Aprile 2019 Euro 5,00 90004
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Conoscere, rischiare, guadagnare
Le gestioni nella rete
INVESTIRE | ANNO I | N.04 | MENSILE | APRILE | DATA DI USCITA IN EDICOLA: 2 APRILE 2019
La Mifid 2 ha accelerato la metamorfosi del mercato del risparmio gestito. Oggi le Reti sempre più spesso propongono prodotti propri con contenuti gestiti dai big mondiali
ESCLUSIVO / PARLA MASSIMO DORIS
IL SALONE DEL RISPARMIO
«SIAMO STATI TRA I PRIMI A PUNTARE SULLE GESTIONI CONTENITORE»
L’INDUSTRIA DEL DENARO INCONTRA GLI INVESTITORI
MIFID 2 / «Non temiamo contraccolpi,
• Dal 2 al 4 aprile la decima edizione al MiCo di Milano
quello che conta davvero è la qualità del rapporto con il family banker»
SERVIZI ALLE PMI / «Nel primo anno di attività
abbiamo già raccolto 15 mandati di advisory e con la classe Elite faremo ancora meglio»
• La sfida della cybersecurity e della nuova consulenza • Il risparmio gestito sceglie i valori Esg
Prima dell’adesione leggere il Prospetto e il KIID, disponibili presso i collocatori
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EDITORIALE
Si può vincere tutti insieme di Sergio Luciano
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olendo concentrarsi sulla parte piena del bicchiere – buona norma, per stare sereni – possiamo e dobbiamo dire che l’industria del risparmio sta vivendo una fase appassionante. Nuovi prodotti, nuovi metodi, nuove tecnologie. Opportunità di diversificazione, nuove teorie di sistema e nuove metodiche gestionali. La parte vuota del bicchiere: è una fase faticosa. Una fase di marcata crescita degli impegni a fronte di vantaggi a loro volta in aumento, ma più lentamente. Tradotto: si deve lavorare di più per ottenere lo stesso. Però non ha senso polemizzare contro i fatti, prendersela con gli alisei o diventare terrapiattisti. Quella che vive l’industria del denaro e che tutti i professionisti della filiera analizzano a Milano al Salone del risparmio, organizzato dal 2 al 4 aprile da Assogestioni, è una fase davvero appassionante, perché aggiunge qualità e toglie casualità al lavoro di tutti. Accentua il trasferimento della clientela dal mondo dell’emotività a quello della razionalità. Cioè: le ragioni di scelta da parte dei clienti privati prevalentemente ispirate alla simpatia, alla parentela, alla fiducia meta-professionale si riducono a vantaggio di quelle ispirate a considerazioni competitive, confronti e misure. In questa metamorfosi probabilmente la Mifid 2 c’entra ma poco, con tutto il rispetto. L’ipotesi inizialmente così temuta che la nuova regolamentazione europea traumatizzasse i clienti mettendoli di fronte all’evidenza dei costi che pagano per i loro portafogli sembra rientrata. Che paghino, e non poco, i clienti lo sanno: ma non vogliono tanto sconti quanto risultati e accudimento, cioè ancora una volta qualità. Un certo effetto-calmiere c’è stato e ci sarà, per la Mifid, sui prezzi dei servizi e quindi sui margini delle società della filiera: ma non devastante. Dunque la clientela è tutt’altro che in fuga. Se rimpinza di cash i conti correnti bancari lo fa per inquietudine, ma non vuole dire che non sia disposta ad ascoltare proposte intelligenti. Bisogna fargliele, però: tenendo conto che attorno a sé il risparmiatore non professionale vede e legge di incertezze geopolitiche, minacce ecologiche, incognite demografiche, sfide tecnologiche.
Insomma, un’età precaria dopo molti decenni di crescita indiscussa e indiscutibile, nei Paesi sviluppati, di tutti i fattori del benessere. È inquieto. Metodologicamente le risposte da dare a quest’ansia sono chiare. Entrare in una logica di formazione permanente; accontentarsi di margini di guadagno inferiori, se non altro in percentuale sui patrimoni; puntare a portafogli medi più alti. In sintesi – per tornare all’inizio – lavorare di più: tutti, i singoli consulenti come anche le grandi fabbriche internazionali della gestione finanziaria e le reti di distribuzioni più capillari, reputate e forti. Lavorare tenendo anche conto delle nuove sensibilità collettive: come quella verso l’ecosostenibilità delle attività economiche, la loro compatibilità sociale, la correttezza delle gestioni. I criteri riassunti dalla sigla inglese Esg, non a caso tra i temi centrali al Salone. Ma quel che poi conta davvero – quel che fa la differenza – è l’iniziativa individuale, la capacità personale di relazione e di servizio al cliente. In tempi complessi vincono i più dediti e i più flessibili, come in ogni attività umana. Lavorare di più, lavorare meglio: anche perché ci sarà sempre un concorrente pronto a farlo al nostro posto. Viene in mente il vecchio adagio della gazzella e del leone, costretti entrambi a correre veloci per vivere. E una sfida in più è anche quella di contemperare con regole d’ingaggio leali l’amicizia e la concorrenza tra persone spesso in rapporti cordiali ma costrette a contendersi i clienti. Eppure quest’aspetto umanamente a volte spiacevole può però essere collocato nella parte piena del bicchiere. Perché una crescita davvero corale del settore ha in realtà un obiettivo comune da perseguire, di quelli che mettono tutti d’accordo: snidare dai conti correnti infruttiferi il troppo denaro che ancora (anzi più di prima) gli italiani vi stivano. Se la sfida della complessità verrà giocata con impegno da tutti, non si risolverà in una cernita tra vincitori e vinti ma in una vittoria di tutta la filiera contro il vero nemico che il risparmio italiano deve battere – come in fondo anche la politica italiana - l’astensione. La scelta di non scegliere. Se anche solo il 20 per cento di chi oggi non affida in gestione a nessuno i suoi risparmi inizierà a farlo, sarà vittoria per tutti.
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Registrazione Tribunale di Milano N. 126 del 27/3/1982 Direttore responsabile Sergio Luciano Caporedattore Marco Muffato Newsroom Marina Marinetti, Marco Scotti, Riccardo Venturi, Raffaela Jada Gobbi, Liliana Nori Hanno collaborato Antonio Quaglio (Consulente del
direttore), Rosaria Barrile, Ugo Bertone, Annalisa Caccavale, Giacomo Damian, Giuseppe D’Orta, Fabiana Giacomotti, Gian Marco Litrico, Davide Passoni, Mario Romano, Monica Setta, Gloria Valdonio, Paolo Zucca Contributors Vincenzo Bafunno, Vittorio Borelli, Enrico Cisnetto, Giuseppe Corsertino, Anna Gervasoni, Glauco Maggi, Giordano Lombardo, Andrea Margelletti, Marco Onado,
Francesco Priore, Nicola Ronchetti, Giulio Sapelli, Franco Tatò Partnership Editoriali Confedilizia, Scenari Immobiliari Redazione redazione@investiremag.it Segreteria di redazione Monia Manzoni Presidente e A.D. Giuseppe Caroccia Editore incaricato Domenico Marasco
Responsabile commerciale Luca Ronzoni Casa editrice Economy s.r.l. Piazza Borromeo 1, 20123 MilanoTel. 02/89767777 Distribuzione Pressdi - Via Mondadori, 1 Segrate - 02 7542097 Stampa Stampa Rotolito. S.p.a 20063 - Cernusco S.N. (MI)
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WATCHDOG Marco Onado È professore senior di Economia degli intermediari finanziari nella Università Bocconi di Milano. È stato Commissario Consob. Collabora con “Il Sole - 24 Ore”, “Lavoce.info” e “voxeu.org”.
BANCHE, IL RISPETTO DELLE REGOLE NON È UN OPTIONAL
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a Banca d’Italia della catena erano proprio – e la procura quelli più vicini al cliente: della Repubtardive comunicazioni comblica di Milano merciali, classificazione dei – hanno acceclienti, assegnazione del so un faro sulle operazioni rischio. Dunque debolezze in Italia di Ing e ci hanno di diffuse fino alla base della colpo ricordato quanto sia piramide organizzativa e importante che gli interper un periodo di tempo asmediari finanziari abbiano sai lungo. sistemi di controllo pienaÈ un altro luogo comune che mente efficaci a tutti i livelli si infrange: le violazioni deldella catena: dai vertici fino le regole di comportamento alle unità che hanno il rapnon sono da imputare a casi porto diretto con il cliente. isolati. Quando i casi sono La compliance non è più così diffusi e prolungati nel una fastidiosa incombenza SEDE DELLA DANSKE BANK, NEL PALAZZO ERICHSENS A COPENAGHEN tempo, è ovvio che il proburocratica o peggio ancora blema è l’organizzazione un ostacolo all’attività comcomplessiva e in particolare merciale: è una componente un clima aziendale a tutti i liessenziale delle istituzioni velli in cui l’ansia del risultafinanziarie di oggi, che sono to commerciale immediato diventate sempre più comprevale sul senso della legaplesse e quindi hanno bisolità e della correttezza. Un gno di sistemi di controllo autorevole regolatore amesempre più sofisticati. ricano ha detto: «altro che Banche e intermediari fimele marce: il problema è il nanziari per mestiere assumono rischi, ma negli ultimi cestino» intendendo con questo termine la cultura complestempi si è capito che quello legato alla violazione di leggi siva che ispira un’organizzazione e la posizione che in essa o regolamenti può assumere dimensioni preoccupanti. Le assume il rispetto delle regole. E poiché tutto questo dipende principali banche internazionali hanno pagato miliardi di soprattutto dal top management e dai messaggi che esso indollari di sanzioni (o per transazioni in sede civile) a causa via alla struttura aziendale, in termini ancora più brutali ha di fatti gravissimi: sistematiche violazioni a regole di cor- ricordato la vecchia massima secondo cui «il pesce comincia rettezza, manipolazione del mercato (clamoroso il caso del a puzzare dalla testa». Libor e dell’Euribor), complicità all’evasione fiscale, riciclag- In altre parole è vero che molte regole si traducono in incomgio. Sembra il catalogo di Leporello, ma in questo caso non si benze burocratiche che possono sembrare inutili perdite di tratta di «belle che amò il padron mio». tempo sia per gli operatori sia per i clienti. Ma – come certe Proprio per un grave caso di riciclaggio recentemente è en- pratiche liturgiche – sono anche rituali che ci vogliono richiatrata in crisi una grande banca danese (Danske Bank) coin- mare a qualcosa di più importante: nel nostro caso il fatto che volta in un traffico di 200 miliardi di dollari, coinvolgendo an- nel collocamento di prodotti finanziari ancora più che per che altre banche come Deutsche, che sembra farsi un punto ogni altro bene o servizio, il rispetto delle regole viene per d’onore nel collezionare infrazioni di tutti i tipi. Il danno che primo, sempre e comunque. E se si vuole essere più prosaici, può derivare è inestimabile per un’istituzione finanziaria che basterà ricordare che ormai il mercato punisce immediataper definizione si basa essenzialmente sulla fiducia dei suoi mente chi viene colto con le mani nella marmellata. Ing ha clienti. Solo pochi mesi fa, la stessa Ing in Olanda ha dovu- accusato una riduzione dei ricavi totali del 15 per cento l’anto pagare una pesante sanzione di quasi 800 milioni di euro no scorso, proprio per le sue vicende giudiziarie. Un monito avendo ammesso di non essere riuscita a garantire i miglio- importante per chi ogni giorno è a contatto con il cliente, ma ri standard di prevenzione del crimine per oltre sei anni, a soprattutto – come si è visto – per chi è responsabile dei valopartire dal 2010. È interessante ricordare che gli anelli deboli ri che ogni azienda deve esprimere.
Per troppi istituti l’ansia del risultato commerciale immediato prevale sul senso della legalità e della correttezza
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aprile 2019
Mediobanca Certificates, 70 anni di storia. Il mercato finanziario è come il mondo. Per essere esplorato in tutta la sua ricchezza ha bisogno di navigatori esperti. Dal 1946 Mediobanca assiste le imprese e gli investitori con servizi finanziari altamente specializzati dedicati a realtà che evolvono continuamente. I Certificates Mediobanca sono il frutto di competenza, esperienza e affidabilità. Certificates Mediobanca: un punto d’arrivo.
Il presente documento ha esclusivamente scopi di marketing. Esso non costituisce in alcun modo una sollecitazione all’acquisto o alla vendita di qualsiasi strumento finanziario, né attività di consulenza o ricerca in materia di investimenti. Per maggiori informazioni consultare il sito www.mediobanca.com Mediobanca Banca di Credito Finanziario S.p.A. Piazzetta Enrico Cuccia, 1 20121 Milano, Italia • Partita IVA: 10536040966 • Codice fiscale e numero di Iscrizione al Registro delle Imprese di Milano, Monza, Brianza, Lodi: 00714490158 • Mediobanca S.p.A., iscritta all’Albo delle Banche e Capogruppo del Gruppo Bancario Mediobanca, iscritto all’Albo dei Gruppi Bancari al n. 10631. Aderente al Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi e al Fondo Nazionale di Garanzia. • Iscritta al Registro Unico degli Intermediari assicurativi e riassicurativi. Capitale sottoscritto e versato € 443.521.470,00
SOMMARIO Aprile 2019
12 IL SISMOGRAFO
di giulio sapelli
La via della seta non è quella giusta
14 IL GERMANISTA
di franco tatò
Disastro regionalismo nelle politiche educative
16 FINANZA REALE
di a.gervasoni
Magic moment per il private equity
18 TERZA REPUBBLICA
di e.cisnetto
Cosa aspetta la Lega a dire bye-bye ai 5stelle?
38 DARKWEB/2
L’illegalità regna sovrana nell’online profondo
40 LA PAROLA AL GESTORE
Maccia (Bnp Paribas BP): no recessione globale
44 UNIVERSO ESG
Brogi (Esma): obiettivo buona governance
46 FAMILY OFFICE
Strategie opzionarie per contenere la volatilità
30 MERCATI FINANZIARI
48 POLITICA&CREDITO
32 ASSET MANAGEMENT
50 BENI RIFUGIO
34 DARK WEB/1
54 FASHION
Quante pepite d’oro a Piazza Affari
Npl e bail-in, è fitta l’agenda della Bicamerale
La ricetta per dare futuro al risparmio gestito
Quattro storie di truffe finanziarie via internet
La crescita esponenziale della sub-advisory. Sfida all’ultimo sangue tra gli asset manager per i mandati di gestione
Ecco perchè l’oro ama le cattive notizie
Il rebus successioni per le griffe
COVERSTORY SCENARIO
GESTIONI DELEGATE/1
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Doris (Banca Mediolanum): è giusto puntare sui prodotti contenitore
Ragaini (Banca Generali): una grande rivoluzione, gestisce solo chi merita
GESTIONI DELEGATE/2
GESTIONI DELEGATE/3
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Ronchetti (Finer): la sub-advisory avanza e il consulente si adegua 8
aprile 2019 Copertina di Mirco Tangherlini
Mach (Impact Sim): vantaggi per reti e clienti, più selezione tra le Sgr
SOMMARIO
INVESTIRE SPECIALIST 64 68 72 74 76 78
CONSULENZA INDIPENDENTE/1 Le banche entrano nel business della indipendent advice
CONSULENZA INDIPENDENTE/2 Ecco i fee only, usciti dal limbo cercano di diventare grandi CONSULENZA INDIPENDENTE/3 Una galassia di denominazioni e di servizi differenti negli USA
ENASARCO/ Alleanza a tre per cambiare il futuro della Fondazione. Tutte le mosse per la svolta
SALONE/ Tutti i numeri della manifestazione organizzata da Assogestioni a Milano
CHEBANCA!/ Wealth management e innovazione digitale al centro dei piani di sviluppo
82 84 85 90 92 98
CONSULTINVEST/ La filiera corta permette di ottenere tanta qualità a costi più bassi
SEDIE&POLTRONE/ Trezzi cresce ancora in Invesco, Farnè alle sinergie commerciali di Credem PROFESSIONE CONSULENTE/ Un ingegnere
meccanico vuole diventare gestore. Vediamo come
POLE POSITION/ Scalare le Generali, un sogno nel cassetto di molti che rimarrà tale
TALENT SHOW/ Cf, fai da te e roboadvisor in gara per strutturare il portafoglio di una 70enne MAMMA LI FONDI/ Guida agli activist fund, un incubo vero per le società quotate italiane
MONDO
56 IL GIRO DEL MONDO IN 30 GIORNI 60 QUI PARIGI
Microsoft contro Foxconn, tutta colpa dei software di Huawei
di giuseppe corsentino
La Francia si prepara alla bonanza del dopo-Brexit
61 QUI NEW YORK 62 COSMOPOLITICA 102 PRIVATE EQUITY 116 OROLOGI 104 CORPORATE GOVERNANCE 120 FOTOGRAFIA 108 IL DENARO DEI VIP 130 MALALINGUA 110 IL MATTONE 112 BIBLIOTECA 114 EDUCAZIONE FINANZIARIA
di glauco maggi
I vent’anni (portati bene) dell’Invesco QQQ Trust
di andrea margelletti
Quella spia venuta da Cellino San Marco
Con la sostenibilità un matrimonio che funziona
Solo gli intenditori possono guadagnarci
Tutto sulla partecipazione femminile ai board
Che dividendi con gli scatti d’autore
Adriana Volpe teme la Borsa e investe in valuta
Governo del cambiamento? Perso in Cina
Gli immobili commerciali perdono smalto
di antonio quaglio
La lenta vittoria della moneta elettronica
È ora della “fibra ottica di cittadinanza”
10 aprile 2019
Direttore: Vittorio Feltri Direttore responsabile: Pietro Senaldi Reg. trib. di Bolzano num. 8/64 del 21/12/1964 Distribuzione: Press-di Sito internet: www.liberoquotidiano.it
La gerenza del quotidiano Libero viene qui riportata per le copie di Investire in vendita abbinata
Le sfide più importanti sono quelle affrontate insieme. Un partner su cui poter contare è fondamentale. Da 35 anni siamo al fianco di famiglie italiane, grandi gruppi bancari e investitori istituzionali per accompagnarli nella scelta delle migliori soluzioni di investimento. Senza fermarci mai. Ecco come siamo diventati il più grande gruppo indipendente in Italia. Ed ecco perché siamo stati premiati come migliore società di gestione italiana anche nel 2019 *. Ora lo sai: se cerchi un partner per andare lontano, puoi contare su di noi. Contatta il tuo consulente o visita il sito www.animasgr.it
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IL SISMOGRAFO Giulio Sapelli È Ordinario di Storia Economica presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Milano e direttore scientifico della Fondazione Enrico Mattei.
“L’INTERESSE PREVALENTE” SPINGE VERSO GLI USA NON LA CINA
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ià parlare di un braccio di ferro con gli Stati Uniti non mi sembra una scelta di buon senso, quando si ragiona sulla posizione internazionale dell’Italia rispetto alla Belt and road iniziative. Anzi si comincia a sbagliare sin dalla scelta della parole. Il caso America-Cina va invece descritto con le vecchie parole di buon senso che molti molti anni fa scandivano le relazioni internazionali. Ricordo sempre che Dino Grandi teorizzò il concetto e la pratica dell’“interesse prevalente” e la applicò – sostenendo che l’Italia dovesse restare alleata della Gran Bretagna e degli Stati Unii – fin quando Mussolini non si stufò e non lo costrinse ad andarsene a Londra a far l’ambasciatore espellendolo dalla Farnesina. Secondo Grandi, l’interesse prevalente dell’Italia era restare con gli alleati che Mussolini non gradiva più. Oggi nel caso Usa-Cina bisognerebbe ragionare con gli stessi criteri. Possiamo certamente discutere, negoziare e commerciare con tutti, purchè però nel frattempo si rimanga ben piantati, e proprio fortemente avvitati, al proprio interesse GIULIO ANDREOTTI prevalente. E per l’Italia quest’interesse prevalente, dopo la seconda guerra mondiale, e ancor più dopo che gli Americani decisero di appoggiare Nasser nella nazionalizzazione di Suez, è quello di essere alleati degli Stati Uniti. Nel dibattito cui stiamo assistendo sui rapporti con la Cina sfugge invece – ed è desolante per un vecchio studioso come me constatare quanti protagonisti del nostro tempo non abbiano letto nulla né di Kissinger né di Aron – quella semplice regola che si esprime attraverso un’altrettanto semplice domanda: come fa una media potenza regionale ad avere possibilità di utilizzare le risorse delle grandi potenze? Ecco: io dico che se l’Italia resta alleata, ma proprio molto alleata, degli Stati Uniti poi può negoziare con la Cina come anche con la Russia, cioè con quelle potenze che gli Stati Uniti identificano come nemici prevalenti e verso le quali usano le medie poten-
ze loro alleate come un sistema di ponti che direttamente non potrebbero organizzare. Ma prendo atto che non è così: dopo il declino del trio Andreotti, Colombo e poi Bettino Craxi – un trio che aveva capito qual fosse l’interesse prevalente, e si comportava di conseguenza – non c’è più stato quel buon senso. Lo stesso Craxi sbarellò nel caso di Sigonella, quando pure notoriamente gli interessi Usa collimivano con quelli dello Stato israeliano. Ma anche Andreotti si trovò male quando Reagan gli chiese che l’Italia desse le sue basi per bombardare Gheddafi, perché perseguire l’interesse prevalente non è facile, è difficilissimo. Però continuare nell’atteggiamento tenuto finora significa porsi contro tutti, non solo contro gli Usa, ma anche contro l’Europa, dove invece siamo e dobbiamo stare, senza uscirne, polemizzando contro ideologie e prassi, ma restarci migliorando le cose. Siamo l’unico Paese del G7 portato a progettare una simile apertura verso la Cina, segno che abbiamo smarrito il senso della prudenza. Cosa c’è da temere? Mi si potrebbe chiedere. La mia risposta è che – come David Pilling ha scritto sul Financial Times – in questo modo l’Italia rischia di cadere vittima di quello che lui chiama imperialismo da debito. Di che si tratta? Spieghiamoci. Come mai tutte le potenze del Sud East asiatico stanno ritirandosi dalla via della seta? Pakistan, Bangladesh, Myanmar? Tutti via! Perché hanno capito il gioco. Le opere vengono fatte finanziandole a debito, i costruttori per realizzarlo s’indebitano e i cinesi li rilevano. Sì, li comprano. Quindi anche appellarsi ai fondi cinesi è quanto di più suicida sia mai capitato. La Cina sta ritirando i suoi investimenti dai dintorni dell’impero. All’ultimo congresso il presidente Xi Jinping chiedeva più investimenti domestici. Vuole che sostengano l’economia reale. In un simile quadro, la mossa italiana è un autogol. Chi è favorevole è un’obamiano. Che Dio protegga la patria…
Bisogna ispirarsi a Dino Grandi per non rimanere imbrigliati sulla via della seta
12 aprile 2019
IL GERMANISTA Franco Tatò Manager eclettico e innovativo, è tra i pochissimi italiani ad aver diretto aziende in Germania, paese (e cultura) che ama ed è l’unico ad essere stato amministratore delegato sia di Rizzoli che di Mondadori
IL REGIONALISMO NELLE POLITICHE EDUCATIVE FA DISASTRI
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inalmente, nella seconda metà di febbraio, il governo federale tedesco e gli Stati regione, hanno sottoscritto l’intesa sulla suddivisione dei fondi, messi a disposizione dal Ministero delle Finanze, perché potesse partire il “patto digitale” per l’informatizzazione delle scuole di tutto il paese. Cinque miliardi di euro entreranno nelle casse degli Stati regione e dei comuni per finanziare i collegamenti wlan, le lavagne elettroniche, i programmi di apprendimento, i computer e la formazione degli insegnanti. Il Parlamento ha approvato, con la prevista maggioranza di due terzi, con l’unica opposizione della AfD, la legge costituzionale che rende possibile un finanziamento centrale con criteri diversi dalla suddivisione regionale delle imposte. Il programma parte con ritardo, doveva infatti partire a gennaio, a causa del prolungarsi delle trattative. Motivo del contendere non era ovviamente il milione più o meno, ma la libertà operativa nell’utilizzo dei fondi da parte degli Stati regione. Anche in questo caso ha vinto il regionalismo, con conseguenze che non potranno che essere negative sulla realizzazione di un adeguato programma di aggiornamento dei sistemi educativi. La responsabilità dell’educazione è in Germania da sempre in capo alle regioni e quindi ha prodotto negli anni un grande divario nella qualità educativa delle scuole nelle varie parti del paese: non è un mistero che il livello dei licei bavaresi è incomparabilmente superiore a quello delle analoghe scuole nell’Assia o della Sassonia. Queste differenze, oltre alle ovvie conseguenze sociali, costituiscono un serio ostacolo alla mobilità del lavoro qualificato, cioè di quei lavoratori che devono spostarsi con le loro famiglie. Il divario ha anche cause politiche: infatti negli Stati regione che hanno avuto un prolungato periodo di governo socialista prevale il modello della Gesamtschule, versione tedesca delle notoriamente fallimentari comprehensive school britanniche. Lasciando alle regioni un’ampia libertà di decisione si è persa una grande opportunità per correggere almeno in parte queste storture. L’esasperato regionalismo si riflette anche sulle università le quali, pur godendo di grande indipendenza e generalmente di un elevato standing di insegnamento e di ricerca, trovano difficile ottenere riconoscimenti internazionali che non mancano al Max Planck Institute o alla Fraunhofer Geselschaft, strutture compattamente unitarie fin dalla fondazione e presenti selettivamente anche al di fuori dei confini. Va detto però che, con l’erogazione di questi fondi, il Governo contribuisce ad alleviare le pesanti critiche, anche a livello internazionale, sulla scarsità degli investimenti infrastrutturali e degli stimoli alla domanda interna, critiche respinte duramente a suo tempo dall’allora Ministro delle Finanze Scheuble, argomentando che tutti i progetti avviati erano finanziati e non sapevano cos’altro inventarsi. I critici della grande coalizione di oggi sostengono invece che, avendo chiuso i conti del 14 aprile 2019
L’EX MINISTRO DELLE FINANZE TEDESCO WOLFGANG SCHAUBLE
2017 con un avanzo di cassa di ben 58 miliardi, si sia preferito finanziare programmi sociali, pensioni e assistenza agli anziani. anziché effettuare investimenti produttivi o migliorare i benefici fiscali alle imprese. E’ vero che le riserve per il finanziamento dei costi dell’immigrazione hanno raggiunto i 35 miliardi, ma il previsto rallentamento dell’economia farà mancare 5 miliardi all’anno di entrate fino al 2023. Insomma anche la Germania ha i suoi problemi , ma forse questo tipo di problemi vorremmo averli noi. I nostri sono diversi, come si vede da questo sintetico ricordo. Nel 2004 o nel 2005 l’Istituto della Enciclopedia Italiana aveva concluso la digitalizzazione di tutti i suoi contenuti e li aveva messi in rete in consultazione gratuita. Si decise pertanto di iniziare un’ intensa attività di supporto alla scuola, producendo e pubblicando sul sito dell’Istituto videolezioni affidate a insegnanti eccellenti, secondo i programmi ministeriali. Parallelamente partì un programma di ripetizioni on line, individuali e collettive, a un prezzo modesto. A questo punto siamo andati da un direttore generale del Ministero dell’Educazione proponendo di far fare le lezioni da insegnanti di loro scelta, quindi con un sigillo di garanzia e di lanciare un programma di formazione degli insegnanti in servizio per contribuire a ridurre gli squilibri territoriali nella qualità dell’insegnamento: secondo noi uno dei più gravi problemi della nostra scuola. Il programma fu respinto senza neppure discuterlo perché avrebbe messo in pericolo la libertà individuale degli insegnanti. Per la sinistra di allora era meglio per il paese che insegnanti anche mediocri fossero liberi di scegliere come e cosa insegnare, piuttosto che cercare di avvicinare la qualità dell’educazione dei ragazzi meridionali a quella del Trentino. Il programma delle ripetizioni economiche di qualità abortì perché boicottato dagli insegnanti che preferivano incassare i pagamenti in nero e lasciare intendere ai genitori che avrebbero avuto un occhio di riguardo agli scrutini: che cosa non si fa per i figli? E qualcuno continua a non capire perché abbiamo elettori furibondi e l’ignoranza al potere.
critEri EsG aziEndE sostEnibili
azioni intErnazionali
diVErsificazionE
pErformancE sEmprE più GrEEn, pEr una crEscita sostEnibilE. Eurizon Fund Sustainable Global Equity (lu1529957687) Le aziende non generano profitti tutte allo stesso modo: i profitti generati con l’attenzione al benessere delle comunità e all’ambiente sono più sostenibili nel tempo, rispetto ai profitti ottenuti con strategie opportunistiche di breve periodo. Per questo Eurizon Fund Sustainable Global Equity investe sui mercati azionari internazionali e si distingue per: l’utilizzo di una strategia che integra l’analisi EsG (di impatto ambientale, sociale e di governo aziendale) e l’analisi fondamEntalE per individuare aziende con vantaggi competitivi sostenibili nel tempo; ricercare Extra-pErformancE nel lungo termine rispetto al benchmark 100% MSCI World Hedged in Euro. Eurizon fund sustainablE Global Equity è un Comparto del fondo lussemburghese Eurizon Fund, istituito da Eurizon Capital S.A. e gestito da Eurizon Capital SGR S.p.A..
Società del gruppo
www.eurizoncapital.lu
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FINANZA REALE Anna Gervasoni Professore Ordinario di Economia e Gestione delle Imprese alla Liuc di Castellanza. È anche direttore generale dell’Aifi (Associazione italiana del private equity, venture capital e private debt)
CHE MOMENTO PER IL PRIVATE EQUITY
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l 2018 è stato l’anno migliore del private equity italiano e anche il 2019 è iniziato con un numero di operazioni in linea con l’anno scorso. Perché così tanto interesse nelle nostre imprese? Il settore ha visto crescere tutti segmenti di attività, dal venture capital (ndr: leggere il mio intervento del mese scorso), al capitale per lo sviluppo, al buyout che si caratterizza per l’acquisizione di un’impresa con il ricorso a un mix tra capitale di rischio e capitale di debito. Il venture capital ha visto 172 operazioni, con 324 milioni di euro investiti, un incremento del 143% rispetto all’anno precedente. Il capitale per lo sviluppo, il cosiddetto expansion, ha visto numeri in crescita con 50 operazioni; con il buyout si sono realizzate operazioni che hanno permesso un ricambio manageriale in imprese dove la proprietà ha deciso di ritirarsi. I nuovi manager/imprenditori saranno i protagonisti del percorso di crescita che spesso vede l’impresa potenziare la sua posizione internazionale e diventare polo di aggregazione di altre imprese. Il fondo di private equity infatti impone una accelerazione allo sviluppo che spesso viene realizzato attraverso la crescita per linee esterne, i cosiddetti add-on ovvero acquisizioni di altre aziende che rafforzano la presenza nel mercato di riferimento in Italia o all’estero. I dati sui buyout sono estremamente positivi: 109 operazioni e una crescita dell’ammontare a oltre 5 miliardi, segnando un +52% rispetto al 2017. Un altro bel segnale di crescita è dato dall’aumento degli investimenti in infrastrutture e società di gestione di infrastrutture, a significare l’interesse verso tutti i segmenti dell’economia reale e a puntare su business che abbiano una tenuta di medio lungo periodo. Il totale degli investimenti in capitale di rischio ha fatto registrare nell’insieme una cifra che ha sfiorato i 10 miliardi di euro. Ma le risorse messe in campo sono state ben più elevate, se consideriamo che nelle operazioni di buyout si è fatto anche leva sul debito. Ma chi sono gli investitori? Se guardiamo agli operatori che hanno investito nel 2018 il 66% delle risorse è arrivato da player internazionali; parliamo dei grandi fondi paneuropei, che non hanno una bandiera, ma raccolgono nel mondo per investire in Europa, dove trovano promettenti opportunità e lo fanno tramite i loro uffici sparsi sul territorio europeo. Molti fondi hanno uffici in Italia, a sottolineare l’interesse per il nostro paese. Cosa vedono nelle aziende 16 aprile 2019
Il miglior anno di sempre per il comparto in Italia, che cresce in tutti i segmenti. Insieme col private debt, già coinvolte 1.181 aziende italiane? Solide attività, che hanno saputo affrontare e superare le crisi degli anni passati, spesso avendo ampliato il proprio perimetro di attività all’estero, avendo occupato nicchie di mercato, avendo implementato nuove tecnologie, avendo esportato il modello imprenditoriale e la creatività del Made in Italy. Ma sono stati gli operatori italiani a lavorare di più, con oltre 260 operazioni su un totale di 359, hanno guardato soprattutto a pmi ad alto potenziale e spesso hanno lavorato insieme ai fondi di private debt per approntare la miglior struttura finanziaria. Nell’insieme private equity e private debt, quello che noi etichettiamo con private capital, negli ultimi cinque anni ha investito in 1.181 aziende, che rappresentano complessivamente 100 miliardi di fatturato e 430 mila addetti. Un numero maggiore degli addetti totali delle imprese della provincia di Brescia e pari al 20% degli addetti delle imprese della provincia di Milano. E questa piccola economia eccellente cresce a tassi medi significativi: in passato il fatturato è cresciuto a un tasso medio annuo del 6%, e l’occupazione del 5%, valori ben superiori ai benchmark di settore. Ed è da queste realtà che emergono rendimenti significativi che l’anno scorso hanno attratto gli investitori. Fondi pensione e Casse di previdenza hanno iniziato ad investire in modo significativo nei nostri fondi. Questo è un segnale che aspettavamo da tempo e che può essere un primo passo verso un allineamento europeo con gli investitori internazionali. Il sistema previdenziale è in tutti i Paesi il principale investitore nei fondi di private capital perché danno rendimenti interessanti per chi ha orizzonti di investimento lunghi. Così facendo il sistema previdenziale investe anche in se stesso, poiché promuove l’attività economica del Paese e il lavoro, che è la sola fonte di finanziamento della previdenza.
TERZA REPUBBLICA Enrico Cisnetto È un editorialista, economista e conduttore televisivo italiano, ideatore della trasmissione televisiva Roma InConTra. È conferenziere, consulente politico-strategico e tifoso della Sampdoria
CARO MATTEO, COSA ASPETTI A FAR SALTARE IL BANCO?
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La crisi economica e di fiducia del nostro Paese richiede alla Lega di staccare la spina all’alleanza con i 5stelle
aro Salvini, ma cosa aspetta a far saltare il banco? Dopo aver sfiorato la crisi di governo sulla Tav, non c’è giorno in cui la strana coppia formata da Lei e da Di Maio, o se preferisce da Lega e 5stelle, non litighi su tutto. Dalla flat tax allo sblocca cantieri, dalla voglia di statalizzare il servizio idrico alle ipotesi di salario minimo, dall’accordo con i cinesi a ogni altra questione di politica estera, in primis il Venezuela. Si potrebbe andare avanti a lungo, ma viste le traiettorie gialloverdi divergenti, di fronte alla paralisi del governo che re- Quanto sia necessaria una svolta lo dicono da un lato l’ecosta solo in attesa delle elezioni europee e soprattutto con l’eco- nomia in crisi, dall’altro la fiducia perduta. Dopo sei mesi col nomia che va a picco, il mio consiglio (non richiesto) è quello segno meno l’Italia, dice l’Ocse, ha davanti a sé l’intero 2019 di staccare la spina il prima possibile. Per il bene suo e del suo – l’anno doveva essere “bellissimo” – di recessione. A oggi inpartito, ma prima di tutto per il bene del Paese. E in particolare fatti sono dodici punti decimali che separano quanto previsto per il bene della parte più operosa dell’Italia, che peraltro coin- dal governo (+1%) dalle previsioni Ocse di decrescita del pil cide con i territori dove la Lega è più insediata. (-0,2%). Se l’Europa rallenta, noi freniamo di brutto, ultimi E’ obbligatorio rivolgersi a Lei, vicepresidente Salvini, non per distacco. E, purtroppo, gli italiani non si aspettano alcun solo perché ha sovvertito l’ordine del rapporto “voti-peso po- “cambiamento” per cui al rallentamento economico, occorre litico” uscito dalle urne un anno fa, mentre Di Maio ha incassa- aggiungere la crisi di fiducia di imprenditori e investitori di to una serie di sonore sconfitte elettorali e, stando ai sondaggi, cui esso è causa e conseguenza allo stesso tempo. Un dramrischia di passare da prima che apparirà in tutta ma a terza forza politica. la sua evidenza quando si Ma anche perché i 5Stelle tratterà di scrivere la prosnon hanno né le idee, né sima manovra di bilancio l’esperienza, né la coesioin cui, solo per mettersi ne interna necessaria a un seduti al tavolo ed evitare cambio di indirizzo. E anzi l’aumento dell’Iva, servopur di recuperare la ormai no 23 miliardi per il 2020 perduta verginità hanno e 29 per il 2021. scelto la marcia indietro, Insomma la Lega ha il rispolverando i temi ideodovere di capire che sbalogici della decrescita (ingliare i tempi di uscita da felice) e i “vaffa” da comiquesto cul de sac potrebbe zio d’opposizione. La Lega rivelarsi letale, perché se invece tra i due è l’unica la crisi si aggrava – e con che può affrontare le scel- IL VICEPRESIDENTE DEL CONSIGLIO MATTEO SALVINI la paralisi del governo non te di governo e quindi il può che aggravarsi – non futuro dell’economia. Anche perché l’elettorato del Carroccio ci sarà modo di scaricarla sugli alleati di governo, cosa che – in egual misura quello vecchio e quello recente, e a maggior oggi può ancora fare. ragione quello potenziale – fatica a digerire l’alleanza con “gli Dunque caro Salvini, il tempo stringe e le occasioni non manscappati di casa” (è la definizione più usata da tutti gli espo- cano. Tocca a Lei decidere se essere protagonista di una svolnenti leghisti, e anche la meno truce) e tanto meno accetta il ta radicale, di cui l’Italia non può fare a meno, o subirla. Mi suo prolungamento di fronte alla palese evidenza che il gover- sembra che molti esponenti di primo piano della Lega – da no sia ormai entrato nella fase del tirare a campare. Inoltre il Giorgetti a Zaia passando per Maroni – la scelta l’abbiano già Nord è in ebollizione per via della ignavia del governo di fron- maturata. Ma la sua leadership è troppo forte perché possa te alla recessione, anzi per la folle idea di poterla fronteggiare essere qualcun altro che non sia Lei a prendere la decisione. con strumenti di puro assistenzialismo come il reddito di cit- Subito sarebbe meglio, immediatamente dopo il 26 maggio tadinanza. Per cui, di fronte a questa impasse, ogni occasione è indispensabile. buona per staccare la spina e prima sarà meglio sarà per tutti. Grato dell’attenzione 18 aprile 2019
ESCLUSIVO / PARLA MASSIMO DORIS
«TRASPARENZA E NUOVI PRODOTTI IL CLIENTE SEGUITO BENE APPREZZA» di Sergio Luciano
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rodotti finanziari contenitore più convenienti fiscalmente e più trasparenti per il cliente: sono la nuova frontiera, e non una moda momentanea, per il risparmio gestito. Ne è convinto Massimo Doris, amministratore delegato di Banca Mediolanum, “una tra le grandi aziende del settore ad averci puntato”, che ne illustra il senso in questa intervista con Investire. In cui anticipa anche i promettenti risultati del primo anno di attività nell’investment banking, il 2018, “con 15 contratti di advisory sottoscritti dai nostri banker con imprese clienti, per quotazioni, cessioni o emissioni di bond”. E afferma di considerare la sfida della trasparenza lanciata dalla Mifid 2 già sostanzialmente vinta da Banca Mediolanum “con la diffusione, apprezzata e pacifica, del suitability report da ormai un anno. Il cliente seguito con professionalità riconosce il valore del servizio e comprende i costi, che peraltro la direttiva ha avuto il merito di calmierare un po”. 20 aprile 2019
SIAMO STATI TRA I PRIMI A FARE I PRODOTTI “CONTENITORE”: CI SEMBRAVA GIUSTO, INEVITABILE Dottor Doris, iniziamo dai prodotti contenitore. Perché il mercato li sta preferendo su così vasta scala? Siamo stati tra i primi ad andare verso i prodotti “contenitore” perché ci sembrava giusto e anzi inevitabile. Venivamo da una vera e propria ubriacatura per l’open architecture. Per una malintesa idea di diversificazione dell’offerta. Una formula che noi abbiamo sempre criticato. Se metto di fronte al cliente 2000 fondi tra cui scegliere,dove sta il mio valore aggiunto? Ma anche il più bravo consulente come fa a scegliere tra 2000 fondi? Finisce col selezionare quelli che hanno reso di più nell’ultimo periodo, assumendosi un rischio enorme non avendo altri elementi di valutazione. E invece, i prodotti contenitore? I prodotti contenitori consentono, in un’unica soluzione, di accedere ad un’ampia gamma di fondi d’investimento, sia propri
COVERSTORY che di terzi, già preselezionati, per costruire in modo efficiente portafogli ampiamente diversificati. Al banker spetta la valutazione delle esigenze del cliente e l’adeguatezza del profilo di rischio, mentre la gestione e la scelta degli strumenti attraverso i quali implementare le varie linee di gestione è delegata a un gestore qualificato. Presentano inoltre dei vantaggi fiscali perché le eventuali perdite di un fondo si compensano con i possibili guadagni di un altro, perché realizzati appunto all’interno di uno stesso contenitore. Queste sono le ragioni vincenti di una scelta oggi diffusa. Inoltre i prodotti contenitore permettono alle Case di investimento di essere ancora più compliant rispetto alle nuove regole di Mifid2. Ci spieghi meglio… E’ semplice: il sospetto che aleggia sulle Case di investimento riguarda il conflitto d’interessi. Si teme che anziché selezionare il meglio tra i prodotti finanziari, le Case preferiscano i prodotti per loro più remunerativi. Ebbene i prodotti contenitori presentano tipicamente un pricing lineare e un sistema di remunerazione per il banker assolutamente indipendente dagli strumenti utilizzati per la costruzione dei portafogli. Ecco scomparire quindi il rischio del conflitto d’interessi! Un prodotto che dà molta soddisfazione in tal senso a noi e ai nostri clienti è MyLife, che ha registrato una raccolta pari a 5,9 miliardi. Aggiunge l’involucro assicurativo, apprezzato perchè impignorabile, insequestrabile ed esente da imposte. Non bastavano i fondi di fondi? I prodotti contenitori sono molto più flessibili e consentono un maggiore presidio e monitoraggio delle soluzioni offerte al cliente. E le gestioni in fondi? Offrono il vantaggio della compensazione fiscale tra plus e minusvalenze, ma non prevedono la copertura assicurativa e i vantaggi di cui ho parlato prima. Ecco, veniamo al punto dolente dei costi: che ne pensa dell’impatto della Mifid 2, che sei mesi fa sembrava essere il babau del risparmio gestito? Non per noi. Cioè? Ci si è concentrati molto sui nuovi report alla clientela che mettono in grande evidenza i costi, dimenticando però che già da gennaio 2018 Mifid 2 obbligava a inviare ai clienti il cosiddetto suitability report, il report di adeguatezza. Ogni volta che un cliente fa un investimento nuovo o anche solo un aggiuntivo su un prodotto che ha già in portafoglio, riceve una rendicontazione che riassume, con la massima evidenza, i costi sostenuti per quell’investimento. In valore assoluto e in percentuale. E’ già così da quindici mesi. E allora? Posso dirle che l’invio nel 2018 del Suitability report a 100 mila nostri clienti, in regime di estrema trasparenza, non ha generato contraccolpi in termini di raccolta netta gestita, tant’è che ci siamo collocati al primo posto tra le reti. Forse avremo perso qualche opportunità, ma in misura del tutto marginale. L’invio del report di adeguatezza costituisce un ottimo banco di prova con, tra l’altro, zero conflittualità da
Massimo Doris amministratore delegato di Banca Mediolanum
NESSUN TIMORE SULLA MIFID 2 SE UN FAMILY BANKER È BRAVO SAPRÀ SEMPRE SPIEGARE BENE LE RAGIONI DI UN COSTO parte di chi l’ha ricevuto, oltre 100 mila clienti. E adesso quindi non avete timore che ci sia un contraccolpo più forte? Se un family banker fa bene il suo lavoro, e ha una relazione forte col cliente, saprà spiegare le ragioni di un costo senza temere la trasparenza. Inoltre i report sul 2018 difficilmente arriveranno prima di aprile, visto che il dettaglio dell’andamento sui fondi di terzi arriva dalle Case alle Reti nel corso del mese di marzo. I banker hanno avuto quindi tre mesi di tempo per preparare i propri clienti. I report inoltre saranno abbastanza corposi. Forti del rapporto fiduciario probabilmente i clienti chiederanno conto al loro consulente dei costi, e a fronte di un servizio di qualità il problema non si pone. Come dire che la Mifid 2 è stata inutile? Al contrario: è stata sacrosanta perchè ha spronato tutti gli operatori ad abbassare i costi per il cliente finale. Ma non al punto da far crollare i margini, che servono a remunerare un servizio impegnativo e qualificato qual è quello di una rete che faccia bene il suo lavoro di consulenza finanziaria. Ma qual è il giusto prezzo secondo lei per un servizio come il vostro? Il prezzo è proporzionato al servizio che ricevo. Sappiamo con certezza che la soddisfazione del cliente è direttamente proporzionale alla frequenza dei contatti con il family banker. Non tanto all’andamento del mercato. Nel 2008, quando tutti i clienti perdevano, il rischio di fuga in massa era alto, ma la regolarità frequente del contatto banker-cliente ha trasmesso tranquillità aprile 2019 21
e fiducia ai clienti, che hanno approfittano dei prezzi bassi dei mercati per incrementare la propria posizione finanziaria. Cioè? Spesso non si riesce a rimanere razionali di fronte ai mercati e si acquista ai massimi, per poi vendere ai minimi. Anima cita spesso il caso del suo fondo, Anima Trading, premiato, una quindicina d’anni fa, per aver realizzato una performance media annua di oltre il 10%. Ebbene la metà degli investitori ha perso soldi su quel fondo proprio per errori di timing, cioè ha comprato ai massimi e venduto ai minimi. Per cui, ripeto: è positivo che i costi per il cliente scendano, e la Mifid ha giovato, ma non defocalizziamoci su ciò che fa la differenza, e cioè l’educazione del cliente all’investimento. Dev’essere un modus operandi sistematico e permanente: i clienti vanno contattati sempre. Non necessariamente con la presenza fisica ma anche per telefono o con altri canali digitali. A proposito: ma quanto vi state digitalizzando? Quanto robot-for-advisory c’è in voi? I nostri family banker hanno a disposizione strumenti evoluti e sofisticati che li aiutano a creare i portafogli giusti per i loro clienti, ma non crediamo a forme di robotizzazione troppo spinte. La loro applicazione nel settore retail può creare danni. Non è detto che il risparmiatore abbia le competenze necessarie per maneggiare da solo quegli strumenti. Ora i nostri banker le competenze le hanno, ma affidarsi esclusivamente ai robot sarebbe materialmente impraticabile. A ogni input del sistema – per esempio, sovrappesare gli Usa e sottopesare l’Europa – il banker dovrebbe contattare tutti i suoi 200 o 300 clienti, spiegare loro le soluzioni proposte e raccoglierne gli ordini. Nel frattempo il quadro potrebbe cambiare e l’operazione sarebbe superata dagli eventi. E dunque impieghiamo la digitalizzazione per diversificare al meglio la selezione dei prodotti migliori per ciascun profilo di rischio. E in questo c’è molto valore. E come fate? Abbiamo sviluppato un algoritmo nostro, di nostra proprietà intellettuale, ISD o Indicatore Sintetico di Diversificazione, che sa misurare il livello di diversificazione di un portafoglio. Le variabili che compongono questo indicatore non sono equipesate, ma ponderate in base al grado di 22 aprile 2019
Un’immagine della recente presentazione in Borsa della Classe Elite promossa da Banca Mediolanum
rilevanza attribuito dalla banca. Il cliente può quindi comprendere il livello di diversificazione del proprio portafoglio sia in base alle variabili classiche - orizzonte temporale, diversificazione geografica e settoriale- sia secondo variabili più sofisticate come la diversificazione per valute e stile gestionale. La valenza dell’indicatore è supportata dalla validazione del modello effettuata da Prometeia e può diventare per il cliente la bussola per orientarsi rispetto ai propri investimenti. Oltre ai robot, avete novità sull’e-banking? Riteniamo di essere al top nella tecnologia del riconoscimento biometrico, che sta esaltando la comodità, la sicurezza e l’affidabilità degli accessi da smartphone. Con uno smartphone che ti riconosce dalle impronte e dalla fisionomia non occorre ricordare alcun codice. Ancora un tema: avete presentato da poco una classe di imprese Elite che sostenete, insieme con Borsa italiana spa. Come sta andando la vostra diversificazione nell’investment banking? Siamo entrati nel settore l’anno scorso. In un anno abbiamo acquisito 15 contratti di advisory da altrettante imprese per operazioni di finanza straordinaria, come quotazioni, vendita o emissioni di bond. Dalla comunicazione della nostra partnership con Elite, che prevede una lounge di 24 mesi per una selezione di 21 imprese, alcuni family banker ci stanno già chiedendo come poter inserire altre aziende clienti nel progetto Elite. Bene, ma non è ancora un business, mi pare. Se avessi voluto entrare nell’investment banking per attivare presto una nuova grande linea di ricavi determinante per il bilancio avrei sbagliato. Allora perché lo facciamo, potrebbe chiedermi lei. Se Banca Mediolanum aiuta un imprenditore a vendere bene la sua impresa, oltre alla fee per l’operazione, è probabile che, almeno parte del denaro incassato, le venga affidato in gestione. Se aiuto un’impresa a quotarsi in Borsa e a far convogliare risorse per il proprio sviluppo, probabilmente riuscirò a cementare un rapporto fiduciario con l’imprenditore che mi affiderà una parte dei suoi risparmi. Rafforzando il legame con questa tipologia di clientela, svolgo un’attività qualitati-
COVERSTORY vamente elevata, complementare al mio core business che è e resta la gestione del risparmio. E c’è di più… Cosa? Il nostro impegno a fianco di Elite è un modo per aiutare i nostri clienti imprenditori a fare il salto di qualità. Mi piace l’idea di aiutare le aziende italiane a crescere. Diamo un aiuto al Paese, all’intero sistema. Ma è facile per una rete come la vostra acquisire questo genere di clientela, con tutta la concorrenza che c’è da parte delle merchant bank tradizionali? Di facile non c’è nulla, ma abbiamo il vantaggio della prossimità alla nostra clientela. Le grandi merchant bank sono tutte a Milano. Le imprese, loro potenziali clienti, sono invece sparse su tutto il territorio, come i nostri banker, che parlano la loro stessa lingua, con il loro stesso accento. Quando incontro gli imprenditori, faccio notare loro che il mondo del credito bancario è cambiato. E’ importante che l’imprenditore conosca l’esistenza di forme alternative al credito per ottenere risorse fresche da convogliare verso la propria azienda. Non abbiamo la pretesa di insegnare loro come svolgere al meglio il loro mestiere. Tuttavia non si può ignorare l’importanza della finanza nella crescita di un’azienda, e in questo gli specialisti siamo noi. Se l’imprenditore dispone di informazioni incomplete o scorrette difficilmente sarà nelle condizioni di operare le scelte migliori. Una volta che l’imprenditore è bene informato, ha la sufficiente consapevolezza per decidere se continuare a lavorare come ha sempre fatto o cambiare. E di quest’approccio, devo dire, sono tutti entusiasti. Soprattutto gli imprenditori della nostra classe Elite. Mi scusi, però: ma i vostri banker sono all’altezza di …insegnare finanza d’impresa? I family banker che vogliano occuparsi dei servizi di corporate finance devono seguire un percorso formativo specialistico, progettato ed erogato dalla nostra Faculty in collaborazione con il MIP Politecnico di Milano per apprendere le seguenti tematiche: composizione e lettura del bilancio, analisi finanziaria, valutazione d’impresa. Al termine del percorso è previsto un esame di abilitazione. Già: la vostra famosa formazione! Con i dieci anni di Mediolanum Corporate University… Un fiore all’occhiello. Organizziamo un’ampia gamma di corsi, sia tecnici, sia relazionali, rivolti ai nostri dipendenti, quadri, dirigenti, ma soprattutto ai nostri banker, da 10 anni nella nostra Faculty. Il 18 marzo abbiamo celebrato infatti 10 anni di Mcu, con una veste istituzionale, nella nostra sede di Milano, Biandrà, cui ha avuto seguito, al Teatro Nuovo di San Babila, un vero e proprio spettacolo aperto ai nostri clienti. Hanno preso parte uomini di impresa e cultura, come Oscar Farinetti e Michele Placido, che ci hanno seguito in questo decennio di attività. Tornando alla preparazione dei nostri banker, ricordo che in aprile verranno consegnati, a circa 30 professionisti, i diplomi della seconda edizione del Master in Family Banking, un percorso formativo biennale, progettato in collaborazione con l’Universi-
tà Cattolica di Milano. Mentre a marzo è partita la seconda edizione di Bimex, “Banking & Innovation Management Executive Master”, un percorso di formazione manageriale, della durata di 29 mesi, anch’esso realizzato in collaborazione con l’Università Cattolica di Milano. Sono progetti impegnativi perché i banker lavorano e studiano contemporaneamente per due anni, ma l’entusiasmo è massimo. Acquisiscono consapevolezza e dimestichezza su temi trasversali, che si traducono in maggiore sicurezza nel rapporto con il cliente. Anche il nostro percorso Elite è impegnativo e di qualità, e per questo darà un grande ritorno. E poi i vostri banker sono certificati Efpa in percentuale nettamente superiore alla media del sistema… Offriamo la possibilità di partecipare a specifici percorsi formativi finalizzati al sostenimento dell’esame di Certificazione Efpa per i livelli Eip (European investment practitioner, ndr), Efa (European financial advisor, ndr) e per quello avanzato Efp (European financial planner, ndr). Nel 2018, i family banker certificati Efpa sono stati 682. E le dirò che non mi dispiacerebbe se si certificassero tutti, ma naturalmente non andiamo a imporlo. In Spagna, dove non c’è l’albo dei consulenti ed è l’azienda che decide se un soggetto è idoneo, chiediamo ai nostri collaboratori che conseguano la certificazione Efpa oppure che frequentino un corso realizzato con l’Università di Valencia per certificare che abbiano acquisito la competenza adeguata per un consulente finanziario. Ancora una cosa: come procede la crescita nei servizi di wealth management? Procede bene, sono servizi sempre più apprezzati, dai clienti come dai nostri banker, che hanno una leva in più molto forte per parlare con i loro clienti. Il tema del passaggio generazionale è molto sentito. Un momento cruciale soprattutto per le imprese familiari, ritenuto molto più importante dell’1% in più di rendimento. Per concludere, dottor Doris: come vedete i mercati finanziari, in quest’inizio di marzo 2018? Se guardiamo al mondo, il Pil è previsto in lieve rallentamento ma siamo sempre intorno al 3% quindi il pianeta va avanti sia pur con qualche turbolenza. Del resto si sa che i mercati anticipano i fenomeni economici, quindi il rallentamento in atto è quel che il mercato aveva scontato nel 2018. Notizie positive sembrano arrivare dagli Usa: i rapporti commerciali con la Cina dovrebbero migliorare. Meno bene vedo il fronte europeo e italiano in particolare per le tante incertezze. L’economia è trainata dall’attività delle imprese e dai consumi. Se c’è sfiducia nel futuro, rallentano sia le une che gli altri. E il Pil non cresce. Se non ho fiducia nel futuro non m’indebito e non investo… E in un quadro incerto è difficile che il Pil risalga. Una domanda per tutte: lei la farebbe la Tav? Da imprenditore non posso che essere favorevole a un’opera che rafforza il nostro sistema di infrastrutture, che crea numerosi posti di lavoro in un settore penalizzato come quello dell’edilizia e che facilita i collegamenti con il resto d’Europa. Senza contare tutto l’indotto positivo che opere di questo genere hanno sempre sull’economia e sulla società. aprile 2019 23
BANCA GENERALI
RIVOLUZIONE SUB-ADVISORY, GESTISCE SOLO CHI MERITA di Marco Muffato
C’
è un primato condiviso da Italia e Regno Unito di cui non tutti gli addetti ai lavori del settore bancario e finanziario sono a conoscenza: il nostro mercato della gestione delegata a terze parti è il più vitale d’Europa insieme a quello inglese sia in termini di crescita del patrimonio sia per numero di fondi affidati ad asset manager esterni tramite mandati di sub-advisory. Una ricerca dell’americana Cerulli Associates sulle dinamiche della distribuzione finanziaria europea nello scorso anno, afferma che il mercato europeo della sub-advisory – termine che identifica un fondo commercializzato sotto il marchio del distributore ma gestito in tutto in parte in outsourcing su mandato da un asset manager esterno – contava lo scorso anno masse in gestione per circa 480 miliardi di euro e sta crescendo a doppia cifra, del 15% nel 2016 e del 16% lo scorso anno. Per quantificare ulteriormente il fenomeno l’istituto di ricerca ha identificato 1.290 fondi la cui gestione è delegata con un mandato a case terze da parte di oltre 100 tra banche, reti di consulenti finanziari e investitori istituzionali europei che delegano in tutto o in parte la gestione dei loro fondi ad asset manager in sub-advisory. Secondo Cerulli nei prossimi anni l’afflusso netto annuale in fondi gestiti in sub-advisory potrebbe raggiungere una cifra compresa tra 30 e 60 miliardi di euro. Nel giro di tre-cinque anni addirittura le masse gestite da fondi in sub-advisory in Europa potrebbero raddoppiare passando da 500 miliardi a un trilione di euro, è la previsione autorevole di Goldman Sachs Asset Management. Ma tornando ai nostri confini nazionali, il mondo della distribuzione finanziaria come vede il fenomeno crescente delle gestioni in delega? Investire ne parla con Andrea Ragaini, vice direttore genera24 aprile 2019
L’ISTITUTO DEL LEONE ALATO VIVE UNA NUOVA STAGIONE DEL RAPPORTO CON GLI ASSET MANAGER
Andrea Ragaini, vice direttore generale di Banca Generali
le di Banca Generali, che conferma il trend ascendente della sub-advisory per l’istituto bancario del leone alato.
Ragaini, quante sono le masse e il numero di soluzioni d’investimento – dalle unit linked ai fondi di fondi, fino alle gpf - che affidate ad asset manager esterni tramite mandati di sub-advisory? Per Banca Generali l’architettura aperta è centrale visto il nostro posizionamento da private bank e la massima trasparenza nella consulenza alle famiglie. Dei 15 miliardi di euro affidati alla piattaforma lussemburghese BG FML (acronimo che sta per Banca Generali Fund Management Luxembourg, ndr), ben 13 sono infatti dati in delega a gestori terzi. Questa delega tecnicamente prende anche il nome di Investment management agreement o di sub-delegation. Abbiamo inoltre sei miliardi di case terze in distribuzione diretta. Per quali ragioni vi siete orientati verso queste soluzioni? Quali sono i vantaggi? In primo luogo perché insieme con la società partner selezioniamo il team che gestirà quella delega per nostro conto. Questa
COVERSTORY FINECOBANK, I MANDATI DI GESTIONE SONO IN CRESCITA Anche in FinecoBank il fenomeno delle gestioni in delega è significativo ed è destinato a crescere. Pur non fornendo il dettaglio delle masse affidate ad asset manager esterni tramite mandati di sub-advisory, dall’istituto del gruppo Unicredit guidato dall’ad Alessandro Foti spiegano che «questi mandati vengono affidati dalla nostra controllata Fineco Asset Management ai migliori asset manager globali con l’obiettivo di replicare le proprie strategie principali. Al 31 dicembre 2018 sono state affidati mandati su 31 strategie, per un totale di 78 Isin». Non solo, «attraverso Fineco AM contiamo sicuramente di aumentare le masse in delega di
gestione, visto che saranno lanciati nuovi prodotti». Il tutto senza ridurre il numero dei gestori: «la piattaforma ad architettura aperta guidata è da sempre uno dei caratteri distintivi della proposta di FinecoBank nella consulenza finanziaria, ed è per questo che la banca non ha ridotto il numero dei gestori presenti né ha intenzione di farlo». Inoltre “la banca, insieme ai propri professionisti, ha già da tempo adottato un approccio che va nella logica di una consulenza di portafoglio, guidando la clientela verso soluzioni di investimento ben strutturate e diversificate, partendo proprio dai migliori strumenti presenti sulla nostra piattaforma ad architettura aperta”.
scelta iniziale condivisa ci permette di scegliere delle strategie di gestione effettivamente dedicate ai nostri cf e clienti. La delega infatti garantisce di personalizzare aspetti che riteniamo qualificanti come la duration, la volatilità dell’investimento, il livello di drawdown e i mercati di riferimento. Per noi la nuova frontiera dell’architettura aperta è proprio questa: attraverso la delega poter scegliere team e strategia di gestione più adatti alle nostre esigenze. Di quanto sono aumentate rispetto agli anni scorsi? Nel 2019 e anni seguenti contate di incrementare le masse e i fondi affidati ad asset manager esterni? L’incremento è stato forte negli ultimi tre anni e ha seguito la complessità dei mercati finanziari con i tassi a zero, spingendo molti nostri clienti a palesare un’esigenza di diversificazione maggiore. La crescita della piattaforma lussemburghese, dal 2015 al 2017, ha oscillato tra il 10 e il 15% annuo con i fondi dati prevalentemente in delega. Per il futuro? Abbiamo un approccio sostenibile nel tempo e per questa ragione continuiamo a innovare migliorando sempre di più l’offerta e le soluzioni per la protezione patrimoniale. Lo scorso anno abbiamo lanciato la nuova gamma lussemburghese Lux Im; una sicav innovativa e competitiva nel pricing, focalizzata su temi d’investimento di lungo periodo, come la population ageing, la digitalizzazione, l’Esg, le nuove abitudini di consumo, che sono tipici del risparmio gestito. Ci aspettiamo quindi che la delega a terzi sarà ulteriormente ampliata. A chi affidate la selezione dei gestori terzi? A una divisione ad hoc o a una società di asset management di gruppo? La selezione è fatta direttamente dalla fabbrica lussemburghese BG FML, le esigenze della rete italiana sono rappresentate dalla direzione wealth management di Banca Generali alla fabbrica lussemburghese. Come sta cambiando la vostra selezione dei gestori terzi e in base a quali criteri? Più che gestori asset class cerchiamo gestori di strategie
d’investimento che abbiano solidi contenuti d’innovazione e di controllo del rischio in seconda battuta. Possono essere sia gestori molto conosciuti e molto strutturati ma anche boutique specializzate che abbiano delle nicchie di posizionamento robuste e con un team manageriale bravo e competente in quella parte di business. Avete ridotto il numero dei gestori distribuiti o avete in programma di farlo? Restiamo fautori di un’ampia offerta. Certamente la Mifid 2 induce e porta a crescenti pressioni sui margini per tutta la filiera. Tale pressione arriva anche per l’asset manager che per compensare tale flessione dovrà aumentare i volumi. Questi volumi naturalmente per forza di corse verranno ripartiti sui partner che hanno evidenziato le competenze più costruttive. A oggi distribuiamo 50 asset manager ma le deleghe riguardano solo 18 di questi. Continuerete ad avere in gamma i singoli fondi di terzi o orienterete l’offerta di terzi tutta all’interno della piattaforma lussemburghese? Continueremo a sviluppare questo modello di architettura aperta innovativa, con la nostra fabbrica lussemburghese che avrà al suo interno tutte le competenze di controllo del rischio e continueremo a selezionare i migliori asset manager sia grandi nomi che boutique, alla ricerca delle strategie più coerenti con le diverse fasi dei mercati finanziari e con i principali trend di lungo periodo. La strada maestra è quella di costruire strategie d’investimento esclusive e dedicate con il meglio degli asset manager del mercato mondiale. Lo sviluppo dei prodotti contenitore sta portando anche una diminuzione dei compensi delle case terze, nell’ambito appunto dei mandati di sub-advisory? È in previsione anche una riduzione dei costi per i clienti? Sì, sicuramente la struttura dei costi sta subendo una diminuzione: noi abbiamo ridotto il management fee di ben 80 basis point, ma non tutti i competitor hanno fatto la stessa scelta, che nel nostro caso significa meno costi e più valore per il cliente. Il nostro obiettivo è sviluppare un business sostenibile nel lungo periodo e per fare questo crediamo profondamente nella fiducia e nella qualità nella relazione con i clienti. aprile 2019 25
COVERSTORY ASSET MANAGEMENT
LA GESTIONE DELEGATA AVANZA, IL CONSULENTE SI ADEGUA di Nicola Ronchetti*
L
a gestione dei fondi delegata a terze parti nel nostro Paese è tra le più dinamiche d’Europa sia in termini di crescita di asset under management che di numero di fondi affidati ad asset manager esterni tramite mandati in delega. Questa sì che è una bella notizia, anche se non è una novità: sempre più spesso quando si parla di risparmio gestito l’Italia sale sul podio e l’odiosa metafora del “fanalino di coda” viene lasciata ad altri settori. Stiamo parlando di sub-advisory dove l’Italia occupa infatti il primo posto, con una quota pari al 15% del mercato Ue dei fondi in gestione a terze parti, ed è il mercato di sub-advisory a più rapida crescita. Si tratta di un mercato in fortissimo sviluppo anche a livello globale dove l’Italia avrà un peso significativo. Complice Mifid 2, ma non solo, la volontà dei distributori di controllare direttamente la gestione e ottimizzare i costi, soprattutto delle reti dei consulenti finanziari, non è infatti una novità. Consenso crescente. Anche i consulenti finanziari italiani intervistati da Finer Finance Explorer, sembrano adeguarsi al mutato contesto. Se nel 2007 il 76% di loro dichiarava di scegliere i prodotti offerti direttamente dalle Sgr e solo il 24% prodotti/ soluzioni di investimento selezionati a monte dalla mandante, oggi i rapporti si sono invertiti: il 71% dei cf dichiara di seguire le indicazioni della mandante – gestioni in delega in primis – e solo il 29% fa ancora “cherry picking” ovverosia dichiara di scegliere la casa prodotto e il fondo da proporre ai propri clienti a prescindere dalle indicazioni della mandante. E’ il momento dei menù degustazione. Facendo una metafora con il mondo della ristorazione possiamo dire che siamo pas-
COME AL RISTORANTE, DALLA SCELTA ALLA CARTA SI È PASSATI AI MENÙ DEGUSTAZIONE * Ceo e founder di Finer Finance Explorer, nella foto
FINER/ LA START UP DI RONCHETTI COMPIE UN ANNO Finer Finance Explorer compie il suo primo anno di vita. Istituzioni come Consob, associazioni come Anasf, Assoreti, Assogestioni e fondazioni come Efpa, si stanno
26 aprile 2019
servendo di Finer per la realizzazione di ricerche di scenario nel risparmio gestito.Finer ha ottenuto la certificazione Uni En Iso 9001:2015 rilasciata da TÜVRheinland®
organismo di certificazione leader a livello internazionale ed è entrata in Assirm, l’associazione che riunisce le aziende che svolgono ricerche di mercato e di opinione.
sati dalla scelta alla carta ai menù degustazione, dove ci si affida allo chef. Perché quasi un terzo dei cf dichiara di preferire i prodotti alla carta? La sindrome da “piccolo chef” è dura a guarire ma si sta scontrando con la volatilità dei mercati e con una pressione sui costi mai viste prima. Più semplice e sicuro per i cf affidarsi alla propria mandante che a sua volta - si spera - sappia selezionare le migliori Sgr a cui conferire un mandato di sub-advisory. Il 33% dei cf ritiene che l’architettura aperta – alias alla carta – faccia meglio gli interessi dei clienti, ma è veramente così? Certamente un numero minore di case terze da un lato semplificherebbe la gestione operativa dei distributori e dall’altro consentirebbe economie di scala. Le pietanze saranno all’altezza? Viva dunque i menù degustazione purché si rispettino gli interessi di tutti gli stakeholder: 1) i clienti, che dovrebbero ottenere rendimenti più alti grazie a costi più bassi; 2) i cf che, a parità di retrocessioni, dovrebbero avere più tempo da dedicare ai loro clienti; 3) le Sgr, che a fronte di asset under management maggiori dovrebbero ridurre le commissioni di gestione; 4) i distributori, che ottimizzando i costi dovrebbero investire sulla formazione della rete e sui servizi ai loro clienti. Se così non dovesse essere? Beh si ritornerebbe al caro e tradizionale menù alla carta oppure si cambierebbe semplicemente ristorante.
COVERSTORY INTERVISTA CON STEFANO MACH
CON IL BOOM DEI MANDATI GUADAGNANO TUTTI (O QUASI) di Marco Muffato
I
l boom della sub-advisory visto da una delle realtà protagoniste di questo mercato: Impact Sim, la società partita ufficialmente un anno fa e costituita dai tre tenori della gestione di casa Azimut ovvero Fausto Artoni, Gherardo Spinola e Stefano Mach. Proprio con l’aiuto quest’ultimo, oggi amministratore delegato di Impact Sim, Investire mette a fuoco il trend in atto dei prodotti in delega di gestione. Che presenta diverse spine (e qualche rosa) per il mondo degli asset manager.
Mach, il business degli asset manager nel nostro mercato soffrirà a causa del trend dei mandati in sub-advisory? È uno sviluppo che determinerà conseguenze negative per diversi operatori dell’asset management, in questo senso prevedo una forte riduzione del numero di accordi di distribuzione in essere con le società di gestione. Oggi ci sono banche-reti di grandi dimensioni che hanno accordi con settanta Sgr: noi pensiamo che nei prossimi anni questo numero possa addirittura dimezzarsi, con la conseguenza che gli operatori marginali dell’asset management tenderanno a scomparire dal mercato. Un secondo effetto è sicuramente collegato a una forte riduzione dei margini in quanto i prodotti in delega di gestione hanno dei profili commissionali che sono inferiori di oltre il 50% rispetto alle commissioni applicate attraverso la distribuzione diretta. Solo svantaggi per gli asset manager quindi? No, i nuovi accordi in delega di gestione potranno avere anche vantaggi importanti per i gestori, tra cui quello di avere masse in gestione più consistenti e una maggiore visibilità sulla permanenza delle masse stesse. Quali sono invece i vantaggi per le banche reti? Sono molteplici: le reti, attraverso la Sgr di gruppo, assumono il controllo diretto del prodotto e dei sottostanti e potranno conoscere in tempo reale la composizione dei portafogli, e di conseguenza sviluppare un servizio di analisi di rischio molto più efficiente per i propri clienti. L’altro aspetto positivo è che i player della distribuzione potranno ridurre i costi complessivi del prodotto, in linea con i dettami della Mifid 2, mantenendo un elevato livello di qualità nella gestione. Quanto è diffuso il fenomeno tra le reti di consulenti finanziari? Ci sono alcune reti (come Banca Mediolanum e Fideuram, ndr) che sono state i precursori di questo modello già alcuni anni fa,
STEFANO MACH, AMMINISTRATORE DELEGATO DI IMPACT SIM
negli ultimi mesi stiamo vedendo una forte accelerazione del mercato in questa direzione anche per l’effetto trainante della Mifid 2. Tale normativa, oltre a ricercare una maggiore trasparenza sul tema dei costi, pone enfasi sulla possibilità di applicare commissioni qualora non venga rilevato un reale valore aggiunto per il cliente. Le duplicazioni di costi tipiche dei vecchi fondi di fondi, che impacchettavano fondi di terzi, saranno sempre più difficilmente giustificate. E i tassi di crescita? Questo è il nostro mercato di riferimento: gestiamo circa 10 miliardi di masse di prodotti distribuiti da Azimut e recentemente abbiamo ottenuto due nuove deleghe di gestione da Banca Generali su comparti azionari. Ci aspettiamo che i tassi di crescita di questo mercato saranno molto sostenuti nei prossimi anni. Le masse totali di fondi in sub-advisory potrebbero triplicare rispetto ai 60 miliardi stimati dal report americano Cerulli. In definitiva come valuta il fenomeno? Questa trasformazione porterà dei grandi vantaggi all’industria dell’asset management. I player della distribuzione potranno: scegliere il miglior gestore nelle diverse asset class, lavorare in maniera congiunta sullo sviluppo di nuovi prodotti e migliorare le conoscenze delle proprie reti attraverso una consulenza evoluta con i team di gestione. La maggiore integrazione tra team di gestione e rete distributiva, che scaturirà dallo sviluppo di questo mercato, porterà a una maggiore personalizzazione dei prodotti, venendo incontro in maniera specifica alle esigenze della singola rete di consulenti finanziari e dei rispettivi clienti.
LE SGR SELEZIONATE POTRANNO CONTARE SU MASSE PIÙ GRANDI DELLE ATTUALI
28 aprile 2019
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PREVISIONI MERCATI FINANZIARI
Quante pepite a Piazza Affari Occhio ai dividendi dei bancari di Ugo Bertone
I
LE STRATEGIE DIFENSIVE PREVALGONO NELLE AZIONI: PIÙ USA CHE EUROPA, PIÙ BLUE CHIP CHE SMALL CUP, PIÙ TITOLI VALUE CHE GROWTH. IN CERCA DI RENDIMENTI ANTIDOTO ALLA VOLATILITÀ
mercati finanziari si accingono a celebrare un anniversario storico. A fine giugno saranno dieci anni esatti dall’ultima volta in cui, investita dalla crisi di Lehman Brothers, l’economia globale è finita in recessione. Da allora, al traino prima della Cina e poi della ripresa della locomotiva Usa, il mondo ha vissuto la più lunga stagione di crescita dalla crisi del ’29. Gli operatori finanziari, che amano le statistiche e diffidano delle serie storiche troppo prolungate, da mesi scrutano i numeri alla ricerca dei segnali di quella recessione che prima o poi è destinata ad arrivare. Anzi, solo pochi mesi fa, a fine 2018 l’ora del giudizio è sembrata vicina. Ma l’improvvisa sterzata delle banche centrali, Federal Reserve in testa, ha spostato in avanti l’asticella. Usa, in vista battaglia sul fisco Ma fino a quando? Non mancano certo le scintille in grado di far esplodere le varie polveriere dell’economia globale: conflitti sui dazi, crisi di rapporti tra Londra e l’Eurozona, il braccio di ferro tra sovranisti e globalisti che non si esaurirà di sicuro con le elezioni europee di fine maggio. La geopolitica insomma non promette niente di buono anche perché già si scalda il fronte delle elezioni americane dell’anno prossimo, che promettono sconvolgimenti epocali: in caso di affermazione di Donald Trump, è scontata una nuova tranche di tagli al fisco con forti benefici per gli azionisti. In caso di affermazione democratica prenderà corpo la richiesta, sempre più pressante, dei democratici per dotare di più risorse lo Stato sociale.
IGNAZIO ANGELONI, DIRETTORIO BCE
30 aprile 2019
2020, la nuova corsa all’oro Difficile che s’imponga la ricetta di Alexandria Ocasio Campos, la leader radicale sostenuta dal Nobel Paul Krugman che suggerisce una tassa del 70% sui redditi oltre i 10 milioni di dollari (come avveniva prima di Ronald Reagan) ma il più moderato dei candidati anti-Trump, l’ex vicepresidente Joe
Biden, intende comunque proporre l’introduzione di una tassa su tutte le transazioni finanziarie dello 0,1 per cento che potrebbe provocare una brusca fuga dalle Borse. «L’anno prossimo», prevede Alessandro Fugnoli di Kairos, «a campagna elettorale in corso molti ricchi americani si porranno il problema di trovare un’alternativa a Wall Street e al dollaro. E si rivolgeranno all’investimento in oro».
Tassi, tardano le rondini, ma arrivano le colombe Ma senza voler ipotecare il futuro va detto che, nelle ultime settimane, il quadro dei mercati si è fatto meno cupo. Non si vedono ancora le rondini che fanno primavera, ma le colombe sì. Almeno da quando la Federal Reserve e la Banca Centrale Europea hanno deciso di abbandonare la strada dell’irrigidimento che sembrava ormai tracciata e di rallentare la stretta. Dopo aver alzato i tassi nove volte in totale dal 2015, la banca centrale Usa sta prendendo tempo prima di fare il prossimo passo. «La Fed», commenta Ann-Katrin Petersen, strategist di Allianz, «sta pensando di intervenire sul proprio bilancio in modo più graduale, prelevando meno liquidità dai mercati».
Bce, nessun aumento per almeno un anno Intanto la Bce ha sorpreso i mercati, abbassando significativamente le stime sulla crescita e l’inflazione in Europa, annunciando al contempo il rinnovo dei programmi Tltro per sostenere l’erogazione di credito e così creare, parola di Ignazio Angeloni, membro del direttorio della Bce, “le premesse per contrastare le prospettive molto incerte” della congiuntura. In che modo? «Il Consiglio della Bce», aggiunge Petersen, «in assenza di un significativo miglioramento dei dati economici dell’area euro modificherà la forward guidance. In tal caso il primo rialzo dei tassi da luglio 2008 non dovrebbe avvenire prima del 2020».
Ma sale il debito: 234% sul pil mondiale La ripresa post-Lehman Brothers ha del resto lasciato un’eredità scomoda: il debito globale è cresciuto al 234% del pil mondiale contro il 208% del 2008, una zavorra che impone tassi leggeri per evitare nuovi crack anche se, come ha sottolineato Standard & Poor’s, a differenza di quando avvenuto alla vigilia della crisi dei
PREVISIONI
PRUDENTI SUI BOND PER IL FORTE FLUSSO DI NUOVE EMISSIONI E LE INCERTEZZE NELLA POLITICA ECONOMICA subprime, l’esposizione stavolta fa capo per lo più ai governi dei Paesi avanzati, monitorati delle banche centrali e non ai bilanci degli istituti di credito imbottiti, all’epoca di subprime o altri pericolosi derivati. Anche questo rende più facile la gestione di eventuali emergenze: le banche Usa sono più che solide. Gli istituti italiani, a fatica ma con tenacia, si stanno liberando di sofferenze e non performing loan. La Germania, nonostante le resistenze dei promessi sposi, si prepara a imporre le nozze riparatrici a Deutsche e Commerzbank, i due potenziali più pericolosi focolai di crisi. Più complicata la situazione della Cina che sta facendo di tutto per tenere in piedi l’economia, senza rinunciare a ricorrere di nuovo a strumenti sempre più rischiosi come il debito. La forza di questi stimoli avrà un costo a medio termine, ma nel breve garantirà al Celeste Impero un 2019 migliore di quel che si era temuto. Borse, sì ai titoli value In sintesi emerge un quadro economico avviato alla stabilità per i mesi a venire: solido in Usa, in ripresa in Europa grazie ai (tardivi) provvedimenti della Bce e in accelerazione in Asia, specie se arriverà la sospirata pace sui dazi. Ma la frenata in atto dei profitti, le “ferite” inferte dal conflitto sui dazi e le incertezze geopolitiche, oggi in Europa (Brexit più elezioni), domani negli Stati Uniti suggeriscono di puntare su strategie difensive, sia sul fronte delle azioni che nel mercato obbligazionario. «Stiamo suggerendo», spiega Maria Paola Toschi, global strategist di Jp Morgan, «strategie più difensive di un anno fa: più blue chip che small cap, più Usa che Europa, più titoli value che growth, più ricerca di rendimento come protezione alla volatilità». Neutrali sui bond, meglio scadenze brevi «Sulle obbligazioni governative», è il parere dei gestori di Anima, «manteniamo un giudizio neutrale in virtù di un contesto ancora incerto e banche centrali accomodanti. Per quanto riguarda la duration viene rinnovata una posizione corta, considerando i livelli dei rendimenti particolarmente compressi». Insomma le continue revisioni al ribasso della crescita, il consistente flusso di nuove emissioni e l’incertezza della politica economica suggeriscono prudenza.
Prudenza sui finanziari, attenti alle utility Tornando all’azionario sembra doveroso puntare però sui titoli di valore piuttosto che su quelli basati sulla crescita. In linea di massima meglio diffidare dei titoli finanziari, nonostante i multipli bassi e i dividendi alti, perché il settore dovrebbe essere penalizzato dal calo dei margini e dal rallentamento dell’economia. Meritano più attenzione le utilities in quanto un regime di tassi congelato dovrebbe continuare a sostenere questo settore (valutato su flussi di cassa e dividendi interessanti e relativamente prevedibili) e a ridimensionare il rischio di maggiori interessi sui debiti tipicamente piuttosto elevati.
IL PREMIO NOBEL PER L’ECONOMIA PAUL KRUGMAN
Auto a rischio, ma ci sono le occasioni Occhio anche alle occasioni. «All’interno dei settori ciclici c’è una forte dispersione delle valutazioni, la situazione ideale per trovare titoli da valorizzare», dice Kasper Elmgreen, responsabile dell’Equity di Amundi. «Nell’auto, in particolare, ci sono prezzi particolarmente attraenti, nonostante le problematiche delle emissioni e sull’avvento dell’auto elettrica». Anche gli esperti di Anima consigliano di guardare ai settori ciclici. «In particolare guardiamo con attenzione alla chimica ove crediamo che ci siano titoli in grado di offrire interessanti opportunità di acquisto». Più fredda la valutazione nel settore salute e sui titoli energetici. Cautela per il lusso, «dove troviamo società di ottima qualità ma valutazioni piuttosto piene e fortemente a rischio in caso di inasprimento delle tensioni commerciali».
La mossa vincente: a caccia di dividend yield Ma, al di là delle scelte settoriali, la chiave vincente può essere la scelta di titoli ad alto dividendo. «In un contesto di tassi che dovrebbero tendere a salire molto gradualmente», è la tesi di Anima , «riteniamo che questo continuerà ad essere un importante driver di performance». Il fattore cedole può essere l’arma vincente di Piazza Affari. La Borsa italiana infatti vanta uno numero cospicuo di società che offrono rendimenti elevati, specie tra le banche. Capofila è senz’altro Intesa San Paolo che vanta una cedola superiore al 9%, battuta da Azimut (l’11%, 1,5 euro di cedola di cui almeno 1,125 in contanti). Ma è lungo l’elenco delle Blue chips che vantano un dividend yield superiore al 5%, tra cui spiccano le corazzate Eni ed Enel oltre alle Generali. Quante pepite a Milano. Occhio allo star L’alto livello delle cedole si spiega con la perdita d’appeal del nostro mercato nazionale: le valutazioni di Piazza Affari sono a sconto del 30% circa rispetto alle altre piazze europee con il risultato di alzare il dividend yield delle azioni quotate che risulta sensibilmente più alto dei rendimenti obbligazionari e dei titoli di Stato. Anche per questa ragione, nonostante le turbolenze cui potrebbe andare incontro la finanza pubblica italiana, vale la pena di andare alla ricerca delle pepite d’oro di Piazza Affari, presenti in particolare nel segmento Star dove figurano non poche società ben posizionate nel commercio con l’estero e che hanno saputo crescere in modo consistente anche negli anni più difficili. aprile 2019 31
L’OPINIONE
ASSET MANAGEMENT
Le domande che gli operatori devono porre ai risparmiatori di Giordano Lombardo
I BASSI COSTI IMPOSTI DA MIFID 2 NON BASTANO A DARE LUNGA VITA AL RISPARMIO GESTITO. ECCO COME L’INDUSTRIA PUÒ RISORGERE
N
elle prossime settimane i clienti dei prodotti di risparmio gestito riceveranno i primi resoconti annuali basati sulla normativa Mifid2, con i costi commissionali espressi non solo in percentuale del patrimonio del fondo, ma anche in valore assoluto. Gli operatori del settore attendono con una certa ansia la reazione dei clienti a questa novità regolamentare, e hanno speso gli ultimi mesi a rafforzare significativamente la formazione delle reti commerciali sul tema. Del resto, il “conto” delle commissioni espresso in valore assoluto potrebbe in molti casi ammontare ad alcune migliaia di euro se il patrimonio è pari a qualche centinaio di migliaia. E rappresentare quindi una delle principali spese del budget annuale familiare. Quanti clienti sono davvero consapevoli di queste cifre? Come reagiranno nel vederle nero su bianco? Giudicheranno adeguato il carico commissionale dei prodotti, ora che è così visibile? La ratio della norma è di accrescere ulteriormente il grado di trasparenza sui costi di gestione ed è per questo senz’altro condivisibile. Ma è anche un capitolo di un dibattito molto più ampio sui costi dei prodotti di asset management, a livello non solo 32 aprile 2019
italiano ma globale. Un dibattito che si aggancia a sua volta ad un’altra questione quasi “esistenziale” all’interno dell’industria, quello sui meriti della gestione attiva verso la gestione passiva. La “rivoluzione” dei prodotti indicizzati fu iniziata dal recentemente scomparso fondatore di Vanguard, Jack Bogle, più di quarant’anni fa. E costituisce probabilmente l’innovazione più importante avvenuta nell’industria degli investimenti, dopo l’invenzione del fondo comune negli anni venti del secolo scorso. Secondo i sostenitori della gestione “passiva”, la capacità dei money manager di battere gli indici di mercato non è statisticamente dimostrata nè stabile, per cui tanto vale affidare i propri risparmi a un fondo che investe nell’intero indice. A un costo che è una frazione di quello applicato dai gestori attivi per i loro servizi. Al di là dei meriti intellettuali della proposta (sul tema della capacità di battere i mercati sono stati consumati fiumi di inchiostro, accademico e non), il beneficio dei costi più bassi è apparso irresistibile agli occhi degli investitori. Enormi flussi di denaro si sono riversati sui prodotti indicizzati, anche nella loro versione più recente (smart beta). Negli ultimi anni per esempio, la totalità dei nuovi flussi sui prodotti azionari negli USA si è indirizzata su prodotti passivi, che oggi rappresentano più del 40% della torta totale dei fondi azionari domestici. Si tratta di un trend inarrestabile? Piano piano la maggior parte dell’industria si avvierà a offrire solo prodotti indicizzati e a basso costo? Il punto non è solo teorico perché il fenomeno mette sotto pressione i profitti di un’industria i cui margini, sia pur ancora elevati, sono in calo rispetto al passato. E la cui capacità di tagliare i costi in maniera strutturale non è storicamente provata. Ma la questione è un po’ più sottile e riguarda una posta ancora più alta, relativa alla ri-definizione del valore stesso che l’industria è in grado di offrire a chi le affida i propri risparmi.
L’OPINIONE Andiamo per gradi. A tutti gli operatori del settore è noto un semplice ma importante fatto che invece è pressochè sconosciuto a chi non ne fa parte. Ossia che il business degli investimenti ha due facce distinte: l’attività di investimento in sé, finalizzata a realizzare delle buone performance per i clienti. E la componente di business, volta ad accrescere gli asset in gestione. Nel primo caso l’obiettivo è il rendimento del prodotto, nel secondo la scala del business. Si dirà che le due cose sono collegate: migliori le performance per i clienti, maggiore sarà la crescita degli asset. E di solito è in effetti così. Ma non sempre, a volte le cose si complicano. Vediamo perché. Dal lato del business, due sono le variabili che contano: gli asset e le commissioni. Con la crescita dei prodotti passivi e indicizzati, e la conseguente riduzione delle commissioni medie incassate dagli asset manager, la scala del business è diventata sempre più importante. Quando le commissioni unitarie scendono infatti gli asset in gestione devono salire per mantenere i livelli di profittabilità. Ma perché gli asset possano crescere devono succedere due cose: ci devono essere più prodotti in circolazione e/o i singoli prodotti devono essere in grado di “reggere” maggiori quantità di denaro investito in ognuno di essi. Di qui la proliferazione del numero di prodotti in circolazione: in Europa ci sono più fondi comuni offerti ai clienti che singoli titoli su cui tali fondi possono investire! Il che rende la scelta dei risparmiatori sempre più ardua. Ma è soprattutto sulla dimensione dei prodotti che vogliamo porre l’attenzione: la necessità di far crescere i prodotti verso taglie sempre più grandi, di decine se non centinaia di miliardi per prodotto, può creare dei problemi alle performance. Questo è l’altro piccolo segreto dell’industria, poco noto ai più: una maggior scala è un bene per il business ma spesso un male per i rendimenti dei prodotti. Al crescere degli asset, l’universo dei titoli investibili diminuisce, il costo del trading sale per l’impatto sul mercato, e in generale la capacità di offrire buoni rendimenti ai clienti soffre. Nell’asset management, in altri termini, ci sono diseconomie di scala. Più i fondi comuni o gli hedge fund diventano grandi in termini di asset, più scende la loro capacità di generare buone performance. Un altro punto a favore dei prodotti passivi quindi? Non necessariamente. Pensiamo a cosa fa un fondo passivo: investe in ogni momento su tutti i titoli dell’indice, in proporzione alla loro capitalizzazione di mercato. Ossia non si preoccupa se un titolo sia sopravvalutato o meno: il fondo rifletterà fedelmente il “peso” del titolo nell’indice che intende replicare. Quindi per definizione tutti i titoli “sopravvalutati” (rispetto a qualche indicatore fondamentale) tenderanno a essere sovrappesati e viceversa quelli sottovalutati. Esattamente il contrario di quello che cerca di fare un gestore attivo “fondamentale”, ossia di sovrappesare i titoli sottovalutati e sottopesare quelli più cari. Giocandosi proprio con questa strategia le proprie chances di “battere” l’indice. Il vero problema per i fondi attivi non è quindi che non esistano gestori in grado di fare meglio del mercato, ma che è molto difficile identificarli a priori. Perché la capacità di sovraperformare è legata a molti fattori, non sempre identificabili o stabili. Tra questi ci sono: l’abilità del gestore, una qualità a volte indistinguibile dalla fortuna. Il fatto che la sua “strategia” sia in voga o meno
JACK BOGLE, FONDATORE DI VANGUARD E PAPÀ DEI PRODOTTI INDICIZZATI
(per esempio i gestori cosiddetti “value” hanno sottoperformato nell’ultimo decennio, mentre quelli “growth” hanno fatto bene, ma le cose si potrebbero invertire di qui in avanti). Oppure ancora la dimensione stessa del fondo, come abbiamo visto. Per riassumere quanto detto finora: l’industria dell’asset management è principalmente interessata alla crescita degli asset, che oltre una certa dimensione va però a scapito delle performance per i clienti. I gestori passivi offrono prodotti poco costosi, che tendono però a contenere titoli sopravvalutati, e sono pertanto più esposti ai rischi di ribasso. I gestori attivi che “battono i mercati” esistono, ma sono pochi ed è difficile identificarli a priori. Che fare dunque? Rivolgersi altrove? Sicuramente no. Si rischierebbe di buttare il bambino con l’acqua sporca. Infatti i prodotti di risparmio gestito continuano a mantenere quelle caratteristiche di diversificazione, trasparenza (anche sui costi) e accessibilità per tutte le tasche che li rendono tuttora l’alternativa preferibile a tutte le altre, quanto a soluzioni per le esigenze di investimento. La mia opinione è che la risposta vada ricercata all’interno delle proposte degli asset manager, ma con una ridefinizione della value proposition per il cliente. Il “dialogo” tra asset manager e investitori deve infatti spostarsi da una discussione sui mercati finanziari, sulla possibilità o meno di batterli e sui relativi costi, a una conversazione che metta al centro il cliente stesso e i suoi
IL DIALOGO TRA ASSET MANAGER E INVESTITORI DEVE METTERE AL CENTRO IL CLIENTE E GLI OBIETTIVI CHE INTENDE RAGGIUNGERE NEL TEMPO PREFISSATO
obiettivi. Non si parlerà quindi di cose come: che fare ora sul mercato? Qual è il miglior prodotto per questa fase? E’ tempo di prendere profitto? Ma di cose come: quali sono i mei obiettivi in termini di rendimento? Su quale orizzonte temporale? Quanta volatilità sono disposto a sopportare? Sono consapevole che il vero rischio non è la volatilità di mercato ma la probabilità di raggiungere o meno i miei obiettivi? E via dicendo. Non tutti gli operatori del risparmio gestito definiscono il loro successo in base alla capacità di rispondere a quesiti di questo tipo, ma alcuni lo fanno. Il mio suggerimento è di partire da questi. aprile 2019 33
ATTUALITÀ
IL LATO OSCURO DI INTERNET/1
Attenti al dark web, terreno fertile per le nuove truffe finanziarie di Giuseppe D’Orta
QUATTRO STORIE ESEMPLARI DI TRAPPOLE TESE AI RISPARMIATORI DA BROKER SENZA SCRUPOLI CON IL MIRAGGIO DI GUADAGNI FACILI
L’
inizio appare comune a tutti i casi: un banner pubblicitario o una telefonata dove si propone di aprire con duecento euro un conto presso un broker estero per poter arrivare ad integrare il proprio reddito utilizzando “sistemi sicuri” e software “miracolosi” come pure “piattaforme evolute”. Da lì si viene risucchiati in un vortice di bonus, margini, commissioni ed altri inghippi che portano a versare, e a perdere, somme anche notevoli. È il lato oscuro del web, un mondo che sfrutta la velocità di propagazione dei contenuti anche illeciti. Ecco quattro casi sinto34 aprile 2019
matici di cosa è accaduto a tanti incauti risparmiatori incappati nelle truffe finanziarie via internet.
Finanzas Forex, la madre di tutte le frodi. Capostipite nel settore delle frodi basate sul Forex fu la celebre Finanzas Forex, nome utilizzato dalla panamense Evolution Market, bloccata dalla Consob a fine 2008 dopo analoghi interventi delle autorità di Francia e Spagna e il cui patron, il messicano German Cardona, fu arrestato in Spagna. L’offerta consisteva in una gestione in valute che garantiva rendimenti anche superiori al 10% mensile. Se davvero si potesse guadagnare il 10% al mese e si reinvestissero di mese in mese i guadagni, in quindici anni, un investimento di appena mille euro garantirebbe oltre ventotto miliardi e duecento milioni di euro! Se qualcuno fosse davvero capace di generare simili performance, non perderebbe tempo a proporre l’affare ad altri. Non solo: sarebbe impossibile applicare il sistema su vasta scala, poiché ad un certo punto non ci sarebbero sul mercato volumi di scambi sufficienti ad assorbire le operazioni. Come era ovvio il tutto si dimostrò una catena di sant’Antonio partita dal Messico ed estesa tramite il web in oltre sessanta paesi. I venditori del sistema erano spesso reclutati tra gli stessi clienti col tipico schema multi-livello che accompagna
ATTUALITÀ
LO SCHEMA È SEMPRE LO STESSO: UN BANNER O UNA TELEFONATA DOVE SI PROPONE CON 200 EURO DI APRIRE UN CONTO ALL’ESTERO. E POI INIZIANO I GUAI l’espandersi delle piramidi. Le ultime tracce sono una comunicazione del gennaio 2009 in cui si si annunciavano grandi novità in arrivo e si invitavano i clienti a portare il saldo dei conti ad almeno 500 dollari pena la loro estinzione (altro sintomo dell’imminente esplosione). La Procura Distrettuale della Florida ha ottenuto il sequestro di 138 milioni di dollari in lingotti d’oro e 40 milioni di dollari in depositi bancari, distribuiti tra i truffati che hanno fatto domanda, indipendentemente dalla loro nazionalità. Cifre che possono apparire notevoli ma che vanno raffrontate con l’altrettanto notevole numero di investitori coinvolti. L’esempio di Finanzas Forex purtroppo è stato fatto proprio da tanti troppi operatori sparsi nel darkweb.
Le gestioni miracolose al 9%. Poche speranze di rimborso per gli incappati nelle gestioni “miracolose” della svizzera Gmtcrypto (www.gmtcrypto.ch) di proprietà dell’inglese Partners Capital Llp che propone conti gestiti con rendimento del 9% se la somma viene vincolata per un anno almeno. Molti sono gli aspetti che non tornano: una gestione in valute o altro non può garantire alcunché, figurarsi il 9% annuo. Ancora, nel sito internet non è presente alcun documento da consultare, né tanto meno il contratto. Con simili premesse tutt’altro che rassicuranti, appare quasi superflua la mancanza di autorizzazioni, in Italia come altrove. Ma i loro addetti alla pubblicità sono maestri dei banner e degli annunci sui social network, con sapiente utilizzo delle parole-chiave per colpire il bersaglio. Parlano di poter raggiungere la libertà finanziaria tramite un lavoro da casa capace di generare entrate automatiche e rendite passive. Sono corredati da immagini che trasmettono gioia e l’aria di chi ce l’ha fatta, con messaggi che affermano che è possibile guadagnare una
in basso i documenti di Solid Financial Services e Solid Plus che il consulente finanziario Galloro faceva firmare ai suoi clienti.
cospicua somma in breve tempo partendo con un importo esiguo o anche di poter guadagnare uno stipendio mensile in maniera costante. Queste ultime sono le due aspirazioni, se non proprio le necessità, di una vasta platea di potenziali clienti. Ed ecco che i venditori si insinuano proprio nei punti deboli delle persone, con perfidia ed efficacia. Purtroppo. Diffidare dei rendimenti stratosferici. Un ulteriore caso di gestioni miracolose viene da OPCompany di Vitesse Capital Limited, società autorizzata dalla Mfsa di Malta con ufficio di rappresentanza a Roma. Malta, come Cipro, è uno dei Paesi dove prendere la licenza è cosa semplice e un ufficio di rappresentanza non è in alcun modo paragonabile a una succursale: serve però a fare scena con i clienti. Soprattutto un intermediario autorizzato in un Paese dell’Ue può offrire i servizi cui è abilitato in tutti gli altri, ma prima deve comunicare alle locali autorità di vigilanza l’avvio dell’attività. Cosa non avvenuta. Nel sito internet OPCompany venivano offerti conti gestiti in opzioni binarie e criptovalute. Vitesse Capital Limited non era autorizzata a Malta alla prestazione del servizio di gestione su base individualizzata di portafogli di investimento, pertanto le sue proposte sono abusive in Italia, come a Malta, come in ogni altro paese dentro e fuori Ue. Se fosse stata autorizzata inoltre avrebbe dovuto seguire le regole di condotta previste per tutti gli altri servizi di investimento, come la redazione di un prospetto informativo, l’utilizzo di consulenti abilitati all’offerta fuori sede e altro ancora. In base a quanto descritto la Consob è intervenuta lo scorso 3 agosto a bloccare l’offerta. Anche nel caso di OPCompany sarebbe bastato leggere i millantati rendimenti stratosferici dei conti gestiti per capire tutto, addirittura il secondo semestre del 2017 vedeva +175,2% per le opzioni binarie e +154,9% per il mercato Forex.
Il broker Forex e il consulente. Un ultimo interessantissimo caso di questa trattazione sul darkweb delle truffe finanziarie è relativo alla commistione che può avvenire tra intermediari autorizzati e non. I fatti: la Consob, con delibera 20452 del 24 maggio, aveva imposto lo stop all’offerta e allo svolgimento dei servizi e delle attività di inveaprile 2019 35
ATTUALITÀ
LA CONSOB HA MAGGIORI POTERI SUI CASI DI ABUSIVISMO FINANZIARIO. IN 2 MESI HA SANZIONATO 34 SITI E 3 PAGINE FACEBOOK DI SOCIETÀ CON SEDE LEGALE AI CARAIBI stimento da parte di Solid FX Plus, poiché non autorizzata alla loro prestazione nei confronti del pubblico italiano. Ai primi di luglio del 2018 Massimiliano Galloro, consulente finanziario di Südtirol Bank nonché promotore delle gestioni sul mercato Forex della Solid FX Plus, tramite il penalista catanese Salvatore Leotta si è punto messo a disposizione della Procura della Repubblica. Cos’era successo? Si parla di un giro di almeno 120 suoi clienti coinvolti nella vicenda per un totale investito di svariati milioni. In uno dei documenti (vedi a pagina 47, ndr) per esempio si legge di una cliente che “attraverso il suo attuale consulente Massimiliano Galloro, autorizza la società Solid Financial Services nella gestione del suo capitale per quanto riguarda il trading on line”. In un altro documento (sempre a pagina 47, ndr) riguardante il ‘Progetto Major’ offerto dalla Solid FX Plus, il cliente si impegna a non ritirare il capitale investito e le plusvalenze per un termine di sei mesi. Entrambi i documenti provano come Galloro fosse consulente e raccogliesse capitali. I clienti sono concentrati nella provincia di Catania dove il consulente risiede, ma sono presenti anche in altre aree d’Italia. In ogni caso i clienti di Galloro, che ha effettuato offerta fuori sede, promozione e collocamento a distanza per conto di soggetti non abilitati, possono rivalersi sulla sua mandante Südtirol Bank, responsabile in solido col proprio consulente come previsto dal Testo Unico della Finanza all’articolo 31 comma 3, (che recita “Il soggetto abilitato che conferisce l’incarico è responsabile in solido dei danni arrecati a terzi dal consulente finanziario abilitato all’offerta fuori sede, anche se tali danni siano conseguenti a responsabilità accertata in sede penale”), responsabilità che non è attenuata dal fatto che la rete bancaria altoatesina abbia più volte allertato i suoi consulenti con circolari riguardo i prodotti sul Forex (che non erano collocati dall’istituto) e abbia immediatamente revocato il mandato per giusta causa a Galloro. Per gli altri investitori, 36 aprile 2019
in assenza di un intermediario come nel caso dei clienti di Galloro, le speranze di rientrare dei quattrini persi sono veramente poche. Ricordiamo infatti che Solid FX Plus si procurava clienti anche tramite le ormai tristemente famose telefonate con cui si veniva invitati ad aprire un conto con poche centinaia di euro per arrivare a vivere di trading. Ricordiamo che Solid FX Plus è un marchio della Solid Financial Services Ltd. che ha licenza presso la Cysec cipriota, dove si ottengono licenze in maniera molto più facile che altrove e dove l’attività di vigilanza è molto blanda. La facilità di propagazione del web ha fatto il resto. Immediatamente dopo l’intervento della Consob l’ufficio legale della società ha emanato una circolare in cui comunicava che “La piattaforma Solid Fx Plus andrà ad operare con nome e licenza della propria casa madre, Solid Financial Services Ltd”, che è attiva in Italia dal 2010 ed ha regolarmente inviato alla Consob la comunicazione di inizio attività. Non è però autorizzata a prestare i servizi di consulenza e gestione. Occhio quindi cari investitori italiani. Meno male che la Consob c’è. Tali vicende costituiscono un campanello d’allarme per la Vigilanza. Con l’entrata in vigore della Direttiva Mifid 2 la Consob è stata dotata di maggiori poteri anche riguardo l’abusivismo finanziario. L’articolo 2 del Decreto Legislativo 129 del 3/8/2017 ha infatti introdotto nel Testo Unico della Finanza l’articolo 7-octies, riguardante appunto i poteri di contrasto all’abusivismo, che recita: “La Consob può, nei confronti di chiunque offre o svolge servizi o attività di investimento tramite la rete internet senza esservi abilitato ai sensi del presente decreto: a) rendere pubblica, anche in via cautelare, la circostanza che il soggetto non è autorizzato allo svolgimento delle attività indicate dall’articolo 1, comma 5; b) ordinare di porre termine alla violazione”. E l’authority ha fatto subito valere le nuove prerogative. Basti pensare che nei primi due mesi del 2019 la Consob ha adottato 22 provvedimenti inibitori nei confronti di 34 siti internet e di 3 pagine Facebook attraverso cui venivano promosse senza la necessaria autorizzazione offerte di prodotti finanziari o la prestazione di servizi di investimento. Nella maggior parte dei casi le società hanno sede legale in paradisi giuridici del Pacifico o dei Caraibi.
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ATTUALITÀ IL LATO OSCURO DI INTERNET/2
Cronache dalla Rete «cattiva», dove l’illegalità regna sovrana di Gian Marco Litrico
EDWARD SNOWDEN, EX ANALISTA DELLA CIA
VIAGGIO NELLA PORZIONE DEL DEEP WEB DOVE VIGE L’ANONIMATO ASSOLUTO E A CUI SI ACCEDE MEDIANTE SOFTWARE TOR O IP2
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l Web è un iceberg. La parte che emerge dall’acqua è Google, Facebook, Twitter, Linkedin, Wikipedia. E’ il Clear Web, l’universo visibile fatto di tutte le pagine che sono indicizzate dai motori di ricerca e che costituiscono solo il 4% del totale. Sotto la superficie c’è il restante 96%: il Deep Web, il web profondo, dove c’è tutto quello che è protetto da una password (database di istituzioni pubbliche, chat e transazioni di online banking, acquisti via e-commerce). Un enorme ammasso di informazioni che è crittografato e non accessibile attraverso i motori di ricerca. Infine il Dark Web, una porzione del Deep Web dove vige l’anonimato (quasi) assoluto e a cui si accede solo attraverso Tor (The Onion Router) o IP2 (Invisible Internet Project). Tor è uno dei software più controversi del mondo di Internet ed è famoso anche perchè è stato utilizzato da Julian Assange, fondatore di WikiLeaks e dall’ex-analista della Cia Edward Snowden. Tutti possono usare Tor: i giornalisti per proteggere l’anonima38 aprile 2019
to delle loro fonti, le gole profonde per denunciare le malefatte di Wall Street, gli attivisti che vogliono aggirare la censura governativa, i privati cittadini decisi a non lasciare traccia sui motori di ricerca. Persino i poliziotti durante le loro indagini sui crimini online usano Tor. Se a questo mantello che rende invisibili aggiungi una moneta elettronica non controllata da una Banca centrale, una criptocurrency, hai creato un bazar online dove si può vendere di tutto. Purchè sia illegale. Anabolizzanti, droghe, armi, documenti d’identità contraffatti, dati di carte di credito, buoni regalo di Amazon taroccati, prodotti farmaceutici non coperti da licenza. Azioni, obbligazioni e derivati finanziari. Il pioniere di questo mondo dove ideologie libertarie e sana cupidigia capitalistica si intrecciano è stato il mitico Ross Ulbricht con la sua via della seta, Silk Road, nel 2011. Mitico perchè dopo un passato da boy scout e da day trader con Silk Road aveva di fatto creato il negozio mondiale della marijuana, fatturando 100 milioni di dollari all’anno. Peccato che due anni dopo l’Fbi abbia chiuso il sito e Ulbricht si sia beccato due ergastoli, più altri 40 anni di reclusione aggiuntivi. Molti sono siti con piattaforme di e-commerce avanzate, con sofisticate politiche di customer care del tipo “soddisfatti o rimborsati” e funzionano attraverso conti depositi in Bitcoin. Darkwebnews, DeepDotWeb, All Thing Vice e Dsnstats.net offrono le recensioni dei mercati, spiegano passo passo la procedura per utilizzare Tor e si spingono a dare un giudizio sulla compromissione di un sito da parte dell’Fbi. Credit Card Shop è uno delle centinaia di negozi online che offrono carte di debito prepagate che possono essere incassate in un Atm: le paghi 140 dollari e puoi incassare fino a 3500 dollari. Il tutto mediato dal solito conto deposito in Bitcoin. Un autentico non-sense economico per il quale l’Fbi ha una facile spiegazione: il 75% dei casi di riciclaggio di denaro coinvolge una criptovaluta. Un’industra illegale, quella del riciclaggio, che vale tra il 2 e il 5% del Pil mondiale, ovvero tra i mille e i 2 mila miliardi di dollari all’anno (300 miliardi solo negli Stati Uniti). Un altro mercato illegale a contenuto finanziario nel Dark Web è quello dell’insider information. KickAss Marketplace fa pagare un Bitcoin al mese come quota associativa e mette a disposizione dei membri insider trading rilevanti. La selezione per entrare nel club è severa, anche perchè serve a tener fuori principianti, giornalisti e ricercatori, e in particolare gli agenti dell’Fbi sotto copertura. I membri di KickAss Markeplace devono avere avanzate competenze matematiche, economiche e imprenditoriali, ma soprattutto informazioni “corporate” riservate. In questo modo, sostengono gli amministratori del sito, si possono fare previsioni al 90% accurate. Solo lo staff del sito può postare un insider trading dopo aver-
ATTUALITÀ
SE A UN MANTELLO CHE RENDE INVISIBILI AGGIUNGI UNA CRIPTOVALUTA HAI CREATO UN BAZAR ONLINE DOVE PUOI VENDERE ARMI, DATI, DROGA lo accuratamente valutato. Se il metodo funzioni lo sanno solo i membri del club, ma il meccanismo in fondo non ha nulla di scandaloso se si considera che, secondo un articolo del New York Times del 2010, gli investimenti in Borsa dei membri del Congresso americano hanno un rendimento tra il 6 e il 10% superiore a quello del mercato. Da allora sono passati quasi 10 anni, Obama ha firmato una legge per impedire che politici e burocrati possano trarre vantaggio delle informazioni riservate acquisite durante l’attività legislativa e amministrativa, ma c’è da scommettere che i membri del Congresso investono con più successo dei membri di KickAss Marketplace. Tra parentesi, per quelli che vogliono gustare l’ebbrezza dell’insider trading c’è un sito del clear web come Openinsider.com, che fornisce in modo aggregato le informazioni sulle operazioni di borsa condotte da manager di livello C, come Ceo e Cfo. Si possono selezionare le operazioni per importo o individuare un cluster, ovvero un raggruppamento di operazioni effettuate da più manager di una stessa azienda. La verità è che proprio la chiusura di Silk Road e di decine di altri mercati, l’arresto di Ross Ulbricht e le vicende di Julian Assange e Edward Snowden hanno fatto diminuire di molto la fiducia in Tor. Sono in molti a pensare che un gran numero di nodi nel Dark Web siano controllati dalla Nsa (National Security Agency). Lo stesso gruppo di hacker che aveva violato le reti di Play Station and Xbox ci ha messo due settimane per assumere il controllo di 3000 router e scoprire le identità del 95% degli utenti.
JULIAN ASSANGE
Ross William Ulbricht, anche noto con lo pseudo di “Dread Pirate Roberts”, inventò Silk Road, il sito del Dark Web dove si vendeva droga in particolare.
Julian Assange, il fondatore di Wikileaks, si serviva per la sua attività del software Tor
Eppure, il Dark Web sta anche cominciando a ripulirsi da solo: per esempio, ci sono operatori che fanno leva sul rifiuto di vendere beni nocivi per la salute o che propongono prodotti organici o equosolidali. Più in generale, il Dark Web toglie dalla strada lo smercio delle droghe e riduce la violenza e l’intimidazione che ne sono il corollario, anticipando uno degli effetti desiderati della legalizzazione, per esempio della marijuana. È evidente che farsi recapitare a casa dal postino uno spinello è molto più sicuro che andarlo a comperare nelle zone dello spaccio. Insomma, l’esperimento può continuare ed essere studiato a beneficio di tutti. Del resto, Wall Street è un convertitore di informazione in ricchezza. Il 90% delle transazioni di borsa non viene più effettuato manualmente, ma da un algoritmo. Questo sistema verticale, dove l’informazione è asimmetrica, dove pochi hanno il potere di dare una direzione al mercato, ci mette di fronte al problema delle regole non solo per disciplinare i mercati finanziari, ma anche per capire l’impatto delle tecnologie sui mercati finanziari. Ci ricordiamo tutti gli inizi del trading online, un classico nella mitologia della Silicon Valley: William Porter e Bernard Newcomb si conoscono a un party a Palo Alto nel 1980. Porter si è appena comprato un Apple II e si è messo in testa di usarlo per fare compravendita di azioni, disintermediando il ruolo dei broker. Newcomb, che è non vedente, sviluppa il software. Creano eTrade, per dare all’uomo della strada la possibilità di investire in Borsa direttamente senza dover pagare le commissioni a un consulente. Quarant’anni dopo, nell’era dei robo-advisor, il sogno realizzato di Porter e Newcombe, la partita del trading online si gioca ancora intorno a questo intreccio in cui si confrontano il fascino pericoloso del “do it yourself”, la lealtà a geometria variabile del broker-dealer e il valore della consulenza finanziaria. aprile 2019 39
ASSET MANAGEMENT INTERVISTA CON IL GESTORE
«Il 2019 sarà un anno a mezz’acqua ma non si vede una recessione globale»
A
llora, dottoressa Maccia, possiamo ispirarci al nostro presidente del Consiglio, l’avvocato Giuseppe Conte, e rassicurare i lettori di Investire con la profezia che “il 2019 sarà un anno bellissimo” anche per i mercati finanziari e i risparmiatori? Madame Maccia (Manuela: trovate la sua storia nel riquadro della pagina accanto) è l’unica dirigente italiana che guida la task force, il team di direzione centrale di BnpParibas Banque Privée, la prima struttura di private banking di Francia e d’Europa che ha in pancia circa cento miliardi di attivi. Sorride, capisce perfettamente la battuta dell’intervistatore italiano ma non è disponibile a infilarsi nella polemica del “politique d’abord” in versione nazionale. Preferisce glissare e, sistemando le mille cartelline e la piccola montagna di “stampate” dei suoi due computer nell’ufficio al quarto piano di un palazzo di rue Quatre Septembre, che è la data di nascita della Terza Repubblica, accetta di limare come si conviene quel superlativo («bellissimo») e di fornire una visione misurata e ragionevole su quel che accadrà nel saliscendi di azioni obbligazioni e cambi nel corso di questo 2019 appena iniziato («Le profezie lasciamole ai Tiresia», dice facendo così trapelare la sua mai interrotta frequentazione con la cultura italiana visto che “La conversazione su Tiresia” di Andrea Camilleri è un densissimo volumetto di Sellerio appena arrivato in libreria). «Quello che posso dire, sulla base delle nostre analisi che supportano le strategie di BnpParibas Banque Privé è che, nelle Borse mondiali, il 2019 non sarà un anno bellissimo ma neanche un anno da dimenticare. Intanto il periodo gennaio-febbraio è partito benissimo con un rialzo che non si vedeva da 30 40 aprile 2019
di Sergio Luciano
Manuela Maccia in BnpParibas Banque Privée guida un team di cinquanta esperti finanziari, specialisti del marketing e del digitale, che fanno la forza di Bnp Paribas BP, la struttura di wealth management più importante del sistema bancario francese.
MANUELA MACCIA, BNP PARIBAS: «CREDIAMO NELLA CRESCITA, MA SENZA TROPPI STIMOLI ESTERNI» anni e che compensa una parte delle perdite del T4 2018 e questo mi pare un presagio da non sottovalutare». Per dirla con un linguaggio che non piace agli analisti e ai cosiddetti “strategist” non ci si arricchirà ma non si perderanno neanche tutti questi gran soldi. Mi consenta di cominciare citando un decennale da cui tutto è partito e che pochi, oltre agli addetti ai lavori, ricordano. Bene, entriamo in questa macchina del tempo. Esattamente dieci anni fa, il 9 marzo 2009, Wall Street toccò
ASSET MANAGEMENT il fondo, il punto di minimo nella Grande Crisi dei subprime. Quel che è successo dopo è noto ai lettori di Investire, credo. Certo, una valanga di dollari riversati sul mercato, il più gigantesco Quantitative Easing mai visto nella storia della Fed, liquidità senza limiti, politiche monetarie espansive secondo una dottrina neokeynesiana che all’epoca si condensava negli speech tutto ottimismo di quel furetto barbuto di Ben Bernanke, il banchiere di Obama e “Uomo dell’anno” di Time magazine proprio nel 2009, l’anno del crack. Ecco, senza entrare in dispute dottrinarie che non competono a chi fa il mio lavoro, da quel 9 marzo, Wall Street è cresciuta quasi del 400% contabilizzando anche il reinvestimento dei dividendi e tutti i mercati finanziari hanno seguito a ruota. Uno dei “bull market” più lunghi nella storia della finanza. Che però si è interrotto l’anno scorso e pure bruscamente. Scendiamo dalla macchina del tempo per capire cos’è successo. Diciamo che alla fine del 2018 c’è stata una bella lezione che ha riportato il mercato alla normalità. Una lezione che è costata cara agli investitori. Che ancora non sanno come e quanto potranno riprendersi. Su questo secondo punto, sulle prospettive e quel che ci aspetta le dirò dopo. Per ora fermiamoci ancora al 2018, un annus horribilis con performance negative su tutti i mercati (-10% per la Borsa di Parigi e -18% per quella di Francoforte, ndr). Ma il vero segnale di quella lezione non è stata l’entità delle perdite - abbiamo visto anni peggiori come il 2008 -, quanto piuttosto il fatto che il 90% delle classi d’attivo hanno avuto un rendimento negativo, qualcosa che non si vedeva dal 1901 e nemmeno nel famoso 1929, l’anno nero, il vero spartiacque del secolo breve. Insomma, nel 2018 non si è salvato nessuno. E’ andata così e tutte le tradizionali tecniche di diversificazione di portafoglio per tenere in conto delle correlazioni non hanno funzionato. Però se guardiamo più da vicino, ci accorgiamo che il 2018 ha avuto due storie diverse: nella prima parte dell’anno abbiamo assistito ad acquisti poco selettivi e indiscriminati soprattutto in alcuni settori come la tecnologia, ricordiamocelo -, mentre nelle seconda parte abbiamo visto vendite massicce e indiscriminate.
L’accordo commerciale tra USA e Cina può allontanare lo spettro della recessione.
Ricordiamocela anche questa osservazione quando proveremo a immaginare una strategia per il 2019. E’ un invito a evitare gli eccessi, va da sé. Ma i mercati sono fatti così, poca memoria e voglia di rifarsi in fretta in caso di perdite. Ci arriviamo. Ora interessa capire perché il decennio della crescita finanziaria apparentemente infinita s’è interrotto e quale lezione si può ricavare per il futuro che è - mi pare - la ragione per cui Investire è venuto a cercarmi qui a Parigi. Tutta colpa del neopresidente della Fed, Jerome Powell, repubblicano, insediato da Trump al posto dell’odiata Janet Yellen? Powell è un repubblicano, come dire... classico che ama i conti pubblici in ordine e non sopporta gli eccessi... Il presidente della Fed ha capito che era venuto il momento di mettere un freno a un decennio di “bull market” alimentato da politiche monetarie espansive, visto che l’America cresceva del 3% e il mercato del lavoro toccava la piena occupazione”. Ci ha provato con un discorso durissimo alla fine del 2018 facendo balenare ai mercati il terrore di un’ulteriore stretta sui tassi, il risultato è stato il deragliamento.
aprile 2019 41
ASSET MANAGEMENT Qualche analista ha scritto che Powell si è mosso con inaspettata brutalità in un momento in cui l’economia americana cominciava a sentire le prime conseguenze del protezionismo trumpiano (guerra dei dazi con la Cina, scontro con gli alleati europei a cominciare dalla Germania, ndr). Personalmente, il dato più rilevante a me sembra un altro: Powell, che ha un passato di banker e di politico (segretario di Stato al Tesoro con Bush, ndr) ed è quindi un decisore pragmatico, a-ideologico, ha capito immediatamente il messaggio dei mercati. E ha fatto marcia indietro. Non esattamente. Si è rivolto loro una seconda volta ma con un messaggio più diplomatico, facendo capire che la Fed non avrebbe fatto strappi, che li avrebbe assecondati. Questo non vuole dire denaro a buon mercato a ciclo continuo, un Quantitative Easing perenne, ma una politica monetaria prudente che accompagni il ciclo economico senza strozzarlo ma anche senza gonfiarlo o allungarlo a dismisura. In questo senso, io dico che dopo un ciclo durato un decennio, finalmente si sta tornando alla normalità. Ma in questa normalità c’è la recessione, soprattutto in Italia. Qui stiamo parlando di mercati finanziari non delle politiche economiche degli Stati, quelli che contano, l’America, la Cina. E noi che lavoriamo tutti i giorni sui mercati, francamente, un vero pericolo recessione a livello planetario non lo vediamo anche se Trump continua a litigare con Pechino e minaccia di mettere super-dazi sulle automobili tedesche. Bene, la recessione non ci sarà e le Borse ricominceranno a correre: il 2019 bellissimo da cui siamo partiti. Calma. Il ciclo del bull market, della crescita senza fine, pur con alti e bassi)è prossimo alla conclusione. Ma si potrà tirarlo ancora un po’ con qualche operazione tattica più che strategica delle banche centrali, ma il contesto globale va nella direzione della normalità che è poi - diciamolo - quello che desiderano le autorità monetarie di tutto il mondo. Con quale obiettivo finale? Evitare la recessione, si capisce, spingere la crescita ma senza troppi stimoli esterni e artificiali. In una parola: tornare ai fondamentali. 42 aprile 2019
La sede centrale di Bnp Paribas a Parigi
Fondamentali: ecco l’altra parola magica del lessico di Borsa. Ma quando mai i mercati hanno guardato ai fondamentali delle imprese? “Più di quanto si possa immaginare. Per questo noi di BnpParibas siamo ottimisti - sempre con moderazione, si capisce! - sui mercati azionari, ma siamo convinti che quella che nel corso della nostra conversazione abbiamo continuato a chiamare quasi con ostinazione normalità sia la vera cifra, la vera chiave per capire quel che avverrà nel corso dei prossimi mesi. Per farla facile, i lettori di Investire possono investire senza problemi? No, i rischi ci sono sempre. Per esempio, una Brexit dura senza accordo, che non è il nostro scenario centrale, e una
«SEGUIAMO QUATTRO TEMI “SECOLARI”: SECURITY, URBANISTICA, SALUTE, 4.0»
serie di difficoltà di tipo giuridico e doganale, o una crisi imprevista tra Washington e Pechino o tra Washington e Pyongyang. Al momento vediamo infatti una fase di consolidamento sana dopo il forte rialzo da inizio anno. Ma è il contesto dei fondamentali a medio termine che ci spinge a essere in generale positivi. Un contesto fatto di mini-cicli di borsa, più brevi e quindi più sfruttabili come fa un bravo surfista quando vede l’onda scendere e poi inevitabilmente rialzarsi. Un mercato “stop&go”: possiamo definirlo così? Meglio: un mercato che storna quando ci sono cattive notizie e che riparte alla prima buona notizia. Le faccio un esempio: il consensus dei nostri analisti ci avverte che i profitti delle aziende - ecco che ritornano i fondamentali! -, già rivisti al ribasso da inizio anno, dovrebbero crescere almeno del 4-5% per rendere interessante l’investimento azionario.
ASSET MANAGEMENT Sotto quel livello scatta l’allarme. Parliamo di investimenti a medio termine, ovviamente. Sul medio termine BnpParibas è positiva, tenendo conto di quegli indicatori che le dicevo prima, a partire dal tasso di crescita dei profitti aziendali. E in quali settori? Avete un elenchino già pronto? Più che di un elenchino come dice lei, abbiamo una griglia di temi, “temi secolari”, su cui un investitore di Borsa attento e consapevole può muoversi nel corso del 2019. Sono quattro, al momento. Vediamoli. Al primo posto l’area vasta della security che va dalla protezione dei dati - i famosi Big Data - alla sicurezza dei sistemi informatici che ormai accompagnano e regolano la nostra vita. Poi c’è il tema della trasformazione urbana che ingloba tutto il business della gestione dell’acqua e dei rifiuti oltre allo sviluppo delle città, le metropoli del mondo, dove vivranno 2,5 miliardi di persone da qui al 2050 - basta pensare alla rete fognaria di Mumbai, India, per avere un’idea delle sfide tecnologiche e gestionali - e delle varie regioni del pianeta. Mancano gli ultimi due “temi secolari”. L’enorme business legato alla salute e al benessere dell’uomo con un quarto degli abitanti del pianeta avrà più di 60 anni alla fine del secolo e quindi medicina, ricerca, assistenza cura della persona: secondo una ricerca McKinsey il tempo dedicato allo sport e al loisir degli ultrasessantenni negli Usa arriverà fino a 210 milioni di ore e genererà 24 milioni di posti di lavoro. Infine il settore Industria 4.0 cioè robotica e telecomunicazioni, reti 5G e tutto quello che verrà. Naturalmente stiamo parlando di Wall Street e delle piazze finanziarie occidentali. Certo, ma non dimentichiamo che delle opportunità possono crearsi anche sulle Borse dei paesi emergenti, in particolare in Asia, che nel 2018 hanno perso il 16% secondo l’indice Msci Emerging Markets e c’è per questo un certo consenso generale sul fatto che possano crescere nel 2019. Con prudenza e tenendo ben conto del rischio cambio. E c’è
un altro dato che sembra un via libera: secondo l’Efpr Global, un indice che fa capo al gruppo inglese Informa specializzato in business intelligence, già ai primi di gennaio sui mercati emergenti è arrivato un flusso di 16miliardi di dollari di cui 2,7 investiti in Etf. Non poco. Anzi, secondo certi osservatori, gli emergenti hanno preso il posto dei tecnologici. Titoli che hanno dato soddisfazioni ma hanno anche fatto soffrire parecchio… Proprio così. Anche se oggi i mercati emergenti scontano una sottovalutazione del 40% che è un buon margine per entrare e uscire per tempo, eventualmente. E da ultimo non dimentichiamo che c’è sempre l’oro come bene rifugio”. Sì, l’ha scritto il nostro corrispondente da Parigi sul numero 2 di Investire... Come vede, le vie, per dirla meglio le strategie, per una moderata felicità finanziaria nel 2019 non mancano. Con prudenza nell’immediato e migliori prospettive nella seconda parte dell’anno. Au revoir, mon ami. (Madame Maccia corre per l’ennesima riunione della giornata mentre il sole tramonta sulla cupola dorata dell’Opera Garnier, dietro il palazzo di BnpParibas).
DA BIELLA A PARIGI, LA SIGNORA DEL PRIVATE BANKING Biellese, parigina, milanese, romana e ora di nuovo parigina, alla guida di un team di una cinquantina di esperti finanziari, specialisti del marketing e del digitale, che fanno la forza di Bnp Paribas Banque Privée, la struttura di wealth management più importante del sistema bancario francese. Manuela Maccia (che è anche membro del Comitato esecutivo e del Comitato investimenti del colosso bancario francese) è nata a Biella, quando la cittadina piemontese viveva l’ultima stagione d’oro dell’industria tessile e laniera; ha studiato alla Bocconi (tesi
di laurea in economia Politica con Tito Boeri che avrebbe voluto mandarla alla London School of Economics) e ha fatto una “majeure d’economie et finance” all’Haute Ecole de Commerce (Hec) di Parigi da cui esce il meglio del management finanziario, una sorta di Ena del business. Dal 2008 è anche Cfa, il prestigioso titolo americano del mondo finanziario globale. Dalla Bocconi, d’amblé (è il caso di dire) è stata reclutata, neolaureata, da Paribas quando l’istituto non era ancora BnpParibas, ma la boutique della finanza francese per eccellenza,
che la spedì nel 1999 nella sua sede di Londra a imparare il mestiere in sala mercati, in una City che non c’è quasi più. Poi ancora a Parigi come strategist nell’asset management della banca, a Milano come responsabile Investimenti della Sgr e quindi a Roma, responsabile dei Servizi di Investimento del Private di Bnl, ormai una delle stelle fisse del firmamento BnpParibas. Da qui, l’ultimo passaggio tre anni fa, a Parigi, unica dirigente italiana nel primo private banking francese. aprile 2019 43
ISTITUZIONI INTERVISTA CON MARINA BROGI
«La buona governance vale davvero Il mercato ci crede, non è una moda» di Sergio Luciano
«D
iversi studi dimostrano che dov’è debole la governance è tendenzialmente più debole anche la salute economica complessiva dell’azienda, che quindi può più facilmente incappare in problematiche anche gravi», dice Marina Brogi, professore ordinario di Economia degli intermediari finanziari alla Sapienza, già membro del Securities and market stakeholder group dell’Esma (European Securities and Markets Authority). «La governance è importante», ribadisce, «e ogni azienda deve cercare di dotarsi del proprio abito su misura, conforme con la normativa ma adattato alle proprie esigenze da disposizioni statutarie o interne. L’importante è che si crei un sistema di pesi e contrappesi, volto a perseguire l’interesse dell’azienda e a bilanciare gli interessi di tutti gli stakeholder. Soluzioni diverse possono raggiungere lo stesso obiettivo». Di governance si occupa anche Assogestioni, esaminando gli investimenti Esg (Enviromental, social and governance, ndr) come tema cruciale al centro del Salone del risparmio. Ma come mai tanta attenzione? Non sarà una moda come un’altra? Io credo proprio di no. La sensibilità al tema dei doveri verso tutti gli stakeholder e alla necessità di un orizzonte temporale più lungo sta crescendo in tutti i mercati da alcuni anni costantemente. L’ultima lettera annuale inviata agli amministratori delegati delle società quotate da Larry Fink, amministratore delegato di BlackRock, affronta proprio questo tema. La disciplina delle dichiarazioni non finanziarie di fatto richiede alle principali società quotate europee di ripensare il proprio modello di business in chiave Esg. In base alle analisi Msci che si occupa di rating Esg, due grandi aziende mondia44 aprile 2019
Marina Brogi, professore ordinario di Economia degli intermediari finanziari alla Sapienza, già membro dell’Esma
li, incorse entrambe negli ultimi mesi in traversie d’immagine molto gravi, erano state entrambe downgraded per motivi di governance. Ed entrambe sono incappate in un problema che ha gettato ombre sul loro sistema valoriale. Probabilmente si riferisce a Nissan e Boeing, ma lo diciamo noi: e dunque cos’è che in quei casi non ha funzionato? In generale è fondamentale che l’impostazione gestionale impostata dal vertice focalizzi l’attenzione delle risorse umane non solo sull’importanza del conseguimento di un risultato ma anche sul come quel risultato viene raggiunto. E lei rileva un’evoluzione positiva in atto in questo senso? Una sensibilità diffusa sì, un’evoluzione positiva a tutto tondo ancora no. Del resto nessun modello è perfetto. Negli Stati Uniti, un tempo patria delle public company, della democrazia azionaria, in cui norme e best practice di governance cercavano di contenere il potere di manager troppo forti rispetto agli azionisti, sembrano essere tornati indietro. Da notare ancora che nel sistema americano il board è indipendente, ma di fatto il voto sulla nomina di un nuovo board viene espresso dai soci su una rosa proposta dal board uscente, per cui alcuni consiglieri possono restare in carica anche vent’anni, al punto che si parla di piani di successione anche per i membri indipendenti del board. Su questo scenario si staglia la novità non positiva dei giganti della tecnologia, che a dispetto delle promesse di democratizzazione, si sono sempre mossi aggressivamente per non condividere i diritti di voto, introducendo doppie categorie azionarie.
ISTITUZIONI In Europa gli assetti proprietari sono più concentrati e il rischio è che la maggioranza possa fruire di benefici a scapito delle minoranze. Per questo sono regolamentate le operazioni con parti correlate. Dunque è difficile generalizzare sulla qualità della governance? I metodi sono diversi. Msci adotta un sistema articolato, che attribuisce un punteggio alle prassi di ciascuna società ed emette un rating di governance. Anche S&P sta preparando un rating Esg. E la qualità della governance in questi ranking ha un peso preponderante. La convincono questi rating? Sono strumenti di analisi seri e interessanti, ma hanno un limite naturale: definiscono i valori esaminando dall’esterno le caratteristiche della governance e dell’azienda. Nonostante questo limite intrinseco si sono rivelati efficaci nel prevedere i problemi e, comunque sia, si vigila sull’esistenza di precondizioni idonee a consentire una buona governance. Ma dica la verità: tanta enfasi sulla buona governance non si traduce in oneri procedurali, lentezze e inefficienze? Al contrario la governance aiuta ad avere una disciplina societaria forte. Idealmente dovrebbe favorire la crescita e la sicurezza dello sviluppo. Vede, normalmente le aziende nascono da qualcuno che ha un’idea di business…ma che deve poi farsi affiancare perché ha sempre più bisogno di altre funzioni gestionali vicino alle proprie. La buona governance aiuta a passare dalla formula one-man-show al management team. Ma il management team ha bisogno di avere una sua accountability, cioè una chiara responsabilizzazione: perché se allontaniamo la disciplina e la responsabilità da chi decide, indeboliamo il valore delle decisioni stesse. La governance deve avere l’obiettivo di creare un processo disciplinato e chiaro per le decisioni strategiche che sono di competenza del board e un meccanismo di accountability più forte, in modo da intercettare per tempo se i risultati non sono quelli attesi. Eventuali aggiustamenti sono più efficaci se presi tempestivamente. Tuttavia un processo disciplinato non basta in quanto le decisioni strategiche si basano su ipotesi sul futuro e qualunque decisione strategica può essere sbagliata se basata su una visione del futuro errata. Che ne pensa della legge 231? È una normativa molto articolata, volta
a cercare di prevenire comportamenti sbagliati, ed è una disciplina complementare rispetto ad altre. Di fatto richiede che le società si dotino di un proprio codice etico. Ma secondo lei un codice etico ha senso? Secondo me si, consente di dichiarare i valori che l’azienda persegue e rappresenta un tassello nel sistema di corporate governance. Una parte delle norme sulla governance ormai vengono dall’Europa, qual è il suo giudizio su questo? Su alcune molto positivo. La decisione del legislatore europeo di lasciare libertà agli emittenti nel declinare i contenuti delle dichiarazioni non finanziarie in base alla maggiore materialità mi pare molto positiva in quanto davvero orienta le aziende a ripensare il proprio modello di business in chiave Esg. Invece specificamente in materia di governance c’è una tendenza alla stratificazione che non accenna a essere risolta. Nelle quotate il collegio sindacale e il comitato di controllo e rischi svolgono attività simili e a volte sovrapposte. Guardando avanti, per tornare ai temi Esg, più che collegio sindacale e comitato controllo e rischi, forse sarebbe più utile un comitato dedicato alla sostenibilità. Bisognerebbe riconsiderare periodicamente i vari comitati alla luce delle esigenze nuove. Il sistema monistico potrebbe avere un suo spazio perché è un modello più semplice, ma il tema resta aperto. Che ne pensa delle nuove regole sul market abuse? La disciplina si è considerevolmente complicata, non sono così
GLI INVESTIMENTI ESG CONQUISTANO CONSENSI SEMPRE PIÙ AUTOREVOLI IL CODICE ETICO HA SENSO, CONSENTE DI DICHIARARE I VALORI AZIENDALI
convinta che alcune novità come market soundings e meccanismo del ritardo porteranno a una situazione di miglioramento complessivo. Mi sembra un appesantimento gravoso delle procedure, della cui utilità soprattutto in termini di costi benefici non sono sicura. E la sfida più grande per l’Europa? Riuscire a trovare un equilibrio sostenibile basato su politiche maggiormente condivise e a tendere meno distorsive. La fiscal policy in teoria sarebbe lasciata ai singoli Stati, ma in pratica viene influenzata da regole e interventi contro gli aiuti di Stato. La recente sentenza della corte di giustizia europea sul caso Tercas è un caso su cui riflettere. Al contempo ci sono Stati della UE che fanno concorrenza anche usando le aliquote fiscali. La sensazione è che le istituzioni europee a volte si perdano nei dettagli rinunciando a concentrarsi e a gestire i temi di fondo del bene comune. Come uscirne? Occorre molto impegno, anche perché servirebbe un soluzione condivisa a livello internazionale. In generale nel mondo c’è una crisi acuta sulla fiscal policy. Ci sono fortissime contraddizioni sulla tassazione. Le aziende che riescono a pagare meno tasse più facilmente diventano leader di mercato in quanto riescono a investire di più, a essere più efficienti e a crescere di più. Questo è un tema legislativo che richiede consapevolezza, competenza e lungimiranza. aprile 2019 45
FAMILY OFFICE PARLA CARLO FERRARI ARDICINI
Vuoi contenere la volatilità? Scegli le strategie opzionarie
P
di Mario Romano
roteggere i patrimoni nel tempo, in primis dalle distorsioni e dalle incognite mercati. Su questa linea il family office svizzero Controlfida ha costruito delle linee e una view di gestione puntando sul contenimento della volatilità con delle strategie opzionarie che ne sono divenute il marchio di fabbrica. Dopo i forti scossoni dell’ultima parte del 2018 lo scenario sembra meno negativo grazie alle rassicurazioni delle banche centrale, ma i rischi per il rallentamento globale in corso restano in agguato. Ne parliamo con Carlo Ferrari Ardicini, vice presidente di Controlfida. Dottor Ferrari Ardicini, il 2018 ha tradito molte attese. Quali sono le vostre previsioni per l’anno in corso? Monitoriamo l’andamento di 81 asset class tra indici, azioni, obbligazioni, commodity e valute e lo scorso anno solo 13 tra questi hanno mostrato il segno più. Un anno quindi molto difficile, che ha scontato gli eccessi di liquidità del 2017, dove con le nostre gestioni abbiamo contenuto le pressioni al ribasso grazie alle nostre strategie opzionarie che coprono dai rischi di questi oscillamenti. Per questo inizio di 2019 siamo moderatamente ottimisti sull’azionario mondiale. Come state indirizzando le vostre gestioni? La nostra asset allocation predilige in questa fase una componente azionaria al 50%, con una parte dell’esposizione attraverso fondi a bassa volatilità che assorbono il primo rischio di ribasso sempre attraverso le nostre strategie opzionarie. In sostanza sono strumenti che coprono dai bruschi scostamenti e oscillazioni dei titoli e indici. Un restante 20/30% viene investito in strategie a rendimento assoluto, per esempio noi privilegiamo fondi che monetizzano la volatilita’ o fondi Cta - basati su algoritmi- che permettono di prendere posizioni lunghe o corte sul mercato. Il resto in cash o in obbligazioni a breve scadenza per avere una maggiore flessibilità in portafoglio ed evitare il rischio duration. Non temete il rallentamento della Cina e il confronto politico negli USA ora che Trump non controlla più il Congresso? Per quanto riguarda Usa e Cina i due giganti si trovano in situazioni molti differenti: i recenti dati macro e occupazionali sull’economia americana hanno confermato una continua crescita anche se gli stimoli fiscali e monetari si sono conclusi; la Cina invece sta già scontando un rallentamento, essendo stata infatti tra le piazze azionarie peggiori l’anno scorso, e ha avviato politiche espansive per rilanciare la crescita. Basti pensare agli annunci di allentamento della politica monetaria dalla banca centrale di Pechino e i minori assorbimenti di capitale alle banche. La guerra commerciale che ha pesato negativamente sul sentiment dei mercati e sulle relazioni tra i due paesi potrebbe però trovare una soluzione positiva nelle prossime settimane 46 aprile 2019
CARLO FERRARI ARDICINI, VICE PRESIDENTE DI CONTROLFIDA
ed essere un fattore positivo su entrambe le realtà. State investendo sull’Italia? L’Italia è una piazza finanziaria che guardiamo sempre con attenzione e seguiamo con fiducia il restringimento dello spread. Cosa fare per ridurre la volatilità? A nostro parere la capacità di gestire la volatilità attraverso strategie opzionarie che permettono di attutire il primo rischio di ribasso e la capacità di selezionare le società giuste - fondi attivi contro fondi passivi- sarà il fattore distintivo per i prossimi mesi. Per questa ragione ai nostri clienti private proponiamo la nostra strategia Delta Ucits che permette di ridurre drasticamente la volatilità del sottostante azionario e di assorbire il primo movimento al ribasso. Dal 2000 la strategia Delta ha permesso su base trimestrale di ridurre fino al 40% il movimento trimestrale al ribasso con circa metà della volatilità rispetto al sottostante azionario. Cosa vi chiedono le grandi famiglie per difendere i loro patrimoni? Chiedono diversificazione e protezione e protezione dalla volatilità soprattutto. Come family office gestiamo grandi patrimoni privati, vogliamo preservarli e accrescerli, garantendo un rendimento sicuro e al tempo stesso riducendo il più possibile la volatilità. Abbiamo condotto un’analisi sulle performance trimestrali del nostro fondo Delta Ucits in cui viene eseguita la strategia opzionaria di riduzione dinamica del rischio. Dal 2000 a oggi in 129 trimestri positivi abbiamo ottenuto il 95% del rialzo del mercato, mentre nei 91 trimestri negativi abbiamo partecipato solo al 63% del ribasso. Il nostro obiettivo è proprio quello di replicare il più fedelmente possibile il mercato quando sale e di limitare le perdite al 60% quando scende, in modo da creare una significativa sovraperformance nel lungo termine rispetto al mercato e ottimizzando i rischi.
DIBATTITO POLITICA & CREDITO
Commissione Casini, un’occasione mancata per il sistema bancario
L
di Antonio Quaglio
a commissione parlamentare d’inchiesta sulla crisi bancaria e finanziaria guidata da Pierferdinando Casini nell’ultimo scorcio della passata legislatura ha concluso i suoi lavori da un anno o poco più, ma si fatica a rinvenirne tracce reali nel dibattito pubblico e nelle scelte politiche attorno al risparmio e al credito nel sistema-Paese. Già nell’autunno 2017 era parso evidente che i tempi serrati e la campagna elettorale virtualmente iniziata difficilmente avrebbero consentito un confronto ampio e approfondito sulla lunga emergenza finanziaria italiana: nonostante casi come quelli delle Popolari venete o di Mps fossero ancora caldi e le tensioni tra Italia ed Europa fossero in escalation visibile anche sul terreno delle regole regole della finanza e dello sviluppo della vigilanza. Com’era prevedibile, scadenze come il rinnovo a Ignazio Visco del mandato a governatore della Banca d’Italia - deciso tra Palazzo Chigi e Quirinale a commissione aperta - oppure querelle specifiche (come quella attorno al ruolo dell’allora sottosegretario alla Presidenza Maria Elena Boschi nel crack di Banca Etruria) hanno polarizzato le attenzioni politiche e mediatiche. Le stesse relazioni finali (quattro: una firmata dall’allora maggioranza di centrosinistra, una da M5S all’opposizione, una dal centrodestra unito, una dagli scissionisti della sinistra Pd) non hanno superato il livello di riassunti di cahier de doléances: intessuti di schermaglie e interrogativi piuttosto che di riflessioni estese e proposte costruttive. Né le testimonianze di peso che pure hanno segnato le sessioni - per esempio quello d’apertura da parte del procuratore capo di Milano Francesco Greco - hanno potuto assolvere alla funzione di analisi critica e costruttiva di quanto avvenuto nel sistema bancario italiano. Dalla commissione Casini non è quindi uscita alcuna rinarrazione convincente di ciò che ha funzionato e di ciò che non ha funzionato dal 2011 (crisi dello spread) oppure dal 2008 (collasso di Wall Street), oppure da ancora prima: da quando i crack Cirio e Parmalat oppure durante lo scontro a colpi di Opa su Antonveneta e Bnl hanno fatto emergere con prepotenza il tema della tutela del risparmio diffuso assieme a quello dell’offerta dei servizi finanziari alle famiglie e alle imprese. La “crisi bancaria italiana” è sì quella di decine di migliaia di risparmiatori “traditi” e delle loro pretese di rimborsi e risarcimenti. E’ certamente quella di un credit crunch che da anni contribuisce a prolungare la più pesante recessione di sempre. E’ anche quella di migliaia di lavoratori bancari o assicurativi
IGNAZIO VISCO, GOVERNATORE DELLA BANCA D’ITALIA
IL MONDO FINANZIARIO SARÀ TANTO PIÙ AVVANTAGGIATO QUANTO PIÙ IN PARLAMENTO ANDRANNO IN SCENA DEI VERI E PROPRI “STATI GENERALI”
48 aprile 2019
in esubero, di consulenti finanziari impantanati nell’epoca dei tassi zero. Non da ultimo è quella di un’Italia tuttora leader nella ricchezza finanziaria accumulata dalle famiglie (4.287 miliardi a fine 2018), ma con un record di depositi di liquidità (circa un terzo, il 25% in più rispetto al 2008). La propensione al risparmio degli italiani - storico e resistente asset-paese - non riesce più a trasformarsi in molla di sviluppo: nonostante un tentativo forte come i Pir, condiviso in misura sostanziale tra policymaker e intermediari sul mercato. A quasi trent’anni dalla grande riforma bancaria firmata da Giuliano Amato e Guido Carli, del resto, manca ancora un consenso reale sugli esiti della lunga stagione di privatizzazioni, fusioni e acquisizioni, internazionalizzazioni delle banche italiane. Nel frattempo in Europa, dopo l’annuncio dei colloqui di possibile merger tra Deutsche Bank e Commerzbank, la prospettiva di una nuova fase di consolidamento ha già superato i semplici rumor di Borsa, mentre il nuovo capo della vigilanza Bce - l’italiano Andrea Enria - ha gà espresso la sua preferenza per un’accelerazione delle fusioni transnazionali e per le aggregazioni maturate sul mercato, lontano da pressioni o aiuti pubblici. Il sistema bancario tradizionale, non solo in Italia, non può d’altronde ritardare le risposte alla pressione globale del digital banking già per molti versi disruptive. L’open banking (o
DIBATTITO light banking) è ancora un illustre quasi-sconosciuto sul mercato italiano e anche per i parlamentari italiani: eppure è già quasi in offerta, così come la consulenza robotizzata attraverso l’intelligenza artificiale. Su tutto questo in Italia manca un’agenda-Paese almeno impostata, se non condivisa. E’ un’agenda indispensabile soprattutto perché dovrà confrontarsi - e alla fine integrarsi - con altre agende nazionali all’interno della cornice europea dell’Unione monetaria e bancaria in fase di ripensamento e ricostruzione. È di questo strumento che il sistema-Paese ha bisogno: non di un fascio di “sentenze politiche” sul recente passato. Certamente rimarrà forte per la nuova Bicamerale per esempio la tentazione (non ingiustificata) di tornare ad accendere i fari sul comportamento delle agenzie di rating nell’estate 2011 (come ha
già fatto la Procura, senza peraltro esiti reali) o rivangare polemicamente gli stress test dell’Eba a fine 2011 oppure della Bce a fine 2014: oggettivamente squilibrati nelle loro valutazioni sulle solidità delle banche italiane. Sarà d’altronde fruttuoso mettere a fuoco le proposte concrete di correzione alla prima grande fase di “automazione” del processo di intermediazione: quello che ha visto i rating dirottare anche risparmio italiano verso cartolarizzazioni internazionali ad alto rischio e portare d’altro canto a una valutazione di rischio ancora più alto i mutui immobiliari concessi dalle banche italiane a debitori italiani sulla base di esperienze consolidate. ll sistema finanziario italiano non ha bisogno di una falsa ripartenza della Bicamerale. Ne sarà invece tanto più avvantaggiato quanto più in Parlamento andranno in scena dei veri “Stati Generali”.
Un’agenda fitta per la Bicamerale Dal bail-in agli Npl, fino ai rating
D
ove eravamo rimasti? E soprattutto dove potrà arrivare la nuova Commissione che disporrà di tutta la legislatura? Il primo elemento da valutare è il cambio politico che ha portato al Governo due formazioni non certo tenere con il sistema bancario e finanziario. Una (5Stelle) ha fatto campagna elettorale puntando sulle gravi perdite subite da centinaia di migliaia di risparmiatori. La Bicamerale avrà più esponenti critici sull’operato delle authority, delle aziende di credito e assicurative. Anche a sinistra non erano mancate le critiche e quindi, almeno in partenza, il lavoro di verifica e proposta sarà meno prevedibile. I tempi più lunghi permetteranno di entrare nella tecnicalità di atti, regolamenti e comportamenti sfiorati nella prima Commissione. Presieduta da Pier Ferdinando Casini, con soli quattro mesi di attività sapeva di poter abbozzare la diagnosi e non certo fissare la cura. Ora, salvo chiusura anticipata della legislatura, non ci saranno alibi per restare generici. C’è l’indicazione di un presidente, Gianluigi Paragone, giornalista e conduttore de “La gabbia” (La7) e autore, tra l’altro, di Gang Bank (edito da Piemme) approdato ai 5Stelle dopo essere stato vicino alla Lega. Si riparte dal documento conclusivo del gennaio 2018 e approvato (19 a 15) dal centrosinistra e dai centristi. Se immaginiamo che una Commissione bicamerale, investita di piena ufficialità, sia una cosa diversa da un
DANIELE CAPEZZONE
“Tribunale del Popolo” e che nell’accertamento dei fatti punti a migliorare le leggi, il potenziale vantaggio per i risparmiatori è evidente. Daniele Capezzone votò contro la relazione conclusiva e, lasciato il Parlamento, indica almeno due passaggi deboli della relazione di maggioranza. A suo giudizio «bisogna tornare al costo della fretta (inaccettabile e inspiegabile) con cui che si è voluto imporre alle banche italiane procedure iperaccelerate di vendita degli Npl, a volte generando un effetto svendita. Tra il 2017 e il 2018 il differenziale fra ciò che le banche hanno recuperato sui deteriorati non ceduti (44%) e il prezzo ottenuto da chi invece ha ceduto crediti (26%) è stato del 18%. Se lo applichiamo ai 164 miliardi ceduti viene fuori una perdita di quasi 30 miliardi. E’ evidente che anche la Consob, non solo la magistratura, dovrà tenere gli occhi ben aperti sui rischi di svendita. Politicamente occorrerebbe ripartire da qui». Una rilettura del “chi ha perso e chi guadagnato” nel business dei deteriorati,
le conseguenti svalutazioni e gli aumenti di capitale. La Commissione potrà approfondire le procedure di bail-in finite sotto tiro, il ruolo del Fondo interbancario nelle crisi e tanto altro che era già stato avvicinato dai 40 parlamentari. E poi Superprocura specializzata, società di rating, Unione bancaria europea, separazione delle banche commerciali dall’investment, derivati, gestioni separate, anatocismo, fondazioni, rapporti Consob-Banca d’Italia, conciliazione e tanto altro. Tutto è già stato sfiorato, nulla definito. L’istituto di Via Nazionale sembra più esposto di prima alla polemica politica. Per Capezzone il miglioramento passa da una separazione di ruoli e cioè quella sorta di «conflitto di interessi» in cui si trova «mentre esercita le funzioni di vigilanza e quella di risoluzione delle crisi. Molto spesso, in altri Paesi, le funzioni sono distinte. Se vengono mantenute unite si innesca un inevitabile elemento di valutazione politica cioè discrezionale che può indurre ad attenuare alcune preoccupazioni e a incoraggiare alcune soluzioni. Con il forte rischio che, alla fine, l’una e l’altra cosa si rivelino assai costose per il contribuente. E’ umanissimo che al momento della risoluzione Banca d’Italia possa coprire gli errori eventualmente commessi in sede di vigilanza. Non dico che sia avvenuto, non criminalizzo, non insinuo. Ma dico che ciò poteva, può e potrà accadere a regole esistenti. Meglio regole, più limpide e liberali, basate sulla separazione delle funzioni». (Paolo Zucca) aprile 2019 49
INVESTIMENTI BENI RIFUGIO
L’oro ama le cattive notizie (ed è anche a buon mercato) LE PREVISIONI SONO AL RIALZO E C’È CHI IPOTIZZA I 2MILA DOLLARI L’ONCIA NEI PROSSIMI 5 ANNI. I LINGOTTI SONO UNA POLIZZA CONTRO LE CRISI FINANZIARIE. MA GLI ETC SONO PIÙ REMUNERATIVI
di Gloria Valdonio
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iversamente da Bitcoin, Ripple ed Ethereum non teme falle nella Rete e attacchi di hacker. Inoltre si può pesare, scambiare a un valore fisso e riconosciuto in tutto il mondo e, soprattutto, possedere. Un fattore che - nell’era delle criptovalute, della blockchain e della dematerializzazione di prodotti e processi - è come minimo rassicurante. Parliamo di oro, la cui domanda ha registrato un’impennata lo scorso anno, con ben 651,5 tonnellate accumulate nei caveau delle banche centrali, un record dal 1967 e un incremento del 74% sul 2017. Ad acquistare oro non sono state solo le banche centrali: complessivamente, secondo il World Gold Council, la domanda totale si è attestata a quota 4.345 tonnellate metriche, in crescita del 4% sul 2017. In questo contesto anche gli investimenti in oro attraverso gli Etf (fondi negoziati in Borsa che replicano
l’indice di riferimento) sono aumentati di quasi 2,1 milioni di once dall’inizio dell’anno, rispetto ai 2,56 milioni complessivi del 2018, a dimostrazione del forte interesse degli investitori. Oro sottovalutato. Quanto al suo valore la quotazione è in traiettoria positiva dal 2016: lo scorso agosto ha raggiunto 1.174 dollari l’oncia, per poi ripartire con un rialzo molto intenso dalla metà di novembre che lo ha riportato sopra la linea dei 1.200 dollari, mentre altre asset class perdevano valore. Ora, nonostante una piccola frenata tra febbraio e marzo, le previsioni degli strategist sono quasi tutte orientate a un ulteriore rialzo: per qualcuno moderato, per altri invece molto importante. Equity sopravvalutato. A questo punto è giusto porsi una domanda: l’oro, a questi livelli, è sopravvalutato? Per rispondere è necessario osservare il valore delle altre attivi-
ETC, LA PERFORMANCE DELL’INDICE NEGLI ULTIMI TRE ANNI
ETC
VALUTA
PERFORMANCE 2016
PERFORMANCE 2017
PERFORMANCE 2018
PERFORMANCE TRIENNALE
I
12.33%
-1.18%
2.55%
13.83%
ETC ED ETF, I RENDIMENTI DEI MIGLIORI VALUTA
PERFORMANCE 2016
PERFORMANCE 2017
PERFORMANCE 2018
PERFORMANCE TRIENNALE
INVESCO PHYSICAL GOLD ETC
I
12.33%
-1.18%
2.55%
13.83%
ETFS PHYSICAL GOLD
I
12.26%
-1.30%
2.449%
13.51%
GOLD BULLION SECURITIES LTD
I
12.21%
-1.34%
2.445%
13.42%
XTRACKER GOLD ETC EUR
I
12.33%
-1.16%
2.62%
13.93%
ISHARES PHYSICAL GOLD ETC
I
11.80%
-1.99%
3.88%
13.82%
ETC
50 aprile 2019
INVESTIMENTI tà finanziarie e soprattutto dei tassi di interesse, del dollaro e dell’inflazione nei confronti dei quali esiste una correlazione diretta o inversa. «L’andamento dell’oro rispetto agli indici azionari mondiali indica che oggi il mercato azionario è più caro rispetto alla sua media storica: in questo momento (6 marzo, ndr) ci vogliono più di due lingotti di oro per acquistarere un’unità di S&P500, che vale 2.784 dollari, mentre nel 1950 bastavano 1,58 lingotti per la stessa unità», spiega Luca Tobagi, Cfa, investment strategist di Invesco. In altre parole, l’S&P500 oggi è più caro dell’oro e quest’ultimo è a buon mercato rispetto al mercato azionario. «Se l’oro dovesse portarsi alla valutazione della sua media storica rispetto all’azionario Usa, il valore di un’oncia dovrebbe salire a 1.760 dollari», aggiunge Tobagi. Di spazio per correre, quindi, ce n’è ancora tanto. E non solo in teoria. «La debolezza nei settori immobiliare, automobilistico, delle vendite al dettaglio e manifatturiero, combinata con gli effetti ritardati della stretta monetaria della Fed nel 2018, potrebbe pesare nuovamente sul mercato azionario nel 2019. E un altro sell-off potrebbe essere il catalizzatore di cui l’oro ha bisogno per superare il range attuale», conferma Joe Foster, portfolio manager e strategist di VanEck. Resistenza a 2mila dollari? Purtroppo, come diceva lo scrittore americano John Updike, «Il bello dell’oro è che adora le brutte notizie». E le previsioni
Sopra a sinistra Massimo Siano, co-head Southern Europe distribution di WisdomTree. Sopra a destra Chris Mahoney, deputy fund manager di Merian Gold & Silver Fund. In basso Luca De Biasi, wealth business leader di Mercer
raccolte da Investire, quasi tutte al rialzo, non lasciano spazio alle illusioni. I grafici storici mettono bene in evidenza che l’oro tende a salire nei periodi di crisi e a scendere nelle fasi espansive (vedi grafico). Secondo WisdomTree potrebbe arrivare a toccare 1.400 dollari l’oncia nel corso dell’anno nel caso la Fed non alzasse i tassi due volte nel 2019 e aumentassero volatilità e paura sui mercati. Ma potrebbe rimanere sotto la soglia dei 1.300 dollari nel caso il quadro macroeconomico si rasserenasse. Più prudente Névine Pollini, senior commodity analyst di Union Bancaire Privée, che ritiene che l’oro potrebbe stabilizzarsi nel canale 1.300-1.280 dollari. Per Mercer (la più grande società di consulenza al mondo per gli investitori istituzionali) si porterà invece sopra 1.350 dollari e cercherà di attaccare il livello di 1.440 in prima istanza entro settembre, quando avrà il suo momento di luce. Per Merian Global Investors potrebbe addirittura superare la soglia dei 2mila dollari nei prossimi cinque anni. «Nel breve termine mi aspetto che i tassi di interesse reali in dollari, il principale driver del prezzo dell’oro, oscilleranno attorno al livello attuale. Il prezzo dell’oro in dollari sarebbe quindi compreso nel suo range pluriennale», afferma Chris Mahoney, deputy fund manager di Merian Gold & Silver Fund. «Ma nel medio-lungo termine prevedo un netto calo dei tassi di interesse reali, via via che l’inflazione supererà i tassi nominali, portando a un rally per i titoli auriferi e per le azioni delle società di estrazione dell’oro». E l’upside del prezzo dell’oro, in un contesto di disordine monetario, potrebbe essere di migliaia di dollari. Inflazione inattesa. Ma quali saranno i temi forti che incideranno sul prezzo del metallo giallo nei prossimi mesi? Secondo Luca De Biasi, wealth business leader di Mercer, sono l’alto livello del debito, la crescita del populismo e il protezionismo (o deglobalizzazione). Ci sono poi i fattori tecnici, con tutte le asset class scese in maniera importante e tutti i rendimenti ottenibili bassi. «In passato chi voleva creare un portafoglio con elementi di protezione doveva ricorrere a titoli governativi con alto rating, come il Treasury Usa o il Bund Tedesco, ma i tassi a questi livelli limitano il loro ruoaprile 2019 51
INVESTIMENTI
IL METALLO GIALLO SI APPREZZA IN CRISI FINANZIARIE E POLITICHE PERIOD
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US EQUITY
EAFE EQUITY
GOLD
OCT 87 – NOV 87
1987 MARKET
2
-32%
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Jul 90 – Oct 90
Iraq Invades Kuwait
3
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Jul 98 – Aug 98
LTCM Crisis
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Sep 00 – Sep 02
Tech Bubble Burst
25
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-49%
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Nov 07 – Feb 09
Global Financial Crisis
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FONTE: MERCER
lo di hedging in portafoglio che potrebbe essere ben interpretata da oro fisico», spiega De Biasi. Per Massimo Siano, co-head of Southern Europe distribution di WisdomTree, la minaccia più concreta, anche se nel cono d’ombra, è la Cina, o meglio il suo debito privato (che può arrivare a toccare il 180% del Pil) e il suo contagio. «I dati dell’ultimo trimestre di Apple, Indivia e delle principali società manifatturiere non sono positivi e la causa sono anche le vendite verso la Cina», dice Siano. E poi c’è il tema dell’inflazione. L’oro in prima battuta protegge dai processi inflattivi inattesi, anche quando l’inflazione sembra una chimera come negli ultimi anni. Secondo Mahoney ci sono però buone ragioni per credere che i rischi di inflazione siano in aumento: “La Cina sta ancora una volta cercando di stimolare l’economia e vale la pena ricordare che il piano di stimolo che ha realizzato dopo la crisi finanziaria globale è coinciso con un mercato toro per le commodity, un’ondata di inflazione e un rally per l’oro”. Non solo. Nonostante l’ottimismo, non esiste ancora un accordo commerciale cino-americano. Se quest’ultimo non dovesse concretizzarsi e i dazi aggiuntivi dovessero entrare in vigore, è probabile che i costi dei fattori di produzione e l’inflazione aumenteranno. «Sono infine dell’opinione che la Fed sia disposta a considerare la possibilità di aumentare l’inflazione andando oltre gli aumenti dei tassi dei Fed fund e dei tassi di interesse nominale in dollari. Un tale contesto, con tassi di interesse reali più bassi in dollari, vedrebbe il prezzo dell’oro muoversi verso l’alto», aggiunge Mahoney. Portafoglio gold. Gli astri sono quindi allineati per l’oro. Ma quanto e quale oro mettere in portafoglio? Studi accademici suggeriscono che l’allocazione ottimale è tra il 2 e il 5% del portafoglio, ma la diversificazione appropriata per un singolo investitore dipende da vari fattori, tra cui gli altri asset in portafoglio, la propensione al rischio e l’orizzonte temporale. Mercer consiglia proprio la quota accademica del 2,5-5 per cento. WisdomTree, più pes52 aprile 2019
In basso a sinistra Nevine Pollini, senior commodity analyst Di Union Bancaire Privée. In basso a destra Luca Tobagi, Cfa e investment strategist di Invesco.
simista sulle prospettive economiche, suggerisce invece il 10 per cento. Ma è meglio l’oro fisico o finanziario? Lingotti, lingottini, medaglioni e placchette sono un’assicurazione contro le crisi finanziarie e la compravendita è esente da Iva (legge 7/2000). Va detto però che custodire oro fisico, oltre a essere complicato, non fornisce alcun premio di rendimento o di rischio, ma include una significativa volatilità dei prezzi. Per avere un’esposizione più dinamica e attiva, secondo gli strategist, conviene scegliere un Etc (Exchange traded commodities), protagonista di un vero boom nelle prime settimane dell’anno, che replicano fedelmente il prezzo del metallo sottostante, sono efficienti e facilmente liquidabili. La scelta è molto ampia, così come i volumi. La performance di questa categoria è stata del 2,55% nel 2018 (vedi grafico a pagina 40) e del 13,83% a tre anni.
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Messaggio pubblicitario con finalità promozionali. Prima dell’adesione leggere i KIID e il Prospetto disponibili presso i collocatori e sul sito www.eticasgr.com Per il terzo anno consecutivo Etica Sgr ha ricevuto il riconoscimento “TOP GESTORE FONDI” tra le Sgr italiane nella categoria “ITALIA SMALL“ dall’Istituto Tedesco Qualità e Finanza, ente indipendente specializzato in indagini di mercato e comparazione di prodotti finanziari in Europa. Analisi condotta su tutti i fondi (classi retail) vendibili in Italia con una storia di almeno 5 anni e con un volume di almeno 7,5 milioni di euro, confrontando il rendimento medio annuo degli ultimi cinque anni e il rischio, su dati Morningstar (1 novembre 2013- 31 ottobre 2018). La categoria “Italia Small” identifica le Sgr con patrimonio gestito in fondi aperti inferiore a 5 miliardi di euro. Per dettagli si rimanda al sito: www.istituto-qualita.com
FASHION TENDENZE
Successioni e non solo collezioni due i rebus del momento per le griffe di Fabiana Giacomotti
I
nclusione (strategia di, afferente al marketing e alla comunicazione) e successione (strategia per, afferente alla gestione e al valore del marchio) sono i due grandi temi che catalizzano in queste settimane le riflessioni e le analisi nel mondo della moda. Dalla fretta con cui Prada, Gucci e Burberry hanno istituito “comitati per l’inclusione” e hanno avviato “programmi di valorizzazione delle differenze culturali”, spendendovi una media di 2-3 milioni a progetto (il ceo di Gucci, Marco Bizzarri, ne ha dichiaratamente allocati 6,5 nei soli Stati Uniti per il programma di social responsibility “Changemakers”; altri 5 saranno presto destinati alla Cina, con borse di studio e progetti di volontariato), abbiamo capito che chi vende camicie e scarpe con multipli di ebitda dal 9 al 12x non può permettersi cantonate etnico-simboliche sui maglioni e gli accessori o ignorare l’uscita di nuovi capi d’accusa contro il personaggio a cui ha deciso di intitolare l’ultima collezione. La recentissima scelta di Louis Vuitton di non mandare in produzione parte della collezione che il direttore creativo della linea uomo Virgil Abloh aveva dedicato a Michael Jackson poche settimane prima della presentazione, al Sundance Festival, del documentario in cui la rockstar morta dieci anni fa viene accusata di atti pedofili da parte dei suoi ex piccoli ospiti, suona come una beffa se si considera che la griffe del gruppo Lvmh aveva ingaggiato di recente l’afro-americano Abloh più per le sue battaglie a favore dell’inclusione e della difesa dei diritti umani che per il genio nell’innovazione, tutto sommato contenuta a qualche gimmick d’effetto e a qualche furbo gadget. Se la mancanza di rispetto nei confronti delle istanze sociali ed etiche del momento può generare chiamate planetarie al boicottaggio del marchio, con i risultati 54 aprile 2019
In alto Giorgio Armani. Nella pagina a destra in alto Stefano Gabbana e Domenico Dolce. Nella pagina a destra in basso Karl Lagerfeld, recentemente scomparso
che il caso Dolce&Gabbana insegna, l’altro fenomeno del momento, cioè la successione alla guida delle aziende, non è però da sottovalutare. Da tempo ormai il cambio di un direttore creativo può comportare oscillazioni in borsa molto significative: si tratta di un fenomeno che vediamo dai tempi di Tom Ford e di Domenico De Sole in Gucci, ma che i social e nello specifico il termometro immediato dei “like”, hanno moltiplicato a dismisura, vedi appunto la sfilata di Virgil Abloh, che gennaio è stata accolta da un’iniziale salva di pollici alzati e da un immediato positivo riflesso del titolo LVMH in borsa e oggi costringe la capogruppo a correre ai ripari con un’azione difensiva. La recente scomparsa di Karl Lagerfeld, direttore creativo di Chanel e di Fendi, a 83 o 85 anni a seconda delle biografie che lui a ogni buon conto detestava, ha riportato infatti di attualità la questione di un futuro, quanto mai e sperabilmente lontano ma comunque possibile, cambio alla guida di altri brand. Per ragioni meramente anagrafiche dei fondatori, i primi nomi sono quelli di Ralph Lauren e di Giorgio Armani, entrambi ai vertici nella lista dei marchi “most valuable” stilata annualmente da BrandZ (uscita pochi giorni fa, per l’Italia vede al primo posto Gucci, seguito da Tim, Enel, Kinder, Ferrari, Prada, Eni, Nutella, Generali e appunto Armani), ed entrambi gli ultimi fondatori di imperi della moda ancora alla guida. Costantemente sollecitati sul tema della propria successione da anni, hanno sempre cortesemente risposto di “aver già provveduto a soluzioni interne di continuità”, e questo fa loro onore perché non tutti accetterebbero di fornire informazioni sulle condizioni successive al proprio trapasso con la stessa ironia che entrambi mostrano a ogni nuova richiesta. La scelta effettuata da Armani e Lauren andrebbe dunque nel-
FASHION
IL PASSAGGIO GENERAZIONALE DEVE ESSERE PIANIFICATO PER TEMPO. PIÙ CHE SOLUZIONI INTERNE SPESSO SERVONO SCELTE DI DISCONTINUITÀ la stessa direzione che la famiglia Wertheimer, proprietaria del marchio Chanel dagli anni ‘20 del Novecento, ha adottato per la successione a Lagerfeld, nominando alla direzione stile Virginie Viard, la sua più stretta collaboratrice, e confermando alla guida dell’immagine Eric Pfrunder, stretto confidente del “kaiser” da un ventennio. Per quanto riguarda Fendi, dove Lagerfeld aveva siglato il primo contratto nel 1965 e l’aveva rinnovato, a vita, dopo l’acquisto della griffe da parte di Bernard Arnault alla fine degli anni ‘90, una decisione definitiva non sembra ancora presa: è però chiaro a tutti che Silvia Venturini Fendi, la mano che ha disegnato i veri successi della maison negli ultimi venticinque anni, cioè gli accessori e in particolare i modelli di borse Baguette e la Pekaboo, meriti un ruolo di primissimo piano dopo aver silenziosamente affiancato Lagerfeld fin dalla prima giovinezza (e questo senza considerare che negli ultimi anni le collezioni di abbigliamento molto dovevano alle consulenze più o meno secretate di stilisti come Marco De Vincenzo). Continuità dunque ma non per tutti. Se, come dicono alcuni specialisti di gestione, e non solo nel settore della moda, la successione deve essere pianificata per tempo, non sempre deve passare per logiche interne o per una continuità di stile che, non di rado, si rivela debole e fiacca, come nelle scuole dei grandi maestri della pittura. Talvolta la discontinuità può essere l’unica soluzione percorribile per non indurre il cliente a fare paragoni antipatici con il predecessore, ma la regola non è sempre valida, basti per tutti l’esperienza di Alessandra Facchinetti alla guida di Valentino, durata un solo anno. La verità è che il mercato dei talenti stellari della moda è talmente ricco e mobile che gli spostamenti e i cambi di casacca possono essere repentini e perfino continui senza per questo danneggiare la credibilità di chi li compie. Prendiamo ancora una volta il caso di Chanel: nonostante gli insider fossero quasi certi che la scelta dei Wertheimer sarebbe caduta su Viard (9,6 miliardi di euro di giro d’affari sono più che
sufficienti per consigliare un minimo di prudenza), per giorni si sono rincorsi sulla stampa mondiale i nomi dell’ex designer di Celine Phoebe Philo, di Hedi Slimane che l’ha sostituita da poco più di un anno (continuando peraltro a fare la stessa moda che fa da sempre un po’ ovunque) o del “pauvre” Alber Elbaz, genio israeliano della seta lavata e delle forme armoniche che, dopo aver risollevato le sorti di Lanvin per tutti i primi anni Duemila, è stato messo bruscamente da parte e, sorprendentemente, non riesce a trovare una collocazione all’altezza delle sue capacità. Ma se un brand come Chanel o come Armani scegliessero la strada della disruption, appoggiandosi sulle proprie fortissime spalle, che cosa potrebbe succedere in una casa di moda meno strutturata? O in una casa anche recente com’era quella di Alexander Lee McQueen prima del suo suicidio (ne ricorre il decennio in queste ore) senza una partner di lavoro stretta e coinvolta in ogni aspetto del business e dello stile fin dagli esordi come Sarah Burton che tuttora, e non a caso, ne regge le sorti? Il mercato, e in questo caso non solo quello borsistico, non è affatto incline a perdonare errori o strappi troppo bruschi o incomprensibili, a non solo in caso di passaggi forzati o eventi luttuosi. Durante le ultime sfilate milanesi, un gruppo di buyer italiani e internazionali raccontava a una cena le difficoltà incontrate a vendere il “prodotto Givenchy” (perdonateli, è il gergo corrente nel settore: la moda es sueno per chi la compra, non per chi la vende), dopo l’uscita di Riccardo Tisci, due anni fa. Che la moda sexy ma rigorosissima di Clare Waight Keller che l’ha sostituito, e che molto piace non solo alla stampa ma, notoriamente, alla duchessa di Sussex Meghan Markle, non incontrasse un uguale successo presso i clienti, a molti di noi è sembrato incredibile fino a quando abbiamo iniziato a notare alcune mosse di lobbying e comunicazione tese a valorizzare la figura della creatrice: l’attribuzione del Fashion Award 2018, un’improvvisa serie di interviste sulla stampa femminile, finora rifiutate e, notizia di pochi giorni fa, la presenza alla prossima edizione di Pitti Uomo, a giugno, come ospite d’onore. Il consenso non va costruito solo in politica, e la moda intellettuale di mrs Waight Keller, cresciuta alla scuola di Tom Ford accanto ad Alessandro Michele, ha certamente più bisogno di essere spiegata alle masse di quanto fosse necessario fare con Tisci. E Givenchy contribuisce in percentuale non irrisoria ai bilanci del gruppo LVMH. aprile 2019 55
IL GIRO DEL MONDO IN 30 GIORNI
IL FMI SI PREPARA A INTERVENIRE IN AIUTO DEL VENEZUELA
U
n lavoro «monumentale». È «una grande quantità di compiti in modo quel che si troverebbe ad af- molto rapido». Il ruolo dell’organismo mulfrontare il Fondo monetario tilaterale sarà comunque «fondamentale» internazionale nel momen- per Caracas, spiega Lagarde ricordando la to in cui dovesse intervenire capacità del Fondo di «catalizzare» gli aiuper assistere il Venezuela, secondo la di- ti, e definendo eufemisticamente «signifirettrice generale Christine Lagarde. «È un cativo» l’importo di un eventuale prestito. paese che negli ultimi 15 anni non ha mai Le stime fatte dal Fondo sulla situazione aperto le porte al Fondo», ha detto Lagarde economica venezuelana sono drammatiin un’intervista radiofonica a “The Econo- che. Nel rapporto di ottobre l’Fmi ha promist”. Il Fmi sarebbe pronto a intervenire nosticato una contrazione dell’economia in aiuto del paese caraibico «non appena del 18 per cento nel 2018 e del 5 per cento le autorità legittime» lo richiedessero, ha per l’anno in corso. Un quadro aggravato detto la direttrice generale, senza entrare dalle stime astronomiche per l’inflazione: nel merito delle caratteristiche dell’ese- 1.350.000 per cento entro dicembre 2018, 10.000.000 per cento cutivo. Il Fondo, ha L’ECONOMIA DEL PAESE ricordato, non ha a fine 2019. Una chiSUDAMERICANO È IN GINOCCHIO. na inarrestabile doancora riconosciuto l’oppositore Juan A FINE 2019 L’INFLAZIONE SARÀ vuta soprattutto «al precipitare della proGuaidò come presiPARI A 10 MILIONI PER CENTO! duzione di petrolio e dente ad interim del paese, dal momento che ci sono diversi pa- alla instabilità sociale e politica». Dati sulla esi membri «che stanno ancora definendo situazione economica vengono prodotti la loro posizione al riguardo». Lagarde ha con regolarità dalla Assemblea nazionale sottolineato che l’istituto non può realiz- (An), il parlamento controllato dalle oppozare da tempo «nessuna» delle attività di sizioni, ma le cui funzioni non vengono da revisione che vengono svolte normalmen- tempo riconosciute dal governo. Secondo te con cadenza annuale agli stati membri. le Nazioni Unite il numero di migranti e riUna circostanza che imporrà di compiere fugiati venezuelani nel mondo ha raggiun-
to i 3,4 milioni. Secondo i dati delle autorità per l’immigrazione nazionali, i paesi dell’America Latina e dei Caraibi ospitano circa 2,7 milioni di venezuelani. In media, rendono noto le agenzie Onu, nel 2018 circa 5 mila persone al giorno hanno lasciato il Venezuela per fuggire alla crisi politica ed economica in corso.
INTELLIGENZA ARTIFICIALE, LA CINA SUPERA GLI USA PER NUMERO DI AZIENDE TOP Secondo una classifica stilata da “Nikkei” e relativa al triennio 2016-2018, le aziende cinesi hanno superato quelle statunitensi per numero di brevetti relativi all’intelligenza artificiale. Se le imprese americane mantengono le prime tre posizioni della classifica infatti la Cina ha più che raddoppiato il numero delle proprie aziende tra le prime 50 della classifica mondiale, portandole da 8 a 19, mentre gli Usa sono ora rappresentati da sole 12 aziende nella top 50. Al primo posto si conferma Ibm, con ben 3mila brevetti registrati nel campo dell’intelligenza artificiale, seguita da Microsoft e Google. La quarta posizione in classifica è occupata dal colosso tecnologico cinese Beidu, con 1.522 brevetti. La pubblicazione della graduatoria da parte di “Nikkei” segue l’annuncio, da parte del presidente Usa Donald Trump, dell’American Ai Initiative, che punta a intensificare la ricerca e lo sviluppo Usa proprio nel settore dell’intelligenza artificiale, ma manca per ora di indicazioni specifiche in termini di finanziamenti.
56 aprile 2019
IL GIRO DEL MONDO IN 30 GIORNI
FOXCONN SOTTO ACCUSA PER I SOFTWARE DI HUAWEI
«S
e ne aveste il coraggio, to che la tempistica della causa intentata dovreste intentare da Microsoft è sospetta, dal momento che causa direttamente a è giunta proprio mentre Washington e Huawei, anziché ac- Pechino paiono avvicinarsi a un accorcanirvi su un assem- do commerciale. «La questione relativa blatore di Taiwan». Lo ha affermato il ai brevetti tra Microsoft e i nostri clienti fondatore di Foxconn, Terry Gou, rivol- si protrae da otto anni, sin dal 2011. Per quale ragione allora, gendosi a Microsoft, MICROSOFT HA FATTO CAUSA Microsoft ha improche ha fatto causa AL GRUPPO DI TAIWAN, TRA I visamente deciso di alla stessa Foxconn accusandola di aver CUI CLIENTI FIGURA IL GIGANTE far causa a Foxconn? Sospetto che voglia violato un accordo TECNOLOGICO CINESE trarre vantaggio dai del 2013 che prevedeva il pagamento di tasse di licenza e la negoziati Usa-Cina, che voglia (…) esseconduzione di revisioni dei conti biennali re parte di un accordo per la protezione da parte della società Deloitte. La disputa della proprietà intellettuale» ha affermariguarda le tasse di licenza sui softwa- to Gou. La vicenda insomma si inserisce re Android utilizzati da clienti cinesi di nello scontro tra Usa e Cina per il primato Foxconn quali Huawei Technologies, Xia- tecnologico, ed è collegata a quello relaomi e Vivo, oltre a Nokia. Gou ha dichiara- tivo a Huawei. Il colosso cinese dell’elettronica per le comunicazioni ha intentato causa al governo Usa per il bando alla vendita dei suoi prodotti alle agenzie goMAZZETTE PER ENTRARE ALL’UNIVERSITÀ. vernative di quel paese, e per le accuse IN ITALIA? NO, NELLA “IVY LEAGUE” USA secondo cui l’azienda rappresenterebbe una minaccia alla sicurezza nazionale Vacilla il mito meritocratico delle università americane: una cinquantina degli Stati Uniti. Huawei sostiene che le di persone sono state incriminate dalla procura di Boston per aver pagato misure restrittive adottate nei suoi contangenti da diverse centinaia di migliaia ad alcuni milioni di dollari, in cambio fronti da Washington violino la Costitudell’ammissione dei loro figli a prestigiose università della “Ivy League” come zione statunitense. «Il governo Usa ci ha Yale, Stanford e la University of Southern California. Sotto inchiesta sono finiti etichettati da tempo come una minaccia. allenatori di prestigiosi centri accademici, attori di Hollywood e imprenditori Ha hackerato i nostri server e rubato le che hanno pagato per far ammettere i figli alle università per finti meriti atletici, nostre email e i nostri codici sorgente. oppure comprando la falsificazione di punteggi ed esami per ottenere i requisiti Ciononostante il governo Usa non ha mai fornito alcuna prova a sostegno dell’acdi ammissione necessari. Al centro del sistema illecito ci sarebbe la “The Edge cusa secondo cui Huawei porrebbe una College and Career Network”, una società a scopo di lucro per l’ammissione ai minaccia per la sicurezza informatica» ha college fondata nel 2007 e con sede a Newport Beach, in California. Il titolare accusato Guo Ping, presidente a rotazione della società, William Rick Singer, è accusato di riciclaggio, criminalità organizzata, di Huawei, che ha definito la campagna di ostruzione della giustizia e truffa agli Stati Uniti. Gli investigatori indagavano boicottaggio intrapresa dagli Usa a livello segretamente fin dal 2011. internazionale «illegale». aprile 2019 57
IL GIRO DEL MONDO IN 30 GIORNI
NISSAN FERMA LA PRODUZIONE DI DUE MODELLI IN UK. TOYOTA SEGUIRÀ IN CASO DI NO DEAL
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issan ha annunciato che interromperà la produzione dei modelli Infiniti Q30 e QX30 nel suo stabilimento di Sunderland, nel Regno Unito, a partire da metà 2019. Secondo i media britannici sono a rischio 250 posti di lavoro. La mossa della casa automobilistica giapponese è dovuta
alla scelta di ritirare il proprio marchio l’ambiente operativo diventasse moldi lusso Infiniti dai mercati dell’Europa to difficile» un’uscita dal Regno Unito occidentale, dove sconta una forte com- «dovrebbe essere inclusa nell’agenda», petizione, all’inizio del 2020, per con- ha avvertito Johan van Zyl, ad di Toyota centrare le risorse sulle vendite in mer- Motor Europe, in occasione del Salocati a forte crescita, come quelli di Nord ne internazionale dell’auto di Ginevra. America, Cina, Europa Orientale e Medio Toyota ha uno stabilimento produttivo a Burnaston, nell’InOriente. Ma anche IL RISCHIO DI UNA BREXIT ghilterra centrale, l’altro produttoSENZA ACCORDO INFLUISCE attivo dal 1992, che re automobilistico giapponese Toyota PESANTEMENTE SULLE SCELTE ha prodotto 129mila ha avvisato che poDELLE CASE AUTOMOBILISTICHE autoveicoli lo scorso anno, pari a quasi il trebbe interrompere la produzione di automobili nel Re- 10 per cento dell’output di automobigno Unito entro il 2023, nel caso il paese li britannico complessivo, oltre a uno a lasci l’Unione europea senza un accordo Deeside, nel Galles. Il rischio di dazi alle con Bruxelles che ne preservi l’accesso auto inviate verso l’Ue ha però messo in al mercato unico. Il tema della Brexit in- allarme Toyota e in forse la sua permasomma sta influendo pesantemente. «Se nenza in UK.
L’AFRICA CRESCE. MA NON QUANTO SERVE
4
per cento nel 2019 e 4,1 per cento nel 2020. Sono i tassi di crescita dell’economia del continente africano secondo l’ultimo rapporto “Prospettive economiche africane 2019” della Banca africana di sviluppo (Afdb). Un tasso di crescita che, pur giudicato positivo, è tuttavia considerato da Afdb «ancora insufficiente a riassorbire i deficit persistenti di budget e valuta corrente» e a superare un debito «divenuto talvolta insostenibile». L’istituto di credito invita quindi i governi dei 54 paesi africani ad accelerare il loro ritmo di crescita per riuscire a creare posti di lavoro «dignitosi». In questo senso una spinta necessaria viene secondo Afdb dal settore industriale, sul quale invita a puntare fortemente: «Le prospettive del 2019 mostrano che i risultati macroeconomici e occupazionali sono migliori quando l’industria guida la crescita», si legge nel rapporto. L’analisi di Afdb si sofferma poi sulle strategie da adottare per portare le entrate globali del continente africano al 4,5 per cento del suo Pil, 134 miliardi di dollari l’anno. Cinque le linee d’azione delineate: eliminare le tariffe bilaterali applicate ancor oggi in Africa, mantenere regole di origine adattabili e trasparenti, eliminare le barriere al commercio, attuare l’Accordo di facilitazione degli scambi dell’Organizzazione mondiale del commercio, e negoziare con altri paesi in via di sviluppo per creare nuovi meccanismi commerciali, così da avere la possibilità di ridurre le tasse. 58 aprile 2019
MENTRE L’ASIA FRENA, L’INDIA DI MODI ACCELERA
O
cchio all’India: il subcontinente, non sempre al centro dell’attenzione mediatica come forse meriterebbe, ha visto accelerare la propria attività manifatturiera nel mese di febbraio al tasso più sostenuto da 14 mesi a questa parte, in controtendenza rispetto al resto della regione asiatica, che ha risentito delle tensioni commerciali Usa-Cina e del calo della domanda cinese. La politica “Make in India” del premier Narendra Modi sta dando i suoi frutti: l’Indice “Nikkei” dei direttori agli acquisti (pmi) del settore manifatturiero indiano si è collocato a 54,3 punti il mese scorso, in aumento rispetto ai 53,9 di gennaio, e ben al di sopra della soglia di 50 punti, oltre i quali l’indice segnala una fase espansiva. Il dato è il migliore registrato nel paese da dicembre 2017, grazie soprattutto agli ordini, che sono aumentati ai massimi da ottobre 2016. Le attività più significative del paese si concentrano nei settori chimico, dei macchinari, siderurgico e tessile. Con una popolazione di 1,3 miliardi di persone e una crescita annua del pil di circa il 7 per cento, l’India ha beneficiato del forte aumento della domanda domestica, e della scarsa dipendenza relativa dal mercato cinese. Le principali destinazioni dell’export indiano sono infatti Stati Uniti ed Emirati Arabi, che nel 2017 ne hanno assorbito rispettivamente il 16 e il 10 per cento.
IL GIRO DEL MONDO IN 30 GIORNI
BREXIT, LA BANCA D’INGHILTERRA IN TRINCEA
L LA COMMISSIONE UE FRENA LE MIRE CINESI
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iano in dieci punti per «reagire alla lotta per il potere politico ed economico della Cina, rafforzando gli interessi dell’Ue». Lo ha messo a punto la Commissione europea secondo quanto scritto dal quotidiano tedesco “Handelsblatt”, commentando l’iniziativa presentata a Strasburgo da Jyrki Katainen, vicepresidente della Commissione e commissario europeo per il Lavoro, la crescita, gli investimenti e la competitività. Il piano della Commissione intende «permettere all’Ue di proteggere la sua politica di mercato da possibili distorsioni» derivanti da iniziative della Cina come la Nuova via della Seta o la partecipazione delle sue imprese allo sviluppo della rete 5G in Europa. «I rapporti tra Ue e Cina possono essere «mutualmente vantaggiosi se la concorrenza è leale e se le relazioni in materia di commercio e investimenti si basano sulla reciprocità» ha affermato Katainen. Il piano della Commissione prevede che i bandi pubblici degli Stati membri dell’Ue siano «più strettamente rispondenti agli standard in materia di lavoro e ambiente» dell’Unione europea. Inoltre dovrebbe essere «rafforzata la normativa europea contro gli effetti distorsivi dei finanziamenti e degli investimenti di Stati terzi» nell’Ue. La mossa della Commissione è arrivata dopo che l’Italia ha annunciato la conclusione di un accordo quadro con la Cina sull’iniziativa cinese sulla via della seta, considerata da Stati Uniti, Giappone e diversi paesi dell’UE un tentativo della Cina di aumentare la propria influenza in Eurasia e oltre.
ondra si prepara per gli scenari più inquietanti. Secondo il “Financial Times” la Banca d’Inghilterra (BoE) ha dato una stretta alla liquidità delle banche, nel timore che una “no-deal Brexit” possa provocare una crisi finanziaria. La BoE avrebbe ordinato ad alcuni dei principali istituti di credito del paese di triplicare la quantità di investimenti facili da vendere e liquidare. Il timore, sostiene il giornale della City di Londra, è che il mercato finanziario britannico crolli nel caso in cui il Regno Unito esca dall’Unione Europea senza aver raggiunto, e tanto meno ratificato in Parlamento, un accordo sui futuri rapporti economici, commerciali e doganali. Le banche quindi hanno ricevuto l’ordine di mantenere abbastanza liquidità per poter affrontare un “severo stress” di 100 giorni invece dei 30 previsti dalle norme adottate dalla Banca d’Inghilterra alla fine dello scorso anno, in base alle raccomandazioni della sua stessa Prudential Regulation Authority. Per “severo stress”, spiega il “Financial Times”, si intende una fase in cui gli istituti di credito smettono di prestarsi denaro a vicenda. Agli istituti di credito la BoE ha anche ordinato di prepararsi all’eventualità che, a causa appunto di una possibile crisi finanziaria, alcune di loro possano non essere in grado per diversi giorni di operare sul mercato valutario, e in particolare che non possano scambiare sterline britanniche con dollari degli Stati Uniti.
GERMANIA, MEZZO PUNTO DI CRESCITA IN MENO. LUFTHANSA E RWE SEGNANO IL PASSO
L’
istituto Ifo ha tagliato le tedesche sembrano indicare che le preprevisioni sulla crescita visioni di Ifo sono corrette. Lufthansa, la dell’economia tedesca per più grande compagnia aerea d’Europa, ha il 2019 dall’1,1 allo 0,6 per annunciato un profitto in calo dell’11% cento, a causa dell’indebo- per lo scorso trimestre. La compagnia aelirsi della domanda estera per i beni indu- rea ha anche annunciato una previsione striali e dell’aumenal ribasso per il 2019, LE DEBOLI PERFORMANCE DEI a causa di prezzi del to delle difficoltà per gli esportatori. DUE COLOSSI CONFERMANO UN carburante più elevaL’economista dell’Ifo TREND IN EVIDENTE RIBASSO ti che provocano un sovraccosto di circa Timo Wollmershaeuser ha in sostanza affermato che l’in- 735 milioni di dollari quest’anno, e di perdustria tedesca, compreso l’importante dite nel bilancio Eurowings. RWE, il più settore automobilistico, probabilmente grande produttore di elettricità della Gernon contribuirà affatto alla crescita eco- mania, ha riportato un utile annuale del nomica globale di quest’anno. I segnali 2018 in calo del 29%, a causa dei minori che vengono da due importanti aziende prezzi dell’elettricità nel paese. RWE ha
anche reso noto che ulteriori diminuzioni quest’anno sono probabili, specie a causa della contrazione della redditività nelle sue centrali “convenzionali”.
Il giro del mondo in 30 giorni è a cura di Riccardo Venturi aprile 2019 59
QUI PARIGI di Giuseppe Corsentino
PARIGI SI PREPARA ALLA BONANZA DEL DOPO-BREXIT
E’
chiaro che i francesi vorrebbero che finissero tutti qui, sulla piazza finanziaria di Parigi, vista la relativa buona salute della Borsa sostenuta dai risultati delle aziende quotate al Cac 40 mediamente soddisfacenti, grazie soprattutto a un aumento del 2,4 per cento dei fatturati aggregati a quota 1.305 miliardi di euro pur a fronte di un lieve calo dei profitti (aggregati, si capisce) pur sempre attestatisi però a quota 88,5 miliardi di euro. Si sa la capacità di fare marketing dei francesi sui mercati internazionali è ben nota, ma stavolta la valanga di denari che sta arrivando dalla City sotto forma di attivi in cerca di rendimenti sul Continente (non appena si sarà chiuso quest’ultimo impressionante e nevrotico capitolo della trattativa sulle modalità e i tempi della Brexit) prenderà diverse strade, com’è giusto. E come si sta impegnando a fare, in questi giorni (tra marzo e aprile) un autentico esercito di banchieri, di finanzieri, di gestori di paANDREA ENRIA trimoni e di hedge fund. L’ammontare del tesoro in arrivo merita infatti tutta l’attenzione dei professionisti del denaro e mentre c’è da augurarsi che gli italiani non si facciano scappare le occasioni, ci si può giurare che i francesi non hanno nessuna intenzione di commettere quest’errore. Si tratta - volendo farne una stima globale - di un tesoro di mille miliardi di sterline di attivi, stando ai calcoli di una delle maggiori società mondiali di consulenza, la Ernest&Young, una delle “big four”, che ha uffici e analisti esperti a Londra e in tutte le grandi piazze europee. L’esperto Ernest&Young basato a Londra, interpellato da Investire, si limita a spiegare che il fenomeno della transumanza dei capitali è normale: questo trasferimento dalle banche e dalle varie società finanziarie inglesi verso le piazze dei Paesi dell’area euro serve solo a garantire la continuità del business quando la Brexit avrà cancellato le varie “licenze” degli operatori e a mettere al sicuro i denari, gli attivi, dei loro clienti. Mille miliardi di sterline sono una montagna di denaro quasi inimmaginabile, stiamo parlando di circa 1.150 miliardi di euro (poco meno del Pil italiano!) eppure, secondo il Financial Times che, come si sa, è il giornale più addentro ai segreti 60 aprile 2019
della City, non dovrebbe costituire una gran perdita di quelle che tramortiscono, visto che il sistema finanziario britannico gestiva alla fine del 2017 ben 9mila miliardi di attivi a cui bisogna aggiungere (alla stessa data) altri 8.400 miliardi di attivi custoditi e gestiti direttamente dalle banche. Insomma,mille miliardi di sterline sarebbero meno del 10% di tutta la ricchezza investita attraverso fondi e società finanziarie nella vecchia Inghilterra. Un danno certo, ma largamente previsto ormai da tre anni. Che ora questa ricchezza cerchi, per tutte le ragioni che sappiamo, di ricoverarsi tra Parigi Milano Amsterdam e Francoforte, è dunque - per dirla con le parole del responsabile londinese di Ernest&Young - un fatto assolutamente fisiologico. Anzi per il nuovo responsabile della vigilanza della Bce, Andrea Enria, un ligure che come tutti i liguri parla di denaro con rispetto, i miliardi di attivi attesi in Europa sarebbero ancora di più, non mille ma almeno 1.200 miliardi di sterline. E non c’è amministratore delegato o direttore generale di banca o gestore di fondi, che non senta un vago tremore (o un appetito?) a sentir pronunciare una cifra così. Che arriva, spiega Enria con lo scrupolo del banchiere-controllore (gendarme des banques, per dirla con l’espressione francese), soprattutto dai colossi bancari e della gestione. Tanto per fare qualche esempio, attivi per 190 miliardi di sterline sono stati già trasferiti dalla Barclays di Londra alla propria filiale irlandese (e i responsabili della sede sono ancora in ansia, attendendo di capire che Brexit sarà, soft o hard, e che effetti ci saranno nelle relazioni tra Londra e Dublino). Altri 450 miliardi di attivi della Deutsche Bank - anche quest’indiscrezione è del solito Financial Times - sarebbero sul punto di attraversare la Manica e di approdare da Londra nelle casseforti della casa madre, in Germania. In altre parole, un rimpatrio: destinato forse a essere accolto nelle più capienti e solide casse della possibile banca unica figlia della fusione allo studio tra la stessa Deutsche e la Commerzbank. Sarebbe bello sapere quanti di questi mille (o 1.200) miliardi di sterline arriveranno - se arriveranno - in Italia. In Francia ne stanno arrivando molti, ma davvero molti.
di Glauco Maggi
QUI NEW YORK
LA STORIA ESEMPLARE DELL’INVESCO QQQ TRUST
B
uon compleanno, pensammo che poteva esseInvesco Qqq Trust! re una buona idea uscire con Sono venti, e portati un prodotto finanziario che benissimo. Il primo portasse il marchio Nasdaq», fondo passivo che si ricorda John Jacobs, allora diriidentificò con il settore dell’alta gente di quella Borsa. tecnologia, che si sarebbe poi All’inizio le società più celebri imposto nel 21esimo secolo nel portafoglio del Qqq erano con il consolidamento di InterWorldcom e Yahoo, ora sparite, net e la rivoluzione dei social ma per la permanente distrunetwork, fu creato nel marzo zione creativa, che è il regime del 1999. Non si chiamava anvigente nell’industria tecnolocora Etf e i suoi inventori non gica, un ventennio vale un seBRUCE BOND, COFONDATORE ED EX CEO DI POWERSHARES immaginavano che il loro parcolo: le società che dominano to sarebbe presto scoppiato insieme alla Bolla di Internet del la hit parade sono adesso Microsoft (con il 10,13%), Apple 2000. E tantomeno sognavano però che, malgrado un’infanzia (9,73%), Amazon (9,55%), Google (controllata da Alphabet, che si rivelò tanto travagliata, il Qqq Trust sarebbe diventa- le cui azioni di categoria ‘C’ e ‘A’ pesano rispettivamente per to lo scrigno del tesoro azionario dei colossi tecnologici che è il 4,74% e per il 4,17%), Facebook ‘A’ (4,13%), Intel (3,09%), diventato oggi. Non il solo naturalmente perchè ci sono tanti Cisco System (2,81), Nvidia (1,92%). altri Etf a contenuto azionario sul mercato, il più famoso dei Il primo giorno di scambi del Nasdaq-100 Trust, che poi prese quali è l’ arcirivale Spdr S&P 500 di State Street. Di sicuro però il nome del simbolo Qqq con cui veniva comprato e venduto, fu è il più specializzato nell’high tech. il 10 marzo 1999. In meno di 20 mesi, cioè alla fine del 2000, L’idea dei fondatori del Qqq Trust era di estrarre dal Nasdaq, contava 24 miliardi di dollari secondo Morningstar. La quotache era stato lanciato nel 1971 a New York quale primo mer- zione media del 2000 fu di 79 dollari, prima dello sboom del cato elettronico, le 100 azioni più innovative scelte tra quelle 2001, quando si dimezzò a 38 dollari, per cadere poi al mininon finanziarie. Il Nasdaq per la verità si era subito distinto mo annuo del 2002, 25 dollari. Il purgatorio verso la ripresa per essere, essenzialmente anche se non esclusivamente, la fu lungo e travagliato, con la risalita ai 43 dollari del 2007 e piattaforma dei titoli dell’alta tecnologia. Ma Bruce Bond, co- la ricaduta a 33 dollari nel corso del 2009, a causa della refondatore ed ex Ceo di PowerShares, la società che ebbe l’idea cessione e della crisi di Wall Street di quel biennio. Da allora del Qqq e che oggi è posseduta da Invesco Ltd, ha ricordato la la ripresa è stata cospicua: 89 dollari il prezzo medio del Qqq genesi del nuovo “fondo” nell’intervista di celebrazione della nel 2014, 108 nel 2016, 169 nel 2018. Questa alta volatilità ricorrenza pubblicata sul Wall Street Journal. «Allora non c’e- non ha impedito al Qqq Trust di raccogliere sottoscrizioni nel ra niente altro sul mercato degli investimenti, a parte il nostro lungo termine grazie alla crescente popolarità degli strumenti Qqq, che potesse offrire la massima esposizione alle azioni passivi: i miliardi in amministrazione dell’Etf Qqq sono stati tecnologiche. Ecco perchè il marchio Qs (il suo nome gergale quasi sempre sopra i 20 dal 2000 al 2012 (con le eccezioni del tra gli operatori di Wall Street, ndr) è diventato un brand di 2002, 2008 e 2009), sopra i 40 dal 2013 al 2015, e attorno ai così tanto successo». Il Nasdaq cercava uno strumento red- 60 miliardi nel 2016 e 2017. Oggi, con 68 miliardi di patrimoditizio che fosse adatto a connettere gli investitori individuali, nio gestito, la storia dell’Invesco Qqq Trust è una conferma sul non professionali, alla crescita dell’alta tecnologia, trend di campo che un investimento in azioni può pagare anche bene forte attualità durante il boom economico e dell’innovazione ma solo se si rispetta la regola della diversificazione e la si acdigitale di fine anni ‘90. «Allora non si chiamavano Etf, ma noi compagna alla pazienza. aprile 2019 61
COSMOPOLITICA Andrea Margelletti Presidente del Centro Studi Internazionali, docente presso la Facoltà di Scienze delle Investigazioni e della Sicurezza dell’Università di Perugia e Narni. Unico membro onorario delle Forze Speciali Italiane.
LA SPIA VENUTA DA CELLINO SAN MARCO
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radizionalmente viene definita come una minaccia alla sicurezza nazionale una circostanza, una organizzazione, statuale o meno, o un individuo in grado di compromettere, con la loro esistenza o con il loro comportamento, la stabilità di un Paese e procurare danni gravi alla sua popolazione e alle sue infrastrutture strategiche. L’esplosione di un vulcano, l’interruzione della distribuzione di energia o acqua, l’attivismo di un movimento terroristico e la condotta di un grande trafficante di droga, di un pirata informatico o di un leader ideologico in grado di influenzare le convinzioni dell’elettorato sono tutte, in misura diversa, classificabili come minacce alle sicurezza nazionale. Sulla base di questo necessario assunto, occorre comprendere quali ragioni AL BANO abbiano spinto il Ministero della Cultura ucraino, su suggerimento delle alte autorità di difesa e sicurezza, a inserire l’ugola d’oro italiana Albano Carrisi, in arte Al Bano, nella lista delle personalità ritenute una minaccia per la sicurezza nazionale. Per inciso un bestiario che include gente del calibro di Igor Ivanovich Strelkov, l’agente del Gru (il servizio segreto militare sovietico-russo) responsabile delle principali azioni di destabilizzazione ordite da Mosca in Bosnia, Cecenia, Georgia e, più di recente, Ucraina. Per intenderci, un uomo che, quasi da solo, ha trasformato gli hooligans filo-russi del Donbas in milizie agguerrite e che ha dopato le proteste anti-Euromaidan nell’est dell’Ucraina contribuendo a renderle una autentica insurrezione armata. Dunque resta da chiedersi perché Kiev paragoni Strelkov al Leone di Cellino San Marco. Innanzitutto su Al Bano pesano le aperte simpatie putiniste, manifestate con convinzione in molte occasioni pubbliche ma mai sfociate in propaganda politica degna di nota, i suoi tanti concerti in Russia, compresi quelli in occasioni ambigue come le celebrazioni per il centenario dei servizi segreti russi (CeKA, Kgb e figli), e infine alcune dichiarazioni infelici come quella inerente al legittimo ritorno della Crimea tra le braccia della Madre Russia. Quest’ultima uscita però appare più il frutto di una scarsa conoscenza delle vicissitudini geopolitiche dello spazio post-sovietico e di una sovra-esposizione al pubbli-
co e alla cultura russa che un’opera consapevole e mirata di propaganda elettorale. Anche perché, senza nulla togliere al nostro Al Bano e alla sua longeva carriera, la sua nicchia di pubblico affezionato non gli permette di smuovere le menti e i cuori della popolazione mondiale. Insomma, Al Bano non è Bon Dylan, Romina Power (o Loredana Lecciso) non è Joan Baez e Cellino San Marco (o gli studi televisivi di Mosca) non sono Woodstock. La percezione ucraina della pericolosità di Al Bano appare, tutto sommato, esagerata. Se per le sue uscite su Crimea e Putin lo si poteva dichiarare “persona non grata”, etichettarlo come una minaccia alla sicurezza nazionale sembra eccessivo. La decisione di Kiev potrebbe derivare da una confluenza di fattori diversi, a cominciare dall’errata stima del potenziale di influenza globale di Al Bano fino a un maccartismo anti-russo che rischia di offuscare il giudizio delle autorità. In questo contesto la campagna elettorale per le imminenti elezioni presidenziali e la retorica isterica che l’accompagna non aiuta, con i diversi candidati in competizione per rapire il consenso di un popolo disilluso sperando nell’effetto doppler del sensazionalismo, del richiamo patriottico e della caccia alle streghe moscovite. Tuttavia, non prendiamo in giro gli ucraini, piuttosto cerchiamo di scorgere le preoccupazioni di un Paese che, dal 2014, subisce l’aggressività del suo potente vicino che, oltre ad avergli sottratto unilateralmente un pezzo strategico di territorio come la penisola crimeana, occupa manu militari le regioni industriali dell’est travestito da movimento di insorgenza popolare. Un vicino che intende atrofizzare l’anelito europeista ed atlantista di Kiev soffocandone l’economia con blocchi navali nel Mare di Azov e spaurendone la popolazione con una sottile e continua compagna di disinformazione. Un Paese, la Russia, che fatica ad accettare che l’URSS non c’è più e che, con essa, sono finiti i tempi in cui Mosca soggiogava le periferie dell’Impero. Ma i russi, si sa, sono un popolo melanconico, con un occhio sempre rivolto allo splendore che fu. Per dirla con Al Bano, Nostalgia Canaglia.
Davvero il cantante è una minaccia per l’Ucraina?
62 aprile 2019
SCENARI
La consulenza indipendente entra in banca dalla porta principale di Marco Muffato
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orpresa, i giganti del credito nazionale iniziano a scoprire la consulenza finanziaria indipendente come nuova frontiera del business. Naturalmente siamo lontani anni luce dal peso dell’universo fee only oltreoceano (negli Usa in particolare, come spiega l’articolo di Glauco Maggi a pagina 80) ma finalmente nel nostro mercato si decide di sperimentare l’advice indipendente come opzione di servizio verso una clientela però solo di altissime disponibilità economiche. Un servizio dunque pensato per pochi eletti. A entrare nel nascente mercato sono appunto due colossi del banking, uno nostrano (Credem) e uno internazionale (Deutsche Bank), che hanno deciso di sfruttare l’opportunità offerta dalla Mifid 2 di strutturarsi per offrire consulenza agli investimenti su base indipendente. E lo fanno attraverso società o unit dedicate di wealth management. Perché puntare sull’universo wealth e non per esempio mirare a estendere la gamma dei servizi delle reti esistenti di consulenti finanziari? Perché la Mifid 2 impone alle banche-reti, che vogliano offrire l’indipendent advice, la necessità di un’organizzazione separata rispetto a quella esistente (che offre oggi invece in via esclusiva il servizio di consulenza su base non indipendente) con un incremento vertiginoso di costi organizzativi ed operativi, rendendo di fatto antieconomica la proposta del nuovo servizio anche solo come mera sperimentazione. La primogenitura di Credem nel fee only. Attraverso Euromobiliare Advisory Sim (Easim), il gruppo Credem è il primo gruppo bancario italiano ad avvia64 aprile 2019
CREDEM E DEUTSCHE BANK SONO I PRIMI BIG A SPERIMENTARE LA CONSULENZA FINANZIARIA FEE ONLY, A PROVA DI CONFLITTI D’INTERESSE, CHE È DESTINATA PERÒ A UN ÉLITE DI INVESTITORI In alto Gianmarco Zanetti, direttore generale di Euromobiliare Advisory Sim
re il servizio di consulenza finanziaria indipendente. La società erogherà infatti direttamente questo servizio insieme a quello di gestioni di portafogli a clientela istituzionale e a clienti privati con patrimoni a partire da 5 milioni di euro, con nuove procedure dedicate. La società, operativa dal 1 maggio 2018, è guidata dal direttore generale Gianmarco Zanetti ed è iscritta all’albo delle sim da fine febbraio 2018: è autorizzata dalla Consob all’esercizio dei servizi di investimento gestione di portafogli, ricezione e trasmissione di ordini e consulenza indipendente in materia di investimenti. Easim, che nasce dal conferimento del ramo d’azienda di global wealth advisory (gwa) di Euromobiliare Asset ma-
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nagement e dall’esperienza in termini di assistenza sui servizi patrimoniali alle reti del gruppo, gestisce in delega al 31 dicembre 2018 circa 6,1 miliardi di euro di asset. Mentre gli obiettivi più rilevanti da raggiungere entro fine 2021 per Euromobiliare Advisory Sim sono di quasi un miliardo di euro di nuovo business, di cui oltre 400 milioni di euro tra asset in gestione ed asset sotto consulenza, da clientela diretta, per superare i 7 miliardi di euro di total business complessivo. «Una premessa: vogliamo proporci come operatori attivi non solo nella consulenza agli investimenti finanziari ma verso il patrimonio nella sua interezza, includendo cioè assistenza in ambito fiscale, nel passaggio generazionale, per gli aspetti assicurativi, nell’immobiliare e nell’arte», dichiara il dg Zanetti a Investire. «Detto questo, il nostro progetto è nato due anni fa alla vigilia dell’introduzione della Mifid 2, direttiva che dava molta enfasi proprio alla consulenza erogata in modo indipendente. Il gruppo ha preso atto delle possibilità concesse dalla normativa e la scelta era tra costituire una nuova rete con un aggravio di costi e organizzativo notevole oppure individuare un veico-
EUROMOBILIARE ADVISORY SIM HA L’OBIETTIVO DI ARRIVARE IN 3 ANNI A 250 MILIONI IN ADVICE INDIPENDENTE. IL PAGAMENTO È SEMESTRALE E LA FEE ARRIVA FINO ALL’1% DEGLI ASSET lo dedicato che permettesse di sperimentare questo nuovo servizio con un’organizzazione snella. Ha prevalso questa seconda opzione: oggi la società dispone di tre advisor che erogano il servizio di consulenza su base indipendente su un totale di cinquantaquattro persone in organico. Adesso abbiamo un patrimonio di circa 50 milioni in consulenza indipendente, l’obiettivo è di arrivare nel triennio a 250 milioni». C’è poi il capitolo della soglia d’ingresso per fruire della consulenza fee only. “Il singolo cliente può essere assistito anche inizialmente con un solo milione di euro ma a tendere bisogna andare sul target dei 5 milioni. Il nostro target? Più che tra quelli già interni al gruppo l’obiettivo per il business della consulenza indipendente è extra captive, cioè di reperire clienti all’esterno del gruppo Credem. La complessità del servizio di consulenza indipendente è funzionale a clienti con un’alta complessità patrimoniale/familiare da gestire. Il pagamento viene fatto su base semestrale in funzione degli asset segnalati dal cliente. La commissione è variabile
CREDITO E INDIPEDENT ADVICE, FLIRT O AMORE DURATURO? di Vincenzo Bafunno* Dal lontano 2007, anno di entrata in vigore della Mifid 1, si sono registrati pochi e isolati tentativi da parte dei gruppi bancari di introdurre servizi di investimento a basso tasso “di conflitto di interessi”. Dodici anni più tardi, con l’avvento della Mifid 2, sia pure introdotta in modalità non radicalmente risolutiva, la coriacea e compatta resistenza al cambiamento dei principali attori del settore sembra mostrare qualche crepa. Negli ultimi mesi alcuni importanti gruppi bancari hanno comunicato l’ingresso nel segmento dei servizi di consulenza indipendente anche tramite la costituzione di sim dedicate. È realmente un segnale competitivo di svolta nelle logiche di servizio alla clientela (almeno di fascia elevata) o solo un tentativo di introdurre timidi sensori in un segmento di mercato che potrebbe evolvere secondo logiche non ancora chiare (B2C o B2B)? È presto per dire se sarà “vera gloria”. Tre sono gli elementi secondo i quali misurare la concreta
solidità di queste iniziative. In primo luogo la capacità di sviluppo commerciale autonomo rispetto alle reti di vendita esistenti. Dato anche il principio della completa separatezza gestionale e organizzativa sancito dalla Mifid 2, non sarà possibile canalizzare il servizio tramite o a supporto delle reti distributive “captive”, né tantomeno utilizzare il servizio come “ultima spiaggia” per trattenere clienti non soddisfatti o pronti a cambiare. In secondo luogo la reale innovatività dei metodi finanziari e dei processi di consulenza adottati che richiederanno non solo significativi investimenti in Ict, ma soprattutto in formazione continua e altamente qualificata lungo le direttrici di finanza evoluta, psicologia comportamentale e conformità regolamentare (soprattutto fiscalità comparata). In ultimo, ma non certamente per ultimo, la capacità organizzativa nella ricerca, selezione e formazione di risorse di altissima qualificazione, nella predisposizione di nuove logiche di remunerazione e incentivazione, e nella predisposizione, articolazione e conduzione di team multidisciplinari a servizio della clientela. * Consulente di Direzione
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in funzione della complessità e del livello del patrimonio e può arrivare al massimo all’1% degli asset”, conclude Zanetti.
Wau che advice. Anche Deutsche Bank ha deciso di testare le potenzialità del servizio di consulenza indipendente. Come spiega a Investire Roberto Parazzini, head of wealth management Southern&Western Europe del colosso bancario tedesco, a proposito del servizio Wealth advisory unique (anche denominato con l’acronimo Wau), il cui lancio è stato annunciato a febbraio. «Il servizio Wau», afferma Parazzini, «è un passo importante di avvicinamento verso la consulenza indipendente: il servizio fee only si aggiunge a quelli tradizionali già in essere, offrendo al cliente una nuova opzione nel modo di interagire con la divisione wealth management di Deutsche Bank. La gamma dei servizi di wealth advisory consente a ogni relationship manager della banca di individuare la modalità più adatta a seconda delle caratteristiche e delle esigenze del singolo cliente. Se la scelta ricade sulla modalità Wau, nell’ambito del perimetro di consulenza la banca non riceve alcuna remunerazione al di fuori di quella riconosciuta dal cliente». Ma in cosa è inedito il nuovo servizio rispetto a quanto viene proposto sul mercato? «Gli elementi distintivi sono tre», prosegue l’esponente DB: «la personalizzazione, la gestione dei rischi e una vera remunerazione fee only. L’analisi delle esigenze del cliente e la proposta di soluzioni personalizzate si basa sul lavoro svolto da un team di professionisti dedicato, che viene composto in funzione delle necessità specifiche, come la pianificazione finanziaria o wealth planning, l’asset allocation strategica/tattica, piuttosto che la selezione dei migliori prodotti nel mondo del risparmio gestito. Col supporto di piattaforme tecnologiche di monitoraggio che consentono di cogliere tempestivamente deviazioni dei portafogli dal percorso condiviso: da queste i nostri specialisti traggono informazioni utili per gestire insieme al cliente le eventuali azioni correttive». Parazzini spiega inoltre che «Deutsche Bank Wealth Management 66 aprile 2019
A destra Roberto Parazzini, head of wealth management Southern&Western Europe di DB
restituisce aI clienti qualunque forma di remunerazione che dovesse percepire dalle società emittenti di prodotti di risparmio gestito; il cliente ha la possibilità di toccare con mano l’assenza totale di conflitti di interessi e di sostenere un unico costo: chiaro, omnicomprensivo e puntualmente rendicontato». E a proposito del sistema commissionale, l’head of wealth management Italy and Southern Europe chiarisce che è esclusivamente fee only.
SONO TRE GLI ELEMENTI DISTINTIVI DEL SERVIZIO WEALTH ADVISORY UNIQUE DI DEUTSCHE BANK: PERSONALIZZAZIONE, GESTIONE DEI RISCHI E AUTENTICA REMUNERAZIONE FEE ONLY
«Wau si pone sul mercato come un servizio fee only nell’intero universo dei prodotti di risparmio gestito: in quest’ambito il cliente paga esclusivamente la fee annua concordata in fase di avvio del servizio, e quindi non viene addebitato nessun costo di movimentazione nel caso di operazioni di acquisto, vendita o switch, a prescindere dal numero e dal tipo di operazioni. Inoltre, a fronte di prodotti sottoscritti dal cliente che prevedono una remunerazione per la banca da parte della società emittente - i cosiddetti rebate - la stessa verrà interamente riconosciuta al cliente sul proprio conto corrente». Il servizio Wau è offerto dalla rete di Deutsche Bank Wealth Management, il cui personale è presente su 7 sedi territoriali, che di fatto coprono l’intero territorio nazionale.
PROFESSIONISTI
I fee only sono usciti dal limbo, è ora di diventare grandi di Rosaria Barrile
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on l’avvio il 1° dicembre 2018 dell’Albo Unico della consulenza, la componente indipendente sta muovendo i primi passi nella sua nuova veste ufficiale. Con le delibere approvate dall’Ocf a gennaio e a febbraio salgono a 21 i nuovi iscritti nell’anno in corso, suddivisi in 18 consulenti autonomi e 3 società di consulenza finanziaria per un totale di 112 cf autonomi e 16 società (dati a inizio marzo, ndr). Secondo gli addetti ai lavori, nel corso del 2019, l’aumento degli iscritti potrebbe avvenire tuttavia molto lentamente per motivi tecnici e burocratici: occorre che sia l’iter degli adempimenti necessari per l’iscrizione, sia le procedure con cui le domande vengono vagliate dall’Ocf siano consolidate e quindi in grado di assicurare un processo rapido ed efficiente. Ma soprattutto, in termini di crescita del mercato, occorre che l’investitore sia sempre più consapevole di questa nuova opportunità. Intanto, proprio per discutere le possibili aree di miglioramento, si è svolta la prima riunione del Comitato Consultivo di Ocf a cui hanno partecipato le associazioni rappresentative della categoria tra cui Nafop e Ascofind che sono state accolte ufficialmente all’interno dell’Organismo a marzo. Le questioni ancora aperte Come hanno confermato le associazioni di categoria, alcuni aspetti relativi all’accesso alle due nuove sezioni dell’Albo potrebbero richiedere degli interventi ulteriori tra cui i criteri per la determinazione dei contributi a carico degli iscritti e le segnalazioni di vigilanza preventiva. 68 aprile 2019
DUE SEZIONI AD HOC NELL’ALBO OCF, LA NUOVA QUALIFICA DI CONSULENTI AUTONOMI E DI SCF NON CAMBIA LA NATURA INDIPENDENTE DEL LORO SERVIZIO
Massimo Guerrieri, consulente autonomo di Reggio Emilia e star della professione
«Come ogni nuova esperienza in fase di avvio, anche il funzionamento dell’Albo sconta delle criticità perché si tratta della costruzione di un organismo complesso», precisa Massimo Scolari, presidente di Ascofind, l’associazione delle Scf. «In pratica, si tratta di un cambiamento strutturale di cui solo oggi vengono poste le fondamenta. L’Albo dovrà pertanto entrare a “regime” e per farlo occorrerà tempo: ci sono delle questioni da affrontare ma l’obiettivo finale resta quello di assicurare al cliente finale un buon livello qualitativo di consulenza. Ben vengano quindi controlli scrupolosi e attenti. Nella prima riunione con l’Ocf abbiamo riscontrato disponibilità nei confronti delle proposte che abbiamo avanzato. Tra i temi emersi vi è quello dei requisiti che le persone e le società devono avere per accedere all’Albo. Quelli utilizzati dall’Organismo si rifanno tuttavia a provvedimenti normativi abbastanza vecchi. Abbiamo quindi dato la nostra disponibilità per avviare un dialogo con l’Ocf e il Mef in vista della definizione di requisiti di ingresso più idonei al mutato contesto». A causare qualche difficoltà in questo momento è anche l’eventuale passaggio da una sezione all’altra dell’Albo da parte
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di chi è già iscritto. «Il tempo richiesto per questi passaggi può richiedere diversi mesi e noi abbiamo chiesto di rendere tali procedure più veloci perché di fatto le attuali tempistiche possono avere un impatto sulla continuità lavorativa del professionista. Il secondo tema su cui stiamo lavorando è quello dei contributi annuali da versare all’Albo: l’importo per i consulenti indipendenti è oggi pari al triplo di quello richiesto ai consulenti abitatati all’offerta fuori sede e quindi appartenenti a una rete. Abbiamo chiesto che questi importi siano invece resi omogenei perché i consulenti autonomi affrontano già altre spese per l’operatività quotidiana». A confermare alcune criticità è Cesare Armellini, presidente di Nafop, l’associazione dei consulenti finanziari indipendenti e co-fondatore di AssoScf una nuova associazione che riunisce tutte le società di consulenza indipendente che non siano Sim, Sgr, banche o altri intermediari, e che coinvolge le nuove start up che si stanno affacciando sul mercato. «Questa fase di partenza del nuovo Organismo di vigilanza e gestione dell’Albo è stata caratterizzata dalla presentazione delle domande di iscrizione da parte dei “pionieri” del settore, gli storici consulenti indipendenti e le società “fee only”. Redigere correttamente la richiesta di iscrizione non è banale e richiede attenzione e impegno al fine di velocizzare l’intero processo e arrivare all’ok dell’Ocf in tempi ragionevolmente brevi. La situazione si è sbloccata dopo oltre undici anni di attesa, periodo nel quale poteva operare solo chi avesse iniziato la professione prima dell’ottobre 2007, anno in cui venne recepita la prima Mifid. Tra gli storici professionisti della consulenza “fee only” qualcuno si è lamentato del rigoroso atteggiamento dell’Ocf nell’analisi delle domande ma noi riteniamo che con il passare dei mesi il processo possa semplificarsi: questo anche in riferimento agli iscritti di diritto che non possono ancora “switchare” nella nuova area degli indipendenti”. I pionieri del settore Secondo Luca Mainò di Consultique Scf, società di consulenza fondata insieme a Cesare Armellini e Giuseppe Romano nel 2000 che opera come multi-family office e network di consulenti indipendenti, l’avvio dell’Albo unico rappresenta una nuova opportunità per molti professionisti già attivi. «Oggi nel servizio che offriamo il cliente mantiene il patrimo-
A sinistra Cesare Armellini, presidente di Nafop. A destra Massimo Scolari, presidente di Ascofind
nio presso le proprie banche depositarie e riceve una consulenza personalizzata, che viene remunerata attraverso una parcella annuale fissa: una metodologia di pricing molto apprezzata da investitori che seguiamo da più di quindici anni. La nostra società, oltre a fornire direttamente consulenza finanziaria a investitori istituzionali, famiglie e aziende, ha sviluppato inoltre una serie di servizi, anche formativi, a supporto di chi vuole prestare consulenza fee only ai propri clienti, essere libero da mandati e operare senza essere legato al sistema distributivo di banche e reti. Oggi in Italia un consulente può diventare operativo sostenendo un costo pari ad alcune migliaia di euro all’anno,
OGGI UN CF AUTONOMO PUÒ DIVENTARE OPERATIVO CON UN COSTO DI ALCUNE MIGLIAIA DI EURO ALL’ANNO
Luca Mainò, fondatore di Consultique insieme ad Armellini e Romano
compresa la polizza Rc professionale, e questo rappresenta per molti operatori di banche o di reti distributive un’ottima opportunità per dare una svolta alla propria carriera professionale magari anche creando una società, Srl o Sps, insieme a commercialisti o legali. Personalmente mi aspetto dai 250 ai 300 iscritti all’Albo alla fine del 2019». E’ più cauto invece nel formulare previsioni Salvatore Gaziano che ha fondato insieme alla moglie, Roberta Rossi, SoldiExpert, una fra le prime società autorizzate dall’Ocf. «Io e mia moglie abbiamo fondato insieme l’attuale SoldiExpert nel 2001 aprile 2019 69
TROPPI ADEMPIMENTI BUROCRATICI INCOMBONO SU CHI SVOLGE L’ATTIVITÀ SU BASE INDIPENDENTE dopo diversi anni di esperienza alle spalle. Io avevo lavorato per molti anni nel settore finanziario come analista, poi gestore e infine come giornalista. Per molti anni sono stato vicedirettore del settimanale Borsa&Finanza, mentre Roberta, diventata poi mia moglie, lavorava per un sito concorrente, Soldionline.it. Quando abbiamo iniziato dopo la metà degli anni ’90 a offrire consigli finanziari a pagamento venivamo considerati un po’ fuori di testa. Ci dicevano che in Italia non c’era spazio per la consulenza indipendente. Ci piacerebbe dire che il mercato della consulenza indipendente ora esploderà, ma sappiamo che non sarà così. Con l’introduzione dell’Albo Unico finalmente il muro è stato scalfito e ci vorrà qualche anno prima che cada del tutto ma la direzione è segnata. Il consulente indipendente non può ricevere alcuna retrocessione sui prodotti consigliati ed è proprio per questo il consulente è più in sintonia con gli interessi del risparmiatore. Noi, e i consulenti finanziari che hanno ottenuto per primi l’autorizzazione di diritto, abbiamo tracciato il solco ma tra qualche lustro sono convinto che molti consulenti finanziari oggi sotto mandato seguiranno la nostra strada». Per Gianni Lupotto tra i fondatori di Alfa Scf, che attinge dalle competenze della società storica ADB, il mondo finanziario in Italia è in una fase di grande trasformazione e la creazione di un Albo Unico dei consulenti finanziari ne è un segnale. «Contemporaneamente tanti aspetti si intrecciano: la scarsa fiducia nelle istituzioni finanziarie, la tendenza verso una maggiore trasparenza dei costi, l’azzeramento dei rendimenti risk-free, la considerazione che spesso è più importante evitare una scelta finanziaria sbagliata anzichè cercare a tutti i costi un maggior rendimento. Credo che il principale valore aggiunto dell’Albo sia e debba essere quello di una maggiore visibilità degli iscritti nei confronti della platea di famiglie italiane che intendono relazionarsi con il mondo degli investimenti. Non si può nascondere che il processo di ammissione e gli adempimenti burocratici che oggi incombono su coloro che offrono consulenza su base indipendente siano numerosi e complessi. Atto doveroso quando è in gioco la tutela dei risparmiatori, ma in taluni casi non correlato alla tipologia di attività e servizio effettivamente svolto: c’è per esempio la duplicazione di controlli in materia di antiriciclaggio, già svolta dalle banche su cui di fatto sono risiedono i patrimoni dei clienti, e la necessità di rendicontare costi e oneri che non si riferiscono alle attività di consulenza». La combinazione tra l’avvio dell’Albo e l’entrata in vigore degli obblighi derivanti da Mifid 2, tra cui quello di fornire un prospetto infor70 aprile 2019
Roberta Rossi e Salvatore Gaziano, coppia nella vita e nel lavoro con Soldiexpert, indipendenti per vocazione
Gianni Lupotto, figura storica della consulenza indipendente e fondatore di Alfa Scf
mativo sui costi con determinate caratteristiche, contribuirà ad alimentare la competizione tra le diverse anime della consulenza, secondo Massimo Guerrieri, oggi titolare dello studio Q Consulenze Finanziarie. Con oltre trent’anni di esperienza, Guerrieri ha ricoperto diversi incarichi in banca (Credem e Carisbo) e ha operato come promotore finanziario per Banca Fideuram, Banca Generali e Rasbank. Nel 2004 è diventato uno dei primi consulenti finanziari indipendenti in Italia e nel 2006 ha contribuito a fondare Nafop. «L’Albo rappresenta una tappa importante per i consulenti indipendenti, non solo perché finalmente viene regolamentata la consulenza finanziaria caratterizzata dall’assenza totale di conflitto d’interesse, ma perché andrà a creare nuovi spazi per una professione che è al servizio dei risparmiatori. I tempi e la burocrazia per iscriversi all’Albo ci sembrano però ancora eccessivi. A oggi per completare l’iscrizione occorrono circa tre-quattro mesi. Sul mercato la richiesta di consulenza e di formazione in materie economico-finanziarie è in forte crescita. A spingere la clientela verso forme alternative di consulenza sarà sempre di più la consapevolezza dei propri diritti e la maggior trasparenza a cui le banche dovranno attenersi. La possibilità di confrontare più proposte in modo chiaro porterà sicuramente a una competizione reale tra i diversi operatori e potrebbe stimolare le stesse reti a cambiare il modello di servizio adottato fino ad oggi. Per giustificare i costi infatti dovranno puntare su un miglioramento del servizio, un aspetto su cui invece le società di consulenza indipendente si sono da tempo concentrate in quanto unica fonte di remunerazione del loro operato”.
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Guida agli advisor Usa per capire la babele delle denominazioni
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New York e negli Usa, nel business della consulenza finanziaria americana convivono, e si fanno concorrenza, diverse figure professionali, fisiche o societarie. Tutti i soggetti hanno il compito, in ultima analisi identico, di servire e assistere la clientela nella soluzione del problema di investire al meglio i propri risparmi. Ciò che cambia è la diversa struttura che distingue le due tipologie centrali del settore, i “broker-dealer” e i “registered investment advisor”. Forzando il concetto, se si volesse trovare in America un paragonabile corrispettivo dei “consulenti indipendenti” che hanno ottenuto in Italia solo di recente il riconoscimento di un loro albo di appartenenza, è ai broker-dealer che si è tentati di guardare, o magari ai ‘financial planner’ che sono una elite della categoria, come vedremo. Gli ‘advisor registrati’ invece richiamano di più il ruolo dei vecchi promotori che piazzavano i prodotti della banca o della finanziaria a cui erano legati con un contratto. Ma questo è un parallelismo generico e non rende giustizia della complessità che va affrontata se si vuole conoscere con maggiore aderenza la realtà “consulenza finanziaria” americana. Sono sempre gli ordinamenti giuridici e regolamentari sto72 aprile 2019
di Glauco Maggi
BROKER-DEALER, REGISTERED INVESTMENT ADVISOR, CERTIFIED FINANCIAL ADVISOR, PER OGNI NOME UN SERVIZIO DIVERSO ricamente maturati nel tempo, paese per paese, che governano un comparto tanto delicato come quello del risparmio. E ciò vale tanto più nella piazza leader della finanza mondiale. Per tentare d’essere puntuali nella descrizione dei diversi professionisti di questo settore negli Stati Uniti quindi non c’è mezzo piu’ chiaro che rivolgersi alla Finra (Financial Industry Regolatory Agency), dotata di un website ( www.finra.org) che è una miniera di informazioni. Pur essendo una corporation di natura privata, la Finra è investita anche di una responsabilità di gestione/vigilanza del settore secondo il principio della autoregolamentazione. Ovviamente, la sua attività si svolge sempre sotto la supervisione della Finra (Security and Exchange Commission, sorta di Consob Usa) che è l’organismo governativo di ultimo controllo. La Finra è il maggior ente indipendente nel settore finanziario negli Usa, con la missione di proteggere gli investitori attraverso lo sforzo di far operare con correttezza e onestà gli operatori. Sotto la sua vigilanza, affidata a uno staff amministrativo di 3400 dipendenti che operano nelle due sedi maggiori di Washington e New York oltre che in 20 uffici regionali, ci sono circa 4250 società d’investimento, con 162.155 sportelli sparsi nel Paese e quasi 630mila “rappresentanti registrati” (i consulenti). Sul mercato Usa c’è un vero esercito di professionisti del risparmio, e i prodotti e i servizi che
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ognuno di loro può, o non può, servire al pubblico dipendono dalle licenze e dal grado di addestramento che il soggetto privato e la sua società possiedono. La varietà dei nomi sui biglietti da visita che i consulenti usano presentandosi alla clientela è insomma un problema più terminologico che altro, eccezion fatta per i già citati “certified financial planner” che hanno un profilo particolare. Quando la gente usa popolarmente il termine ‘broker’ pensa a qualcuno che da intermediario maneggia le transazioni di azioni. La definizione legale però è differente. Il ‘broker-dealer’, termine usato dalla Finra, è una persona o società nel business di comprare e di vendere titoli – azioni, obbligazioni, fondi comuni e certi altri prodotti d’investimento – per conto dei suoi clienti (come broker), oppure per proprio conto (in questo caso è un dealer). Ma può essere pure un soggetto che svolge entrambe le funzioni. Gli individui che lavorano per un ‘broker-dealer’, ossia le persone chiamate di solito genericamente ‘broker’ dal pubblico, in realtà costituiscono la rete di vendita, e tecnicamente sono da definire rappresentanti registrati (registered investment advisor). Chi regola l’attività di questi diversi soggetti? I broker-dealer devono essere registrati presso la Finra, ma essere pure membri della Finra. I soggetti registrati come “registered investment advisor” devono iscriversi alla Finra, superare un esame di qualificazione, e avere una licenza a operare dall’ente regolatore del proprio Stato, prima di poter fare consulenza e assistenza alla clientela. Per avere le informazioni che garantiscono la buona fede, la preparazione e il permesso a fare business di un “rappresentante”, il pubblico si può rivolgere a un numero verde gratuito (800-289-9999) o usare direttamente il Finra BrokerCheck, o chiedere all’ente statale regolatore. Talvolta la Consob ha segnalato sul proprio Bollettino l’attività di sollecitazione illegale al risparmio in Italia di operatori “internazionali” che millantano titoli o certificazioni americane: se vi capita un’offerta dagli Usa, questo è il modo di verificare l’affidabilità del consulente o della società. I ‘broker-dealer’ si distinguono tra di loro per la grande varietà dei servizi che offrono, ma secondo la Finra sono due le principali categorie: le società che danno un servizio completo (full-service) e quelle che propongono un “brokeraggio a sconto” (discount brokerage). Le prime società caricano costi più alti per ogni singola transazione, ma solitamente hanno una struttura interna che fa ricerca economico-finanziaria alla quale i “rappresentanti” possono rivolgersi quando devono preparare le raccomandazioni di portafoglio alla clientela. Inoltre possono svolgere praticamente qualsiasi genere di transazioni finanziarie di cui ha biso-
La Consob ha segnalato casi di abusivismo di operatori che millantano certificazioni USA
gno il cliente, e sono in grado di offrire la pianificazione più ampia per come gestire il patrimonio familiare. Le società “discount brokerage” sono invece più a buon mercato, ma l’investitore deve valutare gli investimenti per conto proprio; il website della società “a sconto” però è in genere ricco di molte informazioni utili cui può attingere chi deve fare da sè. I “rappresentanti registrati”, pur essendo in sostanza collocatori/venditori di prodotti finanziari (dalle azioni ai bond, dai fondi comuni agli Etf eccetera) - avvisa la Finra -, possono presentarsi sul mercato con titoli generici, vaghi ma legittimi: consulente finanziario (financial consultant), o consigliere finanziario (financial advisor), o consulente per gli investimenti (investment consultant). Sul piano legale, e della garanzia per il risparmiatore, non à importante l’autodefinizione che si dà il venditore, ma la licenza di cui dispone e che è bene il cliente conosca. Per esempio, un “rappresentante” che ha superato l’esame “Serie 6” può vendere soltanto mutual funds (fondi comuni), variables annuities (sorta di polizze sulla vita a ritorno variabile) e prodotti semplici comparabili. Se dispone invece della licenza “Serie 7” il ventaglio dell’offerta consentita si allarga a tutte le famiglie più complesse di prodotti. La Finra non approva e non sponsorizza alcuna credenziale professionale o designazione esterna, ma sul mercato opera da tempo la figura - legale - del “certified financial planner” (pianificatore finanziario certificato). Nella sostanza questi è un “consulente finanziario” di qualità più alta, perche’ ottiene questo titolo da una organizzazione, la “Certified Financial Planner Board of Standards”, costituita secondo la legge sotto il codice fiscale “501” dedicato ad alcune tipologie di enti senza scopo di lucro. Per diventare un professionista Cfp bisogna completare un programma di formazione finanziaria molto severo e avere un diploma di laurea di una università accreditata entro 5 anni dal superamento dell’esame Cfp. Il Board Cfp rivede periodicamente i suoi standard etici e i requisiti per la certificazione, e ora siamo nel mezzo di un importante aggiornamento. Il 29 marzo del 2018 era stato approvato un nuovo codice, con un periodo di 18 mesi di transizione concesso alle società e ai consulenti per adeguarsi. Il prossimo ottobre il nuovo regime entrerà in vigore e la misura più innovativa sarà un controllo, più severo dell’attuale, del background personale degli operatori. aprile 2019 73
INTERVISTA CON ALFONSINO MEI
Un’alleanza per cambiare Enasarco Tutte le mosse da fare per la svolta di Sergio Luciano
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ambiare profondamente la Fondazione Enasarco rendendola più efficiente e più vicina alle necessità degli iscritti: è la convinzione comune degli organi direttivi e di rappresentanza di Federagenti, Fiarc e Anasf che ci ha mossi, d’intesa con la Confesercenti, a coalizzarci in vista dei futuri appuntamenti assembleari. Enasarco. Per cambiare davvero tutto”: è perentorio Alfonsino Mei, consigliere Enasarco in quota Anasf, punto di riferimento naturale, per le competenze professionali che ha, nell’attuale alleanza elettorale, di tutte le tematiche gestionali proprie di un grande ente di previdenza privata.
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Cosa vi preoccupa dell’attuale gestione, Mei? Lo scenario economico di breve e medio periodo, segnato da stagnazione alternata a fasi recessive produce e insieme subisce il reiterarsi di effetti depressivi sui tipici asset strutturali di Enasarco. Bisogna subito avviare, con trasparenza, una dettagliata e dinamica analisi sui saldi dei fondi, sulla gestione patrimoniale e finanziaria, sulla governance. Il che non vuol dire creare allarmismi fumosi o strumentali, ma certifica il senso di responsabilità di chi pensa che proseguire con la “politica del quotidiano” può determinare un contesto di criticità strutturale, che può rischiare anche di essere irreversibile, per la Fondazione. Addirittura? Consideri che l’outlook macroeconomico è privo di effetti espansivi, rientra in una ormai conclamata tendenza demografica dei contribuenti in costante e progressiva flessione dello stock; e c’è la necessità di dover “riposizionare” gli asset della Fondazione, rivedendone principi fondanti mai mutati nel tempo, in primis il Fondo Assistenza o l’approccio metodologico alla gestione finanziaria. Perché? Ma perché Enasarco mostra ormai una chiara distonia con gli iscritti e un totale senso di estraneità all’economia reale entro cui invece è chiamato a svolgere le funzioni. Pensiamo alla flessione delle persone fisiche iscritte: deriva anche e soprattutto dalla diminuzione delle ditte individuali, ma non può essere passivamente subìta. E che dovrebbe fare la Fondazione? Dovrebbe rendersi artefice, per quanto di sua competenza, di un processo di rinnovato appeal del settore anche in relazione alle trasformazioni che l’intermediazione sta subendo e ne trasformerà struttura, ruolo, incidenza nel mercato. Si tratta di innesca-
ANASF, FEDERAGENTI E FIARC, D’INTESA CON LA CONFESERCENTI, SI COALIZZANO IN VISTA DEI PROSSIMI APPUNTAMENTI ASSEMBLEARI. ECCO I FRONTI D’AZIONE
74 aprile 2019
Sopra Alfonsino Mei, consigliere di Enasarco in quota Anasf
re un processo virtuoso che sia in grado di attrarre nuovi iscritti e di preservare quelli già in essere E sul fronte dei risultati della gestione previdenziale? Dal punto di vista finanziario occorre l’ottimizzazione della gestione e della riserva. Serve realismo e non autocelebrazione. E dunque, dal punto di vista economico, occorre la riprogettazione del Fondo Assistenza e la politica di governance. Per questo abbiamo espresso il voto negativo al bilancio: perché nulla dei reali problemi di cui soffre la Fondazione era presente in quel documento. Ma cosa pretendete dalla Fondazione? Molto semplicemente, rifiutiamo l’idea di una struttura che ha come mission la previdenza ma che, per attuare il principio su cui essa si costruisce, quello della “solidarietà tra generazioni”, deve inasprire la contribuzione e ridurre il tasso di trasformazione pensionistico.
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E quindi in concreto? Guardi, con la nostra iniziativa renderemo necessario a breve un approfondimento su molti argomenti nuovi. Ne indichiamo tre, tra i primi: innanzitutto la natura cosiddetta “monomandataria di fatto” - trasformare automaticamente il plurimandatario con una sola mandante in monomandatario -; poi l’incremento volontario della contribuzione oltre il massimale fino a un valore a scelta e comunque non oltre quello delle provvigioni percepite; e ancora la formazione come valore aggiunto e strumento di innovazione reale. Ma in sostanza come deve fare Enasarco per incrementare i ricavi? Deve agire attraverso l’economia reale del Paese e non innalzando i contributi. Anche utilizzando l’interezza dei contributi. Insomma, per una struttura come Enasarco che riscuote contributi e eroga pensioni, centrale sarà l’ottimizzazione della gestione finanziaria e del patrimonio immobiliare, temi che si intrecciano con quelli della governance della Fondazione, della gestione al meglio delle sue risorse umane nonché di quello, anche troppo disinvolto, delle consulenze esterne. E dunque? Dunque, alla luce di tutto questo, alle prossime elezioni Enasarco Fiarc, Anasf e Federagenti si presenteranno in un’unica lista, con l’obiettivo di ottenere la maggioranza delle preferenze ed in tal modo cambiare profondamente la gestione dell’ente. Il programma elettorale – sulla base delle premesse di cui sopra - verrà definito col contributo degli iscritti delle rispettive associazioni che verranno coinvolti con iniziative associative anche congiunte sul territorio nazionale che saranno programmate a brevissimo. Ma senta: Enasarco, come peraltro le altre cassa previdenziali private, è vigilato dalla Covip, la commissione indipendente nominata ad hoc e da due ministeri, Lavoro ed Economia: com’è possibile che non funzioni a dovere? Guardi, io non sono un giurista ma posso dirle che la legge 98 del 2011 ha attribuito alla Covip le funzioni di vigilanza sugli investimenti delle risorse finanziarie e sulla composizione del patrimonio degli Enti previdenziali, delegando a un decreto la disciplina in materia di investimento delle risorse finanziarie, di conflitti di interessi e di depositario. Ma l’iter per l’approvazio-
ne di questo decreto regolatorio non risulta ancora concluso. Dunque le Casse risultano a oggi gli unici investitori istituzionali affrancati da una regolamentazione unitaria in materia, regolamentazione che viceversa è di livello primario e secondario per i Fondi pensione. Un’incoerenza inconcepibile! Appunto. E va sottolineato che per i fondi pensione sono state introdotte norme che aumentano il grado di dettaglio della disciplina, soprattutto in materia di governance, proprio allo scopo di incrementare il livello di qualità dei processi decisionali e la capacità di monitoraggio dei rischi, attraverso la chiara e documentata attribuzione delle responsabilità e la definizione puntuale delle funzioni fondamentali nella struttura organizzativa dei Fondi. E dunque c’è un’inspiegabile forbice regolamentare tra Fondi e Casse, che peraltro sia la Covip sia la stessa Adeep, l’associazione tra le casse private, hanno denunciato da tempo. I recenti arresti dei vertici della Cassa di Previdenza degli Infermieri non possono passare inosservati, ferma ovviamente la presunzione di innocenza. Due pesi e due misure, insomma! Appunto! Ora le Casse di previdenza assicurano ai propri iscritti previdenza e assistenza nell’ambito dei poteri che le sono stati concessi dallo Stato che rimane, attraverso i suoi Ministeri, il vigilante. È pacifico che lo Stato è titolare del potere di vigilanza e di controllo. Ma nel caso delle casse lo Stato è venuto meno a uno specifico obbligo impostogli dalla legge e cioè quello di predisporre il regolamento degli investimenti, in modo da consentire ad esse di operare nella legalità e secondo i criteri di prudenza conseguenti alla gestione del risparmio previdenziale. Non inviare in Gazzetta Ufficiale per la sua pubblicazione il regolamento investimenti è sicuramente una responsabilità, diretta e indiretta, molto grave. Quindi la previdenza complementare, che è volontaria, è soggetta a regole più stringenti di quella della casse private, che è obbligatoria. Un paradosso!
I COMPITI DELLA FONDAZIONE, DALLE PENSIONI ALLA FORMAZIONE La Fondazione Enasarco è l’Ente Nazionale di Assistenza per gli Agenti e Rappresentanti di Commercio e fu costituita nel 1938. Oggi è un soggetto di diritto privato che, ai sensi della legge 2 febbraio 1973, n. 12, persegue finalità di pubblico interesse mediante la gestione di forme di pensioni integrative obbligatorie a favore degli Agenti e Rappresentanti di Commercio. La Fondazione si
occupa anche di assistenza, formazione e qualificazione professionale degli iscritti. Il controllo pubblico sulla gestione della Fondazione è affidato al Ministero del Lavoro, Salute e Politiche Sociali e al Ministero dell’Economia e Finanze. Attualmente la Fondazione Enasarco amministra circa 300.000 posizioni contributive attive di Agenti e 100.000 Ditte mandanti obbligate
alla contribuzione. Ogni anno vengono erogate circa 100.000 pensioni (tra vecchiaia, invalidità e superstiti) e 70.000 liquidazioni FIRR. La Fondazione Enasarco esercita, d’intesa con il Ministero del Lavoro, azioni di vigilanza ispettiva per l’accertamento della natura del rapporto di Agenzia e per l’osservanza degli obblighi contributivi da parte delle ditte mandanti. aprile 2019 75
SALONE DEL RISPARMIO
Esg, la parola d’ordine è sostenibilità Il risparmio gestito non è più lo stesso di Mario Romano
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ronti, via! Parte il 2 aprile l’edizione 2019 Salone del Risparmio, l’evento interamente dedicato alla gestione del risparmio. Organizzato da Assogestioni, l’associazione italiana dei gestori del risparmio che rappresenta oltre 300 tra società di gestione del risparmio, sim, gestori esteri, banche e assicurazioni – il Salone del Risparmio dura tre giorni: i primi due, dal taglio B2B, sono riservati a operatori e stakeholder del settore. La terza giornata è aperta gratuitamente anche agli investitori privati, sia chi investe già nei prodotti del risparmio gestito, sia chi si avvicina per la prima volta al settore e desidera saperne di più. Anche questa edizione si tiene al MiCo, Milano Congressi dal 2 al 4 aprile. Sono oltre 150 i marchi presenti e più di 100 le conferenze in programma, per un totale di oltre 230 relatori nazionali e internazionali e sono attesi ben 15 mila visitatori Sostenibilità, il filo conduttore. Il tema di quest’anno è “Sostenibile, responsabile, inclusivo. La frontiera del risparmio gestito”, di forte attualità che risponde al cambiamento in corso anche nel mondo finanziario: negli ultimi anni il focus su ambiente, responsabilità sociale e governance è infatti condiviso e accolto dalle istituzioni nazionali ed europee ma anche dall’industria del gestito, dagli investitori, dai consulenti finanziari e tre giorni il fitto calendario di appuntamenti, attraverso dibattiti, conferenze, seminari formativi e la testimonianza di esperti nazionali e internazionali, esaminerà i mutamenti che stanno rivoluzionando il rapporto tra finanza, economia e rispetto per gli equilibri naturali e sociali. In particolare il 76 aprile 2019
TORNA LA MANIFESTAZIONE ORGANIZZATA DA ASSOGESTIONI DAL 2 AL 4 APRILE A MILANO. AMBIENTE GOVERNANCE E SOCIALE AL CENTRO DEGLI INCONTRI Plenarie stracolme di addetti ai lavori al Salone del Risparmio
2 aprile si parlerà di risparmio sostenibile e responsabilità sociale con un particolare focus sulle tematiche di attualità che coinvolgono l’industria del risparmio gestito, sulle riforme e le normative che possono migliorare la capacità del settore di veicolare il risparmio verso l’economia reale. Il 3 aprile, i riflettori saranno puntati sul risparmio responsabile e inclusivo. Secondo il Fondo Monetario Internazionale la piena occupazione femminile porterebbe non solo 268 miliardi in più al Pil italiano, ma anche a un beneficio qualitativo derivante da una maggiore sensibilità delle donne verso gli investimenti Esg. Infine il 4 aprile, nella giornata conclusiva del Salone, spazio ai temi della distribuzione e del risparmio consapevole: si parlerà della relazione tra industria, tessuto produttivo e individui, rivolgendo l’attenzione a tutte le iniziative che possano contribuire alla crescita organica del Paese.
Le conferenze. Più in dettaglio ecco i temi centrali delle conferenze organizzate da Assogestioni. Si parte il 2 aprile (ore 16.30 – Sala White) con la conferenza dal titolo “Non di solo
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Environment vive l’Esg: Il ruolo delle variabili sociali nella sostenibilità degli investimenti” che si focalizza su come, anche le variabili sociali, meritino l’attenzione di asset owner e asset manager: da una parte le opportunità offerte dagli investimenti nelle cosiddette infrastrutture “sociali” a progetti impact, dall’altra i problemi che possono nascere dal non riconoscere o sottovalutare i rischi reputazionali, legali e operativi legati a una scarsa attenzione alle cosiddette variabili sociali (tra cui sicurezza sul lavoro, diritti umani, diversity, formazione). A confronto sul tema tra gli altri Maurizio Agazzi, segretario generale di Assofondipensione e Francesco Bicciato, segretario generale del Forum della Finanza Sostenibile. Il 3 aprile (ore 9.30 – Sala Blue1) nella conferenza dal titolo “L’Italia è pronta per la sostenibilità? Investimenti Esg, un cammino lungo 20 anni”, realizzata in collaborazione con Banca Generali, Assogestioni affronta il tema di come l’industria del gestito possa giocare responsabilmente il proprio ruolo nell’era dello sviluppo sostenibile e di come gli operatori si siano attrezzati per sviluppare competenze ed offerte che integrino i criteri Esg nelle politiche di gestione. In questa occasione Assogestioni presenta la ricerca commissionata a Finer sul livello di conoscenza e sensibilità verso questi temi del mondo del gestito italiano, sia dal punto di vista della domanda che dell’of-
I NUMERI: 150 MARCHI PRESENTI, 100 CONFERENZE IN PROGRAMMA, 230 RELATORI, 15MILA VISITATORI ATTESI
ferta. La ricerca, la prima strutturata sul tema, sta coinvolgendo in questi giorni 1000 investitori finali, segmentati per tipologia ed entità degli investimenti finanziari (da diecimila euro a oltre un milione di euro) e 700 professionisti, tra consulenti finanziari, private banker, dipendenti bancari, fund selector e asset manager, e fornisce, come dichiara Nicola Ronchetti, ceo di Finer Finance Explorer, “informazioni chiare e puntuali, sul futuro degli investimenti Esg nonché la corretta identificazione del profilo di chi è interessato a investire in fondi Esg e l’individuazione di eventuali leve e barriere che costituiscono la chiave del successo per la proposizione di questo tipo di investimenti”. La conferenza in programma il 3 aprile “Non solo Iorp 2. Le prospettive di fondi pensione e Casse di previdenza tra novità normative, investimenti alternativi e criteri Esg” (ore 11.15 – sala Yellow3) è dedicata alle novità normative, opportunità e tendenze di mercato, relative ai fondi pensione e alle Casse di previdenza. All’intervento di apertura affidato alla Commissione di Vigilanza sui fondi pensione (Covip) sulle principali novità per il settore della previdenza complementare a partire dalla direttiva Iorp 2, seguirà un confronto tra gestori, fondi pensione e Casse di previdenza con particolare attenzione ai temi degli investimenti alternativi, dei criteri Esg e dell’investimento nelle piccole e medie imprese. È dedicato alla diversity, alla parità di trattamento e di opportunità la conferenza in programma il 3 aprile (ore 16.30 – Sala Red1) dal titolo ‘Diversità e inclusione: una sfida per il settore’ dove, in un confronto tutto al femminile con le rappresentanti dell’industria, Assogestioni prova a fare il punto su questi temi a partire dalla recente istituzione del Comitato Diversity, che si propone di sensibilizzare le Sgr all’adozione di politiche di diversità. Gran chiusura con Sachs Il 4 aprile (ore 15 – Sala Silver) è prevista la plenaria di chiusura dal titolo “2030: la conquista della sostenibilità. Quanto sono lontani e come raggiungere i Sustainable Development Goal” vedrà il keynote speaker Jeffrey Sachs, uno dei massimi esperti a livello mondiale in tema di sviluppo economico, macroeconomia e lotta alla povertà, condividere col pubblico del Salone come il settore del gestito possa contribuire al raggiungimento degli obiettivi contenuti nei Sustainable Development Goals delle Nazioni Unite. Tra gli ospiti della tavola rotonda sul tema Aldo Ravazzi, chief economist del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Stefano Pareglio, membro del cda Atm e il giornalista Giovanni Minoli.
Le iniziative speciali Con il Salone del Risparmio 2019 infine giunge alla sua terza edizione Il tuo Capitale Umano, il programma promosso da Assogestioni che si propone di avvicinare i giovani a una carriera nel risparmio gestito. Un’occasione dedicata a neolaureati e laureandi con competenze di tipo gestionale, economico, giuridico e quantitativo per conoscere le opportunità lavorative offerte dall’industria del risparmio gestito in Italia ed entrare in contatto diretto con le principali società del settore. In particolare in sede di Salone del Risparmio, è prevista una giornata di formazione e orientamento giovedì 4 aprile dedicata agli studenti durante la quale sarà possibile: incontrare i rappresentanti di Sgr italiane ed estere, assistere alla conferenza e ascoltare le testimonianze di chi lavora nel settore, partecipare alle selezioni per i tirocini offerti dalle Sgr. aprile 2019 77
INTERVISTA CON ALESSANDRO D’AGATA
CheBanca! da pole position con il wealth nel motore
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di Marco Muffato
a il piede pigiato sull’acceleratore CheBanca!, l’istituto di credito del gruppo Mediobanca, con ricavi e utili in progresso, volumi e clientela in crescita, con il potenziamento delle reti distributive e tante iniziative nella digitalizzazione che stanno trasformando il volto della banca. Ne parliamo con Alessandro D’Agata, direttore generale di CheBanca! Direttore, qual è il punto di forza di CheBanca! in questo momento di grande cambiamento per il settore degli investimenti? La nostra forza oggi risiede principalmente nella efficacia ed eterogeneità dei nostri canali distributivi: c’è il mondo del wealth management, le filiali retail, i consulenti finanziari, il servizio clienti. Tutti questi canali sono serviti trasversalmente da una avanzata piattaforma di consulenza “Advice”, dove è presente l’offerta di 63 case di gestione per circa 10mila Isin complessivi e di 4 compagnie assicurative. Questa piattaforma valorizza il grande lavoro compiuto da quella efficiente macchina di valutazione e di selezione dei partner e delle soluzioni di investimento rappresentata da CheBanca! in tandem con Mediobanca sgr. Partiamo dai consulenti finanziari, come valutate l’esperienza con questo canale? La nostra valutazione è molto positiva, il canale dei cf cresce in maniera importante: siamo arrivati a 310 consulenti. Per fare un raffronto, ai tempi dell’integrazione con Barclays – parliamo di maggio-giugno 2017 - i cf in organico erano appena 69: quindi nell’arco di due anni abbiamo portato a bordo altri 78 aprile 2019
ALESSANDRO D’AGATA, DIRETTORE GENERALE DI CHEBANCA!
APPROCCIO MULTICANALE E TANTA INNOVAZIONE. QUESTA È LA RICETTA PER IL CAMBIAMENTO DELL’ISTITUTO DI MEDIOBANCA. FARI PUNTATI SULLA RETE DEDICATA ALLA CLIENTELA PIÙ BENESTANTE 240 professionisti. A fronte di questi ingressi la raccolta è cresciuta di pari passo: lo stock di risparmio gestito, amministrata e raccolta diretta è arrivato a quota 2,6 miliardi a marzo di quest’anno, nello stesso mese del 2018 la raccolta complessiva era di un miliardo e 200 milioni.
Il canale sul quale sono sempre più accesi i fari del mercato è però il wealth management… E noi su questo mercato ci siamo eccome. Il mondo del wealth è il nostro fiore all’occhiello: siamo nati nel 2017 puntando su un mix di esperienza ed entusiasmo, con gli over 40 provenienti dall’esperienza Barclays e con i colleghi più gio-
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vani cresciuti professionalmente e distintisi per capacità in CheBanca!. Attualmente disponiamo di 90 professionisti, che in parte lavorano all’interno delle nostre sette filiali wealth (Milano, Verona, Mantova, Firenze, 2 a Roma, Napoli, ndr) destinate a crescere di numero nei prossimi anni sulla base delle opportunità che si presenteranno; mentre altri professionisti gravitano sulle filiali tradizionali occupando appositi corner wealth. Questo modello di servizio si rivolge a clienti dal patrimonio superiore ai 350mila euro. Ogni wealth advisor gestisce almeno 100-150 clienti il che consente una frequenza di contatto almeno mensile. Questo servizio è possibile solo per clienti di patrimonialità elevata. Con patrimoni più piccoli è necessario elevare, attraverso il sapiente uso delle tecnologie, il numero dei clienti assistiti, come facciamo per altri canali come le filiali bancarie e il servizio clienti. Con i consulenti finanziari invece non esiste una soglia numerica predefinita di portafoglio clienti anche perché si tratta in maggioranza di professionisti che hanno trasferito il portafoglio in tempi recenti. In molti casi abbiamo attribuito loro un ulteriore portafoglio di clienti CheBanca! non sviluppati, da iniziare al mondo degli investimenti.
Dunque ora l’attenzione è a reclutare bene anche nel wealth? Certo. Questo gruppo dei 90 wealth advisor rappresenta un polo di attrazione per colleghi provenienti dal mondo del private banking: la possibilità di lavorare sotto il brand Mediobanca è un fattore di attrazione importante, a cui si aggiunge il valore aggiunto della digitalizzazione sempre più richiesta per operare con efficacia ed efficienza. La terza cosa che apprezzano i professionisti in predicato di entrare nella nostra realtà è la possibilità di lavorare in architettura aperta sotto la regia di Mediobanca Sgr che ha un ruolo forte sia nella costruzione dei portafogli modello, sia nella selezione dei prodotti, che nella gestione diretta dei prodotti. Su questo canale siamo selettivi, vogliamo trovare non solo professionisti affermati ma con contenuti di valori affini a quelli del gruppo Mediobanca, come competenza, trasparenza, gioco di squadra, capacità di ascolto e di servizio nei confronti dei clienti.
«IL WEALTH MANAGEMENT OGGI VALE 5,5 MILIARDI DI PATRIMONIO, TRA RISPARMIO GESTITO, AMMINISTRATO E RACCOLTA DIRETTA. I 90 WEALTH ADVISOR SONO UN POLO DI ATTRAZIONE PER I COLLEGHI»
Quanto pesa il wealth in CheBanca! e quali sono i suoi principi ispiratori? Il wealth management che oggi vale 5,5 miliardi di patrimonio tra risparmio gestito, amministrato e raccolta diretta, tende sempre più ad allontanarsi da un approccio di prodotto per gestire il risparmio dei clienti con un approccio di portafoglio che tiene sotto controllo costante la volatilità. Uno dei progetti più importanti per questo canale nel 2019 è la consulenza evoluta: ai tradizionali servizi finanziari e d’investimento cioè aggiungiamo la consulenza immobiliare, il passaggio generazionale e il supporto alle aziende per le
operazioni straordinarie anche grazie alle sinergie interne al gruppo Mediobanca.
Tra le esperienze più interessanti di CheBanca! è la trasformazione del servizio clienti in un canale di business… Nel 2014 iniziammo a domandarci quale sarebbe stato il ruolo del call center nel futuro. Già allora ci era chiaro che tutte le sue funzioni sarebbero state assorbite dal digitale e che l’unico futuro possibile sarebbe stato nella consulenza. Quindi fin da allora abbiamo formato le persone in tal senso. In particolare, vorrei citare il gruppo che ora è composto da 35 professionisti nella consulenza agli investimenti: si tratta di dipendenti in gran parte iscritti all’Albo Ocf che lavorano con la modalità a distanza aprile 2019 79
prattutto per quanto riguardo l’esperienza digitale del cliente e quindi rilanceremo questo progetto a fine 2019 con la versione 2.0 di Yellow Advice, proprio perché crediamo molto nell’approccio graduale alla digitalizzazione degli investimenti.
L’INGRESSO DELLA FILIALE WEALTH DI VIA MERCANTI A MILANO
«CREDIAMO MOLTO NELL’APPROCCIO GRADUALE ALLA DIGITALIZZAZIONE DEGLI INVESTIMENTI. PER QUESTO LANCEREMO NEL 2019 LA VERSIONE 2.0 DI YELLOW ADVICE, IL NOSTRO ROBOADVISOR» utilizzando cioè telefono, cobrowsing e la video chat. Questi professionisti dispongono di un portafoglio medio di circa 30 milioni di euro di cui circa 15 in gestito. In prevalenza i loro clienti risiedono nelle province dove non abbiamo punti operativi, ma non solo. Ci sono investitori che gradiscono molto questa modalità di servizio perché sono molto impegnati e non hanno tempo per un incontro diretto. Ormai abbiamo superato il miliardo di masse detenuto dal team. Il cliente medio ha un taglio da 100-150mila euro, anagraficamente è un po’ più giovane della media, sui 35-45 anni.
Nella vostra esperienza il roboadvisor che risultati sta dando? I clienti disponibili oggi a effettuare tutte le operazioni d’investimento in modalità self sono molto pochi. Ha quindi senso che questo strumento venga declinato nella formula del robo-for-advisor, attraverso il quale con l’aiuto dei nostri advisor accompagniamo progressivamente i clienti ad operare in autonomia. Questo è il fattore principale per arrivare al tetto di 250-300 clienti serviti per singolo advisor. Il nostro primo esperimento di roboadvisory ci ha permesso di raccogliere 200 milioni di masse in gestione. Ci siamo resi conto di avere dei punti di miglioramento so80 aprile 2019
Poi c’è il discorso affascinante del chatbot… Noi spendiamo circa 5 milioni di euro nell’assistenza clienti e lo facciamo attraverso tre canali di interazione: il telefono, la chat e la mail. Se andiamo ad analizzare queste interazioni con i clienti, di fatto riguardano pochissime fattispecie. L’intelligenza artificiale ci può aiutare a decodificare le richieste e poi a fornire risposte esaustive ed univoche. Lo straordinario valore aggiunto del chatbot è che è disponibile 24 ore su 24 e risponde subito. Quindi è Efficiente, disponibile e operativo: proprio per queste caratteristiche l’abbiamo chiamato Edo. Quando il cliente fa la sua domanda in chat, trova subito la risposta o, in alternativa, viene messo in contatto con un operatore. Il progetto partirà sul nostro home banking prima dell’estate, risponderà dando informazioni sui prodotti e sui servizi fruiti dai clienti e sarà di ausilio anche per alcune funzionalità dispositive come il blocco della carta di credito. Dopo l’estate la funzionalità sarà operativa anche su app. Nell’immediato il chatbot permetterà di offrire sempre più risposte e in modo molto rapido; nel lungo termine auspichiamo un alleggerimento del lavoro per gli altri canali di assistenza al cliente. Edo infatti ci chiede un lavoro di istruzione continua: per questo disponiamo di un team di sette persone che è alla base della funzionalità e dell’evoluzione della piattaforma. Fatto l’investimento iniziale la singola transazione avrà per noi un costo infinitesimale. Al pari dell’industria infatti dobbiamo darci l’obiettivo di essere rigorosi sui costi, fornendo un servizio migliore al cliente e creando occupazione di qualità. In definitiva una banca del futuro, com’è la nostra, deve creare professionalità di qualità nelle aree dove c’è ancora valore aggiunto, erogando servizi a basso valore nel modo più efficiente possibile utilizzando la tecnologia.
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INTERVISTA CON MAURIZIO VITOLO
Le meraviglie della filiera corta Massima qualità e costi bassi
L
a parola d’ordine? “Filiera corta”. È la formula ideale per contemperare la massima qualità del servizio offerto ai clienti e i costi contenuti. Ne è convinto assertore, e attivo protagonista, Maurizio Vitolo – fondatore, azionista di riferimento e amministratore delegato di Consultinvest, il gruppo finanziario nato a Modena trent’anni fa che riunisce in sé una Sgr, una Sim e una rete di consulenti finanziari di circa 300 unità. E in un momento storico nel quale tutta l’industria del risparmio si interroga sui modelli di business e sulla sostenibilità dei costi, il pensiero laterale di un “imprenditore in proprio” del settore può far piazza pulita di molti luoghi comuni. Dottor Vitolo, come arrivate a quest’equilibrio tra qualità e costi? Guardi, credo sia un ragionamento lineare. Per dare qualità di servizio ai clienti, ma sul serio, non se ne possono seguire troppi, altrimenti non li si può accudire, informare, se ne perdono di vista le esigenze. Ebbene, se il portafoglio medio di un consulente che voglia guadagnare per vivere decorosamente si assume che debba ammontare oggi a 20 milioni di euro, da noi ne bastano dieci. Dal valore medio unitario maggiore. Perchè li paghiamo meglio della media. E come fate? Torno a quello che lei ha definito: filiera corta. È una questione di organizzazione. E di integrazione del business. Abbiamo una struttura gestionale snella, orientata all’efficienza. E siamo integrati verticalmente: gestione, intermediazione, distribuzione. Una boutique finanziaria? La definizione mi piace, ma quel che conta è ciò che implica. La differenza tra una boutique e…un supermercato. Per 82 aprile 2019
di Sergio Luciano
«ATTIVITÀ DI GESTIONE, INTERMEDIAZIONE E DISTRIBUZIONE INTEGRATI VERTICALMENTE, COSÌ CONSULTINVEST MANTIENE I MARGINI»
MAURIZIO VITOLO, FONDATORE E AMMINISTRATORE DELEGATO DI CONSULTINVEST
noi, è essenziale costruire con il cliente un rapporto di fidelizzazione. Ci si può riuscire solo seguendolo davvero passo passo. Naturalmente non tutti i consulenti sono allo stesso livello di capacità, diciamo che però i consulenti top hanno clienti top, con un rapporto professionale di elevata intensità, un rapporto continuo e costante con il cliente che lo desidera e che corrisponde. È determinante, ed è meglio sostenibile in un sistema di boutique che in una grande struttura. Poi intendiamoci: ci sono anche clienti più superficiali, che non richiedono e non apprezzerebbero un rapporto troppo intenso con il loro consulente, ma quelli che sono culturalmente più preparati sì che lo apprezzano: anzi, lo richiedono. Pensi che ci sono alcuni nostri consulenti che pianificano l’agenda dell’anno con gli appuntamenti fissi con i loro clienti top. E’ questa la ragion d’essere di una boutique finanziaria, che la distingue dal supermercato. Il tutto, contenendo i costi? Sì, salvo quelli della formazione. Perché è con la formazione di alto livello che si costruiscono le fondamenta di una vera boutique finanziaria. Lavoriamo molto sulla formazione, non
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badiamo a spese. Abbiamo incontri formativi costanti con tutti i nostri consulenti ma in particolare con quelli top. Piccoli gruppi, con tematiche generali di mercato o specifiche sui nostri prodotti. Con molto spazio per il confronto, per le domande e le risposte. Analisi di mercato, analisi dei portafogli, valutazione dei prodotti. Non dimentichi che Consultinvest ha puntato dal primo giorno sull’autonomia analitica con il nostro ufficio studi indipendente. Quest’attività di formazione e di back-office è il vero punto di forza del gruppo. Una domanda… tra parentesi: nella vostra rete c’è anche una consistente presenza di agenti assicurativi: come funziona questa collaborazione? Ne siamo soddisfatti. Da una parte è una valida diversificazione, dall’altra ci consente di proporre anche prodotti assicurativo-finanziari, sui quali collaboriamo con la Vittoria Assicurazioni, nostra socia al 9,6%. E come contemperate l’attività di gestione che fate direttamente con la vendita di prodotti di terzi? Il criterio è quello di concentrarci sulle cose che sappiamo fare meglio. Quindi abbiamo gestioni dirette, la maggioranza, e gestioni in delega, con le quali riusciamo ad avvalerci delle competenze e delle professionalità esterne. È un momento in cui il mercato – e questo numero di Investire lo racconta in dettaglio – sta avvalendosi marcatamente delle gestioni in delega. A nostra volta abbiamo già due casi, due nostri fondi che sono gestiti da gestori terzi, dati in delega. Le reti hanno constatato che con il collocamento di prodotti di terzi non si ottengono margini interessanti, mentre con le deleghe di gestione si possono creare dei prodotti personalizzabili in tutti i sensi e anche dal punto di vista del pricing. Veniamo alla Mifid 2 e ai suoi impatti col mercato. Ormai sono tre mesi… Vuol sapere come ci siamo trovati noi? Direi che dopo un iniziale periodo di acclimatamento e di organizzazione gestionale non abbiamo accusato scossoni. Veda, il cliente guarda quel che guadagna al netto dei costi e se è soddisfatto non discute più di tanto sui costi. Poi, certo, puoi sempre incontrare il cliente superesperto e super-esigente, che si concentra sulla valutazione del rapporto costo-quantità, ma è raro: prevale piuttosto il rapporto fiduciario tra consulente finanziario e cliente. Un altro tema al centro del Salone del risparmio quest’anno è l’affermarsi, sui mercati, dei titoli Esg, quelli che si qualificano perché emessi da imprese sostenibili sia sul piano ambientale che su quello sociale e della governance. Cosa ne pensa? Penso che non sia una moda finanziaria passeggera, percepisco anche tra i nostri clienti un apprezzamento crescente da qualche anno per i titoli che rappresentano aziende sostenibili. Sta diventando un fenomeno culturale vero. E non a caso abbiamo da tempo lanciato una gestione – non un fondo – che investe soltanto in prodotti sostenibili, molto apprezzata. Non la seguo personalmente, ma è affidata a un collega molto competente. E richiamano attenzione, ma anche discussioni, le gestioni attente anche alle Pmi… È un’attività cui partecipiamo, abbiamo un fondo Pir attraverso il quale investiamo in Pmi, si può farlo fino al 10 per
«VOGLIAMO COGLIERE LE OPPORTUNITÀ CHE IL MERCATO CI OFFRE PER CRESCERE ANCHE ATTRAVERSO ACQUISIZIONI» cento del patrimonio anche in titoli non quotati, e prendiamo parte a club-deal importanti per imprese soprattutto medie che emettono, per esempio, minibond finalizzati allo sviluppo. Abbiamo avuto un ruolo importante nell’acquisizione dell’Italtel da parte di Exprivia, e recentemente abbiamo cofinanziato un bond di De Cecco che vuol crescere all’estero. E voi come volete crescere? Intanto facendo al meglio il nostro lavoro, come sempre. E poi cogliendo le opportunità che il mercato c i offre per crescere anche attraverso acquisizioni. Anche questo lo abbiamo sempre fatto. Tanta roba: come fate? Le rispondo anche su questo punto con la massima sincerità. Non è facile. Ci vogliono passione e sacrificio. Il nostro è tutto molto dedito all’azienda, ma al suo interno c’è un team di appassionati che veramente vive una full immersion sul lavoro. Le risorse umane sono cruciali, in quest’industria. E anche per questo mi interessa impostare fin d’ora un percorso di continuità dell’azienda al di là di me stesso che l’ho fondata. Sto favorendo l’ingresso nella compagine dei colleghi più attivi. I consulenti più attivi hanno sposato un certo tipo di modello di business che non è facile da trovare sul mercato ma che non deve dipendere da una sola persona, o da poche persone. E stiamo...sto coinvolgendo soprattutto gli elementi più giovani, la fascia tra i 45 e i 50 anni, esperti ma con tanti anni di prospettiva lavorativa ancora davanti a sé. Concludiamo con la domanda rituale sulle prospettive del mercato. Come la pensa? Tra poco avremo il nostro report e potrò esserle più preciso ma le anticipo che ritengo si viva la fine di un lungo ciclo positivo, per cui stare sull’azionario indiscriminatamente comporta rischi maggiori, bisogna essere prudentissimi, e stiamo consigliando ai clienti di ridurre l’esposizione sulle Borse. aprile 2019 83
SEDIE & POLTRONE di Marco Muffato Casacche che si scambiano, volti noti che passano da un ruolo all’altro: il valzer delle poltrone è intenso nella finanza, dove vige ancora il merito e dove chi rende bene viene promosso o ricoperto di offerte allettanti. Agli HR il compito di attrarre i talenti, a noi quello di raccontare il risiko, oltre a notizie e indiscrezioni su un mondo ricco di costanti novità.
FARNÈ ALLA GUIDA DELLE SINERGIE COMMERCIALI DI CREDEM
S
viluppare le sinergie commerciali tra le reti distributive del gruppo, organizzare in modo uniforme la modalità di segnalazione delle opportunità ed essere punto di riferimento per la direzione per quanto riguarda la rendicontazione dei risultati dell’attività. Sono questi i principali compiti che Credem affida a un nuovo coordinatore, scelto nel gruppo manageriale interno: il cinquantaseienne Andrea Farnè (nella foto) da 35 anni in Credem, e con un passato da direttore
territoriale, responsabile della divisione sviluppo. Farnè è stato a capo della rete dei consulenti finanziari e più recentemente ha ricoperto il ruolo di direttore commerciale delle compagnie assicurative del gruppo Credem. Le segnalazioni di opportunità di sviluppo tra le reti dedicate ai privati, alle grandi imprese ed alle pmi, rappresenta uno dei pilastri della strategia di sviluppo e crescita dell’istituto. Gli obiettivi per il 2019 sono di un incremento del 20% delle segnalazioni.
TREZZI CRESCE ANCORA IN INVESCO
VENTI CF IN 2 MESI PER VOLPATO
S
B
ergio Trezzi (nella foto) sale di grado e assume la carica di managing director, head of retail distribution Emea and Latam di Invesco. Con la nuova carica, il professionista estenderà la propria responsabilità in Emea, aggiungendo all’Europa anche l’Inghilterra e si affermerà (per la prima volta per un italiano nella società di gestione) a capo dell’intera struttura europea del business retail di Invesco. Trezzi manterrà il suo ruolo di country head per l’Italia. In Invesco dal 1999, Trezzi negli anni ha assunto anche il ruolo di head of retail distribution Emea (ex Uk) e Latam. Il manager ha gestito in passato lo European strategic distributors program e il lancio della gamma PowerShares Etf in Europa.
en 20 nuovi acquisti per la rete dei family banker di Banca Mediolanum guidata da Stefano Volpato (nella foto), direttore commerciale dell’istituto di Basiglio, guidato dall’ad Massimo Doris. Venti professionisti nuovi sono stati inseriti nell’organigramma tra gennaio e febbraio. Nove di loro provengono da altri istituti bancari: Alfredo Sangiovanni, Paolo Impagliazzo, Giorgio Vicario, Andrea Vianello, Cristina Ferrari, Luca Miccono, Teresa Carannante, Aldo Benvenuti e Davide Scazzieri.
SHAW E DICKSON NEL FIXED INCOME DI KAMES
I
l team fixed income di Kames Capital si allarga per fare spazio a due nuovi specialisti. Jill Shaw e Thomas Dickson (nella foto) si uniranno al gruppo guidato da Adrian Hull a Edimburgo. Shaw ha ricoperto vari ruoli a livello senior, il più recente dei quali come head strategic engagement, Asia Pacific in Aberdeen Standard Investments.
Dickson, che ha nove anni di esperienza nell’asset management, si unisce al team come investment specialist, un ruolo che aveva ricoperto in Asia specializzandosi nella promozione delle strategie fixed income. Shaw e Dickson lavoreranno a fianco dei gestori per promuovere e le strategie obbligazionarie di Kames Capital e supportare i team di vendita.
LACOURSIERE A CAPO DELL’ESG DI AVIVA INVESTORS
A
viva Investors, l’asset management globale di Aviva plc, dedica una nuova figura alla finanza sostenibile, quella di global head of Esg research. Il ruolo verrà ricoperto da Paul LaCoursiere, professionista interno alla società di investimenti con 17 anni di esperienza nell’asset management. Ba84 aprile 2019
sato a Londra, LaCoursiere riporterà al chief responsible investment officer Steve Waygood e sarà responsabile del processo di ricerca sulle tematiche ambientali, sociali e di governance (Esg) a livello corporate, compresa l’integrazione e il monitoraggio dei criteri Esg in ambito azionario e del credito.
INVESTIRE SPECIALIST
PROFESSIONE CONSULENTE Risponde Francesco Priore all’indirizzo priore.studio@virgilio.it Startupper e decano della consulenza finanziaria, Priore ha fondato l’Anasf e contribuito alla fondazione dell’Albo. Docente Universitario, autore e consulente di comunicazione e marketing finanziario. È stato direttore marketing della rete di Banca Fineco e membro del CdA di Consultinvest Sim.
LA TECNOLOGIA HA BISOGNO DI EMPATIA
CARO INGEGNERE, GESTIRE È DIFFICILE
La mia mandante mi ha dato dei nuovi
Sono una ingegnere meccanico, 30
strumenti tecnologici, con cui seguo i
anni, laureata in Inghilterra, lavoro in
clienti a distanza. Qualche giorno fa però
…. , una delle più prestigiose fabbriche
un cliente mi ha detto: “Dottore, lei ora
di auto italiane. Ho un piccolo
mi chiama solo se ci sono problemi”.
patrimonio. Mi sono scoperta la voglia
Ho capito che questo non è il modo per
di provare a fare la professione del
lavorare con efficacia, che ne pensa?
gestore di patrimoni. Cosa devo fare?
C
G.M. via mail
arissimo, hai constatato che la peculiarità professionale del consulente è la gestione della relazione personale con il cliente. Non c’è alcun dubbio che nel giro di pochi anni l’AI sarà in grado di esercitare gli aspetti tecnici del nostro lavoro con maggiore capacità ed efficienza, infatti taluni hanno già pronosticato che siamo una specie in estinzione e data l’età media e il mancato ricambio generazionale qualche rischio c’è. Questo rischio è comune a molte professioni. Ciò non toglie che c’è un aspetto del nostro lavoro che l’intelligenza artificiale, almeno per ora, non è in grado di svolgere meglio di noi: la relazione umana con il cliente. Bisogna tornare, solo per questo, alle origini cioè vedere tutti i clienti personalmente da due a quattro volte l’anno, non per commentare i risultati o proporre nuove operazioni o switch ma soprattutto per approfondire il rapporto umano, conoscersi, stimarsi, avere il piacere e il gusto della relazione. Operativamente bisogna fare delle scelte, a volte dolorose, riassegnare educatamente e garbatamente tutti quei clienti che abbiamo acquisito ma non siamo riusciti a sviluppare. Se dopo anni l’asset che ci fanno intermediare resta modesto e inalterato è meglio lasciare a un altro collega la possibilità di svilupparlo continuare a tenerlo in portafoglio sarebbe accanimento terapeutico. Affidarlo a un collega è una dimostrazione di professionalità, se tra noi e il cliente non c’è sufficiente empatia, con un altro collega forse sì. Il nuovo collega potrebbe vedersi affidare gradatamente l’intero portafoglio. Succede più spesso di quanto s’immagini. Le indagini dimostrano che mediamente i nostri clienti ci affidano il 50-60% del patrimonio, visto che molti ci affidano tutto, rinuncia a quelli che ci affidano poco. Gli altri clienti da “riassegnare” sono i clienti con portafogli che generano commissioni insufficienti a coprire i costi materiali e temporali richiesti dall’assistenza. Questo può significare che come in Inghilterra i piccoli patrimoni non potranno permettersi un consulente, ma ciò dipende dal fatto che un consulente per svolgere la professione deve vivere dignitosamente, è una legge di mercato. Calcola quanti clienti puoi vedere 2/4 volte l’anno e dedica loro tutte le attenzioni, saranno loro a lavorare per te e questo servirà a far aumentare il patrimonio pro capite intermediato e a compensare il naturale turnover del portafoglio.
S.P. via mail
I
ngegnere, innanzi tutto riflettere, la passione per le auto è poco rischiosa per chi le costruisce ma un po’ meno per chi le deve guidare in un circuito. La passione per la gestione è analoga, se fa il gestore dei patrimoni altrui e sbaglia tutt’al più si gioca il posto o i clienti, se lo fa col proprio patrimonio anche se fosse esperta potrebbe rischiare molto di più. Procedendo con ordine: segua innanzi tutto un corso di ToL (Trading on Line), ce ne sono parecchi validi, lei che poi parla l’inglese come madre lingua, non avrà difficoltà a seguire corsi anglo-americani. Poi inizi a operarare virtualmente, come se stesse progettando una parte di auto, simuli tutto al computer. Per prima cosa imparerà che si tratta di un lavoro che richiede più di 8 ore al giorno. Adotti una alla volta le tecniche che ha appreso, si eserciti, sempre virtualmente. Annoti attentamente i guadagni e le perdite virtuali, archiviandole in modo da poter documentare il suo autotirocinio.Individui i settori del mercato con cui si trova più a suo agio. I mercati, le valute, i derivati. Dedichi il suo mese di vacanze a simulare. Le potrebbe capitare che alla prima simulazione che il risultato le mostri che avrebbe potuto guadagnare tanto, non si penta ma continui a simulare, solo risultati costanti in un periodo ragionavole possono certificare le vere capacità. Perchè il risultato al primo colpo potrebbe essere comparato alla fortuna di chi gioca per la prima volta a poker contro dei professionisti. Se resiste il primo mese, si metta in aspettativa e visto che se lo può permettere, simuli per qualche altro mese. Le conclusioni le trarrà lei. Se verificasse di essere dotata, si proponga a una società di gestione. Potrà esibire la documentazione dell’esperienza reale e …auguri. aprile 2019 85
CONSULENZA
BlackRock, ecco come il portafoglio sta cambiando pelle
I
portafogli del futuro? Saranno più efficienti, diversificati e sostenibili. Parola di BlackRock, il più grande asset manager del mondo, che dopo un anno difficile, sia per l’andamento dei mercati che per l’entrata in vigore di Mifid 2, ha deciso di interrogarsi sul futuro dell’industria del risparmio gestito. Il trittico vincente è il risultato di una ricerca interna dal titolo “Nuovi trend di costruzione di portafoglio” riproposta nel recente road show al mondo della consulenza ed elaborata sull’analisi di 170 portafogli. «La ricerca ci ha permesso di individuare le caratteristiche dei portafogli che hanno conseguito i migliori risultati nel 2018. Portafogli con una gamma più ampia di strumenti finanziari (inclusi investimenti tematici/ settoriali e alternativi liquidi), con un costo medio di portafoglio più basso, e che mostravano una forte tendenza al tema della sostenibilità, hanno reagito meglio al particolare scenario di mercato del 2018», spiega Luca Giorgi, head of retail sales BlackRock Italia, Grecia e Malta. Sulla base di questa analisi BlackRock ritiene che il modo di costruire i portafogli nel mondo nella consulenza cambierà, spinto dalle tre forze principali dell’efficienza, della diversificazione e della sostenibilità, e che questo trend porterà a un minore utilizzo di fondi attivi tradizionali - che sono presenti per l’85% nei portafogli analizzati (seguiti da Etf e fondi alternativi liquidi al 7% ciascuno e da Etf Smart beta all’1%) – a favore di una maggiore adozione di fondi alternativi liquidi e illiquidi e della componente di Etf. Inoltre anche la composizione della quota di attivo tradizionale andrà incontro a forti cambiamenti procedendo verso un’importante diversificazione con una forte crescita di investimenti azionari/ settoriali e un aumento delle strategie sostenibili. Il tutto combinato con degli indicatori Esg (Environment, social, governance). BlackRock gestisce circa 30 86 aprile 2019
di Gloria Valdonio
LA REVISIONE DELLE LOGICHE ALLA BASE DELLA COSTRUZIONE DEI PORTAFOGLI SPINGONO GLI ETF E GLI ALTERNATIVI ILLIQUIDI
A sinistra Luca Giorgi, head of retail sales BlackRock Italia, Grecia e Malta. A destra Andrea Favero, head of wealth IShares Italia
tra fondi attivi ed Etf che rispettano i criteri Esg, categoria che vale oggi circa un trilione di dollari, ma destinata a moltiplicare per 15 nei prossimi anni. «Stiamo affrontando il tema della sostenibilità non solo escludendo, ma soprattutto valorizzando alcune aziende, e oggi possiamo affermare che si può investire in maniera responsabile senza rinunciare alla performance», spiega ancora Giorgi. In ogni caso l’elemento forse più significativo della ricerca di BlackRock è rappresentato dall’aumento del peso di fondi passivi ed Etf sulla scia di quanto avviene in Usa, dove ben il 30% dei portafogli sono allocati su esposizioni indicizzate contro l’attuale 7-8% dell’Italia. «Anche in Italia stiamo assistendo a questo fenomeno che ci avvicina ad altri Paesi europei – spiega Andrea Favero, head of wealth iShares Italia, BlackRock - e l’elemento più interessante è che i consulenti italiani non ne fanno solo un utilizzo tattico, ma strategico». In questo ambito sono due le tendenze da segnalare a livello globale: la crescita della consulenza fee-based, che negli Stati Uniti rappresenta già il 55% del mercato ma è attesa raggiungere l’80% nel corso dei prossimi due anni; e l’attenzione al value for money, che sposta la valutazione del cliente dalla mera remunerazione a un contesto di attenzione ai costi dei prodotti e dei servizi. «Per concludere, nei portafogli dei consulenti ci aspettiamo una significativa crescita dei prodotti indicizzati, soprattutto Etf, in grado di generare beta, e una maggiore attenzione nella selezione dei fondi attivi capaci veramente di generare alpha», conclude Favero.
POLE POSITION
a cura di Buddy Fox
CINA O USA? LA POLITICA SIA CONSAPEVOLE DELLE CONSEGUENZE
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hissà perché ogni volta che l’Italia è alle prese con un importante accordo la discussione tra favorevoli e contrari varca i confini domestici per diventare un affaire internazionale in cui alla fine a guadagnare sono altri. Fossimo l’ombelico del mondo? Nel 2004, per dire, a percorrere la “via della seta” furono grandi politici europei come Chirac e Schroeder. Insieme ai più importanti imprenditori dei loro paesi furono bramosi di portare a casa contratti firmati, sulla scorta alquanto utopistica di avere in futuro una Cina che incoraggiasse riforme politiche di maggiore apertura e anche di maggiore attenzione ai diritti umani più volte violati. Tutte speranze puntualmente disattese. Tuttavia in questi casi non ci fu nessun bailamme. Possibile che si dia fiato alle trombe della polemiche e dei ricatti solo per l’Italia? Adesso che la firma con la Cina è proprio vicina, impazzano le critiche tra chi avversa il possibile accordo in quanto andrebbe contro il volere degli Stati Uniti, e chi invece lo vede come un’occasione da valutare attentamente e da sviluppare “in casa”. “Il Paese è nostro e decidiamo noi”, “Italia prima”, sono tutti slogan che non fanno una piega, ma la vita di uno Stato non è fatta di soli slogan, ci sono anche
politica e strategia nazionale prima, e strategia economica poi. E c’è anche la storia, orizzonte che molti dimenticano di guardare. L’Italia, ricordiamolo, ha perso l’ultima guerra, ha avuto l’aiuto degli americani e, anche grazie all’America, si è sviluppata, possiamo dimenticarlo? Possiamo dimenticare quanta e quale sia la presenza degli Stati Uniti in Italia? Basterebbero solo le basi. Ma ci sono anche la finanza, le partecipazioni e il debito in mano loro. Nel caso di un eventuale “sgarbo”, potrebbero anche decidere di negare futuri aiuti e non comprare più, se non addirittura vendere, i nostri delicati Btp. Anche le spigolose agenzie di rating hanno passaporto USA. Qui si torna agli annosi problemi che vincolano il nostro paese ai ricatti internazionali: la nostra “credibilità”, sostantivo di cui le agenzie di rating abusano come scusa quando ci devono declassare, e il debito, materia di scambio soprattutto con gli Stati Uniti che ci forniscono accordi economici e finanziari e chiedono in cambio relazioni internazionali fedeli. In questo momento con la Cina sono in ballo 1 o 2 miliardi. Valgono il rischio? Possiamo fare e decidere tutto quello che vogliamo, però prima dobbiamo essere consapevoli delle conseguenze.
SCALATA AL LEONE ALATO, QUEL SOGNO NEL CASSETTO RIMARRÀ TALE
G
enerali ha licenziato l’ultimo bilancio con risultati tutti positivi anche se l’utile netto, salito a 2,3 miliardi, è stato più basso delle aspettative degli analisti, e con la clamorosa novità di esordire nell’azionariato diffuso: da ottobre e per tre anni i 71mila dipendenti potranno acquistare circa 6 milioni di azioni a un prezzo di favore. Generali non è un titolo qualunque. Anzi è uno dei due sogni nel cassetto, che secondo gli operatori, sarebbero capaci di mandare in visibilio Piazza Affari che sono il matrimonio tra Telecom e Mediaset e la scalata al leone alato. Ultimamente nell’azionariato di Generali ci sono stati importante movimenti. Agli storici soci Gaetano Caltagirone e Leonardo del Vecchio (nelle foto), che rispettivamente hanno raggiunto le quote del 5,01% e del 4,87%, che aggiunte a quelle in mano ai De Agostini e ai Benet90 aprile 2019
ton e al principale socio italiano, Mediobanca, con il 13%, che porta la quota italiana al 30%, si aggiunge a sorpresa il 4,97% di SocGen, una spina nel fianco? A detta dei francesi l’operazione non ha carattere speculativo. Di solito gli accumuli che avvengono alla luce del sole non portano mai clamorose ed eccitanti operazioni. È probabile che questo sogno resti al chiuso per altro tempo ancora.
INVESTIRE SPECIALIST
A WALL STREET IL TERRORE VIENE DAL CIELO
B
rexit, tassi d’interesse, incertezze per l’accordo sui dazi tra Cina e Usa, rischio recessione e le solite schermaglie politiche in Europa tra i possessori dell’euro, gli investitori di tutto il mondo sono talmente concentrati sui rischi veri o presunti che possono accadere qui sul floor, da non accorgersi che i veri pericoli sono altrove. Alzate lo sguardo, il terrore viene dal cielo. Due incidenti nell’arco di pochi mesi, prima l’inabissamento in mare subito dopo il decollo da Giacarta della compagnia aerea a basso costo Lion Air del 29 Ottobre 2018, bollettino drammatico di 181 passeggeri e 8 dell’equipaggio, nessun sopravvissuto, e quello recente, precipitato in Etiopia, anche questo pochi minuti dopo il decollo da Addis Abeba, della compagnia Ethiopian Airlines, un disastro costato 157 morti. Cos’hanno in comune queste due tragedie? Che entrambi gli aerei erano nuovi di zecca, ed entrambi erano 737 Max prodotti dal colosso Boeing. Boeing il gigante dei cieli, il termine è appropriato, essendo un’azienda che ha più di 100 mila dipendenti in tutto il
mondo, e che da tutto il mondo riceve grandi quantità di ordini per i suoi modelli considerati di grande affidabilità e prestigio. L’ultimo il 737 Max ha permesso all’azienda di far salire i ricavi per la prima volta a circa 100 miliardi di dollari. Ricavi che hanno permesso al titolo di salire alla quota record di 440$ (+18% nel 2018, e uno strepitoso +1.300% dal minimo del 2009), diventando il principe del Dow Jones. Molte rose portano altrettante spine, perché proprio il 737Max, a causa delle stragi, è la pietra dello scandalo che messa al collo dell’areo più famoso del mondo, può far crollare le quotazioni. Un guasto meccanico che si trasforma in guasto finanziario. E qui viene la seconda dolente nota, per il particolare metodo di calcolo sull’indice Dow Jones, in cui non è il titolo a maggior capitalizzazione che ha il peso maggiore, ma quello che ha il prezzo più alto, se Boeing entra in un vuoto d’aria, per il Dow Jones diventa una turbolenza. Attenzione dunque alle azioni Boeing, perché se l’aereo precipita, sarà il Dow Jones a pagare i danni.
COME IN HOTEL CALIFORNIA, DALLA POLITICA MONETARIA NON SI ESCE
L
e “Relax said the night man/We are programmed to receive/You can check out any time you like/But you can never leave!” questa è la strofa finale della celebre “Hotel California” degli Eagles, un lentazzo che il dj più celebre della finanza David M. Solomon (Ceo di Goldman Sachs) farebbe passare a conclusione della serata, ma che invece i mercati hanno deciso di farne una colonna sonora, dall’inizio alla fine (se mai ci sarà) di questo lungo ciclo rialzista sia economico che di Borsa. Hotel California, fuor di metafora, è una palese dichiarazione di schiavitù nei confronti degli stupefacenti, stupefacenti che in termini finanziari possono essere tradotti in droga monetaria, che ancor più chiaramente viene rappresentata dall’uso e abuso di tassi d’interesse bassi e grandi quantità di denaro elargito dalle banche centrali gratuitamente di cui gli investitori sono diventati schiavi. Una manna, la pioggia di denaro, che anni fa veniva simboleggiata dall’elicottero guidato da Ben Bernanke (ex presidente della Fed) che continua a cadere nonostante i prodigiosi risultati finanziari degli ultimi anni. Tutte le volte che si è tentato di chiudere il rubinetto, perché gli incentivi potevano essere ridotti, è sempre accaduto qualcosa che ha “costretto” i banchieri centrali a fare retromarcia. La
Brexit, i dazi tra Cina e Usa, il terrorismo internazionale, la crisi delle banche, la crisi dell’euro, quella sul Petrolio, il rischio sovranista in Europa e da ultimo la fantomatica recessione mondiale. L’ultimo in ordine cronologico è Mario Draghi, che dopo aver chiuso il QE, fa un passo indietro annunciando una nuova operazione TLTRO, ovvero un finanziamento agevolato per le banche europee. Rilassati, dice la canzone, tu potrai uscire dall’Hotel quando vuoi, ma non lo farai mai. E così in questo circolo vizioso della politica monetaria, anche se l’economia e la borsa corrono, perché rinunciare al denaro gratis, specie se l’inflazione sembra essere scomparsa? Sarà mica rinchiusa anche lei dentro l’Hotel?
BANCA IFIS, ANCHE I MIGLIORI MATRIMONI PRIMA O POI FINISCONO
C
lamoroso a Piazza Affari, dopo 24 anni di fedele servizio, Banca Ifis scarica il suo ad Giovanni Bossi. Succede anche nelle migliori famiglie, peccato perché erano ormai a un passo dalle nozze d’argento. Giovanni Bossi della Banca Ifis, il cui socio di maggioranza con il 50,17% è la holding La Scogliera di Sebastian Egon Furstenberg, era ormai per diritto acquisito uno di famiglia in casa Agnelli, un uomo prezioso e capace, che in 24 anni di gestione è riuscito a trasformare un anonimo istituto di finanziamento e sconto del
valore di 3 miliardi delle vecchie lire, in una delle più note banche sui crediti deteriorati e che oggi è arrivata a capitalizzare un miliardo di euro. La notizia è clamorosa, soprattutto visti gli ultimi dati di bilancio del 2018 che vedono l’utile a 146,8 milioni, con un accelerazione del 154% nell’ultimo trimestre rispetto al terzo, e la proposta di un dividendo di 1,05€, una cedola record per il gruppo. La notizia del divorzio ha stupito la borsa che nella seduta successiva all’annuncio ha visto il titolo perdere il 15,95%. Il calo sul titolo però era già iniziato a ottobre del 2017 quando da un massimo di 45€ è sceso a 15€. Oscillazioni e cali a cui il titolo non è nuovo, accadde qualcosa di simile nel 2016 con la fine di Clara Agnelli madre di Furstenberg. Divorzi e cambi generazionali, e c’è già chi mormora che sia prossimo uno spezzatino della banca. aprile 2019 91
TALENT
LA COMPETIZIONE TRA UN “FAI DA TE”, UN CF E UN ROBOADVISOR
Investimenti di una 70enne al centro della quarta gara “Una poltrona per tre” è una competizione tra tre portafogli realizzati da un “fai date”, un consulente finanziario e un roboadvisor. Ha la durata di un anno e prevede la possibilità di rotazione del portafoglio, con un cambio di massimo due strumenti, al termine del primo semestre. Ogni mese partirà una nuova gara. Aggiornamenti e confronti L’aggiornamento sull’andamento di ciascuna di esse avrà cadenza semestrale. Tre concorrenti che non copiano La composizione dei portafogli è elaborata
LE SCELTE DEL “FAI DA TE”
di Giacomo Damian
in completa autonomia dai partecipanti al talent e oltre ad avere lo scopo della competizione vuole offrire spunti meramente informativi inerenti l’impiego di strumenti finanziari quotati sul mercato regolamentato italiano. Le informazioni e le analisi esposte pertanto non costituiscono sollecitazione al pubblico risparmio qualunque decisione di investimento e il relativo rischio rimane a carico dell’investitore. Investire non si assume alcuna responsabilità per l’eventuale utilizzo che il lettore potrà fare dei contenuti esposti.
Il target è una donna pensionata, di 70 anni, con una pensione minima di 500 euro mensili. L’obiettivo è di integrare la pensione con le rendite derivanti dal flusso cedolare dell’investimento. Complessivamente il rischio del portafoglio risulta medio-alto e l’orizzonte temporale consigliato è di medio-lungo termine. Il benchmark è l’S&P High Yield Dividend Aristicrats Index.
DIVIDENDI E CEDOLE PER INTEGRARE IL REDDITO
ISIN
Se è vero che c’è un pianeta, quello economico, NL0010877643 che da mesi sta vivendo un periodo di sofferenza, XS1739839998 con statistiche come gli indici anticipatori (Pmi, US369604BF92 ordinativi e produzione) in costante flessione, disoccupazione in aumento, Pil in calo e IT0003242622 le revisioni al ribasso che società di rating e istituzioni come Fmi, quotidianamente XS1614415542 sfornano a ritmo costante, ce n’è un altro, ed è il pianeta finanziario, che vive di un anomalo US900123AT75 (?) e solitario periodo di stabile e continua crescita. IE00B6YX5D40 Ed è proprio alla finanza e ai mercati finanziari in generale (borse più bond) a cui rivolgiamo la nostra attenzione per incrementare quello che il reddito da lavoro oggi non riesce più a offrire. In questa puntata del talent “Una poltrona per Tre”, abbiamo tentato di costruire un portafoglio con l’obiettivo di garantire un buon rendimento sul capitale investito, attraverso un flusso cedolare, composto sia da dividendi azionari che dalle cedole obbligazionarie tale da supportare il reddito mensile, che secondo il profilo di questo mese è rappresentato dalla pensione. Con tassi così bassi, l’impresa nella ricerca può sembrare all’apparenza ardua: in verità, come abbiamo sottolineato, il pianeta finanziario gode di un periodo di abbondanza, anche in Italia dove dopo molto tempo persino Piazza Affari più volte arida di soddisfazioni, oggi può offrire uno stacco di dividendi succulento: 19 miliardi di cedole è l’ultima rilevazione. Ovviamente, per raggiungere un certo rendimento è necessario alzare l’asticella
92 aprile 2019
IL PROFILO DEL MATCH
FONDO
MIX
FCA
25%
UNICREDIT (perpetual bond)
20%
GENERAL ELECTRIC bond 2042
15%
TERNA
10%
INTESA SANPAOLO (perpetual bond)
10%
TURCHIA 8% 2034
10%
SPDR S&P U.S. DIVIDENDS ARISTOCRATIS UCITS ETF
10%
del rischio sia per la scelta degli strumenti, che per la duration obbligazionaria. Nel mio caso ho voluto privilegiare le obbligazioni bancarie (meno rischiose rispetto allo strumento azionario) che forniscono un’ottima cedola, un titolo come Fca ritornato al dividendo dopo 8 anni, con l’eccezionalità di un doppio stacco, dividendo ordinario più l’extra dividendo proveniente dalla cessione di Magneti Marelli, a cui aggiungo un titolo come Terna che ha un doppio stacco annuale (acconto più saldo), General Electric e Turchia per mettere un po’ di pepe nel portafoglio e per concludere un Etf che ha come obiettivo quello di replicare la performance di alcuni titoli azionari ad alto rendimento del mercato azionario statunitense. Anche quest’ultimo strumento ha uno stacco cedolare semestrale, questo per permettere una maggiore distribuzione di rendimento, per supportare il reddito da pensione lungo tutto l’arco dell’anno.
INVESTIRE SPECIALIST
LE SCELTE DEL CONSULENTE FINANZIARIO CERTIFICATI ED ETF PUNTANDO SUL FLUSSO CEDOLARE NOME
ISIN
PESO%
Componente Azionaria
DBXT Stoxx Global Select Div 100 Globale
LU0292096186
20,00%
Componente Azionaria
iShares Asia Pacific Dividend
IE00B14X4T88
10,00%
Componente Certificati
Aletti Target Cedola FTSEMIb
IT0005175713
10,00%
Componente Certificati
Aletti Target Cedola Stoxx Sel. Div. 30
IT0005120578
10,00%
Componente Obbligazionaria
SPDR Barclays Euro High Yield Bond
IT00B6YX5M31
20,00%
Componente Obbligazionaria
Lyxor BofAML Dollari HY Bond Eurh
LU1435356495
20,00%
Componente Obbligazionaria
BTP 2,45 % 01/10/2023
IT0005344335
10,00%
Alessandro Pazzaglia* Il portafoglio realizzato è rivolto in via preferenziale agli investitori che presentano le seguenti caratteristiche: innanzitutto sono risparmiatori retail con conoscenza base di fondi, Etf, obbligazioni e certificati. Hanno come obiettivo l’investimento in crescita del capitale e la distribuzione di una reddito periodico. Inoltre hanno una tolleranza al rischio media (gli strumenti con rischio elevato sono inseriti a scopo di diversificazione del rischio) e non necessitano di alcuna garanzia di protezione del capitale.Hanno un orizzonte temporale di medio termine. Detto questo i tassi di interesse tenuti bassi in Europa causano una riduzione dell’ammontare cedolare delle emissioni governative e coporate. Le emissioni governative italiane danno cedole superiori al 2% solamente per scadenze oltre i 10 anni. Ricordiamo che il rating dell’italia è comunque al limite dell’investiment grade. Anche in ambito corporate le emissioni di questi ultimi anni hanno tassi cedolari molto limitati. Per questi motivi risulta impossibile costruire un portafoglio con cedole apprezzabili senza esporsi a fattori di rischio rilevanti. La componente azionaria viene costruita per mezzo di Etf che investono nelle società che distribuiscono maggiori dividendi. La componente in certificati mira a generare un flusso cedolare legato all’andamento degli indici di borsa. Questo in linea generale. Più in particolare i tassi di interesse tenuti bassi in Europa dalla Bce, che Mario Draghi ha deciso di tenere ancorati allo zero per un prolungato e imprecisato lungo periodo di tempo, causano una riduzione dell’ammontare cedolare delle emissioni governative e corporate. Trovare rendimenti non è facile, perché oggi il rischio non è più solo nel rendimento elevato, come gli studi classici dell’investimento insegnano, oggi il rischio si nasconde anche nei rendimenti
tenuti artificialmente bassi, come per esempio il Bund, scovare rendimenti sta dunque diventando complesso, che necessita grande attenzione e pazienza, come la caccia al tartufo. Le emissioni governative italiane danno cedole superiori al 2% solamente per scadenze oltre i 10 anni. E per avere rendimenti superiori al 3% bisogna osare su scadenze temporali trentennali, a cui si deve aggiungere un particolare di non poco conto, e cioè che il rating dell’Italia è comunque al limite dell’investiment grade, situazione che dunque, allungata nel tempo, può mettere in pericolo, il capitale investito. Più è lunga la durata del prodotto, più è possibile incorrere in qualche mareggiata lungo il viaggio, specie se la barca, come nel caso dell’Italia, è già piena di falle. Per questo ho deciso di limitare l’investimento sul nostro Paese a una quota minima del 20%. Anche in ambito delle obbligazioni corporate, cioè quelle relative alle emissioni delle società private di tutto il mondo, l’offerta di questi ultimi anni ha tassi cedolari molto limitati, seppur sempre superiori all’offerta dei titoli di stato, non ha più quella generosità che poteva trovare nel periodo prima della crisi finanziaria del 2008. Per non parlare dei tassi anni ’90 e ’80, esperienze lontane anni luce e che probabilmente non rivedremo ancora per molti anni. Per questi motivi risulta impossibile costruire un portafoglio con cedole apprezzabili senza esporsi a fattori di rischio rilevanti, e senza doversi spostare in luoghi ben più lontani e per certi versi inesplorati, come le aree emergenti con una crescita ancora embrionale. La componente azionaria viene costruita per mezzo di Etf che investono nelle società che distribuiscono maggiori dividendi, spaziando e diversificando tra tutte le maggiori borse del mondo. La componente in certificati mira a generare un flusso cedolare legato all’andamento degli indici di borsa. Ho cercato quindi di scegliere tra tutte le classi di investimento, per avere il più possibile un portafoglio completo a soddisfazione delle esigenze del profilo indicato. *in corso di iscrizione all’albo Ocf, sezione dei consulenti
aprile 2019 93
TALENT
LE SCELTE DEL ROBOT (elaborazioni di Investire sui dati Deus Technology) “Quota 100” è stato uno temi dominanti della scorsa campagna elettorale, ed è un tema centrale tutt’ora, un anno dopo, sia tra le persone in odore di pensionamento, sia tra chi la pensione ancora la vede con il binocolo, ed è disposto a tutto pur di arrivarci con qualche anno di anticipo, anche dovendo rinunciare a parte dei contributi versati come remunerazione della futura pensione. Siamo in anni dove la coperta è sempre troppo corta, e a qualcosa si è costretti a dover rinunciare, vuoi meno anni di lavoro? Devi rinunciare a parte della remunerazione pensionistica. Ma chi l’ha detto che bisogna vivere di stenti? Ed è qui che magicamente la finanza corre in soccorso, perché se nel reddito da lavoro la siccità è dilagante, nel reddito finanziario sembra di vivere in una foresta pluviale, dove il denaro cade a pioggia. Però bisogna saperlo cercare, e con molta attenzione, perché nulla è regalato, come si dice in gergo non esistono “pasti gratis” per nessuno.Come ogni mese abbiamo chiesto alla società Deus Technology, una bella e dinamica realtà italiana del mondo fintech, di aiutarci a creare un portafoglio capace di soddisfare le
esigenze del profilo di questo mese. Anche il roboadvisor, oltre a distribuire i rischi in parti uguali tra mondo azionario e mondo obbligazionario, ha ritenuto necessario diversificare in ogni parte del mondo, di contro, per diluire il rischio, ha pensato bene di ancorarsi su prodotti che privilegino il dividendo. Si possono tentare diverse strade, ma per ottenere quanto ci siamo proposti e per poter garantire importi cedolari così rilevanti, in un contesto di tassi d’interesse molto bassi come quello che stiamo vivendo, occorre inserire all’interno del portafoglio asset class il cui rischio è significativamente maggiore, rispetto ai titoli di stato o alle obbligazioni investiment grade. Per questi motivi, e per le regole di mercato di rischio/rendimento, anche il roboadvisor ha osato puntando in parte preponderante (sia per la quota azionaria e sia bond) sui mercati emergenti e sugli high yield, con un pizzico di Btp Italia. Perchè se in tema di mercato del lavoro, e di crescita economica, l’Italia è ancora fanalino di coda, in campo finanziario, come rendimento, si permette di combattere tra le prime della classe.
MERCATI EMERGENTI E HIGH YIELD IN PRIMO PIANO ISIN
NOME
1/12/2018
US9219464065
Vanguard High Dividend Yield ETF Dis USD
15,00%
LU0629873083
NN (L) US High Dividend P (Y)Dis EUR
15,00%
US97717W3152
WisdomTree Emerging Markets High Dividend Fund Dis USD
20,00%
US4642861789
iShares Global High Yield Corp Bd ETF Dis USD
20,00%
US78464A4177
SPDR Bloomberg Barclays High Yield Bond ETF Dis USD
10,00%
LU0812852332
Amundi Funds II Emerging Markets Corporate HY Bond E Dis EUR
10,00%
IT0005024234
Italy-3.5 Btp-1Mz30-01/03/2030 CF EUR
10,00%
LE MACROAEREE DEL PORTAFOGLIO ROBOTICO PESO
MACRO
AZIONARIO Obbligazionario
94 aprile 2019
50%
MICRO
PESO
Azionario Emergenti
30,00%
Azionario High Dividend
25,00%
BTP Italia
15,00%
Obbligazionario Emergenti
15,00%
Obbligazionario High Yield
15,00%
INVESTIRE SPECIALIST
Pietro guida la riscossa di Azimut DIGITAL MAGICS: la notizia non è tanto il ritorno all’utile, 386 mila euro rispetto al rosso di 6,83 milioni del 2017, ma la distribuzione del dividendo: 0,05 per azione. Quanti se lo aspettavano? Per Digital Magics, incubatore e acceleratore di startup (la Silicon Valley made in Italy), il 2018 è stato un periodo di grande lavoro che a fine anno ha portato un primo concreto risultato: la cessione del 9% di Talent Garden (altra eccellenza italiana) con una plusvalenza di ben 3,2 milioni. Realizzazione che ha fatto salire la Pfn da 2,43 a 3,02 milioni. Il settore del digitale, e specialmente degli incubator, si sa che merita pazienza, ricerca e anche un pizzico di fortuna perché non tutti i progetti alla fine fanno centro. DM ha dimostrato di saperci fare, e ha le spalle forti, e soprattutto è molto attiva. Per il 2018 ha già in cantiere nuovi investimenti in startup innovative, puntando in particolare su Artificial Intelligence e Impresa 4.0, oltre al consolidamento nelle partnership strategiche. Nei numeri DM per quest’anno ha in programma di investire 3,5 milioni (erano 2,6 milioni nel 2017) e di puntare su 10-15 startup. La crescita è sempre un mantra della società. Ora manca solo il rialzo di borsa, Piazza Affari sembra solo essere un po’ distratta.
BE: ricavi operativi a 145,3 milioni (+13,7% rispetto al 2017), Ebitda a 23,6 ml (+37,3%), Utile Netto a 5,5 ml (+22,4%), e soprattutto una Pfn che passa in positivo a 0,9 ml, rispetto a un indebitamento di 5,5 ml del 2017, nonostante la distribuzione di dividendi per 2,7 ml, l’acquisto di azioni proprie per 2,3 ml (il buyback è tutt’ora in corso) ed esborsi netti per M&A pari a 1,9 ml. Questi sono i principali numeri di bilancio (strabilianti!) della piccola, ma in grande crescita, BE. Il gruppo BE, è tra i principali player italiani nel settore dell’Itc, e fornisce servizi di business consulting, information technology e professional services. Grazie alla combinazione di competenze specialistiche e avanzate tecnologie, supporta primarie istituzioni finanziarie, assicurative e industriale. Ha circa 1.100 dipendenti ed è presente in tutta Europa, dal Regno Unito alla Svizzera, dalla Germania alla Polonia. La società è quotata nel segmento Star di Piazza Affari, alta qualità, e anche quest’anno distribuirà un buon dividendo, ma la notizia eclatante dell’ultima pubblicazione di bilancio è il raggiungimento con un anno di anticipo dei target di crescita interna, definiti nel piano industriale 2017-2019. E la Pfn tornata in positivo! E il titolo? Langue, rimane su livelli stabili da anni. Una spinta, oltre ai numeri, potrebbe arrivare dalla prossima quotazione in borsa di Nexi (ex CartaSì), la società di pagamenti digitali, una matricola che potrebbe diventare presto gigante e che ha molto appetito, in un settore ad alto potenziale di crescita.
PIETRO GIULIANI PRESIDENTE AZIMUT HOLDING
Sinergie in arrivo? I saldi che nessuno vede.
AZIMUT: non esiste migliore opera di conversione di un rialzo a perdifiato. Specie se sei posizionato corto. Ed è quanto sta accadendo nel primo trimestre 2019, dove Azimut, dopo essere stato uno dei peggiori titoli del Ftse-Mib40 del 2018 (-32% annuo e un -50% dai max), sta ribaltano totalmente la situazione, guadagnando con merito la leadership di miglior titolo: +60% aggiornato al 19 marzo. Il merito? La grande caparbietà del suo condottiero, Pietro Giuliani che nelle ultime uscite si è detto convinto dell’immenso valore del suo gruppo, pronto alla lotta contro i fondi che in questo momento stanno ostacolando la crescita borsistica con posizioni ribassiste. Dal punto di vista industriale, nuovi accordi nei paesi dove c’è maggiore crescita, il rafforzamento in Cina attraverso Youmy, alla caccia dei paperoni cinesi. L’uno due che ha steso i ribassisti è arrivato grazie anche all’annuncio di un nuovo e corposo dividendo: 1,5€. Nonostante le buone notizie le posizioni allo scoperto rimangono sostenute intorno all’8%, anche se nelle ultime settimane sono calate del 30% rispetto ai massimi di gennaio. L’altra notizia è il volume di scambio, che solo nella prima decade di marzo ha riguardato il 16% del capitale. Vuoi vedere che la stessa mano che va al ribasso per tenere le quotazioni frenate, poi con un gioco di prestigio finanziario, accumula? Sarebbe la classica strategia che poi porta a qualcosa di più eclatante. Sorpresona in arrivo? DIRECTA PLUS: la piccola del grafene, società di Lomazzo (Como), quotata sull’Aim di Londra e che tanto ci piace, sembra aver finalmente trovato il suo mecenate. Il personaggio si chiama Patrick Soon-Shiong, miliardario americano (68° tra i paperoni nell’ultima classifica di Forbes) che ha di recente comprato il Los Angeles Times, è un medico, scienziato ed esperto di biotecnolgie. E da ora è anche il primo azionista di Directa Plus, avendo acquistato lo scorso 30 gennaio il 18,95% delle azioni. A Soon-Shiong non deve essere sfuggita la particolarità dei prodotti di Directa Plus, prodotti a base di grafene chemical-free, dunque naturale e su misura per le applicazioni di settori specifici, in cui i consumatori sono più esigenti sul tema sostenibilità. Settori come lo sport, il tessile e l’ambiente. Ma più di tutto a Soon-Shiong non sono sfuggiti i numeri di bilancio di Directa Plus, che nell’ultimo anno ha beneficiato di un fatturato che è passato dai 0,9 ml del 2017, ai 2,3 ml stimati per il 2018, un balzo del 140%. Un balzo anche per il titolo che nei giorni del deal è passato da 50 pence a 70, poi rientrato a 60 p. Ancora ben poca cosa rispetto ai massimi del 2016 collocati a 220 p. Al grafene la Brexit non fa paura. aprile 2019 95
EVOLUZIONI
Tecnologia, ecco i quattro strumenti che hanno cambiato il mercato
A
in collaborazione con Fugen Sicav
nche nell’attività di compravendita di mercato, così come in tanti settori dell’economia, la tecnologia ha imposto profondi mutamenti, arrivando a ridefinire le stesse regole del gioco. Gli strumenti tecnologici oggi operativi sul mercato sono principalmente quattro: i sistemi di negoziazione Hft; gli algoritmi; i Robo-advisor; il Machine Learning applicato ai mercati. I sistemi di High frequency trading (Hft) sono macchine basate su algoritmi di trading, che operano sui mercati a velocità elevatissime: possono raggiungere l’ordine di grandezza del millesimo di secondo. Per garantire la massima velocità possibile e ridurre il tempo di latenza si trovano fisicamente in prossimità delle sedi borsistiche di tutto il mondo. Il tipo di operazione effettuata dagli Hft è generalmente di tipo “esegui immediatamente o cancella”, ma solo una minima parte viene effettivamente eseguita. Le posizioni aperte con questa logica vengono chiuse dopo pochi secondi, con guadagni minimi, sfruttando un gran numero di posizioni nell’arco della giornata. Il trading algoritmico è costruito con modelli matematici e statistici che forniscono segnali operativi di acquisto e vendita di un singolo strumento finanziario. Oltre alle posizioni da aprire o chiudere, il programma indica il volume da scambiare, il prezzo di entrata in posizione e una logica di gestione del rischio mercato per massimizzare i guadagni. La maggior parte degli algoritmi di trading vengono creati partendo dalle serie storiche degli strumenti finanziari su cui dovranno operare, così da prevedere quale sarà la tendenza del mercato in base ai comportamenti passati del titolo in oggetto. La maggior parte ha un’operatività giornaliera che va dai 5-10 minuti alle 8 ore, ma esistono anche algoritmi con operatività settimanale e mensile. I Robo-Advisor sono dei programmi che possono supportare o sostituire i consulenti finanziari. L’impiego di questi strumenti permette di ridurre e agevolare il lavoro del consulente semplificando la comunicazione e la gestione del cliente. I Ro96 aprile 2019
HIGH FREQUENCY TRADING, ALGORITMI, ROBO-ADVISOR, MACHINE LEARNING: LA RIVOLUZIONE È SERVITA, E CHI NON SI ADATTA È PERDUTO bo-Advisor più evoluti hanno un software basato su formule e algoritmi matematici codificati con lo scopo di creare e gestire in completa autonomia un portafoglio di investimento. Tali strumenti permettono di individuare il profilo di rischio del cliente e sono in grado di effettuare l’asset allocation in maniera precisa e affidabile. Il tipo di strumenti finanziari consigliati sono principalmente Etf (fondi passivi quotati sul mercato) e titoli. Il Robo-Advisor generalmente investe tutto il capitale disponibile per poi effettuare generalmente con cadenza mensile un ribilanciamento del portafoglio. Con il machine learning è la macchina a definire le regole logiche da applicare a un problema, sulla base di variabili decisionali contenute nel programma. In ambito finanziario generalmente opera su diversi fronti: il supporto al settore commerciale e marketing per migliorare la customer experience del cliente, la gestione di portafogli e l’ambito del trading. Nel marketing può essere impiegato per analizzare il sentiment su un servizio fornito, così da identificare e configurare un prodotto cucito su misura del cliente. Nella gestione di portafoglio con il machine learning è possibile realizzare una modellizzazione del rischio più efficiente, che consente la creazione di portafogli più performanti a parità di rischio. Sul fronte trading l’elevata potenza di calcolo fornita dalle macchine permette di determinare i segnali di acquisto o vendita di uno strumento finanziario prendendo in considerazione un’enorme quantità di dati.
INVESTIRE SPECIALIST
FONDI
Small-Mid Cap Europa @La Financière de l’Echiquier in collaborazione con Lfde
E
chiquier Agenor Small-Mid Cap Europa è investito in società europee a media capitalizzazione con una forte connotazione growth. Emblematico della metodologia di stock-picking sviluppata da La Financière de l’Echiquier, il fondo, gestito dal 2014 dagli attuali fund manager, presenta anche una peculiarità: ogni decisione di investimento è sempre condivisa all’interno del team di gestione. Composto da tre manager e due analisti, il team vanta un know-how conclamato oltre a un track record di qualità. Durante gli innumerevoli viaggi fatti in tutta Europa, alla ricerca dei migliori progetti di crescita, il team incontra dirigenti e imprenditori lungimiranti. Il vivaio delle small e mid cap Europa si rivela particolarmente ricco mentre l’asset class offre numerosi vantaggi di lungo termine. «Le mid cap, anche se meno liquide delle large, non sono però più volatili – puntualizza Stéphanie Bobtcheff, gestore -. Nel lungo termine finiscono col sovraperformare le grandi capitalizzazioni». Un altro vantaggio dell’asset class è rappresentato dall’elevatissima dispersione dei rendimenti. «La spiegazione risiede nella minor efficienza dell’asset class, poco coperta dagli analisti, un trend accentuato dalla Mifid 2» osserva Bobtcheff. «La capacità di generare alfa è quindi maggiore quando si hanno internamente le risorse per analizzare le società». L’universo di investimento è ampio (1.000 azioni circa con una capitalizzazione compresa tra 500 milioni e 5 miliardi di euro) ed è una fonte di opportunità che consente di esporsi a mercati disruptive, titoli con una crescita importante e decorrelati dal quadro congiunturale. Il team di gestione comincia col fare uno screening quantitativo basato su due filtri semplici: la liquidità e la performance operativa, con un’attenzione particolare dedicata alla crescita dei ricavi e del margine operativo. L’analisi fondamentale permette poi di comprendere il business, la strategia e la visione dell’azienda a cinque anni. «Gli incontri con il management, che costituiscono il Dna di La Financière de l’Echiquier, sono il prerequisito irrinunciabile per ogni investimento», aggiunge Stéphanie Bobtcheff. La costruzione del portafoglio poggia su una cartografia che ne riflette lo stile growth. Il cuore del portafoglio - il 60% almeno - è costituito da “long term winner” con un’ottima visibilità e un drawdown limitato. Si investe anche marginalmente nei mercati disruptive. «Ap-
IL TEAM DI GESTIONE DEL FONDO SMALL-MID CAP EUROPA DI LFDE
OGNI DECISIONE D’INVESTIMENTO È SEMPRE CONDIVISA ALL’INTERNO DEL TEAM DI GESTIONE, CHE GIRA L’EUROPA ALLA RICERCA DEI MIGLIORI PROGETTI prezziamo particolarmente, in questo periodo, alcuni settori trainanti come la digitalizzazione dei pagamenti, la medtech, l’e-commerce e il settore dell’alimentazione sana. Manteniamo anche una buona diversificazione geografica onde conservare un portafoglio paneuropeo a tutti gli effetti», conclude Stéphanie Bobtcheff. aprile 2019 97
INVESTITORI ISTITUZIONALI
Mamma li fondi (attivisti) di Marina Marinetti
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e il nemico avanza e non ci sono piani strategici per affrontarlo, è un problema. Se poi il nemico (si fa per dire) è in casa, è ancora peggio. Chiedetelo alle società quotate alle prese coi fondi attivisti. Anche perché basta poco, diciamo meno dell’1%, per farsi sentire in assemblea. «Ogni anno circa una decina di aziende quotate italiane deve affrontare la sfida lanciata dai fondi attivisti», spiega Lorenzo Pietromarchi, managing director di AlixPartners, società di consulenza globale che ha posto l’attenzione sul fenomeno dei fondi attivisti con una survey a livello europeo. «Il fenomeno è in crescita. Su oltre 1.700 aziende prese in considerazione in Europa, la previsione è che 156 saranno prese di mira dagli attivisti nei prossimi 12-18 mesi: tra queste ultime, 12 saranno in Italia. Del resto il peso degli investitori istituzionali nelle aziende italiane quotate è più che raddoppiato negli ultimi 20 anni, secondo i dati della Banca d’Italia». In Italia quali sono le quotate nel mirino? Difficile rispondere perché non sempre “l’attacco” dei fondi attivisti diventa pubblico: i gestori possono infatti avviare una trattativa con il management che non sfocia in uno scontro plateale in assemblea. Comunque i casi recenti più noti in Italia riguardano Tim, Ansaldo STS, Retelit, Parmalat. In generale si può dire che, come ha sottolineato la stessa Amber alla rivista Activist Insight, gli attivisti internazionali potrebbero essere attratti dalla normativa italiana a protezione degli azionisti di minoranza e dalla riduzione dell’influenza degli azionisti di controllo. Gli interventi di Elliott o di Amber sul mercato italiano hanno mostrato che l’interventismo in assemblea può portare a risultati di successo e questo può quindi incoraggiare ulteriori “incursioni” di fondi attivisti.
Lorenzo Pietromarchi, managing director di AlixPartners
CHIEDONO TAGLI DI COSTI E RISTRUTTURAZIONI, PRENDONO DI MIRA LE AREE DI BUSINESS DEBOLI E PRETENDONO PIÙ TRASPARENZA DALLE QUOTATE
Non tutto l’attivismo vien per nuocere... In generale, l’attivismo è iniziato avendo a target aziende quotate che provenivano da regimi in concessione ovvero da aziende un tempo pubbliche e che quindi erano meno abituate a inseguire efficienze nella continua ricerca della competitività. Oggi è sempre meno il caso, ma sicuramente alcun 98 aprile 2019
retaggi del passato di alcune tipologie di aziende continuano a frenare certe best-practice.
Quali sono i fondi più “attivi” nel nostro mercato? Tra i più noti ci sono l’investitore statunitense Elliott, che ha sfidato Vivendi in Tim ed è entrato nell’Ansaldo; il fondo tedesco Shareholder Value Management, azionista di Retelit; il fondo Amber Capital, azionista di Caltagirone Editore e della Parmalat; Shareholder Value Management su Retelit.
INVESTIRE SPECIALIST
Come agiscono? Gli interventi dei fondi attivisti sono molteplici. In generale il loro obiettivo è far crescere il valore dell’azienda e migliorarne le performance in tempi abbastanza brevi. Chiedono tagli di costi e ristrutturazioni. Prendono di mira aree di business più deboli e premono per un loro miglioramento o per la vendita. Oppure tendono a chiedere più trasparenza laddove la governance è opaca. Quali sono i casi “da manuale”? Uno dei primi casi risale al 2009 quando il fondo attivista Usa Knight Vinke, allora azionista dell’Eni di cui il Tesoro detiene una quota di riferimento, sollecitò formalmente i vertici Eni a separare le attività del gas da quelle del petrolio per poi cedere il gas. Allora Knight Vinke aveva coagulato il consenso di 700 azionisti Eni (pari al 25% del capitale). Tre anni dopo Eni ha effettivamente realizzato lo spin off di Snam uscendo dal settore del trasporto del gas e cedendone il controllo alla Cdp.
E più recentemente? Un caso esemplare è quello di Nestlé che è stata costretta a venire a patti con il fondo Third Point Hedge: ha ceduto le attività meno redditizie per concentrarsi sui settori con margini più alti e ha modificato la composizione del consiglio di amministrazione. Nel caso di Parmalat l’attivismo di Amber ha costretto il gruppo francese Lactalis a una maggiore trasparenza. Nel caso di Tim ha fatto tornare al centro del dibattito la questione della cessione della rete: da quando, nel marzo 2018, il fondo Elliott ha rastrellato il 6% di Tim, il titolo di quest’ultima ha guadagnato terreno nelle settimane successive all’ingresso, ma poi è sceso su base annua: secondo varie indagini che hanno studiato l’impatto dei fondi attivisti sull’andamento in borsa delle aziende attaccate, sul lungo termine tale impatto è mediamente poco rilevante. Le società quotate come possono “difendersi”? Intanto va ricordato, come ha rivelato la survey di AlixPartners, che il 53% delle società quotate in Europa non ha idea di come difendersi dalla eventuale “offensiva” di un fondo attivista. Bisogna tenere conto che ogni intervento
di un fondo attivista è focalizzato su una o più delle “cinque C”: core vs non-core, conversion to cash, cost base, capital structure e corporate governance. Ognuno di questi temi dovrebbe essere al centro dell’agenda del consiglio di amministrazione, per evitare di aprire un varco che l’attivista può sfruttare. Quindi il vertice aziendale dovrebbe adottare una mentalità attivista, rimuovendo gli aspetti emozionali dalle proprie deliberazioni e analizzando l’azienda con l’accuratezza di un raggio laser, proprio come fanno i gestori dei fondi. Ai consigli di amministrazione che sono già nel mirino di un investitore attivista suggerirei di non sprecare energie e sforzi per condurre una faticosa battaglia ma di chiedersi “perché?”. Il board dovrebbe rispondere a questa domanda in modo sincero, valutando sé stesso e i propri errori, e cercare di comprendere le motivazioni e le intenzioni del fondo.
Esiste la possibilità che il fenomeno contagi anche i mercati minori, per esempio l’Aim? In teoria è possibile. Ma una delle condizioni che rendono possibile l’intervento dei fondi attivisti è la liquidabilità del titolo. Condizione che nel caso dell’Aim non sempre è garantita.
COME FARE A DIFENDERSI DAGLI ACTIVIST FUND? IN UN SOLO MODO: FACENDO DEL MIGLIORAMENTO CONTINUO UNA CULTURA AZIENDALE E DIMOSTRARLO OGNI GIORNO Come difendersi? C’è un solo modo: essere sempre “attivi”, fare del “miglioramento continuo” una cultura aziendale e dimostrarlo. In questo senso gli activist fund vanno visti come uno stimolo in più a creare valore continuamente.
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TREND
ECOLOGIA & GOVERNANCE
Private equity e sostenibilità: un matrimonio che funziona di Annalisa Caccavale
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ambiamenti climatici, mutamenti sociali, nuovi modi di investire. Esg, acronimo di Environmental, Social and Governance, significa attenzione a dove e a come si investe. I detrattori sostengono che i criteri usati per stabilire cosa sia veramente Esg non siano univoci, i sostenitori ritengono invece che l’investimento faccia bene non solo al pianeta ma anche al portafoglio. Tra i buoni motivi che inducono a investire pensando a una integrazione tra temi ambientali sociali e di buon governo ci sono la riduzione dei rischi e la creazione di valore. La gestione del rischio e la capacità di cogliere le opportunità sul mercato, non possono prescindere da un’analisi degli elementi ambientali, sociali e di buon governo. I fondi di private equity che sostengono tale prassi, non agiscono solo in via difensiva, ovvero escludendo di investire in società non in linea con tali criteri, ma lavorano anche per creare valore, per far crescere le aziende in portafoglio anche con tale ottica. Un altro punto a favore dei criteri Esg negli investimenti è che tali operazioni tengono conto delle aspettative e delle esigenze degli investitori, che si orientano sempre più verso soggetti che aderiscono a tali pratiche, anche perché la Direttiva europea sulla rendicontazione delle informazioni non finanziarie ne fa riferimento e poi perché è diventato elemento di accrescimento reputazionale aderire ai principi a discapito di chi preferisce tenersene alla larga. Insomma se in passato si temeva di perdere in rendimento e di passare per ingenui buonisti, oggi i vantaggi superano anche i più vecchi retaggi dell’investitore speculativo e arriva a coprire settori che richiamano più le associazioni internazionali di salvaguardia dell’ecosistema come per esempio ha fatto Ambienta con Sky Ocean Ventures investendo in un progetto per ridurre la quantità di plastica presente oggi negli oceani. L’idea è che il nostro pianeta, senza una inversione di 102 aprile 2019
LA SCELTA DI PUNTARE SUI CRITERI ESG DA PARTE DELLE AZIENDE NON È SOLO DIFENSIVA MA CREA VALORE marcia sui nostri comportamenti quotidiani, si ritroverà nel 2050 con gli oceani traboccanti di plastica; questo ha spinto Sky, nel 2017 a lanciare Sky Ocean Rescue, una campagna internazionale di sensibilizzazione sull’inquinamento da plastica. In seguito, nel 2018, il Gruppo Sky ha lanciato Sky Ocean Ventures, il primo fondo di investimento non strategico di impatto nel Ftse100 a sostegno di progetti di ricerca e startup dedicate a progetti a difesa dell’ambiente marino. Da qui è nata anche la collaborazione tra Sky Ocean Ventures e National Geographic, e tra il fondo e l’Imperial College di Londra per arrivare infine all’accordo e Ambienta. Il fondo di private equity guidato da Nino Tronchetti Provera e Sky Ocean Ventures hanno deciso infatti di lavorare insieme, stringendo un accordo volto a individuare investimenti ad alto potenziale nei settori attivi sia nella produzione sia nell’utilizzo della plastica per una catena del valore più efficiente ed ecosostenibile. Ma non sono i soli; BlackRock ha dichiarato che oggi gli investimenti in Etf focalizzati sui criteri Esg valgono 12 miliardi e nel 2028 arriveranno a 250 miliardi di dollari. Insomma investire seguendo criteri di sostenibilità, oggi non è più un’idea di pochi ottimisti sognatori ma una realtà di molti affermati investitori che vedono in questo settore una doppia opportunità: massimizzare l’investimento e migliorare la qualità della vita sul nostro pianeta.
REPORT IL DOCUMENTO CONSOB
La corporate governance in stile familiare delle quotate italiane di Victor De Crunari
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n solo azionista di controllo, con una quota non distante dal 50%, superiore a quella detenuta dal mercato, spesso con un modello di tipo familiare, e con un investitore istituzionale nell’azionariato rilevante solo in un caso su quattro. È l’identikit della corporate governance delle società quotate italiane, così come da fotografia scattata dalla Consob. Alla fine del 2017 la maggior parte delle 231 società quotate sull’MTA risulta controllata o da un singolo azionista (177 emittenti) o da più azionisti aderenti a un patto parasociale (22 imprese; erano rispettivamente 181 e 51 nel 2010). La quota media detenuta dal principale azionista è pari al 47,7%, superiore al valore del 2010, pari al 46,2%, mentre il mercato detiene in media una quota di capitale del 40%. In linea con le evidenze passate e più in generale con la tradizione italiana, il modello di controllo prevalente continua a essere quello familiare, presente in 145 società. Lo Stato è azionista di riferimento in 23 imprese di dimensioni elevate, che rappresentano il 34% della capitalizzazione di mercato. Solo il 26% delle società (60 emittenti) conta almeno un investitore istituzionale nell’azionariato rilevante (ossia con una partecipazione superiore alle soglie individuate per gli obblighi di trasparenza proprietaria). Il dato, in netto calo rispetto al 2010 e in linea con l’evidenza registrata nel 2016, conferma da un lato la riduzione della presenza di investitori istituzionali italiani e dall’altro l’aumento della presenza di quelli esteri. Gli investitori istituzionali italiani sono con maggior frequenza azionisti rilevanti di imprese di piccole dimensioni e operanti nel settore industriale, mentre quelli esteri sono presenti soprattutto in società finanziarie e a elevata capitalizzazione. 104 aprile 2019
Andrea Recordati, ad dell’omonima multinazionale farmaceutica, simbolo delle quotate familiari
GRAN PARTE DELLE SOCIETÀ QUOTATE SULL’MTA È CONTROLLATA DA UN SINGOLO AZIONISTA PER QUASI IL 50% A fine 2017 il 18,6% delle società quotate appartiene a strutture piramidali o miste (erano il 20% nel 2010) e si caratterizza per una differenza tra diritti di voto e diritti ai flussi di cassa pari in media al 12,3%. Diversamente dal passato non si evidenzia la presenza di gruppi orizzontali. Per quanto riguarda la separazione tra proprietà e controllo realizzata attraverso la deviazione dalla regola ‘un’azione-un voto’, a fine 2017 le società che hanno emesso azioni di risparmio sono 17, mentre quelle i cui azionisti hanno maturato a fine 2017 la maggiorazione del diritto di voto sono 14 e mostrano una divergenza tra diritti di voto e diritti ai flussi di cassa di circa il 14%. Complessivamente, le società i cui statuti prevedono azioni a voto multiplo e loyalty shares sono rispettivamente 3 e 41 (dato a fine giugno 2018). La maggioranza delle società quotate italiane adotta il modello tradizionale (227 società su 231). I consigli di amministrazione sono costituiti in media da circa 10 membri, di cui circa la metà indipendenti secondo il Codice di Autodisciplina e il Te-
REPORT
LA MAGGIORE PARTECIPAZIONE FEMMINILE AI BOARD È ASSOCIATA ALL’AUMENTO DEL NUMERO DI LAUREATI sto Unico della Finanza – Tuf, mentre i consiglieri di minoranza, presenti in 97 imprese, sono mediamente due. Negli organi amministrativi delle società quotate siedono in media 2,4 consiglieri titolari di incarichi di amministrazione anche presso altri emittenti quotati (interlockers). Il fenomeno, mediamente più significativo nelle imprese a media e alta capitalizzazione (dove si registra rispettivamente la presenza di tre e quattro interlockers), interessa prevalentemente una minoranza del board (meno del 25% dei membri in 78 casi e tra il 25% e il 50% in 76 casi). Continua a crescere il numero di società che istituiscono comitati endo-consiliari. Tale dinamica è particolarmente evidente per il comitato nomine, presente a fine 2017 nel 60% circa delle imprese (20% circa nel 2011), mentre il comitato di remunerazione e quello di controllo interno sono presenti in oltre il 90% delle società. Un quinto delle imprese quotate (pari al 61,3% della capitalizzazione di mercato) ha istituito il comitato di sostenibilità, censito per la prima volta a fine 2017 a seguito dell’entrata in vigore del decreto legislativo n. 254/2016 e del relativo regolamento attuativo emanato
Emma Marcegaglia, presidente di Eni: aumenta la presenza femminile negli incarichi di amministrazione
dalla Consob, in materia di rendicontazione non finanziaria. In aumento anche il numero di emittenti che dichiarano di avere svolto il processo annuale di autovalutazione (193) e delle società che hanno adottato un piano di successione (44). Una parte significativa dello studio Consob riguarda la crescita della presenza femminile, che nel giugno 2018 ha raggiunto il 36% del totale degli incarichi di amministrazione e il 38% degli incarichi di componente degli organi di controllo, in entrambi i casi registrando i massimi storici per effetto dell’applicazione della Legge Golfo-Mosca (120/2011). La maggioranza degli emittenti ha già riservato al genere meno rappresentato la quota di un terzo dei componenti del board, sia nel caso delle società giunte al secondo e al terzo rinnovo del board successivo alla legge (rispettivamente 156 e 24 con una presenza femminile pari al 36%) sia nel caso degli emittenti al primo rinnovo, a cui è applicabile la quota di genere di un quinto (31 casi, 35% di donne in Cda); il dato si riscontra anche nelle società non soggette alla legge 120/2011 in quanto neoquotate e nelle imprese che hanno già completato i tre rinnovi previsti dalla legge (complessivamente 17 casi, 33% di donne in Cda). Anche se va sottolineato che mentre aumenta rispetto al passato la quota di donne qualificate come indipendenti (72% a metà 2018 a fronte del 69% nel biennio precedente), si riduce lievemente il numero di casi in cui una donna ricopre la carica di amministratore delegato (14 dai 17 rilevati a giugno 2017). La presenza delle donne nel board risulta più pronunciata nelle grandi aziende e nel settore dei servizi. Alla maggiore partecipazione femminile si associa una riduzione dell’età media dei consiglieri, un aumento del numero di laureati e una maggiore diversificazione dei profili professionali. Invece ha raggiunto il minimo storico dell’11% circa la presenza nel board di donne che sono anche azionisti di controllo ovvero sono a questi legate da vincoli di parentela (cosiddette family). Con riferimento alle caratteristiche degli amministratori ulteriori rispetto al genere, l’età media si attesta attorno ai 57 anni, con i consiglieri più anziani delle società Ftse Mib e del settore finanziario e quelli più giovani nelle società di minori dimensioni e in quelle che operano nei servizi. Quasi il 90% degli amministratori è laureato (più frequentemente nel Ftse Mib e nel settore dei servizi), mentre circa un quarto ha conseguito un titolo post-laurea. Il background professionale prevalente è quello dei manager (circa il 70%), seguito dal profilo del consulente/professionista (circa il 20%) e accademico (circa il 9%). La presenza di stranieri rimane bassa, raggiungendo il valore massimo nelle grandi aziende (oltre il 10%) e il minimo nel settore finanziario (meno del 5%). Una certa eterogeneità nelle caratteristiche degli amministratori si coglie anche rispetto al modello di controllo delle società. Nelle società a controllo pubblico è maggiore l’incidenza di donne, amministratori laureati e accademici; l’età media dei membri del board inoltre è più bassa. I consigli delle società controllate da un istituto finanziario si caratterizzano invece per una minore presenza di donne e una proporzione maggiore di stranieri (riflesso anche degli assetti proprietari), soggetti con specializzazione post-laurea e con maggiore esperienza manageriale. Gli amministratori family sono presenti solo nelle società a controllo familiare, dove pesano per il 27%, dato in diminuzione rispetto agli anni precedenti. Le donne non-family sono mediamente più istruite e hanno un background professionale più diversificato rispetto aprile 2019 105
REPORT alle donne family. La stagione assembleare 2018 delle 100 società quotate a più elevata capitalizzazione ha registrato i valori massimi di partecipazione alle assemblee negli ultimi sette anni. In particolare, è intervenuto in media il 72,6% del capitale sociale, mentre gli investitori istituzionali hanno rappresentato oltre il 21% del capitale (dato in aumento del 2% rispetto all’anno precedente). Fondi d’investimento, banche e assicurazioni italiane hanno preso parte al maggior numero di adunanze dal 2012 (81 assemblee, il doppio rispetto al 2012-2013) e con un maggior numero di azioni (3% dell’assemblea). Gli investitori istituzionali esteri, presenti dal 2015 a tutte le assemblee delle maggiori 100 società, hanno esercitato in media voti per il 29% del capitale presente in assemblea. Con riguardo al voto sulle politiche di remunerazione (say-on-pay), gli investitori istituzionali hanno espresso voto favorevole con il 57% delle azioni complessivamente detenute, mentre i voti contrari e le astensioni dalla votazione hanno raggiunto, rispettivamente, il 38,7% e il 2,3% delle azioni. Il dissenso, classificato nel Rapporto come somma di voti contrari e astensioni, ha raggiunto il valore più elevato dalla prima introduzione del say-on-pay. Nell’ultimo biennio il dissenso sulle politiche di remunerazione è aumentato anche tra le società appartenenti all’indice Ftse Mib, invertendo così il trend di riduzione osservato nel periodo 2012-16: nell’ultima stagione assembleare in particolare il dato ha raggiunto il 12% del capitale rappresentato in assemblea e il 37% dei voti degli investitori istituzionali (nel 2016, 9% e 27%, rispettivamente). Anche le società a media capitalizzazione registrano un maggior dissenso degli investitori istituzionali, in disaccordo con la politica di remunerazione per l’11% dell’assemblea e il 46% delle azioni complessivamente detenute (in crescita dal 40% nel 2017). Nel 2018 il dissenso degli investitori istituzionali sulle politiche di remunerazione è risultato inferiore nelle società finanziarie rispetto a quelle appartenenti ai settori industriale e dei servizi (rispettivamente, 9%, 11% e 10% del capitale presente in assemblea), confermando così un aspetto rilevato fin dalla prima applicazione del say-on-pay. Il 106 aprile 2019
Nadia Linciano, coordinatrice del Report della Consob dedicato alla corporate governance delle società quotate italiane
dissenso nel settore finanziario ha tuttavia registrato i valori massimi in termini sia di voti assembleari (in aumento di tre punti percentuali rispetto all’anno precedente) sia di voti dei soli investitori istituzionali (in aumento di sette punti percentuali rispetto al 26% del 2017). Il dissenso degli investitori istituzionali appare infine più contenuto nelle società ad azionariato diffuso (19% delle loro azioni) e in quelle in cui un investitore istituzionale detiene una partecipazione rilevante (28% delle azioni degli istituzionali rispetto al 48% nelle altre società). In applicazione della disciplina Consob le società quotate hanno pubblicato, dal 2011 al primo semestre 2018, 484 documenti informativi per operazioni di maggiore rilevanza con
NEL 2018 LE ASSEMBLEE DELLE QUOTATE HANNO VISTO I VALORI MASSIMI DI PARTECIPAZIONE DEGLI ULTIMI 7 ANNI
parti correlate. La maggior parte di tali operazioni ha avuto a oggetto finanziamenti o altri contratti per la fornitura di beni o la prestazione di servizi (54), mentre in misura inferiore le operazioni hanno realizzato un trasferimento di attività da o in favore della parte correlata (30%) ovvero hanno determinato un accrescimento della partecipazione relativa di quest’ultima rispetto agli altri azionisti (16%). Inoltre dal 2011 le società hanno realizzato con parti correlate 193 operazioni di maggiore rilevanza ordinarie e a condizioni di mercato, escluse dall’applicazione delle regole di trasparenza e procedurali previste dalla disciplina. Tali operazioni sono state principalmente poste in essere da emittenti a elevata capitalizzazione e sono in prevalenza riconducibili all’attività operativa core della società che le ha poste in essere. Come per esempio la fornitura e la prestazione di beni e servizi tipici per imprese non finanziarie o nel caso di finanziamenti per le banche.
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IL DENARO DEI VIP PARLA ADRIANA VOLPE
«Temo la Borsa, preferisco le valute ma il vero lusso è il tempo libero» di Monica Setta
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ei è uno dei volti più famosi della Tv. Conduttrice, autrice, già modella e attrice, Adriana Volpe è ogni week end al timone di Mezzogiorno in famiglia, la celebre trasmissione di Michele Guardì che spesso risulta essere la più vista nel palinsesto di Rai Due con record di ascolto. Bella, naturale senza un filo di trucco, Adriana mi accoglie a colazione in uno dei ristoranti storici dei Parioli a due passi dalla sua nuova e splendida casa di stampo minimal chic tutta giocata sui toni del bianco panna con una cucina super accessoriata pronta per quando lei, smessi i panni della signora del piccolo schermo, si mette ai fornelli per la sua famiglia. Parliamo di soldi e di economia, argomenti che la Volpe conosce bene essendo una donna informata che ama tenersi connessa in Rete con quello che accade ogni giorno sui mercati finanziari di tutto il mondo. Piccola curiosità prima di cominciare questa lunga e bella intervista: voi telespettatori che ne ammirate in Tv il fisico tonico potrete immaginare che a tavola Adriana Volpe sia - per usare una metafora cara a questa nostra chiacchierata di economia - una “formichina”, una parsimoniosa che sta costantemente a dieta per mantenere la sua fantastica linea. Beh, vi sbagliate perché se è vero, come racconterà ad Investire in questa intervista, che lei fa molto sport è verissimo che non rinuncia ai dolci o alla pastasciutta, convinta, anche per esigenze salutiste, che sia necessario avere una alimentazione varia e bilanciata. Ma andiamo a scoprire insieme i segreti del rapporto tra Adriana ed il denaro.
«HO INVESTITO NEGLI ANNI NEL MATTONE ACQUISTANDO APPARTAMENTI CHE HO MESSO A REDDITO PER...L’ETA’ MATURA» Che rapporto hai istintivamente con il denaro? Io vedo il denaro come un’energia, é un mezzo, per me. Ma non un fine. Conosco i sacrifici che si fanno anche nel lavoro per ottenere, come è accaduto a me, autonomia ed indipendenza. Nessuno ti regala niente. Conosco soprattutto il valore del denaro come strumento di libertà. Compro ciò che mi serve ed apprezzo il “bello” ma non sono mai vittima del consumismo. Sei più formica o cicala? Mai avuto le mani bucate, anzi ho pianificato le mie finanze e sono una investitrice consapevole. Bilancio sempre bene le entrate con le uscite. Ho investito negli anni nell’immobiliare acquistando appartamenti che ho messo a reddito perché ho pen108 aprile 2019
sato fin da ragazza di dover accantonare una somma che mi potesse consentire una tranquillità nella età matura. Sono forse più una formichina che una cicala. Mi tolgo qualche sfizio però non mi godo la vita senza pensare al futuro, come farebbe appunto una cicala!
Che cosa hai comprato con i primi guadagni da modella? “Mi ricordo con piacere i primi soldi guadagnati sfilando per Donna sotto le stelle. Era luglio, ero giovanissima e con quel denaro ho acquistato un biglietto per gli Stati Uniti ed ho trascorso il mese di agosto in un prestigioso college di Miami perché avevo capito di dover perfezionare il mio inglese. Lo avevo studiato al liceo scientifico però pensavo di voler fare di più perché parlare bene questa lingua era
IL DENARO DEI VIP ed è ancora essenziale nel mio lavoro. Fu un’estate bellissima nel college dell’University of Miami e mi diede la possibilità già da subito di essere più competitiva sul mercato. Ne ho tuttora un ricordo molto intenso e bello.
Apri il portafoglio per noi di Investire e dimmi che cosa ci troviamo... Ecco lo faccio subito (apre il portafoglio e lo mette sul tavolo del ristorante, ndr). Come vedi ho carte di credito documenti e la carta di identità svizzera. Pago tutto con le carte. Ho provato a pagare con la carta anche un caffè ma il barista mi ha guardato male (e ride divertita, ndr). Pago con le carte anche per la tracciabilità e perché spesso mi faccio fare fatture relative ad acquisti che possono essere scaricati fiscalmente. Mi sono abituata a girare con poco cash in portafoglio e mi va bene così. Ma non rischi di perdere di vista l’entità delle cosiddette spese quotidiane? Assolutamente no, anzi ti dirò di più: ho una app sul telefonino che mi consente di tenere monitorate le spese. Sai quando mi sento davvero libera? Nel momento in cui esco da casa senza borsa - le chiavi in tasca - soltanto con il telefonino, che ha una cover capace di contenere il mio documento e le carte di credito. Quella é una sensazione di assoluta libertà a cui non so rinunciare! Per che cosa spendi maggiormente? Spendo soprattutto per le vacanze. Viaggiare arricchisce l’animo e per noi artisti é ancora più essenziale. Viaggiare dà anche ossigeno alla creativita. D’inverno poi non rinuncio mai alle terme nè allo sport. Ma ti confesso che da quando sono mamma penso ogni giorno a mia figlia Gisele e molte delle mie spese quotidiane riguardano appunto la mia bambina. Capitolo investimenti... segui l’andamento delle Borse di tutto il mondo o non te ne occupi? Sono attenta prevalentemente alle valute. La scorsa estate ho avuto la tentazione di investire nella lira turca ma sono stata sconsigliata. Nell’agosto scorso un euro valeva otto lire turche mentre oggi la quotazione è a 6 dunque mi ero consigliata con i miei consulenti perché all’epoca avevo intenzione di fare shopping. Poi sono stata dissuasa e non se
Adriana Volpe è una celebre conduttrice televisiva. Conduce attualmente Mezzogiorno in famiglia su Rai Due
«L’ESTATE SCORSA AVEVO PROGETTATO DI PUNTARE SULLA LIRA TURCA MA PER FORTUNA MI HANNO DISSUASO» ne è fatto nulla. Investo su me stessa, nella formazione: mi sono laureata in lettere musica e spettacolo con 110 e lode ed ho fatto corsi di inglese o di computer per essere al passo con le esigenze del mercato. Investo poi sullo sport o sulla salute psico fisica.
E la Borsa? Ho investito in Borsa anni fa poi sono scappata (e sorride simpaticamente, ndr). Ho guadagnato inizialmente, poi venne la famosa estate in cui ogni parola di Monica Lewinsky faceva crollare il mercato. La ricorderai anche tu! Ecco all’epoca presi una stangata e da quel momento non ho più investito nell’azionario. Oggi sono come ti ho già detto una risparmiatrice prudente e consapevole ma serena, soddisfatta. La spesa più folle della tua vita? Folle? Non è stata certo la più alta. Fu un acquisto fatto d’istinto seguendo il cuore: comprai un biglietto aereo di lunga tratta per raggiungere in aeroporto la persona che amavo e, vederla due ore prima di ripartire salendo su un volo di ritorno. Avevamo litigato e ci tenevo a fare la pace. Spesi tantissimo ma non me ne sono mai pentita.
Il tuo lusso più grande? Il mio personale lusso é dedicarmi del tempo. Ne abbiamo sempre meno tutti noi e se fosse per me vivrei più di ventiquattro ore al giorno. Non rimando mai a domani quello che posso fare oggi. Sono oggettivamente una donna molto attiva su tutti i fronti della mia vita. Pretendo tanto da me stessa, come donna come moglie, mamma e conduttrice. A volte mi chiedono quale sia il mio passatempo... Ma in realtà non ho hobby e se ho un momento libero lo considero un lusso, anzi: ecco la risposta alla tua domanda. Il mio lusso più grande è concedermi magari un solo momento nelle mie intense giornate, tutto solo per me stessa. aprile 2019 109
IMMOBILIARE OSSERVATORIO
Per gli immobili commerciali perde slancio il recupero dei prezzi Elaborazione dati, proiezioni e analisi a cura di Scenari Immobiliari
Nel 2018 aumento dello 0,4%
Andamento dei prezzi medi di vendita degli immobili commerciali nella Gdo e nella piccola distribuzione
Ha perso slancio la fase ascendente delle 8,0 115 quotazioni: nel 2018 i prezzi medi di ven4,1 110 3,7 dita degli immobili commerciali sono au- 6,0 5,0 4,5 4,6 105 4,1 mentati dello 0,4% su base annua, con 4,0 2,0 2,3 0,7 forti differenziazioni tanto per aree geo100 2,2 0,5 0,4 0,4 0,2 0,1 0,7 1,1 grafiche quanto per segmenti di mercato. 2,0 0,9 0,9 0,6 0,8 0,7 0,6 95 0,5 0,4 0,6 0,5 L’incremento più sostenuto ha interessato 0,0 90 le regioni del nord che hanno registrato una -0,8 -0,7 -0,8 -1,0 -0,8 -2,0 85 -0,6 -0,5 -0,8 -0,7 -0,6 variazione positiva dell’1%, con incrementi -0,9 -0,9 -1,1 -0,9 -1,0 leggermente più alti per la Gdo (più 1,2%), -4,0 80 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017 2018* 2019* meno accentuati invece per la piccola distribuzione (più 0,8%). base 2006-100, piccola distribuzione Var. annuale % Gdo e piccola distribuzione Tuttavia, si è trattato di aumenti più conteVar. annuale % Gdo base 2006-100, Gdo Var. annuale % piccola distribuzione nuti rispetto a quanto registrato nell’anno precedente (la variazione complessiva nel 2017 era stata dell’1,5%). Nelle regioni centrali i prezzi medi di vendita sono cresciuti dello 0,6%, in confronto al 2017, con un’incidenza doppia della Gdo paragonata a quella della piccola distribuzione (rispettivamente variazioni dello 0,8 e 0,4%). A sud invece i prezzi medi di vendita sono tornati in campo negativo, -0,3%, tanto per la Gdo (-0,1%) quanto per la piccola distribuzione (-0,5%). Anche nelle quotazioni si riflette la polarizzazione del mercato, sia per aree geografiche che per segmenti di mercato. Mentre al nord i prezzi medi di vendita crescono, a sud invece soffrono.
Solo i supermercati “resistono” La Gdo (grande distribuzione organizzata) riesce a mantenere un trend positivo delle quotazioni, favorito anche del basso livello di penetrazione dell’online, specialmente nel settore del food. Invece la piccola distribuzione, più vulnerabile alle incidenze dell’e-commerce, fatica a crescere oltre il mezzo punto percentuale. Le previsioni per il 2019 sono di un accentuarsi delle differenze che continueranno da un lato a premiare le regioni nelle quali il tasso di crescita è positivo, dall’altro, a incidere negativamente sulle aree che registrano variazioni al ribasso. La stessa tendenza si prevede anche per l’andamento della Gdo e della piccola distribuzione. Il mercato immobiliare del commercio ha chiuso il 2018 con un fatturato pari a 8,9 miliardi di euro, registrando un incremento di 2,9 punti percentuali in confronto ai valori dell’anno precedente. Nonostante le variazioni siano state positive si è trattato di valori inferiori rispetto Fatturato mercato immobiliare commerciale (milioni di euro) alle attese. Infatti l’andamento del mercato è stato caratterizzato negativamente dal rin10.000 9.300 9.100 vio di molte decisioni d’investimento dovuto 8.900 8.650 9.000 8.300 alle incertezze del quadro politico generale, 8.050 7.950 8.000 dalla scarsa quantità di prodotto idoneo alle 7.200 7.000 scelte strategiche nella creazione di porta6.600 6.450 6.300 6.150 5.900 5.750 6.000 5.700 fogli, dall’indebolimento del trend positivo 5.000 delle quotazioni. Infine dall’affievolirsi dello 5.000 scenario economico generale. La stima per 4.000 il 2019 resta prudenziale con variazioni po2.700 3.000 2.650 2.600 2.400 2.500 sitive, sebbene contenute (più 2,2 per cento 2.300 2.250 2.200 2.000 su base annua), supportata dall’attrattivi1.000 tà intrinseca che il mercato della penisola esercita sugli investimenti, rispetto al resto 0 2013 2014 2015 2016 2017 2018 2019 2020 d’Europa. Resta un asset class interessante per il quale si attende nel lungo periodo Commerciale di cui Gdo di cui Retail una ripresa più solida.
110 aprile 2019
IMMOBILIARE SOS DELLA CONFEDILIZIA SUI CANTIERI PRIVATI
«Ma l’edilizia non si rilancia solo riattivando le grandi opere»
I
n un anno le compravendite di immobili a uso artigianale, commerciale, industriale e ufficio sono diminuite del 27,1 per cento. Il dato è contenuto nel rapporto sul mercato immobiliare diffuso qualche giorno fa dall’Istat e mette a confronto il terzo trimestre del 2018 con il corrispondente periodo del 2017. In particolare, nel Nord-Ovest il calo è stato del 26,6 per cento, nel Nord-est del 41,1 per cento, nel Centro del 22,1 per cento, nel Sud del 13,7 per cento e nelle Isole del 17,1 per cento. Il dato spiega la frenata del rialzo dei prezzi di cui all’articolo nella pagina accanto. «Si tratta di numeri», ha commentato il presidente di Confedilizia, Giorgio Spaziani Testa, «che confermano come vi sia urgente necessità di attuare politiche in grado di restituire vitalità a un comparto, quello degli immobili a uso diverso dall’abitativo, che soffre particolarmente a causa di mille fattori, non ultimo quello della asfissiante tassazione. L’avvio della cedolare secca per le locazioni di negozi, che pure necessita di miglioramenti, è un primo passo in questa direzione». «Ma occorre fare di più. È necessario», ha proseguito Spaziani Testa, «e il discorso vale anche per moltissimi immobili residenziali, incentivare il ritorno di interesse degli investitori su uno sterminato patrimonio edilizio che rischia di essere condannato all’estinzione. E lo si può fare da un lato rimuovendo i vincoli legislativi sui contratti di locazione commerciale, risalenti addirittura a quarant’anni fa, e dall’altro varando misure di forte sgravio fiscale condizionate all’effettuazione di inter-
GIORGIO SPAZIANI TESTA, PRESIDENTE DI CONFEDILIZIA
venti di ristrutturazione e riqualificazione di questi beni, tali da consentirne il riutilizzo in tempi ridotti. Gli effetti virtuosi così generati sarebbero estesi all’intera economia e a migliorare sarebbe anche l’aspetto delle nostre città e delle nostre zone rurali». «L’economia non si rilancia solo attraverso i lavori pubblici, ma anche stimolando interventi di riqualificazione del patrimonio immobiliare privato», ha aggiunto. «Confidiamo allora che, oltre alle norme finalizzate a sbloccare i cantieri pubblici, il Governo vari al più presto misure che incoraggino l’apertura di tanti cantieri privati. Confedilizia ha fatto le sue proposte. Occorre stabilizzare e perfezionare gli incentivi per ristrutturazioni e interventi di risparmio energetico e miglioramento sismico. Servono forti sgravi fiscali mirati all’acquisto di immobili da destinare alla locazione, previa loro riqualificazione. Vanno stabilizzate la nuova cedolare secca per l’affitto dei negozi e quella per le locazioni abitative a canone concordato. È necessario razionalizzare il trattamento fiscale delle società immobiliari. L’insieme di questi interventi sarebbe in grado di dare alla nostra economia una boccata d’ossigeno in tempi rapidissimi, favorendo la crescita e l’occupazione e migliorando l’aspetto delle nostre città. Non si perda tempo». In realtà, al momento in cui questo numero di Investire viene chiuso, anche il cosiddetto decreto sblocca-cantieri è stato approvato dal governo “salvo intese”, cioè con totale riserva di ridefinizione o blocco tra i due partiti di maggioranza. Un brutto auspicio.
E GLI EDILI SCENDONO IN PIAZZA CONTRO I FRENI ALLA RIPRESA DEL SETTORE
Circa 15mila persone da tutta Italia hanno preso parte il 15 marzo scorso allo sciopero generale dell’edilizia indetto dai sindacati di categoria Fillea-Cgil, Filca-Cisl e Feneal-Uil. Uno sciopero di otto ore che ha coinvolto i lavoratori di tutti i settori delle costruzioni – edilizia, legno, cemento, lapidei, laterizi. Un primo risultato è stato ottenuto con un incontro tra le parti sociali e il governo a Palazzo Chigi con il premier Giuseppe Conte, il vicepremier Luigi Di Maio e il ministro delle Infrastrutture, Danilo Toninelli
e le tre sigle sindacali. In piazza erano presenti anche i segretari generali delle sindacati confederati Maurizio Landini, Annamaria Furlan e Carmelo Barbagallo. «Il messaggio della piazza è lavoro e diritti, dignità e qualità dell’occupazione insieme a una nuova idea di crescita del Paese, con un nuovo modo di sviluppo: per farlo, bisogna far ripartire gli investimenti», ha dichiarato il neosegretario generale della Cgil Landini. «Al premier Conte come prima cosa chiederemo che si trovino le forme per
sbloccare sul serio e in tempi rapidi le opere, non siamo invece disponibili ad accettare una modifica al Codice degli appalti che liberalizzi il sub-appalto e addirittura permetta l’applicazione di qualsiasi contratto. Lavoro e sblocco dei cantieri devono andare insieme al rispetto della legalità, della sicurezza e dei diritti delle persone», ha concluso. «Bisogna rilanciare l’economia e avviare i cantieri, le risorse, i soldi ci sono: è criminale non spenderli, così si ammazza l’economia», gli ha fatto eco Barbagallo. aprile 2019 111
BIBLIOTECA Antonio Quaglio Laureato in Economia aziendale all’Università di Venezia, è stato inviato e caporedattore a Il Sole 24 Ore. Collabora a www.ilsussidiario.net.
IL CONTANTE RESISTE IN TRINCEA AL DIGITALE
L’
avanzata della moneta elettronica anche nell’economia italiana. I dati macro più freschi rilasciati dall’Osservatorio Mobile Payment e Commerce del Politecnico di Milano - dicono che nel 2018 sono state regolate in digitale transazioni per un controvalore di 240 miliardi di euro: in crescita del 9% sull’anno precedente, a toccare il 37% dell’intero monte-pagamenti nazionale. Tutti gli indicatori segnalano crescita a cominciare dall’abbassamento da 60,5 a 57 euro dello scontrino medio, ma soprattutto con il balzo in avanti dei cosiddetti new digital payments (+56%), basati su strumenti “2.0” (le carte contactless sono ormai una ogni due in circolazione e sono abilitate sul 75% dei Pos). Il confronto-sorpasso del “futuro” rispetto al “passato” - il contante - non è però ancora realizzato e definitivo. Non stupisce dunque che un occasional paper fresco di stampa nella collana “Questioni di Economia e Finanza” della Banca d’Italia accenda ancora i fari su “L’uso del contante in Italia” (http://www. bancaditalia.it/pubblicazioni/qef/2019-0481/index.html). Lo ha firmato Giorgia Rocco, del servizio gestione circolazione monetaria di Via Nazionale, che ha preso le mosse dall’indagine Study on the use of cash by households (SUCH) condotta dalla Bce per approfondire alcuni aspetti comportamentali - più “micro” - delle scelte di pagamento nei singoli paesi dell’Eurozona. La ricerca (condotta attraverso una rilevazione complessa su un campione di cittadini europei, anche con l’uso di “diari di pagamento”) è stata con dotta fra il 2016 e il 2017, ma l’analisi e le evidenze rilevanti non hanno perso attualità. Il contante è stato lo strumento più utilizzato per i pagamenti nei punti vendita italiani: 85,9 percento delle transazioni totali (68,4 per cento in valore), anche se carte e strumenti alternativi - sottolinea la ricercatrice - “sarebbero preferiti nel caso in cui l’individuo possa scegliere il metodo di pagamento senza vincoli”. Gli strumenti alternativi al contante più usati sono state le carte di pagamento (di debito, di credito, prepagate) con le quali sono state regolate il 12,9 per cento delle transazioni (28,6 per cento in valore). Nell’indagine aggregata Eu-19 l’uso del cash appariva meno marcato, ma non in misura larga (79% in numero, 54% in valore) mentre le carte hanno regolato il 19% delle transazioni per il 39% del controvalore. Con riferimento alla localizzazione geografica e alla ripartizione secondo alcune variabili demografiche (genere, età, occupazione, 112 aprile 2019
La moneta elettronica avanza anche in Italia ma non ha ancora vinto: un “paper” di Via Nazionale su un’indagine Bce fascia di reddito) la ricerca ha confermato le attese di maggior utilizzo: a) al CentroSud piuttosto che al Nord; b) da parte di donne, giovanissimi e persone con reddito più basso. La ripartizione per occupazione mostra una maggiore propensione all’uso del contante da parte di lavoratori autonomi, casalinghe, studenti e persone in cerca di lavoro. A questi fattori socio-demografici potrebbe essere associata una minore autonomia nella scelta del metodo di pagamento: a esclusione dei lavoratori autonomi, le categorie che hanno mostrato un maggiore utilizzo del contante potrebbero dipendere economicamente da altri, che decidono quindi il mezzo con cui sovvenzionarli. L’utilizzo di strumenti alternativi, in particolare le carte, è maggiore per: a) gli intervistati con più elevato grado di istruzione o che non hanno ancora completato gli studi; b) le persone con redditi medioelevati, c) gli impiegati e i pensionati. Il minore utilizzo di contante per queste categorie appare legato alla loro “bancarizzazione”: essi tipicamente ricevono il loro stipendio tramite accredito su conto corrente e possono quindi esprimere la propria propensione all’utilizzo degli altri strumenti alternativi. Un altro fattore esaminato è il luogo/tipo di acquisto. Sono state regolate in contanti oltre il 90 per cento delle transazioni peer to peer (carità e volontariato, servizi domestici); quelle che avvengono tramite distributori automatici e chioschi (è possibile che qui la scelta sia vincolata dalla indisponibilità della tecnologia); in ristoranti, bar e caffè, dove invece sono accettati strumenti alternativi. A quest’ultimo riguardo l’indagine ha fatto emergere che gli “acquisti giornalieri”- quelli effettuati presso supermercati, fornai, farmacie, tabaccai, che costituiscono la quota più rilevante delle operazioni registrate - sono stati prevalentemente effettuati in contanti, anche quando erano disponibili alternative, probabilmente in ragione del più basso valore medio delle operazioni.
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EDUCAZIONE FINANZIARIA Paolo Zucca Iscritto all’Ordine dei Giornalisti dal 1979, già responsabile del supplemento de II Sole 24 Ore Plus 24. Partecipa a tutorial e iniziative contro l’eccessivo uso del contante. Twitter @pzu551
AGLI ITALIANI SERVE LA “FIBRA OTTICA DI CITTADINANZA”
C
he tu faccia trading online o più semplicemente raccolga le informazioni per un investimento, la velocità di connessione fa la differenza. Per i primi, per i professionisti o semiprofessionisti, è una precondizione per guadagnare. Un cattivo supporto tecnologico è la zavorra che fa perdere anche i migliori. I mercati finanziari vivono di massima velocità di esecuzione. Figuriamoci se il trader abita in una zona “a fallimento di mercato”. Quelle comunità dove gli operatori privati non ritengono conveniente offrire il loro servizio. Sono le cosiddette “aree bianche”, zone montane o molto interne, dove lo spopolamento allontana la convenienza a tenere aperte scuole, farmacie, uffici finanziari o addirittura chiese e negozi. L’assenza di questi presìdi accentua la fuga verso i centri mediograndi con ricadute socio-ambientali non ancora adeguatamente misurate. I collegamenti stradali e digitali sono scadenti. Per quei rispar- ANTONIO PATUELLI miatori i servizi finanziari fisici sono in disarmo: le chiusure di filiali bancarie o, quando va di lusso, le aperture a giorni predefiniti con il mantenimento dei punti di prelievo automatico, non fanno notizia. Negli ultimi sette anni le banche italiane hanno rinunciato a circa un quinto della rete fisica: a fine 2010 c’erano 33.663 agenzie bancarie, il 31 dicembre del 2017 erano scese a 27.374 con ben 1.653 chiusure nell’ultimo anno. I comuni con almeno una filiale bancaria erano 5.523 alla fine del 2017, circa 400 in meno rispetto al 2010. Il processo di ridimensionamento è poi proseguito. Sulla stessa linea le Poste (soggetto a controllo pubblico dove convivono servizi postali di base e finanziari) che, dopo le proteste, hanno però stoppato il piano di chiusure. Difficile immaginare che uffici di consulenza o mediatori creditizi possano ricostituire la pluralità d’offerta. Senza concorrenza il risparmiatore sceglie meno e paga di più. Portare un’alta velocità digitale non invasiva, laddove ora il collegamento Internet è precario, è uno dei tentativi in corso per trattenere popolazione giovane o per richiamarne altra. Ai vantaggi di studio, salute a distanza, socialità, sicurezza si aggiungerebbe un miglior accesso ai servizi informativi e dispositivi per il buon impiego del proprio denaro. Servirebbe anche un paziente lavoro di avvicinamento della popolazione più anziana all’utilizzo di base dei pc: non è facile, non è impossibile. A che punto siamo? L’Abi segnala che i servizi bancari a distanza (internet banking, telefono, smartphone) 114 aprile 2019
La diffusione generale delle connessioni veloci eviterà lo spopolamento in zone montane o molto interne vengono utilizzati da oltre 16 milioni di italiani. Si fanno operazioni. Confrontarsi con qualcuno per gli investimenti e ottenere una stabile consulenza diventa già più difficile. Il risparmiatore nelle “aree bianche” deve darsi da fare stando lontano dagli inattendibili, dalle piattaforme non autorizzate e dalle vere e proprie truffe. La Consob interviene chiudendo i siti nocivi e il risparmiatore deve evitare di cadere nelle trappole. Qualche buona indicazione si trova in www.consob.it/web/investor-education/come-riconoscerli. Se questa è la strada per garantire gli stessi diritti ad ampie fasce di popolazione, spesso con un’alta età media e colpiti dall’isolamento economico, è interessante seguire il percorso di diffusione della fibra ottica veloce, parte di un progetto europeo di digitalizzazione, quando questa va a raggiungere i territori a “fallimento di mercato”. L’ultimo annuncio aggiunge altri collegamenti a quelli previsti nel Piano del Ministero dello sviluppo economico con la sua Infratel e Open Fiber (Enel e Cassa Depositi e Prestiti) per un totale di 7.635 comuni sparsi in tutto il territorio italiano. Sono i cantieri di fibra ottica Ftth (Fiber to the home, cioè case e imprese) ma c’è anche la possibilità di realizzare collegamenti ai luoghi più isolati attraverso la tecnologia Fwa (Fixed wireless access). Se tutto andrà in porto verrà messa a disposizione una “fibra di cittadinanza” a milioni di italiani con un miglioramento della qualità di vita. La connessione può lavorare a 100 megabyte per secondo (Mbts) contro i 30 standard. I ritardi non mancano e non tutti sono sicuri che alla fine del 2020 si realizzeranno gli impegni presi. Che la commercializzazione delle connessioni sarà adeguata. Per il giugno 2019 si apriranno più di 600 cantieri, altri 1.300 a dicembre per 3.100 cantieri attivi. Sono piccoli, di una alta velocità non invasiva e non contestata. Chi vuole controllare l’avanzamento della banda ultralarga (Bul), i comuni raggiunti, in lavorazione o previsti, può andare a cercarli su https://openfiber.it/it.
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COLLEZIONISMO UN MITO CHE NON TRAMONTA
È sempre l’ora di investire in orologi ma scegliere bene è da intenditori di Davide Passoni
L’
SABINE KEGEL, ESPERTA DEL SETTORE PER CHRISTIE’S A GINEVRA: «GUADAGNA SOLO CHI HA UNA PROFONDA CONOSCENZA DEI MODELLI, DELLA STORIA E DEL VALORE»
orologio è un bene di investimento su cui vale la pena puntare? Secondo gli esperti sì, purché ci si avvicini a questo mondo nella maniera più corretta, prudente e professionale possibile. Se la passione per le lancette è un ottimo driver che può spingere a intraprendere un’avventura collezionistica è tuttavia bene affidarsi, almeno all’inizio, a chi il settore lo conosce bene. Quali sono i modelli su cui puntare? Quali le caratteristiche di un orologio che lo rendono un pezzo pregiato? Che cosa vendere, che cosa acquistare o che cosa tenere? A queste e ad altre domande ha risposto, per Investire, Sabine Kegel, head of department e senior watch specialist di Christie’s Ginevra, in cui è entrata nel 1995. Kegel viaggia regolarmente in tutta Europa mantenendo contatti con rinomati collezionisti e valutando orologi di tutte le epoche e ha contribuito a una serie di aste di grande successo tra cui la Rolex Daytona “Lesson One”.
Gli orologi rari o preziosi sono un buon investimento? Come per qualsiasi investimento è necessario conoscere il relativo mercato e i suoi movimenti, prima che l’investimento stesso possa creare valore. Per essere in grado di scoprire quale saranno il prossimo marchio, modello o referenza che aumenteranno di valore, serve una profonda conoscenza del mercato e bisogna essere un esperto nel campo: conoscere il movimento, la bellezza meccanica che letteralmente dà vita all’orologio. È necessario anche considerare dove acquistare il segnatempo e quale garanzia sarà rilasciata al momento dell’acquisto, oltre che conoscere chi può consigliare per il meglio. Più gli orologi si possono esaminare, tenere tra le mani, toccare e guardare con attenzione, più l’occhio sarà allenato e più la conoscenza dei dettagli e della loro linea temporale prenderà forma. Come si deve comportare chi si avvicina per la prima volta al collezionismo orologiero? Se si è completamente nuovi nel campo del collezionismo, consigliamo di non acquistare un orologio durante il primo anno, ma di parlare con i rivenditori, partecipare a mostre e anteprime delle aste, conoscere gli sviluppi dei prezzi, seguire la community degli orologi su Instagram e iscriversi a una varietà di blog e riviste. Il primo acquisto dovrebbe essere 116 aprile 2019
Sabine Kegel, head of department e senior watch Specialist di Christie’s Ginevra
guidato dalla passione, dato che difficilmente ci si separa dal primo orologio comprato, perché ci accompagna attraverso la vita. Si tratta del passare del tempo, ed è ciò che rende questo tipo di collezionismo così unico e speciale. Quali sono le referenze, i marchi o i modelli più ricercati che mantengono e aumentano il proprio valore?
COLLEZIONISMO
Quando viene chiesto quale referenza vintage di Rolex è in cima alla lista dei desideri del collezionista, la maggior parte delle persone nominerebbe la 6062 “Stelline” (che prende il soprannome dalle stelline che formano gli indici sul quadrante, ndr) anziché, come ci si potrebbe aspettare, un Submariner o Paul Newman Daytona con un quadrante speciale. Ciò che rende questo triplo calendario Rolex così speciale sono il suo design e il fatto che la produzione è stata limitata a poche centinaia di orologi - gli studiosi stimano intorno ai 350 - in 10 anni. Presentata alla Fiera di Basilea nel 1950, la referenza 6062 è uno degli unici due modelli Rolex del periodo a presentare la complicazione del triplo calendario. L’altro è la referenza 8171 “Padellone”. A differenza della 8171, la 6062 è stata alloggiata nell’iconica cassa Rolex “Oyster”, che protegge sia il movimento sia il quadrante da umidità e polvere. La cassa Oyster della metà del secolo ha un diametro ben proporzionato di 36 mm.
Un Patek Philippe estremamente prezioso, della referenza 2499
«A CHI VUOLE ACCOSTARSI A QUESTO MONDO CONSIGLIO DI PARTECIPARE A MOSTRE E ANTEPRIME DELLE ASTE, E CONOSCERE GLI SVILUPPI DEI PREZZI»
BUY, SELL, HOLD: ECCO I CONSIGLI DELL’ESPERTA BUY
SELL
HOLD
Orologi con cassecapolavoro realizzate da Jean-Pierre Hagmann, una leggenda vivente che ha creato per Patek Philippe, Audemars Piguet e JaegerLeCoultre, solo per citarne alcuni.
Patek Philippe Nautilus moderni, intanto che la richiesta è alta. Tutti vogliono un esemplare del Nautilus in questo momento e l’offerta è molto bassa, quindi i prezzi di rivendita stanno aumentando.
Orologi da polso vintage di Vacheron Constantin con anse insolite, creati negli Anni ‘40 e ‘50. I prezzi cominceranno a salire man mano che i collezionisti impareranno ad apprezzarne la rarità e qualità.
Oltre a Rolex, l’altro marchio che tende ad aumentare il proprio valore nel tempo è Patek Philippe. Ovviamente Patek Philippe e, in particolare la referenza 2499, è un’altra icona. Mentre la referenza 1518 iniziava a scomparire nel 1951, fu avviata accanto a essa la 2499 ma, mentre la 1518 durò solo 13 anni dal 1941 al 1954, la 2499 sarebbe durata 35 anni, un tempo notevole nella line-up di Patek Philippe, diventando la grande complicazione di riferimento del marchio. La prima serie della nuova referenza 2499 condivideva alcune caratteristiche comuni con la 1518: i pulsanti quadrati, le lancette, il quadrante e le cifre arabe applicate. Il design della cassa, tuttavia, era stato trasformato con una forma più all’avanguardia, dalle dimensioni aumentate, che le davano un’estetica più moderna e una maggiore presenza al polso. La aprile 2019 117
COLLEZIONISMO 2499 ha avuto quattro iterazioni e il livello di rarità dipende da quale serie si considera. Per esempio la scala tachimetrica è stata omessa dal quadrante delle serie 3 e 4, il che è insolito, dato che l’orologio ha una funzione cronografica. Altri fattori da considerare includono il tipo di oro o di metallo utilizzato nella realizzazione e se il nome del rivenditore appare o meno sul quadrante. Quindi su quale serie puntare? La prima serie della 2499 è spesso descritta come la più rara e la più desiderabile. Questo perché lo stesso gruppo di orologiai di talento ha contemporaneamente terminato la produzione della referenza 1518 e avviato la nuova 2499, il che significa che sono stati realizzati meno orologi di quest’ultima. In totale, attraverso quattro iterazioni e 35 anni, sono stati creati solo 349 pezzi della referenza 2499, che equivale a circa 10 orologi all’anno. La prima e la seconda serie sono durate solo quattro o cinque anni, rendendole le più rare di tutte. La 2499 più comune è la terza serie, 1960-1978, che rappresenta circa la metà degli orologi realizzati. La quarta serie, che ha portato la referenza fino al 1985, rappresenta circa un quarto del totale, con alcuni pezzi marcati come 2499/100. In che modo una casa d’aste e i suoi professionisti aiutano investitori e collezionisti a scegliere i pezzi migliori? Christie’s ha un team internazionale di specialisti dell’orologeria, ciascuno esperto in modelli e referenze di marchi specifici. In questo modo abbiamo una conoscenza ben definita degli orologi e del loro mercato e possiamo consigliare i collezionisti nel modo più informato. Condividiamo inoltre le nostre conoscenze te118 aprile 2019
5 SUGGERIMENTI PER MANTENERE L’OROLOGIO AL TOP DELLA CONDIZIONE
1
CORRETTA CONSERVAZIONE
Umidità e polvere sono i principali nemici degli orologi che, quindi, andrebbero conservati in ambienti asciutti e a temperatura controllata. L’umidità può entrare negli orologi, può distruggere i quadranti e far arrugginire i movimenti. I segnatempo dovrebbero anche essere conservati lontano dalla luce che, a volte, può far sbiadire i quadranti neri sui pezzi vintage.
ASSICURARE I PEZZI DI VALORE
I proprietari dovrebbero assicurare adeguatamente i loro oggetti di valore. Poiché sono beni piccoli e portatili, gli orologi sono spesso oggetto di furto. È quindi utile mantenere una registrazione dei numeri di serie e scattare fotografie ai propri orologi. In molti casi è possibile inviare le denunce dei furti direttamente alle case madri in modo che, se il segnatempo arrivasse da loro per la manutenzione, possa essere restituito al legittimo proprietario.
3
INDOSSERESTE OROLOGI DI VALORE?
Che siano vintage o nuovi, i collezionisti amano spesso indossare i loro orologi, anche se solo nelle giuste circostanze. Dipende dall’età dell’orologio: quelli degli anni ‘30 e ‘40 possono essere più sensibili all’umidità, a seconda del design della cassa, mentre spesso con i pezzi dagli anni ‘60 in poi non è necessario preoccuparsi.
REVISIONARLI REGOLARMENTE
Bisognerebbe far revisionare il proprio orologio ogni pochi anni da uno specialista. In generale, gli esperti suggeriscono di sottoporre a manutenzione ogni tre o cinque anni gli orologi che si indossano spesso. Se si conserva un segnatempo correttamente e lo si indossa solo un paio di volte all’anno, potrebbe non essere necessario eseguire la manutenzione in modo regolare. Pezzi più complessi, come cronografi e ripetizione minuti, possono richiedere un’attenzione più frequente e accurata se usati regolarmente.
5
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CONSERVARE
I bracciali originali hanno un valore crescente per i collezionisti. A volte hanno importanti caratteristiche estetiche, come quelli realizzati per Patek Philippe, Rolex e altri marchi da Gay Frères. Sempre più collezionisti vogliono avere i loro orologi con i bracciali autentici, sia per il loro aspetto, sia per come vestono al polso. Ma più importanti sono la scatola originale, la fattura, la garanzia e tutti gli altri accessori ricevuti al momento dell’acquisto. Sono tutte parti del Dna dell’orologio e contribuiscono ad aumentare il prezzo che si può ottenere rivendendolo.
Un Rolex della referenza 6062 “Stelline”
nendo regolarmente conferenze e partecipando a tavole rotonde in tutto il mondo. Di recente abbiamo pubblicato il libro My Time, che mostra circa metà della straordinaria collezione di orologi di Sandro Fratini, il più grande collezionista italiano. Un insieme di 1.200 segnatempo che non è stato mai visto da nessun membro della comunità degli appassionati. Il libro ha stimolato l’entusiasmo all’interno di questa comunità e ha sottolineato il fatto che Christie’s ha un accesso privilegiato ai tesori nascosti. Inoltre, conoscendo i propri clienti, il loro gusto e la loro collezione, è possibile aiutarli a trovare i pezzi migliori che potrebbero rendere queste collezioni davvero uniche.
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COLLEZIONISMO L’ASCESA DI ALIDEM
Con la fotografia d’autore il dividendo è (anche) estetico di Riccardo Venturi
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a fotografia d’arte come forma di investimento. È la proposta di Alidem, azienda specializzata nella selezione, produzione e commercializzazione di opere fotografiche in edizione limitata, fondata quattro anni fa da Pompeo Locatelli, uno dei nomi di maggior spicco tra i consulenti aziendali in Italia. Un investimento con una caratteristica peculiare: «Le fotografie d’autore sono opere d’arte e dunque, a differenza delle azioni che possono svalutarsi fino a zero, esse mantengono intatto un valore nel tempo» spiega Locatelli, «che è innanzitutto il valore della fruizione. E poi generano sempre e per sempre, poiché non si consumano, un utile che è definito dagli economisti e dai sociologi con il termine “dividendo estetico”, un’esperienza che non ha prezzo e che nessuna obbligazione potrà mai dare». Se la contemplazione della bellezza è appagante di per sé, ciò non toglie che l’acquisto di fotografie possa essere interessante anche da un punto di vista economico, in un’ottica di medio-lungo periodo. «In generale, con la fotografia d’autore non si corre il rischio di perdere interamente l’investimento fatto, come è avvenuto, per esempio, con i bond argentini» osserva il fondatore di Alidem, «e più nello specifico con gli artisti della nostra squadra c’è la possibilità addirittura che il valore incrementi. Noi puntiamo solo su giovani con curricula documentati e una già valida dimensione artistica internazionale. Il concetto di edizione limitata consente poi sbocchi interessanti anche sul mercato secondario, che ha i suoi massimi attori nelle case d’asta e nelle gallerie di tutto il mondo». Tuttavia, lascia intendere Locatelli, non conviene approcciare il mercato con il chiodo fisso della 120 aprile 2019
Pompeo Locatelli, consulente aziendale e fondatore di Alidem
«FATTO 100 IL PATRIMONIO IO CONSIGLIEREI D’INVESTIRE IN FOTOGRAFIA IL 5%. CON DUE VANTAGGI: SI ACQUISTA BELLEZZA E SI CORRONO RISCHI MOLTO CONTENUTI» speculazione. Prima di tutto, viene il piacere e la passione di collezionare cose belle, poi “si vedrà, se uno ha acquistato bene il suo investimento non potrà che apprezzarsi…”. L’investimento nella fotografia deve comunque essere oculato e restare all’interno di determinati confini: «La regola d’oro nella gestione del proprio portafogli non esiste» afferma Locatelli, «dipende dalla propensione al rischio che ognuno di noi ha, ma da sempre gli esperti consigliano di essere prudenti e di diversificare per quanto possibile, guardando anche a beni rifugio fisici come è appunto l’arte». A questo proposito, la strategia di sviluppo di Alidem prevede la creazione di una forte relazione con i consulenti finanziari e i private banker che possano farsi tramite con i loro clienti suggerendo di investire in fotografia come forma di diversificazione. «Per esempio: su 100 di patrimonio io consiglierei di investire in fotografia il 5%. In questo modo acquisti bellezza e corri rischi contenuti. Certo, poi ci sono fotografie che hanno record incredibili e che possono essere viste come forme di vera speculazione e scommessa, come quelle di Andreas Gursky battute all’asta a 4,5 milioni di euro. Ma quella è tutta un’altra storia».
COLLEZIONISMO riore intervento dell’artista per rendere anche la singola stampa irripetibile: «Può essere anche semplicemente la firma, poiché nell’arte contemporanea la firma è tutto. A questo proposito c’è un aneddoto significativo: si racconta che una volta Picasso in un bistrot parigino per pagare il pranzo avesse disegnato un tovagliolo, regalandolo poi all’oste. Ma quando il cameriere gli chiese di firmare lo schizzo, Picasso rispose che per la firma gli si doveva dare tutto il bistrot e non solo il cibo mangiato».
Dalle litografie alla foto d’autore Locatelli è un collezionista d’arte non nuovo a imprese di questo tipo. Già nel 1973, a soli 33 anni, aveva avviato Litoinvest, una delle prime aziende in Italia che si è dedicata alla commercializzazione dei multipli degli artisti più importanti dell’epoca puntando però sulla certificazione delle litografie e sulla assoluta trasparenza del mercato, coinvolgendo anche investitori istituzionali come le banche che garantivano gli acquisti e i riacquisti delle opere. Sulla scia di quel progetto pionieristico, le fotografie d’arte Alidem sono prodotte in edizione limitata, da 3 a 100 esemplari originali per singolo scatto a secondo della volontà dell’artista, e accompagnate da un certificato di autenticità con un ologramma, depositato presso il registro dei Brevetti e Marchi comunitari, che identifica il numero di esemplare e che applicato sul retro della fotografia non può essere rimosso senza rovinarla e inficiarne l’originalità. «L’edizione limitata, se fatta in modo serio, apre grandi possibilità» mette in evidenza Locatelli, «un’opera che vale 20-30mila euro in pezzo unico, se stampata in 9 esemplari, che sono comunque considerati “originali” secondo la prassi internazionale, si abbassa a circa 5mila euro. In questo modo si creano interessanti opportunità per un target più ampio di nuovi collezionisti che possono acquistare opere d’arte a condizioni più accessibili». Alidem propone anche pezzi unici che possono costare oltre centomila euro se si parla di fotografi affermati: in questo caso, spesso è necessario che ci sia un ulte-
Il metodo di lavorazione Le proposte di Alidem si caratterizzano inoltre per un meticoloso lavoro che garantisce la massima qualità della stampa: «Abbiamo il nostro laborato-
«L’EDIZIONE LIMITATA APRE PIÙ POSSIBILITÀ: UN’OPERA STAMPATA IN 9 ESEMPLARI PUÒ AVVICINARE ALL’ACQUISTO UN TARGET MOLTO AMPIO» In alto a sinistra la “Giulietta” di Daiane Soares. In alto a destra uno scatto di Loreal Prystay. In basso a sinistra ecco come Alidem “confeziona” la foto d’arte.
rio» spiega Locatelli, «e i nostri esperti che per ogni tipo di fotografia decidono insieme all’artista quale tipo di carta sia meglio utilizzare, quale tipo di inchiostro, così come insieme lavorano nella delicata fase della post produzione. È questo il processo che definisce la stampa fine art». Nello specifico, l’utilizzo della carta al 100% di cotone, che fornisce grande materialità ai colori; poi l’Alisec, metodo di montaggio che garantisce una conservazione dell’opera fino a 100 anni grazie all’applicazione sulla superficie della fotografia di una lastra di plexiglass museale anti Uv, e sul dorso di un supporto in Dibond, pannello composto da due strati di alluminio e uno di polietilene, che impedisce l’increspatura della carta. L’Alisec esalta la lucentezza dei colori con un effetto brillante e di tridimensionalità. Grande cura anche nella presentazione delle opere non incorniciate, con gli Alidem Case, eleganti scatole nere con guanti bianchi per maneggiare con cura le fotografie da collezione. «Il vero aprile 2019 121
COLLEZIONISMO A sinistra, Jan Kaesbach davanti alla sua installazione Assindia Project. In basso a sinistra e a destra, altri due scatti fotografici di Kaesbach.
PER ALIDEM L’OBIETTIVO PER IL 2020 È LA QUOTAZIONE IN BORSA. «STIAMO VALUTANDO DUE OPZIONI: PIAZZA AFFARI OPPURE LONDRA» collezionista specie se compra a scopo di investimento è più contento di avere la sola stampa» evidenzia il fondatore di Alidem, «anche se io non prediligo il collezionismo da caveau, è come avere dei bei dipinti e tenerli in cassaforte, molto meglio appenderli. In ogni caso, Alidem è in grado di presentare le opere secondo diverse soluzioni, comunque di grande qualità. Ma per chi vuole godersi al meglio la bellezza delle sue opere abbiamo tutto quello che occorre. Possiamo applicare le stampe fotografiche solo su dibond, oppure montarle sotto plexiglass, o ancora costumizzarle con la cornice che si preferisce». Alidem ha nel suo “caveau” un centinaio di artisti di cui ha acquistato i diritti perenni ed esclusivi di alcune opere, massimo dieci per autore, di cui produce edizioni limitate. Fra questi figura il tedesco Jan Kaesbach, figura emergente nel panorama internazionale della fotografia. Tra i lavori di Kaesbach spicca “People of the XXI Century”, un lavoro durato oltre un anno, con il quale l’artista ha immortalato una quarantina di mestieri artigiani, dal restauratore al fabbro,
122 aprile 2019
in altrettanti magnifici scatti. Alidem dispone a Milano di due showroom, uno in via Galvani 24 vicino alla Centrale e a Palazzo Lombardia in una delle zone emergenti di Milano, e uno nella centralissima via Cusani 12. Ma la parte più importante della distribuzione avviene tramite gli art advisor: «Sono i nostri esperti chiamati a presentare i prodotti ai consulenti finanziari. Veri professionisti della vendita che formiano internamente per rispondere con assoluta competenza alle esigenze di questo mercato» precisa Locatelli. Prossima tappa, nel 2020, la quotazione in borsa: «Pur con i mille rilievi che si possono muovere, quella rimane la piattaforma che più di altre esprime il valore del libero mercato. Per crescere ancora di più a livello internazionale, seguendo un percorso virtuoso, la borsa rappresenta un’ottima opportunità per comunicare fiducia e raccogliere consensi da parte di investitori e risparmiatori. Stiamo valutando due opzioni, Piazza Affari oppure Londra. Una cosa è certa: la strada è tracciata».
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MOTORI
IL SALONE DI GINEVRA 2019
Alfa Romeo sempre protagonista Che proposte del Marchio italiano a cura di autoappassionati.it
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a kermesse svizzera, andata in scena nello scorso mese di marzo, ha visto protagonista il Marchio italiano, che ha portato ventate di passione con tante novità all’interno di una delle più importanti rassegne dedicate alle auto. Il pubblico del Salone Internazionale di Ginevra ha potuto assistere a un’ulteriore evoluzione del brand, in tante direzioni diverse. Il punto di partenza è la Formula 1, che gareggia nella stagione 2019 con il nome “Alfa Romeo Racing” e che ha riportato sul palcoscenico più famoso del motorsport internazionale un pilota italiano, Antonio Giovinazzi, accanto a Kimi Räikkönen, campione del mondo nel 2007. A confermare l’indissolubile legame con le competizioni, Alfa Romeo ha presentato Giulia Quadrifoglio e Stelvio Quadrifoglio “Alfa Romeo Racing” due nuove versioni in tiratura limitata di dieci esemplari per modello. Su queste due serie speciali, al bicolore Bianco Trofeo e Rosso Competizione, che replica la livrea della monoposto, si abbinano dettagli di stile unici, come i sedili sportivi Sparco con cuciture rosse e guscio in carbonio, il pomello del cambio automatico firmato da Mopar, il volante in pelle, alcantara e carbonio. L’utilizzo del carbonio è diffuso anche agli esterni e coinvolge le calotte degli specchietti retrovisori, la “V” del trilobo frontale e gli inserti sulle minigonne. All’interno spicca poi il badge dedicato, che 126 aprile 2019
DALLE QUADRIFOGLIO “ALFA ROMEO RACING” ALLE GIULIETTA IN CINQUE VERSIONI, UNA LEGGENDA CHE CONTINUA celebra le dieci vittorie di Alfa Romeo in Formula 1. Non mancano i dettagli tecnici come il tetto in carbonio a vista su Giulia, i cerchi in lega bruniti da 19” su Giulia e da 20” su Stelvio, le pinze freno rosse, i freni carboceramici e lo scarico Akrapovič. Sotto il cofano rimane il noto 2.9 V6 Bi-Turbo benzina da 510 CV di potenza e 600 Nm di coppia, che assicura a Giulia Quadrifoglio una velocità massima di 307 km/h (283 km/h per Stelvio) e un’accelerazione da 0 a 100 km/h in 3,9 secondi (3,8 s per Stelvio). Evoluzione ancora nel senso dell’esclu-
MOTORI sività sullo stand Alfa Romeo, grazie al ritorno della storica sigla “Turismo Internazionale” che accompagna Alfa Romeo Stelvio nel nuovo allestimento Ti, già arrivato su Giulia Veloce in precedenza. Con il 2.0 Turbo benzina da 280 CV, abbinato al cambio automatico a 8 marce e alla trazione integrale Q4, lo Stelvio Ti esposto in bella mostra insieme alla Giulia, si è presentato con una livrea Blu Misano dalla quale spiccavano i nuovi fanali posteriori bruniti e i molti dettagli in fibra di carbonio, come la “V” del trilobo frontale e le calotte degli specchietti retrovisori. Non mancavano i cerchi in lega neri da 20” in combinazione con le sportive pinze freno gialle, i terminali di scarico nero lucido, i badge “Stelvio” e “Q4” scuri e i vetri privacy. Una ventata di freschezza anche per la nuova Giulietta, che, con il Model Year 2019, propone tutti i propulsori fedeli alla normativa Euro 6D temp, il nuovo colore Verde Visconti, inediti cerchi in lega e selleria specifica. L’offerta è poi arricchita dall’introduzione di 6 nuovi pack con una gamma basata su cinque allestimenti: Giulietta, Giulietta Business, Giulietta Sport, Giulietta Super e Giulietta Veloce. Per il lancio viene proposta anche un’edizione speciale di Giulietta: Giulietta Super “Launch Edition” che, in aggiunta ai contenuti di Giulietta Super, offre di serie contenuti aggiuntivi che ne innalzano ulteriormente il piacere di guida, il comfort, la sicurezza ed il suo un valore. La più grande novità però è il Suv Alfa Romeo Tonale, una concept car attraverso la quale il Marchio italiano irrompe nel mondo elettrificato, che, dopo Stelvio, porta con sé il nome di un altro passo italiano. Tonale è il primo modello Suv ibrido plug-in del Biscione, con un design proiettato verso il futuro. Dimensioni compatte racchiudono l’unicità del design italiano e lo stile originale e moderno tipicamente Alfa Romeo, in una sintesi tra un heritage prezioso e l’anticipazione di nuovi canoni. Un elemento che richiama la tradizione del Dna di Alfa Romeo è la ruota “teledial”: il design del cerchio da 21” di Tonale rappresenta una scelta di stile che risale agli anni 60, quan-
do divenne il vanto dell’iconica 33 Stradale. L’anteriore del Tonale ripropone l’inconfondibile “Trilobo” e il suo distintivo “Scudetto” Alfa Romeo, mentre, ad accompagnare questo iconico elemento e a completare la monografia sul frontale, troviamo la fanaleria anteriore “3 più 3”, che evoca lo storico sguardo di SZ e Brera. Sulla fiancata continua l’ispirazione alle leggende Alfa Romeo, attraverso volumi pieni ed eleganti, propri di vetture apparentemente lontane per generazione e tipologia, come la Duetto o la Disco Volante Spider, mentre la “Linea GT” di Tonale reinterpreta quella della pluripremiata GT junior. Il posteriore è impreziosito da un lunotto avvolgente e completato nella parte superiore dall’ala sospesa che ne esalta la continuità con il tetto trasparente. Tipicamente Alfa Romeo i fanali posteriori, che ricordano più un segno grafico rispetto a un elemento ottico di illuminazione. Ricchi di carattere e coinvolgenti anche gli interni di Alfa Romeo Tonale Concept, grazie alla fredda solidità dell’alluminio combinata al calore e alla morbidezza della pelle e dell’Alcantara. All’interno dell’abitacolo si trovano pannelli traslucidi e
Nella pagina accanto l’Alfa Romeo Tonale Concent, la più grande novità presentata al Salone di Ginevra. Nella foto in alto la Giulia Quadrifoglio e la Stelvio Quadrifoglio “Alfa Romeo Racing”, le due nuove versioni in tiratura limitata di 10 auto per modello
il tunnel centrale retroilluminati, con il selettore di modalità di guida, il Dna, posto al centro di quest’ultimo. Grazie a uno schermo da 12,3” totalmente digitale e all’unità principale touchscreen da 10,25”, è possibile avere sott’occhio tutte le informazioni senza distogliere l’attenzione dalla strada. Dal lato della dinamica di guida ibrida plug-in, la modalità “Dynamic” evolve in “Dual Power” e garantisce il massimo output dai due motori. Inoltre sullo schermo touch dell’infotaiment è previsto un pulsante “E-mozione” che offre una taratura specifica dell’acceleratore, una frenata più netta e una risposta del volante più diretta. La modalità “Natural” continua a mantenere la migliore ottimizzazione delle performance e la gestione del compromesso di utilizzo tra motore elettrico e motore termico è automatica. In questo modo, nell’utilizzo quotidiano, il risparmio energetico e i consumi non vanno a discapito delle prestazioni. La modalità “Advance Efficiency” diventa “Advance E” per le prestazioni in full electric. Alfa Romeo propone quindi un presente molto solido e nel frattempo getta le basi per un futuro fatto di innovazione e bellezza, senza mai tradire il piacere di guida e la passione, principi cardine del Biscione. aprile 2019 127
MOTORI
FERRARI F8 TRIBUTO: 720 CV PER L’EREDE DELLA 488 GTB Presentata in anteprima mondiale al Salone di Ginevra 2019, la Ferrari F8 Tributo è la nuova supercar di Maranello, erede della 488 GTB e capace di erogare 720 CV di potenza, grazie al pluripremiato motore sovralimentato a 8 cilindri, eletto per 3 anni consecutivi “Best Engine of the Year”. Al debutto anche la “Ferrari Dynamic Enhancer” (FDE+), modalità di guida che permette di avvicinare sempre un più ampio numero di driver al proprio limite e spingerli a superarlo in sicurezza. Rivista completamente l’aerodinamica, grazie
all’evoluzione della tecnologia e all’esperienza maturata con la 488 Pista e le vetture da competizione impegnate nei campionati di tutto il mondo. Presente anche tecnologia derivata dalla F1, come l’S-Duct, soluzione che permette di estrarre aria dal fondo e tenere il muso attaccato a terra.
Nuovi i fari LED anteriori orizzontali, come anche il lunotto posteriore modellato in Lexan che rivisita in chiave moderna l’elemento di design caratterizzante della mitica F40. Torna, infine, il classico doppio fanale incastonato nell’alloggiamento nello stesso colore della carrozzeria.
NUOVA RENAULT CLIO: LA QUINTA GENERAZIONE AL DEBUTTO
NUOVA PEUGEOT 208: LA “SEGMENTO B” FRANCESE SI CANDIDA TRA LE REGINE
Nata ispirandosi all’ammiraglia 508, con il suo “artiglio” all’anteriore composto da una luce a LED opalescente e al triplice artiglio sul lato B, derivato dalla gamma SUV di Peugeot, la nuova Peugeot 208 è stata protagonista al Salone di Ginevra 2019. Con un nuovo telaio modulare leggero, la segmento B francese propone motori tradizionali benzina e Diesel, da 75 CV fino a 130 CV, ma si fa trovare pronta anche per l’alimentazione elettrica, dove promette ben 340 km di autonomia e 30 minuti per ricaricare l’80% della batteria dalla colonnina fast charge. 128 aprile 2019
Motori più puliti ed efficienti, ma anche tanti nuovi contenuti tecnologici. Tra gli ADAS si contano frenata automatica d’emergenza ancor più evoluta, cruise control adattivo con Stop&Go, mantenimento di corsia, monitoraggio conducente, riconoscimento limiti, segnaletica e molto altro. Dentro, il famoso i-Cockpit si evolve raggiungendo una nuova dimensione, grazie a una strumentazione futuristica e uno schermo touchscreen che sarà disponibile in tre dimensioni: 5, 7 o 10 pollici in base al livello di allestimento (Like, Active, Allure, GT Line e GT).
La nuova Renault Clio, che ha fatto il suo debutto a Ginevra, è giunta alla sua quinta incarnazione. Capace di vendere 15 milioni di unità dal 1990 a oggi, il nuovo modello porta al debutto la piattaforma CMF-B che, grazie alla sua nuova architettura elettrica ed elettronica, le consente di integrare i più recenti sviluppi tecnologici per soddisfare le nuove esigenze del mercato, in altri termini l’elettrificazione. Esteticamente la nuova Renault Clio non rinuncia al family feeling della Casa, introduce novità a livello dei gruppi ottici e una leggera diminuzione delle dimensioni. Dettagli come l’antenna shark, i fari LED, il profilo cromato intorno ai finestrini laterali contribuiscono ad ammodernare lo stile esterno e a migliorare la qualità percepita. Gli interni propongono lo “Smart Cockpit” con schermi tra i più ampi del segmento, da 7 a 10” per il quadro strumenti e 9,3 pollici per l’infotainment. La nuova Clio dispone di una gamma completa di motorizzazioni benzina – tutte inedite nella gamma – GPL e Diesel, con potenze comprese tra 65 a 130 CV, mentre nel 2020 arriverà l’ibrido E-Tech sviluppato in alleanza con Nissan e Mitsubishi.
in collaborazione con Autoappassionati.it
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MALALINGUA Vittorio Borelli Giornalista di lungo corso, condirettore de Il Mondo, fondatore e direttore di East, già direttore delle relazioni esterne di Unicredito nella gestione Rondelli-Profumo
IL GOVERNO DEL CAMBIAMENTO? DISPERSO SULLA VIA DELLA SETA
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esausto operatore diurno del 112 stava per lasciare il posto al collega del turno di notte quando arrivò un’ultima, drammatica telefonata da un cittadino di Roma. Eccone una trascrizione opportunamente edulcorata dal funzionario addetto alla divulgazione degli atti secretati. Cittadino: Aiuto, il Governo gialloverde è sparito! Operatore: Si calmi, signore, a volte il bene e il male si fondono e si confondono.Trattenga il respiro, come a Sanremo quando cantano in sequenza Loredana Bertè e Ornella Vanoni, poi mi spieghi tutto dall’inizio. Cittadino: Calmarmi? Ma vuole scherzare! Qui non abbiano più chi ci guidi! Siamo come un Boeing 737 Max 8 senza pilota, come un Otto e GIUSEPPE CONTE mezzo senza la Gruber. Operatore. Signore, la capisco benissimo. Ma è da stamattina che ricevo telefonate sovraeccitate come la sua. E adesso che mi apprestavo a smontare per non perdermi la 69° conferenza stampa di Toninelli sulla Tav… La prego, mi racconti tutto per benino. Cittadino. Ok, obtorto collo… Operatore. Ah, sento che anche lei ha fatto il classico. Mi compiaccio. Cittadino. Stavo dicendo che avevamo un Governo… Operatore. Bé, Governo è una parola grossa. Avevamo qualcuno a Palazzo Chigi che ci provava. Cittadino. La smetta di cavillare, per favore! La situazione è seria! Operatore. Mi consenta di correggerla ancora. Sarebbe meglio dire, come Flaiano, che la situazione è grave ma non seria. Cittadino. Come vuole lei. Le stavo spiegando che ho parlato con il presidente Conte fino alle 22. Poi lui mi ha chiesto di potersi assentare qualche minuto per un veloce make-up … Operatore. Questa poi, Conte che si fa il make-up! Cittadino. Doveva passare prima da Floris per smentire la Commissione europea, poi dalla Berlinguer per smentire Ocse, FMI e Bce, infine da Vespa per smentire divergenze tra Salvini e Di Maio. Vorrà mica che vada in TV a smentire diafano e spettinato? Operatore. Capisco. D’altronde Trump non uscirebbe mai senza un flacone di lacca sul riportino, né Berlusconi senza una rinfrescata al toupet Terra di Siena. Cittadino. Ecco, appunto. Stavo dicendo che improvvisamente il Presidente si è come volatilizzato. E con lui anche gli altri membri del Governo, vice compresi.
Operatore. Ha provato con il sottogoverno? Lì di gente ce n’è tanta. Cittadino. Ma certo che ho provato, mica sono nato ieri. Sono 35 anni che mi aggiro per questi corridoi. Operatore. Perbacco, me lo poteva dire subito che lei è un alto burocrate di Palazzo Chigi. Probabilmente uno di quelli, giustamente smarronati, vicino a quota 100. Cittadino. Guardi, non ha alcuna importanza chi sia io. Qui sta rischiando il Paese. Chi andrà domani a Francoforte alla riunione con Draghi sul nuovo quantitative easing? Chi parlerà con Macron e con la Merkel dell’Europa a due velocità? Chi riceverà Mogol che viene a proporci il nuovo inno sovranista? Chi telefonerà a Freccero per dirgli di darsi una calmata, che di Vespa ce n’è uno solo e ce lo teniamo stretto? Operatore. Oddio, alcune cose le potrebbe fare anche Di Battista. Non essendo al governo, non può essere sparito. Da qualche parte dovrei averlo il suo numero. Cittadino. Lasci perdere, non peggioriamo le cose. Piuttosto, non avrebbe il numero privato di Xi Jinping? Non vorrei che i nostri si fossero persi sulla Via della Seta. Anche Marco Polo, ai suoi tempi, aveva sbagliato strada... Operatore. Mi dispiace, noi qui ci occupiamo soltanto di emergenze interne. Tuttavia… Cittadino. Un attimo che mi stanno chiamando sul cellulare... Pronto? Sì, sono io. Ho capito. Niente di grave, insomma. Il solito problema. Occhei, ci penso io. Stia tranquillo Presidente. Grazie Presidente. E buona notte. Operatore. Mi sembra di capire che la crisi è rientrata. Posso sapere come? Cittadino. Non dovrei, ma se mi promette di non raccontarlo subito a Sarzanini eTravaglio… Il Governo non è sparito, ha deciso di non farsi trovare fino alle elezioni europee. Una pensata di Casalino per uscire dall’indecisionismo. Invece di continuare a fare figuracce meglio svanire nel nulla e lasciare che tutti, in Italia e all’estero, si interroghino sulla nostra sorte. Operatore. Diavolo d’un Casalino, pubblicità gratuita per tre mesi! Ma che cosa faranno i ministri nei prossimi tre mesi? Cittadino. Boh, so che Di Maio ripasserà storia e geografia, che Salvini prenderà ripetizioni di diritto costituzionale, che Toninelli approfondirà il participio passato e che Claudio Borghi e Laura Castelli ridaranno gli esami di economia e finanza. Ma non con Padoan.
Una trovata di Casalino contro l’indecisionismo Meglio non farsi trovare fino alle elezioni europee
130 aprile 2019