l’Assemblea Generale delscs onlus, cooperativa sociale che dal 1989 le Nazioni Unite ha dedicato all’elisostiene e favorisce l’integrazione delle perminazione della violenza sulle donne: c’è la sone più fragili e si occupa dell’accoglienza quotidianità. Così, per il secondo anno conresidenziale, semi-residenziale e familiare secutivo, Sorgenia, la prima digital energy di minorenni in difficoltà, migranti, donne company italiana, ha deciso di scendere in in uscita da situazioni di violenza. campo e dare il proprio contributo per alFino al 15 dicembre, zare il livello di attenFINO AL 15 DICEMBRE SARÀ POSSIBILE tutti potranno aiutazione sul tema. Tutti i DONARE UN GIORNO DI ENERGIA re Sorgenia a donare giorni, non solo il 25 A UNO DEI CENTRI DISTRIBUITI un giorno di enernovembre. SU TUTTO IL TERRITORIO NAZIONALE gia a una delle case È partita così la nuodistribuite su tutto il territorio nazionale. va campagna digital che ha l’obiettivo di Sarà sufficiente andare sulla pagina www. regalare energia alle case rifugio delle orgasempre25novembre.sorgenia.it e cliccanizzazioni che aderiscono al Coordinamenre sul bottone dedicato: più saranno i clic, to Nazionale delle Comunità di Accoglienza maggiori saranno le giornate di energia re(Cnca), che ha fra i propri ambiti di azione galate. Una casa stilizzata indicherà il livello l’accoglienza e il ritorno all’autonomia di di energia accumulato ogni giorno. E per donne in uscita da situazioni di violenza e coinvolgere i propri amici, sarà possibile maltrattamento.

Si intitola “Ogni mia casa” la seconda mostra delle Ri-belle, progetto de La Grande casa scs onlus promosso e organizzato in collaborazione con Sorgenia. L’allestimento ospita 25 piccole case realizzate da altrettante donne accolte dalla cooperativa sociale che hanno raccontato, avvalendosi della tecnica mista, il proprio vissuto. Tutta la mostra ruota intorno al tema della casa che, per queste donne, riveste molteplici significati: il nido, l’approdo sicuro, il rifugio, ma anche la gabbia, il luogo dove spesso le difficoltà sono cominciate. Rifletterci significa fare un viaggio nel proprio mondo interiore per riappropriarsene e, “mattone dopo mattone”, ricostruirlo su nuove fondamenta. Esporre queste opere, realizzate durante il laboratorio artistico curato dall’illustratrice Elisabetta Reicher, significa poter parlare di violenza in modo diverso e con un nuovo linguaggio, lontano dagli stereotipi di genere e soprattutto dal “paradigma della vittima”. Un modo vitale e generativo proprio come il lavoro che hanno fatto le donne, centrato sulla capacità di ri-bellarsi, di agire e tornare al bello. La mostra delle Ri-belle, che sarà esposta nella sede di Sorgenia dal 14 al 16 febbraio 2020, si inserisce nella più ampia campagna sociale “Dai un segno di vita” (#sempre25novembre) che la Digital Energy Company promuove con La Grande Casa scs Onlus e il patrocinio del Cnca (Coordinamento nazionale delle comunità di accoglienza).

condividere sui social la donazione fatta: sia con un messaggio standard, sia caricando una propria foto. Perché ciascuno di noi possa metterci la faccia. La campagna viene supportata dal video “Lascia un segno di vita” che ha per protagoniste Bebe Vio, testimonial di Sorgenia, e Gessica Notaro e racconta in modo emotivamente coinvolgente l’iniziativa di sensibilizzazione.

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L’IMPRONTA ITALIANA SUGLI OTTOMILA METRI Un brand storico (fondato nel 1938), un acronimo (Società calzaturieri asolani riuniti pedemontana anonimi), una specializzazione (le calzature tecniche per gli sport montani): è la trevigiana Scarpa di Marina Marinetti COSA CI FANNO, INSIEME, UN SINDACO, UN PREVOSTO DI PAESE E UN FILANTROPO IRLANDESE? LE SCARPE. ANZI, LA SCARPA. CON LA S MAIUSCOLA. Siamo ad Asolo, nel

trevigiano, nell’anno 1938: c’è fame di lavoro e l’intraprendente don Angelo Brugnoli convince Rupert Edward Cecil Guinness (rampollo dei produttori della dry stout), che abita la villa in cui aveva vissuto Eleonora Duse, a fondare la Società Calzaturieri Asolani Riuniti Pedemontana Anonima. Scarpa, appunto. Un nome che oggi sarebbe contrario al Codice della proprietà industriale, che vieta di registrare come marchi d’impresa termini di uso comune o nomi generici del prodotto. Ma siamo nel 1938, venti di guerra soffiano impetuosi e ci sono ben altre questioni a cui pensare. Ottant’anni dopo, Scarpa è un’azienda che fattura 102 milioni di euro. A guiCome farete? darla, la seconda generazione di quei fratelli Le potenzialità che oggi offre il mercato, Parisotto che, entrati negli anni 40 come apnell’ambito del settore outdoor, sono molteprendisti, nel ’56 acquisiscono l’azienda, abplici: acquisire quote di mercato in aree dove bandonano la produzione di scarpe militari siamo presenti con quote limitate rispetto ai e si focalizzano sulla produzione di calzature competitor diretti, per esempio. Facciamo affitecniche dedicate agli sport di montagna: indamento sulla crescita nel mercato americano: ventano lo snodo posteriore per gli scarponi abbiamo una filiale commerciale dal 2005 in da sci e lo scarpone Colorado, ma la nostra IL 70% DELLA PRODUZIONE AVVIENE d’alta quota Grinta, quota può crescere IN ITALIA. E GLI STABILIMENTI arrivato in cima a molto. Abbiamo una IN CINA, ROMANIA E SERBIA UTILIZZANO tutti gli Ottomila del gamma di prodotti da I MEDESIMI PROCEDIMENTI pianeta. Davide è il ampliare. E poi c’è l’Adirettore della produzione, la cugina Cristina sia (abbiamo una sede produttiva a Canton), è responsabile della ricerca, stile e sviluppo con un mercato potenzialmente pazzesco che prodotto, mentre le redini dell’azienda sono è ancora agli inizi e che offre grandi opportuin mano al fratello Sandro: «Se tutto va bene, nità per un marchio europeo e made in Italy quest’anno dovremmo crescere di un altro come il nostro. Senza contare i paesi dell’est, in 4-5%», dice. «Speriamo che stagione invercui il ceto medio sta crescendo e ha necessità nale sia di buon auspicio». L’obiettivo è amde dedicare qualche ora al tempo libero. E poi bizioso: raggiungere i 150 milioni di euro di la scarpa da trekking ormai è un accessorio di fatturato nei prossimi cinque anni. moda.

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Senza contare la sponsorship con la nazionale di scialpinismo... E non solo. Abbiamo testimonial come Robert Antonioli, che è stato campione del mondo di sci alpinismo, o la scalatrice austriaca Jessica Pilz. Gli atleti-ambasciatori di Scarpa non solo sono testimonial dell’azienda, ma sviluppano insieme ai tecnici ciò di cui hanno bisogno per le proprie gare. Sono la nostra risorsa principale, il nostro incubatore di idee: grazie ai loro feedback sviluppiamo i prodotti del futuro. Ogni anno depositiamo quattro nuove domande di brevetto. E il vostro slogano, “no place too far”? È la filosofia dell’azienda: lavoriamo al fianco dei più grandi atleti specialisti degli sport da montagna che non vedono limiti per il raggiungimento dei propri obiettivi e che hanno pronte sempre nuove sfide. La vostra è quella dell’internazionalizzazione: producete in Cina, in Romania e Serbia. Ma il 70% della produzione resta comunque


qui, in Italia, nel cuore del distretto calzaturiero veneto, dove con noi lavorano 330 persone, e l’export supera l’80% della nostra produzione. E poi gli stabilimenti produttivi all’estero utilizzano i medesimi procedimenti che adottiamo qui. Ne va del prestigio del brand e della qualità del prodotto. Le vostre scarpe durano un’eternità. Non è antistrategico? In effetti... E pensi che le ripariamo, le nostre scarpe, quando ci tornano indietro. Così vediamo dove abbiamo sbagliato. Diciamo che facciamo affidamento più sull’aumento della popolazione che sull’usura del prodotto. Non abbiamo mai tenuto in considerazione variabili come l’obsolescenza: per noi la durata è sempre stata la norma. Così possiamo anche dire che, dato che la scarpa resiste 15 anni, è sostenibile! Bastasse questo... Infatti stiamo cercando di scegliere sempre più pellami ecologici, non trattati con prodotti chimici. I nostri fornitori sono stati invitati a sviluppare nuove tecniche green. Lo stesso vale per le suole. Vibram, uno dei nostri partner principali, sta studiando formule di gomme con meno chimica. Non solo: da questo inverno tutta la collezione da neve impiegherà il Pebax R New, un polimero biodegradabile ricavato dall’olio di ricino, che offre una bassa escursione termica. Siamo stati i primi a utilizzarlo nel guscio degli scarponi per alta quota. E qua sopra (indica il soffitto, ndr) sono tutti pannelli solari: abbiamo 6mila metri quadrati che ci forniscono intorno al 40% dell’energia che impieghiamo. Se coprissimo anche il magazzino diventeremmo autosufficienti. Lo farete? Se la politica ci metterà in condizione di investire e ci saranno incentivi sì, senz’altro. Il tema della sostenibilità è al centro anche della nostra collaborazione col dottor Bolzonello. Ecco, appunto, parliamo di governance. Lo scorso anno, per la prima volta nella storia dell’azienda, lei, con sua sorella Cristina e suo cugino Davide, avete scelto un amministratore delegato esterno alla famiglia:

Diego Bolzonello, fino al 2012 amministratore delegato di Geox e storico braccio destro di Mario Moretti Polegato. Visto il nostro background e gli anni passati nell’impresa, era giunto il momento di chiamare una figura esterna che desse un’impronta manageriale a un’azienda che negli ultimi dieci anni è cresciuta a doppia cifra. Quando noi litighiamo, ci mette d’accordo tutti e tre. E con lui non litigate? Affidare l’azienda a un manager esterno è un po’ come prendere un nuovo membro della famiglia. Ci sono momenti di confronto, che però aiuta-

no l’azienda a crescere sia in termini di numeri che in termini di consapevolezza. La managerializzazione è passaggio che prima o dopo bisogna affrontare, quando ci si ingrandisce. Una volta ci si trovava in cortile in famiglie alle sei di sera per parlare dell’azienda, oggi non sarebbe più possibile. Non è più un’azienda di famiglia, Scarpa, ma una family company... E anche il dottor Bolzonello l’ha presa anche come una sfida personale. E la terza generazione? Non abbiamo mai spronato i nostri figli ad entrare in azienda, così come noi non siamo stati a nostra volta spronati. Semplicemente, siamo entrati perché lo volevamo: ci sembrava naturale. La passione a noi è nata frequentando l’azienda: era il nostro doposcuola. Durante le vacanze estive eravamo in produzione: al confezionamento, al magazzino e poi negli uffici, nel commerciale, fino ad arrivare alla direzione. Il passaggio del testimone tra la prima e la seconda generazione è stato naturale, quindi. È stato un percorso senza strappi. I nostri genitori non sono stati oppressivi e noi ci siamo sentiti coinvolti. Ci abbiamo messo tutte le nostre forze perché questa azienda continuasse nel miglior modo possibile: non ci è mai venuto in mente di sfruttare l’azienda per avere un ritorno personale, ma abbiamo sempre reinvestito per creare ulteriore business e lavoro per la comunità. Loro non ce lo diranno mai, ma i nostri genitori hanno apprezzato molto i nostri sforzi. Essere figli di imprenditori è doppiamente complicato: i genitori sono più esigenti e il mercato guarda sempre alle nuove leve con un certo scetticismo. Be’, chi lavora sbaglia e qualche errore l’abbiamo fatto anche noi. Il mio primo credito è andato perso. Ero in Spagna, alle prime esperienze commerciali. Mi sono fidato delle informazioni del distributore, che invece poi è fallito. È uno dei miei crucci: abbiamo perso 130milioni di lire. Oggi non potrebbe succedere.

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La creatività innovativa dell’imprenditoria femminile Dal rinforzo del Louvre al consolidamento della torre di Pisa: va a Sonja Blanc, ceo di Sireg Geotech, e ai suoi materiali termoplastici, termoindurenti e in fibre composite il Premio GammaDonna 2019

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onja Blanc è ceo e terza generazione di un’impresa operante nei settori della geotecnica e dell’ingegneria civile, fondata 83 anni fa dal nonno, il cavaliere Emilio Blanc: Sireg Geotech, specializzata nella produzione di materiali termoplastici, termoindurenti e in fibre composite di vetro e carbonio, le cui applicazioni vanno dal rinforzo e consolidamento di terreni deboli o franosi, nell’ambito della realizzazione di scavi sotterranei, al rinforzo e ripristino di infrastrutture, costruzioni civili danneggiate ed edifici storici. È lei la vincitrice del Premio GammaDonna, il riconoscimento che, dal 2004, mette in luce le realtà più rappresentative della vitalità imprenditoriale del Paese, affinché possano essere di esempio e ispirazione per altre imprenditrici e giovani imprenditori. Un premio molto più che simbolico: Sonja Blanc, oltre al riconoscimento, si è aggiudicata un Master della 24Ore Business School, un percorso di accelerazione in Polihub – Politecnico Milano, una campagna di equity crowdfunding sul portale BacktoWork24, 6 mesi di mentoring con una manager ValoreD, attività di comunicazione dedicate a cura dell’agenzia Valentina Communication, ideatrice del format GammaForum. Sireg Geotech è stata fondata nel 1936 e nel suo carnet figura il rinforzo, sopra il suolo, di edifici storici come il Louvre, la torre di Pisa, il campanile di San Marco. L’azienda è spe-

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cializzata nella lavorazione delle materie plastiche e, sin dagli anni Novanta, dei materiali compositi come vetroresine, carbonio e fibra aramidica ed esporta oggi i suoi prodotti in 65 Paesi nel mondo. «Dopo aver preso il timone dell’azienda di famiglia», racconta Blanc, «ho voluto strutturare meglio l’attività di marketing e comunicazione e mi sono affidata a una consulente esperta del settore, che già allora, nel 2014, mi propose di partecipare al premio Gamma Donna. A quel tempo però mi era sembrato prematuro perché avevo in mente tante azioni da intraprendere per rinnovare l’azienda. Quest’anno invece ho deciso con convinzione di aderire all’iniziativa, dopo tutti questi anni di sforzi e di grande impegno per rendere la mia azienda più moderna e dopo i risultati raggiunti in termini di innovazione, che ci hanno permesso di ottenere importanti riconoscimenti quali il Jec Innovation Award di Parigi nella categoria Constructions & Infrastructures o la selezione, tra le aziende più innovative, per la mostra di Assolombarda su Leonardo Genio e Impresa a Palazzo della Regione di Milano. Sono quindi veramente molto lusingata e orgogliosa di questo grandissimo risultato: è la prova che il lavoro svolto da me e dal mio team in questi anni e i risultati raggiunti sono oggettivamente un modello positivo, non solo per noi che li vediamo maturare giorno dopo giorno all’interno della nostra azienda». Vincere il Premio GammaDonna,

SONJA BLANC

per Sonja Blanc, significa «realizzare un sogno. Con il pensiero rivolto alla famiglia, che ha generato e mantenuto in salute l’azienda fino al passaggio di consegne nel 2009. E ai miei figli, che spero stiano imparando cosa significa fare impresa, oltre che all’Università, anche dalla mia testimonianza di dedizione, impegno e sacrificio quotidiani». Ma Sonja Blanc non è stata l’unica premiata al Forum Internazionale dell’Imprenditoria Femminile e Giovanile #GammaForum del 15 novembre a Milano. Il Qvc Next Award per il prodotto più innovativo è stato infatti assegnato a Federica Agostini, fondatrice, insieme alla sorella, di Vagamè, che rivoluziona il concetto di trasformazione della moda in un’ottica di “economia circolare” valorizzando il Made in Italy. Per lei un percorso di mentoring su business model e strategie di mercato con il team Qvc (Merchandising, Legal, Quality & Cerifications, Brand&Comms, Supply Chain) e l’accesso alla valutazione commerciale per onboarding e vendita delprodotto attraverso la piattaforma multimediale di shopping Tv, e-commerce e social media QVC Italia. A vincere il premio Giuliana Bertin Communication Award 2018 - riconoscimento in ricordo della fondatrice di Valentina Communication - Cecilia Nostro, Cofounder di Friendz, la piattaforma che permette a chiunque di trasformarsi in testimonial, retribuito, di un brand sui social network.



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L’AZIENDA CRESCE PUNTANDO SUI TOKEN Dal parcheggio aeroportuale al mobility hub: l’evoluzione dell’impresa passa attraverso una continua trasformazione dell’offerta di mobilità ai propri clienti, implementando la blockchain nei processi aziendali di Paola Belli

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are azienda innovando? Dovrebbe essere un must, ma non lo è per tutti. Lo è sicuramente per Giuliano e Davide Rovelli, due generazioni di imprenditori legate dalla stessa visione. L’idea imprenditoriale nasce quando Giuliano Rovelli, a soli 24 anni, apre il primo parcheggio all’aeroporto di Malpensa. Oggi, a 25 anni di distanza, il network ParkinGo conta oltre 90 strutture in dieci paesi in Europa, un vero e proprio mobility hub che unisce al core business dei parcheggi aeroportuali servizi pensati appositamente per rispondere alle esigenze di chi viaggia. «Siamo nati come semplici aree di parcheggio limitrofe agli aeroporti e oggi le nostre strutture si sono evolute diventando piattaforme di mobilità, dove puoi parcheggiare, ricaricare l’auto elettrica oppure prendere un’auto in condivisione, o lasciare la

LE PARTNERSHIP

L’importante e costante sviluppo del network ParkinGo presso i principali aeroporti europei ha permesso l’attivazione di partnership con alcuni dei brand più importanti del mondo: Amazon ha scelto ParkinGo per l’installazione degli Amazon Lockers all’interno delle

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tua in condivisione e addirittura prenderne una a noleggio a lungo termine», sottolinea a Economy Giulano Rovelli. «Il miglioramento della customer journey è da sempre il mio chiodo fisso. ll nostro obiettivo è integrare il mondo fisico e il mondo digitale per offrire NEL 2018 PARKINGO HA LANCIATO UNA ICO DEDICATA. E ORA STA LAVORANDO A UNA STO PER VELOCIZZARE L’ESPANSIONE MONDIALE

un’esperienza di mobilità innovativa». L’innovazione è da sempre nel dna di questo brand made in Italy, che fornisce lavoro a oltre 1.500 dipendenti tra strutture di proprietà e parcheggi in franchising che scelgono il pacchetto chiavi in mano di ParkinGo sinonimo di qualità e affidabilità nell’ecosistema Travel&Mobility. strutture di parcheggio; Daimler Ag e Bmw, che attraverso il veicolo Share Now, hanno scelto ParkinGo come base operativa per la presa e la consegna dei propri veicoli in sharing all’aeroporto; Tesla, che ha inserito ParkinGo nel suo progetto charging locations.

L’offerta di ParkinGO nei confronti dei nuovi partner è caratterizzata da soluzioni tecnologiche diventate nel tempo emblema di un alto standard qualitativo. Il gestionale realizzato in-house ed il ParkinGo Scanner, un maxi-scanner che verifica e certifica lo stato dei veicoli durante le fasi di check-in e checkout, sono alcuni dei punti di forza distintivi del modello. Una delle innovazioni più eclatanti è senza dubbio l’implementazione della blockchain nei processi aziendali: ParkinGo lo fatto nel 2018, attraverso il lancio di un token digitale tramite una Ico (Initial Coin Offering) dedicata. Il GoToken, lo utility token emesso dall’azienda, offre la possibilità di acquistare i servizi del network garantendo vantaggi esclusivi per gli utilizzatori. E oggi ParkinGo si prepara ad una nuova fase della sua espansione innovando il tradizionale sistema di raccolta capitali con il lancio di una Sto (Security Token Offering). «Stiamo lavorando a questa Sto da diversi mesi», spiega Davide Rovelli, ceo di ParkinGo International Sa: «L’obiettivo è quello di realizzare un progetto win-win, dando a tutti la possibilità di partecipare al processo di evoluzione ed espansione di ParkinGo».


in collaborazione con

GIULIANO ROVELLI, FOUNDER PARKINGO

Con Security Token Offering si intende la procedura di vendita al pubblico di strumenti finanziari (un’azione, un bond, un derivato, un immobile, un titolo di proprietà, ecc.) rappresentati da token digitali che danno diritto a ricevere un ritorno sull’investimento in funzione dei parametri di fatturato e della crescita dell’azienda. Le Sto vengono anche definite Ipo 2.0 poiché funzionano in maniera analoga, eliminando però alcuni dei limiti tipici delle operazioni tradizionali. Il vantaggio principale dei security token è la blockchain, questa infatti permette di abbattere i costi di emissione e gestione dei

ParkinGO IN CIFRE

90 strutture 10 Paesi 21.000 prenotazioni/week 2.700.000 clienti/anno 10.000 agenzie di viaggio 7600 aziende convenzionate 100 multinazionali

IL NOSTRO OBIETTIVO È INTEGRARE MONDO FISICO E DIGITALE PER OFFRIRE UN’ESPERIENZA DI MOBILITÀ INNOVATIVA token oltre a non rendere necessario una forma di intermediazione da parte di organi finanziari esterni. L’investitore, acquistando i security token di ParkinGo, avrà la possibilità di partecipare alle revenue aziendali che vedranno una forte crescita dettata dalla roadmap con il raggiungimento di 350 strutture entro il 2024 e una forte innovazione delle piattaforme digitali pensate per ampliare la scalabilità del modello di business a livello internazionale. Il secondo token di ParkinGo si chiama Gots, un chiaro riferimento al fratello maggiore GoToken. Il Gots, al momento in fase di pri-

GetMyCar

GetMyCar, start-up innovativa che completa l’offerta ParkinGo, è la community di Car rental & Car sharing che mette in contatto chi ha bisogno di un’auto e chi desidera condividere la propria. “L’Airbnb delle auto” è disponibile in tutta Italia e sbarcherà nel resto d’Europa dal 2020. L’app permette di parcheggiare gratuitamente lasciando l’auto in condivisione, sommando il risparmio della sosta al guadagno della condivisione.

DAVIDE ROVELLI, CEO DI PARKINGO INTERNATIONAL SA

vate sale, sarà prossimamente disponibile al pubblico attraverso la piattaforma di investimento P2P Stokr (stokr.io), specializzata nel settore valute digitali e nelle aziende ad alto tasso di innovazione. Successivamente il Gots verrà quotato sui principali exchange che permetteranno così di acquistare e vendere ai prezzi di mercato. Il Gots si muove sulla blockchain Ethereum, permettendo così di essere “conservato” nella maggior parte dei wallet digitali disponibili in circolazione. Durante la fase di emissione del token verrà anche resa disponibile la blockchain GotNet. Questa procedura aumenta al massimo grado la trasparenza non solo nei confronti dei clienti ma anche di tutti coloro i quali desiderano investire in ParkinGo. Attraverso questa nuova tecnologia sarà possibile monitorare costantemente la soddisfazione della clientela, collegarla direttamente con le performance aziendali e con la remunerazione incrementale dei singoli dipendenti. Per maggiori informazioni e per scoprire tutte le news sul nuovo token ParkinGo è stata realizzata una pagina web raggiungibile all’indirizzo: https://www.parkingo.com/it/sto

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Immobiliare, ora anche l'Italia ha la sua (vera) proptech Si chiama Agencasa la startup avviata da Rocket Internet sulla falsariga della francese Proprioo, della tedesca Mc Makler e della britannica Purplebricks. È il primo caso di agenzia completamente online di Marina Marinetti

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el Regno Unito (ma anche in Canada, trina, né un marketplace: è una vera agenzia negli Stati Uniti e in Australia) hanimmobiliare. Ma è completamente digitale: no Purplebricks, in Francia c’è Proattraverso una rete di agenti regolarmente asprioo, i tedeschi hanno Mc Makler. Gli unici a sunti e provvisti di patentino si rivolge a sognon avere un vero agente immobiliare online, getti privati, ma anche a società immobiliari e paradossalmente, eravamo noi. Paradossalsocietà di costruzioni, che vogliono vendere o mente, perché abbiamo una tra le più alte affittare un bene di proprietà, dal residenziale percentuali di case di proprietà di tutta Euroal commerciale, dal terreno al box auto. pa: il 72,3%. Eravamo, perché quando Oliver «Siamo convinti che, grazie alla tecnologia di Samwer, fondatore e ceo di Rocket Internet, piattaforme digitali come la nostra, sia poscolosso digitale tedesco quotato alla borsa di sibile rivoluzionare un settore consolidato Francoforte con un portafoglio aziendale che come quello della compravendita immobiliasupera i 30 miliardi di re, rendendolo moNON SI TRATTA DI UNA VETRINA euro, se n’è accorto, a derno, efficiente e alla DI ANNUNCI NÉ DI UN MARKETPLACE, gennaio di quest’anno, portata di tutti», spieMA DI UNA RETE DI AGENTI ASSUNTI ha chiamato il boccoga De Rosa. Agencasa. PROVVISTI DI REGOLARE PATENTINO niano Alessio De Rosa, it è digitale, ma ha anclasse 1982, che nel suo medagliere aveva già che una componente tradizionale: il proprieGroupon (di cui era direttore commerciale) e tario dell’immobile richiede una valutazione Noicompriamoauto.it (che in appena e anni online, tramite sito web dedicato (www.agenha raggiunto quota 100 milioni di euro di fatcasa.it) e successivamente, in tempi rapidissiturato), per sviluppare un nuovo modello di mi, viene contattato per fissare un appuntabusiness digitale per la vendita e l’affitto di mento di perizia con un agente con regolare immobili in Italia. patentino. Inclusi nel servizio, manco a dirlo, De Rosa ci ha lavorato a ritmi record e a magservizio fotografico professionale, planimetria gio ha lanciato sul mercato la “sua” (si fa per digitale, gestione delle visite, assistenza burodire) proptech: Agencasa.it. Se a questo puncratica, giuridica e contrattuale fino alla fase to la mente vi si affolla di nomi come casa.it, conclusiva della firma. immobiliare.it, Idealista, siete completamente Insomma, nulla di nuovo? Niente affatto, sefuori strada. Perché Agencasa non è una vecondo Samwer: «La piattaforma rivoluziona

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ALESSIO DE ROSA

drasticamente l’intermediazione immobiliare tradizionale, connettendo i proprietari di un immobile a una rete di agenti locali esperti, al fine di garantire un processo veloce, puntuale e conveniente», sostiene. La novità riguarda la provvigione di agenzia, che può essere assente e quindi pari a zero, oppure corrispondere ad un contributo spese di massimo 590 euro in caso di richiesta di vendita, e 290 euro in caso di richiesta di locazione. La vera rivoluzione è dettata dal fatto che il pagamento del contributo spese avviene solo e se viene effettuata la vendita o la locazione dell’immobile. Nella fase successiva all’ingaggio del mandato, Agencasa.it si occupa della promozione dell’immobile garantendo la massima visibilità sui migliori portali immobiliari, quali Idealista.it, Immobiliare.it, e altri. «Abbiamo deciso di partire da Milano, una delle città più competitive dove in questi primi mesi abbiamo registrato numeri incoraggianti e al di sopra delle aspettative, ma puntiamo ad espandere a breve il servizio in tutte le principali città italiane». Se oggi Agencasa.it ha in gestione un portafoglio immobiliare di oltre 25 milioni di euro tra Milano, Napoli, Torino, Monza, Pavia, Lodi e Varese, infatti, l'obiettivo è aprire nell'immediato futuro anche a Roma e Bologna.


in collaborazione con

Una sola piattaforma per integrare le tecnologie Far dialogare tra loro tutte le applicazioni, dal magazzino alla gestione del personale, per monitorare e pianificare la strategia aziendale: è la sfida della Service Integration lanciata dalla romana Smi

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mi, Smart Managed Innovation, è un’azienda romana, con circa 50 dipendenti e un fatturato di oltre 7 milioni di euro. Che poco più di tre anni fa non esisteva. Questa è la storia di un’impresa di un gruppo di professionisti dell’It, che un giorno del 2015 decidono di mettere insieme le loro competenze ed esperienze pluriennali per dare vita a una nuova realtà di consulenza tecnologicamente avanzata, dedicata alla progettazione e realizzazione di infrastrutture It, alla gestione dei processi e al supporto sistemico di eccellenza per piccole, medie e grandi aziende ed enti pubblici e privati. Il collante della loro avventura è la passione per la tecnologia: lavoravano già insieme in un’azienda del settore, ma poi i casi della vita sparigliano le carte in tavola e aprono opportunità per altre direzioni. L’idea è di Cesare Pizzuto (nella foto), già direttore generale di un’importante azienda informatica, ora amministratore delegato di Smi. Più che un’idea è sempre stato il suo sogno, che ha radici nella sua storia personale. Nei primi anni Novanta, fresco di laurea in ingegneria elettronica e alle prese con un dottorato di ricerca per diventare ricercatore, rifiuta l’offerta del padre, imprenditore nel campo delle infrastrutture metalliche, di rilevare l’azienda di famiglia, la Smi – Società Montaggi Industriali. La vecchia Smi finirà per essere acquistata da

truffatori e non ne rimarrà nulla. Quando la vita ne presenta l’occasione, il sogno è quello di far rinascere la Smi e con lei, l’idea di fare impresa in modo diverso: un ambiente in cui la forza è nel gruppo, dove il tempo di lavoro sia tempo di qualità per le persone, e l’etica e la trasparenza siano i valori guida, nella piena consapevolezza e responsabilità del ruolo sociale che ogni impresa ricopre. Il sogno prende forma e diventa realtà quando a Cesare Pizzuto si unisce Stefano Tiburzi, SMART MANAGED INNOVATION È UN'AZIENDA ROMANA CON 50 DIPENDENTI E UN FATTURATO DI OLTRE 7 MILIONI DI EURO

co-fondatore e oggi service director di Smi, costituendo quel nucleo, a cui mese dopo mese si aggiungeranno gli altri, fino a diventare 50, con quel nome che riprende vita e che ora parla di innovazione - Smart Managed Innovation - come capacità di saper guardare oltre, della volontà di gestirla e renderla fruibile, in modo flessibile, agile, capace. In questi anni Smi diventa un “service integrator”, ovvero una società di consulenza per l’integrazione di servizi tecnologici, analisi, implementazione e gestione della trasformazione digitale dei propri clienti. Disponibilità, flessibilità, curiosità per il nuovo, sviluppo continuo delle competenze delle persone, sono aspetti fondanti per Smi, per

essere in grado di interpretare, comprendere e risolvere le esigenze dei clienti, con cui costruire relazioni durature di partnership. In un mondo sempre più interconnesso, in cui la connettività si estende dalle persone agli oggetti, saper comprenderne le potenzialità permette alle aziende di esplorare opportunità fino ad ora impensabili. E a partire dall’esplorazione delle proprie, Smi ha sviluppato la YOUnified Platform, la piattaforma di Smi per la Service Integration. La YOUnified Platform nasce infatti dall’esigenza di far dialogare tutta la tecnologia che ormai le aziende utilizzano quotidianamente: dalle applicazioni per la gestione del personale, degli ordini e anche del magazzino, a quelle per il monitoraggio e alle moltissime altre per le necessità più disparate. Da un unico punto di accesso, con la piattaforma di Smi è possibile integrare tra di loro le app che governano aspetti separati, per avere un controllo e un monitoraggio proattivo, semplice, immediato, flessibile, capace anche di restituire dati e informazioni di valore per la pianificazione strategica delle attività. Una capacità di saper esplorare il nuovo che i clienti hanno riconosciuto e confermato in questi anni: da un bilancio di poco più di un milione di euro nel 2016 sino agli oltre 7 del 2019. Una crescita che per Smi non è un traguardo, ma solo un passaggio per poter guardare più lontano.

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Crema


STORY-LEARNING

Ruggero Verazzo, co-fondatore di Covisian

Il call center “intelligente” moltiplica la performance In cinque anni Covisian ha decuplicato il proprio fatturato. E non solo per via delle acquisizioni effettuate, ma grazie a un sistema evoluto basato sul machine learning, che però non sostituisce gli operatori di Marco Scotti

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l call center: una gran scocciatura sia che sia outbound (cioè che effettui le chiamate verso la clientela) sia che sia inbound (e che quindi le chiamate le riceva). Perché nel primo caso a risentirsi sono i cittadini, che rischiano di essere subissati di telefonate più o meno moleste; nel secondo sono le aziende stesse che si trovano di fronte a utenti inferociti che necessitano di soluzioni rapide. In entrambi i casi, si è sempre cercato un unico comun denominatore: risparmiare e massimizzare i risultati. O, almeno, così sembra. Perché in realtà il call center, se aiutato dalle nuove tecnologie, può diventare perfino “intelligente” e salvare posti di lavoro. È il caso di Covisian, una realtà tutta italiana che opera nel segmento dei contact center e che è salita agli onori delle cronache nelle scorse settimane per aver “salvato” 423 posti di lavoro a Casarano subentrando alla Call&Call nella commessa per Enel. E sempre Covisian, nelle scorse settimane, ha rilevato quattro società in Spagna e America Latina, arrivando a un organico di oltre 17.000 lavoratori distribuiti

in sei Paesi: Italia, Colombia, Albania, Romania, Perù e Spagna. «È ovvio che quando fai outsourcing di una funzione aziendale – ci spiega Ruggero Verazzo, co-fondatore di Covisian – il primo parametro che si considera è quello del prezzo. Ma questa logica del risparmio ad ogni costo si sta decisamente “smontando” e il mercato si sta differenziando. Perché oggi si cerca un livello di relazione con il cliente che sia di livello più elevato, che garantisca un ritorno sia nel caso del customer care, sia nel caso del call center puro, deputato alla vendita di servizi». Il sistema messo a punto da Covisian, che le ha permesso di passare da 30 milioni di euro di fatturato a oltre 300 nel giro di cinque anni – oltre che tramite acquisizioni – ha un nome importante: Sparta. Si tratta di una tecnologia abilitante, ovvero di un modulo di intelligenza artificiale che non soppianta gli operatori ma, anzi, che ne potenzia il raggio d’azione. «Il nostro sistema – prosegue Verazzo – consente di aumentare tutti gli indicatori di performance e cambia la logica di relazione con il cliente: non veniamo più pagati a contatto o a ore, ma

in base a una serie di indicatori che stabiliscono bonus e malus». Tradotto: se un call center deve vendere un servizio, l’azienda committente riconoscerà un premio a Covisian nel caso in cui l’Arpu (ovvero il ricavo medio per chiamata) aumenti. O se si mantengono i clienti e si incrementa il guadagno. Si tratta di una nuova prospettiva che fa del call center non più una commodity utilizzata senza alcun tipo di criterio solo per massimizzare il potenziale pubblico raggiungibile – ma con performance veramente scarse; piuttosto, la possibilità di interagire con i clienti consente di mettere a punto un algoritmo di machine learning, sempre più preciso, che possa così essere utile per la procedura di vendita. «In questo modo valutiamo il nostro lavoro sul futuro – prosegue ancora il fondatore di Covisian – e, al tempo stesso, miglioriamo ogni volta la qualità della chiamata, profilandola sempre di più. Ci sono clienti più sensibili agli sconti, altri che invece preferiscono ricevere servizi aggiuntivi. Noi siamo in grado di capire queste modificazioni e di offrire un servizio quanto più completo». Uno scenario di questo tipo non si tramuta in un futuro distopico in cui le macchine hanno ormai preso il sopravvento e gli umani sono confinati in un angolo. Anzi, con la tecnologia si migliorano le relazioni. «Mancano ancora decine di anni – conclude Verazzo – alla sostituzione degli umani con le macchine. D’altronde, il nostro compito è quello di sviluppare tecnologia “umana”, cosa che stiamo facendo da oltre un decennio, da quando abbiamo avviato questa iniziativa. Sviluppiamo internamente le nostre soluzioni software e di processo e abbiamo sempre cercato di essere noi in primis a trovare i modelli di business più efficaci. L’intelligenza artificiale è la naturale evoluzione. Ma non c’è nessun pericolo di sostituzione».

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STORY-LEARNING

La fabbrica del sushi alla conquista della Gdo Da Carrefour a Bennet, passando per Simply, Conad e molti altri: è KellyDely a rifornire le catene di supermercati. Fatturando 58 milioni di euro grazie alla sua nuova cucina centralizzata a Concorezzo di Gilda Ciaruffoli

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aremo il miglior sushi al mondo». È questa la promessa che una giovanissima Kelly Choi ha fatto, all’inizio della sua carriera, a Yamamoto-San, celebre maestro nell’arte del taglio del pesce, amico e mentore della fondatrice di KellyDeli. Siamo nel 2010, in Francia, dove Kelly e suo marito Jerome Castaing stanno gettando le fondamenta di quello che, in meno di 10 anni, diventerà il brand leader europeo nella vendita di sushi fresco, con un fatturato di 350 milioni in Europa (58 milioni in Italia), 800 fully-serviced stand sushi in 11 Paesi e due Central Kitchen: la prima ad Amsterdam e la seconda in Brianza, inaugurata lo scorso ottobre a Concorezzo. Ora, non sta a noi dire se quello a marchio Sushi Daily sia davvero il miglior sushi al mondo, ma di certo i prodotti KellyDeli stanno con-

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tribuendo a cambiare le abitudini alimentari italiane, trasformando la cucina giapponese da sfizio occasionale, ad abitudine quotidiana. «Vorremmo che il sushi entrasse nell’immaginario europeo come la pizza è entrata in quello asiatico, perdendo la sua connotazione etnica, ma diventato patrimonio dell’umanità», ci ha

PER OGNI PARTNER NEI CHIOSCHI PRESENTI NEI PUNTI VENDITA DELLA GDO È PREVISTA LA FORMAZIONE DIRETTA CON TRAINING TEORICI E PRATICI

detto Kelly Choi in occasione dell’inaugurazione di Concorezzo. «Oggi il mercato del sushi in Europa esprime solo l’1% delle sue potenzialità, e per accrescere questa cifra è importante essere sempre più vicini alle esigenze dei consumatori – prose-

gue Choi – Noi da subito ci siamo collocati con i chioschi all’interno degli ipermercati, e oggi con le Central Kitchen e il delivery stiamo facendo passi avanti in questa direzione». Tutto è iniziato con una start up e una partnership con Carrefour per l’apertura del primo chiosco in un punto vendita di Lione. Ad oggi i chioschi restano il core business aziendale, grazie al loro concept innovativo a metà tra l’esposizione per la vendita e lo show cooking. I prodotti vengono confezionati al momento da veri e propri artigiani del sushi sotto gli occhi dei clienti, a partire dalla cottura del riso, dal taglio del pesce e delle verdure. Sul mercato italiano Sushi Daily è leader di settore con 157 chioschi aperti in soli sei anni all’interno delle catene Bennet, Carrefour, Il Gigante, Pam Panorama, Iperal, Conad, Iper, La grande i, Gruppo Poli, Pewex, Tigros, Sole365, Elite e Simply; a giugno 2018 è stato inaugurato il primo punto vendita con sedute nella Terrazza Termini della stazione di Roma. «Dopo la Francia, l’Italia è stato il primo Paese al quale si è rivolto KellyDeli, e ancora oggi è il secondo mercato del business globale del Gruppo, ma anche quello sul quale abbiamo in atto più collaborazioni – commenta il ceo Silvano Delnegro – In Francia il nostro interlocutore principale è Carrefour, in Italia abbiamo 15 re-


UN PONTE TRA EUROPA E ASIA La forza del marchio Sushi Daily sta anche nella varietà dell’offerta (140 ricette in menu) e nella continua ricerca che ha portato di recente, ad esempio, a lanciare la linea “Sushi+Benessere” che abbina salmone e riso a quinoa, alghe o riso nero, tutti alimenti

percepiti come “super food”. Ma non solo. «KellyDeli è più di una sushi company, vuole essere un ponte tra Asia e Europa» spiega Choi. E in effetti l’azienda si sta muovendo in questa direzione grazie a una serie di nuovi concept. Come Bam’bu, orientato alla cucina del Sud

tailer e i chioschi sono in franchising: solo uno, quello di Carugate, è a gestione diretta, per il resto abbiamo accordi con le varie catene e rigiriamo lo spazio al singolo imprenditore che solitamente ne gestisce uno o due. Per ogni partner prevediamo una formazione diretta, con un training teorico e pratico per assicurare al cliente il nostro standard». Dunque si fa la spesa, si compra il sushi appena fatto, a un prezzo contenuto (la spesa media è 15 euro), e si torna casa. Una formula vincente al punto che l’obiettivo per il 2020 è di aprire ulteriori 40 chioschi in Italia, ampliando il mercato anche al Centro-Sud, perché al momento gli stand sono concentrati per il 70% nel Nord del Paese. Ma non basta. Perché le esigenze dei clienti stanno cambiando. «Una recente ricerca inglese dice che a Londra, al momento del pranzo,

Est asiatico, del quale è stato inaugurato lo scorso ottobre il primo punto vendita a Lonato del Garda nell’area commerciale Finipe. Tra gli altri concept KellyDeli: Korma Kitchen (cucina indiana) e Tuk Tuk (insegna di asian bistro), dei quali è previsto a breve l’ingresso in Italia.

le persone non vogliono percorrere più di 300 metri per mangiare, quindi o sei a 5 minuti dall’ufficio o da casa o sei fuori» commenta il ceo. «Il mondo della prossimità sta crescendo molto rapidamente, c’è uno shift strutturale di mercato che è qui per rimanere e crescere, e la sfida per noi è di assecondare questa tendenza L’OBIETTIVO PER IL 2020 È QUELLO DI APRIRE ALTRI 40 CHIOSCHI IN ITALIA, AMPLIANDO IL MERCATO SOPRATTUTTO AL CENTRO E AL SUD DELLA PENISOLA

mantenendo alta la qualità. Forse siamo partiti leggermente tardi, ma stiamo facendo un buon lavoro per recuperare». L’apertura della Central Kitchen di Concorezzo va in questa direzione. Inaugurata a soli sei mesi dal progetto iniziale, la struttura occupa uno spazio di 180 mq, quasi il doppio di quella olandese. Al suo interno al momento dell’inaugurazione operavano 5 persone, che a pieno regime dovrebbero essere 15, obiettivo previsto entro marzo 2020. La cucina è attiva dalle 22 alle 6 del mattino, orario durante il quale il sushi viene preparato: in un anno si stima che verranno lavorati oltre 7000 salmoni, cotto l’equivalente di 2000 sacchi di riso e prodotti circa 420.000 vassoi di sushi destinati a coprire il settore dei mercati di prossimità, con una prospettiva a regime di circa 40/50 vetrine. Per quello che riguarda la materia prima, è attiva già da tempo una collaborazione con Mondo Riso, di Vercelli, mentre il salmone

arriva intero dal Nord Europa con 4 consegne settimanali. Dal punto di vista logistico la scelta di Concorezzo è strategica, con i mezzi che si immettono nel traffico alle 6 del mattino e una volta arrivati a Milano consegnano il prodotto ad Apecar elettriche e mezzi ibridi che coprono l’ultimo tratto per il punto vendita. A occuparsene FoodLogica, la stessa azienda che opera anche ad Amsterdam, e in quel caso l’ultimo miglio è coperto in bicicletta. Altro aspetto sostenibile dell’impresa sta nelle modalità di smaltimento del prodotto: il sushi che esce dalla Central Kitchen non ha shelf life, l’invenduto a fine giornata viene reso, e per ovviare a questo spreco sono in atto accordi con la app Too Good To Go che rende acquistabili prodotti a breve scadenza a un prezzo molto ridotto. Nel prossimo futuro è prevista l’inaugurazione di una terza Central Kitchen a Parigi e in programma ci sono altre aperture italiane. Inevitabile infine guardare al delivery. Al momento è possibile acquistare i prodotti Sushi Daily su Amazon, solo su Milano, ed è una novità delle ultime settimane. All’estero il brand è presente sullo shop on line alcuni retailer, come Carrefour, ed è in atto una collaborazione con Deliveroo. «Utilizziamo anche il canale delle Dark Kitchen – conclude Delnegro – cucine che vengono affittate direttamente dai grandi distributori. Si tratta di un mondo in evoluzione e di un’area che dovremo integrare con quella delle Central Kitchen proprio per il delivery».

IL SOGNO

Kelly Choi e Jerome Castaing sono tutt’oggi azionisti al 100% di KellyDely. «Vengo dalla Corea del Sud, la mia famiglia era povera e numerosa, e il mio sogno era andare alle scuole superiori», racconta Kelly. Che nel 1994 parte per la Francia con il progetto di aprire una sua azienda e formare una famiglia. Tutti obiettivi raggiunti. Oggi Kelly dà lavoro a più di 4000 persone in tutta Europa «principalmente di origine asiatica, per dar loro la possibilità che ho avuto io», racconta.

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STORY-LEARNING IL PAESE CHE CRESCE

PARTNERSHIP TRA CONFINDUSTRIA E MICROSOFT

CON QUESTO ACCORDO LE NUOVE TECNOLOGIE GUIDANO LO SVILUPPO DELLE PMI

Sfruttando le nuove tecnologie (specie l’Ai), una nuova spinta per le pmi Confindustria e Microsoft annunciano un nuovo accordo di collaborazione che fa leva sulla sinergia tra il progetto di formazione e accelerazione digitale di Microsoft Ambizione Italia e la rete di Digital Innovation Hub. Obiettivo condiviso è quello di supportare la trasformazione digitale del sistema economico italiano, contribuendo alla diffusione di una cultura digitale. L’impegno di Confindustria e Microsoft nell’ambito di questa nuova partnership si rivolge in particolare alle pmi, che

costituiscono oltre il 99% del tessuto economico italiano e che possono sfruttare al meglio tutte le potenzialità offerte dal digitale per crescere, contribuendo alla competitività del Paese. Confindustria e Microsoft avvieranno quindi un piano di formazione congiunto per diffondere la conoscenza degli strumenti digitali e aiutare le piccole e medie realtà a cogliere le opportunità offerte da Cloud Computing, Artificial Intelligence e dalle tecnologie abilitanti incluse nel Piano Impresa 4.0.

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BALOCCO: CRESCE IL FATTURATO, PRONTI INVESTIMENTI PER 30 MILIONI IN NUOVI PRODOTTI L’azienda, anche in vista del Natale, ha aumentato la produzione, puntando soprattutto sui frollini con ingredienti “sani” Balocco punta con decisione ai nuovi trend alimentari che stanno caratterizzando le scelte dei consumatori, puntando sulla healthy indulgence. La sensibilità verso i prodotti che fanno bene è altissima: nel 2019 i consumi di biscotti integrali registrano una crescita del 7,5% e crescono sia il gradimento verso ingredienti come la farina integrale, il grano saraceno, lo zucchero di canna, che la curiosità verso i semi ed i cereali germogliati. Non si tratta più di nicchie, ma di comparti che valgono oltre un quarto del mercato dei prodotti

LO STABILIMENTO DI BALOCCO A FOSSANO

da prima colazione: Balocco risponde a queste esigenze con il lanciodi tre nuovi frollini, tutti rigorosamente integrali: si tratta di tre prodotti che hanno diverse “dotazioni”. Ad esempio nel caso di biscotti con grano saraceno, gocce di cioccolato e zucchero di canna; prodotti con cinque cereali - farro, avena, orzo, segale e frumento – e semi di chia, lino e girasole. O, ancora, biscotti con cereali germogliati di farro, frumento, grano saraceno e zucchero di canna. Balocco è il secondo player del mercato frollini con una quota a volume dell’8%.

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MIA, L’ACCELERATORE DI STARTUP “IN ROSA”

LAYLA PAVONE, CIO DI DIGITAL MAGICS

Digital Magics e il Gruppo Bnp lanciano la seconda edizione del programma Al via la seconda edizione di MIA - Miss In Action, il programma di accelerazione dedicato alle startup al femminile, promosso da Digital Magics e dal Gruppo BNP Paribas, che ha l’obiettivo di supportare la creazione di imprese digitali tecnologiche che siano fondate o che abbiano per la maggioranza del team una rappresentanza femminile. L’idea nasce dal fatto che nell’ecosistema dell’innovazione italiano le imprenditrici sono ancora molto poche: secondo le recenti rilevazioni del MISE, solo

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il 13,5% è costituito da donne. L’iniziativa è stata presentata al Gamma Forum Milano dalle due fondatrici del Programma di Accelerazione MIA, Layla Pavone, Chief Innovation Officer di Digital Magics e Isabella Fumagalli, ceo di Bnp Paribas Cardif, con la partecipazione di Mauro Bombacigno, Direttore Engagement di Bnp in Italia, Roberta Cocco, Assessore alla Trasformazione Digitale di Milano e Luciana Delle Donne, Fondatrice dell’iniziativa Made in Carcere.

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I DIECI PASSI PER SCEGLIERE IL FRANCHISING GIUSTO

FRANCHISING & NUOVE IMPRESE

Vietato improvvisare affidandosi all'istinto: ecco come valutare le offerte sul mercato senza cadere nelle trappole più comuni. Empatia e fretta, per esempio, non sono mai buone consigliere di Luca Fumagalli (formatore e consulente)

125 MCDONALD'S TUTTO IL GUSTO DI DIVENTARE IMPRENDITORI DI SUCCESSO

126 UNIPOSTE LA FORZA DI UN BRAND SI RIFLETTE NEI SERVIZI

129 INTERFLORA IL FIORE ALL'OCCHIELLO DI OGNI AFFILIAZIONE

130 RECROWD PICCOLI IMMOBILIARISTI CRESCONO GRAZIE AL CROWDFUNDING

132 EASYCASSA IL SISTEMA DI CASSA TELEMATICO IN ABBONAMENTO

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l principale errore da evitare, in sede di valutazione preliminare delle opportunità di franchising, è quello di non informarsi, scegliendo d’istinto e in tutta fretta. È assolutamente sbagliato affidare il proprio denaro e il proprio futuro professionale ad una bella comunicazione pubblicitaria, a frettolose ricerche sul web, alla presunta “buona fede” dell’interlocutore, alla simpatia istintiva o alla necessità imposta da qualche franchisor di “decidere subito”. Occorre prendersi tutto il tempo necessario per ottenere riscontri da altre fonti sulle informazioni ricevute. Occorre condividere la scelta definitiva non solo con i propri consulenti e con tutti quelli di cui ci si fida, ma anche con veri esperti della materia. Occorre, soprattutto, fare un intenso “lavoro a casa”.

Di seguito, i 10 passi per fare la scelta giusta.

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Autovalutazione Cosa so fare? Che tipo di attività o che settori mi attraggono? Sono solo o posso contare su qualche aiuto, in qualità di socio o collaboratore? Di che risorse economiche posso disporre? Dove intendo svolgere la mia attività? Informazione Cosa vuol dire franchising? Che tipo di impegni comporta diventare un franchisee? Cosa prevede la legge sull’affiliazione commerciale? Chi o cosa mi può tutelare? Chi è esperto in questa materia? Analisi dell’offerta esistente Dove trovo informazioni sulle aziende affilianti? Fiere, riviste, portali specializzati, annuari: tutte queste fonti di informazione van-

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FRANCHISING E NUOVE IMPRESE

no prese in considerazione per censire l’intera gamma di progetti presenti in tutti i settori potenzialmente interessanti. Nessuna fonte, di per sé, è esaustiva. Meglio prendersi del tempo per cercare tutte le informazioni prima, che accorgersi dopo di quanto era adatta a me proprio quella opportunità che mi sono lasciato sfuggire. Comparazione e prima scrematura Qual è il settore che più mi convince? Quali tra i franchisor di un settore sembrano più adatti alle mie esigenze? Occorre mettere a confronto le informazioni provenienti da più fonti, su più business alternativi, su più marchi nello stesso settore: questa attività di LUCA FUMAGALLI comparazione ad ampio raggio mi permette di far emergere ciò che sto realmente cercando. Il confronto tra l’offerta e le mie esigenze mi in trasferte e incontri. La documentazione informativa preliconsente poi di restringere il campo di valuminare tazione. Il mio mercato di riferimento La legge sull’affiliazione commerciale prevede Quali franchisor sono già presenti nel mio che ciascuna azienda affiliante metta a dispoterritorio? Cosa c’è e cosa manca? Che tipo sizione una dettagliatissima serie di infordi offerta potrei proporre con più successo? mazioni “…almeno trenta giorni prima della Quali sono i gusti, i bisogni e le esigenze della sottoscrizione di un contratto di affiliazione clientela di riferimento? Nel mia città qual è la commerciale …”: situazione competitiva a) principali dati relaLA SCELTA DEL BRAND A CUI AFFIDARSI tivi all'affiliante, tra cui del settore specifico? VA PONDERATA ACCURATAMENTE Valutato lo scenario IN COLLABORAZIONE CON CONSULENTI ragione e capitale solocale in termini di dociale e, previa richiesta SPECIALIZZATI NEL SETTORE manda e offerta sono dell'aspirante affiliato, ormai pronto per contattare i franchisor “socopia del suo bilancio degli ultimi tre anni o pravvissuti” alla cernita. dalla data di inizio della sua attività, qualora Vedere e toccare con mano esso sia avvenuto da meno di tre anni; Il contatto con i marchi franchisor che ho b) l'indicazione dei marchi utilizzati nel siste“promosso alla fase successiva” non deve mai ma, con gli estremi della relativa registrazione essere solo “virtuale”. Siti internet, e-mail, colo del deposito, o della licenza concessa all'afloqui telefonici vanno benissimo per i primi filiante dal terzo, che abbia eventualmente la scambi di informazioni. Ma quando c’è vero proprietà degli stessi, o la documentazione interesse bisogna passare prima possibile al comprovante l'uso concreto del marchio; mondo reale. Visitare sedi, entrare nei punti c) una sintetica illustrazione degli elementi cavendita o negli uffici, conoscere il personale inratterizzanti l'attività oggetto dell'affiliazione terno delle aziende affilianti, toccare i prodotti, commerciale; consultare i cataloghi, “respirare l’atmosfera” d) una lista degli affiliati al momento operanti di un franchisor: questi sono passi indispensanel sistema e dei punti vendita diretti dell'afbili per una scelta oculata. Durante questa fase filiante; decisiva del percorso di valutazione non devo e) l'indicazione della variazione, anno per mai avere timore di investire tempo o denaro anno, del numero degli affiliati con relativa

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ubicazione negli ultimi tre anni o dalla data di inizio dell'attività dell'affiliante, qualora esso sia avvenuto da meno di tre anni; f) la descrizione sintetica degli eventuali procedimenti giudiziari o arbitrali, promossi nei confronti dell'affiliante e che si siano conclusi negli ultimi tre anni, relativamente al sistema di affiliazione commerciale in esame, sia da affiliati sia da terzi privati o da pubbliche autorità, nel rispetto delle vigenti norme sulla privacy”. L’affiliante che non vuole o non è in grado di rilasciare tutte ma proprio tutte queste informazioni e la documentazione contrattuale completa, non fa per me. Visite e interviste agli affiliati Perché non andare a trovare o intervistare chi ha già fatto il passo di affiliarsi ad un determinato franchisor prima di me? Con garbo e buon senso si può chiedere tutto. E’ altrettanto lecito aspettarsi maggiore o minore riservatezza, tenendo anche conto dei diversi limiti previsti dai regolamenti interni di ciascuna rete. Naturalmente non devo sentire “una sola campana”. Meglio chiedere a più di un franchisee, per sincerarmi che le varie informazioni coincidano: sia quelle di segno negativo, che quelle positive. Valutazione finale della documentazione e del contratto Ho capito tutto? Ho ben chiaro ogni aspetto della collaborazione che vado ad avviare con il franchisor? Conosco bene gli impegni contrattuali e non contrattuali che ho preso? So cosa mi può accadere anche nelle ipotesi peggiori? Ho stilato un business plan con i miei consulenti? Mi sento in grado di avviare l’attività, ma soprattutto di portarla al successo? Se c’è anche il più piccolo dubbio è sempre meglio risolverlo prima, parlando apertamente sia con i propri consulenti che con il franchisor. La firma del contratto di affiliazione Se ho fatto bene i primi nove passi, il decimo è solo la naturale e stimolante conseguenza di una scelta ponderata. Non mi resta che affrontare la sfida con tutta la determinazione e la fiducia che solo un imprenditore sa mettere in campo.

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Tutto il gusto di diventare imprenditori di successo Quello di McDonald's è uno dei franchising più riusciti nel mondo: oltre a dare la possibilità ai licenziatari di sviluppare il proprio business locale, offre numerose possibilità di crescita

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l suo logo è famoso e riconosciuto in tutto il mondo: fondata nel 1955 negli Stati uniti e in Italia dal 1986, McDonald’s è oggi presente in oltre 100 Paesi con 37.000 ristoranti, l’80% dei quali gestiti in franchising, e 1.900.000 dipendenti. Sin dalle sue origini la storia di McDonald’s è il simbolo stesso del successo imprenditoriale: oggi in tutto il mondo sono oltre 30.000 le persone che hanno deciso di mettersi in proprio e di accettare la nuova sfida con entusiasmo e spirito di iniziativa. In Italia, dove l’azienda impiega circa 24.000 persone, il 95% con un contratto stabile, che servono ogni giorno un milione di clienti, i ristoranti McDonald’s sono per il 90% gestiti secondo la formula del franchising grazie a 140 imprenditori locali che testimoniano il radicamento del marchio al territorio italiano. Nel nostro Paese McDonald’s è in forte crescita e la rete in rapida espansione su tutto il territorio nazionale; per questo motivo l’azienda è

alla costante ricerca di persone che vogliano cogliere la sfida del franchising entrando a far parte della grande famiglia della M gialla e condividendone la storia, la filosofia e i successi fatti di un milione di clienti al giorno e 250 milioni di panini l’anno solo nel nostro Paese. Persone che abbiano non solo doti di leadership e spirito di iniziativa, ma che vantino anche la capacità di gestire il personale e l’approccio al cliente fondamentali per stringere una partnership di lunga durata (il contratto di

franchising infatti può durare fino a 20 anni) con il brand. Il franchisee ideale è una persona tra i 32 e i 49 anni, con solida esperienza professionale alle spalle, capace di gestire un team e di darsi obiettivi ambiziosi di lungo periodo. Il candidato dovrà affrontare un processo di selezione durante il quale vengono verificate le sue attitudini e la sua motivazione. Successivamente si passa a una fase di formazione sul campo. Sono molteplici le opportunità di sviluppo per i licenziatari, parallelamente alle responsabilità e alle sfide che si presentano quotidianamente. I licenziatari McDonald’s, infatti, lavorano attivamente e in prima persona tutti i giorni nei ristoranti insieme al proprio staff e organizzano iniziative locali a supporto delle vendite. Tutti i franchisee sono affiancati dal personale di sede per quanto riguarda sia gli aspetti operativi e finanziari sia quelli relativi al marketing e alla comunicazione. Per questo motivo il rapporto con l’azienda è molto stretto e le relazioni sono quotidiane. Quello di McDonald’s è uno dei sistemi di franchising di maggior successo al mondo che, oltre a dare la possibilità ai licenziatari di sviluppare i propri obiettivi a livello locale, apre le porte verso numerose possibilità di crescita professionale e verso il raggiungimento dei propri obiettivi di business. Il tutto in maniera sinergica con lo sviluppo dell’azienda nel suo complesso, prendendo parte ad un progetto di espansione e crescita che va ad alimentare il successo di McDonald’s nel mondo. Diventare franchisee di McDonald’s non è però un’impresa per tutti: oltre a possedere alcuni requisiti fondamentali - come la capacità finanziaria personale - i candidati dovranno dimostrare di essere pronti a diventare rappresentanti del marchio sul territorio, affrontando un rigido processo di selezione e formazione. Siete motivati, non temete le sfide e volete iniziare una nuova vita unendovi a McDonald’s per condividerne i successi? Allora la proposta di McDonald’s fa per voi: potete trovare tutte le informazioni, i requisiti e il modulo di candidatura su https://www.mcdonalds.it/mcdonalds-italia/franchising.

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FRANCHISING E NUOVE IMPRESE

DA SINISTRA: SEVERINA MIELE, IRENE PIVETTI, FRANCESCO PADUANO

La forza di un brand si riflette nei servizi Dal credito ai prodotti assicurativi, dai viaggi al noleggio auto, dalle carte di pagamento ai Pos: UniPoste ha un panel di offerte che va oltre le semplici spedizioni LA STORIA DEL PROGETTO IN FRANCHISING E DEL BRAND UNIPOSTE, UNO DEI MAGGIORI NETWORK ITALIANI NEL SETTORE DI SERVIZI DI CREDITO E PRODOTTI ASSICURATIVI, POS, VIAGGI E NOLEGGIO AUTO, SERVIZI POSTALI, CONTI E CARTE, è raccontata da

Francesco Paduano, presidente del marchio. Oggi la rete conta, nel nostro Paese, cinque filiali a gestione diretta (Agropoli, Tropea, Torino, Napoli e Salerno), due Hub (Agropoli e Roma) e quindici agenzie in franchising dislocate sul territorio nazionale, con altre quattordici di prossima apertura. Per l'estero il mercato è ancora in fase di valutazione.

Come nasce UniPoste e quando ha avviato il progetto in franchising? UniPoste Spa è nata nel 2014, quando alcuni imprenditori hanno selezionato e studiato i prodotti e i servizi di cui, ogni giorno, famiglie e imprese hanno bisogno. L’idea si è

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concretizzata l’anno dopo, dando vita alla prima realtà imprenditoriale entrata nel mercato liberalizzato Postal&Utility. Oggi lo studio del mercato e le giuste intuizioni ci hanno portato allo sviluppo di progetti all’avanguardia anche in settori come il noleggio di auto e moto, telefonia ed efficienza energetica. Per avanguardia intendo: reinvenzione totale del business, per cui Uniposte non è “solo Poste”, ma una struttura d’azienda completamente nuova, secondo il modello del franchising che offre servizi rapidi e supportati da sistemi altamente tecnologici. Il business è canalizzato nelle quattro società del gruppo con le seguenti quattro business unit: finanziamenti, assicurazioni, viaggi e vacanze, posta e spedizioni.

Come è nata l'idea? La diffusione dei telefoni cellulari e la loro evoluzione ha consentito a miliardi di persone di scambiarsi informazioni di qualsiasi tipo (voce, testi, immagini, video, etc.) e di raggiungere livelli di interazione elevatissimi con strumenti molto sofisticati (pagamenti, ecc.). In questi anni, due sono stati i punti di svolta importanti: il primo, l'attuazione della legge 124/2017 che ha previsto la piena equiparazione di tutti i fornitori dei servizi postali; la seconda, lo scambio di denaro (money transfer & mobile payments) attraverso l'uso del telefono cellulare. Per cui, con la liberalizzazione del mercato postale e il money transfer, ecco che l’idea di UniPoste Spa diventa realtà. Il progetto è un contenitore di prodotti e servizi di cui quotidianamente hanno bisogno famiglie e imprese. Infatti già nel primo punto vendita si erogavano - oltre al prodotto postale e alle spedizioni, servizi come assicurazioni, finanziamenti viaggi e vacanze. La società, pronta sempre a osservare le evoluzioni e le opportunità che il mercato offre, arricchisce poi la sua offerta integrandola di altri prodotti e servizi ad alta redditività, stipulando infatti accordi con i principali player del settore quali: noleggio auto e moto, telefonia ed efficienza energetica. Il nostro format


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permette, ai soggetti interessati, di operare nella propria rete in franchising attraverso nuove formule di affiliazione commerciale: Sprint e Professional.

Quali sono state le strategie e i segreti della crescita del format? L’ottimo rapporto qualità/prezzo dei prodotti e servizi erogati, il know-how in nostro possesso, la piattaforma tecnologica usata, l’intensa attività di marketing e i corsi di formazione offerti. Importante è infatti l’attività formativa che mettiamo in campo con UniPoste Academy: una scuola che offre corsi di programmazione, web design, digital marketing, corsi di intermediazione assicurativa, di credit management, di tour operator, agente finanziario, human resource management. UniPoste quindi punta e ha puntato sul fattore umano, ottenendo la fiducia del consumatore attraverso la preparazione e la competenza, l’empatia e la passione nel proprio lavoro. Qual è stato l'errore più importante che ha commesso e che cosa ha imparato da quell'errore? Creare filiali nei centri commerciali perché non hanno portato i risultati sperati. In più, riguardo ai potenziali affiliati, il titolare dell’agenzia deve avere il profilo giusto per noi. Alle volte è stato difficile trovarlo. Infatti, il “matrimonio” è un passo che si compie in due e il connubio perfetto è il patentino del ʽsaper fareʼ, perché i soli prodotti e servizi offerti di qualità non sono sufficienti. Qual è stata la sfida che ha affrontato e come l'ha superata? L’obbligo di legge tra privati e verso i consumatori e l'adeguamento anche al sistema della fatturazione elettronica. La Commissione Europea si è resa conto che tutelare le persone era l’unica strada da seguire. La liberalizzazione del mercato che è stata l’Unione stessa ad implementare, e che ha investito anche e soprattutto il nostro settore,

non poteva non accompagnarsi a contromisure serie per la responsabilizzazione delle aziende. Al di là di tutto, lo spettro di strumenti money transfer & mobile payments, mi riferisco soprattutto al MyPos. Le criticità individuate dal Garante sono state infatti di natura istituzionale. Senza compliance né le aziende, né gli intermediari, né la stessa Agenzia delle Entrate hanno il diritto di conservare e trasmettere i dati implicati da ogni pagamento. Il nostro sistema è stato dotato, proprio per questo, di virtù uniche (capacità di inviare e ricevere bonifici, revolving, incasso in tempo reale su conto dedicato e carta personale, etc.), in più è ecosostenibile

e sicuro, altrimenti non staremmo qui a parlare di una soluzione all-in-one. Per andare lontano c'è quindi bisogno, per ogni mercato e business specifico, della consapevolezza di mettere la sicurezza al primo posto.

Quale ritiene sia stato il suo successo più importante? Sicuramente la partnership con Groupama Assicurazioni Spa dopo due anni di incontri, riunioni, approfondimenti, scambio di documenti e due diligence. Poi, anche il percorso, costellato di impegno, passione e innovazione, affrontato fino a ora, che si può sintetizzare in queste parole: «Dove tieni la mano devi tenere la testa, dove tieni la testa devi tenere il cuore, altrimenti il lavoro non viene bene». Quali sono i suoi obiettivi futuri? Stiamo lavorando per concludere altre partnership importanti sulla falsariga di Groupama nelle altre business unit, così da sviluppare il nostro progetto non solo sul versante B2B ma anche e soprattutto sul versante B2C aumentando le fidelizzazioni, i consensi e la qualità dei prodotti erogati.

LO STAND UNIPOSTE AL SALONE FRANCHISING MILANO 2019

Per maggiori informazioni: www.uniposte.it franchising@uniposte.it numero verde 800.242616

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FRANCHISING & NUOVE IMPRESE

Quando la carta è più importante del regalo Il Natale 2019 fa da apripista ai trend di mercato del 2020 e spalanca le porte alle Gift Card: il trend targato Usa fa sempre più presa anche in Italia, complici nuovi prodotti e la pubblicità in Tv

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n tempo si diceva “Basta il pensiero”, ma a partire da questo Natale basterà davvero solo la carta, anzi, sarà la carta stessa ad essere il regalo. Ovviamente a patto che sia una Gift Card. Giochi di parole a parte, la fotografia del mercato parla chiaro: come confermato anche dal Global Marketing Trends report 2020 di Deloitte, il prossimo sarà l’anno delle carte regalo. Le Gift Card sono infatti ormai chiaramente lo strumento perfetto per mettere in comunicazione i brand, per i quali è sempre più importante raccogliere dati e conoscere i propri clienti, e i consumatori, alla ricerca di esperienze d’acquisto semplici, soddisfacenti e sempre più in grado di soddisfare ai pieno i loro bisogni della vita di tutti i giorni. Lo sa bene Epipoli, il Gruppo che nel 2006 ha introdotto le carte regalo in Italia tramite MyGiftCard, che per questo Natale ha deciso

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di cavalcare il trend con una campagna TV dedicata alla Epipoli prepagata Mastercard, il loro prodotto più venduto, e con il lancio di due nuovi prodotti, due Gift Card pronte ad intercettare le necessità dei consumatori: la Restaurant Card e la MyGiftCard Plus. Quest’ultima è un codice spendibile all’interno della piattaforma MyGiftCard che permette di scegliere direttamente sia dal catalogo MyGiftCard che da quello di Groupalia, con una gamma di offerte e marchi tanto vasta da garantire la soddisfazione anche dei parenti più incontentabili. La soluzione ideale, insomma, visto che solo lo scorso Natale l’ammontare dei regali non apprezzati era pari a 32 milioni, con 2,7 milioni di italiani pronti a rivenderli per poter acquistare un regalo davvero desiderato (Fonte eBay). La Restaurant Card, invece, è la prima carta prepagata in Italia spendibile in tutti i ristoranti, i bistrot, le piz-

zerie e i fast food che accettano Mastercard, un prodotto che intercetta un trend importante: quello per cui, secondo il Rapporto Ristorazione di Fipe - Federazione italiana pubblici esercizi, i pasti consumati fuori casa sono in costante crescita al punto che arriveranno a coprire il 40% della spesa dei consumatori nel 2030. Insomma: è il momento perfetto per lanciare un prodotto che consenta di regalare con facilità una cena o un pranzo speciale ai propri cari lasciandoli liberi di scegliere ristorante, momento e persino la compagnia senza doversi preoccupare del conto. Due prodotti nuovi di zecca che attendono i consumatori nelle decine di migliaia di punti vendita della GDO in cui è distribuito il catalogo MyGiftCard accanto ad una vasta scelta di carte regalo dei migliori marchi e ad un terzo prodotto decisamente smart che sta facendo molto parlare di sé: la Epipoli Prepagata Mastercard, la prima Gift Card in Europa ad essere protagonista di una campagna televisiva. La carta, utilizzabile per fare acquisti online e offline in uno dei 32 milioni di esercizi commerciali del circuito Mastercard, ideale anche per chi non ha un conto corrente (può essere utilizzata persino dagli under-18), a dicembre torna in fatti in TV con uno spot sulle reti La7, Mediaset, Rai, Sky, Discovery. Il momento, d’altro canto, è quello giusto: in America, secondo un White Paper recentemente pubblicato negli Stati Uniti, il 60% degli intervistati ha dichiarato di desiderare una Gift Card in regalo, in Germania il mercato delle carte regalo vale già 5 miliardi di euro (fonte Global Marketing Trends report 2020 di Deloitte) e in Italia si stima una crescita che porterà i volumi da 500 milioni di euro attuali ad arrivare a ben 20 miliardi complessivi nei prossimi 10 anni.


Ditelo con i fiori e non solo Per questo affiliarsi funziona Dalla formazione gratuita all'affidabilità e puntualità nei pagamenti: l'offerta Interflora, la rete di fioristi più grande del mondo, ha già convinto 58mila imprenditori nel mondo, 1.600 in Italia

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ouquet, composizioni in cesti o in vasi, bonsai e piante grasse, piante da interno ed esterno, sempreverdi e rampicanti: chi non apprezza un omaggio floreale? E soprattutto: chi non ha mai spedito un fiore con Interflora? Sono i migliori fioristi d’Italia: padroneggiano l’arte di regalare emozioni. Interflora è la rete fioristi più grande del mondo: sono 58mila gli affiliati, dei quali 1.600 nel nostro Paese. Perché sono tanti i vantaggi offerti dall’affiliazione a un marchio riconosciuto in tutto il mondo: maggiori volumi d’affari, incremento dell’attività grazie a business complementari, pubblicità costante sui maggiori canali pubblicitari, appartenenza a una rete internazionale integrata, accordi commerciali con aziende leader. E poi Interflora assicura a ogni affiliato una postazione completa, con un programma dedicato collegato a tutta la rete di affiliati sul territorio nazionale, l’assistenza costante, l’organizzazione di corsi di formazione gratuita, l’affidabilità e puntualità nei pagamenti. Con Interflora trasmettere un ordine è semplicissimo (c’è persino l’app dedicata) e si ricevono ordini da tutto il mondo. E Interflora non è solo piante: oltre ai fiori è possibile abbinare tanti regali per ogni occasione, festività o ricorrenza. Interflora offre infatti la possibilità di sorprendere con eleganza, arricchendo l’omaggio floreale con uno dei tanti regali presenti, dai peluche ai gioielli per lei o per lui, ai cofanetti viaggio o benessere e tanto altro. E poi, c’è un fiore perfetto per ogni occasione. Non solo per rendere indimenticabile e unico un matrimonio, con l’allestimento della chie-

sa, la decorazione della sala del ricevimento, il bouquet della sposa, il fiore all’occhiello dello sposo, le creazioni floreali da abbinare a partecipazioni e inviti, le bomboniere floreali e i ringraziamenti. Anche per la vita aziendale, che si tratti di arredare l’ufficio, di allestire sale meeting per convegni e convention, di noleggiare piante per brevi periodi, di fare regali aziendali ai propri dipendenti o ai propri clienti, di creare la giusta atmosfera per premiazioni e scenografie. Inoltre, Interflora offre la possibilità di lanciare nuovi prodotti, campagne pubblicitarie, concorsi a premi, progetti solidali, iniziative di co-marketing con preventivi personalizzati per i maggiori brand sul mercato. Tutto questo, senza interruzioni: Interflora garantisce la consegna anche nei principali giorni festivi. Info: www.interflora.it marketing@interflora.it

DALLE ROSE AI PROFUMI: IL REGALO PERFETTO Chi non ha mai ricevuto o regalato una rossa Stella di Natale per celebrare le festività natalizie? E chi non è riuscito a resistere alla tentazione di scambiarsi un bacio portafortuna sotto un bel ramo di vischio allo scoccare della mezzanotte del primo giorno dell’anno? Parafrasando un antico detto, lo Staff di Interflora Italia ha

lanciato il motto nuovo ed azzeccato “Festa che fai, fiore che trovi”. Seppur cadano in piena stagione invernale, le festività natalizie sono contraddistinte da una grande varietà di fiori e piante che non temono il freddo e donano colori vivaci ed evocativi profumi: abeti, Stelle di Natale, pungitopo, vischio, agrifoglio. Per inviare auguri e pensieri affettuosi in occasione

delle festività natalizie a fiori e piante della stagione, si possono accompagnare preziosi doni: dal classico cesto di Natale con prodotti gastronomici e liquori, pregiati panettoni artigianali, selezioni di vini e spumanti e cioccolatini, ma anche un particolare profumo con un messaggio d’amore o un bel libro da leggere durante le giornate di festa.

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FRANCHISING E NUOVE IMPRESE

Piccoli immobiliaristi crescono col crowdfunding Sono sufficienti 500 euro per aderire alla proposta di Recrowd.com: l'investitore non compra quote dell'operazione di real estate, ma investe a fronte di un rendimento stabilito fin dal principio

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siste una forma d’investimento immobiliare accessibile anche ai piccoli risparmiatori. Si chiama real estate lending crowdfunding, viaggia su internet ed è possibile accedervi con soli 500 euro. La propone Recrowd.com, la piattaforma lanciata alla fine dell’estate 2019 che innova la raccolta di capitali nel settore real estate. L’investitore non compra quote dell’operazione, ma investe a fronte di un rendimento stabilito fin dal principio e nettamente più alto rispetto alle tradizionali forme d’investimento. Ne beneficiano anche gli operatori del settore che possono raccogliere fino a 8 milioni di euro per singolo progetto e gestire in modo veloce e sicuro i processi burocratici. Nata nel 2018, Recrowd è entrata a far parte nel febbraio 2019 di Speed MI Up, l’incubatore d’impresa di Università Bocconi e Camera di Commercio

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di Milano che aiuta le startup innovative e svolge attività di networking con potenziali investitori e partner. Il progetto è stato presentato ufficialmente a Riccione nel marzo 2019 durante l’evento Investitori Digitali. Contemporaneamente, è stata lanciata una campagna di equity crowdfunding su Opstart. È stato messo sul mercato il 13% di Recrowd,

per un valore pre money di 3 milioni di euro. La campagna ha raccolto oltre 400.000 euro, otto volte il minimo previsto. I due eventi milanesi “Il mattone diventa smart”, che si sono tenuti in maggio e giugno a Palazzo Giureconsulti e Copernico Isola For S32, hanno rafforzato la brand awareness e introdotto il pubblico ai vantaggi del real estate lending crowdfunding. A differenza delle altre piattaforme, Recrowd offre alle aziende immobiliari la possibilità di scegliere quattro tipologie di progetto, differenti per rischio, capitale minimo, durata e rendimento, per valorizzare al meglio i capitali degli investitori e adattarsi il più possibile ai loro profili di rischio. I progetti immobiliari proposti sulla piattaforma hanno un ottimo rapporto rischio/rendimento grazie alla selezione di partner altamente specializzati nella consulenza fiscale, legale e nella gestione di servizi immobiliari e grazie ad azioni di due diligence sulle società immobiliari proponenti i progetti. Inoltre, Recrowd è la prima piattaforma di crowdfunding immobiliare ad avere inserito un modulo di "trattativa personalizzata" per far negoziare il rendimento sul progetto direttamente tra l’azienda che lo propone e l’utente investitore. Il team di Recrowd è composto da figure con esperienza ventennale nel mercato immobiliare, negli investimenti, nel mondo bancario, nel digitale: Gianluca De Simone, Simone Putignano, Massimo Traversi, Maxx Mereghetti, a cui si sono aggiunte in un secondo tempo le partecipazioni strategiche di Claudio Citizia (Ceo, LuxforSale) e Maurizio Bel-lante (Ceo, MBHolding). Secondo Wall Street Italia, nel nostro paese ci sono quasi 1200 miliardi di euro fermi nelle banche. I risparmiatori non investono perché non sono soddisfatti dai tassi di interesse, perché non si fidano dei canali tradizionali, perché non conoscono alternative. L’obiettivo di Recrowd è con-quistare la loro fiducia rendendo l’investimento immobiliare accessibile e smart.


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La nuova zona franca d’Italia è diventata l'Albania Imposte sul profitto al 5% (ma niente tasse fino ai 40mila euro), costo del lavoro molto basso e incentivi per chi punta sul turismo: il Paese balcanico accelera nella strategia di attrazione di investimenti esteri

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uando 13 anni fa arrivai in Albania, mi resi subito conto che questo Paese era completamente diverso da come noi italiani lo immaginiamo. Ed ho scoperto che gli albanesi sono persone stupende». Le parole di Roberto Laera (nella foto), 48 anni, fondatore di Italian Network, Job in Albania e Albania Investimenti società che si occupano di consulenza all’internazionalizzazione delle imprese, fiscalità, contabilità, ricerca e selezione del personale e società fiduciarie, supporta le imprese italiane che guardano con curiosità all’altra sponda dell’Adriatico. L’Albania è un luogo ideale in cui investire: il sistema fiscale e il costo del lavoro nel Paese delle Aquile sono infatti ad un livello decisamente abbordabile. Ci sono più di 5000 imprese italiane che hanno aperto sedi ed attività di vario genere a Tirana. Abbiamo un paradiso fiscale dietro l’angolo ma in pochi se ne sono accorti. E il Paese, in pieno boom economico, offre ampi spazi per investimenti in vari settori. Il 2019 sta aggiungendo cifre nuove e rilevanti anche sul versante strategico della fiscalità’ d’impresa: le ultime misure di politica fiscale vedono l’imposta sul profitto diminuire di tre volte, dal 15% al 5%: per le imprese con fatturato fino a 14 milioni di Lek (circa 113 mila euro); fino a 40.000 euro di reddito si pagano zero tasse. L’imposizione sui dividendi diminuisce dal 15% all’8%, per oltre 15.000 società o circa 50.000 investitori azionari. Novità anche sul fronte Iva: che viene ridotta al 6% per i ser-

vizi di alloggio e ristorazione all’interno delle strutture turistiche e delle imprese agrituristiche; ma anche alla vendita di libri e all’ importazione di autobus elettrici. Completamente esenti da Iva sono, fra l’altro, l’importazione di macchine e gli investimenti in energia rinnovabile. I contributi previdenziali arrivano al 16%. Il costo del lavoro è molto basso e i contratti sono flessibili: si può licenziare con preavviso verbale di 72 ore, si possono fare assunzioni verbali con formalizzazione entro i 30 giorni. Lo stipendio base va dai 250 ai 350 euro. «Turismo e agroindustria sono aree di business prioritarie nella strategia-Paese Albania: entrambe muovono lo sviluppo immobiliare e sollecitano la crescita infrastrutturale del Paese», sottolinea Laera. Il governo ha varato una politica di incentivi a chi punta sul settore turistico: chi investe più di un milione di euro o realizza strutture a quattro o cinque stelle, non paga tasse per 10 anni. Nel settore tessile invece chi produce in conto terzi può sfruttare agevolazioni sull’accise, sul costo del gasolio per i trasporti e sulle tasse sui lavoratori. Laera non ha dubbi: «I settori su cui puntare sono, manifatturiero, turismo, servizi, information-technology e agroalimentare». Tra gli altri vantaggi, la crescita media del Pil del 5,1 per cento negli ultimi 9 anni; la forza lavoro qualificata; il trattato sulla doppia imposizione con l’Italia; il livello di istruzione superiore alla media Ue; la lingua italiana parlata da buona parte della popolazione; i forti incen-

tivi da parte del Fmi e Bce per le iniziative imprenditoriali; la presenza capillare di banche internazionali (Raiffaisen, Societè Generale, Pro-Credit) e italiane (Banca Intesa). info@italian-network.net http://www.italian-network.net https://albaniainvestimenti.com https://www.jobinalbania.com

DIECI MOTIVI PER INVESTIRE

1. Tassa sugli utili al 5%; 2. Crescita media del PIL del 5,1% (negli ultimi 9 anni);

3. Costo della manodopera più basso d’Europa (€. 250 al mese per un operaio contributi inclusi); 4. NO criminalità (al 54° posto della classifica mondiale del Crime Index, molto dopo Napoli, Catania, Torino, Roma, Parigi); 5. Lingua italiana parlata da buona parte della popolazione; 6. Forte presenza di aziende italiane (oltre 5000 già presenti nel Paese); 7. Forza lavoro qualificata in numerosi settori (manifatturiero, costruzioni, IT, Servizi, Call Centre); 8. Forti incentivi da parte del FMI e BCE per le iniziative imprenditoriali; 9. Presenza capillare di banche internazionali (Raiffaisen, Societè Generale, Pro-Credit) e italiane (Banca Intesa); 10. Paese in pieno boom economico con ampi spazi per investimenti in vari settori (PIL 2018 +4,1%)

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FRANCHISING E NUOVE IMPRESE

ORA L'ESERCENTE SI ABBONA ALLA CASSA TELEMATICA Il sistema EasyCassa di SisalPay è la nuova soluzione che permette di semplificare la gestione del punto vendita tramite un abbonamento mensile che include hardware, software, analisi dei dati e assistenza

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acile, intuitivo, elegante e telematico: è il punto cassa all-in-one di SisalPay. Si chiama EasyCassa e racchiude in un solo abbonamento hardware, software e servizi. A presentarlo ufficialmente, al Salone del Franchising 2019, Antonio Iannitti, Strategy Manager di Sisal e Responsabile del progetto. «EasyCassa – spiega il manager a Economy – nasce da una strategia di Open Innovation: nel 2018 abbiamo acquisito una piccola startup di Torino specializzata nei sistemi di cassa e l’abbiamo integrata con un nostro team di giovani dedicati al 100% al progetto». Di che si tratta, esattamente? «EasyCassa è una soluzione "All in 1" pensata per il punto vendita del futuro», sottolinea Iannitti. «Il 2019 è stato un anno particolare, di innovazioni e di evoluzione normativa, che ha permesso a SisalPay di entrare in questo settore con una soluzione innovativa che pensa proprio al punto vendita per semplificare la gestione del punto cassa». Con EasyCassa l’esercente sottoscrive un abbonamento per avere subito quello che gli serve per gestire il suo punto vendita: dispositivi tecnologici, software di cassa sempre aggiornato, servizi di verifica e assistenza. Tutto incluso, senza pensieri: così avrà più tempo da dedicare ai suoi clienti! Con l’abbonamento EasyCassa l’esercente non deve acquistare l’hardware: riceve in comodato d’uso la migliore selezione di dispositivi, coperti da garanzia estesa e assistenza telefonica e on-site, con un software di cassa intuitivo e un cloud per analizzare le vendite e gestire la fatturazione anche da smartphone. E può contare su un’assistenza rapida con numero dedicato, verifiche periodiche e garanzia estesa. Tutto senza costi extra, in un solo abbonamento mensile e con un unico fornitore. Il sistema EasyCassa consente di gestire oltre 300 tavoli, riordinare i prodotti raggruppandoli per categorie e creando più listini se-

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parati, gestire comande con ordine di uscita delle portate, aggiugere variazioni agli ordini specificando al personale cosa desiderano i clienti, personalizzare la schermata di vendita, emettere fatture elettroniche come scontrini, accettare pagamenti con Bill direttamente dalla cassa, e registrare le anagrafiche dei clienti in modo semplice. Tra i plus del servizio, la stampante fiscale abilitata alla trasmissione telematica dei corrispettivi, il terminale di cassa touch screen da 15,6 pollici, il lettore di barcode per caricare i prodotti o per registrare i clienti per la fatturazione o la lotteria degli scontrini, la tastiera qwerty per aggiungere velocemente il listino prodotti e le anagrafiche dei clienti.

Collegandosi a www.easycassa.it da smartphone, tablet o computer si accede al proprio cloud personale per rivedere le vendite effettuate e gestire magazzino e fatturazione elettronica. Inoltre, il servizio include statistiche di vendita per periodo e per prodotto, fatturazione elettronica attiva e passiva con codice Sdi dedicato EasyCassa, download fatture in formato xml e pdf, gestione del magazzino prodotti e dell’inventario con registrazione dei fornitori e riordini semplificati. Sono già oltre 6mila i punti vendita che utilizzano EasyCassa, l’innovativo sistema di cassa “All in 1”, affidandosi alla sicurezza e alla comodità di avere il più conveniente punto cassa di fascia alta, comprensivo di tutto da subito e costantemente aggiornato. L'innovativo sistema ad abbonamento di EasyCassa, infatti, permette di avere inclusi tutti gli aggiornamenti futuri, senza la necessità di dover acquistare nuove licenze e moduli aggiuntivi. Le nuove funzionalità del sofware di cassa e del cloud saranno atomaticamente disponibili per l'esercente una volta introdotte. Per info: www.easycassa.it


LO SMART PROVIDER PER I PAGAMENTI DIGITALI MBS NET È UN’AZIENDA FINTECH CHE OPERA COME SMART PROVIDER PER PERMETTERE ALLE AZIENDE DI IMPLEMENTARE SOLUZIONI DI PAGAMENTO DIGITALI E PREPAID (VAS).

L’azienda è stata fondata nel 2015 da Domenico Trodella e Pasquale Luciano. Grazie alla flessibilità delle soluzioni proposte da Mbs Net, l’azienda è attualmente la realtà b2b e b2c attiva nel settore con la maggiore presenza e capillarità sul territorio nazionale ed è tra le più grandi aziende fintech (in termini di volume d’affari e di fatturato) del Sud Italia. L’azienda opera con tre diverse business unit: la prima è la creazione di una rete di merchant e aziende convenzionati (nel settore payment Mbs arriva IL MERCATO DELLE LAVANDERIE SELF SERVICE IN ITALIA STA CAMBIANDO RADICALMENTE, ASSUMENDO PROPORZIONI SEMPRE PIÙ IMPORTANTI E, CON LUI, STA

a 5.000 punti in Italia con un fatturato di 20 milioni di euro); la seconda è la creazione di una soluzione “chiavi in mano” comprensiva di prodotti e servizi (soluzioni di pagamento, piattaforma, ecc…) che offre alle aziende la possibilità di collegare la loro piattaforma

a un ecosistema di servizi di pagamento già pronto; la terza riguarda lo sviluppo, la progettazione e la personalizzazione di software. Il fiore all’occhiello di quest’ultima unità è Mbs operating system - la piattaforma basata su software proprietario di Mbs Net. Da più di un anno Mbs Net è in costante crescita (attualmente serve circa 20 aziende del mercato fintech, gaming, aste online ecc...) e vanta clienti anche all’estero. Sfruttando l’esperienza maturata fino a oggi, Mbs Net sta lavorando al lancio di WMSoft, una startup che avrà la sua sede principale a Milano e che, capitalizzando le competenze maturate dal team, offrirà sul mercato servizi di progettazione e personalizzazione di piattaforme web e software per erogare servizi payment e prepaid.

LA LAVANDERIA AUTOMATICA DIVENTA UN PUNTO DI RITROVO

NASCENDO ANCHE UNA NUOVA CONCEZIONE DI LAUNDRY FONDATA SULL’ESEMPIO AMERICANO: una lavanderia che sia un

punto di ritrovo piacevole, capace di moltiplicare i profitti con un solo business. È questo il caso LavaTu+, top di gamma delmarchio italiano Lautomatica che offre tutta la qualità e la sicurezza dei macchinari Ipso, leader americano nelle lavanderie, in un ambiente confortevole e di design. Con 627 punti vendita in tutta Italia, oltre 1.000 imprenditori formati e un tasso di successo dell’87%, Lautomatica, azienda leader nel settore del franchising, offre solidità e garanzie a tutti i suoi affiliati: grazie alla sua speciale formula in licenza di marchio, che non prevede Fee e Royalites, permette di abbattere i costi di mantenimento del locale e raggiungere il Bpe in breve tempo.

LavaTu+ è la soluzione ideale per chi cerca un business di facile e rapida gestione nel quale investire, raddoppiando i guadagni. La lavanderia mette a disposizione dei clienti un angolo self service con bevande, noleggio di biciclette elettriche, un’area gioco attrezzata per bambini e tanti altri servizi personalizzabili.

LavaTu+ è un nuovo concept laundry: un luogo in cui fare il bucato divertendosi. Consigliabile per le grandi città, la soluzione LavaTu+ offre numerosi vantaggi all’affiliato: garanzia di cinque anni, patto di riacquisto delle attrezzature, controllo remoto, assistenza in fase di progettazione, allestimento e comunicazione.

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IL PRIMO DELIVERY DI CANNABIS LIGHT IN ITALIA WWW.JUSTMARY.FUN


QUELL’ATMOSFERA DI LUSSO CHE FA RICCO IL MENU NATALIZIO PIACERI Dici Natale e pensi al cenone. Ma non tutti i cenoni sono uguali: se avete intenzione di esagerare, c’è un ricco menu a cui ispirarsi... E in questo caso “ricco” va interpretato letteralmente. Ci siamo divertiti a immaginare un banchetto natalizio sontuoso, raccogliendo le pietanze più costose sul mercato. Il conto? Non è poi così salato...

140 WHISKY TUTTI I PREGI DEL WHISKY A STELLE E STRISCE

142 MOTORI CABRIO AMG O NON AMG QUESTO È IL DILEMMA

146 LE RAGIONI DEL GOSSIP

Dalle ostriche di Coffin Bay alla Kobe Beef: ecco come imbandire una tavola delle feste in grado di soddisfare i palati più esigenti. A patto di avere un budget di almeno 170 euro a commensale di Roberta Schira

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on l’avvicinarsi delle Feste, qualcosa fiabesca e pantagruelica cena per due. Per codi inspiegabile spinge i consumatori minciare una dozzina di gamberi o di ostriche. a spendere di più anche per il cibo, Per i gamberi, si può scegliere la provenienza: nessun sociologo potrà spiegare meglio ciò da Santa Margherita Ligure, dal retrogusto di che l’euforia e la gioia che circondano il Natale fungo porcino; da Gallipoli, dal colore violetto; sanno fare: scatenare i neurotrasmettitori che da Mazara del Vallo, rossi e dolci come il miele. regolano il nostro stato di benessere, come Il costo si assesta da 60 a 80 euro al chilo. Da dopamina e serotonina. E – a meno che non si consumarsi rigorosamente crudi. tratti di un caso di tirchieria patologica – tutLe ostriche, invece, non sono da sempre cibo ti ci lasciamo andare di lusso. Agli inizi del ALTRO CHE STAGNAZIONE DEI CONSUMI: a spendere un poco XIX secolo erano ecoANCHE LO SCORSO ANNO GLI ACQUISTI di più per cene, renomiche come pataNATALIZI SONO CRESCIUTI DEL 2,5%, gali e festeggiamenti TOCCANDO QUOTA 10,2 MILIARDI DI EURO tine, considerate cibo vari. Rispetto al pasworking-class. Con il sato, si spende meno per gli addobbi, ma di tempo sono diventate sempre più rare. Una più per cibo e regali: così almeno ci dicono i delle tipologie più costose si chiama Bluff, daldati di Natale 2018 che vedeva già i consula piccola località marittima della Nuova Zemi a +2,5%, pari a 10,2 miliardi di euro (dati landa. Ma esistono anche le Ostriche di Coffin Codacons). Così, ci siamo divertiti a fare un Bay, chiamate “bistecche dell’oceano” per via elenco dei cibi più preziosi al mondo, sogno del peso, di quasi un chilo, allevate nella Coffin innegabile di ogni gourmet, immaginando Bay farm nell’Australia meridionale: possono quindi un commensale fortunato che abbia crescere anche sei anni e costano circa 60 a disposizione un budget illimitato per una euro l’una. Diciamo che sono fuori calibro. Più

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E POI IL PIACERE...

mano alla maniera dei veri intenditori. Il caviale odia i metalli, tranne l’oro o la madreperla. Il più caro è Almas Caviar, dal colore perlaceo; deriva dal raro storione albino beluga, pare sia uno su 6.000, e il numero di questo pesce, in diminuzione negli ultimi anni, lo rende ancora più raro. Secondo il Guinness World Records si compra a 20 mila euro nella scatola d’oro 24 carati, in vendita alla Caviar House & Prunier a Londra o Dubai. Ma un gourmet della Penisola non ha bisogno di andare lontano: il maggior produttore di caviale è italiano, si chiama Agroittica abbordabile è la Speciale “David Herve”, masLombarda; dopo oltre 40 anni di esperienza sima espressione della tecnica di affinamento. produce 28 tonnellate di preziose palline nere Dopo essere cresciuta nel parco marino, viene in un anno. E di un cubetto di terrina di foie spostata per l’affinamento nelle claires (bacigras, un altro dei cibi più cari al mondo, si vorni scavati nell’argilla nei quali sono coltivate) rà forse privare la lista delle vivande? Giamper 8 mesi. Il risultato è un mollusco dal gusto mai, ma che sia etico, perchè molti Paesi oggi pieno, croccante, iodahanno leggi contro la to, con note vegetali e L’OSTRICA VA ASSAGGIATA IN PUREZZA pratica e la produziodi nocciola. Non costa ADAGIANDOLA SUL DORSO DELLA MANO ne, l’importazione o la E NON VA MAI MANGIATA ASCIUTTA: meno di 4 euro l’una, vendita di foie gras. Il SE LASCIATA RIPOSARE SI DISIDRATA ammesso che riusciaquale, ricordiamo, è te a trovarle. Due miti da sfatare: non sono un paté costoso a base di fegato d’anatra o d’oafrodisiache e non amano lo Champagne. Per ca, ingrassato forzatamente, fino a dieci volte semplice reazione chimica lo zinco delle ostrile dimensioni normali. Il sapore è immenso, che e l’aggressiva acidità dello Champagne burroso e delicato. Fortunatamente ci sono fanno a pugni. Meglio un bicchiere di Muscaproduttori che alimentano le oche in maniera det della Costa Atlantica. Segreto: mai mannaturale, per esempio l’agricoltore spagnolo giare un’ostrica asciutta che, se lasciata ripoEduardo Sousa: le sue banchettano con una sare, non produce altra acqua. L’associazione dieta di fichi e ghiande. Una prelibatezza da classica con il lusso è il caviale: per la nostra 700 euro al chilo. Etico anche il metodo di Diecena ne prevediamo in abbondanza, almeno go Labourdette, che da buon francese amante 30/40 grammi a testa. Come per l’ostrica il di foie gras si è trasferito in Spagna per progourmet lo assaggerà in purezza, appoggiandurlo (il barattolo da 125 g di foie gras ha un dolo sul dorso della prezzo di 120 euro). Non se ne vogliano i produttori di prosciutto crudo made in Italy, qui non si parla di qualità ma di prezzo poiché il gioco è che la cena sia composta dei cibi più cari in assoluto: il prosciutto più caro al mondo è lo Jamón Ibérico de Bellota, prodotto da maiali allo stato brado che si nutrono di ghiande, nella Spagna centrale e meridionale. Il migliore ha un’etichetta nera e può costare anche

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migliaia di euro. Una volta macellata, la carne viene appesa per almeno due anni, producendo carne rosso scuro, incredibilmente dolce, dal sapore di frutta secca e erbe aromatiche. Il tartufo, la nostra coppia di ghiottoni l’affetterà su un tagliolino tirato a mano e condito solo con burro di malga. Che sia raccolto ad Alba nelle Langhe, ad Acqualagna nelle Marche o a Savigno sui Colli bolognesi, l’importante è che il tartufo sia bianco e ben conservato (mai nel riso, ma avvolto in carta assorbente e chiuso in un barattolo di vetro). Diffidate del ristoratore che non ve lo porta in tavola con una piccola pesa e l’apposita mandolina: solo così potrete osservarlo e annusarlo a dovere. E dosarlo secondo il vostro portafogli. Quest’autunno si presenta come buona annata e si potrà acquistare con 250-300 euro all’etto. Perché così caro? Semplice, perché il tartufo non può essere coltivato, nasce solo spontaneamente, nonostante qualche tentativo da parte della Cina. È questa imprevedibilità, dovuta al clima, è il Fattore X che rende unico il prodot-


to. Un paio di etti a testa di Kobe Beef, la carne spingendo i prezzi di questa carne premium giapponese più cara al mondo, costituiscono ancora più in alto. un’ulteriore portata dela cena hollywoodiana. E per finire una dozzina di lamponi farciti Il costo è circa 250/400 euro al chilo. La carne con qualche goccia di Aceto Balsamico Tradi Kobe deve provenire da bovini Tajima-gyu dizionale di Modena Dop. Una bottiglietta di nati, allevati e trasformati nella prefettura di aceto invecchiato 100 anni, in botti di ciliegio Hyogo, con una valutazione di marmorizzae distillato alla perfezione grazie alle tradizione di sei o più su una scala di 12 punti. Ciò zioni familiari tramandate da generazioni, che rende costoso questo taglio è il fatto che non ha prezzo, perché il Tempo è un bene proviene da animali giapponesi curati come prezioso; parte da 100 euro e sa inondare neonati e alimentati con birra e sake, il che si con effluvi di ciliegia, cacao, miele e vaniglia. traduce in un’intensa marmorizzazione della Non può mancare qualche tocco luminoso, carne. Che durante il ma edibile, come i foLA CARNE GIAPPONESE PIÙ CARA processo di cottura gli d’oro: gli stessi che DEL MONDO È LA KOBE BEEF DEI MANZI la rende tenera, suc- DI TAJIMA-GYU NUTRITI A BIRRA E SAKE: Gualtiero Marchesi culenta, che si sciousava per il suo legCOSTA DAI 250 AI 400 EURO AL CHILO glie sul palato a una gendario “risotto oro temperatura inferiore rispetto alla carne di e zafferano”. Si applica sollevando con una manzo convenzionale, senza contare un propinza alcuni lembi d’oro da 25 foglietti da 8 filo aromatico più ricco e burroso. Allo stesso cm, costano 90 euro circa. Costo totale della tempo, è ricca di acidi grassi insaturi come gli cena, circa 170 euro a testa, la stessa cifra che acidi oleici, il che rende questo manzo anche si spenderebbe per un blasonato cenone di più sano. Solo circa 3000 animali si qualificafine anno, ma siamo sicuri che a parità di speno, ogni anno, come carne di manzo di Kobe, sa la qualità del cibo sarebbe la stessa?

ALLA SCOPERTA DEL CAVIALE LOMBARDO Si chiama Agro Ittica Lombarda e si trova a Calvisano, in provincia di Brescia. Nata alla fine degli anni Settanta come allevamento di anguille, è oggi leader mondiale per l’esportazione di Caviale. Agro Ittica Group produce sei tipi di caviale estratti da altrettante specie di storioni, sulle 26 esistenti al mondo: Calvisius lavora le qualità più pregiate (Tradition, Beluga e Siberian), mentre Ars Italica Calvisius – un allevamento più recente che si trova nel Parco del Ticino – produce l’Oscietra, il Sevruga e il Da Vinci. Carla Sora, direttore generale di Agroittica Lombarda, specifica: “Il mercato del caviale mondiale vale circa 400 milioni di fatturato annuo. I maggiori produttori sono Cina, Russia e Italia, che ha il privilegio

di possedere risorse idriche e clima favorevole. Il caviale è consumato in Russia (circa 60 tonn annue), negli Stati Uniti (circa 50 tonn annue), in Francia (circa 40 tonn annue). Anche in Italia crescono i consumi, oggi stimati oltre le 4 tonn annue, trainati dai maggiori volumi disponibili e da una maggiore

conoscenza di questo prodotto. Agro Ittica con Calvisius e Italian Caviar, con Ars Italica, rappresentano insieme circa il 75% dei consumi di caviale in Italia”. Caviale anche nel Cremasco, con Adamas, che nasce nelle fredde e pulite acque sorgive di Pandino, vicino a Crema. Spiega Sergio Nannini, socio insieme con Matteo Giovannini della Adamas Caviar: “Alleviamo circa 170mila esemplari di storione siberiano, e produciamo oltre due tonnellate di caviale”. Sempre in Lombardia, il caviale Pisani Dossi, famiglia che vanta tra i suoi antenati Carlo Dossi, figura di primo piano della Scapigliatura. L’Acquacoltura nacque nel 1982, in un’area ricca di risorgive purissime a Cisliano, già città metropolitana di Milano.

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E POI IL PIACERE...

Born in the Usa: tutti i pregi del whisky a stelle e strisce Diverse varietà che dipendono dai cereali impiegati, dal rye al bourbon, dal Tennessee al wheat. Un disciplinare rigoroso seguito scrupolosamente. Ecco perché il “whiskey” è in costante crescita di Claudio Riva *

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ltre alla Scozia, l’unico altro luogo contro gli attacchi dei nativi americani, e qui al mondo che si è dotato di un disci– come accade sulle nostre Alpi – il cereale plinare per la produzione del proche cresceva con più facilità era la segale. prio whisky è rappresentato dagli Stati Uniti Possiamo quindi dire che il primo “stile” di d’America. Qui il whisky, o meglio il whiskey, whiskey americano è il rye whiskey (rye è può essere prodotto seguendo solo quelle appunto segale in inglese). che sono semplici regole alimentari e saniPoi la lenta conquista del west, che si è protarie – e in questo caso non ha una identità tratta sino a tutto il XIX secolo e che ha porprecisa e prende il nome di American whitato ad occupare le vaste pianure centrali. skey – oppure all’interno di rigidi protocolli Qui l’europeo scopre una varietà di cereale come quelli del Bourbon e del Rye whiskey. che si era diffusa solo nelle Americhe, il L’arte della distillazione in America è arrimais, varietà che la natura aveva scelto come vata insieme agli Eula migliore per le ropei, ovviamente a IL PRIMO STILE DI WHISKEY AMERICANO condizioni climatiche È IL RYE, OTTENUTO DALLA SEGALE. seguito della scoperta locali, varietà che è POI, CON LA “CONQUISTA” DEL WEST del Nuovo Continente entrata di prepotenARRIVANO CEREALI DIFFERENTI del 1492, e si è diffusa za nella dieta dei condurante il XVI secolo più o meno in parallelo quistatori, distillati inclusi. E qui si mettono con quanto stava accadendo nel nord Eurole basi per lo stile di un nuovo whiskey, quel pa. Non stupisce quindi scoprire due monwhiskey che oggi conosciamo con il nome di con tante analogie ma che hanno saputo di Bourbon. L’apporto del mais attribuisce creare identità diverse. Le prime distillaziouna dolcezza decisamente più intensa al suo ni di whiskey sono avvenute lungo la costa fermato e distillato, dolcezza di cui possiaatlantica del Nord America, con l’utilizzo di mo godere versandoci per esempio un biccereali portati dall’Europa quali l’orzo e la chiere di Jim Beam. Questo carattere era in segale. Attraversate le poche miglia di zona contrapposizione a quello più duro e severo pianeggiante, le prime comunità di conquidello Scotch whisky e da qui nasce il successtatori si sono insediate sugli Appalachi, so del whiskey di mais, da qui nasce lo stile catena montuosa che fungeva da protezione del whiskey americano. Questo whiskey è distillato dal 1700 ma il nome Bourbon compare per la prima volta attorno al 1850. La sua origine è incerta, quasi sicuramente deriva dalla dinastia francese dei Borboni, direttamente o indirettamente – la contea di Bourbon nel Kentucky

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era un importante luogo di produzione di questo whiskey e la Bourbon Street di New Orleans, che si poteva facilmente raggiungere via fiume Mississippi, un importante mercato di vendita. Come anticipato il Bourbon whiskey è oggi dotato di un rigido disciplinare. Le materie prime sono un mix di cereali (mashbill) di cui almeno il 51% deve essere mais – tipicamente si usa circa un 70% di mais e la parte rimanente è costituita da segale e malto d’orzo. Deve ovviamente esser prodotto negli Stati Uniti, dove matura obbligatoriamente in botti vergini e carbonizzate di rovere. Deve essere imbottigliato alla gradazione alcolica minima del 40% vol.


Contrariamente allo Scotch, è sì dichiarato l’obbligo di maturazione in rovere ma non il periodo minimo (per lo scotch è di tre anni). Sostanzialmente un whiskey di mais lasciato in botte di rovere per una notte può appellarsi del nome Bourbon. La sottocategoria dello straight bourbon rappresenta la punta di eccellenza, richiede una maturazione minima di due anni con obbligo di indicazione se minore a quattro. Un bourbon whiskey maturato per 3 anni potrà indicare in etichetta la dicitura straight bourbon ma dovrà obbligatoriamente anche indicare l’età di 3 anni. La quasi totalità del bourbon che arriva in Europa è straight bourbon e non indica l’età, possiamo quindi affermare con certezza che sono whiskey di almeno quattro anni (la normalità per un bourbon è una maturazione tra i sei e i sette anni). La categoria del Rye whiskey è speculare a quella del bourbon ma su ricetta a base segale. Il disciplinare è lo stesso, viene fatto un copia-incolla sostituendo la parola mais con la parola segale, segale che quindi deve costituire almeno il 51% del mashbill. Esiste anche la poco utilizzata categoria del Wheat whiskey, a base almeno 51% frumento (wheat). A differenza del single malt scotch whisky, tutto obbligatoriamente a base

100% malto d’orzo, ogni distilleria americana si può differenziare rispetto alle altre già partendo da un mix diverso di materie prime. La ricetta è molto semplice. Il malto d’orzo è utilizzato in percentuali minime solo come coadiuvante della fermentazione, il mais conferisce dolcezza, la segale spezia e piccante, il frumento acidità. Anche rimanendo nello stile del bourbon, con una scelta oculata dei singoli ingredienti si può costruire un whiskey americano parecchio stucchevole (mais >= 80%), più fresco (frumento >=30%), o più deciso (segale>=30%). Poi esistono stili meno diffusi, tra cui vale la pena citare il Corn whiskey, un mashbill con almeno 80% mais e una maturazione non obbligatoria e – se presente – in botti non carbonizzate o usate. Il carattere del corn è l’interpretazione “legale” del moonshine americano, il famoso whiskey americano di contrabbando normalmente distillato di notte al chiaro di luna, negli inaccessibili boschi dei monti Appalachi. Un discorso a parte deve essere fatto per il Tennessee whiskey, denominazione che solitamente associamo al whiskey prodotto da Jack Daniel. Storicamente era una “non denominazione”, visto che indicava un whiskey senza disciplinare ma tutto prodotto nello

stato del Tennessee. Oggi (dal 2013) è regolamentato da una legge statale che obbliga al rispetto dei requisiti del Bourbon whiskey e all’utilizzo del Lincoln County process, un procedimento di filtraggio dello spirito in uscita dagli alambicchi attraverso strati di carbone di legno d’acero, un procedimento di ammorbidimento che toglie ruvidità al whiskey conferendo un aroma ancora più dolce. Oggi il whiskey americano sta attraversando un convinto periodo di rinascita. Dal 1982, anno della fondazione della prima distilleria artigianale americana, sino al 2006 poco è accaduto. In tutti gli Stati Uniti esistevano ancora code del Proibizionismo che ostacolavano il rilascio di nuove licenze di distillazione, la stessa distilleria Jack Daniel si trova nella contea di Moore, ancora oggi una dry county in cui non è consentita la vendita e la somministrazione di prodotti alcolici. Poi il mercato si è aperto e la crescita del micro è diventata inarrestabile. Ad oggi le distillerie artigianali – regolamentate da una specifica legge federale – sono oltre 2000 e sono presenti in ognuno dei 50 stati della confederazione. * fondatore di Whisky Club Italia

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E POI IL PIACERE MOTORI a cura di Franco Oppedisano

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he senso ha confrontare una normale Mercedes Classe E Cabrio con la sua versione E53 Amg? Pensate che sia come mettere in gara un ristorante stellato contro una pizzeria? Ebbene, non è vero: quella “pizzeria” è una signora auto. Avercene di auto con questa eleganza, bellezza, raffinatezza. Ma poi c’è la questione della vil pecunia di mezzo: il prezzo. C’è una differenza sostanziale di listino che bisogna mettere sul piatto quando si sceglie una versione o l’altra. Chiunque, quando sceglie un’auto, parte dal budget. Altrimenti non dubitiamo che in giro vedremmo solo auto di gran lusso. E in questo caso, poi, non si tratta di utilitarie, ma stiamo parlando sempre di auto di alto livello. Cercare di capire cosa le differenzia e perché hanno prezzi tanto diversi, pur avendo una base comune può essere utile a chi, forse, sta pensando di comprarsi una gran bella cabriolet e interessante anche per chi, sfortunatamente, non lo sta facendo.

In Comune Tutte le Classe E Cabrio hanno in comune una linea bellissima, quattro posti comodi e interni di altissimo livello. In più tutte hanno di serie il cambio automatico a 9 rapporti 9G-Tronic, con regolatore e limitatore di velocità, comandi al volante per l’uso sequenziale, il porgicintura automatico per guidatore e passeggero anteriore che può essere azionato anche da un apposito tasto sul cruscotto e una buona dose di elettronica per la sicurezza e il comfort di marcia. La versione Sport, senza supplemento di prezzo, ha i fari a led, l’aircap, una tendina che si alza sopra il parabrezza per rendere più confortevole la marcia quando si viaggia con la capote abbassata, cerchi in lega da 18 pollici e una telecamera posteriore. Anche la classica Classe E Cabrio dispone, più o meno, di tutti gli accessori che si trovano sul top della gamma Amg, ma per averli bisogna perdersi dentro la solita marea di optional a pagamento legati tra loro in pacchetti, scegliere la motorizzazione diesel

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Cabrio Amg o non Amg, questo è il dilemma

o benzina, scegliere la trazione a due o quattro ruote motrici. E magari farsi aiutare per non diventare matti. La versione Amg ha di tutto e in più degli elementi esclusivi

Fuori All’esterno le differenze tra le altri versioni e la Mercedes Classe E53 Amg sono quasi tutte poco significative e quelle che si notano di più sono le scritte discrete sulla calandra, sul portellone o sul parafango anteriore e quella, molto evidente, sui dischi di grandi dimensioni (370 x 36 mm con pinze fisse a 4 pistoncini) in materiale composito autoventilanti montati sull’asse anteriore. Un po’ più rilevanti sono il piccolo alettone posteriore, i rivestimenti sottoporta (certo, bisogna aprire la porta per vederli) e le mascherine tonde in cromo lucidato a specchio dei doppi terminali di scarico, ma bisogna proprio andarle a cercare e, più che un elemento di distinzione, sono una logica conse-

guenza di una diversa motorizzazione.

Dentro All’interno dell’abitacolo i sedili sportivi bicolore hanno un motivo grafico specifico e la


Tre lettere che fanno la differenza e non solo nel prezzo: ogni motore è montato a mano e firmato dal tecnico che l’ha assemblato. Il risultato è una risposta brillante ai comandi e una spiccata dinamica di marcia

lizzazione, ad esempio mediante inserti in legno laccato lucido o rivestimenti in microfibra in corrispondenza dell’impugnatura.

targhetta Amg, mentre le cinture di sicurezza sono rosse e ci sono elementi decorativi in carbonio o fibra di vetro argento opaco. Anche il volante è made in Amg, realizzato in pelle nappa con possibilità di persona-

Meccanica Tra gli altri elementi tecnici di spicco figurano il cambio a 9 marce Speedshift Tct Amg e una trazione integrale completamente variabile 4matic+ Performance Amg, ma bisogna essere degli esperti per sentire la differenza rispetto alla loro versione normale. Quello che si sente subito, invece, è il motore, che torna, come lo era in passato, a essere il protagonista assoluto dell’auto. Non tanto per la potenza (435 cavalli che non sono davvero pochi) quanto per il suono e per la perfezione della meccanica. I motori Amg sono un’opera d’arte. Ogni propulsore che esce dalla fabbrica tedesca di Affalterbach, dai quattro cilindri in linea e i ai V12, è montato a mano seguendo la filosofia di “one man, one engine” perché

ogni motore è affidato a un unico tecnico che ne è responsabile in ogni aspetto, dal montaggio dell’albero nel blocco motore fino all’inserimento degli alberi a camme, dal cablaggio fino al riempimento con olio motore. Non è una produzione in serie e ogni motore, come un’opera d’arte, viene firmato dal tecnico che l’ha creato. Il risultato pratico è una risposta molto brillante ai comandi dell’acceleratore e una spiccata dinamica di marcia. Insomma è un piacere sentirlo e guidarlo. In più l’ultima versione della Classe E53 Amg cabriolet monta un tre litri a benzina in linea con sovralimentazione doppia mediante turbocompressore a gas di scarico e compressore elettrico supplementare perché dispone di motorino d’avviamento/alternatore EQ Boost che in un potente motore elettrico le funzioni di motorino di avviamento e di alternatore ed è installato tra il motore e il cambio. Questa innovazione, ma anche la sovralimentazione intelligente con compressore elettrico supplementare e turbocompressore a gas di scarico, incrementano le performance e la dinamica, riducendo nello stesso tempo i consumi e le emissioni. Niente da dire sui quattro o sei cilindri realizzati da Mercedes, ma quello fatto a mano da Amg sono un’altra cosa. Il costo La versione base (come abbiamo detto già largamente accessoriata) con due ruote motrici e un motore diesel da due litri e 143 cavalli (E220d) costa 62 mila euro di listino. Se invece si vuole un tre litri a benzina da 367 cavalli a trazione integrale (la versione che non sappiamo perché si chiama E450) si arriva a 74.380 euro. Più o meno la stessa cifra (74.150 euro) se si vuole invece un motore ibrido bisogna accontentarsi del due litri a benzina (E350) da 299 calli più 13 dal propulsore elettrico. La versione Amg costa 101.960 euro, un mezzo appartamento a Milano e uno intero in quasi tutta Italia. Una follia per chi non se lo può permettere, la scelta giusta per chi può farla.

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E POI IL PIACERE... MOTORI

in collaborazione con Autoappassionati.it

NUOVA ALFA ROMEO GIULIA E STELVIO MY2020: EVOLUZIONE IN CHIAVE TECNOLOGICA Alfa Romeo ha presentato le nuove Giulia e Stelvio Model Year 2020, un importante aggiornamento che permette ai due pilastri del Marchio italiano di evolversi in due campi principali: tecnologia e guida autonoma. Se gli esterni vedono nuove colorazioni, tra le quali il bellissimo Ocra GT Junior e il Rosso 6C Villa d’Este, all’interno i cambiamenti sono tanti. Aumenta

ulteriormente la qualità attraverso l’utilizzo di materiali premium, mentre il tunnel centrale è stato ridisegnato per accogliere nuovi portaoggetti, funzionalità wireless, un rinnovato cambio in pelle con firma tricolore e un nuovo rotary knob per la gestione dell’infotainment. A proposito di sistema di intrattenimento, oltre al display TFT da 7” della strumentazione di serie su tutte le versioni, è incluso anche lo schermo, ora touchscreen, da 8,8” pollici, che non cambia nelle dimensioni, ma nella sostanza. La nuova veste grafica e l’organizzazione in widget

permettono un utilizzo più facile e immediato, simile a uno smartphone. La tecnologia migliora anche l’esperienza di guida, grazie all’arrivo di nuovi sistemi di assistenza, come il Traffic jam e l’Highway Assist, che le permettono di raggiungere la guida autonoma di secondo livello.

FORD PUMA: IL SUV DAL NOME ICONICO Dopo più di 20 anni dal “primo” lancio di quella che al tempo era una coupé, il nome Ford Puma torna a rivivere nella gamma dell’Ovale Blu. Ford ha scelto di rievocare la Puma per portarla in un segmento nuovo, quello delle compatte alte da terra. Tetto in stile coupé e fari a goccia richiamano il passato, ma le forme sono quelle di un SUV, con il risultato di linee sinuose e una particolare cura per i gruppi ottici.

All’interno la Puma monta l’ultima versione del SYNC 3 e in optional il quadro strumenti completamente digitale con schermo da 12,3”. Il bagagliaio vanta una capienza di 456 litri, con l’aggiunta dell’ingegnoso Megabox (altri 80 litri), per trasportare oggetti sul fondo del pianale di carico. Ford ha pronto per la nuova Puma anche un sistema mild-hybrid con batteria da 48 volt per il suo 1.0 Ecoboost, con potenze di 125 o

155 CV. Previsti in futuro anche un motore Diesel e il cambio automatico robotizzato.

MERCEDES CLASSE A 250E: LA COMPATTA IN VERSIONE IBRIDA PLUG-IN Anche Mercedes Classe A e Classe B entrano a far parte del mondo EQ. In particolare, la nuova Classe A

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250e è un’ibrida plug-in dai consumi dichiarati che sfiorano gli 1,5 l/100 km. Capace di percorrere fino a 70-75 km in modalità solo elettrica, la A 250e vanta prestazioni che parlano di una potenza complessiva di 218 CV per 450 Nm di coppia e lo zero-cento coperto in 6,6 secondi. Sotto il cofano della Classe

A ibrida plug-in, insieme al motore termico da 1,3 litri e il cambio a doppia frizione 8F-DCT, c’è un motore sincrono con rotore interno, abbinato a una batteria da 15,6 kWh. Così come accaduto per le altre versioni della gamma Classe A, anche la A 250e propone l’infotainment MBUX, in una configurazione dedicata all’ibrido. Infine, come già accade su EQC, i paddle dietro al volante possono gestire anche il recupero dell’energia in rilascio.


QUEI TESORI D’ANNATA NASCOSTI IN CANTINA Il valore dei vini d’epoca cresce in maniera esponenziale: l’ultima asta di Pandolfini ha registrato vendite per 1,1 milioni di euro. Il vino più caro? Un Romanée-Conti del ‘45 battuto a New York per 558mila dollari

L

a scena è arcinota: cenone di Natale, tavola imbandita, atmosfera festosa. Un parente a scelta (non è importante il ruolo) appesantito dalle leccornie e vagamente brillo, con gesto maldestro urta un bicchiere pieno di vino che, inevitabilmente, si rovescia sulla tavola tra lo sconcerto generale. La prima preoccupazione dei padroni di casa è sempre la stessa: e ora chi la fa venire pulita la tovaglia? E giù consigli da amici vicini e lontani. Serve l’acqua gasata, no meglio quella bollente, bicarbonato, acidi vari, tintorie, no meglio buttarla, ormai è andata. Immaginate però un attimo se il bicchiere rovesciato, invece che contenere un vino da qualche decina di euro, fosse stato riempito di un Romanée-Conti del 1945 battuto all’asta per 558mila dollari a New York da Sotheby’s nell’ottobre dello scorso anno. In quel caso, il malcapitato parente avrebbe dilapidato poco meno di 100mila dollari sulla tavola. E le reazioni sarebbero state molto meno urbane. Al di là delle battute, il mercato dei vini d’annata sta crescendo in maniera esponenziale. Basti

pensare che il Romanée-Conti di cui sopra era partito da una base d’asta intorno ai 32mila dollari per poi lievitare tra un rilancio e l’altro, aggiudicandosi la palma di vino più venduto al mondo. Un primato che, durante la stessa sessione, è stato battuto ben cinque volte prima di fissare l’asticella a 558mila dollari. Le bottiglie di Romanée-Conti del 1945, infatti, erano due, con la seconda che si è fermata appena sotto il mezzo milione. Inoltre, dalla medesima cantina provenivano anche le tre bottiglie (“classe” 1937) che sono state aggiudicate per 310mila dollari ciascuna. Il precedente primato, che resisteva dal 1947, apparteneva a uno Cheval-Blanc da sei litri del 1947, venduto per

304mila dollari. Anche il nostro Paese, da sempre ai primi posti nella classifica mondiale di produzione – per quest’anno la previsione è di attestarsi a 44,3 milioni di ettolitri, due in più della Francia – ha nella filiera vitivinicola una ricchezza enorme: il fatturato è intorno agli 11 miliardi, con una quota importante di export. Prova ne sia il successo di manifestazioni come la Milano Wine Week – organizzata da Federico Gordini – in cui gli appuntamenti intorno al vino si moltiplicano per far conoscere al grande pubblico questa filiera e per far comprendere agli addetti ai lavori quali siano gli ultimi trend del comparto. Economy stessa ha preso parte a questa manifestazione in un dibattito che ha toccato i temi del commercio, della distribuzione e delle nuove tecnologie. Un’altra dinamica che si può osservare nel nostro Paese è quella dell’incremento del segmento delle aste in cui si vendono vini di grande pregio. È il caso, ad esempio, della performance fatta registrare un paio di mesi fa da Pandolfini, che in tre sessioni ha fatto registrare vendite per 1,1 milioni di euro, pari al 195% delle stime iniziali. I più attenti osservatori ameranno sapere che il 14 ottobre scorso, ad esempio, sono state cedute sei bottiglie della Valpolicella Selezione Giuseppe Quintarelli (annata 2000) a 6.370 euro. Certo, valori ben lontani da quelli fatti vedere da Sotheby’s, ma esempio evidente di un trend che non sembra volersi fermare. Immancabili poi sono gli champagne: nell’asta organizzata da Gambero Rosso e Wannenes il 31 ottobre scorso a Roma, 18 bottiglie di Dom Pérignon Cuvée Vintage 2002 – edizione Andy Warhol con incarti orginali – sono state battute a 6.250 euro, mentre sette bottiglie (sempre di Dom Pérignon Cuvée Vintage), sei del 1996 e una del 1993, sono state vendute a 1.500 euro complessivi. (m.s.)

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LE RAGIONI DEL GOSSIP a cura di Monica Setta

MONDANITÀ DICEMBRINA TRA UN DRINK CON VISTA E UNO SPAGHETTO D’AUTORE Gli auguri si scambiano nei locali più cool: a Roma, Zuma spalanca le porte all’inverno con la nuova Winter Terrace e la capitale meneghina festeggia la prima stella Michelin conquistata da IT Milano NATALE MOOD, APERITIVI,

Parco dei principi Spa diretto

piazza Euclide - dove si sviluppa

Milano? IT Milano conquista

PRANZI, CENE IN CITTÀ O

da Daniele Saladini. A lui è

la vita Social della capitale. Qui

la Stella Michelin a meno

FUORI PORTA, COME DA

riuscito il colpaccio di prendere

transitano Francesco Totti,

di 7 mesi dall’apertura. Il

TRADIZIONE. Ma quali sono i

dall’Eden il nuovo bar manager

Ilary Blasi, Christian De Sica,

ristorante di via Fiori Chiari,

posti veramente “cool” dove è

Domenico Maura che ha reso

Barbara D’Urso oltre all’ex

nel cuore di Brera, si inserisce

un must farsi vedere in questo

spumeggiante la carta dei drink

presidente della Confindustria

nella guida gastronomica più

mondanissimo dicembre? A

del sontuoso 5 stelle affacciato

Luca Cordero di Montezemolo e

ambita al mondo grazie al suo

Roma, Zuma spalanca le porte

dna schiettamente italiano e

all’inverno con la nuova Winter

contemporaneo. A convincere

Terrace, all’ultimo piano di

gli esigenti giudici della “Rossa”,

Palazzo Fendi, nel cuore della

infatti, è il riuscito connubio

Capitale. L’ inaugurazione, in

tra eccellenza gastronomica

questo caso, è doppia, perché

ed esperienza olistica, creata

coincide con il lancio della nuova

attraverso un abito musicale

cocktail list, con un itinerario

raffinato e un interior design

sensoriale ideato da Lorenzo

che parla il tempo presente.

Coppola, Head bartender di

La brigata di cucina è guidata

Zuma Rome, in chiave mixology,

dall’Executive Chef Aldo

interpretando 5 cocktails in

Ritrovato e propone una carta

chiave sensoriale, uno per

entusiasta della tradizione

ciascuno dei 5 sensi. Ecco

culinaria italiana. Consulente

allora la vista con il Lights on

d’eccellenza: Chef Gennaro

Tokyo, a base di Casamigos

Esposito. Alessio Matrone,

Tequila Bianco. A seguire il

deus ex Machina del brand IT,

tatto ed arriva il Red Bang,

commenta: «È un onore per noi

con Kete One Vodka. All’udito è dedicato il Bubbles, un cocktail

ricevere la Stella e ci emoziona IN SENSO ORARIO: LA TERRAZZA DELLO ZUMA, DANIELE SALADINI, BARBARA D’URSO E LUIGI GUBITOSI

con Vermouth e Bubbly Sake…

un risultato così importante a pochi mesi dall’inaugurazione.

bollicine che parlano! Per

nel verde di villa Borghese e dei

il supermanager Luigi Gubitosi.

Michelin ha capito il nostro

l’olfatto poi il Passion a Roma,

Parioli. Tra i divani damascati

Ma il vero trend è quello delle

spirito e premiato la nostra

a base di Gin Arte con intenso

dopo le 19 si possono incontrare

colazioni fuori porta. Ai Casali

nuova idea di ristorazione. I

profumo di lavanda mentre

celebs e protagonisti della

dei Pini della famiglia Fendi

nostri ospiti sanno che qui si

per il gusto arriva il Greedy.

business community che poi si

si mangia davanti al grande

mangia benissimo, ma vivono

Zuma resta uno degli indirizzi

fermano a cena nel ristorante

camino per poi passeggiare

anche un ambiente, che è

più ambiti anche di pomeriggio

con vista sulla scenografica

nel prato sotto gli ulivi mentre

elegante e divertente. IT è un

mentre per quanto riguarda gli

piscina esterna. Sempre chic

a Grottaferrata a Casa Brunori

luogo dove si può tirare tardi

aperitivi al top una menzione

l’Euclide di Vito Tricarico - due

ci sono i funghi e i tartufi più

e stare bene in compagnia».

speciale la merita il Grand hotel

piani nel cuore pariolino di

buoni di tutta la capitale. E a

Prosit.

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