Economy Gennaio 2020

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ECONOMY | ANNO IV | N.30 | MENSILE | GENNAIO | DATA DI USCITA IN EDICOLA: 4 GENNAIO 2020 POSTE ITALIANE S.P.A. - SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - D.L. 353/2003 (CONVERTITO IN LEGGE 27/02/2004 N° 46) ART. 1, COMMA 1, LO/MI

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Gennaio 2020 Euro 3,50

4.MANAGER: IL RAPPORTO ANNUALE DI FEDERMANAGER E CONFINDUSTRIA SUL FUTURO DEI DIRIGENTI

DEL FUTURO I NUOVIMANAGER ITALIANI CHE L’Osservatorio di 4.Manager: «Servono nuove competenze»

CI AIUTANO A CASA NOSTRA CULTURA D’IMPRESA Toselli, PwC Italia: «Occorre saper lavorare con i robot»

L’imprenditoria immigrata vale 139 miliardi di Pil e occupa 2,5 milioni di persone. Bitonci (Lega): «Sì a chi lavora, no ai ladri»

PAOLA PISANO: «GRATIS IL DIGITALE DI STATO»

PARLA IL MINISTRO DELL’INNOVAZIONE: ECCO LA STRATEGIA DEL CONTE 2 REVISIONE

Rocco Abbondanza (Rsm) «In futuro, più joint-audit»

INNOVAZIONE

PAOLA PISANO, MINISTRO DELL’INNOVAZIONE

Marco Gay: «Le nostre start-up hanno diritto a fatti concreti»

ELDORADO EMIRATI

CRISIS MANAGEMENT

Parla il neoambasciatore Lene «Il made in Italy piace in Uae»

Niente polvere sotto il tappeto se ne esce solo parlandone

Nelle pieghe delle nuove norme di Massimo Merola (Bonelli Erede)

La rete forte sostiene l’agente la case history Engels & Voelkers

GOLDEN POWER

FRANCHISING & CASA



EDITORIALE

FURIO CAMILLO CERCASI, MA I BARBARI SIAMO NOI

M

a insomma, siamo un Paese f…ritto o siamo ancora in tempo per ritrovare la strada? A guardarsi attorno, DI SERGIO LUCIANO dentro e fuori i confini, viene da star male e da dire che siamo fritti. L’Unione Europea, al di là della retorica, è una specie di larva politica esposta all’egemonismo di una Germania a sua volta in crisi, contrastata dalla velleitaria e socialmente inquieta Francia (la storia si ripete). La Banca popolare di Bari è finita a tappeto non solo per la grave “malagestio” ma anche per aver dovuto – su input della Banca d’Italia – sopperire di tasca sua al salvataggio della Tercas che proprio la Bce filo-tedesca proibì, permettendo oggi ai lander di fare peggio salvando la loro NordLB. Due pesi e due misure, come quelle che ora, con l’Unione Bancaria, Francoforte vorrebbe ancor più imporre all’Italia bancaria sui Btp, fregandola. La vittoria di Boris Johnson non segna solo l’attuarsi della Brexit ma soprattutto smentisce due anni di gnagnera europeista di sinistra, secondo cui l’ostilità britannica per Bruxelles era dei vecchi e non dei giovani. Palle. Gli Stati Uniti sono in balìa di un magnate cafone al di sotto di molti sospetti, in odore di impeachment, eppure ad oggi privo di veri concorrenti alla rielezione. La Russia è una dittatura militare, la Cina ancor di più – brucia i libri dei dissidenti come in Fahreneit 451, contesta i diritti di Hong Kong, inserisce nei testi sacri

IL CORSIVO

dello Stato il pensiero di Xi Jinping, nominato capo assoluto a vita, esegue 16 mila condanne a morte all’anno e censura Internet, usandolo per spiare il mondo. Ed è corteggiata dall’Europa, che ostracizza però Putin. Intanto l’Occidente ipocrita idolatra Greta e poi valorizza 2000 miliardi di dollari in Borsa la compagnia petrolifera Aramco, prima produttrice di CO2 al mondo col 4,5% delle emissioni totali. Il capitalismo annaspa privo di ideali e vilipende con le opere quelli che – come la sostenibilità - finge di sposare per “fare il buono”. Dopo il crollo del comunismo non sa più offrire ideali, salvo quello di una crescita forsennata della redditività del capitale a danno del lavoro, per cui solo chi taglia posti va bene in Borsa. La sinistra si occupa di diritti civili – lgbt, fine-vita eccetera, tematiche gravi eppure dimensionalmente minoritarie – e ignora quelli sociali. Che diventano benzina per i populismi della destra e del nulla, da Casa Pound ai Grillini. Le sardine – pur meritevoli di attenzione – per ora sembrano folclore: di nuovo un movimento “contro” e non “pro”. Il ministro dell’Istruzione dice, a mercati aperti, che l’Eni deve abbandonare il petrolio. Un’asineria. Il ministro della Giustizia dice che “se non si dimostra il dolo il reato è colposo”. Un’altra asineria. L’unico, autoproclamatosi leader ideologico democratico, Grillo, lo è talmente da dire ai suoi di non rompere i coglioni. Il Presidente Mattarella ci avverte che l’evasione è “indecente”. E allora cosa abbiamo fatto dalla caduta di Berlusconi in qua? Cos’hanno fatto Monti, Letta, Renzi, Gentiloni, Conte 1 e Conte

2? Se crolla un ponte autostradale e uccide 43 persone, e dopo un anno e mezzo i suoi gestori privati si accorgono che forse è colpa se non loro dei loro manager e intanto le Procure si guardano bene dall’essere arrivate a un ”dunque”, che capitalismo è e che giustizia è? Ci vorrebbe un Furio Camillo, capace di dire ai barbari, quelli esterni ma soprattutto quelli interni, che l’Italia può sì ritrovare se stessa - quel Paese mitico, passato tra il ’45 e il ’65 dall’essere nazione agricola sconfitta, devastata e povera a sesta potenza economica mondiale - ma solo ritrovando maturità, serietà e impegno. Di fronte ai barbari, ai nuovi Brenno che ci chiedono la ristrutturazione del debito da Francoforte o di fronte al razzismo di qualche valle alpina o alla disoccupazione imposta al Sud da un magnate indiano, ci vorrebbe una classe dirigente tutta nuova, di Furi Camilli democratici, capaci di dire che né con il debito pubblico né con la violenza intellettuale si libera il Paese ma con il lavoro duro e serio, quello su cui i padri Costituenti lo rifondarono. Ma al momento questa nuova classe dirigente proprio non si vede. P.S. E allora perché una coverstory sull’imprenditoria immigrata che funziona? Perché è un tipico sintomo del Paese reale che nonostante tutto sa trovare la sua strada anche in mezzo alle peggiori intemperie. Perché nonostante razzismi e xenofobie, l’Italia ha bisogno di immigrazione sana, e tantissimi elettori leghisti sono i primi a pensarlo. Sana significa inclusa, operosa, rispettata e rispettosa. Ci vorrebbero regole serie e non ci sono. E burocrazia efficiente, e non c’è.

IO CE L’HO PIÙ LUNGO, IL SUPERYACHT

U

na bellissima azienda italiana, la Sanlorenzo, è andata in Borsa un paio di settimane fa raccogliendo ben 193 milioni di euro e qualificandosi come il primo produttore mondiale di superyacht, quei barconi per super-ricchi che si qualificano per essere lunghi oltre 30 metri. Pochi giorni dopo, Azimut Benetti – un altro gran bel gruppo nautico italiano – ha rivendicato la

leadership nella stessa graduatoria con una pubblicità (un comunicato stampa era troppo “dialettico”?). La verità può forse star nel mezzo, perché considerando il solo brand Sanlorenzo, l’azienda è leader mondiale per gli yacht tra i 30 e i 40 metri con 90 yacht consegnati tra il 2014 e il 2018, mentre Azimut e Benetti ne hanno consegnati 99 ma sommando i due

brand. Il punto però è un altro: che ce ne frega? Cosa importa al mercato? Perchè sciogliere le briglie al narcisismo imprenditoriale con questa “classificosi” perniciosa, tipica puerilità americana propalata da varie testate Usa, che per di più nelle loro gemmazioni internazionali assegnano troppo spesso il podio ai migliori offerenti? Per vendere un megayacht in più? Ma figuriamoci! (s.l.)

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SOMMARIO

Gennaio 2019 013

COVER STORY

VENIAMO DA LONTANO PER CRESCERE INSIEME AL PIL

016

PUNTI DI VISTA/1 OTTO BITJOKA

017

PUNTI DI VISTA/2 MASSIMO BITONCI

018

MONEYGRAM AWARDS

021

CASE HISTORY/1

022

CASE HISTORY/2

Mentre le imprese aperte da italiani diminuiscono, aumentano quelle aperte da immigrati: ecco la nuova Italia

«Ma la crescita non è (solo) questione di numeri»

013

025 GESTIRE L’IMPRESA

062

START-UP

063

INTESA SANPAOLO

066

NSA PMI INDEX

«Ben vengano gli immigrati... che pagano le tasse» Nelle vene dell’Azienda Italia scorre sangue straniero

L’immigrazione dei Liu, tre fratelli stellati Michelin Se l’auto rallenta, si investe in formazione

Intervista a Marco Gay 100 miliardi per le Pmi La sanità cura l’economia

087 COMUNICARE L’IMPRESA

039 ECONOMY JOB

RSM Quel pasticcio della revisione

IN CASO DI CRISI...

Il piano che riscrive il territorio

...rompere il muro del silenzio

028

LEAN MANAGEMENT

090

PIANO SOCIAL

042

AISO

031

PWC

044

ARTURO ARTOM

032

WOMEN FIRST

047

LABLAW

034

ASSICURAZIONI

049 WORKSHOP 4.MANAGER

La gestione snella ingrassa l’utile

Paura della digital transformation

Gli acchiappaclienti del web

ICO VALLEY

L’outplacement che funziona «Chi innova crea lavoro» Il “nuovo” pensiona il posto fisso

La leadership è femmina L’importanza del risk management

059 FINANZIARE L’IMPRESA

Ecco cosa cambia per i manager

Il risparmio gestito incontra le Pmi

056

FULVIO D’ALVIA

061

FINANZIAMENTI

057

STEFANO CUZZILLA

AZIMUT LIBERA IMPRESA

Se vincere è una questione di click

4

087

LE NUOVE SFIDE

«Così sosteniamo le imprese» «È tempo di fiducia e competenza»



SOMMARIO

Approfondimenti 069 UOMINI&DENARI di Alfonso Ruffo 070

BONELLI EREDE Golden Power e nuove regole

072

ANDAF La Dichiarazione di carattere non finanziario

073 CONFPROFESSIONI Il futuro sta tutto in un’app 074 LIUC Fame di manager nel nuovo mondo Vuca

097

STORYLEARNING

VICENZA ORO

100

BUSINESS STRATEGIES

FONARCOM Nuova alleanza tra imprese e lavoratori

077

PRIVATE BANKER di Ugo Bertone

MASPERO ELEVATORI

104

GREENTHESIS GROUP

106

CANTINA MONTALBERA

CI PIACE/NON CI PIACE Affari, i promossi e i bocciati

082

QUI DUBAI Il made in Italy che piace è tecnologico

118

Gli ascensori delle archistar Generazioni che creano sviluppo Gli inventori del Ruchè

E POI IL PIACERE...

TURISMO “GREEN”

Come cambia il mondo dei viaggi

125

AUTO ELETTRICA

126

127

FRANCHISING & NUOVE IMPRESE

128

ENGEL & V�LKERS

130

112

114

116

117

Le news della nuova imprenditoria

123

109

IN BREVE

Il gioiello made in Italy è l’hi-tech

102

080

La donna che sussurrava ai cinesi

La forza arriva dalla rete

ANYTIME FITNESS

GROWER FOR CHANGE

6

MOTORI

Le dimensioni non sempre contano

AUTOAPPASSIONATI

Partnership editoriali Aifi; Assocamerestero; Confprofessioni; Federmanager; Università Carlo Cattaneo Liuc; HRCommunity; ilsussidiario.net; Consiglio nazionale consulenti del lavoro Grafica e impaginazione Raffaela Jada Gobbi Liliana Nori Per la pubblicità su questa rivista commerciale@economymag.it Segreteria di redazione Monia Manzoni Comitato scientifico Franco Tatò, Marco Gay, Anna Gervasoni, Federico Pirro, Giulio Sapelli, Antonio Uricchio Presidente e A.D. Giuseppe Caroccia

Ecco le novità sul mercato

Editore incaricato Domenico Marasco

WHISKY

Direttore Generale Pier Carlo Barberis

L’ingrediente segreto? È la botte

LE RAGIONI DEL GOSSIP a cura di Monica Setta

Consiglieri Costantino Baldissara, Sergio Luciano Responsabile commerciale Fabrizio Spaolonzi

Registrazione Tribunale di Milano n. 101 del 14/03/2017 Numero iscrizione ROC: 29993

La bufala per eccellenza

Le persone al centro

Così l’automotive andrà in panne

Hanno collaborato Rocco Abbondanza, Silvia Antonini, Maurizio Barberis, Ugo Bertone, Annalisa Caccavale, Lorenzo Dornetti, Giovanni Francavilla, Giuliana Gemelli, Vincenzo Grassi, Massimo Merola, Matteo Musso, Franco Oppedisano, Angela Petrosillo, Elena Puliti, Claudio Riva, Francesco Rotondi, Alfonso Ruffo, Carmine Scoglio, Monica Setta

Piazza Borromeo 1, 20123 Milano Tel. 02/89767777

REGINA DI PAESTUM

COLDWELL BANKER

In redazione Marina Marinetti (caporedattore) Davide Passoni, Marco Scotti, Riccardo Venturi

Casa editrice Economy s.r.l.

La palestra 2.0 allena i franchisee

La canapa accellera il business

Direttore responsabile Sergio Luciano

redazione@economymag.it

075

078 AIFI Finanza e capitale umano, leve del valore

070

Il mensile dell’economia che cambia

Distribuzione

123

Pressdi - Via Mondadori, 1 - Segrate 02 7542097

Stampa

Stampa Rotolito. S.p.a 20063 - Cernusco sul Naviglio (MI)



COVERSTORY

SARÒ FRANCO

CON TUTTO IL RISPETTO PER LE SARDINE,

N

espanso a macchia d’olio elle ultime settimane in altre città italiane i giornali italiani sono fino alla culminante affollati di notizie, manifestazione romana, commenti, approfondimenti non sembra aver intaccato il e discussioni sul movimento consenso politico di Salvini. delle sardine, un nome Sembra quindi che questa abbastanza infelice, ma minoranza silenziosa utile a far passare il divenuta all’improvviso messaggio che non si tratta educatamente vocifera, sia di un movimento politico, numericamente inferiore ma di una associazione o diversamente motivata spontanea di cittadini. dell’altra minoranza, quella Un Partito Italiano dei selfie, dei cannoli e delle Sardine non sarebbe pizze al trancio gocciolanti credibile. Si stanno sulle spiagge, rituale estivo facendo svariati tentativi della festa continua ovvero per spiegare il fenomeno, della campagna elettorale abbastanza resistente permanente. In altre parole, alle elaborazioni teoriche, le sardine protestano in ma in realtà regna una piazza contro la politica e totale confusione, perché i politici, ma tutti sono PROTESTANO non votano, stati sorpresi IN PIAZZA confermando dalla facilità CONTRO POLITICA indirettae dall’immeE POLITICI mente la diatezza con le MA NON VOTANO crisi della quali, usando la democrazia rappresentatecnica del crowd funding, tiva, crisi causata più che dal un gruppetto di giovani è metodo, dalla incompetenza riuscito a mobilitare alcune e dall’inadeguatezza dei migliaia di persone di tutte rappresentanti eletti. le età a scendere in piazza Non è solo un problema a Bologna per contestare i italiano, ma mondiale, con modi, il linguaggio e le idee poche eccezioni. E anche il dello smargiasso Matteo movimento delle sardine, Salvini. evitando elucubrate e L’ottimismo e le speranze inconsistenti spiegazioni degli avversari politici socioeconomiche, sembra del leader della Lega essere la versione italiana di hanno però presto lasciato una tendenza ampiamente posto alla delusione diffusa pur nella diversità perché, almeno a leggere delle motivazioni e nel livello i sondaggi, il movimento di violenza. delle sardine, pur essendosi

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MATTIA SARTORI, PORTAVOCE DELLE «SARDINE»

Pensiamo ai gilè gialli in Francia, agli ombrelli di Hong Kong, alle variegate manifestazioni di inquietudine dei paesi Sud americani, al Libano, all’India o alle masse di giovani mobilitati senza neppure l’uso della tecnologia da Greta Thunberg e che l’hanno portata fino al quasi farsesco discorso alle nazioni Unite, un’adolescente stentorea di fronte a un’assemblea di vecchi distratta e indifferente; e poi al giro del mondo con mezzi lentissimi fino al triste ritorno col treno in Svezia, dopo aver denigrato le Ferrovie Tedesche. La tristezza di Greta alla fine del tour de force nasce dalla constatazione che

protestare non è fare, come non lo sono chiedere e implorare, altro sarebbe se, come all’epoca delle grandi manifestazioni sindacali, si potessero condizionare o convincere coloro che detengono il potere di fare. Ora la situazione è molto diversa, la classe politica sembra incapace di capire le istanze presentate dalle folle e comunque incapace di agire avviluppata nelle sue contraddizioni interne. L’impotenza della politica viene spesso attribuito alla frammentazione crescente delle forze politiche nata dal disfacimento dei grandi partiti storici, che moltiplica all’infinito e punti di vista su qualunque questione. Ma il vero motivo non è questo, ci deve essere qualcosa di più profondo nella


di Franco Tatò

SI TORNI ALL’OPPOSIZIONE POLITICA COSTRUTTIVA trasformazione della piazza in una forma di opposizione. La nostra società liquida si è patologicamente sterilizzata ed è incapace di ricomporsi. Su ogni questione ci si divide composizioni estreme e inconciliabili: le varie componenti dei governi e dei parlamenti si confrontano in riunioni interminabili dalle quali si alzano senza aver trovato alcuna soluzione. Questa è una caratteristica patologica dell’oggi, perché abbiamo avuto anche il

perché è pentapartito LA POLARIZZAZIONE SEMBRA AVER RESO nella natura il governo IMPOSSIBILE dell’opposizione senza che L’OPPOSIZIONE politica questo abbia CHE CERCA COMPROMESSI trovare efficaci paralizzato compromessi, cosa l’azione governativa, buona o che sembra divenuta cattiva che fosse. impossibile. Quindi Questo fenomeno l’assenza di una dell’estrema polarizzazione opposizione politica si spiega soltanto come costruttiva in genere e la conseguenza delle norme discesa in piazza di folle disuguaglianze sociali e non organizzate come il lasciateci in eredità da una movimento delle sardine globalizzazione mal vissuta. sono i primi esempio di La polarizzazione rende questa nuova forma di impossibile l’opposizione

inconcludente dialettica politica e proprio per questo degni di una riflessione approfondita. Può essere una grande occasione perché si sviluppino nuove forme di programmazione governativa e nuovi principi di ispirazione dell’azione politica necessariamente orientata alla difesa della democrazia, come risposta al vociare delle folle riunite in piazza.

IL CORSIVO

ELOGIO DELLA SANITÀ IN ROMAGNA, UN MODELLO PER L’EUROPA di Giuliana Gemelli

una squadra di specialisti di varie

successivi le indagini cliniche non si

discipline che si é mobilizzata.. Nessuno

sono mai fermate e sono state svolte

irca un mese

ha pensato neanche per un attimo

da medici straordinari. Uno di loro,

fa sono

a rimandarmi a casa anzi hanno

sollecitato da un “assessore comunale”

stata colpita

subito cominciato a cercare un

in attesa che cerva di prevaricarmi,

improvvisamente

posto letto in un reparto di cui non

con molta serenità ha risposto che

da un’embolia polmonare bilaterale,

conoscevo l’esistenza. La medicina

lui doveva occuparsi di una paziente

non facile da diagnosticare per giunta

d’urgenza. Più o meno nelle stesse

ricoverata in modo prioritario ed

durante la sera inoltrata.

ore, in un’altra regione italiana, un

assoluto e non si è scomposto di

La prontezza e la disponibilità del mio

signore più giovane di me rimandato

un millimetro. Ci siamo scambiati

medico di base unita all’ efficienza

a casa col famoso Buscopan, per

un’occhiata che non dimenticherò

dei soccorritori da lei allertati mi

sintomi molto simili ai miei dopo aver

mai . Nei giorni successivi stando

hanno permesso di raggiungere il

escluso l’infarto e senza ulteriori

meglio ho potuto misurare anche

pronto soccorso di Forli in codice

accertamenti lasciava questa terra tra

se in modo approssimativo e senza

Rosso. Una volta esclusa la minaccia

atroci sofferenze. Alle 5 del mattino

dati le economia di scala che quel

d’infarto il personale medico e

io v venivo ricovera nel reparto

reparto efficientissimo ha prodotto

infermieristica non si é arreso

efficientissimo di medicina d’urgenza

sugli altri reparti specialistici, intasati

ed anziché prescrivermi il solito

con una diagnosi precisa , una terapia

di richieste e sovraccaricati di

Buscopan per calmare i dolori forti e

ben calibrata,un monitoraggio di

prestazioni. il mio commento é uno

persistenti allo sterno e allo stomaco

poco inferiore a quello dei reparti di

solo chapeau alla sanità nella mia

ha proceduto all’analisi differenziale

rianimazione e un’assistenza medico

piccola città di cui sono sempre più

dei sintomi: indagini di ogni tipo e

infermieristica impeccabile. Nei giorni

orgogliosa.

C

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PAOLA PISANO: «NON SI DEVE FAR BUSINESS SUL DIGITALE PUBBLICO, LA SPID SARÀ GRATIS»

GESTIRE L’IMPRESA

La strategia della docente che da settembre guida il dicastero dell’Innovazione è quella di rendere il ministero un provider di digitalizzazione per le 22mila amministrazioni pubbliche italiane. Rilanciando il Sistema unico di identità digitale e offrendo un’unica app per interfacciarsi con qualunque servizio pubblico di Marina Marinetti ENTRI NEL SITO DEL COMUNE E NON TI RICONOSCE LE CREDENZIALI. CERCHI DI REGISTRARE IL CONTRATTO DELLA COLF SU QUELLO DELL’INPS E TI DEVI SOTTOPORRE A UNA PROCEDURA DI IDENTIFICAZIONE

sua ruotine per fare innovazione. La realizzano altri, che poi la impiantano fisicamente dentro l’azienda. Non possiamo pensare che la pubblica amministrazione adotti l’innovazione solo perché lo decidiamo al ministero. Dobbiamo essere noi un provider di innovazione: fare un programma serio, con corsi di formazione, ma soprattutto prendendo sul campo le migliori tecnologie, ingegnerizzando i processi e impiantandoli fisicamente nei Comuni, nelle Regioni direttamente.

CHE MANCO ALLA NASA. Armato delle migliori intenzioni affronti PagoPa per saldare la Tasi per scoprire, dopo aver compilato una serie infinita di form, che la tua banca non fa parte del circuito. Così ti arrendi e ti rassegni alle lunghe code allo sportello. Poi, però, un ministro della Repubblica tira fuori lo smartphone e ti mostra la versione beta di un’app (“io”, si chiama) che ti consente di iscrivere i figli a scuola, accedere alla ztl, pagare i tributi, vedere il fascicolo sanitario, quello lavorativo, consultare il percorso scolastico, fare una visura al volo.... E capisci che questa potrebbe essere la volta buona. PAGOPA È STRUTTURATA PER VENDERE La digitalizzaI SERVIZI STRATEGICI IN UN MERCATO Sarà perché insegna zione dell’ultimo COMPETITIVO ESATTAMENTE COME Disruptive Innovamiglio. Peccato che FANNO LE AZIENDE PRIVATE tion all’università di il suo sia un diparTorino. O perché neltimento senza porla sua città, da assessore, ha già sperimentatafoglio. to la guida autonoma, lanciato i cocktail bar Senza portafoglio non significa senza gestiti da robot, sostituito i fuochi d’artificio soldi, ma alle dipendenze dirette coi droni. Il fatto è che, al di là di qualunque del Consiglio dei Ministri. E infatorientamento politico, Paola Pisano al rieti a Conte ho chiesto 34 milioni sumato dicastero per l’Innovazione è la perdi euro e un po’ struttura: al Disona giusta al posto giusto. E se parla di Ripartimento per la trasformaziosorgimento digitale lo fa tenendo i piedi ben ne digitale lo staff è di appena piantati per terra: «Se qualcuno pensa che la 20 persone.... pubblica amministrazione si faccia distrarre dalla sua routine per fare innovazione è un Quando nel Regno Unito ci pazzo», dice. sono 800 persone che lavorano all’Agenda digitale. Fa specie, detto da un ministro. Ed è per questo che abbiaMica possiamo pensare che al Mef possano mo istituito una cabina resmettere di fare la manovra per digitalizzagia con tutti gli altri minire il bilancio. Neanche un’azienda lascia la stri e stiamo creando task

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&POLITICA

LA P.A. NON SI LASCIA DISTRARRE DALLA ROUTINE PER INNOVARE: IMPIANTEREMO DIRETTAMENTE NOI LE TECNOLOGIE NELL’ULTIMO MIGLIO force su vari progetti in modo da portare avanti insieme la digitalizzazione e il reskilling della Pa e dei cittadini. Ci sarà un po’ di resistenza... Proprio poca. (sorride. ndr)

Ecco perché state ragionando su un modello differente. Prima di tutto vogliamo una governance chiara. Prendiamo il Sistema unico di identità digitale, ovvero la Spid: è del cittadino, quindi dev’essere fornita dallo Stato e non da identity provider come Aruba, Tim, Poste.... Non si può pensare di fare business sui servizi pubblici. La Spid deve essere fornita gratis e il costo, anche quello dei distribuitori privati, dev’essere a carico dello Stato.

Dobbiamo prepararci all’ennesima ulteriore procedura di autenticazione? Tutt’altro: il nostro obiettivo è fare in modo che se il cittadino è già stato risconosciuto da altri soggetti, per esempio la banca, la medesima user e password gli serva anche per avere la Spid. Perché rifare tutta la trafila?

Ma poi che ce ne faremo? Per prima cosa la Spid serve per accedere a tutti i servizi delle 22mila pubbliche amministrazioni italiane. Ma anche in quelli di fornitori di servizi come Enel, Trenitalia, Poste, diminuendo i rischi di truffa che si nascondono dietro le identità digitali delle persone. E, come con la carta di identità, si potrà accedere a qualunque servizio dell’Unione europea: stiamo creando la Spid in ottica Eidas – Electronic identification authentication and signature, ndr - la piattaforma che garantisce la circolarità delle identità digitali in Europa. Anche perché, come qualunque genitore, immagino i miei figli a studiare, lavorare e vivere in qualche altra parte dell’Unione europea.

è arrivata a registrare 60 milioni di transazioni per un valore di 9 miliardi di euro. L’obiettivo è di arrivare nel 2020 a 100 milioni di transazioni, a 150 nel 2021 per tagliare nel 2023 il traguardo dei 250 milioni di operazioni, su un totale di 500 milioni di tributi. Andare verso i pagamenti elettronici diminuisce il costo della Pa, la rende più efficiente, dimiuisce il tempo da dedicare ai pagamenti, sia per il cittadino che per la Pa, che ha immediatamente l’incasso ed evita le riconciliazioni tra enti locali e amministrazione centrale, che spesso si fanno manualmente, con un rischio di errore elevato. Poi arrivano le cartelle pazze....

Però per pagare online serve la rete, che in Italia non è così scontato. Men che meno la rete unica in fibra, con qualcuno che storce il naso all’idea. I problemi sono abbastanza chiari: quello che non è chiaro agli operatori delle telecomunicazioni è che devono credere nell’espansione del loro mercato anche all’estero. Potrebbero creare un modello competitivo qui in italia e andare insieme all’estero per crescere. È una grande opportunità, specie Però la Spid in nove ora che la rete si sta LA NUOVA SPID SERVIRÀ PER ACCEDERE anni l’hanno ottenusoftwarizzando e il AI SERVIZI DI TUTTE LE 22MILA ta solo 5 milioni di PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI ITALIANE cloud si sta avvicicittadini su 60. nando alle città e alle E IN QUELLE DELL’UNIONE EUROPEA Purtroppo sì: andanaziende. do avanti di questo passo la smart nation che aveva dichiarato Conte il primo giorno Nel frattempo? la vedremo fra 90 anni. Ma l’innovazione è Nel frattempo, dove non c’è la fibra ci sono così: si prova, e se non funziona si cambia. comunque il rame, i ponti radio, i satelliti. Ma è chiaro che non sarà l’operatore privato Anche PagoPa è cambiata. a far arrivare internet ovunque, perché non E soprattutto la Spa non segue le regole delci guadagna: lo deve fare lo Stato. la pubblica amministrazione, ma quelle del mercato competitivo: è strutturata affinché Vale anche per il 5G? venda i nostri servizi così come fanno le Non può partire, se non c’è chi lo paga. Manaziende private e nella nuova strategia avrà ca un modello di business redditizio per gli il compito di diffondere e di far utilizzare i operatori. Per diffonderlo nel Paese occorre nostri servizi strategici. una strategia che lo supporti. In altre parole: l’innovazione deve essere un capitolo della Ovvero? politica strutturale del Paese, così come lo I pagamenti, innanzitutto. Nel 2019 PagoPa sono il green o le politiche industriali.

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:

COVERSTORY

VENIAMO DA LONTANO PER CRESCERE INSIEME AL PIL Dal 2010 gli imprenditori italiani sono diminuiti del 16,35%, mentre le imprese fondate da stranieri sono aumentate del 48,4%. E oggi gli immigrati valgono 139 miliardi di euro di prodotto interno lordo di Marina Marinetti

16 OTTO BITJOKA «LA CRESCITA NON È SOLO QUESTIONE DI NUMERI»

17 MASSIMO BITONCI «BEN VENGA L'IMMIGRATO CHE PAGA LE TASSE»

18 MONEYGRAM AWARDS COSÌ L'ITALIA È DIVENTATA UN CASO DI SUCCESSO

21 LA STORIA DI CLAUDIO LIU DALLA CINA CON FURORE PER CONQUISTARE LE STELLE MICHELIN

C'

è Ghapios Garas, che guida un’a140 producendo sistemi di verniciatura per zienda che ricondiziona dispositivi automotive; George Sirbu, che sta mettendo elettronici e li reimmette sul merin piedi un centro di ricerca e sviluppo basacato; Whajahat Abbas Kazmi, che con i suoi to su blockchain e intelligenza artificiale ed è film documenta le ingiustizie sociali, facendo alla guida dei Giovani imprenditori di Confapi incetta di premi; Lia Firenze. Arrivano da A LIVELLO FISCALE DAGLI IMMIGRATI fang Dong, a capo di Egitto, Pakistan, RoPROVENGONO 3,5 MILIARDI DI EURO una law firm speciamania, Ruanda, Santo DI GETTITO E 13,9 MILIARDI lizzata in diritto priDomingo, Iran... Sono DI CONTRIBUTI PREVIDENZIALI vato comparato; Ionut imprenditori. Ci stanGiurgi, che con la sua impresa progetta e reano aiutando a casa loro: in Italia. lizza tetti e solai in legno; Marie Terese MukaGuardiamo in faccia la realtà: gli stranieri, o mitsindo, che attraverso una coooperativa forse sarebbe meglio dire “i nuovi italiani”, sociale cerca opportunità di lavoro per chi è sono essenziali per l’economia del Paese. In disoccupato; Yafreisy Berenice Brown Omaprimis, per una banale questione demografige, che il lavoro lo dà a 15 persone, nel suo ca: lo scenario medio dell’Istat prevede che, supermercato, e fattura 1,5 milioni di euro; da qui al 2050, la popolazione con almeno 65 Ali Reza Arabnia, che di milioni ne fattura anni passerà da 13 a 20 milioni (+50%), ov-

13


COVERSTORY

ATTIVI 447.422

IN ITALIA IMPRENDITORI

[IL 14,6%]IMMIGRATI DEL TOTALE

23,1%

76,9%

DONNE UOMINI

DI CUI 81,1%

EXTRACOMUNITARI

2010-2018 -12,2% +31,7%

ITALIANI STRANIERI

DI EURO

2,5 DI OCCUPATI SONO MLN STRANIERI 139 MILIARDI DI VALORE AGGIUNTO

(9% DEL PIL NAZIONALE)

vero dal 22 al 34% del totale. Servono giovani per rimpiazzare i nostri. E poi c’è la questione economica: a oggi, secondo le stime della Fondazione Leone Moressa, istituto di ricerca promosso e sostenuto dall’Associazione Artigiani e Piccole Imprese Cgia di Mestre, i 2,5 milioni di stranieri occupati (10,6% del totale) contribuiscono a generare il 9% del Pil nazionale, ovvero 139 miliardi di valore aggiunto. E e a livello fiscale, da loro provengono 3,5 miliardi di euro di gettito, su un volume di 27,4 miliardi di redditi dichiarati, e 13,9 miliardi di contributi previdenziali e assistenziali versati. Secondo Enrico Di Pasquale, ricercatore della Fondazione Moressa, «non possiamo fare a meno dei lavoratori stranieri: il mercato del lavoro non è una scatola chiusa in cui prima di mettere bisogna togliere. In un’economia che cresce, creare nuovi posti di lavoro ne genera altri. La controprova è rappresentata dal fatto che, in questi anni di mancati arrivi di migranti economici, non si è vista una drastica riduzione dei disoccupati italiani». Attenzione: non stiamo affatto parlando esclusivamente di “bassa manovalanza”. Tutt’altro: se nell’idea stessa di intraprendere un percorso migratorio e nel connesso obiettivo di portarlo a termine con successo si può cogliere il senso di un progetto e di

Il "Barocco italiano" spaventa tutti tranne l'immigrato

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entre gli imprenditori italiani diminuiscono, quelli stranieri aumentano. E a fronte di 2,4 milioni di disoccupati italiani, abbiamo 2,5 milioni di lavoratori stranieri. Anche questo è un segno distintivo della "società signorile di massa”, come l’ha definita il sociolodo Luca Ricolfi, docente di Analisi dei dati all’Università di Torino

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nonché presidente della Fondazione David Hume. Una società in cui il numero di cittadini che non lavorano ha superato ampiamente quello di chi lavora, in cui l’accesso ai consumi opulenti ha raggiunto una larga parte della popolazione, con l’economia in stagnazione e la produttività ferma. «Una delle caratteristiche

una visione imprenditoriale, non stupiamoci se dei 3milioni di titolari di attività in Italia il 14,6% è nato all’estero. Si tratta di 450mila persone, delle quali la stragrande maggioranza, l’81,1%, sono di origine extracomunitaria: «Costituiscono il 15% del totale delle imprese», specifica Massimo Valerii, direttore generale del Censis, «un dato che, se rapportato al 9,5%, che è l’incidenza della popolazione straniera su quella italiana, dimostra la grande propensione imprenditoriale degli immigrati: quasi il doppio di quella degli italiani». A partire dagli anni ‘90 del Novecento gli imprenditori stranieri sono sempre aumentati, mantenendo un trend positivo anche negli anni della crisi, mostrando una vitalità e una voglia di rischiare superiore rispetto ai nostri connazionali: dal 2010 al 2018, mentre i titolari italiani sono diminuiti del 12,2%, gli imprenditori stranieri sono cresciuti del 31,7 e quelli extracomunitari addirittura del 37,8%. Un trend che non accenna a scemare: «considerando anche il primo semestre 2019 vediamo gli imprenditori italiani che sotto i colpi della crisi sono diminuiti del 16,35, mentre gli stranieri sono aumentati del 48,4% e quelli extracomunitari addirittura del 57,6%», specifica Valerii, citando casi limite come quello del distretto di Prato, in cui addirittura il 47% delle imprese presenti distintive della crisi iniziata nel 2008 è stata precisamente l’aumento dell’occupazione straniera a discapito di quella italiana. In nessuna altra società avanzata la differenza fra la propensione al lavoro degli stranieri e quella dei nativi è così mostruosamente sbilanciata a favore dei primi: 59.8% contro 43.3%», commenta Ricolfi. «Bisogna osservare che l’aumento degli imprenditori stranieri è anche dovuto, semplicemente, al fatto che ci sono sempre più stranieri». Così, gli italiani si arrendono perché «i politici, i burocrati e i magistrati fanno tutto ciò che è in


sono cinesi. «È la prova incontrovertibile di una buona relazione anche con le istituzioni locali», dice. E se allarghiamo lo sguardo oltre ai titolari di impresa, scopriamo la presenza di fenomeni evolutivi che sono sintomo di una crescente complessità della struttura delle imprese a conduzione immigrata: oggi, complessivamente 708.949 nati all’estero sono titolari, soci, amministratori o ricoprono cariche di responsabilità all’interno di imprese, complessivamente cresciuti del 30,1% negli ultimi otto anni. D’altronde lo abbiamo fatto noi italiani (e in parte lo stiamo facendo ancora, tra cervelli in fuga e pensionati in cerca di un regime fiscale alleggerito), oggi lo fanno individui e intere famiglie da altre parti del mondo: si emigra alla ricerca di prospettive migliori. «I nuovi italiani stabilmente residenti nel nostro paese seguono una traiettoria di allineamento con la condizione del ceto medio», spiega il direttore del Censis: «Il modello specificamente italiano ci differenzia molto dagli altri paesi europei. Pensiamo alle banlieu parigine o alle inner city londinesi, caratterizzate da un meccanismo di concentrazione etnica, che si sposa con bassi tassi di istituzione e alti tassi di disoccupazione, a cui corrisponde una forte radicalizzazione identitaria che in molti casi porta a trasformare la delusione in

rancore e il rancore in vendetta. Noi in Italia abbiamo un modello completamente diverso, in cui stranieri con una forte propensione all’imprenditorialità aprono piccole ditte di costruzioni, sono molto attivi nel commercio... Chi viene qui sperimenta oggettivamente il miglioramento della sua condizione. È la fotografia di quello che gli italiani hanno vissuto nei decenni passati, seguendo una traiettoria ascensionale con una tensione a migliorare le proprie condizioni socioeconomiche attraverso l’impresa».

Così, il 63,1% degli imprenditori stranieri (più di 280mila individui) è titolare di un’impresa di servizi, comparto all’interno del quale i nati all’estero rappresentano il 16,3% degli imprenditori attivi in Italia; gli stranieri titolari di un’attività manifatturiera sono oltre 150mila, e rappresentano il 22,0% del totale dei titolari. È quel modello antico di autoimprenditorialità che gli italiani hanno perduto e gli immigrati fatto proprio. E che risponde ai bisogni del mercato del lavoro, ma anche a quelle dei consumatori, in maniera efficace ed efficiente, intercettando una domanda

che diversamente non troverebbe risposta. Ci riferiamo agli orari di apertura degli esercizi commerciali, all’offerta differenziata di prodotti, ma anche alla disponibilità ad eseguire mansioni meno qualificate di altre. E comunque con un’agilità (e una flessibilità) decisamente superiore a quella degli italiani: quello immigrato è un modello imprenditoriale che ha i suoi punti di forza nella estrema flessibilità e nella capacità di adattamento alle esigenze del mercato. Caratterizzato non solo dalla propensione ad andare ad occupare gli spazi lasciati liberi dai nativi, ma anche dalla capacità di garantire estrema flessibilità negli orari di lavoro, disponibilità agli spostamenti, varietà dei prodotti offerti, costi contenuti, ibridazione tra italiano e straniero. «La cosa importante da sottolineare», conclude Valerii, «è che il discorso pubblico sul tema immigrazione è concentrato su emergenza e prima accoglienza, ma c’è una realtà molto più silenziosa, di cui si parla poco, che ha una forte dinamica imprenditoriale: è quella degli stranieri stabilmente residenti sul territorio. Questo Paese avrebbe bisogno di guardare oltre per confrontarsi con strumenti più razionali con una realtà molto dinamica dal punto di vista imprenditoriale. Perché il bilancio dare/avere è positivo, anche in tema di welfare. Bisogna accendere la luce».

loro potere per ostacolare l’attività economica, sono i custodi del “barocco italiano”, dove per barocco intendo l’attitudine a rendere ogni cosa molto più complicata, difficile e lunga di quel che sarebbe necessario in una società normale». Ma c’è dell’altro, secondo Ricolfi: «Gli italiani di oggi, rispetto a quelli degli anni ’50 e ’60, sono più avversi al rischio, meno disposti a fare sacrifici, e sostanzialmente incapaci di differire la gratificazione. Faccio notare che “investire” significa esattamente, sul piano economico, affrontare costi attuali in vista di benefici futuri. E noi

siamo diventati antropologicamente incapaci di investire». Sono gli immigrati a colmare il gap. «Gli stranieri riescono a superare le difficoltà del fare impresa in Italia proprio perché, dal loro punto di vista, quelle difficoltà, per quanto notevoli, sono più sopportabili di quel che toccherebbe loro rimanendo in patria. In un’economia in cui la formazione di nuovi posti di lavoro (dipendente) è molto modesta, sia giocoforza, se si intende lavorare, inventarsi un lavoro. Ma non è solo questo. C’è anche il fatto che spesso, in Italia, il lavoro in nero e l’evasione

fiscale sono necessarie per quadrare i conti, e la propensione al rischio degli stranieri è sufficientemente alta da consentirgli di intraprendere attività irregolari». Il che non significa che l’imprenditore straniero sia uno che viola le regole. Anche perché, di norma, è molto ben informato: «La capacità degli stranieri, extracomunitari e non, di sfruttare tutte le pieghe della legislazione italiana per ottenere sussidi e benefici di vario tipo è semplicemente prodigiosa. E gli stranieri, mediamente, hanno una propensione al rischio assai maggiore dei nativi».

A DIFFERENZA DELLE BANLIEU PARIGINE CHI VIENE IN ITALIA SPERIMENTA OGGETTIVAMENTE UN MIGLIORAMENTO DELLE PROPRIE CONDIZIONI

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MA LA CRESCITA NON È (SOLO) QUESTIONE DI NUMERI Accanto ai non pochi casi di successo, c'è una miriade di microimprese. Che per il fondatore di Extrabanca Otto Bitjoka, presidente dell'Unione Comunità Africane d'Italia, dovrebbero fare un salto di qualità

«L'

analisi non può essere puntata solo sui numeri: i numeri sembrano dire tutto, ma non dicono niente». Otto Bitjoka, camerunense bantu con laurea alla Cattolica di Milano (città in cui vive da ormai quarant’anni), naturalizzato italiano, già fondatore di Extrabanca, la banca per stranieri in Italia, e oggi presidente dell’Unione Comunità Africane d'Italia (Ucai), quando parla di imprenditoria immigrata non cela una vena di delusione. Perché è vero che in genere a prendere la decisione di migrare sono i soggetti più at-

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tivi, dinamici e aperti, quelli dotati di una questi decenni, a una forma di evoluzione maggiore propensione al rischio, «ma quedella mentalità imprenditoriale immigrata sta», dice, «non è tanto una novità, quanto, anche attraverso il passaggio generazionale. piuttosto, un dato di fatto antropologicaMi aspettavo che le partite Iva evolvessero mente dimostrato: chi lascia la propria terin società di capitali. Ma non ho visto nulla ra, la propria casa, lo fa portando il proprio di tutto ciò». progetto di vita in un luogo alieno, nel quale D’altra parte, è lo stesso tessuto economico è convinto di poter trovare condizioni più italiano ad essere costituito, da sempre, di favorevoli». Ecco, appunto, il problema è imprese piccole, se non piccolissime, con un proprio questo: «Non so se in Italia ci siano elevato grado di concorrenza tra di loro. E ancora le condizioni per fare impresa: tanti la forza degli imprenditori immigrati e sta stanno andando via», proprio nell’estrema A MIGRARE SONO I SOGGETTI PIÙ osserva. «Il mercato duttilità, nella capaINTRAPRENDENTI E DINAMICI non tira, e non guarcità di adattamenMA IL RISCHIO È CHE SI FERMINO da in faccia nessuno: to alle esigenze del ALL'AUTOIMPIEGO DELLA PARTITA IVA vale per tutti, tanto mercato. Occupano per gli italiani, quanto per gli stranieri». spazi lasciati liberi dagli italiani, garantiscoE poi c’è un’altra questione. I cittadini mano flessibilità negli orari di lavoro, disporocchini nel commercio, e in tempi più renibilità agli spostamenti, costi contenuti. E centi anche i senegalesi e i bangladesi; i soddisfano la domanda di impresa in settori cinesi nel tessile e nella ristorazione; gli labour intensive quali l’edilizia, l’agricoltualbanesi e i rumeni nelle costruzioni. Attivi ra, il commercio. «È vero, si danno molto in alcuni settori labour intensive come la da fare», commenta Otto Bitjoka, «hanno confezione di abiti e di capi in pelle, le coimprese di pulizia, assistono gli anziani, struzioni, il commercio, le attività di ristoforniscono una forma di welfare surretizio razione, alloggio, noleggio e le cosiddette a quello italiano, ma non credo che questo “multiservizio”: gli stranieri sono porti valore». titolari per lo più di imprese Eppure, le storie di imprenditoria immigrapiccole o piccolissime. «Sono ta di successo non mancano, anzi. Ne racqui da quant’anni, non so contiamo qualcuna anche in queste pagine. neppure se sto parlando da «È vero, qualche eccellenza c’è. Il luogo coimmigrato a da italiano», mune vede come immigrati gli straccioni, gli ironizza Bitjoka, «ma io mi africani, gli arabi. Non si pensa mai ai giapaspettavo un altro tipo di ponesi, ai cinesi, ai canadesi, agli americani. crescita. Negli anni NoÈ una lettura complicata, che va fatta catevanta gli immigrati per gorizzando, altrimenti si va fuori pista”. E rinnovare il permesso di quindi? «Bisognerebbe riscrivere la normasoggiorno aprivano la tiva sulle partite Iva. E finanziare le imprese partita Iva, facevano quel immigrate sarebbe una buona cosa». Esatche si definisce “autoimpiego. tamente quello che chiedono tutti. Anche gli M i aspettavo di assistere, in italiani. (m.m.)


«BEN VENGA L'IMMIGRAT0... PURCHÈ PAGHI LE TASSE» Sul regime Iva agevolato, l'ex sottosegretario all'Economia, il leghista Massimo Bitonci, sottolinea l'extra gettito di 1,5 miliardi di euro, raggiunto proprio grazie all'apporto di moltissimi giovani extracomunitari

«N

oi leghisti non siamo contro l’immigrazione, siamo contro l’immigrazione che viene a delinquere. Chi viene qui per lavorare e paga le tasse ci trova favorevoli. Per questo, da sottosegretario, ho aperto a tutti senza esitazioni il regime Iva agevolato»: Massimo Bitonci, Lega Nord, ex sottosegretario all’Economia nel governo Conte 1 e ancor prima sindaco di Padova, non ha dubbi. È un uomo del Nord e sa bene che da decenni la manodopera immigrata è utile alle aziende italiane e che le imprese, micro e piccole, degli immigrati possono concorrere allo sviluppo collettivo. A condizione che rispettino le leggi e le regole della coesistenza civile.

Dunque, pagare tasse è garanzia di uguaglianza? Assolutamente sì, è un tema su cui ho lavorato tanto. Ho lavorato molto e in prima persona al nuovo regime forfettario voluto da noi della Lega per applicare la flat tax alle partite Iva entro i 65 mila euro – un limite imposto dall’Europa, peraltro, tanto che io chiesi invano che fosse elevato a 100 mila, come in Francia, Irlanda, Belgio, Romania e altri Paesi. E siamo più che mai convinti che si debba andare verso una flat-taxation. Inoltre, a favore dei giovani, introducemmo il regime superagevolato dell’aliquota al 5% e lo aprimmo a tutti i residenti con le carte in regola, tanto che moltissimi giovani extracomunitari se ne sono avvalsi. Quindi le traccia un buon bilancio da quell’iniziativa? Ci sono state 45 mila nuove aperture al mese in più di Partite Iva, grazie a quella norma. Le par poco? Ma siete stati attaccati con l’accusa di aver ecceduto nell’agevolazione! Quelle nuove partite Iva hanno fruttato, grazie a questa imposta sostitutiva, un gettito fiscale

aggiuntivo di 1,5 miliardi di euro. Il che conferma che se imponi tasse eque, la gente le paga e apre la partita Iva! Ma vi criticarono sostenendo che in questo modo scoraggiavate l’impiego fisso! Sciocchezze. L’evoluzione economica mondiale va verso la flessibilità. E comunque se uno inizia un’attività autonoma, e impara a svolgerla, può sempre poi offrirsi sul mercato del lavoro subordinato, forte della sua esperienza e competenza. Fatto sta che chi oggi ci accusa ha usato quel miliardo e mezzo di euro per coprire la manovra economica 2020! Dunque, niente da dire contro la proliferazione delle partite Iva degli immigrati? No, a meno che non siano operazioni mordi-e-fuggi… Cioè? Aziende che vengono aperte per un paio d’anni, poi chiuse e riaperte con altri nomi. Un problema che si ripropone spesso, soprattutto tra le persone appartenenti a popoli con alfabeti diversi dal nostro e con generalità di facile contraffazione per un occhio italiano. Che fare? Ho da tempo preparato un emendamento alla legge in vigore per cui se sei extracomunitario e apri una partita Iva devi produrre una fidejussione che attesti la tua capacità e disponibilità a versare le imposte e i contributi previdenziali quando svilupperai reddito imponibile. Un modo efficiente per prevenire le frodi. Rispetto all’immigrazione onesta e integrata resta però il problema delle competenze. Con la giusta politica europea della formazione al lavoro, da

fare anche nei Paesi di origine degli immigrati. Numerosi settori economici hanno bisogno di manodopera qualificata che qui non si trova più. Che so, mancano i saldatori, i nostri giovani non vogliono fare quel lavoro? Andiamo a formarli dove sono disposti, esportiamo nei loro Paesi le nostre capacità formative, con un grande progetto di respiro europeo. Sarebbe bello! Sì, ma richiederebbe un cambio di mentalità. E invece vedo solo odio fiscale verso la libera iniziativa. Nonostante sia trainante, per tutti noi. (s.l.)

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INNOVAZIONE Storia di Andrea Arnautu e della sua Socialcrowd, la prima piattaforma italiana dedicata al no profit

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Nelle vene dell'Azienda Italia scorre anche sangue straniero Dieci anni fa MoneyGram lanciava i suoi Award: un premio dedicato a imprenditori immigrati che si fossero particolarmente distinti. Oggi questa esperienza è replicata in altri cinque stati europei di Marco Scotti

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se fossero davvero loro ad aiutarci MoneyGram, azienda texana di trasferimen“a casa nostra”? E se gli stranieri to di denaro fondata nel 1940 che, dal 2009, fossero la linfa vitale di un sisteha creato un premio (o Award) proprio dema economico altrimenti asfittico e che è stinato a questi imprenditori che operano anche merito loro se oggi l’Italia mantiene in Italia e che si siano distinti nelle seguenti un flebile segno positivo quando si parla di categorie: responsabilità sociale, che si ricrescita? E se, infine, volge a quei soggetti I MONEYGRAM AWARD PREMIANO il fatto che ci rubino il che si siano particoAZIENDE IN TRE CATEGORIE: lavoro – altro grande larmente distinti per INNOVAZIONE, CRESCITA ECONOMICA, classico della vulgaun particolare imRESPONSABILITÀ SOCIALE ta più beceramente pegno nei confronti razzista – fosse in realtà una fortuna? I dati della società; crescita economica, ovvero suffragano questa tesi. E alcune aziende più chi è stato in grado di aumentare il proprio illuminate si sono accorte rapidamente di business in modo sostenibile ma al tempo questo fenomeno, tanto da istituire addistesso con una decisa accelerata; innovaziorittura un premio che riconosce le imprese ne, categoria d’elezione per quelle imprese fondate da stranieri che si siano distinte in che abbiano sviluppato progetti particolardiversi campi di applicazione. È il caso di mente visionari e fuori dagli schemi.

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n un’epoca in cui tutti sono pronti a dichiararsi “primi”, “più grandi”, “più bravi”, quando si può riconoscere la vera primazia (certificata) è sempre piacevole farlo. Così, senza tema di smentita, si può raccontare di Socialcrowd, azienda nata da un’idea di una ragazza rumena, Andreea Arnautu, arrivata a 19 anni nel nostro Paese per ricongiungersi con la mamma, che era arrivata qui in cerca di maggiore stabilità economica. La Arnautu si laurea in lingue e letteratura e inizia a lavorare in un’agenzia pubblicitaria, scalando le gerarchie e divenendo responsabile di attività di marketing e comunicazione per grandi multinazionali. Dopo nove anni decide di fondare una propria organizzazione no profit che si occupa di programmi di integrazione per le comunità straniere in Italia: è Socialcrowd, la prima piattaforma italiana per organizzazioni no-profit. Si basa sul meccanismo del crowdfunding, ovvero donazioni spontanee a supporto di progetti specifici. Socialcrowd diventa la prima startup di questo tipo che disponga di un'area guidata per la verifica dell'ammissibilità a sovvenzioni statali e dell'Ue: forniscono anche consulenza e sostegno gratuito in preparazione di progetti di raccolta fondi. Le attività dell’azienda fondata da Andreea Arnautu si diversificano: è il primo marketplace per prodotti con un’implicazione sociale ed è anche una “bacheca” virtuale per postare annunci di lavoro nel settore.


«Dalla fondazione del MoneyGram Award nel 2009 – ci spiega Michael Schütze, Head of MoneyGram Europa – abbiamo valutato numerosissimi candidati: solo in Italia sono state esaminate oltre 1.300 aziende». Alla fine, però, sono rimasti in tre, uno per ogni categoria. Quest’anno (v.di box) si sono aggiudicati il riconoscimento nel nostro Paese: per la responsabilità sociale la Wajahat

Abbas Kazmi Films, una startup fondata da un pachistano appassionato di cinema; per l’innovazione, il riconoscimento è andato ad Andreea Arnautu, rumena, che ha fondato SocialCrowd, la prima piattaforma italiana per le organizzazioni no profit; per la crescita economica, infine, è stato “incoronato” George Sirbu con la sua Wegeorge, un sistema multicanale che permette alle aziende di creare sistemi digitalizzati online o localmente. Il MoneyGram Award è decisamente un unicum nel panorama europeo, tanto che, da quest’anno, si è deciso di ampliare questo premio a tutto il continente, con tre vincitori per ogni Paese. Obiettivo dell’iniziativa è riconoscere le prestazioni e i risultati di imprenditori stranieri nei loro nuovi «DALLA FONDAZIONE ABBIAMO VALUTATO OLTRE 1.300 AZIENDE. PARLIAMO DELLA VOLONTÀ DI ACCETTARE NUOVE SFIDE CULTURALI»

Paesi di residenza e premiarli. Nella prima edizione europea di questo riconoscimento si è scelto di rivolgersi in modo specifico a imprenditori stranieri in Italia, Spagna, Francia, Belgio, Regno Unito e Germania.

«Dopo 10 anni di edizioni italiane, - prosegue Schütze – quest'anno abbiamo deciso di renderlo un premio internazionale elevandolo a livello europeo, coinvolgendo sei Paesi. In passato abbiamo avuto edizioni con ancora più categorie. Crediamo che queste tre siano le più rappresentative. Quando parliamo di integrazione di successo, di solito parliamo della volontà di accettare nuove sfide culturali e, infine, di costruire una nuova esistenza in un nuovo paese. Oggi vediamo e conosciamo persone che hanno fatto dell'Europa non solo la loro casa, ma anche un terreno di coltura imprenditoriale per il loro successo». Il primo Premio Europeo per Migranti di MoneyGram ha visto l’atto finale lo scorso 7 novembre a Bruxelles. A ricevere i riconoscimenti continentali sono stati: Giuliano Dore (nel Regno Unito) per l'innovazione con la sua Get Groomers, un’azienda che mette in contatto i clienti con barbieri che lavorano a domicilio o negli uffici; Obada Otabashi (in Belgio) per la crescita con la startup We Exist, che mira a istituire un Centro siriano per gli scambi culinari e culturali al fine di facilitare l'integrazione pro-

CRESCITA ECONOMICA Wegeorge, fondata dal 23enne rumeno George Sirbu, permette alle aziende di digitalizzare i sistemi. Grazie alla sua azienda, da luglio è presidente dei giovani imprenditori

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nove anni George Sirbu abbandona la Romania per arrivare nella toscana Montevarchi, senza parlare una parola di italiano. Si iscrive all’istituto tecnico informatico, ma la sua grande passione sono i computer, che assembla con pezzi di risulta trovati in una discarica vicino a casa. Inizialmente la realizzazione di hardware fai-da-te ha uno scopo ben preciso: i giochi. Ma presto si accorge che l'aspetto su cui puntare è quello dei pc e la loro applicazione per le imprese. Così, durante i 5 anni delle superiori lavora come libero professionista, creandosi una sua rete di

clienti. Sviluppa siti web, offre moduli di e-commerce e assistenza tecnica. La sera lavora in una pizzeria per sostenere i costi dei server e per aumentare il margine. Terminati gli studi deposita il brevetto di un sistema di chiamate basato sui protocolli Gsm e Voip. Nel 2015 si rivolge ai suoi clienti perché lo aiutino a trovare i finanziamenti necessari ad aprire un’attività, Wegeorge che, a due anni dall’apertura, ha 13 dipendenti e un tasso di assunzione di un dipendente al mese. Il core business è lo sviluppo di software e app mobili, basati sull'analisi dei dati. Si tratta della re-

alizzazione di un sistema multicanale che consente alle aziende di configurare un sistema digitalizzato online o localmente, con importanti clienti nazionali, 45 complessivi, con i quali ha realizzato 23 progetti in poco più di due anni. Oggi, all'età di 23 anni, collabora con varie associazioni e società in Romania e fa parte del consiglio di amministrazione di Confapindustria e di essere Presidente dei Giovani Imprenditori con la delegazione al settore digitale e all'innovazione a luglio 2019.

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diretto o di proprietà di immigrati. Il che significa che almeno un milione di stranieri con vocazioni d’affari vivono e operano nel Regno Unito, per un totale di 4,5 milioni di posti di lavoro. Resta da capire come la Brexit impatterà su questi dati e se l’innalzamento di barriere a partire (come sembra) da gennaio cambierà pesi e percentuali dell’imprenditoria straniera sotto il regno di Sua Maestà. Tenendo a bada buonismi e sovranismi di sorta, il ruolo degli immigrati nelle economie europee è riassunto da Christos Stylianides, Commissario Europeo per fessionale delle persone in fuga da conflitti e persecuzioni; e Lawrence Richards (in Germania) per la responsabilità sociale, con Indievisuals, realtà specializzata nella realizzazione di contenuti audio-video per grandi società con l’intento di attirare l'attenzione su questioni sociali come l'educazione, l'integrazione e la protezione ambientale, raccontando il grande tema della diversità. I video servono quindi a raccogliere fondi per le persone meno fortunate, come i 20.000 euro destinati alle vittime di un tifone in

Asia o i 13.000 per le donne che hanno subito mutilazioni genitali in Africa. Il motivo di estendere il premio anche al di fuori del nostro Paese? I numeri! In Italia, infatti (vedi articolo di apertura), sono oltre 440mila gli imprenditori stranieri (quasi il 10% di quelli attivi in tutto il Paese) che producono una quota di pil pari a circa il 10% del totale, che vale circa 139 miliardi di euro. Uscendo invece dai nostri confini, si calcola che nel 2016 – secondo il Centro per l’Impresa britannico – il 14% delle aziende Uk fosse

RESPONSABILITÀ SOCIALE

GLI IMPRENDITORI STRANIERI IN ITALIA SONO 700MILA E VALGONO CIRCA IL 9% DEL PIL. UN DATO CHE ARRIVA AL 14% SE CI SI SPOSTA NEL REGNO UNITO

gli aiuti umanitari e la gestione delle crisi, che chiosa: «Questi premi sono un esempio di ciò che si può ottenere quando si rimane fedeli ai valori europei. Quando creiamo un ambiente che accoglie, dà potere alle persone e promuove l'innovazione. Ogni partecipante è oggi una prova di e determinazione e che le persone non vogliono la carità. Vogliono un'equa possibilità di plasmare la loro vita e perseguire i loro sogni». Amen.

Con la sua Wajahat Abbas Kazmi Films, il regista pakistano premiato vuole ricordare a se stesso e al mondo le grandi ingiustizie sociali che ancora oggi vengono perpetrate

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e la storia di Wajahat Abbas Kazmi fosse la trama di un film, sarebbe una pellicola titanica di riscatto sociale. Perché Wajahat, nato nel Gujarat pakistano, si è spostato a Brescia da bambino e qui ha avuto la possibilità di studiare cinema, in particolare quello scandinavo e i capolavori di Fellini e Rossellini. Da qui la decisione di impiegare il film come strumento di denuncia delle ingiustizie. Un tema di grande rilievo per il regista che, nel 2009, decide di tornare in Pakistan - dove aveva sperimentato esperienze poco stimolanti per un bambino - per riuscire a raccontare un

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mondo fatto di discriminazioni e di scarsa ingiustizia sociale. E per girare “The Dusk”, il crepuscolo, con l’intento di accendere i riflettori delle persone scomparse nello stato asiatico. Si tratta di un dramma urdu incentrato su una moglie misteriosamente rapita senza riscatto né ulteriori contatti Con la sua casa di produzione, Abbas Kazmi ha realizzato altre due pellicole: “Fatwa” e “Allah ama l’uguaglianza”. Il primo si concentra sui motivi che stanno alla base dell’aumento del terrorismo religioso in Pakistan e nel resto del mondo. Il secondo è un documentario che si focalizza sulla

situazione delle condizioni in cui vivono gli abitanti della comunità Lgbt in Pakistan. Filmando eventi di questo tipo, Abbas Kazmi persegue il suo obiettivo di portare un cambiamento sociale nel mondo di oggi. Con un decennio di esperienza nel campo del cinema e avendo visto le sofferenze dell'ingiustizia sociale durante la sua carriera di attivista, si concentra su storie non raccontate in modo che il mondo intero possa difendere le popolazioni emarginate.


L’immigrazione vincente dei Liu tre fratelli stellati Michelin Quella dei fratelli Liu è una storia imprenditoriale di successo: arrivati in Italia dalla Cina da bambini, hanno iniziato nella sartoria di famiglia, poi hanno lavorato come lavapiatti e oggi sono alla guida di tre locali di Roberta Schira

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siste una generazioneX di imprenristorazione a Milano. Noi eravamo piccoli, ditori nati in Cina, o arrivata in ma mio padre ha sempre coinvolto tutta la Italia da bambini, che con impegno famiglia nelle decisioni. Invece di un ristoe visione ha saputo affermarsi e integrarsi rante cinese abbiamo aperto una pizzeria alla perfezione. 0ggi parlano un italiano con piatti italiani in zona Ravizza, era il perfetto, fatturano milioni di euro e soprat2006 e si chiamava Acquario. C’era l’aviaria tutto amano l’Italia. Uno di questi è Claudio e la gente aveva paura delle insegne cinesi. Liu che insieme ai suoi fratelli Giulia e MarNostro padre ci ha dato un grande insegnaco stanno lasciando un segno nell’imprendimento: partire dai lavori più umili per arritoria della ristorazione a Milano, l’unica citvare a saper fare tutto. E ora lo ringrazio. So tà italiana nella quale si può fare esperienza come lavare un pavimento, lavare i piatti e di alta cucina oriental fare le pizze, gestire il style. I ristoranti ci- «NOSTRO PADRE HA DATO A ME E AI MIEI personale, conoscere nesi con poca igiene FRATELLI UN GRANDE INSEGNAMENTO: la psicologia di un PARTIRE DAI LAVORI PIÙ UMILI e ingredienti scadenti PER ARRIVARE A SAPER FARE DI TUTTO» cliente, far quadrare stanno tramontando i conti». e la famiglia Liu è uno degli esempi di que«Oggi siamo imprenditori a tutti gli effetti», sto cambiamento in atto. Claudio, il fratello continua ClaudioLiu: «mia sorella Giulia ha maggiore, è l’unico in Italia ad aver ottenuto aperto Gong e mio fratello un locale che si il riconoscimento di una stella Michelin con chiama Ba Asian Mood. A 24 anni con mia il ristorante Iyo, possiede un locate Aji di demoglie abbiamo aperto Iyo, un locale con livery di alto livello e ha appena aperto un design dall’effetto wow. Facevamo i classiterzo locale nel centro di Milano. ci della cucina giapponese, poi ci siamo in«Mio padre arrivò in Europa con la Trangranditi e nel 2014 è arrivata la prima stella siberiana, iniziò come lavapiatti e in poco Michelin. Lo chef Haruo Ichikawa è stato il tempo fece carriera in un ristorante, ma supporto culturale e morale della mia forpresto decise di cambiare settore. Ci portò mazione e anche a lui devo tanto». Così, a Reggio Emilia, dove aprì un laboratorio progressivamente, il team è passato da 12 tessile: confezionavamo per le grandi firme. a 30 persone, i metri quadrati d 180 a 400 Nel 2000 la concorrenza era troppa e così e la cantina da 90 a oltre 700 etichette. «Il vendette l’azienda e decise di ritornare alla nostro credo è “ristorare” i nostri clienti e

saperli ascoltare. Da noi vige la regola del tre, se sentiamo un commento tre volte da un cliente, vuol dire che va preso in considerazione». Quanto alle materie prime, «Il mio rapporto con i clienti è tale che da mangiare loro quello che darei i miei figli. Voglio sapere tutto degli ingredienti che entrano nella mia cucina: gamberi rossi che preferisco sono pescati a Ponente di Mazara. Compriamo i tonni interi tra Abruzzo e Sicilia, solo bluefin e tutto certificato Per me, la qualità degli ingredienti è una religione. I miei progetti futuri? Dedicarmi sempre di più alla formazione, mia prima di tutto continuando a frequentare master e a quella dei miei collaboratori. Il futuro è nelle risorse umane, le persone sono tutto. L’anno prossimo metterò in atto l’ampliamento di Iyo, acquisendo la gelateria confinante, avremo più spazio per rendere ancora più magico il locale. Il mio nuovo ristorante non sarà una copia del precedente. Queste sono le mie radici, Iyo lo amo e non voglio clonarlo. Si chiamerà Iyo Aalto in onore di Alvar Alto. È un progetto per il quale sono partito da zero, personale nuovo, chef nuovi, piatti diversi. Porterò di là solo il secondo maitre. Due locali con un’anima diversa e lo stesso spirito unificatore: trascinare per una sera il cliente in un viaggio emozionante».

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COVERSTORY

SE L'AUTO RALLENTA, SI INVESTE IN FORMAZIONE Geico, controllata da Comau e dalla famiglia iraniana Arabnia, è uno dei player più importanti nella verniciatura delle scocche per automotive, che nove anni fa si è alleata con la giapponese Taikisha di Marco Scotti

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he cos’hanno in comune Italia e Iran? A parte i colori della bandiera (ma una è a strisce verticali, l’altra orizzontali) e un patrimonio artistico tra i più importanti al mondo, ben poco. Eppure è proprio la commistione tra questi due Paesi che ha portato alla creazione di una delle più importanti eccellenze nel comparto automotive: la Geico di Cinisello Balsamo, in provincia di Milano, diventata rapidamente uno dei player più importanti nella verniciatura delle scocche. Fondata negli anni ’60 da Giuseppe (Pippo) Neri, quest’impresa passa nelle mani di suo genero, Ali Reza Arabnia - che già dagli anni ’70 era entrato in Geico – alla morte del patron nel 1994. E qui la musica cambia, diventa più ritmata e sincopata. 1997: Comau, azienda che fa parte di Fca (ancora per poco, a sentire le ultime voci che provengono dai mercati) rileva il 51% delle quote del portafoglio di Geico. Insieme potrebbero creare il più importante player del mondo: robot e impianti di verniciatura. Sarebbe troppo bello. E infatti non è stato e non sarà. 2006: la famiglia Arabnia rileva nuovamente l’intero capitale azionario della Geico, dopo l’insediamento di Sergio Marchionne, che decide di cedere tutti gli asset non-core. L’imprenditore italiano riesce a rilanciare l’azienda diventando uno dei leader mondiali dell’industria impiantistica del settore auto. 2011: viene siglata l’alleanza con Taikisha, il colosso giapponese specializzato nella realizzazione di impianti per la verniciatura delle scocche automobilistiche. Il 49% delle azioni rimane in possesso della famiglia Arabnia. Oggi in Geico è entrato anche Daryush, figlio di Ali e della moglie Laura, con il ruolo di Coo. «Per noi – ci racconta nei suoi uffici a Cinisello – il fatto che il mercato automotive stia rallentando è una normalità, è un sistema ciclico

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che vive di picchi di investimento e poi brusche frenate. Dal 2008, al tempo della grande crisi economico-finanziaria, abbiamo deciso che nei momenti di “stanca” dovevamo sfruttare la cassa accumulata in precedenza e avviare progetti di ricerca e sviluppo, formazione e altre iniziative che ci consentono di “seminare” per il futuro. QUELLO DELL'AUTO È UN SETTORE CICLICO CHE VIVE DI PICCHI DI INVESTIMENTO E DI ROBUSTE FRENATE. COSÌ, QUANDO GLI ORDINI MANCANO, SI GUARDA AVANTI

Fino ad aprile 2009, ad esempio, erano spariti tutti i clienti e gli ordini in essere venivano annullati: eravamo in una brutta situazione ma abbiamo deciso per un azzardo». E l’azzardo paga: con una cassa che permetteva a Geico di sopravvivere per due anni senza commesse, si è deciso di impiegare l’equivalente di sei mesi di vita per creare un centro di formazione. Il gioco si ripete ciclicamente: «Non saprei dire quanto investiamo in ricerca e sviluppo – confessa Arabnia – perché nei periodi di massimo carico lavorativo scendiamo a 3-4 milioni all’anno. Quando invece gli ordini scemano possiamo arrivare tranquillamente a 10-15». E questo che momento è per Geico? Positivo, sicuramente, per due motivi: il primo è il cam-

bio di regole sulle emissioni, il secondo la partnership con Taikisha. «Ogni volta che cambiano le norme sugli agenti inquinanti – conclude il Coo dell’azienda – siamo tranquilli che ci saranno più investimenti. I governi lasciano sempre qualche anno per adeguarsi, ma noi partiamo subito con nuovi progetti perché gli impianti di verniciatura sono grandi utilizzatori di energia e produttori di inquinamento atmosferico. E anche le nuove automobili alimentate a energia elettrica prevedono nuovi stabilimenti. Abbiamo una partnership con Mercedes per la realizzazione degli impianti di verniciatura nelle fabbriche dove oggi viene prodotta la Smart, la cui realizzazione, dopo l’ingresso di Geely nel capitale di Stoccarda, verrà spostata in Cina». Quanto a Taikisha, la fusione con il gigante giapponese che fa impianti di aria condizionata – nessuna anomalia: sono moltissimi i punti in comune con la verniciatura – ha prodotto un colosso che fattura oltre 2 miliardi di dollari, con più di 4.000 dipendenti nel mondo. Insomma, come si dice nella lingua persiana: Khali Khoob, molto bene.



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GESTIRE L’IMPRESA

QUEL PASTICCIACCIO BRUTTO DELLA REVISIONE DELLE PMI Ora che anche le piccole srl sono obbligate a far certificare i bilanci, commercialisti e professionisti associati sono alle prese con il rispetto di regole di indipendenza. La soluzione? Il Joint Audit alla francese di Rocco Abbondanza managing partner Rsm Società di revisione

28 LEAN MANAGEMENT CHI INVESTE IN «SNELLEZZA» USA MEGLIO L’HI TECH

31 PWC NON SI PUÒ PIÙ AVERE PAURA DELLA DIGITAL TRANSFORMATION

32 WOMEN FIRST LA LEADERSHIP È FEMMINA MA VA COLTIVATA IN TEAM

34 ASSITECA+MARSH «IL BROKER ASSICURATIVO OGGI DIVENTA RISK MANAGER»

36 LIGRESTI (DELL) «LA SVOLTA DEL PIANO CALENDA STA COINVOLGENDO ANCHE LA P.A.»

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hi farà 80.000 o 90.000 nuove revigli indici individuati che appaiono più gli sioni di bilanci societari entro fine indicatori di un conclamato “de profundis” anno? Stiamo parlando della revipiuttosto che segnali di una crisi ancora resione legale delle piccole srl che da quest’anversibile. Tralascio di soffermarmi sul fatto no sono soggette appunto a quest’obbligo. che in una epoca di “big data” e interferenze Facciamo un passo statistiche sofisticaNON ESISTE NESSUNA GARANZIA indietro. Le nuove rete gli indici abbiano CHE GLI ELEMENTI DI BILANCIO SU CUI gole sulla crisi di imil patrimonio netto SONO CALCOLATI I SEGNALI DI ALLERTA presa vedono come negativo come uno DELLA CRISI SIANO CORRETTI centrale la tempestidegli elementi chiave. vità con cui si riconosce la crisi e con cui si Tralasciamo tutto questo! Prendiamo per chiede all’imprenditore di prenderne atto e buoni gli indici, ma riflettiamo almeno sui di intervenire. Nei mesi passati molto si è loro numeratori e denominatori? discusso su quali siano gli indicatori della Per lo più sono grandezze di bilancio o ricrisi. Da poco, infatti, la professione ha indisultati particolari ed il bilancio è preparato viduato degli indici da cui far partire tutte le dall’azienda stessa e approvato dall’imprenprocedure di allerta. ditore stesso, oggetto di controllo. Se per Tralascio approfondimenti e commenti suanni quella azienda e quell’imprenditore

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GESTIRE L’IMPRESA

hanno valutato ottimisticamente il magazzino a valori di ricavo invece che di costo, se hanno creduto fideisticamente che tutti i crediti fossero recuperabili e se hanno considerato che l’appostazione di un fondo rischi fosse un’espressione di pessimismo cosmico insito nell’indole del loro commercialista consulente sul bilancio, che garanzia avremo che gli elementi di bilancio su cui vengono calcolati i segnali di allerta della crisi sono corretti? Questo vale per tutte le aziende, ma ancor di più per quelle meno strutturate e più piccole senza controlli di primo secondo o terzo livello, cioè molte di quelle 80.000 o 90.000 aziende di cui parlavamo all’inizio. Fondamentale è allora l’”assurance”, cioè l’attività di revisione legale su quei numeri e su quelle grandezze di bilancio per far sì che questi siano corretti. Torniamo allora alla domanda iniziale. Chi farà 80.000 o 90.000 nuove revisioni entro fine anno? La mia come le altre società di revisione che appartengono a network internazionali e sono sottoposte alla vigilanza della Consob difficilmente potranno avere un ruolo significativo nell’effettuazione delle decine di migliaia di revisioni legali di cui dicevamo. Perché? Perché i criteri e le procedure che regolano l’accettazione dei nuovi clienti richiedono che chi accetta l’incarico conosca l’azienda e l’imprenditore che assoggetterà a revisione. Considerando che gli incarichi andavano conferiti entro il 16 dicembre 2019 direi che è impossibile procedere alla accettazione di un numero significativo di questi incarichi di revisione legale da parte dei grandi network di revisione legale. Quindi? Quindi è probabile che saranno i revisori persona fisica o associati in poche unità di professionisti - che conoscono bene le piccole aziende e i piccoli imprenditori presenti sul territorio - a svolgere queste revisioni legali. Per molti di loro potrebbero essere i primi incarichi di revisione legale. Allora se è importante per il successo del-

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L’INDIPENDENZA DEL REVISORE È UNA CRITICITÀ DATO CHE VIENE NOMINATO E PAGATO DALL’AZIENDA le nuove regole della crisi di impresa che la revisione legale fatta sia efficace, è anche necessario conoscere quali saranno le difficoltà che i relativi revisori si troveranno davanti e aiutarli nell’evitarle o superarle. A questo si aggiunge il fatto che per tutti i revisori grandi e piccoli, dal 2019 la revisione legale richiede competenze specifiche maggiori. Non solo più le consuete tecniche di investigazione e analisi contabili usate fino al 2018. Ma anche capacità di conoscere le tipicità operative e contabili specifiche dei vari settori in cui operano le aziende clienti e competenze per capire la bontà dei business plan preparati dall’azienda ai fini appunto della richiamata regolamentazione sulla crisi di impresa. Dobbiamo collettivamente mettere il revisore (anzi dal 2019 “super revisore”) nella condizione di avere la sua indipendenza difesa, la sua competenza, la sua organizzazione e i suoi strumenti di lavoro potenziati. Specialmente se parliamo di revisori persone fisiche o associati in poche unità professionali. Se non ci saranno dei correttivi questa riforma si poserà su debolezze significative. Vediamo quali sono le criticità insite nella revisione legale in generale e

che a mio parere si acuiscono nel caso della revisione legale fatta per le piccole imprese da entità di revisione di limitate dimensioni. Tra gli altri vedo risaltare tre punti: indipendenza del revisore, aggiornamento professionale e accesso alle nuove tecnologie. Indipendenza del revisore. Debolezza originaria. Per chi non fosse familiare con il concetto di revisione legale indichiamone la fondamentale debolezza e cioè il fatto che il controllore, il revisore legale, è scelto e pagato dal controllato! Non solo pagato, ma scelto dall’azienda cliente: che il revisore sia anche scelto da questa rende chiaro a tutti senza bisogno di commenti che esiste una criticità da gestire. Il legislatore poi, pur consapevole di questo, non ha voluto stabilire la regola che aldilà della revisione legale il revisore non possa rendere nessun altro servizio. Regola chiara sarebbe stata: fai solo la revisione e non anche altri servizi allo stesso cliente. Il legislatore non l’ha voluta. Perché? L’indipendenza è la prima qualità di un revisore. Alcuni tra i lettori ed anch’io tra questi diranno che a tutela di questo c’è il comportamento etico del professionista, la sua deontologia, il suo rispetto delle regole. Vero.


Peccato poi che nel 2002 il più grande gruppo di revisione al mondo è crollato sotto i colpi dello scandalo Enron. Una cosa simile è successa in Italia in relazione a Parmalat. Non parliamo, poi, dello scandalo delle banche, sempre in Italia. O di multinazionali del Regno Unito andate in bancarotta pochi mesi dopo che il revisore aveva dato una opinione senza rilievi, quindi anche senza rilievi sul “going concern”. E degli scandali in Germania. Considerate quindi le minacce all’indipendenza, che sono forti anche per gruppi multinazionali della revisione, vogliamo dire che questa minaccia non ci sia per il revisore persona fisica, per alcuni dei quali avere anche solo 6 o 7 nuovi incarichi di revisione potrebbe implicare un incremento del proprio giro di affari del 40/ 50%? Cosa si può fare in merito a questo? Noto solo che sia singolare che quando la crisi è conclamata i soggetti chiamati a gestire la crisi siano nominati da soggetti ed enti terzi rispetto all’impresa e all’imprenditore. Perché questo non potrebbe succedere durante la vita normale dell’azienda, cioè avere il revisore nominato da enti terzi rispetto all’azienda? Ma se anche volessimo mantenere il concetto, per altri motivi più praticabile, che sia la azienda a scegliersi e pagare il suo controllore (….) quali rimedi si potrebbero prevedere? Di sicuro al revisore dovrebbe essere impedito di fare qualsialtro servizio. Di sicuro non dovrebbe avere altre relazioni con la azienda oggetto di controllo e anche con il professionista che la segue. Di sicuro dovrebbe avere un incarico per un periodo congruo (sei anni? Sette anni?) ma senza possibilità di essere rinnovato alla fine di questo. Ma ci potrebbe essere ancora di più, che vedremo dopo. Le altre due criticità che menzionavo sono aggiornamento professionale ed accesso alle nuove tecnologie. Queste tematiche rappresentano una criticità anche per noi che siamo network internazionali di revisione contabile. Gli investimenti in tecnologie

sono sempre più alti. I tempi dedicati al training del personale professionale aumentano. Come questo può essere affrontato dal revisore persona fisica? Come può essere aiutato su questi aspetti per essere in grado di fare una revisione efficace che è elemento critico per la riuscita della strategia sulla crisi di impresa? Per fare la revisione legale basta essere iscritti al registro dei revisori legali? Sebbene per alcuni la risposta sia sì, per la legge (che incorpora i principi di revisione ) e per chi scrive la risposta è no. Essere iscritti al registro dei revisori contabili è una condizione necessaria ma non sufficiente. Oltre ad essere iscritti al registro bisogna (da statuiti principi di revisione) dimostrare di avere una organizzazione e delle procedure in essere. A chiunque eserciti la revisione legale deve essere chiesta la conferma che abL’UNICO PAESE EUROPEO CHE NON HA MAI AVUTO SCANDALI LEGATI ALLA REVISIONE È LA FRANCIA GRAZIE AL SISTEMA DEL JOINT AUDIT

bia una procedura e una organizzazione interna. Che abbia fogli e schemi di lavoro. Che dica quale sia il suo approccio alle verifiche sul sistema informatico delle aziende che sottoporrà a revisione. Deve essere chiesta la sua preparazione informatica soprattutto in un periodo di fatturazione elettronica dove fanno fede i “log” elettronici più che le copie cartacee. Ma il revisore associato in poche unità professionali è in grado di dare queste assicurazioni? Alcuni sì probabilmente… Ma chi non lo potesse fare? Ecco allora che tutta la professione dovrebbe fare sistema per permettere a tutti i revisori, anche quelli associati in dimensioni limitate, di fare una revisione efficace, pur essendo scelti e pagati dalla stessa azienda pur essendo di limitate dimensioni. Come? Prendiamo esempio dall’unico paese che per cento anni non ha avuto scandali di revisione: la Francia. La Francia da sempre ha adottato uno schema originale ma così di successo da essere stato ripreso dalla diret-

tiva europea sulla revisione. La Francia ha adottato il Joint Audit. Cos’è il Joint Audit? È la revisione legale effettuata non da un revisore, ma da due. Non significa che ci sono due revisioni, ma significa che il lavoro di revisione è diviso tra due revisori totalmente indipendenti tra loro e che poi controllano ciascuno il lavoro sul campo fatto dall’altro e poi emettono una unica congiunta relazione di revisione finale. Per cento anni non ci sono stati scandali di revisione in Francia (ci sono stati scandali finanziari, ma non legati ad una revisione con risultati sbagliati). E se sulla base di questo esempio si ragionasse su qualcosa di simile in Italia? Se si introducesse il Joint Audit in Italia? Se le società di revisione soggette alla vigilanza della Consob dessero la disponibilità delle proprie tecnologie ai revisori delle piccole srl? Se facessero partecipare loro alle proprie sessioni di training? Se dessero la disponibilità di utilizzo dei propri schemi di lavoro, dei propri esperti, della propria organizzazione? Se il revisore delle piccole srl fosse chiamato a confermare positivamente di avere l’organizzazione interna richiesta dai principi di revisione oppure di informare di appoggiarsi alla organizzazione di altro soggetto che ha già fatto questa dichiarazione? Se quindi rimanesse titolare unico della revisione (diversamente che in Francia) ma desse evidenza di chi lo supporta su questi aspetti critici, incluso quelli del controllo qualità? Ovviamente tutto questo si potrebbe fare solo se dall’altra parte l’impatto economico di tutto questo fosse molto limitato e fosse fatto, più che a valori di mercato, sulla base del costo marginale aggiuntivo che questo potesse rappresentare per la società di revisione eventualmente chiamata a farsi carico di questi aspetti. A parere di chi scrive se ci fosse un allineamento di tutte le forze della professione (società di revisione, revisori e dottori commercialisti) sulle tematiche dall’assurance sui dati aziendali, la regolamentazione sulla crisi di impresa potrà essere un successo.

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GESTIRE L’IMPRESA

LA GESTIONE “SNELLA” CHE INGRASSA I PROFITTI Le aziende che applicano il Lean management hanno performance migliori rispetto a quelle che non lo fanno: l’Ebitda è superiore del 20% e il Roe del 65%. Ma tra le imprese si tratta di un modello ancora acerbo di Riccardo Venturi

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odicimila euro di valore aggiunto in più per dipendente all’anno. È quel che ottengono le aziende italiane che applicano il lean management, la gestione snella dell’azienda che applica i principi del Toyota production system ideati da Taiichi Ohno, in modo sistematico, rispetto a quelle che lo fanno poco o che non lo fanno per niente. Non solo: l’ebitda è superiore del 20%, il ros (return on sales) del 39%, il roa (return on assets) del 44% e il roe (return on equity) addirittura del 65%. Sono dati che emergono da una ricerca condotta da Università di Padova e Cuoa business school, in partnership con Intesa 4 value e Considi, prima ricognizione sistematica in Italia sulla diffusione delle pratiche di gestione snella. Il lean management è una modalità di gestione

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anche peccato, non a caso lo stesso numero dei 7 peccati capitali... Eccoli: sovrapproduzione; movimenti non necessari; attese inutili (il che ha aperto la via al concetto di just in time); scorte in eccesso; perdite di processo o eccesso di attività; prodotti difettosi; trasporti non necessari. Considi, che ha partecipato alla ricerca sulla diffusione del lean in Italia ed è stata tra le prime realtà a comprendere l’importanza del pensiero organizzativo snello, sottolinea che il mercato è in continuo cambiamento, e così anche il tradizionale Toyota Production System si è evoluto in Toyota Profit System, sistema di gestione aziendale a 360 gradi: i principi del pensiero snello si possono quindi applicare a tutte le funzioni aziendali. I principi guida del lean management secondo Considi includono un miglioramento continuo che coinvolge tutti i livelli dell’organizzazione; la definizione del valore dal punto di vista del cliente finale; la capacità di distinguere aziendale volta alla riduzione degli sprechi, tra le attività che aggiungono valore per il fino alla loro eliminazione. Taiichi Ohno, cliente da quelle che non aggiungono valore, padre del lean, era un cacciatore di sprechi, liberando ed impiegando meglio le risorse intesi come l’utilizzo di qualsiasi risorsa aziendali; l’identificazione e analisi dei pro- uomo, macchina, spazio, tempo - in quancessi di business allo scopo di individuare le titativo superiore al minimo necessario per criticità: evidenziare gli sprechi e far emerdare al cliente il vagere opportunità LA RICERCA CONDOTTA DA UNIVERSITÀ lore che vuole avere. di miglioramento; DI PADOVA E CUOA BUSINESS SCHOOL La sua è una ricerca HA ANALIZZATO I BILANCI DEGLI ULTIMI l’ottenimento di una dell’essenzialità prostandardizzazione DIECI ANNI DI 454 IMPRESE ITALIANE duttiva nella quale si dei processi attraversentono gli echi della filosofia zen, così come so il continuo apprendimento. Il lean manaquelli della celebre frase dell’architetto tedegement comprende le tecniche di gestione sco Mies van der Rohe Less is more, meno è e di sviluppo delle persone, il vero motore meglio: forse non è un caso che proprio in aziendale del miglioramento. Tutti devono Germania i principi lean siano stati applicati essere coinvolti nel processo di migliorain modo sistematico. Ohno ha codificato 7 mento all’interno dell’azienda: Top manasprechi, in giapponese muda, che significa gement, dirigenti e responsabili, fino agli


operatori. La ricerca effettuata da Università di Padova e Cuoa business school, in partnership con Intesa 4 value e Considi, conferma che il lean management funziona anche in Italia. «Punto di partenza della ricerca è il fatto che in Italia negli ultimi 30 anni la produttività non è cresciuta» dice Andrea Furlan, professore di economia e gestione delle imprese nel Dipartimento di Scienze Economiche e Aziendali dell’Università di Padova nonché coordinatore scientifico della ricerca, «se confrontiamo i dati della produttività del lavoro tra Germania e Italia dal 1995 al 2017 ci accorgiamo che su base annua noi siamo cresciuti dello 0,4%, i tedeschi dell’1,6%: un trend che ha portato a una differenza sostanziale sulla produttività». Il problema è doppiamente grave a causa della natura del nostro tessuto industriale: «L’Italia è ancora un paese fatto di settori manifatturieri in cui il lavoro è una componente importante» osserva Furlan, «se la produttività del lavoro è bassa, lo è anche quella dell’economia. Non siamo nella Silicon Valley dove è prevalente l’industria automatizzata ed è quindi più importante la produttività delle macchine, in Italia purtroppo non è così». Il passo successivo è stato chiedersi perché la produttività in Italia è sostanzialmente al palo da 30 anni. «Ci sono diverse risposte, dalla burocrazia

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12,0 10,5 ROE %

ANDREA FURLAN

lenta e farraginosa agli elevati costi dell’eimperativo categorico: la riduzione degli nergia fino agli sprechi della PA» ipotizza sprechi» spiega Furlan, «e con quest’ottica il professore di economia e gestione delle impattano sull’organizzazione della produimprese, «ma resta un sospetto che di solizione e delle risorse umane. Certo per applito non si indaga: forse la ragione è legata al carle le si deve studiare». La ricerca italiana fatto che le aziende potrebbero essere gestiha ricavato dati da 454 imprese e ne ha cointe meglio di quanto non lo siano? Non è che volte 10-15mila, incrociando i dati con una sia un problema di management?». I risultati survey basata sui bilanci dal 2008 al 2018. della ricerca confermano che l’organizzazioLe imprese sono rappresentative soprattutne delle aziende c’entra eccome. to del nord Italia, est e ovest; c’è una buona La ricerca di Univerrappresentanza del sità di Padova e Cuoa NON DI RADO ACCADE CHE UN’AZIENDA centro, meno del sud, INIZI UN PERCORSO DI CAMBIAMENTO business school si è il che rispecchia ahiDEI PROCESSI E POI LO INTERROMPA sviluppata sul modelnoi la distribuzione PERCHÉ LA PROPRIETÀ NON È CONVINTA lo di quella realizzata del sistema industriada Harvard business review in 34 paesi e le italiano. I risultati, come visto, indicano oltre 12mila imprese, che ha mostrato come che il 16% delle aziende, quelle che appliil 10% delle imprese migliori in termini di cano sistematicamente il lean management, applicazione di lean management e operaottengono risultati molto migliori. «Abbiational excellence (gestione snella e eccelmo trovato differenze enormi non tanto tra lenza operativa) abbia un profitto superiore chi fa qualcosa e chi non fa nulla» precisa il mediamente di 15 milioni di dollari, e inolresponsabile scientifico della ricerca, «quantre il 25% di crescita e il 75% di produttivito tra chi lo fa in modo sistematico e chi lo tà in più rispetto al 10% di quelle peggiori. fa poco o non lo fa per niente». Un altro ele«Le buone pratiche sono accomunate da un mento significativo che emerge dalla ricerca

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2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017 Beginners

Advanced

Outsiders

FONTE: CUOA BUSINESS SCHOOL

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GESTIRE L’IMPRESA

è che il lean incrementa i risultati della tecnologia; in altri termini, chi investe solo in tecnologia ha un vantaggio finanziario, ma più basso di quello delle imprese che investono anche in lean. In particolare, il rapporto tra Ebitda e vendite delle aziende che non utilizzano né la tecnologia né il lean è pari a 6,51, la sola tecnologia dà un boost e lo fa salire a 9, ma se c’è anche il lean si arriva a 11. Una dinamica ancora più evidente considerando il Roe: dall’8 di chi non adotta né l’una né l’altra, con la sola tecnologia si sale di poco, a 8,60, ma con il lean si decolla a 12,75. «Quasi tutte le imprese che investono in lean investono anche in tecnologia» mette in evidenza Furlan, «ma non è vero il contrario: solo un terzo delle imprese che investono in tecnologia investe anche in lean. La tecnologia si tocca con mano, è più facile comprare una macchina che non cambiare un’organizzazione. Ma c’è il rischio che la tecnologia senza lean sia un investimento a perdere». Se i numeri sono questi, ci si chiede perché le tecniche di lean management non siano applicate da tutti. «Il 36% di chi non fa il lean semplicemente non la conosce» spiega il professore di economia e gestione delle imprese dell’Università di Padova, «non dimentichiamo che oltre il 70% delle imprese italiane ha carattere familiare». Proprio il pieno coinvolgimento del piccolo imprenditore non è sempre facile da ottenere: «È più agevole coinvolgere un manager, che per background si percepisce come uno che deve studiare sempre e applicare metodi scientifici» aggiunge Furlan, «L’imprenditore familiare ha canoni diversi. Se si vuole applicare il lean in modo serio bisogna cambiare il modo di affrontare i problemi per trasformare tutta l’impresa, e il cambiamento deve partire dall’alto. Perché produca effetti dev’essere una trasformazione ampia, non solo in qualche reparto, altrimenti ottieni l’1-2% dei benefici che si potrebbero ottenere». Non di rado accade che un’azienda inizi un percorso di cambiamento dei processi e poi lo interrompa, proprio perché la proprietà non è convinta, mentre dovrebbe esserne il primo

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sponsor. La maggior parte delle imprese che ha adottato le pratiche di lean management l’ha fatto perché c’era una crisi. «L’imprenditore non deciderà mai di investire in un processo di trasformazione importante se non c’è una crisi» rileva il responsabile scientifico della ricerca, «squadra che vince non si camLE IMPRESE CHE INVESTONO IN LEAN INVESTONO ANCHE IN TECNOLOGIA, MENTRE SOLAMENTE IN UN TERZO DEI CASI ACCADE IL CONTRARIO

bia, e forse è giusto così. Ma la crisi dev’essere operativa, non finanziaria. Si deve intervenire quando la benzina è in riserva, non quando finisce. Quando i clienti si lamentano per il ritardo delle consegne, la qualità del prodotto si deteriora rispetto ai concorrenti; ma prima che diventi una crisi finanziaria di cassa, cioè prima che sia troppo tardi». Ma quando il lean è adottato nei tempi e nelle modalità giuste,

i risultati possono essere decisivi. «Il percorso lean è stato la chiave del nostro successo nella trasformazione aziendale» dice Fabiano Clerico, amministratore delegato di Tocheim Italia, gruppo multinazionale operante nel settore della distribuzione e manutenzione di impianti e sistemi per la distribuzione di carburanti, «Durante questo periodo di intensa trasformazione, non solo siamo riusciti a mantenere il nostro fatturato complessivo ma abbiamo anche aumentato il nostro Ebitda del 70%». Non solo: Tocheim Italia ha ridotto le scorte dei prodotti finiti del 50% e i pezzi di ricambio della manutenzione del 30%. Il lead time dei tempi di consegna si è ridotto da 8 settimane a 6 settimane e quello dei pezzi di ricambio da 15 giorni a 5 giorni. «Il nostro tempo di intervento si è ridotto dell’80%. Se non avessimo imparato il pensiero snello non sono sicuro che l’azienda sarebbe stata ancora qui oggi» conclude Clerico.

IL DECALOGO DI TAIICHI ONO

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Tu sei un costo, prima di tutto riduci gli sprechi. Senza far questo, non potrai sviluppare le tue capacità.

Una volta che hai cominciato, persevera nell’attività. Non rinunciare fino a quando non ne sei veramente capace. Fermarsi a metà strada può diventare un’abitudine.

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Cerca di trovarti in difficoltà e metti in difficoltà gli altri. Si creerà così un divario di capacità rimarchevole con chi ama la vita comoda. Il tuo rivale ti è superiore. In altre parole, tu puoi essere vincitore solo se cominci adesso.

Lascia una traccia nel tuo lavoro. Se ti si comanda dieci, con il tuo ingegno cerca di fare undici.

Fatti seguire, ma senza costringere nessuno a inginocchiarsi. Per questa ragione devi, più di chiunque altro, guardare alle persone con lungimiranza.

Prima di tutto di’ “ci riesco”. Troverai allora il modo per farlo. Fai dell’insuccesso il tuo punto di forza. L’autentica fiducia in se stessi e perfino la buona fortuna nascono dal sollevarsi dopo una caduta. Evita di aggravare le condizioni di lavoro. Le persone sfruttano nel migliore dei modi il proprio cervello per “stare più comode”. Le critiche dei clienti sono un richiamo per il successo. Non lasciartele sfuggire, non esserne diffidente. Riflettici a lungo.


Chi ha (ancora) paura della rivoluzione digitale? L’accesso alle risorse finanziarie e l’intuito dell’imprenditore non bastano: servono competenze per trarre il massimo beneficio dagli investimenti in innovazione tecnologica di Vincenzo Grassi (Partner PwC, Industrial manufacturing & Automotive Leader)

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a trasformazione che l’innovazione tecnologica si porta dietro sta imponendo un radicale cambiamento del modo di lavorare e di fare business, decretando l’enorme successo di alcune imprese e mettendo a serio rischio di sopravvivenza quelle che non hanno voluto o saputo affrontare il cambiamento. Gli investimenti a livello globale in tecnologia per il 2019 sono stimati in 3mila miliardi di dollari. Guardando l’Italia, gli incentivi collegati a Industria 4.0 hanno dato una spinta importante al rinnovo e upgrade tecnologico delle imprese manifatturiere. Il successo degli investimenti non è però solo determinato dalla facilità di accesso alle risorse finanziarie e dall’intuito dell’imprenditore, ma dalle persone che quelle tecnologie dovranno utilizzare. In tutto il mondo le imprese si scontrano con la carenza di competenze indispensabili per trarre il massimo beneficio dagli investimenti in innovazione tecnologica. Una nostra survey ha mostrato che la disponibilità di collaboratori con adeguate competenze è in cima alle preoccupazioni del 79% dei capi d’azienda. L’Italia non fa eccezione. I dati di Unioncamere evidenziano una carenza dal 22% al 38% di laureati con competenze Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics) a seconda del corso di studi, e dal 22% al 26% di diplomati tecnici a seconda della specializzazione. Anche gli occupati condividono la preoccupazione per gli impatti sul proprio futuro: il 55% dei lavoratori teme che l’automazione metta a rischio il proprio posto di lavoro. Uno nostro studio stima che entro il 2035 robot e intelligenza artificiale avranno

un impatto sul 39% degli attuali posti di lavoro in Italia, pur con differenze significative in base al livello di formazione, dal 16% dei laureati al 45% dei lavoratori che non hanno completato il ciclo di studi superiori.

Un patto di Sistema Si tratta quindi di orientare la trasformazione digitale in modo coordinato e sinergico, ragionando in un’ottica di sistema, prevedendo che tutti – dal Governo alle imprese, passando per università e associazioni di categoria, fino ai cittadini – attuino azioni che permettano di affrontare queste dinamiche al fine di cogliere le opportunità aperte dalle nuove tecnologie. Questo risulta essere determinante per il futuro benessere economico del nostro Paese, visto che sono proprio i settori ad alte competenze ed alto valore aggiunto a sorreggere la nostra economia: tra il 2010 e il 2017, la voce che ha contribuito maggiormente alla crescita del Pil è stato l’export, trainato dai prodotti ad alto contenuto tecnologico. I dati di Federmacchine per il 2018 evidenziano che il saldo commerciale nel settore dei macchinari e apparecchi meccanici è stato positivo per oltre 50 miliardi di euro, più della somma dei saldi commerciali di abbigliamento, arredamento e prodotti agro-alimentari. Esperienze internazionali hanno evidenziato che l’investimento pubblico in competenze dei cittadini ha un impatto positivo diretto sul Pil di un Paese, sugli introiti fiscali, riduce la spesa per sussidi e accresce il livello complessivo di coesione sociale. Un euro di investimento di un Paese in crescita professionale porta a 2 euro

L’AUTORE, VINCENZO GRASSI

tra maggiori introiti fiscali e risparmi di spesa sociale.

Un cambiamento culturale Se focalizziamo l’attenzione sul mondo delle imprese, secondo l’Istat, nel 2015, solo l’8,1% degli italiani occupati era impegnato in un percorso di “apprendimento permanente” e il 40% delle imprese sopra i 10 dipendenti ancora non offre alcuna opportunità di apprendimento. Per stare al passo con la trasformazione digitale, l’imprenditore deve mettere a disposizione strumenti ai propri collaboratori affinché diventino essi stessi promotori e motori dell’innovazione. I lavoratori di oggi e di domani, dal canto loro, devono considerare il continuo sviluppo delle proprie competenze come elemento determinante per assicurarsi un ruolo attivo nella trasformazione digitale e mantenere nel tempo valore e riconoscibilità sul mercato. Noi stessi in PwC abbiamo abbracciato un cambiamento culturale con un investimento di 3 miliardi di dollari per consentire alle nostre persone di sviluppare nuove competenze a livello globale affinché possiamo essere da esempio per i nostri clienti. Siamo convinti che ciò ci consentirà di interagire con loro rendedoci ambasciatori diretti dei benefici e delle opportunità che la digitalizzazione può offrire. Un cambio di paradigma che ci indica come la trasformazione digitale farà scomparire le mansioni più routinarie e ripetitive, ma consentirà lo sviluppo di nuovi lavori più qualificati in grado di generare nuove forme di occupazione che oggi sono difficili da immaginare.

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GESTIRE L’IMPRESA

La leadership è femmina ma va coltivata in network Migliorare le soft-skill e offrire nuove opportunità di crescita: il programma internazionale Women First mette a confronto le donne che occupano posizioni di rilievo in aziende pubbliche e private di Elena Puliti

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a leadership femminile nelle azienstoria è nata per caso, io ho cominciato a lade è aumentata, ma c’è ancora molvorare giovanissima in Borsa Italiana, dove to da fare per migliorare, visto che per nove anni mi sono occupata di assistenza a livello mondiale le donne occupano solo il alle emittenti quotate in materia di operazio13 per cento dei ruoli ni straordinarie. A un A LIVELLO MONDIALE LE DONNE istituzionali e il 15 per certo punto ho deciso OCCUPANO SOLO IL 13% DEI RUOLI cento delle posizioni di cambiare settoISTITUZIONALI PUBBLICI E APPENA IL 15% DELLE POSIZIONI DIRIGENZIALI dirigenziali. re per offrire la mia Le capacità di leaderconsulenza ad alcune ship di una persona dovrebbero dipendere società, perché nel frattempo avevo avuto dai punti di forza e dai tratti della personalità, tre figli e la vita professionale si intrecciava ma spesso le donne non sono incoraggiate ad con quella personale. Questa esperienza mi assumere ruoli manageriali. Per sviluppare questi temi, Leaders First, network di imprenditori, manager e professionisti senior con sede a Londra, Milano, Mosca e New York, che ha lo scopo di migliorare le soft-skills necessarie per i ruoli di leadership e imprenditorialità, ha creato il programma Women First, in partnership con Blu Family Office e lo Studio Legale Cafiero Pezzali e Associati, mettendo a confronto imprenditrici, manager e rappresentanti di istituzioni, per mettere a fuoco percorsi e best practices tagliati al femminile. «Per diventare leader di successo è necessaria una buona dose di fortuna, saper cogliere al volo le occasioni e scegliere bene i propri compagni di viaggio», spiega racconta MiMICHAELA CASTELLI PRESIDENTE ACEA S.P.A chaela Castelli, presidente Acea Spa. «La mia

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ha insegnato un’altra cosa importante per diventare un manager di successo: sapersi tirare indietro al momento giusto per passare a una nuova sfida. Uscire dalla propria zona di comfort per rimettersi in gioco è essenziale, ma soprattutto è importante capire quando è il momento di passare il testimone e farsi da parte». Ma non è tutto: «Una cosa che caratterizza noi donne», continua Michaela Castelli, «è il fatto che sappiamo ascoltare, in un’epoca in cui le persone sono sempre meno disponibili e tendono a perdere la concentrazione. La femminilità permette di apprezzare le persone e i loro punti di vista, e grazie alla nostra sensibilità tendiamo a dare possibilità che nessun altro dà. Inoltre è necessario ascoltare noi stesse: io per esempio in questa fase della mia vita sto lavorando anche per il futuro, cercando di delegare e di aiutare a crescere le nuove generazioni, anche se le ragazze di oggi sono già sulla buona strada, perché sono molto preparate e determinate». Le performance delle imprese guidate dalle donne hanno performance migliori di quelle guidate dagli uomini: l’ultima survey di Credit Suisse ha evidenziato un tasso di crescita annuale composto del 2,8% per le aziende con almeno un quarto del board composto da donne. Ma il Cagrs sale al 4,7% se la presenza femminile al vertice è di almeno un terzo. E


se a comandare sono le donne, con oltre metà del board? Il Cagr arriva al 10,3%. e poi il ceo è donna, secondo Credit Suisse il roe più alto del 19% rispetto alla media. E anche il dividendo: del 9%. Tutto (probabilmente) merito delle soft skills tipicamente femminili: l’intelligenza emotiva, la capacità di riconoscere le emozioni in se stesse e negli altri e di relazionarsi con loro, la leadership parteciptiva, la capcità di introspezione, la comunicazione aperta, la capacità di lavorare in team, il multitasking. Eppure, le donne, anche quelle in

LUISA TODINI PRESIDENTE TODINI FINANZIARIA S.P.A

posizioni di leardership, si sentono sempre sotto esame e si trovano spesso a dover giustificare il proprio atteggiamento: se lavorano con il proprio team in maniera collaborativa sono accusate di avere un approccio eccessivamente morbido, o al contrario vengono giudicate troppo dure. In effetti spesso molte annullano la parte più empatica, tipicamente femminile, per apparire più maschili e autoritarie. «Io ho sempre avuto una parte maschile molto forte, probabilmente a causa dell’ambiente in cui sono nata e cresciuta», conferma dice Luisa Todini, presidente della Holding Todini Finanziaria. «Sono nata da una famiglia modesta di contadini, ma con un padre con lo spirito imprenditoriale che mattone dopo mattone ha costruito una grande impresa, la Todini Costruzioni. Per me il benessere è arrivato durante l’adolescenza, quando ho avutola possibilità di studiare e di fare un percorso professionale diverso. Dopo la gavetta AL CONTRARIO DEGLI UOMINI, CHE TENDONO A ESSERE INDIVIDUALISTI E CONCENTRATI SULLA CARRIERA, LE DONNE COINVOLGONO IL TEAM

nell’azienda di famiglia ho avuto un intermezzo di qualche anno alla direzione di aziende pubbliche, per poi tornare alle origini. Quello che mi ha differenziato dai leader maschili è quello che caratterizza noi donne: siamo madri. Anche se non lo siamo fisicamente, abbiamo una predisposizione che ci rende più empatiche, più aperte agli altri e siamo in grado di bilanciare la capacità di leadership professionale e personale. Istintivamente siamo educatrici e sappiamo come affrontare le situazioni di crisi con compassione e pazienza. Al contrario degli uomini, che tendono ad essere incentrati sulla carriera e su loro stessi, le donne affrontano la loro carriera in modo riflessivo, cercando maggiore connessione con i colleghi e integrazione della vita lavorativa. Personalmente ho cercato di migliorare la mia vita lavorativa trovando un equilibrio con il mio privato. Per esempio ho imparato a ottimizzare il tempo fissando le riunioni al mattino invece che a fine giornata».

LEADER SOLIDALI Nipote di Nelson e Winnie Mandela, la principessa Swati Mandela è stata nominata Gran Commissario all’Assemblea del World Business Angels Investment Forum. Cresciuta in una famiglia di grandi leader al servizio dei più deboli, si è sempre contraddistinta per la sua voglia di creare progetti umanitari, infatti è cofondatrice di Long Walk to Freedom Brand, un’organizzazione no-profit che offre biblioteche container alle comunità svantaggiate del Sudafrica. È anche socia fondatrice e azionista di Qunu Workforce, la principale società di consulenza sudafricana che crea uguaglianza nella forza lavoro per le persone con disabilità. Eclettica, carismatica e creativa, recentemente ha lanciato la sua gamma di moda di lusso, Swati by Roi Kaskara. «Nella mia esperienza di leader e imprenditrice ho imparato che è fondamentale sentirsi tutti allo stesso livello. Essere accessibili e ascoltare il proprio team è una caratteristica tipicamente femminile che aiuta ad arrivare al successo», racconta Swati Mandela. «La nostra forza è l’intraprendenza, noi donne guardiamo il mondo con coraggio e siamo in grado di affrontarlo con pragmatismo, ma anche con una elasticità dovuta alla capacità tipicamente femminile di essere multitasking. Per essere un leader di successo non serve solo essere abili a risolvere situazioni difficili, ma bisogna anche essere in grado si accettare il fallimento, e le donne sono più abituate a questo. Da sempre sfidano il mondo e traducono le grandi idee in azioni concrete, ma soprattutto riescono a vedere il lato positivo nelle situazioni più difficili, questo punto di vista femminile in una azienda aiuta la crescita e il miglioramento dei profitti».

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GESTIRE L’IMPRESA

Il broker assicurativo ora diventa risk manager Anche per le medie aziende il servizio di consulenza diventa sempre più importante rispetto alle singole coperture offerte. Così la polizza diventa una commodity, mentre la strategia è il servizio a valore aggiunto di Marco Scotti

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itengo che gli scenari futuri vedranno un ridimensionamento del brokeraggio assicurativo e un ampliamento e uno sviluppo per le società nel campo della consulenza pura». «La grande impresa italiana oggi ha bisogno molto più dell’aspetto consulenziale verso il prodotto assicurativo che della polizza stessa». Nessun errore di battitura, nessuna omessa revisione, nessuna involontaria ripetizione di due concetti. Le due frasi sono da attribuire a due top manager di società di brokeraggio assicurativo, Assiteca e Marsh, che sono leader nel loro comparto. La prima dichiarazione va ascritta a Luciano Lucca, che di Assiteca è presidente, mentre la seconda deve essere attribuita ad Andrea Bono, amministratore delegato della filiale italiana dell’azienda americana. Entrambi testimoniano come il sistema che regola il mondo assicurativo, nella parte commerciale e di vendita ad aziende e privati, sia stato ormai completamente trasformato: la polizza diventa una commodity, la strategia invece diventa il servizio a valore aggiunto, con le aziende che si trasformano in società di consulenza ed è da quest’ultima attività che ottengono i margini migliori. «Quello a cui stiamo assistendo in Italia in questo momento – ci spiega Alessandro De Felice, presidente di Anra (l’associazione nazionale dei risk manager) e Chief Risk Officer

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ANDREA BONO, AMMINISTRATORE DELEGATO DI MARSH

di Prysmian – è una rivoluzione epocale: anche sono stati diffusi a metà di novembre, da che le medie aziende iniziano a interessarsi a qui al 2021 il mercato delle polizze vedrà un una gestione integrata del rischio. Questo, soincremento del peso della tecnologia, con un prattutto, a causa dell’introduzione del Gdpr mercato di soluzioni IT per il comparto che e del proliferare delle tematiche relative alla supererà i due miliardi di euro, soprattutto cybersecurity. Si tratta di imprese che diffigrazie all’introduzione di prodotti basati su cilmente hanno la possibilità di dedicare una moduli di intelligenza artificiale e di machine persona interna alla gestione del rischio e per learning. Senza contare gli smart contract, questo cresce la possibilità di offrire consuovvero soluzioni validate tramite blockchain. lenza esterna. In questo modo, per quanto «Di fronte alla trasformazione del modello concerne i broker, finisce la battaglia sui prezdi business dei broker – aggiunge De Felice zi delle assicurazio– non si può che dire ni – un meccanismo SECONDO I DATI DI ANITEC-ASSINFORM “alleluia”, perché siQUELLO ASSICURATIVO È UNO che ha reso le polizze gnifica che si sta difDEI SETTORI PIÙ COINVOLTI una commodity – per fondendo una cultura DALLA TRASFORMAZIONE DIGITALE lanciarsi sulle attività di risk management consulenziali, per ritrovare una redditività più organica e più “intelligente”. Questo non che sembrava perduta, a patto che siano in significa eliminare qualsiasi forma di rischio, grado di accettare la sfida formando adeguama considerarlo in una forma più generale. tamente le proprie risorse». Di più: potrebbe essere il primo passo verso Complessivamente, il segmento della mediaun’assicurazione 2.0, non più divisa per tipo zione assicurativa ha avuto una raccolta predi rischio ma in modo più diffuso, quasi un mi nel nostro Paese di 145 miliardi di euro, in ibrido tra una polizza e un derivato». Natucrescita di quasi il 10% rispetto al 2017. Serale, quindi, che per capire come cambiano le condo i dati Aiba (l’Associazione dei broker) il cose Economy si sia rivolto a due big player numero di imprese operanti è rimasto stabile del comparto del brokeraggio assicurativo, a 2.347 aziende, con una quota di mercato uno straniero e l’altro italiano, per comprenche si attesta all’11% della raccolta premi todere meglio che cosa “bolle in pentola”. tale. Il settore assicurativo, d’altronde, è uno La versione di Assiteca di quelli più coinvolti dalla trasformazione Quotato all’Aim, ha recentemente chiuso un digitale. Secondo i dati di Anitec-Assinform


aumento di capitale da 25 milioni di euro tando anche in termini di prospect. Il rischio (pari al 23,43% del totale) dedicato alla franmaggiore rimane quello relativo alla cybersecese Tikehau Capital. «Questo aumento di cacurity: il nostro sforzo è far conoscere i rischi pitale – ci spiega Luciano Lucca, presidente e reali e le conseguenze. In pratica vogliamo fondatore di Assiteca – è propedeutico per la che sia ben chiaro che cosa sta succedendo crescita che porterà all’acquisizione di alcune quotidianamente». Assiteca ha chiuso il bisocietà già nel mirino in Spagna e in Italia. lancio al 30 giugno scorso con ricavi superiori Stiamo cercando di rinforzare la nostra sede ai 70 milioni e ha proposto un dividendo di di Madrid, dove sia0,07 euro per azione. NEL BROKERAGGIO IL CLIENTE mo ancora più deboli. Come detto, l’azienda NON HA COSTI AGGIUNTIVI, MENTRE Contiamo di arrivare è quotata sul segmenCON LA CONSULENZA LE COMPAGNIE a un fatturato di 120 to Aim di Borsa ItaINCREMENTANO I PROPRI MARGINI milioni nel 2023. Da liana, con un flottante qualche tempo, complice il nuovo regolamenintorno al 20% che si è lievemente abbassato to Gdpr, abbiamo iniziato a offrire servizi di dopo l’aumento di capitale. «Entro due anni consulenza. Al momento vale il 7% del nostro – prosegue Lucca – vogliamo essere ammessi giro d’affari in Italia, ma sta iniziando a diall’Mta. Un obiettivo primario, ancora più imventare sempre più significativo. La cosa più portante dell’arrivo sul mercato francese, aninteressante della consulenza, dal punto di vich’esso un punto che vogliamo approfondire sta del business, è che mentre nell’attività di nei prossimi mesi e anni». L’azienda è guidata brokeraggio il cliente non ha costi aggiuntivi, dal 2015 da Gabriele Giacoma. con la consulenza possiamo incrementare i Il brokeraggio secondo Marsh Italia nostri margini. Il nostro target di riferimento Attualmente è il più importante operatore di è rappresentato dalle medie aziende, perché brokeraggio in Italia (e nel mondo) seguito le piccole non hanno le disponibilità per avdal colosso – anch’esso a stelle e strisce – Aon. viare un’attività di consulenza sul rischio, le Ha una storia più che secolare, con un fatturagrandi spesso hanno già al loro interno figure to superiore ai 15 miliardi di dollari ottenuti di questo tipo. Il nostro approccio ci sta aiutramite 75mila dipendenti. Nel nostro Paese Marsh è arrivata “solo” nel 1969. Inizialmente l’idea era quella di offrire gestione dei rischi e intermediazione creditizia alle grandi aziende che venivano in Italia per aprire delle sedi locali. Passaggio successivo è stato quello di mettere nel mirino i cosiddetti “jumbo account”, i colossi. Infine, caccia alle imprese di medie dimensioni. Questo almeno fino a qualche anno fa, quando ci si è resi conto che la semplice offerta di vendita di polizze non era più sufficiente. «Oggi è necessario fornire prodotti tailor made – ci racconta Andrea Bono, co-amministratore dell’azienda – a bassissima standardizzazione. Dobbiamo essere ALESSANDRO DE FELICE, PRESIDENTE DI ANRA capaci di disegnare la nostra offerta sulle ne-

LUCIANO LUCCA, PRESIDENTE DI ASSITECA

cessità specifiche del cliente: è importantissimo capire il cliente che si ha di fronte. Questo ragionamento vale anche per la pmi, che ha strutture più snelle e che, ad esempio, non ha dipartimenti di risk management. Senza contare che il mercato è consapevole del fatto che, in un mondo in cui si possono comprare prodotti assicurativi con un click e dove la reputazione viene espressa come feedback da parte dei consumatori stessi, è fondamentale andare verso una maggiore semplificazione. Diventano fondamentali le piattaforme per il trading e l’utilizzo di tecnologia per offrire un migliore servizio ai clienti. Stiamo lavorando moltissimo su intelligenza artificiale e robotica, soprattutto in ambito gestione sinistri, per essere più precisi e più veloci. E con i chatbot siamo anche più efficaci con i nostri clienti. Infine, ritengo plausibile che entro 36 mesi vedremo le prime applicazioni pratiche degli smart contract». Per quanto concerne la percezione del rischio, un’analisi condotta proprio da Marsh in Italia, certifica come la cybersecurity sia ancora sottovalutata: meno del 15% delle aziende quotate (circa 270 in totale) identifica il rischio informatico nel proprio bilancio. E se si prendono le prime 500 quotate europee, il cyber risk figura al sesto posto. «La cosa incredibile – conclude Bono – è che non si tratta di una survey, ma dell’analisi della sezione rischi dei bilanci».

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La digital transformation per grandi (aziende) e piccini L’Italia, nonostante qualche rallentamento fisiologico, sta conducendo una profonda metamorfosi delle tecnologie applicate. Merito del Piano Calenda, ma anche di norme che ci mettono in pole position in Europa di Marco Scotti

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egli ultimi due o tre anni c’è stato un autentico boom delle tematiche legate al digitale, mentre in precedenza la sensibilità sull’argomento, da parte degli imprenditori, era decisamente più tiepida, si privilegiavano argomenti più “canonici” come il costo del lavoro o le tasse. Poi, complice l’intervento del regolatore con gli incentivi che ricadono sotto il nome di “Piano Calenda”, si è iniziato a comprendere quanto il tema fosse di grande importanza». Filippo Ligresti, Vice President e General Manager Commercial Sales di Dell Technologies, racconta come la digital transformation abbia cambiato la “faccia” di imprese ed enti pubblici. Perché se è vero che senza gli sgravi predisposti dall’ex ministro dello Sviluppo economico l’avanzamento tecnologico sarebbe ancora in fase embrionale, lo è altrettanto che oggi chi non innova non solo rischia di perdere opportunità di efficientamento e riduzione dei costi, ma soprattutto corre un serio pericolo: uscire dal proprio business con le ossa rotte. Senza dimenticare che la digital transformation è anche un tema all’ordine del giorno quando si parla di sostenibilità: perché bisognerà pur pensare a come disporre in modo corretto di quei device esausti che hanno un potere inquinante enorme. «Se è vero che come sistema Paese – prosegue Ligresti – abbiamo gli strumenti per emergere dalla trasformazione digitale più forti di come

«

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FILIPPO LIGRESTI

siamo entrati, abbiamo anche bisogno di un grandi brand come Amazon, Google, Microsoft regolatore, a livello europeo, che non crei ostaetc. Offriamo soluzioni iperconvergenti che coli eccessivi. La pubblica amministrazione, permettono a chi ha poco tempo a disposizioforse a sopresa per molti - sta andando piuttone, e soprattutto manca di risorse, di dotarsi sto bene. La nostra azienda ha più che raddopdi una soluzione di questo tipo: garantiamo piato il fatturato con la Pa negli ultimi tre anni, un data-center pronto all’uso, sicuro ed efficagrazie alla completezza del portafoglio ma ance». Come detto, poi, un ultimo tassello della che ad una serie di norme – fatturazione eletdigital transformation è rappresentato dalla tronica in primis – che in Europa ci pongono gestione sostenibile dei rifiuti tecnologici. Se all’avanguardia. Certamente non basta “inseriin Italia, ad esempio, ci sono più smartphone re” un po’ di digitale nel proprio business moche abitanti, significa che prima o poi i vecchi del per emergere, ma apparecchi dovranno DELL DISTRIBUISCE OGNI ANNO in questo momento essere abbandonaOLTRE 200 MILIONI DI COMPUTER. possiamo contare su ti o sostituiti. Anche UN OTTIMO RISULTATO MA ANCHE un piano per la Pa ben l’azienda fondata da UN IMPEGNO PER LA SOSTENIBILITÀ fatto. Servirà raffinarlo Michael Dell è molto per renderlo più omogeneo, ma la base di parattenta a questo argomento, con una particotenza è solida». La parola che in questo molarità: che il nome del brand è parte integrante mento è maggiormente attuale per la pubblica del pc, ben visibile sullo stesso, e diviene quinamministrazione è cloud. Questa “nuvola”, che di difficile “girarsi dall’altra parte” quando si consente l’accesso alle informazioni da qualsitratta di smaltire i rifiuti. «Distribuiamo 200 asi dispositivo e in qualsiasi momento, è domilioni di computer all’anno nel mondo – contata di un’architettura flessibile e scalabile che clude Ligresti – con una vita media tra i 3 e i 5 è significativamente cresciuta negli ultimi due anni. Facciamo di tutto, quindi, per migliorare anni. E Dell Technologies non è certa rimasta l’impatto ambientale che vogliamo avere. Aba guardare. «Con VMware (che eroga servizi biamo avviato anche degli “audit” a sorpresa di cloud, ndr) e le nostre soluzioni abilitanti presso i nostri fornitori con l’obiettivo di veper le aziende e gli enti pubblici – prosegue il rificare che rispettino alcune regole per noi vicepresidente del commercial di Dell Techfondamentali in termini di impatto ambientanologies Italia – stiamo permettendo un’intele. Infine, abbiamo ridotto dell’80% l’intensità grazione tra i cloud privati e quelli pubblici di energetica dei data-center».


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UN PIANO PER RISCRIVERE L'ECONOMIA DEL TERRITORIO Dalla cultura sociale d'impresa di Adriano Olivetti alle nuove sfide occupazionali nell'era digitale: l'area di Ivrea e del Canavese si ripropone, col progetto Ico Valley della senatrice Tiraboschi, come modello di sviluppo imprenditoriale. Il ruolo di Sharing Economy di Matteo Musso

42 AISO L'OUTPLACEMENT EFFICACE AIUTA AZIENDE E LAVORATORI

44 ARTURO ARTOM «LE IMPRESE CHE INNOVANO CRESCONO E CREANO OCCUPAZIONE»

47 LABLAW LA DIGITAL TRANSFORMATION PENSIONA IL POSTO FISSO

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iunire le eccellenze di ogni territorio, mini di dipendenti, ma di comunità. Un’utopia condividere esperienze, problematiche prese forma e sostanza con l'espansione che e soluzioni, con l’obiettivo di far del business mondiale della Olivetti negli anni emergere le buone idee su cui dovrà poggiarsi '50. Oggi da qui, dalla Città Industriale eporel’Italia che verrà. “Sharing Economy”, tre anni diese diventata patrimonio dell’Unesco, ha di eventi in 30 città italiane (vedi box nelle preso vita e forma il progetto Ico Valley (Ivrea, pagine seguenti) parte Canavese, Olivetti), IL PROGETTO ICO VALLEY OSPITERÀ da Ivrea il 23 gennaio ideato dalla senatrice UN'ACCADEMIA NAZIONALE DEL DIGITALE e probabilmente non Virginia Tiraboschi. PER FORMARE I PROTAGONISTI c’era sede più idonea L’ambiziosa visione DELLA 5° RIVOLUZIONE INDUSTRIALE per il kick off. Ovvero è quella di realizzare proprio dove prese forma il sogno di Adriano a Ivrea il centro dell’innovazione digitale del Olivetti (figlio del fondatore Camillo) di una nostro paese. Negli edifici realizzati da Olivetti grande fabbrica a misura d’uomo e di un tertroverebbero spazio un’accademia nazionale ritorio che fosse la naturale estensione dell’adel digitale per formare i protagonisti della zienda. Olivetti non ha mai ragionato in terquinta rivoluzione industriale, un hub tecnolo-

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JOB

La senatrice Virginia Tiraboschi, ideatrice del progetto ICO Valley

gico delle migliori start up italiane per superare lo storico mismatch tra mondo della scuola e del lavoro, un luogo fisico di condivisione e sperimentazione delle attività degli artigiani digitali, una sorta di Amazon tricolore del Made in Italy, con tanto di piattaforma digitale e distribuzione logistica, nonché una fiera permanente per promuovere i nostri prodotti. Solo a leggerlo è un progetto che mette i brividi: l’Italia è in grado di portarlo avanti con la rapidità che richiede questo settore? Per Virginia Tiraboschi non si tratta di scegliere: questo è un passo obbligato per il futuro del nostro paese. «L’Italia ha la fortuna di poter cavalcare de italiane più noti al mondo e questi stabilil’evoluzione digitale e tecnologica. Abbiamo menti industriali (primo sito industriale tra perso diversi treni in questi anni, ma su questo i 54 presenti in Italia a diventare patrimonio facciamo ancora in tempo a salirci. Nel resto dell’Unesco) hanno fatto un pezzo di storia del mondo lo stanno facendo da 15 anni, ma del nostro paese grazie al coraggio e io dico noi possediamo tutte le condizioni per poteranche alla concretezza di Olivetti. Ritengo che lo fare. Abbiamo un know-how diffuso che sta sia un’area che ha caratteristiche sociali e amfaticando ma che possiamo non disperdere. bientali sufficientemente omogenee per poter Insomma, meglio tardi che mai. Uno dei gravi condividere un modello aperto. E non dimentiproblemi dell’Italia è che il Pil non cresce più. chiamo la visione che ha portato avanti Olivetti Con questo progetto possiamo dare un contricon il suo Movimento Comunità, tema molto buto importante anattuale. Oggi l'impresa ICO VALLEY È UN PROGETTO PENSATO che in questo senso». deve essere etica e cioè PER DARE UNA RISPOSTA CONCRETA avere al suo interno ALLE FUTURE GENERAZIONI NON SOLO Da quali consideraanche degli elementi DEL TERRITORIO MA DI TUTTA ITALIA zioni è partita per che mirino non solo al tracciare le linee guida della ICO Valley? profitto ma anche al benessere dei dipendenti e Per prima cosa è un progetto pensato per dare alla loro realizzazione. Il suo pensiero torna ad una risposta concreta alle future generazioni. essere centrale anche nel modo di concepire il Non è solo di Ivrea e della comunità del Canarapporto tra azienda, dipendenti e la comunità vese ma dell'Italia intera e dico con coraggio del territorio dove ha sede l’azienda stessa. dovrebbe diventare un progetto internazionale. Va fatto un piano industriale affinché si L’obiettivo è essere pronti per… investa sul digitale e sulla valorizzazione dei Per la quinta rivoluzione industriale, quella dati, che sono il petrolio del 21° secolo. Tutto che va oltre internet e che vede centrale l’inquesto può generare ricchezza ma per farlo telligenza artificiale e meglio ancora il dato che bisogna metterlo a sistema. viene prodotto. E che nel caso dell’Italia noi vogliamo applicare al settore del made in Italy Perché Olivetti e perché quest’area? per valorizzare quelle numerose PMI che conIl brand Olivetti è uno dei dieci marchi di azientribuiscono in maniera importante al PIL del

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L'ITALIA HA LA FORTUNA DI POTER CAVALCARE L'EVOLUZIONE DIGITALE E TECNOLOGICA nostro paese e che oggi grazie alle tecnologie digitali riescono con un click ad andare dall’altra parte del mondo. Con questo progetto potremmo aumentare il loro potenziale di esportazione e di conseguenza contribuire in modo significativo alla ricchezza del nostro paese.

Per fare questo salto servono competenze sempre nuove. Per questo all’interno della ICO Valley sorgerà quella che io ho chiamato l'Accademia nazionale del digitale e ho riscontrato pareri molto favorevoli al riguardo a cominciare dal Magnifico Rettore del Politecnico Guido Saracco che ho da subito coinvolto nel progetto. Proporremo un percorso di formazione specialistico sul digitale, un vero e proprio corso di laurea per formare il ceo del 21° secolo, che dovrà essere in grado di gestire in qualsiasi organizzazione aziendale il principale problema, che è e sarà la crescita. E dovrà avere il supporto di figure nuove che oggi ancora non vediamo, come dieci anni fa non immaginavamo il social media manager o il data analyst. Un dato? Nei prossimi 15 anni entreranno nel mercato del lavoro 45 nuove figure professionali. E poi c’è la piattaforma logistica. Disponiamo di una capacità artigianale unica che ci viene riconosciuta nel mondo: noi siamo


quelli che fanno le cose belle e bene. Le Pmirappresentano la spina dorsale dell’Italia e hanno fatto grande il nostro paese, portando il brand made in Italy in tutto il mondo. Perché allora non promuovere direttamente i nostri prodotti? Raccoglieremo il meglio dell’industria creativa italiana. L’e-commerce è un settore che cresce a due cifre anche in Italia, dove i numeri sono comunque più bassi rispetto al resto del mondo. Lasciare tutto questo mercato in mano esclusivamente ad Amazon credo sia sbagliato, e il medesimo ragionamento vale per le piattaforme che distribuiscono le camere di albergo.

Di quali numeri parliamo? Un potenziale di 500mila prodotti con cui l’Italia si posiziona al 1°, 2° e 3° posto a livello mondiale. Ricordo che “Made in Italy” è il terzo marchio più conosciuto al mondo dopo Coca Cola e Visa. Le nostre Pmi potrebbero intercettare quei 400-450 milioni di consumatori che stanno dall'altra parte del mondo, soprattutto in quello asiatico, e che hanno una capacità di spesa piuttosto alta. Primi feedback? Il progetto ha riscosso molta attenzione e anche all’interno della decima commissione in Senato ho trovato grande disponibilità a attenzione. E questo è un bene perché si va oltre l’appartenenza politica.

A questo punto, raccolti i consensi, quali saranno i prossimi passi del progetto? A breve gli investitori verranno invitati a sedersi attorno ad un tavolo (a cominciare da Tim, che detiene i diritti del marchio Olivetti) con l’obiettivo di programmare la partenza di tutta la parte legata alla formazione affinché funga da traino per completare il resto del progetto. Ma ritengo indispensabile un sostegno anche da parte del Governo.

Sharing Economy, il road show del nuovo mondo del lavoro Imprenditori, startup, istituzioni, ma anche mondo della formazione a confronto per incentivare occupazione sviluppo sostenibile nel ciclo di incontri organizzato da Economy in 30 tappe da qui al 2022

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re anni, 20 regioni, 30 città e altrettanti eventi che riuniscono tutti gli stakeholders del mondo del lavoro. Parte a gennaio di quest’anno Sharing Economy, una sorta di road show del nostro magazine che ha tra i principali obiettivi quello di radunare imprenditori, startup, enti e istituzioni, ma anche mondo delle università e della formazione, per fare cultura, condividere best practice e più in generale creare un momento di confronto costruttivo fra chi ha il compito e la responsabilità di realizzare maggiore occupazione e sviluppo sostenibile nel nostro paese. Lo faremo andando sul territorio, laddove crescita e desiderio

di innovazione si respirano quotidianamente. Iniziamo il 23 gennaio a Ivrea e nel corso dei mesi successivi saremo a Novara, Cuneo, Parma, Udine, Trieste, Ascoli, Acireale, Trapani e Catanzaro. Il programma completo lo troverete nelle prossime settimane su economymag.it e sui prossimi numeri della rivista, che di mese in mese accompagnerà Sharing Economy anticipando l’evento che verrà e raccontando ciò che è avvenuto. «Coinvolgeremo il tessuto economico di ogni territorio con l’obiettivo di far conoscere eccellenze e best practice che secondo noi possono dare impulso a nuove attività o all’aumento dell’occupazione -

spiega Pier Carlo Barberis, direttore generale di Economy Group - Riteniamo sia importante creare e diffondere una cultura del network non solo nelle grandi città. Per questo andremo in modo particolare nei capoluoghi di provincia dove, non bisogna dimenticarlo, si costruisce la maggior parte del Pil italiano. L’altro aspetto importante è che Sharing Economy non attirerà solo aziende e imprenditori, ma anche ragazzi e ragazze che cercano lavoro e desiderano conoscere le realtà più innovative. Tutto questo seguendo la stessa logica degli Stati Generali Mondo del Lavoro, ovvero quello di dare spazio a tutti gli stakeholders del mondo del lavoro».

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L’outplacement alle prove con alibi e preconcetti Affidarsi a dei professionisti è indispensabile per definire il processo di cambiamento in maniera efficace. Aiso è l’associazione che riunisce i player che supportano il ricollocamento professionale

di Matteo Musso

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ltre 10mila candidati seguiti ogni anno (operai, impiegati, quadri, dirigenti ma anche amministratori delegati) e una percentuale media di ricollocazione entro sei mesi vicinissima al 90%. Questi sono i dati ufficiali di Aiso, l’associazione che riunisce le principali società italiane specializzate nel supportare il cambiamento professionale. L’outplacement «è un acceleratore e un facilitatore per gestire non la crisi, termine ormai inflazionato, ma il cambiamento. E deve servire per ottimizzare i tempi e i risultati di ricollocazione: un mese o due o tre di inattività in più costituiscono una perdita economica importante. Sul mercato bisogna gareggiare con competitor sempre più preparati e come nello sport si prendono lezioni per migliorarsi, non vedo perché per cercare un lavoro non si possa essere assistiti e supportati da un professionista che porti a migliorare le proprie performance competitive». Il servizio di outplacement è più che mai strategico in questo preciso contesto storico: «È cambiato il mercato del lavoro e anche i rapporti all’interno dello stesso mercato - spiega Domenico Piano, neo presidente di Aiso e amministratore delegato di Op Solution, primaria società in questo settore - Fino a pochi anni fa si tendeva a rimanere in un’azienda per molti anni, magari addirittura a compiere tutto il proprio percorso professionale all’interno di

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una sola realtà. Nell’ultimo decennio invece il mercato del lavoro ha subito una trasformazione perché è cambiato il sistema economico nonché l’evoluzione dei prodotti. E quindi il mondo del lavoro necessita di costanti e continui cambiamenti. Ecco perché si parlerà sempre di più di supporto alla ricollocazione. E sarà sempre più necessario arrivare sul mercato del lavoro attrezzati e preparati». L’outplacement è un servizio strutturato che ha dalla sua numeri importanti, eppure lo conoscono in pochi e qualche preconcetto perdura: «Però sono preconcetti un po’ perOGNI ANNO VENGONO SEGUITI PIÙ DI 10MILA CANDIDATI, CON UNA PERCENTUALE MEDIA DI RICOLLOCAZIONE CHE SFIORA IL 90 PER CENTO

ché non si conosce a fondo lo strumento e la sua metodologia, e in parte perché seguire un percorso di outplacement significa spogliarsi anche di un po’ di sovrastrutture. E quindi molto spesso i preconcetti costituiscono degli alibi. Purtroppo in un mercato sempre più competitivo come quello attuale i risultati di questi preconcetti si vedono a mesi di distanza, magari dopo un anno di inattività e questo diventa molto pericoloso. Il mio invito è di riflettere sull’opportunità di affidarsi a dei professionisti validi che possano aiutare a migliorare i risultati nella ricerca di un lavoro. Proprio come ci si affida al commercialista,

DOMENICO PIANO

all’avvocato o al medico». Un processo quindi molto articolato e raffinato che passa dal bilancio delle competenze e dalla misurazione dell’employability (ovvero l’occupabilità di un lavoratore o una lavoratrice) alla definizione del progetto professionale, e prosegue con gli strumenti di comunicazione scritta (cv e social), il colloquio di selezione, l’intervista comportamentale, e infine con l’approccio al mercato del lavoro. Di fatto un servizio su misura per ogni candidato. «Come per costruire una casa, anche per costruire un lavoro e quindi per cercare un impiego, occorre dare progettualità - prosegue Domenico Piano - Per fare questo però occorrono competenze, un’organizzazione complessa, strumenti di comunicazione e una conoscenza del mercato per elaborare un progetto professionale fondato sulle proprie professionalità e potenzialità. Ottimizzando i tempi con un percorso che aiuti anche a penetrare non solo la parte dell’iceberg scoperta, che sono gli annunci online, ma che consenta di raggiungere la parte dell’iceberg immersa. Quindi tutte quelle situazioni non note, in modo da riuscire anche a sollevare il bisogno. Perché è pur vero che si cerca un lavoro, ma è altrettanto vero che si rappresenta un’opportunità. Sollevare il bisogno in azienda di conoscere il candidato può condurre a situazioni e opportunità nuove. Tante persone si ricollocano su ricerche non aperte».


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ma addirittura non può sapere se in qualsiasi parte del mondo per motivi normativi o per altre situazioni in un paio d’anni il suo prodotto magari potrebbe non essere più competitivo. Per non parlare dell’incertezza che paralizza l’Italia. Ci sono luci ed ombre, poiché segue un pochino lo stato di salute delle imprese. Sembra una banalissima osservazione, ma a volte ci si scorda che il lavoro è creato dalle imprese.

Le imprese che innovano crescono (e creano lavoro) Dal Cenacolo a Confapri, i suoi punti di osservazione, Arturo Artom vede aziende in salute, che acquistano quote di mercato e assorbono concorrenti, dando slancio all’occupazione nonostante la crisi di Maurizio Barberis

«STIAMO VIVENDO UN MOMENTO STORICO INCREDIBILE, CON IL DIGITALE CHE HA INNESCATO LA PIÙ GROSSA RIVOLUZIONE DELLA STORIA. Oggi abbiamo la possibilità

di accedere in diretta a informazioni fino a ieri inaccessibili: tale possibilità ci sottopone addirittura la prospettiva di cambiare i modelli educativi e il nostro approccio al mondo che ci circonda». Quando si parla di innovazione Arturo Artom, 53 anni, ingegnere e imprenditore, “think thank” di Confapri, si infiamma. Nel senso buono: l’intera sua storia imprenditoriale, da Telsystem, che sfidò il monopolio dell’allora Sip, a Viasat, la prima a sviluppare tecnologia per la trasmissione di dati in movimento, a Netsystem, che

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offriva la banda larga via satellite, è quella di un pioniere, se non un visionario. Uno che ogni volta è arrivato forse troppo in anticipo rispetto a un mercato che non sempre si è rivelato pronto. «Guardi, le faccio un esempio», dice: «un imprenditore che 20 anni fa realizzava un prodotto che era il migliore al mondo, poteva lavorare dalle 7 del mattino alle 7 di sera nella sua azienda e poi andare a dormire consapevole che il suo prodotto sarebbe stato venduto in tutto il mondo». E oggi? Oggi quello stesso imprenditore non solo non sa se esiste un concorrente che sta realizzando, magari meglio, lo stesso prodotto;

Infatti. Come stanno le imprese? Il mondo delle imprese italiane è diviso a metà. Il grande capitale italiano oramai non c’è più e questo è un settore su cui abbiamo perso la sfida a livello mondiale. Rimane una ossatura, una platea di 5/6.000 medie imprese italiane private che hanno tra i centomila euro e un miliardo di fatturato e che sono poi quelle che stanno tenendo in piedi il paese. Sono aziende con una grandissima predisposizione all’export, aziende che sono riuscite a superare le crisi del 2008 e del 2011 crescendo di fatturato e hanno avuto la capacità e la bravura ad acquisire quote di mercato e assorbire dei concorrenti. Ecco perché ogni volta che faccio degli incontri con il mondo delle imprese rilievo che crescono quasi tutte. Altro che crisi... Per loro possiamo parlare tranquillamente di un miracolo economico di cui si sa, ma se ne parla troppo poco. Sono tutte, come dico io, eroi del lavoro. Queste imprese danno tutte parecchio lavoro. E crescendo creano ulteriori posti di lavoro. È da queste aziende che qualsiasi politica industriale del lavoro dovrebbe partire, perché queste medie imprese, che non chiedono in realtà soldi, possono dare un sostegno concreto a quella platea di centinaia di migliaia di piccole imprese di cui una grande parte sono subfornitori delle medie imprese e che in questi anni hanno sofferto e stanno soffrendo ancora.


SALVAGUARDARE IL REDDITO DEL LAVORATORE NON BASTA: OCCORRE FORMARLO PERCHÉ POSSA RIMETTERSI IN GIOCO Esiste una soluzione? Il punto fondamentale è proprio quello di mettere al centro l’impresa, soprattutto dal punto di vista istituzionale, cioè che il Governo faccia capire agli imprenditori di essere centrali e valorizzi soprattutto questi medi imprenditori italiani, che lamentano infatti una carenza di presenza delle istituzioni.

Quindi cosa propone? Accanto a una concezione di industria punto zero è necessario considerare un nuovo progetto industriale, che chiamerei quasi di nuovi distretti industriali, in cui ogni media impresa da 300 milioni di fatturato diventa un distretto industriale che sostiene la sua platea di centinaia di piccoli imprenditori, con un progetto dove la media impresa dà ai suoi fornitori tutta una serie di vantaggi che in termini bancari si chiama “reverse factoring”, che consente a gruppi industriali o commerciali di dimensioni medio-grandi di razionalizzare la gestione del proprio ciclo passivo offendo condizioni vantaggiose ai propri fornitori.

E il Governo cosa dovrebbe fare? Guardi, io – e su questo sono andato controcorrente rispetto al mondo imprenditoriale – ho dato un grandissimo sostegno al reddito di cittadinanza, perché la crisi ha creato un divario enorme nella fascia bassa della popolazione. Il governo gialloverde ha fatto bene all’inizio a dare una risposta a questa fascia di popolazione. E ricordiamo che il reddito di cittadinanza culturalmente ha contribuito dal 2013 in poi a cambiare l’approccio al mondo del lavoro.

In che senso? Ricordiamo che per 50 anni si sono fatte politiche di cassa integrazione, in cui si difende il posto di lavoro a tutti costi anche se l’azienda non più dare niente, tenendo in attesa i lavoratori per anni e anni con la prospettiva di non potersi nemmeno formare,

con l’unica speranza che quest’azienda riparta. Questa è stata una politica dispendiosa, che ha fatto bruciare decine di miliardi di euro.

Qual è l’alternativa? Quando un’azienda perde il treno dell’innovazione è inutile cercare di salvarla tenendo in piedi posti di lavoro che non hanno nessun senso: bisogna salvaguardare il reddito del lavoratore, dargli sicurezza per la sua famiglia e obbligarlo a formarsi per rimettersi in gioco. Gli strumenti di supporto previsto dal reddito di cittadinanza possono incidere significativamente laddove hanno fallito i centri per l’impiego. Perché in Europa i centri pubblici intermediano il 30% della forza lavoro, mentre in Italia appena il 3%. Se grazie a questo si raggiungesse almeno l’8% sarebbe già un successo.

Leadership, business e contaminazione tra settori: l’élite si dà appuntamento al Cenacolo Artom

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etti, una sera a cena un imprenditore, un’attrice, un giornalista, un tenore. O anche un lobbista, una stilista, uno chef stellato, un designer. Che avranno mai da raccontarsi? Molto, moltissimo. Ecco perché Arturo Artom da qualche anno attovaglia i leader di settori che apprentemente poco o nulla c’entrano gli uni con gi altri, ospitandoli nel suo salotto, o quelli altrui: quello del finanziaere Francesco Micheli, per esempio. O al Bulgari di Milano. O a Cormayeur. E ancora, dal console generale Usa a Milano Philip Reeker o nel loft del fotografo Marco Glaviano.

Esclusive le location, ancora più esclusivi gli inviti, a comporre un parterre che fino all’ultimo non viene svelato agli ospiti. Così il format del Cenacolo di Artum Artom non manca mai di incuriosire e far parlare di sé, ma sarebbe da ingenui non sottolineare che si tratta anche di una ghiotta occasione di business matching, a tutti i livelli. «Il Cenacolo è un progetto nato per coincidenza ai tempi dell’Expo di Milano», spiega Arturo Artom: «È nato come un momento di confronto e contaminazione tra leader in diversi settori: arte, imprenditoria, politica eccetera, in

cui ciascuno racconta agli altri quel mix unico di talento e fortuna che lo ha portato ad avere successo. Il format è piaciuto e si è sviluppato non solo in Italia, ma anche all’estero: New York, Singapore e Londra, tanto per citare alcune località in cui è stato replicato. E poi si sono aggiunti i cenacoli imprenditoriali», continua l’imprenditore, «in cui ogni anno scelgo un tema innovativo e soprattutto con le associazioni industriali locali organizzo questi incontri a tema. A Torino, nell’ambito degli Stati Generali del Lavoro, ho avuto l’onore di organizzare il duecentesimo cenacolo».

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Diamo forma al futuro che immagini.

Siamo una societĂ specializzata nella ricerca e selezione del personale di middle e top management, ma siamo soprattutto persone che incontrano persone. Seguiamo passo dopo passo aziende e candidati, lo facciamo con passione, ascoltandone esigenze e opinioni per instaurare un rapporto autentico, che duri nel tempo. Vi facciamo incontrare e conoscere per dare, insieme, forma al futuro che immaginate.


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Le nuove tecnologie pensionano il “posto fisso” Che le banche riducano il personale per massimizzare i profitti non corrisponde al vero: in realtà è la clientela a chiedere la digitalizzazione ed è sempre meno disposta a passare ore allo sportello di Francesco Rotondi (founder LabLaw)

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ell’immaginario collettivo il “posto” in banca è il succedaneo più prossimo del lavoro pubblico, quando si pensa ad un impiego stabile. Una affermazione, questa, che a ben guardare gli ultimi anni di vita del settore appare più il retaggio del passato che un dato statisticamente apprezzabile. Nel corso degli anni si è assistito ad un processo di continua aggregazione, che ha comportato il progressivo venir meno del dogma della stabilità del lavoro in banca, ma che non è stato socialmente dirompente, da un lato perché giustificato e giustificabile, in quanto figlio della duplicazione di sedi e funzioni, e dall’altro accettabile perché diretto, per la maggior parte, alla fuoriuscita incentivata di persone comunque prossime all’età pensionabile. Esaurito questo scenario, però, se ne sta affacciando un altro molto più dirompente; e per comprenderne la natura è sufficiente che ognuno di noi pensi a quanto tempo passa in una filiale bancaria oggi, rispetto anche solo a tre anni fa. L’accesso ai servizi bancari è stato sostanzialmente digitalizzato e questo comporta che il modello organizzativo di revisione del sistema bancario non abbia più, quale target, la eliminazione di filiali e funzioni “doppiate”, ma la riduzio-

ne pura e semplice del numero degli sportelli fisici dislocati sul territorio. Si tratta di una rivoluzione che non è figlia della volontà di ridurre i costi tramite la chiusura di filiali ed il licenziamento del personale, ma della necessità di rispondere ad una precisa esigenza del mercato dei servizi bancari: è la clientela della banca a richiedere un modello organizzativo basato su piattaforme digitali ed è quella stessa clientela che, oggi, non è più disposta all’apNESSUNA LEGGE ECONOMICA IMPONE LA REDISTRIBUZIONE DEGLI UTILI DERIVANTI DAL PROGRESSO: TOCCA ALLE PARTI SOCIALI TROVARE UNA SOLUZIONE

proccio tradizionale, caratterizzato da lunghe file allo sportello. In questo quadro, sia Deustche Bank che Unicredit hanno annunciato che rivedranno i propri modelli di business e che, grazie all’implementazione di queste tecnologie, i conti economici delle rispettive società saranno in grado di mostrare evidenti benefici. Questi annunci sono stati raccolti dal sindacato e dalla stampa amplificando il tema delle ricadute sociali che questo processo avrà sui lavoratori del comparto bancario, con ciò mostrando, ancora una volta, la mancata volontà di affrontare alla base

FRANCESCO ROTONDI

il tema della digital transformation nel suo complesso. Affermare che le banche vogliano migliorare il proprio conto economico licenziando i propri dipendenti significa diffondere una falsa affermazione: le banche non stanno facendo null’altro, se non rispondere ad una precisa richiesta dei propri clienti, seguendo un progresso tecnologico al quale nessuno intende rinunciare. Continuare a diffondere questa fake news ha un solo effetto: evitare alle parti sociali ed al sindacato in primis di affrontare il tema della trasformazione dei modelli organizzative e di impegnarsi seriamente nella ricerca degli strumenti che sono necessari, al fine di far sì che la società progredisca tecnologicamente conservando la propria capacità di redistribuire tra tutta la collettività i vantaggi di una economia di mercato. Nessuna legge economica impone la redistribuzione degli utili derivanti dal progresso tecnologico: non ve ne era una quando si è passati dai campi alle fabbriche e nemmeno quando si è passati alla sostituzione della forza fisica con la elettrificazione dei processi. Sono le parti sociali che, nel loro fisiologico sfidarsi, devono trovare soluzione a questa esigenza. Continuare a correre dietro alle fake news non aiuta questo processo.

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4.MANAGER

WORKSHOP LE RAGIONI DI UN TANDEM

PERCHÉ LA CAMPANA DELLA SFIDA ORA DAVVERO SUONA PER I MANAGER

Per la sfida editoriale di Economy, giunta ormai al 30° numero e al quarto anno, la partnership culturale e valoriale con la categoria dei manager, rappresentata oggi in Italia soprattutto da Federmanager, è un presupposto fondante. Sono i manager a promuovere e diffondere, sia pur con le inevitabili incertezze e diverse intensità, la crescita della cultura d’impresa in Italia. Sono i manager a voler leggere, informarsi e studiare per crescere. Sono loro a scambiarsi esperienze e obiettivi, trasversalmente ai settori e ai quadranti geoeconomici di appartenenza. E questo giornale, come tutta la sua casa editrice, vuole porsi come strumento utile e partecipe di questa crescita. Anche attraverso approfondimenti corposi come questo workshop sul secondo Rapporto di 4.Manager sul “Capitale manageriale e strumenti per lo sviluppo” che incontrate nelle prossime pagine.

C’è una notizia emblematica: la presa di distanza degli azionisti di Atlantia dal management. Comunque finisca, segna una discontinuità per la cultura d’impresa del Paese. Che può rappresentare una svolta proficua

(s.l.)

di Sergio Luciano

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ra il 4 dicembre del 1987 e Raul to delle società che si quotano in Borsa: “DiGardini – allora capo potentissimo pendenza da persone chiave”. Sono i manager del gruppo Ferruzzi – firmò il licenad avere la responsabilità. Nei meriti e nei torziamento dell’amministratore delegato della ti. Anche quando la proprietà fa capo a singoli controllata Montedison, il fino ad allora inindividui o famiglie. toccabile Mario Schimberni, sentenziando: «I Lo dimostra paradossalmente l’attacco ai suoi manager? Sono cani ex-manager che un da riporto». Fu il na- IL CEO-CAPITALISM SI AFFACCIA IN ITALIA altro “grande vecchio” dir, il punto più basso La sfida della globalizzazione e, insieme, il dell’imprenditoria della reputazione dei passaggio generazionale stanno cambiando italiana, il carismatico dirigenti d’impresa in gli assetti gestionali in tante imprese italiane. Luciano Benetton, ha Che stanno finalmente scoprendo i manager deciso di fare per diItalia. Oggi è del tutto diverfendere se stesso e la so. Quella reputazione non sarà allo zenith, sua famiglia dall’accusa infamante di avere in ma è molto, molto più in alto. I manager sono qualche modo determinato il disastro del Ponconsiderati uomini-chiave per la vita delle imte Morandi: «Ci assumiamo la responsabilità prese. Sono i loro nomi a campeggiare in quei di aver contribuito ad avallare la definizione di paragrafi decisivi dei prospetti di collocamenun management che si è dimostrato non ido-

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4.MANAGER neo, un management che ha avuto pieni poteri e la totale fiducia degli azionisti». Chiaro? Pieni poteri ai manager. L’unica responsabilità accettata dalla proprietà è quella di aver nominato la persona sbagliata. Altro che cani da riporto. Cani-guida! Comunque finisca il caso Autostrade – se ne sta occupando la magistratura – c’è un abisso tra la frase di Gardini e quella di Benetton. Sono passati ben più dei 37 anni che dice il calendario. È cambiato il mondo. La generazione degli imprenditori del “miracolo” italiano è in miglior vita e anche i suoi eredi, i baby-boomers, stanno passando la mano alle nuove leve. La globalizzazione, la digitalizzazione e la stretta creditizia hanno complicato moltissimo la gestione dell’impresa. Le competenze necessarie per vincere sono sempre più complesse. Il fiuto non basta più. Ma tutti questi rivolgimenti non sono passati invano. E la categoria dei manager ha preso coscienza di sé. O almeno, la sta prendendo. Costruisce meglio le sue competenze. Parla le lingue, vuole provare il lavoro all’estero e spesso lo pratica per anni ed anni. Nel mondo dell’impresa pubblica – ancora così importante in Italia – respinge l’etichetta di “boiardo” e compete con successo con concorrenti privati di tutto il mondo. Di tutto questo anche l’imprenditoria illuminata è consapevole e convinta sostenitrice. Le attività congiunte tra la Confindustria e Federmanager ne sono la migliore dimostrazione. Tra esse, dopo la firma di un contratto di lavoro dei manager di grande portata innovativa, c’è senz’altro 4.Manager, l’ente bilaterale cui le due parti (non più controparti!) hanno affidato il compito di “sostenere la crescita dei manager e delle imprese con l’obiettivo di contribuire a generare uno sviluppo sostenibile e duraturo”. Semplice, chiaro, soprattutto vero. Perche ce n’è bisogno. Il rapporto 2019 di 4.Manager, oggetto di queste pagine, è una preziosa riprova dell’importanza del ruolo dei dirigenti e della crucialità degli strumenti culturali e di servizio che si possono e si devono porre al loro servizio.

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Il gap competitivo si colma investendo in managerialità In un contesto sfidante e ad alto tasso di cambiamento il capitale umano deve arricchirsi di nuove funzioni e abilità. Solo così il tessuto economico del Paese potrà reggere alle nuove sfide del mercato Dal Rapporto “Capitale umano e strumenti per lo sviluppo” a cura di 4.Manager

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lobalizzazione, tecnologia e trasformazioni geopolitiche stanno modificando alla radice le regole del gioco che governa l’economia, il lavoro, la società e i mercati. Questa transizione verso modelli nuovi e mai sperimentati genera entropia e instabilità e mette a dura prova la capacità dei governi di garantire uguaglianza, coesione e rispetto dei contratti sociali, elaborati in epoche vicine ma molto diverse da quella attuale. Eppure, mai come in passato, quest’era di transizione rappresenta un’occasione più unica che rara per plasmare un nuovo sistema socioeconomico e produttivo, che abbia le qualità sia per affrontare le grandi sfide globali sia per cogliere nuove e inaspettate opportunità. Condizione necessaria affinché ciò accada è che si mobilitino le migliori competenze politi-

che, scientifiche, imprenditoriali e manageriali per elaborare una nuova visione del futuro, soprattutto nel campo delle politiche competitive, dell’istruzione e della formazione delle competenze, dell’uguaglianza e della coesione, della mitigazione delle sfide ambientali, sociali e demografiche. D’altra parte, una delle poche certezze che abbiamo è che in un’economia ad alta velocità l’elemento cardine della competitività di un’impresa, di una nazione o di un continente, è il grado e la velocità di sfruttamento e diffusione di conoscenze scientifiche, di competenze tecniche, di abilità imprenditoriali e manageriali e la capacità di accumulare “capitale umano innovativo” in grado di adattarsi velocemente ai cambiamenti. Ma tutto ciò non è ancora sufficiente; occorre anche acquisire la capacità di


DA SINISTRA IL DIRETTORE GENERALE DI 4.MANAGER FULVIO D’ALVIAE IL PRESIDENTE DI 4. MANAGER E FEDERMANAGER STEFANO CUZZILLA

individuare per tempo, formare e mobilitare le due secoli addietro con l’estrema dinamicità necessarie competenze e conoscenze al modegli scenari a breve termine è un esercizio mento giusto per lo scopo giusto. complesso che richiede una nuova e più acuta In questa fase storica è urgente costruire anpredisposizione a esplorare il futuro. che un nuovo patto sociale tra istituzioni, imL’obiettivo dei leader attuali – pubblici e privati prese e famiglie. Si è infatti aperta una nuova – deve essere quello di “istituzionalizzare l’agifase nella globalizzazione, molto diversa da lità” sia mediante strumenti previsivi, legislatiquella immaginata nel 1975 dai leader dei sei vi ed esecutivi di tipo adattativo, sia attraverso maggiori paesi occidentali che, di fatto, abbatla formazione di una nuova classe dirigente terono i confini commerciali e finanziari tra le pubblica e privata che sia in grado di adattarnazioni. si molto rapidamente La Globalizzazione 4.0 al cambiamento e che ISTITUZIONALIZZARE L’AGILITÀ sta rivelando l’inade- L’obiettivo dei leader attuali, sia pubblici sappia utilizzare tutguatezza di un numero che privati, è quello di formare una nuova te le tecnologie e le incredibilmente eleva- classe dirigente in grado di adattarsi competenze messe a to di principi, dati or- molto rapidamente al cambiamento disposizione dalla momai per acquisiti e coldernità. laudati, e nessun dominio di policy (pubblico o Una tale trasformazione del sistema Paese privato che sia) è immune da questo cambiadeve avvenire in tempi molto brevi; l’Italia, inmento; pertanto, quando si immaginano pofatti, mostra evidenti segnali di rischio compelitiche economiche, sociali e di difesa, i leader titivo, come emerge, ad esempio, dall’edizione devono tenere conto di tecnologie, nuovi pa2018 del Rapporto sulla competitività globale radigmi e modelli di business emergenti che, del World Economic Forum, che posiziona il in brevissimo tempo, sono in grado di mutare nostro Paese al 31° posto su 140 Paesi presi in profondamente gli equilibri strategici, financonsiderazione e al 17° tra i Paesi europei. Tra ziari e competitivi tra nazioni e continenti. le cause di questa poco esaltante collocazione Conciliare gli attuali orizzonti temporali gosi rilevano gravi ritardi e lacune in alcune tra vernativi e le regole democratiche concepite le aree strategiche oggi più rilevanti per una

nazione moderna: il mercato del lavoro (79° posto in graduatoria) e dei capitali (49°); l’adozione di tecnologie digitali (52°); le skills (40°). In più, la situazione formativa italiana è talmente grave che l’Ocse, nel suo ultimo Employment Outlook, scrive testualmente: “Il sistema italiano di formazione permanente non è attrezzato per le sfide future”. Questi gap diventano particolarmente insidiosi soprattutto col diffondersi di paradigmi tecnologici ed economici (es. smart economy, platform economy, economia circolare, ecc.) che stanno modificando non solo gli approcci di business e il modo di lavorare, ma soprattutto l’organizzazione del lavoro e, di conseguenza, le regole che governano il mercato. Se spostiamo l’attenzione sul settore produttivo italiano, è evidente che le trasformazioni hanno causato un vero e proprio “tsunami” che, nonostante questo fosse stato annunciato fin dai primi anni ’90, ha colto di sorpresa sia gli operatori economici, sia le istituzioni. Nuovi paradigmi economici e inedite driving forces - maturate negli ultimi due decenni – rischiano di rendere obsoleto non solo il tradizionale modo di produrre e fare business, ma addirittura l’essenza culturale dell’impresa e la qualità e quantità dei fattori che contribuiscono alla produzione. In un tale contesto, la competitività delle imprese dipenderà in misura sempre più rilevante dal capitale umano e dalla qualità gestionale, un miglioramento delle quali è in grado di incidere positivamente sulla competitività, sui livelli occupazionali, sul benessere lavorativo e sulla resistenza agli shock esterni e interni. Un caso emblematico, a questo proposito, è quello delle “tecnologie abilitanti”, che per essere sfruttate e capitalizzate pienamente richiedono sia investimenti in competenze tec-

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niche, sia un notevole impegno creativo, sia il ricorso a competenze manageriali e imprenditoriali continuamente aggiornate e inter-funzionali, e soprattutto slegate dai tradizionali modelli d’innovazione del passato nei quali la tecnologia assolveva a una semplice funzione di supporto alle funzioni tipiche di produzione, marketing e vendita. In altri termini, in un contesto industriale nel quale la conoscenza, la tecnologia e il tempo hanno assunto il rango di “fattori della produzione” il capitale umano e le competenze imprenditoriali e manageriali devono obbligatoriamente arricchirsi di nuove funzioni e abilità, molte delle quali facciamo ancora fatica a definire con chiarezza. Questo è un tema centrale soprattutto per le Pmi, che in molti casi dispongono di risorse e strumenti limitati per identificare e affrontare sfide e opportunità e, di conseguenza, anche per individuare i percorsi più adatti per elevare la qualità del capitale umano e ampliare conoscenze e abilità di imprenditori e manager. Su questo terreno il nostro Paese mostra i limiti più evidenti, anche a causa di un ecosistema produttivo e di un mercato del lavoro

ampiamente migliorabili sotto il profilo dell’efficienza. Questi fenomeni costituiscono una sfida importante non solo per le Pmi, ma anche per tutte quelle medie imprese italiane che, in questo momento, si trovano costrette ad affrontare una scelta strategica fondamentale: crescere, innovare e affrontare in maniera decisa i mercati globali (sulla scia delle tante “multinazionali tascabili” italiane) o arrendersi e farsi acquisire. Un discorso a parte meritano le competenze manageriali, la cui comprensione è possibile solo distinguendo tra quelle di cui dispongono gli imprenditori, e quelle alle quali è possibile accedere attingendo al mercato. Rispetto al “mercato delle competenze manageriali” è bene sottolineare che nel nostro Paese, se lo si riferisce alle sole figure dirigenziali, esso mostra una dimensione estremamente ridotta (coinvolge ogni anno poche migliaia di dirigenti), ma soprattutto è caratterizzato da logiche di incontro tra domanda e offerta che seguono regole significativamente diverse da quelle che caratterizzano il resto del mercato del lavoro, a partire, ad esempio, dall’indivi-

IL PRESIDENTE DI 4.MANAGER E FEDERMANAGER STEFANO CUZZILLA CON L’ON. RICCARDO FRACCARO E IL PRESIDENTE DI CONFINDUSTRIA VINCENZO BOCCIA

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duazione della componente variabile della remunerazione (Mbo), fino a giungere ai meccanismi di costruzione della fiducia e di condivisione dei valori tra imprenditore e manager. La limitatezza numerica di questo mercato e le sue peculiarità professionali, remunerative e umane, fanno sì che le inefficienze che lo caratterizzano ampliano il solco tra domanda e offerta e, spesso, ne impediscono addirittura l’incontro. Oggi, però, tale divergenza non è più accettabile perché potrebbe dilatare ulteriormente la distanza esistente tra piccole e grandi imprese e tra le nostre aziende e quelle di altre nazioni. Oggi si parla spesso di innovazione. Ebbene, gli studi condotti su questo terreno mostrano che il principale ostacolo all’introduzione delle tecnologie abilitanti nelle aziende italiane – e soprattutto nelle Pmi - non è la mancanza di accesso alla tecnologia (barriere di “accesso materiale”) né il costo, bensì la carenza di conoscenze e competenze tecniche e manageriali (barriere di “accesso alle competenze”). Ciò indica che la capacità delle imprese di assorbire e sfruttare le tecnologie e i nuovi paradigmi economici dipende sempre più dal livello di conoscenze e competenze della forza lavoro,


domanda e offerta di competenze manageriali è ostacolato da un evidente mismatch che, se non mitigato, potrebbe essere destinato ad ampliarsi. Sull’altro fronte, Change management, Leadership, People management e Soft skills sono i contenuti verso i quali si sta orientando la formazione dei manager italiani, insieme alla costante tensione verso una sempre più spiccata “learning agility”. In quest’ambito, gli organismi di rappresentanza assumono un ruolo di “guida” sempre più evidente soprattutto nello stimolare un mutamento della cultura imprenditoriale e manageriale nella direzione di un allardall’efficacia nella gestione strategica del capigamento dell’orizzonte temporale dell’imtale umano aziendale, dal livello di competenpresa, di una maggiore concentrazione sulze manageriali presenti in azienda. la gestione strategica del capitale umano e Mai come oggi, imprenditori e manager rapdel personale e verso un maggior impegno presentano la “prima linea” della trasformanell’acquisizione e formazione continua zione e stanno modificando rapidamente i del personale con funzioni manageriali. I modelli culturali di riferimento e il loro modo campi nei quali il contributo degli organismi di operare sia nella direzione di una vicendedi rappresentanza è importante, sono: il travole “contaminazione” e “fusione delle comsferimento di competenze tra grandi e piccole petenze”, sia verso e medie imprese e tra l’accrescimento della settori innovativi e L’ADATTAMENTO ALLE DRIVING FORCES capacità di adattare Il principale ostacolo all’introduzione “tradizionali”; la diffuvelocemente le pro- delle tecnologie abilitanti nelle aziende sione di conoscenze e prie conoscenze e non è il costo, ma la carenza di conoscenze competenze managecompetenze (e quelle e competenze tecniche e manageriali riali, soprattutto verdell’organizzazione) so le Pmi, nell’ambito alle “Driving forces” che stanno modellando della gestione dei nuovi paradigmi economici, la manifattura e l’intero sistema economico e ambientali e tecnologici; la certificazione delle finanziario. competenze manageriali; la formazione contiUna quota crescente di “piccoli e medi” imnua di imprenditori e manager; l’ampliamento prenditori - anche nei settori “tradizionali” e diffusione della conoscenza degli strumenti mostra inediti segnali d’interesse e apertura finanziari a sostegno della propagazione delverso le competenze manageriali: per ampliale competenze manageriali nelle Pmi. Infine, re il mercato di riferimento; per il miglioraquesti organismi dovrebbero operare per mento dell’efficienza aziendale; per incremenristabilire, presso l’opinione pubblica, un’imtare il valore del prodotto; per esplorare nuovi magine positiva (e veritiera) della “fabbrica” modelli di business. Tuttavia, l’incontro tra e delle professioni industriali, che i pregiudizi

maturati nel corso degli anni collocano, invece, tra le professioni meno innovative, stimolanti e remunerate.

L’imprenditore-manager I trend evolutivi orientano gli imprenditori verso modelli culturali aziendali molto più complessi, fluidi, agili, veloci, che li conducono a essere molto più attenti e permeabili a modelli gestionali e di leadership che travalicano il tradizionale sistema di riferimento settoriale, territoriale e dimensionale. E, in effetti, una serie molto ampia di indicatori sul comportamento imprenditoriale sembrano confermare la tendenza verso l’adozione di schemi più complessi di quelli tradizionali e contemporaneamente orientati sia verso l’incremento del valore della produzione (ad esempio attraverso l’elevazione della qualità, l’innovazione di prodotto e di marketing), sia nella direzione di una maggiore attenzione ai bisogni interni aziendali (produttività ed efficienza) mediante una focalizzazione più spiccata sulle variabili tecnologiche, organizzative (sviluppo del capitale umano, agilità, gestione del cambiamento) e amministrative (incremento dell’efficienza finanziaria). In altre parole, un numero crescente di imprenditori sta spostando il proprio focus principale dal “fare” (produzione e vendita) a forme più sofisticate di governance, inclusa l’acquisizione di conoscenze e competenze tipicamente manageriali in grado di adattare velocemente il valore del prodotto e l’efficienza aziendale alle sollecitazioni provenienti dall’ambiente esterno. La cosa interessante è che le manifestazioni di “contaminazione”, tra la tipica funzione imprenditoriale e quella manageriale, caratterizzano anche le Pmi (soprattutto con più 50 dipendenti), incluse quelle operanti nei settori classificati come “tradizionali”.

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4.MANAGER PRIME 10 PROVINCE 2017 PER INCIDENZA DIRIGENTI Milano

24,2

Roma

Ad alimentare ulteriormente la spinta verso questa “ibridazione” ci sono almeno tre fattori: l’innovazione; l’attenzione quasi “ossessiva” alla qualità; la diversificazione dei mercati. • L’innovazione è ormai percepita quasi come un obbligo da parte degli intervistati ed ha il potere di indurre anche comportamenti virtuosi da parte degli imprenditori, che - ad esempio – nella maggioranza dei casi dedicano tempo formativo personale proprio a questo tema, e in particolare, a: innovazione e change management (59%); competenze digitali (33%). • Molte aziende hanno reagito alla crescente competitività sui prezzi elevando notevolmente la qualità dei prodotti e quella dei servizi ad essi associati. Questa complessa strategia di differenziazione qualitativa può essere compiutamente realizzata solo se avviene in modo pervasivo a tutti i livelli dell’organizzazione aziendale, pertanto, come nel caso precedente, richiede comportamenti imprenditoriali focalizzati sia sul “fare”, sia sul “gestire”; • Diversificare i mercati di riferimento è, in molti settori, quasi obbligatorio per garantire la sopravvivenza dell’impresa, ma questi processi, ed in particolare quelli di internazionalizzazione, richiedono competenze che spesso sono chiaramente di impronta manageriale. Un dato interessante è che questi processi stanno avvenendo secondo traiettorie che seguono l’impronta genetica della via italiana alla manifattura, ossia preservando, anche nella trasformazione, quegli asset che ci hanno resi leader in moltissime nicchie di mercato. Questo nuovo “imprenditore-manager” sembra essere aperto a contributi manageriali esterni e, nella maggioranza dei casi, è consapevole che “le imprese che nei prossimi anni non si doteranno di competenze

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14,3

Torino

10,7

Bologna

10,3

Trieste

9,8

Genova

9,3

Varese

9,8

Parma

9,2

Modena

8,3

Lodi

8,2

Vercelli

8,0

Dirigenti per 1.000 dipendenti

FONTE: ELABORAZIONE OSSERVATORIO 4.MANAGER SU DATI INPS

manageriali faranno fatica ad affrontare il cambiamento e ad essere competitive!”. In prospettiva, circa la metà degli imprenditori intervistati dichiara l’intenzione di assumere almeno un manager nei prossimi 3 anni; questa percentuale, nelle aziende prive di queste figure professionali, si attesta intorno al 30%. Tuttavia, lo spiccato interesse verso le competenze manageriali è ostacolato, nella sua

IL NUOVO IMPRENDITORE-MANAGER Innovazione, diversificazione dei mercati e attenzione quasi “ossessiva” alla qualità alimentano la spinta all’ibridazione verso forme più sofisticate di governance

conversione in domanda di figure manageriali, da almeno tre fattori: l’ampio mismatch che caratterizza questo mercato; fattori di attrito che si manifestano all’interno dell’azienda e della sua governance; i costi e la quasi totale assenza di politiche a sostegno della diffusione di competenze manageriali all’interno delle Pmi. Un dato per tutti: gli imprenditori intervistati dichiarano, nell’87% dei casi, d’incontrare difficoltà nel reperire le figure manageriali. Questo dato sale addirittura al 91% al Nord

del Paese, al 94% tra le imprese più giovani, e infine al 92% tra le imprese familiari. Questo risultato è confermato anche dalla rilevazione Excelsior di Unioncamere.

Il manager multi-skill I dati raccolti evidenziano ampi processi trasformativi anche in ambito manageriale, i cui driver principali sono: l’innovazione tecnologica e dei modelli di business; la diversificazione e il repentino mutamento dei gusti e dei comportamenti dei consumatori; l’internazionalizzazione delle imprese; la velocità del cambiamento; l’incertezza e la complessità ambientale. Il risultato più evidente prodotto da tali tendenze è lo spostamento del focus manageriale da funzioni strettamente focalizzate sulla specializzazione (Hrm; Marketing, Finanza, ecc.) e sulle attività di “comando e controllo”, a compiti sempre più ampi e complessi: individuare tendenze, minacce e opportunità e formulare previsioni; accelerare e facilitare i cambiamenti; velocizzare i ritmi di apprendimento dell’organizzazione e valorizzare il capitale umano aziendale; creare processi e team di lavoro resilienti; valorizzare le diversità; sviluppare modi


e processi di lavoro di tipo collaborativo; operare tenendo conto dell’etica e della responsabilità sociale. Queste nuove funzioni richiedono conoscenze e competenze multidisciplinari e trasversali a diverse aree aziendali e una spiccata capacità di gestione delle persone, oltre a particolari doti di leadership e decision making. Inoltre, la velocità di obsolescenza delle competenze tecniche richiede ai manager di possedere un ampio ventaglio di Soft skills e di sviluppare una dote essenziale: la learning agility; ossia, la capacità d’imparare ad apprendere in modo veloce, continuo e su uno spettro molto ampio di temi. Analizzando lo skill mix manageriale richiesto dalle imprese moderne, appare con sempre maggiore evidenza che il confine tra competenze Hard e Soft si assottiglia sempre più. Anche alle funzioni manageriali più prettamente tecniche ed esecutive si richiede di esercitare le competenze “Hard” su uno spesso substrato di competenze trasversali (Soft). L’u-

tilità di queste ultime si avverte soprattutto nei contesti problematici o nei quali è necessario gestire un gruppo, quando è richiesta un’ampia dose di flessibilità o nei contesti particolarmente complessi e mutevoli. È il caso, ad esempio, delle competenze trasversali richieste ai manager che operano o intendono operare per le Pmi. In questi con-

LO SKILL MIX MANAGERIALE Le nuove funzioni richiedono competenze multidisciplinari e spiccate doti di leadership e decision making, in cui la dote essenziale è la learning agility ad ampio spettro

testi, l’approccio manageriale “anglosassone” risulta spesso controindicato. Il tipo di relazione che invece sembra vincente è quella del “business partner” ossia di un rapporto con l’imprenditore basato sulla fiducia, l’ascolto, il rispetto del patrimonio genetico dell’impresa, la capacità di proporre obiettivi intermedi misurabili e coerenti con le risorse e l’orizzonte

DIFFICOLTÀ DI REPERIMENTO DELLE FIGURE MANAGERIALI Domanda: Quanto è difficile, oggi, trovare un manager in grado di operare efficacemente nel suo settore di mercato? 45,2%

Valori percentuali N= 614 imprenditori

41,8%

8,2% 0,7% Molto

Abbastanza

Poco

FONTE: OSSERVATORIO 4.MANAGER 2° RAPPORTO - SURVEY CAMPIONARIA 2019

Per niente

4,1% Non indica

temporale tipico di quell’organizzazione, la capacità di proporre idee e soluzioni alla portata di quell’impresa. Queste “attitudini” diventano quasi obbligatorie nei casi in cui l’impresa stia attraversando una fase delicata della sua storia (es. continuità d’impresa). Alle evidenti tendenze appena descritte se ne affiancano altre meno appariscenti, che tuttavia potrebbero produrre effetti addirittura più dirompenti di quelli visti in precedenza: una quota della domanda di competenze manageriali si sta orientando verso figure talmente innovative da risultare ancora scarsamente definite e, in alcuni casi, addirittura prive di una denominazione condivisa. È il caso, ad esempio, di tutte quelle figure manageriali che dovranno sfruttare le tecnologie abilitanti o, più in generale, con quelle che possiamo definire “e-leader”. Altro grande driver per il futuro prossimo delle competenze manageriali, è il nuovo rapporto uomo-macchina che si sta formando nei luoghi dove si stanno diffondendo i sistemi cyber-fisici (Cpps) in grado di connettere mondo reale e mondo virtuale, fabbrica e singolo consumatore, manager, tecnici e macchine, intelligenze biologiche e artificiali. Le conoscenze e le competenze necessarie a operare in questi contesti dovranno essere frequentemente ridisegnati per adattarsi a un ecosistema che, grazie all’interconnessione, muterà continuamente di forma e di contenuti. Infine, l’introduzione dell’intelligenza artificiale a supporto delle funzioni manageriali, porterà con sé un tale cambiamento delle modalità lavorative e delle competenze richieste che, oggi, ne intravvediamo a malapena solo i contorni. Vista l’entità dei cambiamenti in atto, non sappiamo ancora con precisione quale sarà lo skill mix ideale tra tre o cinque anni. Ma una cosa la sappiamo di sicuro: sarà molto diverso da quello attuale.

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4.MANAGER Così ci siamo fatti in... 4 per sostenere le imprese Parla Fulvio D’Alvia, il direttore generale di 4.Manager, per fare il punto su questo biennio di grande impegno e su un futuro che vede finalmente il riconoscimento del ruolo degli innovation manager in azienda di Oreste Ferrari 4.Manager ha da poco compiuto due anni di attività. Un bilancio? Il grande valore aggiunto di 4.Manager è stato quello di consolidare la collaborazione tra Confindustria e Federmanager su tematiche di politica industriale, di ampio respiro, che impattano direttamente sulla vita di imprese e manager. Abbiamo lavorato a 360° per sviluppare una nuova cultura d’impresa con al centro alte competenze ed abbiamo impostato una nuova strategia per le politiche attive che valorizzerà i percorsi di outplacement. Quest’ultimo aspetto è di estremo interesse per aree di crisi industriale e, più in generale, per i processi di riorganizzazione e ristrutturazione. Quali sono gli elementi di scenario che più influenzano il rapporto tra imprese e manager? Assistiamo a forti incertezze del mercato, dovute all’instabilità degli scambi internazionali, alle tensioni sui dazi commerciali e a preoccupanti nodi politici come la Brexit in Europa. Inoltre, siamo di fronte a importanti trasformazioni del paradigma competitivo di riferimento. La questione ambientale influenzerà le principali scelte dei governi di tutto il mondo. L’UE, con la neo-presidente della commissione europea Ursula von der Leyen, conferma tale tendenza con il Green New Deal.

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La sostenibilità, declinata nei 17 obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite per il 2030, sarà quindi un driver determinante per le scelte di politica industriale ed economica. Imprese e manager guarderanno alla sostenibilità come un’importante opportunità per crescere insieme. Come si riflette questo scenario nelle im­ prese italiane? Il nostro sistema produttivo presenta degli elementi di criticità: in primo luogo per la questione dimensionale, ma anche per la scarsa capitalizzazione e per la difficoltà di fare squadra. Qui entrano in gioco le competenze manageriali, che devono necessariamente affiancare le imprese nella governance e nei processi di innovazione dei modelli di business. Queste competenze devono essere fatte proprie dall’imprenditore ma in molte imprese si necessita di bravi manager che affianchino l’impresa nei percorsi di crescita. Quali sono quindi i nuovi trend delle com­ petenze manageriali? Numerosi trend stanno rivoluzionando il mondo del lavoro. Il Manager per la sostenibilità è una figura fondamentale che nasce per trainare le imprese nella rivoluzione da un modello di business lineare a circolare. Profili manageriali molto richiesti in questa fase riguardano anche la trasformazione tecnologica e digitale: gli “Innovation Manager”.

SONO NUMEROSE LE COMPETENZE E LE SOFT SKILLS RICHIESTE AI NUOVI MANAGER C’è, inoltre, un continuo interesse verso le competenze finanziarie e verso le competenze legate all’internazionalizzazione e all’export. Un ruolo chiave nel processo di trasformazione sarà svolto infine da chi gestisce persone ed organizzazione, sarà imprescindibile avere un HR Manager, che non sia inteso semplicemente un selezionatore del personale o un gestore di questioni amministrative, ma un interprete dei cambiamenti per definire strategie di valorizzazione delle risorse e dei processi. Tutte queste figure devono essere accomunate da soft skills: apertura mentale, adattabilità al cambiamento, team leader, lungimiranza e problem solving, le principali.


Fiducia e competenza: la formula vincente dei dirigenti Il presidente di 4.Manager e Federmanager Stefano Cuzzilla: da un paio d’anni inversione di tendenza, con le aziende che tornano ad assumere executive. Ma bisogna ridurre il mismatch tra domanda e offerta di Luigi Orescano «C’È UN PERCORSO PRECISO CHE SI STA COMPIENDO, PASSO DOPO PASSO, VERSO UNA PIENA AFFERMAZIONE E QUALIFICAZIONE DEL RUOLO DEI MANAGER NELLE IMPRESE ITALIANE, in piena sintonia con la Confindustria e

nell’insieme la rappresentanza datoriale: 4.Manager è una pietra miliare lungo questo percorso»: Stefano Cuzzilla, presidente di Federmanager, può ben dirsi soddisfatto. Il nuovo organismo bilaterale varato ormai due anni fa in tandem con Viale Astronomia, appunto 4.Manager, ha iniziato a lavorare e produrre pensiero strategico professionale. Tra consensi immediati e crescenti. Come mai, presidente? Evidentemente se ne sentiva molta necessità? Certamente, la progettazione e il varo di 4.Manager è il punto di arrivo di un ragionamento strategico iniziato molto tempo fa ed è anche una nuova base di partenza per una crescita del nostro ruolo di manager che sia funzionale alla crescita dell’economia e del Paese. È una scelta assolutamente strategica, che è stata calata nel contratto rinnovato a luglio scorso. Al centro, le politiche attive del lavoro, nel senso più ampio della parola. Questo ragionamento è appunto nato dall’analisi congiunta tra noi e Confindustria delle esigenze del sistema e delle imprese e delle esigenze della nostra categoria, con tutte le sue capacità di fornire risposte alle nuove domande dello sviluppo. Per esempio? Per esempio l’Osservatorio che studia l’evoluzione dei settori e dei mestieri per analizzare tutti i dati utili a capire come cambiano le specificità

dei dirigenti. Alla fine, possiamo senza dubbio dire che questa sfida disegna una nuova classe manageriale, aperta ai cambiamenti e capace di cavalcarli e non subirli, pronta a far evolvere le proprie competenze, a cambiare il suo modo di lavorare mettendosi in gioco e dunque proiettarsi su mercati sempre nuovi. Tra le innovazioni quale segnala con più forza? Sono tutte importanti, ma mi fa piacere sottolineare tutto quanto è stato fatto e faremo per chiudere il gender gap. Non solo attraverso il contratto nazionale ma anche dando strumenti e riferimenti nuovi a chi opera in azienda. Ma come si rifletterà tutto ciò sulle condi­ zioni professionali dei manager in Italia? Le cose stanno migliorando. Un dato molto importante è che nel 2018, rispetto al 2017, è cresciuta nel Paese la domanda di manager.

È FONDAMENTALE QUANTO È STATO FATTO PER RIDURRE IL GENDER GAP NELLE AZIENDE

Federmanager è al lavoro per certificare i 5 profili che sono più richiesti dal mercato: innovation manager, manager di rete, export manager, temporary manager e manager per la sostenibilità. Quest’ultimo profilo è entrato da poco nel nostro programma di certificazione per rispondere all’esigenza sempre più diffusa in azienda di avere competenze in grado di valutare i rischi e le opportunità connesse al grande tema dell’ambiente e del climate change. È un esempio calzante dell’evoluzione che sta investendo il ruolo del manager: sempre più aggiornato, sempre più trasversale nelle competenze acquisite, sempre più chiamato a gestire alte complessità. Lei pensa che si possa fare di più per ri­durre il mismatch di competenze manageriali? Si può e si deve fare di più, è un tema che questo Rapporto mette ben in luce. Il vero punto, però, è comprendere la qualità della richiesta di mercato che intercettiamo. Bisogna individuare bene i fabbisogni dell’impresa. Gli stessi imprenditori che dicono di cercare figure manageriali vanno aiutati a individuare quali competenze siano utili per il loro business, quali specializzazioni e quali funzioni siano necessarie ad esempio per lo sviluppo della filiera. Questo è l’unico approccio che risolve il problema del mismatch. Altrimenti si continuerà a dire che esiste una domanda non supportata. Invece, le competenze ci sono e il nostro compito è anche quello di offrire una risposta, avvicinando il management agli obiettivi concreti degli imprenditori.

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Società di corporale finance, svolge attività di consulenza aziendale, finanziaria e strategico industriale, rispettando il valore dello sviluppo sostenibile

Via Maurizio Gonzaga, 7 • 20123 Milano (Mi) • Tel. 02.84269210 • Email: info@thymosbc.com


SE IL RISPARMIO GESTITO INCONTRA L’ECONOMIA REALE FINANZIARE L’IMPRESA

Dal primo fondo chiuso di private equity retail al mondo al venture capital “democratico”: ecco come, grazie alla piattaforma Azimut Libera Impresa, viene stimolata la crescita delle aziende italiane di Riccardo Venturi

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61 BANDI & CLICK SE IL FINANZIAMENTO SFUMA PER COLPA DI UNO STARNUTO

62 MARCO GAY «CARO GOVERNO, LE STARTUP HANNO DIRITTO ALLA CONCRETEZZA»

64 INTESA SANPAOLO IMPRESE PIÙ FORTI PER UN’ITALIA PIÙ COMPETITIVA

66 NSA PMI INDEX LA SANITÀ PRIVATA MANTIENE IN SALUTE ANCHE L’ECONOMIA

onvogliare una parte della ricchezza privata delle famiglie italiane (che vale ben oltre 4mila miliardi di euro, il doppio del debito pubblico) verso le imprese, che hanno un vitale bisogno di finanziamenti. È un’esigenza unanimemente riconosciuta, alla quale però il paese stenta a dare una risposta: i Pir dovevano andare in quella direzione, ci sono riusciti solo in modo marginale. La nuova strategia di crescita nel settore degli investimenti alternativi dedicati all’economia reale di Azimut, il principale gruppo indipendente italiano del risparmio gestito quotato alla borsa di Milano, intende coinvolgere nel cimento una platea più ampia di investitori. Nella nuova iniziativa di Azimut l’esigenza di dare sostegno alle imprese italiane si sposa con quella di offrire ai propri clienti l’accesso a ritorni superiori in un contesto di tassi estremamente bassi, che hanno determinato nel risparmio gestito deflussi importanti e una fuga dei risparmi

verso la liquidità. Nasce così Azimut Libera Impresa Sgr, una piattaforma integrata di prodotti e servizi dedicata a imprenditori e Pmi da un lato e investitori e risparmiatori dall’altro, con l’obiettivo di favorire l’immissione di liquidità nell’economia reale al fine di stimolarne la crescita e renderla sostenibile nel tempo, offrendo al contempo opportunità di rendimento maggiori a risparmiatori e investitori. Il primo fondo della piattaforma Azimut Libera è la dimostrazione della volontà di aprire la possibilità di investire sulle aziende italiane a una platea davvero vasta di risparmiatori. Si chiama Demos 1, ed è il primo fondo chiuso di private equity retail al mondo, con importo minimo di sottoscrizione pari a 5mila euro. Ha una dotazione di 350 milioni di euro da investire in aziende italiane, con un fatturato compreso tra i 30 e i 250 milioni e un ticket di investimento per operazione dai 20 ai 60 milioni di euro. «Abbiamo chiamato questo fondo

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FINANZIARE L’IMPRESA

Demos», spiega Pietro Giuliani, presidente del gruppo Azimut, «perché democratizza il mercato offrendo anche ai risparmiatori la possibilità di accedere a rendimenti e opportunità fino ad oggi riservati agli investitori istituzionali o ai family office. Azimut è il primo operatore nel risparmio gestito in Italia a intraprendere la crescita nel settore degli investimenti alternativi, una diversificazione che ci permetterà di offrire migliori rendimenti ai nostri clienti e di diventare un gestore al passo con i tempi e con i migliori asset manager mondiali». Giuliani sottolinea la propensione di Azimut a percorrere nuove strade: «Ancora una volta siamo apripista nell’industria italiana del risparmio gestito», mette in evidenza il presidente del gruppo, «siamo stati i primi a creare un operatore indipendente, i primi a diversificare all’estero, arrivando a gestire oltre 16 miliardi di euro in Paesi a elevati tassi di sviluppo. Oggi abbiamo aggiunto questo importante tassello di crescita che nei nostri piani al 2024 vale almeno dieci miliardi di euro e che ci permetterà di aumentare i rendimenti attesi per i nostri clienti del 1,5-2% all’anno». Azimut Libera Impresa Sgr guidata da Marco Belletti comprende ad oggi otto fondi, tra i quali alcuni in fase di lancio e altri che saranno varati nel corso dei prossimi mesi, per una raccolta complessiva di 1,5 miliardi di euro a fine 2020. Per Azimut la crescita negli investimenti in private market rappresenta una linea strategica di grande importanza: dei 56 miliardi di euro di masse gestite dal gruppo oggi circa l’1% è rappresentato da asset alternativi ma entro 5 anni il peso di tali attività crescerà ad almeno il 15% degli asset under management. «Grazie ai fondi di Azimut Libera Impresa Sgr la clientela retail potrà accedere all’investimento in private market, partendo dal private equity», dice Paolo Martini (nella foto), a.d. e d.g. di Azimut Holding e presidente di Azimut Libera Impresa, «abbiamo democratizzato i rendimenti degli strumenti alternativi e siamo i primi al mondo a offrire questi prodotti ad alto rendimento al cliente retail». La nuova piattaforma ha fatto ulteriori passi avanti in occasione di Azimut Libera Impresa

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Expo (Ali Expo), la due giorni dedicata a finanza, innovazione, impresa familiare, Pmi e tecnologia, organizzato dal gruppo Azimut alla fine dello scorso mese di ottobre con l’obiettivo di creare un punto di incontro tra economia reale e risparmio gestito, che ha visto oltre 14 mila presenze tra investitori, professionisti, imprenditori e privati. Il gruppo in quell’occasione ha annunciato inoltre l’ingresso nel settore immobiliare e infrastrutture con la creazione di una nuova divisione di Azimut Libera Impresa Sgr guidata da Andrea Cornetti, che ha lasciato la cari≠ca di General Manager di Prelios Sgr per assumere in Azimut Libera Impresa Sgr il ruolo di amministratore delegato con deleghe sul buAZIMUT LIBERA IMPRESA COMPRENDE A OGGI 8 FONDI ED ENTRO FINE 2020 LA RACCOLTA COMPLESSIVA TOCCHERÀ QUOTA 1,5 MILIARDI DI EURO

siness real estate e infrastrutture. «Entriamo in un settore strategico per gli investimenti alternativi con una figura di primo piano» mette in evidenza il presidente Giuliani, «Con Andrea e il suo bagaglio di esperienze nel settore real estate, Azimut si arricchisce di una grandissima competenza che ci permette di avviare da subito la nostra operatività negli investimenti immobiliari con un focus anche sulle infrastrutture sociali». Sempre in occasione di Ali Expo è stata presentata una seconda iniziativa in rampa di lancio: il fondo Italia 500, realizzato in collaborazione con P101, dedicato all’investimento in startup e Pmi innovative. Dopo 5 anni di presenza nel mondo delle startup, con

SiamoSoci e Mamacrowd, e nel venture capital in Italia attraverso la partnership con P101 Sgr, società di gestione di fondi di venture capital fondata e diretta da Andrea di Camillo, Azimut rafforza la collaborazione con la creazione del nuovo fondo comune di investimento alternativo chiuso non riservato, con 40 milioni di euro di target di raccolta e un importo minimo di sottoscrizione ancora una volta fissato a soli 5 mila euro. Le aziende target sono startup con un fatturato sino a 5 milioni di euro e Pmi con sede prevalentemente in Italia, operanti su tecnologie, prodotti e servizi industriali e digitali, con un fatturato compreso tra i 5 e 50 milioni di euro. La durata del fondo è di 10 anni. Sempre nel campo del venture capital, Azimut ha annunciato una partnership con la piattaforma di innovazione B2B Gellify: il gruppo del risparmio gestito ha partecipato in qualità di lead investor a un round di finanziamento di 15 milioni di euro nella società fondata da Fabio Nalucci che seleziona, investe e fa crescere startup innovative nel settore digitale e le connette con aziende consolidate in ottica di open innovation. Azimut e Gellify inoltre esploreranno la creazione di un fondo comune di investimento alternativo di tipo chiuso riservato alla clientela professionale o Hnwi, che avrà ad oggetto l’investimento nel capitale di rischio di startup “B2B software as a service” operanti prevalentemente in quattro principali settori del mondo Ict: industria 4.0, artificial intelligence, internet of things, blockchain e cybersecurity, anche mediante il co-investimento del fondo medesimo con Gellify. «Italia 500 sarà il primo fondo di venture capital con una soglia di accesso democratica e rappresenta un ulteriore passo per rendere accessibile agli investitori privati i rendimenti tipici degli investimenti alternativi, sino ad ora riservati agli investitori istituzionali e professionali», commenta Giuliani, «una mossa che riteniamo importante nell’attuale contesto di tassi negativi e fuga verso la liquidità. La nostra presenza nel venture capital si amplia anche in un’ottica di B2B grazie a una partnership strategica con Gellify, con la quale stiamo studiando un altro strumento innovativo e appetibile per il settore».


E IL FINANZIAMENTO SFUMA PER UNO STARNUTO I bandi non mancano, e neppure le opportunità. Quello che difetta sono le professionalità capaci di presentare domande che siano in grado di aggiudicarsi le risorse a disposizione delle imprese di Riccardo Venturi

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ei secondi. È il tempo che hanno avuto le aziende per inviare la domanda online e aggiudicarsi i contributi Inail per gli investimenti volti al miglioramento della sicurezza dei lavoratori, lo scorso 14 giugno alle ore 15 in occasione del cosiddetto click-day. Chi ci ha messo 7 secondi ha perso fino a un massimo di 130mila euro, perché i 369 milioni stanziati sono finiti un secondo prima. È un esempio di come possa essere complicato accedere a un finanziamento: bastava uno sternuto della risorsa dedicata alla domanda alle 15 e 3 secondi per mandare in fumo 130mila euro... Se poi la connessione internet fosse stata ballerina, nemmeno lo Speedy Gonzales del mouse sarebbe stato in grado di ottenere l’agognato contributo. «Abbiamo personale specializzato che addestriamo alla velocità con apposite simulazioni» dice Stefano Ciacciarelli, direttore generale del gruppo Del Barba, specializzato nel settore della finanza agevolata e in particolare nell’accesso ad agevolazioni e contributi pubblici, «con i contributi Inail le aziende possono per esempio rimuovere l’amianto dai capannoni, ma anche acquistare macchinari tecnologicamente avanzati che migliorano la sicurezza: perderli per una questione di velocità è un peccato». Quello del click-day, che forse andrebbe ribattezzato fast click-day, è un caso limite; ma i motivi per cui le aziende spesso non riescono ad accedere a finanziamenti che sarebbero assai utili sono molteplici: «La materia si fa sempre più burocratica, e i continui aggiornamenti sono spesso in contraddizione con quanto era stabilito in precedenza» spiega Ciaccarelli, «quindi le regole vanno inter-

STEFANO CIACCIARELLI, DG DEL GRUPPO DEL BARBA

pretate, e a volte la specificazione del progetto scende in un’analisi molto dettagliata. Richiedere un contributo è insomma un lavoro diventato più articolato, così da fare selezione». Ci si chiede cosa sia rimasto di meritocratico in un sistema dove trionfa la velocità del click o la burocrazia; ma tant’è. A mancare è anche l’informazione sulle opportunità di finanziamento. «Gli imprenditoSUL TOTALE DEI FONDI DISPONIBILI PER IL PERIODO 2014-2020 NE RISULTA IMPEGNATO SOLO IL 68 PER CENTO, DI CUI APPENA IL 28% GIÀ EROGATO

ri spesso conoscono quelle di natura fiscale come il credito di imposta» sottolinea il dg di Del Barba, «molto meno i bandi regionali, nazionali ed europei. La domanda per una normativa di tipo fiscale le imprese spesso le fanno in casa, possono essere soggette a un controllo da parte dell’Agenzia delle entrate o della Guardia di finanza, ma non c’è una parte terza che decide se la loro do-

manda è interessante e fa una graduatoria. Eppure anche i bandi offrono tutta una serie di opportunità importanti». A mancare sono anche le professionalità capaci di presentare domande ben fatte che siano in grado di vincere i bandi. «In particolare per quelli europei, che sono più complessi ma prevedono contributi a fondo perduto che valgono dal 40 al 60% del costo del progetto» specifica Ciaccarelli, «c’è un numero ridotto di professionalità in grado di aiutare davvero le imprese. È anche un problema di cultura aziendale: o non si conosce l’opportunità, oppure il suo grado difficoltà è troppo alto, spesso non ci sono progetti idonei, che abbiano contenuti di sostenibilità ambientale e sociale, non solo produttivi; devi dimostrare di aver raggiunto gli obiettivi e spiegare come, magari con una ricaduta sul territorio: non è semplice argomentare tutto questo». Risultato, sul totale dei fondi disponibili per l’Italia nel periodo ’14-’20, di oltre 75 miliardi, ne risultano impegnati solo 51, il 68%, di cui solo circa 21 già erogati, il 28% del totale disponibile; percentuali che al Sud si abbassano in modo significativo. Per creare le professionalità necessarie per partecipare ai bandi in modo vincente, Del Barba ha ideato, progettato e realizzato in collaborazione con una società multinazionale della selezione del personale una apposita Academy, percorso di alta formazione che prevede 200 ore intensive in circa 2 mesi. «L’idea è di prendere laureati in diverse discipline cui dare contributi spendibili subito sui temi della finanza agevolata» rimarca il dg di Del Barba, «con l’obbiettivo di creare la figura professionale del progettista in finanza agevolata».

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FINANZIARE L’IMPRESA

E cosa dovremmo fare di più, visto che sull’innovazione digitale il Paese ha comunque creato in tre anni quasi mezzo milione di posti di lavoro?

«Caro governo, le nostre start-up hanno diritto a fatti concreti» Marco Gay, amministratore delegato di Digital Magics e presidente di Anite-Assinform, richiama governo (e privati) all’urgenza di recuperare il gap dell’innovazione digitale: «Dipende da tutti, urgono investimenti» di Sergio Luciano presenta le aziende Ict. «Siamo davanti a un mercato che cresce noRIALE – È “CONCRETEZZA”. L’ORIZZONTE È nostante tutto e che riesce ad attrarre inveUN MERCATO GLOBALE NEL QUALE L’ITALIA stimenti anche dall’estero. Perché il nostro HA ANCORA CHANCHE MA POCO TEMPO mercato delle start-up offre altissima qualità, PER COGLIERLE. Una luce di speranza è il grandi talenti ed un accesso economico basnascente Fondo naso. Insomma, stiamo «NOI DI DIGITAL MAGICS STIAMO zionale per l’innovacreando valore con FACENDO MOLTO, DAL 2011 AD OGGI zione. «I dati parlano poco», spiega a EcoABBIAMO INVESTITO NEL SISTEMA chiaro e ci chiedono nomy. «Ma proprio INSIEME A TERZI BEN 91 MILIONI» un colpo di reni e una per questo dobbiamo presa di coscienza che parta da quanto l’Itasfruttare appieno l’occasione che tutto quelia farà sull’innovazione digitale, sbrigandosi sto comporta. Dobbiamo farlo come sistema ad andare molto al di là dei proclami», sintePaese, come imprese private, come ecosistetizza Marco Gay, amministratore delegato di ma pubblico-privato dell’innovazione». Digital Magics e presidente di Assinform-Anitec, l’associazione confindustriale che rapScusi Gay, ma chi frena tutto questo? LA PAROLA D’ORDINE – SEVERA ANCHE CON IL PROPRIO AMBIENTE IMPRENDITO-

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Ci sono alcuni fattori strutturali da superare. C’è una pesante disparità territoriale e dimensionale per livello di investimenti tecnologici e una marcata frammentazione del comparto: il 2018 ha visto le grandi imprese esprimere ben il 59 per cento degli investimenti Ict, contro il 19% delle medie e solo il 22% delle piccole, che pure hanno un peso in termini di occupazione e Pil proporzionalmente più elevato. Sono solo il 2 per cento le imprese ad elevata digitalizzazione sotto i 50 addetti. In secondo luogo, l’insufficienza di talenti e di competenze tecnologiche: a fronte di una occupazione Ict in crescita annua del 2,4 per cento, la forbice domanda offerta di competenze digitali continua infatti ad allargarsi e mancano 12mila laureati. Infine, la limitata propensione al rischio e alla ricerca: da circa un decennio la spesa R&S del settore ICT in Italia, attorno ai 2,2 miliardi di euro l’anno, è per oltre l’80 per cento autofinanziato dalle imprese, per il 13% circa dal resto del mondo e solo per il 6% dal settore pubblico.

E quindi, che fare? Anzi, per cominciare: lei è un rappresentante d’impresa, ma anche un imprenditore manager. In questi vesti, lei cosa fa per superare questi gap? Digital Magics fa molto. Ha investito nei primi 6 mesi di quest’anno 1,9 milioni di euro direttamente, ed è un player che investe in start-up dal 2011 ad oggi ha investito nell’innovazione, insieme a soggetti terzi, ben 91 milioni di euro. Siamo oggi leader per quanto riguarda la business incubation delle start-


IL FONDO NAZIONALE PER L’INNOVAZIONE ANDRÀ BENE SE SAPRÀ AFFIANCARSI CON I PROPRI CAPITALI ALLE INIZIATIVE FORTI DEL MONDO PRIVATO up innovative digitali, e abbiamo dimostrato una forte capacità di valorizzarne il talento e soprattutto portarle al mercato. Torno alla nostra parola d’ordine, che ritengo debba essere sottolineata con 3 punti esclamativi: concretezza. Le start-up che sosteniamo devono dimostrare di sapersi relazionare con il mercato per crescere, o crescono in fretta o falliscono.

Be’, ma i settori dell’Ict crescono, no? Indubbiamente: l’Intelligenza Artificiale cresce del 69%, il cloud di oltre il 40%, la blockchain di quasi 50%, l’Iot cresce del 20%... tutti i settori ad alto impatto hi-tech stanno crescendo! Le nostre start-up però sono immerse in un mercato industriale che dev’essere ancora innovato fino in fondo, e la maniera migliore di innovarlo è favorire la nascita e la crescita di nuove realtà che possano o fare mercato da sole o diventare le articolazioni di open innovation delle grandi aziende tradizionali. Una combinazione di novità e patrimonio? Assolutamente sì! Le nuove tecnologie, svi-

luppate al fianco della manifattura tradizionale e fertilizzate dal talento delle start-up possono avere un impatto straordinario sull’ecosistema italiano. Non capisco come l’Italia non sia ancora diventata la patria mondiale delle start-up che innovano le imprese tradizionali, in un approccio b2b che poi diventa b2b2c, trasferendo quindi l’innovazione dalla relazione tra imprese alla relazione tra imprese e consumatori finali.

capitale di rischio nei primi 9 mesi del 2019 sono troppo pochi. Insomma io vedo in questo Fondo una grande opportunità, lo abbiamo atteso molto, dal marzo scorso… adesso pare che ci siamo, e se diverrà davvero operativo nel 2020, avremo la possibilità di recuperare il tempo perduto, e convincere anche le istituzoni che quello delle start-up on è un mondo di annunci ma di realtà. Che chiedono soltanto di avere la vita un po’ semplificata!

Ecco: e cosa fa la sua azienda in questa Insomma, più spirito di venture capital direzione? anche nel pubblico? Un intensissimo lavoro di scouting. Il nostro Assolutamente sì! Io non capisco come mai, grande sforzo oggi è far sì che i talenti che in un popolo come il nostro, fatto di innovaincontriamo, i progetti che vediamo - circa tori, imprenditori e pionieri di tutte le sfide, 1500 all’anno – quando entrano nel nostro non ci sia più attenzione al venture-capital. portafoglio possano avere subito un impatto Che non vuol dire buttar via i soldi, ma creeconomico concreto e una visione di mercadere in progetti chiari e definiti e sostenerli. to chiara. Ecco: l’ultima edizione del Premio È un ruolo che non possono più fare gli istiBest Practices per l’innovazione ha messo tuti bancari, per le note ragioni regolatorie. in vetrina oltre 100 start-up accomunate da E allora io sono ben lieto di dire che Digital questa giusta tensione alla concretezza. È la Magics ha investito 1,9 milioni nel primo via italiana alle start-up, che oggi può e deve semestre… ma dico anche che correi avere essere corroborata da investimenti in capila possibilità di investire molto molto più. tale di rischio, senza Però, ripeto: il siste«OCCORRE PREVEDERE ANCHE la pretesa che il pubma deve muoversi sul UN FONDO NAZIONALE PER ATTUARE blico si sostituisca al serio e tutto insieme. I PROVVEDIMENTI MESSI IN CANTIERE privato negli investi- NEL 2019, UN’OPERAZIONE DI SISTEMA» Il Fondo per l’innomenti. vazione ben venga, ma non basta: dobbiamo anche dotarci di Però il Fondo nazionale per l’innovazione un Piano Nazionale per l’adozione delle Tecle piace? nologie Avanzate, che preveda l’attuazione Mi piace nella misura in cui attuerà il giusto dei provvedimenti in cantiere nel 2019 (fra programma di affiancarsi agli incubatori e cui l’utilizzo del Fondo per AI Blockchain e alle aziende private, in modo semplice, cerIoT, l’attuazione delle 79 raccomandazioni cando di dare al mercato l’energia finanziaria di policy definite dal Gruppo di Esperti AI, la di cui ha bisogno per portare le imprese nel definizione delle linee guida sugli standard futuro. Il Fondo è importante per dare una di riferimento per le public Blockchain), marcia in più anche alla R&D di un settore, l’ampliamento delle risorse e del perimetro quello dell’Ict, che è strategico per spingere di applicazione alle tecnologie emergenti l’innovazione in tutti i settori e territori. Ma come quantum computing e nanotecnologie, se aleggia come un convitato di pietra, una un programma di education presso le azienpresenza prossima ma che non si sa ancora de più piccole e tradizionali per far capire quando e come opererà, il rischio è di conloro in cosa consiste l’AI e quali vantaggi di tinuare a tenere bloccato il mercato della business può portare. Deve essere una opefinanza per l’innovazione. Non possiamo razione di sistema, del pubblico e del privato permettercelo: 600 milioni di investimenti in insieme.

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FINANZIARE L’IMPRESA

IMPRESE PIÙ FORTI PER UN’ITALIA PIÙ COMPETITIVA Con 100 miliardi di plafond per il finanziamento alle Pmi, Intesa Sanpaolo si posiziona come primo operatore a supporto dell’economia e del rilancio industriale del Paese. Grazie anche alla partnership con Confindustria di Sergio Luciano

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on circa 22 miliardi di euro erogati alle imprese italiane nei primi nove mesi del 2019 siamo il primo operatore a supporto dell’economia e del rilancio industriale del Paese»: in tempi turbolenti per le banche e per l’industria del credito in generale, poche realtà in Europa possono esprimersi in questi termini. Intesa Sanpaolo sì, e questa sintesi fatta da Stefano Barrese - responsabile Banca dei Territori dell’istituto - ne fotografa la principale dimensione economica, il volume dei prestiti dati dal primo gruppo italiano alle imprese. In questo quadro, Intesa ha fatto in particolare un punto qualificante del suo programma il supporto alle Piccole e medie imprese, quelle - nel perimetro specifico della Divisione guidata da Barrese - che fatturano fino a 350 milioni di euro l’anno e che rappresentano il pilastro dell’economia nazionale nella manifattura, nell’agroalimentare e nello accordo tra Banca e Piccola Industria Confinsviluppo di tecnologie, solo per citare alcuni dustria. Le condizioni attuali consentono di dei settori trainanti del Paese. sostenere ulteriormente gli investimenti e la In quest’azione, Intesa Sanpaolo collabora da patrimonializzazione delle Pmi innovative - atdieci anni con Confindustria, e cioè da quando tente alla sostenibilità, alla circular economy, - in piena crisi nel 2009 - insieme vararono mialla diversificazione delle fonti finanziarie e sure d’emergenza per supportare le aziende in all’internazionalizzazione -, la cui crescita pasdifficoltà, fissando poi sa inesorabilmente LE PMI INNOVATIVE SONO ATTENTE negli anni seguenti dalla digitalizzazioA SOSTENIBILITÀ, CIRCULAR ECONOMY, un obiettivo comune. Il piano d’azione DIVERSIFICAZIONE DELLE FONTI ne: avere imprese più FINANZIARIE, INTERNAZIONALIZZAZIONE previsto dalla partforti per un Paese più nership ha portato forte, sostenibile e competitivo. In occasione a individuare una serie di fattori qualitativi della celebrazione di questo primo accordo, la intangibili, come gli investimenti in ricerca e banca e Confindustria hanno innalzato da 90 innovazione, potenzialmente utili a favorire la a 100 miliardi il plafond di prestiti per le Pmi, crescita delle imprese. dedicato in particolare alla competitività e alla Ma in concreto, come funziona questa partnertrasformazione delle imprese per cogliere le ship? opportunità offerte dalla “Quarta rivoluzione Intesa Sanpaolo ha ideato e adottato, dopo industriale”, in attesa di siglare il prossimo averlo fatto validare dalla Banca Centrale Eu-

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IL NOSTRO PERCORSO CON CONFINDUSTRIA PREVEDE UN NUOVO MODO DI FARE BANCA ATTRAVERSO LA VALORIZZAZIONE DEI FATTORI QUALITATIVI


ropea, un questionario qualitativo nella valutazione creditizia delle Pmi, che tiene conto di questi aspetti combinati con quelli finanziari. Ciò ha consentito di misurare il posizionamento competitivo delle Pmi e le reali prospettive di crescita, superando il tradizionale rapporto banca-impresa, legato ai limitanti dati storici di bilancio, considerando invece e valorizzando anche nuovi aspetti intangibili, non quantificabili ma non meno importanti come il numero di brevetti propri, le politiche di welfare per i dipendenti, i programmi di sostenibilità, le politiche di genere. Grande attenzione è in quest’ottica rivolta allo sviluppo del capitale umano e ai processi di crescita dimensionale e di patrimonializzazione, temi condivisi anche nel Programma Elite di Borsa Italiana al quale, in un anno, hanno partecipato 120 imprese selezionate da Intesa Sanpaolo come punte di eccellenza in tutta Italia per crescere e contribuire a rilanciare l’economia grazie al percorso di accompagnamento sul mercato dei capitali previsto da questo programma e a loro dedicato. Alla cerimonia del decennale, Barrese aveva ricordato che «il nostro percorso con Confindustria prevede un nuovo modo di fare banca attraverso la valorizzazione dei fattori qualitativi per supportare lo sviluppo delle imprese». È questa la chiave: la valorizzazione dei fattori qualitativi, non per rinnegare quelli quantitativi che connotano la solidità di un’impresa, per andare anche al di là di essi. «Il ruolo di una grande banca è quello di sostenere il sistema economico del Paese - spiega a Economy Stefano Barrese - erogando credito in ogni fase dell’economia, anche nelle più delicate: Intesa Sanpaolo lo ha sempre fatto, negli anni della crisi e nel corso della ripresa. Ora è importante fare un passo in più, in particolare verso le imprese che sono la struttura portante del nostro Paese, per proporre soluzioni che vadano oltre il credito, guardando al futuro del Made in Italy e al suo sviluppo nel mondo. Vogliamo aumentare il nostro bacino di influenza sulle 200mila Pmi nostre clienti e sul milione di imprese complessive che serviamo. Infatti, Intesa Sanpaolo si propone oggi come punto di riferimento non solo finanziario per il mondo

imprenditoriale e associativo, affiancando i clienti nell’individuare nuovi percorsi comuni e partecipando all’intera vita dell’impresa, dall’idea che la fa nascere a tutte le tappe determinanti per la sua crescita, che è poi anche la crescita del Paese, in un modello di relazione consolidato e duraturo, fondato su qualità, affidabilità e fiducia». Dunque la frontiera del nuovo modo di fare banca supera la tradizionale erogazione di credito - che resta, sì, attività basilare ma non più esaustiva - per meglio affiancare il mondo imprenditoriale nell’obiettivo comune di rafforzarne la solidità e rilanciare lo sviluppo economico del Paese, con ricadute sul mercato domestico e sullo sviluppo del business internazionale per affermare il primato italiano. In questo ambito, è stata definita una strategia di supporto per le Pmi nell’ambito del Corporate Finance, sfruttando le migliori competenze del gruppo, per realizzare operazioni di finanza strategica, in precedenza riservate solo PER RAFFORZARE LE IMPRESE È STATA CREATA UN’AREA SPECIALIZZATA NELLA CONSULENZA NON FINANZIARIA INSIEME A PARTNER LEADER NEL MERCATO

alle imprese di grandi dimensioni. Questo con la finalità di accompagnare le Pmi nei percorsi di crescita, ricambio generazionale e ampliamento dei propri modelli di business, anche con forme innovative di supporto finanziario come ad esempio i basket bond. Inoltre, è stata creata Intesa Sanpaolo Forvalue, un’area specializzata nella consulenza non finanziaria che, insieme a partner leader nel mercato di riferimento, aiuta le imprese a intraprendere la strada del cambiamento, delle nuove competenze, dell’innovazione e dell’efficienza operativa, passando da un concetto di proprietà di determinati asset a quello di un loro utilizzo attraverso il noleggio a lungo termine, anche in prospettiva di ammodernamento digitale verso il 4.0. Inoltre, Intesa Sanpaolo Forvalue, attraverso una piattaforma di networking, offre contenuti formativi, informazioni qualificate e approfondimenti utili per la gestione e lo sviluppo del business nella

logica esclusiva del Club, che vede già oggi circa 1.500 aziende aderenti. Analogamente, attraverso la società controllata Intesa Sanpaolo Formazione, il primo gruppo bancario in Italia ha arricchito la gamma delle sue proposte per un percorso completo di supporto alla crescita delle imprese e degli imprenditori, avvalendosi dei migliori programmi di formazione in partnership con i migliori operatori. A partire dal 2015 è stata avviata la linea formativa Skill4Business, che ha coinvolto circa 3.200 aziende con l’erogazione di oltre 46mila ore formative in aula, sui temi di internazionalizzazione e digitalizzazione, alla quale si è poi affiancata nel 2019 la piattaforma Skill4Capital, incentrata sulle tematiche del rapporto banca impresa, che dall’avvio ha messo a disposizione circa 4mila ore di formazione digitale. Al fronte specifico dell’internazionalizzazione delle Pmi, Intesa Sanpaolo ha dedicato poi il massimo sforzo, consapevole di quanto sia cruciale per la crescita produttiva del Paese, facendo leva su un network attivo in tutti i principali mercati: con una rete estera costituita da banche controllate, filiali corporate e sedi di rappresentanza, il Gruppo ha presenza consolidata in circa 40 Paesi e copertura in 85 Paesi, grazie ad accordi di collaborazione con altre banche. E dunque, le imprese italiane che intendono affrontare percorsi di internazionalizzazione, direttamente o attraverso le proprie consociate all’estero, trovano nelle strutture di Italian Desk presso le filiali all’estero, la consulenza di specialisti dedicati al supporto finanziario e alle necessità di Trade e Cash Management. Nel corso del 2019 sono state realizzate diverse iniziative per aprire alle Pmi nuovi mercati esteri: si è appena conclusa infatti un’importante missione in Cina dedicata alle imprese del Sud, che hanno potuto incontrare insieme alla Banca possibili investitori a Pechino, Shanghai, Quingdao. Allo stesso modo, pochi mesi fa Intesa Sanpaolo ha organizzato una visita a Hong Kong per le imprese agroalimentari e una negli Emirati Arabi Uniti per quelle del settore logistico e delle infrastrutture, programmando altre attività anche per il 2020.

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FINANZIARE L’IMPRESA

La sanità privata mantiene in salute anche l’economia Investimenti in ricerca e sviluppo, pratiche di eccellenza e obiettivi di crescita continua caratterizzano un settore fondamentale per l’Italia. Ecco quali sono le imprese più affidabili secondo il Gruppo Nsa di Davide Passoni

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e imprese sanitarie di diritto privato posto tra le cliniche del Centro. «La struttura ono una risorsa importante per la è nata negli Anni ’80 come sanatorio, ma si è saità, ma sono soprattutto aziende evoluta fino a soddisfare i requisiti delle norche generano lavoro e ricchezza. Una dimenmative per la classificazione come Rsa - dice sione imprenditoriale che traspare dai nul’amministratore, Luciano Spiridigliozzi -. In meri che caratterizzano il settore della sanità quegli anni la famiglia Vigliotta, proprietaria privata in Italia, come dimostra il 1° Bilancio della struttura, ha investito progressivamente sociale aggregato delle strutture ospedaliere nella prospettiva di un accreditamento con la associate, realizzato da Bdo Italia per Aiop, Regione Lazio: nel momento in cui è arrivato, l’Associazione Italiana la Rsa aveva i requisiti IL SETTORE DÀ LAVORO A 70MILA Ospedalità Privata. minimi che le hanno ADDETTI (+7,6% NEGLI ULTIMI 5 ANNI) Aiop riunisce oltre permesso di arrivare E GENERA UN INDOTTO 500 strutture. L’ospe- INDIRETTO CHE VALE QUASI 7 MILIARDI già adeguata, avendo dalità di diritto privato spalmato le spese negli garantisce il 28,4% delle giornate di degenanni precedenti. Oggi la proprietà tende a far za e il 26,5% delle prestazioni e incide sulla crescere la struttura, rinunciando a parte degli spesa ospedaliera pubblica complessiva per utili che viene reinvestita con questa finalità». il 13,5%. Le strutture associate Aiop danno Realtà di spicco del Nord-Est è il Policlinico lavoro a 70mila addetti (+7,6% negli ultimi Triestino, che punta sulla differenziazione cinque anni), tra cui 12mila medici, 26mila dell’offerta, come spiega l’amministratore detra infermieri e tecnici, e 32mila operatori legato e presidente Guglielmo Danelon: «La socio-sanitari. Significativi i numeri generati nostra solidità è frutto di una gestione ocunell’indotto. Dal Bilancio sociale 2018 emerge lata delle risorse finanziarie e umane, tanto che il 56% del valore della produzione, pari a che il nostro fatturato è il doppio del budget 4,4 miliardi di euro, viene distribuito tra cirche abbiamo dall’azienda sanitaria. La nostra ca 67mila fornitori di beni e servizi, costituiti particolarità rispetto alle classiche attività di principalmente da Pmi locali che in gran parte degenza è il laboratorio di medicina del lavoro, dei casi (45%) hanno sede nella stessa regione potenziato negli ultimi anni. Il segreto, in sanidella struttura. Oltre a questi numeri, va contà come in altri settori, è fare poche cose bene, siderato l’indotto indiretto che si stima generi ma con volumi importanti. Aggiungo infine un effetto moltiplicatore di 1,57, per un valore che, recentemente, abbiamo acquistato e poi complessivo di quasi 7 miliardi. fuso un’altra casa di cura del territorio, operaNel settore vi sono realtà affidabili da un punto zione che ci ha aiutati ad arricchire la nostra di vista finanziario, classificate dall’Nsa Ecoofferta». nomy Ranking, tra le quali la Rsa San GermaNel Nord-Ovest si distingue invece la casa di no di Piedimonte San Germano (FR), al primo cura Le Betulle di Appiano Gentile (CO): «Da

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tempo abbiamo scelto di reinvestire tutti gli utili in azienda, quando ci sono - dice l’amministratore delegato Francesco Guida -; per questo motivo, non distribuiamo dividendi da molti anni. Siamo una struttura sanitaria non accreditata, operiamo in regime di privato-privato e in un settore come quello della sanità lombarda, che è un’eccellenza nel pubblico e nel privato accreditato, la nostra è una posizione scomoda: per sopravvivere bisogna mantenersi strutturalmente e tecnologicamente in ottime condizioni, grazie a un continuo lavoro di reinvestimento nella qualità di attrezzature e personale».

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e il Servizio Sanitario Nazionale rimane un elemento di civiltà che distingue il nostro Paese, il merito è anche della sua componente privata. Un universo fatto di aziende che hanno una solida cultura di impresa alle spalle e che si distinguono per la loro solidità patrimoniale. Per Economy, le ha classificate il Gruppo Nsa, il primo mediatore creditizio per le imprese italiane per fatturato, vigilato dalla Banca d’Italia tramite l’Organismo agenti e mediatori. Nsa è un mediatore creditizio specializzato nella erogazione di finanziamenti alle imprese, capace di garantire efficacia ed efficienza nei rapporti con il sistema bancario. Il rank attribuito alle aziende da Nsa che vedete nella tabella a fianco è frutto di ricerche ed elaborazione di dati commissionata da Economy all’Ufficio Studi del Gruppo Nsa. Viene calcolato sull’analisi dei bilanci, regolarmente depositati. In particolare, l’analisi classifica le imprese per solidità patrimoniale, performance, affidabilità e redditività: i medesimi parametri utilizzati per l’elaborazione nsaPmindex, l’indice sul merito creditizio. Il Gruppo Nsa adotta anche in questa ricerca l’algoritmo definito dal Disa, Dipartimento di Studi Aziendali dell’Università di Bologna, per l’elaborazione dell’indice nsaPmindex, indice annuale sullo stato delle Pmi italiane. E la tabella a fianco rappresenta una fotografia dello stato di salute delle imprese italiane, suddivise a seconda della loro area geografica.


Case di cura - classifica per area geografica

SUD

NORD-OVEST

NORD-EST

CENTRO

AREA GEOGRAFICA

CLASSIFICA 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10

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FATTURATO

INDIRIZZO

44.741.858 € 7.880.636 € 2.580.530 € 2.322.965 € 1.881.550 € 1.767.828 € 1.765.296 € 1.493.849 € 1.429.646 € 37.593.965 € 11.927.754 € 10.175.172 € 6.523.478 € 4.579.098 € 4.139.775 € 3.528.093 € 3.099.125 € 1.359.649 € 1.108.692 € 4.523.847 € 1.829.798 € 1.502.733 € 1.380.239 € 1.034.331 € 876.596 € 874.676 € 640.846 € 20.938.994 € 1.180.279 € 3.187.972 € 1.757.874 € 1.641.328 € 1.487.320 € 1.351.763 € 1.193.864 € 1.023.783 € 960.810 € 823.931 € 821.718 €

Piedimonte San Germano (FR) Roma (RM) Fiano Romano (RM) Prato (PO) Valmontone (RM) Macerata (MC) Roma (RM) Roma (RM) Roma (RM) Firenze (FI) Cesena (FC) Castiglione dei Pepoli (BO) Verona (VR) Verona (VR) Bologna (BO) Trieste (TS) Verona (VR) Bolzano/Bozen (BZ) Castelnovo di Sotto (RE) Bologna (BO) Carate Brianza (MB) Milano (MI) Appiano Gentile (CO) Milano (MI) Torino (TO) Pieve del Cairo (PV) San Carlo Canavese (TO) Torino (TO) Torino (TO) Camogli (GE) Castellammare di Stabia (NA) Santo Stefano Quisquina (AG) Palermo (PA) Floridia (SR) Napoli (NA) Cava de’ Tirreni (SA) Mendicino (CS) Taranto (TA) Cagliari (CA) Napoli (NA)

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AN EVENT BY


LA CRESCITA DIGITALE NON SI DEVE FERMARE

ELIO COSIMO CATANIA

APPROFONDIMENTI

Dalla guida di Ibm a quella del Cnel, dove affianca Tiziano Treu: il ruolo di Elio Cosimo Catania in Confindustria alla regia di Industria 4.0

70 BONELLI EREDE GOLDEN POWER E NUOVE REGOLE AL DI LÀ DELLA RETORICA

72 ANDAF PIANIFICAZIONE E CONTROLLO NELLA DICHIARAZIONE NON FINANZIARIA

73 CONFPROFESSIONI IL FUTURO DEL PROFESSIONISTA STA TUTTO IN UNA APP

75 FONARCOM UNA NUOVA ALLEANZA TRA IMPRESE E LAVORATORI

76 NEUROSCIENZE DIETRO IL SUCCESSO DELLE LOL SI NASCONDE LA DOPAMINA

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di Alfonso Ruffo

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n Confindustria è il gran cerimoniere di Industria 4.0. E se il pacchetto di misure rivolte a incentivare gli investimenti delle imprese nell’innovazione digitale ha trovato spazio anche in questa sofferta manovra di bilancio – sia pure in forme diverse dal passato - lo si deve in gran parte a lui. Catania di nascita e di cognome, Elio Cosimo di primo e secondo nome, una laurea in Ingegneria elettronica alla Sapienza e un master in Management science al Mit di Boston, il manager che vanta un lungo e sperimentato corso all’Ibm – dov’è salito fino al rango di membro del Board mondiale – nel corso della sua carriera è stato capo azienda delle Ferrovie dello Stato e della Atm di Milano, vicepresidente di Alitalia, consigliere di Telecom, Intesa Sanpaolo, Ibm e Luiss, presidente di Confindustria digitale. Classe 1946, è naturalmente Cavaliere del Lavoro. Ora è il numero due del Cnel, dove affianca Tiziano Treu, ed è membro del Consiglio generale di Confindustria dove, appunto,

QUI DUBAI IL MADE IN ITALY CHE PIACE È QUELLO TECNOLOGICO

L’AUTORE ALFONSO RUFFO

a capo del Gruppo tecnico Crescita digitale delle imprese, svolge il suo ruolo di nume tutelare su tutto quello che rientra nell’ambito dell’economia digitale e dell’innovazione. A tutti i ministri con i quali si è trovato a confrontarsi ha cercato di spiegare l’importanza per chi produce e progetta il futuro di poter contare su norme chiare e durature. Gli investimenti sono una cosa seria e hanno bisogno del clima giusto – soprattutto di fiducia – per svilupparsi. E lasciare le imprese italiane in mezzo al guado, dopo aver avviato la rivoluzione digitale attraverso gli strumenti di Industria 4.0, sarebbe stato quanto di più sbagliato si potesse immaginare. La crescita ha bisogno di continuità e annullare o indebolire la politica dei fattori che sta dietro l’impianto normativo più amato dagli industriali – anche per il suo carattere automatico - avrebbe avuto effetti devastanti sulla già traballante economia del Paese. Dunque, tutto si può mettere in discussione tranne il proseguimento del programma. E per un tempo sufficiente a raggiungere gli obiettivi di trasformazione che ci si è posti e che sono fondamentali se l’Italia vuole conservare la posizione di seconda manifattura d’Europa.

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APPROFONDIMENTI

Golden Power e nuove regole al di là della retorica Il mondo produttivo deve ancora inquadrare pienamente la portata della normativa. Ecco quando è applicabile e come funziona la prassi amministrativa della Presidenza del Consiglio e degli uffici ministeriali di Massimo Merola

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onostante l’interesse suscitato di recente dalle norme in materia di Golden Power, da ultimo anche a livello dottrinale, il mondo delle imprese non ha ancora precisamente messo a fuoco le caratteristiche di questo strumento: quando entra in gioco, come gestirlo e come integrarlo nelle decisioni di business. Negli ultimi tempi il dibattito intorno al Golden Power è stato riacceso dalle numerose acquisizioni di aziende italiane da parte di investitori esteri, senza che si registrino re-

L'AUTORE, MASSIMO MEROLA, È MANAGING PARTNER DELLA SEDE DI BRUXELLES E MEMBRO DELLA TASK FORCE GOLDEN POWER DI BONELLI EREDE

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ciproche acquisizioni italiane di realtà produttive straniere, con il conseguente rischio di depauperamento delle realtà industriali a capitale italiano. La questione non è solo retorica, poiché il Governo ha a propria disposizione precisi strumenti di tutela. Tuttavia, non è la difesa di un tessuto industriale in mani italiane il compito del Golden Power, ma esclusivamente la tutela dell’interesse nazionale attraverso il controllo delle modifiche della proprietà o della destinazione di beni strumentali considerati strategici per il Paese. La normativa Golden Power racchiude infatti, come noto, i poteri speciali di cui il Governo può servirsi quando ritiene che l’acquisto di un’azienda impegnata in attività strategiche, o di una partecipazione in essa, costituisce una minaccia per gli interessi dello Stato. I poteri speciali spaziano

dall’imposizione di un vero e proprio veto all’operazione alla previsione di condizioni cui è subordinata l’esecuzione dell’operazione, volte a eliminare i rischi di un utilizzo del bene contrario agli obiettivi strategici. Essi possono essere applicati sia a investitori italiani che a investitori stranieri, con diverse modalità. I settori coperti dalla normativa non sono soltanto quelli della difesa e della sicurezza nazionale ma, dopo le ultime modifiche legislative, ricomprendono oramai anche le discusse reti 5G, oltre agli attivi strategici nei settori dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni, e varie infrastrutture e tecnologie critiche, dall’ambito finanziario a quello sanitario fino all’intelligenza artificiale. Le operazioni riguardanti beni strumentali strategici in questi settori devono essere notificate alla Presidenza del Consiglio, presso la quale è istituito un Ufficio di coordinamento, che deve comunicare la decisione entro 45 giorni dalla notifica. La prima esigenza per le imprese è di comprendere quando la normativa è applicabile, a prescindere dall’esito della verifica. Le numerose modifiche legislative che si sono succedute negli ultimi tempi sollevano tuttavia notevole incertezza in merito all’esatta individuazione degli attivi che ricadono nel campo di applicazione della normativa. Questa è una delle ragioni per le quali il mondo produttivo deve ancora inquadrare pienamente la portata del Golden Power. Per compensare questa mancanza di chiarezza, è fondamentale la conoscenza della prassi amministrativa della Presidenza del Consiglio e dei competenti uffici ministeriali. Altrettanto importante è la corretta gestione delle questioni Golden Power, che richiede una corretta comprensione delle ragioni di tale normativa e della sua duttilità. L’obiettivo non è il disincentivo degli investimenti ma, come detto, la prevenzione del rischio di un utilizzo degli attivi in contrasto con gli interessi nazionali. Basta dare un’occhiata all’applicazione in concreto del Golden Power per scoprire che una sola volta l’e-


sercizio dei poteri speciali è sfociato in un divieto all’operazione. Specifiche condizioni, adattate a ciascun caso concreto, sono state imposte nel 10% circa dei casi, mentre il resto delle operazioni è stato autorizzato senza condizioni. Questo non significa che si tratti di un onere burocratico superfluo, e neppure che l’autorità italiana adotti un approccio lassista. Tutt’altro: le notifiche Golden Power sono lo strumento che permette al Governo di seguire in tempo reale i passaggi di proprietà degli “asset” strategici ed eventualmente intervenire. In questo senso, esse costituiscono la modalità attraverso la quale si instaura un dialogo dinamico tra il mondo produttivo e l’autorità, che permette a quest’ultima di comprendere le reali necessità di tutela dell’interesse nazionale in relazione a una determinata operazione societaria. D’altra parte, la disponibilità e l’apertura dimostrate dall’Ufficio di coordinamento della Presidenza del Consiglio facilitano il processo, soprattutto in caso di dubbio sulla necessità di notifica. Anche qui, è importante la comprensione della prassi: ricevere in risposta una conferma di non applicabilità della normativa Golden Power all’operazione, o un’autorizzazione senza condizioni, non vuol dire aver dedicato tempo a una formalità evitabile, bensì aver ottenuto una certezza giuridica molto utile per proseguire l’attività imprenditoriale. Da ultimo, il requisito della notifica Golden Power, ove applicabile, va integrato nel processo di realizzazione di un’operazione societaria nel modo più opportuno. Esso risulta certamente meno gravoso se i necessari adempimenti sono organizzati e condotti in parallelo con altri adempimenti amministrativi e regolamentari riguardanti la medesima operazione. Il Golden Power può essere più facilmente integrato nelle decisioni di business e gestito in modo più efficace, sotto il profilo sia della tempistica sia delle sinergie nella raccolta delle informazioni, se i relativi adempimenti sono coordinati con le notifiche alle autorità di concorrenza e ad autorità di settore.

Dalla privatizzazione di Telecom al 5G: meglio tardi che mai Nel '99 il governo d'Alema non mosse un dito, oggi il governo Conte 2 rafforza i poteri di controllo dello Stato. Ma il sospetto è che, più che di politica economica, si tratti di un modo per compiacere la Casa Bianca

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uando nel ’99 la cordata dei cosiddetti “capitani coraggiosi" guidati da Roberto Colaninno lanciò l’Opa su Telecom Italia, il governo D’Alema, allora in carica, aveva la golden share e avrebbe potuto bloccare il blitz, ma decise di non usarla: per cui l’esito dell’assemblea dei soci venne deciso dai fondi attratti dalla possibilità di realizzare le loro azioni a un prezzo allettante; e inconsapevoli, o indifferenti, delle prospettive che quell’Opa apriva per l’azienda, un viaggio da incubo nel debito che più o meno direttamente veniva scaricato nelle sue stesse casse per finanziare l’acquisizione che gli scalatori osarono fare disponendo di assai meno soldi di quanti ne sarebbero occorsi. Insomma, Telecom venne acquistata coi

soldi di Telecom. E il governo, istituzione concedente, non ebbe nulla da eccepire. A distanza di vent’anni, oggi il governo Conte 2 rafforza i poteri di controllo che lo Stato intende conservare all’interno delle aziende che gestiranno i servizi di telecomunicazioni secondo lo standard 5G, che sono poi l’ultima evoluzione – e certo non l’ultima di tutte – della telefonia mobile di cui proprio Telecom 20 anni fa era leader, salvo oggi aver perso tra le altre anche quella leadership.… Con buona pace dei liberisti psichedelici che allignano inutilmente nel nostro Paese, l’uscita precipitosa – da ladro colto in flagrante – che lo Stato italiano ha deciso di compiere da quasi tutti gli ambiti nei quali aveva un ruolo imprenditoriale attivo negli Anni Novanta dopo l’accordo Andreatta-Van Miert, ha fatto più danni

della Xylella agli ulivi pugliesi. Sin da allora si blaterò della golden share, ma la politica economica anti-italiana, dettata dal montismo e da tutti i movimenti lobbistici economico-politici fiancheggiatori delle grandi banche d’affari internazionali e del politburo comunitario, ne depotenziò l’efficacia. Oggi non se ne riparla in virtà di chissà quale ravvedimento politicoculturale. Riparlare di golden share o golden power a proposito del 5G è solo un modo goffo e tardivo di Giuseppe Conte per compiacere la Casa Bianca, dopo l’incauto e infausto tuffo tra le braccia cinesi per la Via della Seta. Meglio tardi che mai, almeno su un tema così strategico per la sicurezza nazionale. Ma parliamoci chiaro: la politica economica è un’altra cosa, e qui non se ne vede l’ombra. (s.l.)

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in collaborazione con ANDAF

Più pianificazione e controllo grazie alla «Dichiarazione di carattere non finanziario» Temi ambientali, sociali, relativi al personale, al rispetto dei diritti umani, alla lotta contro la corruzione attiva e passiva, ma anche politiche praticate, risultati conseguiti e gli indicatori di performance: così l'adempimento al DL 256/2016 diventa uno strumento utile alle imprese di Carmine Scoglio

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l Decreto Legislativo n. 254/2016 (in attuazione della Direttiva 2014/95/UE del Parlamento europeo) ha introdotto l’obbligo per le imprese d’interesse pubblico di fornire annualmente, sugli esercizi finanziari aventi inizio a partire dal 1° gennaio 2017, una “Dichiarazione di carattere non finanziario” (Dnf). Andranno quindi adeguatamente rappresentate informazioni attinenti i temi ambientali, sociali, relativi al personale, al rispetto dei diritti umani, alla lotta contro la corruzione attiva e passiva. Ma anche le politiche praticate dall’impresa e i risultati conseguiti tramite di esse ed i relativi indicatori fondamentali di prestazione di carattere non finanziario. Gli indicatori di performance (KPI’s) hanno così l’obiettivo di misurare, per ciascun tema “materiale” individuato dalla società, i risultati conseguiti in termini di impatti economici, ambientali e sociali dell’organizzazione.

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I KPI’s, o meglio gli ESG KPI’s, determinano quindi il grado di raggiungimento degli obiettivi operativi e strategici prefissati e variano a seconda delle caratteristiche dell’Azienda, del settore di business, sulla base dei propri criteri di performance e/o di priorità, nonché sulla base delle attese dei propri stakeholder. Se dunque è imprescindibile l’importanza delle informazioni non finanziarie – tanto in considerazione degli obblighi normativi quanto in considerazione delle attese degli stakeholder e degli investitori interessati a comprendere la capacità dell’impresa di creare valore (e flussi di cassa positivi) nel medio-lungo periodo – occorre al contempo garantirne l’attendibilità. Pertanto le informazioni di carattere non finanziario, al pari di quelle finanziarie in senso stretto, devono derivare da sistemi informativi aziendali evoluti (che sappiano sintetizzare l’elaborazione di dati complessi ed eterogenei) e da un processo di reporting non-finanziario appositamente definito. Va da se che, con l’aumento delle necessità informative, i sistemi contabili

CARMINE SCOGLIO

devono essere in grado di cogliere aspetti molto più ampi della performance aziendale. In tale scenario il cfo può cogliere anche le opportunità offerte dalla trasformazione digitale e dare una forte sferzata al controllo di gestione evolvendo – anche radicalmente - i sistemi informativi per garantire una corretta quantificazione dei più opportuni indicatori di prestazione non strettamente finanziari e quindi, più in generale, producendo informazioni ad alto contenuto qualitativo. Sarà proprio in quest’ottica che il cfo potrà dare ancora più valenza al proprio ruolo e garantire una efficace attività di pianificazione e controllo sapendo, per l’appunto, interpretare i dati e farli diventare informazioni - finanziarie in senso stretto e non - utili ai fini decisionali interni e che poi saranno adeguatamente rappresentate agli stakeholder. Il tema dell’informativa non finanziaria e la recente evoluzione normativa quindi non possono che rafforzare la centralità della figura del cfo che, grazie alla capacità di leggere i numeri e saper mettere in relazione i dati quantitativi con

quelli qualitativi, dovrà strutturare un processo di formazione e validazione dei dati non strettamente finanziari che verranno poi adeguatamente divulgati agli stakeholder attraverso la Dichiarazione Non Finanziaria (piuttosto che nei report di sostenibilità per le imprese non soggette al DL n. 254/2016). Pertanto, il cfo non deve essere visto come colui che è deputato al mero taglio dei costi ed al recupero dell’efficienza attraverso tagli lineari e indiscriminati dalle risorse agli investimenti ma, al contrario, come colui che punta alla convergenza tra obiettivi di efficienza e di sostenibilità, anche attraverso investimenti in nuove tecnologie/sistemi/processi oltre che su progetti specifici. La vera sfida per i cfo sarà dunque quella di adottare in primo luogo un approccio aperto all’innovazione (che necessita l’acquisizione di nuove competenze) che potrà essere perfino accompagnato da uno stile di leadership adattiva che permetta di mettere in connessione tutte le diverse funzioni aziendali partendo da quella di Amministrazione, Finanza e Controllo.


in collaborazione in collaborazione con CONFPROFESSIONI con ANDAF

Il futuro digitale del professionista? Tutto in una app Parla Luca De Gregorio, responsabile del progetto BeProf, la prima piattaforma «dalla parte dei professionisti». La sfida digital delle professioni punta su welfare, credito, informazione, servizi per la professione e tempo libero. Grazie all'integrazione tra innovazione tecnologica e Ccnl degli studi professionali di Giovanni Francavilla

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utti d'accordo: il digitale è una grande opportunità. E l'intelligenza artificiale sta semplificando il lavoro del professionista. Un fenomeno irreversibile: resta da capire come utilizzarlo al meglio. E se finora, la digital trasformation ha forzato i tempi del cambiamento, l'approccio di Confprofessioni parte da una visione diametralmete opposta: quella dei liberi professionisti. Perché, come sottolinea il presidente Gaetano Stella, «Non dobbiamo subire il cambiamento, ma cavalcare le opportunità che ci vengono offerte dalla digitalizzazione». E così il 21 novembre scorso, in occasione del Congresso nazionale di Roma, Luca De Gregorio, direttore di Cadiprof, ha svelato la svolta digital di Confprofessioni: BeProf, la prima piattaforma digitale pensata dai professionisti per i professionisti. Come nasce il progetto BeProf? BeProf è un'app progettata e realizzata per dare una risposta tangibile alle esigenze di tutti i liberi professionisti nell'ambito della loro attività professionale, ma

anche della loro vita privata. È un progetto che parte da lontano e ha raccolto nel tempo la crescente domanda di welfare, salute, formazione che nasce dai liberi professionisti, ma anche di servizi esclusivi e nuovi strumenti per gestire, a costi contenuti, l'attività di uno studio professionale. BeProf si presenta come un indispensabile strumento di lavoro. Insieme con Pat Group, il nostro partner che ha realizzato la piattaforma, abbiamo condotto un survey proprio per individuare e rafforzare le competenze che un professionista può sviluppare attraverso una app. Sono emersi numerosi spunti d'interesse e tra i temi più “gettonati” c'è sicuramente la formazione, le offerte personalizzate, gli aggiornamenti mirati, i servizi rivolti alla professione come agli interessi personali, una community nella quale condividere e confrontarsi su esperienze professionali, la gestione delle posizioni assicurative e molto altro ancora. Indicazioni preziose che abbiamo codificato nella piattaforma e che oggi troviamo dentro BeProf. E il principale punto di forza?

LUCA DE GREGORIO

Senza dubbio il welfare. In questo ambito, Confprofessioni vanta una lunghissima esperienza, che nasce dal Contratto collettivo degli studi professionali e dagli strumenti della bilateralità che negli ultimi 10 anni hanno permesso al sistema professionale di accedere a un'ampia gamma di servizi e prestazioni nell'ambito dell'assistenza sanitaria integrativa, come pure a interventi di sostegno alle famiglie. Un modello virtuoso che abbraccia circa 300 mila lavoratori dipendenti negli studi professionali e oltre 100 mila liberi professionisti, grazie alla gestione autonoma dedicata ai datori di lavoro e ai loro collaboratori. E non bastavano le tutele contrattuali? Il progetto BeProf è molto innovativo, proprio perchè mira a estendere a tutti i liberi professionisti italiani i vantaggi del Ccnl. Pensiamo ai professionisti che non hanno dipendenti, ai giovani che si affacciano alla libera professione, al cosidetto popolo delle Partite Iva... Sono i soggetti più vulnerabili del sistema professionale italiano, quelli che fino

a oggi avevano grosse difficoltà ad accedere a forme di tutele sanitarie e di welfare. Una “start up” che nasce con le spalle robuste, ma come farà a crescere? Partiamo da una buona base. Già nella fase di start up molti partner di primaria importanza, come Unicredit, Gruppo Zucchetti, Unisalute, hanno creduto fin dal primo momento al progetto BeProf e in questi giorni stiamo finalizzando una serie di accordi con numerosi altri partner, altrettando prestigiosi, per arricchire il bouquet della nostra offerta digitale. La sfida che abbiamo di fronte è infatti quella di implementare e arricchire costantemente la piattaforma con nuovi strumenti sempre più innovativi, marcando stretta l'evoluzione della domanda digitale dei professionisti. Perché il nostro obiettivo è quello di arrivare a coprire tutta la gamma di servizi indispensabili per il libero professionista, sia nella sua attività, ma anche nel suo tempo libero.

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APPROFONDIMENTI

C'è fame di project manager nel nuovo mondo "Vuca" Volatile, incerto, complesso e ambiguo, in una parola: l'attuale mondo economico richiede tecniche e soluzioni non convenzionali. Ecco perché la Liuc Business School offre un percorso di flessibilità e innovazione a cura della redazione

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rojectification è un neologismo americano di difficile traduzione che indica la crescente tendenza nelle imprese ad utilizzare le tecniche di project management. Non è una moda manageriale, è la conseguenza della complessità crescente che le aziende devono fronteggiare. Il mondo è diventato Vuca, vale a dire Volatile, cioè caratterizzato da cambiamenti continui e turbolenti, incerto (Uncertain) perché gli eventi sono difficilmente prevedibili, Complesso, perché le cause, gli effetti e le concatenazioni degli eventi sono di difficile comprensione, infine Ambiguo, perché passibile di interpretazioni molteplici. Nel mondo Vuca è sempre più difficile utilizzare le esperienze passate per prevedere il futuro. Per questo motivo il project management si sta rivelando la soluzione vincente: infatti è una tecnica manageriale che permette di affrontare le situazioni nuove e complesse, coordinando persone e strutture per realizzare soluzioni efficaci e innovative. Per i lavoratori diventa indispensabile saper lavorare per progetti e le aziende hanno “fame” di project manager capaci di realizzare con successo i loro obiettivi. «Le nostre aziende - spiega il prof. Andrea Martone, Direttore del corso corso Strate-

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gic Project Management., della Liuc Business School - hanno bisogno di figure che sappiano definire obiettivi chiari e concreti, ma anche tempi e costi certi». Il project management è un modello di lavoro ben preciso, che oggi viene adottato da figure anche molto diverse fra di loro e a tutti livelli dell’azienda. E qui entra in gioco il nostro corso». Per ottenere buoni risultati non si può improvvisare, ma occorre adottare una serie di metodi, che si apprendono con lo studio GESTIONE DEL TEAM E DINAMICHE ECONOMICO-FINANZIARIE DEI PROGETTI SONO ABILITÀ CENTRALI PER AFFRONTARE LE NUOVE SFIDE DEL MERCATO

e con la pratica. «Su questo tema – continua Martone – ci si limita troppo spesso a una formazione tecnica e acquisita in poco tempo. La nostra idea invece è quella di creare una community di buone pratiche, che aiuti i manager e i quadri a sviluppare costantemente la loro professionalità». Il successo di qualsiasi progetto dipende da un mix sapiente di hard e soft skills: competenze tecniche, legate alla definizione delle attività, dei tempi e dei rischi, che si fondono in maniera equilibrata con una dimensione imprenditoriale e manageriale. Gestire i team di progetto richiede

ANDREA MARTONE

capacità organizzative non comuni e una leadership diversa, allo stesso tempo, le dinamiche economico-finanziarie dei progetti si manifestano con caratteristiche peculiari che non possono essere trascurate, o gestite con gli strumenti usuali. Il percorso formativo alla Liuc si rivolge a manager, quadri intermedi e professionisti che vogliono accrescere le loro capacità professionali ed essere sempre più capaci di portare in azienda un vantaggio competitivo sostenibile. Il corso include una parte tecnica, che introduce, tramite una didattica molto pratica ed operativa, gli strumenti più avanzati del project management, e due moduli dedicati alla gestione dei team e alle dinamiche economico – finanziarie dei progetti. Al termine del percorso il partecipante avrà acquisito nuovi strumenti di lavoro e una nuova cultura manageriale basata sulla flessibilità, sulla responsabilità e sull’innovazione. Il percorso è propedeutico all’esame per la certificazione Pmp - del Project Management Institute®, sempre più richiesta dalle imprese. Le lezioni si svolgono in “formula weekend”: un giorno e mezzo al mese (venerdì e sabato), da aprile a novembre 2020. È possibile iscriversi anche a singoli moduli.


È nata una nuova alleanza tra imprese e lavoratori Dalla conflittualità alla partecipazione: l'accordo interconfederale siglato tra Cifa e Confsal segna il passaggio a una contrattazione che include flessibilità, produttività, nuove mansioni, politiche attive e welfare di Paola Belli

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ovità sul fronte delle relazioni inlivelli retributivi si accompagna a dosi masdustriali. La realtà produttiva e del sicce d’innovazione. Una via peraltro certifimondo del lavoro è cambiata, ci dice il cata da un minuzioso lavoro di comparazione recente Accordo interconfederale siglato tra tra i contratti autonomi e i cosiddetti contratti l’associazione datoriale Cifa e la confederaleader fatto da Donata Gottardi e Marco Pezione sindacale Confsal, ora devono cambiaruzzi, professori di diritto del lavoro dell’Unire strumenti e regole. versità di Verona. Recentemente pubblicata E devono cambiare anche i rapporti tra le da Ipsoa in "La terza via della contrattazione parti sociali a favore di un modello partecipacollettiva. Nuove opportunità per imprese e tivo e non conflittuale che sappia coniugare lavoratori", la ricerca esclude in modo defile esigenze delle imprese e quelle dei lavoranitivo che i contratti di Cifa e Confsal pratitori. Come spiega Anchino qualsiasi forma NON ESISTONO IL CONTRATTO drea Cafà, presidente di dumping. Oggetto "BUONO" E QUELLO "CATTIVO": ESISTONO di Cifa, «l’Accordo ha della contrattazione LA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA delineato un nuovo DI QUALITÀ E IL RISPETTO DELLE RISORSE non possono più esmodello di relazioni sere soltanto il salario industriali con il triplice obiettivo di rispone la regolamentazione delle dinamiche del dere ai nuovi bisogni del mercato del lavoro, rapporto di lavoro dipendente. A imprese e di rafforzare il rapporto tra sistema d’istrulavoratori oggi vanno date risposte in termini zione e formazione e il mondo del lavoro, di di flessibilità, produttività, nuove mansioni, favorire un’alleanza tra impresa e lavoratori. politiche attive del lavoro e welfare. Va data Solo così le imprese potranno traguardare gli molta formazione per l’acquisizione di nuoobiettivi di competitività e affrontare al meve competenze - e qui entra in campo Foglio la sfida dell’innovazione tecnologica». narcom, il fondo interprofessionale di Cifa e Per riuscirci occorre uscire definitivamente Confsal. Lo scatto di competenza sostituisce dal Novecento, da una visione manichea in lo scatto di anzianità, un modo per spingere cui esistono solo i contratti buoni, quelli leil lavoratore a migliorare se stesso e il proader, e i contratti cattivi, quelli pirata. Non prio lavoro, a tutto favore della competitività si può guardare alla nuova realtà con uno dell’azienda. sguardo vecchio. Esiste oggi una contrattaSe la realtà produttiva e del lavoro è camzione collettiva di qualità in cui il rispetto dei biata – e con essa la contrattazione che deve

ANDREA CAFÀ, PRESIDENTE DI CIFA

aprirsi, come appena visto, a un percorso di qualità e d’innovazione -, non possono rimanere immutati neppure i soggetti che la rappresentano o i criteri in base ai quali si decide chi abbia diritto a sedersi al tavolo delle trattative. I cambiamenti in atto, la nascita dei soggetti bilaterali - cui il legislatore ha attribuito funzioni rilevanti ma i cui aderenti non rientrano nel computo della rappresentatività - il fatto che le imprese italiane siano nella misura di oltre il 90% piccole e piccolissime, e con una percentuale di sindacalizzati prossima allo zero, oltre che con esigenze molto diverse da quelle delle grandi aziende, tutto questo dovrebbe far ripensare le valutazioni, le dinamiche, i contesti e i criteri. Per Cifa e Confsal il rilevamento della rappresentatività dovrebbe considerare il numero degli associati - in misura non inferiore al 5% dei lavoratori del privato a livello intersettoriale tenendo conto anche degli aderenti ai sistemi bilaterali come i fondi interprofessionali e di assistenza sanitaria integrativa. I fondi, come tutti i sistemi bilaterali, vengono pensati e costruiti dalle due parti, datoriale e sindacale, proprio per rispondere ai bisogni di imprese e lavoratori. Oggi moltissime aziende trovano nella bilateralità, e non nei sistemi associativi tradizionali, la risposta giusta: opportunità e nuovi strumenti per crescere in un contesto al contempo legale e flessibile.

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APPROFONDIMENTI

Dietro il successo delle Lol si nasconde la dopamina Le bamboline "sorpresa" hanno un giro d'affari che supera i 2,5 miliardi di dollari: merito del neurotrasmettitore che entra in circolo quando si scarta la confezione. Ma anche del principio di scarsità e dell'effetto gregge di Lorenzo Dornetti

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icuramente chi ha inventato le Lol non è solo un esperto di giocattoli, conosce molto bene come funziona il cervello umano. Lol sembra solo una bambola. In realtà è l’applicazione in un giocattolo di quello che si conosce della biologia cerebrale. Lo spiega la nurovendita, l’applicazione delle più recenti scoperte sul cervello applicate al mondo delle vendite. Oggi si conosce molto del funzionamento cerebrale. Si possono utilizzare queste conoscenze per comprendere ed analizzare il successo commerciale di un fenomeno attraverso la lente delle neuroscienze. Come legge la neurovendita il successo delle bamboline Lol? Le Lol sono state create da Isaac Larian, il ceo della Mga. Una grande azienda di giocattoli, ma che ha nelle Lol il prodotto di punta. In pochi anni le Lol hanno battuto in termini di vendite la galassia Marvel ed il mondo Barbie. Una vera rivoluzione nel mondo dei giocattoli. Un risultato impensabile. Oltre 2,5 miliardi di dollari il giro d’affari nel 2018. Perché le bimbe (e le loro mamme) impazziscono per le Lol? In fondo se si osserva la bambola “da sola, aperta e finita” nulla farebbe immaginare un successo planetario senza precedenti. Le bambole hanno successo perché includono molti principi della Neurovendita. Il primo riguarda il legame tra scartamento e dopamina. Le bambole Lol diversamente dalle altre bambole che sono disponibili immediatamente aprendo la scatola, sono all’interno di una palla, la “blind bag”. Prima di arrivare alla bambola, la bimba deve inte-

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ragire con 7 strati di sorprese, portate a 9 nelle ultime edizioni. Nel primo strato si trovano indicazioni di dove si trova la bambola nella palla. Nel secondo ci sono “stickers” che la completano ed indicano cosa può fare. Negli altri sono posizionati gli accessori che la caratterizzano. Da molti anni si conosce che l’azione di scartare un pacco-regalo alza la dopamina nel cervello più della vista del regalo stesso. Questa dinamica è stata esasperata nelle Lol. La bimba quando ha la palla non sa com’è e cosa fa la bambola. La intravede soltanto. Tocca la Lol come risultato finale di una serie di azioni di “scartamento”. Questo stimola la dopamina, la molecola della felicità nel cervello. L’effetto wow delle Lol è packaging. La bambina non ha tutto e subito, ma apre, scopre, legge e solo alla fine ha la sua bambola. L’azione attiva le aree dopaminergiche, le zone del cervello connesse alla sensazione di gioia e sorpresa. La seconda intuizione è applicare alla vendita delle Lol il principio di scarsità. Esistono quattro categorie di “bambole”: popular, fancy, rare e ultrarare. Le versioni “rare” e “ultrarare” sono distribuite in pochi esemplari, il che rende alcune Lol difficili da trovare. Tutto quello che è scarso e poco disponibile diventa attrattivo per il cervello umano. Il sistema nervoso è biologicamente programmato per avere l’attenzione catturata dalla scarsità. Nei contesti naturali le risorse sono scarse per definizione, quindi ciò che è poco disponibile diventa interessante. È un automatismo cerebrale, iscritto nei circuiti neurali, sin dalla tenera età. La difficoltà di reperire alcune

Lol aumenta l’attenzione. La terza strategia è l’applicazione esasperata dell’idea di mirroring. Ogni Lol ha una sua precisa identità e fa una specifica cosa. Può ad esempio bere o essere immersa nell’acqua. Peraltro la “palla” una volta svuotata degli strati diventa uno scenario di gioco (per esempio un salotto o una vasca da bagno). Questo trascina l’idea di volere le diverse Lol per poter fare tutte le cose che una bimba può fare. È un effetto proiettivo. Uno specchio al contrario. La bimba vuole una Lol che sappia fare tutte le cose che lei sa fare. Ogni Lol fa solo un’azione, quindi la voglia di avere anche le altre diventa fortissima. Il quarto ed ultimo è un classico del marketing, un fattore che potenzia i precedenti: l’effetto gregge. Gli umani, anche da piccoli, si imitano tra loro. L’imitazione è uno schema di comportamento fondamentale. Il gruppo si compone di persone simili. Avere una Lol diventa un elemento per sentirsi parte del gruppo di amichette. Siamo tra i 6 e 10 anni. Le bimbe si scambiano le Lol, le aprono immaginando dagli indizi cosa potrà fare la bambola, le dipingono ispirandosi a tutorial su you tube come “Paint your doll”. Il possesso della bambola diventa un pass per giocare in gruppo. Questa dinamica è sempre presente nelle mode (anche per gli adulti), diventa intensa in una fase dello sviluppo in cui le esperienze gruppali con le amichette iniziano ad essere rilevanti.


PRIVATE BANKER

L'AI rende democratico persino il wealth management Da Lazard a Goldman Sachs, le boutique finanziarie sono costrette ad aprire al mercato di massa del risparmio. Per farlo, ricorrono ai nuovi robot advisor come Abbie, messo a punto da Alliance Bernstein di Ugo Bertone

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uanto è necessario investire per entrare nel club dei clienti di Goldman Sachs? Un milione di dollari, centomila o cinquemila? Buona la terza, certifica il quiz settimanale del Financial Times dedicato alle notizie della settimana. Sì, il club più esclusivo della finanza mondiale, che fino a pochissimi anni fa era riservato ai clienti plurimilionari, ha aperto i battenti al mercato di massa del risparmio. Un cambio di rotta reso possibile dalla tecnologia digitale che da una parte ha facilitato l’abbassamento del costo dei servizi da parte della banca, dall’altra ha favorito l’ingresso sulla scena finanziaria di concorrenti L'AUTORE UGO BERTONE. TORINESE, EX FIRMA DE "IL SOLE-24 ORE" E "LA STAMPA", È CONSIDERATO UNO DEI MIGLIORI GIORNALISTI ECONOMICOFINANZIARI D'ITALIA

che, grazie a robot advisor e al ricorso all’intelligenza artificiale, possono offrire servizi in grado di mettere a rischio la supremazia della banca. È lo sbocco naturale di un processo avviato poco più di due anni fa con il varo di Marcus, una piattaforma ideata per offrire presti personali e soluzioni di risparmio alle famiglie, Dopo il successo dell’operazione, la banca ha compiuto nuovi passi sulla strada dell’offerta “democratica” grazie a Nutmeg, un digital wealth advisor britannico specializzato in account di investimento tax free. Un primo test del servizio è stato effettuato sulla piattaforma Ayco, dedicata alla consulenza finanziaria per i dipendenti Goldman Sachs. Di qui l’ultimo passo: l’acquisto di United Capital, una società di investimenti dedicata al segmento wealth (cioè i più ricchi) che offrirà soluzioni di investimento per i clienti nelle fasce da cinquemila, diecimila e quindicimila

dollari. L’obiettivo, ha spiegato il Ceo di United Capital, è di far provare ai clienti l’esperienza Goldman Sachs, partendo da soluzioni semplici (e redditizie) tanto per dimostrare i vantaggi di una gestione a cinque stelle. Insomma, le boutique finanziarie sono costrette a diventare più “popolari”. È un percorso che accomuna le griffe più nobili del wealth management, da Lazard ai santuari degli gnomi svizzeri. Facile pensare che presto la “nuova” Mediobanca emersa con il divorzio da Unicredit e l’ingresso di Leonardo Del Vecchio dovrà probabilmente battere la stessa strada, aumentando la sua presenza nel mercato retail, già consistente grazie a Che Banca!, grazie a un ricorso massiccio all’intelligenza artificiale e all’arma dei robot advisor. Le novità in materia non mancano di sicuro. Prendiamo ad esempio Abbie, il robot messo a punto da Alliance Bernstein che fa trading con le obbligazioni. In sostanza, spiega il senior portfolio manager Flavio Carpenzano, “tutto trae origine da un software che aggrega dati, ovvero prende informazioni dalle piattaforme memorizzando milioni di dati al giorno, li raggruppa e restituisce il tutto ad Abbie”, il robot che all’inizio allocava in maniera automatica nei portafogli quello che veniva deciso dal gestore, ma che oggi riesce a fornire raccomandazioni di acquisto. Un esempio? Si può chiedere ad Abbie quali sono le migliori obbligazioni bancarie del momento. Il robot si connette alla piattaforma per una prima selezione basata sui fondamentali, poi effettua il test sulla liquidità, infine sui parametri quantitativi. Superati i tre livelli di analisi, Abbie emette la sua raccomandazione. Fantascienza? Non è finita qui. La nostra Abbie in futuro potrà essere in grado di mantenere in memoria anche tutti gli ordini non eseguiti dal gestore e di riproporli quando le condizioni di liquidità e di prezzo siano divenute favorevoli, consigliando l’acquisto che in precedenza era stato sconsigliato. La macchina, perciò, avrà (buona) memoria. Messa coì, l’investimento sembra destinato a diventare un gioco da ragazzi disciplinato da regole ferree. Ma anche così, statene certi, sarà facile sbagliare.

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APPROFONDIMENTI

Finanza e capitale umano sono la leva che crea valore Tempo di bilanci per il Premio Claudio Dematté Private Equity of the Year, che in sedici anni ha visto la candidatura di oltre 250 operazioni che hanno portato a una crescita dell'occupazione del 50 per cento di Annalisa Caccavale

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e i premi sono la cartina di tornasole di ciò che rappresentano, il Premio Claudio Dematté Private Equity of the Year® lo è sicuramente per il private capital. I vincitori della sedicesima edizione del premio, organizzato da Aifi e Intesa Sanpaolo, con il supporto di EY, e in collaborazione con Corriere della Sera, Gruppo 24 Ore, Sda Bocconi e Borsa Italiana, sono stati decretati durante la cerimonia dello scorso 12 dicembre al Museo della Scienza e della Tecnologia. Tre le categorie premiate: Early Stage con P101 per l’operazione Viralize; Expansion con Mandarin Advisory per il deal su Marval; Buyout, con Ambienta per l’operazione Lakesight Technologies/Tattile; Buyout - premio speciale Big Buyout e Ipo, con Advent International, Bain Capital Private Equity Europe e Clessidra per l’operazione Nexi e infine, una Menzione speciale attrazione internazionale a Charme Capital Partners Sgr per l’operazione Igenomix. I premi, consegnati alle migliori operazioni di private equity dell’anno, sono stati decisi da una giuria, composta da esponenti del mondo della finanza, dell’economia e dell’accademia che ha selezionato 25 operazioni realizzate da 22 fondi di private equity e venture capital. I finalisti erano: 21 Investimenti e Green Arrow Capital con Forno d’Asolo; Advent International, Bain Capital Private Equity Europe e Clessidra con Nexi; Aksìa con Lameplast; Alto Partners con La Suissa;

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Ambienta con Lakesight Technologies/ Tattile; Ardian Italy con Italmatch Chemicals; Friulia con Europa Multipurpose Terminals - Emt; Charme Capital Partners con Atop e con Igenomix; Consilium con Celli. E ancora: Igi Private Equity con Rollon; Gradiente con Dierre, Cadicagroup e con Coldline; Itago con A.B.L.; Lazio Innova con Rome Innovation Hub; Mandarin Advisory con Marval e con Hydro Holding; NB Aurora con General Medical Merate e con Mesgo; P101 con Musement e con Viralize; Palamon Capital Partners con Il Bisonte; Principia con LE MIGLIORI OPERAZIONI DEL 2019 SONO STATE QUELLE CONDOTTE SU VIRALIZE, MARVAL E LAKESIGHT TECHNOLOGIES TATTILE

Comecer; Wise Equity con Colcom Group. Le 16 edizioni del Premio hanno visto la candidatura di oltre 250 operazioni che hanno permesso la realizzazione di un piano di crescita, managerializzazione e internazionalizzazione delle partecipate. Solo nel campo delle risorse umane, queste attività di investimento hanno portato a una crescita dell’occupazione di oltre il 50% portando il numero dei dipendenti da 116mila a 175mila, segno che l’attività degli investitori ha avuto evidenti ricadute positive sull’economia reale. Il presidente di Intesa Sanpaolo, Gian Maria Gros Pietro, membro della giuria fin dalla prima edizione, ha riassunto così il premio: «Le operazioni che hanno superato la selezione entrando così tra le

INNOCENZO CIPOLLETTA

finaliste rappresentano molto bene l’eterogeneità e la dinamicità dell’imprenditoria italiana». «Da giovani aziende legate al mondo dei servizi digitali», ha continuato Gro Pietro, «a realtà avviate in settori più tradizionali, tutte le finaliste si caratterizzano per ambizioni di crescita dimensionale e attenzione all’innovazione. L’apporto di nuova finanza e di capitale umano all’economia reale, composta in Italia soprattutto da Pmi, è la vera leva in grado di creare valore. Intesa Sanpaolo lavora di continuo per alimentare e rafforzare questo valore». Il mercato, insomma, si muove e cresce portando le imprese italiane a fare un salto di qualità; si potrebbe dire che, come ha dichiarato il presidente Aifi Innocenzo Cipolletta, «I fondi di private equity sono produttori di politica industriale, hanno l’obiettivo di far crescere le imprese in portafoglio, restituendole al mercato più solide e capaci di affrontare le sfide di un sistema globale altamente concorrenziale». Il 2019 si chiude così all’insegna delle tante belle storie che anche quest’anno il Premio Dematté ha raccontato.


A ristrutturare l'impresa adesso ci pensa il fondo Esiste un comparto di nuova finanza dedicato alla gestione dei crediti risanatori: una reale alternativa al canale bancario per la concessione di prestiti strumentali con rating di finanziabilità meno stringenti di Angela Petrosillo

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l tema del sostegno finanziario all’impresa in crisi configura uno degli aspetti più delicati e al contempo risolutivi dei processi di ristrutturazione aziendale nell’ottica della continuità. Per quanto le misure di contenimento dei costi siano determinanti, l’esperienza dimostra che i piani di risanamento reggano solo laddove si risolva nell’immediatezza la crisi di liquidità. Tuttavia, accedere alla nuova finanza, per le imprese in crisi, è difficile a causa di una cultura d’impresa scarsamente improntata ad una gestione “efficiente” della crisi e della sostanziale insussistenza di alternative valide all’interlocutore bancario. L’appoggio all’imprenditore da parte del sistema bancario è sempre più messo in crisi dal controllo europeo; si pensi, da ultimo alle prescrizioni contenute nelle Linee Guida per le banche sui crediti deteriorati (Npl) emanate da Bce nel 2017 e nelle Linee Guida di Banca d’Italia dello stesso anno (dirette alle banche di minori dimensioni) che impongono di individuare rapidamente i crediti deteriorati e di inertizzarli attraverso un procedimento di accantonamento e di cancellazione. La Bce ha dunque espresso regole di comportamento che sono molto stringenti e che, sostanzialmente, producono come risultato l’impossibilità per di offrire istituzionalmente il sostegno alle imprese in crisi. L’attuale contesto macroeconomico è dunque caratterizzato, da un lato, dalla necessità delle imprese di ricevere credito, e, dall’altro, da un complessivo contenimento dell’offerta creditizia. Occorre, quindi, individuare alternative all’interlocutore bancario perché lo sviluppo

macroeconomico passa indispensabilmente attraverso il risanamento delle imprese in difficoltà. A questo proposito va guardata con interesse la normativa introdotta nel 2016 a modifica degli art. 46 bis, ter e quater del Tuf che riguarda gli Oicr, gli organismi di investimento di credito e risparmio. Nell’ambito di tali organismi vanno annoverate le banche ma anche i fondi comuni e, in particolare, i fondi di ristrutturazione, i quali si caratterizzano per una politica gestoria avente ad oggetto, appunto, la “ristrutturazione” di (crediti problematici verso) imprese in crisi e che per tale ragione, accanto al comparto crediti ristrutturandi, sono dotati anche di un comparto di nuova finanza per la concesAI FINANZIAMENTI EROGATI VIENE RICONOSCIUTA LA PREDEDUCIBILITÀ SE L'OPERAZIONE SI SVOLGE IN UNA PROCEDURA CONCORSUALE

sione di prestiti strumentali alle operazioni di ristrutturazione. In questo particolare ambito, i rating di finanziabilità dell’impresa sono evidentemente meno stringenti di quelli bancari perché tengono conto della particolare condizione dell’impresa in cui i fondi strutturalmente operano. Lo schema dell’operazione di ristrutturazione “tipo” con gli Oicr dovrebbe essere orientativamente il seguente: in primis, la banca conferisce al fondo i propri crediti deteriorati (così costituendo la base patrimoniale del fondo medesimo), ricevendo in cambio quote di partecipazione di esso; dopodiché la Sgr che gestisce il fondo realizza la ristrutturazione dell’impresa in crisi anche mediante l’ero-

L'AUTRICE, ANGELA PETROSILLO

gazione di finanziamenti, cui viene riconosciuta la prededucibilità se l’operazione di ristrutturazione si svolge nell’ambito di una procedura concorsuale. I crediti oggetto di conferimento/cessione saranno quindi “gestiti” professionalmente dalla Sgr secondo una politica gestionale che avrà come obiettivo la “ristrutturazione” di quei crediti tramite la fuoriuscita dell’impresa target dalla situazione di crisi in cui essa versa. In questo senso, l’interesse del fondo è quindi del tutto sovrapponibile a quello dell’imprenditore. L’interposizione di un veicolo qualificato e professionale nelle operazioni di ristrutturazione presenta numerosi vantaggi: elimina la contrapposizione tra l’imprenditore e le banche creditrici, le quali partecipano all’operazione solo indirettamente senza un’effettiva partecipazione alle scelte gestionali; esenta gli intermediari bancari dallo svolgimento di un’attività che non appartiene al proprio co-re business, contribuendo ad una più stretta osservanza del principio di separatezza banca–impresa; consente di valorizzare l’investimento finanziario che la banca ha effettuato con il conferimento dei crediti da ristrutturare. Questo appena descritto sembra essere il sistema attraverso cui, in futuro, potranno efficacemente finanziarsi le operazioni di ristrutturazione, soprattutto nell’ambito degli strumenti offerti dalle leggi sulla crisi di impresa.

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TALENT SHOW

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CI PIACE LUCE ACCESA SULLA BUONA GESTIONE: IL CASO ACEA Il valore del titolo nel 2019 si è apprezzato di quasi il 100%: fare bene anche nel pubblico si può

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riprova che anche nel pubblico si può fare bene, nonostante si operi in contesti complessi, purchè si sia bravi, c’è tra gli altri e più di molti il caso Acea, la multiutility di cui è primo azionista il Comune di Roma. Ebbene, l’Acea – oggi affidata alla gestione di Stefano Donnarumma. Nell’ultimo anno, il valore del tuo titolo è passato da circa 11 a quasi 19 euro. Meglio di molte società confrontabili. Una performance di Borsa collegata alla capacità gestionale di “outperformare” – come si dice, orribilmente, in gergo: cioè fare meglio del previsto – trimestre dopo trimestre. Sfogliando il librone delle ricerche sul titolo, è tutto un fiorire di giudizi lusinghieri, roba che nemmeno Fedez per le quindicenni. Si va dai “buy” (comprare!) agli “accumulate” (continuare a comprare), o agli “add” (aggiungere) o almeno agli “hold” (tenere). E con molti complimenti, come questo di due analisti di Medobanca: “Crediamo che la valutazione di Acea continui ad essere sorprendentemente bassa (per i 2019 il rapporto tra Enterprise Value e l’Ebitrda è inferiore alle 7 volte) per un veicolo altamente regolamentato, con un bilancio molto dignitoso e la possibilità di espandere il proprio core business, mantenendo un buon profilo dei dividendi”. Più chiari di così… probabilmente la società sconta, tra varie virtù, la natura atipica del suo socio di maggioranza che detiene il 51% e il poco flottante, poco meno del 20% del capitale. Però, a ben pensarci: se un’azienda va bene nonostante le difficoltà affrontate nell’ultimo biennio (prima tra tutte la crisi idrica del 2017), significa che davvero non ha paura di niente!

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Bilancio positivo ed espansione del core business: così la valutazione cresce Incapacità gestionale e tagli al personale: la flotta rischia, si sta incagliando

iamo oltre la decenza. Siamo a una rappresentazione che sarebbe surreale se non fosse drammatica e che deve rappresentare un monito affinché dopo il disastro Alitalia e lo scandalo Ilva non se ne produca presto un terzo. Stiamo parlando della Tirrenia, la compagnia di navigazione pubblica, decotta e inefficiente, acquistata anni fa da un armatore privato, il gruppo Moby di Vincenzo Onorato, che scambiò l’impegno a salvaguardare i livelli occupazionali con profumatissimi aiuti di Stato: 73 milioni di euro all’anno solo per la Sardegna, che salgono a 90 nel totale! Cardine della convenzione che la Tirrenia aveva e rinnovò con lo Stato per assicurare i collegamenti con la Sardegna e altre isole, a prezzi accessibili. L’Europa ritenne - giustamente! - che però quei soldi non fossero giustificati dalla convenzione e dai suoi scopi sociali ma fossero aiuti di Stato alla privatizzazione, e ne bloccò l’erogazione fino a giudizio (tuttora sospeso), e di rimando Moby smise di pagare le rate del prestito. Nel frattempo i risultati della doppia flotta andarono male se non malissimo per una ormai palese incapacità gestionale applicata a una situazione difficilissima per chiunque, e oggi Tirrenia è molto malmessa. Nella prossima primavera la convenzione di Tirrenia con lo Stato scadrà e Onorato minaccia tagli occupazionali per indurre il governo a rinnovare la convenzione. Una bruttissima storia, che finirà prima o poi con un altro salvataggio di Stato: dei dipendenti, però, non dei privatizzatori velleitari.

NON CI PIACE TIRRENIA COME ALITALIA? LA SALVI CHI PUÒ (SARÀ LO STATO?) Arrivano al pettine i nodi della convenzione che le ha permesso di operare, nonostante lo stop dell’Europa


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Il made in Italy che piace è (anche) quello tecnologico L’area vale il 10% del nostro avanzo commerciale: circa 4 miliardi di euro l’anno. Ed Expo 2020 darà un ulteriore impulso agli interscambi. Parola del nuovo ambasciatore, Nicola Lener di Riccardo Venturi

GLI EMIRATI ARABI UNITI NON SONO SOLTANTO IL SECONDO PRINCIPALE MERCATO PER L’ITALIA TRA I PAESI DEL NORD AFRICA E DEL MEDIO ORIENTE. VALGONO IL 10% DEL NOSTRO AVANZO COMMERCIALE, CIRCA 4 MILIARDI DI EURO ALL’ANNO; sono

una piattaforma per le nostre aziende specie per l’area Menasa, che comprende anche i mercati dell’Asia meridionale che crescono ai ritmi più elevati al mondo; e dal prossimo 20 ottobre ospiteranno a Dubai l’Esposizione Universale, grande vetrina globale per mostrare la nostra capacità innovativa. Parola di Nicola Lener, cagliaritano, 51 anni, nuovo ambasciatore italiano negli Emirati Arabi Uniti dallo scorso mese di ottobre, uno che di mercati esteri se ne intende: dal 2014 si è occupato di internazionalizzazione del sistema economico italiano alla direzione generale per la promozione del sistema paese del ministero degli Esteri, dal 2017 come vice direttore generale. In questa intervista a Economy Lener sottolinea che l’importanza degli EAU, testimoniata anche dalle visite effettuate ad Abu Dhabi dagli ultimi quattro presidenti del Consiglio italiani, è ancora più rilevante alla luce dei rischi per le nostre relazioni commerciali con paesi dai quali deriva buona parte dell’avanzo primario, Regno Unito e Stati Uniti in primis, legati alla Brexit e alla guerra dei dazi. Ambasciatore, quali sono le sue impressioni dopo i primi mesi ad Abu Dhabi? Gli Emirati Arabi Uniti, che già in parte co-

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noscevo da lontano essendomi occupato di internazionalizzazione delle imprese al ministero degli Esteri, da vicino si rivelano essere più che un mercato una piattaforma regionale e globale per le nostre aziende, con una chiara leadership e una visione di futuro molto interessante. Le imprese italiane possono trovare grandi opportunità, soprattutto tenendo conto della forte esigenza, che qui hanno ben compreso da tanto tempo, di diversificare l’economia rispetto al mercato oil & gas. Si è deciso quindi di puntare anche sull’industrializzazione, sulla manifattura, sul settore dei servizi, su quello ad altissimo valore. Il paese è importante al di là della sua dimensione: è un mercato in sé di circa 10 milioni di abitanti, di cui circa il 15% sono emiratini e il resto espatriati di circa 200 nazionalità. Un paese quindi abbastanza piccolo, ma con un pil procapite tra i più alti nella regione e nel mondo, sui 40-45mila dollari.

Gli Emirati Arabi Uniti rivestono un ruolo importante per il nostro export? Agli EAU dobbiamo circa il 10% del nostro avanzo commerciale; a seconda degli anni esportiamo per 5-6 miliardi e ne importiamo circa 1; questo genera circa 4 miliardi di euro di avanzo commerciale, cioè un decimo dell’avanzo complessivo. Considerando anche le difficoltà che potrebbero esserci in prospettiva nelle nostre relazioni commerciali con alcuni paesi dai quali deriva gran parte del nostro avanzo primario, come so-

prattutto Regno Unito e Stati Uniti, a causa dei rischi relativi da un lato alla Brexit, dall’altro a dazi e guerre commerciali con la Cina che potrebbero coinvolgere anche l’Europa, ci rendiamo conto di quanto sia importante mantenere e rafforzare le nostre posizioni in questo paese. Gli EAU sono molto aperti ai beni di consumo italiani associati al concetto di made in Italy, ma anche alla tecno-


logia italiana che consente di diversificare l’attività industriale.

Ritiene che Expo 2020 possa dare un ulteriore impulso agli interscambi commerciali tra Italia e Emirati Arabi Uniti? E più in generale quali opportunità offre alle imprese italiane? Expo 2020 è un grande evento che ci consente di mostrare il meglio della nostra tec-

EXPO 2020 CI CONSENTE DI MOSTRARE IL MEGLIO DELLA NOSTRA CAPACITÀ INNOVATIVA

nologia e della nostra capacità innovativa su uno scenario globale, soprattutto in una regione ampia che comprende Nordafrica, Medio Oriente e Asia meridionale, l’area Menasa, dalla quale ci si aspetta la maggior parte dei visitatori. Una manifestazione che ha potenzialità per il nostro posizionamento complessivo su mercati che crescono molto come quelli asiatici, che sono quelli che tirano e trainano la crescita globale. Sul piano bilaterale ci aspettiamo comunque un ulteriore salto di qualità, tenendo conto in particolare del grande interesse, degli investimenti e delle risorse che il paese sta destinando ai settori innovativi per posizionarsi adeguatamente in vista anche della riduzione progressiva nel tempo dei proventi della vendita di idrocarburi. Quali sono a suo avviso i settori più promettenti per le nostre imprese? La diversificazione in atto non ci deve far trascurare il settore oil & gas, che è importante a maggior ragione a seguito dell’entrata di Eni negli EAU tra la fine del 2018 e l’inizio del 2019, con importantissimi contratti siglati nel settore dell’esplorazione, e quindi dell’upstream offshore di Abu Dhabi, e ancora più nel downstream quindi nella raffinazione. Eni ha acquistato una quota del 20% della società di raffinazione di Adnoc, società petrolifera locale, un partenariato strategico in un segmento del settore oil & gas che le due società vogliono rafforzare per estrarre maggior valore da ogni barile di greggio grazie anche alla tecnologia di cui Eni è portatrice. Dall’ingresso di Eni nel paese ci aspettiamo delle ricadute su tutta la filiera di oil & gas: l’Italia è uno dei pochi paesi che ha tutta una filiera completa nel settore, quindi crediamo che ci saranno benefici anche per le nostre Pmi. E al di fuori dell’oil & gas? I settori interessanti sono soprattutto quelli altamente innovativi, dall’aerospazio alle scienze della vita, dall’agroalimentare avanzato di punta all’intelligenza artificiale.

Sono quelli sui quali intendiamo nei prossimi mesi, anche in vista di Expo, focalizzare la nostra attività promozionale, anche perché in questi campi magari è meno evidente nell’immaginario collettivo, e in particolare in questo paese, il ruolo e la capacità tecnologica italiana. L’Italia è vista come il paese della bellezza, della cultura, della qualità nei beni di consumo, mentre nel grande pubblico è meno conosciuta la capacità italiana di innovare, con grandi risultati anche in campo tecnologico. La recente apertura dell’Istituto italiano di cultura ad Abu Dhabi può contribuire a una crescita degli scambi artistico culturali? Sicuramente sì. Siamo in una fase di roll out, la nuova sede sarà disponibile all’inizio del prossimo anno ma c’è già una direttrice, la professoressa Zilio Grandi, esperta in lingua e cultura araba a Ca’ Foscari, un pilastro fondamentale dell’istituto. L’apertura dell’Istituto italiano di cultura peraltro viene incontro alle richieste e agli auspici delle autorità emiratine, che vedono nel nostro paese un punto di riferimento estremamente importante. Il nostro è un paese molto conosciuto e rispettato per la varietà e la profondità della sua cultura. Dal nostro punto di vista la cultura è un vettore straordinario per promuovere l’immagine e la presenza dell’Italia anche in altri settori, attraverso iniziative integrate. Ci fa un esempio? Il concerto organizzato qui ad Abu Dhabi per Venezia con l’istituto italiano di cultura, per sensibilizzare il pubblico locale sui cambiamenti climatici di cui la città lagunare è vittima. Ma che pone delle sfide anche alla stessa Abu Dhabi e agli Emirati nel loro complesso, visto che la maggior parte della popolazione vive sulla costa. Anche su queste tematiche, attraverso l’arte e la cultura, vogliamo far crescere la consapevolezza e avviare partenariati industriali, per affrontare insieme queste grandi sfide.

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SHORT STORIES

Cybersecurity

Legal

Furti d’identità e frodi creditizie boom in Italia

NUOVA SEDE PER LO STUDIO MADLEX

Al quindicesimo anno di attività si consolida la presenza su Milano

In aumento i casi tra gli under 40, un terzo delle truffe avviene per acquisto elettrodomestici Le frodi creditizie mediante furto di identità - con il successivo utilizzo illecito dei dati personali e finanziari altrui per ottenere credito o acquisire beni con l’intenzione premeditata di non rimborsare il finanziamento e non pagare il bene – continuano a crescere e ad avere un peso rilevante sull’industria del credito, in particolare sul credito al consumo. A questo riguardo, l’aggiornamento relativo al I semestre 2019 dell’Osservatorio CRIF sulle Frodi Creditizie segnala quasi 16.700 casi, con una crescita del +36,7% rispetto al medesimo periodo del 2018 (a titolo di paragone, le rapine in banca sono meno di 300 l’anno). Questo dato è oltremodo preoccupante in quanto tradizionalmente la quota più rilevante dei casi si concentra

ad agosto e nel periodo natalizio, ormai alle porte. Al contempo, l’importo medio riscontrato risulta pari a € 4.662 euro, in flessione del -21,4%, a confermare come i malintenzionati si stiano orientando su importi sempre più modesti rispetto al passato. Relativamente alla sola prima metà dell’anno il danno stimato supera complessivamente i 77 milioni di Euro. La distribuzione delle frodi per sesso evidenzia che la maggioranza delle vittime (64,9%) sono uomini. Rispetto al primo semestre 2018 la distribuzione dei casi per genere vede una diminuzione delle donne (-4,3%). Osservando la distribuzione delle

frodi per classi di età, invece, si inverte la tendenza evidenziata nella prima metà dell’anno scorso: la fascia di età nella quale si rileva il maggior incremento dei casi è, infatti, quella dei 18-30enni (+23,2%) e dei 31-40enni (+6,4%) mentre diminuiscono i 51-60enni (-11,0%) e gli over 60 (-15,7%). La ripartizione delle frodi per regione mostra una maggiore incidenza in Lombardia, Campania, Lazio e Sicilia. Si tratta delle stesse regioni che anche nel I semestre 2018 occupavano i primi posti di questa poco invidiabile classifica, anche se la Lombardia ha sorpassato la Campania.

Codice della crisi

Sharing economy

Il 16 gennaio un incontro nella sede dell’università per discutere i principali cambiamenti

Quasi otto italiani su dieci hanno ridotto l’utilizzo dell’automobile in favore di altri mezzi di trasporto

Concordato preventivo: evento alla Liuc Novità e prospettive della procedura di concordato preventivo nel nuovo Codice della Crisi. Se ne parla giovedì 16 gennaio 2020 (ore 14.15, aula Bussolati) alla Liuc, con gli interventi di autorevoli magistrati, docenti universitari e dottori commercialisti che tratteranno i diversi aspetti della riforma recata dal Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, per la parte relativa alle modificazioni della disciplina del concordato preventivo. Quest’ultimo rappresenta notoriamente lo strumento più impiegato nella prassi e corredato

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Il 2019 è l’anno della mobilità sostenibile di maggiori garanzie ai fini di salvaguardare i valori economicopatrimoniali dell’impresa in crisi. A questo scopo è stato ulteriormente incentivato il concordato preventivo “in continuità”, mentre sono previste condizioni più stringenti per il cosiddetto concordato liquidatorio. La riforma tende, inoltre, a rafforzare e precisare il vaglio giurisdizionale da parte del Tribunale, senza mortificare la capacità degli imprenditori e dei professionisti chiamati a prestarvi consulenza, di individuare le soluzioni più adeguate per la soluzione della crisi di impresa.

Secondo i dati dell’Agenzia europea dell’ambiente il 15% delle emissioni di anidride carbonica in Europa è prodotta da auto e furgoni, non a caso l’UE ha introdotto precise norme con l’obiettivo di ridurre significativamente questi livelli entro il 2030. I cittadini italiani sembrano voler dare il proprio contributo per abbattere l’inquinamento tanto che, secondo l’indagine realizzata

Lo Studio Legale Musumeci Altara Desana e Associati apre una nuova sede, oltre quelle storiche di Torino e di Roma, a Milano. Fondato nel 2005, conta oggi oltre 25 professionisti e ha sviluppato negli anni la caratteristica di Studio legale tailor made. Lo Studio vanta esperienza in vari campi del diritto, prevalentemente rivolte alle imprese e agli imprenditori, italiani e stranieri. Anche nel 2019 lo Studio è stato confermato quale “Boutique di Eccellenza dell’Anno” in Diritto societario da Le Fonti Awards. La nuova sede nel cuore di Brera risponde alla necessità di una sempre più richiesta presenza a Milano. Come nel caso dell’assistenza data dallo Studio a Sanlorenzo per l’Ipo.

per Facile.it da mUp Research e Norstat* su un campione rappresentativo della popolazione nazionale, il 74,7% dei rispondenti, pari a 32,7 milioni di individui, nell’ultimo anno si è impegnato concretamente per ridurre l’impatto ambientale causato dalla mobilità. Come? La scelta più comune, adottata dal 46,1% degli intervistati, è stata quella di ridurre l’uso dell’auto, servendosi dei mezzi pubblici o muovendosi a piedi. Non è dato sapere se sia stata una scelta limitata ad alcuni momenti o un cambiamento di abitudini più radicale, fatto sta che oltre 20 milioni di italiani hanno adottato questa soluzione, in particolare i rispondenti con più di 65 anni, fascia anagrafica nella quale la percentuale di chi ha usato meno l’auto e più i piedi supera il 52%. In tanti, più di 1 su 4, hanno invece ridotto i km percorsi in auto.




IN CASO DI CRISI ROMPERE... ...IL MURO DEL SILENZIO

COMUNICARE L’IMPRESA Non sempre “less is more”: se è vero che di fronte a situazioni spinose, che mettono a repentaglio la reputazione dell’azienda, meno si dice meglio è, è anche vero che tacere completamente non si rivela mai una strategia vincente. Il motivo? Se non parliamo noi, (s)parleranno gli altri. Ecco perché è meglio affidarsi ai professionisti del crisis management... prima che la crisi si verifichi.

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ADVERTISING IL CASHLESS VA A CACCIA DI CLIENTI ITALIANI

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PRESENTAZIONI SI FA PRESTO A DIRE SLIDE MA FACCIAMOLE COME SI DEVE

Solo il risk and crisis management può salvare l’azienda dai danni reputazionali. Ma occorre pianificare con largo anticipo come agire e cosa comunicare in caso di eventi probabili... oppure imprevedibili di Marina Marinetti

I

Benetton e il crollo del Ponte Momagine dell’azienda e del manager», spiega randi. Trenord e il capotreno ferito a Economy Sergio Pisano, amministratore col machete. Whirpool alle prese delegato di iCorporate, società di consulencon i possibili licenziamenti allo stabilimenza specializzata nella comunicazione corto di Napoli. Il caseificio Mauri e la listeria porate e finanziaria e nella gestione della nel gorgonzola. Il Dieselgate. L’”inchino” delreputazione integrata sia offline che online, la Costa Concordia. Ci sono situazioni (non «ma anche sulla capacità di accreditarsi per sempre prevedibili) arginare il problema.. in cui il rischio di IN OCCASIONE DI UN EVENTO NEGATIVO Ecco perché è meglio LA CREDIBILITÀ DELL’AZIENDA E DEL SUO dire la cosa sbagliata pensarci per tempo. MANAGEMENT VIENE MESSA A RISCHIO (o viceversa, di non Prima di tutto, un SPECIE SE CI SI AFFIDA ALL’EMOTIVITÀ dire nulla) è dietro doveroso distinguo: l’angolo. E non è detto che capiti solo agli quello fra issue e crisis. Tecnicamente, una altri. Ma se (tocchiamo ferro) accadesse issue è un fatto traumatico o potenzialmente proprio alla nostra azienda di trovarsi di dannoso per la reputazione dell’azienda, che fronte alla stampa in una situazione critica? però va messo in conto, perché ha una certa «Il tema della credibilità in occasione di un probabilità di accadere, prima o poi. Si poevento negativo influisce non solo sull’imtrebbe trattare della necessità di licenziare

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SERGIO PISANO, AD DI I-CORPORATE

alcuni dipendenti, per esempio, o di dover rendere note le dimissioni di un manager in una società quotata, oppure di gestire il complicato processo di una fusione e o di un’acquisizione, operazione che solitamente lascia morti e feriti sul campo. La crisis, invece, è imprevedibile e improvvisa. «Si tratta di due filoni complementari, ma diversi», osserva Pisano: «la maggior parte del successo dipende da quanto si è preparati. Ogni

evento critico ha la sua storia, ma ci sono mediatico né cercare di nascondere la polelementi ricorrenti che ci consentono non vere sotto il tappeto». Facile a dirsi, molto solo di prevederlo, ma anche di gestirlo». meno a farsi. Per fortuna esiste lo strumento della piaLe persone fanno la differenza: «È saggio nificazione, o meglio dell’issues and crisis preparare il personale ad affrontare contemanagement. Non risolve la crisi, ma aiuta sti mediatici ostili, come il classico assalto (molto) a gestirla. «Per prima cosa occorre dei giornalisti al termine di una riunione», prendere in esame il fatto da comunicare e continua l’a.d. di iCorporate. «Meglio indivalutarne l’impatto in base diverse variabividuare due o tre ancore comunicative e li: se rimarrà locale o nazionale, chi sono gli supportarle con delle evidenze, per esempio attori coinvolti, qual è il livello di sindacalizevidenziare il trend storico che dimostra che zazione, lo stato delle lo stabilimento non è MEGLIO NON ECCEDERE CON TROPPE relazioni con gli stapiù sostenibile, o la PUNTUALIZZAZIONI MA CONCENTRARSI keholder locali», spieflessione del mercato SUGLI ELEMENTI INFORMATIVI UTILI ga Pisano. In poche su determinate linee ALLA DEFINIZIONE DEL CONTENZIOSO parole: si fa un primo di prodotto. Bisogna assesment dei fatti da comunicare per asassociare una motivazione razionale alla desegnare un grado negatività. Tenendo ben cisione, per quanto dolorosa o impopolare presente, avvisa Pisano, che «oggi ognuno che sia». E come ci si prepara? «Attraverso la di noi è un media: se devi licenziare quattro simulazione della situazione». Poi ci sono gli dipendenti, ma uno si accampa fuori dall’astrumenti, per così dire “tecnici”. E tutti, rizienda con la tenda e arriva al Tg1, porta a gorosamente, hanno un nome inglese: Q&A, un’escalation mediatica imprevedibile. backgrounder («consente di fotografare un Per questo è importante preparare persone fenomeno risalendo fino alle cause e prevee strumenti, senza sottovalutare l’impatto dendone le conseguenze», spiega Pisano),

Pronto intervento anticrisi attivo 24 ore su 24

N

sala operatoria, o in un’industria alimentare una contaminazione. Le schede sono veri e propri action plan, in cui c’è tutto scritto, con indicazioni molto precise per tutte le funzioni operative, compreso il centralino».

el senso del Miranda warning: «Lei

persone», spiega, «seguiamo la crisi dalla

Scoppia il problema? Basta aprire la

ha il diritto di rimanere in silenzio.

A alla Z con competenze specifiche che

busta giusta et voilà: dentro ci sono tutte

Qualsiasi cosa dirà o farà potrà essere

spaziano dai social media alle istituzioni».

le istruzioni. Così è stato quando una

usata contro di lei». Non in tribunale, ma

Quando suona l’allarme (si fa per dire),

grave epidemia ha colpito il personale di

sui media. È la regola aurea di Gabriele

viene creato un team dedicato che

un hotel di lusso, o quando si è trattato di

Bertipaglia, partner di Sec Newgate, nonché

affiancherà cliente e account. Così,

un incidente ferroviario con morti e feriti,

supervisor della divisione Reputation

dopo l’iniziale assesment con l’analisi dei

anche in occasione di una ristrutturazione

& Crisis management nata dieci anni

rischi, vengono stabilite le procedure: chi

aziendale che ha lasciato a casa 340

fa per affrontare tutte quelle situazioni

risponde ai giornalisti, quali sono i numeri

persone in centro Italia: «Siamo entrati

complesse che prima o poi capitano nella

reperibili, chi vidima i comunicati stampa,

subito nel processo, pensando anche al

storia dei clienti. «Mentre i nostri colleghi

quali deleghe diventano operative in caso

social plan, agli incentivi, all’outplacement.

si preoccupano di far uscire i clienti sui

qualcuno dei soggetti sia impossibilitato

Abbiamo fornito suggerimenti e indicazioni

giornali, noi paradossalmente nel 90%

a procedere. «Redigiamo schede

su modalità e tempistiche, così la parte

siamo impegnati a non farli uscire per

tematiche identificando le aree in cui più

hr ha prodotto un piano apprezzato dagli

nulla», spiega. «Siamo un team trasversale

probabilmente può scoppiare un problema.

stessi sindacati sia per contenuti che per

rispetto all’agenzia, composto da 12

Per esempio, in ospedale un’infezione in

trasparenza. In fondo la relazione coi media

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holding statement (in sostanza cosa dire in caso di una fuga di notizie), key messagges (messaggi chiave che danno sostanza e motivazione razionale alla decisione aziendale, «non più di tre o quattro, per creare allineamento all’interno dell’organizzazione»), talking point (uno strumento di sostegno ai manager per prepararli a dialogare con le controparti), mappatura dei cluster e dei target (in sostanza chi occupa le posizioni all’interno delle quattro macrocategorie tra controllori con l’onere di vigilanza, comunità locali, mercato, fornitori, aziende dell’indotto, dipendenti). Quello che frega è l’emozione: l’irrazionalità, “a caldo”, rischia di prevalere. «Ecco perché è importante prepararsi, attribuendo responsabilità e decidendo chi parlerà con chi». Certo, occorrerebbe una sfera di cristallo per sapere in anticipo cosa accadrà. Ma alcune cose sono prevedibili. La prima? La fiammata. «Al momento dell’annuncio, ci sarà un’escalation mediatica molto forte», sottolinea Pisano. «Quello che conta non è la presenza sui media coi messaggi corretti, ma il

negoziato: la presenza sui media dev’essere gestita in modo funzionale al negoziato. Se i sindacati lavorano sull’emotività, l’azienda deve lavorare sulla puntualizzazione, ma senza stare appresso a tutte le imprecisioni (per esempio sottolineare che i dipendenti sono 158 anziché 160), perché disquisire sui dettagli darà ancora più impatto mediatico a quello che sta accadendo. Bisogna stabilire una soglia di tolleranza e comuni-

care solo quello che impatta sul negoziato. Questa fase la guida il giuslavorista: ci vuole sangue freddo e la mappatura delle posizioni tra alleati, neutri, ostili». E poi arriva la seconda fase, altrettanto prevedibile: «La crisi passa dall’essere un tormentone a una storia a puntate, di cui si parla solo quando c’è una novità. Ma nessun media sbatterà mai le porte in faccia a un’azienda che vuole spiegare le sue ragioni».

aziendali disabituate a ragionare in termini

di lavoro per la risk analysis e altrettanti

di crisi, che tendono a ridurre, sottovalutare

per identificare le issue prioritarie che

o addirittura nascondere il problema.

sottoponiamo al cliente. Poi si preparano

Altrettanto sbagliato è il tira e molla tra chi

le schede. Per un piano di preparazione

si occupa di comunicazione e l’ufficio legale:

alla crisi ci vogliono due mesi e mezzo».

così come è importante dal punto vista

E ora scommettiamo che vorrete sapere

giurisprudenziale, quello che si comunica

quanto costa: «Dalle poche migliaia di euro

è altrettanto importante dal punto di vista

fino ai 40-50mila euro, dipende dal grado

reputazionale. E se i due punti si incontrano

di complessità», risponde Bertipaglia.

è meglio. I legali hanno un’altra modalità».

E aggiunge: «Noi cerchiamo di essere

Il team di Bertipaglia è strutturato per

molto effective, non prepariamo 10mila

essere operativo sette giorni su sette,

occorrenze di crisi, ma solo le 50-60

24 ore su 24, entro un’ora dall’evento

più probabili, in modo estremamente

è quella meno rilevante o più facilmente

critico, grazie alla presenza di almeno un

pratico, con gli action plan. Più riesci a

gestibile. Salvo situazioni particolari, la

corrispondente in ogni Regione: «La tv o

standardizzare e proceduralizzare le

gestisce l’account di riferimento del gruppo,

la radio locale è in grado di fare un danno

cose meglio è. Avendo questa expertise

mentre la parte strategica dei rapporti con

pazzesco, si rischia di scoprirlo troppo

riconosciuta capita sempre più

le istituzioni, la prefettura, le famiglie, la

tardi».

frequentemente che aziende che hanno loro

gestisce il nostro team».

Bene. Ma quanto ci vuole per prepararsi

agenzia di comunicazione, anche blasonata,

L’empatia col cliente è fondamentale: «Ci

alla crisi? «Occorrono dalle 6 alle 10

poi vengono a cercarci per le situazioni di

scontriamo spesso con alcune funzioni

interviste in profondità, diciamo 15 giorni

crisi».

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Gli acchiappa-clienti del social marketing Gestire un profilo LinkedIn, Facebook o Instagram applicando la metodologia dei funnel: così gli ingegneri di GoOut, realtà partner di Economy, convogliano utenti nelle landing page di Pmi e professionisti

C

i sono 35 milioni di italiani che ogni giorno trascorrono quasi due ore, circa un settimo del loro tempo di veglia, sui social. Il 55% degli utenti italiani è attivo su Instagram, l’81% ha un profilo Facebook, il 29% ha un profilo su LinkedIn: essere sui social può fare la differenza per qualunque tipo di business. La questione è il “come”: un conto è improvvisare, un altro è elaborare una strategia mirata per conquistare il pubblico... e soprattutto i clienti. «Ecco perché offriamo alle aziende servizi di digital marketing», spiega a Economy Francesco Barone, ceo della startup milanese GoOut, una delle realtà partner di Economy, che col brand Piano Social copre a 360° l’ambito marketing e comunicazione per i propri clienti: Piano Social si occupa di gestire la comunicazione online di Pmi e studi di professionisti, ma anche agenzie immobiliari e ristoranti. Ciò che differenzia questo brand dai suoi competitor è la metodologia di lavoro che prevede un consulente dedicato per ogni cliente, una comunicazione tailor made e costi estremamente competitivi. «Il nostro business model è quello che vendiamo alle aziende: non abbiamo una ricerca attiva di clienti, ma una gestione passiva», aggiunge Barone. Il che significa che l’azienda non andrà più “a caccia” di clienti, ma saranno i clienti a contattarla direttamente, grazie al funnel marketing: «È un metodo che fa un po’ a pugni con la classica visione old school delle

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aziende, dove marketing è solo la pubblicità, mentre da noi le campagne marketing sono orientate all’acquisizione di clienti e le fanno gli ingegneri con le equazioni», spiega Barone. «Costruiamo una strategia per cui a un investimento in gestione dei social, costruzione del sito web e campagne di advertising online corrispondono dei clienti e delle conversioni in termini di vendite. Se riesci a calcolare bene ALL'INVESTIMENTO ONLINE CORRISPONDONO DELLE CONVERSIONI IN TERMINI DI VENDITE: COSÌ CRESCE LA CURVA DI ACQUISIZIONE

il Roi e a creare il funnel sales avrai un valore aggiunto e soprattutto un risparmio di risorse. E decidi tu quanto far crescere la curva di acquisizione: se sai quanto ti costa un ipotetico cliente e ne vuoi di più, fino a un determinato punto, semplicemente, ti basta investire più soldi». Funnel marketing significa andare a scovare il cliente «nel momento del bisogno, segmentando bene il target », specifica il ceo di GoOut: «Occorre capire qual è il cliente tipo e proporgli una soluzione in linea con le sue esigenze, non generalizzata, ma specifica, indirizzandolo su una landing page specifica. Come indicatori della performance consideriamo i clienti che arrivano. La conversione da contatto a cliente determina il costo di acquisizione per il professionista o la pmi che può essere replicato. Il valore aggiunto della

FRANCESCO BARONE, CEO DI GOOUT

nostra attività è che è misurabile». Ogni social, poi, ha un suo target: per Instagram si va dai 18 ai 35 anni, Facebook è utilizzato dai 25-30 anni in su e Tik Tok dai 14 ai 25, mentre Linkedin è il social del business per eccellenza. «Così, se devo far acquistare ai genitori di un ragazzo il diario, utilizzerò Tik Tok, se invece devo ottenre più iscritti per un Mba mi servirò di Linkedin, se si tratta di un prodotto di largo consumo invece utilizzerò una strategia comune. Un altro strumento fondamentale sono i motori di ricerca, Google, Bing, ecc. dove incontriamo clienti che sono, per così dire, “in fila” proprio per il tuo prodotto». Ma senza un piano i social media non sono efficaci: «La soglia di attenzione è bassissima, quindi bisogna dare valore con l’engagement, interessando l’utente oppure creando una community». Piano Social si occupa anche di questo, creando i contenuti per i propri clienti e gestendo un piano di presenza sui social. Il prezzo? Dipende dall’obiettivo: «Il costo è suddiviso tra gestione e budget. La gestione di un profilo social costa meno di 300 euro al mese, possiamo arrivare fino ai 3.500 se curiamo anche i contenuti di un blog. Il budget mensile medio per una Pmi va dai 200 euro in su e serve per comprare campagne su Google Ads, Facebook Ads e per allocare budget sulle piattaforme che consentono di sponsorizzare il prodotto».


ORVIETO UNDERGROUND UNDERGROUND ORVIETO Viaggio nella “CittàSubterrânea” Sotterranea” Viagem à “Cidade Orvieto uma umaguidata cidade cidade milenar suspensa suspensa quase quase por por Una piacevole,,visita chemilenar si snoda lungo un agevolissimo per-

magia magia entre entrediooconoscere céu céu ee aa iterra, terra, guarda guarda um um outro outro aspecto aspecto corso, consente sotterranei di Orvieto, realizzati dagli antichi abitanti in circa 2500 anni di ininterrotti scavi. Un que que aa faz faz única única ee excepcional: excepcional: um um labirinto labirinto de deviaggio grotas grotas di un’ora, adatto ai bambini, alla scoperta di una millenaria, escondidas escondidas na naanche escuridão escuridão silenciosa silenciosa do do penhasco. penhasco. sorprendente inattesa “Città Sotterranea” A A natureza naturezaedgeológica geológica peculiar peculiar do do pedregulho pedregulho sobre sobre oo qual qual emerge emerge consentiu consentiu aos aos habitantes habitantes de de escavar, escavar, ao ao Orvieto , città millenaria sospesa quasi per magia tra cielo e longo longo de de 3.000 3.000 anos, anos, um um incrível incrível número número de de cavidades cavidades terra, ha svelato un altro degli aspetti che la rendono unica ed que que se se distribuem, distribuem, se se sobrepõem, sobrepõem, se se interceptam interceptam eccezionale: un dedalo di grotte è nascosto nell’oscurità silenzioabaixo abaixo do do tecido tecido urbano urbano moderno. moderno. Constituem Constituem um um sa della rupe. reservatório reservatório de de informações informações históricas arqueológicas arqueológicas La particolare natura geologica delhistóricas masso su cuieesorge ha consentito agli abitanti nel corso dei secoli, un incredibile precioso, precioso, apenas apenasdi scavare, recentemente recentemente estudado estudado de de modo modo numero di cavità che si stendono, si accavallano, orgânico orgânico ee científico. científico. Se Se de de um um lado lado sioointersecano aspecto aspecto al da da di sotto del moderno tessuto urbano. superfície superfície da da cidade cidade mudou mudou com com oo passar passar do do tempo, tempo, La visita guidata alla “Orvieto Underground” rappresenta lo aa estrutura estrutura subterrânea subterrânea se se conservou, conservou, em em boa boa parte, parte, strumento più appropriato per entrare in contatto con questo, intacta. intacta. particolarissimo aspetto culturale di una città estremamente ricca Por Por isso, isso, visita visita artistici. guiada guiadaPasso àà “Orvieto “Orvieto Underground” di storia e diaa“gioielli” dopo passoUnderground” echi misteriosi representa representa forma forma mais mais apropriada apropriada para entrar em em ed affascinantiaaraccontano dell’etrusca Velzna,para mentreentrar dall’umida ombra traspaiono della medievale rinascimentale. contato contato com com este este novo novo ee particular particular aspecto aspectofantasmi cultural cultural de decittà uma uma cidade cidadeeextremamente extremamente Cunicoli, passaggieeinattesi, stanze sovrapposte sulle cui pareti si può leggere,ecos in mille e mille piccorica rica de descale, história história de de preciosidades preciosidades artísticas. artísticas. A A cada cada passo, passo, ecos misteriosos misteriosos ee le nicchie quadrangolari, la secolare avventura della nascita di questa “città sotterranea”. fascinantes fascinantes descrevem descrevem aa Velzna Velzna Etrusca, Etrusca, enquanto enquanto das das sombras sombras úmidas úmidas emergem emergem fantasmas fantasmas da da cidade cidade medieval medieval e e renascentista. renascentista. Um Um tortuoso tortuoso percurso percurso subterrâneo subterrâneo È uno straordinario viaggio nel tempo, un percorso emozionante ed agevole nel cuore di Orvieto che corre corre paralelamente paralelamente ao penhasco penhasco ee pelas pelas aberturas panorâmicas aa luz luz do do dia dia qui affonda le proprie radici eao conserva, quasi intatta, unaaberturas insospettatapanorâmicas e suggestiva memoria. revela revela -- através através de de uma uma sucessão sucessão aparentemente aparentemente interminável interminável de de túneis, túneis, escadas, escadas, passagens passagens inesperadas, inesperadas, espaços espaços sobrepostos sobrepostos com com milhares milhares de de pequenos pequenos nichos nichos quadrados quadrados -- aa aventura aventura secular secular do do nascimento nascimento desta desta “cidade “cidade subterrânea”. subterrânea”. ÉÉ uma uma viagem viagem extraordinária extraordinária no no tempo, tempo, um um percurso percurso emocionante emocionante no no coração coração de de Orvieto Orvieto que que nos nos transporta, transporta, sem sem nenhum nenhum esforço, esforço, às às raízes raízes da da cidade cidade onde onde as as memórias memórias do do passado passado permanecem permanecem vivas. vivas.


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IL CASHLESS VA A CACCIA DI CLIENTI ITALIANI Il nostro paese è ancora al 24mo posto nei pagamenti digitali. Così Visa, Mastercard, American Express lanciano campagne di comunicazione ad hoc puntando su inclusione, smart city e servizi tailor made di Silvia Antonini

C

on il nome suggestivo di “Italia cashless” lo scorso novembre il governo ha varato il piano di svecchiamento del sistema dei pagamenti del Paese, in buona parte ancora incentrato sulla circolazione del contante a scapito della trasparenza delle transazioni. Se i provvedimenti sono pensati soprattutto in chiave antievasione, il piano previsto dalla legge di bilancio 2020 crea le condizioni per dare un ulteriore impulso ai pagamenti elettronici, che peraltro in Italia non sono propriamente al palo. Infatti, secondo l’Osservatorio carte di credito e digital payments di Nomisma, Ipsos e Assofin, nel 2018 l’utilizzo della moneta elettronica è cresciuto del 6,8%, raggiungendo una spesa complessiva di 230 miliardi di euro. È calato l’importo medio, ma l’Osservatorio interpreta questo fenomeno come il segnale che sono in aumento i pagamenti elettronici di valore contenuto, quali per esempio la consumazione al bar, o le spese di tutti i giorni. Nonostante questo, l’Italia è ancora al 24esimo posto in Europa per digitalizzazione dei pagamenti, e il ricorso all’acquisto tramite contante è del 7% superiore alla media UE. Il nostro Paese rappresenta perciò una opportunità di crescita per le aziende di carte di credito, come dimostrano gli investimenti dei principali brand in comunicazione dedicata proprio alla cash conversion. A cominciare da Visa, che include l’Italia tra i primi cinque mercati più importanti tra quelli in cui opera. Il 2020 sarà un anno di inve-

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stimenti pubblicitari in crescita, e Visa approfitterà dei Giochi Olimpici di Tokio per ribadire le strategie in tema di mobile payment, protezione dati e sistemi di pagamento integrati attraverso wereable device. Alle Olimpiadi sarà dedicata la campagna in partenza tra febbraio e marzo firmata dall’agenzia BBDO New York che ruoterà intorno al concetto di inclusione. «Le Olimpiadi sono un evento universale capace di riunire nello stesso momento milioni di persone. Grazie ai Giochi entreremo in contatto con una audience molto ampia, a cui raccon-

teremo i nostri servizi innovativi ribadendo i valori che ci contraddistingue: dalla fondazione di Visa 60 anni fa crediamo in un mondo dove è possibile viaggiare ed essere accettati ovunque», spiega l’Head of Marketing Europe Adrian Farina. Visa ha scelto di puntare sui temi dell’inclusione e dell’empowerment per la campagna “One moment can change del game” (Un solo attimo può cambiare le regole del gioco) lanciata in occasione dei Mondiali di calcio femminile che si sono svolti in Francia l’anno scorso. Lo spot mostra bambine e ragazze alle prese con uno sport considerato maschile: l’obiettivo è sottolineare gli atti significativi compiuti dalle donne dentro e fuori il campo da gioco. Le storie raccontate nel commercial si ispirano a episodi autentici della vita di alcune giocatrici del Team Visa, progetto che da 20 anni sostiene e sponsorizza numerosi atleti di varie discipline e nazionalità diverse, e che vanta la presenza di Laura Giuliani, portiere della Juventus e della Nazionale. Tra gli sportivi olimpici e paralimpici del Team che invece saranno protagonisti del prossimo impegno a Tokio l’Italia è rappresentata da Gregorio Paltrinieri e Bebe Vio. Nel 2020 Visa riprende a investire in Italia per lo sviluppo dell’innovazione dei pagamenti digitali, per esempio nell’area dei trasporti pubblici attraverso la tecnologia contactless. Aumenta anche la spesa in comunicazione, soprattutto per fare cultura in tema di cash conversion nei confronti dei consumatori, dei


Da sinistra: Elena Maccagnan (American Express), Luca Fiumarella (Mastercard), Adrian Farina (Visa)

commercianti e delle istituzioni, sempre con un occhio ai temi dell’impatto sociale. Tra le iniziative più recenti e che proseguiranno per tutto l’anno il progetto “Visa for Venice”, che prevede per ogni acquisto effettuato con Visa nel comune di Venezia una donazione a un fondo per la salvaguardia del patrimonio artistico e a sostegno delle iniziative della comunità. Anche Mastercard quest’anno cercherà di cogliere le opportunità offerte dalla lotta al contante focalizzando le proprie strategie di comunicazione sui micro pagamenti abitualmente effettuati in moneta. Nel secondo trimestre partirà una nuova campagna firmata dall’agenzia McCann dedicata alle carte di debito internazionali e alle forme evolute di pagamento attraverso smartphone e wearable device. Mastercard continua intanto ad alimentare il proprio posizionamento nell’ambito della tecnologia contactless applicata al mondo dei trasporti pubblici. In occasione del “black friday” ha lanciato a Roma il Ticketless Day Tap&Go, una iniziativa a sostegno della smart mobility che offriva corse gratis a chiunque accedesse al sistema dei trasporti con la carta contactless o i dispositivi integrati. «Vogliamo essere protagonisti dello sviluppo delle smart city», spiega Luca Fiumarella, Vice President Area Marketing di Mastercard. «L’Italia è un mercato tra i più rilevanti a livello mondiale, anche per il potenziale di crescita ancora inespresso dei sistemi di pagamento digitale. Il contante è ancora molto diffuso, e c’è una certa diffidenza sulla sicurezza dei dati

perciò l’utilizzo dello smartphone per pagare è limitato, ma ci aspettiamo che prenda piede come il contacless». Manca anche la consapevolezza sulla “Zero liability”, ossia sulla possibilità di essere completamente rimborsati in caso di transazioni non autorizzate: «Su questi argomenti dobbiamo fare informazione». In attesa della nuova creatività, prosegue la campagna “Red ball” sempre di McCann che ha per protagoniste star del mondo dello sport come Lionel Messi, Neymar Jr, Dan CarLA SPESA COMPLESSIVA EFFETTUATA CON MONETA ELETTRONICA HA SUPERATO I 230 MILIARDI DI EURO, MA È CALATO L'IMPORTO MEDIO DELLE TRANSAZIONI

ter, Bryan Habana, Annika Sorenstam, Ana Ivanovic e Valeri Kamensky. Gli atleti sono impegnati nel recupero di una pallina rossa che schizza impazzita da una parte all’altra del globo, per poterla restituire a un cane che l’ha persa e alla sua padrona. Tra un taxi da cui scendere di corsa, una metropolitana da prendere al volo e un caffè da pagare in fretta al bar, lo spot mostra i diversi prodotti tap and go offerti da Mastercard incastonandoli in un contesto adrenalinico e sentimentale allo stesso tempo. «L’obiettivo della nostra comunicazione è raccontare in che modo il pagamento digitale e in particolare i nostri servizi siano grado di facilitare la vita quotidiana, combinando l’aspetto emotivo con quello razionale legato al prodotto e alle sue funzionalità» conclude Fiumarella.

La “customer centricity”, vale a dire la centralità del cliente, e l’insieme dei servizi che concorrono a soddisfarne le esigenze sono i pilastri della comunicazione di American Express nel 2020, in continuità con le strategie adottate nel 2019 per le campagne di Carta Platino e Carta Oro. Attraverso queste due campagne AmEx si è rivolta a un cliente contemporaneo, che coltiva aspettative elevate rispetto ai propri consumi e che ha un nuovo concetto di lusso non tradizionale, legato a quello di esperienza. In particolare, con Carta Oro l’obiettivo era rivolgersi al pubblico dei millennial, i nati tra gli anni Ottanta e la fine degli anni Novanta che secondo una ricerca condotta sempre da American Express hanno incrementato la propria spesa sul segmento “luxury”. «Sono persone che associano l’idea di lusso all’esperienza e alla possibilità di accedere a una serie di servizi personalizzati – spiega Elena Maccagnan, Responsabile Comunicazione Consumer di American Express Italia –. A questo cliente “2.0” ci rivolgiamo mettendolo al centro di una relazione che continuiamo a valorizzare stando al suo fianco nell’ambito dell’uso quotidiano dei nostri servizi». American Express punta ad affiancare i propri clienti lungo tutta l’esperienza di acquisto, a cominciare da offerte, sconti e vantaggi legati alla membership a cui si accede attraverso la mobile app, con la quale naturalmente si può anche pagare. Questo è l’approccio globale “Powerful backing” oggetto anche di una campagna di marketing internazionale che suggerisce di non fare a meno dell’iconica carta di credito in tutti gli ambiti della propria vita. Per quanto riguarda l’Italia «nel 2020 seguiremo le linee guida della comunicazione globale – conclude Maccagnan -. Il nostro Paese è stato inserito in una selezione di mercati su cui si focalizza l’attenzione del Gruppo e a cui verranno destinati investimenti addizionali».

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Si fa presto a dire slide ma facciamole come si deve Stanchi di presentazioni noiose e inefficaci? Per imparare a mettere le mani in Power Point c'è persino un corso del Politecnico di Milano. Ecco qualche suggerimento utile per coinvolgere la platea di Paola Belli

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lzi la mano chi vorrebbe alzare gli oppure un innovativo progetto di startup. occhi al cielo durante noiose (e «Una presentazione non si riduce ad un inefficaci) presentazioni Powersemplice file PowerPoint, c’è molto di più. Point... ma non può farlo per evidenti moEssere un presentatore brillante significa tivi. Perché condividere un’idea con altri è essere percepito come un bravo professionisempre più un’arte che non tutti, siano masta, creare aspettativa per la prossima pernager, consulenti, liberi professionisti, meformance e rendere il pubblico impaziente dici o imprenditori, di ascoltarti», spiega ESSERE UN PRESENTATORE BRILLANTE possiedono (purtropa Economy Maurizio SIGNIFICA ESSERE PERCEPITO COME po). Eppure saper La Cava, presentation UN BRAVO PROFESSIONISTA E CREARE conquistare il prostrategist e fondatoASPETTATIVA PER LA PERFORMANCE prio pubblico, catture della metodologia rare e mantenerne alta l’attenzione e, non Lean Presentation Design, docente di Preultimo, convincerli a fare qualcosa che non sentation & Pitching Strategies al Politecniavrebbero altrimenti fatto, può realmente co di Milano e founder di MLC Design Concambiare le sorti di una presentazione, che sulting, realtà che collabora con aziende del sia il risultato di un’analisi di business, la calibro di Ferrero, NH Hotels, BearingPoint scoperta di una nuova procedura medicale Consulting e Dentsu Aegis Network, nonché

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autore di “Lean Presentation Design” (ed. Franco Angeli). «Per questo è importante seguire alcune piccole indicazioni per non essere visto come uno dei tanti presentatori noiosi da dover ascoltare». I tre pilastri per realizzare una presentazione di successo si chiamano public speaking, visualizzazione dei contenuti, flusso della comunicazione. Ma andiamo con ordine. Come si affronta la difficoltà di parlare in pubblico? «Sicuramente l’esperienza aiuta, al pari di tutti i corsi e le nozioni teoriche che si possono apprendere ma, ciò che davvero permette di fronteggiare audience di centinaia di persone, con serenità, è un cambio di mindset», spiega La Cava. «Ciò che spesso ci inibisce è la paura di fallire, di essere contraddetti, ma se invece di presentarsi con l’idea di dover dover sempre insegnare qualcosa, si sale sul palco con l’idea di condividere un punto di vista, tutto cambia. Immaginiamo che durante uno speech qualcuno nell’audience abbia qualcosa da obiettare e condivida un punto di vista diverso, ma corretto. Che male c’è ad accettarlo e condividerlo? Dopotutto significa che la presentazione ha creato un’occasione di condivisione in più in cui tutti hanno imparato qualcosa in più di quello che era stato previsto, incluso lo speaker. Una volta trasformata la paura di fallire in un’opportunità di apprendimento per tutti, i motivi di stress si riducono notevolmente». Ma anche l’occhio vuole la sua parte: una presentazione fatta con slide inefficaci e graficamente non accattivante non funziona. Il modo in cui si visualizzano i propri contenuti sulle slide fa davvero la differenza. Come visualizzare correttamente i contenuti sulle slide? «Prima di ogni altra cosa è necessario disegnare le slide in modo da spostare il focus, dalla lettura all’ascolto di quanto viene detto. Bisogna quindi evitare di presentare dei muri di testo che indurranno il pubblico a leggere. Il più comune nemico dell’attenzione, nello specifico, è l’elenco puntato, che innesca la lettura e distrae l’audience dal relatore».


nizzando i livelli di lettura e dando priorità scalare alle parole. «Per rendere memorabili i sottotitoli possiamo valorizzare le parole chiave, utilizzando il grassetto e, volendo, si può anche sfruttare un secondo colore a favore della leggibilità». E per massimizzare la leggibilità al colpo d’occhio è possibile usare delle icone vettoriali che restituiscano, graficamente, il significato di quanto scritto, mentre per il titolo è possibile associare un’immagine grande due terzi della pagina. Il flusso della comunicazione è altrettanto importante: l’ordine in cui vengono presentate le informazioni ha un impatto significativo sull’efficacia della presentazione. Qual è il modo migliore per cominciare una presentazione e in che modo conviene organizzare le informazioni al fine di otteMAURIZIO LA CAVA nere il flusso informativo più efficace per la propria audience? «Una tecnica diffusa «Il Lean Presentation Design insegna, anche è rappresentata dall’utilizzo di una logica a chi non è un designer, ad ottimizzare le slinarrativa comunemente chiamata storytelde in maniera logica e non secondo un proling», spiega il docente: «Ciò non significa cesso creativo per tentativi», continua La raccontare una “storiella” che distragga o Cava: «L’approccio Lean parte dal principio faccia ridere il pubblico, bensì utilizzare fondamentale “less una struttura narraLE SLIDE VANNO OTTIMIZZATE is more”. Spesso si è tiva tipica delle stoIN MANIERA LOGICA E PARTENDO consapevoli di aver rie per strutturare il DAL PRINCIPIO "LESS IS MORE" SENZA inserito troppo testo, flusso della propria ABBONDARE TROPPO CON IL TESTO ma, leggendo le inforcomunicazione. Ogni mazioni, si fa fatica a tagliare, pensando che buona storia inizia con l’introduzione di un tutto sia fondamentale». Le persone, peralcontesto. La tensione arriva con il conflitto, tro, leggono più naturalmente in orizzontale, di solito, del protagonista. Segue una soluquindi, un suggerimento è quello di dare legzione, la costruzione della credibilità ed ingibilità orizzontale alle informazioni, riorgafine una chiamata all’azione».

5 STEP ESSENZIALI PER CREARE SLIDE EFFICACI

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Non pensare che la tua presentazione si esaurisca solo nella distribuzione delle informazioni sul Power Point: per avere successo è necessario curare tre aspetti: il public speaking, la visualizzazione delle informazioni e il flusso di comunicazione

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Organizza le slide spostando il focus, dalla lettura dei contenuti all’ascolto

Privilegia una distribuzione dei contenuti in orizzontale, piuttosto che in verticale: è il modo naturale con cui le persone leggono i testi. Distribuisci il testo secondo una gerarchia delle informazioni.

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Tieni sempre presente il principio del “Less is More”: privilegia immagini non protette da copyright, usa icone per rappresentare graficamente i concetti. Gioca con i colori e grassetti per evidenziare i concetti importanti

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Presenta la tua azienda, il tuo business adottando la tecnica narrativa dello storytelling

Sotto, a sinistra, il classico esempio di slide noiosa: troppo testo finisce per distrarre la platea. Meglio coinvolgerla con una slide come quella a destra

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IL GIOIELLO MADE IN ITALY TRA HI-TECH E ARTIGIANATO

STORY-LEARNING, CHE COSA INSEGNANO QUESTE STORIE

C'è un'Italia che si è fatta conoscere ovunque, esportando eccellenze che nessun altro Paese è in grado di esprimere. È l'Italia dell'arte orafa, che in queste settimane porterà a Vicenza operatori e clienti da tutto il mondo, ma è anche l'Italia del vino, sbarcato in Cina una decina di anni fa grazie all'iniziativa di un'imprenditrice visionaria. Ed è pure l'Italia delle tecnologie innovative e delle soluzioni di avanguardia, che trasformano in realtà le visioni delle archistar.

Da Bulgari ai “terzisti di grande qualità”: l’oreficeria è un’eccellenza italiana che vale tra i 7 e gli 8 miliardi di euro. Così appuntamenti come Vicenzaoro e T.Gold richiamano operatori da tutto il mondo di Davide Passoni il caso di dirlo: nel settore della divisione Jewellery and Fashion di Ieg -, ma gioielleria e dell’oreficeria made è il vero motore che spinge tutto ciò che si in Italy, è tutto oro quello che lucmuove nel settore del gioiello. In questo camcica. Sia dal punto di vista del prodotto, sia po l’Italia è più avanti di tutti e vuole contisul versante delle tecnologie che contribunuare a esserlo». iscono a crearlo. Due facce della medesima medaglia (d’oro, ça va sans dire…) che è Erasmo da Rotterdam diceva che «quanun’eccellenza italiana e che splende a Vido l’oro parla, l’eloquenza è senza forcenzaoro e a T.Gold, za»: la voce di ViA LIVELLO TECNOLOGICO IL NOSTRO appuntamenti chiave cenzaoro sembra PAESE È ALL’AVANGUARDIA DA ALMENO per il settore organizinvece tutt’altro che TRENT’ANNI ED ESPORTA MACCHINARI zati da Ieg, leader in debole. IN TURCHIA, CINA, INDIA E IRAN Italia per manifestaUna delle forze di Vizioni fieristiche dirette e di proprietà e tra i cenzaoro è quella di rappresentare l’intera principali operatori europei del settore fierifiliera del gioiello. Ormai buyer e player di stico e congressuale. settore hanno sempre meno tempo e meno «Si parla troppo poco della tecnologia, perbudget per girare e quindi riunire tutti in ché offuscata dall’eccellenza del prodotto un unico appuntamento è importantissimo finale - dice Marco Carniello, direttore della per l’industria. Avere insieme tecnologia,

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vincia di Napoli, dove c’è una gioielleria di nicchia legata al corallo e ai cammei lavorati da conchiglie. Tutti questi distretti utilizzano un mix diverso tra competenze artigianali e altissima tecnologia.

packaging, gemme, componenti, produttori e bene certi prodotti anche perché sappiamo brand consente a questi soggetti di fare rete fare bene le macchine con cui realizzarli. e di utilizzare l’evento per organizzare incontri intra-filiera. Nello specifico, la tecnologia E come va il settore del gioiello italiano? è un motore importante di Vicenzaoro, come È un settore in salute, che vale tra i 7 e gli 8 mitestimonia la creazioliardi di euro ed esporne di T.Gold, la fiera in IL MADE IN ITALY DI GIOIELLERIA NASCE ta intorno al 90% delIN QUATTRO DISTRETTI CON UN MIX assoluto più imporla produzione. I Paesi DI COMPETENZE: VALENZA, TORRE tante al mondo per di destinazione sono DEL GRECO, VICENZA E AREZZO i macchinari dell’inmolti, ma sono anche dustria orafa, che si tiene in un padiglione molto concentrati; uno è la Svizzera, che non contiguo a quello di Vicenzaoro. Mentre è un mercato di consumo diretto ma un hub in quest’ultima è fra le prime tre fiere mondiali cui va tantissima produzione dell’altissimo di insieme a quelle di Las Vegas e Hong Kong, gamma italiano destinato alle maison svizzere T.Gold è l’unica a esprimere il meglio delle e francesi; poi ci sono altre tre grandi destinatecnologie, grazie alla leadership italiana zioni: Stati Uniti, Dubai, che è un mercato di nel settore. Ospita poco meno di 200 esporedistribuzione verso il Middle-East, e Hong sitori, il 70-80% dei quali italiani, perché Kong, che a sua volta redistribuisce verso Cina da almeno trent’anni il nostro Paese è più e Sudest asiatico. In sott’ordine ci sono poi i avanti di tutti in questo ambito. Vendiamo Paesi europei e Panama, come porta verso i tantissimo a Paesi come Turchia, Cina, India mercati del Sudamerica. e Iran, che poi creano con le nostre macchine i loro gioielli mentre la nostra gioielleria Dove nascono i gioielli italiani? si specializza sul design e sull’altissimo di Il made in Italy di gioielleria e oreficeria nagamma, dove continua a crescere. In sostansce in quattro distretti: Valenza, in provincia za, T.-Gold valorizza una delle declinazioni di Alessandria, dove ci sono la sede produtdella leadership italiana nel campo della tiva di Bulgari e Damiani, Vicenza e Arezzo. meccanica e della meccatronica: facciamo C’è poi il distretto di Torre del Greco, in pro-

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Il ruolo a livello mondiale di Vicenzaoro conferma l’importanza delle fiere per il settore orafo? Il ruolo e la mission commerciale di appuntamenti come Vicenzaoro sono importantissimi e fondamentali. Intanto, come detto, la fiera rappresenta un’intera filiera, dalle tecnologie al prodotto finito. Consideriamo che nel mondo del gioiello l’80% di ciò che è prodotto e venduto è il cosiddetto unbranded, oppure è creato da brand che sono venduti sotto le insegne delle gioiellerie o delle catene. In questo contesto vi è una frammentazione di piccoli marchi e produttori che hanno nella fiera lo strumento commerciale più rilevante. Immagino quindi che siate in crescita? Misuriamo la crescita di Vicenzaoro soprat-


E ADESSO I MONILI SI STAMPANO IN 3D

MARCO CARNIELLO

tutto per numero di visitatori: nell’edizione di settembre 2019, quelli stranieri sono cresciuti del 10%. Ciò significa che non solo la fiera continua a essere attrattiva, ma guadagna anche quote di mercato da altre fiere. È un dato rilevante, che ci rende

IL NOSTRO È UN SETTORE IN SALUTE CHE ESPORTA INTORNO AL 90% DELLA PRODUZIONE ottimisti e ci incoraggia a continuare nella nostra direzione.

L’Italia è destinata a rimanere leader mondiale in termini di qualità e di export? Sì, perché la tendenza più recente va in questa direzione. L’Italia ha infatti acquisito sempre più la produzione delle grandi maison; mentre negli ultimi vent’anni c’era stata qualche delocalizzazione verso Paesi come Thailandia e Turchia, recentemente si è assistito a un fenomeno inverso. Bulgari, per esempio, ha realizzato uno stabilimento impressionante a Valenza, una fabbrica 4.0 da centinaia di dipendenti, con personale preparato, processi sostenibili e attenzione alle risorse umane. Mi risulta che anche Cartier stia investendo per portare la produzione in Italia. Il fatto che questi due player si muovano così, dà un’idea precisa di dove stia andando il mercato. Siamo in un bel momento in cui stiamo facendo i “terzisti di grande qualità”. Certo, non stiamo riuscendo a tenerci i brand di alta gamma o a farne crescere di nuovi, ma se sul lato del branding vincono i francesi, sul lato della manifattura esprimiamo il top assoluto nel mondo. La speranza è di diventare i primi anche sui brand.

Pur nella sua storica vocazione all’artigianalità, il settore del gioiello si avvale anche di macchinari e tecnologie estremamente avanzate, come quella della stampa 3D. Punta di diamante della meccatronica italiana, l’industria che produce stampanti 3D per la gioielleria conta su realtà come la veneta Dws, basata a Thiene, in provincia di Vicenza, in un distretto celebre proprio per la meccanica e la meccatronica avanzata. «Siamo stati la prima azienda al mondo, ormai 20 anni fa, a preparare una soluzione di stampa 3D per l’industria del gioiello. Ormai da anni non si utilizzano più queste tecnologie per la prototipazione, ossia per lo sviluppo di prodotto, ma già da tempo forniamo sistemi di stampa 3D per creare direttamente il gioiello in maniera del tutto digitale», dice Maurizio Costabeber, Chief Technology Officer di Dws. Un sistema che, però, non esclude il tocco artigiano: «La sua mano - continua Costabeber - non è penalizzata perché rimane fondamentale per la fase di design e non c’è macchina che la possa sostituire. Ciò che gli orafi chiamano “il colpo”, quella forma particolare che riescono a dare i nostri artigiani, non può essere riprodotta da nessun software e da nessun algoritmo. E poi, anche le più avanzate tecniche di stampa 3D portano a un risultato in cui l’ultima finitura è sempre nelle mani dell’artigiano». Per un’industria del gioiello eccellente, ci vuole alle spalle una industria meccanica che costruisca macchine eccellenti: «La tecnologia manifatturiera italiana per la gioielleria e per l’accessorio e i produttori di macchine destinate alle varie lavorazioni sono in assoluto davanti a tutti nel mondo».

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LA DONNA CHE SUSSURRAVA (DEL VINO) AI CINESI Undici anni fa Silvana Ballotta ha fondato Business Strategies, per aiutare le Pmi a internazionalizzarsi sui mercati asiatici con pacchetti “chiavi in mano”. E nel 2013 ha lanciato la Taste Italy Wine Academy di Marina Marinetti

L

o sapevate che fino a una decina di anni fa in Cina non esisteva neppure una parola che significasse “vino”? C’è stato bisogno di coniarne una nuova, 葡萄酒, putaojiu, per indicare il fermentato alcolico dell’uva. Il merito, se così si può dire, è anche un po’ di un’italiana che si è sempre occupata di internazionalizzazione di imprese lombarde, all’epoca in cui lo yen era forte e nei mercati asiatici iniziavano a far breccia le eccellenze italiane (non pensate solo al cibo e alla moda, ma anche, per esempio, alle piccole macchine agricole in grado di lavorare su terreni impervi): Silvana Ballotta. «L’internazionalizzazione è nel mio dna», dice. Nel 2008 ha fondato Business Strategies, che dalle sue sedi di Firenze e Shanghai, con i suoi 36 professionisti accompagna la crescita delle Pmi del settore agroalimentare italiano sui mercati interazionali, soprattutto extra Ue. Come? Seguendo le aziende lungo tutta la filiera dei processi di internazionalizzazione: analisi delle opportunità geografiche, valutazione delle

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ti agroalimentari, e di comprenderlo in quelle misure orientate a favorirne la promozione e la distribuzione, dando il via agli Ocm Vino, la misura che concede finanziamenti e contributi per i produttori vitivinicoli. In Italia opera con bandi annuali emessi dal Ministero per le Politiche Agricole e da ogni Regione o Provincia autonoma, con contributi a fondo perduto dal 40% all’80%. «Le cantine non erano pronte e non sapevano non solo che stavano arrivando fondi, ma anche che c’erano già a disposizione. È iniziato tutto così». Già alla prima annualità di programmazione (2008/2009) Silvana Ballotta presentò con successo progetti a livello nazionale: ben 3 su un totale di 12 progetti Ocm. Un aiuto tanto prezioso quando difficile da ottenere e da gestire: «Questo settore aveva e ha tutt’ora l’esigenza di gestire non solo la possibilità di finanziamento, stesura e gestiorichiesta del contributo, ma anche la spesa. Bine del progetto, proposte operative di internasogna ricordare i contributi supportano l’invezionalizzazione su paesi terzi, oltre che affianstimento che l’impresa vuole fare in Italia, non camento commerciale e marketing. In questi sono dovuti, sono soldi pubblici che devono anni ha assistito 563 aziende in 240 progetti avere efficacia ed essere utilizzati per partecifinalizzati, gestendo per loro conto risorse per pare a fiere extra Ue, per organizzare degustaquasi 250 milioni di euro di contributi, prozioni, incontri o anche per far venire in Italia venienti sia da fondi comunitari sia dai conimportatori o distributori. Si tratta di questioni tribuiti del Ministero delle Politiche Agricole, fondamentali per chi vuole promuoversi all’eAlimentari e Forestali. stero». Il problema è la FINO A DIECI ANNI FA NON ESISTEVA L’incontro col vino? «È burocrazia: «La chiave NESSUNA PAROLA CHE IN CINESE stato casuale», raccondel successo di BusiSIGNIFICASSE “VINO” NEL SENSO ta a Economy Silvana ness Strategies è stata PROPRIO DEL FERMENTATO D’UVA Ballotta. «Quando c’è quella di offrire un stata la crisi dello yen e sono rientrata in Eupacchetto chiavi in mano: le aziende rischiano ropa, nella mia vita personale è entrato un di perdersi dietro qualcosa che non è il loro produttore di vino», dice, riferendosi al marito mestiere. Le competenze che occorrono non Sergio Mottura e alla sua cantina di nicchia a sono solo amministrative, ma anche giuridiCivitella Dagliano, vicino a Viterbo. «Mi sono che e ogni bando ha le sue caratteristiche. Nel trovata a Bruxelles e ho sentito parlare di fondi 2008 c’erano 100milioni di euro a disposizioche stavano arrivando per i produttori di vino». ne e vennero presentate 12 domande. Oggi gli Era il 2007 e l’Unione Europea stava inserendo stessi 100 milioni generano circa 300 domananche il vino nella grande famiglia dei prodotde».
Valgono circa 150 milioni di euro i proget-


ti di promozione gestiti da Business Strategies dal 2008 a oggi, con una media di rendicontato del 94%. Grazie, anche Pluto, la piattaforma informatica interattiva proprietaria, dedicata specificatamente alla gestione dei progetti Ocm promozione Paesi Terzi che consente di inserire, organizzare, conservare tutta la documentazione per la promozione dei progetti Ocm Vino;
monitorare lo stato di avanzamento delle attività; verificare che le spese siano in linea, conformi e ammissibili rispetto al piano finanziario inizialmente approvato; verificare la presenza di tutta la documentazione necessaria a rendicontare le spese; garantire il rispetto di tutti gli adempimenti necessari alla corretta gestione del finanziamento, ad di spesa attraverso una puntuale gestione delesempio comunicazione del cronoprogramle attività», sottolinea Ballotta. ma; accedere alla documentazione di progetto La Cina e il vino, si diceva. «È stato presto chiaarchiviata digitalmente, agevolando la fase di ro che la Cina sarebbe diventata uno dei mercontrollo. Pluto è l’unica piattaforma di questo cati di riferimento per il vino, probabilmente tipo ad aver ricevuto la destinata a subentrare LA TASTE ITALY ACADEMY HA SEDI certificazione di quanel ruolo che gli Usa A BEIJING, QINGDAO, CHENGDU, SUZHOU, lità Iso/Iec 20000, il hanno ricoperto dalla WUHAN, HANGZHOU E GUANGZHOU E HA riconoscimento interfine del secolo scorso», GIÀ “DIPLOMATO” 2000 PROFESSIONISTI nazionale che attesta spiega l’imprenditrice. il rispetto degli standard di eccellenza e delle Peccato che si tratti di un mercato difficile, con best practices nella gestione di servizi per il ritorni poco significativi, persone non sempre business. «Questo si traduce in sostanza nel far affidabili, difficoltà di mantenere stabilità sul sì che le aziende non solo ottengano i finanziamercato. «La realtà è che per fare business in menti, ma anche che mantengano gli impegni Cina bisogna avere una presenza stabile nel paese». E insegnare ai cinesi a bere il vino. Così, nel 2013, Silvana Ballotta ha lanciato Taste Italy!, con lo scopo di supportare su un piano operativo l’accesso sul mercato cinese delle aziende agroalimentari italiane, e ha creato la prima accademia di vino italiano dedicata al consumatore cinese: la Taste Italy! Wine Accademy, (con
il patrocinio di Ismea, Mibact e
Ambasciata cinese in Italia) che oggi conta otto sedi nelle più importanti città della Cina, da Shanghai a Beijing passando per Qingdao, Chengdu, Suzhou, Wuhan, Hangzhou e Guangzhou. A oggi sono oltre 2000 i professionisti che hanno seguito i suoi corsi di formazione e specializzazione. «Mi sono chiesta quale potesse essere un sistema per aiutare il cinese a capire di cosa stiamo parlando», spiega Silvana Ballotta: «siamo abi-

tuati ad avere produttori che elogiano le bottiglie, parlano di invecchiamento, di retrogusto, ma i consumatori, in Cina, non sono preparati». Da qui, l’idea di preparare dei contenuti tradotti e adattati alla lingua cinese, in modo da renderli immediatamente comprensibili, anche graficamente, con icone che individuano le aree di uvaggio così come le caratteristiche di degustazione: acidità, tannini, zuccheri, le indicazioni sugli abbinamenti tra vino italiano e cibo cinese. La formazione è affidata a insegnanti madrelingua qualificati ed esperti di vino italiano: «Questo tipo di formazione è uno strumento chiave per incrementare le vendite del nostro vino nel paese del dragone. 
Ma non solo: promuovere il vino vuol dire anche promuovere la nostra cultura e il nostro stile di vita, quindi i prodotti italiani tutti. Oggi Taste Italy! non è più solo vino ma una vera e propria finestra dalla quale la Cina si affaccia sul nostro paese. Più che una scuola, è un momento di incontro tra due realtà». «È fuor di dubbio che il mercato del futuro, per tutti i settori, sarà in quell’area», conclude l’imprenditrice. «Noi occidentali dobbiamo munirci di strumenti adeguati per venire incontro a quel popolo di nuovi ricchi che arrivano da anni di pesanti costrizioni, con una storia plurimillenaria alle spalle, che rischiano di sembrare scostanti nei consumi, difficili da fidelizzare, perché il loro potere d’acquisto li rende molto volubili. Siamo partiti col vino, ma è solo l’inizio».

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GLI ASCENSORI DELLE ARCHISTAR? MADE IN ITALY Dal Dubai Mall a Google, dalla Sagrada Familia al Tempio di Penang: gli impianti per i progetti di Renzo Piano, Calatrava, Norman Foster, sono progettati e prodotti dalla comasca Maspero Elevatori di Marina Marinetti

L’

ascensore inclinato del Tempio di Penang in Malesia, gli ascensori del Dubai Mall, quelli avveniristici del Centro Congressi Nuvola a Roma Eur, quelli della metro di Gare Saint Lazare a Parigi, gli ascensori del Business Park di Jedda in Arabia Saudita, ma anche gli impianti del Museo di Arte Contemporanea di Mosca firmato da Renzo Piano e del British Museum di Londra. Se non fosse solo un cartone animato, persino l’ascensore di Mazinga sarebbe realizzato dall’italiana Maspero Elevatori. Cinque filiali commerciali in Italia, a Milano, Torino, Genova, Cagliari e Roma, sei all’estero, in Svizzera, Spagna, Francia, UK, Iran e India, 110 dipendenti e un fatturato aggregato, per Maspero Holding, che raggruppa ed unifica le diverse società italiane ed internazionali del gruppo, di circa 60 milioni di euro: l’azienda fondata alla fine degli anni Sessanta ad Appiano Gentile da Libero Maspero oggi è una realtà che esporta in 66 paesi grazie al suo know-how unico nel panorama ascensoristico mon-

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al mondo». Renzo Piano, Norman Foster, Nicholas Grimshaw, Santiago Calatrava, Oma, Richard Meier, Arup, Massimiliano Fuksas: è grazie alla collaborazione con studi di questo calibro che Maspero Elevatori ha sviluppato e consolidato un know-how unico nel panorama ascensoristico mondiale. «Mio padre era amico di Renzo Piano, poi abbiamo conosciuto tutti gli altri», racconta Maspero: «Abbiamo iniziato a fare impianti di lusso negli anni 80, sul lago di Como. I nostri primi clienti erano i ricchi proprietari di ville. Ci chiedevano ascensori panoramici, rivestiti in legno, inclinati, per salire dal molo alla casa. È così che abbiamo iniziato a sviluppare la nostra specializzazione in prodotti ancor più estremi, con problemi ingegneristici particolari come il cambio di diale. Dopo la scomparsa del fondatore, nel direzione. A Jedda, per esempio, abbiamo re2004, il timone è passato alla seconda genealizzato un ascensore parabolico, che parte razione: Enrico Maspero ricopre il ruolo di con un’inclinazione di 30 gradi e sale fino a Cfo, Riccardo Maspero è Direttore Commerun eliporto, inclinandosi a 90 gradi. È nostro ciale nuovi impianti. E, in tolda di comando, l’ascensore con cambio di pendenza nello c’è il ceo Andrea Maspero (nella foto), 54 studio di Renzo Piano ed è sempre nostro anni, una laurea in Ingegneria meccanica ad quello con cambio di direzione al campo di indirizzo impiantistico al Politecnico di MiBogliasco, per la Sampdoria. Un altro lavoro lano e in lungo curriculum in azienda, dalla molto interessante, alla James Bond, è quello direzione tecnica a per il British Museum A JEDDA MASPERO ELEVATORI HA quella strategica. di Londra: un ascenREALIZZATO UN ASCENSORE PARABOLICO «Fu mio padre Libesore monta-truck CHE PARTE CON UN’INCLINAZIONE ro, detto Leo, che io con la struttura di DI 30 GRADI E ARRIVA ALL’ANGOLO RETTO chiamavo Leonardo cemento e granito, come il genio del Rinascimento, ad avviare quattro pistoni idraulici in grado di sollevare il processo di internazionalizzazione», rac68 tonnellate: il tir entra letteralmente nel conta. Erano gli anni ’70 e Maspero Elevatomuseo e scende per cinque piani sotto terra, ri lavorava in Libano, Siria, Arabia Saudita: fino ai laboratori. L’architetto che lo ha dise«Allora in quei paesi non c’era nulla. Lui ha gnato è Richard Rogers, lo storico partner di cominciato, noi non abbiamo fatto nient’alRenzo Piano, con cui progettò il Beaubourg tro che seguire il solco... specializzandoci nedi Parigi». gli ascensori design, nella nicchia del lusso, Per l’industria, il Gruppo realizza progetti a lavorando con le più grandi boutique design trazione idraulica, a pignone, a cremaglie-


ra, a fune e a pantografo, con prestazioni in grado di sviluppare una capacità di carico fino a 42.000 chilogrammi e di altezza fino a 300 metri. Nel segmento delle infrastrutture progetta, realizza e installa ascensori esterni e interni, verticali e inclinati, scale e tappeti mobili completamente conformi alle normative europee e internazionali, capaci di soddisfare in modo affidabile il servizio richiesto nell’ambito delle strutture pubbliche. Ora Maspero Elevatori sta lavorando al progetto della sede di Google a New York, sta realizzando l’ascensore centrale della Sagrada Familia a Barcellona - «sarà completamente di vetro, rotondo, inserito in un vano di cristallo all’interno della scala elicoidale» - oltre agli impianti della Gare Magenta della metro di Parigi e quelli della collina di Lantau a Hong Kong. «Stiamo realizzando anche gli ascensori inclinati per la linea 14 a Manhattan», aggiunge Andrea Maspero. Inutile dire che competitor non ce ne sono molti: «Nel mondo siamo in tre a realizzare ascensori così particolari. Ci siamo noi, un’azienda coreana e la tedesca ThyssenKrupp». Le commesse? Arrivano quasi da sole: «Sono le nostre rea-

Confindustria, che rappresenta le imprese elettrotecniche ed elettroniche che operano in Italia. E ora, dopo due mandati, è in corsa per la presidenza. «Raggruppiamo 13 settori merceologici, con aziende del calibro di Sts, Siemens, Abb, ma il 90% come tipicamente italico, è costituto da pmi. Sviluppiamo 80 miliardi di euro di fatturato, con 500mila addetti». Imprese che oggi più che mai intendono far sentire la propria voce: «In un contesto di incertezza come questo, come Anie dobbiamo essere sempre più presenti a tutti i tavoli, perché permeiamo trasversalmente tutta la realtà produttiva italiana». E qui il politico cede il passo all’entusiasmo dell’ingegnere: «Quindici anni fa al Kilometro Rosso inventarono un sistema che permetteva di attivare il telefonino semplicemente camlizzazioni a raccontare l’azienda. I grandi arbiandolo di posizione, non so se le ricorda chitetti studiano con noi le soluzioni migliori qualcosa... Le nostre aziende realizzano quei a livello ingegneristico. Ma nulla è semplice: prodotti che quando arrivano sul mercato è tutto frutto di anni e anni di lavoro per cambiano il nostro sistema di vita. Così per tessere una rete di relazioni e svilupparla l’accumulazione di energia: con le smart nei decenni. Sono processi lunghi che vanno grid tra un po’ saremo tutti interconnessi, continuamente aliriverseremo con l’auANDREA MASPERO È IN CORSA PER mentati». to elettrica di notte LA PRESIDENZA DI ANIE CONFINDUSTRIA La crescita? Quello quello che prelevereCHE RAPPRESENTA LE IMPRESE di Maspero è uno dei mo di giorno. Oppure ELETTROTECNICHE ED ELETTRONICHE pochi casi in cui non l’industria 4.0: chiunpuò avvenire per linee esterne «perché il que ha una macchina colloquia in remoto nostro è un prodotto custom made, non ci sullo stato manutentivo. E la fabbrica Masono aziende da acquisire. Quindi puntiaserati di Grugliasco che produce la Levante mo sui nuovi mercati e sulle collaborazioni è stata studiata dalle macchine! Dobbiamo con il settore energetico e petrolchimico nel farci conoscere maggiormente per avere più Golfo. Lavoriamo con Aramco, Adnoc, Eni, peso nel sistema confindustriale: i nostri asTecnimont, Technip. Ma anche la Russia è un sociati devono avere il peso politico che ci mercato promettente. Stiamo realizzando compete. Rappresentiamo il 20% del Pil, ma gli impianti del nuovo museo di arte connon veniamo mai aiutati: nelle scelte polititemporanea di Mosca, disegnato da Renzo che si parla di altro, di migranti, di reddito Piano per la fondazione V-A-C dell’oligarca di cittadinanza, mentre non si parla mai di Leonid Mikhelson». La specializzazione è politica industriale. Eppure siamo la seconfiglia dell’investimento in ricerca e svilupda manifattura europea. Immagini cosa riupo: «Spendiamo il 5% in R&D», sottolinea sciremmo a dare se fossimo non dico aiutati, Maspero. E aggiunge: «Siamo a un punto ma semplicemente lasciati stare. E invece superiore alla media del nostro settore. La la politica ci vede danneggiati, per esempio media Anie si attesta intorno al 4%». Andrea con la plastic tax. La nostra è un’industria Maspero è dal 2012 Vice Presidente con sana, vorremmo poter lavorare in un contedelega per l’Internazionalizzazione di Anie sto normale».

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Quando il passaggio padre-figli crea crescita e sviluppo Riorganizzare un’azienda familiare in senso manageriale e piramidale, responsabilizzando le figure chiave e ripensando il ruolo dei soci, che diventano essi stessi manager: il caso di Greenthesis Group di Davide Passoni

L

a vecchia teoria dell’organizzazione scientifica del lavoro consisteva nel concepire il pensiero organizzativo solo attraverso strutture e procedure; si scopre ora che lo spirito umano è il migliore strumento di integrazione che permette di affrontare la complessità», sosteneva il sociologo francese Michel Crozier. Un pensiero che vale anche nella gestione del passaggio generazionale, specialmente se improvviso e, purtroppo, imposto da un lutto. È il caso dello spirito umano che anima Andrea Grossi, socio di riferimento di Greenthesis Group, così come sua sorella Simona. Il gruppo basato a Segrate, a due passi da Milano, gestisce con approccio integrato le molteplici attività connesse al trattamento, allo smaltimento, al recupero dei rifiuti, alle bonifiche ambientali e alla valorizzazione energetica dei rifiuti di origine industriale e civile. Un’impresa familiare nella quale un passaggio generazionale ben gestito, ancorché traumatico, ha portato sviluppo e crescita.

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Tessuti antichi e abiti nuovi «Per me e mia sorella - dice Andrea Grossi - è stata talmente improvvisa la morte di nostro padre Giuseppe e talmente grande e articolato il gruppo che dirigeva, che non abbiamo avuto la possibilità di scegliere: abbiamo dovuto agire e attuare un cambio generazionale forte e deciso, cercando di dare un taglio

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nostro all’azienda. Provo a spiegarmi con un esempio. Mio padre era alto 190 cm e pesava 100 kg, io sono alto 170 cm e peso 70 kg; non potendo usare i suoi abiti, ho cercato di prenderne i tessuti pregiati e di adattarli a me, per cucirmi un vestito su misura. Lo stesso per mia sorella Simona. Come abbiamo attuato dunque il cambiamento generazionale? Innanzitutto dando un taglio aziendale a una gestione piramidale: ci sono dei soci di riferimento, in questo caso Andrea e Simona Grossi, che hanno dato autonomia gestionale alle varie funzioni aziendali, responsabilizI FIGLI DEL FONDATORE, GIUSEPPE GROSSI, ALLA MORTE DEL PADRE NON HANNO AVUTO IL TEMPO DI SCEGLIERE: HANNO DOVUTO AGIRE IN MODO RAPIDO

zando il management. Mancava però il filtro tra le varie funzioni aziendali e la proprietà: lo abbiamo creato nominando un direttore generale, figura che con mio padre non c’era. Lui aveva una gestione tipicamente padronale, mentre noi abbiamo scelto una gestione manageriale, essendo azionisti ma al contempo manager nell’azienda di nostra proprietà, dove però non agiamo da “padroni” perché sono cambiati gli stili di direzione. Siamo remunerati in funzione del ruolo che ricopriamo; poi, come soci, prenderemo i dividendi se e quando ci saranno. Penso sia un modo sano di porre la giusta distanza tra sé e la propria

azienda, in modo da evitare di commettere errori dettati da un eccessivo coinvolgimento. Inoltre, abbiamo cambiato il 99% delle persone presenti nei ruoli apicali e i risultati ci danno ragione».

Ripensare un modello Da un lutto improvviso, i due fratelli sono riusciti a trarre una spinta positiva per l’azienda, costruendo anche un clima rinnovato. «Tengo a sottolineare che io e Simona abbiamo cercato di creare con le persone nei ruoli chiave a noi più vicine svariati momenti di team building: da una cena insieme, a una bottiglia di vino condivisa dopo cena, oltre a partecipare a corsi interni di formazione, team building e tutte le iniziative della nostra Academy. Situazioni semplici, ma che possono correlare la capacità umana e manageriale al piacere di stare insieme. Alla fin fine, passiamo al lavoro l’80% del nostro tempo e non possiamo pensare di non condividere del tempo libero aziendale con le persone con cui lavoriamo gomito a gomito. È un approccio impensabile con la gestione aziendale di una volta, in cui tanti imprenditori, come anche mio padre, erano i padroni dell’impresa e il personale erano “i sottoposti”. Nel 2019 non è un modello praticabile, non per screditare quanto fatto in passato, ma semplicemente perché sono cambiati i tempi. La nostra svolta, come detto prima, è stata dare


una struttura piramidale all’impresa, con i responsabili di funzione scelti per la loro affinità con la nostra visione imprenditoriale e con il collettore che è la direzione generale, che all’epoca di mio padre non esisteva: lui era la proprietà, amministratore delegato e direttore generale insieme».

In alto, l’impianto di termovalorizzazione della Rea Dalmine Spa, società del gruppo, che si occupa del cosiddetto ciclo del Waste-to-Energy. Qui sopra, i fratelli Andrea e Simona Grossi, che si sono dati l’obiettivo di creare, con le loro aziende, un polo privato leader a livello europeo e mondiale

poi si troverà ad affrontare comunque il passaggio generazionale dell’azienda nei panni di chi cede il testimone, con già però le idee chiare: «Ho quattro nipoti ed è come se fossero miei figli. Se vorranno lavorare in azienda dovranno dimostrare in maniera pratica e non teorica le loro capacità, passando dall’ufficio del personale, facendo colloqui e mettendosi alla prova. Oppure lavoreranno altrove, se non saranno portati per questo ambito. Più l’azienda ha redditività, più investiamo in essa, per ingrandirci e per creare nuovi posti di lavoro: perché l’obiettivo di un’impresa non deve essere solo quello di generare ricchezza, ma anche benessere, per chi ci lavora e per il territorio in cui sorge».

Orgoglio e pregiudizio Tutto questo in un settore produttivo, quello del ciclo dei rifiuti, sul quale negli ultimi anni i riflettori accesi dall’opinione pubblica si sono fatti sempre più luminosi, per via di una accresciuta sensibilità ambientale, ma non solo. «Come buona parte delle imprese che operano nel nostro ambito - precisa Grossi -, anche noi siamo stati vittime di un pregiudizio giudiziario e mediatico che, fortunatamente, è poi Nel nome del padre finito in nulla. Questo perché l’Italia è l’unico Quando un padre lascia un’azienda ai figli, Paese nel quale chi fornisce un servizio come lascia sì un patrimonio economico ma anche il nostro sconta il pregiudizio di essere conuno morale: «Il più grande insegnamento che siderato come colui che inquina, ribaltando mi ha lasciato mio padre - conclude Grossi di fatto la percezione è la capacità di saper della finalità reale del- IL GRUPPO È RIMASTO L’UNICO PLAYER ascoltare, per prenPRIVATO DEL SETTORE A ESSERE la nostra opera, ossia dere le parti migliori QUOTATO, CONFERMANDO LA VOLONTÀ lo smaltimento, il trat- DI LAVORARE IN TOTALE TRASPARENZA delle esperienze degli tamento, il recupero interlocutori, farle dei rifiuti e la bonifica dei siti. Un’opera che proprie e metterle in pratica nella vita d’aportiamo avanti creando impianti tecnologizienda. Lui pensava che quando ci si mette a camente avanzati e in linea con tutti i dettami un tavolo con una persona, anche se si è più di legge, anche perché il settore in cui operiabravi di lei, non la si deve mai sottovalutare, mo è estremamente normato. Peccato che, a perché così facendo già ci insegna qualcosa. livello nazionale, esso venga visto e percepito, Mi ha lasciato anche il senso della famiglia e al pari di quelli della sanità e delle infrastrutdell’unione: come in ogni famiglia si può diture, come un settore in cui si nasconde il mascutere, litigare, arrabbiarsi, ma alla fine il Nalaffare. Non è così. Noi offriamo un servizio di tale lo si passa sempre insieme e si fa di tutto cui siamo orgogliosi e che, per essere erogato, per andare d’accordo. E il rispetto della paroprevede la realizzazione di impianti altamenla: per lui, per chiudere un contratto bastava te tecnologici: non a caso, siamo rimasti l’uniuna stretta di mano. In questo, io e mia sorella co player privato, quotato, nel settore. Siamo siamo proprio come nostro padre. Penso che, quotati perché vogliamo offrire trasparenza se fosse qui, sarebbe contento dell’impostae il fatto di essere in Borsa ce la dà. Sono il zione che abbiamo dato all’azienda, dei risulprimo ad aprire le porte delle mie aziende a tati e di quello che vogliamo che diventi da chiunque voglia vedere come lavoriamo: non qui a dieci anni: puntiamo infatti a creare il abbiamo nulla da nascondere». polo privato leader del settore a livello europeo e mondiale. È un sogno: se si realizzerà Prima le capacità, prima l’azienda bene, altrimenti sarà comunque un grande Anche se Andrea Grossi non ha figli, prima o successo essere arrivati dove siamo oggi».

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STORY-LEARNING

Il vino rosato del prete rinasce nel Monferrato Il 60% del Ruchè Docg proviene dai 175 ettari delle tenute Montalbera, di proprietà della famiglia che negli anni Cinquanta ha portato il pet food in Italia. Una storia antica, iniziata con un beneficio parrocchiale di Riccardo Venturi

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ietro a un grande vino c’è sempre un lavoro di anni, o meglio decenni, fatto di pazienti tentativi e affinamenti. Dietro al Ruchè di Montalbera, che nella versione Laccento 2018 è stato insignito dei tre bicchieri dalla Guida d’Italia del Gambero Rosso, c’è di più: il primo cibo per cani e gatti venduto in Italia, l’amore per il buon vino di un prete piemontese, la riscoperta di un vino e di un vitigno tradizionale dimenticati. Andiamo con ordine: a portare il pet food in Italia negli anni Cinquanta è stato Enrico Morando, che dopo aver visto le pubblicità affisse ai muri di Marsiglia, e dopo mesi di analisi e ricerche, riuscì a ottenere dal ministero della Sanità la prima licenza di vendita di cibo per cani gatti; oggi Morando è uno dei player principali del mercato (i brand più noti sono Migliorcane e Migliorgatto). Enrico era nato nella tenuta agricola di famiglia a Castiglione Tinella, nelle Langhe tra Asti e Cuneo, con

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una solida tradizione vitivinicola. «Mio nonno non ha mai dimenticato la sua provenienza e faceva gestire l’azienda agricola da un mezzadro» racconta Franco Morando, 39 anni, che oggi segue in prima persona le attività vitivinicole del gruppo Morando, «finché nel 1980 fu invitato dal sindaco di Castiglione Tinella Lidia Bianco insieme al parroco, don Giacomo

WALTER MORANDO CON IL FIGLIO FRANCO

Cauda, che trovò come beneficio parrocchiale tre filari di viti Ruchè, vitigno autoctono e caratteristico della tradizione piemontese. Don Cauda, da sempre innamorato del vino, andò ad assaggiarlo, e scoprì una piacevolezza, una morbidezza, una setosità senza precedenti». Così il parroco di Castiglione Tinella impiantò altri tre filari con l’innesto; e grazie anche alla sua azione, in accordo con Enrico Morando, si riscoprì questo vino. Ma la famiglia Morando possedeva terreni fin dall’inizio del Novecento anche a Castagnole Monferrato, dove verso la metà degli anni Ottanta ha avviato una politica di espansione ancora in corso: si sono così raggiunti i 160 ettari in un unico appezzamento che, uniti ai 15 ettari di Castiglione Tinella, costituiscono l’azienda vitivinicola Montalbera. Oggi circa il 60% del Ruchè di Castagnole Monferrato Docg (ben 82 gli ettari) e circa il 15% del Grignolino d’Asti Doc proviene dalle cantine Montalbera. Le vigne ricoprono sei intere colline, mentre nel fondovalle trova spazio la coltivazione della tipica nocciola piemontese. I vigneti hanno età variabili dai 7 ai 30 anni, la vendemmia si fa a mano. «Al di là delle rivoluzioni, delle evoluzioni sulle tecniche enologiche, delle scomparse e delle rinascite» osserva Franco Morando, «non va dimenticato che la sinfonia di fragranze, l’incanto di sapori, il miracolo d’armonia dettata da un gran vino è il salario di un lavoro minuzioso in vigna e in cantina, spiccato talento ad interpretare un’enologia che unisce tradizione con innovazione attenta ai nuovi gusti del moderno ed esigente consumatore». La recente ristrutturazione e gli investimenti in attrezzature e tecnologia hanno inserito Montalbera tra le aziende vitivinicole tecnologicamente più avanzate a livello nazionale e internazionale. «Non ci rallegreremo mai abbastanza di vedere aumentare il numero di appassionati, e di intenditori, conquistati dal piacere dei sapori e dai vini firmati Montalbera. Forse si tratta proprio di amore, ma Montalbera vuole andare oltre i confini per far conoscere questo autoctono a tutto il mondo enologico» aggiungono Franco e la famiglia Morando.


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FRANCHISING & NUOVE IMPRESE Da soli e ben accompagnati: sono i professionisti che scelgono l'affiliazione per mettere in piedi il proprio business. Tanto che ormai sono 961 le insegne e 206mila gli addetti.

114 ALIMENTARE LA REGINA DI PAESTUM TRIONFA IN TAVOLA

116 GROWERS FOR CHANGE UN NETWORK PER ACCELERARE IL BUSINESS DELLA CANAPA

117 COLDWELL BANKER IL FRANCHISING RIPORTA AL CENTRO LE PERSONE

118 NOTIZIE IN BREVE I CASI DI SUCCESSO E LE OPPORTUNITÀ DEL MERCATO

LA FORZA DELLA RETE FA GRANDE IL PROFESSIONISTA Alla base del successo del network immobiliare Engel & Völkers, leader nel segmento del pregio, c'è la condivisione di marchio, servizi, operatività e strategia. Tanto da ispirare persino i competitori... di Paola Belli

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l franchising oggi rappresenta una straordinaria opportunità e tra le forme più sicure di impiego per chi desidera intraprendere una nuova attività, un’occasione per chi desidera mettersi in proprio e diventare imprenditore. Allo stesso tempo, il franchising costituisce anche un valido strumento per le aziende che vogliono espandere il proprio marchio e aumentare il giro d’affari. Se si pensa ai numeri che ruotano intorno al business, in Italia, a fine 2018, questo modello distributivo ha rappresentato 961 insegne, 54.000 punti vendita, oltre 25 miliardi di giro d’affari, oltre 206 mila addetti nelle reti, il 29% dei franchisee ha un’età compresa tra i 25 ai 35 anni ed il 35% è rappresentato da donne. Questi sono i dati rilevati da Assofranchising, una delle più importanti associa-

zioni di franchising in Italia. «Questo modello distributivo, soprattutto per il settore immobiliare, rappresenti un’opportunità concreta ed estremamente interessante per chi vuole misurare le proprie capacità imprenditoriali»,. spiega a Economy Alberto Cogliati, direttore Commerciale di Engel & Völkers Italia e membro del Board di Assofranchising dal 2015. «Ritengo il franchising un sistema virtuoso non solo in quanto scambio tra fornitore e cliente, ma anche perché è basato su un perfetto equilibrio tra tutte le componenti dove i successi personali rappresentano il successo aziendale e dove vengono condivisi marchio, servizi, operatività e strategia». Il business in franchising di Engel & Völkers, azienda leader del segmento Real Estate di

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FRANCHISING E NUOVE IMPRESE

pregio, presente con 800 uffici residenziali e commerciali in più di 30 Paesi e 4 continenti, è a sua volta declinato su 3 asset fondamentali: marchio, network e servizi. Il marchio rappresenta il blasone, il simbolo che crea affiliazione, riconoscibilità e senso di appartenenza. Un marchio internazionale di grande prestigio come Engel & Völkers ha un valore intangibile fondamentale sui risultati. Il network come filosofia di vita che consente di raggiungere una determinata massa critica e fare economie di scala, come un modo di vivere e condividere con cultura, apertura mentale, entusiasmo e soprattutto confronto che stimola il miglioramento. ALBERTO COGLIATI Ultimo, ma non da ultimo: i servizi. Engel & Völkers eroga servizi customizzati, targhettizzati ed esclusivi per la propria clientela che decidono di avviare nuove imprese». molto spesso, soprattutto per quanto riguarda Aprire un franchising rappresenta per molti il marketing, sono “fonte di ispirazione” anche imprenditori e imprenditrici poter realizzaper gli altri competitor sul mercato. re il proprio sogno professionale, investendo «Alcuni prodotti offline, che vengono svilupsul territorio e creando opportunità occupapati internamente, e molti modi di comunicazionali. «In Engel & Völkers sono soprattutto re online (tramite la piattaforma innovativa le quote rosa un esempio virtuoso in quanto aziendale) vengono infatti imitati anche dalla non solo rappresentano in qualità di licence concorrenza, fortunatamente impossibilitata partner il 53% del nostro network, ma sono a replicare il nostro soprattutto fedelmenDIVENTANO PARTNER COLORO CHE marchio o il nostro te allineate a stardard VOGLIONO DIVERSIFICARE IL PROPRIO network in Italia», conqualitativi d’eccellenBUSINESS E MANAGER CHE DECIDONO tinua Cogliati. za nell’esercizio della DI APRIRE UNA PROPRIA ATTIVITÀ Parlando dell’espeloro professione quorienza di Engel & Völkers sul mercato italiano, tidiana. All’interno del nostro network tutti i i contratti con nuovi partner in franchising nostri franchisee condividono i nostri tre valovengono sottoscritti da liberi professionisti, ri aziendali: competenza, esclusività, passione. imprenditori o investitori di diversa estrazione. Essere competenti attraverso la formazione, «Diventano partner, infatti, tutti coloro che perché solo attraverso la stessa si può coinhanno deciso di diversificare il proprio busivolgere e rassicurare un cliente; la formazione ness, oppure, in maniera più specifica, dirigenti cura i dettagli che fanno la differenza. Essere e manager di società nazionali o multinazionali esclusivi in quanto l’unicità della nostra soche, fuoriusciti dalle società per le quali lavoracietà è rigorosamente riconosciuta ed acclarano, hanno in questo modo l’opportunità di aprita. Essere unici per fare sentire unico il proprio re un’attività, a fronte degli anni di esperienza cliente. La passione in quanto elemento caratlavorativa, magari tornando proprio nelle città terizzante e determinante perché chi svolge di origine», spiega il direttore Commerciale di la nostra professione con amore continua ad Engel & Völkers Italia. «Possiamo dire che queottenere i risultati desiderati e la clientela sta tipologia di clienti hanno rappresentato nestessa ne percepisce immediatamente il valogli ultimi 18 mesi la quasi totalità dei contratti re aggiunto». sottoscritti. Sono numerose anche le donne che Per il prossimo triennio Engel & Völkers pun-

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IL FRANCHISING RAPPRESENTA POTER REALIZZARE IL PROPRIO SOGNO PROFESSIONALE ta a sottoscrivere 100 contratti di affiliazione, dagli attuali 70. I target sono molto ambiziosi, in Italia è presente un mercato del pregio che è perfettamente in linea con il target di mercato della società tedesca. «Obiettivo primario è aumentare la nostra penetrazione sul mercato di riferimento andando ad aprire nuovi punti vendita soprattutto nel centro e nel sud Italia dove la nostra presenza è più limitata rispetto al nord», specifica Cogliati. «La nostra clientela è una clientela abbiente che prevalentemente compra immobili non per investimento a scopi di rendita, ma per motivi edonistici al fine di utilizzare il bene stesso per business, a scopo vacanziero o come scelta di vita. La stessa clientela si aspetta un rapporto di fiducia con lo shop locale al quale si rivolge e che lo segua a 360° gradi in quanto delega il tutto all’agente immobiliare locale, non occupandosene direttamente». Per ulteriori informazioni sull’apertura di uno shop in Franchising Engel & Völkers contattare: Engel & Völkers Italia Via Dante, 16 – 20121 Milano Italia@engelvoelkers.com Tel: 02-584 99 61 www.engelvoelkers.it www.evfranchising.it



FRANCHISING E NUOVE IMPRESE

LA PALESTRA 2.0 ALLENA GLI ATLETI E I FRANCHISEE Aperte 24 ore su 24, 7 giorni su 7 e 365 giorni all’anno, le strutture di Anytime Fitness offrono servizi d’avanguardia sia a chi ama il benessere, sia a chi cerca opportunità di business. Dall’Europa fino... al Polo Sud di Davide Passoni al trasferimento della sede da Roma a Milano, la nostra azienda si è strutturata in maVARE UN BILANCIERE DA 60 KG. CHE FATE? niera importante, sia sotto il punto di vista VI VESTITE, USCITE E ANDATE IN PALESTRA. manageriale sia operativo. È stato nominato Alle 2? Sì, perché esiste una realtà del fitness Roberto Ronchi come Chief Operating Offiin franchising accessibile a qualunque ora del cer con esperienza trentennale nel mondo giorno e della notte, che fa della flessibilità del franchising. La rete vendita e sviluppo è della formula uno dei propri punti di forza. stata potenziata attraverso l’inserimento di Anytime Fitness si propone infatti come pafigure altamente selezionate e il dipartimento lestra “always on” e come interessante opmarketing è guidato da Luca Briaschi, profesportunità per chi vuole investire nel settore sionista del settore con importanti esperiendel benessere. Lo testimoniano Domenico ze all’interno di grandi multinazionali dello Mercuri e Rino Centrella, due imprenditori sport. italo-australiani che Qual è il punto di forLE PALESTRE DI ANYTIME FITNESS hanno acquisito dalla za del business che SONO PRESENTI IN 37 PAESI, casa-madre la licenza CON OLTRE 4500 STRUTTURE. IN ITALIA propone? d’uso del marchio per L’OBIETTIVO È AVERNE 50 ENTRO IL 2020 Anytime Fitness è l’ulo sviluppo della rete nico franchising predi franchisee sul territorio italiano. sente in tutti i 7 continenti ed è la catena del fitness che cresce più velocemente al mondo. Che cosa vi ha spinto a compiere questo È stata infatti inaugurata da poco una palepasso nel 2016? stra Anytime Fitness all’interno della MagelLe motivazioni che ci hanno spinto ad acquilan Explorer, una piccola nave da crociera che sire la licenza d’uso del marchio per lo sviluppo in Italia sono diverse: tra tutte, quelle di rinsaldare il legame con la terra in cui affondavano le nostre radici familiari e cogliere un’interessante opportunità di business. L’Italia, infatti, si presentava come un mercato allettante visto che mancavano sul territorio offerte simili a quella di Anytime Fitness. È andata bene: quante palestre conta oggi la vostra catena? Oggi Anytime Fitness conta 19 club in Italia, distribuiti tra Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna e Lazio. Il piano di espansione prevede di raggiungere 50 palestre entro la fine del 2020, con 10 nuove aperture già programmate per il primo trimestre dell’anno. DOMENICO MERCURI Visti gli ambiziosi traguardi prefissati, oltre IMMAGINATE DI SVEGLIARVI ALLE 2 DI NOTTE E DI AVERE UNA VOGLIA MATTA DI SOLLE-

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solca i mari dell’Antartide e che ha permesso al brand di conquistare anche questo territorio. Presente in 37 Paesi con oltre 4.500 palestre, il tasso di crescita globale del marchio è impressionante: la media è di una nuova palestra aperta al giorno. A chi vi rivolgete per ampliare la rete? L’offerta di affiliazione si rivolge a imprenditori - non necessariamente con esperienze specifiche nel settore del fitness -, manager o professionisti che vogliano avviare in prima persona, o in società, un nuovo business che possa migliorare la loro vita. Persone interessate a investire in un format caratterizzato da solidità finanziaria e stabilità del network, che nel 60% dei casi ha consentito ai franchisee di tutto il mondo di diventare proprietari di più di una palestra. Come vi ponete rispetto ai vostri competitor? In un mercato del fitness come quello italiano, fortemente frammentato, noi puntiamo a diventare il primo marchio in franchising del

RINO CENTRELLA


settore già nei prossimi 2-3 anni. La nostra forza è quella di riuscire a essere sempre al passo con i tempi e anticipare i bisogni del mercato, instaurando un rapporto di grande fiducia con i franchisee, cui offriamo un sostegno continuo, prima durante e dopo l’apertura della palestra. L’obiettivo è offrire agli affiliati l’opportunità di avviare un’attività stabile e redditizia, adatta sia per il proprio futuro sia per quello della propria famiglia, attraverso un supporto e un’assistenza a 360 gradi. E per la clientela quali sono i vantaggi? I fattori che rendono uniche le palestre Anytime Fitness e che hanno già conquistato oltre 4 milioni di persone nel mondo sono numerosi. Le nostre palestre sono accessibili 24 ore al giorno, 7 giorni su 7, 365 giorni l’anno, così da soddisfare le esigenze di qualsiasi tipo di utente. Grazie a una chiavetta magnetica che il cliente riceve al momento dell’iscrizione, è infatti possibile accedere a ogni centro Anytime Fitness nel mondo, in qualunque momento. Non solo: i club Anytime Fitness sono particolarmente apprezzati per il design moderno ed elegante, i servizi all’avanguardia, gli avanzati sistemi di sicurezza con video-sorveglianza attiva h24 e i macchinari di ultima generazione, che rendono la fitness experience ancora più interattiva e coinvolgente.

Anytime Fitness è quindi la palestra per tutti, sempre? I nostri club sono pensati affinché tutti, a ogni età, possano trovare la risposta più efficace all’allenamento di cui hanno bisogno. I corsi spaziano dal mondo aerobico a quello anaerobico e l’area funzionale è equipaggiata con tutto ciò che serve. Oltre alle tradizionali lezioni di gruppo, Anytime Fitness ha introdotto all’interno dei propri club anche il totem FunXtion: una station che funge da personal trainer virtuale con oltre 1500 esercizi differenti, allenamenti individuali, di gruppo e sfide contro il tempo. L’App Anytime Fitness, ad uso esclusivo dei soci, permette inoltre di programmare i propri allenamenti e monitorarne le relative performance. Il nostro format offre servizi di alta qualità a prezzi equilibrati, garantendo ai clienti il miglior standard al miglior costo. Si pone infatti come la giusta alternativa tra club chic e pretenziosi e palestre economiche ma eccessivamente affollate. Se dovesse paragonarsi a un’altra forte catena del franchising, a chi si paragonerebbe? Ci ispiriamo a grandi catene in grado di dare un servizio di altissimo livello all’affiliato, supportandolo in ogni fase dell’attività attraverso un’assistenza attenta e professionale. E se qualche altro manager o professioni-

sta volesse cimentarsi nell’apertura di una palestra, che investimento deve preventivare? E quali dotazioni in competenze, ubicazione, attrezzature? Anytime Fitness garantisce servizi di formazione e aggiornamento continui, seguendo il partner in qualsiasi momento. Il servizio di geo-marketing sul territorio è assicurato fino a quando l’affiliato non avrà trovato il locale giusto per i parametri “Anytime”. Nel caso in cui il franchisee proponesse già una determinata location, verrebbe ovviamente tenuta in considerazione compiendo su di essa un’attenta analisi ai fini di evidenziarne punti di forza e di debolezza. Ciò definito, avanziamo con la fase progettazione e design attraverso professionisti del settore che si assicurano di rendere funzionali e adattare al mercato le linee guida imposte dalla casa madre. Anytime Fitness assicura inoltre all’affiliato un supporto per la promozione del centro e per la strategia di marketing generale da attuare sul territorio, sia in fase di prevendita sia dopo l’apertura. Il training, la formazione e l’aggiornamento continuo del personale e dello staff commerciale rappresentano delle prerogative imprescindibili del format di business. Il franchisee è inoltre agevolato nella gestione del proprio business attraverso un portale intuitivo che permette la gestione del club anche da remoto. L’investimento preventivato e i servizi offerti, grazie all’affiliazione a un brand globale, prevedono infine forti agevolazioni per l’accesso ai finanziamenti. Con quale ritorno sull’investimento? Il ritorno sull’investimento rappresenta uno dei punti di forza del nostro modello di business. Ad oggi offriamo al mercato un prodotto che assicura una competitività tra le più interessanti che si possono trovare sul panorama italiano. Anytime Fitness è una vera e propria opportunità per il futuro, rappresentata da un investimento ad alto rendimento e rischio contenuto. sales@anytimefitness.it +39 02 49537611 www.anytimefitness.it

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FRANCHISING E NUOVE IMPRESE

PAESTUM, LA REGINA DELLE MOZZARELLE DI BUFALA

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a Regina di Paestum è un progetto imprenditoriale nuovo: Food made in sud, mozzarella artigianale di bufala.

Le Bufale Il bufalo Mediterraneo Italiano è una razza bovina di bufalo (es. la bufala di Paestum) apprezzata per il latte generato dalle bufale, che è utilizzato per la produzione della mozzarella di bufala ed altri formaggi come ricotta, scamorza, yogurt ed altri prodotti squisiti. Ultimi studi hanno scoperto che il latte di bufala è capace di inibire i tumori del colon e della tiroide.

Mozzarelle La mozzarella artigianale di bufala è un formaggio freschissimo a pasta tenera e viene prodotta esclusivamente con latte di bufala. Un prodotto ad alto valore aggiunto soprattutto per tutti i consumatori che hanno un palato raffinato e amano il sapore vero del latte fresco di bufala. Qui spunta il progetto La Regina di Paestum, l’idea di voler valorizzare la mozzarella arti-

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gianale di bufala con una diffusione capillare in tutto il territorio nazionale, mantenendo sempre la qualità e caratteristica del prodotto, che con tanta maestria viene lavorato da sapienti mani in modo meramente artigianale da creare quel gusto originale proprio dei nostri territori. Ovviamente useremo la metodologia commerciale a Noi conosciuta quale appunto quella del Franchising come rete distributiva unica, partendo da un punto vendita pilota nella Città di Battipaglia, in provincia di Salerno (Strada Statale 18 n.138), inaugurato il 30 giugno 2018, per poi presentarlo nelle principali Città Metropolitane. Una specialità artigianale, quella della mozzarella di bufala, dove questo prodotto viene mozzato a mano e non è presente nella rete della grande distribuzione e che grazie al lancio del punto pilota abbiamo già individuato altre location su Bologna, Trieste e Milano. I Nostri Prodotti di Bufala Campana - Scamorza Fresca e Provola Affumicata - Burro e Ricotta di Bufala - Formaggio di Bufala

La Regina di Paestum dei F.lli Paduano P.IVA 05700470650 - N.REA SA 466929 Sede Legale: Eboli (SA) Via dell’Olmo n.11 - 84025 Punto Vendita Pilota: Battipaglia (SA) S.S. 18 n. 138 Produzione e Allev. Bufalino: Capaccio Paestum (SA) Email: info@lareginadipaestum.it PEC: francescopaduano@pec.it 800-242616 www.lareginadipaestum.it


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PERCHÈ SCEGLIERCI Entrando a far parte del progetto La Regina di Paestum, con la metotologia commerciale del Franchising come rete distributiva unica, sarà possibile toccare con mano i seguenti vantaggi: 1. Basso investimento iniziale 2. Ritorno rapido delle spese sostenute 3. Rapidità nel disbrigo delle pratiche amministrative 4. Libertà nella gestione del locale 5. Personalizzazione dell’offerta con prodotti artigianali rigorosamente selezionati 6. Valorizzazione del territorio 7. Prodotti di qualità certificata

"La qualità non nasce dal caso" I PRODOTTI: AGRICOLTURA BIOLOGICA ITALIA La Regina di Paestum offre, oltre ai prodotti realizzati con il latte di bufala, ulteriori eccellenze del territorio selezionate con cura in base all’indicazione geografica del punto vendita: 1. Mozzarella di Bufala 2. Formaggio e ricotta di bufala 3. Prosciutti e Salumi stagionati 4. Biscotti e vini Locali 5. Specialità territoriali biologiche 6. Prodotti tipici e Gastronomie artigianali in base alla collocazione geografica del punto vendita

Investi in un settore redditizio e in forte crescita.

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FRANCHISING E NUOVE IMPRESE

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Un network per accelerare il business-canapa in Europa Tecnologia, assistenza legale, competenze di marketing, contatti con investitori e persino un premio in denaro: è l'offerta alle startup di Growers for Change, il primo acceleratore "green" europeo

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are del mondo un posto più green. Come? Sostenendo imprenditorialità, brevetti, startup impegnate sul fronte della canapa. Growers For Change è il primo acceleratore di startup Green con focus Cannabis in Europa. Fondato da Andrea Batticani, imprenditore seriale, fondatore MamaMary, alumni Luiss, ex-Google e già Cfo di Maccelerator a Los Angeles, assieme a una cordata di imprenditori Americani, Growers For Change investe in startup che mettono al centro del loro modello di business la green economy e la sostenibilità. «Credendo nelle potenzialità di cooperazione e collaborazione, la nostra mission è quella di salvare il Pianeta dal cambiamento climatico, attraverso lo sviluppo di startup innovative che utilizzano la Cannabis e altre piante, in combinazione con innovazione e tecnologia, con l’obiettivo di creare modelli economici sostenibili che preservino il futuro dell’ambiente. Il nostro lavoro si avvale spesso dell’aiuto di altri player fondamentali, come comunità metropolitane, organizzazioni no-profit, istituzioni, fondi di investimento e aziende che condividono la nostra visione e i nostri valori».

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Perché proprio la canapa? Perché oltre ad essere una risorsa naturale, medica e sociale come nessun’altra presente sulla Terra, risulta essere uno dei mercati che ha fatto registrare la crescita maggiore negli ultimi anni. Quando agricoltura e innovazione operano in maniera armoniosa, il risultato è un’economia diversa, che noi definiamo circolare, in grado cioè di creare valore per tutti, senza andare a scapito di nessuno, spiega Batticani: «E se si pensa ai numerosissimi utilizzi che la canapa può avere per l’ambiente (produzione di bioplastica, carta, cordame, tessuti, bioedilizia, fitorisanamento di terreni inquinati e molto altro), la nostra soluzione è facile: più piante, meno inquinamento. La nostra missione sarà quella di rendere tutto questo più fruibile, diffuso ed equo, offrendo un’alternativa socio-economica laterale e fluida. Fedeli alle nostre idee, i nostri spazi sono stati costruiti da materiali di scarto ed ecologici, facendo immergere i coworkers in un habitat “rigoglioso”». «In linea con la nostra mission, vogliamo creare un network positivo fatto di tecnologia, know how e cuori pulsanti», continua

Batticani. «Abbiamo così deciso di avviare il primo programma di accelerazione già da Gennaio 2020, premiando le migliori startup eco-innovative, con 25mila euro, fornendogli loro gli strumenti, economici e non, per poter aver successo nel mercato di riferimento e puntare alla scalabilità. Cerchiamo investitori e partners con vision ampie che vogliano assieme a noi puntare su questo settore e rivoluzionare il mondo con noi». All’interno del network ci sono realtà di spessore, sia per lo specifico mercato della Cannabis, tra questi Greenhouse Seeds, Bac, Cali Terpenes, OGeez Barcelona e molti altri, sia istituzioni di rilievo come Luiss e M Accelerator. «Stiamo cercando le Startup Green più dirompenti in Europa. Il nostro focus è su Media, Tecnologia, Brevetti, Gaming e Biotecnologie legate alla Cannabis e al Cbd. Collaboriamo con le migliori aziende di cannabis del mondo per far crescere le startup in modo rapido e internazionale. Offriamo alle nostre startup assistenza legale, di marketing, contatti con investitori e molto altro». Il vincitore del programma riceverà un investimento di 25mila euro in cambio di azioni della società e un tour in uno dei principali paesi in cui la cannabis è legale come ad esempio California, Colorado, Canada, Spagna, Olanda. Contatti per investitori: info@420group.it Contatti per startup: info@growersforchange.com


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ROBERTO GIGIO

Il franchising immobiliare riporta al centro le persone Entrare in sintonia con i clienti e lasciare nella loro memoria il ricordo di un'impresa straordinaria: è la mission di Coldwell Banker, sottolineata anche dal nuovo claim “Leave your mark”

I

l mercato immobiliare in Italia è sempre più complesso e sono necessari nuovi approcci e nuovi strumenti, per questo è importante distinguersi dalla massa. “Leave your mark”, il nuovo claim che accompagna il lancio del nuovo logo di Coldwell Banker, punta l’attenzione proprio su questo aspetto: riportare al centro del settore immobiliare le persone, operatori e clienti. Coldwell Banker, franchising di origine americana nato nella Silicon Valley nel 1906, ha sempre guardato le cose in modo differente, ha sempre trovato nuove strade per aiutare i clienti, è sempre stato pioniere del settore immobiliare trovando, anno dopo anno, i migliori strumenti e le migliori tecnologie da offrire alla propria rete. «Oggi la sfida è riportare al centro del processo immobiliare le persone», afferma il presidente di Coldwell Banker Italy Roberto Gigio: «è un cambio di paradigma, significa che ogni nostro agente, ogni nostro collaboratore deve essere in grado di entrare in sintonia con i

clienti, ascoltare le loro esigenze e lasciare nella loro memoria il ricordo di un’esperienza straordinaria. La tecnologia è fondamentale, il marketing d’eccellenza uno standard irrinunciabile, ma sono le risorse umane il vero plus di ogni azienda di successo. Far parte del nostro network significa avere la possibilità di lasciare il segno nel mondo del real estate, ma per poterci riuscire bisogna, ogni giorno, tenere a mente quali sono i valori guida che improntano il nostro agire. Abbiamo la fortuna di svolgere un lavoro meraviglioso, non siamo semplici venditori, siamo facilitatori di sogni: aiutiamo i nostri clienti a realizzare il sogno di una casa, questa è una customer experience che non si dimentica facilmente, è nostro preciso dovere farla diventare un’esperienza memorabile». Per farlo occorre essere particolarmente selettivi nella scelta delle persone, e circondarsi solo di persone di valore. «Vediamo sempre più spesso sedicenti agenti immobiliari che si “vendono” a "provvigioni zero” determinando con questo il loro effettivo valore. Noi abbiamo ambizioni diverse noi vogliamo che i nostri

clienti siano disposti a pagare il giusto i nostri servizi perché valiamo». Per queste ragioni, per il suo sviluppo sul territorio italiano, Coldwell Banker ha da sempre avuto l’obiettivo di una “crescita sostenibile” privilegiando con questo la qualità rispetto alla quantità. «Siamo sempre attenti - continua Roberto Gigio - a selezionare imprenditori pronti a condividere i nostri valori, donne e uomini volitivi, intenzionati a far crescere il proprio business e a farlo nel modo giusto, persone consapevoli che la professionalità e l’etica vanno di pari passo. I nostri broker sono nostri partner e insieme dobbiamo crescere e puntare al massimo». Si sente parlare, ultimamente, di agenzie immobiliari virtuali, di consulenti on-line, Coldwell Banker traccia una strada diversa, la strada che porta il professionista immobiliare più vicino al cliente, la strada che riporta il cliente e non l’immobile, al centro dell’attenzione. È la scelta coraggiosa di puntare ancora sul valore dei rapporti umani e sulla capacità di stabilire relazioni professionali di qualità. La strada che privilegia le dinamiche relazionali reali rispetto a quelle virtuali.

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Sei un agente immobiliare o un broker desideroso di cambiare marcia, entra in Coldwell Banker e farai parte di un network internazionale presente in oltre 44 paesi con più 3.000 e 92.000 agenti, potrai usufruire di Coldwell Banker University, la miglior formazione professionale di settore, di strumenti di marketing all’avanguardia e di un programma - Coldwell Banker Global Luxury - dedicato agli immobili di prestigio, sei pronto anche tu a lasciare il segno? Contattaci: Coldwell Banker Italy Piazza Mazzini, 27 - 00195 Roma Tel. 06 89671161 Email: info@coldwellbanker.it www.coldwellbanker.it

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FRANCHISING E NUOVE IMPRESE

101Caffè è Insegna dell’anno nella categoria Tutto Caffè Il prestigioso riconoscimento per il periodo 2019-2020 attribuito all’azienda di Umberto Gonnella al rush finale con Nespresso Portare la qualità del caffè, di selezionate torrefazioni artigianali regionali, nelle case degli italiani e dei cittadini del mondo, per qualsiasi tipo di erogazione e per qualsiasi macchina da caffè, è la missione del marchio 101Caffè che, nell’arco di sette anni, è infatti cresciuto in maniera costante, contando ad oggi oltre 101 negozi attivi e ben strutturati in Italia e all’estero, fino a conquistare l’ambito premio di “Insegna

FIT AND GO, L’ALLENAMENTO DIVENTA “FAST” La nuova tendenza del fitness è ora occasione di business L’ultima tendenza del wellness 2.0 è il Fast Fitness. I Centri Fit And Go sono gli unici in Italia ad avere allenamenti con personal trainer e tecnologia Ems, per allenarsi in soli 20 minuti a settimana; lo speciale tapis

JustMary.fun, al via un round privato di investimento Il primo delivery in Italia di prodotti Cbs si appresta a sbarcare a Londra Justmary, il primo delivery in Italia di prodotti Cbs, su richiesta di molti investitori apre un round privato di investimento a sostegno delle attività estere. Con

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dell’Anno Italia 2019-2020” nella categoria Tutto Caffè. «101Caffè era in finale, nella categoria Tutto Caffè, insieme ad un competitor di grande fama internazionale: Nespresso», commenta Umberto Gonnella, ceo e fondatore del brand. «La vincita di 101Caffè, decretata dai consumatori, mi ha fatto ripercorrere, con grande orgoglio, le tappe che hanno portato l’azienda ad essere il più affermato network

roulant immerso in una scocca in vetroresina Vacufit che fa bruciare più di 700 calorie in soli 30 minuti; la Criofit per immergersi a -180° per 3 minuti e provare tutti i benefici del freddo. Durante un allenamento total body a corpo libero, condotto con un personal trainer altamente specializzato, si indossa una speciale tuta munita di elettrodi. Gli impulsi, totalmente sicuri per il corpo umano, sollecitano oltre 300 muscoli

oltre 33mila euro di fatturato mensile Justmary si appresta a chiudere l’anno con oltre 220mila euro di fatturato al suo primo anno di attività. «Un successo inaspettato»,

nazionale in franchising nel settore caffè, in tutte le sue forme, grazie ad una squadra affiatata e competente, che crede nell’eccellenza per cui lavora ogni giorno. La spinta decisiva al progetto, nato nel 2010, è stata una conversazione con mia madre, sicura che proprio Nespresso,

noto brand svizzero, fosse un marchio italiano! Riconosco, quindi, a Nespresso e a mia madre, lo stimolo ad aver ridato la maternità italiana all’espresso, anche quando in cialde e capsule. Una scelta che premia».

in profondità, arrivando ad attivare tutte le unità motorie del nostro corpo (solitamente un normale allenamento riesce ad attivare solo il 70%) ed aumentandone la contrazione volontaria dell’80%, senza però gravare sul sistema osteo-tendineo. E nei centri Fit And Go viene fornito tutto il necessario per l’allenamento e per fare la doccia. Come fare per aprire un centro Fit And Go? «Stiamo selezionando nuovi affiliati, soprattutto

nelle città in cui ancora non siamo presenti», spiega Marco Campagnano: «Aprire un centro Ems vuol dire fare business in un settore innovativo ed in continua crescita, farlo con noi significa affidarsi a chi ha maturato tanta esperienza sul campo e può portarvi quindi direttamente al successo, garantendo un percorso facilitato ed un supporto a 360°».

commenta il fondatore Matteo Moretti. Justmary, che oggi dà lavoro a oltre 15 persone in italia e genera un forte indotto tra fornitori/agricoltori e pubblicità, guarda a Londra

franchising@101caffe.it

franchising@fitandgo.it

come prima città internazionale e grazie a questo round privato vuole lanciare l’operatività nella capitale inglese. Attualmente, con oltre 200 soci, Justmary è una delle maggiori realtà in italia e punta a essere un riferimento in tutta europa. «L’apertura delle operation sulla città di Londra - afferma Matteo Moretti - è un tassello importantissimo nello sviluppo della società, il quale seguirà di pochissimo l’apertura nella città di Rimini che consolida ulteriormente la forza della società sul territorio italiano». info@justmary.com


Il crowdfunding immobiliare diventa retail

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Recrowd, l’investimento immobiliare accessibile a tutti Esiste una forma d’investimento immobiliare accessibile anche ai piccoli risparmiatori. Si chiama real estate lending crowdfunding, viaggia su internet ed è possibile accedervi con soli 500 euro. La propone Recrowd.com, la piattaforma lanciata alla fine dell’estate 2019 che innova la raccolta di capitali nel settore real estate. L’investitore non compra quote dell’operazione, ma investe a fronte di un rendimento stabilito fin dal principio e nettamente più alto rispetto alle tradizionali forme d’investimento. Ne beneficiano anche gli operatori del settore che possono raccogliere fino a 8 milioni di euro per singolo progetto e gestire in modo veloce e sicuro i processi burocratici. A differenza delle altre piattaforme, Recrowd offre alle aziende immobiliari la possibilità di scegliere quattro tipologie di progetto, differenti per rischio, capitale minimo, durata e rendimento, per valorizzare al meglio i capitali degli investitori e adattarsi

il più possibile ai loro profilo di rischio. I progetti immobiliari proposti sulla piattaforma hanno un ottimo rapporto rischio/rendimento grazie alla selezione di partner altamente specializzati nella consulenza fiscale, legale e nella gestione di servizi immobiliari grazie ad azioni di due diligence sulle società immoliari proponenti i progetti. Inoltre, Recrowd è la prima piattaforma di crowfunding immobiliare ad avere iserito un modulo di “trattativa personalizzata” per fare negoziare il rendimento sul progetto direttamente tra l’azienda che lo propone e l’utente investitore.

Dal 2008 Stefano Quitadamo, con la sua web agency Armah, sviluppa progetti eCommerce e digital strategies per il mondo farmaceutico. «Abbiamo collaborato con le maggiori aziende multinazionali», spiega, «dal 2013 abbiamo focalizzato l’attenzione sul mondo della “Farmacia Online” per clienti scottati da precedenti esperienze con altre agenzie non verticali su questo settore. È così che abbiamo implementato un percorso attuativo per lo sviluppo verticale delle Farmacie online, legato a doppio nodo all’utilizzo di un tool di AI di nostra proprietà, FarmaConnect, software che permette

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Il punto cassa all-in-one di SisalPay La cassa telematica è in abbonamento con il sistema EasyCassa Con l’entrata in vigore della trasmissione telematica dei corrispettivi e le nuove direttive legate al mondo dei pagamenti, il mercato dei sistemi di cassa e dei gestionali per il Retail sta vivendo un periodo di fermento. Fra le innovazioni in questo settore, SisalPay – da oltre 10 anni leader nei servizi di pagamento –ha presentato EasyCassa, un sistema di cassa telematico con un modello unico nel suo genere: si tratta infatti di un punto cassa fornito in abbonamento secondo il modello as a service. Con EasyCassa si paga un unico abbonamento mensile per avere l’hardware in comodato d’uso, il software di cassa, il cloud con diversi strumenti di analisi e la gestione della fatturazione elettronica, oltre naturalmente alla stampante fiscale e ad un lettore di barcode da banco che gli esercenti possono usare per leggere i prodotti in velocità o acquisire i dati dei clienti.

Una volta sottoscritto l’abbonamento EasyCassa, tutti gli aggiornamenti futuri e le nuove funzioni sono inclusi e diventeranno disponibili per l’esercente automaticamente. EasyCassa, che vanta già 7.000 punti cassa installati in tutta Italia, è la soluzione ideale per bar, ristoranti, e in generale negozi per la vendita al dettaglio, ma sono già in rilascio versioni specifiche per mercati verticali come il wellness. www.easycassa.it

al farmacista di velocizzare il processo di catalogazione dei prodotti, gestire e migliorare la marginalità della farmacia online e sviluppare un magazzino di vendita legato non solo alle giacenze della propria farmacia ma anche a quelle dei propri grossisti. Dal software allo sviluppo del digital marketing il nostro workaround è completo a 360 gradi completo per ottenere gli obiettivi preposti». Armah è presente con sedi commerciali a Napoli e Milano e in Ungheria dove risiede l’headquarter. Il motto? «If you cannot do great things, do small things in a great way». www.stefanoquitadamo.com www.armah.it numero verde: 800300713

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LA VACANZA GREEN ORA HA IL SUO MANUALE PIACERI La svolta ecologista non lascia scampo: dall’auto elettrica al turismo sostenibile. Ma sarà poi davvero così ”green” tutto questo?

125 ANFIA SULLA DERIVA ELETTRICA L’AUTO ANDRÀ IN PANNE

126 MOTORI LE DIMENSIONI NON CONTANO MA IL MARCHIO SÌ

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WHISKY SE L’INGREDIENTE SEGRETO È IL LEGNO DELLA BOTTE

130 LE RAGIONI DEL GOSSIP

Un network di università, che per l’Italia vede in campo la Luiss Business School, ha indagato sulle pratiche ambientali delle imprese turistiche, elaborando un vademecum per rendere sostenibile la filiera di Marco Scotti

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omanda provocatoria ma neanche ambiziosa: “Sustainable Tourism through troppo: in epoca di riscaldamento Networking and Collaboration”, che significa globale e di piogge tropicali anche creare un ecosistema sostenibile attraverso a Milano, esiste un modo per rendere più socollaborazioni e meccanismi di rete. Si tratta stenibile lo svago per antonomasia, ovvero la di un progetto che vuole incrementare la sovacanza? Inutile girarci attorno: se è vero che stenibilità di micro e piccole imprese europee per visitare alcune parti del mondo l’aereo è che si occupano di turismo, accrescendo la l’unico mezzo di trasporto accettabile, lo è consapevolezza dei manager e degli imprendialtrettanto che ogni viaggio sulle ali produtori sui temi della tutela dell’ambiente. Come? ce emissioni a volte Attraverso la realizzaL’OBIETTIVO DI SUSTAIN-T È DI CREARE anche duecento volzione di un network UN ECOSISTEMA SOSTENIBILE te superiori a quelle di università partner, ATTRAVERSO COLLABORAZIONI della nave. E dunque? E MECCANISMI DI RETE TRA OPERATORI guidate dall’Università E dunque, se proprio Autonoma di Barcellonon avete a disposizione mesi e mesi di vana, e che vede per l’Italia il coinvolgimento di canza, ma dovete necessariamente partire in Luiss Business School, sotto il coordinamento aereo – a proposito, quasi un italiano su due del professor Nunzio Casalino. ha paura di turbolenze e decolli – ci sono alLe attività del progetto si stanno svolgendo in tri accorgimenti che possono essere presi per tre specifiche fasi. Quella di trasferimento deldiventare sostenibili. Ad esempio, sposando le competenze, che ha coinvolto tutti i partner quelle iniziative messe in campo dagli imdell’iniziativa. Quella di literature review, in prenditori del comparto che rispondono al cui gli aderenti hanno provveduto ad alimennome di Sustain-T, che riassume una mission tare un ampio knowledge pool digitale che

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E POI IL PIACERE...

ricomprende: raccomandazioni dell’UE, reladella produttività e sostenibilità di tali orgazioni, statistiche, studi, ricerche e pubblicazionizzazioni. Infine, a valle degli studi effettuati ni scientifiche sul turismo sostenibile, nonché sono stati poi predisposti sei moduli formativi sullo sviluppo delle competenze trasversali e relativi questionari di autovalutazione, tutti (comunicazione digitale, organizzazione dei disponibili sulla piattaforma e-learning prediservizi, leadership, relazioni col cliente, casposta nell’ambito del progetto. pacità di fare rete e collaborazione tra impreChe cosa emerge dalla survey? In primo luose). Infine, la fase di ricerca e analisi vera e go, che il 92,5% del campione intervistato propria, in cui Luiss Business School insieme di aziende è gestito direttamente dalla proad altri due partner (uno portoghese, l’altro prietà, con imprese relativamente “giovani” ungherese) si è occupata dello svolgimento (l’85% ha meno di 25 anni, il 10% ne ha cindi una survey con l’obiettivo di raccogliere un que). Interessante poi notare quali siano le elevato volume di preziose informazioni sui pratiche messe in atto dagli imprenditori in fabbisogni manageriali e gestionali delle Pmi ottica sostenibilità. La metà degli intervistati nel settore del turismo, e che ha dato luogo ha avviato procedure per ridurre il consumo alla produzione di un di energia, una perL’85% DELLE IMPRESE INTERVISTATE manuale operativo centuale che arriva MANTIENE UNA STRETTA RELAZIONE e di specifiche linee al di sopra dell’80% CON IL TESSUTO PRODUTTIVO guida, tramite anche se si considera anche INSEDIATO NEL TERRITORIO la classificazione delchi ha messo in pratile peculiarità organizzative di tali imprese e ca “parzialmente” queste misure. I dati sono l’identificazione dei principali indicatori di comunque ancora abbastanza desolanti: oltre prestazione. il 53% del campione non ha avviato – o lo ha Questa indagine è stata studiata per indivifatto in modo superficiale – strategie di riciclo duare tre macrotemi: il grado di consapevoe compostaggio dei rifiuti. Il 60% non prova a lezza e conformità delle Pmi ai principi interrisparmiare acqua. nazionali del turismo sostenibile; le sfide che Migliore è invece il rapporto tra le Pmi tugli imprenditori devono affrontare per renderistiche e il territorio in cui si muovono. La re le loro imprese e/o i loro servizi turistici creazione di un network tra turismo, filiera più sostenibili dal punto di vista ambientale; agroalimentare e altre produzioni autoctone i gap formativi e di competenze manageriali/ e chilometro 0 permette di ridurre notevolgestionali legati al possibile miglioramento mente l’impatto ambientale. L’85% delle im-

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prese intervistate acquista eccellenze locali ove possibile e una analoga percentuale si concentra su un incremento del proprio giro d’affari basato sulla qualità dei prodotti offerti. Importante, inoltre, il ruolo del passaparola, come nel caso dell’informazione dei turisti delle opportunità offerte dal territorio e dagli esercizi locali. Se, dunque, la sostenibilità è un tema così dibattuto e di così prepotente attualità, che cosa impedisce agli imprenditori del turismo, specie quelli di piccole dimensioni, di adottare pratiche che rendano il loro business più sostenibile? Non è certo una grande sorpresa scoprire che per il 74% del campione il problema principale è rappresentato da un’impennata dei costi che non si traduce, almeno nell’immediato, in un analogo incremento del fatturato. E poco meno del 70% degli intervistati sostiene che lo sforzo in termine di risorse umane è troppo elevato per “valere la candela”. Ultimo punto della “black list” è rappresentato, nel 72% dei casi, dalla mancanza di un quadro informativo chiaro e sistematizzato. In conclusione: l’esito di questa survey ha dato luogo alla produzione di un manuale operativo e di specifiche linee guida per supportare le Pmi che operano in ambito turistico, nella realizzazione di business sostenibili. Un vero e proprio vademecum che consenta di rendere la filiera turistica – finalmente – sostenibile. Madre Natura ringrazia…


E sulla deriva elettrica l'automotive andrà in panne La persecuzione contro il motore termico rischia di portare alla perdita di una buona parte dei circa 60mila posti di lavoro attualmente attivi nel comparto dei power train di Davide Passoni

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artiamo da un dato: a livello mondiale, nel 2018, autovetture e veicoli commerciali leggeri hanno determinato solo il 9% di emissioni di CO2 in atmosfera. Se andassimo tutti a piedi, avremmo comunque emissioni per il 91%. Stiamo ragionando bene, o una certa visione politica ci vuole portare alla distorsione e alla distruzione di quanto creato in decenni di impresa e sviluppo? Facciamo parlare le aziende, facciamo parlare chi ne sa: vale la pena buttare tutto alle ortiche per una sola stagione - perché una sola penso che sia - di incomprensioni e filosofie inattuabili?». La domanda che pone Paolo Scudieri, presidente di Anfia (l’associazione che riunisce le imprese italiane del settore automotive) nasce dall’analisi delle dinamiche che stanno portando nel nostro Paese, e non solo, a una demonizzazione delle auto ad alimentazione tradizionale (gasolio in primis) perché considerate più inquinanti rispetto alle tecnologie alternative più green, l’elettrica tra tutte. Che sia un “effetto Greta”, l’onda lunga del cosiddetto Dieselgate, o la visione sposata da una parte dell’attuale maggioranza al governo, si tratta di una deriva che il settore automotive italiano guarda con preoccupazione, perché impatta su una filiera che sulle tecnologie di alimentazione tradizionale basa la propria ossatura.

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PAOLO SCUDIERI, PRESIDENTE ANFIA

«La paura del nuovo non deve pervadere le propensione all’innovazione che, però, non visioni imprenditoriali - prosegue Scudieri -. pare trovare sostegno e valorizzazione in Siamo pronti da sempre ad affrontare sfide, ambito politico: «Pur parlando con grande ma il problema attuale è un altro: di fronte rispetto istituzionale - prosegue il presidena un asse temporale in cui cambiano le tecte dell’Anfia -, devo osservare l’incertezza e nologie di trazione, tutte le istituzioni e le l’indecisione che regnano nell’attuale maparti sociali dovrebbero essere pronte e dinovra economica, specialmente negli ambiti sponibili a condividere con noi questo camche toccano le tematiche ambientali e che biamento, che per l’impresa significa costi, avrebbero dovuto amplificare i rapporti poinvestimenti, ricerca e sviluppo. Il momento sitivi con le strategie industriali di un settore attuale è lo zenith del cambiamento tecnolocome il nostro, che genera cifre importantisgico, che non trova la nostra filiera mal messime in termini di occupazione, di gettito sa». La propensione all’innovazione delle fiscale, di Pil. Invece ci troviamo un pasticimprese rende infatti cio sulla tassazione possibile guardare L'AUTOTRAZIONE DETERMINA SOLO IL 9% delle auto aziendali. DI EMISSIONI DI CO2 IN ATMOSFERA. al cambiamento con È evidente una distoSE ANCHE ANDASSIMO TUTTI A PIEDI minore ansia. «L’Itania totale con il credo NON CAMBIEREBBE QUASI NULLA lia è leader grazie alla imprenditoriale del trasversalità tecnologica che possiede. Con nostro settore, di fronte alla quale ci cadola metanizzazione delle vetture, il Paese è no le braccia». Braccia che cadono e che si compliant in termini di mobilità sostenibile. incrociano: «Continueremo a proporre in Per quanto riguarda la tecnologia a idrogemodo coerente la nostra visione - conclude no, che è la vera soluzione, si stanno facendo Scudieri -, ma se dall’altra parte si insisterà passi avanti notevoli per arrivare a produrre nel trattare con superficialità i fattori fondain Italia le fuel cell. Da non trascurare i biomentali per la crescita che proponiamo, forcarburanti, evoluzione tangibile e velocese per la prima volta incroceremo le braccia. mente praticabile. La perversione sta invece Non per un giorno, ma per un mese. Faremo nel pensare solo all’elettrico: perseguirlo in comprendere quanto vale il nostro indotto. modo esclusivo metterebbe a rischio una Non si dovrebbe arrivare a ciò, ma in questo buona parte dei circa 60mila posti di lavoro momento chi protesta mette a repentaglio nel comparto italiano dei power train». Una consensi elettorali e quindi è più ascoltato».

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E POI IL PIACERE MOTORI a cura di Franco Oppedisano

LE DIMENSIONI NON CONTANO... IL MARCHIO SÌ È la più piccola della famiglia, ma è pur sempre una Porsche: la Macan è un Suv completo che non delude le aspettative. E anche nella versione base è già completa di tutta la tecnologia desiderabile

quella piccola, la più piccola della famiglia, la baby. Ma non le manca niente ed è una Porsche, vera. Non bisogna farsi influenzare dalle dimensioni o dal suo essere un Suv compatto. Macan, oltre ad alcuni tratti estetici distintivi della marca, ha in comune con i resto della gamma il suo essere soprattutto un’auto sportiva. È veloce e divertente da guidare, grazie al suo assetto e alla trazione integrata attiva Porsche Traction Management che si fanno sentire sulla strada, in accelerazione, in frenata, in fuoristrada. Un motore turbo a benzina due litri da 245 cavall che sviluppa fino a 370 Nm di coppia motrice e un cambio a doppia frizione Pdk a sette rapporti, poi, fanno il resto. Così la “baby” tocca i 225 chilometri all’ora di velocità e arriva da zero a cento chilometri all’ora in 6,7 secondi (6,5 con il pacchetto sportivo Chrono). Non riuscirà a fare il record in circuito, ma il piccolo Suv ha l’innegabile vantaggio di essere anche una Porsche da usare davvero tutti i giorni, da parcheggiare senza affanno, da portare a fare shopping senza timori, anche grazie a un un sistema antifurto con sorveglianza interna di serie. Poi ha un bagaglio che arriva fino a 1500 litri con i sedili abbassati e cinque posti comodi. Lo spazio dentro c’è perché è

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comunque lunga quasi 4,7 metri e, in fondo diciamolo, la definiamo “piccola” solo perché è una Porsche. Macan, nella sua versione base, sarebbe già il top di gamma di quasi tutti gli altri costruttori di auto perché ha di tutto. Solo qualche esempio. La tecnologia Led è stata utilizzata come standard per la realizzazione dei nuovi proiettori principali e per fascia tridimensionale nella sezione posteriore del veicolo, mentre è possibile scegliere l’opzione Porsche Dynamic Light System Plus (PDLS Plus) per un controllo adattativo della distribuzione della luce. Il sistema Porsche Communication Management ha uno schermo touch full HD è di 10,9 pollici attraverso il quale si accede a tutta una serie di funzioni digitali, inclusi la navigazione online, la predisposizione per il cellulare, due interfacce audio e comandi vocali intelligenti. Fra le altre dotazioni standard disponibili spiccano il sistema Porsche Connect Plus (con modulo per il collegamento a internet e lettore di scheda SIM), l’hotspot WLAN e una serie di servizi Porsche Connect con la connessione al cloud Here, utilizzata per una navigazione con dati sempre aggiornati. Le app Porsche Connect e Porsche Car Connect consentono, mediante lo smartphone, di scegliere una destinazione, in-

viarla all’auto e, allo stesso tempo, cercare un parcheggio libero o ascoltare la musica in streaming. Tra gli optional, invece, ci sono i cerchi da 21 pollici, Il volante sportivo GT che ricorda lo stile della Porsche 911, lo Sport Chrono che consente un assetto ancora più sportivo di telaio, motore e cambio, il sistema di assistenza alla guida Traffic Assist che frena e accelera in modalità semi-automatica, aiuta a rimanere all’interno della corsia di marcia in caso di ingorghi stradali e code. Il prezzo? Parte da 61.763,00 euro.


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FORESTER E-BOXER: LA PRIMA IBRIDA DI SUBARU Dopo quattro generazioni e vent’anni di carriera che in Italia l’hanno resa la Subaru più venduta di sempre, arriva la nuova Forester e-Boxer, la prima a sposare la tecnologia dell’ibrido. La nuova generazione aumenta di dimensioni, abbraccia la nuova piattaforma SGP, propone luci diurne a LED a forma di C rovesciata e la trazione integrale, con 22 centimetri di altezza minima da terra. Dentro l’auto è ben fatta, più curata rispetto al passato e ricca di schermi e

pulsanti. Due i display: quello più in basso, da 8”, con il sistema StarLink, e quello posto più in alto da 6,3”, il quale offre un gran numero di schermate, come quella che monitora il flusso di energia tra i due motori e la batteria o quella del comportamento in offroad. La Forester non rinuncia al motore Boxer 2.0, aspirato, Euro 6d-Temp, che sviluppa 150 CV, ma lo abbina per la prima volta a un motorino elettrico da 16,7 CV, rendendo questa vettura omologata ibrida, grazie al sistema MHEV (Mild Hybrid Electric Vehicle).

KIA XCEED: IL C-CROSSOVER CHE SA DI PREMIUM

Kia XCeed è l’ultimo tassello di un puzzle che compone l’offerta di segmento C secondo il Marchio coreano. Lunga 4,39 m, propone il tipico family feeling di Kia, con un design molto vicino a quello del resto della famiglia Ceed, ma anche con richiamo alle forme della più piccola Stonic. Interessante la silhouette complessiva e la linea di cintura alta con firma luminosa a LED al posteriore e all’anteriore. All’interno cambiano la posizione di guida elevata e la capacità di carico,

che vanta 426 litri, mentre a livello tecnologico, invece, sono presenti strumentazione completamente digitale da 12,3 pollici e il display del sistema di infotainment “flottante” da 10,25 pollici, con il nuovo sistema telematico UVO Connect. Tre i motori turbo benzina: 1.0 T-GDi a tre cilindri da 120 CV, il T-GDi quattro cilindri da 1.4 litri per 140 CV e il più potente 1.6 T-GDi da 204 CV e 265 Nm di coppia. Sul fronte Diesel è disponibile il 1.6 CRDi in due configurazioni di potenza: 115 e 136 CV.

VOLKSWAGEN GOLF 8: LA NUOVA ICONA DI SEGMENTO C La nuova Volkswagen Golf arriva nel pieno di una svolta epoca per la marca, ormai principalmente concentrata su quello che sarà il futuro elettrificato. Esteticamente il passaggio tra la settima e l’ottava generazione è un’evoluzione, mentre gli interni cambiano profondamente. Volkswagen la definisce nativa digitale, grazie all’Innovision Cockpit, elemento importante nel segmento delle medie: quadro strumenti digitale (10,25”) e schermo centrale da 10”. Nuovi anche i comandi vocali “Ciao Volkswagen” e l’head-up display. Otto proposte di propulsori, benzina o Diesel, tutti sovralimentati, e cinque di essi dotati di controparte elettrica, sia Mild Hybrid sia plug-in. Due i Diesel, entrambi 2.0 TDI, da 115 e 150 CV, mentre per i benzina si parte con il tre cilindri 1.0 TSI da 110 CV con cambio manuale a sei marce. Si parla di ibrido a 48 Volt con il 1.0 TSI da 110 CV DSG e con i due 1.5 quattro cilindri con 130 e 150 CV. Segue un motore di nuova concezione, il 1.4 TSI eHybrid, ibrido plug-in con potenze da 204 e 245 CV.

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E POI IL PIACERE...

Se l’ingrediente segreto è il legno della botte Dai tre anni di maturazione del whisky ai sei per affinare un buon bourbon: non stupiamoci se, nel determinare gli aromi che troviamo nel bicchiere, l’essenza della barrique gioca un ruolo fondamentale di Claudio Riva *

L’

ottanta per cento (ottanta per cento!) degli aromi che troviamo in un buon bicchiere di whisky sono terziari e derivano dalla maturazione. Non è solo l’apporto del legno, c’è anche l’affinamento dovuto allo scandire del tempo - dei mesi, degli anni – e l’interazione con l’ambiente, con il microclima dell’isola o della valle (glen) scozzese. Ma indubbiamente la botte gioca un ruolo da protagonista. Il disciplinare dello scotch whisky impone una maturazione minima in botti rigorosamente di rovere per una durata minima di 3 anni. La legislazione europea eredita questa particolarità dagli scozzesi e obbliga qualsiasi whisky o whiskey prodotto o commercializzato in Europa ad avere tre anni minimi di maturazione in legno, qualsiasi legno. Il bourbon americano, unico altro whiskey al mondo a certificare la propria qualità con un disciplinare, obbliga alla maturazione in rovere vergine e carbonizzato, senza indicare un periodo minimo – in teoria basta una notte passata in un barile per trasformare un distillato bianco, un moonshine, in un pregiato bourbon whiskey. Lo Straight Bourbon rappresenta la punta di eccellenza del whiskey americano e qui la richiesta è di due anni minimi di maturazione, sempre in barili di rovere vergini e carbonizzati. Il disciplinare del bourbon condiziona oggi in modo determinante quello che è lo stile del-

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lo scotch whisky. Una botte utilizzata in Kentucky per 6-7 anni per affinare un bourbon di Jim Beam, una volta svuotata non potrà più essere utilizzata per affinare altro bourbon americano, non essendo più vergine. Tutte queste botti - milioni di botti provenienti non solo da Jim Beam ma anche da Buffalo Trace, Four Roses, Heaven Hill, Maker’s Mark, Wild Turkey, Jack Daniel’s – normalmente godono di una seconda vita in Scozia, dove oggi arrivano a costituire oltre il novanta percento delle botti che giacciono nei magazzini dello scotch. Le ragioni sono tante. Economiche: le botti già “ammortizzate” dalle distillerie americane vengono inviate in Scozia al solo costo di trasporto e per un’industria che conta quasi 50 milioni di botti in maturazione, il poter spendere 100 sterline a botte anziché le quasi 1000 di una barrique europea porta ad un considerevole risparmio. Secondo la qualità del legno, il rovere non è unico, quello europeo (Quercus robur, la quercia rossa), è più tannico e meno ricco di vanillina. Quello americano (Quercus alba, la quercia bianca), appunto usato dalle distillerie di bourbon, di tannino ne ha meno e di vanillina assai di più ed è vincente nel saper valorizzare le note di pasticceria all’interno

del carattere solitamente duro dello scotch. Infine la variabile tempo. L’uso di una botte vergine alle latitudini scozzesi non sarebbe sicuramente così attivo come nei caldi stati centrali americani, ma comunque non lascerebbe tempo sufficiente all’affinamento e all’interazione con l’ambiente per fare il loro nobile lavoro. Da un Laphroaig maturato in botti vergini uscirebbe un whisky meno salmastro e più dolce rispetto a quelle che sono le aspettative del consumatore. Le botti americane seguono uno standard ben preciso (Asb, American standard barrel) che ne definisce dimensioni e volume (esattamente di 53 galloni, 200 litri). Girando per magaz-


zini scozzesi si possono trovare altri formati, retaggio di un passato non così remoto. Lo standard tipico scozzese prima dell’invasione yankee era l’hogshead, una botte di circa 250 litri con una maturazione un po’ più lenta e sapiente. Poi possiamo trovare le barrique europee, soprattutto quelle francesi, da 225 litri. Le quarter cask sono botti più piccole da circa 120 litri, offrono una maturazione più rapida con note coprenti di pasticceria intensa (il toffee anglosassone, la nostra caramella mou). Poi c’è il mondo dello sherry spagnolo, il vino fortificato di Jerez de la Frontera (Andalusia), che offre contenitori tipicamente più grandi da 500-600 litri (butt). Lo sherry è la seconda botte per importanza in Scozia e richiede un approfondimento. Se è vero che oggi la stragrande maggioranza delle botti nelle warehouse scozzesi è ex-bourbon, è altrettanto vero che in passato di botti americane non vi era traccia e questo ruolo era assunto dalle botti ex-sherry. Le ragioni

to. Le doghe intrise di vino rilasciavano nel tempo sì la preziosa vanillina ma anche gli aromi di frutta rossa (uvetta passa su tutto) e di spezie (cannella) tipici degli sherry oloroso e px, quelli con uno stile più da passito e normalmente consumati dopocena. Questa è la ragione che ha attribuito in passato allo scotch uno stile decisamente diverso rispetto a quello attuale. Potendo fare un viaggio nel tempo ad inizio 1900 ci saremmo sicuramente imbattuti in whisky con un pizzico di torba in più, avvolta in note di dolci natalizi (uvetta, frutta candita, dattero, cacao, caffè, cannella). Oggi quelle ex-sherry costituiscono meno del 5% delle botti in maturazione in Scozia, e lo storiche sono semplici da spiegare. Il vino forstile di questo whisky è molto ricercato dagli tificato sud-europeo (lo sherry, il nostro marappassionati. Purtroppo di sherry se ne beve sala, il porto) nasce da un bisogno inglese di sempre meno e di whisky sempre più, e la approvvigionamento di vino mediterraneo in regola della domanda-offerta porta queste un’epoca in cui i trasporti era assai più difficili botti “usate” a costi spesso proibitivi. Le dirispetto ai tempi moderni. Caricare una nave stillerie Glenfarclas, Glendronach, Highland di vino e costringere Park si accompagnano IL ROVERE EUROPEO È PIÙ TANNICO queste botti ad un viaga Macallan nel desiE MENO RICCO DI VANILLINA, MENTRE gio di parecchie settiderio di valorizzare lo QUELLO AMERICANO, AL CONTRARIO, mane nelle condizioni stille “sherroso”. VALORIZZA LE NOTE DI PASTICCERIA calde e malsane delle Il rimanente 5% è costive significava condannare quel vino ad una stituito da botti di altri vini liquorosi (porto, morte prematura. La scoperta che la semplice marsala, madeira) e da botti sperimentali aggiunta di un po’ di alcol creava nel vino gli come quelle proveniente da vini classici. Leganticorpi sufficienti a superare l’esperienza in gere su una bottiglia di scotch che ha fatto mare ha sicuramente contribuito a definire lo un passaggio finale (finishing, tipicamente di stile dei vini fortificati e a consolidarne il sucpochi mesi) in una botte ex-amarone crea una cesso nel mondo anglosassone. sinergia vincente soprattutto negli Stati Uniti Ora se una botte ex-bourbon ha contenuto d’America dove l’amarone rappresenta l’eccelun cugino dello scotch whisky, è chiaro che lenza del vino italiano. l’utilizzo di una botte ex-sherry era in grado di marcare in modo assai diverso l’affinamen* fondatore di Whisky Club Italia

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LE RAGIONI DEL GOSSIP a cura di Monica Setta

BATTESIMI, GALÀ E TANTE BOLLICINE ECCO COM’È ANDATO IL DICEMBRE DEI VIP Dal battesimo milanese della figlia di Mikaela Calcagno e Gianluca Paparesta al galà romano di Mario e Diana Baccini: a qualsiasi latitudine, il bel mondo non perde occasione per brindare e fare festa «È STATA UNA GRANDE

mise. E dopo la cerimonia tutti al

hanno preso a noleggio un’auto.

Insieme all’ex consigliere Rai

FESTA CHE ABBIAMO

brunch al Duomo 21, sontuoso

Chi girava in macchina da

Rodolfo de Laurentiis anche

VISSUTO INSIEME AI

roof affacciato sulle guglie della

sola, attraversando la capitale

il direttore di Rai 1 Teresa

NOSTRI AMICI, AI PARENTI

Madonnina, scelto su indicazione

vestita di tutto punto con il

de Santis, l’oncologo Paolo

E ANCHE ALLE FAMIGLIE

di una cara amica di famiglia,

fard nella sfumatura giusta, è

Marchetti Fabrizio Casinelli

DEI PICCOLI PREMATURI

Tania Mussoni. Per Natale Mia

Marisela Federici che scortava

e tante bellissime signore

DEL SAN RAFFAELE CHE

Nicole Paparesta sarà in Puglia

il giornalista Ivan Damiano

della Roma modaiola. Altro

HANNO TRASCORSO CON ME

a brindare con i tanti amici dei

Rota, in transito a Roma, alla

appuntamento top quello

E GIANLUCA L’ESPERIENZA

organizzato dalla splendida

DELLA CRESCITA DI

Cristiana Caimmi il 18 dicembre

NOSTRA FIGLIA MIA, NATA

alle 20 al cinema Barberini per la

SETTIMINA». Mikaela Calcagno

proiezione del remake di Piccole

parla con emozione, ma da

Donne di Greta Gerwig con

ogni frase trapela la gioia

Saoirse Ronan, Emma Watson,

immensa che prova da quando

Florence Pugh, Eliza Scanlen,

è diventata mamma. Già sex

Laura Dern, Timothée Chalamet,

symbol del giornalismo sportivo

Tracy Letts, Bob Odenkirk,

targato Mediaset, Miki - come la

James Norton, Louis Garrel,

chiamano in famiglia - è sempre

Chris Cooper e la straordinaria

bellissima mentre sceglie con

Meryl Streep.

cura il suo outfit per il battesimo

La sceneggiatrice e regista

della figlia che era in agenda

Greta Gerwig (Lady Bird) ha

(appuntamento ad alto tasso

realizzato il film di Piccole Donne

di mondanità milanese) sabato

basandosi sia sul romanzo di

14 dicembre. Alle 11, infatti,

Louisa May Alcott che sui suoi

nella chiesa milanese di San

scritti, ripercorrendo avanti

Simpliciano, è stata battezzata la piccola Mia Nicole nata

e indietro nel tempo la vita IN SENSO ORARIO: LA FAMIGLIA PAPARESTA, RODOLFO DE LAURENTIIS, ANNA FOGLIETTA E BRUNO VESPA

dell’alter ego dell’autrice, Jo

dall’amore della giornalista

genitori nella raffinatissima casa

presentazione del libro di

March. Secondo la Gerwig, la

ligure per il fascinosissimo

barese di Gianluca e Mikaela

Bruno Vespa. L’11 dicembre

storia delle sorelle March è al

arbitro barese Gianluca

che già sono pronti per la

invece doppio brindisi per gli

tempo stesso intramontabile

Paparesta. E proprio da Bari

prossima tappa : il matrimonio.

auguri a palazzo Naiadi dalla

e attuale. Jo, Meg, Amy e Beth

sono arrivati gli amici del papà

Ma dicembre è stato un mese

pierre barese Flaviana Facchini

March, nel film sono interpretate

tra cui Titti D’Alessio che si sono

intenso per i giri mondani.

e all’Hotel de Russie con la

da Saoirse Ronan, Emma

aggiunti ai colleghi di Mikaela,

A Roma sotto Natale non si

partnership di Acqua di Parma

Watson, Florence Pugh, ed Eliza

Sandro Piccinini e Paolo Liguori

trovavano quasi più taxi causa

e la presenza dell’attrice Anna

Scanlen, con Timothee Chalamet

oltre ai tre figli di Gianluca:

pioggia. Allora, per raggiungere

Foglietta.

nei panni del loro vicino Laurie,

Allegra, Giorgia e Romeo. Tutti

i mille eventi in programma per il

Domenica 15 gran galà di Mario

Laura Dern in quelli di Marmee,

con un tocco di bianco nella

fatidico scambio di auguri alcuni

e Diana Baccini al The Church.

e Meryl Streep.

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