Investire Dicembre 2019

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Dicembre 2019 Euro 5,00 90011

9 778123 057003

INVESTIRE | ANNO I | N.11 | MENSILE | DICEMBRE | DATA DI USCITA IN EDICOLA: 14 DICEMBRE 2019 | POSTE ITALIANE S.P.A. - SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - D.L. 353/2003 (CONVERTITO IN LEGGE 27/02/2004 N° 46) ART. 1, COMMA 1, LO/MI

Conoscere, rischiare, guadagnare

APRIAMO

IL RUBINETTO DEGLI

ILLIQUIDI Azimut ha infranto il tabù, e oggi tutti - gestori e reti a caccia di rendimenti, si chiedono se e quali asset alternativi includere nelle loro offerte: private equity, private debt, real estate. Il warning di Tamburi: «Entrare nel capitale delle non quotate richiede esperienza»

MIFID 2, POCHI ELETTI

PIR, LA NUOVA SFIDA

L’ALTRA COPERTINA

Sui nuovi rendiconti si «salvano» in quattro

Si torna alle origini e il business riparte

Parla Lorenzo Bassani, vice dg e direttore commerciale di CheBanca!: «I competitor chiudono le filiali, le nostre invece avranno un ruolo di rilievo per attrarre clienti wealth e affluent»

INVESTIRE SPECIALIST

BANCA SISTEMA FA SISTEMA

LE CASSE ALLA SVOLTA

Il modello di business di un istituto in decollo

Enasarco e le sue sorelle alla ricerca di rendimenti


«Ora conquisteremo wealth e affluent» Intervista con Lorenzo Bassani, vice dg e direttore commerciale e marketing di CheBanca!: «I competitor chiudono le filiali, le nostre avranno un ruolo importante per attrarre i clienti più benestanti e con esigenze evolute. E i nostri gestori riceveranno una formazione sempre più qualificata» APRENDO IL CODICE QR A DESTRA SI ACCEDE AL SITO DI CHEBANCA! >


EDITORIALE

Rendimenti e populismo finanziario di Sergio Luciano

G

ià il nome della categoria – “illiquidi” – incute sospetto. Come possono essere affidabili degli investimenti “illiquidi”? Eppure attraggono, oggi più che mai, quando “la pacchia” (cit. Salvini) degli alti tassi d’interesse e delle Borse sottovalutate appare finita, essendo gli uni rasoterra anzi negativi e le altre su livelli record. Come investire i propri risparmi e vederli fruttare bene? Appunto scegliendo asset “illiquidi”, quelli cioè che obbligano a tenere bloccati i propri fondi per anni e anni? È la domanda delle cento pistole, a pretendere di rispondere nel dettaglio. E invece con una risposta sola, e semplice, rappresentata da due delle tre parole che costituiscono il “claim” di Investire: conoscere e rischiare. Ed è qui, su questo binomio, che si gioca il futuro del nostro mercato del risparmio. È qui che si gioca una vera e propria educazione finanziaria su larga scala. È giusto che i risparmiatori aprano agli asset illiquidi, come anche allo stock-picking in Borsa – che permette di orientare fior da fiore le proprie scelte azionarie. È sacrosanto che i risparmiatori non si accontentino di parcheggiare i soldi liquidi su conti correnti che non rendono nulla ed anzi costano. Ed è addirittura giusto, anzi tardivo, che gli enti previdenziali e le Casse diversifichino i loro portafogli includendovi asset più rischiosi e più redditizi degli inerti titoli di Stato. Ma tutto questo può avvenire solo alla luce di una nuova consapevolezza del rischio. Gli investitori devono conoscere il rischio e accettarlo. E come si fa a imparare a conoscere i rischi e accettarli? Si può, se qualcuno ci spiega perché quel determinato investimento può rendere bene ma può anche “scottare”. Ed è questo il nuovo, altissimo, compito dei consulenti finanziari: fare educazione finanziaria e spiegare ai clienti per quale ragioni chi non risica non rosica. Non svolgere quest’apostolato culturale di base, equivale a fare del populismo finanziario. Non si può ripetere a tutti che

tutto andrà bene e che un determinato investimento è senza rischi: semplicemente perché non è vero. I consulenti finanziari bravi devono osare l’approccio formativo col cliente, perché rappresenta l’unica strada per farne crescere i patrimoni, con essi le loro provvigioni e alla fin fine tutto il mercato. Però non è un ruolo semplice. Il peggior sordo è chi non vuol sentire. Chi non vuole capire, chi taglia corto con le spiegazioni, chi dice: “Mi fido, faccia lei!”, pronto però a strepitare con le associazioni dei risparmiatori al primo segno “meno” davanti a un suo rendiconto, non imparerà mai. Gli altri magari sì. E impareranno anche a diffidare di quell’altro populismo finanziario che praticano talvolta le società emittenti, predicando bene e razzolando male.

Unicredit e “le persone al centro”: sì, in mezzo alla strada È il caso di tante corporation, dedite unicamente al capitalismo finanziario, che si avvolgono nella bandiera dei principi della sostenibilità sociale e in realtà li calpestano a ogni pie’ sospinto. Emblematico il caso Unicredit. L’istituto guidato da Jean-Pierre Mustier taglierà, col piano industriale 2020-2030, ben 8000 posti, di cui 6000 in Italia, pagando intanto 8 miliardi di dividendi e incassandone 5 di utili. Quindi remunerando il capitale a discapito del lavoro. Che non serve più quanto prima, purtroppo. E ammorbidendo l’impatto sociale dei tagli con mille strumenti, ok. Ma resta il contrasto stridente tra questa realtà e l’enunciato che campeggia sul sito della grande banca nella sezione dedicate alle policy aziendali su Sostenibilità sociale e ambientale (principi Esg): “Le persone sono al centro del nostro business di prodotti e servizi”, campeggia con caratteri bianchi in un cerchio rosso. Come no: le persone sono sempre al centro. In mezzo alla strada, per la precisione. Non sarà colpa di Mustier, che fa come fan tutti, premiato dal mercato. Ma almeno, che non si sventolino impropriamente i principi Esg…

www.investiremag.it

Conoscere, rischiare, guadagnare

Registrazione Tribunale di Milano N. 126 del 27/3/1982 Direttore responsabile Sergio Luciano Caporedattore Marco Muffato Newsroom Marina Marinetti, Marco Scotti, Riccardo Venturi, Raffaela Jada Gobbi, Liliana Nori Hanno collaborato Antonio Quaglio (Consulente del

direttore), Francesco Bellizzi, Ugo Bertone, Annalisa Caccavale, Angelo Curiosi, Giacomo Damian, Mauro Del Corno, Giuseppe De Lucia, Giuseppe D’Orta, Fabiana Giacomotti, Davide Passoni, Matteo Ramenghi, Claudio Riva, Mario Romano, Nicola Ronchetti, Monica Setta, Gian Carlo Tamburini, Luca Tenani, Gloria Valdonio, Paolo Zucca

Margelletti, Marco Onado, Francesco Priore, Matteo Ramenghi, Giulio Sapelli, Franco Tatò

Contributors Vittorio Borelli, Enrico Cisnetto, Giuseppe Corsentino, Anna Gervasoni, Glauco Maggi, Andrea

Presidente e A.D. Giuseppe Caroccia DIrettore Generale Pier Carlo Barberis

Partnership Editoriali Assoimmobiliare Redazione info@economymag.it Segreteria di redazione Monia Manzoni

Editore incaricato Domenico Marasco Responsabile commerciale Luca Ronzoni Casa editrice Economy Group s.r.l. Piazza Borromeo 1, 20123 Milano Tel. 02/89767777 Distribuzione Pressdi - Via Mondadori, 1 Segrate - 02 7542097 Stampa Stampa Rotolito. S.p.a 20063 - Cernusco S.N. (MI)

dicembre 2019

3


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ESG GLOBAL OPINION*

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2,25% (9,00% p.a.)

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Robust

6/31

Société Générale

28,390 €

2,50% (10,00% p.a.)

70% (19,8730 €)

Advanced

4/31

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Air France-KLM

10,250 €

2,75% (11,00% p.a.)

70% (7,1750 €)

Advanced

2/22

NL0014034324

Saipem

4,438 €

2,10% (8,40% p.a.)

70% (3,1066 €)

Robust

1/23

NL0014034332

Renault

46,745 €

2,25% (9,00% p.a.)

70% (32,7215 €)

Robust

6/40

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Enel

6,866 €

1,25% (5,00% p.a.)

70% (4,8062 €)

Advanced

3/64

NL0014034357

Anglo American (UK)

2.064,500 £

2,50% (10,00% p.a.)

70% (1.445,1500 £)

Advanced

4/44

NL0013875974

ABN Amro

18,255 €

1,55% (6,20% p.a.)

70% (12,7785 €)

Advanced

2/31

NL0013876030

Nokia

4,6475 €

1,90% (7,60% p.a.)

70% (3,2533 €)

Advanced

1/39

NL0013876048

Peugeot

22,92 €

2,10% (8,40% p.a.)

70% (16,044 €)

Advanced

1/40

* Fonte: Vigeo Eiris - Valori aggiornati a Novembre 2019. Opinion: Weak indica un punteggio ESG inferiore a 50; Robust indica un punteggio ESG compreso tra 50 e 59; Advanced indica un punteggio ESG pari o superiore a 60.

Il Certificate è uno strumento finanziario complesso Per maggiori informazioni

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Messaggio pubblicitario con finalità promozionali. Prima di adottare una decisione di investimento, al fine di comprenderne appieno i potenziali rischi e benefici connessi alla decisione di investire nei Certificate, leggere attentamente il Base Prospectus for the issuance of Certificates approvato dall’Autorité des Marchés Financiers (AMF) in data 03/06/2019 come aggiornato da successivi supplementi, la Nota di Sintesi e le Condizioni Definitive (Final Terms) relative ai Certificate e, in particolare, le sezioni dedicate ai fattori di rischio connessi all’Emittente e al Garante, all’investimento, ai relativi costi e al trattamento fiscale, nonché il relativo documento contenente le informazioni chiave (KID), ove disponibile. Tale documentazione è disponibile sul sito web investimenti. bnpparibas.it. L’approvazione del Base Prospectus non dovrebbe essere intesa come approvazione dei Certificate. L’investimento nei Certificate comporta il rischio di perdita totale o parziale del capitale inizialmente investito, fermo restando il rischio Emittente e il rischio di assoggettamento del Garante allo strumento del bail-in. Ove i Certificate siano venduti prima della scadenza, l’Investitore potrà incorrere anche in perdite in conto capitale. Nel caso in cui i Certificate siano acquistati o venduti nel corso della sua durata, il rendimento potrà variare. Il presente documento costituisce materiale pubblicitario e le informazioni in esso contenute hanno natura generica e scopo meramente promozionale e non sono da intendersi in alcun modo come ricerca, sollecitazione, raccomandazione, offerta al pubblico o consulenza in materia di investimenti. Inoltre, il presente documento non fa parte della documentazione di offerta, né può sostituire la stessa ai fini di una corretta decisione di investimento. Le informazioni e i grafici a contenuto finanziario quivi riportati sono meramente indicativi e hanno scopo esclusivamente esemplificativo e non esaustivo. Informazioni aggiornate sulla quotazione dei Certificate sono disponibili sul sito web investimenti.bnpparibas.it.


SOMMARIO Dicembre 2019

03 EDITORIALE

di sergio luciano

13 IL GERMANISTA

09 WATCHDOG

di marco onado

14 FINANZA REALE

Rendimenti e populismo finanziario

I democratici non sono nemici di Wall Street

di g.sapelli

Mes, l’Italia e il quadriumvirato che non piace

COVERSTORY È il momento di aprire il rubinetto degli strumenti illiquidi per i clienti privati a caccia di rendimenti. Purchè si spieghino i rischi

16 III REPUBBLICA

ILLIQUIDI/ITALIA

ILLIQUIDI/USA

Le reti iniziano a puntare su asset alternativi e private equity per i clienti retail

Gli investimenti alternativi non sono idonei per tutti. C’è chi può e chi non può

ILLIQUIDI/INVESTITORI

CERTIFICATI, È BOOM

L’economia reale (illiquida) è tornata di moda e piace tanto ai clienti super ricchi

I derivati “tuttofare” che vincono a mani basse nell’era dei tassi zero

TURBO CERTIFICATI

RENDICONTI FLOP

I Turbo24 star del trading: 1,7 milioni di certificati scambiati in Europa

Delude il documento che doveva rendere trasparente l’impatto dei costi sui rendimenti

18

30

COSMOPOLITICA di andrea margelletti

A Hong Kong vince la piazza che vuole affrancarsi da Pechino

QUI PARIGI di giuseppe corsentino Privatizzare per spingere i francesi verso la Borsa

QUI NEW YORK di glauco maggi

Tre sorprese tra le aziende leader dell’indice Future 50

IL GIRO DEL MONDO IN 30 GIORNI

Il nodo dell’azionista Dongfeng sulla fusione Fca-Peugeot

dicembre 2019

di e.cisnetto

Altro che Keynes, nazionalizzare fa male

24

4

di a.gervasoni

Private Banking e sostenibilità, asse che vale

82 84 85 86

22

26 32

MONDO

10 IL SISMOGRAFO

di franco tatò

Anche in Germania è in arrivo l’instabilità


I

MegaTrends CHE STANNO RIVOLUZIONANDO

CAMBIAMENTI CLIMATICI

IL PIANETA, IN UN UNICO FONDO

ONCOLOGIA

INVECCHIAMENTO DEMOGRAFICO

ACQUA

SMART CITIES

DRONI

FINTECH

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Messaggio pubblicitario con finalità promozionale. Per conoscere la natura, i costi e i rischi di questi fondi prima dell’adesione leggere attentamente il KIID e il Prospetto, disponibili su finecoassetmanagement.com e finecobank.com o presso i consulenti finanziari di FinecoBank. Nel tempo il valore dell’investimento e il rendimento che ne deriva possono aumentare così come diminuire. Al momento del rimborso l’investitore potrebbe ricevere un importo inferiore rispetto a quello originariamente investito. FAM MegaTrends è un comparto di FAM Evolution ICAV, un fondo UCITS irlandese con patrimoni autonomi e separati. Fineco Asset Management DAC è una società autorizzata dalla Central Bank of Ireland.


SOMMARIO

INVESTIRE SPECIALIST 36

SCENARI PENSIONISTICI/ Le Casse

62

40

ENASARCO/ Fare Presto!, la lista composta

66

42 44 46

di previdenza si interrogano sul loro futuro

da Anasf, Federagenti e Fiarc scende in campo

ORIZZONTE PIR/1 Grazie all’emendamento Giacomoni brindano i Piani individuali di risparmio ORIZZONTE PIR/2 I vecchi Pir che affare per i sottoscrittori, con performance a doppia cifra

MERCATI FINANZIARI/ Ramenghi (Ubs): «La recessione non fa paura e l’azionario volerà»

68

PASTICCI DI MERCATO/ La storia surreale delle Opa che ne ha viste di tutti i colori

PRODOTTI/ Il risparmio delle risorse idriche al centro del fondo di Pramerica Sgr

SEDIE&POLTRONE/ Bagnasco va in IWBank per guidare le relazioni istituzionali

69

PROFESSIONE CONSULENTE/ Le polemiche

70

BANCHE POPOLARI/ Più produttività

sui costi angustiano una consulente finanziaria

e lavoro? Puntare sul capitale umano ci salverà

50

TREND/ Per chi cerca rendimenti la miglior

72

BANCA SISTEMA/ L’ad Garbi racconta la sua

54

BIG TECH E FINANZA/ Così le tigri della Silicon

74

PFGOLF/ Circuito 2020 ai nastri di partenza

58 60

scommessa è puntare sull’innovazione

Valley mordono ai fianchi le banche

PIANI DI SVILUPPO/ Bassani racconta come CheBanca! vincerà la sfida sul wealth e affluent GESTIONI/ L’etica negli investimenti fa bene sia all’ambiente che al portafoglio

76 78

sfida alla guida di un istituto solido e profittevole con tante novità e il media partner Investire

POLE POSITION/ La grande scommessa sul default italiano di Dalio, guru di Bridgewater

TALENT/ La gara tra fai-da-te, cf e robo advisor è sulla costruzione di un portafoglio sul lusso

92 IMMOBILIARE

106 AUTOAPPASSIONATI

96 FASHION

110 BIBLIOTECA

Argonauta, da brutto anatroccolo a cigno

Il Black Friday incorona la vendita online

Ford Puma: il suv dal nome iconico

Luca Ricolfi e “La società signorile di massa”

100 DENARO DEI VIP

111 FILM & FINANZA

102 PASSION ASSET

112 EDUCAZIONE FINANZIARIA

104 WHISKY

114 MALALINGUA

Il rapporto col risparmio di Michela Di Biase

Arte certificata&blockchain? Ecco i vantaggi

Il turismo beneficia dei tour in distilleria

6

dicembre 2019

Borsa, quattro pellicole per capirci qualcosa

Tassi bassi, Borse alte e l’italiano non rischia

La politica italiana? Tutta colpa di Nietzsche


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XS2043089346 EUR/INR EUR/TRY

EUR/BRL EUR/ZAR

78,6761 6,3449

4,4140 16,1445

XS2043069231 EUR/MXN EUR/TRY

EUR/BRL EUR/ZAR

21,2677 6,3449

4,4140 16,1445

130%

130%

PREMIO CONDIZIONATO LORDO MENSILE (% DEL VALORE NOMINALE)

4,50 € (0,45%)

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Questi prodotti sono a complessità molto elevata. Il prezzo di questi Certificati dipende tra l’altro dalle variazioni dei tassi di cambio tra Euro e le Valute Emergenti, che potrebbero essere oggetto di elevata volatilità anche in caso di deterioramento della situazione economica o politica del paese emergente. Questi Certificati presuppongono un’aspettativa di apprezzamento o moderato deprezzamento delle Valute Emergenti nei confronti dell’Euro, non prevedono la garanzia del capitale a scadenza ed espongono ad una perdita massima pari al capitale investito. I Certificates sono emessi da SG Issuer e hanno come garante Societe Generale3 . Prima dell’adesione leggere attentamente il Prospetto di Base (integrato dai relativi supplementi) e le pertinenti Condizioni Definitive. L’approvazione del prospetto non deve essere intesa come approvazione da parte dell’autorità che ha approvato il prospetto dei titoli offerti o ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato. State per acquistare un prodotto che non è semplice e può essere di diff icile comprensione. Per maggiori informazioni: prodotti.societegenerale.it/cash-collect-plus/ I info@sgborsa.it I 02 89 632 569 I Numero verde 800 790 491

I premi sono non garantiti (premi condizionati) e sono espressi al lordo dell’effetto fiscale. I premi percentuali sono espressi come percentuale del Valore Nominale (1.000€). Il livello del Paniere è calcolato come la media aritmetica dei Livelli dei Tassi di Cambio, dove il Livello di ogni Tasso di Cambio è calcolato come rapporto percentuale tra il Tasso di Cambio alla Data di Valutazione considerata e il rispettivo Tasso di Cambio Iniziale 3 SG Issuer è un’entità del gruppo Societe Generale. L’investitore è esposto al rischio di credito di Societe Generale (rating S&P A ; Moody’s A1; Fitch A). In caso di default di Societe Generale, l’investitore incorre in una perdita del capitale investito. I Certificati sono soggetti alle disposizioni della Direttiva 2014/59/UE in materia di risanamento e risoluzione degli enti creditizi, a seguito della cui applicazione l’investitore potrebbe incorrere in una perdita parziale o totale del capitale investito (esempio bail-in). Il rendimento effettivo dell’investimento non può essere predeterminato e dipende, tra l’altro, dall’effettivo prezzo di acquisto dei prodotti nonché, in caso di disinvestimento prima della data di scadenza, dal relativo prezzo di vendita. Il prezzo di questi certificati può aumentare o diminuire nel tempo ed il valore di rimborso o di vendita può essere inferiore all’investimento iniziale. Il Prospetto di Base, approvato dalla CSSF in data 14/06/2019, i Supplementi al Prospetto di Base datati 19/08/2019 e 11/10/2019 e le rispettive Condizioni Definitive (Final Terms) del 31/10/2019, inclusive della Nota di Sintesi dell’emissione, sono disponibili sul sito internet http://prospectus.socgen.com/ e l’ultima versione del Documento contenente le Informazioni Chiave relativo a ciascun prodotto potrà essere visualizzata e scaricata dal sito http://kid.sgmarkets.com. Tali documenti, nei quali sono descritti in dettaglio le caratteristiche e i fattori di rischio associati all’investimento nel prodotto, sono altresì disponibili gratuitamente su richiesta presso la sede di Societe Generale, via Olona 2 Milano. 1 2


Prima dell’adesione leggere il Prospetto e il KIID, disponibili presso i collocatori

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Pubblicato e approvato da Legg Mason Investments (Europe) Limited, sede legale 201 Bishopsgate, Londra, EC2M 3AB. Società registrata in Inghilterra e Galles al n. 1732037. Autorizzata e regolamentata dall’UK Financial Conduct Authority.


WATCHDOG Marco Onado È professore senior di Economia degli intermediari finanziari nella Università Bocconi di Milano. È stato Commissario Consob. Collabora con “Il Sole - 24 Ore”, “Lavoce.info” e “voxeu.org”.

I PIANI DEI DEMOCRATICI NON SONO NEMICI DI WALL STREET

W

all Street è dominata oggi da due contrastanti visioni. Una è quella ottimistica che ha alimentato questa lunga fase di ascesa dei corsi azionari: continuiamo a investire, anche se il ciclo finanziario sembra prossimo al punto di svolta per la semplice ragione che la liquidità continua a essere abbondante, i profitti delle imprese rimangono elevati e le operazioni di buy-back (che peraltro indeboliscono le imprese patrimonialmente e sono state definite doping finanziario) aumentano il rendimento delle azioni. In parole povere non c’è alternativa, si continuano a dire tra loro gli operatori e per risparmiare tempo hanno pure creato un acronimo: Tina (There is no alternative). Ora questo ragionamento non solo non è fondato su un vero principio economico, ma è quello fatto da tutti coloro che alla fine sono rimasti col cerino acceso in mano. Ricorda molto la frase di Chuck Prince, boss di Citibank che nel 2007 disse: «finché la musica va, noi continuiamo a ballare». Ed è andata a finire come tutti sappiamo. La visione pessimistica ha invece motivazioni puramente politiche. Ormai l’America è in clima pre-elettorale e la domanda ricorrente del mondo della finanza è chi vincerà la convenzione democratica e sfiderà Trump. La tesi comune è che se vincessero candidati più “di sinistra” come Elizabeth Warren o Bernie Sanders, le prospettive per il merLIZA WARREN cato azionario sarebbero decisamente negative. I politologi diranno quali sono le chance di questi due candidati e soprattutto se essi saranno in grado di vincere su Trump l’anno prossimo. Ma due punti vanno messi in evidenza a questo riguardo. La prima è che il mondo oggi è in frenata per motivazioni strettamente politiche che hanno nella guerra dei dazi voluta da Trump una delle sue cause fondamentali. Per il 2019, la stima di crescita mondiale è stata rivista verso il basso al 3 per cento (il livello più basso del secolo). Quello del commercio mondiale è ancora inferiore: appena l’1,1 per cento. E’ uno scenario di «stagnazione sincronizzata», ha detto la nuova direttrice del Fondo monetario,Kristalina Georgieva ,presentando il mese scorso l’ultimo World Economic Outlook. E prima o poi questo non potrà incidere sui prezzi azionari, soprattutto americani. Dunque piano con l’idea che le politiche di Trump giovino alla Borsa nel lungo periodo. Il secondo punto è che la filosofia dei programmi di Elizabeth Warren o di Bernie Sanders non si discostano troppo –

ovviamente per quanto si possa fare un paragone del genere – con quelle di Roosevelt negli anni della Grande Crisi. La sua idea era che grandi problemi richiedono grandi riforme e soprattutto il coraggio di non guardare in faccia ai privilegiati, alla grande finanza e alle grandi imprese. Il principio che le imprese non debbono acquistare troppo potere era fortemente radicato nel pensiero politico americano, soprattutto democratico, tanto da dar luogo a una legge anti-trust di avanguardia addirittura alla fine del XIX secolo (lo Sherman Act). Dopo la Grande Crisi come è noto Roosevelt introdusse una rigida regolamentazione finanziaria, basata anche sulla netta separazione tra banche commerciali e banche d’affari. E la fase di deregolamentazione iniziata negli anni Ottanta è considerata da molti economisti come il “peccato originale” che ha generato l’instabilità culminata con la crisi scoppiata nel 20072008. Quella fase cominciò con Reagan (e con Margareth Thatcher su questa sponda dell’Atlantico) ma venne confermata sostanzialmente anche dopo i rispettivi cambi di maggioranza. In materia di politica industriale e finanziaria i programmi di Bill Clinton e Tony Blair non mostrano alcuna vera cesura rispetto a quelle precedenti. Il motivo era che democratici e laburisti in quei tempi cominciarono a cercare consensi soprattutto al centro e quindi si guardarono bene dal proporre all’elettorato elementi di cesura rispetto allo status quo. È anche comprensibile: la visione dominante allora era quella della “grande moderazione”: l’economia cresceva, i prezzi erano stabili, i salari non crescevano. Perché rompere il giocattolo? Bastava in realtà vedere qualche film di Ken Loach per capire il disagio delle classi inferiori e soprattutto guardare i dati sul debito delle famiglie. La crescita era sostenuta solo dal debito (privato nel caso anglosassone, pubblico in quello italiano). E il debito è un nodo che ha il brutto vizio di venire sempre al pettine. La crescita stentata delle economie mondiali dopo il 2007, la terapia intensiva delle banche centrali tuttora in corso è la prova lampante che i problemi che hanno causato la crisi non sono stati ancora risolti. Perché allora stupirsi se un grande partito “dice qualcosa di sinistra”? E soprattutto, non sarà proprio la capacità di promettere e realizzare riforme importanti come quella di Roosevelt che ci consentirà di uscire finalmente dalla crisi? Bisogna andarci piano prima di etichettare certi programmi come nemici di Wall Street. dicembre 2019

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IL SISMOGRAFO Giulio Sapelli È Ordinario di Storia Economica presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Milano e direttore scientifico della Fondazione Enrico Mattei.

IL MES E I QUADRUMVIRI DELLA SUBORDINAZIONE INTELLETTUALE

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ileggere la relazione del governatore Ignazio Visco al seminario Omfif-Banca d’Italia del 15 novembre scorso è molto interessante. Perché l’allarme, accorato e argomentato, che questo testo lancia proviene da un uomo che in tanti modi può essere definito fuorchè euroscettico. Però che cosa non ha del tutto disvelato, questo allarme? Non ha disvelato l’essenza giuridica del Meccanismo europeo di stabilità (Mes). Visco ha essenzialmente lanciato il suo allarme circa la possibilità che attraverso il perfezionamento di questa istituzione europea si possa introdurre un sistema di valutazione ponderata del rischio connesso ai titoli di Stato contabilizzati nei bilanci delle banche, che ne comporterebbe, se negativa, una grave ipoteca sui conti. Da un certo punto di vista l’allarme è anche più grave e complesso però, perché illumina il vero volto delle istituzioni europee oggi. Il Mes si configura come trattato internazionale, siglato all’unanimità dai compoJACQUES DELORS nenti del Consiglio europeo. Il regolamento dice che su molte questioni, tra cui quelle relative alla situazione della finanza pubblica dei singoli Stati membri, le decisioni devono essere unanimi. Dunque il Mes è un trattato interstatale. Del resto non avendo l’Europa una Costituzione, non sarebbe legittimo emanare una legge che regolasse le istituzioni finanziarie: si procede sempre mediante trattati. Ora la questione costituzionale di fondo per il nostro Paese è che il garante dei trattati internazionali è il presidente della Repubblica, il che spiega perché alcune forze politiche ne hanno invocato l’intervento. Ma il quadro è in realtà ancora più complesso per chi ne conosce le implicazioni fino in fondo, e aiuta a capire cos’è davvero oggi l’Unione europea e la sua logica operativa, cioè quel che viene definito come il “fun-

zionalismo europeo”. La proposta di Jacques Delors, accettata da tutti, fu appunto quella di realizzare accordi intestatuali su singoli segmenti legislativi e provvedimenti specifici. Lo stesso Trattato di Maastricht è appunto un trattato internazionale, non un provvedimento legislativo. In Europa può emettere sentenze solo la Corte di giustizia. Dunque anche il Mes è frutto di un trattato internazionale. Istituisce un regolamento per normare, attraverso la sua sottoscrizione da parte di tutti gli Stati membri, un fondo che dovrebbe intervenire quando si profilassero default debitori da parte dei singoli Stati. Però - e qui sta l’inganno ideologico in cui entrano in gioco gli equilibri di potere – mentre il Consiglio europeo deve votare all’unanimità, nel Mes si vota a maggioranza: e l'Italia, per quanto ne sia il terzo partner per peso finanziario, se Germania e Francia votassero insieme, sarebbe minoritaria e non potrebbe interferire sulle decisioni altrui nanche se riguardassero le modalità con cui l’Italia stessa chiedesse di accedere agli aiuti finanziari. C’è poi la questione circa la segretezza degli atti compiuti in Europa dai governi nazionali. Al riguardo va richiamato un precedente storico che pochi ricordano. E’ la sentenza della Corte Costituzionale tedesca del 1992 che impedisce ai ministri del governo tedesco di negare trasparenza nel Bundestag sui loro atti compiuti in Europa. Ecco: la costruzione europea ha bisogno di pulizia. E dunque di superare queste asimmetrie. È questo il contesto nel quale s’inserisce l’allarme per le nostre banche, che sono potenzialmente le più colpite dalle nuove norme. E in questo quadro, come sta muovendosi l’Italia? Attraverso quelli che io chiamo i quadrumviri della subordinazione intellettuale: Paolo Gentiloni, David Sassoli, Vincenzo Amendola e Roberto Gualtieri.

Nel consiglio europeo si vota all'unanimità, peccato che nel Meccanismo europeo di stabilità si voti a maggioranza...

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IL GERMANISTA Franco Tatò Manager eclettico e innovativo, è tra i pochissimi italiani ad aver diretto aziende in Germania, paese (e cultura) che ama ed è l’unico ad essere stato amministratore delegato sia di Rizzoli che di Mondadori

ANCHE IN GERMANIA È IN ARRIVO L’INSTABILITÀ POLITICA

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icordo Ursula von der Leyen, anni fa, come un’en- portante per valutare lo stato generale del Paese e della politica tusiasta e apprezzato ministro delle pari opportu- che è chiamata a risolverne i problemi. Come di prammatica un nità, con risultati evidenti per le donne tedesche, discorso introduttivo della cancelliera Angela Merkel ha apercon modi aristocratici e un eloquio scorrevole e to le discussioni. In pantaloni neri e la giacca rosso vivo ormai gentile. La ricordo poi, più di recente, come una tradizionale, si è rivolta all’assemblea con sicurezza e determinon particolarmente apprezzata ministra della difesa, con nazione. Il discorso ha spaziato in modo sintetico ed efficace su evidenti problemi gestionali e difficoltà di comunicazione a tutti temi nazionali e internazionali, non esitando ad affrontare truppe riunite e con imbarazzanti visite al presidio tedesco in i temi più spinosi come la prevista crisi del mercato automobiAfghanistan, a disagio in una poco elegante tuta mimetica. Non listico e il ritardo del Paese in fatto di digitalizzazione. Il tono sifui molto sorpreso quando la protetta di Angela Merkel fu mol- curo e la manifesta conoscenza di tutte le principali tematiche to discussa e ostacolata nella sua candidatura a presidente del- in discussione, comunicavano all’assemblea che il Paese aveva la commissione europea, un capolavoro di astuzia politica della un governo capace di affrontare questi problemi e di risolverli cancelliera che in tal modo sistemava al ministero della Difesa superando le difficoltà di un accordo col partner della grande la sua preferita per la successione, la modesta e volonterosa coalizione. Angela Merkel, pur indebolita dalle ultime vicende Annegret Kramp-Karrenbauer, della quale avremo occasione politiche, ma con i piedi ben piantati a terra anche metaforidi parlare un’altra volta. Ora questa signora dall’aspetto fragile, camente, ha impersonato benissimo quello che è diventato la insospettata madre di sette figli, nei due mesi precedenti l’in- sintesi della sua azione politica e cioè l’affermazione: ”noi ce la vestitura della commissione, negozia con tutti i gruppi parla- faremo”. Ciò che colpisce l’osservatore è la qualità del dibattito mentari i contenuti programmatici della sua successivo . I discorsi dei capigruppo che si relazione introduttiva, combatte duramente susseguono sul podio, anche quelli dei più per ottenere le investiture dei membri della feroci oppositori, sono esposizioni ordinacommissione e riesce, con sorpresa di tutti a te dei motivi di disaccordo, con un linguagmettere assieme forse la miglior compagine gio sostanzialmente rispettoso per coloro di commissari degli ultimi anni, con la preche hanno la responsabilità della gestione senza di ben 11 donne, cosa che non si era della cosa pubblica. Tutto questo davanti mai vista. Senza alcun segno di affaticamento a un’assemblea attenta e silenziosa. Devo si presenta al Parlamento con pantaloni neri confessare che mi ha preso una grande trie un’elegante giacca rosa pallido, pronunstezza pensando alle risse carnevalesche ciando uno dei migliori discorsi introduttivi delle nostre assemblee parlamentari. Pochi mai sentiti, alternando disinvoltamente pergiorni dopo questa riunione è accaduto un fetti inglese, francese e tedesco e disegnando fatto straordinario: la direzione del partito un quadro articolato e preciso dell’Europa URSULA VON DER LEYEN socialdemocratico ha eletto al vertice del che lei e tutti noi desideriamo, dei suoi pregi partito una coppia di sconosciuti dell’ee dei suoi valori ideali, ma anche con i suoi problemi divenuti strema sinistra e bocciando il ministro delle finanze Scholz, ultimamente gravi e ineludibili. I problemi, si impegna, verran- principale candidato con l’attuale ministra dell’economia alla no affrontati con decisione e ricondotti all’interno dei due pila- posizione di vertice. I nuovi vertici sono dichiarati avversari stri strategici che dovranno caratterizzare l’attività della com- della grande coalizione. È chiaro che si tratta di una ribelliomissione: la difesa dell’ambiente come elemento determinante ne della base contro l’attuale indirizzo politico di sostegno al per l’attenuazione dei fenomeni climatici e la digitalizzazione, governo per garantire al Paese una guida stabile per i prossicomponente fondamentale delle azioni volte alla promozione mi due anni. Alla ormai decennale collaborazione con la Cdu, della crescita economica. Di fronte a questo discorso che espo- una parte della base del partito attribuisce il crollo dei consensi neva in termini di valori ideali le esigenze dei rappresentanti ormai stabili a circa il sedici percento. Solo degli estremisti acdei vari paesi, il discorso dell’onorevole Gualtieri, uno dei nostri cecati dall’ideologia possono credere che la Spd fuori dal govermigliori politici, è apparso come un’avvilente manifestazione di no possa tornare ai fasti passati in un Paese ormai orientato a disciplina di partito. Il confronto su come si svolgono in Italia destra. L’entusiasmo della Linke è un non trascurabile segnale le discussioni parlamentari su temi di alto valore istituzionale, d’allarme. Dobbiamo prevedere anche in Germania un pericolascia un amaro sconcerto e una sconsolante tristezza. Quasi loso periodo di instabilità proprio quando ce ne sarebbe meno contemporaneamente, il 27 novembre, si svolgeva a Berlino bisogno. Non è tempo per ricette antiquate o stravaganti e noi il dibattito generale sull’azione del governo, un’occasione im- ne sappiamo qualcosa. dicembre 2019

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FINANZA REALE Anna Gervasoni Professore Ordinario di Economia e Gestione delle Imprese alla Liuc di Castellanza. È anche direttore generale dell’Aifi (Associazione italiana del private equity, venture capital e private debt)

PRIVATE BANKING E SOSTENIBILITÀ: ASSE CHE VALE

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egli ultimi anni si è assistito a una sensibile crescita dell’attenzione verso le tematiche ambientali, provenienti in particolare da quella clientela di maggior interesse per il private banking. In questa direzione si sono mosse anche le istituzioni nazionali e internazionali, strutturando azioni, programmi e impianti normativi finalizzati a promuovere la tutela dell’ambiente, degli aspetti sociali, della trasparenza e moralità nella gestione delle attività. Per questo motivo è sempre più rilevante, anche a livello strategico, analizzare e conoscere il legame tra finanza ed economia sostenibile. Per operatori finanziari, clientela e istituzioni infatti l’abbinamento tra finanza, etica e sostenibilità non rappresenta ormai più una moda ma un fattore fondamentale e una condizione abilitante. La clientela del private banking è interessata spesso a investire in qualcosa che abbia un impatto positivo sul mondo circostante, non semplicemente che si limiti a evitarne uno negativo. Questo tipo di investitore comincia a chiedere non solo un singolo prodotto ma un più generale approccio e una strategia di investimento Esg (Environmental, social, governance). Sfatato il falso mito che le operazioni responsabili frenino le performance, si lavora sulla correlazione tra pratiche virtuose di un’azienda e rendimento del titolo sul mercato. Qui il ruolo degli investitori risulta fondamentale perché possono spingere le aziende ad adottare criteri virtuosi. Molti gestori si stanno attrezzando su questo fronte per essere all’altezza delle nuove sfide e svolgere un ruolo nella costruzione di un sistema economico finanziario più sostenibile, permettendo agli investitori di perseguire un ritorno finanziario positivo in un orizzonte di miglioramento della qualità dell’ambiente e della società nel suo insieme. Quello tra private banking e investimenti sostenibili può essere un connubio con grandi potenzialità e un possibile beneficio per entrambe le componenti. Da un lato infatti la clientela private è in grado di esprimere una capacità finanziaria di grande rilievo e questa è una condizione essenziale per fornire ulteriore slancio al segmento degli investimenti sostenibili. Dall’altro, prevedendo un profilo di rischio basso di default, gli investi14

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Le capacità finanziarie del private portano slancio al mondo Sri. Mentre le logiche Esg sono coerenti con le strategie di protezione del patrimonio menti sostenibili sono in linea e coerenti con la strategia tipica di costruzione di un portafoglio private, che pone tra gli obiettivi la conservazione e la protezione del patrimonio del cliente. Per gli operatori sarà determinante dotarsi di vere e proprie patenti Esg, che effettuino una distinzione tra operatori che integrano i concetti di sostenibilità al proprio interno e nei prodotti proposti e operatori che utilizzano il tema della sostenibilità unicamente come leva di marketing. La prossima sfida sarà ridurre sempre più la componente di Sri (Sustainable and responsible investment) classificata semplicemente con screening negativo (a oggi preponderante in Europa e in particolare in Italia), andando a incrementare sempre più le altre categorie, nelle quali la rilevanza e la piena aderenza ai criteri Esg costituisce l’elemento distintivo della strategia di investimento.



TERZA REPUBBLICA Enrico Cisnetto È un editorialista, economista e conduttore televisivo italiano, ideatore della trasmissione televisiva Roma InConTra. È conferenziere, consulente politico-strategico e tifoso della Sampdoria

ALTRO CHE KEYNES, NAZIONALIZZARE FA MALE

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Ilva? Nazionalizzare! L’Alitalia? Nazionalizzare! Le concessioni autostradali? Nazionalizzare! E chi se ne importa se nel caso dell’acciaio sarebbe un disastro, se nel caso della compagnia di bandiera si tratta di cosa di fatto già avvenuta, e se per revocare le concessioni delle autostrade occorre tirar fuori una montagna di quattrini (30 miliardi solo per quelle dei Benetton). E poi ci sono le banche, il sistema idrico e perfino quello relativo all’identità digitale. Sembra che sia tornata una voglia matta di “Stato padrone”, tanto che il Ministro dello Sviluppo Economico, Stefano Patuanelli, di sponda con la sinistra più radicale e la Cgil, ha invocato il ritorno dell’Iri. Solo che probabilmente fa confusione, perché l’Iri era un soggetto nato per sostenere lo sviluppo industriale e la crescita in settori strategici, mentre l’intervento pubblico che si vorrebbe fare oggi avrebbe natura puramente assistenziale, sul modello di quell’Efim e di quella Gepi, che avevano lo scopo di salvare aziende decotte con l’obiettivo di salvarne l’occupazione. L’Iri non aveva lo scopo di erogare sussidi e ammortizzatori sociali, ma di promuovere la (ri)costruzione industriale dell’Italia. Un istituto fondato nel 1933 per ristrutturare il sistema bancario e industriale colpito dalla Grande Depressione, al quale lavorarono personaggi di grandissima levatura quali Beneduce (suocero di Enrico Cuccia), Menichella, Saraceno, Mattioli. Figure che oggi mancano terribilmente. Specialmente in una prima fase, la vita dell’Istituto fu assai feconda. E anche quando, in un secondo tempo, venne spregiativamente definito “l’Iri dei panettoni” (Motta e Alemangna) per l’estendersi a macchia d’olio dei suoi interventi in settori lontani dall’originaria missione, e ancor più spregiativamente i suoi manager furono ribattezzati “boiardi di Stato”, gli errori, quando ci furono, non riguardarono l’intervento statale in sé, ma l’uso politico che se ne fece. Ora, a voler riedificare l’Iri, prima di tutto ci sono un paio di problemi preliminari di natura europea: da un lato Bruxelles che ha imposto il divieto agli aiuti di Stato, e dall’altro i vincoli del Patto di Stabilità che ci fanno obbligo – per fortuna – di non incrementare un debito pubblico che è quasi doppio rispetto a quello dei tempi delle Partecipazioni Statali. In secondo luogo bisogna considerare la differenza siderale che passa tra lo “Stato salvatore”, lo “Stato imprenditore” e lo “Stato stratega”. Il primo è da evitare come la peste, il secondo – al di là dell’eterno scontro filosofico tra i suoi sostenitori e i liberisti fautori dello Stato minimo – non ce lo possiamo permettere, mentre del terzo, lo Stato capace di darsi una politica industriale, ne avremmo bisogno come il pane ma non siamo 16

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STEFANO PATUANELLI

Il Ministro dello Sviluppo Economico Patuanelli invoca il ritorno dell’Iri. Ma l’intervento pubblico sarebbe assistenziale, non per sostenere lo sviluppo mai stati capaci di realizzarlo. Purtroppo, l’attuale ritorno di fiamma dello Stato padrone ha un risvolto preoccupante: contrariamente a quanto lo stesso ex presidente dell’Iri Romano Prodi ha detto a commento – “serve strategia di Stato senza tornare all’Iri” – la rinata voglia di dirigismo non ha nessuna finalità strategica, nessuna ambizione di migliorare la dotazione industriale e infrastrutturale del Paese, non è basata su nessuna capacità e desiderio di programmazione, non contempla il futuro, lo sviluppo, la crescita, l’innovazione. Si tratta solo di disperati tentativi di fermare il presente, attraverso il salvataggio di aziende decotte e relativi posti di lavoro. A fini elettorali. Insomma, non si tratta di neo-keynesismo – magari – ma solo di un ultimo, disperato tentativo di inventarsi soluzioni di fronte a reiterati fallimenti delle imprese più strategiche nel mercato globale. Ci vogliono vendere una medicina sbagliata come una grande cura, ma sbagliano prima la diagnosi e poi la terapia.



AZIMUT APRIPISTA

STRUMENTI ILLIQUIDI? CARE RETI MANEGGIATELI MA CON CURA di Rosaria Barrile

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fronte di rendimenti di mercato risicati, se non addirittura pari a zero, la ricerca di nuovi schemi d’offerta sta spingendo verso territori finora esplorati solo in parte. Come nel caso degli investimenti illiquidi, tra cui private equity e private asset, finora riservati esclusivamente alla clientela istituzionale, privata professionale o ai family office. Ad aver spinto il piede sull’acceleratore, lanciando un guanto di sfida al mercato, è Azimut, presieduta da Pietro Giuliani, che nel mese di settembre ha presentato il primo fondo chiuso di private equity retail, Demos 1, che prevede un importo minimo di sottoscrizione pari a 5 mila euro. Il lancio dell’iniziativa (di cui Investire ha scritto nel numero di ottobre), che permette di investire in aziende italiane con un fatturato compreso tra i 30 e i 250 milioni, ha però sollevato più di qualche perplessità e riflessione all’interno del settore. Fermo restando quindi la maggiore apertura nei confronti del tema da parte delle principali reti distributive si stanno delineando posizioni diverse che tendono però ad escludere, almeno nel giro di breve, un’ulteriore apertura nei confronti della clientela retail. Banca Generali ha per esempio iniziato a sviluppare soluzioni alternative già alla fine del 2014: il primo passo è stato quello di guardare al real estate, settore tradizionalmente apprezzato dai risparmiatori italiani e verso il quale le banche avevano una forte esposizione, come ci racconta Andrea Ragaini, vice direttore generale di Banca Generali. «Ci siamo quindi concentrati sul debito mezzanino garantito da fondi immobiliari, con un focus in particolare sul Nord Europa per via delle solide caratteristiche di questo mercato. A fine 2017 abbiamo quindi creato BG Alternative Sicav, un veicolo pensato per offrire ai nostri clienti professionali una proposta alternativa attraverso l’advisory dei nostri partner su debito senior. Infine abbiamo sviluppato una serie di proposte improntate all’innovazione tra cui soluzioni che investono su crediti sanitari e finanziamenti all’export, mitigando il rischio con fattori chiave come durata misurata, cedola periodica mensile ed elevata qualità. Gli strumenti illiquidi, e in particolare quelli focalizzati sul private debt, sono prodotti tradizionalmente dedicati alla clientela istituzionale. La natura del mercato di riferimento e della tipologia d’investimento ci ha spinti ad offrire sino ad oggi questa tipologia di strategie solo a investitori professionali. Crediamo che anche in futuro questa tipologia di strumenti 18

GLI ASSET ALTERNATIVI E IL PRIVATE EQUITY POSSONO ENTRARE NEI PORTAFOGLI DEI PRIVATI? SÌ, MA SOLO A DETERMINATE CONDIZIONI

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Nella foto Pietro Giuliani, presidente di Azimut. La sua società ha realizzato il primo fondo di private equity per la clientela retail

potrà essere offerta solo a questa platea di investitori». Per altri operatori invece l’investimento in imprese non quotate senza accesso al mercato dei capitali, è diventato sempre più importante sia per una corretta diversificazione del portafoglio, sia per ottenere un rendimento aggiuntivo rispetto ai tradizionali investimenti liquidi. «Il nostro suggerimento è quello di destinare progressivamente una percentuale compresa tra il 5% ed il 10% del portafoglio all’asset class degli illiquidi, fino a poco tempo fa poco presente nel portafoglio degli investitori», precisa Rossana Corona, global advisor


COVERSTORY grandi patrimoni & key clients di Bnl del gruppo Bnp Paribas. «La nostra offerta in questo ambito al momento comprende fondi globali di private equity, di real estate e di private debt, destinati esclusivamente ad investitori Uhnwi professionali, con investimenti minimi compresi tra 125mila e 250 mila euro. Data la forte dispersione di performance tra gestori è di cruciale importanza una corretta valutazione e scelta dei fondi di private equity: la nostra offerta nasce da un attento processo di selezione condotto dal wealth management di Bnp Paribas che individua anno per anno i migliori gestori e le migliori soluzioni in termini di strategia, area geografica, settore d’attività. L’investimento in private equity associa all’opportunità di rendimenti potenzialmente elevati rischi altrettanto elevati anche per i vincoli di illiquidità. I criteri quindi per un corretto inserimento in portafoglio sono quelli di una diversificazione dei fondi in termini di gestori e di vintage, che è l’anno in cui avviene il primo investimento del fondo. La soglia di accesso spesso troppo elevata rende tuttavia difficile questa diversificazione su portafogli dei clienti private: per questo segmento di clientela priva della qualifica di investitore professionale, ma con un’elevata cultura finanziaria ed una buona capacità patrimoniale, da qualche mese esiste la possibilità di investire negli Eltif, fondi chiusi creati dal legislatore europeo per veicolare il risparmio verso le piccole e medie imprese europee. Gli Eltif investono con modalità simili a quelle del private equity e private debt. I tempi sembrano maturi per questo tipo di proposta che consente anche all’investitore retail, ai sensi Mifid del termine,

Nella foto in alto Fabio Cubelli, condirettore generale di FideuramIntesa Sanpaolo Private Banking. Nelle foto in basso, da sinistra Rossana Corona, global advisor grandi patrimoni & key clients di BnlBnp Paribas; Andrea Ragaini, vice direttore generale di Banca Generali e Stefano Lenti, responsabile area consulenti finanziari e wealth managers di IWBank Private Investments

di puntare su strumenti meno correlati ai mercati finanziari ma con un orizzonte di investimento di lungo termine”. Con la piattaforma di fondi Fai, Fideuram Alternative Investment, nata tre anni fa, Fideuram–Intesa Sanpaolo Private Banking propone alla clientela upper affluent e private soluzioni di investimento nei mercati privati (private equity e private debt), tradizionalmente riservate al mondo istituzionale. «La tentazione diffusa della liquidità è una cattiva consigliera: non è una scelta efficace né per il singolo investitore, né per il sistema che viene privato di cospicue risorse che potrebbero essere impegnate in modo diverso», puntualizza Fabio Cubelli, condirettore generale di Fideuram–Intesa Sanpaolo Private Banking. «In tre anni abbiamo raccolto un miliardo di euro con tre fondi chiusi gestiti da Partners Group e Neuberger Berman. Da un mese abbiamo avviato la raccolta di un nuovo fondo, in partnership con il gruppo francese Tikehau Capital, che chiuderà a dicembre. La clientela è disposta ad accettare orizzonti temporali più lunghi a fronte di una soluzione di altissima qualità ma deve avvicinare questi strumenti in modo consapevole, conoscendone le peculiarità. La soglia di accesso – all’inizio tipicamente rivolta a investitori istituzionali - era di 500mila euro ma è stata abbassata a 100mila. Si tratta di un investimento importante e tale riduzione rappresenta un segnale per avvicinare a queste soluzioni la clientela più affluent, secondo una logica di diversificazione. L’obiettivo della rete è quello di proporre fondi di qualità. Il sottostante viene

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prodotto da asset manager e gestori esterni specializzati: non ci si improvvisa, occorre affidarsi a chi ha dimostrato di conoscere bene i mercati e di saperli analizzare nel suo complesso e a livello di singola impresa». A sottolineare invece i rischi insiti in un eccessivo ampliamento della platea dei destinatari è invece Stefano Lenti, responsabile area consulenti finanziari e wealth managers IWBank Private Investments del gruppo UbiBanca. «L’offerta di prodotti illiquidi non è alimentata solamente dalla domanda del cliente, fatta eccezione molto probabilmente per i clienti di tipo professionale o private; bisogna quindi prestare molta attenzione alle reali esigenze senza rischiare che la spinta ad investire in strumenti alternativi e illiquidi sia impressa dai collocatori. Per le reti di consulenza si tratta di strumenti da maneggiare con cura per evitare l’effetto boomerang. Se da un lato infatti il fatto di essere prodotti “decorrelati” dal mercato può sicuramente offrire un vantaggio in un contesto come quello che abbiamo vissuto recentemente, dall’altro invece, in caso di performance negativa dello strumento, tale decorrelazione andrà accuratamente spiegata all’investitore per fargli comprendere la dinamica esistente dietro alle potenziali perdite. Un altro fattore di rischio non è legato al prodotto, ma alla diffusione su larga scala di questi prodotti che fanno

Nella foto Stefano Russo, partner e vice presidente di Green Arrow Capital Sgr, favorevole alla possibibilità che la clientela affluent possa acquistare fondi alternativi

parte di un mercato illiquido, sottocapitalizzato e in cui occorre individuare le migliori opportunità, per loro natura limitate. Ecco perché in IWBank Private Investments non sono mai state attivate specifiche attività commerciali, ancor più su questa tipologia di prodotto. Tutte le reti oggi stanno mettendo a scaffale il prodotto perché è indispensabile averlo in quanto, per precise nicchie di clientela con elevate disponibilità, si tratta di un’opzione di investimento valida. Attenzione però alla comunicazione: spesso il rischio è che il cliente, ascoltando lo storytelling di una start-up, si faccia coinvolgere a livello emozionale decidendo di investire in modo irrazionale. Il nostro compito deve essere quello di comprendere le esigenze, presentare le migliori opportunità e condividere le decisioni di investimento basate esclusivamente su dati patrimoniali e oggettivi». La necessità di innovare l’offerta sembra aver guidato anche Mediobanca Private Banking che ha distribuito in esclusiva, un fondo sviluppato dalla statunitense Russell Investments, il Mediobanca Private Markets Fund II. «Il wealth management sta cambiando. Da una parte tassi e rendimenti futuri sempre più bassi, dall’altra l’impatto regolamentare sempre più stringente stanno sottoponendo le banche a una crescente pressione, commenta Theo Delia-Russell, managing director di Mediobanca Private Banking. «Nuovi competitor innovativi si affacciano nel wealth management cercando di guadagnare quote di mercato sui player tradizionali. Diventa quindi necessario sviluppare nuovi schemi di offerta». L’ampliamento delle opzioni a disposizione della clientela potrebbe favorire nuove partnership

TAMBURI: «ENTRARE NEL CAPITALE DI UNA NON QUOTATA RICHIEDE UN’ESPERIENZA CHE LE RETI NON HANNO»

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resce il desiderio di alcune reti tradizionali ad aprire anche agli investitori privati la possibilità di investire in private equity, venture capital e private debt (ovviamente attraverso formule ad hoc). A questo punto quindi il coinvolgimento di chi fa fondi di private equity sembrerebbe in un certo senso uno step complementare. Lo abbiamo chiesto a Giovanni Tamburi, fondatore e presidente di Tamburi Investment Partners, l’investiment e merchant Bank quotata in Borsa che ha realizzato oltre 300 operazioni di merger and acquisition. «Si, potrebbe esserlo, anche se da almeno un paio di anni le reti stanno cercando di fare da sole, creano addirittura fondi specifici, bypassando gli specialisti del private equity e costruendo da sé operazioni di club deal, di investimenti in equity o debito diretto in medie e piccole imprese».

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Cosa ne pensa di questa apertura? Penso che in tale percorso ci sia parecchia presunzione e – senza voler togliere nulla alle capacità di consulenti e private banker – ho l’impressione che tra il vendere titoli di stato, obbligazioni od anche azioni di società quotate ed entrare nel capitale di una società non quotata ci sia una enorme differenza, che oggi viene superata dall’entusiasmo di volere proporre prodotti illiquidi a risparmiatori stanchi di performance attorno allo zero. Per domani: auguri! È davvero una novità? No, qualcuno ci ha sempre provato fin dall’esplosione della cosiddetta New Economy, in media con scarso successo, oggi sta diventando per loro necessario. La corsa all’investimento illiquido potrebbe essere


COVERSTORY «L’ESIGENZA DEGLI INVESTITORI È DI GUARDARE AD ASSET ALTERNATIVI DA SOSTITUIRE AL COMPARTO OBBLIGAZIONARIO» tra il mondo delle reti e quelle degli operatori attivi negli investimenti alternativi come dimostrano le esperienze già citate di Mediobanca e Fideuram. «Negli ultimi 3-4 anni i tassi di interesse vicini allo zero hanno virtualmente “eliminato” dal portafoglio l’asset class obbligazionaria lasciando al settore azionario il compito di creare rendimenti. Riteniamo che questa situazione sia destinata a permanere nel medio termine. Da qui l’esigenza di tutti gli investitori di guardare ad asset alternativi da sostituire al comparto obbligazionario», sottolinea Stefano Russo, partner e vice presidente di Green Arrow Capital Sgr. «Crediamo che family office e private banking debbano necessariamente aprirsi a private equity, private debt e a renewables per ridurre la volatilità e creare performance, e che anche la parte più affluent della clientela retail possa iniziare a considerare una modesta porzione di portafoglio da investire in fondi alternativi con scadenze intermedie di 5-7 anni». «Investire in private market significa prevalentemente investire nel capitale di aziende private, finanziarle oppure acquisire immobili o infrastrutture», aggiunge Luca Bucelli, responsabile Italia di Tikehau Capital. «Fino a poco fa questi investimenti erano portata esclusiva degli investitori istituzionali più sofisticati, oggi esistono vie d’accesso anche per gli investitori

solo l’ennesima moda? Il rischio c’è, come le Spac, i Pir e come in tanti altri casi. Come il mondo del private equity e quello della consulenza finanziaria possono collaborare per portare valore al cliente finale posto che si tratta di due mestieri radicalmente diversi? Mi fa piacere che lei sottolinea la diversità dei mestieri, anche se ho l’impressione che sia un concetto che pochi hanno voglia di razionalizzare. La realtà che anche in questi giorni stiamo cercando di spiegare agli improvvisatori di questo mondo è che chi, come noi, ha avuto il coraggio e la persistenza di fare queste operazioni da tantissimi anni

Nella foto a destra Luca Bucelli, responsabile Italia di Tikehau Capital

non professionali high net worth. Occorre allungare l’orizzonte temporale, introducendo nella modalità e nelle attese degli investitori non professionali un approccio tipico degli istituzionali o dei family office. La soluzione è quella di offrire, tramite strutture di investimento ad hoc, un prodotto multi-asset diversificato in grado di garantire un’esposizione bilanciata e dinamica a tutti i private markets al fianco dei migliori gestori internazionali, superando il problema e le limitazioni della selezione di un fondo specifico o di un fondo di fondi».

sa aspettare, cerca di interagire e di seguire le vicissitudini delle società in cui investe. Chi invece è abituato a guardare listini e rendimenti rischia di avere brutte sorprese. Noi negli ultimi anni abbiamo dato agli investitori sul titolo Tip rendimenti medi annui superiori al 30%, di recente siamo stati particolarmente cauti, per cui ci stupisce tutta questa gente che sta immaginando simili operazioni con i prezzi delle aziende più cari della storia del mondo e che sta facendo comunque prendere rischi molto elevati a persone totalmente ignare di quello che sta arrivando nei loro portafogli.

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QUI NEW YORK

LA «TERZA VIA» DEL RISPARMIO USA OLTRE WALL STREET E I BOND di Glauco Maggi

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l reddito fisso è in letargo, e vale in pratica come cassaforte. Le azioni sono in grande spolvero: a metà novembre il Dow Jones delle 30 blue chip ha sfondato il tetto dei 28mila punti; da quando Trump è stato eletto, 8 novembre 2016, l’indice storico di Wall Street ha guadagnato quasi 10mila punti (era a 18.259). Un asset dà poco e l’altro troppo a rischio di bolla, e ciò stimola la ricerca di soluzioni nuove (con prudenza). Esiste una terza scelta, che ha quattro classiche soluzioni, e una caratteristica basilare: lo svincolo dalle correnti dei mercati finanziari. Questa ricerca di guadagni interessanti al di fuori del classico “corral” dei tori e degli orsi può essere attraente, e in verità consente una diversificazione totale, perchè è tra tutti gli asset e non solo all’interno delle categorie azionarie (settori, valute, aree geografiche) e obbligazionarie (breve e lungo termine, fisso o variabile). Questa “terza via”, che gli analisti definiscono “non correlata”, porta con sè una caratteristica oggettivamente negativa, la illiquidità. Cioè l’assenza della garanzia intrinseca dei titoli mobiliari quotati, che è di poter trasformare nel cash, a piacere e in ogni momento, l’investimento acquistato con il cash. Banche e finanziarie variamente specializzate preferiscono usare il termine “alternative investments” per presentare il ventaglio di offerte di questa famiglia - alcune sono tradizionali e altre modernissime - , ma “illiquido” è l’avvertimento più appropriato, riferendosi a un aspetto dell’investimento delicato e da non sottovalutare. Non a caso la Sec, Securities Exchange Commission, tratta diversamente i prodotti “di massa” classici (fondi, 22

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LA SEC LIMITA L’ACCESSO AGLI INVESTIMENTI “ILLIQUIDI” AI SOLI INVESTITORI ACCREDITATI, CON ALMENO 200MILA DOLLARI L’ANNO

Jay Clayton, presidente della Sec

Etf, titoli quotati e offerte pubbliche di vendita) dalle offerte “alternative”. Per i primi richiede la registrazione delle offerte di investimento e la pubblicazione del prospetto dettagliato, affinchè i risparmiatori abbiano tutte le informazioni utili a comprendere il rischio. Le tipologie più sofisticate di prodotti alternativi/illiquidi invece per legge federale sono riservate agli investitori “accreditati”. La Sec li definisce persone private “che hanno un reddito di 200mila dollari - o 300mila tra marito e moglie - in ognuno dei due anni precedenti, e che ragionevolmente si aspettano lo stesso guadagno nell’anno in corso. Oppure, che hanno una ricchezza superiore al milione di dollari, da soli o con il partner sposato, escludendo il valore della prima casa”. Una ragione per cui queste offerte alternative sono limitate agli investitori accreditati è “di assicurare che tutti risparmiatori partecipanti siano finanziariamente sofisticati e in grado di badare a se stessi o di sostenere il rischio di perdite. Diversamente dalle offerte registrate presso la Sec nelle quali certe informazioni devono essere pubblicate a richiesta della Commissione”, si legge sul sito governativo, “ le compagnie e i fondi privati, come gli hedge funds o i fondi di venture capital, che si impegnano in queste offerte esenti non devono dare le prescritte informazioni agli investitori accreditati. Sono offerte che comportano rischi unici e chi investe deve essere consapevole che potrebbe perdere l’intero investimento”. La Sec insomma certifica i “prodotti per tutti” con il prospetto rigoroso ai fini della trasparenza informativa, ma permette che arrivino sul mercato anche soluzioni e proposte, “esentate” da uno scrutinio totale, purchè sia rispettato il criterio


COVERSTORY degli investitori che dimostrano di essere ricchi e che si assumono l’intera responsabilità dell’esito. Goldman Sachs, che prendiamo come esempio tra le maggiori banche d’investimento e commerciali, tutte presenti nel comparto, offre “alternative investments, come hedge funds, private credit, private equity e real assets”, alla clientela accreditata per dare accesso a un largo bacino di opportunità di investimenti in tutti i mercati, aree geografiche e settori. “Usando un approccio di investimento più flessibile”, reclamizza la banca, “queste strategie possono fornire una fonte di ritorni differenziata rispetto agli investimenti tradizionali in azioni e obbligazioni, e anche una stabilità aggiuntiva al portafoglio sul lungo periodo”. Ed ecco le quattro famiglie “alternative”. 1- I fondi di private equity. Esistono più compagnie “private”, nel senso che la proprietà è tutta in mani private, rispetto alle società “public”, pubbliche”, come in America sono chiamate le aziende quotate in Borsa e aperte alla platea popolare. Molte delle società “private” cercano comunque del capitale per finanziarsi, e le società di private equity sono al loro servizio. Esse creano “fondi di private equity” raccogliendo denaro sia tra gli investitori istituzionali (assicurazioni, fondi pensione, ecc) sia tra i “non” istituzionali, che possono essere anche “family office” o risparmiatori individuali “accreditati”. I fondi investono in aziende private dalle buone prospettive comprando quote e il guadagno di chi investe può venire in un futuro non prevedibile, se e quando ci sarà una exit (uscita) di successo: ossia una Ipo in borsa o una acquisizione da altra compagnia. Il termine “private equity” è generico e comprende gli investimenti in tutte le fasi di crescita di una impresa che si rivolge al mercato privato per finanziare la propria attività. 2-Investimento diretto in start up e in compagnie private. Invece di ricorrere a un fondo di private equity, un individuo può fare da sè, assumendo il ruolo dell’ “angel investor” nel caso di una start-up. I risparmiatori al dettaglio possono partecipare in certe iniziative a seconda del tipo di esenzione dalla registrazione presso la Sec. 3 - Venture capital. È un’altra sottocategoria terminologica del private equity che si specializza nei primi stadi di cresci-

SONO QUATTRO LE TIPOLOGIE DI ASSET VERSO I QUALI SI ORIENTA IL MERCATO

A sinistra, David Solomon, amministratore delegato di Goldman Sachs. A destra, Sang H. Lee, fondatore e Ceo di DarcMatter

ta dell’azienda. Il rischio è altissimo, ma così sono pure i possibili ritorni. Google, Facebook e Twitter sono tra i più famosi testimonial del successo di scommesse del genere. Per queste tre tipologie di investimenti gli “accreditati” possono ricorrere a soluzioni di FinTech. In una intervista sul Financial Poise, Sang H. Lee, fondatore e Ceo di DarcMatter, esempio di successo nel FinTech, ha spiegato, nel quinto anniversario dalla fondazione, il raggio di operatività della sua piattaforma, che dà accesso a 150 fondi per 2600 clienti di 62 paesi. DarcMatter offre l’accesso trasparente, e di livello qualitativo istituzionale, a investimenti alternativi non solo a fondi pensione o assicurazioni, ma anche ad individui “che possono cogliere opportunità di investimento in hedge funds, private equity, venture capital e debiti strutturati”. Usando tecnologia e fondi designati, continua H.Lee, “DarcMatter permette un procedimento scorrevole di accesso sia agli investitori sia agli emittenti privati, rispettando nel contempo pienamente tutte le regole previste dagli enti finanziari regolatori”. 4 -Real asset o beni reali. Sono impieghi nelle categorie d’investimento, ben note, che hanno un valore intrinseco: case, commodity, metalli preziosi, terreni per l’agricoltura, foreste, articoli per collezionisti come i francobolli o le monete antiche, i gioielli, i vini e l’arte. Questi beni possono essere acquistati personalmente da chiunque, per godimento ma anche per investimento. Ci sono però anche società di consulenza, per esempio nel settore dell’arte la ArtVest Partners, o nel mattone la RealtyMogul. Quest’ultima permette ai privati, purche’ “accreditati”, di comprare quote dei loro progetti immobiliari, con prezzi che partono da un minimo di 5000 dollari in su. dicembre 2019

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RISPARMIO GESTITO

EVVIVA L’ECONOMIA REALE (MA SI PARLI ANCHE DEI RISCHI) di Nicola Ronchetti*

Q

uando la temperatura scende sottozero di norma l’uomo corre ai ripari. Idem in finanza, dove i tassi sottozero hanno fatto (ri)scoprire gli investimenti illiquidi oggi proposti anche al grande pubblico dei piccoli risparmiatori italiani. Il mantra di chi promuove questo tipo di investimento è “economia reale”, meglio ancora se nazional popolare: è molto affascinante investire in azioni di aziende italiane non quotate ancor di più in infrastrutture per lo sviluppo del nostro Paese. Nella proposizione commerciale di questi prodotti si parla molto di rendimenti in grado di raddoppiare il valore del capitale, meno del rischio della perdita di quanto investito. Il tema del sottostante, ovvero delle aziende in cui investire, viene affrontato marginalmente pur nella sua criticità. È vero che esistono centinaia di migliaia di aziende, alcune vere e proprie eccellenze, ma solo pochissime intendono aprire il proprio capitale a terzi e tra quelle che lo fanno poche rappresentano un buon investimento (si pensi a Parmalat e più recentemente a Bio-on). Quanti tra i professionisti – consulenti finanziari o private banker - conoscono e si sentono fiduciosi di proporre questo tipo di investimenti ai loro clienti? Il 34% dei cf e pb dichiara di conoscere bene questo tipo di investimenti e la metà di costoro (pari al 17% del totale) si sente fiducioso e preparato per proporli oggi ai propri clienti (fonti Finer® Cf Explorer e Finer® Pb Explorer, 5.173 interviste a cf e pb). Le barriere sono soprattutto la mancata conoscenza (66%), il fatto che richiedano - per i più - un orizzonte temporale di almeno dieci anni (57%) e che quindi non siano strumenti per tutti i clienti, sia in ragione della loro illiquidità che della quota a loro destinata, che concordi quasi tutti (85%) deve oscillare tra l’1% e il 5% massimo del portafoglio complessivo del singolo cliente. Quanto alla soglia di accesso a questo tipo di investimenti, la maggior parte degli intervistati (78%) concorda nel ritenere che la somma minima debba stare in-

torno ai centomila euro, il che limiterebbe questo tipo di investimenti a una clientela private e Hnwi. Ma c’è anche chi ritiene (22%) che si possa prevedere un ticket di ingresso compreso tra venti e trentamila euro, consentendo quindi l’accesso a que- NICOLA RONCHETTI sta asset class anche ai cosiddetti clienti affluent e upper affluent. E quanti e quali clienti sarebbero interessati a investire parte del loro patrimonio in prodotti per i quali sussistono difficoltà di smobilizzo entro un lasso di tempo ragionevole (estratto dalla Comunicazione Consob n. 9019104 del 2 marzo 2009)? L’interesse a investire in aziende italiane è alto (54%) ma spesso associato ad aziende di grandi dimensioni già molto affermate (per esempio Barilla, Ferrero) o quotate (per esempio Ferrari, Brembo). “Lascia o raddoppia”: l’interesse a immobilizzare per 8-10 anni una quota del proprio patrimonio a fronte della possibilità di raddoppiare il proprio investimento o al rischio di perderlo interamente – è maggiore presso gli Hnwi (17% molto interessati) rispetto al resto della popolazione degli investitori italiani (6%). In entrambi i casi la parte del proprio patrimonio destinata ai prodotti illiquidi non arriverebbe all’2% per gli Hnwi e al 1% dei clienti affluent (fonte Finer® Finance Mirror, 5.200 interviste a investitori finali). È più che encomiabile lo sforzo che l’industria del risparmio gestito sta compiendo per creare valoree aggiunto per i propri clienti e per l’economia reale, a condizione che si segua l’antico adagio: patti chiari e amicizia lunga. Viceversa ben vengano i nostri titoli di stato: cosa c’è infatti di più reale che pagare – per esempio - lo stipendio alle nostre forze dell’ordine e ai nostri medici?

NELLA PROPOSTA COMMERCIALE NON BASTA ESPORRE I POSSIBILI SUCCESSI

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dicembre 2019

*Founder e ceo di Finer



CERTIFICATI

QUEI DERIVATI «TUTTOFARE» CHE VINCONO NELL’ERA DEI TASSI BASSI di Gloria Valdonio

S

ono tantissimi, costano poco, sono accessibili (le soglie di ingresso si aggirano in media intorno a mille, ma anche solo cento euro per alcuni prodotti) e sono liquidi. Non solo. La loro permanenza in portafoglio può andare dalla scadenza naturale (uno, due, o cinque anni) per i prodotti di investimento, fino a poche ore per i prodotti di trading. Inoltre possono essere tailor made, cioè costruiti su misura per esigenze specifiche di un investitore. Per tutti questi motivi vanno alla grande. Parliamo dei certificati, prodotti derivati cartolarizzati (ossia ottenuti attraverso l’assemblamento di più contratti finanziari incorporati in un unico titolo, il cui valore deriva da un’altra attività finanziaria, come un’azione, un’obbligazione, una commodity o una valuta) che si sono fatti largo tra un ambiente di tassi molto bassi e le sempre più timide aspettative di rendimento. Nel mercato secondario i certificati sono passati dai circa 14 miliardi di euro trattati nel 2010 agli oltre 43 miliardi dello scorso anno. Allo stesso modo anche il mercato primario è passato da 4 a 11 miliardi nello stesso periodo, e nei primi nove mesi di quest’anno ha già toccato i 13 miliardi sottoscritti che si stima arriveranno a oltre 15 miliardi a fine anno. Solo nel 2019 sono stati 9.711 i prodotti emessi (i primi cinque emittenti per scambi sono nell’ordine Societe Generale, Unicredit, Banca Imi, Vontobel e Bnp Paribas), e il turnover (ovvero gli scambi) sono stati elevatissimi: quelli sul segmento SeDeX di Borsa italiana (mercato principale che comprende tutte le tipologie dei mercati cartolarizzate) da inizio anno a metà novembre ammontano già a 15,7 milioni di euro (certifica26

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Costanza Mannocchi, head of exchange traded products in Italia di Société Générale Nella pagina a destra, Andrea Cattapan, responsabile investimenti di Consultique

I CERTIFICATI SONO PASSATI DAI 10 MILIARDI TRATTATI NEL 2010 AGLI OLTRE 43 SCAMBIATI LO SCORSO ANNO ti e covered warrants). «La mostruosa crescita dei certificati di investimento sul mercato primario, si riverbera anche sul mercato secondario dando vita a una girandola di scambi che rende molto liquido il prodotto, mentre i collocamenti sono sempre più importanti in termini di raccolta», è il commento di Costanza Mannocchi, head of exchange traded products in Italia di Société Générale, leader di settore con una quota di mercato del 34% con circa 1.900 prodotti quotati. Quanto a questi ultimi, secondo Borsa italiana, i certificati a leva rappresentano la principale categoria con oltre il 50% (per la precisione (8.093.034.684) degli scambi totali sul SeDeX,


COVERSTORY mentre tra i certificati di investimento - che costituiscono più dell’8% degli scambi totali sul SeDeX e sono in grande incremento - spiccano i bonus e i certificati a capitale protetto che costituiscono le tipologie più scambiate nel 2019.

Appeal fiscale Come visto il mercato dei certificati da qualche anno è in forte crescita sia in termini di nuovi collocamenti (cento nuovi certificati al mese, lo scorso anno) sia per quanto riguarda gli scambi sui mercati Sedex e Certex, che è un segmento di Eurotlx. Ma quali sono le ragioni e quali obiettivi di investimento soddisfano questi prodotti? «I certificati si distinguono in due categorie: i prodotti di trading, ovvero gli strumenti a leva fissa, che sono in assoluto i più richiesti e che permettono di realizzare strategie speculative, e i certificati di investimento, che hanno un orizzonte di medio-lungo periodo» spiega Mannocchi. «Nel complesso quindi si tratta di strumenti molto versatili, e la loro forza è quella di aggiunge un elemento di complessità rispetto alla classica esposizione lunga su un sottostante». «L’impressionante progressione di collocamenti che si è verificata negli ultimi mesi indica che questi prodotti sono molto richiesti sia dai trader in ottica speculativa, perché offrono amplificazione del rendimento con poco capitale a disposizione, sia nell’ambito della consulenza di portafoglio, dove l’offerta si è adeguata alle più diverse esigenze di investimento», conferma Andrea Cattapan, responsabile investimenti di Consultique. Come spiegano gli operatori, una delle principali esigenze, forse la prima, è la notevole efficienza fiscale offerta da questi prodotti, rappresentata dalla possibilità di compensare le plusvalenze con le minusvalenze su strumenti diversi. I certificati infatti, a differenza di fondi ed Etf, generano solo e sempre “redditi diversi”, sia nel caso di plus che di minus, poiché pagano sempre importi aleatori, ossia subordinati al verificarsi di determinate condizioni o eventi. La peculiarità delle plusvalenze ottenute tramite certificati, sulle quali si applica un’aliquota fiscale del 26%, è quindi quella di poter essere utilizzate per la compensazione con le perdite derivanti anche da altri strumenti finanziari, come per esempio le minusvalenze maturate su fondi ed Etf.

L’OFFERTA È COPIOSA ANCHE PERCHÈ LA RACCOLTA CHE SERVE PER UN LANCIO È PIUTTOSTO BASSA

Ecco i certificati d’investimento quotati tra il 2015 e il 2019

SeDeX, numero strumenti quotati Cert-X, numero strumenti quotati

4.865 3.732 3.174

2.457

2.586

2.721

1.314

1.395

1.453

1.143

1.191

1.268

1.596

1.691

2015

2016

2017

2018

2019*

2.136

L’offerta L’offerta è copiosa anche perché la raccolta necessaria al lancio di un certificato è piuttosto bassa: se per un fondo di investimento tradizionale questa parte da 20 milioni di euro e il processo di collocamento dura molti mesi, nel caso dei certificati la procedura è molto più veloce e gli emittenti vanno a break even già a partire da tre milioni nel caso di emittenti bancari, ma è sufficiente una raccolta di un milione per i piccoli emittenti. Va specificato che esistono due grandi macrocategorie di certificati, quelli a leva o leverage certificates, e quelli di investimento o investment certificates. Se i primi sono idonei ad operazioni di trading vero e proprio, con finalità speculative e/o di copertura del portafoglio, come nel caso dei mini-future certificate short, gli investment certificates sposano invece una logica di investimento di medio o lungo periodo e sono caratterizzati da una struttura opzionale sottostante più complessa. Si tratta di prodotti a scadenza (da uno a cinque anni), con o senza cedola, e sono molto richiesti dal mondo della consulenza e anche dal retail soprattutto nella variante della “maxicedodicembre 2019

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Matteo Battaglia, responsabile investment solution di WebsimIntermonte

la a fine anno” che permette di sfruttare al massimo il vantaggio fiscale di questi prodotti. «Negli ultimi due anni sul mercato primario c’è stata una forte domanda di certificati a capitale protetto e alcuni prodotti hanno preso il posto della categoria obbligazionaria dove sono venuti meno i rendimenti. L’industria si è così ingegnata a costruire prodotti cone le cedole per simulare un rendimento obbligazionario», è il commento di Cattapan. «Oggi il retail si sta spostando sui certificati con cedola mensile o con maxicedola, che favorisce la compensazione delle minusvalenze», spiega Matteo Battaglia, responsabile investment solution di Websim-Intermonte. «Si tratta di tipologie vicine all’investimento del retail anche se personalmente preferisco strutture legate alla tipologia di investimento sottostante. Se punto, per esempio a operazioni straordinarie di M&A preferisco scegliere un certificato che contenga un’opzione di rimborso anticipato. Se credo invece che il sottostante non si apprezzerà velocemente ma non crollerà, mi dovrò puntare su un prodotto strutturato, la cui resa è legata al fattore tempo».

I rischi Sul mercato ovviamente non c’è il pasto gratis: pur essendo negoziati su mercati regolamentati i certificati sono soggetti, in caso di default, al rischio dell’emittente, in quanto equiparati alle obbligazioni senior non garantite e non privilegiate dell’emittente bancario. Per ogni singolo certificato vanno quindi considerati i rischi, in primo luogo quello dell’emittente, oltre ovviamente alle caratteristiche del sottostante, le cui performance vengono moltiplicate da leve e sottoposte a barriere e altre condizioni. Perché è vero che ci sono tipologie di certifi28

dicembre 2019

cati abbastanza standardizzati ma, come spiega Mannocchi, «All’interno di ogni gamma di certificati ogni emittente determina le sue caratteristiche, per esempio dove porre la barriera o il premio condizionato». Come scegliere allora? «La prima cosa da fare è guardare alla solidità dell’emittente. Bisogna anche considerare la piattaforma di negoziazione considerando che il Sedex è la principale, la più monitorata e la più liquida. Non ultimo è indispensabile guardare il rating del garante che interviene in caso di default”, spiega Francesca Fossatelli, responsabile public distribution Italy di Vontobel Investment Banking.

Portafogli certificati I certificati sono considerati strumenti finanziari flessibili che permettono all’investitore di adattarsi al variare degli scenari di mercato e alle diverse esigenze di portafoglio. I dati riportati all’inizio dell’articolo sulla crescita di questi strumenti parlano chiaro e indicano il gradimento del mercato: non a caso il prodotto è il più scambiato da investitori istituzionali, trader e nelle gestioni patrimoniali sul mercato secondario. «Si tratta però di numeri aggregati, delle medie, che non possono con chiarezza spiegare il loro peso sui singoli portafogli perché, come è giusto che sia, sono strumenti acquistati da chi conosce bene il prodotto o consigliati da bravi private banker», dice Battaglia. Che però aggiunge: «In ogni caso nel mondo attuale, con quasi 13 mila miliardi di bond con tassi negativi, i certificati sono in grado di offrire rendimenti molto superiori rispetto a quanto offerto dalle obbligazioni tenendo sotto controllo il profilo di rischio». L’anomalia dei tassi prossimi allo zero ha infatti comportato, negli ultimi anni, un calo del peso dei bond in portafoglio a favore dei certificati. Lo stesso discorso vale per il mercato azionario, con i listini sui top assoluti. «Chi conosce bene i certificate, preferisce vendere un po’ di equity e acquistare un prodotto che, a fronte di una protezione e con mercati in calo, non crolla ma anzi continua a offrire buoni rendimenti. E que-

PARLA COMUNIAN (BNP PARIBAS CIB): «I CERTIFICATI PIÙ RICHIESTI NELL’ATTUALE

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resce la domanda di certificati, spinta da varie categorie di investitori, dal retail ai consulenti indipendenti fino al private banking. Ma, come spiega Luca Comunian, head of distribution marketing & communication (nella foto), questi prodotti non stanno affatto cannibalizzando altre categorie di strumenti finanziari. «I certificati si stanno imponendo come prodotti complementari che vanno a integrare i portafogli degli investitori grazie ai notevoli vantaggi che offrono», aggiunge Comunian. Che aggiunge: «La caratteristica forse più preziosa (oltre a quella fiscale) dei certificati è

che fin dal momento dell’emissione offrono una chiara visione delle performance del prodotto nei diversi scenari di mercato, sia rialzista che ribassista o neutrale». Ma tra le decine di certificati in circolazione quali sono i più richiesti in questa fase di mercato? «Tra le varie categorie di certificate che stanno riscuotendo maggiore successo», spiega Camunian, «ci sono i Cash Collect, che consentono di ottenere rendimenti periodici con varie ricorrenze, da annuale fino a mensile, qualora il prezzo delle azioni sottostanti a cui sono collegati non scenda sotto un livello prestabilito,


COVERSTORY sto è il motivo per cui i certificate in Germania sono più scambiati delle azioni», spiega Battaglia. Cattapan di Consultique assegna a questi prodotti una quota del 5-10% in portafoglio, in linea con quanto afferma il mondo della consulenza. «I certificati vengono utilizzati molto dagli investitori retail e ultimamente anche dai consulenti finanziari per ottimizzare l’esposizione al sottostante, e il loro peso nei portafogli si aggira tra il 5 e il 10 per cento», conferma SocGen.

Le novità Di certificati ce ne sono per tutti i gusti. «Le caratteristiche contrattuali dei securitised derivatives sono incorporate in uno o più titoli negoziabili in Borsa», spiega Battaglia. “Negli anni questo prodotto si è evoluto e soprattutto diversificato, comprendendo una larghissima fascia di combinazioni di rischio e protezione. Si parte dai certificati a capitale interamente protetto a quelli con leva elevatissima dove si può perdere l’intero investimento. Questi ultimi sono utilizzati con finalità speculativa, ma anche per coprire posizioni in portafoglio da forti scossoni dei mercati». Ma quali sono le caratteristiche degli ultimi prodotti lanciati sul mercato? Come spiega ancora Battaglia, nell’ultimo periodo le maggiori novità introdotte riguardano caratteristiche come l’effetto step down, airbag e relief. Vediamo di che cosa si tratta. «L’op-

Ripartizione dei volumi dei Certificati d’investimento per sottostante nel 2018 3% 1% SOTTOSTANTE

VOLUMI

QUOTA %

Indici esteri

€ 5.493

38.3%

Azioni italiane

€ 2.601 mln

26.3%

Basket

€ 2.063 mln

17.1%

Azioni estere

€ 1.424 mln

14.2%

Indici italiani

€ 512 mln

2.9%

Altro

€ 118 mln

1.1%

11,7% 45,0%

16,9%

21,3%

Altro

Indici italiani

Azioni estere

Basket

Azioni italiane

Indici azionari esteri

zione step-down aumenta la probabilità del richiamo anticipato mensile anche in caso di moderato ribasso dei sottostanti, attraverso un livello di rimborso decrescente nel tempo sul valore del sottostante» dice lo strategist. Un esempio: se dal sesto mese di vita, il o i sottostanti si trovano al valore iniziale il certificato viene rimborsato pagando un premio e il valore investito. Il livello di rimborso anticipato quindi scende quanto più passa il tempo, aumentando le probabilità di ritiro. Quanto ai prodotti Airbag, invece attenuano le perdite in caso di prestazione eccessivamente negativa del prodotto, ammorbidendo la perdita in portafoglio che si avrebbe con un normale certificato. «Da poco infine Exane ha lanciato l’opzione relief grazie alla quale l’investitore ottiene un rendimento positivo anche se alla scadenza di un certificate worst of con tre sottostanti, uno di questi quota sotto la barriera. Si elimina dunque il sottostante peggiore garantendo così il rimborso del capitale”, conclude Battaglia.

FASE DI MERCATO? L’ULTIMA FRONTIERA SONO I CASH COLLECT» cosiddetto barriera». I valori dei livelli barriera presenti sul mercato oscillano tra il 70% e il 40% del valore iniziale dell’azione. A scadenza, i Cash Collect certificate offrono la protezione condizionata del capitale nominale qualora la quotazione dei sottostanti non sia inferiore al livello barriera stesso. L’ultima novità di Bnp Paribas è proprio l’emissione dei Memory Cash Collect su sottostanti Esg, che rappresenta la prima emissione di Certificate sostenibili quotati su Borsa Italiana e, dopo il successo riscontrato nel primo lancio di ottobre, a nocembre è stata emessa la seconda gamma di Esg Memory Cash

Collect. «Questi certificati consentono di ottenere premi potenziali trimestrali compresi tra l’1,25% (pari al 5% annuo) e il 2,75% (11% annuo) con effetto memoria», dice Camunian. Che spiega: «Guardando al loro funzionamento, a scadenza, si prospettano due possibili scenari: se il sottostante quota a un livello pari o superiore al livello barriera, i certificate rimborsano il capitale nominale oltre al premio trimestrale e agli eventuali premi non pagati precedentemente; altrimenti, paga un importo commisurato alla performance negativa del sottostante, con conseguente perdita sul capitale nominale». «Si tratta di una novità

assoluta nell’ambito dei certificate, poiché per la prima volta in Italia si utilizzano i rating Esg forniti da Vigeo Eiris per selezionare come sottostanti società con elevati standard ambientali, sociali e di governance», conclude Comunian.

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CERTIFICATI

METTI UN TURBO NEL MOTORE DEL TRADING di Mario Romano

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el panorama degli strumenti finanziari a disposizione degli investitori per la loro attività di trading, i certificati, in particolare quelli Turbo, rivestono un ruolo importante e risultano particolarmente apprezzati dal cliente finale. In questo contesto si è inserito IG Europe rendendosi fautore di una svolta storica attraverso il lancio dei nuovi Turbo24, i primi certificati turbo al mondo ad essere quotati 24 ore su 24, 5 giorni su 7. Dal momento del lancio è possibile investire su un totale di 20 sottostanti, scelti tra i più scambiati dai trader e suddivisi tra indici azionari, materie prime e valute. I Turbo24 si adattano alle esigenze degli investitori, grazie a caratteristiche innovative. La prima è data dal fatto che sono quotati h24, peculiarità che dà ai trader la possibilità di intervenire con continuità sul mercato. Non esiste a oggi alcun prodotto di questo genere che abbia una estensione di orari di questo tipo. In effetti la disponibilità agli scambi h24 rende lo strumento unico poichè permette ai trader di sfruttare gli eventi di mercato e di operare anche oltre i canonici orari di contrattazione. Importante è anche la possibilità di poter scegliere la parte di capitale da impegnare rispetto all’intera esposizione sul mercato, ovvero l’effetto leva. Tramite questo strumento il trader può scegliere il livello che preferisce, tecnicamente chiamato Knock out, in base alla propria propensione al rischio. Più il livello di Knock out selezionato sarà vicino al prezzo del sottostante più alto sarà l’effetto leva scelto, rappresentando anche la perdita massima che il trader può subire. Inoltre pur offrendo la possibilità di negoziare anche quando il mercato 30

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IN POCHE SETTIMANE OLTRE 1,7 MILIONI DI CERTIFICATI TURBO24 SONO STATI SCAMBIATI IN EUROPA

FABIO DE CILLIS, HEAD OF ITALY DI IG

sottostante è chiuso, fuori dagli orari di negoziazione non potrà esserci nessun evento che porti al Knock out. In caso di raggiungimento della barriera a “mercati chiusi”, il livello dovrà essere confermato all’apertura del giorno successivo affinché il Knock out risulti effettivo. Ciò significa che se il sottostante sarà in attivo prima della riapertura il Turbo24 tornerà a quotare come se niente fosse accaduto. Non è un caso quindi che, ad alcune settimane di distanza dal lancio, i numeri siano più che favorevoli, con oltre 1,7 milioni di certificati Turbo24 scambiati in Europa e quasi un terzo degli scambi avvenuti fuori dai classici orari.

RELATORI D’ECCELLENZA NEL ROADSHOW PER I TRADER In occasione del lancio sul mercato dei nuovi certificati Turbo24, IG ha organizzato due appuntamenti dedicati interamente al trading, le IG Turbo24 Trading night. Il 26 novembre a Milano e il 28 a Roma si sono svolte le due tappe serali del roadshow dedicato ai trader e a tutti coloro che si stanno progressivamente avvicinando a questo mondo. Sul palco, oltre a Fabio De Cillis, head of Italy di IG, hanno partecipato ospiti d’eccezione come Salvatore Miserendino, direttore di Beaconrise Ltd, che ha illustrato le potenzialità dei certificati insieme alle caratteristiche che lo rendono unico al mondo e Pierpaolo Scandurra, ceo di Certificati e Derivati e direttore del Certificate Journal, che ha parlato di analisi tecnica, spread trading ed hedging di portafoglio con i Turbo24. Presente anche il trader professionista Bruno Moltrasio, che ha mostrato al pubblico sessioni di trading di brevissimo termine in real time. Un successo per IG che si riafferma come pioniere dell’innovazione grazie a un prodotto dalle caratteristiche uniche.


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NOTIZIE E STORIE DI MOTORI


RENDICONTI

MIFID2, LA RIVOLUZIONE PUÒ ATTENDERE di Rosaria Barrile

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ome una medicina un po’ amara, i rendiconti Mifid2 sono arrivate nelle case dei risparmiatori italiani con il contagocce. A fronte di rendimenti deludenti registrati nel 2018, molti intermediari finanziari hanno preferito prendere tempo per l’invio del documento che dovrebbe permettere di comprendere i costi sostenuti per la gestione dei propri investimenti. Ma, almeno per ora, l’invio dei rendiconti è stato ben lontano dall’aver centrato l’obiettivo di garantire maggiore trasparenza per diversi motivi tra cui la scarsa visibilità di tali informazioni, distribuite all’interno di documenti spesso molto lunghi, e la mancanza di consapevolezza da parte del risparmiatore di avere tra la mani uno strumento sulla cui base andare valutare l’operato del proprio consulente. Per ora quindi non sarebbe ancora scattato il “momento della verità” o quella “rivoluzione copernicana nell’ambito degli investimenti” paventata da molti operatori. Nel momento in cui scriviamo infatti, da alcune reti ci arriva l’indiscrezione di un’incidenza estremamente contenuta di richieste di chiarimenti da parte della clientela rispetto al totale dei rendiconti inviati. Una situazione però che sembra essere motivata più che dalla comprensione reale del risparmiatore, dalla sostanziale mancanza di conoscenza circa l’importanza della comunicazione ricevuta. E’ questa in buona sostanza la conclusione che si ricava anche leggendo tra le righe della ricerca condotta dalla “School of Management” del Politecnico di Milano, commissionata da Moneyfarm e che si è posta l’obiettivo di analizzare la reportistica messa a 32

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LA DIRETTIVA NON HA CENTRATO L’OBIETTIVO DI RENDERE PIÙ TRASPARENTE L’IMPATTO DEI COSTI SUI RENDIMENTI disposizione degli investitori sia ex ante (prima dell’investimento, per capire quali costi saranno caricati), sia ex post (a consuntivo, per capire i costi effettivi). I rendiconti analizzati sono stati 18 e comprendono quelli dei maggiori intermediari finanziari presenti sul territorio nazionale e focalizzati su una clientela retail (mass market e mass affluent). La selezione ha adottato come riferimento il ranking contenuto nella Mappa trimestrale del risparmio gestito relativa al primo trimestre 2019 pubblicata sul sito di Assogestioni rispetto al patrimonio gestito nonché le informazioni contenute nell’Annuario generale private banking 2018 di Aipb (Associazione italiana private banking) e nella Relazione annuale 2018 di Assoreti. Sono stati esclusi gli intermediari finanziari non focalizzati su una clientela retail e a ognuno è stato fornito un unico giudizio relativo alla consulenza in materia di investimenti. Per diversi intermediari sono stati raccolti più documenti da clienti differenti, così da aumentare la significatività dei risultati e ridurre l’incidenza di casi particolari. Rendiconti “a sorpresa” La prima parte della ricerca ha affrontato la qualità dell’informativa ex ante fornita ai clienti esistenti e potenziali. I risultati hanno evidenziato che solo il 25% della documentazione raccolta relativa alla consulenza finanziaria e alla gestione di portafogli riportava la totalità delle informazioni raccomandate dalle autorità. L’informativa ex ante era spesso carente rispetto ai costi per operazioni, alle spese per i servizi accessori e ai costi accessori (commissioni di performance). Le spese correnti e le spese una tantum erano più frequentemente dettagliate. I costi venivano esplicitati in va-


COVERSTORY IL NUMERO DI PAGINE DEI RENDICONTI EX POST

Il cerchio azzurro indica la pagina in cui comincia l’esposizione quantitativa dei costi. Campione: 18 intermediari finanziari 39

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FONTE: RAPPORTO DI RICERCA “GLI EFFETTI DELLA DIRETTIVA 2014/65/UE (MIFID II): L’INFORMATIVA SUI COSTI E SUGLI ONERI CONNESSI, POLITECNICO DI MILANO - SCHOOL OF MANAGEMENT E MONEYFARM, OTTOBRE 2019”

lore assoluto nel 45% dei casi per la consulenza finanziaria e nel 19% per la gestione di portafogli. Solo nel 40% delle richieste relative alla consulenza finanziaria la documentazione è stata consegnata in forma digitale o cartacea mentre tale percentuale saliva al 69% per la gestione di portafogli. La seconda parte della ricerca ha affrontato invece il tema della rendicontazione ex post inviata dagli stessi intermediari finanziari ai propri clienti con riferimento agli investimenti effettuati nel corso del 2018. La valutazione ha fatto emergere in prima battuta il continuo rinvio degli intermediari posti di fronte agli obblighi della Direttiva: l’invio è andato molto a rilento nel corso del 2019 e si è svolto prevalentemente nel periodo estivo. Nessuno l’ha inviata prima del mese di maggio 2019. La maggioranza lo ha fatto in luglio e in alcuni casi si è arrivati a settembre. In sintesi nessuno degli intermediari si è distinto per tempestività nella pubblicazione, nonostante le indicazioni fossero quelle di provvedere “il prima possibile”. Solo due report sono stati inviati a maggio 2019, due a giugno, undici (la maggioranza assoluta) a luglio, due in agosto e uno addirittura a settembre. Venendo al contenuto dei rendiconti, la ricerca ha valutato le informazioni inviate al risparmiatore secondo tre livelli di interpretazione distinti: i requisiti informativi obbligatori contenuti nella Direttiva Mifid 2 e nei

regolamenti attuativi; le indicazioni di Esma contenute nelle Q&A e le buone pratiche suggerite dalle associazioni di categoria; una serie di parametri qualitativi non esplicitamente citati dalla normativa, ma in grado di avere un impatto sulla chiarezza del documento auspicata dal legislatore europeo. Per quanto riguarda i requisiti obbligatori, secondo l’indagine commissionata da Moneyfarm, tutti gli intermediari hanno correttamente riportato sia i costi totali applicati all’investitore (in valore assoluto e in percentuale), sia la ripartizione in forma aggregata dei costi in strumenti finanziari, servizi d’investimento e in pagamenti di terzi riconosciuti all’intermediario finanziario. Non tutti però hanno reso trasparente l’effetto cumulativo dei costi sulla redditività dell’investimento (uno dei parametri richiesti dal legislatore per aiutare l’investitore a visualizzare la relazione tra costi e rendimenti dell’investimento); nel 44% dei casi l’indicazione è parziale e viene omesso il dato sul rendimento lasciando l’indicazione solo per il costo sostenuto mentre nel 6% dei casi l’informazione è del tutto assente. Per quanto riguarda le disposizioni sugli oneri fiscali da riportare obbligatoriamente, nel 67% dei casi sono stati definiti in modo completo ma nel 22% dei rendiconti la voce è presente solo parzialmente, mentre nell’11% dei casi non

I CLIENTI NON HANNO COMPRESO CHE IL RENDICONTO SERVE A CAPIRE LA QUALITÀ DEL LAVORO DEL CF

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sono stati affatto illustrati. L’indicazione disaggregata dei costi tra le varie voci previste dalla normativa è stata fornita nel 56% dei documenti. Nel 67% dei casi è stata esplicitata l’indicazione che i clienti avrebbero potuto accedere a informazioni disaggregate esercitando il diritto di richiesta previsto dalla normativa. Il 72% dei rendiconti riportava anche le informazioni sulla fiscalità personale sui redditi conseguiti (capital gain, ad esempio). Il risultato più negativo è quello relativo alla trasparenza sui “pagamenti riconosciuti da terze parti”: solo un intermediario li definisce come tali, conformemente alle indicazioni di Esma, mentre gli altri intermediari hanno scelto di usare una terminologia diversa (“incentivi”, “retrocessioni” o altro). Solo il 28% dei documenti riporta informazioni focalizzate esclusivamente sui costi, mentre nel 72% dei casi le informazioni sono parte di documenti più dispersivi che contengono altri messaggi, anche di tipo pubblicitario. Alcuni intermediari hanno scelto di pubblicare report molto sintetici, altri invece hanno prodotto rendiconti decisamente più lunghi: il 28% dei documenti rimane entro le 5 pagine, il 39% si posiziona nella fascia fra 10 e 30 pagine, mentre il 17% contiene più di 30 pagine. Solo il 44% dei rendiconti, inoltre, conteneva la parola “costi” o “oneri” nell’intestazione: questo significa che il 56% degli intermediari, inviando il rendiconto ai propri clienti, ha preferito non chiamarlo con il suo nome.

ALCUNI RENDICONTI CONTENGONO ANCHE RITAGLI DI GIORNALI E PUBBLICITÀ DI INIZIATIVE DI BENEFICENZA

Promossi e bocciati secondo l’Aduc A confermare come per il risparmiatore resti ancora un’impresa capire i costi sostenuti per i propri investimenti, è l’associazione Aduc che ha messo in piedi sul suo sito l’iniziativa “Trasparenza & Investimenti” che comprendere un blog e un apposito test on line per valutare il livello di trasparenza del resoconto inviato dalla banca. Secondo l’associazione nono-

Le foto dei promossi sono: da sinistra Alessandro Foti ad di FinecoBank, Gian Maria Mossa ad di Banca Generali e Maurizio Vitolo ad di Consultinvest

stante si sia giunti all’ultimo trimestre dell’anno 2019, la quasi totalità degli investitori non sarebbe in grado di indicare con precisazione qual è stato l’importo versato. Ma non solo: secondo l’Aduc, oltre al grande ritardo con cui i rendiconti sono stati inviati, come già evidenziato dalla ricerca del Politecnico di Milano, le informazioni fornite sarebbero state presentate in maniera non corretta, spesso inserite all’interno di documenti eccessivamente lunghi e inframmezzati da informazioni irrilevanti. A essere finiti sotto la lente dell’associazione sono stati i rendiconti di diversi operatori. Nel mese di ottobre l’associazione ha iniziato infatti ad assegnare le prime “pagelle” sulla base della valutazione di tre parametri: facilità di lettura, esplicitazione dei costi e completezza delle informazioni. Come evidenziato nel blog Trasparenza & Investimenti, a essere promossi a pieni voti sono stati BinckBank, Con-

I PROMOSSI SECONDO ADUC

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COVERSTORY sultinvest, FinecoBank, Banca Generali e Widiba. Secondo l’Aduc, che non ha effettuato un’indagine su un campione ma che sta valutando esclusivamente i rendiconti inviati spontaneamente dai risparmiatori all’associazione, a evidenziare particolari criticità sono stati invece Mediolanum, Fideuram e Ubs. Alla rete di consulenza guidata dall’ad Massimo Doris l’associazione contesta il fatto che avrebbe inviato un rendiconto privo del dato essenziale: il costo complessivo e l’incidenza dello stesso sul rendimento non sarebbe stato indicato in forma aggregata ma sarebbe stato presentato solamente suddiviso in quattro linee di business. «A nostro avviso», commenta l’Aduc, questo viola espressamente la lettera della norma, per questo abbiamo inviato una lettera aperta chiedendo ai vertici di Mediolanum di inviare una integrazione». A seguito della replica di Banca Mediolanum, che ha sostenuto come il rendiconto inviato sia conforme alle norme, l’Aduc nel mese di novembre ha inviato un esposto-richiesta alla Consob sui rendiconti dei costi ex-post, effettivamente sostenuti, per i servizi d’investimento con particolare riferimento a quelli di Banca Mediolanum. A Fideuram invece, tra le varie contestazioni formulate, ci sarebbe quella relativa all’eccessiva lunghezza del rendiconto, alla difficoltà di reperire all’interno del documento le informazioni relative ai costi, alla mancanza sia del costo aggregato rispetto al complesso del portafoglio, sia dell’indicazione dell’incidenza sul rendimento dei costi in formato aggregato. A Ubs è stato invece contestato il fatto di non aver ancora inviato il rendiconto all’inizio del mese di novembre. Un’accusa a cui la sede attiva in Italia così ha voluto replicare attraverso Investire: «Come comunicato ad Aduc tramite lettera del 29 ottobre 2019, all’interno della quale abbiamo ritenuto utile riassumere brevemente le indicazioni che gli intermediari hanno ricevuto da Consob in merito alle informazioni sui costi e gli oneri connessi alla prestazione di servizi di investimento e accessori e agli strumenti finanziari, confermiamo che Ubs ha debitamente inviato, unitamente alla rendicontazione relativa al primo trimestre 2019, l’indicazione

ECCO QUALI INFORMAZIONI DEVE CONTENERE

I

requisiti in materia di informazioni sui costi e oneri da parte degli intermediari sono disciplinati dall’articolo 24, paragrafo 4, della Direttiva Mifid 2 e dall’articolo 50 del “Regolamento Delegato Ue”. La Direttiva, in particolare: definisce quali sono le informazioni che devono necessariamente essere comunicate all’investitore, individuando le seguenti tre categorie: (a) informazioni sui costi e gli oneri associati ai servizi di investimento prestati dall’intermediario; (b) informazioni sui costi e gli oneri associati agli strumenti finanziari offerti o raccomandati dall’intermediario nell’ambito della prestazione dei servizi di investimenti; (c) pagamenti ricevuti dall’intermediario da parte di terzi per aver offerto o

raccomandato quegli strumenti finanziari; stabilisce che i costi e gli oneri devono essere espressi sia in valore assoluto che in termini percentuali; prevede che le informazioni fornite devono permettere al cliente di conoscere l’effetto complessivo dei costi sostenuti sul rendimento conseguito attraverso l’investimento. Con riferimento alle informazioni inviate ex post, afferma che tali informazioni sono fornite al cliente con periodicità regolare, e comunque almeno annuale, per tutto il periodo dell’investimento; chiarisce che, di regola, l’intermediario può limitarsi a fornire le informazioni sui costi e sugli oneri in forma aggregata ma che, se il cliente lo richiede, è tenuto a fornire le medesime informazioni in forma analitica.

dei costi complessivamente ed effettivamente applicati nel corso del 2018 cosi come previsto dalla normativa vigente. Con riferimento alla nostra realtà, l’analisi posta in essere da Aduc è smentita dalle evidenze fattuali. Teniamo inoltre a sottolineare che l’impegno che tutti gli intermediari hanno dedicato a questo esercizio è significativo e Ubs è in prima linea con l’obiettivo di assicurare ai suoi clienti la migliore qualità e tempestività delle informazioni». Nel complesso però, secondo l’Aduc, per quanto il principio della norma sia valido, nel concreto la strada da percorrere è ancora lunga a causa di alcuni limiti contenuti nella stessa Direttiva. In particolare «la norma non specifica una data entro la quale il rendiconto deve essere ricevuto dal cliente. Il buonsenso direbbe che un rendiconto relativo al 2018 debba essere inviato al massimo, entro il primo trimestre dell’anno successivo». E ancora: «Mentre è prevista una precisa tabella che indica quali costi vadano sommati per determinare il costo complessivo, non è previsto un formato standard di presentazione di questo dato. Alcune banche hanno così affogato questo dato in mezzo a una pagina di testo mentre altre più corrette lo hanno presentato in forma tabellare, molto più leggibile». A ciò va aggiunto il fatto che il rendiconto possa essere inviato insieme ad altre comunicazioni: una previsione che nel concreto rischia di trasformare l’identificazione dei costi sostenuti in una caccia al tesoro. «Alcuni rendiconti contengono, contemporaneamente, ritagli di giornali, pubblicità di iniziative di beneficenza, immagini pubblicitarie varie, commenti sull’andamento dei mercati nel 2018 e informazioni su vari aggiornamenti normativi». dicembre 2019 9

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CASSE DI PREVIDENZA

Le casse di previdenza s’interrogano su un futuro di redditività sostenibile di Sergio Luciano

DALLA CASSA FORENSE ALL’ENASARCO TUTTI ENTI PRIVATIZZATI RICCHISSIMI MA IN CERCA DI NUOVI ASSET VALIDI NEL TEMPO. E L’ADEPP HA UN PIANO...

S

i chiama Wise e significa “saggio”, in inglese; ma è anche il nome del progetto sul quale puntano le Casse previdenziali private, riunite nell’Adepp, per ottenere dal legislatore il diritto a differenziare finalmente gli investimenti e tutelare meglio il risparmio previdenziale dei loro iscritti. In acronimo, infatti, Wise sta per “welfare, investimenti, servizi ed Europa”. «Lo presenteremo in dettaglio e ne parleremo diffusamente a fine marzo negli Stati generali delle professioni che stiamo organizzando a Roma», ha annunciato Nunzio Luciano, presidente delle Cassa Forense e vicepresidente dell’Adepp, intervenendo in una tavola rotonda su “Il futuro delle Casse di previdenza e gli investimenti in economia reale” organizzata a Roma presso l’Istituto Sturzo dal Comitato Agenti e Consulenti costituito dall’Anasf con Fiarc Confesercenti e con Federagenti. Il Comitato, si sa, si è costituito per lanciare la sfida alla gestione dell’Enasarco, la cassa di categoria – anche grazie all’iniziativa dell’Anasf e del consigliere Enasarco oggi espresso nell’ente dall’Anasf, Alfonsino Mei - contro il blocco di potere costruito dalla Confcommercio che da sempre guida (o ispira la guida) dell’ente. Un blocco di potere che senza dubbio nei decenni (decenni!) di leadership continuativa non può vantare di aver collezionato molti successi: semmai il contrario. «Da quanti anni parliamo del decreto investimenti?», si è chie-

ETTORE ROSATO

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SERGIO PUGLIA

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sto retoricamente Luciano: «Lo vogliamo, non è che vogliamo sfuggire alle regole. Vogliamo però che cambino per adeguarsi ai tempi, e vogliamo anche sapere quanto costa a tutti noi l’enorme macchina dei controlli che ci vincola». «Su questa richiesta posso anticipare fin d’ora che verrà accolta, assolutamente sì», gli ha risposto al volo Sergio Puglia, il senatore pentastellato che presiede la Commissione bicamerale per il controllo sugli enti previdenziali privati. Il quale ha aperto però decisamente alla richiesta giunta da Luciano e contenuta nel titolo stesso dell’evento: per poter investire in valori rappresentativi dell’economia reale, e dunque sostenerla, le Casse debbono riuscire a superare almeno alcuni degli infiniti vincoli che ne limitano la discrezionalità: «La mission degli enti previdenziali è e resta innanzitutto quella di assicurare una pensione ai propri contribuenti, e quindi è necessario presidiare la loro sostenibilità patrimoniale e finanziaria. Questo però non vuol dire vivere fuori dal mondo. Oggi gli investimenti si stanno spostando rapidamente, alla ricerca dei settori che rendono di più. Per esempio i settori Esg, che anche in Italia attraggono l’interesse di tanti investitori istituzionali a cominciare dallo stesso governo: l’efficientamento energetico, lo sviluppo sostenibile ed altri investimenti che vanno incoraggiati e incentivati anche fiscalmente». Per Puglia c’è un eccesso di controlli e vigilanza che «creano una furbesca anarchia, ma in commissione noto la volontà di collaborare da parte di nel favorire l’investimento in economia reale riducendone o bilanciandone il fiscio con agevolazioni fiscali o garanzie statali. Se io Stato spingo te Cassa a investire per esempio in infrastrutture, è chiaro che ti spingo a prenderti dei rischi per prenotarti dei buoni risultati ma se le cose andassero male, devo tutelarti». Il nodo è la scelta dei gestori che le Casse sono chiamate a compiere con competenza: e questo passaggio ripropone il tema della massima riqualificazione degli organismi collegiali elettivi

NUNZIO LUCIANO


INVESTIRE SPECIALIST

ALFOSINO MEI E, A DESTRA, LUCA GABURRO

delle Casse stesse, per troppo tempo e in troppi casi rimessi a criteri di selezione meramente politiche – come nel caso dell’Enasarco – non hanno tenuto in alcuna considerazione le competenze degli amministratori. «Se mettiamo regole troppo stringenti», ha osservato Puglia, «che ritardano o complicano per le Casse la possibilità di scegliere il gestore migliore o cambiarlo quando non funziona, se imponiamo procedure troppo complicate, non facciamo il bene degli iscritti. Per cui posso dirvi che anche su questo fronte sta cominciando un dialogo politico denso, per adesso all’interno della compagine governativa. Ho già annunciato che la commissione vuole discutere quest’aspetto con tutte le forze politiche, sempre nell’ottica di assicurare agli iscritti pensioni adeguate e sostenibili». Già: ma riqualificare per competenze i vertici delle Casse e permettere loro di nominare e cambiare gestori con maggior facilità rischia di riproporre la polemica sul potenziale conflitto d’interessi nascoto nella conoscenza che questa nuova tipologia di ammnistratori avrebbe senz’altro dei gestori. Ma è un assurdo: «Sulla differenza tra relazioni e interessi Luigi Sturzo sarebbe d’accordo», ha osservato Ettore Rosato, vicepresidente della Camera ed esponente di Italia Viva, intervenendo al convegno: «E bene ha fatto il Comitato Agenti e Consulenti ad avviare il dibattito. Bisogna lavorare alla buona gestione del patrimonio delle Casse così impegnativa in questo periodo di tassi a zero che stiamo vivendo. Bisogna investire nell’economia reale. E semplificare le norme che, negli anni, con la volontà di evitare errori e abusi, si sono trasformate in paletti e vincoli che non sempre aiutano. Un’Italia più semplice potrebbe dare a tutti una maggior qualità di ritorni economici. Lo Stato ha più volte chie-

sto una mano alle Casse, dalla gestione degli Npl alle cessioni di patrimonio pubbico, e quando si chiede una mano si deve anche saper contraccambiare». «Conoscere per deliberare», ha ripreso Luciano, citando Einaudi, a proposito della necessità che le Casse siano guidate da personalità competenti: «Quando vincono gli incompetenti non andiamo da nessuna parte. Uno dei grossi problemi del Paese è proprio questo». E ha ricordato che qualcosa si è mosso, nei portafogli delle Casse, negli ultimi anni: «Basti pensare che il sistema delle Casse ha il 12% del capitale della Banca d’Italia. E quando recentemente qualcuno mi ha chiesto se non temessi di star investendo troppo nell’azionario, ho risposto con molta semplicità: ‘E cosa vorreste, che investissi in obbligazioni che rendono zero?’ Possiamo essere un soggetto front-runner per l’economia del Paese. Il senatore Puglia ha citato il comparto degli Npl. Io dico: è vero, ci sono investimenti importanti da fare anche lì. Ma guardandoci dentro, scegliendo fior da fiore, anche lavorando insieme come sistema Casse e dunque abbandonando ciascuno il puro presidio del proprio orticello.Questo è uno degli obiettivi del progetto Wise: fare nuove investimenti progettandoli insieme». E Luciano ha ricordato un’altra prospettiva di svolta: «Abbiamo proposto alla Cassa depositi e prestiti di garantire un accesso al credito più facile ai liberi professionisti, e stiamo per sottoscrivere un protocollo su questo obiettivo». «Ma per fare tutte queste cose», ha aggiunto Luciano, rivolgendosi nuovamente al governo e alla politica, «siamo i primi ad avere l’esigenza di un interlocutore forte. Che ci convochi, dialoghi con noi e decida, ma poi applichi misure. Tenendo conto del fatto che se vogliamo riattivare gli investimenti stranieri in Italia dobbiamo investire anche noi, con loro. Solo questo dà credibilità ad alcune opportunità oggi trascurate. E bisogna al più presto, sempre in questa direzione, abolire la doppia tassazione che oggi ci frena». I dati di Prometeia presentati da Giuseppe Patriossi fanno giustizia di alcuni luoghi comuni: per esempio quelli sul “rischio” che le Casse già correrebbero per la loro esposizione sull’economia reale: «Il totale degli investimenti in economia reale di fondi pensione e casse previdenziali è di 14 miliardi, pari a 1,6% del patrimonio di questi investitori, dunque siamo indietro e

GLI INVESTIMENTI DEGLI INVESTITORI ISTITUZIONALI NEL 2018

Investitori Istituzionali

Patrimonio

Investimenti Istituzionali

Altre poste e riserve

Immobiliare Monetari e Polizze Azioni OICR di cui di cui diretto obbligazionari + ETF FIA investimenti in economia reale

Casse privatizzate

82,92

1,92%

13,15%

5,37%

22,11%

0,75%

2,98% 53,72% 23,47%

16,31%

Fondazioni di Origine Bancaria

45,70

31,64%

1,87%

3,48%

6,40%

1,09%

11,64% 41,64% 33,63%

48,60%

Fondi Pensione Preesistenti autonomi

58,30

3,25%

2,87%

26,53%

44,97%

8,69% 13,71% 3,06%

3,20%

Fondi Pensione Negoziali

50,41

5,46%

18,83% 7,73%

3,00%

67,96%

0,24%

FONTE: SESTO REPORT SUGLI INVESTITORI ISTITUZIONALI ITALIANI A CURA DEL CENTRO STUDI E RICERCHE ITINERARI PREVIDENZIALI

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abbiamo molto spazio per crescere. Cosa succederebbe a quei numeri se ci allineassimo alla media Ue? Si salirebbe dai 14 ai 93 miliardi, con una crescita di ben 79 miliardi! Un potenziale eccezionale, soprattutto per i fondi pensione. Il patrimonio dei fondi equivale al 10% del Pil, se aggiungiamo le casse saliamo al 15% e al 45% della capitalizzazione di Borsa, all’80% del valore totale del debito pubblico. I margini dunque ci sono». Il governo non è riuscito materialmente a partecipare con un suo esponente al dibattito romano ma il viceministro Antonio Misiani, in un messaggio scritto inviato ad Alfonsino Mei, ha sottolineato come sia «un dato molto positivo che le Casse, negli ultimi anni, abbiano incrementato la loro esposizione verso

gli investimenti in economia reale, anche se rimane su livelli assoluti ancora bassi. Il governo vuole favorire questo processo, ovviamente nel rispetto dell’autonomia finanziaria e delle scelte di investimento, e valuterà varie modalità per favorire questi investimenti, in particolar modo su infrastrutture con ritorni stabili e duraturi e sulla sostenibilità ambientale. In uno scenario di vincoli di bilancio pubblico stringenti, potremmo liberare significative risorse per investimenti che porterebbero un giusto ritorno economico per garantire le future prestazioni e darebbero un impulso alla crescita economica e occupazionale del Paese. Aprendo opportunità per migliaia di imprese italiane che hanno voglia di crescere e spesso non hanno le risorse finanziarie necessarie».

E i gestori riqualificano le offerte AL LEGISLATORE TUTTI CHIEDONO DI ALLENTARE LA POLITICA FISCALE RESTRITTIVA CHE OGGI FRENA LE CASSE NELLE SCELTE D’INVESTIMENTO

a come la pensano i gestori di patrimoni sulla metamorfosi delle strategie d’investimento delle Casse previdenziali? In media, ne pensano molto bene: sono favorevoli e ritengono di poter servire validamente allo scopo. Ne hanno discusso in una tavola rotonda organizzata dal Comitato Agenti dopo le relazioni al convegno romano di Ettore Rosato, Sergio Puglia, Nunzio Luciano e Giuseppe Patriossi: “Io credo che tutti noi gestori desideriamo avere nelle Casse interlocutori consapevoli e che abbiano esperienza in materia d’investimenti”, osserva Alessio Coppola, managing director, head of Southern Europe presso Rothschild & Co Asset Management Europe. «In più, le Pmi in Italia sono 5,5 milioni e non bastano certo i buoni propositi per sostenerle». Per Emanuela Ottina, fondatore della Alternative Capital Partners Sgr, «dobbiamo focalizzare i settori a maggiori prospettive di crescita, per esempio seguire i trend di altri paesi in cui le utilities e l’education la fanno da padrone, e ancora lo student housing, la transizione energetica». Il punto quaificante, nell’approccio di una società di asset manag-

ment a una gestione del risparmio previdenziale affidata da una Cassa, sta nell’essere coinvestitore nei fondi gestiti, dice invece Stefano Russo, presidente di Green Arrov Capital, «perché gestiremmo le Casse previdenziali come gestiamo il nostro patrimonio. In inglese si direbbe skin in the game, mettere la pelle in gioco! Abbiamo oggi 1,7 miliardi di asset, cerchiamo aziende da i 25 e i 100 milioni di ricavi di cui prendere la maggioranza, com’è accaduto con Rosso Pomodoro o con Invicta. E abbiamo un piano per un grande fondo dedicato alle infrastrutture per gli anni ‘20 e focalizzato sulla mobilità elettrica». Secondo Andrea Sanguinetto di Pramerica, infine, l’obiettivo qualificante di una gestione attenta alle esigenze del risparmio previdenziale dovrebbero essere i 17 obiettivi della sostenibilità indicati dall’Onu: «Guardare un’emittente dal punto di vista Esg permette una logica diversa…E noi, nell’ultimo anno, abbiamo raddoppiato gli asset in Esg. E senza alcun particolare contributo da investitori istituzionali ma raccogliendo soprattutto investimenti da privati!». Dichiarata ampia convergenza infine da parte dei quattro gestori di patrimoni sulle cose essenziali da chiedere al legislatore nazionale per avvicinare davvero gli investimenti delle Casse previdenziali all’economia reale: «Basta con la politica fiscale restrittiva e via all’espansione del supporto di economia reale» (Coppola); «Pienamente d’accordo, e credo che nelle Casse oggi ci sia la maggior competenza necessaria per investire bene nell’economia reale» (Ottina); «Stop alla doppia tassazione, subito» (Russo); «E finalizzerei subito la riforma dei Pir» (Sanguinetto).

ALESSIO COPPOLA

STEFANO RUSSO

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EMANUELE OTTINA

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ANDREA SANGUINETTO


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SCENARI PREVIDENZIALI/2

Fare Presto! scende in campo per cambiare Enasarco di Marco Muffato

PRESENTATA A MILANO LA LISTA UNITARIA TRA ANASF, FEDERAGENTI, FIARC-CONFESERCENTI E ANPIT

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a preso il via venerdì 15 novembre, nel corso del Forum Agenti di Milano, la lunga corsa della lista unitaria “Fare presto! e fare bene” composta da Anasf, Federagenti e Fiarc, in accordo anche con Confesercenti e Anpit, che ha obiettivi ambiziosi in vista delle elezioni Enasarcopreviste per aprile 2020. Le tre associazioni nazionali vogliono fornire agli agenti, ai rappresentanti di commercio e ai consulenti finanziari un’organica proposta di riforma e di ricostruzione per una nuova Enasarco (vedi box in basso con la descrizione delle linee guida che orientano l’azione della coalizione). All’evento milanese di presentazione della lista, condotto dal giornalista Oscar Giannino, hanno partecipato i vertici delle liste offrendo al pubblico le ragioni della coalizione.

Da sinistra Fabio D’Onofrio, coordinatore nazionale di Fiarc, Alfonsino Mei di Anasf e del cda di Enasarco, Luca Gaburro, segretario nazionale di Federagenti

«Le criticità di Enasarco», ha commentato Antonino Marcianò, presidente di Fiarc Confesercenti, «sono tante e profonde. Oggi è quantomai necessario un cambiamento di rotta all’interno dell’ente: l’obiettivo di quest’alleanza è

ECCO LE NOVE LINEE GUIDA DELL’ALLEANZA PER CONQUISTARE LA FONDAZIONE

E

cco in sintesi le nove linee guida dell’alleanza elettorale tra Anasf, Federagenti e Fiarc per costruire una “nuova Enasarco”. Ricordiamo che tre sigle si sono presentate in una lista unitaria, in accordo anche con Confesercenti ed Anpit, denominata “Fare Presto”, per il governo della Fondazione Enasarco nella prossima consultazione elettorale di aprile 2020. Estendere la governance ai consulenti finanziari. (…) “Occorre completare la governance riconoscendo a tutte le rappresentanze politico-sindacali il diritto di partecipare alla vita della Fondazione. (…) Questo è vero, soprattutto, per la rappresentanza dei consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede, cioè quei professionisti con mandato di agenzia, che si occupano di consulenza e di collocamento di prodotti e servizi bancari, finanziari e previdenziali. Una categoria ancora relativamente giovane, che insieme alle società mandanti, contribuisce alla sostenibilità dell’ente attraverso un saldo netto tra contributi e prestazioni, ma che non ha ancora - a causa delle suddette barriere all’ingresso - adeguato peso negli organi sociali.

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Sostenere imprese e agenti in un mercato complesso. (…) L’attuale situazione macroeconomico disegna, infatti, uno scenario di difficile e di complessa lettura per le nostre imprese. (…) In questo quadro appare sostanzialmente stabile il numero delle cessazioni mentre sono in netta diminuzione le nuove iscrizioni. Fattori in parte interagenti con la componente agenti degli iscritti alla Fondazione è, probabilmente, la riduzione anche delle ditte preponenti (-7125 unità tra il 2014 e il 2018). Da questo sintetico quadro macroeconomico la Fondazione ne esce non solo coinvolta e in parte anche vittima, ma si segnala come poco attiva sul fronte dell’iniziative da mettere in campo per “aiutare”, “contrastare il fenomeno”, “sostenere nuove opportunità” lavorando sia verso le preponenti che verso gli agenti, i rappresentanti di commercio, i consulenti finanziari. Firr, previdenza e assistenza. È bene ricordare che Enasarco è strutturato su tre fondi: indennità risoluzione rapporto, previdenza e assistenza. Il Fondo Firr dovrà essere ripensato prevedendo, fatto salvo l’accordo tra le parti sociali sulla certezza dell’accantonamento a favore dell’agente, possibilità


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rendere Enasarco più trasparente con una migliore e diversa gestione finanziaria e del patrimonio immobiliare, garantendo trasparenza e diritti alla sua base associativa, quella degli agenti di commercio e dei consulenti finanziari che devono tornare alla guida di Enasarco». Così Maurizio Bufi, presidente di Anasf: «In questa coalizione, sotto il tetto di Enasarco, ci sono agenti di commercio e consulenti finanziari, due mondi che hanno scelto un progetto unitario, un comune sentire rispetto alle sfide che Enasarco è chiamata ad affrontare. Su tutte la previdenza e la valorizzazione delle risorse finanziarie di cui dispone l’ente. La nostra categoria, quella dei consulenti finanziari che riteniamo essere valore aggiunto nel mondo Enasarco, intende dare un convinto contributo al rinnovamento della governance dell’ente». A rappresentare le case mandanti, Nico Gronchi, vicepresidente di Confesercenti: «Davanti alla crisi, che vede la perdita di 5mila agenti l’anno, Enasarco deve avere la capacità di rispondere ai bisogni degli iscritti e dare una visione, un’idea chiara di futuro». Nel corso della giornata è emerso forte l’impegno della coalizione per contribuire al cambiamento della Fondazione, «La credibilità è per noi la cosa più importante. Non prometteremo la luna. Saremo sul territorio, come sempre a fianco degli agenti di commercio, con almeno 50 convegni organizzati in tutta Italia, per far conoscere il più possibile il nostro

di anticipazioni secondo criteri che ne regolino i motivi e le modalità. Il Fondo Previdenza ha avuto in questi ultimi anni un saldo positivo grazie alle maggiori entrate garantite dal Regolamento del 1 gennaio del 2012. (…) Occorre una seria e approfondita due diligence per capire come progressivamente intervenire nell’ottica di un’analisi complessiva di risparmio sui costi, di ricerca di nuove entrate e di progressiva diversa allocazione delle risorse. (…) In questa ottica andrà anche riscritta la storia del Fondo Assistenza, erogatore di una molteplicità di servizi che complessivamente rappresentano soltanto il 20% delle entrate. Il nodo dei silenti. (…) Occorre anche affrontare la spinosa questione dei Silenti. Non è accettabile liquidare una “ingiustizia” come i cosiddetti silenti dando solo una risposta contabile e di sostenibilità. Una forza sociale come la nostra deve mettere all’ordine del giorno la ricerca della soluzione migliore che salvaguardi tutti gli attori di questa problematica. Ridurre i costi.La governance della Fondazione necessita di significativi cambiamenti con l’obiettivo della riduzione dei costi entro la percentuale del 30% degli attuali. Intervenendo sulle spese per consulenza, per promozione, rivelatasi anche improduttiva, e agendo sul personale secondo il criterio della premialità.

Nella foto sopra Alfonsino Mei, attuale componente del Cda di Enasarco in quota Anasf e leader dei consulenti finanziari

programma per cambiare radicalmente Enasarco», sono le parole di Luca Gaburro, segretario generale di Federagenti. Per Alfonsino Mei di Anasf, che per la annunciata e massiccia partecipazione al voto dei consulenti finanziari potrebbe ambire alla massima carica di Enasarco, il grande tema è la gestione finanziaria e immobiliare dell’ente. «Per una struttura come Enasarco che riscuote contributi ed eroga pensioni centrale per le sue sorti sarà l’ottimizzazione della gestione finanziaria e del patrimonio immobiliare, temi che si intrecciano con quelli della governance della Fondazione, della gestione al meglio delle sue risorse umane nonché di quello, anche troppo disinvolto, delle consulenze esterne», ha concluso Mei.

Tre temi da affrontare. Molti sono gli argomenti nuovi su cui è necessario un approfondimento: la natura cosiddetta “monomandataria di fatto” (trasformare automaticamente il plurimandatario con una sola mandante in monomandatario); l’incremento volontario della contribuzione oltre il massimale fino a un valore a scelta e comunque non oltre quello delle provvigioni percepite; la formazione come valore aggiunto e strumento di innovazione reale. Incrementare i ricavi senza elevare i contributi. Enasarco deve incrementare i ricavi attraverso l’economia reale del Paese, non innalzando i contributi! Occorre una puntuale analisi della componente percentuale di solidarietà del contributo previdenziale. La gestione del patrimonio immobiliare. (…) La gestione del patrimonio immobiliare sarà effettuata prevalentemente in via indiretta, delegando ad operatori professionali la gestione e la valorizzazione del patrimonio immobiliare (fondi immobiliari). La gestione diretta del patrimonio mobiliare. (…) La gestione diretta del patrimonio mobiliare presuppone un costante presidio del mercato e del portafoglio dell’Ente, al fine di porre in essere sia le azioni connesse agli investimenti tempo per tempo deliberati che le necessarie azioni correttive nel caso di dinamiche sfavorevoli dei mercati.

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ORIZZONTI D’INVESTIMENTO/1

L’emendamento Giacomoni fa ripartire il business dei Pir di Marco Scotti

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al 1° gennaio i Pir ripartiranno alla grande grazie anche al fatto che le casse di previdenza e i fondi pensione potranno sottoscrivere più di un piano individuale. Dunque sono convinto che questi strumenti avranno un forte slancio. Secondo le mie previsioni, basate sull’esperienza fatta in altri Paesi, in 10 anni potrebbero essere raccolti attraverso questi strumenti finanziari oltre 150 miliardi di euro». Sestino Giacomoni, vicepresidente della Commissione Finanze della Camera e membro del Coordinamento di presidenza di Forza Italia, non riesce a nascondere la sua soddisfazione mentre racconta a Investire la “sua” riforma dei Pir. È lui infatti l’estensore dell’emendamento al Decreto Fiscale che dovrebbe ridare vigore, dal 1° gennaio 2020, ai Piani individuali di risparmio. Non è un mistero infatti che questo 2019 possa essere ricordato come l’anno che ha fatto deragliare il sistema dei Pir. Complice – ma forse sarebbe meglio dire unica responsabile – una norma cervellotica, inserita nella Legge di Bilancio licenziata dal governo giallo-verde, che ha prodotto un’autentica fuga da questo strumento finanziario. Perché costringere a destinare il 3,5% dei propri asset in venture capital e un altro 3,5% in società dell’Aim aveva portato alla rivolta dei gestori che temevano una maggiore esposizione al rischio. Risultato: -350 milioni nei primi nove mesi dell’anno che, secondo Equita, potrebbero diventare 700 entro la conclusione del 2019, scendendo sotto quota 18 miliardi complessivi. Poi è arrivato l’emendamento Giacomoni che, non per caso, è un ex private banker proprio di Mediolanum, il player più attivo nel settore dei Pir. La proposta del vicepresidente della Com42

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TRA I BENEFICIARI DELLA NORMA LE AZIENDE QUOTATE ALL’AIM E LE IMPRESE SU MTA E STAR. ANCHE PER GLI ELTIF SI APRONO PROSPETTIVE PROMETTENTI, MENO PER IL VENTURE CAPITAL

Nella foto il vicepresidente della Commissione Finanze della Camera Sestino Giacomoni

missione Finanze cambia completamente l’allocazione degli asset dei fondi. Così, il 30% rimane liberamente impiegabile, mentre il 70% deve essere destinato a strumenti finanziari emessi da imprese italiane o europee, a patto che abbiano una stabile organizzazione nel nostro Paese. Di questo 70%, almeno il 25% deve essere impiegato per strumenti finanziari di imprese che non siano inserite nel Ftse Mib o in altri mercati regolamentati. Ma – ed è questa la norma più interessante per i Pir – almeno il 5% dovrà essere veicolato sull’Aim. Infine, altra novità fondamentale riguarda i fondi pensione e i fondi di categoria: fino a oggi questi veicoli potevano puntare su un solo prodotto Pir compliant. Con l’emendamento Giacomoni invece potranno investire fino al 10% del patrimonio in questo tipo di strumenti. «Meno tasse sui risparmi», ci spiega il vicepresidente della Commissione Finanze, «produrranno maggiori rendimenti per le famiglie e per le casse di previdenza, più risorse per le


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PIR ED ELTIF SONO PRODOTTI COMPLEMENTARI. CON I SECONDI PIÙ IDONEI PER UNA CLIENTELA HNWI ORIENTATA AL LUNGO PERIODO

pmi e quindi più investimenti e più posti di lavoro. Si realizza anche così quella che noi chiamiamo l’equazione liberale dello sviluppo e del benessere. In questo momento storico, con tassi bassi e di fatto negativi, anche le Casse e i fondi pensione hanno bisogno di soluzioni alternative e valide, già sperimentate in altri Paesi. Il fatto poi che con il mio emendamento, votato all’unanimità dalla Commissione Finanze, le Casse di previdenza possano investire in più di un Pir, consentirà loro di realizzare quella diversificazione che è fondamentale per la buona riuscita di qualunque investimento». Anche dall’Abi la nuova norma sui Pir viene salutata con favore. «Si tratta di uno strumento fondamentale per l’incentivazione del finanziamento privato all’economia reale che ne aveva caratterizzato l’introduzione. L’auspicio», ci racconta il direttore generale Giovanni Sabatini, «è che si realizzi l’obiettivo di portare risorse, non solo alle imprese quotate, ma anche a quella parte dell’economia reale più bisognosa. Come le piccole e medie aziende non quotate, che più difficilmente riescono ad accedere direttamente al mercato dei capitali. Il 2020 speriamo sia anche l’anno in cui si possa rilanciare con nuove e più efficaci iniziative la Capital Markets Union. L’Abi la supporta, anche tramite l’adesione al progetto Markets4Europe lanciato dalla Federazione Bancaria Europea, nella consapevolezza che un mercato dei capitali europeo efficiente è essenziale non solo per la raccolta di capitale da parte delle imprese ma anche delle stesse banche». Ora quindi che l’orizzonte dei Pir inizia a rasserenarsi, rimane da capire quali possano essere gli sviluppi per l’anno prossimo e quale possa diventare la platea dei possibili beneficiari. Secondo uno studio di Intermonte, l’universo delle aziende su cui investire potrebbe aumentare di 268 unità, considerando la somma algebrica tra le quotate all’Aim e tutte quelle imprese su Mta e Star che non abbiano una capitalizzazione superiore al mezzo miliardo. Senza contare che il combinato disposto tra le nuove norme sui Pir e il tax credit sui costi di Ipo potrebbe incentivare nuove aziende a quotarsi sull’Aim, in un circolo potenzialmente virtuoso che potrebbe garantire un nuovo sviluppo per imprese e mercati più dinamici. Un capitolo a parte lo meritano invece gli Eltif, European long term investments funds, fondi chiusi d’investimento generalmente illiquidi che, al contrario dei Pir, non prevedono un opt-out anticipato e la cui durata media è compresa tra i 7 e i 10 anni. I capitali raccolti con gli Eltif sono meno soggetti a vincoli rispetto ai Piani individuali di risparmio, e prevedono la possibilità di essere impiegati non soltanto in titoli di debito o in equity, ma anche in private debt, minibond e perfino piattaforme fintech. «Gli Eltif», conclude Sabatini, «sono uno strumento, regolamentato a livello europeo, più mirato rispetto ai Pir, in quanto prevedono caratteristiche e vincoli che sono stati all’origine disegnati appositamente per indirizzare i risparmi dei sottoscrittori verso investimenti illiquidi e di lunga durata. Sono dunque strumenti complementari che potranno svilupparsi a fianco dei Pir e indirizzandosi probabilmente a un target di investitori diverso, più sofisticato e

Nella foto in basso Giovanni Sabatini, direttore generale dell’Abi

tipicamente High net worth individual». Nessun dualismo quindi tra i due prodotti ma, piuttosto, la possibilità di affiancarsi dando maggiore respiro e nuovi canali di finanziamento alle piccole imprese che necessitano di un nuovo mercato dei capitali. Il credit crunch, infatti, nonostante sia meno grave degli anni della crisi economico-finanziaria, ha tagliato lo scorso anno di ulteriori 50 miliardi di euro gli impieghi delle banche nei confronti di aziende e famiglie. Naturale quindi cercare di trovare nuovi interlocutori e nuovi modi di reperire liquidità. Gli Eltif sono stati lanciati ufficialmente a luglio, troppo presto quindi per poter fare un’analisi. Equita aveva proposto una stima preventiva, sulla base di quanto realizzato in Uk, che si aggirava tra i 7 e gli 8 miliardi di euro. Verificheremo e vigileremo. Si può però osservare fin d’ora come la durata media di questi fondi chiusi, dai 7 ai 10 anni, sia decisamente più orientata a progetti di investimento di lungo corso, su realtà più strutturate che rappresentino un modello di business interessante e non soltanto un modo per massimizzare i propri investimenti. Tant’è che, diversamente dai Pir, gli Eltif non godono di agevolazioni fiscali di alcun tipo. Chi infine rischia di uscire ridimensionato dalla doppia stretta tra i rinvigoriti Piani individuali di risparmio e i fondi europei è il venture capital, già storicamente privo del vigore che si nota in altri Paesi e che era stato equiparato con la precedente Legge di Bilancio ai Pir. Oggi invece non si fa più grande menzione a questo sistema, e il rischio mugugni è all’ordine del giorno.

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ORIZZONTI D’INVESTIMENTO/2

Per i piani individuali di risparmio è un ritorno al futuro di Ugo Bertone

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stato definito un ritorno al futuro. La (contro)riforma della legge sui piani individuali di risparmio, meglio noti come (Pir) permette di guardare con una nota di ottimismo ai mercati all’inizio di un anno che si annuncia complicato grazie alla ripresa dei titoli delle medie e delle piccole imprese, in fondo al plotone per buona parte del 2019. Ma le cose stanno cambiando: all’inizio di dicembre l’indice Star +23,62%, da sempre favorito dai compratori internazionali, ha effettuato il sorpasso sul paniere principale, fermo attorno al 20%. Ma stavolta il merito non va ai gestori internazionali. Non è difficile infatti collegare l’allungo con l’approvazione in sede di manovra finanziaria di un emendamento bipartisan, presentato da un parlamentare di Forza Italia, Sestino Giacomoni, con il quale vengono di fatto annullate le modifiche alla normativa originaria introdotte con la legge di Bilancio dello scorso anno. Una mossa sciagurata, a giudicare dai risultati. Basti dire che la raccolta dei Pir che nel 2017 avevano raccolto 11 miliardi di euro (più 3,49 miliardi nel 2018), è precipitata sottozero (-717 milioni) dopo l’introduzione l’anno scorso sui requisiti per i titoli ammessi.

Dopo il flop, missione 150 miliardi Ora, dopo il flop, si torna al passato, con grandi speranze anche perché viene preservato (e forse potenziato) il requisito che garantisce l’appeal del sistema: il beneficio fiscale per chi detiene l’investimento per almeno cinque anni anche se non è per ora passata la proposta di raddoppiare le soglie d’investimento che passerebbero da 30mila a 60mila euro nel limite massimo di 300mila rispetto ai 150mila euro fissati dalla manovra 44

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ARCHIVIATA LA RIFORMA, TORNA LA FORMULA DOC, MENTRE I VECCHI PIR PORTANO A CASA PERFORMANCE NOTEVOLI PER I SOTTOSCRITTORI

L’emendamento Giacomoni è un’ottima notizia per Banca Mediolanum e l’ad Massimo Doris, che hanno sempre creduto nelle potenzialità dei Pir

istitutiva del 2017. Anche così le stime sono promettenti. «Le mie previsioni, supportate dalle esperienze degli altri Paesi», sostiene Giacomoni, «sono che in 10 anni potranno essere raccolti dai Pir ed indirizzati nell’economia reale ed in particolare al finanziamento delle Pmi oltre 150 miliardi di euro di risparmi privati». La pensano così gli esperti di Mediobanca Securities. «Un ripensamento delle attuali regole (e un ritorno alle vecchie) potrebbe generare un’immediata spinta ai prezzi portando le small & mid cap italiane a trattare allo storico premio che le caratterizza rispetto alle aziende a grande capitalizzazione», scrivevano gli analisti alla vigilia del voto ricordando che «durante la prima ondata dei Pir, l’allocazione degli investitori ha seguito principalmente un approccio bottom-up con un mix tra analisi dei fondamentali di breve termine e un focus di lungo termine sulle aziende che mostrano una sostenibile crescita dei dividendi, rendimenti sugli investimenti sopra la media e generazione di free cash-flow». Giudizio analogo da parte di Equita: «Crediamo che l’emendamento sia molto positivo per il rilancio dei prodotti Pir, e che possa consentire una ripartenza della raccolta» osserva Luigi de Bellis, co-responsabile dell’ufficio studi sottolineando alcuni miglioramenti apportati nell’ultimo testo.


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Un bacino di 267 società investibili Intermonte Sim azzarda alcune cifre. Andrea Randone, head of mid and small caps research, si attende «che il settore delle pmi tragga forti benefici dai nuovi fondi a partire dal 2020». Lo specialista ha calcolato che con il nuovo testo, in relazione alla quota minima da destinare alle small cap, saranno 267 le società investibili dai fondi Pir di ultima generazione, di cui 144 hanno una capitalizzazione di mercato inferiore a 50 milioni, 119 tra 50 e 500 milioni e solo quattro tra 500 e 1 miliardo di euro, per una capitalizzazione di mercato complessiva di 25,96 miliardi di euro. Nel complesso gli afflussi netti stimati da Intermonte per il 2020 ammontano a 3,52 miliardi, di cui 3,2 miliardi di nuova raccolta e 989 milioni derivanti dai piani di accumulo dei Pir nati nel 2017. Nel 2021 le attese sono per 4,072 miliardi di afflussi e nel 2022 per 4,54 miliardi. Particolare non da poco: sui 267 titoli considerati, 52 appartengono allo Star e 133 all’ Aim (praticamente tutti quelli che lo compongono) con un effetto benefico sulla liquidità del mercato. Ma è giustificato l’ottimismo? E qual è stata la ragione della crisi? Quel che è certo è che con la riforma della riforma sono caduti vincoli e paletti che hanno strozzato il settore. L’iniziativa del governo giallo-verde lo scorso anno ha rivisto i vincoli di investimento dei Pir con il fine di incentivare il ricorso a strumenti alternativi come il venture capital (tanto cari alla Casaleggio e associati). Di qui un sistema che, nei fatti, ha sostanzialmente inibito il funzionale del meccanismo congelando la nascita di nuovi Pir.

sull’Aim, il segmento delle società a più piccola capitalizzazione. Un limite apprezzato da Equita perché «il limite ha il vantaggio di generare maggior flussi e migliorare la liquidità soprattutto con riferimento alle piccole imprese». Sul campione dei 267 titoli considerati 52 appartengono allo Star e 133 all’ Aim (praticamente tutti quelli che lo compongono). Secondo i dati a disposizione dell’ufficio studi di Assogestioni al 30 giugno 2019, l’investimento dei fondi Pir-compliant in azioni e obbligazioni di emittenti italiani non appartenenti all’indice principale Ftse Mib si attesta al 38% del portafoglio, quasi il doppio del 21% imposto dalla normativa.

Il 70% sui piccoli, fino al 30% in titoli di stato L’intenzione è di ripartire da questi risultati: già nei primi mesi del 2020 le Sgr potranno muoversi per aggiornare gli attuali 69 fondi Pir (il cui patrimonio ammonta a 18,5 miliardi in base ai dati Assogestioni) alla nuova normativa che sembra assai più flessibile, visto che il 30% del fondo è libero di essere investito in base alle decisioni del gestore e del regolamento (dunque anche in titoli di Stato, per esempio Btp), mentre almeno il 70% del patrimonio deve confluire in strumenti finanziari emessi da imprese italiane o europee ma con stabile organizzazione in Italia, senza limiti nella grandezza della società. Un quarto (25%) del 70% dovrà essere destinato a strumenti finanziari (equity o debito) di imprese diverse da quelle inserite nell’indice Ftse Mib o equivalenti di altri mercati regolamentati. Vincolo questo che nelle attese degli analisti andrà soprattutto a favore del segmento Star di Borsa Italiana. Almeno il 5% del 70% dovrà comunque essere investito in strumenti finanziari di imprese diverse da quelle inserite nel listino delle Large o delle Mid Cap e quindi sarà veicolato

In doppia cifra i rendimenti dei fondi Pir Non a caso i dati Morningstar ci dicono che i primi dieci fondi Pir per rendimento hanno tutti restituito nel 2019 performance a doppia cifra. In termini di performance risk-adjusted ben sette fondi su dieci remunerano più del doppio ogni singola unità di rischio (misurato in termini di volatilità). Un bel biglietto da visita alla vigilia di un anno movimentato grazie ad un portafoglio che potrebbe comprendere il meglio del made in Italy grazie titoli come Anima, Autogrill, Brembo, BFF Banking Group, Brunello Cucinelli, Carel, De’ Longhi, Enav, Garofalo Health Care, Ima, Interpump, Iren, Marr, Rai Way, Reply, SeSa, Technogym e Tinexta.

I “vecchi” piani hanno reso il 19,4% annuo Nel frattempo mentre i Pir 2.0 finivano nell’oblio, i pionieri, lanciati sull’onda dell’entusiasmo a cavallo fra dicembre 2016 e maggio 2017 hanno totalizzato performance di tutto rispetto, con un rendimento medio annualizzato del 19,4% quest’anno e dell’8,3% sugli ultimi tre anni. L’impatto sui segmenti di mercato azionario meno capitalizzati è stato più che positivo. Le partecipazioni detenute dai Pir rappresentano il 10% del flottante dei segmenti Aim e Mid Cap; con riferimento al segmento Small cap la quota è invece dell’8%. In termini assoluti le risorse ammontano a quasi 5 miliardi.

La carta vincente? I piccoli Concentrandosi sul solo segmento dei fondi “Azionari Italia”, la quota delle azioni italiane quotate al di fuori del Ftse Mib sale al 46%, esattamente 20 punti percentuali in più rispetto a quanto fatto registrare dai fondi non Pir-compliant della medesima categoria. Concentrandosi sul solo segmento dei fondi “Azionari Italia”, la quota delle azioni italiane quotate al di fuori del Ftse Mib sale al 46%, esattamente 20 punti percentuali in più rispetto a quanto fatto registrare dai fondi non Pir-compliant della medesima categoria. La portata innovativa dei Pir al momento del loro debutto sul mercato nazionale è stata dunque notevole. «I Pir hanno acceso i riflettori degli investitori sulle pmi italiane. Con questi fondi sono aumentati gli scambi sulle small cap e le Ipo: si sono quotate all’Aim 49 aziende tra il 2017 e il 2018», ricorda De Bellis di Equita, aggiungendo che «lo scorso anno gli investitori italiani, anche grazie ai Pir, hanno sostanzialmente mantenuto le posizioni investite, nonostante la volatilità dei mercati».

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MERCATI FINANZIARI

La recessione globale? Non fa paura L’azionario può spiccare il volo di Matteo Ramenghi*

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livello globale l’attuale ciclo economico è cominciato quasi undici anni fa. È uno dei più lunghi e meno intensi di sempre, considerata la crescita molto contenuta attribuibile, in particolare, alla debolezza demografica delle economie avanzate e allo stallo nel quale è entrata la globalizzazione. Quest’ultima ha consentito di avere processi produttivi sempre più efficienti e di offrire nuove mercati di sbocco ad aziende virtuose anche di medie dimensioni. Ha contribuito a far uscire dalla povertà milioni di persone nelle economie emergenti, ma ha avuto l’effetto collaterale di accentuare la polarizzazione della ricchezza nelle economie avanzate, con il risultato di frenare i consumi e di aumentare il rischio politico. Molti economisti e investitori oggi discutono della de-globalizzazione. Ben prima dei dazi di Trump, gli scambi internazionali avevano già smesso di crescere a causa delle innovazioni tecnologiche, tra i quali la robotica, che consentono di produrre beni a basso costo più vicino ai mercati di sbocco. Stiamo infatti vivendo un’epoca di trasformazioni tecnologiche e sociali senza precedenti, accompagnate da dinamiche demografiche che spostano il baricentro economico mondiale sempre più a oriente. L’invecchiamento e la riduzione della popolazione attiva nelle economie avanzate è infatti un altro fattore che spiega la bassa crescita che si sta registrando oltre alla bassa inflazione. Negli ultimi mesi abbiamo assistito a una flessione dell’attività industriale che dipende soprattutto dall’incertezza geopolitica (in particolare dalle tensioni tra Stati Uniti e Cina) che ha pesantemente condizionato i piani di potenziamento della capacità produttiva di una moltitudine di imprese a livello globale. I dati economici più recenti suggeriscono una stabilizzazione dell’industria favorita anche dalle rinnovate politiche monetarie espansive, che dovrebbe accelerare nel corso del prossimo anno. A livello globale prevediamo una crescita del Pil reale dal 3,1% di quest’anno al 3,0% del 2020, per risalire al 3,6% nel 2021. L’Europa ha sofferto particolarmente il rallentamento economico nel 2019, sia a causa di di alcune incertezze interne (la Brexit, la crisi di governo italiana, le ennesime elezioni in Spagna), sia per la maggior esposizione all’export e a fattori demografici particolarmente deboli. L’inflazione rimarrà un’osservata speciale a livello globale. La combinazione di innovazione tecnologica e invecchiamento 46

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LA COMPONENTE AZIONARIA VA CONSIDERATA IN MODO STRATEGICO PERCHÈ POTREBBE ASSICURARE GRAN PARTE DELLE PERFORMANCE DEI PROSSIMI ANNI della popolazione manterrà l’inflazione bassa e indurrà le principali banche centrali a rinnovare le attuali politiche espansive. In ogni caso, man mano che si dissipa il timore di una recessione globale, potremo vedere un maggior interesse da parte del mercato per il mercato azionario. Si tratta infatti dell’asset class che offre le valutazioni più ragionevoli – ovviamente è anche quella che comporta la maggior volatilità. In questo contesto, la componente azionaria va considerata in modo strategico perché è quella dalla quale potrebbe derivare la gran parte della performance nel corso dei prossimi anni. * Chief Investment Officer UBS WM Italy


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L’INTERVENTO

Alla ricerca di alti rendimenti nel lungo termine con gli Eltif di Giorgio Bensa*

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QUESTI STRUMENTI CONSENTONO ALL’INVESTITORE PRIVATO DI ACCEDERE A PRIVATE DEBT E PRIVATE EQUITY CON IMPORTI CONTENUTI E CON UN ORIZZONTE TEMPORALE TRA I 6 E I 10 ANNI

a alcuni anni abbiamo sviluppato internamente una metodologia di analisi orientata a stimare i premi al rischio su un orizzonte di lungo termine per individuare le asset class che possono offrire un potenziale di rendimento corretto per il rischio interessante. Si tratta di modelli basati su una letteratura al contempo innovativa e abbastanza consolidata, che utilizziamo attivamente per costruire portafogli gestiti con disciplina e orientamento al lungo periodo. L’attuale contesto di mercato, con rendimenti compressi nelle asset class principali, rende necessario non solo disporre di strumenti di valutazione sofisticati, ma anche aver la possibilità di applicarli a un universo di investimento globale e ampio che comprenda nicchie di mercato che sono state meno influenzate dagli stimoli monetari delle banche centrali. Proprio per questi motivi è importante avere il pieno controllo dei modelli e non disporre dei soli risultati, per non essere limitati alle asset class coperte da case di ricerca esterne. L’applicazione della nostra metodologia porta a costruire portafogli con esposizione contenuta alle obbligazioni “tradizionali”, soprattutto ai titoli di stato dei paesi sviluppati, e a privilegiare ambiti che sono stati trascurati dagli investitori. Negli ultimi anni infatti alcuni mercati e settori hanno registrato performance significativamente superiori rispetto agli altri, ma difficilmente questi trend potranno continuare inalterati anche solo per l’effetto di concorrenza, intervento delle autorità di regolamentazione e saturazione del proprio mercato di appartenenza. In alcuni casi i nostri modelli privilegiano investimenti meno liquidi, che richiedono particolare cura nel costruire e gestire le posizioni: il loro peso deve essere contenuto per non concentrare eccessivamente i rischi e mantenere un profilo di liquidità adeguato. A titolo di esempio possiamo citare le obbligazioni legate alle infrastrutture, cui è possibile accedere tramite fondi chiusi quotati sulla borsa inglese, o le azioni di società di medio/piccola capitalizzazione attive nell’ambito di gasdotti e oleodotti a servizio dei giacimenti di shale oil negli Usa, la cui redditività è legata ai volumi trasportati ed è poco influenzata dalle oscillazioni nei prezzi del greggio. In presenza di un chiaro mandato con orizzonte di lungo termine possono essere prese in considerazione opportunità di investimento più specifiche. Tra queste possiamo annoverare investimenti di tipo diretto sui mercati non quotati,

Giorgio Bensa, responsabile portafogli modello per le gestioni patrimoniali di Ersel

sfruttando per esempio le novità offerte dagli Eltif, che consentono all’investore privato di accedere al private debt o al private equity con importi contenuti, a patto di evitare concentrazioni eccessive del portafoglio e di mantenere il fondo in posizione per un periodo che può estendersi dai 6 agli oltre 10 anni in funzione della natura dei titoli sottostanti. Nel corso del 2019 Ersel ha reso disponibile alla clientela un Eltif dedicato al credito corporate, che consente l’accesso a un portafoglio ben diversificato di prestiti “senior secured”, i più protetti in ambito obbligazionario, e la possibilità di ottenere una cedola crescente dal 2,5% fino al 5% su base annua. *resposanbile portafogli modello per le gestioni patrimoniali di Ersel dicembre 2019

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ALLA RICERCA DEL RENDIMENTO PERDUTO

I cambiamenti che premieranno chi saprà aspettare di Luca Tenani*

DUE LUCI NEL MONDO ODIERNO A TASSI ZERO: LA “DISRUPTION” CHE RIVOLUZIONA BUSINESS, ECONOMIA E SOCIETÀ E LA DEMOCRATIZZAZIONE ANNUNCIATA DEI PRIVATE ASSET

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ell’attuale contesto economico-finanziario, esplorare nuovi territori di investimento diventa imperativo e può fare la differenza nella ricerca del rendimento. Guardando oltre l’immediato futuro, riteniamo siano due le aree promettenti in un mondo a tassi zero: le grandi trasformazioni che stanno rivoluzionando società ed economie, destinate a modellare il modo di fare business nei prossimi decenni, e i private asset, universo in rapida espansione che offre diversificazione e rendimenti interessanti in un’ottica di lungo termine. Tra le grandi trasformazioni, il protagonista dell’agenda politica e mediatica è sicuramente il riscaldamento climatico. Per raggiungere i limiti fissati dall’Accordo di Parigi sarà necessario ridurre dell’80% le emissioni di CO2 entro il 2050. Ciò implica uno sforzo sincronizzato a livello globale per il passaggio a un’economia decarbonizzata, che richiederà investimenti per oltre 2.000 miliardi di dollari all’anno. A beneficiarne saranno le aziende più virtuose, e ciò apre un enorme bacino di opportunità. Nel processo di decarbonizzazione anche la transizione energetica ha un ruolo importantissimo da giocare. La domanda di energia pulita è destinata a crescere, complice il fatto che sta diventando la forma di energia più economica. Saranno necessari investimenti per 120mila miliardi di dollari entro il 2050 per sostenere la transizione in questo settore. Sedi di queste trasformazioni saranno soprattutto le città. Oggi infatti le metropoli generano l’80% del Pil mondiale e rappresentano la linfa vitale della crescita economica. Le stime prevedono che la loro popolazione arriverà a 6,5 miliardi nel 2050, rappresentando il 68% di quella mondiale. Ecco perché l’urbanizzazione è un altro tema interessante di lungo periodo. A tal proposito, uno strumento utile è l’indice Schroders Global Cities, che ogni anno stila la classifica delle 30 metropoli globali in cui vale la pena investire, in base a fattori quali previsioni di crescita dell’economia, reddito disponibile nel prossimo decennio, numerosità della popolazione e offerta universitaria. Saranno proprio le “città globali” il luogo in cui prolifereranno 48

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Nella foto a destra Luca Tenani, country head Italy di Schroders

le imprese che cavalcheranno la “disruption”, intesa non solo come rivoluzione tecnologica, ma come cambiamento dirompente che sovverte le regole in qualsiasi industria. Si tratta di un tema essenziale, perché selezionare le aziende che generano (“enabler”) o si adattano (“adaptor”) alle innovazioni, escludendo chi le nega (“denier”), sarà fondamentale per il successo degli investimenti nel lungo termine. Allo stesso tempo, l’altra via da percorrere in un’ottica di lungo periodo è quella dei mercati privati. Questo segmento, tradizionalmente di nicchia, sta vedendo un interesse crescente da parte degli investitori, disposti a vincolare il capitale anche per periodi prolungati pur di godere del “premio di illiquidità”. Questa “democratizzazione” dei private asset fa presagire che sentiremo molto parlare di questa asset class in futuro. In conclusione, sono quindi due le strade che riteniamo valga la pena percorrere nel lungo termine, due percorsi paralleli che faciliteranno il circolo virtuoso che va dal risparmio privato all’economia reale. *Country head Italy di Schroders


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P2P lending, ecco l’identikit dei prestatori alle imprese

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l prestatore tipo: uomo, 36-45 anni e residente in Lombardia. Già perchè uomini rappresentano quasi il 90% dei prestatori di October (la piattaforma di finanziamento online per la crescita delle pmi europee) e si concentrano prevalentemente appunto tra i 36 e i 45 anni (35%) mentre le fasce d’età 26-35 e 46-55 pesano ciascuna in ugual modo (25%). I prestatori tra i 18 e i 34 anni scelgono la piattaforma di P2P lending con una probabilità doppia rispetto agli over 55. Non c’è da stupirsi se una generazione che è diventata maggiorenne durante la crisi finanziaria sia oggi diffidente nei confronti delle banche. Fanno parte di quella generazione che, come emerso da una ricerca di mercato condotta nel 2017 da Scratch (società di consulenza creativa di Viacom che ha intervistato più di diecimila millennial negli Stati Uniti), ritiene che in futuro non avrà più bisogno di un istituto bancario e che prevarranno servizi finanziari innovativi offerti da aziende tecnologiche come Amazon, Google, Apple o Paypal. Circa la metà dei prestatori di October ha una professione impiegatizia. La parte restante è composta prevalentemente da quadri/dirigenti o liberi professionisti. In media, un prestatore su due ha figli. Il 44% dichiara un reddito annuale netto fino a 28mila euro mentre il 35% si colloca nella fascia tra i 28mila e i 55mila euro. Il 20%, infine, dichiara un reddito oltre i 55mila euro. Il prestatore di October ha un portafoglio ben diversificato: ecco quanto presta per progetto Se la maggioranza degli investitori in equity crowdfunding investe in una sola campagna, come evidenziato dal 4° Report italiano sul Crowdinvesting del Politecnico di Milano, il prestatore di October investe in media su oltre 50 operazioni con un ticket medio di 90 euro per un totale investito di 5mila euro. In media presta il 30% in più su progetti con rating A, ovvero accetta un rendimento inferiore a fronte di un profilo rischio più contenuto. Il prestatore ha compreso che la migliore strategia efficace per minimizzare il rischio di perdita del capitale è diversificare il portafoglio, riducendo così l’impatto dei default sul tasso di rendimento complessivo. I fattori principali che usa per diversificare sono il rating del progetto, il tasso, la durata del finanziamento e il settore di attività dell’impresa. La diversificazione geografica gli consente inoltre di ridurre il peso della dipendenza dall’economia domestica. Il prestatore October infatti presta a imprese non solo italiane ma anche francesi, spagnole e olandesi. Se la Lombardia è la regione con la più alta concentrazione di prestatori, sono il Veneto e il Lazio ad avere il portafoglio medio più alto. Al Piemonte va invece il primato della regione con il numero più elevato di operazioni. Il record di investimenti è del signor V., 43 anni, piemontese con 349 progetti in portafoglio.

IL CENTRO STUDI DI OCTOBER HA TRATTEGGIATO LA FISIONOMIA DEL PRESTATORE ITALIANO TIPO: È UOMO, HA UN’ETÀ CHE OSCILLA TRA I 36 E I 45 ANNI ED È RESIDENTE IN LOMBARDIA È curioso, ama la rete e ha un chiodo fisso: diversificare gli investimenti Il 60% si è avvicinato a October tramite forum e siti web mentre per il 20% è stato decisivo il passaparola da parte di amici e famigliari. In un contesto di tassi di interesse a zero o addirittura negativi, la possibilità di investire in obbligazioni e titoli di stato non è così attraente per chi è alla ricerca di un rendimento per i propri risparmi. Il 68% dei prestatori di October dichiara di aver investito i propri risparmi in fondi comuni di investimento ed Etf, il 51% ha un pacchetto azionario e il 40% ha un conto deposito. Il 30% ha esplorato modalità alternative per impiegare parte del proprio denaro ricorrendo al crowdfunding. dicembre 2019

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TREND

Rendimento, la migliore scommessa è l’innovazione di Gloria Valdonio

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un soffio dal 2020 gli strategist registrano il moltiplicarsi di interrogativi da parte di investitori che vogliono capire se è ancora un buon momento per puntare sull’innovazione. In molti casi, come spiega Matthew J. Moberg, portfolio manager di Franklin Equity Group, questi investitori sembrano dubitare che le aziende impegnate a cambiare la realtà attuale riusciranno nel prossimo decennio a raggiungere risultati validi quanto quelli ottenuti nel decennio passato, e per questo motivo sono tra le più tracciate da media e analisti finanziari, soprattutto nei periodi di rallentamento della crescita globale come l’attuale. È una preoccupazione comprensibile, se consideriamo che alcune di queste società sono cresciute sino a raggiungere le dimensioni delle più grandi aziende al mondo in termini di capitalizzazione di mercato. La risposta però è pressoché unanime: l’innovazione è la chiave di volta - forse l’unica - di possibili rendimenti futuri. E nel lungo periodo ci saranno vincitori e vinti intorno alle principali tendenze, come e-commerce globale, scoperte genetiche,

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GLI ANALISTI RITENGONO CHE SOLO LE SOCIETÀ CHE CAVALCANO I TEMI DEL FUTURO GARANTIRANNO RENDIMENTI NEL LUNGO PERIODO. I FILONI PRINCIPALI SONO L’E-COMMERCE GLOBALE, LE SCOPERTE GENETICHE, LE MACCHINE INTELLIGENTI, LA NUOVA FINANZA E I DATI ESPONENZIALI

Nella foto a sinistra Matthew J. Moberg, portfolio manager di Franklin Equity Group

macchine intelligenti, nuova finanza e dati esponenziali. Non solo. L’integrazione dell’innovazione rappresenta una sfida importante anche per le società legate a settori più tradizionali. «Le aziende al di fuori dello spazio tecnologico hanno capito che per rimanere competitive in un panorama sempre più digitalizzato, devono abbracciare la trasformazione digitale, come il cloud computing, la sicurezza informatica e l’intelligenza artificiale», spiega Moberg. «In generale consideriamo la spesa e gli investimenti tecnologici molto meno discrezionali rispetto ai cicli precedenti, apportando agli utili generati dall’information technology un elevato grado di resilienza”. Ma attenzione: «Stiamo assistendo a una progressiva riduzione della vita media di una società quotata sull’S&P 500: se nel 1965 era di 30 anni, adesso, secondo Innosight, è di soli 15 anni. E in futuro questa tendenza potrebbe accelerare ancora», sottolinea Julien Leegenhoek, equity analyst di Ubp.

Scarsa volatilità e bassa correlazione Velocità e lungimiranza sono le caratteristiche di ogni buon affare. Ma l’innovazione presenta altre due caratteristiche che ogni investitore deve tenere in considerazione. «Crediamo che investire nei segmenti del mercato in cui l’innovazione gioca un ruolo preponderante possa offrire rendimenti interessanti utilizzando la scarsità di volatilità superiore alla media combinata con bassi livelli di correlazione», afferma Mark Hawtin, investment director disruptive technologies di Gam Investments. In altre parole, la disparità e la polarizzazione dei rendimenti tra vincitori e vinti, nel corso di un ciclo di innovazione dei settori più importanti del mercato, sono significative e garantiscono buone opportunità di investimento sia in ottica long che short. Hawtin invita a prendere come esempio due settori che sono stati fortemente segnati dall’innovazione derivante dal ruolo sempre più preponderante di internet nell’ultimo decennio, il retail e la pubblicità. La portata del cambiamento è stata tale che oggi tre delle prime cinque società al mondo per


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Nella foto a sinistra Julien Leegenhoek, equity analyst di Ubp. Nella foto a destra Mark Hawtin, investment director disruptive technologies di Gam Investments

capitalizzazione ci sono Amazon, e quindi il settore retail, e poi Google e Facebook, che basano buona parte del loro fatturato sulla pubblicità. «Sono nati nuovi leader di settore, con modelli di business molto più potenti, uniti a strutture di costo con cui i leader storici di mercato non riescono assolutamente a competere», spiega lo strategist. Il risultato di questo processo non è limitato all’apprezzamento delle azioni di questi nuovi giganti, che si è moltiplicato nell’ultimo decennio (Facebook, Alphabet e Amazon hanno ancora una crescita media del fatturato superiore al 20% e probabilmente rimarranno al di sopra del 15% per un po’), ma ha portato anche a una performance diametralmente opposta dei titoli dei competitor tradizionali. «Nel retail, i problemi dei grandi magazzini statunitensi sono sotto gli occhi di tutti. Nella pubblicità, la carta stampata e le radio stanno soffrendo», dice Hawtin. Che aggiunge: «Megatrend di questo tipo offrono quindi diverse opportunità per le strategie long/short, ma crediamo che sia necessaria una profonda conoscenza delle forze in campo e delle nuove tecnologie, oltre a una gestione del rischio molto disciplinata».

NASCONO NUOVI LEADER DI SETTORE, CON MODELLI DI BUSINESS POTENTI E BASSI COSTI, CON CUI I PLAYER STORICI NON RIESCONO A COMPETERE

VENDITA AL DETTAGLIO GLOBALE DI ECOMMERCE (in milioni di $)

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FONTE: HTTPS://WWW.SHOPIFY.COM/ENTERPRISE/GLOBAL-ECOMMERCE-STATISTICS

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Aumento della capacity A rinforzare la fede nell’innovazione, il ragionamento di David Eiswert, gestore del fondo T. Rowe Price Global Focused Growth Equity, secondo il quale la combinazione di costo del capitale estremamente basso (come l’attuale) e cambiamento tecnologico ha impresso un’accelerazione senza precedenti al processo di innovazione: «Per fare un esempio, con un tasso sui Treasury decennali al 5%, Tesla non potrebbe esistere con la sua struttura finanziaria attuale», spiega il gestore. «L’esistenza di innovatori come Tesla costringe anche gli altri competitor dei rispettivi settori ad accelerare gli investimenti per potersi tenere al passo, e la liquidità sta finanziando questo circolo virtuoso in ogni area dell’economia globale». Eppure questo fenomeno genera un imprevisto: in un mondo di liquidità abbondante e disruption tecnologica straordinaria, crescita e inflazione restano contenute. Come si spiega questa apparente contraddizione? «Il paradosso è che se da un lato il mondo gode dei frutti di questa innovazione, avendo accesso a iPhone, Netflix, auto a guida autonoma, scienza genetica ed energia a basso costo, dall’altro lato la rapidità e la forza dirompente dicembre 2019

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del cambiamento possono avere conseguenze disomogenee e indesiderate, come appunto la bassa inflazione, legata all’aumento di capacity generato dalle nuove tecnologie», è la risposta di Eiswert. La ricerca dei filoni d’oro L’imperativo quindi è individuare i filoni dell’innovazione che possono garantire rendimenti finanziari durevoli. In primo luogo Internet, che non è affatto un reperto storico, bensì è nella fase iniziale di sviluppo e presenta enormi potenzialità di crescita da un lato nell’e-commerce al dettaglio (settore che ha registrato un incremento del 21% nel solo 2019), dall’altro in mercati che si trovano in una fase molto precoce, come istruzione online, e-government, e-health o l’Internet delle cose. «Nei prossimi dieci anni e oltre ci aspettiamo che lo spostamento verso una maggiore connettività, mobilità e uso di applicazioni di software di cloud continuerà. Si tratta infatti di trend globali con un grande potenziale», dice Eiswert. Il maggiore posizionamento del gestore è la Alphabet di Google, che è diventata una delle società con valutazioni più elevate e dimensioni maggiori focalizzandosi proprio sul potenziale offerto da internet e telefonia mobile. «All’interno di segmenti in continuo cambiamento, come media, intrattenimento e comunicazioni, Alphabet rappresenta un importante esempio di società che si trova dal lato giusto del cambiamento, che può fare leva sulle forze secolari e beneficiare dei trend in miglioramento in aree come user engagement e subscri-

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Nella foto in alto Giancarlo Sandrin, country head per l’Italia di Lgim. Nella foto in basso David Eiswert, gestore del fondo T. Rowe Price Global Focused Growth Equity

ber growth», spiega Eiswert. «La società offre una piattaforma che mette in comunicazione creatori, pubblicitari e clienti. E, come altre “platform companies”, beneficia di un importante effetto network: più gli utenti usano la piattaforma, maggiore è il valore generato per ognuno di essi».

Le piattaforme Anche Moberg è interessato alle piattaforme che partecipano alla Quarta rivoluzione industriale: «Modalità più convenienti di acquistare e vendere beni, la svolta del sequenziamento genomico, l’Internet delle cose, l’esplosione dei dati e persino il mutamento della natura del denaro stesso rivoluzioneranno la nostra economia e queste piattaforme continueranno a svilupparsi e progredire indipendentemente dal panorama economico a breve termine, rappresentando cambiamenti pluriennali e permanenti per l’economia», dice lo strategist. Che indica due piattaforme in grado di sostenere un trend di lungo periodo: PayPal («uno dei principali disruptor nel settore dei servizi finanziari e una piattaforma di sistemi di pagamento che democratizza i pagamenti e consente ai commercianti su piccola scala di unirsi e prosperare nell’economia globale»), e Crown Castle («operatore globale di comunicazioni immobiliari e una delle holding più convincenti, che calza a pennello con il tema dei dati esponenziali»). «Gli investimenti nelle torri dei ripetitori per i cellulari forniscono esposizione alla promessa di sviluppo portata della tecnologia 5G, che è in evoluzione e richiederà un intenso potenziamento delle infrastrutture, compresi nuovi dispositivi, software e nuove strutture a supporto», spiega Moberg. Altri temi Un altro filone “caldo”, secondo Leegenhoek, è quello dei software, in particolare dei software as a service (Saas). Nel 2017 il valore dell’industria dei servizi cloud si attestava a circa 164 miliardi di dollari e oggi si stima possa superare i 300 miliardi entro il 2020. «Il settore può crescere ulteriormente anche perchè include le aziende di cybersecurity e quelle che, operando con i dati, sono alla base del futuro sviluppo dell’intelligenza artificiale», spiega lo strategist. Altrettanto interes-

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L’AUTO SARÀ PROTAGONISTA DI UNA GRANDE RIVOLUZIONE: LA TRANSIZIONE DALLA PROPRIETÀ ALLA CONDIVISIONE DEL MEZZO DI TRASPORTO. IL CAR SHARING POTREBBE DIVENTARE UN MERCATO DA 5MILA MILIARDI DI DOLLARI sante è l’industria del gaming, che sta evolvendo progressivamente verso la realtà virtuale, e si stima possa raggiungere 152 miliardi di dollari di valore nel 2019, con una crescita del 9,6% su base annua. Attualmente – spiega Leegenhoek - ci sono oltre 2,5 miliardi di giocatori in tutto il mondo e, secondo Goldman Sachs, il mercato della realtà virtuale e aumentata dovrebbe toccare i 107 miliardi di dollari di vendite entro il 2025 contro i 10 miliardi del 2018. Seconso lo strategist infine non vanno trascurati settori come la blockchain, il fintech, i droni, le nuove società dell’aerospace, e soprattutto l’automotive, che si appresta a vivere un “momento iphone” nei prossimi anni. «L’industria si sta spostando in modo sempre più massiccio verso l’auto elettrica e la guida autonoma. Parti di questo settore potrebbero scomparire nei prossimi anni, sostituite da nuove tipologie di società», commenta Leegenhoek. Il trend della condivisione Proprio l’auto, secondo Gam, sarà la protagonista di una grande rivoluzione: la transizione dalla proprietà alla condivisione del mezzo di trasporto, abbinata alle nuove efficienze del settore. «Il car sharing, che da solo potrebbe diventare un mercato da 5mila miliardi di dollari, rientra in un tema più ampio che a nostro giudizio ha le potenzialità per diventare uno degli elementi rivoluzionari dagli effetti più rapidi e profondi, ovvero i trasporti in qualità di servizio», spiega Hawtin. Sotto l’etichetta di trasporti come servizio sono riuniti infatti numerosi segmenti, dal ride sharing per il trasporto delle merci alla distribuzione, dalla consegna di cibo a domicilio fino alla consegna trami-

IL MERCATO LOGISTICO GLOBALE PER L’E-COMMERCE (in milioni di $) 500.000 427,157 400.000

300.000 245,102 207,342 200.000

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FONTE: TRANSPORT INTELLIGENCE

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te droni, oltre al trasporto di persone. «Crediamo dunque che questo mercato, nel suo complesso, rappresenti un’opportunità con un giro d’affari intorno a 8 mila miliardi di dollari che equivale al 10% del Pil globale», spiega lo strategist. Che aggiunge: «Uber e Lyft sono i nomi più noti, ma occorre prudenza nel breve periodo, mentre queste aziende cercano di consolidare il loro business model. Ci sono però opportunità da non trascurare tra i fornitori di questi operatori, come Monolithic Power Systems negli Stati Uniti e Infineon Technologies in Germania».

Strumenti di investimento L’ondata di innovazione a livello globale offre opportunità soprattutto per gli investitori in Etf, che possono prendere facilmente posizione su singoli settori e titoli azionari. «Uno dei temi disruptive in cui vediamo maggiori possibilità di sviluppo è quello delle tecnologie e dell’innovazione collegate al settore healthcare, trainato da fattori come l’invecchiamento della popolazione. Da cavalcare anche i rapidi progressi nell’intelligenza artificiale, nell’elettronica, nella genomica, e nella digitalizzazione della filiera sanitaria che sta portando per esempio a costi più bassi», spiega Giancarlo Sandrin, country head per l’Italia di Lgim. «Secondo le stime, questo ambito rappresentava il 18% del Pil degli Usa nel 2017 e si prevede che raggiungerà gli 8,7 miliardi di dollari entro il 2020”. Per quanto riguarda le tecnologie legate all’intelligenza artificiale, le previsioni indicano che potrebbero accrescere il Pil globale di 15,7 miliardi di dollari entro il 2030. «Sono molti i driver di questo settore, a partire dalla crescita massiccia dei dati che moltiplicano il potenziale delle applicazioni di intelligenza artificiale, per arrivare ai trend demografici: con l’aumento esponenziale della popolazione globale infatti, l’Ia sarà fondamentale per aumentare la capacità di fornire servizi - dall’assistenza sanitaria ai beni di consumo fino all’energia - a una popolazione che sarà di oltre 8,5 miliardi di persone entro il 2030», spiega Sandrin. Che conclude: «Un altro tema importante è quello delle innovazioni legate alla tecnologia dell’acqua: alcuni report infatti indicano che già entro il 2025 ben 1,8 miliardi di persone vivranno in nazioni o regioni sottoposte a stress idrico». dicembre 2019

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I COLOSSI DEL WEB

Così le tigri della Silicon Valley mordono ai fianchi le banche di Mauro Del Corno

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rmai siamo alla grande ammucchiata. Amazon, Apple, Facebook, Google, Alibaba, Uber si stanno buttando a capofitto, o lo hanno già fatto, nel settore dei servizi finanziari e dei sistemi di pagamento digitali. Tre le novità che si sono susseguite nel giro di pochi giorni. La prima è la nascita di “Uber money”, ossia un portafoglio elettronico con bancomat e carte di credito per gli utenti dell’ “app” di servizio di macchine con autista. Il responsabile della nuova iniziativa, Peter Hazlehurst, ha spiegato: «c’è una nuova parte di Uber concentrata sui servizi finanziari (…) Uber scommette che creando un suo ecosistema finanziario sarà in grado di rafforzare la fedeltà di autisti e clienti alla sua piattaforma». La seconda novità è il lancio del progetto “Cache” da parte di Google, con l’offerta di conti corrente grazie alla collaborazione con Citigroup. La terza novità è targata Facebook. Il gruppo di Mark Zuckerberg ha presentato “Facebook Pay”, sistema 54

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LE VARIE ALIBABA, APPLE, GOOGLE, UBER SEMPRE PIÙ IMPEGNATE NEI SERVIZI FINANZIARI E NEI SISTEMI DI PAGAMENTO. MENTRE NAUFRAGANO INVECE I PROGETTI DI MONETE DIGITALI che permetterà agli utenti di Instagram, Whatsapp e Facebook messanger di fare acquisti e trasferire denaro sulle tre piattaforme. Amazon e Apple dispongono già di svariati “attrezzi” finanziari, carte di credito, portafogli digitali, finanziamenti alle imprese e via dicendo. Lo stesso dicasi della cinese Alibaba. O di Telegram, alternativa made in Russia a Whatsapp, che lavora alla sua valuta digitale “gram”. Per gli osservatori più attenti c’è poco di cui stupirsi. Già nella sua lettera agli azionisti del 2015, il numero uno di Jp Morgan, la più grande banca dell’occidente, Jamie Dimon, avvertiva: «Silicon Valley is coming». E nel mondo del web 4 anni sono quasi un’era geologica. Quello che forse neppure Dimon si aspettava è che la calata di nuovi rivali dalla valle californiana, avrebbe rapidamente portato ad una pace di reciproca convenienza, piuttosto che a uno scontro aperto. Banche tradizionali e colossi del web infatti collaborano, a beneficio di entrambi. A questo punto tuttavia una domanda dovrebbe sorgere spon-


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IL CONTO CORRENTE È UNO STRUMENTO DI FIDELIZZAZIONE DEGLI UTENTI. ECCO PERCHÈ PIACE AD AMAZON & CO

tanea. Perché colossi del web con capitalizzazioni da centinaia di miliardi di dollari e che macinano utili hanno tutto questo interesse a entrare in un settore con redditività depressa a causa di tassi ai minimi storici che verosimilmente così resteranno a lungo? Le ragioni sono fondamentalmente due ed entrambe hanno poco a che fare con i risultati di bilancio. O meglio, vi hanno a che fare ma in via indiretta. La prima, la più facile da intuire, è che il conto corrente è uno strumento per ottenere un’ulteriore fidelizzazione degli utenti. Chi ha i soldi depositati presso Amazon, acquisterà prodotti e servizi presenti sulla piattaforma con ancora maggiore facilità e frequenza. La seconda e ancora più fondamentale ragione riguarda, ancora una volta, i dati. Vale a dire la “materia prima” con cui i big di internet fanno i soldi. Spese, gestione di un conto, acquisti, forniscono un’immensa mole di informazioni sugli utenti che permettono di capire (e orientare) i gusti targettizzare meglio le offerte. C’è anche un risvolto più subdolo. I recenti scandali sull’utilizzo improprio dei dati (per esempio Facebook li rivendeva a Cambridge Analytica che li riutilizzava a fini di campagne elettorali oppure Google che avrebbe indebitamente raccolto informazioni sanitarie su decine di milioni di utenti, giusto per citare alcuni dei casi più noti) hanno accesso più di un riflettore sulle pratiche di questi gruppi e hanno portato all’introduzioni di regole più severe per social network, chat, ricerche on line. Il canale bancario e finanziario consente invece di accumulare informazioni in modo più discreto e defilato, senza incorrere nelle limitazione imposte alla parte più genuinamente “web e social”. Facebook e Telegram hanno iniziato ad avventurarsi anche sul terreno minato delle monete digitali. Una premessa: monopolio nell’uso della forza e monopolio nella gestione della moneta sono i due aspetti che determinano la sovranità di uno Stato o di un’organizzazione di Stati come l’Unione europea. Non è un caso che il bitcoin nasca e si diffonda durante le convulsioni del sistema finanziario causate dalla crisi deflagrata nel 2007. Una fase in cui vacilla persino la fiducia nella moneta degli Stati e nei tradizionali circuiti di pagamento e cresce l’interesse per una sorta di surrogato. Tuttavia prima che queste monete si affermino come tali, molta, molta acqua dovrà passare sotto i ponti. Sinora bitcoin e affini hanno prosperato e soprattutto sono stati lasciati prosperare, poiché di fatto non hanno mai rappresentato una reale alternativa reale alle monete tradizionali. Troppo volatili per conser-

vare valore (un bitcoin valeva oltre 3000 dollari a inizio 2019, è salito fino a 12 mila in luglio, ora si scambia a circa 7.500 dollari), non completamente affidabili perché esposti a frodi, con un sistema di elaborazione delle transazioni lento ed energicamente molto dispendioso. Le monete digitali sono oggi fondamentalmente un prodotto d’ investimento altamente speculativo. Come tale vengono utilizzate e probabilmente questo rimarranno. Nulla di più lontano quindi dal propagandato asset alternativo e sicuro in fasi di turbolenza dei mercati. Lo dimostra, tra l’altro, l’inesistente correlazione con i prezzi dell’oro, che, pur con qualche acciacco, ancora resiste nel ruolo di vero bene rifugio. Nel momento in cui questo quadro dovesse mutare la reazione di Stati e banche centrali non si farebbe attendere. Il caso Libra è emblematico. La moneta digitale annunciata alcuni mesi a Facebook si poneva l’obiettivo di correggere i difetti del bitcoin assicurandone la stabilità tramite l’ancoraggio a un paniere di valute reali. A gestire e sovraintendere “l’universo Libra” un consorzio di cui avrebbero fatto parte la stessa Facebook oltre a Vodafone, Pay Pal, Iliad, Visa e Mastercard, Uber e altri. La presenza di un “consorzio di gestione” snatura di fatto la natura di moneta digitale propria di Bitcoin, Ethereum, Ripple, caratterizzate proprio dal fatto di non avere un soggetto centrale che le amministra ma di funzionare grazie a una rete diffusa. Ma il punto è un altro. Appena Facebook e soci si sono mossi, i regolatori hanno fiutato il pericolo. È quindi partito un fuoco di fila, prima la Bank of England, poi la Federal Reserve, la Sec e la Banca centrale europea hanno di fatto posto un veto sul progetto. Libra è stata uccisa nella culla, Mastercard, Visa e PayPal si sono già sfilate dal progetto. Più o meno lo stesso trattamento è stato riservato a “gram” di Telegram, il cui debutto è stato rinviato a data da definirsi, dopo lo stop della Sec. Le banche centrali hanno anche un altro jolly da giocarsi oltre alle loro capacità di veto e in molti scommettono che presto lo faranno. Fed, Bce, Boj, Boe potrebbero lanciare delle loro valute digitali. Sottoposte al controllo dei governi e regolarmente autorizzate. La traslazione sul piano digitale delle valute tradizionali in sostanza. Non è una mossa che affonderà vere criptovalute come il bitcoin che è basato su una struttura completamente diversa e da ciò trae la sua forza e il suo valore. Soluzioni più “ibride” come appunto “Libra” verrebbero invece completamente spiazzate da questa eventualità. dicembre 2019

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WEALTH MANAGEMENT

Banca Generali spinge sul private e accelera con le offerte tematiche

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ccellenza nel wealth management coinvolgendo il patrimonio delle famiglie e delle imprese, servizi esclusivi grazie a un sistema “aperto” alle migliori piattaforme digitali, e un’offerta di diversificazione negli investimenti sempre più estesa per tipologia di prodotti e soluzioni su misura. Con queste linee strategiche Banca Generali sta scalando le posizioni del private banking in Italia posizionandosi ormai al terzo posto (analisi Magstat di settembre 2019) direttamente dietro le emanazioni private delle due principali banche commerciali italiane (Intesa e Unicredit). Oltre 40 miliardi di euro su un totale di oltre 67 miliardi di masse della banca guidata da Gian Maria Mossa sono infatti riconducibili a clienti oltre il mezzo milione di disponibilità finanziaria. Sei anni fa le masse erano meno di 12 miliardi e la banca si posizionava in tredicesima posizione. «La versatilità e qualità della nostra offerta trova grande riscontro tra tanti imprenditori, che sono ormai un terzo della nostra clientela private, e famiglie dalle esigenze più complesse che riconoscono il valore delle competenze dei nostri banker, come il mix tra innovazione e personalizzazione delle soluzioni» dichiara Andrea Ragaini, vice direttore generale di Banca Generali. Nel corso dell’anno sono state introdotti nuovi strumenti come il robo for advisory al servizio del consulente, sviluppato su tecnologia di Ubs partners e poi modellato sulle esigenze interne per controllare l’adeguatezza e l’equilibrio dei portafogli, la partnership con la banca fintech danese Saxo Bank nella piattaforma di trading, e nuove sfere di investimenti nell’ambito della sicav lussemburghese Lux im. Questa ha ormai raggiunto i 9,5 miliardi di masse avendo saputo sviluppare nel corso degli ultimi 18 mesi una serie di gestioni tematiche all’avanguardia, unite a una forte competitività nel pricing. Da poche settimane questa sicav si è arricchita di 16 nuovi comparti che sposano le filosofie gestionali di ultima generazione nell’analisi quantitativa, nell’attenzione a soluzioni meno liquide e ai trend di lungo periodo. «I mercati sono ai massimi per l’azionario ma la crescita si indebolisce e il credito sconta l’incertezza delle mosse monetarie unite al livello di debito complessivo», aggiunge Ragaini. «In questo clima non è facile affacciarsi agli investimenti ed è per questo che diventa ancor più fondamentale avere al proprio fianco un professionista in grado di selezionare le opportunità più efficienti, in funzione dei progetti di vita delle famiglie. In questo senso è nata la nostra sicav Lux im che con questa nuova serie di rilasci completa la terza fase di aggiornamento portando a 63 i 56

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Andrea Ragaini, vice direttore generale di Banca Generali

comparti totali». I fondi nella sicav poggiano su quattro macro-aree di investimento: azionari, obbligazionari, multiasset e alternativi non direzionali. Con l’allargamento delle proposte sono arrivate anche nuove partnership con Alliance Bernstein, Mip, Solar Ventures Capital e Sycomore del gruppo Generali. Ci sono poi strategie costruite con partner storici come con Pictet Am che guarda ai macrotrend tenendo sempre al centro il livello di rischio, o quella sviluppata con M&G che investe in obbligazioni di aziende high-yield a tasso variabile per catturare rendimento nella fase di rialzo dei mercati. Non manca poi lo sguardo di Banca Generali all’economia reale con la nuova strategia sviluppata con Mip – Milano investment partners che guarda alla digitalizzazione del mondo retail, o quella in collaborazione con Ambrosetti che punta invece sulla decorrelazione dai mercati azionari e obbligazionari. Per l’esposizione geografica invece la sicav di Banca Generali si arricchisce con la nuova strategia di Invesco focalizzata sulla realizzazione della “via della seta” cinese. A questa si affianca poi una proposta di Jp Morgan rivolta alle opportunità sull’azionario europeo. La capacità di continuare a proporre soluzioni diversificate non è passata inosservata sul mercato. La raccolta in 10 mesi s’è attestata a 4,2 miliardi di cui appunto la metà in soluzioni gestite. Di questi passi avanti si sono accorti anche gli investitori con il titolo che è salito in Borsa di circa il 70% (tra gennaio e novembre) in termini di total return. La banca risulta tra le più dinamiche nel mondo delle reti tanto che un istituto indipendente – Istituto tedesco di qualità - ha giudicato la rete Banca Generali “la migliore per il giudizio espresso direttamente dai clienti”. Da Londra invece il riconoscimento arriva direttamente dal gruppo del Financial Times che ha nominato la società “Best Private Bank” in Italia segnalando, per la terza volta negli ultimi quattro anni, la banca come miglior esempio di crescita, innovazione e ritorno per gli azionisti.



INTERVISTA A LORENZO BASSANI

CheBanca! parte alla conquista dei clienti wealth e affluent di Marco Muffato

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a filiale sorpassata? Macché, continuerà anzi a essere centrale nella strategia di una delle realtà a più alta innovazione del sistema bancario nazionale. Parliamo di CheBanca! la cui rete proprietaria avrà un compito fondamentale nell’ambito del nuovo piano strategico della capogruppo Mediobanca. Come spiega a Investire Lorenzo Bassani (nella foto), vice direttore generale e direttore commerciale e marketing di CheBanca!

Quale ruolo affida il piano strategico 2019-2023 Mediobanca a CheBanca!? Un ruolo centrale con la divisione wealth che dovrà crescere in modo importante. È quindi forte il senso di responsabilità nei confronti del gruppo e dei clienti di una banca come la nostra che non può più essere definita una start up, ma è ancora giovane, con appena undici anni di vita. Dobbiamo ancora dimostrare molto al mercato, ma la fiducia del gruppo ci mette sulla buona strada. Quali sono gli obiettivi in termini di economics? Oggi CheBanca! può vantare 26 miliardi di asset affidati dalla clientela e l’intenzione è di crescere a una media di 2 miliardi all’anno per il prossimo triennio. L’anno scorso abbiamo chiuso l’esercizio con più di 2 miliardi di raccolta, per il 2019-2020 vogliamo superare questo obiettivo e tenere il passo negli anni successivi. È importante sottolineare che la nostra è una crescita organica, senza il supporto di acquisizioni. L’ultima acquisizione risalente al 2016, quella di Barclays, è stata quindi ampiamente scontata nei nostri risultati di raccolta. Quali sono invece i target di sviluppo della clientela? Non ci aspettiamo che il numero di clienti cresca, ma che ci sia una riconversione degli stessi a favore dei segmenti core. A questo proposito quali saranno le differenze nel tipo di servizio offerto alla clientela wealth/premier rispetto a quella affluent? Ci focalizzeremo sempre di più sulla clientela affluent e premier, quindi a partire dai 100 mila come soglia iniziale e fino ai 5 milioni di euro. Più precisamente per affluent è inteso il cliente che va dai 100 mila ai 500mila euro, mentre il premier è quel cliente sopra i 500mila euro. Questa segmentazione è coerente per rispondere alle diverse esigenze dei clienti di fascia alta. La differenza peraltro è marcata dalle caratteristiche dei gestori: il gestore wealth rispetto a un gestore affluent deve disporre di competenze più evolute per erogare un servizio di consulenza più ampio, non solo legato alla gestione finanziaria ma anche in campo fiscale, immobiliare e previdenziale. I gestori wealth usufruiscono di tutte le competenze che il gruppo 58

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FILIALI TECH E GESTORI SUPER PREPARATI PER OFFRIRE UNA GAMMA DI SERVIZI ALTAMENTE DIVERSIFICATI A UNA CLIENTELA D’ÉLITE Mediobanca mette a disposizione, per esempio di finanza straordinaria nel caso di clienti imprenditori. Altra caratteristica distintiva rispetto ai competitor è la giovane età della nostra rete con un’età media intorno ai 35 anni per i gestori affluent e di poco più di 40 anni per i gestori wealth. La bassa età media è un aspetto che dà profondità e futuro agli stessi gestori che hanno così la possibilità di far parte di un progetto di crescita per molti anni. Aggiungo che tutti i gestori affluent e wealth hanno superato l’esame da consulente finanziario e possono erogare il servizio fuori sede . Tutti i nostri gestori wealth sono inoltre in possesso della certificazione Efa - European financial advisor. È previsto uno sviluppo della rete proprietaria? In che termini? A che tipo di professionalità mirate? È uno dei punti cruciali del piano, pensiamo di crescere di circa 140 gestori wealth nell’arco del triennio, raddoppieremo l’attuale rete wealth che è a quota 110 gestori, per arrivare a un totale di 250 gestori. Sottolineo che l’attuale rete proprietaria nel segmento wealth ha raccolto in tre anni ben 6 miliardi di euro e dunque siamo molto gelosi e selettivi: gelosi perché avendo ottenuto risultati così lusinghieri in poco tempo riteniamo di avere un modello distintivo che di fatto ci viene riconosciuto


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sia dai gestori che abbiamo assunto che dalla loro clientela, e siamo selettivi orientandoci su figure professionali che abbiano maturato una solida esperienza nel mondo del private banking italiano, che abbiano a cuore il benessere dei loro clienti e che cerchino una realtà che li metta in condizioni di erogare una consulenza sulle effettive esigenze della clientela. Le azioni di marketing a cosa saranno finalizzate? Quali saranno le leve utilizzate? La prima CheBanca! era molto focalizzata su azioni di comunicazione rivolte a un pubblico indistinto e molto legate al prodotto, in particolare al conto deposito e alla raccolta diretta. Oggi i nostri investimenti di marketing sono rivolti ad avvicinare sempre più i clienti alla banca cercando di trasferire contenuti e di avvicinarci alle passioni dei nostri clienti condividendo i loro interessi. Per questa ragione siamo molto concentrati nel fare eventi sul territorio, con l’obiettivo di trasferire conoscenze in campo finanziario ai nostri clienti attraverso il format dei Salotti finanziari, organizzati in tutta Italia, ma anche eventi legati al territorio e alla cultura. Rientrano in questa logica il restauro de “L’Incontro di Cristo con la Veronica”, opera di Giovanni Busi detto Il Cariani che fa parte della collezione permanente della Pinacoteca di Brescia, che è stato finanziato da CheBanca!. Sempre in questa direzione è il nostro contributo alla nascita dell’Orchestra Sinfonica del Conservatorio di Milano. L’orchestra vede tra le proprie fila i soli studenti del Verdi – ragazzi tra i 15 e i 22 anni – che hanno scelto la musica come professione. L’orchestra effettuerà due concerti a Milano e Roma nel periodo natalizio riservati ai nostri clienti. Saranno varati nuovi e inediti programmi formativi per la rete proprietaria? Per noi la formazione è essenziale e va di pari passo con lo sviluppo dei servizi che intendiamo offrire ai nostri clienti. Eroghiamo 36mila ore di formazione annue per i nostri gestori in filiale. Riteniamo poi le certificazioni importanti e l’entusiasmo con cui le nostre persone affrontano i corsi di preparazione dimostra la maturità della nostra rete: addirittura sull’esame di certificazione Efa, organizzato da Efpa Italia, vantiamo il 95% di promossi all’esame al primo tentativo. Stiamo ampliando i nostri orizzonti alla certificazione Esg e a una certificazione nel real estate, anche alla luce del fatto che stiamo erogando in questo momento alla rete un percorso formativo sull’ottimizzazione del patrimonio immobiliare dei nostri clienti. A quest’ultimo proposito ricordo come CheBanca! nasca dalle ceneri di Micos e come l’acquisizione di Barclays abbia portato in dote l’esperienza di Woolwich, con la conseguenza che le competenze sul lato mutui sono ancora molto vive, come dimostra il portafoglio di mutui residenziali retail di circa 10 miliardi di euro. Quest’anno erogheremo 1,7 miliardi euro di nuovi mutui residenziali e quindi l’estensione dell’attività dei gestori wealth all’ottimizzazione immobiliare può contribuire alla crescita di CheBanca! in questo comparto. Come cambierà la vostra filiale bancaria? Quali nuovi servizi troveranno i clienti? Tutti i competitor stanno chiudendo le filiali bancarie, mentre CheBanca! è in controtendenza perché, pur non decidendo di coprire il territorio nazionale a tappeto, abbiamo mantenuto un ruolo centrale all’attività delle filiali. A seguito dell’acquisizione di Barclays abbiamo razionalizzato la rete fisica limitatamente alle situazioni di sovrapposizione territoriale, e

L’ISTITUTO DEL GRUPPO MEDIOBANCA AFFILA LE ARMI PER DARE SCACCO MATTO AL MERCATO NELLA FASCIA DEGLI INVESTITORI PIÙ BENESTANTI poi abbiamo effettuato alcune aperture di nuove dipendenze. In particolare abbiamo aperto otto filiali dedicate al wealth-premier in diverse importanti città (Milano, Torino, Verona, Mantova, Firenze, due a Roma e a Napoli, n.d.r.) con altre aperture che sono previste in questo triennio per coprire zone del territorio di nostro interesse. Non solo: abbiamo un centinaio di filiali retail che presto trasformeremo in filiali dedicate alla clientela affluent e quindi sempre più orientate alla consulenza e alla riservatezza per i nostri clienti. A proposito dei nuovi servizi in filiale, una premessa: ricorderà che un tempo il punto d’ingresso per il giovane neolaureato assunto era l’attività di cassiere. Oggi al giovane neolaureato assunto, che dimostri passione per la finanza e le nuove tecnologie, è invece affidato il ruolo di digital coach per aiutare i nostri clienti all’utilizzo dei servizi bancari ad alto contenuto tecnologico. Parliamo di innovazione digitale, quali sono i principali investimenti che avete varato? Siamo nati come banca digitale e quindi le esperienze interne maturate sulle strutture sia di business che di operations sono molto sviluppate. In seguito al riposizionamento previsto dal piano strategico di Mediobanca verso i clienti wealth e affluent prevediamo peraltro una revisione delle nostre piattaforme digitali sia di online che di mobile banking per offrire nuovi servizi alla clientela target. In particolare svilupperemo il trading online sul mobile e attueremo delle partnership con società fintech operanti sia in ambito assicurativo che immobiliare oltre che nella consulenza finanziaria in generale. Da citare poi il recente lancio del nostro chatbot, un assistente virtuale che offre ai clienti che si relazionano con la banca via digitale, un’interazione sull’operatività bancaria di base immediata ed efficiente, resa possibile dall’utilizzo dell’intelligenza artificiale. dicembre 2019

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GESTIONI

Il metro dell’etica sugli investimenti fa bene all’ambiente e al portafoglio di Annalisa Caccavale

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on c’è dubbio: il risparmiatore di oggi guarda con interesse crescente agli investimenti sostenibili. Nel 2018, questi a livello globale hanno coperto il 39% del totale delle operazioni complessive. Un aumento del +35% dal 2016, continuo e costante, per un trend che a questi ritmi raggiungerà ben presto il break-even con gli investimenti tradizionali. Perché? Perché pensare all’etica non significa escludere risultati positivi nei rendimenti; gli investimenti che applicano i criteri Esg migliorano la performance del portafoglio, e ce lo conferma un recente report pubblicato dall’Osservato-

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I SORPRENDENTI DATI DELL’OSSERVATORIO PRIVATE BANKING DELLA LIUC BUSINESS SCHOOL: CHI HA ESCLUSO DAI PROPRI INVESTIMENTI LE SOCIETÀ IN RITARDO SUI PRINCIPI ESG HA GUADAGNATO DI PIÙ rio Private Banking, della Liuc Business School grazie anche al supporto di Banca Generali, BlackRock e Natixis. Uno studio di Lyxor (società di risparmio gestito francese) mostra come l’esclusione del 50% delle società con punteggi Esg più deboli, in un portafoglio esposto all’azionario europeo, può realizzare rendimenti superiori a quelli dell’indice tradizionale. Questo vuol dire che se dodici anni fa avessimo investito nel “Msci Europe”, il nostro capitale sarebbe aumentato del 3,63% medio annuo, mentre se avesse scelto tra il 50% delle società dello stesso indice, però con il miglior profilo Esg, la crescita sarebbe stata del 4,42%. I criteri di sostenibilità, responsabilità sociale e inclusività possono diventare fattori decisivi per il risparmiatore nella scelta della banca o della società di gestione alla quale affidarsi. È sempre più chiara la volontà del mondo private, attraverso l’inserimento di fattori Esg di avere un portafoglio, in cui oltre a contenere i rischi, si possa anche sostenere la costruzione di una società e di un mondo migliore. Altro punto importante su cui soffermarsi è che la clientela oggi è interessata a investire non solo in qualcosa che eviti un impatto negativo ma soprattutto in qualcosa che ne generi uno positivo. Il cliente non vuole più solo un prodotto Esg, ma un approccio, una strategia di investimento. Cade l’idea che investire responsabilmente significhi perdere in performance, perché si è compreso che esiste una correlazione tra pratiche virtuose di un’azienda e rendimento del titolo sul mercato. Il ruolo degli investitori diventa così fondamentale, perché possono spingere le aziende ad adottare tali criteri virtuosi. Il discorso non è solo italiano: l’Europa, che è sempre stata all’avanguardia nella finanza etica, ha un ruolo guida nel chiedere migliori veicoli di investimento e pratiche più sostenibili da parte delle imprese. Molti investitori quantitativi stanno esplorando i Big Data e l’apprendimento automatico in cerca di nuovi modi per battere il mercato: allo stesso modo, gli investitori devono estrarre dati nuovi e tradizionali sui fattori Esg per gestire il rischio e migliorare i rendimenti.


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In questa pagina due grafici che illustrano i principi Esg (a fianco) e gli obiettivi dello sviluppo sostenibili dell’Onu, da cui derivano. Nella pagina a sinistra, il Rettore della Liuc Federico Visconti.

I tre pilastri degli investimenti Esg

Environmental cambiamenti climatici, risorse naturali, consumo energetico, rifiuti industriali, ciclo di vita dei prodotti, biodiversità

I dati Esg continuano ad aumentare e a migliorare, ma molte sfide rimangono ancora aperte. Data provider diversi assegnano un diverso peso al concetto di materialità finanziaria e possono giungere a conclusioni differenti sugli attributi Esg di una stessa società. Come per tutti gli elementi più maturi di un investimento, è importante che gli investitori abbiano un’adeguata educazione finanziaria e comprendano le fonti dei dati: capire come e perché un punteggio Esg può incidere sui rendimenti è un aspetto essenziale. Un migliore coordinamento globale del quadro di riferimento, per la definizione di standard a livello di mercato e di sistema, sarebbe vantaggioso per tutti gli investitori. L’industria degli investimenti deve dare risultati su questi migliori standard, perché gli asset owner spesso anticipano gli asset manager nell’esprimere la domanda di investimenti sostenibili. Gli investitori istituzionali (fondi pensione, fondazioni, fondi di dotazione e fondi sovrani), nel frattempo, hanno bisogno di asset manager con cui collaborare. Studiando nuovi modi per ottenere risultati sostenibili e buone performance finanziarie, asset owner e asset manager, insieme possono rappresentare un catalizzatore positivo del cambiamento. La domanda di investimenti sostenibili è destinata a crescere velocemente nei prossimi dieci anni. Le masse passate a queste strategie aumentano a un ritmo

diritti umani, occupazione, supply chain, salute e sicurezza, istruzione, etica aziendale

ESG (Investimenti responsabili)

Social

Governance controlli interni, diritti degli azionisti, retribuzione, normative, struttura patrimoniale, struttura dell’organo di governo

LA DOMANDA DI INVESTIMENTI SOSTENIBILI CRESCERÀ VELOCEMENTE NEI PROSSIMI 10 ANNI. LE MASSE PASSATE A QUESTE STRATEGIE AUMENTANO A UN RITMO ANNUO SUPERIORE AL 20% annuo superiore al 20%. Nei prossimi quindici anni i millennial erediteranno nel complesso 24mila miliardi di dollari, il maggiore trasferimento di ricchezza della storia. Rispetto alle altre generazioni, i millennial hanno oltre il doppio delle probabilità di investire in società o fondi orientati a risultati sociali o ambientali. Molti gestori si stanno già attrezzando e impegnando su questo fronte per essere all’altezza delle nuove sfide e per svolgere con competenza, trasparenza e responsabilità il proprio ruolo nella costruzione di un sistema economico finanziario più sostenibile perché, come ha detto Ban Ki-Moon (che fu segretario generale delle Nazioni Unite dal 2007 al 2016, n.d.r.), “there is no plan(et) B”.

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CONFLITTI ISTITUZIONALI & PASTICCI DI MERCATO

La storia surreale delle Opa che ne ha viste di tutti i colori di Giuseppe D’Orta

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a storia della borsa italiana è piena di racconti ed episodi a tratti surreali e a cui si stenta a credere. Non si era ancora vista però una società chiedere agli aderenti a un’offerta pubblica di acquisto di restituire una parte del prezzo pagato. È ciò che sta accadendo agli ex azionisti Camfin che nel 2013 apportarono le proprie azioni all’opa lanciata dalla società Lauro 61, partecipata tra gli altri dalla Marco Tronchetti Provera & C., proponendo un prezzo di acquisto pari a 0,80 per azione. La Consob aveva però disposto la rettifica del prezzo, da 0,80 a 0,83 euro per azione, causando all’offerente un maggior esborso di circa 8,5 milioni di euro. Secondo la Commissione c’erano stati acquisti sul mercato da parte di soggetti riconducibili a Lauro 61. A seguito di ricorsi amministrativi, la decisione della Consob il 9 novembre 2018 è stata annullata in via definitiva 62

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DAL CASO CAMFIN, ANCORA IN CORSO, CHE DIMOSTRA L’INADEGUATEZZA DELLA GIUSTIZIA AI TEMPI DEL MERCATO, ALLA SPINOSA VICENDA PIZZAROTTI-CARBOLI FINO AL CASO PROCOMAC dal Consiglio di Stato (Sentenza 6330) che, accogliendo le istanze, ha ritenuto non sussistenti le condotte contestate dall’Autorità riconoscendo che, nel corso dell’offerta, Lauro61 aveva operato sempre in piena legittimità. La richiesta di danni alla Consob è stata invece rigettata in quanto mal formulata e senza la doverosa quantificazione del danno, che in linea di principio è ancora possibile richiedere mediante l’avvio di una causa civile. Il Consiglio di amministrazione di Camfin ha invitato gli azionisti che avevano beneficiato della modifica in aumento del prezzo dell’opa del 2013 ad estinguere la loro obbligazione devolvendo direttamente le somme ricevute in eccesso a un’associazione non-profit per la ricerca. Non è detto che la società proceda, specie per importi non elevati. L’invito sta pervenendo a mezzo lettera raccomandata, nella quale la società si riserva di agire per il recupero


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dell’indebito arricchimento. Gli azionisti interessati sono davanti a un bivio: pagare oppure attendere l’eventuale richiesta successiva. In ambo i casi sono pur’essi titolati a richiedere a loro volta alla Consob la somma contestata. Operazione all’atto pratico tutt’altro che semplice. Anche la sola estensione alla Commissione del giudizio intentato da Camfin non è pacifica. Qualche dubbio sussiste pure in merito del capital gain pagato all’epoca, ma - a parere di chi scrive - si ha diritto a una minusvalenza in base all’articolo 6, comma 2 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi, laddove prevede che i proventi conseguiti in sostituzione dei redditi e le indennità ottenute, anche in forma assicurativa, a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidità o morte, costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti. Soprattutto la vicenda Camfin evidenza tutta l’inadeguatezza della Giustizia in Italia riguardo i tempi di intervento, peggio ancora quando rapportati alla velocità dei mercati finanziari e dell’economia in generale. Nei tempi moderni ancora più di prima. Camfin non è il primo caso di stranezze in merito di Opa. La storia più assurda, e che forse avrebbe meritato più attenzione da parte della Vigilanza e della Magistratura, è l’Opa di Pizzarotti su Garboli. La famiglia Pizzarotti, che acquistò la società, ne avrebbe (usiamo il condizionale, tanto la cosa pare assurda) controllato i conti solo dopo averla comprata! Inoltre si sarebbero accorti di tutto immediata-

Nelle foto in basso una delle lettere con cui Camfin chiede agli azionisti la restituzione del conguaglio erroneamente imposto dalla Consob al prezzo dell’Opa

mente dopo la fine dell’opa che avevano dovuto lanciare dal 16 agosto al 5 settembre 2005 sulle azioni non possedute e andata deserta perché il prezzo di mercato dei titoli era superiore a quello di offerta (2,309). Non paghi di ciò, i Pizzarotti evitarono di porre in essere la soluzione più facile: lanciare una nuova offerta di acquisto sulle azioni in circolazione ed eliminare la questione con un esborso limitato, dato lo scarso controvalore del flottante. Al contrario decisero di annullare le vecchie azioni e di proporre un aumento di capitale, operazione ovviamente naufragata perché il mercato non si fidava più di loro. Il titolo fu sospeso il 14 settembre 2005 dalle negoziazioni a seguito del rilascio della semestrale al 30 giugno 2005 da cui risultava una perdita complessiva di 60,562 milioni. Di conseguenza, l’assemblea straordinaria del 27 dicembre deliberò di azzerare integralmente il capitale sociale annullando le vecchie azioni e di ricostituirlo mediante un aumento di capitale. Gli eventi, assieme alla loro tempisti-

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ca, portarono all’intervento della Consob, che il 5 dicembre 2005 impugnò il bilancio, e della Procura di Parma che aprì un fascicolo ipotizzando il reato di falso in prospetto di Opa. L’inchiesta fu archiviata perché i consulenti incaricati verificarono che “l’acquirente non ebbe il tempo per vedere i conti, pressato come era dalle offerte dei concorrenti, e anche questi ultimi non si erano accorti di niente”. Da notare come il venditore avesse escluso la possibilità di rilasciare fideiussioni, imponendo all’acquirente di non promuovere procedure concorsuali per almeno cinque anni: nonostante ciò, e senza aver potuto controllare i conti “per la fretta”, Pizzarotti comprò lo stesso. I consulenti scrisserò anche cose di ben altro tenore: Pizzarotti e i suoi rappresentanti erano perfettamente a conoscenza delle perdite di Garboli, rinvenute molto prima della pubblicazione del prospetto di Opa e le avrebbero comunicate al mercato solo al termine dell’offerta. Pizzarotti aveva effettuato una vera e propria due diligence sin da un anno prima, tramite la quale erano state effettuate diverse verifiche e presi contatti informativi con il precedente proprietario e con i suoi controllori e revisori dei conti. Tutto confermato dalla Pwc, la quale comunicò via mail il 13 e 14 luglio 2004 che “la società vale ben poco e potrebbe essere foriera di numerose sorprese causate da un rilevante contenzioso con i committenti” e ancora “il bilancio appare guidato per avere un piccolo utile”. Pizzarotti pertanto procedette all’acquisto di Garboli nella piena consapevolezza che fosse una società in piena crisi ma con lo scopo di incorporarla e godere di notevoli benefici fiscali (crediti d’imposta) tramite i quali ripagarsi l’esborso effettuato. Tutto ciò in pieno disprezzo degli azionisti di minoranza, i quali si sono visti annullare le azioni possedute. L’inchiesta però non ebbe seguito. Esiste anche un caso di Opa riparatrice: quello di Procomac, attiva nell’impiantistica per il packaging di bevande e alimenti, arrivata in Borsa il 6 luglio 2004 e a metà settembre opata dallo stesso socio di maggioranza, Ermanno Morini. Un caso da Guiness dei Primati: due mesi e poco più di negoziazioni e poi la decisione di delistare presa dal medesimo soggetto che aveva portato il titolo sul mercato. Il motivo fu dovuto alla relazione semestrale pessima, con altrettante negative prospettive. Il prezzo di Opa fu lo stesso del collocamento: 3,50 euro per azione. Le motivazioni furono la “sfavorevole congiuntura economica e un imprevedibile andamento sfavorevole del business della società relativo al primo semestre 2004, per effetto del quale è prevedibile che i risultati dell’intero esercizio si discostino dalle prospettive a suo tempo illustrate nel prospetto di quotazione”. “Consapevole delle conseguenze pregiudizievoli sul corso del titolo” di questi risultati, Morini ha così deciso “di offrire al mercato l’opportunità di neutralizzare il presunto effetto pregiudizievole sugli investimenti effettuati in azioni Procomac. Il perdurare di una congiuntura economica negativa e in particolare le mutate condizioni del nostro settore hanno contribuito a determinare un forte calo della redditività del nostro gruppo. Tutto ciò unito al fatto che gli ordini previsti per luglio e agosto non sono stati formalizzati e che la maggior parte dei nostri clienti ha rinviato gli investimenti al 2005, ci ha portati a non essere in gra64

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L’OFFERTA SULLA PROCOMAC VENNE DECISA PROBABILMENTE PER EVITARE A TUTTI I PROTAGONISTI DELLA VICENDA LE POSSIBILI GRANE GIUDIZIARIE CHE POTEVA IMPLICARE Marco Tronchetti Provera, attore di un’Opa sulla Camfin che è stata oggetto di un incredibile palleggio normativo e giurisdizionale tra autorità dello Stato

do di rispettare gli obiettivi per fine 2004 promessi al mercato. Crediamo che questa operazione sia la soluzione migliore per consentire agli investitori e ai piccoli azionisti di uscire alla pari con un prezzo di Opa uguale a quello di collocamento”. Si può essere d’accordo su tutta la linea, ma possibile che tutti i soggetti interni ed esterni all’azienda (sindaci, revisori, consulenti legali e finanziari) non avessero colto nemmeno un segnale di ciò che stava avvenendo in azienda proprio mentre erano a lavorare sulla quotazione? L’Opa su Procomac fu infatti definita riparatrice perché decisa anche, probabilmente soprattutto, per risparmiare a tutti grane in Tribunale e soprattutto presso le Procure della Repubblica. Tre casi apparentemente minori, perché riguardanti titoli a bassa capitalizzazione, di opa più o meno vere dimostrano lo scarso attivismo di chi ai tempi aveva il dovere di intervenire. Alla fine del 2004, l’immobiliarista Francesco Bellavista Caltagirone che già possedeva il 67,06% concluse con successo un’offerta volontaria su Acqua Marcia, titolo storico di Piazza Affari, nonostante il prezzo offerto di 0,33 euro per azione non fosse per


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niente generoso. Prova ne fu il fatto che la Consob stabilì in ben 0,549 il prezzo di acquisto per la successiva offerta per il residuo 7,35% della società. Per la prima volta si assistette a un ricorso al Tar che obbligò la Consob a rivedere i criteri per la fissazione del prezzo, che fu ridotto a 0,532. Una vittoria fino a un certo punto per Caltagirone, dato che alla riammissione al listino le azioni Acqua Marcia salirono addirittura al di sopra del primo prezzo fissato, a conferma delle stranezze notate in precedenza. Poco dopo l’avvio infatt, risultava già apportato all’offerta un quantitativo di azioni che consentiva di superare il 90% del capitale e di conseguenza avere diritto all’Opa residuale, offrendo agli azionisti il quadro di un titolo che sarebbe di sicuro stato revocato dalle quotazioni. Le azioni vennero apportate all’Opa a 0,33 quando il titolo sul mercato quotava ben oltre tra 0,34 e 0,36 ed i volumi per assorbire i titoli c’erano. La quasi totalità dei titoli apportati all’offerta “sarebbero stati portati all’Opa da una stessa mano”, come riportato da “Finanza & Mercati”. Il soggetto, o i soggetti, che apportarono all’offerta quelle azioni rinunciarono a un consistente maggior guadagno stimabile, per difetto, in un milione di euro. Tipi sbadati, o mani amiche? Un episodio che pure avrebbe meritato l’interessamento attivo della Vigilanza risale al 6 novembre 2001, quando la Banque Populaire du Luxembourg si dichiarò pronta - per conto di terzi rimasti ignoti prima, du-

L’OFFERTA-FANTASMA PROSPETTATA PER CLIENTI RIMASTI IGNOTI DALLA BANQUE POPOLAIRE DU LUXEMBOURG SU DMAIL SI RISOLSE IN NULLA E NON FINÌ NEMMENO SOTTO INCHIESTA

Francesco Bellavista Caltagirone lanciò alla fine del 2004 un’Opa volontaria sull’Acqua Marcia, già sua al 67,06%

rante e dopo - a rilevare per 18 euro per azione la società di vendite on line Dmail allora quotata al Nuovo Mercato. Un prezzo abnorme rispetto ai 9,98 euro della chiusura precedente, già in forte rialzo sull’onda delle indiscrezioni. L’offerta sarebbe rimasta valida fino al 20 dicembre, ma il termine trascorse senza che accadesse alcunché. Il titolo Dmail ovviamente precipitò, tornando ai livelli precedenti e anche meno. L’episodio è anche ricordato per essere stato il primo caso del genere fortemente dibattutto nei forum web finanziari italiani. La Consob avrebbe potuto, e anzi dovuto, pretendere un immediato e formale comunicato e ancora di più indagare una volta che la presunta offerta si era risolta in una bolla di sapone. Ciò che accadde ormai diciotto anni fa si chiamava, e ancora oggi si chiama, aggiotaggio. Un reato per il quale occorreva trasmettere gli atti alla Magistratura. Nel novembre 2002 invece la Final di Luisa Angelini cedette la proprietà di Stayer, società ferrarese produttrice di utensili elettrici e macchine per la lavorazione del legno, alla Efi della famiglia Bergamaschi, vendendo per un euro tutto il proprio pacchetto azionario oltre 6,364 milioni di crediti verso la stessa Stayer (un altro rinunciato da Final) da convertire in capitale sociale. Il prezzo di vendita fa comprendere come la società versasse in grave crisi, eppure la Consob non deliberò l’esenzione dall’obbligo di Opa prevista in casi simili. Probabile che Stayer non si sarebbe salvata ugualmente ma il maggiore esborso era insostenibile per i nuovi proprietari che non effettuarono l’Opa, finendo per essere sanzionati con la sterilizzazione del diritto di voto e l’obbligo di scendere sotto il 30% del capitale. Le azioni eccedenti finirono a probabili prestanome, tra i quali quel Giorgio Ruolino noto alle cronache per essere stato coinvolto nel delitto Siani, giornalista de Il Mattino e per la vicenda Telekom Serbia. La Efi, dopo aver deliberato un aumento di capitale per 10 milioni di euro e facendosi carico anche dell’eventuale inoptato, fallì il 6 agosto 2003. Stayer il 4 maggio successivo con bilanci in pesantissimo rosso da sette anni, perdite che ammontano a circa sei milioni di euro a fronte di un patrimonio netto dell’azienda di 1,2 milioni di euro, produzione ferma, crediti dei fornitori per 1,2 milioni di euro e affidamenti azzerati con le banche. Dulcis in fundo Deloitte & Touche, società di revisione, aveva dichiarato di non essere in grado di dire se il bilancio consolidato 2002 fosse stato redatto con chiarezza e rappresentasse in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria e il risultato economico del gruppo. La domanda ancora oggi irrisolta è: con simili dati come ha fatto la Consob a negare l’esenzione dall’obbligo di Opa? dicembre 2019

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PRODOTTI

a cura di Francesco Bellizzi

FONDI COMUNI

CERTIFICATI

INVESTIRE SU TWITTER? È POSSIBILE CON PREMIUM CASH COLLECT CERTIFICATE DI BANCA IMI

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anca Imi (gruppo Intesasanpaolo) lancia una nuova gamma di certificati. Si tratta di 19 premium cash collect certificate, che sono stati quotati sul mercato SeDeX di Borsa Italiana a partire dal 15 novembre scorso. I nuovi prodotti sono a capitale condizionatamente protetto e hanno la peculiarità di corrispondere all’investitore tre premi fissi incondizionati annualidurante la vita del certificato e un quarto premio condizionato alla scadenza. In particolare, tutti i certificati premium cash collect quotati il 15 novembre hanno le seguenti caratteristiche: prezzo di emissione pari a 100 euro, durata di 4 anni e barriera osservata unicamente alla scadenza; prevedono il pagamento di 3 premi fissi incondizionati, indipendentemente dall’ andamento dell’azione sottostante e un premio condizionato alla scadenza. Per ottenere il pagamento del premio condizionato e che venga rimborsato il prezzo di emissione a scadenza, è sufficiente che il sottostante, nella data di valutazione finale, abbia un valore maggiore o uguale al livello barriera. Per questo motivo anche in caso di lievi ribassi dell’azione sottostante, il rendimento del certificate risulta essere positivo. A titolo di esempio, vediamo in dettaglio il funzionamento di un certificato: il premium cash collect su Twitter. L’investitore ha la possibilità di acquistare questo strumento direttamente sul mercato SeDeX di Borsa Italiana attraverso il proprio intermediario finanziario di fiducia, phone banking o internet banking. Il certificato pagherà 3 premi fissi incondizionati di 7,10 euro per ogni strumento nelle seguenti date: 12 novembre 2020; 12 novembre 2021; 14 novembre 2022. Affinché vengano riconosciuti i premi alle date di pagamento è necessario che i certificati siano acquistati entro 3 giorni lavorativi prima delle date effettive di pagamento. Nelle date sopra elencata il pagamento dei premi avviene indipendentemente della performance del sottostante. Qualora il valore dell’azione Twitter dovesse essere al di sotto del livello barriera (pari a 20,3550), il certificato pagherà in ogni caso l’importo di Euro 7,10. Nel giorno di scadenza del certificato (13 novembre 2023) l’investitore percepirà il prezzo di emissione del certificato di 100 euro maggiorato dell’ultimo premio condizionato di 7,10 euro qualora il valore dell’azione Twitter (alla data di valutazione finale del 9 novembre 2023) dovesse essere pari o superiore del livello barriera (pari a 20,3550). In caso contrario l’investitore subirà una perdita commisurata a quella che avrebbe ottenuto investendo direttamente nell’azione sottostante. L’investimento in certificati con azione sottostante denominata in una valuta diversa dall’euro, non comporta per l’investitore il rischio legato all’andamento del tasso di cambio: tutti i certificati sono denominati in euro e sia i premi intermedi che il rimborso a scadenza avvengono in euro. 66

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IL RISPARMIO DELLE RISORSE IDRICHE AL CENTRO DEL FONDO DI PRAMERICA SGR L’impiego di acqua dolce per l’agricoltura, l’industria e gli usi civili è aumentato di quasi 6 volte dal 1900. Nel solo 2019 sono stati utilizzati nel mondo oltre 3 miliardi di milioni di litri di acqua e nel 2050 la domanda globale di acqua arriverà a superare di circa il 20-30% i livelli di utilizzo attuali. Pramerica Sgr parla a questo segmento lanciando una nuova soluzione di investimento, Pramerica Sicav Clean Water, comparto azionario globale integrato con i criteri Esg, che investe in società che operano nel settore idrico offrendo prodotti, tecnologie, soluzioni e servizi volti a migliorare lo sfruttamento, l’efficienza e la qualità dell’acqua. Il portafoglio si caratterizza per almeno il 70% del patrimonio netto in titoli azionari di società attive nel settore idrico e parallelamente potrà avere fino al 30% in titoli azionari di settori non ricompresi nel benchmark, senza restrizioni di area geografica o di valuta.

SOLUZIONI ESG

L’INVESTIMENTO ASSICURATIVO DIVENTA SOSTENIBILE CON GENERALI ITALIA

G

enerali Italia lancia GeneraSviluppo Sostenibile, la prima soluzione assicurativa di investimento sugli Obiettivi Onu 2030 per lo sviluppo sostenibile. Il cliente sarà chiamato a indicare i propri valori per la scelta di investimento, gli agenti Generali illustreranno gli obiettivi di sviluppo sostenibile spiegando l’impatto reale del prodotto grazie a MioS, il tool che accompagnerà il cliente, insieme all’agente, nel percorso di scelta, investimento e misurazione. La scelta è tra cinque portafogli che combinano gli obiettivi Onu: pari opportunità, crescita sostenibile, salute e benessere, consumo responsabile e tutela del clima. «Sostenibilità significa fare bene impresa con un impatto positivo sull’economia reale, cioè sulla vita delle persone», dice Marco Sesana, country manager & ceo di Generali Italia e Global Business Lines. «È il modo in cui traduciamo concretamente in azioni la nostra strategia, intrecciando il nostro business e l’impegno nelle comunità”.


INVESTIRE SPECIALIST

ROME INVESTMENT FORUM

L’agenda europea al centro del dibattito dell’industria finanziaria di Mario Romano

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avorare affinché stabilità finanziaria e crescita economica vadano di pari passo; rendere il quadro regolamentare europeo e internazionale più semplice, trasparente, coordinato e proporzionale; completare l’Unione bancaria e armonizzare le norme per la risoluzione bancaria; rilanciare l’Unione dei mercati dei capitali in un’Europa post-Brexit; rivolgere attenzione concreta allo sviluppo sostenibile e al suo finanziamento, in linea con i progetti annunciati dalla Commissione; dare rilievo nell’agenda europea al tema della riduzione dei rischi catastrofali; agevolare le innovazioni tecnologiche (Fintech & Insurtech) nel rispetto di regole uniformi; ricalibrare i regimi di tassazione per le piattaforme online (webtax). E ancora: proseguire nella lotta al crimine finanziario; rafforzare programmi pubblici e privati di educazione finanziaria; rilanciare il ruolo degli investitori istituzionali a sostegno dell’economia reale; rafforzare programmi e sistemi di garanzia a supporto delle piccole e medie imprese; facilitare infine – ed è impegno specifico di FeBAF - rapporti di vicinato e relazioni economico-finanziarie con le aree del Mediterraneo e dell’est e sud-est Europa, in linea con gli indirizzi del Piano InvestEu. Sono le tredici priorità che l’industria finanziaria italiana ha presentato a Bruxelles durante l’incontro annuale tra gli europarlamentari italiani e la delegazione di FeBAF, Federazione Banche Assicurazioni e Finanza guidata dal presidente Luigi Abete e dai presidenti di Abi e Ania, Antonio Patuelli e Maria Bianca Farina. All’alba di una nuova legislatura europea, le tredici misure di policy – tredici come le associazioni che aderiscono a FeBAF – sono trasversali alle componenti dell’industria del risparmio e espressione unitaria della comunità finanziaria del nostro Paese a favore dello sviluppo sostenibile dell’economia e della società europea. «In un momento storico con poche certezze e molte incognite, sentiamo la necessità di sostenere il percorso europeo», ha affermato Luigi Abete, presidente di FeBAF. «E lo facciamo ribadendo che vogliamo più Europa, un’Europa che sia cantiere di investimenti e sviluppo e che agevoli a parità di condizioni il contributo del mondo finanziario a favore dell’economia reale». L’appuntamento di Bruxelles si è tenuto pochi giorni prima della sesta edizione del Rome Investment Forum 2019, Financing Long-term Europe organizzato da FeBAF il 9 e 10 dicembre scorsi. A dibattere di strategie di sviluppo in quest’avvio di legislatura Ue, di euro, di Unione bancaria e dei mercati dei capitali, di InvestEu come piano strategico di investimenti, ma anche di infrastrutture, innovazione, sostenibilità e finanziamento alle imprese sono stati oltre 80 speaker internazionali tra policy maker, regolatori, rappresentanti dell’industria finanziaria, dei servizi e manifatturiera, studiosi. Ad aprire

OTTANTA SPEAKER INTERNAZIONALI PRESENTI TRA POLICY MAKER, REGOLATORI E RAPPRESENTANTI DELLA COMUNITÀ FINANZIARIA

Luigi Abete, presidente di FeBAF

i lavori, come tradizione, il presidente di FeBAF, Luigi Abete. Tra i partner dell’evento istituzioni come la Commissione Europea, il Parlamento Europeo, l’Ordine dei Commercialisti di Roma e AFME (Association for Financial Markets in Europe). Il RIF è stata anche l’occasione per rinnovare l’appuntamento con la formazione finanziaria per i giovani grazie alla Terza edizione del bando RIFET (Rome Investment Forum Empowers Talents, patrocinato da Adeimf - Associazione dei docenti di economia degli intermediari e dei mercati finanziari e finanza d’impresa). L’iniziativa di FeBAF premia i migliori laureati e laureandi sulle materie collegate al Rome Investment Forum. A sostegno dell’iniziativa, la collaborazione di ABI Formazione (che ha messo in palio all’autore del miglior lavoro di tesi una partecipazione gratuita al Master Banking and Financial Diploma) e del Forum Ania – Consumatori (che ha offerto le sue ultime pubblicazioni). I riconoscimenti del RIFET sono stati assegnati durante la seconda giornata del Rome Investment Forum 2019. Europa sotto i riflettori della comunità finanziaria italiana, dunque, nel momento di avvio della nuova legislatura europea che vede alcuni stati – in particolare Francia e Germania – avviare riflessioni e progetti sul futuro stesso dell’Unione. dicembre 2019

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SEDIE & POLTRONE di Marco Muffato Casacche che si scambiano, volti noti che passano da un ruolo all’altro: il valzer delle poltrone è intenso nella finanza, dove vige ancora il merito e dove chi rende bene viene promosso o ricoperto di offerte allettanti. Agli HR il compito di attrarre i talenti, a noi quello di raccontare il risiko, oltre a notizie e indiscrezioni su un mondo ricco di costanti novità.

MARTINI LASCIA UBS PER GUIDARE IL WEALTH DI BANCA MEDIOLANUM

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lberto Martini (nella foto) è il nuovo direttore wealth management di Banca Mediolanum. Nell’ambito del private banking internazionale da oltre trent’anni, Martini ha maturato in Ubs gli ultimi vent’anni di esperienza professionale. L’ultimo ruolo ricoperto è stato head of growth, con responsabilità del business in Italia. «L’arrivo di Alberto Martini ci permetterà di imprimere un’accelerazione a un settore, quello della cura dei grandi patrimoni, su cui

stiamo investendo molto impegno e risorse», afferma Massimo Doris, a.d. di Banca Mediolanum. L’arrivo di Martini si aggiunge alla recente acquisizione di Diego Selva, direttore investment banking dal 2017, da Merrill Lynch. Il tris d’assi dedicato alla gestione dei grandi patrimoni si completa con Vittorio Gaudio, che consolida la sua leadership nell’asset management di Banca Mediolanum. Martini, Selva e Gaudio sono a diretto riporto del d.g. Gianluca Bosisio.

VILLA LURASCHI VA IN CAPITAL GROUP

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apital Group ha annunciato la nomina di Agostino Villa Luraschi (nella foto) in qualità di business development associate per l’Italia. Agostino arriva da Morgan Stanley Investment Management dove ha lavorato nella divisione global sales e marketing. In precedenza ha maturato un’esperienza nel private banking con Crédit Agricole Indosuez Wealth Management. Agostino supporterà il team italiano di Capital Group nell’espansione del business in Italia e nell’implementazione dei servizi della società agli investitori. Con la nomina di Matteo Astolfi a managing director e di Emanuele De Angelis a client service associate, il team italiano di CapitalGroup è cresciuto a 10 professionisti.

PACCIANI GROUP COO DI ALGEBRIS

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lgebris Investments ha ingaggiato Cosimo Pacciani (nella foto) in qualità di group chief operating officer. Basato a Londra, riporterà al ceo Davide Serra e ad Alex Lasagna nel suo nuovo ruolo di deputy ceo. Pacciani è un manager che vanta una notevole esperienza nel settore finanziario, con un focus particolare sulle aree operations, di compliance e di rischio. In precedenza è stato chief risk officer presso l’Esm, Meccanismo Europeo di Stabilità, e prima ancora ha lavorato per 11 anni per la Royal Bank of Scotland ricoprendo diversi ruoli nei dipartimenti di rischio e compliance.

BAGNASCO IN IWBANK GUIDA LE RELAZIONI ISTITUZIONALI

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arlo Bagnasco ha lasciato Deutsche Bank Financial Advisors per approdare in IWBank Private Investments, nel team del direttore generale Dario Di Muro, con il ruolo di network and institutional relationship manager. Esponente di spicco della professione di consulente finanziario fin dal 1968, Bagnasco è consi-

derato uno dei padri fondatori della professione in Italia e dal 1994 al 2002 è stato presidente dell’Anasf. Nel 1977 è tra i soci fondatori di Anasf e nel 1985 diventa anche membro del comitato esecutivo dell’associazione di categoria. Intenso il suo percorso professionale (Dival Sim/ RasBank e poi dal 2004 Finanza & Futuro).

LO GATTO E TROLESE SCELTI DA BNY MELLON

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esce il team di Bny Mellon Investment Management guidata in Italia dal country head Stefania Paolo, con gli arrivi del senior sales manager Ruben Lo Gatto e dell’head of marketing Mariarosa Trolese. Lo Gatto era senior sales manager presso Amundi Asset Management dopo aver ricoperto ruoli di crescente

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responsabilità in Pioneer Investment Management. Mentre la Trolese ha trascorso sette anni in State Street come head of global marketing per l’Europa Centrale, nella divisione bancaria dell’azienda.


INVESTIRE SPECIALIST

PROFESSIONE CONSULENTE Risponde Francesco Priore all’indirizzo priore.studio@virgilio.it Startupper e decano della consulenza finanziaria, Priore ha fondato l’Anasf e contribuito alla fondazione dell’Albo. Docente Universitario, autore e consulente di comunicazione e marketing finanziario. È stato direttore marketing della rete di Banca Fineco e membro del CdA di Consultinvest Sim.

CONSIGLI IN BANCA, ASCOLTO GUARDINGO

IL TEMA DEI COSTI FARÀ DISCUTERE

Per prudenza ho depositato i miei risparmi Continuano le polemiche, a volte in due importanti banche. Ho letto che

giustificate, sui costi dei servizi finanziari

in una avrei dovuto pagare per lasciarli

e soprattutto dei cf. Le polemiche, anzi

lì, allora ho pensato di metterli in una

l’accanimento, è più sui media e da parte

cassetta di sicurezza ma si è parlato

dei competitor che dei clienti. Questi

di tassare i soldi; però su quei soldi ho già

non mi hanno mai contestato i costi

pagato le tasse. Leggo che l’altra banca

e dovendo a volte scegliere su proposte

vorrebbe accompagnarmi per trasferire

alternative hanno scelto le soluzioni più

i miei depositi in un risparmio gestito.

affidabili, non le più a buon mercato.

Perché? Cosa mi consiglia di fare?

Ma andremo avanti per sempre?

C.P., via email

D

ottor Corrado, ciò che lei ha letto sarebbe stato meglio che fosse stato affermato sottovoce o addirittura evitato di parlarne: alcune affermazioni sono inattuabili, altre pii desideri, ma i problemi seri esistono. Le banche, non solo quelle italiane, sono in profonda crisi, devono ristrutturarsi per sopravvivere: chiusura di sportelli, licenziamento dei dipendenti e cessione dei crediti difficili da riscuotere (npl). Il credito, in calo, viene erogato a tassi non remunerativi, i tassi negativi sulle obbligazioni non danno margini e bisogna crearne di nuovi, di qui la vendita dei servizi, finanziari e assicurativi. Si scontano anche gli errori del passato, l’apertura di 20.000 agenzie “sotto casa del cliente” invece che la banca a casa del cliente con i servizi telematici. Gli sportelli vengono chiusi a migliaia l’anno, per i dipendenti i licenziamenti in massa sarebbero un problema sociale ingestibile, solo un certo numero può essere riconvertito. Non conosco la sua situazione, intuisco che si sente più sicuro con una buona scorta di liquidità, però senza rendimento è un problema. Si lasci accompagnare verso soluzioni adatte a lei, nel campo dei fondi ci sono fondi obbligazionari internazionali che offrono buoni rendimenti, con un rischio contenuto; all’interno ci sono nuove iniziative d’investimento nell’economia reale, investimenti con un buon rendimento, però con un vincolo pluriennale. L’offerta si sta svegliando, sia un po’ curioso e anche guardingo.

C.F. via email

G

entile Claudia, per sempre no, parecchio sì. Certamente i costi in generale sono più alti rispetto ad altri Paesi, ma è il mercato che è ancora ristretto: se si allargasse i costi proporzionalmente diminuirebbero. La comunicazione sui costi dovrebbe essere più easy, le authority possono imporlo. Veniamo a noi cf. Un portafoglio medio di 20 mln di euro , rendimento massimo 0.8%, cioè 160mila euro lordi l’anno di fatturato, da cui dedurre tasse, aggiornamento, uffici, segretaria, auto, abbigliamento decoroso, rappresentanza, eventi clienti. Ricavi netti con cui vivere e risparmiare 50/60mila euro l’anno, fissi e garantiti sarebbero uno stipendio ottimo, ma non sono né fissi né garantiti. Un portafoglio di 20mln di euro, in media 100 clienti, lo si costruisce professionalmente in 8/10 anni, aggiornandolo per il turnover. “Strapagato” significa remunerazione eccessiva per l’impegno richiesto, se così fosse perché sono solo 25/30mila cf a svolgerlo? La professione richiede competenze, conoscenze e disponibilità per 24 ore, la professione sostiene i mercati nelle fasi di ribasso acquisendo nuovi clienti e nuovi asset, che i gestori utilizzano per ottimizzare i portafogli di tutti i clienti, le piattaforme in quelle fasi languono. Per esempio un imprenditore che acquista una macchina utensile è assistito nell’acquisto da un ingegnere del fornitore che lo consiglia nella scelta, ma s’informa della macchina o di quanto guadagna l’ingegnere? Ma non finisce per ora. dicembre 2019

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CREDITO POPOLARE

Più produttività e occupazione? Puntare sul capitale umano ci salverà di Angelo Curiosi

UNA SCELTA STRATEGICA PER RISOLLEVARE LE SORTI DELL’ECONOMIA SIA PER IL PRESENTE CHE PER IL FUTURO. SERVE UN FORTE INVESTIMENTO PUBBLICO E PRIVATO SULLE PERSONE. LE POLITICHE DI SOSTEGNO A DOMANDA E CICLO ECONOMICO NON BASTANO PIÙ

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nvestire sul capitale umano è una necessità per ogni economia che voglia crescere. Ne parliamo con Giuseppe De Lucia Lumeno, segretario generale dell’Associazione tra le Banche Popolari .

È possibile conservare ciò che di buono viene dai cambiamenti tecnologici, dalla globalizzazione e dalla finanza, mitigandone gli effetti negativi? È possibile e aggiungerei doveroso. Bisogna partire dalla piena consapevolezza che con queste trasformazioni bisogna confrontarsi per non esserne travolti. Di fronte ai rischi per l’occupazione, l’equità e l’ambiente la soluzione non può certo essere quella di fermare o ostacolare il progresso. Come non si può rispondere alla globalizzazione con misure protezionistiche sperando che alcuni possano prosperare a discapito di altri. Il Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco ha sollecitato a investire sul “capitale umano”... Concordo con il Governatore. Investi70

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re nel capitale umano rappresenta una scelta strategica per le sorti dell’economia sia per il presente che per il futuro. Ne siamo convinti e non da oggi. La nostra storia è lì a dimostrarlo. Visco è stato chiaro: serve un forte investimento, pubblico e privato, nel capitale umano che è essenziale per accrescere la produttività e l’occupazione. Le pur necessarie politiche pubbliche, volte a sostenere la domanda e a stabilizzare il ciclo economico, non bastano più.

Questo ritorno a una “dimensione umana” è’ anche il lascito delle scelte economiche dell’ultimo ciclo? Quando si è pensato che si potesse fare a meno della dimensione umana, puntando tutto sulla disintermediazione e sulle dimensioni globali dei grandi conglomerati industriali e finanziari, si è prodotta la più grande crisi che l’economia occidentale abbia mai conosciuto e che è tuttora in corso. Riconoscere questo è essenziale per ripartire invertendo la rotta, riconoscendo che è necessario rianimare e far crescere il patrimonio del nostro capitale umano.

Un obiettivo possibile? Oltre al buon senso, ci sono molti studi che dimostrano come le aziende che hanno investito sul capitale umano considerandolo una ricchezza – quelle a conduzione familiare o quelle manifatturiere legate ai territori nei quali sono nate e si sono sviluppate o quelle che costituiscono i distretti industriali - sono state decisive nel mitigare e circoscrivere gli effetti più negativi della crisi in termini di occupazione e tenuta sociale registrando, in alcuni casi, addirittura la crescita dei propri profitti. Concedere fiducia per contribuire a mantenere vitale il tessuto produttivo e imprenditoriale fatto dalla piccola e media Impresa è un esempio di questo cambio di rotta. Per chi da sempre è impegnato, in forme diverse, sul versante della difesa e del rilancio dell’economia reale è forse più facile capirlo.


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Scansiona il QR- code per guardare il video della Prolusione del Governatore Ignazio Visco, “Innovazione, Conoscenza, Finanza”

LA LECTIO MAGISTRALIS DI VISCO A CAGLIARI

P Non basta dire “capitale umano”. Cosa si può fare in concreto per valorizzarlo? L’invito, tra l’altro non nuovo, di Visco va valorizzato con scelte appropriate e conseguenziali. Investire sul capitale umano significa investire prima di tutto sulle persone, sulla cultura, sui percorsi formativi durante la vita scolastica e universitaria ma estesi all’intera vita lavorativa. Così il capitale umano diventa elemento fondamentale che può produrre il benessere collettivo. Una vera “controrivoluzione”? Se quella che è in corso è una rivoluzione bisogna affrontarla come tale invertendo totalmente le modalità, anticipandola e non seguendola. Bisogna che tutti si facciano carico di riprendere in mano le sorti dell’economia che deve perseguire il bene collettivo, promuovendo crescita in modo equilibrato e inclusivo. Si investa sul capitale umano, sull’istruzione e sulla formazione. Il rendimento dell’investimento in conoscenza va oltre la dimensione economica, ha un valore culturale e può contribuire ad accrescere il senso civico, il rispetto delle regole, l’attitudine a cooperare con gli altri. Un “vasto programma” si sarebbe detto un tempo. La citazione fatta da Visco del filosofo e teologo Søren Kierkegaard: “la vita va vissuta in avanti” anche se “può essere capita solo all’indietro”, ne diventi il pilastro portante.

ubblichiamo di seguito alcuni stralci testuali della lectio magistralis tenuta dal Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco all’Università di Cagliari dove si è soffermato sul problema del capitale umano e della sua valorizzazione e tutela. Nel QR pubblicato in questa stessa pagina, il video integrale della conferenza. «In Italia è aumentato il differenziale di salario tra i lavori più qualificati e quelli meno qualificati» (...). «L’ampliamento delle disuguaglianze di reddito non è un tema affrontato sufficientemente sia dai media che dalla politica. Adesso sta venendo alla luce anche con il tentativo di comprendere lo stato di insoddisfazione della popolazione» (…). «Paesi come Usa, Giappone e Germania, che presentano un alto tasso di sviluppo tecnologico ma anche valori di disoccupazione vicini ai minimi storici, per il momento fanno prevalere la visione meno pessimistica formulata da Keynes secondo cui la disoccupazione tecnologica è un fenomeno che rappresenta una fase temporanea di aggiustamento» (…). «Tuttavia, il tema deve esse affrontato domandandosi quali siano i costi economici, sociali e salariali che siamo pronti ad affrontare» (…). «Le pressioni competitive sulle imprese non evolute tecnologicamente, sono formidabili. Le bigtech si trovano nella posizione migliore per sfruttare i cambiamenti. Sfruttano l’enorme vantaggio dato dalla proprietà dei dati, possono

investire in tecnologia e possono sfruttare le differenze tra paesi sul costo del lavoro e quindi offrire prodotti a prezzi più bassi. Questi sviluppi devono essere valutati dalle autorità pubbliche perché (…) la costituzione di posizioni dominanti può impedire che la riduzione dei costi sia trasferita ai consumatori e (far sì) che resti nelle disponibilità di queste grandi società» (…). «In Italia il sistema produttivo non si è saputo adattare in tempo a questi grandi cambiamenti: ne hanno risentito la produttività e il potenziale di crescita del Paese. Primo fra tutti, il settore dell’informazione e delle comunicazioni che ha dato una risposta lenta a tali fenomeni. La politica ha risposto con la flessibilizzazione del lavoro e non con investimenti. Ne è derivata una riduzione dei costi, è vero, ma le crisi del 2007 e del 2012 hanno trovato le imprese incapaci di reagire. I motivi sono: una specializzazione nei settori tradizionali, quelli più colpiti dalla crisi; una struttura dell’industria con molte imprese piccole e poche risorse per ricerca e sviluppo; assetti societari proprietari con azionisti e manager troppo spesso membri della stessa famiglia, comportando basso accesso ai capitali e poche professionalità interne; eccessiva concentrazione del finanziamento alle imprese attraverso il debito in particolare bancario, anziché sull’investimento in capitale proprio».

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INTERVISTA CON GIANLUCA GARBI

«Banca Sistema, ottimo investimento per chi, come me, crede nell’Italia» di Sergio Luciano

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econdo Intermonte, il valore giusto del titolo sarebbe di 2,60; secondo Banca Akros, di 2,30; Banca Imi dice 2,50; Jefferies “spara” addirittura 3,25; e Kepler Chevreux scommette su 2,70. Intanto, al momento in cui questo numero di Investire viene chiuso in redazione (il 5 dicembre), il titolo di Banca Sistema veleggia in Borsa attorno a 1,80 euro, attuale tappa di un rally iniziato nello scorso agosto, quando vivacchiava di poco sopra l’euro. Cos’è successo? Qual è il “sistema” scoperto da Gianluca Garbi - il Draghi-boy inventatosi imprenditore finanziario di successo otto anni fa, resistendo alle sirene del banking internazionale e mettendosi in proprio – per compiacere il mercato e macinare utili in un settore, quello creditizio, dove ormai le scadenze dell’informazione obbligatoria ricordano sempre più i bollettini di guerra? Banca Sistema è florida, ha un Roe del 18%, un utile netto cresciuto nei primi nove mesi di quest’anno del 12% a 21,4 milioni, e lo ricava operando per il 70% nel factoring di crediti prevalentemente verso la Pubblica amministrazione e per il resto nel credito al consumo con la cessione del quinto (di stipendio o pensione) e da poco in grande stile anche nei finanziamenti su pegno. Dunque, attività tradizionali. Fatte, però, evidentemente assai bene. Allora, Garbi: qual è il sistema? Più che di sistema parlerei di un background dal quale mi è nata la visione di business che abbiamo adottato sin dall’inizio, da quando nel 2011 abbiamo rilevato ciò che preesisteva e abbiamo iniziato il nuovo corso. In uno slogan, come spiega agli analisti finanziari perché è giusto investire nella sua banca? Chiunque pensi che l’Italia possa fallire non investa su Banca Sistema; ma forse non vorrà investire su niente… Per chi invece pensa che l’Italia non fallirà, almeno non nei prossimi anni, siamo il migliore investimento che ci possa essere. Adesso ci spieghi perché. Ho lavorato fin da molto giovane nella pubblica amministrazione, nelle banche e poi nel mondo in mezzo tra pubblico e privato rappresentato da un servizio pubblico come l’Mts (il Mercato telematico dei titoli di Stato che Garbi ha praticamente fondato, su incarico di Draghi, e portato al successo europeo, n.d.r.) che era però di proprietà privata. Quando sono passato in Dresdner, dopo l’uscita da Mts, una delle attività che facevamo in Italia era proprio quella di smobilizzare i crediti della sanità pubblica. Ho capito che il nostro Paese, accanto al debito pubblico conteggiato ai fini di Maastricht – cioè il debito finanziario - ne ha un altro: quello commerciale. Dieci anni fa lo si stimava in 100 miliardi 72

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L’EX «DRAGHI BOY», GIÀ GIOVANISSIMO AMMINISTRATORE DELL’MTS È DAL 2011 IMPRENDITORE BANCARIO IN PROPRIO. L’ISTITUTO SPECIALIZZATO CHE GUIDA È SOLIDO E PROFITTEVOLE (ROE 18%) di euro, senza contare però alcune voci come le sovvenzioni, i sussidi e gli incentivi contabilizzati e non erogati: basti pensare ai fondi per i trasporti pubblici. E allora? Ho capito che esisteva un mercato enorme di debiti statali – non finanziari ma commerciali, fiscali e da sussidi – gestibili. Con grande rischio, però! No! Il debito che ci accolliamo, pro-soluto, ha un rischio più basso del debito finanziario. Già, perché se per assurdo lo Stato smettesse di far funzionare i servizi civili non potendone più pagare i fornitori, farebbe esplodere gravissime ripercussioni sociali, nuocendo a tutti. Se invece, sempre per assurdo – e non accadrà! – ristrutturasse il debito finanziario, non tutti ne verrebbero egualmente colpiti, anzi alcuni ne beneficerebbero. Comunque, per cominciare nel terribile 2011 le è servito un bel fegato!


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Considerai che l’Italia, nel ’92, si era trovata ben peggio che nel 2011, eppure ne era uscita bene. Ancora oggi, come nel 2011, l’interesse pubblico concentrato sul debito viene protetto e incentivato, basti pensare alla tassazione dei titoli di Stato che è da paradiso fiscale… questa tutela del risparmio è un elemento di sicurezza. In più, l’Italia ha un debito privato molto limitato rispetto a molti altri Paesi. Quindi: c’è mercato, il Paese non fallirà mai, si può fare attività di rischio. Meno male: se lo dice lei! Ma come fa a essere così sicuro che il debito pubblico non verrà ristrutturato? Perché per il 40% del nostro debito non è in mani italiane, qualsiasi mossa scatenerebbe un effetto domino sulle banche internazionali, impatterebbe nel mondo ben più dei default di Argentina, Portogallo o Grecia. Diciamo che il nostro debito è troppo grande per saltare in aria. E comunque, con 10 mila miliardi di patrimonio nei portafogli delle famiglie italiane, c’è sempre di riserva lo strumento teorico della patrimoniale, che è comunque meglio di un default… E torniamo a voi… Partendo dall’idea di fare, come mestiere principale, quello di smobilizzare i crediti, sui modelli Dresdner e anche Rbs, proprio sulla base delle attività nel settore dismesse da quest’ultima e coinvolgendo alcune fondazioni bancarie abbiamo iniziato. E abbiamo subito cominciato a realizzare buoni utili. Ma non teme che, presto o tardi, lo Stato si risani e riesca a ridurre lo stock di debito commerciale arretrato, togliendovi mercato? Il risanamento della finanza pubblica, auspicabile, non c’entra. Qualsiasi comune potrebbe già oggi attingere alla Cassa depositi e prestiti e prendere tutto quel che gli servirebbe per estinguere i suoi debiti certi, liquidi ed esigibili. Non lo fa per il peso della procedure burocratiche di controllo che devono essere necessariamente espletate per poter pagare. Fin tanto che il processo di liquidazione non è arrivato in fondo, il debito resta non esigibile. Questo è il motivo per cui al Tesoro dicono di aver ridotto in modo significativo i debiti statali, mentre i privati dicono che ci sono ancora 60 miliardi arretrati. Sono fatture emesse ma non ancora passate oltre la filiera dei controlli. Ma il governo Monti aveva accelerato…

«HO CAPITO CHE ESISTEVA UN MERCATO ENORME DI DEBITI STATALI – NON FINANZIARI MA COMMERCIALI, FISCALI E DA SUSSIDI – CHE SONO GESTIBILI AL MEGLIO» Sì, ma cos’è successo nei fatti, con quelle norme che volevano accelerare il pagamento dei lavori pubblici? Che oggi, i consensi che i fornitori debbono ottenere per fatturare, impiegano più tempo. Dunque se, prima, le fatture da scontare arrivavano dopo un po’ di tempo dall’emissione, oggi ce la portano appena riescono ad emetterle. Ma l’esigenza di fattorizzare c’è sempre. Una forma diversa di inefficienza… Le rispondo come mi rispose una persona autorevole quando gli esposi il nostro modello d’impresa. Mi disse: “Lei vuol fare un business sull’inefficienza della pubblica amministrazione? Be’, visto che non ritengo che nel breve termine la pubblica amministrazione possa diventare efficiente, è meglio che questo business lo faccia un soggetto vigilato piuttosto che altri!”. Chi era questa persona autorevole? Non glielo dico. Scusi: lei ha detto che fa factoring pro soluto. Le banche tradizionali fanno il pro-solvendo. Sì: perché noi sappiamo fare, e quando occorre non ci peritiamo di fare i decreti ingiuntivi alle pubblice amministrazioni. Quando si è una banca tradizionale e si hanno rapporti commerciali correnti con le pubbliche amministrazioni si fa più fatica a ricorrere al decreto ingiuntivo. Parliamo d’altro: ha appena acquistato il ramo d’azienda del prestito su pegno di Banca Intesa. Come mai? Ce l’avevo in mente da quando ho messo in piedi Banca Sistema: non è cosa degli ultimi tempi, ma avevo altre priorità. Anni fa avevano tentato di acquisire l’attività di Unicredit nel settore, che vendette invece agli austriaci di Dorotheum (cercare su google le parole “dorotheum” e “passato” per avere più informazioni, n.d.r.). Abbiamo iniziato in proprio con il sostegno di PwC. Il prestito su pegno ha avuto la sua crescita perché è nato prima delle banche poi ha ridotto pian piano la sua portata come metodo di finanziamento al credito al consumo, poi ha avuto una nuova giovinezza negli anni ‘30 per la crisi del ’29. Ed oggi viviamo i postumi di una crisi almeno uguale a quella del ’29. È un’attività rischiosa? Direi di no. Solo il 5% dei beni dati a pegno va all’asta. Quindi è un finanziamento con basso default. E può crescere molto. Oggi il mercato vale 800 milioni ma potenzialmente nel futuro la domanda crescerà perché crollerà il muro di reticenza che inibisce le persone dall’andare all’agenzia. Abbiamo lanciato già l’anno scorso una app che ti permette di fotografare l’oggetto che vuoi dare in pegno, e indicandone il peso avere subito una valutazione del bene prima di avvicinare gli addetti al servizio… E’ un mestiere retail, abbiamo 6 agenzie che con quelle di Intesa arrivano a quindici. Resta una pratica un po’ triste, non trova? Cos’è, ce l‘ha con Trump? Che c’entra, Trump? Be’, perché si deve al prestito su pegno la scoperta dell’America con quel che ne è venuto: la regina Isabella di Spagna finanziò Colombo dando in pegno i suoi gioielli! dicembre 2019

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SPORT&FINANZA

PFGolf e Investire insieme nel più bel circuito di sempre di Marco Muffato

IL NOSTRO MAGAZINE SARÀ IL MEDIA PARTNER ESCLUSIVO DELLA MANIFESTAZIONE GOLFISTICA RISERVATA AI CONSULENTI FINANZIARI

I

consulenti finanziari golfisti stanno per tornare e si affronteranno sul green in sfide all’ultimo colpo per contendersi la palma di miglior giocatore del Circuito PFGolf. Le cui sedici tappe per il 2020 sono state presentate lo scorso 29 novembre nella splendida cornice del Golf Club di Castell’Arquato (Piacenza) dal presidente Patrizio Comi. Una edizione, quella del prossimo anno, che si annuncia come la più bella di sempre per il contesto nel quale si svolgeranno le prove (i miglior golf club presenti a livello nazionale) e per la qualità dei colpi a cui si assisterà sui campi di gara. “Nel 2019 abbiamo festeggiato il nostro decimo anno di vita con un circuito splendido e nel 2020 vogliamo fare ancora meglio», annuncia Comi ad Investire. «Le gare aumenteranno, anche perché siamo cresciuti di numero e bisogna dare a tutti i nostri soci la possibilità di giocare. Inoltre avremo tre finali che disputeremo all’estero, giocheremo per esempio in Portogallo in Algarve, dove ci sono alcuni dei più bei golf club di Europa». Le tappe del circuito saranno complessivamente diciassette. Nella tabella accanto sono indicate tutte le gare previste dalla comppetizione organizzata dall’Associazione nazionale dei consulenti finanziari golfisti, compresa la doppia tappa di Folgaria che si svolgerà il 30 e il 31 luglio. “Devo rin74

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PFGOLF: GARA PER GARA IL CIRCUITO 2020 DATA

LOCATION

SPONSOR DI TAPPA

20/02/ 2020

G.C. DUCATO (PR)

NEUBERGER-BERMAN

11/03/2020

G.C. ARZAGA (BS)

VONTOBEL

24/03/2020

G.C. VARESE

CAPITALGROUP

09/04/2020

G.C. VILLA CAROLINA (AL) MFS (1^ TAPPA trofeo MFS)

24/04/2020

G.C. MILANO

CANDRIAM (1^ tappa trofeo CANDRIAM)

07/05/2020

G.C. CA’ AMATA (TV)

PRAQMERICA

22/05/2020

G.C. MONTICELLO (MI)

CANDRIAM (2^ tappa trofeo CANDRIAM)

12/06/2020

G.C. ALBENZA (BG)

CANDRIAM ( 3^ tappa trofeo CANDRIAM)

30/06/2020

G.C. BOLOGNA

MFS (2^TAPPA trofeo MFS)

30-31/07/2020

G.C. FOLGARIA (TN)

NATIXIS (CAMPIONATO IT. A SQUADRE)

27/08/2020

G.C. FRANCIACORTA (BS)

PRAMERICA

08/09/2020

G.C. CHERASCO (CN)

NORDEA

24/09/2020

G.C. PADOVA

NEUBERG BERMAN

29-9/3-10/2020 G.C. ACAYA (LE)

FINALE TROFEO CANDRIAM

21-24/10/2020

PORTOGALLO

FINALE TROFEO MFS

3-7/11/2020

PORTOGALLO

FINALE CAMPIONATO IT. INDIVIDUALE


INVESTIRE SPECIALIST

L’INTERA MANIFESTAZIONE VEDRÀ LA PARTECIPAZIONE DI 130 CF GOLFISTI PROVENIENTI DA TUTTA ITALIA

Nella foto da sinistra Patrizio Comi, presidente di PFGolf e Domenico Marasco, editore incaricato di Economy Group, casa editrice di Investire

graziare gli sponsor, perché senza di loro la magnifica esperienza di PFGolf non potrebbe continuare”. A proposito degli sponsor, Comi sottolinea come sia diventato complesso soddisfare tutte le esigenze. “Avevamo tante richieste e purtroppo non abbiamo potuto accontentare tutti, perché ok aumentare il circuito ma troppe gare farebbe scadere

la qualità della competizione, cerchiamo di fare belle gare in cui gli sponsor possono condividere con i consulenti le loro iniziative”. Un capitolo a parte merita l’accordo sottoscritto proprio il 29 novembre scorso, al Golf Club di Castell’Arquata, tra PFGolf e Economy Group, la casa editrice di Investire. In base all’accordo Investire sarà il media partner esclusivo dell’intero circuito golfistico per il 2020. L’evento sportivo vedrà la partecipazione di oltre 130 consulenti finanziari provenienti da tutta Italia e sarà raccontato da Investire con articoli sulla propria rivista cartacea e sul sito investiremag. it, anche con contributi video. “Avere Investire come media partner è per noi un grande motivo di orgoglio”, ha spiegato Comi. “Anche perché è una rivista che non è di parte e non adotta logiche commerciali esasperate, toccando temi di grandi interesse per l’attività professionale dei nostri associati”. A sua volta Domenico Marasco, editore incaricato di Economy ha sottolineato l’importanza dell’accordo. “Abbiamo voluto fortemente questa partnership perché ci permette di portare i contenuti professionali di Investire all’attenzione dei consulenti finanziari, nel contesto gradevole dei Golf Club”.

IL LEGAME DI CANDRIAM CON IL GREEN/ di Renato Guerriero*

L

a decisione di organizzare il Candriam Golf Trophy, ‘Viaggio nei megatrends 2019’ è stata legata alla natura del gioco del golf. Il golf è uno sport difficile, il secondo più difficile dopo il salto con l’asta. Questo sport di lunga tradizione si caratterizza per un forte rispetto delle regole e dell’avversario e insegna a sviluppare la resilienza. Sono caratteristiche proprie a Candriam e necessarie per riuscire nell’attività di gestione del risparmio. Per confermare questa tesi tengo a ricordare che il PhD Bob Rotella, uno dei maggiori coach del PGA Tour, compara l’attitudine del giocatore di golf a quella del consulente finanizario illustrando quanto sia importante seguire un processo rigoroso nelle due attivita’. La prima edizione del trofeo ha unito la tematica di sostenibilità, innovazione tecnologica, ricerca oncologica e biotecnologica ed infine la tematica ambientale e quella sportiva. Abbiamo registrato la partecipazione

di golfisti di successo come Edoardo Molinari, Costantino Rocca e Diana Luna e quella di esperti di ricerca scientifica, ambientale e robotica. Il nostro obiettivo è stato di fare formazione in modo innovativo attraverso lo scambio diretto con persone che hanno generato un notevole impatto positivo sulla società. Il secondo trofeo Candriam, ‘Entra in gioco la Sostenibilità’, prenderà avvio nell’aprile 2020 e affronterà le maggiori sfide dello sviluppo sostenibile prevedendo una regular season su quattro campi da open d’Italia: Golf Milano, Villa d’Este, Monticello e Golf Bergamo - Albenza. La finale sarà presso l’Acaya in Puglia. Grande innovazione del 2020 sarà la Candriam Academy per la Sostenibilità. La Candriam Academy, portale gratuito di formazione sugli investimenti sostenibili disponibile in otto paesi e con oltre 2500 membri, farà il suo debutto in aula. I consulenti finanziari di

PFGolf, dopo aver gareggiato sui green, avranno accesso alla formazione in sala riunioni e se parteciperanno a tutte le quattro sessioni riceveranno crediti Efa necessari a mantenere la certificazione Efpa. Il mio maestro di golf mi ricorda sempre che è molto importante scegliere i ferri da metter nella sacca, siamo convinti che con il nostro approccio i consulenti finanziari sapranno scegliere al meglio gli strumenti da consigliare ai loro clienti. *Global head of distribution di Candriam

dicembre 2019

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POLE POSITION

a cura di Buddy Fox

INTERESSI E NON DIRITTI UMANI AL CENTRO DEL MONDO

M

eno tasse per Totti, più Pir per tutti? Introdotti alla grandissima dalla legge di bilancio 2017, i Piani individuali di risparmio sono strumenti per canalizzare il risparmio degli italiani verso le imprese italiane. Ogni singolo sottoscrittore ha l’obbligo di mantenere l’investimento per 5 anni, con un importo annuo di massimo 30 mila euro, fino a un totale di 150. In cambio, oltre al potenziale guadagno, oltre a favorire le imprese nazionali, di sicuro per l’investitore ci sono gli abbattimenti fiscali: niente tasse su capital gain, dividendi, successioni e donazioni. Purtroppo, come spesso accade nel nostro Paese, le potenzialità faticano a trasformarsi in atto. Nella fattispecie la prima versione dei Pir ha mancato le attese per una (banale) ragione dimensionale: l’effetto Pir a Piazza Affari è paragonabile alla Pianura Padana irrigata dal Mississippi, la campagna invece di beneficiarne si allagherebbe. Ergo è indispensabile aumentare il terreno coltivabile, che fuor di metafora significa che

bisogna aumentare l’offerta. Insomma, una grande occasione ma senza l’incremento delle società quotate l’opportunità finisce col trasformarsi in un episodio di effimera euforia. Quali novità dunque per annullare l’effetto Mississippi? Le novità introdotte sono notevoli. Innanzitutto i Pir creati a partire dal 1 gennaio 2019 dovranno investire una quota significativa in obbligazioni e azioni di Pmi italiane ammesse alle negoziazioni su Aim Italia. Quelli che invece saranno sottoscritti a partire dal 1°+ gennaio 2020 dovranno investire una quota significativa in strumenti finanziari di imprese diverse da quelle inserite nei panieri FtseMib e FtseMid Cap, è un ritorno al passato. Sarà infine possibile detenere più di un Pir anche alle Casse previdenziali e ai fondi d’investimento. Datemi un Pir e vi solleverò Piazza Affari, potrebbe essere questo lo spot. I Pir riusciranno nel miracolo di risollevare anche l’economia italiana?

LA GRANDE SCOMMESSA DI DALIO, IL GURU DI BRIDGEWATER

C’

è chi pensa che il mondo della finanza e dell’economia siano fenomeni di complessità spaventosa. Vero: se così non fosse saremmo tutti miliardari. Falso: sono entrambi (l’economia e la finanza) realtà prodotte da esseri umani. E in quanto tali passibili di comprensione. Non è facile, anzi. Chi lo crede ci rimette regolarmente le penne. Vero o falso quindi? Entrambe le cose. Prendiamo ad esempio il signor Ray Dalio, il guru di Bridgewater, l’hedge fund che nel 2018 ha puntato sul fallimento del nostro paese triplicando le posizioni al ribasso sulle società italiane (circa 2,4 miliardi di euro). Nel mirino di Bridgewater è finita quasi la metà delle blue chip del Ftse Mib, azioni che secondo Dalio, erano destinate a scendere. Non gli è andata molto bene, o meglio non come Dalio sperava, per nostra fortuna. Che cosa combina nuovamente il signor Dalio? Tanto per cominciare ha comunicato urbi et orbi le proprie convinzioni sul futuro del mondo. In sintesi: 1) Stiamo per rivivere gli anni ’30 del Novecento, quelli della grande depressione. 2) Le riduzioni dei tassi d’interesse difficilmente offriranno stimoli. 3) Come negli anni ’30 c’è una potenza in crescita (la Cina) che sfida una tradizionalmente egemone (gli Usa). 4) La guerra che sta per scoppiare si sviluppa su 4 fronti: commercio, tecnologia, valuta e geopolitica. 76

dicembre 2019

5) Un conflitto mondiale che oppone il populismo di sinistra a quello di destra, proprio come negli anni ’30. Bel botto, vero? Niente in confronto alla nuova battaglia ribassista di Dalio il quale ha puntato 1,5 miliardi di dollari in opzioni put (diritto a vendere) scommettendo su un prossimo crollo delle Borse mondiali. Secondo le indiscrezioni rivelate dal Wall Street Journal la strategia è stata avviata avendo come controparti le più grandi banche Usa. Pochi giorni dopo l’ineffabile Dalio ha smentito. Non si tratta di una puntata sul crollo delle Borse ha affermato, accusando (tanto per cambiare) la stampa di “sensazionalismo”. È un gioco, una scommessa come al Casinò? Per cercare di comprendere meglio, ricorro alla mia metafora preferita: il calcio. Immaginiamo due grandi dirigenti sportivi, due vecchie volpi come Allodi o Moggi. Pensiamo a cosa sarebbe successo se avessero annunciato la volontà di comprare un calciatore, dichiarando alla stampa nome e cognome. Bene, e adesso immaginate quanto potrebbe salire il prezzo. Secondo il mantra di Dalio, l’investimento è fatto anche di errori, da cui si deve imparare. E di errori Dalio ne farà ancora, ma quello che Dalio ha imparato nella sua lunga carriera è che la discrezionalità e la riservatezza sono tutto, o quasi. L’attacco che Soros, aiutato dall’abilità di Druckenmiller, effettuò contro Lira e Sterlina nel settembre del 1992, fu preparato in religioso silenzio, senza inviti per nessuno. Diffidate sempre delle operazioni troppo pubblicizzate.


INVESTIRE SPECIALIST

L’ECONOMIA DELL’APPARENZA CHE INGANNA I CONSUMATORI

A

pparenza versus sostanza, la più grande battaglia combattuta dall’umanità. Dura ininterrottamente da 10.000 anni. Gli effetti di questo scontro sono drammatici. Non solo perché, come ammoniva La Rochefoucauld, “in ogni situazione ciascuno assume un contegno e un atteggiamento esterno per sembrare come vuole che lo si creda. Perciò si può dire che il mondo è composto soltanto da maschere”. Pensiamo allo stato attuale dell’economia e della finanza. Al peso assunto dall’apparenza – quello che sembra ma non è – rispetto alla realtà fattuale. Un modo che produce incessantemente illusioni e menzogne e, quel che è peggio, le vende con straordinaria abilità. Non tutto, si badi bene, è illusione: ci sono un sacco di imprese che operano sul mercato con correttezza e trasparenza. Ma è tuttavia significativo che brand ultra famosi ricorrano alla mistificazione se non addirittura, come nel ridicolo caso della Tesla del signor Musk, alla contraffazione. La vicenda del vetro antiproiettile di cui sarebbe dotato il nuovo CyberTruck di Tesla andato in frantumi davanti ad un esterrefatto Musk ha fatto il giro del mondo. Per non parlare della gara contro il mitico F150, il più famoso Suv della Ford, una gara ingannevole e impari, il cui risultato finale è una vittoria con “l’aiutino”.

Ma lasciando stare il buon Elon Reeve Musk, l’imprenditore, inventore e filantropo sudafricano con cittadinanza canadese naturalizzato statunitense arcinoto per le sue bizzarrie, lo stigma dell’apparenza coinvolge intere nazioni e sistemi economici. Pensiamo all’auto elettrica, nobilissimo obiettivo tecnologico non inquinante, soluzione magnifica per salvare il pianeta. Purtroppo le batterie delle nuove fantastiche auto devono essere ricaricate. Purtroppo l’energia elettrica non viene giù dal pero. E così è una grande delusione scoprire che nella progredita civilissima Germania il 60% dell’elettricità è tutt’oggi prodotta attraverso il carbone, il più inquinante dei combustibili. Ma rallegriamoci, prima o poi le fonti rinnovabili prevarranno, così almeno ci dicono. Ma che dire di Amazon, il più grande spedizioniere dell’umanità, che si vanta di aver eliminato (udite, udite!) la plastica dai suoi imballaggi? Bravo, bene, bis, applausi. Peccato che Amazon per spedire le merci usi carta e cartone in quantità industriale, materiale che viene ricavato dall’abbattimento degli alberi e quindi dal disboscamento. Non è inquinare questo? Ma il consumatore, sempre più vittima dell’apparenza, non se ne accorge… Come insegna il grande libro del Talmud “Noi non vediamo le cose nel modo in cui sono. Le vediamo nel modo in cui siamo”.

GRAZIE DAVVERO SUPER MARIO

I

l numero 3 porta male? Dopo tanta gloria, la storia dei tenori non è finita benissimo: Luciano Pavarotti se ne è andato precocemente e Plácido Domingo è costretto ad annullare i concerti per via di accuse di sapore boccaccesco. E i 3 Mario li ricordate? Correva il novembre del 2011, se possibile più cupo del solito; l’Italia era immersa nelle tenebre più cupe ma c’erano tre persone (tre personaggi) che in quel momento erano visti come salvatori: Mario Balotelli, Mario Draghi e Mario Monti. Dei tre, inutile dirlo, è rimasto solo Mario Draghi, gli altri due, tra critiche e risultati deludenti, sono finiti in una zona grigia. Non Mario Draghi, uomo straordinario sotto ogni punto di vista dai tratti caratteriali assai poco italiani. Interviste: semplicemente non ne concede. Se ne contano tre o quattro. Dice quel che pensa nei convegni o attraverso (rarissimi) articoli ai giornali. Oltre alle scalate sulle amate Dolomiti, si dedica al jogging. Si era iscritto in palestra, ma pare che negli spogliatoi si sia lasciato scappare una mezza confidenza che un giornalista ha trasformato in notizia: da allora stop. Il riservatissimo Mario Draghi è nato a Roma e purtroppo tifa per i giallorossi. Vive a Londra, a pochi metri da Harrods. Pare che ogni notte dorma in una città diversa, per via di un lavoro che impone il pendolarismo tra le capitali finanziarie. Trascorre i weekend con la moglie Serena, padovana di famiglia nobile e il suo cane, un bracco ungherese che porta spesso a correre con sé. Poche le visite, pochissimi gli amici. Pochissime le parole, come le ormai celeberrime “Whatever it takes” (fa-

remo tutto quello che c’è da fare) tre parole per difendere l’euro, seguite da un’aggiunta: vedrete che basterà, con le quali sfidò e vinse i mercati finanziari. Per fortuna di noi tutti. Una frase che riassume la sapienza di un grande esperto e l’intelligenza di un acume politico di prima classe. Senza l’euro l’Europa, l’unica scialuppa di salvataggio di cui disponiamo, si sarebbe sfasciata. Se gli si domanda cosa farà ora, Mario Draghi invita a chiedere alla moglie. In cuor nostro una mezza idea l’abbiamo. Nel frattempo, grazie Mario. dicembre 2019

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TALENT

LA COMPETIZIONE TRA UN “FAI DA TE”, UN CF E UN ROBOADVISOR

Gara a tutto rischio Il portafoglio è sul lusso

“U

na poltrona per tre” è una competizione tra tre portafogli realizzati da un “fai da te”, un consulente finanziario e un roboadvisor. Ha la durata di un anno e prevede la possibilità di rotazione del portafoglio, con un cambio di massimo due strumenti, al termine del primo semestre. Ogni mese partirà una nuova gara. Aggiornamenti e confronti L’aggiornamento sull’andamento di ciascuna di esse avrà cadenza semestrale. Tre concorrenti che non copiano La composizione dei portafogli è elaborata

LE SCELTE DEL “FAI DA TE”

in completa autonomia dai partecipanti al talent e oltre ad avere lo scopo della competizione vuole offrire spunti meramente informativi inerenti l’impiego di strumenti finanziari quotati sul mercato regolamentato italiano. Le informazioni e le analisi esposte pertanto non costituiscono sollecitazione al pubblico risparmio qualunque decisione di investimento e il relativo rischio rimane a carico dell’investitore. Investire non si assume alcuna responsabilità per l’eventuale utilizzo che il lettore potrà fare dei contenuti esposti.

di Giacomo Damian

ISIN “Non sono un sarto, ma un fabbricante di felicità” IT0004712375 diceva Yves Saint Laurent, per conferma chiedere a DE000A1EK0H1 Francois Pinault, fondatore del gigante della moda IT0004604762 Kering, che di YSL è diventato il proprietario. Yves Saint Laurent probabilmente gli andamenti US1921085049 dei mercati non li ha mai seguiti, nella sua vita si è occupato d’altro, ma quanta ricchezza hanno IT0004965148 saputo creare le sue opere nelle tasche degli azionisti, è da anni una realtà. Il lusso piace, IT0005338139 e nonostante le tragiche crisi vissute negli ultimi tempi, di lusso c’è un’enorme richiesta DE000PAH0038 nel mondo. Me ne sono accorto facendo una veloce ricerca per costruire il portafoglio “fai da te”, dando un’occhiata a una mia vecchia conoscenza, il titolo Hermes. Osservando il grafico a 30 anni mi sono accorto che i il titolo Hermes in 25 anni, dal 1994 a oggi è cresciuto dai 5 euro (attualizzando i valori di cambio del Franco francese di allora) agli oltre 600 euro odierni. Il rendimento è dell’11.000%, sì avete letto bene. E non è finita qui, perché per molte case d’investimento, il settore ha ancora un grande potenziale. Le motivazioni non mancano, sebbene si ripeta spesso che uno dei pericoli del nostro tempo siano l’eccesso nelle diseguaglianze tra ricchi e poveri, bisogna anche ammettere che la povertà è in diminuzione, e sempre più ricchi, sempre più consumatori con un maggiore potere d’acquisto si sta affacciando sul mercato. Consumatori affamati di bellezza, di qualità e dunque anche di lusso. L’Italia in questo ha una grande offerta da proporre, sia a livello di fondamentali come eccellenza di prodotto e di marchio, sia a livello speculativo come potenziali prede. I tassi bassi sono sempre un ottimo motivo per fare dei deal. Seguendo questo driver

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dicembre 2019

IL PROFILO DEL MATCH Costruzione di un portafoglio che sia costituito da titoli, bond e materie prime del settore lusso in tutte le sue sfaccettature. Massimo rischio

FASHION ITALIANO IN PRIMA FILA FONDO

MIX

SALVATORE FERRAGAMO

20%

Xtrackers Physic Platinum Eur Hedged Etc

20%

SAFILO

15%

COEUR D’ALENE

15%

MONCLER

10%

MONNALISA

10%

PORSCHE

10%

speculativo, ho voluto inserire nel mio portafoglio molte società italiane, proprio perché possibili prede future con un potenziale upside di prezzo notevole. Una su tutte Salvatore Ferragamo, una griffe che non può rimanere ancora per molto tempo senza l’appoggio di un grande gruppo, troppo piccola per un mercato di giganti così competitivo. Tra le small cap c’è Monnalisa, un’azienda di moda che vende solo in store esclusivi, merita attenzione. Oltre alla moda ho pensato ai metalli preziosi, per esempio il Platino, troppo sacrificato come prezzo, e all’oro e all’argento sintetizzati nell’azienda Usa Coeur d’Alene che ha miniere di entrambi i preziosi. Per finire con Porsche, un auto intramontabile, confidando nel turbo che dia sprint al portafoglio. Osservando Hermes, ho notato che in un grafico di lungo termine, la crisi del 2008 sul titolo non è stata nemmeno sentita, come se il pericolo depressione non sia stato nemmeno considerato come ipotesi. Il lusso può essere considerato un bene rifugio? Per capirlo, attendiamo la prossima crisi, se ci sarà.


INVESTIRE SPECIALIST

LE SCELTE DEL CONSULENTE FINANZIARIO BRUNELLO CUCINELLI E FERRARI PESANO PER IL 30% DENOMINAZIONE

ISIN

PESO

INVESCO PHYSICAL GOLD ETC

IE00B579F325

20%

SIOEN

BE0003743573

15%

BRUNELLO CUCINELLI

IT0004764699

15%

FERRARI

NL0011585146

15%

ENGIE

FR0010208488

15%

US22822V1017

15%

CROWN CASTLE

Gian Carlo Tamburini Dopo un 2019 caratterizzato da un mercato obbligazionario di tassi bassi o zero, se non addirittura negativi e un mercato azionario in crescita con i principali indici americani sui massimi storici, per il 2020 mi aspetterei un significativo cambiamento, non tanto per il mercati obbligazionari che dovrebbe ricalcare movimenti simili al 2019, ma per l’azionario, dove ho una visione decisamente diversa. Un 2020 a due facce: dopo una prima parte dell’anno che continua sulla falsa riga del 2019, e cioè in crescita leggera ma continuativa, prevedo che verso marzo 2020 inizi un lungo periodo di quella che è chiamata in gergo “distribuzione” con una diminuzione dei corsi e una rotazione settoriale dai tecnologici in genere verso settori più difensivi, i cosiddetti value per eccellenza quali il settore energetico, farmaceutico, beni di lusso, grande distribuzione e, perché no, titoli telefonici. Fatte queste premesse, il mio compito è quello di comporre un portafoglio aggressivo dedicato al settore lusso in tutte le sue più svariate sfaccettature. Qui sotto troverete la mia lista di stock picking su titoli che considero potenzialmente interessanti, chiedo scusa anticipatamente per eventuali banalità nelle scelte specifiche,

in quanto “il settorista” non è mai stata la mia specialità. Sioen: società quotata a Bruxelles ma con la capogruppo situata in Tunisia. Sta cercando di fare acquisizioni in particolare il coating di Glen Raven. Brunello Cucinelli: il lusso dell’Italia che tutto il mondo ci invidia. Società che sembra diretta a ritoccare i massimi storici condotta da una persona che stimo veramente. Ferrari: azione del settore lusso, gettonatissima segna massimi storici con una frequenza impressionante. Rappresenta l’eccellenza del made in Italy, ma in questo la motivazione della scelta è nella scommessa sportiva. Se fosse l’anno buono per vincere il campionato del mondo in Formula uno? Invesco Physical Gold Etc: storicamente l’oro ha dimostrato una bassa correlazione con il mercato azionario, dunque potrebbe essere un ottimo ammortizzatore nella fase di distribuzione del prossimo anno. In più l’oro è pur sempre il lusso per eccellenza. Engie: è una società energetica francese che produce e distribuisce energia elettrica, gas ed energia rinnovabile. Questo titolo lo considero del settore lusso in senso lato, perché se è vero, o almeno si spera che le energie alternative siano il futuro, e altrettanto vero che oggi non siano propriamente a buon mercato. Grande occasione per il 2020. Crown Castle: il colosso americano delle torri per telecomunicazione, è una società con un ottimo potenziale di sviluppo nel settore della tecnologia 5G. Il settore del futuro, un giorno diventerà fenomeno di massa, oggi ancora un lusso per pochi. Potenziale di upside elevato.

LE SCELTE DEL ROBOT (elaborazioni di Investire sui dati Deus Technology) “Less is more” diceva Coco Chanel, togli e sarai migliore, più elegante, più bello. Forse è proprio ispirandosi a Coco Chanel che quelli di Morgan Stanley alla fine del 2018, preparandosi a un 2019 insidioso, aveva diffuso uno studio sul settore lusso molto negativo dal titolo: “il lusso non va più di moda”. Un invito a ridurre l’esposizione sul settore per motivi svariati, tra i principali

le quotazioni troppo tirate, la frenata della Cina e le stime sugli utili non più così attraenti. Togli il lusso dal tuo portafoglio e i tuoi rendimenti saranno più belli. Tradotto con il linguaggio degli investimenti, il “less is more” potrebbe essere sintetizzato con una parola sola: concentrazione. Giovanni Tamburi, che di moda, lusso e qualità (soprattutto made in Italy) se ne intende, ha sempre

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TALENT

dichiarato che l’eccessiva diversificazione mortifica il rendimento, meglio scegliere, selezionare, ma farlo bene e con cura. E Giovanni Tamburi sul lusso è sempre stato positivo, perché per lui i potenziali consumatori sono in crescita e sono affamati. Evidentemente quelli di MS hanno fatto male i calcoli, perché a parte gli inciampi di percorso, fisiologici, quello del lusso e della moda è un settore con una crescita costante, ormai strutturale. Ed è su questo settore che abbiamo deciso di focalizzarci per questo mese chiedendo il solito aiuto a Deus Technology per fornirci un portafoglio che ci aiuti a trovare le migliori occasioni che offre il mercato. La grande novità, in assoluto la prima volta da quando sono iniziate la gare, è la scelta di un singolo titolo azionario: Ferrari, un unicum di settore, quello che

Guido Maria Brera definì un “trophy asset”, un titolo da collezione, una società prestigiosa che regala prestigio al portafoglio. Un portafoglio che è formato prevalentemente di equity, al titolo Ferrari si aggiungono prodotti composti dalle grandi griffe della moda, ma anche dei settori salute e benessere. Per quanto riguarda l’obbligazionario, per trovare maggior valore, dobbiamo rivolgerci al corporate, con Kering, uno dei colossi mondiali della moda. Per finire, le commodity, perché lusso significa anche metalli preziosi, e Deus Technology ha scelto l’oro, il metallo prezioso per eccellenza. Il metallo che arriva sempre con l’Epifania, ma noi vogliamo anticiparlo a dicembre, facendovi i migliori auguri per il prossimo Natale e conclusione dell’anno.

UN GIARDINETTO DI GRANDI GRIFFE DELLA MODA ISIN

NOME

13/09/2019

LU1809976365

LO Funds Global Prestige N Acc EUR

17,8%

LU0121202492

NN (L) Health & Well-being X Acc EUR

16,7%

LU0329429897

GAM Multistock - Luxury Brands Equity B Acc EUR

15,5%

NL0011585146

Ferrari Rg

15%

FR0013165677

Kering-1.25 Kering 26-10/05/2016-10/05/2026 Cedola Fissa EUR

15%

LU1124235596

Aberdeen Standard SICAV I - Aberdeen Standard Diversified Income I Dis EUR

10%

DE000A1E0HR8

DB ETC Physical Gold ETC EUR

10%

L’ASSET MIX DEL MESE MACRO

PESO

AZIONARIO

65%

OBBLIGAZIONARIO BILANCIATI COMMODITY

15% 10% 10%

PESO

MICRO

50% 15% 15% 10% 10%

Fondi/ETF Azionari Azioni Obbligazionario Corporate Bilanciati Azionari Obbligazioni governative

The winner is... +11,64% +10,27% ROBO ADVISOR

CONSULENTE FINANZIARIO Marco Mattei

LA CLASSIFICA È SEMESTRALE ED È RELATIVA ALLA GARA INIZIATA CON IL NUMERO DI MAGGIO DI INVESTIRE

80

dicembre 2019

-0,73% “FAI DA TE” Giacomo Damian


INVESTIRE SPECIALIST

Tamburi sale in cattedra e salva Ovs O

vs: la pietra dello scandalo è nella giornata del 19 aprile 2018, quando il titolo perde in una sola seduta il 32%. Il motivo, la forte riduzione degli utili che passano da 78 milioni dell’esercizio precedente a 5,1. Badate bene, riduzione degli utili e non una perdita, la reazione sul titolo, oltre a essere troppo severa, desta molti sospetti. Successivamente si scoprirà che il motivo principali è nel difficile rapporto con la Sempione Fashion, società che ottiene dal giudice di un tribunale svizzero l’ammissione alla procedura concorsuale provvisoria. Un rapporto, quello con Sempione, che costerà una pesante svalutazione a Ovs, e nuove perdite al titolo in borsa. Cali che stando alle motivazioni, sembrano forzati, non per le macchinette e gli algoritmi che sguazzano, portando il titolo in pochi mesi da 6 euro a sotto 1 euro. Ed è qui che sale in cattedra Tamburi, un investitore che all’intelligenza artificiale preferisce quella umana, un investitore che non guarda solo ai freddi numeri ma anche al calore umano, e di Beraldo, vecchia conoscenza, Tamburi si fida molto. Tamburi entra sul titolo in due mandate, la prima, la più eclatante, come una boccia da bowling fa strike spazzando via tutti i fondi speculativi che, nonostante un ribasso dell’80% erano ancora short sul titolo. La seconda, a inizio 2019, dando spinta per nuovi recuperi. Recupero che inizia a farsi consistente, da inizio anno +90%, dai minimi di dicembre 2018 siamo oltre il 200%. Recupero senza eclatanti notizie, come non erano eclatanti quelle del crollo, ma semplicemente perché il titolo era sceso troppo. Il caso Ovs segnala due osservazioni importanti: la prima, che nonostante il commercio online, quello fisico non è ancora tramontato, la seconda, che negli investimenti l’intelligenza artificiale può essere utile, a patto che non venga totalmente spenta l’intelligenza umana. A volte gli affari si fanno ancora alla vecchia maniera.

J

UVENTUS: nel 2018-2019 Cristiano Ronaldo, appena arrivato a Torino, ha attivato 58 milioni di entrate extra e si è “ripagato da solo”. Le singole voci di queste entusiasmante notizia sono: l’aumento del costo dei biglietti e degli abbonamenti, le vendite (raddoppiate) delle magliette da gioco salite a quota 1 milione, la revisione al rialzo delle entrate da sponsorizzazione e l’ampliamento del bacino globale dei tifosi. Una goleada di buone notizie che rende spontanea la domanda, perché mai con tutte queste entrate il club bianconero necessita di un aumento di capitale? La risposta è scritta nel prospetto del suddetto aumento che denuncia “una situazione di tensione finanziaria” in assenza “di capitale circolante sufficiente a far fronte al proprio fabbisogno finanziario complessivo”. In parole calcisticamente

GIOVANNI TAMBURI

più semplici, la squadra ha un attacco che fa molti goal, ma ha una difesa che ne prende ancora di più, con le entrate che sono minori delle uscite, il quadro clinico finanziario diventa preoccupante e il bilancio alla fine perde. La Vecchia Signora un tempo oculata e attenta alle spese, sta diventando una consumatrice comune, poco attenta alla qualità e più votata alla spesa di massa. E se l’acquisto di Cr7 fosse stato il passo più lungo della gamba? Ora la Juventus si trova a un bivio, o ridimensionare le ambizioni e le spese faraoniche, operando (in uscita) sul mercato, oppure spingere su capitali freschi per fare nuovi acquisti e, puntare, rischiando, sempre più in alto. L’obiettivo, forse meglio dire la scommessa, è quella di diventare una squadra attraente, emulando gli avversari del Manchester City che sono stati recentemente dissetati da una cascata di denaro: 500 milioni di dollari per il 10% del club, questo è l’assegno staccato dal fondo Usa Silver Lake. Sarebbe la pentola d’oro per una squadra italiana. Il modo per ottenerlo è uno solo, vincere la Champions League. In fondo Cr7, più che per le magliette, è stato comprato proprio per questo.

B

E: parlare di banche e di guadagno oggi può sembrare un ossimoro. Per taluni fantascienza. Eppure c’è chi, grazie proprio al lavoro con le banche, riesce ad avere il bilancio in utile. E’ il caso di BE Think Solve Execute, società che concentra tutto il suo business nel mondo finanziario, e in particolare banche e assicurazioni, aiutandole nella gestione delle complessità derivanti dall’evoluzione del business e a raggiungere i traguardi più sfidanti. Questa è la mission che ha nell’obiettivo finale il vero valore aggiunto: la digitalizzazione finanziaria. Risparmio gestito e digitalizzazione finanziaria, sono queste le due uniche voci che portano guadagno nell’arido mondo bancario, e in tema di digitalizzazione alla Be ci sanno fare. Un settore in grande fermento, le ultime iniziative in materia sono la possibile realizzazione di un circuito di pagamento digitale, alternativo ai colossi Visa e Mastercard, e che possa fare concorrenza ai sistemi sempre più diffusi di Google e PayPal. Secondo indiscrezioni, venti delle più importanti banche europee sarebbero impegnate a creare questo sistema che dovrebbe chiamarsi Pepsi. Per Be tutto grasso che cola. A questo aggiungiamo la possibile futura ipo di Sia che secondo gli operatori sarebbe la perfetta sposa per Nexi. E in tutto questo fermento, una piccola società gioiello, così attiva e in salute come Be, può rimanere zitella? Con queste caratteristiche, e con un mercato che ha fame di storie da rendimento, il titolo non può che continuare a salire. dicembre 2019

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COSMOPOLITICA Andrea Margelletti Presidente del Centro Studi Internazionali, docente presso la Facoltà di Scienze delle Investigazioni e della Sicurezza dell’Università di Perugia e Narni. Unico membro onorario delle Forze Speciali

A HONG KONG VINCE LA PIAZZA

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uesta seconda decade del secondo millennio che si avvia al suo ultimo giro di boa ha avuto una grande protagonista geopolitica: la piazza. Da Tunisi a Damasco, da Istanbul a Khartoum, passando per il Cairo, Mosca e Algeri, negli ultimi dieci anni il popolo, inteso come massa politicamente volitiva anche se talvolta confusa e disomogenea, ha soverchiato e rovesciato regimi che sembravano eterni e inamovibili nel loro grigio e stanco perpetuarsi. L’ira di una piazza sempre più organizzata e interconnessa grazie ai social network è costata la poltrona al Faraone (o se preferite, alla mummia) Mubarak, al Colonnello Gheddafi, a Bouteflika ed al-Bashir. Se non fosse stato per la pesante ala di ferro russa, sotto la quale si è presto rifugiato, lo stesso destino sarebbe forse toccato anche a Bashar al-Assad. La forza torrenziale della piazza e dei suoi giovani agguerriti è stata l’étoile anche ad Hong Kong, dove le elezioni del 24 novembre hanno consegnato ai movimenti e ai partiti pro-democrazia il 55% dei seggi comunali e la maggioranza in 17 assemblee distrettuali su 18. Sebbene si tratti soltanto di organi consultivi, il risultato ha un profondo significato politico: il popolo di Hong Kong si è compattato contro le istituzioni locali, contro Pechino e contro la famigerata “Legge sull’estradizione”, che consentiva l’invio verso la Cina continentale di persone accusate di gravi reati. Per i manifestanti, tale provvedimento avrebbe rappresentato uno strumento di controllo politico, che il Drago cinese avrebbe potuto utilizzare per aumentare la propria influenza sulla città. Le nuove generazioni di Hong Kong appaiono meno fedeli al Paese che fu guidato dal Grande Timoniere rispetto ai coetanei di Pechino. Sono gelosi della loro libertà, credono in un modello politico e di sviluppo liberale, non cedono neppure di fronte alla violenza della polizia e di alcuni picchiatori assoldati chissà da chi. In questa lotta ideale contro l’oppressione, appare significativo come uno dei simboli della protesta sia divenuto un arciere, un novello Robin Hood (o se siete più giovani, un

novello Green Arrow) che scaglia le proprie frecce contro i gendarmi hongkonger, quasi come se lo facesse contro lo Sceriffo di Nottingham. I giovani di Hong Kong sono diversi dai loro padri, poiché hanno maturato un sentimento identitario molto più marcato rispetto alle vecchie generazioni. Si considerano hongkonger e non semplicemente cinesi. Molti di loro vogliono difendere le proprie peculiarità dalla fagocitazione di Pechino, quelli più oltranzisti vogliono addirittura l’indipendenza. Il risultato delle elezioni locali, anche se le assemblee elette sono meri organi consultivi, potrebbero aumentare gli appetiti delle frange massimaliste, incrementando di conseguenza i grattacapi del Politburo, decisamente poco avvezzo a trattare con delicatezza chiunque ne metta in dubbio l’infallibilità o minacci anche lontanamente la stabilità e l’immagine del Paese.

Gli hongkonger vogliono difendere le proprie peculiarità dalla fagocitazione di Pechino, i più oltranzisti vogliono l’indipendenza. Il risultato delle elezioni ha compattato il popolo contro le istituzioni

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QUI PARIGI di Giuseppe Corsentino

PRIVATIZZARE PER SPINGERE I FRANCESI VERSO LA BORSA

I

risparmiatori italiani ancora se lo bert e del corporativismo di Vichy mai del ricordano. Il clima, l’eccitazione dei tutto cancellato, desta sempre sospetto e banker (anche se non si chiamavapreoccupazione. E infatti la stagione delle no così), le campagne pubblicitarie, privatizzazioni non si apre con la vendita le analisi dei tecnici e le articolesse di Adp, la società che gestisce gli aeroporsui giornali. Era l’autunno del 1997, a Pati di Parigi (Charles De Gaulle e Orly), ma lazzo Chigi c’era Romano Prodi, professore con la cessione della maggioranza della di economia e ultimo presidente dell’Iri e Française des Jeux, società oggi controllagià questo sembrava una garanzia. Al Teta al 72% dallo Stato, che gestisce lotterie, soro c’era Carlo Azeglio Ciampi, ex gover- ROMANO PRODI E CARLO AZEGLIO CIAMPI giochi pronostici, commesse on-line, i vari natore della Banca d’Italia e anche questo Gratta&Vinci, insomma il mercato che in era una garanzia. Furono loro a inaugurare la stagione delle pri- Italia è presidiato da due società concessionarie, Lottomatica vatizzazioni mettendo sul mercato la perla delle aziende pubbli- (gruppo DeAgostini) e Sisal (gruppo Schumann, svizzero). La che, quella Telecom (ex Stet, ex Sip) che avrebbe dovuto dare un scelta ha a che fare con le ragioni dette prima: Adp è una società contributo non indifferente all’abbattimento del debito pubblico fortemente sindacalizzata e dominata dalla politica e contro la (all’epoca ancora al di sotto dell’attuale 133% del pil) e al tempo sua privatizzazione sono scesi in campo perfino i Gilet gialli. Al stesso segnare uno spartiacque nella storia del cosiddetto capita- contrario la FdJ, che ha 25 milioni di clienti (almeno un francese lismo di Stato. Telecom fu piazzata all’epoca 10.902 lire per azio- su due), 30mila punti vendita e dà lavoro a migliaia di tabacchini ni (5,53 euro di oggi). Oggi Telecom è scambiata a 0,55 euro, un (che infatti hanno il 2% del capitale) e a 2.500 dipendenti, con un decimo del prezzo dell’Opv più attesa nella storia di Piazza Affari fatturato di 15,8 miliardi di euro, un utile lordo di 1,8 e un Ebitda e le sue vicende (dal cosiddetto “nocciolino duro” degli Agnelli di 319milioni (come a dire un margine del 19%), è un’azienda alle scorrerie dei vari Colaninno e altri capitani coraggiosi) han- politicamente e sindacalmente meno sensibile, meno esposta e no fatto disperare in questi anni un esercito di piccoli e medi per questo alla fine,s’è deciso di cominciare da qui. A rendere la risparmiatori. In Francia, sul mercato finanziario e sui media, cessione più semplice, aprendo in pompa magna questa nuova per tutto il mese di novembre 2019, c’è stato lo stesso clima, la stagione – da qui l’agitazione generale dei media, degli addetti ai stessa agitazione, quasi un subbuglio tra banche, giornali, agen- lavori e l’entusiasmo del ministro dell’economia, Bruno Le Maire, zie pubblicitarie, ministeri e uffici pubblici. La ragione è identi- che si aspetta un ritorno massiccio dei prudentissimi risparmiaca. Dopo un ventennio, presidente l’ex banchiere d’affari (chez tori francesi, solo conti correnti e polizze vita, in Borsa – ha conRothschild) Emmanuel Macron, sono tornate le privatizzazioni. tribuito certamente il valore intrinseco della Française des Jeux Non con l’obiettivo di abbattere il debito pubblico (anche qui sta che non è solo un gioiellino del suo settore, primo operatore in sfiorando il 100%), ma di finanziare un gigantesco Fondo pubbli- Francia e secondo in Europa con un portafoglio di 85 “prodotti” co da 10miliardi di euro (è questo il target) che dovrà sostenere dal Gratta&Vinci alle scommesse on-line, ma un’azienda ben gel’innovazione, intelligenza artificiale e nuove tecnologie, insom- stita con una buona profittabilità e, soprattutto al riparo dal ciclo ma il futuro industriale del sistema Paese così come lo immagina economico (perché si gioca, anzi forse di più, anche nei periodi di la recente (approvata a ottobre) Loi Pacte, acronimo che già dice crisi), e quindi adattissima per i cassettisti, per l’investimento a tutto: Plan d’action pour la croissance et la transformation des lungo termine delle famiglie. In altre parole, ha spiegato in decine entreprises. Per fare tutto questo – modernizzare, innovare, dare di interviste il gran capo di FdJ, che è pure una donna (Stéphane nuovo ossigeno alla Francia dopo un decennio di crisi nera che ha Pallez, un’enarca che ha all’attivo la privatizzazione di Air France devastato interi distretti industriali, altro che l’Ilva di Taranto – lo e di Thompson elettronica) e anche questo aiuta, ci sono tutte le Stato ha deciso di vendere qualche suo gioiello, inaugurando una condizioni per “réconcilier l’actionnariat individuel avec la Bournuova stagione di privatizzazioni, termine che nel Paese di Col- se”, per spingere i francesi verso il capitale di rischio. 84

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QUI NEW YORK

di Glauco Maggi

TRE SORPRESE TRA LE AZIENDE LEADER DEL FUTURE 50

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Wall Street, dicembre è il mese in cui gli inve- come l’espansione stia evolvendo e se ci siano rischi recesstitori fanno il bilancio dell’anno che si chiude sivi», aggiunge Brian Rose, economista senior per le Ameri(e il 2019 è andato molto bene), ma soprattutto che. «Pensiamo che il ciclo del business negli Usa sia al suo guardano al futuro. E gli analisti rispondono sui stadio finale. La buona notizia è che l’economia può stare in due piani, macro-economico e micro-economi- questa ultima fase per un lungo periodo. I rischi per l’econoco, per soddisfare sia la curiosità sull’andamento generale mia stanno aumentando, ma in qualche misura il trend è in dei mercati, sia l’esigenza degli stock-pickers (investitori che rallentamento. Quindi siamo neutrali sulle azioni nella nostra vanno a caccia di singoli titoli). Per il primo aspetto abbia- allocazione tattica». mo scelto le previsioni di Ubs Usa, utili per chi investe attra- 2- Come capire se un’azienda ha un destino di successo? I riverso fondi ed Etf. Per il secondo riportiamo il risultato degli cercatori del Bcg Henderson Institute hanno esaminato più analisti del BCG (Boston Consulting Group), che compilano di 1000 azioni quotate mondiali con almeno 20 miliardi di il Future 50, un indice innovativo creato in partnership con dollari di capitalizzazione o 10 miliardi di fatturato negli ultila omonima rivista Fortune, che ha pubmi 12 mesi (alla fine del 2018). Il rating blicato l’ultima classifica sul numero di di ognuna è così determinato: il 30% sul novembre. potenziale di mercato, definito come la 1- Ubs Usa suggerisce in generale un crescita attesa futura dei profitti seconapproccio cauto sulle azioni, dopo che do i mercati finanziari; il 70% sulla casia quelle americane, sia quelle globali, pacità di centrare il successo di crescita hanno inanellato record su record nelnei prossimi 5 anni in rapporto al pole recenti settimane. «Siamo a favore di tenziale, espresso attraverso 19 fattori una posizione cauta sulle azioni, sul piaracchiusi in quattro macro- categorie: no globale, per tre ragioni principali», strategia (algoritmi per l’Intelligenza scrivono gli esperti della banca nel rap- MARK HAEFELE DI UBS WEALTH MANAGEMENT artificiale); tecnologia & investimenti porto agli investitori di fine novembre. (spesa in ricerca e sviluppo e high tech «La prima: il vero esito sui colloqui della guerra commerciale come vantaggi competitivi); personale (leadership giovane (di Trump con la Cina, ma non solo, n.d.r.) è difficile da pre- e diversa, con alti tassi di stabilità e di presenza femminile vedere. La seconda: vediamo un potenziale di delusione per nel management); struttura (tre anni e sei mesi di crescita gli annunci dei profitti delle corporation mondiali che non nel fatturato sono anticipatori di futura espansione, visti cioè sono ancora stati comunicati. La terza: il potenziale per un quali segnali di una impresa che si “rivitalizza”). Il total return sostegno fiscale o monetario globale appare limitato. Quin- per gli azionisti delle società comprese nel Future50 è lusindi, invece di focalizzarci sui guadagni delle azioni in genera- ghiero per i selezionatori di Bcg HI, essendo la crescita media le, preferiamo fare compravendite all’interno dell’universo nel 2018 risultata pari al 13,9%, contro il 10,1% dell’Msci azionario. Ci piacciono le azioni americane. Oltre al fatto che World Growth Index e il 7,6% dell’Msci World Index. Nella ci aspettiamo una crescita appropriata degli utili negli Usa, classifica delle 50 società per “vitalità” ci sono noti big, tipo pensiamo anche che il supporto della Federal Reserve possa Spotify (al quinto posto), Xiaomi (7), Salesforce (9), Alibaba aiutare a limitare le relative conseguenze negative sulle azio- (11), Twitter (13), Alphabet-Google (18), PayPal (24), Amani americane nel caso in cui il quadro economico peggioras- zon (31), Expedia (33), Accenture (46), Tesla (48), Facebook se», riporta Mark Haefele, responsabile investimenti di Ubs (49). Ma ai primi 3 posti troviamo nomi nuovi, scommesse su Global Wealth Management. I mercati Toro come l’attuale guadagni promettenti e rischi alti: Workday, Square, Service«raramente finiscono in assenza di una recessione. E noi mo- Now, tutte del comparto Information Technology. Quarto è un nitoriamo i fattori-chiave del ciclo del business per vedere titolo industriale, Contemporary Amperex Technology. dicembre 2019

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IL GIRO DEL MONDO IN 30 GIORNI

IL NODO DONGFENG SULLA FUSIONE FCA-PEUGEOT

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l presidente degli Stati Uniti Donald stimenti esteri negli Stati Uniti dell’ammiTrump è preoccupato per il progetto di nistrazione statunitense, soggetta alla confusione tra Peugeot Société Anonyme valida di Donald Trump stesso. Per evitare (Psa) e Fiat Chrysler Automobiles (Fca). Il il veto americano, e quindi non ostacolare problema, secondo l’emittente televisiva il progetto, il gruppo cinese sarebbe pronfrancese “Bfm tv”, è che Washington non to a rinunciare al posto nel consiglio di vede di buon occhio la presenza del grup- amministrazione; la direzione di Psa non po cinese Dongfeng all’interno dell’azio- ha voluto commentare. In cambio dell’unariato del futuro gruppo. Dongfeng, che scita dal cda però Dongfeng qualcosa lo avrà una partecipazione del 6,1%, attual- dovrà pure ottenere. Il problema di base mente ha due posti nel consiglio di ammi- è che la joint venture con Peugeot non ha raggiunto i risultati nistrazione di Psa, DONALD TRUMP NON VEDE sperati: ha venduto e potrà richiederne DI BUON OCCHIO LA PRESENZA solo 250.000 veicoli uno nel futuro cda contro un obiettivo della nuova società. DEL GRUPPO CINESE Ma secondo una NELL’AZIONARIATO DEL COLOSSO iniziale di un miliofonte dell’emittente ne. Voci dell’uscita francese «gli Stati Uniti non vogliono che di Dongfeng dalla capitale del PSA sono Dongfeng abbia accesso a delle informa- circolate l’estate scorsa, senza essere mai zioni sensibili riguardanti il mercato ame- smentite. Senza una presenza nel consiglio ricano. Un problema potenzialmente in di amministrazione della Peugeot-Fiat, la grado di far saltare l’intera operazione: il sua partecipazione non sarà più considematrimonio tra Peugeot e Fiat infatti deve rata strategica ma finanziaria. Il gruppo passare il vaglio del comitato per gli inve- cinese nel 2013 ha investito 800 milioni

di euro per salvare il produttore francese; la sua quota del 12,23% oggi vale 2,5 miliardi di euro. Secondo diverse fonti Dongfeng vuole valutare le proprie azioni vendendole. L’accordo tra Psa e Fca prevede inoltre che Dongfeng venderà il 2,5% del 6,1% che deterrà nel futuro gruppo nato dalla loro fusione.

L’ECONOMIA DI DUBAI NON ATTENDE EXPO PER CRESCERE: PIÙ 2,1% NEI PRIMI SEI MESI 2019 L’esposizione universale che inizierà a ottobre 2020 è una grande opportunità per l’economia di Dubai, che la ospita; ma l’emirato sta già ottenendo buoni risultati. Nei primi sei mesi del 2019 infatti il Pil è cresciuto di 208,2 miliardi di Aed (56,6 miliardi di dollari), facendo registrare un’espansione del 2,1% su base annua. Secondo il Dubai Statistics Centre, l’attività commerciale è cresciuta a un tasso reale del 3,3%. Anche il commercio con il resto del mondo è in crescita del 3% a 210

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miliardi di Aed. «La resilienza dell’economia dell’emirato e la struttura del settore commerciale hanno contribuito a una crescita costante nonostante il rallentamento nella regione e nel mondo», ha dichiarato Aref Al Muhairi, direttore esecutivo del Dubai Statistics Centre. Al Muhairi ha sottolineato che la solida infrastruttura logistica nell’emirato rappresenta un vantaggio competitivo per il settore delle imprese, in particolare nel settore del commercio, molto apprezzato anche dalle imprese estere.


IL GIRO DEL MONDO IN 30 GIORNI

ARGENTINA, FMI MANDA UN NEGOZIATORE “AMICHEVOLE”

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ll’indomani delle elezioni presidenziali che hanno visto la netta affermazione del candidato peronista Alberto Fernandez sul presidente uscente e candidato del centrodestra Mauricio Macri, il Fondo monetario internazionale ha nominato un nuovo capo missione in Argentina al posto dell’italiano Roberto Cardarelli. Si tratta del venezuelano Luis Cubeddu, attuale vicedirettore del dipartimento di ricerche dell’organizzazione con sede a Washington, già rappresentante del

VOLKSWAGEN CINA, 2 MLD SULL’ELETTRICO Il 40% degli investimenti del gruppo Volkswagen Cina nel 2020, pari a oltre 4,4 miliardi di dollari, saranno dedicati al passaggio alla mobilità elettrica. La compagnia con sede a Pechino utilizzerà quindi circa due miliardi del bilancio del prossimo anno nell’ambito della sua strategia di elettrificazione, riorganizzando due dei suoi principali stabilimenti produttivi in Cina per costruire nuovi modelli di veicoli elettrici. Il bilancio sarà destinato alle nuove attrezzature della struttura di Anting, nell’ambito della partnership Saic-Volkswagen, e della struttura di Foshan, nell’ambito della partnership Faw-Volkswagen. Il gruppo prevede di utilizzare entrambe le fabbriche per produrre esclusivamente diversi modelli di veicoli completamente elettrici per il mercato cinese e di utilizzare appieno la capacità di entrambe, di 600 mila unità, l’anno prossimo. Volkswagen Cina ha rivelato inoltre che la piena produzione di veicoli elettrici dovrebbe essere raggiunta entro ottobre del prossimo anno; entro il 2025 inoltre dovrebbero essere prodotti localmente 30 modelli elettrici. A oggi, in Cina, circa un quinto di tutti i veicoli venduti è prodotto dal gruppo Volkswagen.

Fmi in Argentina all’epoca del default del 2001. La sua non si presenta come una missione facile: si tratta di negoziare con il governo entrante del neopresidente Fernandez per la ristrutturazione delle scadenze del debito da 57,1 miliardi di dollari contratto nel giugno dello scorso anno, il

SI TRATTA DI LUIS CUBEDDU, OGGI VICEDIRETTORE DEL DIPARTIMENTO RICERCHE DEL FONDO MONETARIO

più importante in termini di volume mai concesso dall’istituzione multilaterale. Anche se va segnalato che gli analisti argentini, secondo il quotidiano “Ambito Financiero”, considerano questa nomina come un gesto “amichevole” da parte del direttore Kristalina Georgieva, con l’obiettivo di semplificare i negoziati. Nel World economic outlook presentato a ottobre, il Fmi prevede per l’Argentina una riduzione del Pil del 3,1% nel 2019 e un ulteriore calo dell’1,3% nel 2020. Sul fronte dell’inflazione l’istituto finanziario multilaterale prevede un aumento dell’indice dei prezzi del 57,3 per cento quest’anno, la terza inflazione più alta al mondo, e del 39,2 per cento nel 2020. Unico miglioramento previsto è quello relativo al deficit della bilancia dei pagamenti che passerà secondo il Fmi dal 5,3 del Pil al 1,2% quest’anno. dicembre 2019

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IL GIRO DEL MONDO IN 30 GIORNI

I CINESI EMIGRANO DAL 4 AL 5G E IL MERCATO DEI CELLULARI LO DIMOSTRA GIÀ

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ei primi dieci mesi del 2019 le spedizioni cinesi di telefoni cellulari sono scese del 5,8 per cento rispetto al 2018 a 323 milioni di unità. È quanto emerge da un rapporto dell’Accademia cinese per l’informazione e comunicazione tecnologica. Nel mese di ottobre le spedizioni sono diminuite del 6,7 per cento su base annua, a 35,96 milioni di unità. Mercato fiacco, dunque, che però presenta l’inizio di una nuova rivoluzione tecnologica: le spedizioni cinesi di smartphone 5G infatti sono quadruplicate a ottobre a quota 2,49 milioni, e si prevede che questi telefoni guideranno l’intero settore elettronico nel paese il prossimo anno. Esperti del settore hanno affermato che la forte domanda di smartphone 5G porterà le spedizioni e il settore elettronico a

un nuovo massimo, e che l’era dei telefoni 5G decollerà nel paese a partire dall’anno prossimo. «La Cina ha già iniziato a implementare le reti 5G e l’enorme scala di mercato che porterà all’intera industria farà del 2020 l’anno di lancio del 5G», ha affermato Peter Richardson, direttore della ricerca di Counterpoint Research. Un rapporto ha previsto che oltre cento milioni di smartphone 5G verranno spediti in Cina nel 2020 e Guotai Junan Securities ha dichiarato che un gran numero di consu-

ROTTA TRANSCASPICA, SI FA SUL SERIO

matori passerà ai telefoni 5G il prossimo anno. China Mobile, il più grande operatore di telefonia mobile della nazione, ha dichiarato di voler vendere cento milioni di smartphone 5G l’anno prossimo.

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n accordo per rafforzare ed espandere il traffico merci dall’Europa verso l’Asia Centrale e la Cina attraverso la rotta di trasporto internazionale transcaspica. L’hanno firmato l’ente di gestione del porto di Baku, il gruppo austriaco Obb Rail Cargo Group e Cabooter Group. Alla cerimonia della firma nella capitale dell’Azerbaigian erano presenti il ministro dei Trasporti austriaco, Andreas Reichhardt, e l’ambasciatore della Repubblica dell’Azerbaigian in Austria, Galib Israfilov. Le parti hanno deciso di rafforzare i collegamenti tra le reti di trasporto merci europee esistenti e gli hub logistici in Europa con il porto di Baku. «Il protocollo d’intesa firmato segna una nuova iniziativa strategica del gruppo Rail Cargo, ampliando la sua presenza verso l’Asia Centrale e la Cina. Il porto di Baku svolgerà un ruolo chiave nello sviluppo dell’iniziativa. Prevediamo che a breve la rotta menzionata sarà molto efficiente in termini di tempi e volumi del trasbordo di merci» ha affermato Reichhardt. «L’accordo con il nuovo partner, il gruppo austriaco Obb Rail Cargo, è una pietra miliare importante nell’espansione del corridoio di trasporto da ovest a est dai centri logistici più trafficati d’Europa nei Paesi Bassi, come Venlo, e dalla Germania a Turchia (Istanbul), Azerbaigian (Baku), Asia Centrale e in seguito in Cina» ha osservato il direttore generale del porto di Baku, Taleh Ziyadov. Situato nel cuore del continente eurasiatico, il porto di Baku funge da ponte naturale tra l’Unione europea, l’Asia Centrale e la Cina. 88

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LA BANCA DI ORANGE SEDUCE GLI SPAGNOLI

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onti di risparmio con un limite di 20mila euro e un interesse dell’1 per cento, in un mercato nel quale il prezzo del denaro è a zero e i tassi di interesse delle banche tendono a non compensare le spese. Li propone Orange Bank, la prima banca solo mobile in Spagna, ai clienti Orange, ovvero che dispongono di almeno una linea mobile o a banda larga dell’operatore francese. Non solo: il nuovo sistema bancario online dell’operatore di telecomunicazioni consente di aprire conti corrente, richiedere crediti ed effettuare pagamenti senza commissioni tramite il cellulare. Si può avere una carta di debito Mastercard e anche effettuare trasferimenti senza commissioni. Con la carta puoi ottenere denaro gratis tre volte al mese presso qualsiasi bancomat di qualsiasi banca nell’area dell’euro. La società prevede di estendere progressivamente questi servizi iniziali, con nuovi prodotti come prestiti fino a 10mila euro o prestiti ipotecari o addebiti diretti. La redditività si baserà proprio su piccoli prestiti finanziari al consumo a un tasso di interesse competitivo, come ha spiegato la responsabile della nuova filiale spagnola Narciso Perales Dominique, che in precedenza era direttore della trasformazione digitale presso Bankinter.


IL GIRO DEL MONDO IN 30 GIORNI

ALLERTA BUNDESBANK SUI RISCHI DEL CREDITO

L PILLOLA AVVELENATA PER LA LAGARDE

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a neo-presidente della Banca centrale europea Christine Lagarde è stata consulente aziendale, tra il 2003 e il 2005, di due società di proprietà dello studio legal Baker & Mckenze con sede nelle Isole Bermuda, il piccolo territorio nell’Atlantico al largo della costa orientale degli Stati Uniti inserito nella lista nera dell’Unione Europea (Ue) dei paradisi fiscali. Lo ha scritto il quotidiano spagnolo El Pais. La presidente apparteneva anche al consiglio di amministrazione di una società collegata alla stessa società internazionale nella Repubblica di Singapore, un paese protetto dal segreto bancario e classificato ottavo nella lista dei 64 paradisi fiscali dell’organizzazione Tax Justice Network, come hanno confermato al quotidiano fonti vicine alla società. «Lagarde non aveva alcun interesse economico nell’attività di Law in Context Ltd (la holding di Baker & McKenzie, n.d.r.) oltre l’importo minimo di qualsiasi altro partner Baker & McKenzie. In ogni caso, ha perso quell’interesse minimo quando ha lasciato l’ufficio per accettare una posizione nel governo francese», hanno affermato fonti vicine al presidente della Bce al quotidiano spagnolo. Lagarde è stata partner fino a giugno 2005 dello studio legale internazionale Baker & McKenzie, che controllava la società Law in Context Ltd di Bermuda, una holding in cui la neopresidente della Bce figurava come direttore.

a Bundesbank mette in guardia dai rischi del credito per il sistema finanziario tedesco, alla luce del rallentamento dell’economia e dei bassi tassi di interesse attuati dalla Banca centrale europea. «Un’improvvisa crisi economica e un brusco aumento dei premi per il rischio potrebbero rendere sensibile il sistema finanziario tedesco», ha dichiarato la vicepresidente della Bundesbank, Claudia Buch, alla presentazione del rapporto sulla stabilità finanziaria redatto dalla banca centrale della Germania. Alla base delle preoccupazioni della Bundesbank c’è il fatto che la Bce ha “nuovamente consolidato la sua politica sui tassi di interesse a zero”. Inoltre le guerre commerciali e l’incertezza relativa alla Brexit stanno offuscando le prospettive per l’economia tedesca. «I bassi tassi di interesse stanno premendo sui margini di interesse delle banche, mettendo a rischio la loro redditività e stabilità finanziaria», ha affermato Joachim Wuermeling, membro del consiglio di amministrazione della Bundesbank e responsabile della vigilanza bancaria. Secondo il quotidiano Handelsblatt gli esperti della banca centrale tedesca temono che gli istituti di credito concedano sempre più prestiti rischiosi. In caso di recessione, le banche potrebbero quindi essere gravate da svalutazioni e inadempienze sui prestiti.

TRUMP «APRE» ALLA RICHIESTA DI APPLE DI NON PAGARE PEGNO AI DAZI CONTRO LA CINA

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amministrazione Trump sta valutando se esentare Apple dalle tariffe che gravano sulle merci importate dalla Cina. Lo ha affermato lo stesso presidente degli Stati Uniti dopo una visita a uno stabilimento industriale di Austin, nel Texas, che produce computer del colosso di Cupertino, dove gli ha fatto da guida Tim Cook. L’ad di Apple vanta buone relazioni personali con il presidente, e punta a ottenere sollievo per la sua azienda dai dazi a carico delle merci cinesi. «Il problema è che abbiamo a che fare con Samsung. È una grande azienda, ma una concorrente di Apple, e non è giusto, perché abbiamo un accordo con la Corea – abbiamo raggiunto un grande ac-

cordo commerciale con la Corea del Sud – ma dobbiamo trattare Apple su una base simile a quella di Samsung», ha spiegato il presidente. Apple ha annunciato lo scorso settembre che assemblerà i suoi computer Mac Pro presso uno stabilimento ad Austin, nel Texas. L’annuncio è giunto dopo che i regolatori del commercio Usa hanno

approvato 10 delle 15 esenzioni dalle tariffe sulle merci cinesi richieste dal colosso dell’elettronica di Cupertino. Nel frattempo una telefonata tra il segretario del Tesoro americano Steve Mnuchin e il vicepremier cinese Liu He sembra aver sbloccato lo stallo sulla cosiddetta fase uno dell’accordo commerciale tra Stati Uniti e Cina. Nel corso della conversazione è emersa la volontà di entrambe le parti di risolvere le questioni ancora aperte e di chiudere al più presto l’intesa. L’annuncio di Donald Trump del colloquio con Xi Jinping è un altro segnale di riavvicinamento fra le parti. Un clima di riavvicinamento su cui pesano però le posizioni Usa sulla rivolta di Hong Kong.

Il giro del mondo in 30 giorni è a cura di Riccardo Venturi dicembre 2019

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IMMOBILIARE IL RESTYLING DELL’ARGONAUTA

Il brutto anatroccolo è diventato cigno di Angelo Curiosi

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er anni è stato poco affettuosamente definito “il palazzo più brutto di Roma”. Ma il grandissimo complesso dell’Argonauta – un edificio multifunzionale da 75 mila metri quadrati nel quartiere Ostiense della capitale – è stato protagonista di una palingenesi degna del brutto anatroccolo diventato cigno. Un rinnovamento tale da non far pensare alla malconcia Roma ma a una città della Mitteleuropa. Grazie alla virtuosa confluenza di molte volontà concordi e a una forte consulenza legale e finanziaria, quella del team Legal di Rsm Studio Palea Lauri Gerla, che ha reso possibile l’operazione di finanziamento, 65 milioni di euro, finalizzata all’acquisizione della completa titolarità del complesso. È una storia che merita rilievo proprio per questo: il concetto di rinnovamento urbano calato con successo su un centro direzionale e su uno stabile in cattivo stato ma ancora suscettibile di rilancio. A guidare il progetto, la società Briseide S.r.l., che fa capo al gruppo Valle Giulia di Alessandra Armellini, proprietaria e immobiliarista romana. L’ex palazzo “più brutto” ha oggi una nuova veste, moderna, funzionale ed ecosostenibile, grazie a un restauro a tutto tondo attuato dal Ceo Massimo Tarquini, coadiuvato dalla progettista Isabelle M. Rizk, che ha interessato l’intero assetto dell’edificio e che gli ha conferito un nuovo volto, a partire dall’impianto fotovoltaico di facciata, il più grande nell’area metropolitana di Roma e uno dei più grandi in Italia. Oggi 657 moduli in silicio rivestono tutto il fronte esposto al Sud del palazzo e soddisfano, insieme ai pannelli ubicati sulle pensiline dell’area parking, l’intero fabbisogno energetico dell’edificio, producendo annualmente 622 megawatt. E il risparmio in termini di CO2 è stimato in circa 170 tonnellate per anno. «Nuove idee, architettura, finanza, economia d’impresa, sostenibilità: un mix che ha trasformato un atavico problema in una grande opportunità, per la società detentrice del complesso, le aziende e le persone che fruiscono del bene e la cittadinanza tutta», spiega l’avvocato Marco Carlizzi, head del Legal Department di RSM Studio Palea Lauri Gerla, ufficio di Roma, che ha guidato il team di professionisti, conposto dagli avvocati Francesca Taviano ed Emidio Tedeschini, che hanno assistito il cliente nell’operazione. «Siamo davvero soddisfatti del buon esito della nostra assistenza, anche in qualità di cittadini di Roma». In effetti molto del merito va all’approccio imprenditoriale di ampio respiro e lungo termine adottato dalla proprietà. Il gruppo Valle Giulia ha voluto armonizzare la sua struttura con gli altri interventi vissuti da quel quadrante capitolino quali la nuova sede dell’Università di Roma Tre, la Nuova 92

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Accademia di Belle Arti, il Talent Garden e la prevista mega riqualificazione degli Ex Mercati Generali, realizzando egregiamente un complicato connubio tra modernità, sicurezza, tutela dell’ambiente e pregio architettonico. Un progetto fortemente voluto e pensato da Tarquini, che da sempre affianca e supporta la proprietà, Alessandra Armellini, nel compito di rilancio e valorizzazione del Gruppo Valle Giulia. Quest’approccio trova riscontro, oltretutto, in un grande progetto culturale complementare: l’Argonauta-Design Crew, cioè un programma di architettura, design e urban art sempre ideato da Valle Giulia con l’art direction di Thirtyone Design (studio multidisciplinare attivo in tutto il mondo con sedi a Roma e a Londra) che ogni tre mesi rivisiterà gli spazi interni ed esterni dell’edificio con un’opera “site specific”. Nel programma troveranno spazio anche le idee degli studenti di architettura, design e arti applicate, invitati a elaborare progetti per gli spazi indoor e outdoor del Centro direzionale. Il tutto a configurare una sorta di economia circolare in cui il privato riqualifica gli spazi e li mette a disposizione della cittadinanza la quale partecipa attivamente nella destinazione degli stessi. «La nostra capacità di mediare tra i contrapposti interessi familiari», chiosa Carlizzi, «ha aiutato il nostro cliente a presentare un progetto credibile agli investitori. E grazie alla perseveranza di Alessandra Armellini, Massimo Tarquini e del Gruppo Valle Giulia, la città di Roma ha un nuovo simbolo della modernità di cui essere orgogliosa». «Da anni ci affidiamo alla competenza degli Avvocati del Legal Department di RSM–Studio Palea Lauri Gerla», commenta di rimando Tarquini, «ed anche in questa occasione ci hanno accompagnato e sostenuto con impeccabile professionalità e dedizione nella realizzazione di un progetto che, solo due anni fa, sembrava a dir poco utopia».


IMMOBILIARE

I CONSIGLI DI DUE AVVOCATI SPECIALIZZATI

Aste immobiliari, guida pratica per poter gareggiare informati di Giuseppe D’Orta

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n acquisto in asta giudiziaria raramente è scandito soltanto dal deposito dell’offerta e dalla dichiarazione di aggiudicazione. Nella maggior parte dei casi, infatti, esso passa per lo svolgimento di una gara tra più offerenti, ed è proprio per affrontare questa importante fase che gli interessati non ricevono una adeguata informazione. Negli avvisi di vendita si fa solitamente cenno alla disciplina sulla gara, ma dalla quotidianità emerge che tali indicazioni sono insufficienti a sopire dubbi e incertezze di chi partecipa, o vorrebbe partecipare, a un’asta immobiliare. Come spiegano gli avvocati Emma Iocca e Raffaella Chiappetta, dell’omonimo studio legale, impegnati nelle vendite giudiziarie anche in qualità di professionisti delegati e di curatori fallimentari. Proviamo quindi, con il loro aiuto, a fare chiarezza su alcune delle perplessità più frequenti. Quali suggerimenti si possono dare a chi intenda partecipare a un’asta? Innanzitutto l’investitore deve tenere a mente che una volta depositata l’offerta di acquisto questa non potrà più essere ritirata. E che se pure non dovesse presentarsi alla gara, il delegato può reputare la sua offerta come la migliore tra quelle ricevute e dichiararlo aggiudicatario, con conseguente obbligo di pagare il prezzo pena la confisca della cauzione. Nel caso in cui l’investitore presente dovesse essere l’unico offerente e la sua offerta risultare valida e regolare, poi quasi di sicuro verrà dichiarato aggiudicatario senza che sia necessario, come erroneamente si ritiene, un ulteriore rilancio. Che è obbligatorio nella vendita con incanto, una modalità quasi del tutto in disuso. Al contempo non bisogna dare per scontato che se c’è un unico l’offerente, questi si aggiudichi sempre il bene. Ciò potrebbe non accadere, per esempio quando la sua è un’offerta minima - cioè inferiore di non oltre un quarto il prezzo base d’a-

sta - e un creditore intervenuto nel processo abbia presentato un’istanza di assegnazione che, non potendo essere inferiore al prezzo base d’asta, è da preferire perché più conveniente. In questo caso peraltro la legge non prevede la disputa della gara tra il creditore istante e l’offerente, per cui l’immobile viene necessariamente assegnato al primo. In caso di deposito di più offerte d’acquisto, qualora un offerente fosse assente il giorno della gara, perderebbe la cauzione? Bisogna distinguere se gli offerenti abbiano preventivamente aderito o meno alla gara indetta: nel primo caso l’offerente assente verrà “salvato” dall’adesione degli altri e quindi si vedrà restituire la cauzione; nel caso in cui invece gli offerenti non abbiano aderito alla gara, all’assente verrà trattenuta la cauzione solo nel caso in cui la sua risultasse la migliore offerta e venisse quindi dichiarato aggiudicatario senza poi provvedere a versare il saldo. Stesso discorso anche nel caso in cui l’assente sia anche unico offerente.

Qualora l’aggiudicatario non paghi il prezzo, il bene può essere aggiudicato al secondo miglior offerente? Sebbene in alcuni Tribunali ciò sia accaduto una tale scelta è palesemente contra legem. L’ipotesi non è infatti prevista dal codice e con la decadenza dall’aggiudicazione l’esperimento di vendita deve considerarsi esaurito. E’ inoltre da escludere che il giudice, e men che meno il delegato, abbiano il potere di aggiudicare l’immobile ad altri offerenti, neppure se questi sono disposti a pagare il prezzo della prima offerta. Chiudiamo con un ultimo chiarimento: nel sistema attuale, l’aggiudicazione è ormai sempre definitiva e non più “provvisoria” - cioè superabile con ulteriori offerte in aumento di un quinto - perché è una possibilità prevista per la vendita con incanto che, come detto, ha lasciato il posto alla modalità senza incanto. dicembre 2019

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IMMOBILIARE REAL ESTATE

Piccoli immobiliaristi crescono col crowdfunding

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siste una forma d’investimento immobiliare accessibile anche ai piccoli risparmiatori. Si chiama real estate lending crowdfunding, viaggia su internet ed è possibile accedervi con soli 500 euro. La propone Recrowd.com, la piattaforma lanciata alla fine dell’estate 2019 che innova la raccolta di capitali nel settore real estate. L’investitore non compra quote dell’operazione, ma investe a fronte di un rendimento stabilito fin dal principio e nettamente più alto rispetto alle tradizionali forme d’investimento. Ne beneficiano anche gli operatori del settore che possono raccogliere fino a 8 milioni di euro per singolo progetto e gestire in modo veloce e sicuro i processi burocratici. Nata nel 2018, Recrowd è entrata a far parte nel febbraio 2019 di Speed MI Up, l’incubatore d’impresa di Università Bocconi e Camera di Commercio di Milano che aiuta le startup innovative e svolge attività di networking con potenziali investitori e partner. Il progetto è stato presentato ufficialmente a Riccione nel marzo 2019 durante l’evento Investitori Digitali. Contemporaneamente, è stata lanciata una campagna di equity crowdfunding su Opstart. È stato messo sul mercato il 13% di Recrowd, per un valore pre money di 3 milioni di euro. La campagna ha raccolto oltre 400mila euro, otto volte il minimo previsto. I due eventi milanesi “Il mattone diventa smart”, che si sono tenuti in maggio e giugno a Palazzo Giureconsulti e Copernico Isola For S32, hanno rafforzato la brand awareness e introdotto il pubblico ai vantaggi del real estate lending crowdfunding. A differenza delle altre piattaforme, Recrowd offre alle aziende immobiliari la possibilità di scegliere quattro tipologie di progetto, differenti per rischio, capitale minimo, durata e rendimento, per valorizzare al meglio i capitali degli investitori e adattarsi il più possibile 94

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SONO SUFFICIENTI 500 EURO PER ADERIRE ALLA PROPOSTA DI RECROWD.COM: L’INVESTITORE NON COMPRA QUOTE DELL’OPERAZIONE IMMOBILIARE, MA INVESTE A FRONTE DI UN RENDIMENTO STABILITO FIN DAL PRINCIPIO

ai loro profili di rischio. I progetti immobiliari proposti sulla piattaforma hanno un ottimo rapporto rischio/rendimento grazie alla selezione di partner altamente specializzati nella consulenza fiscale, legale e nella gestione di servizi immobiliari e grazie ad azioni di due diligence sulle società immobiliari proponenti i progetti. Inoltre Recrowd è la prima piattaforma di crowdfunding immobiliare ad avere inserito un modulo di “trattativa personalizzata” per far negoziare il rendimento sul progetto direttamente tra l’azienda che lo propone e l’utente investitore. Il team di Recrowd è composto da figure con esperienza ventennale nel mercato immobiliare, negli investimenti, nel mondo bancario, nel digitale: Gianluca De Simone, Simone Putignano, Massimo Traversi, Maxx Mereghetti, a cui si sono aggiunte in un secondo tempo le partecipazioni strategiche di Claudio Citizia (Ceo, LuxforSale) e Maurizio Bellante (Ceo, MBHolding). Secondo Wall Street Italia, nel nostro paese ci sono quasi 1200 miliardi di euro fermi nelle banche. I risparmiatori non investono perché non sono soddisfatti dai tassi di interesse, perché non si fidano dei canali tradizionali, perché non conoscono alternative. L’obiettivo di Recrowd è conquistare la loro fiducia rendendo l’investimento immobiliare accessibile e smart.


INVESTIMENTI ESTERI IN COLLABORAZIONE CON

La nuova zona franca d’Italia è diventata l'Albania

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IMPOSTE SUL PROFITTO AL 5% (MA NIENTE TASSE FINO AI 40MILA EURO), COSTO DEL LAVORO MOLTO BASSO E INCENTIVI PER CHI PUNTA SUL TURISMO: IL PAESE BALCANICO ACCELERA NELLA STRATEGIA DI ATTRAZIONE DI INVESTIMENTI ESTERI

uando 13 anni fa arrivai in Albania, mi resi subito conto che questo Paese era completamente diverso da come noi italiani lo immaginiamo. Ed ho scoperto che gli albanesi sono persone stupende». Le parole di Roberto Laera (nella foto), 48 anni, fondatore di Italian Network, Job in Albania e Albania Investimenti società che si occupano di consulenza all’internazionalizzazione delle imprese, fiscalità, contabilità, ricerca e selezione del personale e società fiduciarie, supporta le imprese italiane che guardano con curiosità all’altra sponda dell’Adriatico. L’Albania è un luogo ideale in cui investire: il sistema fiscale e il costo del lavoro nel Paese delle Aquile sono infatti ad un livello decisamente abbordabile. Ci sono più di 5000 imprese italiane che hanno aperto sedi e attività di vario genere a Tirana. Abbiamo un paradiso fiscale dietro l’angolo ma in pochi se ne sono accorti. E il Paese, in pieno boom economico, offre ampi spazi per investimenti. Il 2019 sta aggiungendo cifre nuove e rilevanti anche sul versante strategico della fiscalità d’impresa: le ultime misure di politica fiscale vedono l’imposta sul profitto diminuire di tre volte, dal 15% al 5%: per le imprese con fatturato fino a 14 milioni di Lek (circa 113 mila euro); fino a 40.000 euro di reddito si pagano zero tasse. L’imposizione sui dividendi diminuisce dal 15% all’8%, per oltre 15.000 società o circa 50.000 investitori azionari. Novità anche sul fronte Iva: che viene ridotta al 6% per i servizi di alloggio e ristorazione all’interno delle strutture turistiche e delle imprese agrituristiche; ma anche alla vendita di libri e all’ importazione di autobus elettrici. Completamente esenti da Iva sono, tra l’altro, l’importazione di macchine e gli investimenti in energia rinnovabile. I contributi previdenziali arrivano al 16%. Il costo del lavoro è molto basso e i contratti sono flessibili: si può licenziare con preavviso verbale di 72 ore, si possono fare assunzioni verbali con formalizzazione entro i 30 giorni. Lo stipendio base va dai 250 ai 350 euro. «Turismo e agroindustria sono aree di business prioritarie nella strategia-Paese Albania: entrambe muovono lo sviluppo immobiliare e sollecitano la crescita infrastrutturale del Paese», sottolinea Laera. Il governo ha varato incentivi a chi punta sul settore turistico: chi investe più di un milione di euro o realizza strutture a quattro o cinque stelle, non paga tasse per 10 anni. Nel settore tessile chi produce in conto terzi può sfruttare agevolazioni

sull’accise, sul costo del gasolio per i trasporti e sulle tasse sui lavoratori. Laera non ha dubbi: «I settori su cui puntare sono: manifatturiero, turismo, servizi, information-technology e agroalimentare». Tra gli altri vantaggi, la crescita media del Pil del 5,1 per cento negli ultimi 9 anni, la forza lavoro qualificata, il trattato sulla doppia imposizione con l’Italia, il livello di istruzione superiore alla media Ue, la lingua italiana parlata da buona parte della popolazione, i forti incentivi da parte del Fmi e Bce per le iniziative imprenditoriali, la presenza di banche internazionali (Raiffaisen, Societè Generale, Pro-Credit) e italiane (Banca Intesa). info@italian-network.net - http://www.italian-network.net https://albaniainvestimenti.com - https://www.jobinalbania.com

DIECI MOTIVI PER INVESTIRE 1. Tassa sugli utili al 5%; 2. Crescita media del PIL del 5,1% (negli ultimi 9 anni); 3. Costo della manodopera più basso d’Europa (€. 250 al mese per un operaio contributi inclusi); 4. NO criminalità (al 54° posto della classifica mondiale del Crime Index, molto dopo Napoli, Catania, Torino, Roma, Parigi); 5. Lingua italiana parlata da buona parte della popolazione; 6. Forte presenza di aziende italiane (oltre 5000 già

presenti nel Paese); 7. Forza lavoro qualificata in numerosi settori (manifatturiero, costruzioni, IT, Servizi, Call Centre); 8. Forti incentivi da parte del FMI e BCE per le iniziative imprenditoriali; 9. Presenza capillare di banche internazionali (Raiffaisen, Societè Generale, Pro-Credit) e italiane (Banca Intesa); 10. Paese in pieno boom economico con ampi spazi per investimenti in vari settori (PIL 2018 +4,1%)

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FASHION BLACK FRIDAY

Consumare meno e meglio? Intanto è boom per le vendite online di Fabiana Giacomotti

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l boom delle vendite online, con ritiro in negozio, dell’ultimo Black Friday - circa 20 per cento in più rispetto allo scorso anno negli Stati Uniti, resse a non finire nei negozi “fisici” in Italia ma anche un incremento delle vendite online soprattutto per Amazon, con ritmi da 37 ordini al secondo - ci ha fatto pensare non solo all’effettivo e progressivo rafforzamento di quel fenomeno, sconosciuto fino a qualche anno fa, che si chiamava multichannel, ma anche al progressivo sfasamento temporale e affettivo del mondo occidentale nei confronti dei consumi, espressione ultima, visibile e definitiva del capitalismo vecchia maniera.

Da una parte noi europei, e in parte anche noi italiani, vorremmo consumare meno e meglio (perfino agli ultimi Fashion Awards di Londra si veniva accolti dalla scritta “you look great, wear it again” cioè “stai benissimo, indossalo ancora”, ovvero l’opposto della filosofia fast fashion in cui è cresciuta l’ultima generazione). Dall’altra non riusciamo a resistere a quel meraviglioso giro di saldi pre-natalizio che abbiamo importato da Oltreoceano senza neanche l’obbligo di consumare prima il tacchino di Thanksgiving. Schiacciati tra il senso di colpa e la gioia, nell’ultimo week end di novembre abbiamo comprato perlopiù gadget elettronici, quegli oggetti che ci diciamo saranno tanto utili anche al nonno e a Mattia, salvo non sapere come smaltirli l’anno successivo, ma anche casse di acqua minerale. Amazon ce la consegnava a casa gratuitamente, ne abbiamo fatto una scorta in vista delle lunghe vacanze di Natale, quando arrivano i parenti dai luoghi in cui l’acqua 96

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SOFFRE INVECE QUEL SISTEMA FONDATO SUI NEGOZI MONOMARCA E IN PARTICOLARE MULTIMARCA DI MODA E DI ACCESSORI CHE SONO SEMPRE PIÙ DESOLATAMENTE VUOTI

del rubinetto è buona e non possiamo rifilare loro quella bianca di cloro dell’acquedotto cittadino. Mentre l’Acqua Sant’Anna naturale, vincitrice del Black Friday contest, ringrazia e mentre iniziamo a divertirci meno con il thriller pubblicitario che Yoox va diffondendo da settimane sulle reti televisive generaliste per rafforzarci nella convinzione che comprare moda sia ancora un atto trasgressivo (“your partner in crime” è un pay off divertente la prima volta in cui vediamo la tipa arrestata per aver acquistato re-


FASHION golarmente una borsetta online, già la seconda ci pare di troppo e neanche divertente), ci pare evidente che il settore del retail sia a un bivio: da una parte le vendite online, sempre più scontate, dall’altra i negozi monomarca e soprattutto plurimarca di moda e accessori sempre e desolatamente più vuoti. Nei giorni del Black Friday, abbiamo assistito alle lamentele pubbliche dei commercianti che avevano aderito al Black Friday ma avrebbero dovuto pagare gli affitti che invece non fanno Black Friday: in Italia, anche in questo 2019 politicamente micidiale, lo shopping ha tenuto fino a settembre soprattutto grazie al turismo straniero, che ha portato a una crescita del 7 per cento, ma gli italiani latitano alle casse. Troppe incertezze politiche, l’aumento dell’Iva paventato fino all’ultimo minuto, ma soprattutto una diversa sensibilità nei confronti degli acquisti di beni che un tempo si definivano voluttuari, hanno cambiato la nostra disponibilità allo shopping. Beninteso, questo sentiment riguarda quasi esclusivamente il mondo occidentale che si trova esposto all’economia di mercato e alla crescita dei consumi da quasi due secoli, ma anche nei Paesi emergenti, il tema della sostenibilità e dell’etica dei consumi iniziano a trovare ascoltatori attenti, soprattutto tra i giovani.

Farsi cogliere per strada carichi di pacchetti non è più segno di benessere, ma di insensibilità, e anche questa è una chiave per capire il boom dell’online, guilty pleasure, piacere proibito di noi consumatori sempre più frastornati, con gli armadi sempre e ancora pieni nonostante i nostri volenterosi tentativi di vendere il surplus sulle piattaforme vintage. Capirete bene che, in una situazione come questa, chi debba investire settanta-centomila euro all’anno di affitto per qualche decina di metri quadri di negozi anche in una zona semi-centrale delle città (via Montenapoleone, a Milano, costa 13.700 euro al metro quadro all’anno) ormai ci pensa due volte. Dunque, mentre i negozianti fanno dolorosamente i conti con le nostre incertezze e qualcuno cerca di applicare la formula compri online-ritiri in negozio aderente a qualche

IL TEMA DELLA SOSTENIBILITÀ E DELL’ETICA DEI CONSUMI INIZIA A TROVARE ASCOLTATORI ATTENTI SOPRATTUTTO TRA I GIOVANI. FARSI COGLIERE PER STRADA CARICHI DI PACCHETTI NON È PIÙ UN SEGNO DI BENESSERE MA DI INSENSIBILITÀ

Nella foto a destra Ross Bailey, fondatore della piattaforma Appearhere. Nella pagina accanto la foto è di Federico Marchetti, fondatore e ceo di Yoox Net-A-Porter

marketplace importante (in Sicilia, i leader del sistema sono diventati i Giglio di Palermo, a Milano) dalla Gran Bretagna sta espandendosi a macchia d’olio la formula della boutique in formula airbnb.

La piattaforma, già diffusa anche negli Stati Uniti e in Francia (che nel lusso significa solo Parigi), si chiama Appearhere. Potete trovarla online, insieme con tutta la storia del suo fondatore, il giovane Ross Bailey che nel 2013, in occasione del Giubileo di diamante della Regina Elisabetta II, riesce ad affittare un negozio dalle parti di Covent Garden per vendere t-shirt dedicate all’evento e scopre che la metà dei suoi clienti è più interessato a capire come abbia fatto a procurarsi così facilmente quei metri quadri di prestigio che alle magliette. Stante il desiderio di molti stilisti e new ventures di testare i propri prodotti e le proprie collezioni senza rischiare troppo, il business di Ross Bailey sta diventando un caso mondiale: al momento, tra i suoi 125mila clienti compaiono Netflix, Ynap (cioè Yoox Net-à-Porter), Coca Cola, Kanye West), oltre a una pletora di proprietari di “luci” che non potrebbero mai gestire in autonomia un via vai così imponente, predisponendo non solo gli spazi, ma anche gli arredi di base e i necessari contratti. Al momento, l’Italia non pare nella lista, forse a causa della leggendaria (in negativo) burocrazia locale e della fordicembre 2019

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FASHION Nella foto Vittorio Radice, vice presidente de La Rinascente

I NEGOZIANTI FANNO DOLOROSAMENTE I CONTI CON LE INCERTEZZE DEL MERCATO E QUALCUNO CERCA DI APPLICARE LA FORMULA COMPRI ONLINE E RITIRI IN NEGOZIO ADERENDO A MARKETPLACE

mula piuttosto mobile e come si dice “esperienziale” di multimarca quali Luisaviaroma e department stores come La Rinascente, ma la tipologia dell’esposizione e acquisto temporanei, ogni volta un evento e una sorpresa, sta toccando territori e settori fino a oggi inesplorati, come l’editoria. Condé Nast ha infatti annunciato l’apertura a Milano, negli spazi al pianterreno della sede di piazzale Cadorna, del suo primo experience store: Frame Condé Nast. In programma anche i corsi della Cucina Italiana e l’opportunità di consultare l’archivio digitale del gruppo. Al debutto di questa formula moderna e in realtà antichissima di promozione editoriale (così nacque, verso la metà dell’Ottocento, la A. Manzoni, oggi concessionaria di pubblicità del gruppo Gedi), mancano poche ore.

IL BLACK FRIDAY FA FELICI LE STAR DELL’E-COMMERCE USA

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ultimo black friday è stato la conferma che i big dell’ecommerce stavano aspettando: il nuovo record nella nazione-guida del digitale, gli Stati Uniti. E record è stato: le vendite on-line negli Usa hanno raggiunto il massimo di tutti i tempi, cioè quota 7,4 miliardi di dollari. Ma questo boom è stato fatalmente bilanciato da un calo delle vendite nei negozi tradizionali al dettaglio di ben il 6 per cento. Niente di cui stupirci. Da anni il black friday – chiamato così perché è il giorno in cui i negozi vanno finalmente in nero, cioè attivo, dopo quasi 11 mesi di perdite! - è uno dei più grandi giorni di shopping del calendario. Si tratta quindi di un utile barometro dello stato del settore retail tradizionale. Che è inversamente proporzionale alla crescita dell’e-commerce. Ma non per tutti. I retailer fisici che sanno evolvere e offrire ai clienti esperienze capaci di coinvolgerli, non solo resistono all’offensiva di Amazon e dei suoi fratelli nell’ecommerce na addirittura crescono. E’ il caso dei Target’s Disney Stores. Oppure sopravvivono e crescono i negozi che offrino i servizi legati alla fisicità e alla prossimità, come le società di consulenza immobiliare Home Depot e Lowe’s, che stanno tenendo testa a tutti. Ma i negozi che invece restano ancorati alle formule classiche e non sono in grado di far meglio di Amazon in termini di prezzo o di assortimento prodotti - in particolare, i grandi magazzini sono in difficoltà. Un esempio calzante: le quotazioni delle azioni di Target sono salite quest’anno del 98

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90% mentre le azioni di Macy’s sono diminuite del 50%. L’esempio americano è interessante per tutto il mondo perché i consumatori a stelle e strisce sono più importanti di quanto sappiano di essere: mentre le aziende infatti riducevano gli investimenti di fronte all’incertezza commerciale, i consumi americani hanno sostenuto gli Stati Uniti e, per estensione, l’intera economia globale. Con il mondo così dipendente da loro, è una fortuna che la fiducia dei consumatori Usa resti alta man mano che le vacanze natalizie si avvicinano. Anche perché le notizie che arrivano dal quadrante cinese non sono belle. A Hong Kong, in particolare, le vendite al dettaglio sono crollate del 24% in ottobre rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Questo è dovuto in gran parte a mesi di proteste, che hanno spaventato turisti e acquirenti, e rappresenta una cattiva notizia per i rivenditori di lusso, che sono diventati sempre più dipendenti dai mercati asiatici.


GAMING

L’ANALISI DI CAPITAL GROUP

Il settore dei videogiochi? Un successo travolgente

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di Mario Romano

resciuto a Bettendorf, nell’Iowa, l’analista azionario di Capital Group Nathan Meyer aveva due passioni: lo sport e i videogiochi. «Bettendorf non offriva molto altro», dice Meyer della piccola città rurale sita 300 km a ovest di Chicago. Oggi è un analista che copre il settore dei videogiochi nell’ambito del più ampio universo dei media e dell’intrattenimento, studiandone la rapida crescita e i trend che la alimentano. «I videogiochi rappresentano il segmento a più rapida crescita del settore globale dei media da 1.500 miliardi di dollari», spiega Meyer. «Si stima che l’anno scorso i ricavi mondiali generati dai videogiochi siano aumentati dell’11%. A mio avviso questa salutare traiettoria di crescita dovrebbe proseguire man mano che le modalità di gioco interattive diventano una forma di intrattenimento di massa sempre più popolare».

L’utilizzo da mobile traina la crescita Di fatto i videogiochi stanno diventando un fenomeno di massa alla velocità della luce, in quanto sempre più giochi diventano disponibili sui dispositivi mobili. È ora possibile scaricare sugli smartphone anche i videogiochi più pesanti graficamente, consentendo agli utenti di vivere un’esperienza di gioco soddisfacente anche senza possedere costose console o Pc. Inoltre la popolarità dei giochi in streaming e di quelli gratuiti ha aperto il mercato a un numero maggiore di giocatori rispetto al passato. «Non si tratta più solo dei quindicenni che giocano ai videogiochi nella taverna di casa», afferma Meyer. «È un grande business, che attira molteplici tipologie di giocatori in tutto il mondo». Qualche altro dato? Ecco alcune statistiche interessanti: • Secondo la Entertainment Software Association, più di 164 milioni di adulti negli Stati Uniti giocano ai videogiochi e spendono circa 43 miliardi di dollari in acquisti legati ai videogiochi. L’età media del giocatore americano è di 33 anni; uomini e donne rappresentano rispettivamente il 54% e il 46%. • La Cina è il mercato che registra il tasso di espansione più rapido al mondo, con un fatturato che cresce ogni anno di circa il

L’ ANALISTA AZIONARIO NATHAN MEYER EVIDENZIA COME GLI APPASSIONATI STIANO CRESCENDO E NON SOLO TRA I 15ENNI. IL FENOMENO DEGLI EVENTI DI ESPORTS CHE BATTONO IL SUPERBOWL 14%. I giocatori cinesi sono 598 milioni e il 95% circa di essi gioca su dispositivi mobili, secondo uno studio della società di ricerche Niko Partners. • Ancora, secondo i dati raccolti da Statista, le persone che guardano gli eventi di eSports – tornei di videogiochi online e dal vivo – sono molto più numerose degli spettatori del Super Bowl. Proprio come gli atleti professionisti, i giocatori degli eventi di eSports guadagnano milioni in montepremi e sponsorizzazioni. La quota di mercato di Grand Theft I ricavi generati dai videogiochi più popolari superano quelli di film, libri e musica. Qualche mese fa, il videogioco Grand Theft Auto V è diventato il prodotto d’intrattenimento campione d’incassi di tutti i tempi. GTA V, che ogni anno si piazza puntualmente in cima alle classifica dei bestseller, ha venduto più di 90 milioni di copie dal lancio avvenuto sei anni fa, generando ricavi per circa 6 miliardi di dollari. A titolo di raffronto, il film che ha incassato più di tutti in assoluto, “Avengers: Endgame”, ha guadagnato all’incirca 2,79 miliardi di dollari in tutto il mondo dal lancio avvenuto lo scorso aprile. Quello dei videogiochi è un settore globale e i maggiori protagonisti sono distribuiti tra Usa, Europa e Asia. Tra cui costruttori di console come Microsoft (Xbox) e Sony (PlayStation), nonché sviluppatori e editori di giochi come Activision, Electronic Arts e Take-Two Interactive. Alcune società, tra cui Nintendo, fanno entrambe le cose. dicembre 2019

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IL DENARO DEI VIP L’ESPONENTE DEL PD SI RACCONTA

«Risparmiare è da saggi ma condividere ti gratifica» di Monica Setta

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ichela di Biase si presenta da sola. Nata nel 1980 a Roma nel quartiere alessandrino dove è cresciuta e si è formata dice di sé stessa poche cose chiare, come le idee che ha sul denaro e che svela in questa intervista con Investire. «Sono sposata con Dario e ho una bimba di due anni e mezzo, Irene. Dopo il diploma al Liceo cassico “Benedetto da Norcia”, ho conseguito la laurea in Storia e conservazione del patrimonio artistico presso la facoltà di lettere e filosofia dell’Università Roma Tre. Conclusi gli studi sono stata assunta in un’azienda pubblica dove lavoro tuttora. In passato ho svolto il servizio civile presso il Corpo nazionale dei vigili del fuoco. Dal 2016 sono capogruppo Pd in Assemblea Capitolina». Dunque politica sin da ragazzina? Sì, l’impegno politico è stato sempre al centro della mia vita, fin da ragazza, prima impegnandomi nell’associazionismo nel mio quartiere e successivamente militando nei Ds. Nel 2006, a 26 anni, sono stata eletta consigliere del VII Municipio, dove mi sono occupata di politiche giovanili e questione femminile. Nel 2008 è arrivata la conferma sui banchi del Consiglio municipale, ma questa volta anche con la nomina di capogruppo del neonato Partito Democratico. Alle elezioni amministrative del 2013 vengo eletta in Consiglio comunale con quasi 5.000 voti, facendo il mio debutto in Aula Giulio Cesare dove vengo nominata presidente della Commissione cultura, politiche giovanili e lavoro. Nel 2016 torno sugli scranni dell’Aula, dove rivesto anche il ruolo di presidente del gruppo Pd, ma 100

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LA PASSIONE PER LA POLITICA, CERTO. MA, PER MICHELA DI BIASE, ANCHE TANTA ATTENZIONE AL PROPRIO PROFILO DI INVESTITORE E MOLTO BUON SENSO

poi lascio perchè eletta consigliere regionale. Faccio parte anche delle Commissioni cultura, mobilità e urbanistica. Sono membro della direzione nazionale del Partito Democratico e dal 2013 del consiglio direttivo di Eurispes.

E la passione per la cultura? Da sempre il mio impegno è fortemente rivolto alle periferie e, insieme, all’immenso patrimonio artistico e archeologico della Capitale. Come presidente della Commissione cultura ho promosso la guida archeologica delle periferie urbane ed ho voluto e dato il pieno sostegno al convegno “#fondati sulla cultura”, da qui sono state gettate le basi della riflessione sulla forma giuridica dell’impresa culturale. Nel 2015


IL DENARO DEI VIP ho proposto la delibera per l’esenzione dall’imposta municipale Tasi, Tari ed Imu per sale cinematografiche e teatri. Da neomamma, in Campidoglio, ho voluto fortemente la proposta di delibera per consentire alle mamme, che ne facciano richiesta, di lasciare il latte materno all’interno dei nidi comunali e la proposta “Punto mamma” per l’allestimento di spazi baby friendly. Mi sono impegnata al massimo a suo tempo per sostenere la rielezione di Nicola Zingaretti alla presidenza della Regione Lazio, accettando di candidarmi e mettendoci la mia personale passione ed esperienza. E veniamo al suo rapporto con il denaro. Com’è? Con i soldi ho un rapporto funzionale. Sono il frutto del lavoro quotidiano e a questo proposito mi viene in mente una frase di Papa Francesco che ci riporta con i piedi per terra: “i soldi non si fanno con i soldi ma con il lavoro.” Ma che cosa è per lei il denaro? E’ indipendenza e libertà. Risparmiare è da persone sagge, ma anche condividere è altrettanto gratificante. Che insegnamenti le hanno dato i suoi genitori in tema di soldi? I miei genitori erano due impiegati che con i loro stipendi hanno consentito a me e mia sorella di studiare, fare le vacanze ed avere una casa. Oculatezza e buon senso dunque.

E lei che cosa trasmette a sua figlia? Le da una paghetta? Mia figlia ha quattro anni e mezzo, non mi fa grandi richieste; ora sta aspettando di scrivere la letterina a Babbo Natale per ricevere i doni. Quando chiede qualcosa lascio passare un po’ di tempo prima di esaudire le sue richieste per non darle l’abitudine di poter ottenere tutto e subito.

Come investitrice si definisce una formica o una cicala? Nè uno nè l’altro. Come molte persone ho qualche risparmio in banca.

Che cosa ne sarà della nostra economia? L’instabilità non giova all’economia. Ogniqualvolta assistiamo a fibrillazioni nel governo, si certifica un aumento dello spread. Io penso invece che dobbiamo avere fiducia nel futuro del nostro Paese. La finanziaria racchiude una strategia di medio e lungo termine per una crescita sostenibile e tante misure positive a sostegno di donne, famiglie, professionisti e piccole imprese.

Che ricetta si sente di dare a chi governa in tema economico? Legiferare sul differenziale retributivo tra uomini e donne, portare a 10 ore il congedo per i padri, investire sulla rete dei servizi. Consiglio la lettura di “Le equilibriste”, il report fatto da Save the Children sulla condizione delle madri. Le donne non hanno bisogno di consigli, hanno bisogno di tutele. Come si immagina nei prossimi 10 anni? Al lavoro per ciò che amo e presa da Irene che andrà alle elementari.

Sopra Michela Di Biase nell’aula dell’Assemblea capitolina. Sotto con il marito Dario Franceschini

Secondo la hit di Investire Lei è una delle donne su cui scommette la business community. Quale è la sua ricetta di successo? Capacità di dialogo, dedizione e studio.

Che cosa ha comprato con i suoi primi soldi guadagnati? Con il primo stipendio, quando lavoravo in un bar, mi regalai un anello che paragonato a quello che guadagnavo era davvero una spesa folle. Se vincesse la lotteria che cosa farebbe? Non mi affido ai biglietti della lotteria, ma se proprio mi dovesse capitare comprerei una casa sul mare. Fa attività solidale? Non sappia la mano sinistra quello che fa la tua mano destra. dicembre 2019

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NEW BUSINESS PASSION ASSET

Arte certificata in blockchain la sfida che può aiutare il mercato di Davide Passoni

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econdo Wikipedia, la blockchain è “una struttura dati condivisa e immutabile, definita come un registro digitale le cui voci sono raggruppate in blocchi, concatenati in ordine cronologico, e la cui integrità è garantita dall’uso della crittografia”. Niente, all’apparenza, più lontano dall’arte. Eppure blockchain e arte dialogano e lo fanno in maniera efficace grazie ad Andrea Concas, “imprenditore, gallerista, collezionista, docente, consulente, speaker” (come si definisce lui), che ha creato Art Rights, la prima piattaforma a valenza legale che supporta la gestione e la certificazione delle opere d’arte con tecnologia blockchain, per tutelare collezionisti, artisti e operatori del settore. Perché l’arte, oltre a passione, è anche investimento.

Come si arriva ad applicare la blockchain all’arte? Partiamo con il dire che la blockchain è una tecnologia che permette di confermare un’informazione su database distribuiti. Oggi, a distanza di due anni circa dal suo boom, si parla sempre più di come questa tecnologia possa interagire con il mondo dell’arte. Lo può fare con tre tipi di utilizzo prevalente. Uno è la tokenizzazione dell’opera, la sua cartolarizzazione in più parti di proprietà, in modo che poi possa essere venduta in un mercato che si auspica liquido; il secondo è l’arte digitale, la sua applicazione perfetta: c’è un file digitale che viene crittografato, passato nei vari database in modo da avere la dimostrazione che quel file è realmente ciò che dice di essere. Il terzo ambito è quello delle business solutions, quindi i modi in cui la blockchain può aiutare il lavoro quotidiano degli operatori del settore: parliamo di smart contract, gestione, certificazione, autentica, provenance e due diligence. In quest’ultimo segmento vogliamo inserirci con Art Rights. Arte e nuove tecnologie dialogano tra loro? Il mondo dell’arte oggi è attento alle nuove tecnologie, ne parla, e non dobbiamo dimenticare che il mercato delle transazioni vale 67 miliardi di dollari e nell’online cresce di giorno in giorno, specialmente sul fronte dell’arte accessibile - entro i 5mila euro e fino a 50mila -. È interessante, oltre a queste cifre, il fatto che vi sono 20 miliardi circa di servizi che girano intorno al mercato dell’arte; una sorta di primo valore dell’attività dei professionisti: musei, avvocati, spedizionieri, assicuratori. A questi se ne aggiungono altri 20 di art lending, tipicamente di servizi finanziari legati al pegno di un’opera. Sommate tutte queste cifre, si arriva a 100 miliardi di valore. In tutto questo, come si inserisce Art Rights? Il mercato dell’arte si muove con le 3D: decesso, divorzio, declino - ho bisogno di capitalizzare, vendo un’opera -. Sono tutti 102

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“ART RIGHTS” È LA PRIMA PIATTAFORMA PER LA GESTIONE E LA CERTIFICAZIONE DELLE OPERE D’ARTE NELL’INTERESSE DI COLLEZIONISTI, ARTISTI E OPERATORI casi in cui l’importanza documentale di un’opera è cruciale e per la quale possono aiutare gli archivi: un artista, una volta deceduto o ancora in vita, si istituisce in archivi che si occupano del prosieguo, della tutela e valorizzazione della sua attività. Uno dei compiti degli archivi è gestire l’autentica dell’opera. La visione di Art Rights è quella di utilizzare un modello analogo a quello degli archivi, con da un lato la possibilità per l’utente di avere un sistema con cui gestire la sua


NEW BUSINESS collezione, dall’altro quella di creare un certificato virtuale in una piattaforma chiusa, in cui ciascuno gestisce la propria attività, fornendo trasparenza di processo ma nel contempo tutela della privacy. L’utente inserisce i propri dati nella piattaforma, la quale permette di creare automaticamente un certificato, che varia a seconda che egli sia collezionista, artista o altro, e crea un pedigree dell’opera. Viene generato un primo documento di diverse pagine, in cui è possibile inserire informazioni di ogni tipo, dalle immagini ai dati tecnici dell’opera. Il sistema crea così un primo certificato Art Rights in cui tutte queste informazioni sono in un unico pdf, passato in blockchain. E il quadro normativo, in questo senso, com’è? La piattaforma è stata studiata perché il certificato abbia valenza probatoria in un eventuale sede di giudizio. Quando parliamo di blockchain c’è però un problema a monte, che non è solo del mondo dell’arte: in questo momento non c’è un framework legale che ne riconosca la validità. Ciò porta a una incertezza di mercato, perché può succedere che si rediga un contratto che non è detto che sia riconosciuto valido, sia in termini di timestamp, sia in termini di smart contract. Inoltre oggi c’è un problema di diseconomia di scala: non solo nell’arte, l’utilizzo della blockchain potrebbe costare più del dovuto. Mi pare dunque di capire che assicurare la trasparenza sia un obiettivo chiave. Applicare la blockchain a un’opera d’arte avvantaggia sia il collezionista sia il trader. Il mondo dell’arte non è però digitalizzato ed è piuttosto restio ai cambiamenti. Aumentare la fiducia e portare trasparenza - una delle prerogative della blockchain - in un mercato in cui spesso i player stessi non la vogliono è piuttosto complesso e contradditorio. Ho parlato di recente in Lussemburgo alle conferenze del Deloitte Art and Finance, uno dei più importanti appuntamenti del settore, proprio di come la tecnologia possa aumentare la fiducia nel mercato. Sulla blockchain c’era e c’è ancora tantissima confusione: come ho detto all’inizio, è una tecnologia e se funziona ha poco senso chiedersi come e perché funziona. Il che non significa che ci si deve accontentare di ciò che si riceve, ma che il focus non deve essere sulla tecnologia ma sul processo. Altro timore ingiustificato è quello che in un processo di blockchain i propri dati vengano messi su internet, cosa che però accade quotidianamente in mille modi, dai social network in giù. È dunque un problema che non si dovrebbe porre, sapendo oltretutto che questa tecnologia impiega protocolli di crittografia molto avanzati. Inoltre il concetto alla base della blockchain è che i database distribuiti sono creati da persone non legate tra loro, le quali non vedono le informazioni ma verificano i blocchi di catene e la loro coerenza. Alla luce di queste maggiori tutele, l’investimento in arte è ulteriormente consigliabile anche a chi è restio a prenderlo in considerazione? Oggi i cosiddetti passion assets sono di assoluto interesse. Gli high networth individual e i wealth manager consigliano di avere tra il 10 e il 20% del portafoglio differenziato in passion assets. Anche in arte, sia nel medio-lungo periodo, sia nell’ottica di un passaggio generazionale. Con il limite che oggi gli artisti “liquidi” sono circa una ventina, secondo calcoli di mercato, e con la necessità di assicurare tutela a chi investe in arte. Con Art Rights stiliamo un “passaporto” dell’opera in cui possono essere create singole informazioni; una volta fatto, il collezionista

Nella foto a destra l’imprenditore, gallerista e collezionista Andrea Concas, creatore di Art Rights

può chiedere ulteriori conferme a tutti quelli che hanno avuto a che fare con l’opera durante la sua vita, con un modello simile a quello degli archivi, ma con una revenue più bassa. Costoro non dichiarano l’autenticità dell’opera, ma confermano le informazioni: si crea una catena di valore, perché ogni nuova validazione rafforza l’autenticità dell’opera. L’investitore italiano in arte è evoluto? Oggi l’acquisto in arte avviene per step: passione, status, coscienza del fatto che la collezione è un asset. L’Italia vale l’1% del mercato mondiale ma ne transa il 30%. È un mercato particolare, in cui anche le case d’aste più piccole fanno vendite molto importanti, in cui l’età media di chi compra è alta, ma dove ci sono giovani collezionisti che stanno facendo strada, segno che il profilo del collezionista sta un po’ cambiando.

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COLLEZIONISMO

IL TURISMO DEL WHISKY

La Scozia è sempre più una meta per i fan del tour in distilleria di Claudio Riva*

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l whisky è trendy e le principali aree mondiali di produzione sanno oggi trasformare questa attenzione in una opportunità anche turistica. La Scozia gioca ovviamente un ruolo da protagonista. La bellezza dei paesaggi, delle incontaminate glen (valli) e dei misteriosi loch (laghi, fiordi) ha trasformato in pochi decenni la Scozia in una meta molto ambita dai turisti. Il vecchio avventuriero che con bicicletta e zaino lottava contro gli impegnativi elementi atmosferici è oggi sostituito da un turismo più a misura di famiglia. Volo, auto a noleggio, superati i primi imbarazzi della guida a sinistra le destinazioni sono le Highlands, il cuore della Scozia, e

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LA BELLEZZA DEI PAESAGGI DELLE HIGHLANDS E DELLE ISOLE EBRIDI UNITA ALLA PASSIONE PER IL WHISKY. ECCO SPIEGATO IL BOOM TURISTICO SENZA PRECEDENTI DEL TERRITORIO SCOZZESE le affascinanti isole Ebridi disseminate ad ovest lungo l’oceano Atlantico. Gli stessi luoghi che ospitano le oltre 150 distillerie scozzesi di whisky. Era quindi naturale creare una sorta di “strada del vino” che proponesse un tour tra gli affascinanti alambicchi di rame. La metà delle distillerie scozzesi è oggi dotata di visitor centre. Le distillerie più famose hanno qualcosa in più di un semplice shop, l’accoglienza in distilleria è di elevata qualità e vengono offerte opportunità di tour e di degustazioni per tutte le tasche. La semplice visita alla distilleria, un tour del costo massimo di 10 sterline, apre gli occhi a un sistema di produzione sì su grande scala ma con radici ancora ben piantate nella storia e nella tradizione. I più appassionati potranno godere di una intera giornata passata in distilleria, con la possibilità di seguire in dettaglio tutte le fasi di produzione, cogliendo aspetti e segreti davvero coinvolgenti. Poi la degustazione, dal semplice assaggio, alla perlustrazione dell’intero core range, sino alla possibili-


COLLEZIONISMO tà di accedere a costosi e introvabili imbottigliamenti premium. Tutto questo si è tradotto in un numero: nel 2018 le distillerie scozzesi hanno accolto oltre 2 milioni di visitatori, un numero davvero impressionante. Lo Speyside, la zona centrale delle Highland tra Inverness e Aberdeen, è una delle cinque zone di produzione dello scotch, ospita la più importante concentrazione di distillerie. Qui troviamo il Malt Whisky Trail, un itinerario con oltre una dozzina di tappe che offre la possibilità di visitare distillerie del calibro di Balvenie, Cardhu, Glenfiddich, Glen Grant, Glenlivet, Macallan, un enorme bottaio (lo Speyside Cooperage) e il villaggio di Dufftown, la malt whisky capital, dove troviamo anche un piccolo museo del whisky. La Scozia ha scoperto quanto la spesa giornaliera media dell’appassionato di whisky sia superiore alla spesa del turista medio. Sono quindi nate opportunità sempre più coinvolgenti e i festival la fanno da padrone. Lo Speyside organizza a inizio maggio lo Spirit of Speyside, sicuramente il più grande festival del whisky al mondo che coinvolge circa 50 distillerie, visitatori da oltre 40 nazioni e una maestosa cena di gala di inaugurazione. Il tremendo fascino della torba attira ogni fine maggio migliaia di visitatori sull’isola di Islay. Il Feis Ile (festival dell’isola) è l’evento culto per gli appassionati di scotch, e trasforma una quieta isola in una settimana di intensa baldoria: ogni giorno i turisti si spostano presso la distilleria con l’open day (nove distillerie per otto giorni) per goder non solo di ottimi dram (bicchierini) di whisky ma anche di musica, crostacei, attività outdoor. Personalmente e come Whisky Club Italia andiamo al Feis dal 2004 e lo abbiamo visto crescere da un evento per pochi nerd a una settimana sempre più affollata e coinvolgente. Gli Stati Uniti, il principale mercato di consumo di whisky, non possono essere di meno. La quasi totalità del Bourbon whiskey viene prodotto nello stato del Kentucky e qui il Kentucky Bourbon Trail si prende cura degli appassionati del distillato di mais con un percorso che ormai conta una ventina di tappe. È possibile visitare per esempio Four Rouses, Jim Beam, Maker’s Mark, Wild Turkey, Michter’s e l’offerta cresce in modo evidente anno dopo anno. Il KY Bourbon Festival si svolge a metà settembre e lascia ampio spazio allo spirito più easy americano: non solo whiskey ma tanta festa, enormi bbq, musica e convivialità. Il fenomeno della rinascita della distillazione artigianale americana ha disseminato i cinquanta stati di oltre 2000 nuovi punti. Se i marchi storici e tradizionali nascono come luoghi operativi poi adattati all’accoglienza, tutte le nuove imprese fanno del visitor centre il cuore stesso della distilleria. Oggi è possibile visitare centinaia di distillerie con una tasting room con ampia finestra affacciata sulla produzione e osservare gli alambicchi lavorare mentre ti sorseggi un buon bicchiere di whisky o – perché no – un Old Fashioned assemblato con ingredienti di qualità. Sempre più distillerie offrono spazio alla ristorazione o all’organizzazione di eventi privati – il team building annaffiato con un po’ di whisky sembra poter creare gruppi di colleghi molto motivati. Luoghi che hanno segnato la rinascita

ANCHE GLI USA, IL PRINCIPALE MERCATO DI CONSUMO DEL WHISKY, HANNO IL LORO TOUR, IL KENTUCKY BOURBON TRAIL, DOVE VISITARE LE MIGLIORI DISTILLERIE DEL PAESE

della birra e del distillato artigianale oggi contano nella sola downtown decine di distillerie, spesso unite in informali Craft Trail con tanto di passaporto che viene timbrato ad ogni sosta e che quando completato ti dà diritto ad una t-shirt omaggio. Tornando in Scozia, emblematici sono i recenti lavori di ristrutturazione della distilleria Macallan. Quello che era un insieme disordinato di edifici di sasso, posizionato su una collina vista fiume Spey, oggi è diventato un villaggio futuristico a metà strada tra le case degli hobbit e un’astronave aliena. Il progetto di oltre 150 milioni di sterline ha consentito di creare un sito con un enorme tetto verde ricoperto di erba che riprende il panorama sinuoso delle colline scozzesi dello Speyside al cui interno lavorano 21 alambicchi per una capacità di produzione di quasi 10 milioni di litri annui di alcol puro. Una macchina da guerra in grado di oscurare la Morte Nera di Guerre Stellari. Qui è possibile fare tour per tutte le tasche, pranzare e soddisfare il proprio desiderio di curiosità potendo attingere a un database di quasi mille imbottigliamenti della distilleria, recenti e storici. dicembre 2019

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MOTORI

NUOVA ALFA ROMEO GIULIA E STELVIO MY2020: EVOLUZIONE IN CHIAVE TECNOLOGICA Alfa Romeo ha presentato le nuove Giulia e Stelvio Model Year 2020, un importante aggiornamento che permette ai due pilastri del marchio italiano di evolversi in due campi principali: tecnologia e guida autonoma. Se gli esterni vedono nuove colorazioni, tra le quali il bellissimo Ocra GT Junior e il Rosso 6C Villa d’Este, all’interno i cambiamenti sono tanti. Aumenta ulteriormente la qualità attraverso l’utilizzo di materiali premium, mentre il tunnel centrale è stato

ridisegnato per accogliere nuovi portaoggetti, funzionalità wireless, un rinnovato cambio in pelle con firma tricolore e un nuovo rotary knob per la gestione dell’infotainment. A proposito di sistema di intrattenimento, oltre al display TFT da 7” della strumentazione di serie su tutte le versioni, è incluso anche lo schermo, ora touchscreen, da 8,8” pollici, che non cambia

nelle dimensioni, ma nella sostanza. La nuova veste grafica e l’organizzazione in widget permettono un utilizzo più facile e immediato, simile a uno smartphone. La tecnologia migliora anche l’esperienza di guida, grazie all’arrivo di nuovi sistemi di assistenza, come il Traffic jam e l’Highway Assist, che le permettono di raggiungere la guida autonoma di secondo livello.

MERCEDES CLASSE A 250E: LA COMPATTA IN VERSIONE IBRIDA PLUG-IN

Anche Mercedes Classe A e Classe B entrano a far parte del mondo EQ. In particolare, la nuova Classe A 250e è un’ibrida plug-in dai consumi dichiarati che sfiorano gli 1,5 l/100 km. Capace di percorrere fino a 70-75 km in modalità solo elettrica, la A 250e vanta prestazioni che parlano di una potenza complessiva di 218 CV per 450 Nm di coppia e lo zero-cento coperto in 6,6 secondi. Sotto il cofano della Classe A ibrida plug-in, 106

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FORD PUMA: IL SUV DAL NOME ICONICO Dopo più di 20 anni dal “primo” lancio di quella che al tempo era una coupé, il nome Ford Puma torna a rivivere nella gamma dell’Ovale Blu. Ford ha scelto di rievocare la Puma per portarla in un segmento nuovo, quello delle compatte alte da terra. Tetto in stile coupé e fari a goccia richiamano il passato, ma le forme sono quelle di un Suv, con il risultato di linee sinuose e una particolare cura per i gruppi ottici. All’interno la Puma monta l’ultima versione del Sync 3 e in optional il quadro strumenti completamente digitale con schermo da 12,3”. Il bagagliaio vanta una capienza di 456 litri, con l’aggiunta dell’ingegnoso Megabox (altri 80 litri), per trasportare oggetti sul fondo del pianale di carico. Ford ha pronto per la nuova Puma anche un sistema mildhybrid con batteria da 48 volt per il suo 1.0 Ecoboost, con potenze di 125 o 155 CV. Previsti in futuro anche un motore Diesel e il cambio automatico robotizzato.

insieme al motore termico da 1,3 litri e il cambio a doppia frizione 8F-DCT, c’è un motore sincrono con rotore interno, abbinato a una batteria da 15,6 kWh. Così come accaduto per le altre versioni della gamma Classe A, anche la A 250e propone l’infotainment Mbux, in una configurazione dedicata all’ibrido. Infine, come già accade su Eqc, i paddle dietro al volante possono gestire anche il recupero dell’energia in rilascio.

in collaborazione con Autoappassionati.it



LOGISTICA

IN COLLABORAZIONE CON

L’azienda cresce puntando sui token

F

are azienda innovando? Dovrebbe essere un must, ma non lo è per tutti. Lo è sicuramente per Giuliano e Davide Rovelli, due generazioni di imprenditori legate dalla stessa visione. L’idea imprenditoriale nasce quando Giuliano Rovelli, a soli 24 anni, apre il primo parcheggio all’aeroporto di Malpensa. Oggi, a 25 anni di distanza, il network ParkinGo conta oltre 90 strutture in dieci paesi in Europa, un vero e proprio mobility hub che unisce al core business dei parcheggi aeroportuali servizi pensati appositamente per rispondere alle esigenze di chi viaggia. «Siamo nati come semplici aree di parcheggio limitrofe agli aeroporti e oggi le nostre strutture si sono evolute diventando piattaforme di mobilità, dove

DAL PARCHEGGIO AEROPORTUALE AL MOBILITY HUB: L’EVOLUZIONE PASSA PER LA TRASFORMAZIONE DELLA MOBILITÀ, PREVEDENDO LA BLOCKCHAIN NEI PROCESSI AZIENDALI

GETMYCAR GetMyCar, start-up innovativa che completa l’offerta ParkinGo, è la community di Car rental & Car sharing che mette in contatto chi ha bisogno di un’auto e chi desidera condividere la propria. “L’Airbnb delle auto” è disponibile in tutta Italia e sbarcherà nel resto d’Europa dal 2020. L’app permette di parcheggiare gratuitamente lasciando l’auto in condivisione, sommando il risparmio della sosta al guadagno della condivisione.

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puoi parcheggiare, ricaricare l’auto elettrica oppure prendere un’auto in condivisione, o lasciare la tua in condivisione e addirittura prenderne una a noleggio a lungo termine», sottolinea a Economy Giulano Rovelli. «Il miglioramento della customer journey è da sempre il mio chiodo fisso. ll nostro obiettivo è integrare il mondo fisico e il mondo digitale per offrire un’esperienza di mobilità innovativa». L’innovazione è da sempre nel dna di questo brand made in Italy, che fornisce lavoro a oltre 1.500 dipendenti tra strutture di proprietà e parcheggi in franchising che scelgono il pacchetto chiavi in mano di ParkinGo sinonimo di qualità e affidabilità nell’ecosistema Travel&Mobility. L’offerta di ParkinGo nei confronti dei nuovi partner è caratterizzata da soluzioni tecnologiche diventate nel tempo emblema di un alto standard qualitativo. Il gestionale realizzato in-house e il ParkinGo Scanner, un maxi-scanner che verifica e certifica lo stato dei veicoli durante le fasi di checkin e check-out, sono alcuni dei punti di forza distintivi del modello. Una delle innovazioni più eclatanti è senza dubbio l’implementazione della blockchain nei processi aziendali: ParkinGo lo fatto nel 2018, attraverso il lancio di un token digitale tramite una Ico (Initial Coin Offering) dedicata. Il GoToken, l’utility token emesso dall’azienda, offre la possibilità di acquistare i servizi del network garantendo vantaggi esclusivi per gli utilizzatori. E oggi ParkinGo si prepara a una nuova fase della sua espansione innovando il tradizionale sistema


LOGISTICA di raccolta capitali con il lancio di una Sto (Security token offering). «Stiamo lavorando a questa Sto da diversi mesi», spiega Davide Rovelli, ceo di ParkinGo International Sa: «L’obiettivo è quello di realizzare un progetto win-win, dando a tutti la possibilità di partecipare al processo di evoluzione ed espansione di ParkinGo». Con Security token offering si intende la procedura di vendita al pubblico di strumenti finanziari (un’azione, un bond, un derivato, un immobile, un titolo di proprietà, ecc.) rappresentati da token digitali che danno diritto a ricevere un ritorno sull’investimento in funzione dei parametri di fatturato e della crescita dell’azienda. Le Sto vengono anche definite Ipo 2.0 poiché funzionano in maniera analoga, eliminando però alcuni dei limiti tipici delle operazioni tradizionali. Il vantaggio principale dei security token è la blockchain, questa infatti permette di abbattere i costi di emissione e gestione dei token oltre a non rendere necessario una forma di intermediazione da parte di organi finanziari esterni. L’investitore, acquistando i security token di ParkinGo, avrà la possibilità di partecipare alle revenue aziendali che vedranno una forte crescita dettata dalla roadmap con il raggiungimento di 350 strutture entro il 2024 e una forte innovazione delle piattaforme digitali pensate per ampliare la scalabilità del modello di business a livello internazionale. Il secondo token di ParkinGo si chiama Gots, un chiaro riferimento al fratello maggiore GoToken. Il Gots, al momento in fase di private sale, sarà prossimamente disponibile al pubblico attraverso la piattaforma di investimento P2P Stokr (stokr.io), specializzata nel settore valute digitali e nelle aziende ad alto tasso di innovazione. Successivamente il Gots verrà quotato sui principali exchange che permetteranno così di acquistare e vendere ai prezzi di mercato. Il Gots si muove sulla blockchain Ethereum, permettendo così di essere “conservato” nella maggior parte dei wallet digitali disponibili in circolazione. Durante la fase di emissione del token verrà anche resa disponibile la blockchain GotNet. Questa procedura aumenta al massimo grado la trasparenza non solo nei confronti dei clienti ma anche di tutti coloro i quali desiderano investire in ParkinGo. Attraverso questa nuova tecnologia sarà possibile monitorare costantemente la soddisfazione della clientela, collegarla direttamente con le performance aziendali e con la remunerazione incrementale dei singoli dipendenti. In alto Davide Rovelli, Ceo di ParkinGo International Sa. A sinistra Giuliano Rovelli, founder ParkinGo

PARKINGO IN CIFRE 90

STRUTTURE

10

PAESI

21.000

PRENOTAZIONI/WEEK

2.700.000 CLIENTI

10.000

AGENZIE DI VIAGGIO

7600

AZIENDE CONVENZIONATE

100

MULTINAZIONALI

Per maggiori informazioni e per scoprire tutte le news sul nuovo token ParkinGo è stata realizzata una pagina web raggiungibile all’indirizzo: https://www.parkingo.com/it/sto

LE PARTNERSHIP L’importante e costante sviluppo del network ParkinGo presso i principali aeroporti europei ha permesso l’attivazione di partnership con alcuni dei brand più importanti del mondo: Amazon ha scelto ParkinGo per l’installazione degli Amazon Lockers all’interno delle strutture

di parcheggio; Daimler Ag e Bmw, che attraverso il veicolo Share Now, hanno scelto ParkinGo come base operativa per la presa e la consegna dei propri veicoli in sharing all’aeroporto; Tesla, che ha inserito ParkinGo nel suo progetto charging locations.

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BIBLIOTECA Antonio Quaglio Laureato in Economia aziendale all’Università di Venezia, è stato inviato e caporedattore a Il Sole 24 Ore. Collabora a www.ilsussidiario.net.

QUELL’ITALIA “OPULENTA” CHE VIVE SUL RISPARMIO DEI PADRI

L’

ultimo volume di Luca Ricolfi - “La società signorile di massa” (La nave di Teseo, 2019) - sta facendo rumore per il suo sguardo critico assai poco convenzionale su un’Italia impantanata nella stagnazione economica non meno che scossa nei suoi equilibri sociopolitici. Oggi, per la prima volta nella storia d’Italia ricorrono insieme tre condizioni, osserva il sociologo torinese in un libro che ha la forza del miglior pamphlet, ma è sempre sorretto da solidi richiami statistici. Nel primo input di scenario, il numero di cittadini che non lavorano ha superato ampiamente il numero di cittadini che lavorano. Secondo: l’accesso ai consumi identificabili come “opulenti” ha raggiunto una larga parte della popolazione. Terzo e non certo ultimo: l’economia è entrata in stagnazione e la produttività è ferma da vent’anni. Questi tre fatti - “forse sorprendenti ma documentabili” - hanno aperto la strada all’affermazione di un tipo nuovo di organizzazione sociale, che si regge su tre pilastri: la ricchezza accumulata dai padri, la distruzione di scuola e università, un’infrastruttura di stampo “para-schiavistico”. Quale può essere il futuro di una società in cui molti consumano e pochi producono? La riflessione, fin dalle prime pagine, ha parecchio a che fare con il risparmio, anzi: con il “risparmio dei padri”. Quella parte - in continua crescita - di un reddito in costante progresso che le famiglie italiane hanno accumulato dall’immediato dopoguerra ai primi anni ‘90. Un arco temporale - che Ricolfi assegna tout court alla “Prima Repubblica” - nel quale il reddito disponibile medio annuo pro-capite quintuplica fino a 25mila euro a valori correnti. È questa capacità di reddito a rendere da un lato “opulenta” la società italiana nella quantità e qualità dei suoi consumi di massa; e dall’altro ad alimentare una propensione al risparmio con pochi confronti tra i paesi più avanzati e quindi un solido stock patrimoniale. Ma è a questo punto - una ventina d’anni fa, in coincidenza con l’ingresso reale nella globalità - che l’Azienda-Italia si inceppa: arrestando lo sviluppo della produttività del lavoro, proprio quando l’innovazione tecnologica accelera e la competitività sui mercati globalizzati rende strategico e irrinunciabile aumentare l’efficienza degli investimenti. Per quanto sembri paradossale la società italiana mostra una peculiare resilienza, trasformandosi in quella che Ricolfi chiama “signorile” con suggestività di richiamo storico. È un corpo sociale sempre più diseguale al suo interno, nel quale sembrano peraltro convivere al momento “nuovi schiavi” e venti/ trentenni che non lavorano con piena consapevolezza loro e 110

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Il sociologo lancia l’allarme su un sistemaPaese inaridito nella produttività e poggiato su una base patrimoniale invecchiata dei loro genitori (e perfino delle università che riconoscono loro titoli di studio inutili sul mercato o competenze che in realtà i giovani non hanno e non potranno mai far valere nella competizione vera). Tutto questo avviene comunque grazie ai “risparmi dei padri” che Ricolfi - su un piano teorico - non esclude che possano “mantenere” l’Italia ancora per un certo lasso di tempo: certo non infinito e tanto meno prolungato, mano a mano che i gap di produttività e le diseguaglianze interne tendono ad aprirsi. È comunque acuminata ai limiti della denuncia una tabella che incrocia i tassi di occupazione e di ricchezza di singoli Paesi: dalla quale si evince che i Paesi più ricchi, cioè “veramente ricchi” - per esempio quelli scandinavi - sono quelli in cui la popolazione è anche largamente occupata (oltre il 70% rispetto al meno del 50% corrente in Italia). Non mancano nel libro “caveat” più squisitamente finanziari e innestati bella storia economica italiana: la consolidata preferenza degli italiani per i titoli ddi debito del loro Stato, ma soprattutto per gli impieghi immobiliari. E sono questi - che collocano l’Italia in cima alle classifiche internazionali - a incorporare un “effetto ricchezza” sempre più incerto e insidioso: anche ai fini della sostenibilità dei consumi “opulenti” o di un Paese di non occupati, “mantenuti” da molto prima dell’età della pensione, spesso da genitori a loro volta già pensionati. Qui, per la verità sembra mancare uno specifico segmento riflessivo che peraltro non era pensabile chiedere a un lavoro come quello di Ricolfi: come si è mossa, come può muoversi l’industria del risparmio gestito e previdenziale al servizio dell’Italia “opulenta” - almeno finora - e delle sue diverse generazioni? È inevitabile che il mattone si trasformi lentamente in zavorra? Fino - forse - alla domanda ultima: perchè il risparmio di nonni e padri che sono riusciti a essere parecchio produttivi sembra non riuscire in alcun modo a superare la drammatica crisi di produttività che affligge i figli?


EDUCATION FORMAZIONE FINANZIARIA

Borsa, quattro film per iniziare finalmente a capirci qualcosa di Francesco Bellizzi

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e per Europa, Asia e Africa la letteratura è stata lo strumento con cui hanno potuto raccontare per secoli la propria storia mettendo al sicuro dal tempo la memoria collettiva, il cinema ha avuto lo stesso valore per gli Stati Uniti. È nelle sue pellicole che il Nuovo Mondo ha cadenzato l’evoluzione della sua società, contribuendo in modo fondamentale al racconto dell’epoca moderna e contemporanea. Non a caso, per informarsi sulle vicissitudini della finanza globale moderna non si può prescindere dalla filmografia d’oltreoceano. Lo sa bene Marco Onado, laureato in Economia e commercio all’Università Bocconi di Milano dove attualmente insegna Finanza, ex commissario Consob ed editorialista di Investire, che al rapporto tra cinema e finanza l’anno scorso ha dedicato anche un libro, “Prendi i soldi e scappa” (editore Laterza, 192 pagine). Onado ha proseguito con il filone cinematografico con appuntamenti formativi nelle scuole, come quello di settembre scorso al Piccolo Teatro e partecipando a festival cinematografici, come quello di Trento. In prossimità della pausa natalizia Onado propone ai lettori di Investire quattro pellicole che, con stili e linguaggi diversi, trattano momenti fondamentali nella storia della finanza mondiale. Titoli che continua a portare in giro in eventi pubblici. “La vita è meravigliosa” (“It’s a Wonderful Life”) è il primo titolo proposto da Onado. Diretto da Frank Capra e uscito nelle sale degli Usa nel 1946 come adattamento per lo schermo del racconto “The Greatest Gift”, scritto nel 1939 da Philip Van Doren Stern, è firmato dal regista e sceneggiatore italoamericano, Frank Russell Capra. La pellicola è considerata una delle pietre angolari della cinematografia sociale statunitense che racconta la storia di George Bailey (interpretato da James Stewart), padre di famiglia, imprenditore perbene sull’orlo della bancarotta, colto da pensieri suicidi proprio la notte della vigilia di Natale. «È un film che ho proposto a studenti di 18 anni riscuotendo un grande entusiasmo”, commenta Onado. «Ritengo sia un film importante perché indaga il rapporto che intercorre tra banche e società». Il secondo film da vedere è “Io, Daniel Blake” (“I, Daniel Blake”), del 2016 diretto da Ken Loach e vincitore della Palma d’oro al Festival di Cannes 2016. La pellicola racconta le

I CONSIGLI DI MARCO ONADO, INSIGNE DOCENTE DI FINANZA: «IL CINEMA PUÒ AIUTARE VECCHIE E NUOVE GENERAZIONI. L’ALFABETIZZAZIONE ECONOMICA? RIPARTIAMO DAGLI INSEGNANTI» vicissitudini di un carpentiere americano, malato di cuore che, proprio a causa della sua malattia, si vede negata paradossalmente la pensione di invalidità. Se siete alla ricerca di una spiegazione efficace della grande crisi del 2007, il film da vedere è “La grande scommessa” (“The Big Short”) del 2015. Il regista Adam McKay, partendo dal libro “Il grande scoperto” di Michael Lewis, racconta in modo magistrale il tracollo degli strumenti subprime negli Stati Uniti, che colpì prima il mercato immobiliare a stelle e strisce per poi propagarsi nel resto del globo. Per Marco Onado è un altro film da vedere «per comprendere il pericolo che si nasconde in una finanza e in un sistema bancario troppo sbilanciati verso i prodotti derivati». Il terzo titolo consigliato è uno di quelli che non possono mancare nei palinsesti natalizi: “Una poltrona per due” (“Trading Places”), uscito nel 1983, diretto da John Landise interpretato da Eddie Murphy, Dan Aykroyd e Jamie Lee Curtis. «Un film che parla del trading commerciale, anticipando le problematiche che sarebbero arrivate con la nascita del trading finanziario», spiega il professore. Il cinema può essere un mezzo perfetto per trattare di temi legati al denaro e alla sua gestione con vecchie e nuove generazioni. Soprattutto in un Paese come l’Italia, molto carente su questo fronte. «L’alfabetizzazione finanziaria», dice il professore, «è una materia che deve essere approcciata sin dalle scuole dell’obbligo e questo richiede un lavoro di formazione che parte innanzitutto dai docenti, in particolare quelli di storia, che troppo spesso trattano le epoche del passato senza contemplare il lato economico. Come si può per esempio studiare la storia della Gran Bretagna senza parlare della sua moneta?». dicembre 2019

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EDUCAZIONE FINANZIARIA Paolo Zucca Iscritto all’Ordine dei Giornalisti dal 1979, già responsabile del supplemento de II Sole 24 Ore Plus 24. Partecipa a tutorial e iniziative contro l’eccessivo uso del contante. Twitter @pzu551

TASSI BASSI, BORSE ALTE MA L’ITALIANO NON RISCHIA

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principali mercati azionari chiudono l’anno con una performance positiva, nonostante i dazi, i gilet gialli, la Brexit, le elezioni varie, i cambi di governo e il generale rallentamento economico. Chi ha investito in azioni singole o in panieri, o ha delegato in fondi gestiti da altri, ha preso rischi ma è andata bene. Sarà felice, immaginiamo. Ma sarà felice abbastanza per cancellare le delusioni del 2018 sugli analoghi investimenti? Tutte le rilevazioni dicono che in presenza di perdite si soffre di più di quanto si gioisce per un pari importo. Il dolore è doppio della gioia. Come se il guadagno fosse scontato, frutto della propria abilità. La perdita è un evento inimmaginabile e da scaricare su altri per evitare cadute di autostima. Un atteggiamento che viene studiato da tempo nella finanza comportamentale. Anche per questo è fortissima l’avversione al rischio che spinge a guadagnare pochissimo o mantenere il capitale piuttosto che mettere una punta di vivacità in un menù prudentissimo. Nel confronto con gli investimenti obbligazionari, in linea di principio più sicuri e quindi meno sprintati, il rendimento da plusvalenze nel 2019 è nettamente superiore. Un 6-7% aggiuntivo e, per chi deciderà di non monetizzare il rialzo nei prossimi mesi, anche un flusso di cedole non deludente. Il rafforzamento delle Borse, chi più chi meno, è abbastanza generalizzato ed è spiegabile innanzitutto con un clima di tassi azzerati o anche negativi. Tassi bassi, Borse alte. Visto che tutte le banche centrali hanno schiacciato il costo del denaro per rilanciare l’economia e per tenere il passo della concorrenza fra valute, l’azionario ne ha beneficiato al di là delle attese sugli utili di cui sapremo fra poco la consistenza. I grandi gestori devono cercare rendimenti che giustifichino anche il loro ruolo, devono dare ai grandi e piccoli investitori un ritorno che superi le spese. Quando c’è voglia di mercati positivi, quando la liquidità è in mano ai professionisti con l’urgenza di essere investita, molte preoccupazioni vengono messe da parte. Le Borse avrebbero da temere da una qualsiasi dichiarazione di probabile innalzamento dei saggi di interesse. Come vorrebbero le banche che non riescono più a guadagnare dal margine di interesse (differenza tra costo del denaro raccolto e interessi applicati a chi chiede denaro). Nonostante gli annunci di prossima riduzione, banche e 112

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assicurazioni sono piene di titoli di Stato che con la riduzione dei tassi si sono rivalutati e aiuteranno a chiudere il bilancio. Quindi anche chi ha azioni bancarie mediamente ha guadagnato e sono pochi i comparti rimasti al palo. Con il senno di poi si può ben dire che chi ha rinunciato all’ansia dell’azionario, per prudenza o per restare liquido, ha perso nel 2019 una buona opportunità. Non era stato così nel 2018, anno nero per tutti e per tante tipologie di investimento. Fermiamoci solo all’azionario per ricordare che l’Eurostoxx 50 aveva perso poco meno del 15%, era andata male negli Usa States (SP500 oltre il 6% di regresso), Milano e Francoforte le peggiori con segni meno tra il 16 e il 18 percento. Insomma c’era molto da recuperare. Chi stando lontano dalle azioni aveva evitato danni nel 2018 quest’anno non ha beneficiato del bel tempo. Secondo la teoria che si soffre di più sulle perdite si potrebbe dire “poco male”. Invece bisognerebbe valutare – anche chi resta prudente con investimenti di lungo termine - se l’avversione al rischio non comporti a sua volta un rischio, tanto più ora che lo “stare fermi” sul conto corrente incamera perdite per erosione da costi e per quella parte di inflazione che ancora c’è (0,2-0,3% negli ultimi mesi). Il risparmiatore/investitore è troppo prudente? Non ha voglia di prendere iniziative perché ha paura di decidere? Una certa tendenza alla liquidità sta emergendo anche in Europa, come se non ci fossero investimenti disponibili o comunque non si avesse voglia di affrontarli. In Italia – come nota l’ultimo rapporto della Consob sul comportamento delle famiglie - “la maggioranza si conferma avversa al rischio e avversa alle perdite: con particolare riferimento a quest’ultimo aspetto, circa due terzi degli intervistati affermano di non essere disposti a investire in un prodotto che presenti una sia pur ridotta possibilità di perdita del capitale, mentre il restante 37% si dichiara tollerante verso piccole perdite (permanenti o recuperabili nel lungo termine)”. Si ha paura delle perdite, più che del rischio, perché sancirebbero i propri limiti di investitore capace, come il 40% degli italiani ama definirsi. Ha paura di sbagliare. Non spinge verso l’investimento azionario l’innalzamento progressivo dell’età media che era di 46 anni nel 2017. Già nel 2025 la quota di persone oltre i 65 anni dovrebbe raggiungere il 25% del totale. Deterranno gran parte del risparmio, si definiranno esperti ma non vorranno mettersi alla prova.



MALALINGUA Vittorio Borelli Giornalista di lungo corso, condirettore de Il Mondo, fondatore e direttore di East, già direttore delle relazioni esterne di Unicredito nella gestione Rondelli-Profumo

TUTTA COLPA DI NIETZSCHE E DI UN CERTO ZARATHUSTRA

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ronto, sono Giuseppe Conte. Con chi Parlo?” “Sono il segretario del ministro degli esteri. Che piacere sentirla. Ma lo sa che sono anch’io interista?» «Giovanotto, io non sono quel Conte là, sono quell’altro, il presidente del consiglio. Mi passi il ministro, per favore» «Mi scusi per l’equivoco, presidente. Sa com’è, al cuor non si comanda… mi dispiace, ma non posso passarle il Dottor Di Maio» «Dottor Di Maio? Bella questa, non sapevo che si fosse laureato nelle ultime 24 ore» «Lei ha ragione. Ma vede, qui a Napoli siamo tutti dottori. Per la verità avevo proposto al ministro di usare l’appellativo più sobrio di mister, all’inglese. D’altronde, se uno vale uno…» «E come ha risposto Di Maio?» «Ha detto che si era ormai abituato a sentirsi chiamare dottore e che, in ogni caso, lui considerava molto provinciale scimmiottare gli inglesi» «Vabbè. Mi sa dire come posso rintracciarlo?» «Presidente, non dovrei dirglielo, ma il ministro è nel suo appartamento a leggere» «A leggere il dossier sul Mes, immagino» «Guardi non conosco il dottor Mes.. pardon mister Mes… ma credo che stia leggendo altro il libro di un certo Zerotrusta» «Vorrà dire Zarathustra. Quindi Di Maio sta leggendo Così parlò Zarathustra di Nietzsche?» «Come comanda lei, presidente» «Senta, io non ho tempo da perdere, mi devo occupare di viadotti che crollano, di fiumi che esondano, di frane che franano, del debito pubblico che aumenta. Per non dire delle quotidiane fake news di Salvini, delle imboscate di Renzi, dei vaniloqui di Berlusconi. Devo stare attento che Merkel e Macron non ci mettano fuori gioco eccetera» «Mi compiaccio, presidente, vedo che conosce i segreti del calcio. Tifa Foggia per caso?» «Lasci perdere e mi passi subito il ministro. Zarathustra può aspettare» «Ubi maggior… Glielo passo» «Pronto Luigi? Sono Giuseppe. Mi dispiace interrompere le tue colte letture ma qui siamo sottoposti a un pressing da parte dei giornalisti di tutto il mondo che vorrebbero sapere perché non sei andato a rappresentare l’Italia al G20 dei ministri degli esteri» «Carissimo Beppe, ma davvero ti lasci condizionare da queste

quisquilie? Noi dobbiamo volare più in alto: il politico guarda al breve termine, lo statista al lungo termine» «Ah, vedo che non ti perdi gli editoriali di Ernesto Galli Della Loggia. Peccato che qui, a palazzo Chigi, ci si debba occupare anche di pinzillacchere. Fuor di metafora, perché non sei andato in Giappone?» «Ma caro Beppe, come insegna Zarathustra si va e si viene, perché, dopo la morte di Dio, per l’uomo è tutto un andare e tornare finchè non diventa superuomo» «Tanto per cominciare non chiamarmi Beppe. Il tuo segretario mi ha scambiato per l’allenatore dell’Inter, non vorrei che tu mi confondessi con il fondatore del M5S. In secondo luogo ti consiglierei di lasciar perdere Nietzsche: se si vuole scalare un grattacielo si parte dal primo piano non dal quinto» «Colgo in queste tue parole una venatura di sarcasmo. O sbaglio?» «Non fare il permaloso. Ti suggerivo soltanto di partire da qualche filosofo più alla portata, tipo il tuo conterraneo De Crescenzo. Invece di Così parlò Zarathustra potresti cominciare da Così parlò Bellavista» «A presidè, non permettiti sai, guarda che siamo stati noi a metterti in quel posto lì! Mò adesso basta con questo cazzeggio. Ho deciso di non andare al G20 dopo un lungo travaglio morettiano» «Morettiano? Spiegati!» «Hai presente Ecco Bombo? Mi si nota di più se vengo o se non vengo? E se vengo, mi si nota di più se parlo o se non parlo?» «Carissimo Giggino, vorrei ricordarti che il G20 non è una festa di compleanno, ma un luogo in cui ci si confronta su dazi e valute, su commercio e migrazioni. E l’Italia ha un qualche interesse a far sentire la propria voce» «Sono d’accordo, infatti ho scritto tre tweet, ho mandato un video messaggio con WhatsApp e ho chiesto ai miei colleghi una conference call, loro a Tokio io a Posillipo, con il Vesuvio alle spalle. Non ti sembra una bella idea?» «Non ho parole. Temo che avesse ragione Cavallo Pazzo…» «Chi? Quello che le prese dal generale Custer a Little Big Horn?» «No, un rompicoglioni anarchico degli anni Settanta che diceva Una risata ci seppellirà» «Meglio cadere ridendo che tirare avanti immusonito come Pier Carlo Padoan…. A proposito, come mi avevi suggerito gli ho chiesto di spiegarmi cos’è il Mes» «E come è andata a finire?» «Mi ha guardato un po’ torvo e ha detto: lascia perdere, che nunnè cosa. Secondo te, a cosa avrà voluto alludere?”

«Luigi, invece di Così parlò Zarathustra potresti iniziare da Così parlò Bellavista»

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