Investire Febbraio 2019. With compliments RSM

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With compliments

Conoscere, rischiare, guadagnare

WALL STREET ROBOT NEVER SLEEPS

L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE STA CAMBIANDO L’INDUSTRIA DEL RISPARMIO. COME APPROFITTARNE I roboadvisor spaventano, ma possono diventare gli alleati migliori per chi saprà usarli al meglio. Bufi: «Integrazione consulenti-fintech» - Foti: «Il futuro è della cyborg advisory» – Nicastro: «I robot ci aiuteranno»

TAMBURI: «C’È VOLATILITÀ, MA RESTO OTTIMISTA CHI SA SCEGLIERE E RESISTE NEL TEMPO VINCE» • Consulentia, al via la kermesse 2019 • Sportivi, le storie dei campioni-consulenti • Talent Show, parte la gara sui portafogli

INVESTIRE SPECIALIST

MIFID 2, SVELIAMO I PRIMI PROSPETTI • Le scelte delle Reti sui nuovi rendiconti • Operazione trasparenza sui veri costi • Sarà premiato chi parlerà chiaro ai clienti




Mediobanca Certificates, 70 anni di storia. Il mercato finanziario è come il mondo. Per essere esplorato in tutta la sua ricchezza ha bisogno di navigatori esperti. Dal 1946 Mediobanca assiste le imprese e gli investitori con servizi finanziari altamente specializzati dedicati a realtà che evolvono continuamente. I Certificates Mediobanca sono il frutto di competenza, esperienza e affidabilità. Certificates Mediobanca: un punto d’arrivo.

Il presente documento ha esclusivamente scopi di marketing. Esso non costituisce in alcun modo una sollecitazione all’acquisto o alla vendita di qualsiasi strumento finanziario, né attività di consulenza o ricerca in materia di investimenti. Per maggiori informazioni consultare il sito www.mediobanca.com Mediobanca Banca di Credito Finanziario S.p.A. Piazzetta Enrico Cuccia, 1 20121 Milano, Italia • Partita IVA: 10536040966 • Codice fiscale e numero di Iscrizione al Registro delle Imprese di Milano, Monza, Brianza, Lodi: 00714490158 • Mediobanca S.p.A., iscritta all’Albo delle Banche e Capogruppo del Gruppo Bancario Mediobanca, iscritto all’Albo dei Gruppi Bancari al n. 10631. Aderente al Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi e al Fondo Nazionale di Garanzia. • Iscritta al Registro Unico degli Intermediari assicurativi e riassicurativi. Capitale sottoscritto e versato € 443.521.470,00


EDITORIALE

Salviamo il Pil con i cantieri di Sergio Luciano

N

el giorno in cui questo numero di Investire veniva chiuso in tipografia, il Fondo monetario internazionale confermava – come c’era da attendersi – il preconsuntivo della Banca d’Italia sul rallentamento della crescita economica italiana nell’ultimo trimestre dell’anno che colloca il nostro Paese in “recessione tecnica”. Gli stessi calcoli proiettano sul 2019 una previsione di crescita di appena lo 0,6% contro quell’1% previsto nella legge di Bilancio 2019, su cui si fonda l’intera manovra economica del governo Gialloverde. È vero che da qui al 26 maggio – cioè alle elezioni europee – è improbabile che si verifichino scossoni tali sul piano politico o comunitario da imporre all’esecutivo delle contromisure, ed è anche vero che lo status di “sorvegliati speciali” della Commissione europea, con le sbandierate verifiche bimestrali sui nostri conti pubblici, non va considerato pericoloso come minacciano i portavoce del rigorismo europeo, che tali non sono quando si parla dei fatti loro e comunque sono politicamente già estinti. Ma è ancor più vero che se il governo del sedicente cambiamento dovesse produrre – o anche solo ritrovarsi di fatto ad accompagnare - cambiamenti economici peggiorativi come quelli che si paventano, brucerebbe in poche settimane il patrimonio di speranza e fiducia che ha incassato dai suoi elettori. Ma c’è qualcosa di assolutamente paradossale in questa situazione, perché la strada maestra per forzare lo stallo esiste, e i Gialloverdi lo sanno. Questa strada sarebbe l’attivazione entro l’anno – tecnicamente del tutto fattibile – delle risorse già stanziate nel bilancio dello Stato per le opere pubbliche infrastrutturali, quelle “immediatamente cantierabili”, come si dice in gergo ingegneristico, e già approvate da tutti. Ci sono 20 miliardi di stanziamenti pubblici che attendono solo di essere spesi. Lo stanno ripetendo da molte settimana la Confindustria e l’Ance, l’associazione nazionale costruttori. Non con stime, ma col bilancio pubblico alla mano. Basta affidare gli appalti alla verifica (anche preventiva come fece Beppe Sala all’Expo) dell’Anac, per scongiurare al meglio possibile la corruzione, sempre in agguato. Basta sensibilizzare i sindaci dei territori coinvolti, che sarebbero tutti gratificati dal connesso, perentorio, vantaggio

occupazionale. Bastano queste poche cose di buon senso, e si può ripartire. E si può incrementare il Pil, sull’anno, addirittura oltre il preventivato 1% di aumento. Eppure, niente. I grillini frenano. E questo spiazza chi addebita loro una perenne, perversa logica di voto di scambio collettivo, individuandola – per esempio – nelle promesse elettorali di un reddito di cittadinanza ancora più pingue e diffuso di quel che poi potrà essere effettivamente erogato (ciclo economico permettendo, dalla prossima primavera). La scelta grillina di non aprire i cantieri fino a “analisi costi benefici” positive è spiazzante perché il popolo del “no-Tav-no-tutto” è un’irrisoria minoranza dell’opinione pubblica, circoscritta in sostanza da una piccola parte delle popolazioni di alcune delle zone interessate da alcuni dei lavori; al contrario, quei 20 miliardi, se messi in opera, porterebbero voti: genererebbero 400 mila posti di lavoro e il numero dei cittadini direttamente beneficiati da quegli investimenti supererebbe di gran lunga quello dei dissidenti. Dunque non è per un calcolo di marketing del consenso che i grillini dicono no. È per un ammirevole però male applicato idealismo, sorretto da una grave ignoranza tecnica: proprio non sanno di cosa parlano. E in questo senso, il bagno di realtà in cui le cifre della nuova recessione stanno per immergerli potrebbe anche farli rinsavire. Se l’economia italiana non riparte, altro che reddito. Saranno solo debiti, altri debiti. P.S. La copertina di questo numero è volutamente “forte”. Sembra rivolgersi agli addetti ai lavori, riproponendo – graficamente parafrasata – una celeberrima locandina di “Wall Street”, film-cult sulla finanza americana d’assalto. E invece non parla ai soli addetti ai lavori. Riguarda certo anche loro, ma anche tutti noi risparmiatori. E non parla di finanza d’assalto ma di tutta la finanza e di tutto il risparmio. Che, come ogni altra attività umana, deve imparare, e presto, a fare i conti con l’intelligenza artificiale. Per trarne vantaggio e per non farsi prevaricare dai robot nelle scelte che ci stanno a cuore. Come ogni altra tecnologia, dobbiamo essere noi – genere umano – a governare le macchine. L’unico modo per riuscirci è studiare, capire, agire di conseguenza. Siamo tutti avvertiti: i robot sono tra noi, sono con noi. Impariamo a usarli, e bene, prima che loro usino noi.

Conoscere, rischiare, guadagnare

Direttore responsabile Sergio Luciano Caporedattore Marco Muffato Newsroom Marina Marinetti, Marco Scotti, Riccardo Venturi, Raffaela Jada Gobbi, Liliana Nori Hanno collaborato Antonio Quaglio (Consulente del direttore), Rosaria Barrile, Ugo

Bertone, Giacomo Damian, Franco Oppedisano, Vincenzo Petraglia, Anna Piazza, Monica Setta, Gloria Valdonio, Paolo Zucca Contributors Vittorio Borelli, Enrico Cisnetto, Giuseppe Consertino, Anna Gervasoni, Glauco Maggi, Giordano LombardoAndrea Margelletti, Marco Onado, Francesco Priore, Giulio

Sapelli, Franco Tatò Partnership Editoriali Confedilizia, Scenari Immobiliari Segreteria di redazione Monia Manzoni Sito web www.investiremagazine.it Presidente e A.D. Giuseppe Caroccia Editore incaricato Domenico Marasco

Responsabile commerciale Marco Bartolini Casa editrice Economy s.r.l. Piazza Borromeo 1, 20123 MilanoTel. 02/89767777 Registrazione Tribunale di Milano N. 126 del 27/3/1982 Distribuzione Pressdi - Via Mondadori, 1 Segrate - 02 7542097 Stampa Stampa Rotolito. S.p.a

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WATCHDOG Marco Onado È professore senior di Economia degli intermediari finanziari nella Università Bocconi di Milano. È stato Commissario Consob. Collabora con “Il Sole - 24 Ore”, “Lavoce.info” e “voxeu.org”.

NELL’ERA DEI ROBOT IL REGOLATORE OCCORRE PIÙ CHE MAI

L

a tecnologia sta cambiando la nostra vita con una rapidità inimmaginabile e si appresta a rivoluzionare il mondo dei servizi finanziari. Non si tratta soltanto di usare il telefonino per svolgere operazioni che prima richiedevano di andare in banca: il mondo dei big data abbinato all’intelligenza artificiale apre enormi opportunità per operazioni che fino a poco tempo fa richiedevano professionalità anche sofisticate: la gestione del sistema dei pagamenti, lo scambio di titoli sui mercati, la costruzione di portafogli efficienti e così via. Amazon e Facebook hanno cambiato radicalmente il volto della distribuzione commerciale (e non solo dei libri come qualcuno pensava all’inizio) e della comunicazione sociale; Fintech rivoluzionerà il mondo finanziario. E come insegnano quegli esempi e come del resto è accaduto in tutte le grandi trasformazioni economiche, ci sono grandi opportunità, ma si affacciano anche molti rischi che riguardano in primo luogo i lavoratori del settore e i risparmiatori. Non è difficile pensare che il settore finanziario è destinato ad assistere ad una drastica caduta dell’occupazione: si può anzi dire che si tratta di un processo a cui le banche hanno resistito fin troppo, anche per un comprensibile scrupolo sociale. Ma sarebbe doppiamente pericoloso se in questa ansia di recuperare il tempo perduto e mostrarsi all’altezza delle nuove tendenze, i grandi intermediari dimenticassero che il servizio finanziario, ovviamente con l’eccezione delle operazioni banali e ripetitive, non può far a meno dell’intervento umano e del rapporto personalizzato. Anche nelle sale operatorie oggi ci sono i robot, ma dietro c’è sempre un chirurgo, per la tranquillità del poveretto che giace sul lettino. Tanto per fare un esempio, Morgan Stanley negli Stati Uniti ha già addestrato i suoi 16.000 consulenti a utilizzare i risultati di procedure di intelligenza artificiale

Piuttosto le nuove opportunità aumentano le responsabilità di chi mantiene il rapporto con i risparmiatori. Le grandi base dati facilmente accessibili consentiranno di selezionare su una gamma ancora più vasta di strumenti e di combinazioni rischio-rendimento, identificando immediatamente i prodotti che meglio rispondono alle esigenze di ogni investitore, così come quelli che comportano costi di gestione più elevati. In altre parole, se l’aumento dei dati accessibili porterà a risparmiatori più informati ed esigenti, il mondo della consulenza dovrà dimostrare di essere all’altezza e ricordarsi che da sempre l’imperativo categorico, anche quando i conti si facevano a mano, è il rispetto dei “soldi degli altri”. Anche i regolatori dovranno modificare radicalmente il loro modus operandi. La possibilità di trattare masse enormi di informazioni si sta rivelando fondamentale per intervenire quasi in tempo reale su aspetti fondamentali come la manipolazione di mercato, l’insider trading, l’offerta di prodotti finanziari eccessivamente rischiosi e non adeguati alla clientela retail. Già oggi il regolatore britannico tratta ogni giorno informazioni su 20 milioni di scambi, cioè 150 miliardi in un anno. O ancora è in grado di svolgere analisi sulle condizioni praticate ai clienti bancari praticamente di tutto il paese. Naturalmente questo comporta un modo di funzionamento rispetto al presente, in cui – indipendentemente dalle caratteristiche dei singoli regolatori nazionali – la componente formale e burocratica è molto forte, se non prevalente. Non si dimentichi che una causa fondamentale del disastro di Caporetto fu che la nostra artiglieria, superiore per mezzi, tirò poco e male a causa della pessima organizzazione e delle scarse qualità degli ufficiali. Secondo un generale dell’epoca, perché tra essi c’erano più avvocati che ingegneri. E’ un monito che vale la pena ricordare.

Poter trattare masse enormi di informazioni è fondamentale per intervenire quasi in tempo reale su aspetti chiave come la manipolazione di mercato

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febbraio 2019


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SOMMARIO Febbraio 2019

08 WATCHDOG

20 TERZA REPUBBLICA

di marco onado

Nell’era Fintech il regolatore serve più che mai

14 IL SISMOGRAFO

di giulio sapelli

L’asse franco-tedesca minaccia Ue e Nato

16 IL GERMANISTA

di franco tatò

Quella politica che destabilizza la Germania

18 FINANZA REALE

di a.gervasoni

Guida all’European long term investment fund

38 LEADER

Tamburi: ecco come investire in tempi difficili

42 SETTORI

La cannabis è diventata un asset class credibile

46 CREDITO

Il riassetto bancario è un cantiere continuo

INTRO

COVERSTORY

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Copertina di Mirco Tangherlini

I robot fanno paura al risparmio gestito? Esperti e addetti dicono la loro su intelligenza artificiale e big data

22

Quale futuro attende la consulenza finanziaria nell’era dell’Ia? Istruzioni per l’uso per il nuovo consulente bionico

NICASTRO

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FOTI

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I robot cambieranno la nostra vita in meglio. Vantaggi anche per l’industria finanziaria

La visione del numero uno di FinecoBank sul futuro dei financial advisor italiani

ING

MONEYFARM

Il colosso olandese punta su una rete di giovani muniti di robo for advisor

A tutta tecnologia dal 2008 per dare inedite opportunità agli investitori delusi

ANASF

SCHRODERS

Bufi: l’ascesa del Fintech va vista con simpatia da noi cf, ci farà lavorare meglio

Ecco come la gestione attiva beneficerà della rivoluzione dei big data

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10 febbraio 2019

di e.cisnetto

Governo, crisi annunciata dopo il voto europeo

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SOMMARIO Febbraio 2019

INVESTIRE SPECIALIST 68 PROSPETTI 4.0

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Arriva il momento della verità per banche e consulenti con la consegna ai clienti dei rendiconti trasparenti previsti dalla direttiva Mifid 2

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74

SPORTIVI CONSULENTI/ La seconda vita da cf

94

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CONSULENTIA 19/ Torna a febbraio

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88

di cestisti, calciatori e medaglie olimpiche

l’evento romano organizzato dall’Anasf per gli advisor

SEDIE & POLTRONE/ Le nomine del mese Le dimissioni del Cfo di Enasarco fanno rumore

100

PROFESSIONE CONSULENTE/ Lettere a Priore Cf e clienti riassegnati, ecco cosa succede

POLE POSITION/ Unicredit, meno male che c’è un generale fortunato come l’ad Mustier

ONOREVOLE CONSULENTE/ Stefano Benigni si racconta, tra impegni politici e l’attività per una sim TALENT SHOW/ La prima gara sui portafogli tra un “fai da te”, un consulente e un roboadvisor

CONSULTINVEST/ L’ad Vitolo : scordiamoci le azioni per un po’, le fiche vanno puntate sui bond

MONDO

53 COSMOPOLITICA 54 IL GIRO DEL MONDO IN 30 GIORNI 58 QUI PARIGI

di andrea margelletti

Evitiamo un nuovo confine tra Belfast e Dublino

Il Brasile di Bolsonero, tra lavoratori licenziati e incarichi scomodi

di giuseppe corsentino

Cosa succede se la Banca di Francia apre un “Compro oro”

59 QUI NEW YORK

di glauco maggi

I fondi immobiliari americani fanno bene alle performance

62 MASTER & COMMANDERS 104 IL DENARO DEI VIP Giordano Lombardo racconta l’orribile 2018

65 STORIE DI SUCCESSO

Tosetti Value sim piace alla grandi famiglie

102 IMMOBILIARE

Il mattone (se di qualità) torna appetibile

Direttore: Vittorio Feltri Direttore responsabile: Pietro Senaldi Reg. trib. di Bolzano num. 8/64 del 21/12/1964 Distribuzione: Press-di Sito internet: www.liberoquotidiano.it La gerenza del quotidiano Libero viene qui riportata per le copie di Investire in vendita abbinata

12 febbraio 2019

Monica Setta incontra Albano Carrisi

106 BIBLIOTECA

di antonio quaglio

L’opera prima del governatore di Bankitalia

108 EDUCAZIONE FINANZIARIA Conoscere il profilo creditizio è molto utile

110 COLLEZIONISMO ARTE

Beni passione ok, a prova di mercati volatili

114 MALALINGUA

Toninelli, l’analisi costi-benefici e la Bibbia



IL SISMOGRAFO Giulio Sapelli È Ordinario di Storia Economica presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Milano e direttore scientifico della Fondazione Enrico Mattei.

QUELL’ASSE FRANCO-TEDESCA CHE MINACCIA UE E NATO

L’

accordo bilaterale che Francia e Germania hanno annunciato di star negoziando si presenta, per quel che se ne sa, con dei tratti veramente inquietanti. Nella bozza che è trapelata sui media, forse provvisoria ma non certo una fake-news, dopo le consuete dichiarazioni di principio dei documenti di questo genere – semmai arricchite dall’obbligo reciproco della partecipazione di ministri di un governo alle riunioni del governo del partner - gli unici temi su cui si prefigura una cooperazione autentica sono armamenti e sicurezza interna. Proprio così: armamenti e sicurezza. Ed è questo l’aspetto inquietante, perché nella bozza si parla chiaramente della necessità di mettere insieme l‘industria degli armamenti francesi con quella tedesca, idea tanto più rimarchevole in quanto la Francia è oggi l’unica nazione europea ad avere ancora una forte industria privata – il gruppo Dassault – nel settore degli armamenti, che produce per esempio i cacciabombardieri Tornado. Ebbene, unificare le forze nell’industria degli armamenti tra Francia e Germania significa di fatto ricostruire l’esercito tedesco con le armi francesi. L’altro elemento preoccupante riguarda poi quest’insistita attenzione alla sicurezza interna che sottolinea l’esigenza di rafforzare la capacità di prevenzione e contenimento, quasi a scongiurare il ripetersi di episodi come quelli dei gilet jaunes che potrebbero riproporsi anche in Germania. Quasi una polizia transfrontaliera. Non so davvero cosa potrà dire il Consiglio di sicurezza dell’Onu sul fatto che un Paese membro da sempre come la Francia assuma poi l’impegno di adoperarsi per farvi accedere la Germania. Il che, essendo la Germania un paese sconfitto nella Seconda Guerra mondiale – che aveva peraltro scatenato - riformula in modo del tutto diverso le relazioni internazionali. Il fatto che la Francia abbia preso un simile impegno, o pensi di prenderlo, senza aver concordato nulla con gli Stati Uniti, e ipotizzi la cooperazione militare che ricordavano prima, adombra un’idea di potenziamento della Nato incentrato sulla creazione di un esercito franco-tedesco ed è un qualcosa che mette a rischio l’equilibrio fondativo della stessa Nato. Mentre insomma l’Europa politica sembra star andando a pezzi, Francia e Germania sembrano voler far da sé. Ho sempre pensato che la disgregazione europea, qualora debba avvenire, non potrebbe che manifestarsi – come diceva Thomas Elliot - con uno sbadiglio, non con un big-bang. Invece quest’ipotesi di trattato mi fa venire dei dubbi nuovi. E’ sconvolgente pensare a un patto che crei una relazione speciale tra le due più grandi nazioni dell’eurozona, di cui una, la Germania, col passato che ha e l’altra, la Francia, con la sua straordinaria tradizione, ma anche con il dram14 febbraio 2019

Il trattato promosso da Macron continua a dividere la Francia e mette a repentaglio l’Unione ma dell’altro ieri, dell’occupazione militare tedesca, che ha coinvolto l’intero Paese salvo l’area affidata al subalterno governo di Vichy. Mi chiedo cosa diranno a questo punto i veri oppositori di Macron che sono le forze armate, del cui capo - il generale de Villiers, fratello di Filippe de Villiers, leader del neo-vandeismo francese - Macron si liberò subito. Ecco, mi sembra uno scenario inquietante, anche se nessuno ne parla, come non si parla di altre implicazioni della fibrillazione europea, per esempio del destino, forse brillante o forse problematico, di una grande società italiana controllata da un gruppo britannico come la Borsa di Milano. Mentre la maggior parte degli osservatori discute del declino tedesco, questo patto sembra risolverlo in un rafforzamento politico senza precedenti della Germania, che sarebbe l’unica grande potenza europea a entrare nel consiglio di sicurezza dell’Onu pur senza avere armi nucleari, di cui non a caso la Francia dispone. Se mi metto nei panni dei fratelli de Villiers, non potranno che vedere il Paese riavvicinarsi ad una situazione alla Vichy, di sostanziale subalternità alla Germania. Sta di fatto che finora Macron o chi c’è dietro di lui hanno sconfitto i nemici di questa attrazione fatale di Parigi verso Berlino. Ciò spiega perché il vero alleato dei de Villiers, Fillon, sia stato tagliato fuori dalla corsa al vertice: il più grande regalo fatto alla Germania. Ora il nodo arriva al pettine. Il trattato di cui si discute, con Fillon al potere, non sarebbe mai stato nemmeno prospettato, i vertici militari non l’avrebbero mai permesso. Anche così, però, Macron, a differenza di quel che sentiamo dire da certuni, ha diviso la Francia, non l’ha per niente unita.


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IL GERMANISTA Franco Tatò Manager eclettico e innovatico, è tra i pochissimi italiani ad aver diretto aziende in Germania, paese (e cultura) che ama ed è l’unico ad essere stato amministratore delegato sia di Rizzoli che di Mondadori

È LA POLITICA, NON L’ECONOMIA, A DESTABILIZZARE LA GERMANIA

A

ncora l’estate scorsa, i tedeschi non potevano che compiacersi del loro benessere, dell’aumento dei salari, della piena occupazione e dello sviluppo apparentemente inarrestabile delle esportazioni. Già a settembre si cominciarono a sentire le prime avvisaglie di un rallentamento economico dopo nove anni di ininterrotto sviluppo. A fine ottobre si svolsero le elezioni in Assia con pesanti perdite sia della tradizionalmente prevalente Cdu, sia della Spd. Con qualche difficoltà si è formato un governo della Cdu con i Verdi, in un certo senso vincitori morali delle elezioni, ma con solo un seggio di maggioranza nel Parlamento Regionale. Questo risultato è costato ad Angela Merkel la guida del partito, lasciata durante il congresso all’inizio di dicembre. Affrontare il 2019, anno sicuramente più difficile del 2018, sia per la congiuntura interna, sia per l’aumento della complessità dello scenario geopolitico, con un cancelliere dimezzato, non contribuisce certo a far diminuire le preoccupazioni, anche per l’immagine un po’ scialba del successore. Intanto arrivano le cifre e non sono tranquillizzanti: l’Fmi stima l’economia mondiale in arretramento di circa l’1% e la produzione industriale tedesca arretra dello 0,80% in ottobre e dell’1,9 in novembre, cioè 4,7% su base annua. Se il Pil dovesse svilupparsi negativamente anche nel quarto trimestre dell’anno, la Germania si troverebbe in una recessione tecnica, cioè puramente nominale, ma con qualche problema da risolvere. Si pensa infatti che quando il governo federale presenterà a fine gennaio le nuove previsioni economiche per l’anno 2019, difficilmente potrà stimare il prodotto interno lordo dell’anno oltre il +1,5%. Questa frenata si deve al fatto che, per la prima volta da molti anni si avrà una diminuzione delle esportazioni dovuta in massima parte al rallentamento dell’export di automobili, rallentamento dovuto non solo ai dazi di Trump, ma anche alle prime avvisaglie della grande trasformazione strutturale del business per l’e-mobility. Non dimentichiamo che la disoccupazione si trova ai minimi storici e che, in un paese di 80 milioni di abitanti, ben 44.200.000 sono attivamente occupati. Gli incrementi salariali incoraggiati anche dal governo faranno aumentare i consumi interni correggendo in parte le minori esportazioni. Il ministro delle finanze Olaf Scholz sta avviando un energico programma di interventi correttivi che prevede, oltre al sostegno dell’economia digitale, super ammortamenti per le imprese e, più avanti, una diminuzione delle imposte per aumentare il potere di acquisto dei cittadini. Se si ha la possibilità di investire in Germania, il 2019 è l’anno per farlo. In conclusione, si può dire che le preoccupazioni più serie vengono dal fronte politico e non da quello economico. Il movimento AfD viene presentato come una specie di Movimento cinque stelle con risvolti nazisti, pronto per una grande vittoria elettorale. La situazione è più complessa. Il fatto che l’Afd 16 febbraio 2019

OLAF SCHOLZ

Inquieta la crescita della Afd ma gli xenofobi difficilmente supereranno il 20 per cento abbia mandato nelle ultime elezioni 91 deputati in Parlamento è abbastanza preoccupante, ma è frutto di insoddisfazioni antiche diverse dal fenomeno Trump in Usa o Lega e M5s in Italia. Si tratta di una violenta reazione alla politica di immigrazione, ma non per paura di perdere il posto di lavoro o per odio razziale - sono più razzisti gli italiani - bensì per la debolezza della protezione dai criminali importati, pericolo rinvigorito a ogni episodio di cronaca. In settembre e ottobre si svolgeranno, dopo le elezioni europee di maggio, tre importanti elezioni regionali, in Turingia, in Sassonia e nel Brandeburgo, regioni della Germania est nella quale l’Afd parte da una posizione favorevole avendo già raggiunto nel Sachsen-Anhalt il suo risultato record con il 24,3%. Se i risultati di queste regioni fossero disastrosi per la Cdu, Angela Merkel perderebbe anche il cancellierato anzitempo e probabilmente assisteremmo, a livello federale, a un riaggiustamento significativo dei rapporti tra maggioranze e minoranze. Infatti, nella Germania Est i verdi tradizionalmente sono più deboli e la loro illuminata guida nazionale non potrà probabilmente esplicare tutta la sua forza, mentre qualche sorpresa potrebbe scaturire da una rinnovata Fdp. Nelle elezioni europee verificheremo la forza effettiva dei populisti xenofobi. La mia convinzione però è che in un paese in cui un settimanale come Der Spiegel vende 700.000 copie e Die Zeit ancora oggi 500.000, difficilmente un movimento rozzamente xenofobo possa superare il 20%. Spero di non sbagliarmi.


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Mirova è una società di gestione del gruppo Natixis Investment Managers. Mirova una società di gestione Natixis Investment Managers. * Il primoè fondo SRI è stato creato del nel gruppo 1984 all’interno di Ostrum AM. Mirova è una controllata di Ostrum AM. Ogni investimento comporta rischi, incluso il rischio di perdite di capitale. * Il primo fondo SRI è stato creato nel 1984 all’interno di Ostrum AM. Mirova è una controllata di Ostrum AM. Ogni investimento comporta rischi, incluso il rischio di perdite di capitale. Documento promozionale non contrattuale. Documento promozionaleLEGGERE non contrattuale. PRIMA DELL’ADESIONE IL PROSPETTO E IL KIID DISPONIBILI PRESSO I COLLOCATORI. PRIMA LEGGERE IL PROSPETTO E IL di KIID PRESSO I COLLOCATORI. Natixis DELL’ADESIONE Investment Managers è la società capogruppo unaDISPONIBILI serie di società specializzate nella gestione e distribuzione a livello mondiale. Il presente materiale è fornito da Natixis Investment Mangers S.A. Natixis Managers è la società capogruppo di una Natixis serie diInvestment società specializzate gestione e distribuzione a livello mondiale. materiale fornito Natixis Investment Mangers societàInvestment di diritto lussemburghese, o dalla propria succursale Managersnella S.A. Succursale Italiana con sede in Via Larga, 2Il–presente 20122, Milano (Telè800 131da 866). Copyright © 2018 NatixisS.A. società di diritto lussemburghese, o dalla propria succursale Natixis Investment Managers S.A. Succursale Italiana con sede in Via Larga, 2 – 20122, Milano (Tel 800 131 866). Copyright © 2018 Natixis Investment Managers S.A. Tutti i diritti riservati. Investment Managers S.A. Tutti limitata i diritti riservati. Mirova società a responsabilità di diritto francese con Consiglio di Amministrazione. Regolamentata da AMF con il n ° GP 02-014 RCS Parigi n ° 394 648 216. Sede legale: 59, Avenue Pierre Mendès, Mirova responsabilità limitata di(A) diritto francese con Consiglio di Amministrazione. Regolamentata da AMF con il n ° GP 02-014 RCS Parigi n ° 394 648 216. Sede legale: 59, Avenue Pierre Mendès, 75013 –società Parigi a- Francia. ADINT81-0918 75013 – Parigi - Francia. ADINT81-0918 (A)


FINANZA REALE Anna Gervasoni Professore Ordinario di Economia e Gestione delle Imprese alla Liuc di Castellanza. È anche direttore generale dell’Aifi (Associazione italiana del private equity, venture capital e private debt)

LA UE PUNTA SULLE IMPRESE CON I FONDI A LUNGO TERMINE

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rriva dall’Unione Europea un nuovo prodotto destinato a investitori pazienti: parliamo degli Eltif, gli European long term investment fund. Sono un nuovo strumento introdotto appunto dall’Unione europea per aumentare le possibilità di investimento di medio lungo termine e indirizzare maggiori risorse verso le imprese. Si rivolgono a investitori professionali e privati e hanno un ticket d’ingresso minimo di 10mila euro, quindi con un limite più basso rispetto ad altri analoghi fondi, quali per esempio i fondi chiusi. L’Eltif impegna almeno il 70% in imprese non quotate o, se quotate, con una capitalizzazione di mercato inferiore a 500milioni di euro. Quindi: target Pmi. Inoltre può erogare direttamente prestiti e può anche investire in azioni o quote di altri Eltif, EuVECA (fondi per venture capital), ed EuSEF (fondi per l’imprenditoria sociale). La “ratio” è veicolare parte del risparmio anche privato verso investimenti non speculativi, che possano sostenere le aziende nel loro processo di crescita. Aifi, l’associazione che rappresenta i fondi di private equity, private debt e venture capital, da sempre sottolinea l’importanza di far confluire liquidità nell’economia reale. Gli operatori di private equity, venture capital e private debt intervengono direttamente nel finanziamento delle imprese non quotate, fornendo capitali di rischio e di debito; la loro attività è strettamente legata alla crescita delle imprese in cui investono: si scelgono aziende con potenziale di crescita e si danno capitali alle medesime, consentendone un più veloce processo di sviluppo e implementazione dei piani industriali. Ciò presuppone logiche molto differenti rispetto al settore dall’asset management che invece opera guardando alle imprese quotate basandosi su discipline, metodologie e metriche che attengono la comprensione dei mercati mobiliari e le relative dinamiche di domanda e offerta. C’è differenza tra gli investimenti appena descritti e il sostegno a un piano industriale di un’azienda che implica il contatto diretto con le attività delle persone che ci lavorano, contribuendo alla creazione di valore. Gli operatori di private capital studiano le aziende, i numeri, i bilanci e le strategie delle imprese per poter affiancare il management nella realizzazione del piano industriale. È un lavoro impegnativo perché significa avere un approccio pluridisciplinare guardando per esempio, l’adeguatezza del management, le dinamiche di sviluppo e vendita dei prodot18 febbraio 2019

Gli European long term investment fund impegnano il 70% in imprese non quotate. E hanno un ticket d’ingresso minimo di 10mila euro ti o l’ingresso in nuovi mercati, aspetti legati alla governance e ai principi di sostenibilità e gli altri aspetti che possono rappresentare elementi rilevanti per creare valore nel lungo periodo. Si tratta dunque di un lavoro paziente i cui risultati non si vedranno nell’immediato ma saranno centrali per consentire all’impresa e al team imprenditoriale di fare un salto di dimensione e di qualità. Spesso poi, in un percorso di nascita e crescita aziendale, venture capital, private equity e private debt, si danno il cambio lungo le diverse fasi di vita della società e, in alcuni casi, lavorano in modo complementare permettendo l’affermazione e il successo dei progetti. In Italia il lavoro di questi operatori si vede in quanto i risultati registrano rendimenti spesso a doppia cifra. Questo è frutto di esperienza che non si improvvisa: quando si vedono dei buoni ritorni bisogna capire da dove arrivano, qual è il sottostante. Per ottenere grandi rendimenti occorre anche farsi carico di altrettanti rischi, in questo settore più che in altri legato alle professionalità degli operatori nel processo di selezione dei deal e creazione di valore, nonché ricerca delle migliori opportunità di disinvestimento. Nel contesto appena descritto, la nascita degli Eltif vuole essere un elemento in più, nelle intenzioni dell’Unione Europea, per avvicinare i flussi alle diverse opportunità, nel rispetto del capitale dei risparmiatori, sempre dosato in funzione dei rischi che si vanno ad assumere. Per la riuscita di questo obiettivo occorre però aumentare la consapevolezza e la conoscenza sugli strumenti di investimento così che ognuno possa svolgere al meglio il proprio mestiere. Da questo punto di vista l’Italia, con il proprio ricco tessuto imprenditoriale, offre numerose occasioni e l’auspicio è che parte di questo grande flusso di capitali possa arrivare alle nostre meritevoli imprese.


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TERZA REPUBBLICA Enrico Cisnetto È un editorialista, economista e conduttore televisivo italiano, ideatore della trasmissione televisiva Roma InConTra. È conferenziere, consulente politico-strategico e tifoso della Sampdoria

DOPO IL VOTO EUROPEO LA CRISI DI GOVERNO È INEVITABILE

S

e per indirizzare i vostri investimenti vi tocca capire quanta e quale sarà la vita di questo governo, armatevi di pazienza perché tocca fare dei calcoli un po’ complessi. La prima domanda cui rispondere è: prima delle elezioni europee del 26 maggio prossimo, qualcuno proverà l’azzardo di far saltare il banco? In teoria sarebbero solo un centinaio di giorni che ci separano da quella verifica decisiva, però diventano un’era geologica se si guarda indietro e si considera che nei 214 giorni che vanno dal primo di giugno (giorno di insediamento dell’esecutivo Conte) al 31 dicembre (approvazione della tormentata legge di bilancio) è successo davvero di tutto. Dunque la risposta più logica è: nessuna crisi di governo preventivata, ma tutto potrebbe succedere se il combinato disposto della campagna elettorale – che sarà tale da generare ulteriori tensioni tra i due partiti di maggioranza rispetto a quelle, fortissime, che già ci sono – e del convitato di pietra che ultimamente ha fatto capolino nella politica italiana – la recessione, potenzialmente capace di innescare variabile impazzite – cambiasse lo scenario. Pensateci bene: il “contratto di governo” fatto da Di Maio e Salvini, è nato in un clima – vere o false che ne fossero le premesse – se non di euforia, certo di prospettive economiche di sviluppo. Si discuteva se fosse lecito o meno spingere le attese sulla crescita dell’1,5%, che si dava per sicuro ed era scritto nei documenti ufficiali, al 2% e oltre, e tutto ruotava intorno a problematiche redistributive. Ma la realtà delle cose è più forte e ora, dopo che il governo ha già provveduto a ridimensionare le stime 2019 al +1%, siamo in “recessione tecnica” (cioè due trimestre consecutivi con il segno meno) e lo scenario si tinge con le fosche tinte della decrescita. Una situazione che non solo rende obsoleti i termini del patto 5stelle-Lega, ma rischia di innescare tra i due firmatari contrapposizioni letali. Un esempio? La Lega sarà costretta a dire, con voce sempre più alta, che occorre far partire i cantieri delle infrastrutture, e la partecipazione dei leghisti alla seconda manifestazione pro Tav di Torino è solo il primo assaggio. Cosa pensate che faranno i grillini? Non prevarrà la moderazione “democristiana” del vicepresidente 20 febbraio 2019

La recessione tecnica iniziata cambia i «fondamentali» su cui era nato l’asse gialloverde. E le frizioni aumenteranno imponendo quanto meno un rimpasto, se non le urne del Consiglio, ma lo spirito barricadero della componente radicale dei Fico e dei Di Battista. Dopo mesi di fuoco, ma passati a cercare di nascondere sotto il tappeto le differenze tra i due azionisti del governo, adesso è facile pronosticare che, con la campagna elettorale che costringe a sottolineare le diversità, la competizione diventerà patologica assumendo i contorni di un “tutti contro tutti” sanguinoso. Certo, si cercherà qualche nemico comune – della recessione s’incolperanno l’Europa e i governi precedenti – ma quando gli italiani sentiranno bruciare sulla loro pelle, per la terza volta in dieci anni, il ferro arroventato della crisi, è immaginabile che il “marciare divisi per colpire uniti” con cui Di Maio e Salvini si accingevano al voto europeo verra sostituito dal motto “due eserciti che attaccano la stessa postazione finiscono inevitabilmente per spararsi addosso”, usato da Sergio Leone nel suo capolavoro “Per qualche dollaro in più”. Concludendo, lo scioglimento anticipato delle Camere resta improbabile, considerato anche la ferma indisponibilità del Quirinale e la scarsa (sic) propensione dei parlamentari a perdere il seggio. Ma dopo il voto europeo la crisi di governo è da mettere in conto. Con una sola eccezione: che nelle urne i rapporti di forza restino immutati. Lo so, resta aperta la domanda: ma alla crisi seguirebbero elezioni, un governo con nuovi azionisti o semplicemente un rimpasto? Ma per questa risposta, datemi tempo. (twitter @ecisnetto)


La FUtura GENerazione degli investimenti è arrivata.

L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE AL SERVIZIO DELLA FINANZA Due comparti long/short che investono nei principali mercati (Azionario, Obbligazionario, Forex, Materie Prime).

INNOVAZIONE

TRADIZIONE

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SCENARI

DOVE VA LA CONSULENZA NELL’ERA DELL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE di Riccardo Venturi

U

n grande chirurgo oggi utilizza strumenti di altissima tecnologia per operare in modo ancora più preciso ed efficace. In modo analogo un grande consulente finanziario si avvale dell’intelligenza artificiale (la citeremo con l’acronimo IA per praticità, ndr) per rendere le sue scelte più accurate e vicine alle esigenze del cliente. La similitudine di Andrea Granelli, fondatore di Kanso e esperto di digitale, aiuta a definire la figura del nuovo consulente finanziario, che è stato definito bionico, secondo il modello del robo for advisor. Non si tratta di un androide ma di un essere umano in carne e ossa, che utilizza le più avanzate tecnologie disponibili. C’è però un altro settore della finanza in cui l’Ia sta prendendo rapidamente il sopravvento: quello dell’asset management. Secondo stime di JP Morgan, l’85% dei volumi di Borsa è già prodotto da strategie d’investimento controllate da algoritmi. «L’asset management ha un orizzonte di trading, quindi di breve

periodo – dice Pasquale Orlando, Cmo e cofondatore di Deus Technology – e gli algoritmi intelligenti sul breve periodo vanno benissimo. Per questo fanno e faranno tanta disruption in quel mondo: gli analisti, i trader e i gestori saranno sempre di meno. Il problema è che quegli algoritmi non possono prevedere tutto quel che succede, di fronte a uno shock particolare non sappiamo come reagiscono». Torneremo più avanti sul tema dei limiti e dei rischi dell’algotrading. Per definire la differenza tra il mondo della consulenza finanziaria (il wealth management) e quello del trading (l’asset management) ci affidiamo ancora alle analogie di Granelli: «il consulente è simile a un artigiano, che vede la tecnologia come un utensile che lo fa lavorare meglio. Ma l’industria invece spesso sogna le macchine senza operai, così come si vuole automatizzare il trading». I pareri sulla materia non sono unanimi: mentre Granelli sottolinea i limiti dell’Ia anche nel trading («questa è la chiave discriminante: il digitale può potenziare l’uomo, non sostituirlo») c’è chi, come il codirettore dell’Osservatorio Digital Artificial Intelligence del Politecnico di Milano Nicola Gatti, sostiene che gli algoritmi intelligenti siano già pronti a gestire non solo il trading, ma perfino il wealth management (vedi box). Carlo Alberto Carnevale Maffè, professore di strategia alla Bocconi University School of Management, definisce

NON SOLO IL FINANCIAL ADVISOR, ANCHE L’ASSET MANAGEMENT CAMBIA

22 febbraio 2019


COVERSTORY in modo preciso i limiti entro i quali l’Ai funziona al meglio: «se un sistema ha regole definite e dati strutturati e affidabili, e quindi nella fattispecie se si devono prendere decisioni di investimento formalizzate e circoscritte, allora affidare all’Ia le decisioni per ridurre le complessità è diventato necessario – spiega – mentre lontano dalla formalizzazione delle regole e dalla strutturazione del dato ci si deve accontentare dell’intelligenza naturale, ammesso di avercela». Il problema dell’utilizzo dell’Ia nel wealth management è insito proprio nella sua estrema complessità: «l’obiettivo non è di breve ma di medio lungo termine – sottolinea Orlando - gli investimenti devono essere coerenti con il ciclo di vita del cliente, e con le sue aspettative e caratteristiche umane. Quel che si cerca non è una performance fine a se stessa, ma un’allocazione delle risorse del cliente che renda sostenibile la sua vita da qui ai prossimi anni». Eppure anche a fronte di un compito così complesso sono nate le soluzioni cosiddette di roboadvisory, che prevedono un intervento minimo da parte dell’uomo. Almeno in teoria: «I servizi digitali automatici usufruiti in modalità self, come Moneyfarm, Nutmeg e Vaamo, in Europa sono circa una novantina – osserva il Cmo e cofondatore di Deus Technology – spesso piccole Sim che disintermediano le banche e vanno direttamente sul cliente finale. Ma dietro questi roboadvisor non c’è una potente intelligenza artificiale». Per Orlando questi servizi digitali funzionano in realtà come una classica gestione patrimoniale: «Sono gestori veri che fanno un certo numero di portafogli suddivisi per profilo di rischio – spiega il Cmo - Quando il cliente compila il questionario dà la delega per la gestione e viene inserito automaticamente in uno di questi profili. Così il processo di investimento è semplificato al massimo. La tecnologia è utilizzata non tanto nella costruzione dei portafogli, quanto nella disseminazione dei contenuti,

per comunicare con il cliente». Accanto al roboadvisor prende sempre più piede il modello robo for advisor. «In un mondo in cui le banche devono tagliare i costi e massimizzare i benefici, le possibilità sono due – rimarca Orlando – o chiedono di non presentarsi a chi vuole investire, poniamo, meno di 150mila euro, oppure fanno un’azione di empowering del consulente attraverso la tecnologia». Un consulente finanziario bionico, ovvero potenziato da strumenti di IA, ha la possibilità di gestire clienti anche piccoli, cosa che altrimenti non avrebbe il tempo di fare. A essere prezioso è in particolare l’utilizzo dei Big Data Analytics, il processo di raccolta e analisi di grandi volumi di dati per estrarre informazioni utili. «Il motore dell’Ia va a capire cosa il cliente ha acquistato nel tempo, le informazioni anagrafiche, dove lavora, quelle geografiche – mette in evidenza il cofondatore di Deus Technology - può aggiungere informazioni tratte da dati Istat, Eurisco e così via; questo permette di capire meglio in che fase della vita si trova e qual è il suo vero profilo di rischio al di là di quel che dichiara». In sostanza l’Ia permette di industrializzare il processo di personalizzazione. «L’utilizzo di queste tecniche aiuta moltissimo il consulente perché fa tanto lavoro di comprensione del cliente, che sarebbe altrimenti molto time consuming

ANDREA GRANELLI, FONDATORE DI KANSO

PASQUALE ORLANDO, CMO E COFONDATORE DI DEUS T.

UN CF BIONICO HA LA POSSIBILITÀ DI GESTIRE ANCHE I PICCOLI CLIENTI

CARLO A. CARNEVALE MAFFÈ, DOCENTE BOCCONI USM

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– aggiunge Orlando –. Il consulente può avere a catalogo 10-15mila prodotti, una massa di informazioni pazzesca, avere una macchina che li analizza per lui è importante. Se l’IA fa tutto il lavoro tecnico il consulente si può concentrare sul lavoro di relazione». Il robot può anche essere proattivo: «Puoi prendere tutti i portafogli e inserirli in una procedura di monitoraggio secondo alcuni parametri di rischio, performance, esposizione su certi mercati e asset class – spiega ancora il Cmo - se i clienti escono da certe fasce al consulente viene evidenziata la criticità sulla quale poter intervenire. A questo punto il consulente può chiedere alla macchina: che faresti su questo cliente? Se la risposta gli piace la adotta; oppure può dire non va bene, mettici quest’altro; o ancora ritenere che la risposta sia completamente sbagliata e dire: faccio da me». L’IA applicata al wealth management deve tener conto anche dei paletti introdotti dalla banca, da quali sono i prodotti investibili ai criteri per decidere se uno è meglio dell’altro, fino al come decidere quale prodotto è migliore per un cliente. «La consulenza giuridicamente è un concetto inserito in un contratto la cui responsabilità fa capo alla banca – aggiunge Orlando – anche per questo non può esserci un algoritmo che decide da sé». Inoltre si tratta di un settore fortemente normato, nel quale il processo di investimento è sottoposto alle stringenti regole di Mifid 2. Il motore di IA deve assemblare tutti questi parametri. «Visto che i modelli di asset management anche sofisticati applicati al wealth partorivano consigli illogici, tipo: vendi tutto quel che hai e compra qualcos’altro, a Deus Technology siamo andati su un modello euristico – evidenzia il cofondatore – che mette insieme tutti i 200-300 vincoli, dalle regole al cliente alla banca, per tirar fuori la combinazione migliore. Cerca di

85% DEI VOLUMI

DI BORSA È PRODOTTO DA STRATEGIE D’INVESTIMENTO CONTROLLATE DA ALGORITMI

20% DEI CONSULENTI

FINANZIARI UTILIZZANO IL ROBO FOR ADVISOR; 80% LO UTILIZZERÀ ENTRO 5 ANNI

60% DEI CLIENTI

PREFERISCE RIVOLGERSI A UN CONSULENTE PIUTTOSTO CHE A UN ROBOT PER AVERE CONSIGLI TRA 2 E 3,5 TRILIONI DI EURO DI ASSET SARANNO GESTITI CON IL SUPPORTO DELLA ROBOADVISORY ENTRO IL 2020; NEL 2025 SARANNO 14 TRILIONI

GATTI (POLITECNICO DI MILANO): «L’IA È GIÀ IN GRADO DI PRENDERE LE DECISIONI GIUSTE» Per il codirettore dell’Osservatorio Digital Artificial Intelligence i robot di intelligenza artificiale possono fornire consigli appropriati nel wealth management. Una news che non piacerà ai cf in carne e ossa

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intelligenza artificiale è già in grado di prendere le decisioni giuste in materia di wealth management, non c’è nessun problema». Per Nicola Gatti, codirettore dell’Osservatorio Digital Artificial Intelligence del Politecnico di Milano, l’IA è più avanti di quanto non si creda. Il che non significa che sia utilizzata. «Sono stato intervistato dal settimanale Donna Moderna, in pratica mi hanno chiesto se dobbiamo avere paura di aprire la porta di casa e trovarci davanti Terminator – racconta Gatti – ma se vado all’Osservatorio sull’IA del

24 febbraio 2019

Politecnico e racconto alle aziende di sistemi di IA che potrebbero integrare a un piccolo costo, come ha fatto Google con successo, loro sono scettiche: mi costa, potrebbe non funzionare... C’è un gap pazzesco tra l’aspettativa, l’immaginario collettivo e la realtà aziendale, specie italiana». Secondo Gatti, quando un consulente finanziario esamina i suggerimenti dei sistemi di IA in merito alle possibili proposte da fare a un cliente, quel che accade è molto semplice: «in realtà, la decisione è già stata presa dall’IA».


COVERSTORY fare quello che farebbe un consulente usando il buon senso, e funziona». Laddove l’IA è già abbondantemente utilizzata e spesso autonoma, come nel trading, non sempre i risultati sono brillanti. Il rischio è quello dell’effetto valanga: gli algoritmi intelligenti che determinano gli investimenti scattano tutti insieme quando un parametro chiave, come per esempio la volatilità, supera una certa soglia. Il che è già successo di fronte a shock dei mercati non previsti, provocando overselling e quindi calo repentino del valore delle azioni o al contrario la creazione di bolle. Il problema vero nasce quando i due

Le quattro fasi del roboadvisor per Deloitte 1.0

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• Questionario online • Proposta di prodotto o portafoglio (ETF, azioni, bond)

+ • Aggiustamenti + e ribilanciamenti • Proposte di + portafogli decisi aggiustamento e • Investimenti dal gestore ribilanciamento automatizzati basate su • Allocazione algoritmo • Cambi di asset del portafoglio automatici basata sul • Regole di rischio investimento predefinite

Deloitte, colosso dei servizi di consulenza e revisione, ha analizzato lo sviluppo del roboadvisor e individuato quattro fasi di sviluppo. Nella prima i clienti rispondono a un questionario, in base al quale ricevono proposte di prodotti singoli o portafogli di prodotti di investimento quotati; acquistano e gestiscono il portafoglio con i propri account e gestiscono gli aggiustamenti. In una fase successiva l’asset allocation è presa in carico da gestori di investimenti dedicati; i questionari oltre a filtrare i prodotti allocano i clienti a portafogli associati a determinate classi di rischio; a sovrintendere all’algoritmo di investimento e a definire le regole sono i gestori. Nella terza fase del roboadvisor gli algoritmi intelligenti hanno un ruolo importante: orientano le decisioni di investimento e le proposte di riorganizzazione del portafoglio,

monitorando e soddisfacendo strategie di investimento predefinite, anche se la supervisione finale è fornita da gestori di fondi professionali. Nella quarta fase gli investimenti sono automatizzati grazie a algoritmi di Ia che utilizzano l’autoapprendimento, sulla base di sofisticati questionari di gestione del rischio e di profilazione, in base alle condizioni del mercato e alle esigenze individuali. Per Deloitte circa l’80% dei roboadvisor tedeschi, europei, britannici e statunitensi si trova nella terza fase di sviluppo, quella più vicina al modello robo for advisor nella quale il consulente prende le decisioni di investimento anche sulla base del supporto dell’Ia. Ma la tendenza è quella di un avvicinamento al quarto step, con una crescente automazione e un ruolo più attivo dell’IA.

mondi di asset e wealth management si incontrano, per esempio quando un fondo quantitativo, cioè algoritmico, è stato venduto a un risparmiatore magari con un profilo di rischio basso, e di fronte a un evento imprevisto perde valore rapidamente, com’è già successo diverse volte. Un altro problema è quello dello spoofing, un sistema algoritmico di manipolazione del mercato. In certi casi si è osservato che gli algoritmi intelligenti fanno addirittura cartello: «Gli algoritmi interagiscono tra loro a una velocità che sfugge alla nostra capacità di interpretazione – dice Carnevale Maffè – un gruppo di studio dell’Ocse ha osservato un comportamento collusivo e collaborativo di algoritmi che si sono messi d’accordo e hanno fissato il prezzo della benzina in Germania; una sorta di coordinamento implicito di algoritmi. Questi satanassi hanno imparato a osservarsi reciprocamente». Il professore di strategia alla Bocconi University School of Management sottolinea la complessità della sfida: «Faticosamente riusciamo a inserire negli algoritmi intelligenti sistemi di stop che interrompono le reazioni a catena in Borsa. Facciamo fatica a controllare queste bestie coltivate. Il vaso di Pandora dell’Ia fa scappare molti più spiriti di quel che abbiamo previsto. L’IA è una rete, specialmente nella finanza, che si occupa di una commodity che è il denaro, che è già profondamente interconnessa, neurale». Per Granelli non c’è bisogno di attendere uno shock esterno, perché l’errore degli algoritmi intelligenti in un sistema complesso non è, come si dice spesso, qualcosa che può capitare, bensì un fatto strutturale: «uomini, dati, piattaforme creano complessità e quindi uno spazio di imprevedibilità. È lo stesso sistema che produce eventi non prevedibili, come la zizzania non può essere tolta dal frumento». Ma Carnevale Maffè ricorda che l’IA, anzi come lui tiene a sottolineare «le» IA hanno anche un ruolo molto positivo, quasi creativo: «le intelligenze artificiali sono una forma di amplificazione della varietà delle economie. Aumentano la dispersione delle allocazioni delle opzioni di investimento. E possono individuare il talento, l’outlier, quello che è fuori dalla coda statistica, il Messi o lo Steve Jobs. Come? Semplice, grazie alla loro forza bruta: mica dormono la notte». febbraio 2019 25


INTERVISTA CON ROBERTO NICASTRO

I ROBOT CI CAMBIERANNO LA VITA MA CI DARANNO PIÙ POSSIBILITÀ di Sergio Luciano

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iceva Bill Gates che i mercati sopravvalutano sempre l’impatto che una nuova tecnologia avrà nei due anni successivi al lancio, mentre sottovalutano l’impatto che la stessa tecnologia avrà in dieci anni. Adatterei questo ragionamento anche all’intelligenza artificiale (Ai, ndr) applicata alla gestione del risparmio!»: Roberto Nicastro, senior advisor per l’Europa di Cerberus Capital Management e già direttore generale di Unicredit, segue da sempre con attenzione l’evolversi delle tecnologie digitali applicate alla finanza tanto da essere anche entrato nel comitato scientifico di Deus Technology, tra le società europee più dinamiche del settore robotico specializzato in gestione finanziaria: «Sicuramente – aggiunge Nicastro - l’innovazione digitale cambierà, anzi sta già cambiando, questa nostra industria. Ma forse in tempi e in modi diversi da quelli che si ipotizzano oggi». Ci spiega meglio? Trenta anni fa il Black Monday della Borsa di New York dell’87 fu attribuito in gran parte all’entrata in uso su vasta scala del program trading, le compravendite automatiche. Era già quella una forma embrionale di intelligenza artificiale. Ed effettivamente, studiando il fenomeno con attenzione, emerse l’evidenza che i sistemi dei vari grandi broker avevano avuto reazioni omogenee. Lo studio che venne condotto dalla famosa Commissione Brady su quel Black Monday indicò una serie di rischi ed espresse raccomandazioni sull’impatto del program trading. E oggi JpMorgan paventa che possa accadere qualcosa di simile con il diffondersi dei sistemi robo nella gestione attiva. Se tutti i sistemi intelligenti assimilano gli stessi dati, e reagiscono in base a logiche intelligenti omogenee, 26 febbraio 2019

Roberto Nicastro, senior advisor di Cerberus e membro del comitato scientifico di Deus Technology

finiscono con l’impartire le stesse direttive gestionali. E dunque in uno scenario fantascientifico i mercati muoiono per troppa omologazione comportamentale! Ragioniamo per gradi. Questo che solleva JpMorgan è un tema virtualmente già noto ed esaminato. Da molti anni, come detto, si studia come utilizzare le modalità avanzate di computer trading, ma ancora non si è mai profilato il vero rischio di un “autismo” dei mercati. Certo, si può a mio avviso già rilevare un aumento sensibile della correlazione comportamentale tra i mercati, che ha già reso più difficile diversificare i portafogli. Per esempio, quando una mattina l’Oriente apre male, è difficile che per l’Europa sia una buona giornata. E dunque? Condivide l’apprensione distopica di JpMorgan? A mio avviso, come spesso succede, la verità si collocherà nel mezzo. Prima di arrivare al rischio di comportamenti del mercato davvero autistici ci vorrà molto tempo. Una diversificazione tra sistemi rimarrà sempre. Non necessariamente il fatto di avere nel mondo sostanzialmente centinaia o migliaia di luoghi in cui si svilupperanno gli algoritmi del program trading condurrà al fatto che tutti funzioneranno allo stesso modo, almeno fin


COVERSTORY quando avrà un ruolo il cervello umano…

E dunque dove si avvertirà maggiormente l’impatto dell’intelligenza artificiale? Da quel che si può capire oggi, l’industria finanziaria sarà tra le più impattate da Ai con applicazioni incisive e anzi disruptive. In particolare prevedo che l’intelligenza artificiale inciderà sulla parte più semplice e, all’opposto, su quella più complessa della catena del valore.

Cioè? I sistemi renderanno più automatici ed efficienti i processi di pensiero semplice e incrementeranno la capacità umana di svolgere ragionamenti complessi. Quel che c’è in mezzo, cioè far funzionare le attività mediane dell’industria, sarà meno toccato. La strada da compiere per improntare all’intelligenza artificiale tutto il mercato è ancora lunga…

Però tutti ci lavorano… E anche molto, ma è ancora ambigua perfino la definizione di intelligenza artificiale applicata all’industria finanziaria. Ha fatto un certo effetto l’analisi del Financial Times che ha chiesto a 20 banche cosa stavano facendo in materia. Ebbene, una banca ha detto di aver distaccato 800 persone ad occuparsi esclusivamente di Ai. Mentre Nordea, a detta di tutti una delle 2-3 banche più avanzate al mondo sul digitale, dichiara di avervi dedicato solo 25 risorse. Di fronte a simili discrasie viene il dubbio che non si parli delle stesse cose. Se oggi l’impatto complessivo dell’Ai su questi business si colloca al 5% della complessiva catena del valore è tanto. E per ora insiste, come dicevo, sui servizi semplici e ripetitivi: dai chatbot alla customer recognition e profiling, ai virtual assistant sulle informazioni di prodotto, insomma all’uso classico del Customer relationship management.

Che devono fare un consulente finanziario o un private banker per cavalcare il fenomeno? Nel futuro visibile, l’attività consulenziale come anche quella fai-da-te tendono a restare preponderanti e molto umane nella parte di mezzo del mercato. La crescente automazione consentirà però sia ai consulenti che agli investitori diretti di perdere meno tempo sugli adempimenti più ripetitivi e automatici e di concentrarsi di più sulla parte qualitativa della scelta.

Esempi? Prendiamo il caso di un consulente che abbia 150 clienti. E che voglia tenersi pronto all’impatto che l’evolvere della vicenda Brexit potrà quotidianamente avere sui mercati e sui portafogli dei 150 clienti. Strumenti basati su Ai potranno o già possono aiutarlo a prepararsi in tempo a tutti gli scenari, ottenere velocissime risposte in qualsiasi caso per ciascun cliente. E questa possibilità è soltanto vantaggiosa per il consulente stesso, che ne acquista di autorevolezza agli occhi dei suoi clienti, con cui potrà migliorare la relazione diretta e magari concentrarsi sui temi di tipo relazionale, generazionale e fiscale che incrociano con la gestione del risparmio o che sono molto più difficili o impropri da standardizzare. È proprio un nuovo empowering, per usare un po’ di gergo. E un altro po’: non già replacing ma augmenting… Quindi più potenzialità per tutti.

L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE AIUTERÀ I PROCESSI COMPLESSI E QUELLI SEMPLICI

E il back office? Sarà potenziato e snellito dai robot. Mi spiego: se ti arriva nel back-office un block-trade da 150 milioni di euro e lo devi ricollocare tra 16 controparti, il computer può darti un aiuto fondamentale a leggere adeguatamente e riordinare le 100 mail del cliente che danno le istruzioni. L’automazione di questo tipo è quella che già oggi dà più valore, come anche quella sulla gestione rischi per le frodi. Tra questi principali e primi impatti aggiungerei anche l’evoluzione del Crm, anche il trattamento dei Big Data… E la gestione vera e propria? Scegliere su quali titoli puntare? Al momento è più un dibattito che un’implementazione. Tutti dicono che i robot sanno fare stock-picking (scelta dei titoli, ndr) basato sul sentiment del mercato. Il computer analizza la stessa notizia da 70 mila fonti diverse, per esempio, per estrapolare il sentiment su un titolo. Ma non è detto che i risultati siano sorprendenti o imprevedibili, spesso sono asseverativi dell’ovvio.

Anche per chi si gestisce i soldi da sé? In fondo sì, purché sia molto bravo. Oggi questi soggetti hanno il problema di selezionare le informazioni più che di acquisirle, e questi sistemi lo fanno. Possono essere predisposti degli alert che in determinati momenti del mercato possono evitare dannose distrazioni. Naturalmente c’è anche il pericolo di sentirsi, per questo, molto bravi e… crederci troppo! E i grandi investitori istituzionali come si stanno attrezzando? Stanno facendo tutti sperimentazione intensiva dell’Ai, per esempio applicandola alla normativa. La Mifid 2 in molti casi è stata implementata con l’aiuto dei robot. Anche nel wholesale, dove hai decine di interfacciamenti, centinaia di operazioni, l’Aiè importantissima ed utile. Per non parlare dell’effetto preventivo.

Cioè? L’automazione può portare ad abbattere i rischi operativi. C’è tutto un mondo di sistemi che si focalizzano sull’automazione dei processi del post-trading… Il settlement delle compravendite per esempio è molto agevolato dall’Ai. Più e oltre che abbattere i costi operativi, ti abbatte appunto i rischi operativi. Ricordo che una volta, in una grande società di gestione del risparmio, un funzionario sbagliò a digitare un’operazione del genere e aggiunse due zeri a una transazione sulla sterlina. In poche ore quell’azienda perse 12 milioni di euro. Per un errore umano in execution. Ecco: con i robot, questo non accade. febbraio 2019 27


INTERVISTA CON ALESSANDRO FOTI

VI SPIEGO PERCHÉ IL FUTURO È DELLA CYBORG ADVISORY di Marco Muffato su criptovalute e blockchain, su robo advisor e intelligenza artificiale, smascherando tanti luoghi comuni che caratterizzano questi temi chiave per il futuro dell’industria finanziaria.

Foti, la digital transformation è davvero la rivoluzione che cambierà per sempre il paradigma della relazione tra banca e cliente? La relazione tra banca e cliente è caratterizzata da un fornitore di servizi e un fruitore che si aspetta servizi ad alto valore aggiunto. La digitalizzazione è un salto ulteriore in avanti per rendere questo rapporto più performante. Se ne giova in particolare la relazione tra consulente finanziario e cliente, dove il primo può dare al secondo una esperienza più allargata ed efficiente grazie alla tecnologia. Fino a pochi anni il lavoro del cf era limitato da un range ristretto di prodotti e a soluzioni molto semplici, perché da un punto di vista tecnico non era possibile fare diversamente. Adesso il consulente è in grado di realizzare e monitorare contemporaneamente decine di portafogli che investono in tutta l’economia del mondo, che hanno internamente decine di strumenti a loro volta iper-diversificati e che rispondono a matrici di correlazione molto complicate, un’attività che il professionista può potenzialmente replicare anche su alcune centinaia di clienti. Questa possibilità apre prospettive all’attività ancora tutte da esplorare. Non solo, molti cf sono in grado interagire con il cliente in modo più continuo, in remoto, anche grazie alle app. L’incontro fisico non è più un obbligo, ovviamente rimane fondamentale, ma adesso disponiamo di opportunità superiori e più immediate di contatto. Il manager della multinazionale che è in giro per il mondo, per esempio, ora è più comodamente in contatto con il proprio cf. Conseguentemente il cf è ormai libero da qualunque costrizione spazio temporale: non è inusuale che abbia per esempio base a Napoli con clienti a Milano e viceversa. Ripeto, l’arrivo della tecnologia ha aperto orizzonti inaspettati, superando la caratterizzazione territoriale dell’attività.

NEI PROSSIMI ANNI SI AFFERMERÀ UN MODELLO BASATO SULLA SINERGIA TRA BASE TECNOLOGICA E CAPACITÀ RELAZIONALI DEI CONSULENTI FINANZIARI

“P

er noi di Fineco, la tecnologia serve davvero solo quando serve il nostro lato più umano”. L’approccio concettuale della nuova campagna pubblicitaria dell’istituto del gruppo Unicredit, partita lo scorso 12 gennaio, è netto: il consulente finanziario non può che essere al centro e la tecnologia un suo supporto, in una combinazione sinergica fondamentale che assicuri ai risparmiatori un approdo sicuro per investire. Proprio il binomio uomo-tecnologia all’interno del mondo della consulenza finanziaria, è il fulcro della intervista di Investire ad Alessandro Foti, amministratore delegato e direttore generale di FinecoBank, che coglie l’occasione per dire la sua anche sulle grandi corporation che si avvicinano al fintech, 28 febbraio 2019

Le reti di consulenti finanziari devono temere Apple, Amazon e Facebook nel mercato dei servizi finanziari? Fanno parte del contesto di riferimento, sono attori con cui bisogna fare i conti e con cui probabilmente ci troveremo ad interagire. Diventeranno banche? Non è possibile prevederlo, ma stiamo parlando di una attività, quella bancaria, fortemente regolamentata, che ha costi di avviamento e di manutenzione


COVERSTORY elevatissimi. Mi sembra più percorribile la strada della cooperazione tra operatori bancari/finanziari e non. Non credo che le banche debbano temere qualcosa, a patto che si dotino della efficienza operativa necessaria per tradurre le tantissime informazioni sui clienti in loro possesso in servizi ad alto valore aggiunto. Se le dico Bitcoin, da banchiere cosa mi risponde? Che pensa del fenomeno delle criptovalute? Si è fatta una grandissima confusione tra la tecnologia che sta dietro le criptovalute, la blockchain, e le criptovalute stesse. La blockchain è sicuramente destinata a un radioso futuro, noi stessi stiamo sperimentando alcuni soluzioni basate su questa tecnologia per le attività di back office. Quello che ha fatto la fortuna delle criptovalute è che il loro ammontare è finito e dipende dall’algoritmo, rispetto alle valute in uso la cui quantità è invece variabile e dipende dalle scelte delle banche centrali di stampare più moneta. Queste criptocurrency sono state quindi viste come un’alternativa al delle valute. E qui finiscono gli aspetti positivi delle criptovalute. Siccome non ha bisogno di enti regolatori esterni rimane un mondo a se stante, deregolamentato, dove la garanzia dell’anonimato è diventato un terreno fertile per il riciclaggio e le attività criminose. E’ un mondo da cui una istituzione finanziaria, che ha cura della propria reputation, non può che starne a distanza. Di conseguenza non abbiamo permesso ai nostri clienti di accedere ad attività di negoziazione di bitcoin dalla nostra piattaforma. Detto questo non posso escludere che una banca centrale in futuro possa emettere una sua criptocurrency, che circolerebbe in parallelo con la valuta originaria.

per gestire le esigenze, sempre più complesse di ogni singolo cliente. Di conseguenza il nostro professionista sarà in grado gestire un numero di clienti maggiore: l’aumento della produttività è infatti una strada obbligata per vincere la grande sfida della pressione sui margini che si sta già manifestando. E per il consulente di aumentare i ricavi della propria attività pur in presenza di margini unitari decrescenti.

Lo sviluppo tecnologico e la presenza di robo advisor potrà far crescere il livello di consapevolezza e di conoscenza dei risparmiatori? Non siamo fan del robo advicing puro, dove il cliente interagisce solo ed esclusivamente con una base algoritmica e sulla base di una modellistica predefinita. Non a caso abbiamo coniato la terminologia Cyborg advisory per rappresentare che la banca ha una presenza molto importante sia nella costruzione e nella gestione delle metriche quantitative che stanno dietro la costruzione del portafoglio sia nella relazione con il cliente, attraverso la presenza umana dei consulenti finanziari. Sedersi al tavolo con il cliente, capire i suoi obiettivi e come questi cambiano nel tempo, gestire le sue reazioni emozionali, è un ruolo fondamentale la cui indispensabilità si manifesta in particolare quando le correzioni dei mercati sono particolarmente brusche ed è necessario che il panico porti gli investitori a compiere scelte sbagliate. Il futuro, quindi, sarà sempre più in una combinazione tra una potente base tecnologica che agevola l’attività di gestione dei portafogli abbinata alle capacità relazionali di un consulente finanziario preparato a interagire con i propri clienti. Questa sarà l’evoluzione dell’industria.

LA BLOCKCHAIN È DESTINATA A UN FUTURO RADIOSO

E della blockchain? E’ una tecnologia che permette di operare in assenza di enti certificatori, può creare le condizioni per un massiccio efficientamento e semplificazione delle attività. Credo che la blockchain troverà sempre più applicazioni non solo nel campo della finanza, ma penso per esempio al mondo degli enti pubblici.

Fineco e l’intelligenza artificiale, il rapporto è obbligato? Mi preme sottolineare che la tecnologia è un mezzo non un fine e che siamo pur sempre una banca, non un’azienda tech. Naturalmente siamo degli attenti osservatori di quanto accade intorno a noi. Se ci accorgiamo che esiste una soluzione tecnologica che può favorire una migliore esperienza per il nostro cliente e che questi è pronto a utilizzarla la adottiamo, altrimenti ne facciamo a meno. Non seguiamo mode, questo deve essere chiaro.

Come vede l’evoluzione dell’attività dei consulenti ifnanziari nei prossimi dieci anni? Credo che vedremo emergere una figura di super-consulente finanziario che avrà a sua disposizione supporti tecnologici sofisticati che gli consentiranno da un lato di creare soluzioni personalizzate ed estremamente diversificate con tutte le asset class mondiali, dall’altro di avere a disposizione più tempo

La Mifid 2 è un volano per l’innovazione delle banche? La Mifid 2 è un ulteriore tassello che va nella direzione di creare un rapporto estremamente rispettoso e trasparente nei confronti del cliente. Mi sento di affermare che la Mifid 2 è stata una buona notizia per l’industria. Tutto quello che spinge nella direzione di creare una migliore relazione con la clientela finale crea le condizioni per un business molto più solido e destinato a durare nel tempo. Le nuove regole, all’inizio poco gradite, in realtà ci stanno facendo crescere in modo più consapevole e robusto. febbraio 2019 29


INTERVISTA CON MARCO BRAGADIN

ING LANCIA IL CONSULENTE NATIVO DIGITALE di Marco Muffato

L’

onda lunga della Mifid 2, che impone agli operatori della consulenza finanziaria una maggiore trasparenza nei costi del servizio e prodotti, l’avvento inesorabile dell’innovazione tecnologica, la necessità di un profondo ricambio generazionale nel settore dei financial advisor italiani, sta determinando l’avvento di nuovi modelli distributivi nel mercato del risparmio gestito, con aspetti che per certi versi è corretto definirli rivoluzionari. È il caso di Ing, il colosso finanziario olandese, che ritorna da protagonista nel comparto di consulenti finanziari. Del progetto di rete costruita dal grande operatore ne parliamo con Marco Bragadin (nella foto), ceo di Ing in Italia. Ing torna a pieno titolo nel mercato delle reti di consulenti finanziari. Con quale modello di business e con quali obiettivi? La decisione di creare un nostro network di consulenti è funzionale ai piani strategici di crescita di Ing nel risparmio gestito, un settore fertile in cui possiamo offrire e crescere molto grazie alla nostra solida base clienti: basti pensare che abbiamo chiuso il 2018 con oltre un milione e 330mila clienti. Non a caso la scorsa primavera abbiamo arricchito la nostra offerta stringendo partnership con importanti case d’investimento (Bragadin si riferisce a BlackRock, Amundi, JP Morgan, Fidelity oltre a NN, n.d.r.) e lanciato il servizio MyMoneyCoach, il consulente finanziario digitale che in maniera estremamente semplice consiglia i prodotti più adatti a bisogni dei clienti. Il progetto della rete di financial advisor è partito lo scorso luglio con l’obiettivo di seguire al meglio l’evoluzione dei bisogni dei nostri clienti. Con il supporto della tecnologia vogliamo accompagnarli anche nelle scelte riguardanti ambiti più complessi della vita economica e finanziaria delle famiglie, come quelle relative al mondo de-

gli investimenti e ai finanziamenti, che richiedono un’attenzione particolare. Il nostro scopo è quello di affiancare la clientela a 360° per seguire l’intero ciclo di vita della famiglia, con una gamma di prodotti dedicati a ogni specifica esigenza. Aggiungo che a fine febbraio saranno 60 i professionisti attivi sul campo ed entro la fine del 2019 puntiamo ad averne 150.

LINEA VERDE, FEE FISSA, NO COMMISSIONE DI INGRESSO E DI USCITA PER I CLIENTI, ROBO FOR ADVISOR, SONO I CAPISALDI DEL NUOVO MODELLO DI RETE DEI CF 30 febbraio 2019

Perché avete scelto di puntare sui giovani, in un mercato che privilegia l’esperienza con un chiaro problema di ricambio generazionale? Ci piace innovare e farlo nell’ambito della consulenza finanziaria non è per niente scontato. In questo caso abbiamo deciso di puntare sulla formazione di giovani ambiziosi secondo i nostri parametri e i nostri valori, fondati sulla centralità del cliente. Vogliamo creare una rete di consulenti con un approccio nuovo e moderno al cliente e


COVERSTORY ai suoi bisogni d’investimento, oggi molto diversi da quelli di dieci anni fa, per l’avvento delle nuove tecnologie e soprattutto – come giustamente diceva - per il passaggio generazionale. Oggi abbiamo l’esigenza di parlare di investimenti con un pubblico trasversale, che include clienti di età matura ma anche i Millennial, che hanno logiche diverse rispetto ai loro genitori: per questo è necessario formare un team che sia digital native, che conosca e si riconosca nei nostri clienti, piuttosto che rivolgerci ad advisor già presenti sul mercato con profili più senior. Pensi che l’età media dei nostri consulenti è di 28 anni, contro una media di settore pari a 50. Quali sono le caratteristiche della vostra Ing Financial Academy? Com’è strutturata la sua attività? La Ing Financial Academy, coordinata da un partner di prestigio come Sda Bocconi, dura circa 4 mesi ed è un passo fondamentale per la preparazione dei candidati selezionati. Abbiamo pensato a un programma di formazione poliedrico, che contempli ogni aspetto, sia tecnico sia di relazione. Sono previsti moduli dedicati alla teoria dei mercati finanziari, giornate orientate alla consapevolezza del ruolo del consulente finanziario, all’allenamento e allo sviluppo di competenze relazionali, un corso propedeutico al superamento dell’esame Ocf e moduli più specialistici sui processi e sui prodotti della nostra gamma. Alla base teorica sarà quindi affiancato un percorso pratico di avviamento alla professione.

Avete realizzato un modello di contratto per la rete e un sistema di remunerazione flat assolutamente inedito per il settore dei consulenti finanziari. Ce ne può descrivere le caratteristiche? Abbiamo introdotto un meccanismo di remunerazione sicuramente innovativo, in linea con Mifid 2, trasparente negli interessi degli investitori e vantaggioso per la clientela: i consulenti infatti riceveranno una commissione percentuale fissa sui portafogli in gestione, indipendentemente dalla tipologia di prodotto/asset class collocata. A proposito di vantaggi per la clientela, aggiungo che i clienti non dovranno sostenere commissioni d’ingresso e di uscita sui fondi che sottoscriveranno. Parliamo dei vostri consulenti finan-

IL COLOSSO OLANDESE CHE HA FATTO BRECCIA ANCHE IN ITALIA

I

ng è una banca di origine olandese che offre prodotti e servizi in più di 40 nazioni, con oltre 38 milioni di clienti e 51.000 dipendenti. Con oltre un milione e 330mila clienti Ing è presente in Italia dal 1979 con le attività di corporate banking (wholesale banking), mediante cui offre servizi finanziari a grandi imprese e a istituzioni finanziarie, e dal 2001 con il retail banking grazie al lancio di un modello di banca on line pura nel nostro Paese, offre oggi ai risparmiatori una gamma di prodotti semplici (conti correnti e di deposito, prestiti personali, mutui, prodotti d’investimento). L’istituto da da ottobre 2017 si rivolge anche alle piccole e medie imprese con prestiti rapidi e 100%

digitali. Ing è una realtà bancaria che pone al centro della propria mission il tema della sostenibilità è oggi al centro della mission di Ing, per esempio per mettere in campo azioni concrete per contrastare il cambiamento climatico e “per favorire una società indipendente e inclusiva”. Dalla casa madre ci tengono a sottolineare che l’impegno di Ing su questo terreno è stato premiato dal Dow Jones Sustainability Index, che nel 2018 ha assegnato a Ing un punteggio di 82 punti su 100, ampiamente sopra la performance media del settore bancario (54 punti).

ziari e del loro rapporto con la tecnologia: andranno a casa del cliente muniti di robo for advisor? Saremo sicuramente più digitali nei processi e sempre più personali nella relazione. MyMoneyCoach, il consulente digitale che Ing ha lanciato lo scorso marzo, sarà parte integrante di questa relazione: permetterà ai consulenti di fare leva sulle potenzialità della tecnologia per individuare la soluzione d’investimento più opportuna in base agli obiettivi del cliente, completando la consulenza con un’adeguata comprensione anche degli aspetti più emotivi e meno razionali che caratterizzano ogni scelta finanziaria. I nostri consulenti finanziari ricopriranno anche il ruolo di coach finanziari: saranno quindi in grado di rendere semplici argomenti storicamente complessi per gli italiani e di spiegare quali sono i comportamenti generano maggiori possibilità di ottenere i rendimenti sperati in base al rischio che si intende correre.

Qual è la vostra visione del futuro della professione e come potranno cambiare nei prossimi anni le abitudini dei risparmiatori? Le capacità relazionali avranno un peso sempre maggiore. Le competenze tecniche vengono date per assodate, mentre è l’intelligenza emotiva, la capacità di intercettare gli umori e di gestire l’emotività degli investitori che farà la differenza. In termini di trend di mercato, l’avvento di Mifid 2, che include maggiore trasparenza sui costi e una conseguente riduzione dei margini con impatto sulla filiera di prodotto, provocherà alcune piccole scosse di assestamento nel mercato. Ciò detto ritengo che i principali fattori di successo per gli operatori potrebbero essere tre: semplicità della proposta, capacità di saper gestire la dinamicità dei clienti sulle diverse piattaforme disponibili e trasparenza. febbraio 2019 31


COVERSTORY MODELLI DI BUSINESS

L’INTUIZIONE DI MONEYFARM STA CONQUISTANDO IL MERCATO

«S

cegliendo te, un Robo Advisor, per amico». Battisti (Lucio, per carità, visti i tempi) potrà essere clemente per la parafrasi malandrina. Il legame però c’è: da una parte Moneyfarm – la società di gestione del risparmio specializzata negli investimenti a medio-lungo termine fondata nel 2012 da Paolo Galvani e Giovanni Daprà – dall’altra il robo advisor, che è poi un sistema di gestione degli investimenti rivolto a risparmiatori insoddisfatti da una precedente esperienza con la propria banca. Un’idea nuova che ha attirato, nel 2016, un colosso come Allianz, che ha investito nell’azienda. Oltre al gigante tedesco ci sono anche i fondi di investimento Cabot Square Capital, United Ventures, Endeavor e la Fondazione di Sardegna. Per il quarto anno consecutivo Moneyfarm è stata premiata miglior servizio di consulenza finanziaria indipendente e per la prima volta Top nella categoria robo advisor dall’Istituto tedesco di qualità e finanza. «L’idea di creare un robo advisor – ci racconta Galvani, presidente di Moneyfarm - venne nel 2008, in seguito alla grande crisi che manifestò l’inadeguatezza dell’offerta di investimenti rispetto a una domanda in forte crescita. C’è sempre più bisogno di una consulenza di qualità ed esiste una grande fascia di investitori - gran parte del segmento mass affluent - che non è soddisfatta del livello di servizio ricevuto attraverso i canali tradizionali, in Italia principalmente quello bancario. L’idea dietro Moneyfarm è dunque quella che attraverso la tecnologia si possa offrire su larga scala un servizio di gestione patrimoniale indipendente, quindi libero da conflitto di interesse, di grande qualità, efficiente. Inoltre in Italia i nostri costi di consulenza sono i più bassi sul mercato. Siamo un modello ibrido: mettiamo la tecnologia al lavoro di una squadra di consulenti, che accompagna gli investitori durante tutto il percorso di investimento. L’idea è quella di automatizzare tutti i processi a basso valore aggiunto e tagliare i costi di distribuzione. I migliaia di risparmiatori che investono attraverso la nostra piattaforma sono principalmente investitori navigati, insoddisfatti di una precedente esperienza con la propria banca». Oggi Moneyfarm gestisce masse comprese tra i 500 milioni e il miliardo di euro, e con le tre sedi di Milano, Londra e Cagliari (e un team di 90 professionisti), offre i propri servizi a oltre 30.000 risparmiatori tra Italia e Regno Unito (su una base di oltre 200.000 utenti attivi) a un ritmo di crescita che nel 2017 ha visto la base clienti triplicare e nel 2018 le masse gestite crescere del 300%. «Per il 2019 – prosegue Galvani - abbiamo molti progetti in cantiere. La nostra proposta per il mercato tedesco diventerà operativa in seguito alla completa integrazione con

di Marco Scotti

L’IDEA DI UN ROBO ADVISOR È NATA NEL 2008 PER AIUTARE GLI INVESTITORI DELUSI

32 febbraio 2019

Paolo Galvani, presidente di Moneyfarm, che ha Allianz tra gli azionisti

il servizio di Vaamo, la start-up attiva nel nostro stesso segmento che abbiamo acquisito. Per quanto riguarda l’Italia continueremo a investire per ampliare la nostra gamma di prodotti, con un prodotto pensionistico e uno assicurativo. Contiamo inoltre di fare passi avanti per quanto riguarda il canale di distribuzione B2B2C, attraverso accordi commerciali con partner interessati alla nostra tecnologia». Alla base del sistema di Moneyfarm c’è un questionario, che ha l’obiettivo di delineare il profilo dell’investitore e di comprenderne gli obiettivi. Si parte da tratti caratteriali come la tolleranza nei confronti del rischio, per arrivare alla situazione patrimoniale, alla conoscenza delle dinamiche di mercato e all’orizzonte temporale. Il risultato del test è uno strumento per i consulenti per poi individuare insieme all’investitore la soluzione migliore. Un sistema che cambia il modo di intendere la gestione del risparmio e perfino il mestiere del consulente finanziario.



COVERSTORY L’INTERVENTO

CONSULENTI E FINTECH, È L’ORA DELLA INTEGRAZIONE

L’

intelligenza artificiale e l’innovazione tecnologica rappresentano fenomeni che permeano ormai molteplici aspetti della vita quotidiana di tutti i cittadini e ciò vale anche per il nostro settore. A livello più sistematico l’impatto dei Big Data prospetta una serie di opportunità di sviluppo per il sistema finanziario in termini innanzitutto di capacità di raccolta di informazioni e di conseguente risposta alle esigenze del mercato, alle quali tuttavia fanno da contraltare i possibili rischi, prima tra tutti la tutela dei dati. Pensando invece al rapporto del singolo utente con i servizi finanziari e guardando più da vicino alla nostra professione, l’attenzione si sposta al cosiddetto Fintech, ossia la prestazione di servizi finanziari, bancari e assicurativi in forma più o meno automatizzata: si pensi, per esempio, ai servizi di pagamento e alla diffusione delle piattaforme di crowdfunding per il finanziamento delle imprese, specialmente nel caso delle piccole e medie aziende. Una delle articolazioni del più vasto universo Fintech è rappresentata dal robo advice, l’applicazione di soluzioni tecnologiche alla prestazione del servizio di consulenza finanziaria, fenomeno che, per la sua portata innovativa sulla professione di consulente finanziario, è da tempo all’attenzione di Anasf. Come associazione abbiamo più volte sostenuto che ci sono attività che un roboadvisor completamente slegato dalla componente umana non può certamente svolgere. Pensiamo alla gestione della componente emotiva del processo di investimento, soprattutto nelle fasi di mercato più critiche, ma anche a un’attività di wealth management a 360° che include la pianificazione fiscale e successoria, nonché l’ambito assicurativo e previdenziale. Il futuro è allora rappresentato non dalla sostituzione del consulente finanziario a opera dei robot, quanto piuttosto da modelli ibridi, i robo for advisor, nei quali la tecnologia non si sostituisce al consulente umano ma, anzi, fa da supporto all’attività dello stesso nelle varie fasi del processo che riguardano la profilazione del cliente, la definizione dell’asset allocation e degli obiettivi di investimento e il monitoraggio periodico delle scelte di investimento. Il rapporto tra consulenti finanziari e roboadvisor sarà pertanto all’insegna di una relazione di complementarietà, in cui le piattaforme automatizzate potranno essere di supporto all’attività del consulente finanziario sugli aspetti più operativi, lasciando invece alla componente umana il nucleo fondamentale della professione che è il rapporto con il risparmiatore. A fronte di un contesto tecnologico in continuo divenire, le istituzioni europee hanno ormai da qualche anno adottato un approccio, che abbiamo evidenziato in occasione di audizioni e consultazioni, volto a valutare e confrontare rischi e benefici dell’innovazione tecnologica. La nostra categoria ha così maturato un atteggiamento di apertura alle potenzialità di sviluppo 34 febbraio 2019

di Maurizio Bufi*

MAURIZIO BUFI È AL SUO SECONDO MANDATO COME PRESIDENTE DI ANASF

offerte dalla tecnologia, coniugate al tempo stesso alla necessità primaria di assicurare sempre un’adeguata tutela del cittadino nella sua veste di utente delle applicazioni tecnologiche. Abbiamo in tal senso apprezzato le nuove linee guida per la profilazione degli investitori e la valutazione di adeguatezza adottate da Esma, l’autorità europea di settore, arricchendo il quadro normativo Mifid 2 con una serie di presidi per tutelare i risparmiatori che investono online e assicurare un’effettiva parità di regole del gioco tra tutti gli operatori del mercato. Se, pertanto, negli ultimi anni sia le istituzioni che i vari attori del sistema finanziario – compresi i consulenti finanziari – hanno avuto la possibilità di conoscere e valutare i possibili effetti della tecnologia applicata ai servizi di investimento, la sfida che si pone per il futuro riguarda l’impatto più o meno disruptive della tecnologia. Di fronte al rischio della “disintermediazione umana”, paventato qualche anno fa all’alba del fenomeno Fintech, la risposta che proviene dalla nostra categoria professionale non è una battaglia di retroguardia quanto al contrario un atteggiamento di apertura verso le possibilità offerte dalla tecnologia, nella consapevolezza che il vero valore del servizio di consulenza è insito nell’imprescindibile componente umana che si fonda sulla componente fiduciaria nella relazione tra risparmiatore e consulente finanziario. L’investimento in prodotti di risparmio è un’attività intrinsecamente complessa, ben diversa dall’acquisto online di libri o viaggi. La presenza di un consulente persona fisica è allora importante anzitutto dal punto di vista relazionale sia nel suo essere veicolo di educazione finanziaria – le informazioni, da sole, possono avere scarso valore, nella misura in cui non ci sia un consulente umano in grado di rielaborarle e spiegarle – sia rispetto alla capacità di contribuire a decisioni di investimento consapevoli e responsabili. *Presidente di Anasf


Messaggio pubblicitario con finalità promozionale. Per le condizioni contrattuali dei prodotti offerti dalla Banca è necessario fare riferimento ai Fogli Informativi disponibili presso le Filiali e su www.iwbank.it.


IL REPORT SUI BIG DATA

LA GESTIONE ATTIVA BENEFICERÀ DELLA RIVOLUZIONE “DATA SCIENCE”

B

di Gloria Valdonio

ig data e Alpha: il coefficiente che esprime l’attitudine di un titolo a variare indipendentemente dal mercato è il punto di partenza e il punto di arrivo di un percorso - forse ignoto, ma obbligato - per ogni investitore (istituzionale e non) alla ricerca di valore. “La crescita spropositata della capacità di processare dei computer, della capacità di memoria e delle informazioni disponibili indicano che l’insieme di dati che possono essere interpretati da un analista o da un fund manager sta crescendo a un tasso esponenziale e in un modo molto indisciplinato”, spiegano Ben Wicks, Research Innovation, e Mark Ainsworth, Head of Data Insights di Schroders, in un interessantissimo report dal titolo: “Come beneficiare della rivoluzione della Data Science”. Per chi pratica una gestione attiva, insomma, non è più sufficiente cercare idee di investimento partendo dalle informazioni tradizionali come dati di trading, quote di mercato e aggiornamenti economici: per muoversi in anticipo, l’analisi deve partire da una mole di informazioni ben superiore, che comprende, per esempio, i trend dei social network, i dati di utilizzo real-time dell’elettricità, o i dati demografici, che sono ora disponibili e possono essere utilizzati in modi impensabili fino a pochi anni fa. Il report di Schroders (che si è dotata di una Data Insights Unit fin dal 2014, avvalendosi di data scientists, data consultant e data 36 febbraio 2019

LE LOGICHE DI SCHRODERS PER AVVALERSI DELLA INNOVAZIONE TECNOLOGICA E PER SFRUTTARE UTILMENTE I DATI ALTERNATIVI engineer che lavorano a fianco dei team d’investimento) parte dall’assunto che quello del risparmio gestito sia un settore di elezione per processare i dati su aziende, settori ed economie al fine di ottenere portafogli di investimento. Ora si tratta quindi di amplificare dati e processi per ottenere i migliori rendimenti. Per riuscire in questa impresa è però necessario comprendere che cosa rappresentano i dati per gli investitori, che cosa fare per renderli utilizzabili e perché i dati da soli non possono rimpiazzare un buon gestore. “Chi sarà in grado di combinare un processo dei dati su scala industriale con una expertise consolidata negli investimenti emergerà come vincitore”, è il giudizio dei due analisti. L’inevitabilità del percorso che parte dai dati per giungere all’alpha emerge da alcune stime che indicano che l’IA (Intelligenza Artificiale) potrebbe registrare un aumento dell’output dell’intera industria di 16 mila miliardi di dollari entro il 2030, sostenuta da aumenti significativi – tra l’11% e il 40% – nella produttività della manodopera, mentre il McKinsey Global Institute ha previsto che il 70% delle società adotteranno almeno una forma di IA sempre entro il 2030. Se questi numeri si concretizzassero, le implicazioni andrebbero ben al di là dei settori tecnologici di nicchia coinvolgendo anche l’industria del risparmio gestito. Anche perché con il termine “dati” si indica molto più dei semplici dati di mercato o di quelli contabili: “Questi dati includono dataset ampi


COVERSTORY e alternativi che possono sembrare poco connessi all’analisi dei mercati finanziari, o non esserlo del tutto”, spiegano Wicks e Ainsworth. Quello che interessa all’industria del risparmio gestito sono infatti i “dati alternativi”, termine ombrello utilizzato da Schroders che comprende tutte le informazioni che non fanno ancora parte degli strumenti base utilizzati dalla ricerca nel settore degli investimenti, ovvero tutto ciò che non rientra nei conti di una società, nei prezzi degli asset o nelle informazioni economiche. I dati di mercato tradizionali sono organizzati e sono facilmente accessibili da parte dei professionisti degli investimenti. Al contrario i dati alternativi spesso non sono strutturati e potrebbe essere necessario un lavoro considerevole prima di giungere a conclusioni sensate. Un esempio in tal senso sono i dati censuari raccolti dai Governi, informazioni di dominio pubblico che richiedono molto lavoro prima di poter essere utilizzati, per esempio per avere un’idea dell’affluenza in una particolare area. “Adottando un approccio di aggregazione come questo, è stato possibile ottenere un’immagine più nitida della spesa di consumi in UK resiliente dopo il voto su Brexit a giugno 2016, diversa da quella comunemente percepita e confermata dai dati ufficiali solo molti mesi dopo”, raccontano Wicks e Ainsworth. Maneggiare questi dati, organizzarli e formulare previsioni è compito dei data scientist, specialisti con un background prevalente in scienze computazionali. Una classica applicazione della data science è rappresentata dai “recommender engine”, software di filtraggio che suggeriscono i prodotti da acquistare su Amazon o i film da noleggiare su Netflix. Come spiegano gli autori del report, gli skill di un buon data scientist e quelli di un buon investitore sono complementari: “Un data scientist ha

Ben Wicks e, a destra, Mark Ainsworth. I due analisti, autori del report, fanno parte della Data Insight Unit di Schroders

diverse caratteristiche distintive: una buona conoscenza di matematica, statistica, programmazione e algoritmi. Tuttavia una solida conoscenza dei business e della provenienza dei dati e della loro applicazione è ugualmente importante per capire cosa sia realmente importante”. “Allo stesso modo per un asset manager è fondamentale assicurarsi che la data science diventi una parte integrante del processo di investimento, e non semplicemente una risorsa passiva”, aggiungono i due analisti. La scienza dei dati offre opportunità soprattutto ai fund manager attivi. Perchè l’impatto della rivoluzione dell’informazione è distante dal creare un campo di gioco uguale per tutti: al contrario sta creando ambiti per la generazione di alpha di lungo termine accessibili solo ai player con le dimensioni e le risorse adatte per trarne vantaggio. “La proliferazione dei dati creerà un vantaggio competitivo per un investitore di lungo termine ben equipaggiato. Tuttavia è importante evidenziare le differenze tra un orizzonte di investimento a lungo e a breve termine per quanto riguarda la data science”, dicono i due analisti. Un approccio a breve termine punta a creare modelli predittivi basati su correlazioni tra alcuni dati e l’andamento a breve termine dei prezzi azionari, strategia efficace ma transitoria: quanti più investitori scoprono tale correlazione, tanto più velocemente gli alpha generati saranno assorbiti dalla competizione. Questo modello si oppone agli alpha a lungo termine: in questo caso se emergono degli alpha è perché è stato scoperto del valore oppure della crescita in eccesso che nel tempo sarà incorporata nei prezzi delle azioni. La conclusione dello studio è intuibile: le organizzazioni che si adatteranno a questo mondo denso di dati avranno l’attitudine all’innovazione e alla collaborazione. E soprattutto, “Si troveranno nella posizione migliore per offrire ai clienti rendimenti differenziati e sostenibili”, concludono Wicks e Ainsworth.

Big Data, la previsione dei ricavi nel mondo 2011-2026

miliardi di dollari 100 80 60 40 20 0

7.6 2011

12.25 2012

19.6

18.3

2013

2014

22.6

2015

27.3

2016

33.5

2017

40.5

2018

49

2019

57.3

2020

65.2

2021

72.4

2022

78.7

2023

88.5

84

2024

2025

92.2

2026

FONTE: HTTP://WWW.STATISTA.COM/STATISTICS/254266/GLOBAL-BIG-DATA-MARKET-FORECAST/

febbraio 2019 37


LEADER INTERVISTA CON GIOVANNI TAMBURI

«Tempi difficili ma resto ottimista Il segreto? Scegliere e poi resistere» di Sergio Luciano

«I

n un mondo con un’economia che grazie al cielo cresce del 3-4 per cento all’anno, con un’onda di sviluppo che ci porta avanti tutti, che però è anche un mondo in cui tutti vedono nero, io continuo a essere ottimista”: benvenuti dal Re Mida della porta accanto, dal secondo investitore istituzionale italiano dopo la Cassa depositi e prestiti, un signore di 64 anni ben portati, occhi azzurri, modi diretti e cordialmente asciutti, che dopo pochi minuti che ci parli ti dà l’idea di sapere un sacco di cose dell’economia, della finanza, della Borsa e di tirarsela in modo inversamente proporzionale. Gianni Tamburi - è di lui che si parla - si è inventato ormai diciotto anni fa la sua “Tip”, Tamburi investment partners, una investment - merchant bank indipendente e diversificata, che doveva partire con 15 miliardi di vecchie lire in dotazione, investiti di una decina di soci, e ne ha trovati invece fin da subito 70, con 65 miliardi da spendere. Quella compagine di pionieri oggi è salita a 150 soci – gente del calibro di Isabella Seragnoli, dei Ferrero, degli Angelini, Luca Fossati Paolo e Gaetano Marzotto, i Radici, Niccolò Branca, Sergio Erede, Edoardo Rossetti, Cesare e Paolo D’Amico, Mario e Sandro Manuli, Pigi Loro Piana, Sergio Dompé, Claudio Luti - è quotata in Borsa, ha fatto investimenti, tra operazioni dirette e club deal, per circa 2 miliardi di euro, che oggi ne valgono circa 3 e ha un patrimonio netto contabile di 733 milioni di euro al 30 settembre 2018, dopo aver distribuito decine di milioni di dividendi, azioni e warrant gratuiti, nonché acquisti di azioni proprie in quantità. Tamburi, complimenti! Però è facile essere ottimisti dall’alto dei suoi ri38 febbraio 2019

Giovanni Tamburi, uno dei pochi imprenditori fondatori dell’alta finanza italiana

sultati. Ma non neghi che viviamo in un contesto di incertezza internazionale che non può non scaricarsi sul business… L’ho detto, viviamo purtroppo in un mondo in cui tutti vedono nero, però il mondo cresce e mentre tutti vediamo i problemi aperti, tanti si risolvono o si attenuano senza fare notizia. I tanti cinesi che vent’anni fa morivano di fame nelle campagne oggi, a forza di fare gli operai nelle fabbriche o i commessi nei negozi, stanno molto meglio. Sappiamo quanta Africa sta evolvendo, sta uscendo dalla povertà. Purtroppo però parliamo di come si stava ieri e peggio ancora di come stiamo oggi, e continuiamo a frustrarci… Mentre tutti i dati noti al mondo confermano che il benessere aumenta ovunque. E la povertà si contrae. Però l’Italia ha perso molta competitività verso i suoi partner. Sì, certo, l’Italia ha perso posizioni in tanti settori. Ma in tanti altri no…Proprio ieri, mio figlio, che vive negli Stati Uniti, a Miami, mi chiedeva perché l’Italia all’estero sia vista così male. E io gli ho detto come la penso: che siamo mal visti magari negli Usa, eppure in tanti settori cruciali siamo diventati leader, dal farmaceutico al biomedicale, da tanti segmenti della moda e design al packaging. Per cui a Miami, ma non solo, non ci si rende conto che siamo i primi al mondo in 50 settori produttivi importantissimi. Certo potremmo far meglio, ma già così abbiamo moltissimi punti di forza. Quindi non siamo i fanalini di coda del G20?


LEADER In alcuni casi lo siamo ma potremmo ancora essere leader. Guardi Milano, in questi giorni (i primissimi del 2019, ndr): è piena di turisti. Chi l’avrebbe detto vent’anni fa che Milano avrebbe avuto un simile boom turistico, grazie all’Expo? Ma sembrano eccellenze casuali, occasionali… Guardi, dobbiamo tutti essere bravi a portare a casa, fior da fiore, i risultati migliori da quel che sappiamo fare meglio. Poi, certo: per il nostro inveterato e inguaribile individualismo non costruiremo mai grandi sistemi. Guardi noi… Beh, proprio voi un grande sistema l’avete costruito! Sì, ma le pare normale che siamo noi, dopo la Cassa depositi e prestiti, i più grandi investitori italiani di questo genere? Quando abbiamo cominciato eravamo quattro amici al bar. Quando ho organizzato il primo club deal, diciassette anni fa, per rilevare il controllo di Interpump, sembravamo matti. Quelli di Bc Partners, che cedettero il pacchetto, secondo me ci considerarono dei fuori di testa, avevamo accettato la loro richiesta, forse esosa, io a fronte avevo riunito cinque famiglie…. Eppure è stato uno dei deal migliori che abbiamo mai fatto. In Tip adesso le famiglie che possano essere considerate investitori stabili nel nostro capitale sono quasi 150. Quindi si può riuscire a fare sistema in Italia ma è raro. Ce ne vorrebbero tante altre di strutture come la nostra. Mi tocca chiederglielo: e come si fa, in concreto, a essere l’eccezione che conferma la regola dell’individualismo? Il mondo della finanza in genere è molto speculativo, lo si sa. Il nostro modo di fare no. Ho avuto la fortuna, un po’ di coraggio e dei colleghi fantastici nel voler investire in società eccellenti, ragionando sempre e solo sugli sviluppi possibili a lungo termine. Studio e scrivo – sono a sedici volumi pubblicati – sul come analizzare e valutare operazioni di vera crescita di valore nel tempo, grazie a investimenti e acquisizioni, mentre troppi nostri concorrenti pretendono ritorni a breve, immettono debiti nelle società e tarpano loro le ali. Noi lavoriamo molto sugli investimenti che facciamo, anche dopo essere entrati, e trent’anni di M&A ci hanno portato a capire che le migliori crescite di valore si fanno con le sinergie.

Andamento del titolo Tamburi Investment Partners negli ultimi 5 anni 6,539 5,475 4,419 3,359 2,229

2015

Piazza Affari ha marcatamente sottolineato la qualità delle performance aziendali di Tip, dalla quotazione in poi

2016

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1,239 2019

Da sempre adottiamo un approccio di grande vicinanza agli imprenditori, un approccio per me sano, mai speculativo, mai di rapina o di anteposizione dell’interesse dell’investitore rispetto all’impresa, anche a costo di non vedere dividendi per anni. E tutto questo, dopo anni di analisi anche molto critica da parte di molti, è piaciuto sia alle famiglie sia ai moltissimi investitori istituzionali, specie esteri, che abbiamo da anni nel capitale.

NON RAGIONIAMO PER SETTORI O TREND MA CERCHIAMO DI SCEGLIERE LE PERSONE GIUSTE. DEVONO ESSERE BRAVE, APERTE E CORAGGIOSE. COM’ERA MARCHIONNE

Settori preferiti per gli investimenti? Non ragioniamo per settori o trend ma cerchiamo di scegliere le persone giuste. Devono essere brave, aperte e coraggiose. Esempi? Tanti. Uno per tutti: Sergio Marchionne. Quando tutti davano la Fiat per fallita, e nessuno pensava ad investirci, noi abbiamo attentamente studiato la sua storia professionale, seguito con attenzione le sue prime mosse, e siamo stati tra i primi a decidere di investirci, pur essendo un mondo assai lontano dal nostro; ci è andata bene. Per cui continuiamo a lavorare così. Mi viene in mente il primo incontro con Remo Ruffini di Moncler, Giovanna Furlanetto o Fulvio Montipo, tre persone eccezionali, o il rapporto con il top management di Amplifon, eccellente. Ma dove ha imparato questo approccio? La mia vera fortuna è stata aver fatto una scuola pazzesca in Bastogi e in Euromobiliare, dove ho dato vita al primo vero team italiano di merger and acquisition, l’unica cosa che - se va bene - ti insegna come 1+1 possa fare 3. Ma l’aumento di valore di alcune partecipazioni è stato strepitoso… Come avete fatto? Per esempio Interpump ha fatto 37 acquisizioni, con una crescita di valore straordinaria. E poi spesso Tip prende quote di minoranza, nelle aziende in cui investe. Quindi non comanda. A differenza di febbraio 2019 39


LEADER

quanto tendono a fare i classici fondi di private-equity. Perché? Semplice: chi può dare di più a un’azienda dell’imprenditore che l’ha creata e che ha, come primo punto di orgoglio da difendere, il nome in ditta? O un top management che sta già gestendo bene ma che magari ha dei vincoli, familiari o finanziari, talvolta culturali? Se prendi il 51% del capitale e come fanno alcuni mandi anche via delle persone sull’altare della tipica supponenza delle persone di finanza, cosa fai? Vai dal solito cacciatore di teste che fa la solita selezione manageriale da manuale, e verosimilmente trova qualcuno anche bravo, che però vive quell’opportunità come una transizione professionale da cui ricavare il massimo per sé, più che per l’azienda. Se invece tu affianchi come socio di minoranza un imprenditore bravo che ha bisogno di sostegno per crescere, puoi riuscire a professionalizzare situazioni industriali a volte troppo concentrate sul business as usual - tipico è il: si è sempre fatto così! - esaltando caratteristiche di quell’azienza, che possono accelerare la crescita, consentire di scrollarsi di dosso tutti quei legami tipici delle realtà meramente familiari e, perché no, aiutare chi vuol continuare a gestire per liquidare membri del gruppo familiare meno interessati a mantenere delle quote. A volte così si toglie il tappo ad uno sviluppo di azienda che deve vivere al 100% nel mondo globalizzato di oggi. Altri criteri guida? Beh, alcune operazioni importanti le abbiamo fatto intervenendo in aziende che stavano uscendo da una fase in cui erano state di proprietà di fondi di private equity. Per esempio Interpump, Prysmian, Roche Bobois, Moncler, Alpitour.

Alessandra Gritti, vicepresidente e amministratore delegato di Tip, con Tamburi

SCRITTORE DI FINANZA E PROTAGONISTA DI LIBRI... Ha sempre avuto rapporti aperti con la stampa, forse perchè Gianni Tamburi è egli stesso appassionato scrittore. “Prezzi & Valori” è un suo “classico”, un volume tecnico in cui espone i suoi criteri di valutazione delle aziende secondo la filosofia dell’enterprise value. Ma è da 40 febbraio 2019

poco in libreria anche un libro non il primo ma il più completo - su Tamburi e la sua sensibilità per il settore del lusso e i suoi campioni, una delle costanti nella strategia di investimenti perseguita da Tip e coronata dall’investimento nella Moncler, un successo imprenditoriale e borsistico.

Cos’ha contro il comportamento del private equity? Nulla, in linea di principio. Ma se un fondo spreme l’azienda in cui ha investito per estrarre valore – dicono così – non sempre la lascia in gran forma. Ricordo che quando stavo per rilevare una quota di Prysmian, ad accordo già ben impostato con Goldman Sachs, vidi Valerio Battista che la guidava e lui, proprio qui, in questa stessa sala, senza neanche sedersi, mi disse: “Ma lei, Tamburi, ha uno di quei fondi che vogliono far leva sul patrimonio delle aziende che acquistano inserendoci dei debiti per aumentarne i ritorni?”. Da persona brillantissima quale è ha capito benissimo come operavano. Siamo diventati amici, oltre che soci. Le previsioni di alcuni analisti per il 2019 indicano un obiettivo di un miliardo di ebitda. E nel frattempo abbiamo acquisito Draka, General Cable e molte altre realtà. Dunque lei lavora in modo molto diverso da un classico fondo di private equity? Vediamola così: cerchiamo, per quanto possibile, visto il nostro ruolo, di mettere un po’ di ali ad aziende che hanno l’ambizione di svilupparsi e che da un fondo di private equity che agisce in modo classico, con il leverage, possono essere frenate. A volte poi gli interessi del team di investitori, se le cose vanno bene, portano a mettere in vendita tali aziende dopo due o tre anni, impedendo ogni ragionamento veramente strategico. Ha detto niente… Ma guardi che sono banalità assolute, non chissà quali grandi invenzioni… Però hanno reso bene… Valuti lei. Oggi, dopo un anno nero per la Borsa come il 2018, l’investitore di Tip


LEADER ha portato a casa più del 30 per cento annuo medio negli ultimi 5 anni, e all’inizio del 2018 era oltre il 50, sempre come media. E comunque siamo una delle poche società quotate, con una certa dimensione, che hanno terminato l’anno 2018 con una performance anche borsistica positiva. Ed è stato effetto della politica di crescita che abbiamo perseguito. E in tante occasioni, come nel 2008-2009, quando tutti dicevano che sarebbe crollato tutto, noi compravamo e stiamo comprando ancora, in queste settimane, dal nostro buy back ad azioni Ovs, da altre azioni Prysmian ad altre Hugo Boss, perchè ritengo che neanche stavolta crolli tutto, come sostengono in tanti. Investite prevalentemente in aziende a controllo familiare… Molte famiglie hanno bisogno di sostegno e fiducia, con un piano regolatore per trovare efficienza e crescere. Molte ottime aziende italiane sono alla terza o quarta generazione proprietaria, funzionano bene, ma hanno un potenziale ancora spaventoso; tutto sta a non farle cadere nelle trappole tipiche dell’evoluzione di questa formula proprietaria. E quanto conta, secondo lei, per scegliere un’azienda su cui investire il fatto che sia molto internazionalizzata? Conta sì, ma non è l’unico criterio e non è sempre fondamentale. Per esempio Be - una volta Data Service - è un’azienda ancora parecchio italiana, o Beta Utensili che fa circa la metà del proprio fatturato in Italia. Prysmian, Amplifon, Moncler, Furla o Interpump vanno bene e anche loro sono molto attive in Italia. Guardi che l’Italia funziona ancora bene… Meglio di quello che tanti dicono ... Be’, però non siamo proprio protagonisti della globalizzazione… Ah no? E le sembra poco che il 20 o 25 per cento per esempio delle componenti di una Audi o di una BMW si produca in Italia? Non è un caso e non è male. I mondi della finanza, della politica e anche il giornalismo hanno esagerato nel denigrare tutto quel che c’è nel nostro Paese e adesso in molti ignorano le grandi risorse che abbiamo, come sistema industriale del paese… A proposito di politica: non si capisce più niente. Non c’è più destra, sinistra… si scontrano populisti ed elite… come lavora, in un contesto simile, un grande investitore istituzionale come Tip? Noi abbiamo sempre lavorato con il principio di tenere le nostre scelte d’investimento al di fuori e al riparo dalle variabili politiche e dai loro effetti. Diciamolo francamente: ce ne siamo sempre fregati della politica. E’ stata una delle nostre grandi fortune. Il sistema industriale e commerciale italiano è talmente forte che può prescindere dalla politica. Riprova ne sia che anche oggi, nonostante i rivolgimenti e la confusione, l’export continua a tirare in modo poderoso. Ci siamo sempre orientati così, abbiamo rifiutato di investire anche nei mondi vicini alla politica, come autostrade, aeroporti, energia, trasporti, utilities in genere ed ha funzionato.

METTIAMO LE ALI AD AZIENDE CHE VOGLIONO SVILUPPARSI E CHE IL PRIVATE EQUITY CLASSICO POTREBBE FRENARE

Gianni Tamburi con Remo Ruffini, l’imprenditore di Moncler

Ci parli di Eataly. Crede sempre fortemente in quell’azienda e nel suo imprenditore, Oscar Farinetti? È un’eccellenza italiana e va bene. È ammiratissima e ricercatissima all’estero; qui molti pensano più alle amicizie personali di Oscar, ma è il solito becero provincialismo invidioso. Eataly si sviluppa benissimo più che altro all’estero, come anche molte altre nostre partecipazioni, Andrea Guerra sta facendo un lavoro fantastico; pensi poi anche al fenomeno Guzzini, un leader mondiale ai più sconosciuto, o alla preminenza a livello mondiale delle barche di Azimut Benetti. Abbiamo creato una galassietta… Galassietta? Bello! Sì, una piccola galassia di aziende italiane eccellenti nel mondo. Ma non solo italiane: per esempio ci era andata molto bene l’operazione Printemps, a Parigi. Ma non solo. Roche Bobois è stata quotata in borsa a circa tre volte quanto avevamo investito. Hugo Boss va bene ma continua a essere poco capita dal mercato. Oggi qual è la sfida che l’attrae maggiormente? La più grossa scommessa oggi è Alpitour, guidata da Gabriele Burgio. E’ un grande manager-imprenditore, avevamo già lavorato insieme in Nh Hotels, con l’operazione Jolly e con una crescita interna ed esterna molto interessante, resa possibile anche grazie dal nostro ingresso. Il turismo in Italia è un’opportunità straordinaria, con un’impresa come Alpitour, guidata da uno in gamba come lui, dovrebbe proprio funzionare. Tra strutture ricettive, resort, alberghi, la compagnia charter più grande del mercato, la Neos, genera ormai quasi 2 miliardi di ricavi e, dopo aver finora rispettato tutti i piani, ha un budget 2019 eccezionale…

febbraio 2019 41


IL CASO

ASSET CLASS ALTERNATIVE IN BORSA

La scommessa della cannabis Questo fumo sarà anche arrosto? di Ugo Bertone

C’

è sempre un’occasione di guadagno negli scaffali delle Borse, anche nei momenti più complicati. Possono confermarlo quegli azionisti che, a metà dello scorso novembre, hanno aderito all’offerta alla Borsa di Toronto delle azioni di Acreage Holding proprio mentre si profilava la tempesta che, nel giro di poche settimane, ha bruciato buona parte del valore di Apple ma anche azzerato le fortune di chi aveva voluto scommettere sul bitcoin. Al contrario i soci della matricola canadese hanno potuto contare sia su un finale d’anno sereno (+23% in un mese e mezzo) che su un debutto a razzo nel 2019 in vista di un obiettivo preciso: la legalizzazione del commercio di cannabis negli Stati Uniti. Non è un caso isolato. Negli ultimi sei mesi sul tema della cannabis sono migrati capitali ed energie alla ricerca di alternative sia agli investimenti nei titoli leader del digitale, giudicati troppo cari dopo la lunga corsa, sia alle speculazioni un po’ folli delle criptovalute. È una tendenza che, a prima vista, ricorda da vicino il dopo bolla del mondo legato a Internet nei primi anni Duemila. Insomma, il rischio di scottarsi c’è, 42 febbraio 2019

IL CANADA HA DEPENALIZZATO IL COMMERCIO DELLA CANAPA. ORA TOCCA AGLI USA, DOVE GIÀ 30 STATI L’HANNO LEGALIZZATA COME MEDICINA E ALTRI 9 NE CONSENTONO L’USO RICREATIVO come sempre capita quando l’investimento in Borsa s’incrocia con una moda. Ma non mancano argomenti solidi a sostegno dell’industria del fumo. A partire dai nomi che stanno alle spalle del rally di Acreage. Nel board della società, che ha raccolto 314 milioni di dollari nel private placement che ha preceduto la quotazione (per un valore del capitale di 2,8 miliardi), figura l’ex speaker repubblicano della Camera, John Boehmer, fino a pochi anni fa proibizionista, poi convertito alle virtù terapeutiche della piantina. Ma occupa un ruolo di spicco anche l’ex premier canadese Brian Mulroney. A reclutarli è stato Kevin Murphy, il ceo che vanta alle spalle una solida carriera a Wall Street. A giustificare l’impegno di un team così prestigioso è stata la legge con cui, nello scorso ottobre, il Canada ha approvato la liberalizzazione dell’uso della Cannabis, fino a quel momento consentito solo per motivi terapeutici. Il via libera di Ottawa promette di far da traino a una analoga depenalizzazione negli Stati Uniti dove già trenta Stati hanno legalizzato la cannabis come rimedio medicinale e altri nove le consentono l’uso a scopi ricreativi. Certo una parte della destra la pensa ancora come Richard Nixon che, in odio più ai radicali che non alle droghe leggere, emanò una legislazione molto rigida. Ma il licenziamento di Jeff Session, l’ex procuratore nixoniano di ferro silurato da Donald Trump a novembre, ha


IL CASO

AD ANNUSARE IL BUSINESS PER PRIMO È STATO IL SOLITO PETER THIEL, IL GENIO DI SILICON VALLEY probabilmente rimosso l’ultimo ostacolo: l’attuale presidente, consapevole che la maggior parte degli americani ora è propensa alla legalizzazione, è pronto a rimuovere il divieto. Nel frattempo, in base al principio che chi si muove per primo si assicura una leadership quasi inespugnabile, prendono il via le mosse dei Big. In più direzioni. Acreage Holdings, in particolare, si è già assicurata una solidità base logistica del Michigan, rilevando gli impianti industriali i magazzini di Blue Tyre, così riconvertiti dalla produzione dallo stoccaggio delle gomme a quello delle preziose piantine. La scelta del Michigan non è casuale: in occasione del voto di mid term a novembre gli elettori si sono pronunciati per la liberalizzazione della marijuana senza alcuna limitazione. E così Flint, da capitale dell’industria dell’auto che era, è destinata a diventare il punto di riferimento dell’industria del sogno artificiale. Mica l’unico, però, perché attorno alle droghe leggere è ormai crescita un’industria robusta e con grandi prospettive. La cannabis è oggi prodotta in molte aree del Nord America e si è rapidamente industrializzata e finanziarizzata. Ha attratto talenti e quattrini, spesso in arrivo dagli stessi capitalisti di ventura che hanno finanziato l’alta tecnologia e il biotech. C’è dunque molta professionalità manageriale e c’è anche una domanda potenziale elevata lungo le due direttrici dell’uso medico e di quello ricreativo. “Sul piano medico – ha rilevato Alessandro Fugnoli - ci sono i milioni di disoccupati creati dalla crisi del 2008 ai quali sono stati prescritti su vasta scala oppiacei al primo mal di schiena o raffreddore e che hanno sviluppato forme gravi di dipendenza, una delle pagine più buie della storia della pratica medica del nostro tempo. La cannabis, sperano i suoi sostenitori, verrà usata su altrettanto larga scala nei programmi di disintossicazione, come il metadone per l’eroina”.

KEVIN MURPHY, CEO DI ACREAGE

Ad annusare il business per primo è stato probabilmente il solito Peter Thiel, il genio di Silicon Valley (tedesco di nascita, filosofo per formazione, l’unico tra i grandi della new economy che si è schierato per Trump) che ha avuto un ruolo chiave nel decollo di Paypal, Facebook e altre imprese miliardarie. Thiel, attraverso l’equity fund Peivateer Holding, controlla il 76% della società canadese che più ha approfittato del boom del settore: Tilray, fondata nel 2013 a Nanaimo, nei pressi di Vancouver, con l’obiettivo di “coltivare e distribuire i benefici della cannabis medica in sicuro e affidabile”, è sbarcata al Nasdaq nel luglio del 2018, giusto in tempi per cogliere i benefici della legalizzazione in Canada che ha messo le ali al titolo: il prezzo delle azioni è esploso del 700% circa per una capitalizzazione che ha superato i 20 miliardi di dollari, salvo poi correggere attorno ai 7 miliardi di dollari. Numeri comunque esagerati per una società che ha chiuso il 2018 con ricavi attorno ai 40 milioni di dollari, ma che può vantare due jolly d’eccezione. A dicembre Tilray ha firmato un accordo con Sandoz, l’azienda pharma controllata dal gigante Novartis, per la distribuzione e la vendita congiunta di medicine antidepressive basate sulla cannabis. In contemporanea Tilray ha annunciato l’avvio della collaborazione con InBev, il colosso della birra che, tra l’altro controlla il marchio Budweiser. Le due società investiranno 100 milioni (50/50 per ciascuno) nello studio e successiva produzione di una bibita dal sapore di cannabis. “Siamo nel bel mezzo di una trasformazione epocale – ha commentato il ceo di Tilray, Brendan Kennedy – stiamo uscendo dall’età del proibizionismo, decisi a conquistare nuovi terreni a danno dei farmaci tradizionali ma anche dell’industria degli alcoolici”. Altri big sembrano pronti a raccogliere la sfida, anche se, per il momento sia Pepsi che Coca Cola hanno voluto raffreddare le voci che davano per imminente un accordo con il produttore canadese di marijuana Aurora Cannabis per sviluppare nuove bevande. Ma la strada sembra segnata. A tracciare la rotta è stata Constellation brands, l’importatore negli Stati Uniti della birra a marchio Corona, che da tempo scommette sulla cannabis: il gruppo newyorchese specializzato in birre, vini e distillati ha investito 4 miliardi di dollari per aumentare la sua quota in Canopy Growth, l’azienda canadese che vanta una capitalizzazione di 13,5 miliardi di dollari. Ma l’elenco dei flirt tra il mondo della cannabis e quello febbraio 2019 43


IL CASO

Brendan Kennedy, ceo di Tilray, ha firmato un accordo con Sandoz, l’azienda pharma controllata dal gigante Novartis, per la distribuzione e la vendita congiunta di medicine antidepressive basate sulla cannabis

poco inferiore ai 2 miliardi di dollari. Non c’è solo fumo, insomma, ma anche tanto arrosto dietro il boom della cannabis anche se, viste le quotazioni, il rischio di scottarsi è davvero alto. Come sempre l’abilità sta tutta nel timing dell’investimento. Compresa la capacità di sfruttare l’effetto dell’apertura nei confronti della cannabis del Congresso e di Wall Street, oggi entusiasta: sia Michael Bloomberg che George Soros (oltre a Barack Obama) hanno confessato di aver fumato marijuana. E il fenomeno non è sconosciuto in casa Fed. Quando Elon Musk, ha twittato di voler ritirare Tesla dal listino procedendo al delisting delle azioni a 420 dollari l’una,

C’È SOSTANZA DIETRO IL BOOM DELLA CANNABIS ANCHE SE, VISTE LE QUOTAZIONI, IL RISCHIO DI SCOTTARSI C’È. E ANCHE ELON MUSK DÀ...I NUMERI dell’industria tradizionale si allunga ogni giorno di più: rispetto al 2017 il giro d’affari delle varie jv è cresciuto di sette volte ma questo risultato potrebbe impallidire di fronte alle prospettive di quest’anno: alla corsa partecipano i gruppi di alcoolici come Diageo (la casa di Johnny Walker) e l’olandese Heineken. Sono molto attivi i gruppi pharma. Ancor più interessata è Altria, la casa di Marlboro, già in trattative con Tilray, che sembra intenzionata a mettere a segno la prima scalata nella storia del settore con l’acquisto di Cronos, altra matricola che al Nasdaq ha raggiunto una valutazione di

la Sec lo ha accusato di truffa sottolineando che: ”Musk ha affermato di aver arrotondato il prezzo delle azioni a 420 dollari perché da poco aveva appreso il significato di questo numero nella cultura della marijuana e ha pensato che la sua compagna l’avrebbe trovato divertente”. Il numero 420, nel gergo dei consumatori americani, sta a intendere la cannabis.

TUTTI PAZZI PER LA PIANTINA ANCHE IN ITALIA CON 713 NEGOZI GIÀ APERTI Sono 713 i growshop - così si chiamano i negozi di cannabis - censiti nel 2018 da Magica Italia, la guida italiana della rivista Dolce Vita dedicata al mondo della cannabis. Si tratta di 305 nuovi esercizi che determinano una crescita del 75 per cento rispetto al 2017, con la Lombardia che si conferma la regione con più growshop, seguita da Lazio ed Emilia Romagna. L’edizione 2019 del volume ha monitorato tutti gli esercizi del ‘cannabusiness’ legalmente riconosciuti nelle 20 regioni italiane e nei 107 capoluoghi di provincia. Milano è la prima città con 51 esercizi 44 febbraio 2019

(+23 rispetto al 2018), al secondo posto Brescia con 14 punti vendita (+9) e al terzo posto le provincie di Monza Brianza, Bergamo e Varese che dispongono di 13 esercizi. Segue Pavia con che conferma 5 unità come lo scorso anno, Lecco e Cremona passano ugualmente da 2 a 3 negozi seguite dai 2 di Como e Mantova. Lodi apre il suo primo growshop e si posiziona al settimo posto assieme a Sondrio. Un growshop è un negozio specializzato in articoli e attrezzature per la coltivazione e il giardinaggio con un occhio di riguardo al mondo della

canapa. Tra questi ci sono gli headshop (vendita di articoli per fumatori, ovvero accendini, posaceneri, cartine, cilum, narghilè, bong e vaporizzatori), gli hempshop (vendita di articoli e prodotti riguardanti la canapa o derivati realizzati con la stessa, gli smartshop (vendita di sostanze psicoattive legali come integratori o composti di origine naturale e sintetica) e i seedshop (vendita di semi di cannabis a scopo collezionistico). Tra i prodotti più richiesti e venduti negli esercizi italiani nel 2018, al primo posto la cannabis light, ovvero le infiorescenze di canapa a contenuto legale di THC.



CREDITO UN’AGENDA FITTA DI IMPEGNI E DI INCOGNITE

Carige, Mps e le altre: tutte le banche nel cantiere dell’ennesimo riassetto di Anna Piazza

L

e attese sempre sfidanti del mercato e l’occhio sempre severo della vigilanza Bce, dove è oggi l’italiano Andrea Enria a dialogare con Mario Draghi. La lunga uscita dalla Grande Crisi: anzitutto con la zavorra di sofferenze creditizie nei bilanci, ma soprattutto con intere caselle del settore ancora non messe in sicurezza. Un ciclo economico-finanziario che resta instabile e volatile, con l’Eurozona ormai in frenata. E poi le nuove sfide strategiche: quelle lanciate a getto continuo dal ribollente laboratorio-Fintech (spesso al lavoro per conto di colossi non ancora bancari come Google, Facebook, Apple e Amazon); ma anche le nuove spinte per aggregazioni bancarie transeuropee o addirittura transatlatiche. L’agenda 2019 delle banche italiane è quanto mai ricca di spunti (per la maggior parte problematici, sebbene non tutti) ma anche estremamente complessa da decifrare. Uno scenario, d’altronde, non troppo diverso da quello che caratterizza l’Eurozona nel suo insieme. Non è facile stabilire quale sistema bancario sia più “in crisi” in Europa: quello italiano che il 2 gennaio ha iscritto negli annali della vigilanza Bce Carige, primo gruppo direttamente vigilato da Francoforte a finire in amministrazione straordinaria; oppure il distretto finanziario di Londra alla caotica vigilia di Brexit (la City era finora l’area economica integrata della Ue con il più alto Pil-pro-capite: sei volte la media Eu28). E che dire della Germania? Berlino tiene Commerzbank nazionalizzata dall’immediato dopo-Lehman, maschera a fatica le crescenti difficoltà di una Deutsche Bank in stallo e

non ha ancora avviato il riassetto della rete delle Landesbanken e Sparkassen pubbliche, che l’Italia ha invece affrontato dieci anni prima del debutto dell’euro. L’Italia, in ogni caso, è ripartita nel 2019 dal commissariamento Carige: l’unica grande Cassa di risparmio che - come l’Mps salvato due anni fa dallo Stato - ha sempre rifiutato l’indicazione di lungo periodo della riforma del 1990. Confronto reale con il mercato anzitutto attraverso l’apertura al consolidamento nel gioco del merger & acquisition: la partita resta viva sia a Genova (sotto la responsabilità dei commissari Pietro Modiano e Fabio Innocenzi) che a Siena, dove Marco Morelli opera come Ceo di una banca quotata ma controllata dal Tesoro. La soluzione dei due dossier - annunciata come prioritaria dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Giancarlo Giorgetti - non sembra puntare solo alla definitiva stabilizzazione del sistema creditizio nazionale (dopo i disastri Banca Etruria, Banca Marche, CariFerrara e CariChieti e la lunga agonia delle due Popolari del Nordest (Vicenza e Veneto). Sarà comunque un “nuovo inizio”, il cui progress non appare affatto scontato in partenza e si profila come rilevante per il futuro di un’economia in cui la ricchezza finanziaria delle famiglie (4.400 miliardi di euro secondo le ultime rilevazioni Bankitalia) è ancora ai vertici in Europa. Anche gli investitori attenti al segmento bancario del listino italiano sono in attesa di capire quale sarà l’endgame per Carige da mettere in sicurezza e Mps da riprivatizzare. Nel primo caso, di investitori privati disposti a puntare sul tur-

NON TRAMONTA L’IPOTESI DI UNA FUSIONE SOTTO LA CDP DEL GRUPPO SENESE A GENOVA

Derivati attivi in % dell’attivo

33,1 23,5

22,3

22,0

19,5

18,7 14,2

14,2

18,4

17,9 13,1

12,2 7,8 8,4

Germania

Nord Europa

Svizzera

UK

Francia Giugno 2018

7,7

Spagna

9,6

Olanda

6,8

9,3

Italia

Media Europea

2015

L’ISTOGRAMMA DIMOSTRA CHE LA GERMANIA HA LA PIU’ ALTA INCIDENZA IN EUROPA DI TITOLI DERIVATI ILLIQUIDI NEL PATRIMONIO DELLE SUE BANCHE

46 febbraio 2019


CREDITO naround della decima banca italiana ne erano spuntati diversi: dalle famiglie locali Malacalza e Volpi al private equiter Mincione. Investitori italiani, diversi dai cosidetti “fondi avvoltoi” di respiro globale che pure si erano affacciati su vari dissesti bancari italiani: con una ricetta (acquisto in blocco di Npl a prezzi scontati e ricapitalizzazione parziale) che non ha mai superato la diffidenza delle autorità creditizie italiane ed europee (la stessa Germania ha respinto avance cinesi per Deutsche Bank). In Carige, comunque, la conflittualità tra soci e e il funzionamento della governance verso il management hanno impedito un reale sviluppo dei piani di rilancio: a beneficio dei quali avrebbero potuto intervenire una conversione in azioni di bond detenuti dallo Schema volontario del Fondo Interbancario e lo smaltimento sostanziale di carico di Npl presso la Sga, la bad bank pubblica italiana. Se la ripatrimonializzazione della banca sul mercato resta teoricamente sul tavolo in tutte le sue opzioni, sia Modiano che Innocenzi hanno già chiaramente prospettato l’aggregazione come punto d’arrivo del processo. Ma neppure questo sbocco appare univoco: proprio in occasione del commissariamento di Carige - che il governo italiano ha accompagnato estendendo le misure precauzionali “salvabanca” già utilizzate per Mps - si è riacceso il confronto politico. Al centro è l’opportunità di nazionalizzare definitivamente anche Carige, nella prospettiva di unirla a Mps e dar vita a un polo ban-

ANDREA ENRIA, CAPO DELLA VIGILANZA BCE

PIETRO MODIANO, COMMISSARIO DI CARIGE

UBI BANCA È DA ANNI IN PREDICATO DI UN NUOVO SALTO DI DIMENSIONE, UNICREDIT È ATTESO AL VARCO DEL PROSSIMO RISIKO cario pubblico: un raggruppamento che - secondo quanto delineato anche nel “contratto di governo” fra Lega M5S - potrebbe prendere forma sotto il controllo della Cassa Depositi e Prestiti. Le Borse, naturalmente, continuano a privilegiare evoluzioni di mercato: e questo vale - in Italia - per Carige e Mps ma anche per altre istituzioni. Il caso forse più interessante è quello del Credito valtellinese: una Popolare di rilievo nazionale trasformata in Spa dopo la riforma del 2015, protagonista nel 2018 di una stabilizzazione avvenuta attraverso una ricapitalizzazione di mercato. Il Creval è oggi una “public company”: la maggioranza del capitale è controllata da investitori istituzionali internazionali, che affiancano due presenze di qualità più rilevante come il gruppo finanziario francese Dumont e il Credit Agricole, pure transapini, che già controlla in Italia Cariparma. Il turnaround - affidato a Luigi Lovaglio, ex manager di prima linea in UniCredit - si profila come story da seguire nel 2019 delle

PER IL DOPO-BREXIT, ACCORDI DI RECIPROCITÀ O AUMENTERANNO I COSTI

E per quelle entità europee che, nonostante l’eventuale Brexit dura, dovessero decidere di non rientrare completamente nel Vecchio Continente? Chi rimane - prevede Nunzia Melaccio, equity partner di Gentili & Partner - dovrà investire maggior capitale per affiancare alla propria presenza su territorio inglese anche una presenza - un proprio hub - in Europa in modo da salvaguardare le relazioni con la propria clientela oltre confine a cui vorrà continuare a offrire i servizi prestati finora. C’è da augurarsi che, qualsiasi forma di Brexit verrà decisa, questo evento spinga le autorità di Vigilanza europee

ad accelerare sull’accordo di reciprocità che è presupposto essenziale, soprattutto nel contesto della Mifid, perché un operatore di un Paese extra Ue possa operare in Europa tramite una propria succursale, senza dover ricorrere a duplicazioni di struttura. Sul fronte della gestione dei fondi di investimento – aggiunge Melaccio - la Brexit incrementerà il ricorso a deleghe di gestione a favore di quei gestori UK che oggi sono direttamente gestori di fondi di investimento (o Sicav) insediati in Europa e che dal 30 marzo, salvo applicazione di un implementation period, non potranno

più farlo direttamente (non essendoci la possibilità di mantenere il Passaporto gestore), ma dovranno essere appunto incaricati da un gestore europeo. È facile attendersi, in generale, che il contingency plan degli operatori finanziari impattati a vario modo dalla Brexit tenderà a mantenere il più possibile la sostanza delle strutture esistenti (persone di riferimento, responsabilità finale della prestazione dei servizi e delle attività), al massimo rimodulandole da un punto di vista societario, in modo che gli investitori ne subiscano e percepiscano le minori conseguenze possibili”. febbraio 2019 47


CREDITO banche quotate italiane: sia come banco di prova della capacità autonoma di un ex Popolare italiana di lasciarsi alle spalle i freni-Npl e bassa redditività (da recessione e da “tassi zero”) sia per l’articolazione di un possibile nuovo risiko. In una razionalizzazione che guardasse al rilancio del settore bancario in Italia potrebbero entrare in gioco gruppi che hanno superato abbastanza indenni il decennio successivo al 2008, ma che si sono tenuti ai margini di un potenziale riassetto: il Credem (la banca più solida sul piano creditizio) o la Popolare di Sondrio, che il cammino tortuoso della riforma non ha finora obbligato alla trasformazione in Spa. Se la fusione tra Banco Popolare e Bpm è stata il risultato più tangibile dell’impulso dato dalla riforma delle Popolari, la stessa Ubi Banca è da anni in predicato di un nuovo salto di dimensione e profilo strategico: da sempre candidata innanzitutto alla guida di un’aggregazione con lo stesso Mps, per dar vita a nuovo “campione nazionale”. Dei due campioni già formatisi prima dello tsunami 2008 - Intesa San Paolo e UniCredit - il secondo è sicuramente più atteso al varco dei mercati. Lo snellimento del gruppo e la maxi-ricapitalizzazione condotta con successo due anni anni dal nuovo ceo Jean Pierre Mustier non hanno potuto finora dispiegare tutti i loro benefici, scontrandosi nel 2018 contro tutte le instabilità politico-finanziarie che hanno attraversato la geofinanza. In debito d’ossigeno al listino, UniCredit - frutto nel 2005 della prima fusione crossborder nell’eurozona - è divenuta presso gli analisti il simbolo della forte attesa di nuovo M&A nel settore: una prospettiva sostenuta pochi giorni dopo Capodanno sul Financial Times dall’ex ceo di Deutsche Bank Josef Ackermann. Per il quale al futuro della Ue è indispensabile la nascita di alcuni veri global player. E’ un “gioco” nel quale potrebbe venire coinvolta la stessa Intesa Sanpaolo: che non per caso sta conducendo una campagna d’immagine istituzionale ispirata a una nuova proiezione internazionale e a un focus strategico sul digital banking. Che poi un nuovo decollo strategico del polo pilotato da Carlo Messina possa avvenire attraverso una ripresa del progetto di avvicinamento delle Generali, è un tema che analisi e investitori si sono appuntati da tempo: anche per il 2019. 48 febbraio 2019

Il Forex sfoglia la margherita della soft-Brexit AL CENTRO DEL DIBATTITO TRA I SOCI DELL’ASSIOM FOREX LE MODALITÀ DELL’USCITA BRITANNICA DALL’UE E LE RIPERCUSSIONI SULLE VARIE PIAZZE

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na piazza finanziaria leader non si crea in un giorno e non si distrugge in pochi mesi. Generazioni di tutto il mondo hanno lavorato a contatto con il London Stock Exchange (LSE), l’hanno reso efficiente centinaia di migliaia di aziende e milioni di lavoratori che si sono avvicendati nei decenni, le aziende fornitrici delle attività di negoziazione e consulenza. La cultura del bid/asks non potrebbe resistere senza una sperimentata regolamentazione dei mercati e degli studi professionali che intorno a quei contratti d’affari vivono. Immaginare che Londra perda adesso la sua principale attività sarebbe irrealistico. Il comparto ban- IGNAZIO VISCO cario-assicurativo vale il 10% circa del Pil Uk con oltre due milioni di occupati. Oltre a banche e assicurazioni, le presenze nel risparmio gestito e di investitori istituzionali sono circa un quarto del mercato europeo. Senza contare l’apporto di capitali che richiama sotto il Big Ben le startup più promettenti. Nessuno vuole però vivacchiare con introiti calanti e bonus meno corposi. Tra una battuta e l’altra, il “bye-bye London” è entrato nei discorsi degli operatori italiani del mercato dei capitali, molti dei quali rientrati per il 23°

appuntamento della loro associazione Assiom Forex, da sempre un mix fra l’incontro ufficiale con le authority e i temi della categoria cui si aggiunge un più informale scambio di idee tra colleghi. Chi ha vissuto a Londra ne ha nostalgia, quelli che ci sono ancora si guardano intorno e altri vi vorrebbero approdare. C’è chi ci vive e ci sono i pendolari della finanza che rientrano con gli ultimi voli del venerdì sera. Senza neanche poter seguire il Chelsea del collega Maurizio Sarri che lasciò a 40 anni il lavoro in Mps a Londra per diventare allenatore di calcio. Per questo la comunità finanziaria tenta di capire quale nuovo assetto troveranno le piazze finanziarie, dove Euronext è vivace e ha puntato sull’acquisizione di Oslo. Dopo la bocciatura dell’accordo proposto da Teresa May il 15 gennaio scorso il sentiero è più stretto. Stefano Masante, co-responsabile Commissione Mercato dei capitali di Assiom Forex è convinto che il mercato “stia sposando l’idea di un nuovo accordo e di una Brexit molto soft, qualcosa di più simile ad una coabitazione che a un vero e proprio divorzio tra Europa e Gran Bretagna. Se questo scenario si materializzerà cambierà molto poco dalla situazione ideale. Ma il rischio di esecuzione – avverte - è sempre dietro l’angolo. Per quanto l’Europa


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CREDITO

MILANO POTREBBE ESSERE TRA LE PIAZZE MENO BENEFICIATE DALL’USCITA DI LONDRA possa mostrarsi disponibile a concedere una proroga per trovare un accordo, questo non significherà che sia disponibile a fare molte concessioni, come insegna la storia recente delle istituzioni europee (vedasi Grecia e Italia). Sebbene il Parlamento, essendo formato per il 75% da “remainers”, possa anche accettare un deal non troppo benigno, l’opinione pubblica è ancora molto divisa, e anche i sostenitori del No Brexit non accetterebbero un accordo sfavorevole. Gli inglesi si sa, sono molto orgogliosi”. L’ipotesi peggiore, nessun ritardo con rottura su tutto e concorrenza piena non viene quindi esclusa anche se ritenuta improbabile. “Quanto più ci sarà Hard Brexit – prevede Barbara Giani, country manager Gamma Capital Markets - tanto più Londra rischia di perdere in termini di capitali e professionalità. E non si tratta solo di figure relative al mondo della finanza, ma di tutto l’indotto: il settore immobiliare, quello della ristorazione e dell’accoglienza di chi viaggia per turismo o per lavoro, il settore scolastico e via così. L’afflusso di persone e di capitali verso la Gran Bretagna ha certamente creato posti di lavoro, piuttosto che rubarne. Il tasso di disoccupazione è intorno al 4%, uno dei più bassi. Se ipotizzassimo dunque che il maggior deflusso di capitali e professionalità fosse principalmente legato al settore finanziario e al suo indotto potremmo dedurne che a beneficiarne - conclude Giani - potranno essere poli quali Francoforte, Parigi e Milano”. “A beneficiarne sicuramente il Granducato del Lussemburgo - aggiunge Nunzia Melaccio, equity partner di Gentili&Partners - che può offrire varietà ed expertise dei provider di servizi a supporto dell’attività degli intermediari e dei gestori, stabilità politica e forte valorizzazione del settore fi-

Leonardo Rubattu, direttore generale di Iccrea Banca

nanziario quale driver di ricchezza e crescita - ma anche Francoforte e Parigi, attrattive per le ridomiciliazioni degli head office dei grandi gruppi che hanno i corrispondenti stati di appartenenza come luogo di origine, anche se avevano localizzato la propria sede principale in territorio anglosassone. A non beneficiare, per motivi diversi, la piazza di Milano che paga ancora – secondo la Melaccio l’assenza di un duraturo equilibrio delle scelte e degli scenari politici, così come di una politica capace di riconoscere nel settore finanziario un driver di valore”. In pochi mesi qualche nuovo equilibrio dovrà essere raggiunto e per quanto precario detterà le scelte di grandi gruppi finanziari che si stanno già spostando. Era impensabile fino a quella serata del giugno 2016. È accaduto.

ICCREA, SPONSOR D’ORGOGLIO PER RIAFFERMARE IL RUOLO DEL CREDITO COOPERATIVO La main sponsorship del convegno AssiomForex 2019 - a Roma l’1 e 2 febbraio, con l’intervento del Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco - è simbolica dell’attuale protagonismo strategico della storica centrale del Credito cooperativo nel riassetto del sistema bancario italiano. Oggi Iccrea - dopo gli sviluppi della riforma del 2016 - non è più riferimento unico nel comparto ma tutto è pronto perché un nuovo gruppo bancario cooperativo costruito attorno a Iccrea sia player di rilievo nella nuova fase, grazie alla forza delle 142 Bcc che hanno decisio di aderirvi (altre hanno guardato al nuovo gruppo trentino di Cassa Centrale Banca). In attesa dell’autorizzazione della 50 febbraio 2019

Vigilanza della Banca d’Italia, l’assemblea Iccrea Banca dello scorso 10 gennaio ha definitivamente sbloccato il progetto. La riforma dello statuto e il varo di un aumento di capitale da 250 milioni ha rappresentato “un passaggio storico”, ha detto il presidente Giulio Magagni. Iccrea ha potuto quindi attivare da subito il contratto di coesione con le Bcc che hanno già adeguato i rispettivvi statuti, ha confernato Leonardo Rubattu, direttore generale di Iccrea Banca. Il contratto di coesione è lo strumento evolutivo individuato dalla riforma e adottato da Iccrea per consolidare la lunga tradizione del credito cooperativo italiano nelle nuove dimensioni competitive imposte dalla globalizzazione e dai nuovi standard di vigilanza. “Iccrea

sarà la prima banca locale del Paese - ha detto Rubattu - promuovendo un’esperienza unica di coniugazione fra la forza e il radicamento locale delle Bcc con la capacità di innovazione, le sinergie e la solidità dell’essere gruppo”. La mission strategica rimane quella storica: servire al meglio famiglie e piccole imprese nella gestione del risparmio e nel finanziamento dell’economia reale e dell’occupazione. Il gruppo bancario cooperativo Iccrea sarà il quarto gruppo bancario nazionale per attivi, con circa 148 miliardi di euro, e il terzo per numero di sportelli, con circa 2.650 filiali presenti in oltre 1.700 comuni. Il gruppo, insieme alle Bcc aderenti, avrà complessivamente 4,2 milioni di clienti, di cui 750mila soci.




COSMOPOLITICA Andrea Margelletti Presidente del Centro Studi Internazionali, docente presso la Facoltà di Scienze delle Investigazioni e della Sicurezza dell’Università di Perugia e Narni. Unico membro onorario delle Forze Speciali Italiane.

LA BREXIT OLTRE QUEI 499 CHILOMETRI DI UN CONFINE

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Sia Londra che Bruxelles vogliono evitare la costituzione di confine vero e proprio tra Belfast e Dublino, ma non è facile

i pensava che la Brexit, in fondo, fosse una questione di accordi commerciali, di tutela dei diritti dei cittadini comunitari, di gestione dei flussi di capitale, di regolamentazione dei servizi finanziari, di giurisdizione della Corte di Giustizia Europea. Eppure, sepolta sotto dichiarazioni, burocrazie e negoziati, giace una questione irrisolta, che tocca direttamente il cuore dell’identità inglese. Si tratta della gestione dei 499 km di confine che, dal 1921, separano l’Irlanda del Nord dalla Repubblica d’Irlanda. Oggi, guidando sulla costa orientale, da Belfast a Dublino, non si incontra alcun controllo alla frontiera. Tuttavia le cose potrebbero presto cambiare. Lo scorso 15 gennaio, il Parlamento inglese è stato chiamato ad esprimere il proprio voto sulla proposta di accordo sull’uscita di Londra dall’Unione Europea, frutto di una lunga negoziazione tra l’esecutivo britannico e Bruxelles. L’appello di Theresa May, che aveva invitato i deputati ad accettare l’accordo in quanto unica realistica opportunità per salvaguardare l’interesse nazionale, è stato respinto da maggioranza schiacciante di voti contrari, 432 contro 200 favorevoli. Il Partito Conservatore ne è uscito spaccato. Da un lato i ‘lealisti’ fedeli all’attuale leadership, dall’altro la frangia più intransigente e sovranista, facente capo a Boris Johnson. Tra le ragioni alla base del moto di opposizione, spicca il rifiuto categorico, da parte dei Tories pro-Brexit, ad accettare qualsiasi compromesso che lasci, di fatto, l’Irlanda del Nord all’interno del mercato unico europeo. Nel dicembre 2017, durante le prime fasi del negoziato, Londra aveva raggiunto un’intesa con Bruxelles nota come ‘Backstop’. Qualora entro la fine della fase di transizione, prevista per il 31 dicembre 2020, non si fosse raggiunto un accordo soddisfacente sullo status del confine tra le due Irlande, andrà a costituirsi automaticamente ‘un’unione doganale d’emergenza’, che scongiuri il temuto ritorno di un confine fisico. Tale clausola è apparsa inaccettabile agli occhi di oltre un centinaio di Tories, nonché degli undici deputati del Dup (il par-

tito unionista nord-irlandese) che attualmente sostengono l’esecutivo May. Del resto “Brexit means Brexit”, tuonano molti. Dall’altro lato, sia che Londra che Bruxelles vogliono a tutti i costi evitare la costituzione di confine vero e proprio tra Belfast e Dublino, dal momento che avrebbe come probabile conseguenza la riaccensione del sanguinoso conflitto, a oggi sopito, che per oltre trent’anni ha visto i nazionalisti cattolici irlandesi e gli unionisti protestanti vicini alla Corona impegnati in una vera e propria guerra civile. Dopo oltre trent’anni di scontri, che hanno lasciato sul campo più di 3000 vittime, nel 1998 è stata raggiunta la pace. In quell’anno infatti l’Irish Republican Army (IRA), l’organizzazione paramilitare nazionalista irlandese, che da sempre teneva in scacco il Paese, ha deposto le armi e riconosciuto lo storico accordo noto come ‘Good Friday Agreement’. Qualora non si trovasse una valida soluzione alternativa, gli scenari che si aprono per il Regno Unito sono essenzialmente tre. Nel primo caso la situazione rimarrebbe pressoché invariata, rendendo impossibile per il Regno Unito stabilire un proprio regime doganale e recuperare pienamente la propria sovranità. Nel secondo caso si renderebbe l’Irlanda del Nord un’area grigia: Belfast rimarrebbe all’interno dell’unione doganale europea mentre il sistema di controllo delle persone e delle merci verrebbe posto al di là del mare che separa le due isole, allontanando sempre di più Belfast dalla sua capitale. L’ultimo scenario, certamente il più problematico, vedrebbe una barriera fisica a separare i territori della monarchia inglese dalla Repubblica d’Irlanda, consentendo a Londra il pieno controllo delle sue prerogative statuali. Tuttavia alcuni segnali fanno già presagire una possibile nuova rinascita delle tensioni in territorio nord-irlandese. Lo scorso 20 gennaio, infatti, nella città di Derry (luogo-simbolo del conflitto nordirlandese) si è verificata l’esplosione di un’autobomba, che fortunatamente non ha causato vittime. L’attentato, che è stato subito ricondotto al movimento armato New IRA, suona come un pericoloso avvertimento. febbraio 2019 53


IL GIRO DEL MONDO IN 30 GIORNI

IL BRASILE DI BOLSONERO LICENZIA 1177 LAVORATORI. MA PROMUOVE IL FIGLIO DI MOURAO

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ews dal nuovo Brasile di alle principali istituzioni statali, dalla Bolsonero. A febbraio il go- Banca nazionale per lo sviluppo econoverno proporrà al Consiglio mico e sociale (Bndes) al Banco do Bradel programma di Partner- sil, dalla Cassa economica federale alla ship (Ppi), collegio forma- società elettrica nazionale Eletrobras. A to da ministeri e banche pubbliche, la proposito di banche: il figlio del vicepremessa in liquidazione di due aziende di sidente brasiliano, il generale Hamilton proprietà statale, che secondo quanto Mourao, è stato nominato consigliere riferito dalla stampa locale porterà al li- speciale del nuovo presidente del Banco cenziamento di 1177 lavoratori. Si tratta do Brasil, Rubem Novaes. Antonio Hadella Valec, che si occupa della gestione milton Mourao era un semplice impiedelle ferrovie, e della Ceitec, che produ- gato della banca. Novaes si è insediato il 1 gennaio come ce chip per l’identifiIN PROGRAMMA C’È LA nuovo presidente cazione del bestiame. LIQUIDAZIONE DI VALEC del Banco do Brasil. I proventi della liquiquell’occasione dazione delle due so- (GESTIONE FERROVIE) E CEITEC In ha affermato: «Il pacietà sarà utilizzato (CHIP PER IL BESTIAME) ese ha attraversato per estinguere i debiti pregressi. Intanto il ministro delle In- grandi disgrazie: gli scandali della corfrastrutture brasiliano, Tarcisio de Frei- ruzione, la crisi della sicurezza e una tas, ha dichiarato che il governo federale terribile recessione. Sembrava che il potrebbe privatizzare o liquidare altre popolo brasiliano fosse senza speranza, 100 compagnie statali per raccogliere e i nostri giovani e imprenditori più profondi e ridurre le spese dello Stato. Se- mettenti hanno minacciato di lasciare condo Freitas, lo scopo potrebbe essere il paese». Novaes ha sottolineato che le raggiunto includendo alla lista delle pri- istituzioni dovrebbero fare di tutto per vatizzazioni anche le aziende collegate ripristinare la fiducia della popolazione

e degli imprenditori del settore privato, per rafforzare l’economia e la credibilità del paese. «Un’amministrazione deve essere efficiente, trasparente e onesta. Sono sicuro che con la squadra che stiamo mettendo insieme, che l’obiettivo sarà pienamente raggiunto», ha concluso.

L’ALGERIA ESPORTERÀ ENERGIA ELETTRICA IN EUROPA ATTRAVERSO LA SPAGNA Il ministro dell’Energia algerino, Mustapha Guitouni, ha affermato che nei prossimi mesi l’Algeria intende esportare energia elettrica in Europa attraverso la Spagna. Il ministro ha precisato che verrà avviato uno studio del mercato spagnolo per verificare la domanda di energia elettrica. Guitouni ha poi aggiunto che la rete elettrica algerina copre il 99 per cento del territorio nazionale, con una capacità di 19 mila megawatt. Lo scorso marzo 2018 il ministro dell’Energia aveva annunciato un programma per esportare elettricità in Libia attraverso la Tunisia. La strategia energetica del paese prevede una transizione verso lo status di esportatore, una volta raggiunta l’autosufficienza nella produzione di energia elettrica. In questa direzione l’Algeria inaugurerà presto una nuova centrale elettrica da 50 megawatt nel sud del paese, alimentata con sia con fonti rinnovabili che fossili. L’Algeria produce il 30 per cento della sua energia elettrica attraverso le energie rinnovabili. La compagnia algerina Sonatrach ha inaugurato lo scorso 25 novembre una stazione fotovoltaica a Ouargla, nel sud del paese, in partnership con l’italiana Eni.

54 febbraio 2019


IL GIRO DEL MONDO IN 30 GIORNI

GERMANIA, GLI INDUSTRIALI ADESSO INVOCANO IL PUGNO DI FERRO CON LA CINA

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ra il nostro modello di sare in maniera più strategica e nel più economia di mercato lungo periodo» insistono gli industriali liberale, aperta e socia- tedeschi. Per il presidente dell’Associale e l’economia cinese zione federale dell’industria tedesca, dominata dallo Stato Dieter Kempf (nella foto), «contrariamente sorge una competizione di sistemi». Lo alle aspettative iniziali, la Cina non si sta affermano gli industriali tedeschi della sviluppando verso l’economia di mercato Bdi, l’associazione federale dell’indu- e il liberalismo», ma anzi ricorrendo agli stria, che chiedono per questo al gover- interventi pubblici «ha distorto i mercati e i prezzi». Il risultano tedesco e all’ULA BDI CHIEDE CHE L’UNIONE to è «un eccesso di nione europea una EUROPEA SI OPPONGA CON PIÙ capacità, come nel politica «più dura» verso la Cina. Il doFORZA ALLA SECONDA POTENZA settore dell’acciaio cinese» . Per reagire cumento pubblicato ECONOMICA MONDIALE alla competizione dalla Bdi contiene 54 richieste «volte a rendere Europa e della Cina, secondo la Bdi, «l’Ue può tra Germania più competitive contro il capi- l’altro rafforzare la normativa sugli aiuti talismo di stato cinese». Secondo la Bdi di Stato e contro i sussidi». Nel frattempo «l’economia di mercato deve diventare la Cina si appresta a varare una serie di più resiliente»; l’Unione europea «deve nuovi incentivi nel corso del 2019 per inrinnovare i suoi strumenti e opporsi coraggiare il miliardo di consumatori del maggiormente alla seconda potenza paese ad aumentare gli acquisti di autoeconomica mondiale». «La competizione mobili ed elettrodomestici, contenendo sistemica con la Cina ci costringe a pen- così gli effetti depressivi del conflitto commerciale in atto con gli Stati Uniti. Lo ha annunciato Ning Jizhe, vicepresidente PER IL WALL STREET JOURNAL della Commissione nazionale per lo sviluppo e le riforme cinese. Pechino intenL’AGRICOLTURA METTE A RISCHIO I NEGOZIATI de evolvere da un’economia basata sulle Secondo il quotidiano statunitense “Wall Street Journal” il nodo dell’agricoltura esportazioni a una che poggia sui consumi interni. Ma secondo l’agenzia di rating rischia di far saltare il banco della trattativa ai prossimi negoziati commerciali tra Stati statunitense Moody’s il rallentamento Uniti e Unione europea. La Commissione europea si oppone infatti alla richiesta di dell’economia sta spingendo il goverridurre il protezionismo degli agricoltori europei. «Siamo stati molto chiari sul fatto no cinese a introdurre politiche nuove che, da parte dell’Ue, non discuteremo di agricoltura», ha dichiarato la commissaria e «non testate». In particolare Christian europea per il Commercio, Cecilia Malmstrom dopo l’incontro a Washington con Fang, analista di Moody’s, ha affermato l’omologo statunitense Robert Lighthizer, rappresentante del Commercio Usa. che non è possibile prevedere quali saDue giorni dopo quell’incontro, Lighthizer ha rilasciato gli “obiettivi negoziali” ranno le reazioni ai tagli delle tasse per dell’amministrazione Trump, dichiarando che la massima priorità è «garantire un le imprese e i consumatori annunciate accesso completo al mercato per i prodotti agricoli statunitensi nell’Ue riducendo dal premier cinese Li Keqiang. La Banca o eliminando le tariffe». L’amministrazione Trump ha anche minacciato l’Europa di mondiale ha pubblicato le ultime stime di crescita, prevedendo un rallentamento imporre nuove tariffe sulle auto, sollevando il rischio per la sicurezza nazionale. per il 2019 e il 2020, al 6,2%.

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febbraio 2019 55


IL GIRO DEL MONDO IN 30 GIORNI

IL GOVERNO SANCHEZ PRESENTA IL BILANCIO PIÙ ESPANSIVO DAI TEMPI DI ZAPATERO

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l governo spagnolo di minoranza guidato da Pedro Sanchez ha presentato in Parlamento un progetto di bilancio che cerca di tenere insieme le istanze delle numerose forze politiche da cui dipende la sua sopravvivenza, e guarda alle elezioni regionali e municipali del

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prossimo maggio. Le misure proposte diano “El Pais”, la manovra prevede un dal governo da un lato vanno incontro record di uscite, forti aumenti degli inai movimenti indipendentisti, in parti- vestimenti, delle pensioni, delle indencolare con lo stanziamento record da nità di disoccupazione, delle politiche 2,2 miliardi di euro per la Catalogna, abitative e del numero dei funzionari il più alto di sempre, superiore del 66 pubblici. La voce principale del bilanper cento a quello dello scorso anno, cio sono le pensioni, che con 153,8 miliardi di euro rape destinato anche LE MISURE VANNO INCONTRO presentano quasi alla polizia locale, ALLE ISTANZE DEGLI la metà del totale i Mossos d’Esquadra. Dall’altro acINDIPENDENTISTI STANZIANDO delle spese. Quello presentato da Sancolgono le richieBEN 2,2 MILIARDI DI EURO chez è il bilancio ste delle forze di sinistra che danno un supporto esterno più espansivo dal 2010, quando l’eall’esecutivo, con misure di carattere secutivo guidato da Zapatero lanciò il sociale quali l’aumento del salario mi- controverso Piano E, un programma di nimo, l’incremento delle pensioni, gli investimenti milionari, sponsorizzato aiuti per il diritto all’abitazione. Com- dal G20, con l’intenzione di rilanciare plessivamente, come ha scritto il quoti- l’economia sprofondata in piena crisi.

L’IRAQ AMPLIA I SUOI OLEODOTTI

l vicepremier e ministro del Petrolio iracheno Thamer Ghadban ha dichiarato, in un’intervista al quotidiano “Sabah”, che il governo sta lavorando a progetti volti a estendere l’oleodotto che collega Kirkuk, a nord di Baghdad, con il porto di Ceyhan, in Turchia. Ghadban ha precisato che tali progetti rientrano nella strategia di diversificazione dei porti di esportazione del petrolio. Allo stesso tempo, ha aggiunto il ministro, l’Iraq lavora per l’estensione dell’oleodotto tra Rumaila (nel sud del paese) e il porto giordano di Aqaba, e per il rafforzamento delle infrastrutture di trasporto tra il nord e il sud. «Queste iniziative permetteranno all’Iraq di avere una maggiore flessibilità nell’esportazione di petrolio. Si tratta di un obiettivo importante per ragioni strategiche ed economiche, poiché doterebbe il paese di rotte alternative nel caso in cui un’emergenza fermasse le attività di uno dei porti», ha spiegato Ghadban. Il vicepremier ha poi affermato che il ministero del Petrolio è in attesa della decisione del Tribunale federale sulla legge per la ricostituzione della Compagnia nazionale irachena del petrolio (Inoc). Tale legge era stata infatti impugnata nel marzo del 2018 e di recente il capo del governo, Adel Abdul Mahdi, ha sollecitato i giudici a emettere al più presto un verdetto. Secondo Ghadban, la nuova Inoc dovrebbe essere «un’istituzione tecnica, specializzata nelle operazioni e lontana dalla politica e dalle quote settarie».

56 febbraio 2019

LA MALESIA CONTESTA IL DECLASSAMENTO

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l ministro delle Finanze della Malesia, Lim Guan Eng, ha contestato il declassamento del rating del mercato azionario malese da parte della banca d’investimento giapponese Nomura. Il giudizio è sceso da “neutrale” a “sottopeso” a causa di «scarse prospettive di crescita dei rendimenti dovute a valutazioni elevate, e mancanza di riforme espansive degne di nota». «La previsione secondo cui il deficit fiscale del 2018 si deteriorerà al 3,9 per cento del Pil è semplicemente non veritiera”, ha detto il ministro, ribadendo l’obiettivo ufficiale del governo di un rapporto deficit-pil al 3,7 per cento. «Sino a quando il prezzo del petrolio rimarrà tra i 50 e i 70 dollari al barile, non c’è alcuna necessità di rivedere il bilancio», ha aggiunto il ministro. Goldman Sachs ha previsto che il prezzo medio al barile del petrolio brent sarà di 62,50 dollari nel corso del 2019. LimGuan Eng si è detto convinto che le agenzie di rating internazionali come Moody’s, Standard & Poors e Fitch hanno compreso che le riforme richiedono tempo, e manterranno il rating della Malesia in A3 o A-. Nel suo rapporto, Nomura ha anche espresso la preoccupazione che la Malesia fosse troppo dipendente dalle entrate di Petronas per finanziare il budget. Lim ha risposto affermando che nel 2009 la Malesia si era affidata a Petronas per il 41,3% delle sue entrate, una cifra che si è ridotta al 19,5%.


IL GIRO DEL MONDO IN 30 GIORNI

LA COREA DEL SUD “PONTIFICA” IN KUWAIT

L GLI USA MINACCIANO IL NORD STREAM 2

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ambasciatore degli Stati Uniti in Germania, Richard Grenell, in un’intervista al quotidiano tedesco “Handelsblatt” ha affermato che le imprese che partecipano alla realizzazione del gasdotto Nord Stream 2, tra cui l’italiana Saipem, sono «sempre in pericolo, perché le sanzioni» degli Stati Uniti nei loro confronti sono «del tutto possibili». Grenell si è detto «convinto che le aziende tedesche si ritireranno dal progetto per il Nord Stream 2», il gasdotto che collegherà Russia e Germania attraverso il Mar Baltico, prima di subire eventuali sanzioni da parte degli Usa. Secondo fonti del governo tedesco interpellate da “Handelsblatt”, gli Stati Uniti «stanno prendendo di mira soprattutto le società di costruzioni altamente specializzate, impegnate nella posa delle condotte» del Nord Stream 2 sul fondale del Baltico. Tra queste imprese ci sarebbero «il gruppo Allseas, con sede a Châtel-Saint-Denis, in Svizzera, e la società italiana Saipem». Considerato però che l’azienda di San Donato Milanese «ha già svolto la sua parte dei lavori» per il Nord Stream 2, nota “Handelsblatt”, la minaccia di sanzioni degli Usa nei confronti di Saipem risulta «incomprensibile». Saipem ha confermato di aver concluso i lavori legati alla commessa da 370 milioni di dollari assegnata dal Nord Stream 2 per la realizzazione dell’ultimo tratto del relativo gasdotto che attraversa il Mar Baltico e del suo approdo a terra a Greiswald,

a compagnia sudcoreana Hyundai Engineering & Construction completerà entro il 2019 il ponte più lungo del mondo: quello che collegherà Kuwait City a Subiyah New Town attraverso la baia del Kuwait. Lo riferisce il sito sudcoreano “Business Korea”. Il ponte, nominato Sheikh Jaber Causeway (Sjsc), avrà una lunghezza totale di 48,53 chilometri, compresi il ponte principale di 36,1 chilometri e il Dohalink di 12,43 chilometri. Una volta terminato lo Sheikh Jaber al Ahmad al Sabah Causeway sarà più lungo di circa 7 chilometri rispetto a al ponte Haiwan (41,58 chilometri) a Qingdao in Cina, a oggi il più lungo del pianeta. Nel novembre 2013 Hyundai E and C ha vinto il progetto da 2,62 miliardi di dollari insieme a una società locale. Il direttore facente funzione dell’autorità, Suha Ashkanani, ha dichiarato in una conferenza stampa che il progetto è conforme agli standard internazionali e mira a collegare il quartiere di Doha con l’area di Shuwaikh per ridurre il traffico stradale. Il progetto comprende due collegamenti che attraversano la baia del Kuwait. Il primo è il collegamento di 36 chilometri o Subiyah Link che si estende sulla baia del Kuwait e collega la capitale Kuwait City con la zona settentrionale di Subiyah. Il secondo collega la penisola di Doha con l’area portuale di Shuwaikh a Kuwait City: si prevede che riduca la congestione stradale a Shuwaikh e lungo Ghazali Road, una delle aeree più trafficate della capitale.

LA VIA DELLA SETA NON È SOLO CINESE: IL GIAPPONE FINANZIA UN NUOVO PORTO IN ANGOLA

U

n nuovo porto in acque petrolio per via marittima, ha urgente profonde nell’Angola, che bisogno di rinnovare le proprie infrasarà il più vasto nel suo strutture portuali, e un accordo in progenere mai finanziato posito dovrebbe essere firmato a bree realizzato da aziende ve con le aziende giapponesi. Il piano giapponesi all’estero. Lo realizzeranno giunge in un contesto regionale segnato la compagnia comda crescenti timori LO REALIZZERÀ TOYOTA TSUSHO per la sostenibilità merciale Toyota GRAZIE AGLI INVESTIMENTI finanziaria dei proTsusho e la Banca getti infrastruttugiapponese per la DELLA BANCA GIAPPONESE rali promossi dalla cooperazione inPER LA COOPERAZIONE Cina, nell’ambito ternazionale. L’obiettivo delle due aziende è di racco- della nuova Via della seta. Il Giappone gliere 70 miliardi di yen (563 milioni di si inserisce dunque in questo quadro di euro) tramite finanziatori giapponesi incertezza per aumentare il suo peso su pubblici e privati, da destinare al fi- uno scenario cruciale come quello afrinanziamento dell’opera. L’Angola, la cui cano. Le aziende e il governo giapponeeconomia dipende dalle esportazioni di si hanno espresso la determinazione ad

eleggere la profittabilità come criterio primo per la valutazione dei progetti, e a garantire che questi ultimi non compromettano la sostenibilità del debito del paese beneficiario delle opere.

febbraio 2019 57


QUI PARIGI di Giuseppe Corsentino

SE LA BANCA DI FRANCIA APRE UN «COMPRO ORO»

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i negozietti “Compro Oro” cominciano a vedersi anche qui a Parigi, segno - forse - delle difficoltà economiche di quei francesi che sono “un euro près”, che è il titolo di una serie di reportage tv di TF1 che racconta la vita agra di chi non arriva alla fine del mese (anche se qui lo Smic, il salario minimo garantito, è a 1.500 euro lordi e da gennaio è pure aumentato di cento euro grazie alla promessa fatta da Macron ai Gilet Gialli con l’obiettivo di fermarli, senza peraltro riuscirci. Ma il “Compro Oro” che si apre al numero 3 di rue La Vrillière, nel primo arrondissement, cuore storico di Parigi, è del tutto particolare. Intanto perché al numero 3 c’è la sede della Banque de France con i suoi caveau a 27 metri di profondità che custodiscono l’oro della Nazione, 2.435 tonnellate di lingotti che non ha visto nessuno tranne lo scrittore austriaco Stefan Zweig che nel 1932 riuscì a visitarli, ospite personale del Governatore, e ci ricavò anche un libro - “La Souterraine” - continuamente ristampato. E poi perché il “Compro Oro” della banca centrale francese non è un negozietto, ma un progetto finanziario voluto dall’attuale governatore, François Villeroy de Galhau, ingegnere del Polythecnique e candidato alla successione di Mario Draghi alla Bce, con l’obiettivo di aumentare l’offerta di servizi ai propri clienti, vale a dire le banche centrali di mezzo mondo (soprattutto quello francofono, cioè un bel pezzo d’Africa) e le grandi istituzioni finanziarie internazionali che trattano - fisicamente - il metallo giallo (ce ne sarebbero 33mila tonnellate nei forzieri delle banche di tutto il pianeta). Finora banche centrali e istituzioni finanziarie erano costrette a rivolgersi alle banche della City londinese, in particolare Jp Morgan, per regolare i loro affari in oro (cioè mettendo a reddito, per farla semplice, il loro stock di lingotti). Ora questo mestiere, il “Compro Oro” al livello massimo 58 febbraio 2019

(Stati e fondi d’investimento internazionali) lo farà anche la Banca di Francia, creando così un vero “marché de l’or à Paris”. Mercato che farà concorrenza al secolare “Gold Market” della City (basti dire che solo la banca centrale inglese custodisce nei suoi forzieri 400mila lingotti da 12 Kg ciascuno per un controvalore di oltre 100 miliardi di sterline) e sarà anche questa un’altra leva di quella poderosa macchina di marketing e di lobbying che la capitale francese ha messo in campo per spostare qui pezzi di finanza londinese post-Brexit. Per farla breve, ora la Banca di Francia - alleatasi con JpMorgan, particolare non secondario - potrà offrire servizi di deposito a pagamento (gold deposit: già oggi una ventina di Stati e pure il Fmi utilizzano la mitica “La Souterraine” parigina), potrà remunerare i clienti con servizi di “swaps or - contre devises” oppure fare prestiti e leasing utilizzando l’oro depositato come sottostante. “In questa fase di interessi negativi” spiega a Investire il segretario generale della Banque de France, Alexandre Gautier “tutti, banche centrali e istituzioni finanziarie, cercano des nouvelles sources de rendement, sono a caccia di rendimenti. E anche un lingotto può fare la differenza”. Soprattutto in questo agitatissimo 2019 durante il quale - giurano gli esperti della società Goldcore - l’oro farà meglio del mercato. Bene rifugio classico per i periodi di turbolenza. Al punto che Abn Amro prevede una quotazione media per tutto il 2019 di 1.325 dollari l’oncia. Un’opportunità che neanche la Banca centrale cinese vuole farsi sfuggire tant’è che a dicembre scorso ha aumentato di ben dieci tonnellate (320mila once) le proprie riserve aure, seste al mondo. Per il Cmo, Conseil mondial de l’or, che ha sede a Parigi, la corsa all’oro della Cina e di altri paesi asiatici nasce anche dalla voglia di sperimentare una qualche forma di “de-dollarizzazione” delle loro economie. La Banque de France, forse, ci ha visto giusto con il suo “Compro Oro”.


di Glauco Maggi

QUI NEW YORK

I REITS, PORTO SICURO DEL MATTONE AMERICANO

U

no studio recentissimo (2018) di Wilshire Funds Management sull’andamento di lunghissimo periodo dei fondi pensione Usa ha dimostrato che la presenza di una quota di Reits (i fondi immobiliari americani) fa bene alle performance. Inserendo il 15% in Reits nel fondo pensione di un lavoratore giovane con 40 anni di lavoro davanti, e riducendo via via la quota al 7% da anziano, nei 42 anni dal 1975 al 2017 il fondo pensione con i Reits avrebbe reso il 16,7% in più rispetto a un fondo senza Reits: 10.000 dollari investiti “con” sarebbero saliti a 683.666, “senza” a 586.021. La Nareit, l’associazione dei Reits che ha commissionato la ricerca, ha ora quindi un fresco argomento concreto per farsi propaganda. Ciò aumenterà l’appeal di questi strumenti d’investimento che l’80% dei consulenti finanziari americani suggeriscono ai gestori istituzionali e individuali (a fine 2018 i Reits risultano posseduti da 80 milioni di americani). Nati negli Stati Uniti nel 1960, i Reits hanno avuto una crescita costante grazie a due qualità. Il rendimento dei Reits non è rigidamente correlato al trend dominante delle altre azioni di Wall Street, il che offre un’occasione sostanziale di diversificazione. E le caratteristiche tecniche ne fanno uno strumento gradito a chi cerca rendimenti costanti. La maggior parte dei Reits infatti distribuisce tutto il proprio reddito tassabile agli azionisti, che a loro volta pagano l’imposta sul reddito sui dividendi. Per qualificarsi come Reit una società deve seguire queste regole: investire almeno il 75% dei suoi asset nell’immobiliare; derivare almeno il 75% del proprio reddito lordo dagli affitti delle proprietà, dagli interessi sui mutui erogati e dalle vendite degli immobili; pagare almeno il 90% del proprio reddito tassabile sotto forma di dividendi distribuiti agli azionisti; essere un’entità tassata come corporation; essere gestita da un consiglio di direttori o fidu-

ciari; avere un minimo di 100 azionisti; non avere più del 50% delle azioni detenute da 5, o meno di 5, azionisti. La lunga marcia del successo istituzionale è contrassegnata da due date storiche. Nel 2001 lo Standard & Poors’ 500 ha accolto nel suo paniere il primo Reit, e nel 2014 il Global Industry Classification System dei Financial Sectors (la classificazione dei settori industriali fatta dai gestori) ha aggiunto il Real Estate, quale undicesimo settore, ai dieci “tradizionali” fino a quel momento. Dal 2001, quando il primo Reit (in uffici commerciali) nello Standard &Poor’s ha reso possibile il confronto dell’andamento del comparto del mattone con l’intero indice S&P, mentre le quotazioni dei Reits sono quintuplicate lo S&P è cresciuto di due volte e mezza circa. Presi complessivamente i Reits di tutti i tipi posseggono oltre 3mila miliardi di dollari in asset lordi in America, e quelli quotati a Wall Street hanno una capitalizzazione azionaria di oltre 1000 miliardi di dollari. Nel tempo il raggio d’azione dei promotori dei Reits si è allargato fino a coprire attività innovative d’investimento. Un sondaggio di Haver Analytics (del 2016) ha rilevato che gli hotel pesano per il 3,9%, gli ospedali e le cliniche per il 9,4%, le società dedicate al management e allo sviluppo per il 7,6%, gli affitti industriali per il 3,7%, gli uffici per il 9,9%, il residenziale per il 12,8%, le catene di vendite al dettaglio per il 20,1%. Da notare che la prima sotto-categoria “immobiliare”, con una quota del 25,3%, è quella residuale dei Reits cosiddetti “specializzati”, che gestiscono, tra l’altro, le catene di cinema e di teatri, gli stadi per il baseball e gli altri sport, gli ippodromi, i campi da golf e le compagnie che gestiscono foreste e legname. L’Etf iShares Dow Jones US Real Estate, indicizzato ai Reits, ha una quota del 25,1% della propria capitalizzazione dedicata agli “specializzati”. Nel 2018 ha perso il 4,29%, ma su 5 anni il guadagno annuo è stato del 7,58% e su 10 dell’11,59%. febbraio 2019 59



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OPINIONI MASTER & COMMANDERS

Il gioco degli investimenti si fa duro Ma dobbiamo esserne contenti di Giordano Lombardo

I

n oltre trent’anni di carriera nel mondo degli investimenti non mi ricordo di un anno come il 2018. Pur non essendoci stato un vero e proprio crash, come nel 1987 o nel 2000 o nel 2008, l’andamento di quasi tutte le asset class ha fatto registrare un segno negativo. Non solo tutte le Borse, ma anche i mercati del credito corporate, quasi tutti i mercati obbligazionari governativi, le materie prime, insomma la quasi totalità delle asset class finanziarie hanno chiuso l’anno in rosso. Un grafico pubblicato da Deutsche Bank mostra che la percentuale delle asset class che hanno registrato una performance annuale negativa, sul totale delle asset class, è stata del 90% nel 2018, la percentuale più alta dal 1900! Per molti operatori il calo dei mercati, accentuatosi nell’ultimo trimestre dell’anno, ha già creato le condizioni per una ripresa di valore, che potrebbe o meno prolungarsi nella prima parte di quest’anno. Ma non è di questo che intendiamo qui occuparci, perchè pensiamo che le previsioni a breve termine lasciano il tempo che trovano. Quello che vogliamo sostenere è invece che il 2018 ha rappresentato per molti versi un anno di svolta, uno spartiacque tra quello che era successo nella fase di mercato precedente e quello che potrebbe accadere in una fase nuova, i cui contorni non conosciamo ancora bene. Insomma il 2018 come anno di cesura, così come il 2008 aveva a sua volta chiuso una fase di mercato durata almeno due decenni. Il decennio successivo alla Grande Crisi del 2007-2008 può essere definito come una fase in cui l’attività di investimento è stata tutto sommato “facile”. Chiariamo subito cosa intendiamo, prima che ci venga mossa la (giusta) obiezione che l’unica cosa “facile”, quando si tratta di investi62 febbraio 2019

L’«ANNUS HORRIBILIS» 2018 HA SEGNATO LA FINE DI UN CICLO DECENNALE INIZIATO CON LA RIPRESA DALLA CRISI DEL 2007-2008 E SEGNATO DAL RUOLO DI TUTELA DELLE BANCHE CENTRALI

Sotto, il presidente della Bce Mario Draghi. A destra, il presidente Usa Donald Trump col premier italiano Giuseppe Conte

menti, è giudicare come ovvio ex-post ciò che non lo era affatto ex-ante. Intendiamo dire che il comportamento delle principali asset class ha esibito le caratteristiche più desiderabili. E cioè un trend sostanzialmente positivo sia per le azioni che le obbligazioni, e una correlazione sufficientemente negativa tra le due tipologie di asset nei periodi cosiddetti risk off. Quindi chi doveva costruire un portafoglio bilanciato aveva a disposizione asset class con valutazioni crescenti e sufficientemente decorrelate tra loro per assicurare un’efficiente diversificazione. In questo senso il compito dell’investitore poteva essere definito relativamente “facile”. Non intendiamo naturalmente minimizzare gli altri problemi che comunque gli investitori hanno dovuto affrontare in questo decennio, come il diverso andamento dei mercati azionari tra di loro, o le difficoltà degli stock picker nel battere gli indici di


OPINIONI mercato. Difficoltà che, unite alle crescenti preoccupazioni dei clienti per i prezzi dei fondi, hanno favorito l’esplosione degli Etf e dei fondi a gestione passiva. Ma certo abbiamo potuto beneficiare di un decennio in cui tutte le principali asset class “rischiose” hanno registrato un trend positivo, soprattutto grazie all’azione di espansione degli aggregati monetari da parte delle principali Banche Centrali. La nostra percezione è che tutto questo sia destinato a cambiare radicalmente nei prossimi anni, per cui l’attività di investimento tornerà a essere “difficile”, così come lo è stata nelle fasi antecedenti a quella che si è chiusa con il 2018. Per diversi ordini di motivi. Ricordiamo innanzitutto che le condizioni dell’ultimo decennio, ossia trend positivo e correlazione negativa azioni/obbligazioni, non sono affatto condizioni “naturali” dei mercati. Per lunghi periodi i mercati azionari e obbligazionari sono scesi o saliti insieme. Il principale motivo del previsto cambiamento nelle correlazioni di mercato è legato all’esaurirsi della fase storica che va sotto il nome di Quantitative easing. Stiamo infatti assistendo ad un chiaro passaggio di testimone, dall’uso delle politiche monetarie a quello delle politiche fiscali, come principale strumento delle politiche economiche dei paesi avanzati, e in molti casi anche di quelli emergenti. Questa fase si sta già chiudendo negli Usa, più avanti nel ciclo di normalizzazione dei tassi di interesse, e tra poco inizierà a chiudersi anche nell’Eurozona, dove Mario Draghi ha annunciato la fine del Quantitative easing alla fine del 2018. L’espansione fiscale è iniziata negli Usa, con i tagli alle imposte decisi da Trump lo scorso anno, mentre forti spinte verso una maggiore espansione di bilancio hanno luogo anche in Europa, in primis in Italia, Francia e Spagna. Un maggiore stimolo fiscale è in cima anche all’agenda economica cinese. Sulla “qualità” di queste politiche fiscali espansive ci sarebbe da ridire, ma il segno rimane, soprattutto dopo decenni di austerità. Ciò avviene però in una fase che vede il livello dei debiti pubblici a un massimo storico in quasi tutti i paesi. Per questo, politiche fiscali espansive, inizialmente accolte con favore dai mercati azionari, come si è visto con i tagli fiscali di Trump, potrebbero

venir punite alla fine dai cosiddetti bond vigilantes, preoccupati per un accumulo eccessivo di deficit e debito pubblico. Fintanto che la domanda addizionale di bond veniva acquistata dalle Banche Centrali, queste assicuravano una funzione di “assorbimento” degli shock esterni derivanti da maggiori deficit pubblici. Funzione che però verrebbe meno con la fine del Qe. Inoltre, politiche fiscali non solo espansive (con effetti positivi sul Gdp), ma anche redistributive, potrebbero spostare il carico fiscale dal lavoro al capitale, con un effetto in ultima istanza negativo sui corsi azionari. Naturalmente si potrebbe sostenere che questo passaggio dalle politiche monetarie a quelle fiscali è soltanto di natura ciclica e che alle prime difficoltà serie di mercato assisteremo al ritorno di una disciplina fiscale ortodossa e a un nuovo intervento di sostegno delle Banche centrali. Non crediamo che sarà così. Infatti le due principali “storie” macro di lungo periodo oggi in atto, ossia il trend verso la de-globalizzazione (verso un maggior regionalismo negli scam-

DEGLOBALIZZAZIONE E ROBOTICA SONO TREND DESTINATI A DURARE, COME PURE IL PREVALERE NEL MONDO DELLE POLITICHE FISCALI SU QUELLE MONETARIE

UN SUPERESPERTO DI LUNGO CORSO

Giordano Lombardo - che con quest’articolo inizia la sua collaborazione con Investire - è stato ceo e cio del gruppo Pioneer Investments, e responsabile della divisione Asset Management di Unicredit. Ha ricoperto sia la carica di presidente che di vicepresidente di Assogestioni. Ha trascorso l’intera carriera

nell’industria dell’asset management, iniziando come analista e portfolio manager nel 1987. Ha una laurea in Discipline Economiche e Sociali presso l’Università Bocconi di Milano. Attualmente è presidente di Rationis, una startup che sviluppa sistemi per l’analisi dei rischi. Sposato con 5 figli, ha la passione della corsa, della lettura ed è un grande tifoso dell’Inter. (s.l.)

bi commerciali), e l’avvento delle nuove tecnologie digitali e robotiche, sono destinate a dispiegare i propri effetti ancora a lungo. Quali? Accentuarsi delle disparità di reddito e ricchezza, obsolescenza dei posti di lavoro tradizionali, conseguente crescita delle spinte politiche populiste. Il che porterebbe a quelle istanze di risoluzione politica volte alla ridistribuzione e alla protezione dell’occupazione a livello nazionale che usano appunto la leva fiscale. Ebbene se lo scenario descritto ha una certa probabilità di avverarsi, come pensiamo, l’attività di investimento diventerà non solo più “difficile” ma anche molto più interessante. Non solo perchè ci aspettiamo più volatilità, il che però è banale. Ma per tutta una serie di problemi che il nuovo scenario apre. Per quanto riguarda l’asset allocation: quali sono le asset class che saranno davvero decorrelate tra loro? I modelli tradizionali di costruzione di portafoglio funzioneranno ancora? I parametri di rischio basati sulle serie statistiche degli ultimi due decenni sono ancora validi? Per quanto riguarda lo stock picking: assisteremo a una rotazione dei temi settoriali che hanno prevalso negli ultimi anni, in primis quelli legati alle nuove tecnologie? Per quanto riguarda i prodotti: avrà ancora senso affidarsi a Etf e prodotti passivi che per definizione non si basano su considerazioni di “valore”? I prodotti “attivi” proposti negli ultimi anni sono ancora giusti per la nuova fase o bisognerà pensarne di nuovi, più flessibili e adatti alla nuova “fase secolare”? Il catalogo delle cose da fare è molto lungo, come si vede. Non possiamo certo esaurirlo in questo intervento. Per ora basti dire che investire è ritornato ad essere “difficile”, perchè meno legato a quello che fanno le Banche centrali e più legato ai fondamentali economici di lungo periodo. E di questo dovremmo essere contenti. febbraio 2019 63


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STORIE DI SUCCESSO CONSULENTI CHE CONTANO

Parla l’advisor dei superpatrimoni «Per essere ricchi non bastano i soldi» di Ugo Bertone

I

soldi contano. Ma non sono tutto. “Le famiglie spesso misurano l’accumulo di risorse solo in termini di capitale finanziario. Poche comprendono che la loro ricchezza è costituita da tre forme di capitale: umano, intellettuale e finanziario”. Parla così Dario Tosetti, il creatore di quello che oggi è uno dei principali Family Office europei e che, attraverso la Tosetti Value Sim, assiste famiglie, aziende e istituzioni con un patrimonio mobiliare complessivo che oggi ha superato la soglia dei 5 miliardi di euro. Un piccolo impero della consulenza indipendente, premiato da Forbes come leader del mercato italiano, che opera da un indirizzo simbolo del capitalismo del Novecento: corso Marconi 10, Torino, per 44 anni il quartier generale della Fiat ai tempi di Giovanni Agnelli. Nessun legame di parentela, ma all’Avvocato sarebbe piaciuto assai quel ragazzo che negli anni settanta ebbe il coraggio di rinunciare a una promettente carriera da calciatore per dedicarsi allo studio, “l’altra cosa che mi riusciva meglio”. Da allora molta acqua è corsa sotto i ponti del Po. E del Tamigi, perché, dopo la laurea in Economia e Commercio, Tosetti supervisiona le società Riccadonna Uk e International, viaggiando tra Bruxelles, altre sedi Europa e Londra dove conosce l’attività del family office. “Vent’anni fa due famiglie mi chiesero di attivarlo per loro e accettai. Immagino mi abbiano poi fatto pubblicità”. Di lì è cominciata un’ascesa senza soste, grazie alla stima ed all’apprezzamento dei clienti, per lo più imprenditori di successo, senza rinunciare a quello Tosetti definisce “Il mio pallino su cui non accetto compromessi: l’indipendenza”. “Noi non accettiamo retrocessioni di commissioni o scambi di favori di qualsiasi natura – spiega - La nostra indipendenza è garan-

Dario Tosetti, creatore di uno dei principali family office europei

I SEGRETI DI DARIO TOSETTI, INVENTORE E REGISTA DEL PIÙ IMPORTANTE FAMILY OFFICE DEL NOSTRO PAESE, CON OLTRE 5 MILIARDI DI ASSET tita dal fatto che siamo remunerati esclusivamente dai clienti cui emettiamo fattura ogni quattro mesi, in piena trasparenza”. Un rito che si ripete dal 1997, da quando l’azienda ha aperto i battenti. Quanti si sono ritirati nel frattempo? “Per ora nessuno.” Al contrario si è cementato un rapporto di fiducia che si è consolidato nel tempo: le famiglie aderenti al club (una cinquantina con un patrimonio fino a 50 milioni di Euro e 12 da oltre 50 milioni) sono salite da 22 del 2010 a 62 a fine 2018, le aziende da 4 a 15, le istituzioni da 5 a 9. La clientela della Tosetti Value, dal 2008 una sim di consulenza, ha nel frattempo varcato i confini del Piemonte (32 clienti sono torinesi) per allargarsi in Lombardia, Veneto, Emilia e muove i primi passi verso Sud (l’avamposto più meridionale è Salerno). A consentire questa crescita è stata ovviamente la continuità delle performance garantita dall’efficienza della squadra, sempre più agguerrita e professionale. Ai suoi clienti Tosetti Value febbraio 2019 65


STORIE DI SUCCESSO

LO STORICO INGRESSO DEL PALAZZO DI CORSO MARCONI CHE FU DELLA FIAT

può offrire oggi un team di 32 risorse che assicurano la selezione dei gestori, l’analisi del rischio e il monitoraggio costante dell’asset allocation. E’ un lavoro da certosini che, grazie al supporto dell’elettronica, permette di seguire le performance di un numero sterminato di operatori da seguire ogni giorno. Ma non è certo questo l’unico asset vincente della struttura che, spiega Tosetti, “ha l’obiettivo di proteggere, valorizzare e tramandare il patrimonio finanziario e culturale dei gruppi familiari. E per ottenere questo risultato opera una pianificazione integrata degli investimenti e ne supervisiona l’andamento”. Un compito delicato, soprattutto al passaggio tra generazioni, quando il business e il patrimonio di famiglia sono costantemente messi a dura prova dal succedersi e moltiplicarsi degli individui e dalla moltitudine di eventi sociali, politici ed economici”. Di fronte a queste situazioni anche il portafoglio più fornito rischia non reggere se non si dispone di strumenti adeguati. Nelle realtà più complesse il family office opera come organo a supporto del consiglio di famiglia, o comunque dell’assetto proprietario, per innalzare la qualità del contenuto delle scelte di governo nonché per coordinare tutti i processi decisionali relativi alle diverse problematiche. In particolare, tra i compiti strategici– spiega Tosetti – figura l’aggiornamento

costante dei family data: è molto importante che il testamento del leader sia aggiornato e dettagliato, dotato di una descrizione analitica dei beni e delle collezioni di famiglia, che si tratti di orologi auto d’epoca o altri beni”. Il valore della cultura e del bello attraversa del resto l’intera esperienza del Family Office torinese a partire dalle esposizioni dedicate ai fotografi più importanti a livello globale, occasione per promuovere mostre e dibattiti aperti ai clienti che mettono a confronto intellettuali, imprenditori e altri testimoni: anche così si aiutano le famiglie a crescere per affrontare uno scenario sempre più complesso. Tra le sfide più originali e impegnative figura infatti il percorso formativo messo a punto da Tosetti Value per le famiglie nella fascia più abbiente, detta Ultra High Net Worth Individual, che è anche la più delicata e che più necessita di linee guida di comportamento. Una ricerca americana dedicata a questa categoria è arrivata a una conclusione shock: solo il 4% delle ricchezze ereditate da questi soggetti sopravvive alla quarta generazione. E in Italia? “Ho avuto modo di conoscere i due eredi di una fortuna ragguardevole, attorno ai 16 miliardi di vecchie lire che, presuntosi e superficiali com’erano, mi fecero pensare che nel giro di due si sarebbero rovinati. Mi sbagliavo: bastarono 12 mesi”. I soldi, quando non si dispone di una formazione adeguata, possono essere pericolosi. “Il denaro dà la libertà di essere se stessi. Ma che c’è sempre qualcuno che ne avrà di più: perciò, può essere una trappola incredibile. E diffidate dei guru della finanza: non esistono». Il family office svolge così una funzione importante per assicurare un passaggio generazionale soft, un tasto assai sensibile per la realtà italiana. “Per le famiglie imprenditoriali – conclude Tosetti - la risorsa più importante è la nuova linfa che arriva dalle generazioni future. Perché i leader della prossima generazione possano avere successo servono: spirito di sacrificio, sistemi di governance forti e preparazione tecnica. Questo corso permette alle nuove leve di capire il funzionamento delle imprese familiari e delle famiglie imprenditoriali, in un contesto internazionale”. Insomma, una super-accademia che deve sfornare i nuovi leader. Ma gli altri? Sorge spontanea una domanda da comune risparmiatore: non è possibile estendere i meccanismi di gestione di un family office a un livello di alta portata dei ceti medi? Ovvero: che cosa consiglia il gestore dei plurimilionari? “Il family office è una struttura che permette di usare la finanza invece di essere usati. Non è possibile replicare i risultati senza disporre di strutture paragonabili anche solo sul fronte dei costi. Inutile farsi troppe illusioni. Posso dare solo il consiglio di selezionare bene il proprio consulente finanziario, senza però dare deleghe in bianco ai propri interlocutori che, tra l’altro, spesso non fanno che trasferire indicazioni commerciali in arrivo dall’alto. Purtroppo, dato il livello modesto della cultura finanziaria media, non mi faccio troppe illusioni. Mi domando che cosa si aspetti a promuovere, innanzitutto a scuola, una cultura finanziaria adeguata”.

«INUTILE FARSI ILLUSIONI, I NOSTRI MECCANISMI DI GESTIONE NON FUNZIONANO PER I PICCOLI CAPITALI»

66 febbraio 2019



Q

uando entrò in vigore ad apertura del 2018, Mifid 2 venne annunciata come la svolta necessaria in grado di fornire trasparenza al settore, in grado di rendere finalmente chiari e visibili i costi al cliente e pertanto, come diretta conseguenza, di favorire una sana concorrenza sul mercato. Per mesi il dibattito tra gli operatori non ha fatto altro che ripetere che la nuova normativa poteva, anzi doveva, tradursi da costo in un’opportunità. Giusto quindi, dodici mesi dopo, interpellare alcuni player del settore per “fare il punto” della situazione e per capire nel concreto come Mifid 2 è stata tradotta nella realtà per quanto riguarda la rendicontazione ex post dei costi sostenuti dal cliente. Il risultato è assai più deludente rispetto alle rosee previsioni iniziali: Mifid2 ha aperto la strada affinché tali costi, spesso poco evidenti all’occhio dei risparmiatori meno esperti, siano finalmente indicati espressamente in un apposito prospetto, ma il lavoro da compiere affinché tale documento possa definirsi completo, comprensibile e puntuale è ancora lungo. Nonostante la normativa sia entrata in vigore a inizio 2018, la predisposizione del prospetto è un processo ancora in corso per la maggior parte degli intermediari attivi nel nostro Paese. I primi rendiconti realizzati secondo i dettami identificati dalla Direttiva e dal relativo Allegato II dovrebbero essere consegnati al cliente a fine febbraio o inizio marzo, ossia quando solitamente a livello contrattuale è prevista la consegna all’investitore di tale documento informativo. Ferma restando quindi tale scadenza, il processo si sta rivelando però più complicato del previsto a causa di diversi fattori, di natura tecnica e di mercato, come ci spiega Mauro Panebianco, partner di PwC Italia, Asset & Wealth Management Leader.

Da un punto di vista tecnico quali informazioni si troveranno davanti i risparmiatori italiani? La norma non definisce un template per la realizzazione del rendiconto ma identifica in maniera puntale e dettagliata le voci di costo che devono essere oggetto di comunicazione da parte dell’Intermediario a favore sia dell’investitore “al dettaglio” che professionale, quest’ultimo dotato di un livello di minor tutela. Nel rendiconto di gestione la Mifid 2 in68 febbraio 2019

PROSPETTI AI CLIENTI, IL MOMENTO DELLA VERITÀ

Commissioni sotto la lente

di Rosaria Barrile

In alto: Mauro Panebianco, partner di Pwc. A destra: Jonathan Hill, commissario Ue per i servizi finanziari

troduce un più elevato livello di disclosure rispetto all’importo totale delle commissioni e degli oneri nel periodo rendicontato unitamente alla movimentazione del portafoglio titoli, con riferimento ai dati relativi alla data valuta, alla divisa, al cambio, al controvalore di mercato e altro ancora. L’elemento che desta maggiore preoccupazione è l’effetto legato alla disclosure dei costi sostenuti nella gestione di portafoglio e legati all’operatività – come per esempio i costi di gestione e di transazione - che potrebbero avere effetto sul rendimento lordo del portafoglio rendicontato. Per esempio, l’investitore potrebbe trovarsi ad avere un rendimento netto negativo anche a fronte di un rendimento lordo positivo, laddove ci fossero in termini di gestione e transazione costi significativi. Ai costi del servizio di investimento poi va aggiunto il costo dello strumento finanziario inserito in portafoglio. Un altro elemento di rottura rispetto al passato è dato dalla rappresentazione grafica dell’incidenza dei costi sul rendimento: abbiamo provato a simulare alcune soluzioni ma ogni intermediario dovrà scegliere come evidenziare questo rapporto. Purtroppo è ormai da un anno che tra gli addetti ai lavori si parla di questa rivoluzione alle porte. Nel momento in cui siamo andati a chiedere agli intermediari come hanno affrontato il tema solo un numero molto esiguo però ha deciso di esporsi rilasciando delle dichiarazioni. Da dove deriva questa ritrosia? Siamo ancora in una fase di work in progress. Siamo a gennaio e presumibilmente per marzo il documento sarà pronto. C’è un aspetto di natura tecnica alla base di questa cautela: gli intermediari stanno mettendo in campo una serie di presidi e


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controlli, anche con il supporto di provider terzi, in grado di garantire la correttezza dei dati da fornire al cliente per minimizzare i rischi reputazionali. Per gli intermediari l’attività di recupero delle singole voci di costo relative agli strumenti è di fatto molto complessa. L’operazione di “spacchettamento” delle singole voci di costo, che sono state individuate dalla Mifid 2 secondo una definizione abbastanza lasca, rappresenta un passaggio impegnativo anche dal punto di vista tecnologico. Come società di consulenza possiamo affermare che la vera criticità insita nella predisposizione del documento non è nella sua stesura, bensì nell’individuazione delle specifiche voci di costo. Questo significa in pratica riconciliare il dato corretto alle singole voci così come suggerito della Mifid 2. Altro esempio, quando parliamo di spese correnti occorre risalire a decine di voci a seconda della diversa tipologia di strumento finanziario e possono essere diverse i fondi, azioni, Etf, obbligazioni. Tali dati inoltre possono trovarsi su database diversi e il loro reperimento richiede tempo e un approccio diverso rispetto al passato. La predisposizione del rendiconto è poi rallentata da fattori di mercato: in un contesto in cui nel 2018 i rendimenti sono stati per lo più negativi per le diverse asset class, la comunicazione dei costi all’investitore non fa che accentuare la percezione negativa del cliente rispetto all’investimento effettuato: in pratica, come già evidenziato, anche in presenza di un rendimento positivo seppur minimo, i costi, Nel ringraziarla per la preferenza accordataci, Le trasmettiamo il rendiconto periodico inerente al servizio di gestione in essere alla data odierna, redatto ai sensi della delibera Consob n. 20307 del 15 febbraio 2018. Rimanendo a Sua disposizione, ci è gradita l’occasione per porgerLe i nostri migliori saluti.

Banca XXX

Codice Mandato: 34/679822/440 MARIO ROSSI Via Genova, 123

indicati in maniera più evidente anche graficamente rispetto al passato, potrebbero contribuire a incrementare la percezione del rendimento in modo negativo. La cautela da parte degli intermediari nel predisporre tale documento potrebbe quindi essere dettata anche dalla ricerca di modalità in grado di ridurre l’eventuale impatto anche emotivo di questa comunicazione sull’investitore finale. Quando potrà dirsi finalmente conclusa questa fase di work in progress? Per quanto riguarda l’impostazione finale del rendiconto, fermo restando la conformità degli operatori alla normativa già a partire da gennaio 2018, ci aspettiamo tuttavia nel corso dell’anno un confronto interno al settore proprio in virtù del fatto che ciascun intermediario, all’interno della griglia suggerita dalla normativa, potrà rappresentare le voci di costo in maniera diversa rispetto ai suoi competitor. Più in generale il 2019 sarà un anno di transizione per l’adeguamento alla Mifid 2 che ha un impianto normativo molto più esteso rispetto alla prima direttiva Mifid. In pratica, un po’ come a scuola, si cercherà di copiare dal più “bravo”? Sicuramente si cercherà di adottare il modello più efficiente, ma per farlo ovviamente sarà necessario anche osservare il lavoro altrui, magari integrando la versione del proprio rendiconto. Ma per conoscere l’esito di questo processo occorrerà attendere almeno il primo semestre del 2020. €

Dettaglio oneri e competenze del periodo di riferimento (01/01/2018 – 31/12/2018)

Commissioni di gestione Risultato di gestione lordo Commissioni di negoziazione per titoli in portafoglio Accredito retrocessioni OICR Spese diverse Imposta di bollo Interessi sul conto

3.563,67 5.098,67 305,05 115,03 0,00 99,84 0,00

* All’interno della presente sezione è riportato l’importo totale degli oneri e competenze in capo al cliente maturati durante il periodo di riferimento in oggetto. Si riserva al cliente la facoltà di richiedere informazioni di maggiore dettaglio delle singole voci oggetto di costo, che saranno messe gratuitamente a disposizione dell’investitore.

Dividendi Interessi Altri pagamenti

987,71 0,00 0,00

20100 – MILANO

Rendiconto di gestione al 31.12.2018

Andamento del patrimonio in gestione (01/01/2018 – 31/12/2018)

Periodo rendicontato: 1.01.2018 – 31.12.2018

Patrimonio iniziale Totale conferimenti nel periodo Totale prelevamenti nel periodo Ritenute capital-gain anno precedente TOTALE PATRIMONIO FINALE

Rendimenti della gestione del periodo di riferimento (01/01/2018 – 31/12/2018) Patrimonio iniziale Risultato di gestione lordo Patrimonio finale (alla data di rendiconto)

* Il risultato di gestione lordo del periodo rappresenta il risultato della gestione, rispetto alla fine del periodo antecedente il periodo oggetto di rendicontazione, al lordo dell’effetto fiscale, delle commissioni e delle spese contabilizzate.

Risultati da inizio anno Risultato di gestione netto (valore assoluto) Risultato di gestione netto (in termini percentuali)

€ 37.023,63 5.098,67 49.923,37

37.023,63 7.850,67 0,00 1.157,60 49.923,37

Composizione patrimonio (31/12/2018)

-27,49 € -0,07%

Portafoglio titoli Liquidità Importi di competenza da addebitare/accreditare TOTALE PATRIMONIO

€ 33040,20 16.855,16 28,01 49.923,37

CALENDARIO EVENTI SOCIETARI 2018

Risultati della gestione espressi in percentuale (01/01/2018 – 31/12/2018) Rendimento netto della gestione Rendimento lordo della gestione

% -0,07% 13,77%

* Si comunica che durante il periodo oggetto di rendicontazione l’effetto cumulativo dei costi e delle imposte ha ridotto il Vostro patrimonio di € 5.126,16 e la Vostra rendita netta del 13,7% del patrimonio mediamente investito (al lordo dei costi). Spiegazioni ulteriori su termini e procedure di calcolo dei costi sono disponibili in dettaglio su richiesta del Cliente.

La Banca rende noto il calendario annuale degli eventi societari per l’anno 2018. Tale decisione è volta a garantire continuità e regolarità di informazioni alla comunità finanziaria, nonché coerenza con le disposizioni contenute all’interno delle policy interne aziendali in materia di informativa al mercato e agli investitori sulle performance finanziarie e operative della Società. In dettaglio:

22 gennaio 2018 26 febbraio 2018 19 aprile 2018 18 maggio 2018

Convocazione Consiglio di Amministrazione per approvazione risultati preliminari al 31 dicembre 2017 Convocazione Consiglio di Amministrazione per approvazione progetto di Bilancio al 31 dicembre 2017 Assemblea di approvazione del bilancio d’esercizio 2017 Approvazione prima trimestrale 2018

LO SCHEMA DI PROSPETTO ELABORATO DA PWC ITALIA SULLA BASE DELLA INTERPRETAZIONE DELLA MIFID 2

febbraio 2019 69


Identikit del nuovo prospetto TANTE RETI NON SCOPRONO LE CARTE. MA ALLIANZ BANK, BANCA GENERALI, BNL BNP PARIBAS, COPERNICO SIM, DEUTSCHE BANK FINANCIAL ADVISORS, SÜDTIROL BANK SVELANO COME SONO FATTE LE INFORMATIVE

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er capire come il mondo della consulenza ha affrontato o sta ancora affrontando la predisposizione del rendiconto sui costi che verrà consegnato alla clientela nei prossimi mesi, abbiamo cercato di raccogliere l’opinione di diverse reti di consulenti finanziari in particolare del perimetro Assoreti ma molte di loro hanno scelto di non rispondere. L’esi-

to è stato negativo nei casi di Azimut, Banca Consulia, Banca Euromobiliare, Credem, Fideuram Ispb, FinecoBank, IWBank, Mediolanum e Widiba. A tutto il panel abbiamo chiesto di condividere il facsimile del prospetto dei costi con l’autorizzazione alla pubblicazione ma nella maggior parte dei casi ci è stato risposto che non era possibile perché è ancora in fase di finalizzazione o perché non è stato ancora condivi-

so con i clienti. A esporsi è stata invece Copernico, società di intermediazione immobiliare attiva sia nell’ambito della consulenza con collocamento, sia nella consulenza fee only, che ci ha fornito una prima elaborazione del documento che verrà consegnato alla sua clientela. Lo pubblichiamo, oltre che per l’oggettivo interesse, anche per premiare una società che ha scelto di essere trasparente fino in fondo. (r.b.)

LE 5 DOMANDE DI INVESTIRE SUI RENDICONTI «MIFID 2 COMPLIANT»

70 febbraio 2019

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Quali criteri avete adottato nella costruzione dell’informativa?

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Con quali modalità consegnerete l’informativa al cliente con la rendicontazione dei costi?

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Qual è la vostra scelta di in termini di supporto al cliente nella lettura del prospetto?

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Come avete preparato i vostri consulenti “al momento della verità” del rendiconto?

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La predisposizione e la consegna del prospetto sarà accompagnata da altre iniziative o da interventi di marketing e pricing (quali per esempio la revisione delle commissioni)? Con quale obiettivo?


INVESTIRE SPECIALIST

COMUNICAZIONE CHIARA MA IL CLIENTE POTRÀ CHIEDERE DETTAGLI AL CF

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La ripartizione delle voci di costo sarà indicata sul prospetto secondo le richieste della normativa. I resoconti saranno inviati alla clientela tra marzo e aprile, in linea con la prassi di mercato. I clienti che sono registrati sul portale digitale documentale, fruibile sia dal cliente sia dal consulente, potranno visionarla direttamente all’interno di questo servizio mentre tutti i clienti che non hanno ancora aderito a questa funzionalità riceveranno una comunicazione cartacea da parte della banca. La comunicazione sui dati delle voci di costo sarà trasmessa al cliente in modalità aggregata e sintetica, con

rappresentazioni grafiche e chiavi di lettura. Su specifica richiesta, inoltre, il cliente potrà chiedere direttamente al suo consulente finanziario informazioni più dettagliate. In occasione dell’invio della rendicontazione, i consulenti finanziari coglieranno l’opportunità di incontrare i loro clienti, fornire le informazioni e i chiarimenti necessari ed eventualmente rivedere insieme la pianificazione del loro patrimonio. Abbiamo progettato la costruzione di questa informativa al cliente con l’obiettivo di renderla il più possibile chiara, trasparente e puntuale possibile. Di volta in

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volta sceglieremo la forma più opportuna in base ai contenuti che sarà necessario trasmettere. L’impatto dell’introduzione di Mifid 2 potrebbe tradursi nel corso del 2019 in un calo del costo medio dei prodotti e in un conseguente impatto negativo sui ricavi complessivamente generati dall’industria dell’asset management. Tuttavia riteniamo che lavorare sulla qualità dei servizi di consulenza evoluta, così come sull’evoluzione digitale e su modelli di pricing innovativi, possa generare opportunità per chi saprà fare della completezza e della qualità dell’offerta le proprie leve di crescita.

REPORT DI UNA PAGINA CON UN ESAME COMPLETO DEI COSTI

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In linea con lo spirito di Mifid 2 l’informativa ex post sui costi è stata costruita per assicurare immediata visibilità ai clienti. La rete fornirà, in aggiunta alla rappresentazione dei costi totali, un’evidenza separata dei costi relativi al servizio, di quelli relativi al prodotto, degli oneri fiscali e degli inducement percepiti. L’informativa su costi e oneri, inserita nell’ambito di un report che fornisce al cliente una rappresentazione del portafoglio sotto diverse prospettive (asset class, valuta, rischio) e dei servizi offerti dalla banca, è composta da una pagina.

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Tenuto conto che l’informativa costi e oneri comporta l’acquisizione, da parte della banca, di informazioni fornite da soggetti terzi (i cosiddetti “manufacturer”), l’invio al cliente è previsto per il mese di maggio. L’invio sarà effettuato tramite posta all’indirizzo del cliente e messo a disposizione attraverso l’area riservata del sito della banca. La lettura del prospetto sarà supportata sia da note esplicative in merito al contenuto, sia dal consulente stesso in caso di richiesta di ulteriori chiarimenti del cliente.

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In aggiunta alla formazione effettuata prima dell’entrata in vigore di Mifid 2, nel 2018 sono stati condotti diversi interventi formativi volti a rafforzare la conoscenza e la consapevolezza dei servizi offerti dalla banca ai clienti e del loro valore in termini di qualità del servizio. Con l’entrata in vigore di Mifid 2, la banca ha effettuato specifici interventi di affinamento della propria gamma d’offerta sia in termini di contenuti che di pricing, nonché attraverso la messa in post-vendita di prodotti non in linea con le nuove politiche di prodotto.

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IL DOCUMENTO SARÀ SPEDITO AI CLIENTI AD APRILE. I LIFE BANKER LI AIUTERANNO A ORIENTARSI

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La rete riporterà all’interno del documento sia in valore assoluto, sia in percentuale, i costi totali (distinti per costo di prodotto e di servizio) e gli incentivi percepiti dalla banca. Il rendiconto verrà inviato con la prima comunicazione utile che i clienti riceveranno ad aprile 2019. Nessuna risposta

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La MIfid 2 è stata inserita tra gli argomenti della Life Banker Academy, il

tour di incontri su tutto il territorio nazionale che si è concluso da poche settimane e che ha già coinvolto anche clienti finali, oltre ai life banker, per informarli e aiutarli da subito a ben comprendere le novità. La rete dei life banker è stata lanciata quattro anni fa già con la consapevolezza dell’arrivo di Mifid2 e questo è un aspetto che ci consente nativamente - di essere preparati, e comunque attenti ed attivi, su questo tema e la sua applicazione. Mifid 2 rappresenta

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per Bnl-Bnp Paribas Life Banker, e crediamo per tutto il nostro settore, un’opportunità per migliorare ulteriormente la qualità e la trasparenza del servizio offerto al cliente. E’ in quest’ottica e con questo spirito che stiamo lavorando per fornire nel migliore dei modi quanto previsto dalla normativa, puntando molto anche sulla formazione dei nostri consulenti.

febbraio 2019 71


PER LA LETTURA DEL RENDICONTO ASSISTENZA PERSONALIZZATA GARANTITA AL RISPARMIATORE

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Nella costruzione dell’informativa sui costi da presentare ai clienti in fase di raccomandazione è stato scelto il criterio della massima trasparenza, fornendo in forma tabellare sia una rappresentazione analitica, sia una aggregata su diversi orizzonti temporali dei costi associati a ogni operazione raccomandata. Come richiesto dalla normativa nella rappresentazione analitica sono stati esplicitati, in forma assoluta e percentuale, gli eventuali costi iniziali, i costi ricorrenti su base annua e quelli eventuali di uscita calcolati su un orizzonte di detenzione dello strumento sull’anno solare. Oltre ai

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costi sono state riportate le retrocessioni percepite su ogni voce di spesa. A livello aggregato invece la sim rappresenta il costo medio annuo complessivo dello strumento, nonché le retrocessioni percepite, su diversi holding period. L’Informativa sui costi effettivamente pagati dal cliente nel periodo di riferimento verrà invece inserita nella struttura del rendiconto che la sim invia periodicamente alla clientela e replicherà il format già utilizzato nell’informativa ex ante. La consegna è prevista nei prossimi mesi e sarà inviata in maniera innovativa anche in funzione delle operatività legate

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alle società prodotto. Tutti i clienti, senza distinzione, avranno il supporto personalizzato del loro consulente per la lettura e l’assistenza sul rendiconto. Siamo convinti che la trasparenza dettata dalla Mifid 2 possa portare nei prossimi anni Copernico a essere leader nella consulenza evoluta ed indipendente, soprattutto in considerazione del fatto che la tendenza oggi dei competitor, anche grandi, è quella di nascondersi dietro a un filo d’erba.

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LA RENDICONTAZIONE È PREVISTA ANCHE CON LA MODALITÀ DIGITALE

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Deutsche Bank Financial Advisors ha seguito le linee guida Esma nello specifico utilizzando gli schemi esemplificativi del regulator. Per facilitare la lettura l’informativa è stata suddivisa in tre sezioni. Nella prima sono riportati i costi classificati in costi di entrata, uscita, correnti, dei servizi finanziari e tasse. Nella seconda è riportato l’impatto dei costi sul rendimento nel periodo di riferimento mentre la terza sezione riepiloga gli incentivi suddividendoli in monetari e non monetari. L’informativa è composta da due o tre pagine in funzione del patrimonio del cliente.

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La consegna del rendiconto è prevista nel secondo trimestre del 2019, in modalità digitale per i clienti che dispongono del sistema di home banking o app e in modalità invece cartacea, via posta, per i clienti che hanno deciso di non usufruire di questi servizi. Tutti i clienti hanno un consulente finanziario dedicato a cui potranno rivolgersi per un supporto nella lettura del documento. I consulenti disporranno di un’informativa di dettaglio per aiutare il cliente nella comprensione del contenuto. Infine ogni documento includerà una “guida alla lettura”.

Il documento sui costi ha assunto un ruolo rilevante nel programma di formazione. Ai cf è stata spiegata nel dettaglio la modalità di costruzione dell’informativa e il contenuto delle diverse voci. I consulenti disporranno per ciascun cliente di un documento di dettaglio. L’introduzione dell’informativa sarà sicuramente un momento chiave sul mercato finanziario italiano. Utilizzeremo questa opportunità di contatto per favorire la raccolta di nuove masse evidenziando la qualità ed efficienza dei nostri prodotti e servizi ai potenziali clienti e a quelli multibancarizzati.

CARATTERI UGUALI E LEGGIBILI PER TUTTE LE VOCI DI COSTO

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Per l’informativa ex-ante ed anche per quella ex-post è stato utilizzato lo schema previsto dall’Allegato 2 del Regolamento delegato 565, dividendo i costi per servizio e per prodotto. Tale schema è ripetuto per ogni strumento presente nella relazione di consulenza e in forma aggregata nel riepilogo finale. I costi vengono poi raggruppati in un’unica voce specificandone il totale e gli inducement con l’incidenza sul rendimento. Il numero delle pagine varia a seconda dei servizi e degli strumenti finanziari. Graficamente, i, la dimensione del carattere è sempre la stessa in tutte le voci ed è leggibile.

72 febbraio 2019

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La banca è in attesa di ricevere il dettaglio dei costi di terzi (società prodotto per fondi/sicav in collocamento). Successivamente partirà la produzione e la consegna del documento, che avverrà presumibilmente a fine marzo 2019. Le modalità di invio sono a scelta del cliente come per tutti i documenti di trasparenza: Pec, posta ordinaria e deposito in area riservata sul web. L’invio viene effettuato dalla banca al cliente, senza intermediazione da parte del consulente. La banca fornisce a tutti i clienti, senza distinzione e senza attendere richieste specifiche,un glossario sui costi.

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Dall’inizio del 2018 la banca ha costantemente tenuto aggiornata la rete sugli sviluppi informatici in corso parallelamente all’avvio della Mifid 2 mediante sessioni ad hoc. Da inizio 2012 la rete dei consulenti utilizza uno schema contrattuale che prevede la fornitura di raccomandazioni personalizzate alla clientela su fondi, sicav e titoli a fronte del pagamento di una fee di consulenza. Non è stato quindi necessario apportare revisioni agli schemi commissionali della banca che può operare anche attraverso i cosiddetti consulenti indipendenti a parcella.

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ECCO GLI ATLETI FOLGORATI SULLA VIA DELLA CONSULENZA FINANZIARIA

Entra in campo la performance: la seconda vita dei campioni sportivi di Marina Marinetti

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osa ci fa un giocatore di pallacanestro in una rete di consulenti finanziari? Il basket... di azioni. E no, non è solo una battuta. Ci sono, per esempio, Marco Carraretto in Widiba, Alfredo Carboni in Consultinvest, Luca Silvestrin in Fineco. E se tre indizi fanno una prova, quella del consulente finanziario è una categoria professionale ad alto tasso di ex cestisti. «Non immaginavo che fossimo così in tanti», dice Luca Silvestrin, classe 1961, 205 cm di puro talento che già a 16 anni lo ha catapultato in serie A. Dopo l’esordio nella sua città natale, Venezia, nella Reyer di Tonino Zorzi (allora targata Canon), lo ricordiamo ala-pivot alla Scavolini Pesaro, poi alla Libertas Forlì, ma anche con la maglia della Fermi Perugia, della APU Udine, nella Allibert Livorno nella stagione 87-88 (la prima in cui la società labronica si qualificò per la Coppa Korac) e poi di nuovo a Pesaro, nel Granducato di Pistoia dove ha passato tre stagioni concluse con una promozione storica, poi capitano della Auxilium a Torino, per tornare nella sua Venezia nella stagione 1995-1996: «Ho collezionato un totale di 578 presenze in 18 campionati di serie A», sottolinea. «Ma sono 22 anni che faccio questo mestiere». Quello del consulente finanziario, appunto. «Ho iniziato per

74 febbraio 2019

CESTISTI, CALCIATORI, PUGILI E PERSINO MEDAGLIE OLIMPICHE: ECCO GLI ATLETI PASSATI ALLA DIVISA DELLA RETE BANCARIA

Nell’album dei ricordi di Luca Silvestrin, da 22 anni consulente finanziario in Fineco, ci sono 18 campionati di serie A


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LUCA SILVESTRIN, CESTISTA DI SERIE A OGGI PIVOT A FINECO: «LO STRESS DI MERCATO NON PIACE A NESSUNO. MA SO CHE DOMENICA GIOCHERÒ ANCORA» caso», racconta, «con una telefonata a Ing, che aveva un paio di fondi nei quali mi interessava investire. Mi rispose un ragazzo un po’ più giovane di me, che diventò il mio consulente. E dopo un po’ di tempo mi confidò che, secondo lui, ero tagliato per fare questo mestiere. Feci la mia ultima partita in serie A, peraltro in una stagione epica in cui venivamo dati per spacciati e invece vincemmo il campionato, e cominciato questa avventura». Era il 1997 e Luca Silvestrin era appena rientrato nella sua Venezia dopo aver vissuto 11 anni in sette città diverse. La figlia maggiore, Clarissa, avrebbe dovuto iniziare le scuole elementari: era giunto il fatidico momento di mettere radici. «Mi ero diplomato in ragioneria e in Ing seguii un master di un anno e mezzo. Poi per vari passaggi societari siamo confluiti in Fineco che, detto tra noi, è stata il posto migliore dove essere in questi anni. Non ho mai cambiato azienda e ancora oggi ogni volta che ricevo inviti dalla concorrenza, rispondo con lo stesso “guardi, non le faccio perdere tempo, non mi interessa” di inizio carriera». Nel frattempo Clarissa è creA destra il consulente di Widiba Marco Carraretto, ex giocatore di pallacanestro

In alto a destra l’ex campione di basket Luca Silvestrin, oggi consulente finanziario nella rete Fineco

sciuta e, come il padre, gira il mondo lavorando per un noto operatore turistico e il secondogenito, Mattia, si è laureato in Economia in Inghilterra, lavora in ambito finanziario, e si è fidanzato a Berlino: «a casa nostra i muri non esistono», dice Silvestrin. Che, all’interno della diversificazione dei propri investimenti, dedica una parte del proprio patrimonio all’arte contemporanea: «Colleziono Victor Vasarely, Alighiero Boetti e altri maestri dell’arte concettuale. Sono sempre stato un appassionato d’arte: quando facevo le coppe intercontinentali i miei compagni di squadra al mattino magari dormivano, io andavo per musei. E poi Orler (il gallerista veneto, ndr) è mio grande amico d’infanzia: mi capita di andare a trovarlo e trovarmi tra le mani un disegno di Modigliani piuttosto che un’opera di Andy Warhol. Se scelte bene, alcune opere d’arte offrono importanti guadagni, si rivalutano e non pagano tasse. E se non si staccano dal chiodo, non richiedono neppure manutenzione. C’è anche qualche cliente che mi segue in questa passione. Uno ha venduto l’azienda e reinvestito in maniera importante proprio nell’arte». Silvestrin è uno che ha vissuto due vite, la prima come campione sportivo e la seconda come consulente finanziario. La sintesi? «Quello che io ho trasportato dalla mia vecchia vita a questa è stato il gioco di squadra, con la condivisione del progetto con il cliente, e saper gestire la tensione: lo stress di mercato non piace neanche a me, ma so che domenica rigioco ancora. Ci sarà sempre un’altra domenica».

Il gusto della sfida

Che poi, aver giocato a basket serve eccome, se si fa il consulente finanziario. Lo sa bene Alfredo Carboni, 58 anni per 183 centimetri di altezza, che molti lettori ricorderanno sul campo, nel ruolo numero 1, quello di playmaker, negli anni ’80 e ’90. Ha vinto cinque titoli nazionali nella giovanile della Scavolini e poi dieci anni ha giocato in serie A1 e A2 tra Scavolini, Rimini, Brescia, Montecatini. Insomma, s’è dato da fare. Nel ’94 ha detto addio al basket e ha iniziato l’attività di consulente finanziario per Agos «che allora era del gruppo Fondiaria, poi è passata alla Banca popolare di Lodi e oggi è Consultinvest. Ma io non ho mai cambiato azienda», sottolinea. Quel che è cambiato, e molto, è il mestiere: «E sta ancora cambiando: cambiano i mercati, cambiano i prodotti, cambiano le normative. Non ci si annoia mai: è molto stimolante e indubbiamente c’è stata una stata bella screfebbraio 2019 75


matura: sono restati solo i più professionali. Il che è un bene per il sistema». La laurea in agraria, «presa perché mio padre aveva delle terre», gli è stata molto utile: «come forma mentis, e non solo per via dei quattro esami in economia. Insomma, non si butta via niente», scherza. «Ormai sono 25 anni che faccio questo mestiere, ormai non mi sento più cestista». Oggi porta la maglia, se così si può dire, di Consultivest, che, non a caso, dal 2013 sponsorizza il Victoria Libertas, la squadra pesarese di pallacanestro: «Ho diversi clienti tra ex compagni sportivi ed ex dirigenti, ma anche tra gli altri sponsor, perché a Pesaro abbiamo un pool consorziato di 23 aziende a sostenere

Nel palmarès di Marco Carraretto, oggi nella rete di Widiba, figurano 6 scudetti

PER ALFREDO CARBONI (CONSULTINVEST) IL GIOCO DI SQUADRA È FONDAMENTALE. ANCHE NELLA CONSULENZA la squadra». Contatti preziosi, che danno da fare (non tutti, chiaramente) a Carboni. «Giocare a pallacanestro mi è stato utile anche per la mia attività da consulente finanziario: essendo molto conosciuto a Pesaro ho potuto sviluppare un discreto portafoglio, intorno ai 15 milioni di euro», dice lui: «non sono 50, ma non sono neanche 5. Lavoro tanto anche con le polizze a capitale garantito: in Consultinvest abbiamo diversi strumenti da poter collocare a seconda delle esigenze dei clienti. È un sistema molto valido, grazie anche

CHIAREZZA E AZIONE PER VINCERE. PAROLA DI BOXEUR di Marco Muffato Patrizio Oliva, medaglia d’oro di Mosca e campione del mondo Wba nei pesi superleggeri, oggi è un formatore molto apprezzato nel mondo dei consulenti finanziari. Ai quali insegna la strategia ottimale per riuscire ad affrontare tutte le difficoltà della vita professionale

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uello che colpisce quando parli con Patrizio Oliva è la carica vitale di chi hai di fronte, l’entusiasmo, la capacità di trasmettere energia e i valori appresi in una carriera da pugile lunga e ai massimi livelli mondiali sia da dilettante (medaglia d’oro e miglior pugile delle Olimpiadi di Mosca nel 1980) che da professionista (campione del mondo Wba dei pesi superleggeri nel 1986). Non è un caso quindi che l’ex boxeur oggi sia un apprezzatissimo formatore in ambiti molto diversi tra loro, dalla scuola, alla impresa fino ai professionisti degli investimenti. In particolare i suoi corsi rivolti a un pubblico di consulenti finanziari, realizzati in collaborazione con l’associazione di categoria Anasf, da Trento a Olbia, da Cosenza a

76 febbraio 2019

Montecatini Terme, stanno facendo registrare sempre il tutto esaurito e un gradimento crescente. Sì, c’è feeling tra Patrizio e i financial advisor italiani. “I consulenti finanziari sono persone con un grande senso di responsabilità, sanno bene che la vita economica dei clienti è nelle loro mani. Li ammiro perché si formano costantemente, sono preparatissimi e molto documentati, per esempio sulla Mifid 2. Insomma stann semp ‘ncopp o’piezz (stanno sempre sul pezzo N.d.r.)” sintetizza in vernacolo partenopeo un sorridente Patrizio. Ma la preparazione tecnica ovviamente da sola non basta. Ed ecco che fa capolino il primo parallelismo con la noble art. “Posso apprendere le nozioni del pugilato dai migliori maestri ma poi quello che hai

imparato lo devi saper applicare con un avversario in carne e ossa. Perché non vince chi ha la tecnica migliore ma chi la applica meglio. Bisogna sempre crescere sul campo, sul ring della vita professionale”. Nei suoi speech da motivatore, Oliva dedica uno spazio importante alle direttrici per la riuscita personale. “Nella vita per avere successo e ottenere risultati devi avere chiara una strategia che a mio parere deve essere composta da due fasi: la prima è il focus, la chiarezza con sé stessi, che vuoi fare, chi vuoi essere; la seconda è l’azione, saper agire. Queste due fasi devono andare a braccetto, guai a usarne una sola. Nella realtà della vita purtroppo molto spesso capita di aver chiaro cosa si vuole essere ma non si sappia agire,


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agli accordi commerciali stipulati con 55 partner finanziari e assicurativi». Come dire: il gioco di squadra è tutto.

L’importanza del “piano B”

L’imperativo è: fare di necessità virtù. La necessità è quella di avere un “piano B”, la virtù, banale dirlo (ma lo diciamo ugualmente), far fruttare il proprio patrimonio: quello economico, ma anche quello delle proprie competenze e relazioni. «Purtroppo tutti gli sportivi sanno di vivere un’esperienza intensa e bellissima, ma non eterna: bisogna fare i conti con l’età che avanza e con il proprio fisico che non resta sempre giovane, purtroppo: la competizione è limitata a una parte di una vita». Nel caso di Marco Carraretto, classe 1977, quella “parte della vita” è durata parecchio: quasi vent’anni sul parquet, dall’esordio nelle giovanili della Benetton Treviso fino alla maglia azzurra, passando per la Mens Sana Siena, di cui è stato anche capitano. Nel suo palmarès figurano 6 scudetti: tra i cestisti campioni d’Italia hanno fatto meglio solo Meneghin, Gamba, Pagani, Pieri e Riminucci. Oggi Carraretto “mi-

L’indimenticabile oro olimpionico conquistato dai fratelli Abbagnale

lita” nella squadra di Widiba, dove ha esordito come consulente finanziario a cavallo tra il 2015 e il 2016: entrato a dicembre nella rete della controllata di MPS, ha iniziato l’attività vera e propria nei primi giorni del 2016. «Nonostante abbia avuto la possibilità di fare sport ad alto livello, arrivando persino due volte nella Final Four di Eurolega, la mia personale sfida è stata quella di cercare di ritagliarmi sempre uno spazio per studiare». Così, a un certo punto – un po’ fuori corso», dice lui – ha conquistato anche “il pezzo di carta”: la laurea in Economia alla Ca’ Foscari di Venezia. «È stata una mia vittoria personale, ma anche una scelta Il campione del mondo Wba nei pesi leggeri Patrizio Oliva, oggi formatore nel mondo dei consulenti finanziari

oppure l’esatto contrario: si agisce ma in modo avventato perché si hanno le idee confuse”, osserva Oliva. Idee molto chiare sul proprio futuro di atleta Patrizio le aveva invece già a 8 anni. “Mi guardavo allo specchio e sognavo di diventare un grande pugile. Era magrissimo sia da bambino che da adolescente, in pochi avrebbero scommesso sulla mia riuscita sul ring. Eppure ce l’ho fatta perché avevo chiaro il mio obiettivo ed ero pronto a tutto per realizzarlo. E ti assicuro che non ti svegli alle sei di mattina tutti i giorni per quindici anni con la

prospettiva di allenamenti massacranti se non c’è qualcosa di grande dentro di te, un sogno che devi alimentare e rendere concreto”. Altro tema forte dell’Oliva formatore è la capacità di andare oltre i propri limiti. “Avevo un’osteoporosi alla mano destra, a ogni colpo che davo la conseguenza era una microfrattura. I primi dolori iniziai ad accusarli ai tempi in cui ero dilettante: molti mi consigliavano di smettere, tutti i medici dicevano di farla finita. Ma ho tenuto duro e con immensi sacrifici ce l’ho fatta. Altro insegnamento della mia esperienza:

mai arrendersi e provare a superare i propri limiti. Il campione è quello che ci prova con tutto se stesso”. Oliva è un uomo contento di quello che ha raggiunto ma non appagato: è impegnato in iniziative imprenditoriali con alcuni soci (due ristoranti a Malta e uno a Londra, basati su un format commerciale che comprende mozzarella bar, caseificio e shop con prodotti campani) ed è titolare di una palestra multisportiva, nell’ambito dell’associazione no profit “Milleculure”, con l’amico e campione mondiale di scherma Diego Occhiuzzi, che si caratterizza per la marcata attenzione al sociale (“Da noi chi non ha mezzi economici può frequentare i nostri corsi gratuitamente”). E poi appunto c’è l’attività da formatore. “L’aula è un modo per rendersi utile che mi gratifica. Un consulente sfiduciato per l’andamento della sua attività, al termine del corso ha detto che gli avevo ridato energia e fiducia nel futuro. Sono felice di aver contribuito alla sua rinascita professionale”.

febbraio 2019 77


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DALLA RIBALTA OLIMPICA ALL’ADDESTRAMENTO DEI NUOVI CONSULENTI: PER GIUSEPPE ABBAGNALE (BNL BNP PARIBAS LB) GLI ALLENAMENTI NON FINISCONO MAI

che è maturata sul campo da pallacanestro», racconta Carraretto: «Quando uno è giovane si crede invincibile. Allora c’erano anche discreti guadagni, nessuno di noi avrebbe mai pensato di doversi mettere a lavorare. Poi, passando gli anni, vedendo giovani che sperperavano e i “vecchi” in difficoltà economica, è maturata questa scelta». La spinta? Non è stata solo economica: c’entra anche, e molto, il senso di appartenenza a un mondo, quello dello sport, in cui, dietro alle luci, le ombre non mancano: «Volevo essere di aiuto ai compagni, aiutarli nel post carriera ad avere almeno un momento di tranquillità economica per potersi riallineare nel mondo del lavoro. Perché quando lo sportivo esce dalla ribalta, non c‘è preparazione che tenga: si ha sempre un momento di smarrimento. E se non si ha un obiettivo rischia di travolgerti». Che poi, la differenza con il mondo dello sport non è che sia così marcata: «È sempre questione di mettersi in gioco. Quando si va davanti al cliente è ogni volta una nuova, avvincente, sfida personale, come una partita campionato. Per questo cerco di prepararmi nel miglior modo possibile. E l’esperienza sportiva mi ha aiutato molto, insegnandomi che dopo una sconfitta bisogna reagire e non mollare mai».

La seconda vita dell’oro olimpico

C’è anche chi, paradossalmente, è proprio per non abbandonare lo sport che si è trovato a lavorare in banca. Come Giuseppe Abbagnale, vera e propria leggenda vivente del canottaggio, che con i fratelli Carmine e Agostino è stato inserito dal Coni nella Walk of Fame delle Leggende dello 78 febbraio 2019

La seconda vita di Giuseppe Abbagnale, medaglia d’oro di canottaggio due con nell’84 e nell’88, è in Bnl Bnp Paribas

Sport Italiano, medaglia d’oro nel due con insieme al fratello Carmine e con Giuseppe “Peppiniello” Di Capua (timoniere) a Los Angeles nell’84, a Seul nell’88 (impossibile non ricordare il Galeazzi urlante nell’annunciarne il trionfo). Argento a Barcellona nel ‘92 (quando fu il primo alfiere della delegazione olimpica italiana proveniente dal canottaggio), 7 medaglie d’oro, 2 d’argento e una di bronzo ai campionati del mondo, due volte campione d’Italia, medaglia Thomas Keller (la massima onorificenza nel mondo del canottaggio) dalla Fisa, ufficiale dell’ordine al merito della Repubblica Italiana, medaglia d’oro al valore atletico e stella d’oro al merito sportivo del Coni. E bancario, appunto. Con il suo diploma Isef (oggi si chiamerebbe laurea in Scienze delle attività motorie e sportive) si vedeva già a fare l’insegnante di educazione fisica. Ma dato che posti da insegnante, nella zona, non ce n’erano, per farlo avrebbe dovuto abbandonare l’amata Castellammare di Stabia e gli allenamenti col fratello Carmine e il timoniere Peppiniello Di Capua. In piena carriera agonistica, peraltro. «Avrei dovuto sradicarmi, così, quando ho saputo del concorso in Bnl, ho rispolverato il diploma da ragioniere e ne ho approfittato con sommo piacere di mio padre, che come tutti i padri di allora aveva la percezione che il lavoro in banca fosse ben retribuito». Sicuramente più di quell’insegnante, ci permettiamo di replicare. «Oggi gli stipendi sono allineati...» ribatte Abbagnale. Era il 16 febbraio del 1986 quando prese servizio in Bnl come impiegato in quella che allora era la divisione Cassa e riscontro: «Sono “appena” 32 anni che lavoro in banca. E ci sono stati momenti decisamente impegnativi nel conciliare


PIÙ VALORE AGLI INVESTIMENTI.


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NELLE RETI FIGURANO ANCHE DIVERSI ARBITRI E GIOCATORI CHE HANNO MILITATO PER ANNI NELLA SERIE A

vita lavorativa e carriera sportiva (c’è stato anche un lungo periodo in cui doveva alzarsi alle 4 di mattina per allenarsi e poi andare al lavoro, ndr) ma Bnl mi ha dato un po’ di flessibilità sugli orari di ingresso e di uscita ed è sempre stata al mio fianco». Da allora di acqua (è proprio il caso di dirlo) ne è passata sotto i ponti, compresa l’apertura nel 2010 della filiale Bnl di Castellammare - «un obiettivo ambizioso che mi ha stimolato enormemente», dice - e il primo mandato da presidente alla Federazione italiana Canottaggio nel 2012. Oggi è al suo secondo mandato da presidente: «Non ho mai abbandonato il canottaggio: smessi i panni da atleta, mi sono immerso nella parte dirigenziale, al circolo di Castellammare e in Federazione, e Bnl mi ha sempre supportato». In Bnl Giuseppe Abbagnale è stato prima gestore del portafoglio clienti premium, poi gestore del portafoglio clienti business e attualmente è impegnato come client partner nella rete di consulenza finanziaria Bnl-BnpParibas Life Banker guidata da Ferdinando Rebecchi, che si rivolge a individui, famiglie e imprese per le esigenze personali, professionali e aziendali del quotidiano e per le più diverse progettualità, con un’ampia proposta di prodotti, servizi e soluzioni nel campo del risparmio gestito, degli investimenti, dei finanziamenti, del bancassurance e dell’investment banking, in sinergia con le società del gruppo Bnp Paribas. «Oggi mi ritrovo a fare due cose: il presidente della

GIOCAVA ALLA BOBAN, IL PRINCIPE DEGLI ADVISOR di Marco Muffato

Il passato da calciatore professionista del vice presidente Anasf Luigi Conte

H

a un passato e un presente calcistico di lustro Luigi Conte, oggi vice presidente di Anasf, l’associazione di categoria dei consulenti finanziari italiani, e apprezzato financial advisor di FinecoBank. Cresciuto nelle giovanili del Lecce, Conte fu tra i convocati di mister Fascetti nel famoso RomaLecce 2-3 nel campionato 85-86 che fece svanire uno scudetto - che appariva scontato- alla squadra allenata da Sven Goran Eriksson per la disperazione dei tifosi capitolini. Poi tanta seria C2, a partire dalla metà degli anni ’80 fino al 1991, tra Cosenza, Giulianova, Alessandria (con una promozione in C1), Savoia. “Ero un centrocampista, il mio modello era il grande Boban. Devo tanto al calcio perché mi ha dato disciplina, senso dell’organizzazione, dello spirito di squadra e di appartenenza che poi si sono rivelati preziosi nella mia attuale professione”. Il punto più alto della carriera di Conte è stata la vittoria al Mondiale militare del 80 febbraio 2019

1991, con allenatore Picchio De Sisti e compagni del calibro di Fabrizio Ravanelli, Pierluigi Casiraghi ed Antonio Conte (che fu assente alla finale). Può raccontare anche lui di aver battuto la Germania 4-3 (ai rigori) nella finale di Arnheim in Olanda. Purtroppo la carriera professionistica di Conte si è interrotta presto: al terzo grave infortunio al tendine rotuleo, ad appena 22 anni, Conte ha preso la decisione di farla finita con l’attività agonistica. Ma non si è per questo conclusa la sua passione e il suo impegno per e nel calcio, anzi. Oggi Conte dedica parte del suo tempo libero, dagli impegni per la categoria dei cf e la cura quotidiana degli investimenti dei clienti, all’attività di dirigente calcistico. E’ direttore generale del Monterosi, squadra della provincia di Viterbo ai piani alti del campionato di serie D (girone G), ed è team manager di una bellissima iniziativa no profit, “No Fair No Play”, di fatto un’associazione di volontari che ha l’obiettivo di organizzare e realizzare eventi,

progetti, sollecitare studi e ricerche in grado di sensibilizzare l’opinione pubblica e i media sul mondo dei bambini. Un’iniziativa a cui hanno aderito campioni di tutte le discipline sportive: da Gianfranco Zola a Nevio Scala, da Patrizio Oliva a Giuseppe Abbagnale, da Sandro Cuomo a Paolo di Canio. Che periodicamente si danno appuntamento sul campo di gioco per combattutissime partite di calcio con l’obiettivo di raccogliere fondi per le iniziative benefiche di “No Fair No Play”.



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Piergiorgio Negrisolo, 13 reti in serie A, ha appeso gli scarpini al chiodo per diventare consulente finanziario

Federazione Italiana Canottaggio - al suo secondo mandato, ndr – e il life banker di Bnl, di fatto il consulente finanziario, come se fossi un libero professionista, ma da dipendente. Ho un po’ un ruolo da “formatore”, perché il mondo bancario è molto cambiato e la nostra professione dev’essere basata soprattutto sulla crescita delle conoscenze da parte del cliente stesso. Ma, dall’altro lato, formo anche i consulenti esterni che vengono in Bnl». Alla fine Giuseppe Abbagnale è finito a fare proprio quello che ha sempre sognato: l’allenatore.

Tradire il calcio per la scelta della vita

Ma l’elenco degli atleti convertiti alla finanza (non necessariamente creativa), anche se non tutti come scelta definitiva di vita, è lungo. C’è Matteo Daolio, che dalla rete della pallavolo è finito alla rete del private banking di Banca Generali Private. Laureato in Economia al SDA Bocconi, Daolio è conosciuto dal grande pubblico per i suoi trascorsi nel mondo della pallavolo dove è stato per molti anni uno schiacciatore nella massima divisione giocando anche a Milano. Lasciati i panni del pallavolista, Daolio ha intrapreso la carriera di private banker affiancando le famiglie italiane nelle scelte di pianificazione patrimoniale ma dedicandosi ancora, nel tempo libero, alla sua grande passione. E poi gli ex calciatori, come il bolzanese di origine polacche Stefan Schwoch, che ha militato nel Vicenza per sette stagioni fino a diventarne capitano, e che comunque ha giocato e segnato per varie squadre, principalmente in Serie B, dove con 135 marcature complessive è arrivato a 8 centri dal record assoluto detenuto da Giovanni Costanzo. Ora indossa la maglia di Banca Mediolanum. Squadra, per così dire, dove ha militato pure l’ex giocatore del Milan Mauro Tassotti, vicecampione del mondo nel ‘94 con l’Italia di Arrigo Sacchi. Alberto Torresin, professionista del pallone dal ‘75 al ‘93, invece, indossa quella di Allianz Bank. Poi Simone Braglia, ex portiere del Genoa, Lorenzo Righi, (Inter e Varese), e Silvestro Baldacci (Perugia). E poi gli arbitri: Pierluigi Collina, Paolo Casarin, Roberto Rosetti (tutti e tre in Fideuram, ndr). «Se non avessi qualche riscontro fotografico della mia carriera sportiva penserei di aver fatto sempre e solo il consulente finanziario, ma c’è sempre qualcuno che mi ricorda che sono stato un calciatore». Piergiorgio Negrisolo, classe 1950, storico difensore e centrocampista lombardo che nella sua carriera ha totalizzato 256 presenze e 13 reti in 82 febbraio 2019

PIERGIORGIO NEGRISOLO ERA NATO PER FARE IL CALCIATORE. MA HA APPESO GLI SCARPINI AL CHIODO PER ENTRARE IN FIDEURAM: «È STATA LA SCELTA MIGLIORE DELLA MIA VITA» Serie A (5 stagioni con la Sampdoria e tre con la Roma), e 69 presenze e 4 reti in Serie B (dagli esordi giovanili in Reggiana alla militanza nel Verona e nel Pescara), si sente decisamente più un consulente che un atleta. «Sono ormai 34 anni che faccio questo mestiere», dice: «il doppio del tempo che ho passato sul campo da calcio. Eppure, è un passato che non riesco a cancellare definitivamente». E ci mancherebbe: «Ero nato per il calcio e avrei continuato per sempre a giocare, se un ex giocatore mio compagno di squadra non mi avesse trascinato in questa avventura che mi ha preso da subito». Era il compianto Mario Tribuzio, che alla fine degli anni ‘60 appese gli scarpini al chiodo per fondare Fideuram a Reggio Emilia. «Mi fece capire che ero tagliato anche per questa attività», racconta sottolineando quella congiunzione, “anche”: «All’inizio avevo qualche titubanza e perplessità, ho provato e sono partito così forte che ho tradito il mio amore, quello per cui ero nato, il calcio. Eh sì: ho tradito le mie aspettative e quelle di tanti miei ex compagni squadra ed ex allenatori. Ma è stata la scelta della mia vita, una scelta importantissima. Mi piace la relazione con i clienti e la fiducia che sono riuscito a carpire negli anni: queste famiglie mi vogliono bene, lo percepisco e sento la responsabilità nel seguirle». Nessun rimpianto? «Neanche per idea. Fare il consulente finanziario era il mio destino. Ed è stato talmente bello che non ho mai sentito la fatica neanche nei momenti più duri». Non solo: «Ho due figlie che lavorano in banca e spero che almeno una delle due un giorno possa affiancarmi. Col calcio non sarebbe stato possibile».



CONSULENTIA 2019 AL VIA

Gli advisor al centro della crescita

T

orna l’appuntamento di riferimento per il mondo dei consulenti finanziari organizzato dall’Anasf. Questo mese, dal 5 al 7 febbraio nella tradizionale cornice dell’Auditorium Parco della Musica di Roma, prende il via la sesta edizione di Consulentia. “Protagonisti della crescita” è non solo il titolo della manifestazione capitolina (oltre a essere l’obiettivo auspicato da Anasf per la categoria nel 2019), ma anche quello del convegno inaugurale di mercoledì 6 febbraio alle 10 in Santa Cecilia, la prestigiosa sala che per la prima volta ospiterà la platea di cf presenti a Consulentia. Su questo tema, e per individuare le aree di azione e le sfide a cui rispondere in modo efficace, saranno chiamate a confronto le reti alla luce dei nuovi scenari in cui si posizionano processi di cambiamento importanti come l’impatto della tecnologia, l’evoluzione del contesto regolamentare e di mercato, la convergenza intersettoriale e i mutamenti nelle abitudini di risparmio. Quali saranno i concetti chiave per affrontare le sfide del futuro? «Diversificazione dei modelli di business, risposta alle pressioni concorrenziali, personalizzazione del servizio, sviluppo di nuove forme organizzative e capacità relazionali sono alcune delle risposte che chiediamo all’industria», anticipa il presidente Anasf Maurizio Bufi, che sottolinea quindi «la necessità di valorizzare le specificità professionali del consulente finanziario anche con riferimento ai modelli remunerativi». Tantissimi gli incontri di approfondimento previsti con le società di asset management sui temi più disparati sia il 6 che il 7 febbraio (vedi il programma completo a pagina 84). Nell’ultimo giorno della manifestazione è previsto il convegno Anasf 84 febbraio 2019

di Marco Muffato

MARTANO (ANASF): «LA NOSTRA CATEGORIA È SEMPRE PIÙ PROTAGONISTA DELL’EDUCAZIONE FINANZIARIA DEI RISPARMIATORI ITALIANI» sul tema “Economia e società, il ruolo chiave del consulente finanziario”, in occasione del quale si terrà anche la premiazione dei vincitori della Borsa di Studio Aldo Varenna erogata da J.P. Morgan Am e Anasf. Nell’ambito dell’incontro, saranno anche presentati i risultati della ricerca curata da Finer, fondato da Nicola Ronchetti, che offrirà lo spunto per aprire il dibattito sulla relazione del consulente finanziario con famiglie e imprenditori per il raggiungimento dei loro bisogni e delle loro aspettative. Ma maggiori dettagli, sull’appuntamento più importante per gli operatori che gravitano nel mondo del risparmio gestito, li chiediamo a Germana Martano, direttore generale Anasf.

Quali sono le caratteristiche che hanno reso Consulentia l’appuntamento di punta del settore della consulenza finanziaria? Fin dalla prima edizione abbiamo scelto di realizzare un evento che fosse interamente dedicato ai consulenti finanziari,


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portando a Roma, sede che nel 2014 non era ancora presidiata, i temi della professione e coinvolgendo gli interlocutori e i protagonisti del settore. Abbiamo voluto dare voce al mercato e attivare un dialogo tra l’industria e i cf, ma anche con le istituzioni e il mondo politico. Abbiamo anticipato le esigenze degli uomini e delle donne che svolgono l’attività in Italia e sollecitato gli stakeholder su alcuni passaggi su cui occorreva fare luce. Penso sia stata questa impostazione a decretare il successo della manifestazione. Come anche i temi che di volta in volta affrontiamo e i protagonisti del confronto. Poi c’è la voglia di conoscere e approfondire dei nostri soci, che ogni anno premia gli sforzi dell’associazione.

In cosa si differenzia Consulentia 2019 rispetto alle precedenti edizioni? Abbiamo voluto rispondere a una crescente richiesta di incontro delle società partner con i consulenti finanziari, proponendo quest’anno, oltre alle tavole rotonde a tre, anche incontri a due voci con gli asset manager. Nell’edizione numero sei del nostro appuntamento romano accoglieremo anche realtà nuove, e, visti i numeri di prenotati all’evento sempre alti, quest’anno il convegno inaugurale si svolgerà nella prestigiosa Sala Santa Cecilia dell’Auditorium Parco della Musica, una scommessa importante su cui chiamiamo anche le reti a confrontarsi. Infine la consueta indagine sui temi caldi della professione e del settore, in questa edizione 2019, indagherà un tema di grande interesse anche per l’economia del Paese, ovvero il legame tra il ruolo dei cf e l’impresa.

Il direttore generale di Anasf Germana Martano, nel corso di Consulentia 2018

prospettiva, esperienza, solidità.

Parliamo di numeri, quali sono i vostri obiettivi? Ogni anno ci troviamo ad affrontare un’edizione più sfidante. Gli oltre 3mila visitatori unici della scorsa edizione sono un traguardo ambizioso da raggiungere e contiamo anche quest’anno sull’adesione dei nostri soci. In termini di partner abbiamo raccolto il supporto di 59 società e saranno tanti i media e le realtà istituzionali che vivranno con noi questa nuova edizione.

L’OBIETTIVO È DI BISSARE I 3MILA VISITATORI DELLA SCORSA EDIZIONE. SONO 59 LE CASE PARTNER DELLA MANIFESTAZIONE

Quale sarà il filo conduttore della vostra manifestazione nella Capitale? I consulenti finanziari in quanto protagonisti della crescita del settore, ma anche dell’economia del Paese e dell’educazione finanziaria dei risparmiatori. Le sfaccettature della professione sono espresse dalle parole chiave che abbiamo in queste settimane condiviso attraverso l’attività di comunicazione sull’evento: valore, energia, impegno,

Che spazio avrà la Mifid 2 in Consulentia? Percepisci ancora preoccupazione da parte dei consulenti finanziari per le conseguenze della direttiva e se sì perché? Uno dei temi che più di tutti è all’attenzione dei cf e di Anasf è quello della rendicontazione e della trasparenza dei costi. L’anno scorso abbiamo chiesto a gran voce che la prevedibile contrazione dei margini non ricadesse sull’ultimo anello della catena del valore, quello che ha il rapporto diretto con gli investitori, ovvero i consulenti. Per renderci conto degli effetti che queste novità avranno sul settore tuttavia serve ancora tempo. A Roma ne parleremo sicuramente.

Cosa significa in termini di sforzo organizzativo realizzare una manifestazione come Consulentia? Così come concepito l’evento richiede studio, impegno e dedizione massimi da parte dei dirigenti e dello staff di sede per l’individuazione dei temi di ciascuna edizione, per il coinvolgimento dei cf, e per tanti altri aspetti. Con orgoglio posso dire che la manifestazione è realizzata interamente dalla società di servizi di Anasf, non ci affidiamo a società esterne che organizzano eventi, ma è tutto frutto del nostro lavoro. febbraio 2019 85


Roma, Auditorium Parco della Musica 5-6-7 Febbraio 2019

PROGRAMMA Martedì 5 febbraio SALA SINOPOLI 15:00/16:00 Back to basics. Il ruolo degli indicatori macroeconomici fondamentali nell’asset allocation Tavola rotonda con CNP Partners - Invesco Asset Management Lombard Odier Investment Managers 16:15/17:15 Rivoluzione ed evoluzione tra tecnologia e welfare: strategie e soluzioni Tavola rotonda con Aviva - BNP Paribas Asset Management Columbia Threadneedle Investments 17:30 Un’ora con...* Un approfondimento su temi di attualità riguardanti lo scenario nazionale e internazionale * Evento accreditato per il mantenimento EFA in modalità A, EFP e EIP.

SALA PETRASSI 15:00/16:00 La sfida della volatilità. Asset manager a confronto Incontro a due voci con M&G Investments - Pictet Asset Management 16:15/17:15 Investire nel futuro. Sostenibilità e innovazione al centro del portafoglio di domani Incontro a due voci con:BlackRock - i-Shares

Mercoledì 6 febbraio SALA SANTA CECILIA 10:00 Convegno inaugurale* Protagonisti della crescita Gli obiettivi per il futuro della consulenza. Reti a confronto * Evento accreditato per il mantenimento EFA in modalità A, EFP e EIP.

SALA SINOPOLI 14:30/15:30 Sfida Tech, mercati e spread: gestori a confronto Tavola rotonda con AllianceBernstein - Franklin Templeton Investments - J.P. Morgan Asset Management

86 febbraio 2019

15:45/16:45 Generazioni e sensibilità a confronto, dalla silver Economy ai Millennials: effetto DisruptionTavola rotonda con Allianz Global Investors - Amundi A.M. - Goldman Sachs A.M. 17:00/18:00 Dal breve al lungo termine: orizzonti a confronto per un approccio time resilient Tavola rotonda con Ethenea Independent Investors - Fidelity International - GAM Italia

SALA PETRASSI 14:30/15:30 Uno sguardo fuori dall’Europa. Asset class a confronto Incontro a due voci con Axa Investment Managers - T. Rowe Price International 15:45/16:45 Finanza sostenibile: l’approccio tematico spiegato agli investitori Incontro a due voci con Robeco - Schroders 17:00/18:00 ESG: evoluzione, rivoluzione, innovazione Incontro a due voci con Natixis Investment Managers - Vontobel Asset Management

Giovedì 7 febbraio SALA SINOPOLI 10:00 Convegno Anasf* Economia e società, il ruolo chiave del consulente finanziario * Evento accreditato per il mantenimento EFA in modalità A, EFP e EIP. PREMIAZIONE BORSA DI STUDIO “ALDO VARENNA” (J.P. MORGAN ASSET MANAGEMENT – ANASF) 14:30/17:30 Seminario Anasf*. Il cliente imprenditore tra protezione, trasmissione ed operazioni straordinarie * Evento accreditato per il mantenimento EFA in modalità A, EFP e EIP per due ore.

SALA PETRASSI 14:30/17:30 Evento di educazione finanziaria per le scuole METTI IN CONTO IL TUO FUTURO - Edizione speciale



SEDIE & POLTRONE Casacche che si scambiano, volti noti che passano da un ruolo all’altro: il valzer delle poltrone è intenso nella finanza, dove vige ancora il merito e dove chi rende bene viene promosso o ricoperto di offerte allettanti. Agli HR il compito di attrarre i talenti, a noi quello di raccontare il risiko, oltre a notizie e indiscrezioni su un mondo ricco di costanti novità.

IL CFO DI ENASARCO SI DIMETTE, CONSIGLIERI ALL’ATTACCO DI COSTA

«A

pprendiamo con preoccupazione delle improvvise dimissioni del Chief financial officer di Enasarco Robert Rausch. Dimissioni di cui noi siamo venuti a conoscenza da terzi, pur essendo membri del Consiglio di Amministrazione della Fondazione. Il silenzio del presidente di Enasarco Gianroberto Costa, che evidentemente non ha sentito la necessità di informare il Cda dell’accaduto, è un fatto grave”. Così in una nota i componenti del Consiglio d’amministrazione

di Enasarco Nino Marcianò (Fiarc), Luca Gaburro e Davide Ricci (Federagenti), Gianni Triolo (Confesercenti) e Alfonsino Mei (Anasf, nella foto), facenti parte del patto elettorale che verrà rinnovato questo mese, hanno chiesto la convocazione del Cda per discutere delle dimissioni di un dirigente chiave in una delle aree più sensibili dell’ente. Continua insomma la contrapposizione in atto da tempo su strategie e gestione di Enasarco in vista del rinnovo del vertice previsto per il 2020.

ESCALONA TORNA. VA IN AZIMUT

I

RAFFICA DI NOMINE IN CREDEM

l gruppo Azimut rafforza Azimut Financial Insurance SpA e il suo impegno nell’area assicurativa con l’ingresso di Armando Escalona (nella foto) che sarà proposto come vice presidente della società. Azimut Financial Insurance SpA, controllata al 100% da Azimut Holding, svolge attività di intermediazione assicurativa, di collocamento e distribuzione di prodotti assicurativi e bancari. Escalona proviene dal gruppo Deutsche Bank dove dal 2010 al 2018 è stato prima ad e poi vice presidente di Finanza & Futuro (ora DB Financial Advisors).

R

affica di nomine nel wealth management di Credem. Da questo mese Matteo Benetti (nella foto) assumerà la carica di direttore generale di Banca Euromobiliare (100% Credem). Contestualmente Giuseppe Rovani da direttore generale di Banca Euromobiliare diventerà amministratore delegato e dg di Euromobiliare Asset Management Sgr, la sgr di gruppo. Fulvio Albarelli da amministratore delegato e dg di Euromobiliare Am Sgr assumerà l’incarico di responsabile della business line private asset market che si occuperà di sviluppare all’interno del gruppo emiliano gli investimenti alternativi legati al private market. Rovani e Albarelli riferiranno direttamente al coordinatore dell’area wealth management di gruppo, Paolo Magnani.

FRANKLIN TEMPLETON INGAGGIA MORELLI

F

ranklin Templeton Investments rafforza la sua presenza in Italia con l’ingresso dell’Amundi Am Claudio Morelli (nella foto) nel ruolo di senior sales executive, potenziando la propria attività nel canale banking. Morelli, con oltre 13 anni di esperienza nell’industria

della gestione degli investimenti, riporterà ad Aurea Pagnani, senior sales manager e responsabile del canale banking e sarà basato a Milano. Con l’ingresso di Morelli salgono a 29 gli effettivi in forza colosso dell’asset management sul territorio italiano.

CARRAROLI ALLA GUIDA DI ACD

C

ristiano Carraroli è stato nominato amministratore delegato di Acd, società italiana che assiste asset manager internazionali nello sviluppo di business sul mercato italiano e nella costruzione di prodotti di investimento. Carraroli, che in passato è stato director, general

88 febbraio 2019

manager e ceo di intermediari finanziari vigilati in Italia, Lussemburgo e Malta, nel corso della carriera ha sviluppato esperienze nella consulenza per gli investimenti, del risk management, nella strutturazione di fondi di investimento e nel financial real estate.


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per informazioni info@economymag.it


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PROFESSIONE CONSULENTE Risponde Francesco Priore all’indirizzo priore.studio@virgilio.it Startupper e decano della consulenza finanziaria, Priore ha fondato l’Anasf e contribuito alla fondazione dell’Albo. Docente Universitario, autore e consulente di comunicazione e marketing finanziario. È stato direttore marketing della rete di Banca Fineco e membro del CdA di Consultinvest Sim.

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da note SGR, è stato nel 2018 un

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disastro. Vorrei liquidare salvando il

vecchio collega, che ha dovuto smettere

capitale investito e qualche utile, ma

per ragioni di salute e si è trasferito

il mio cf mi consiglia di mantenere

lontano, mi dicono bravo ma un po’

l’investimento affiancandolo con

vecchio stile! Sono un po’ preoccupato.

un piano di accumulo. Cosa mi converrebbe fare? M. S., via email

P

resumo che prima di investire i suoi 100.000 euro lei abbia valutato con il suo cf l’adeguatezza dell’investimento, relativamente al suo patrimonio, alle capacità di risparmio, agli obiettivi temporali e soprattutto alla propensione al rischio dato il tipo di investimento. Se e solo se le sue condizioni non sono cambiate, il parere del suo cf è professionalmente corretto. Questo genere di investimenti richiedono tempi medio lunghi, cioè a cavallo dei 10 anni; perché storicamente in un periodo del genere i cicli di borsa consentono di ottenere risultati adeguati al rischio. I migliori risultati si ottengono comprando e non vendendo nei periodi di ribasso generalizzato, per non parlare delle opportunità nei momenti di crollo. Ha la possibilità di constatarlo direttamente, in questi primi mesi dell’anno i media finanziari pubblicano i rendimenti dei fondi comuni, in genere a 1 anno, a 5 anni e a 10 anni. La prima colonna, soprattutto per i fondi azionari, spesso è negativa a due cifre, la seconda idem a una cifra, la terza è quasi sempre positiva anche a due cifre. E’ evidente che mediamente chi ha investito o non disinvestito 10 anni fa ha ottenuto un ottimo rendimento, se avesse liquidato nel durante avrebbe guadagnato di più. Investire quando il mercato soffre, disinvestire quando è euforico, è una regola aurea, purché ci si affidi a dei professionisti. L’accoppiata con un piano di accumulo, obbiettivo a non meno di 10/15 anni, che parte pure in una fase di ribasso, è un sistema per mediare i prezzi di carico e ottimizzare i risultati in futuro. 90 febbraio 2019

F. P., via mail

S

e affronti questo impegno con serenità professionale, hai in prospettiva delle opportunità notevoli. I risultati che hanno conseguito questi clienti non dipendono da te, se sono soddisfacenti dovrai soltanto raccogliere la loro soddisfazione. Se i risultati non fossero soddisfacenti le cause sono diverse, oggi può facilmente dipendere dal mercato, oppure da una pianificazione meno professionale rispetto alle attuali modalità, ma se questi clienti hanno mantenuto, come intuisco, un buon rapporto con il tuo ex collega significa che quest’ultimo lavorava bene a suo modo e i clienti ne erano consapevoli. Comunque, in questo secondo caso, hai proprio la possibilità di mettere in opera tutte le tue skill professionali, a patto di operare con pazienza. E’ indispensabile studiare tutti gli atti di investimento del cliente a tua disposizione per non essere impreparato e comunque con il cliente riassegnato il rapporto deve ripartire da zero, come se non lo conoscessi, infatti è proprio così. Bisogna intervistarlo come un cliente nuovo, facendosi raccontare tutti i fatti e i dettagli delle sue esigenze e propensioni in fatto di risparmi e investimenti. Solo dopo averlo conosciuto bene potrai rivedere con lui lo stato dell’arte e ripianificarlo, tralasciando commenti sul tuo vecchio collega, anche se non è stato capace di assistere il cliente nella maniera migliore. Chi semina dubbi fa nascere un’atmosfera di dubbio, con quale utilità? Quest’approccio ti consentirà di mantenere inalterato il rapporto di fiducia creato dal tuo collega e di far capire al cliente che stai operando professionalmente, cioè in maniera oculata dopo aver approfondito il più possibile le esigenze di chi ti si sta affidando. Un errore da evitare è proporre di cambiare tutto e subito, sia in caso di risultati positivi che negativi. Sai bene che avergli stretto la mano non basta per intuire le esigenze del cliente; solo con l’ascolto e la verifica potrai gradatamente arrivare a capire ciò di cui ha bisogno. L’esigenza del cliente riassegnato al primo incontro è una sola: potersi fidare.


città2a Persone, energia, ambiente, nuove tecnologie per disegnare il futuro. Siamo parte del tuo mondo, ogni giorno. Perché la tua città è la nostra città.

a2a.eu


POLE POSITION

a cura di Buddy Fox

UNICREDIT, MENO MALE CHE C’È UN GENERALE FORTUNATO

«A

bbiamo aumentato il rendimento di portafoglio, mentre la duration è rimasta stabile”: con queste parole, la scorsa estate nel corso della conferenza stampa a commento dei risultati del primo semestre 2018, Jean Pierre Mustier (ceo di Unicredit, nella foto) giustificava l’aumento dell’esposizione sui Btp, un apparente rischio, che per il condottiero della banca era invece un’opportunità, dichiarandosi fiducioso sul futuro dell’Italia, per i fondamentali, per le prospettive, e perché, suo dire, i mercati si sarebbero calmati. Evidentemente, pur con una situazione politica alquanto incerta, non immaginava quello che sarebbe successo di lì a poche settimane con il rischio di procedura d’infrazione dell’Europa nei confronti del nostro paese, una fase che portò alla rovinosa caduta del nostro titolo di stato. Un rischio, quello intrapreso da Mustier, che in altri tempi sarebbe stato tacciato come “moral hazard”, che però nel nostro caso è coraggio e amor di patria, che vale doppio, essendo fatto da un francese che vuole sentirsi italiano a tutti gli effetti. Chiamatemi Gianpiero disse un giorno. Peccato che questo coraggio per la banca abbia avuto un costo salatissimo, l’emissione in due diverse date (novembre 2018 e gennaio 2019) di bond con rendimenti molto allettanti, il primo di 420 punti base sul tasso swap a 5 anni in euro, il

secondo con un tasso pari al US Treasury a 3 anni maggiorato di 390 punti base. Rendimenti assicurati per i sottoscrittori (per la maggior parte grandi investitori stranieri) a cui si aggiungono le “ostili” pressioni per la (s)vendita degli Npl in portafoglio, pressioni ultimamente ancor più cogenti visto il recente diktat della Bce. La banca però è sana, ha oggi uno dei migliori tassi di copertura dei Npl a livello europeo e ha svalutato partecipazioni problematiche come la Turchia, per cui oggi il bilancio è pulito e gli ultimi accadimenti risultano difficilmente spiegabili, come lo è l’andamento del titolo che con il recente ribasso, si è letteralmente “fumato” l’effetto positivo dovuto all’aumento di capitale maxi di 13 miliardi di euro del febbraio 2017. Mustier oltre alle parole ci mette il portafoglio, dichiarando di voler investire 1,2 milioni di euro, l’equivalente del suo stipendio annuale lordo, in titoli azionari e di debito della banca. Il titolo rimane sotto pressione, ma presto potrebbe accorrere in soccorso San Mario Draghi vicino a scadenza, con una nuova operazione Tltro che con un timing perfetto, porterà ossigeno a tutte le banche italiane. Napoleone diceva, a un bravo generale, preferisco un generale fortunato. La fortuna che aiuta gli audaci.

L’EX RE-MIDA MALACALZA IMMOLA SU CARIGE LA TOMBOLA PIRELLI

I

l dramma ha inizio nel 2013, quando dopo le ispezioni di Bankitalia si scopre la mala gestio di Berneschi, presidente per 20 anni, poi condannato a 8 anni e 7 mesi per truffa ai danni del ramo assicurativo della banca. Una disgrazia per il presidente che trascina con sè nel baratro anche il destino della banca. Banca Carige da quel momento in poi tenta in ogni modo di risollevarsi, tentativi con iniezioni di denaro che finiscono in un pozzo senza fondo. Per capire l’ammontare, parliamo di 3 aumenti di capitale, rispettivamente 800 milioni nel 2014, 850 milioni nel 2015 e 560 milioni nel 2017, l’ultima ricapitalizzazione che sancisce la presa del comando da parte del socio forte Vittorio Malacalza

(nella foto) con una quota pari al 27,55%. Il quale Malacalza, dalla posizione di forza che si ritrova, ha deciso di bloccare l’ennesimo buco nell’acqua, l’aumento di capitale di 400 milioni che gli sarebbe costato un esborso di 100. Blocco che ha costretto la Bce a commissariare la banca e la Borsa a sospendere il titolo. Malacalza però ha le sue buone ragioni: a oggi il suo investimento si è ridotto dai 420 milioni spesi agli attuali, valorizzati alle quotazioni precedenti la sospensione, 25 milioni. Tutto il guadagno sull’affare Pirelli bruciato! Ma se non si fossero ancora capite le dimensioni della voragine, aggiungiamo ancora due numeri: nel 2008 quando Carige era ancora la quinta più importante banca italiana, capitalizzava 6 miliardi, oggi siamo a soli 85 milioni. “Fortunatamente”, dopo 10 anni di crisi, questa volta l’intervento di sospensione è stato preventivo, evitando così nuovi casi Etruria o Pop Vicenza. Ora non resta che l’ultimo atto per trasformare il dramma in qualcosa di meno doloroso, la nazionalizzazione o la fusione, perché per salvare il sistema bancario italiano dall’attacco estero non c’è alternativa se non unire le forze.

TIM SI SPICCI, O SFUMERÀ PURE L’OPZIONE DI VENDERE LA RETE

I

ndietro tutta, quasi avanti per l’indebitamento di Telecom Italia, oggi Tim, acquisito con la sciagurata Opa del ‘99 lanciata dai capitani coraggiosi e immancabilmente scaricata sulle casse della società. L’amministratore delegato Luigi Gubitosi - indicato dal fondo Elliot che ha scalzato per un soffio Vivendi dal ruolo di socio guida all’ultima assemblea dei soci - ha avuto buon gioco, perchè i fatti lo aiutavano a indicare le responsabilità gestionali del suo predecessore Amos Genish (nella foto), ma ora la patata bollente ce l’ha lui. Senza un colpo d’ali, Tim - con la 92 febbraio 2019

minor redditività che affligge il business - s’incarta. E l’unico colpo d’ali possibile è vendere la rete a Open Fiber e permettere la creazione di un’unica infrastruttura a banda larghissima, mollando debito in quantità adeguata a ripartire sulle sole attività di servizio. Ma Tim deve far presto, ancora un po’ e sarà Open Fiber e dire no.


INVESTIRE SPECIALIST

LA MELA DI APPLE ALLE PRESE CON I PRIMI VERMI

R

osicchia e rosicchia, e anche della mela più polposa del mondo rischia di restare solo il torsolo. La notizia è del 3 gennaio, la seconda seduta di borsa del 2019, quando Apple (nella foto il ceo Tim Cock) annuncia un taglio delle stime sui ricavi del primo trimestre dell’esercizio 2018-19. Il giro d’affari ora atteso è di 84 miliardi, rispetto al range precedentemente di 89-93 miliardi. Un fulmine a ciel sereno fino a un certo punto, visto che le quotazioni a Wall Street a Ottobre 2018 erano calate da un picco di 230$ fino agli attuali 150$, la borsa come al solito anticipa. Le motivazioni ufficiali di quello che in gergo si chiama “profit warning”, sono state il rallentamento della crescita di al-

cune economie emergenti, in particolare quella cinese. Le motivazioni vere sono invece l’ormai raggiunta saturazione del mercato degli smartphone, e la concorrenza spietata dei concorrenti cinesi che possono permettersi di tenere i prezzi bassi a lungo, spendendo pochissimo in pubblicità. In più Apple non ha più un prodotto di punta, e questo è un handicap all’immagine. Fine di un’era? C’è chi prevede un destino parallelo a quello di Nokia. Vedendo la trasformazione della finlandese, verrebbe da dire, magari! In realtà nuove sfide sono all’orizzonte per una rivincita: il 5G, i dispositivi avvolgibili e le auto intelligenti. Chi riuscirà a presentare per primo le nuove tecnologie troverà la pentola d’oro. The winner takes it all.

USA LA RECESSIONE È UN PERICOLO O UNO SPAVENTAPASSERI?

P

azienza, pazienza, pazienza” sintetico, ripetitivo ma estremamente chiaro, questo è stato l’ultimo messaggio ufficiale di Jerome Powell (Fed, nella foto) che dopo aver fatto il falco, con ben quattro aumenti dei tassi nel 2018, ora torna ad essere una morbida colomba. Ha forse paura di poter essere considerato come la causa della prossima recessione? I dati economici americani cominciano ad essere in chiaroscuro, manifatturiero e immobiliare rallentano, a questi si aggiungono le previsioni di Fedex (la più grande società di spedizioni al mondo, ottimo indicatore) che ha annunciato deludenti prospettive per il 2019, e per non farci mancare nulla anche le funeste previsioni di Morgan Stanley che ha ventilato a sua volta la possibilità di una “severa recessione” mondiale. Dall’altro lato ci sono anche elementi stati-

stici molto positivi, che controbilanciano questi dati tristi: innanzitutto la disoccupazione ai minimi storici, poi qualche segnale incoraggiante sul fronte della guerra dei dazi promossa dal presidente Trump (nella foto) contro la Cina, e appunto la possibilità che la politica monetaria di Powell torni amica. Un altro indizio lo troviamo nelle parole della Yellen (ex governatore Fed): “È possibile che abbiamo visto l’ultima escursione del ciclo, vedo tassi d’interesse bassi per un bel po’ di tempo”, ha detto il 13 gennaio scorso. e non avrebbe potuto offrire agli operatori di Borsa niente di più gustoso che avere denaro “gratis” per tornare a comprare. Wall Street, insomma, ancora lei, che sempre più sta diventando la variabile capace di spingere l’economia mondiale verso l’espansione o farla cadere in recessione.

AEDES LA SEPARAZIONE CHE PIACE

A

mo talmente la Germania che ne preferivo due”, disse Giulio Andreotti dopo la riunificazione tedesca. Lo stesso sentimento lo devono provare gli investitori di Piazza Affari nei confronti di Aedes, che una volta effettuato lo split ha riscoperto, in positivo, il titolo che dopo un ribasso di circa l’80% nel 2018, ora ha cominciato a risalire la china. L’operazione, semplificando, è stata questa: Aedes società unica si divide in due entità, Restart (la vecchia Aedes) che ha come missione l’acquisto, la valorizzazione e la rivendita di asset immobiliari in ottica opportunistica; e l’altra società Aedes siiq, che si concentra invece sulla gestione e sullo sviluppo di immobili a reddito. L’obiettivo che ha portato la dirigenza e il group ceo Giuseppe Roveda (nella foto) a intraprendere questa soluzione è ottenere una più efficace ed efficiente diversificazione, permettendo al modello di business di diventare più redditizio nell’insieme. Da una parte le attività immobiliari

e di trading e dall’altra l’attività tipica della Siiq. Uno stile che ricorda molto quello sempre seguito da Sergio Marchionne in Fca, metti in vetrina la mercanzia e mettila in evidenza, il valore aumenterà. Nel frattempo Aedes continua a investire, quest’anno cominceranno i lavori del Caselle Open Mall, l’immenso centro commerciale nei pressi dell’aeroporto. Solo per citarne uno. Ma il propulsore più importante potrebbe arrivare dall’assegnazione delle Olimpiadi Invernali a Milano. Sarà per questo che Warren Buffett ha iniziato a fiutare intorno alla Madonnina? febbraio 2019 93


STEFANO BENIGNI SI RACCONTA

Onorevole e consulente finanziario, «mi sdoppio ma per aiutare gli altri»

S

di Marco Muffato

tefano Benigni è un giovanissimo e promettente financial advisor (31 anni, contro una media della categoria vicina ai 54 anni) di Consultinvest. Un lavoro che svolge con entusiasmo e che divide con la sua grande passione: la politica. Già coordinatore provinciale (fino al 2013) e coordinatore regionale di Forza Italia Giovani, Benigni alle elezioni politiche del 2018 è eletto deputato grazie alla vittoria del collegio uninominale 5 di Bergamo e oggi è membro della Commissione Finanze della Camera. Un abbinamento, quello tra la professione di consulente finanziario e la carriera politica, raro e che pertanto merita un approfondimento con il diretto interessato. Onorevole Benigni, cosa prova un consulente finanziario nel diventare parlamentare? Non nascondo che l’emozione e l’orgoglio di poter rappresentare il mio Paese è veramente grande, non mi considero certo il primo consulente finanziario a essere seduto sui banchi di Montecitorio. La professione è stata già rappresentata da altri colleghi nei due rami del Parlamento, ma forse sono il più giovane consulente finanziario a essere presente tra i banchi di Montecitorio e a far parte della Commissione Finanze.

Com’è nata la sua passione per la politica e come è arrivato all’attività di consulente finanziario? La passione politica nasce dal mio forte attaccamento al territorio e dal voler sempre condividere ideali e valori che possano essere esempio per tutti. Sono partito dal movimento giovanile, che ho guidato a livello provinciale e poi regionale per diverso tempo. Sono stato eletto consigliere comunale a Bergamo e poi - il 4 marzo - deputato. Riesco a condividere con gli amministratori locali del mio territorio le istanze e le necessità e cerco di 94 febbraio 2019

IL FINANCIAL ADVISOR DI CONSULTINVEST HA 31 ANNI

«NON SARÒ IL PRIMO MA SONO SICURAMENTE IL PIÙ GIOVANE CF ENTRATO A MONTECITORIO. CHE ONORE ESSERE NELLA COMMISSIONE FINANZE» veicolarle in Parlamento. Nel corso della mia vita ho affiancato la carriera politica alla mia attività di consulente finanziario, una passione e una professione che fin da piccolo ho fatto mia attraverso l’attività di mio padre, che ha speso una vita nel settore bancario. Mi sono sempre prefissato di seguire un numero ristretto di clienti per poter avere il giusto tempo da dedicare alle specifiche e dedicate esigenze di ognuno. Una consulenza deve essere a livello globale e ogni cliente merita la giusta attenzione e un’approfondita conoscenza non solo delle esigenze finanziarie.


INVESTIRE SPECIALIST

Come riesce a conciliare gli impegni politici con quelli di consulente finanziario? Quanto tempo dedica all’assistenza alla clientela? Nell’ultimo periodo ovviamente la mia giornata lavorativa usuale ha subito sostanziali modifiche, oltre all’impegno sul territorio si è aggiunta l’attività parlamentare che mi porta a essere spesso a Roma e in particolari momenti le votazioni a Montecitorio richiedono una grande attenzione. Tuttavia nella attività di consulente finanziario la cura della relazione con la mia clientela rimane sempre di fondamentale importanza,e grazie anche alle nuove modalità di comunicazione il contatto è pressoché continuo. La costruzione dei portafogli della mia clientela nell’ultimo anno è stata molto centrata sui veicoli assicurativi per poter sfruttare i vantaggi di questo genere di prodotti e su una giusta combinazione tra gestione separata e fondi interni. In momenti di forte volatilità dei mercati finanziari il poter sfruttare prodotti multi-ramo mi ha aiutato a ottimizzare la rischiosità del mio portafoglio. Che tipo di consulente finanziario si sente di essere? Quali sono i suoi punti di forza e in cosa sente di dover migliorare? Sento di essere un consulente pronto ai cambiamenti della professione che vuole dare un contributo anche da un punto di vista legislativo per poter migliorare vari aspetti del mio lavoro. Mi sento pronto al confronto con la clientela e cerco sempre di migliorare e di erudirmi in misura crescente anche da un punto di vista tecnico. Afìggiungo che dalla mia società ricevo un supporto continuo con una formazione particolarmente attenta ai momenti di mercato volatili che stiamo vivendo. Cosa pensa della Mifid 2, alla luce della sua duplice esperienza di parlamentare e di consulente? In cosa le piace e in cosa non la soddisfa? Il percorso di Mifid 2, a un anno dal lancio, è stato finora letto dal mercato concentrandosi su pochi aspetti come costi, reportistica e inducement. La normativa riscrive la relazione da mantenere con la clientela, con un approccio che deve diventare sempre più globale e più approfondito. Non mi piace certamente l’eccesso di burocrazia della direttiva europea ma ne apprezzo sicuramente i forti

BENIGNI NEL 2015, AGLI INIZI DELLA SUA CARRIERA IN FORZA ITALIA

«HO SCELTO DI SEGUIRE POCHI CLIENTI PER DARE A CIASCUNO DI LORO LA GIUSTA ATTENZIONE E UNA CONSULENZA DAVVERO GLOBALE IN TEMPI NON FACILI» elementi di trasparenza e il percorso di formazione e di certificazione della mia attività da consulente finanziario.

Se pensa a una futura Mifid 3 cosa dovrebbe contenere a suo giudizio? Per citare l’apertura della Consob della consultazione in merito alle misure di livello 3 della direttiva Mifid, dove ci si concentrerà maggiormente su strumenti finanziari con elevato rischio di liquidità quali obbligazioni bancarie, polizze assicurative a contenuto finanziario nonché derivati Otc, credo che il percorso di ampliare il perimetro di tutti i prodotti analizzati sia quello corretto. Detto questo spero poi che la normativa sia estesa a tutti gli attori. I consulenti finanziari sono fortemente regolamentati, mentre altri soggetti soprattutto nell’ambito distribuzione assicurativa hanno minori vincoli normativi. Dal punto di vista personale, in quali aspetti si sente cambiato con l’attività politica da una parte e con l’attività di financial advisor dall’altra? Il confronto in Parlamento e nella mia attività di membro della commissione Finanze è uno stimolo a migliorare le mie doti relazionali. Il vivere una realtà come quella di Roma così tanto grande rispetto a Bergamo, mi aiuta da un punto di vista personale e mi fa apprezzare sempre di più la bellezza della mia terra. La crescita come persona mi sta aiutando a fare meglio anche nella mia attività di financial advisor. febbraio 2019 95


PARTE LA COMPETIZIONE TRA UN “FAI DA TE”, UN CONSULENTE E UN ROBOADVISOR

Una poltrona per tre Via alla gara sui portafogli

U

na poltrona per tre” è una competizione tra tre portafogli: “fai da te”, roboadvisor e consulente finanziario. Ha la durata di un anno e prevede la possibilità di rotazione del portafoglio, con il cambio di massimo due strumenti, al termine del primo semestre. Ogni mese partirà una nuova gara. Aggiornamento e confronti L’aggiornamento sull’andamento di ciascuna di esse avrà cadenza trimestrale.

LE SCELTE DEL “FAI DA TE”

Tre concorrenti che non copiano La composizione dei portafogli è elaborata in completa autonomia dai partecipanti al talent e oltre ad avere lo scopo della competizione vuole offrire spunti meramente informativi inerenti l’impiego di strumenti finanziari quotati sul mercato regolamentato italiano. Le informazioni e le analisi esposte pertanto non costituiscono sollecitazione al pubblico risparmio qualunque decisione di investimento e il relativo rischio rimane a carico dell’investitore. Investi-

IL PROFILO DEL MATCH Il primo portafoglio è dedicato al seguente profilo: uomo/donna. Libero professionista. 50 anni. Profilo di rischio medio/bilanciato. Obiettivo di rendimento il 3%. Come benchmark è stato utilizzato il Tbond USA 10y.

DA APPLE A FCA, LE SPERANZE DI PRIMAVERA

di Giacomo Damian

ISIN

Anni di crescita economica mondiale non sono stati sufficienti a dare una vera svolta US912810FG86 rialzista ai tassi d’interesse, figuriamoci cosa può accadere in una fase, come US037833CD08 questa che sembra profilarsi all’orizzonte, di indebolimento del ciclo. IE00B5M1WJ87 Sarà il senso di vertigini, ma a 10 anni dall’inizio di questo ciclo economico XS0214965963 espansivo mondiale, sono state sufficienti piccole increspature sui dati economici IT0001308508 per far scattare l’allarme recessione. Appena edulcorato da quell’aggettivo, FI0009000681 “tecnica”, aggiunto come una preghiera o uno scongiuro... Questa della recessione NL0010877643 prossima ventura è una paura concreta o una spaventapasseri? In realtà il dramma del 2008 è ancora estremamente vivo nei pensieri delle banche centrali, dunque anche se il problema non fosse reale, possono bastare le paure serpeggianti per indurre una pausa anche nelle intenzioni del ciclo rialzista dei tassi d’interesse. Questo scenario potrebbe favorire le obbligazioni di ogni tipo, ed è soprattutto per questo motivo, che in un portafoglio a rischio bilanciato ho voluto preferire una parte preponderante dei bond. Un allarme che dal mio punto di vista è esagerato, interpretando questa fase di debolezza più come una pausa che come un rischio recessivo. Una pausa che mi fa tornare alla mente lo scenario “Goldilock”, cioè la fiaba Riccioli d’oro, dove tutto sta nel medio (come la virtù), dove la minestra

96 febbraio 2019

re non si assume alcuna responsabilità per l’eventuale utilizzo che il lettore potrà fare dei contenuti esposti.

FONDO

MIX

US TR BD 29 5.25

20%

APPLE 3.85%

20%

Spdr S&P Euro Div Aristocrats Ucits Etf

10%

TELECOM ITALIA 5.25%

20%

MPS 15-02-29 SD/OC

10%

NOKIA

10%

FCA

10%

preferita è quella tiepida e il letto comodo è quello di media grandezza. Ed è così che con una crescita lenta e moderata e con tassi bassi, si ha il miglior terreno per costruire investimenti profittevoli. Per questo ho scelto sì obbligazioni, ma aggressive, come il Tbond a lungo termine, le obbligazioni Apple e le Telecom matusalem bond. Per quanto riguarda le azioni, due titoli solidi e che forniscono ottimi rendimenti, in particolare Fca che dopo 8 anni tornerà al rendimento con una cedola straordinariamente generosa. Un ultimo appunto sul bond del Monte dei Paschi di Siena, è vero che i titoli bancari sono ancora rischiosi, ma per le obbligazioni ciò che più conta è che il titolo non fallisca, ed Mps ormai è sicura sotto l’ala protettrice dello Stato. Con buona pace dei malpensanti, che fallisca lo Stato è impensabile...


INVESTIRE SPECIALIST

LE SCELTE DEL CONSULENTE FINANZIARIO PIÙ BOND CHE EQUITY, PER RISCHIARE MENO SENZA RINUNCE NOME

CONTROVALORE

PESO

MSIF Global Opportunity A $

20.000,000

20,00%

PIMCO Income E Cap EUR Hdg

20.000,000

20,00%

Invesco Euro Bond A EUR

20.000,000

20,00%

Janus Hend. Hor. Euro High Yield Bd A2 Cap EUR

10.000,000

10,00%

PIMCO Income E Cap $

10.000,000

10,00%

Fidelity Emerging Asia A Cap EUR

10.000,000

10,00%

Invesco Consumer Trends A $

10.000,000

10,00%

100.000,00%

100,00%

TOTALE di Alessandro Gambelli* Il portafoglio è composto per il 60% da fondi obbligazionari e per il 40% da fondi azionari. Tutti e sette i fondi attualmente hanno 5 stelle Morningstar. Ecco le principali asset class: obbligazionari governativi internazionali ex euro 20%, obbligazionari corporate euro 13%, azioni Stati Uniti 20%, azioni Paesi Emergenti 13%. L’esposizione alle principali valute:è così ripartita euro 47%, dollaro statunitense 35%, rupia indiana 5%, dollaro di Hong Kong 3%. La volatilità a 1 anno è il 7,49%, a 3 anni è il 6,71%, a 5 anni è il 7,18%. La performance prevista a 1 anno -2,88%, a 3 anni 13,76%, a 5 anni 42,33%. Componente obbligazionaria Un 20% in Pimco Income isin IE00B84J9L26, categoria obbligazionario flessibile globale con copertura del rischio cambio. Il fondo investe principalmente in una gamma di titoli a reddito fisso (cioè prestiti che pagano un tasso d’interesse fisso o variabile), emessi da società o governi di tutto il mondo, che generano un livello di reddito costante e crescente. Un 10% in Pimco Income in Usd isin IE00B7KFL990, categoria obbligazionario flessibile globale con le stesse caratteristiche del precedente, ma con esposizione al dollaro. Un 20% in Invesco Euro bond isin LU0066341099, categoria obbligazioni diversificate euro. Il fondo investe prevalentemente in un portafoglio attentamente diversificato di titoli di debito denominati in euro, emessi in tutto il mondo da società, governi, organismi sovranazionali, enti locali e organi pubblici nazionali.

Un 10% in Janus Henderson Euro High Yield isin LU0828815570, categoria obbligazionari high-yield euro. Il fondo investe prevalentemente in obbligazioni societarie sub investment grade denominate in euro e sterline. Componente azionaria Un 20% in Morgan Stanley Global opportunity isin LU0552385295, categorie azionario globale large & mid cap growth. Il fondo investe in titoli azionari almeno il 70% degli attivi. Società, aventi sede in qualsiasi parte del mondo, che il gestore ritiene abbiano l’opportunità di realizzare guadagni sostenibili e crescita del flusso di cassa e siano sottovalutate al momento dell’acquisto. Un 10% in Fidelity Emerging Asia isin LU0329678410, categoria azionario Asia Pacifico. Il fondo mira ad ottenere la crescita del capitale a lungo termine da un portafoglio che investe in via principale in società quotate nelle borse valori dei principali paesi asiatici emergenti, esclusi Taiwan e Corea. Un 10% in Invesco Consumer Trend isin LU0052864419, categoria azionario settore beni e servizi di consumo. Il fondo investe in società operanti principalmente nei settori della progettazione, produzione o distribuzione di prodotti e servizi legati ad attività del tempo libero delle persone, che possono comprendere società automobilistiche, prodotti per la casa e beni durevoli, media e internet e altre società impegnate a soddisfare le domande dei consumatori. Nell’insieme il paniere dei fondi individuati risponde al criterio di preferire il comparto obbligazionario in relazione al prevedibile andamento dei tassi senza rinunciare a una componente azionaria orientata al termine medio lungo. * iscritto all’albo Ocf, sezione dei consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede

febbraio 2019 97


LE SCELTE DEL ROBOT (elaborazioni di Investire sui dati Deus Technology) Sarà una considerazione banale, ma a mio avviso è bene evidenziarlo: la caratteristica più rassicurante dell’investimento che scaturisce dall’uso dei roboadvisor è nella precisione della risposta che viene data alle nostre esigenze. Alla richiesta di un portafoglio bilanciato (rischio medio) come in questo caso, l’algoritmo del sistema messo a punto dal nostro partner tecnologico Deus Technology risponde creando una precisa diversificazione tripartita in: 50% obbligazionario, 40% azionario e 10% flessibile. Come si può notare, anche l’algoritmo, come l’essere umano, ha percepito il rischio e le incognite di questo scorcio di 2019, privilegiando (seppur di poco) la parte difensiva dei bond a scapito delle azioni. La parte azionaria del

portafoglio è poi divisa in due: da una parte un investimento globale, fiducioso in una nuova crescita corale dei mercati e dall’altra una piccola percentuale che predilige il mercato emergente, evidentemente considerandolo ancora un motore potente della crescita economica. La componente obbligazionaria del portafoglio è invece spalmata su una profonda diversificazione mondiale dei titoli prescelti, che comprende sia il mercato dei titoli di stato e sia la parte corporate, ma che non disdice l’Italia, essendoci un 10 per cento interamente dedicato al nostro Btp. Interpretandolo con la dovuta prudenza, il messaggio che ci arriva dall’intelligenza silicea del nostro consulente robotico sembra essere quello di una cauta fiducia. (g.d.)

UNA DIVERSIFICAZIONE DEL RISCHIO PER COMPARTI E PER MERCATI ISIN

NOME

1/12/2018

US4642898757

iShares Core Moderate Allocation ETF Dis USD

10,00%

IE00BSKRJX20

iShares IV USD Govt Bond 20yr Target Duration UCITS ETF Dis EUR

20,00%

IE00BSVYHV63

L&G LOIM Global Corporate Bond Fund Dis USD

10,00%

IT0005094088

Italy-BTP 01/03/32 1.65%-01/03/2032 CF EUR

10,00%

IE00BKX55T58

Vanguard FTSE Developed World UCITS ETF Dis USD

30,00%

LU0292108619

Xtrackers MSCI Emerging Latin America Swap UCITS ETF 1 Acc EUR

10,00%

IE00B7LFXY77

SSGA SPDR ICE BofAML Emerging Markets C Dis EUR

10,00%

LE MACROAEREE DEL PORTAFOGLIO ROBOTICO PESO

MACRO

OBBLIGAZIONARIO

50%

AZIONARIO

40%

FLESSIBILE

10%

98 febbraio 2019

MICRO

PESO

Corporate Sviluppati

10,00%

BTP

10,00%

Governativo Sviluppati

20,00%

Corporate emergenti

10,00%

Azionario Globale

30,00%

Azionario Emergenti

10,00%

Flessibile

10,00%


INVESTIRE SPECIALIST

Juventus alle stelle con vertigini JUVENTUS: obbedendo alla filosofia del grande presidente Boniperti dove “vincere non è importante, ma è l’unica cosa che conta”, la Juventus prima viene promossa nel gotha della finanza italiana, entrando a far parte del FtseMib40 (le Blue Chips), prima squadra di calcio in Italia, ma lo fa in pompa magna diventando già nelle prime sedute di gennaio il titolo con la maggior performance di Piazza Affari: +35%. Un rialzo che fa la gioia sia di azionisti ma anche dei tifosi, perché quel rialzo è frutto anche delle meravigliose prestazioni in campo che l’hanno portata a essere, per distacco, già prima in classifica nel campionato di Serie A. Il rialzo è ancor più sorprendente se a gennaio si somma tutto il 2018 e il 2017, la somma fa +450% circa. Tutto giustificato? Sì, se l’ipotesi è la futura vendita della squadra (rivoluzione in casa Agnel- STEFANO BERALDO li) ma se le performance in borsa fossero condizionate solo da quelle sportive, bisognerebbe stare molto attenti, cosa succederebbe in caso di eliminazione dalla Champions? Pericolo vertigini.

OVS: il gruppo leader in Italia nell’abbigliamento chiude un 2018 con un profondo rosso, un bilancio negativo sia nei bilanci e sia in borsa, pesantemente negativo. La pietra dello scandalo è la partecipata Sempione Fashion finita in procedura concorsuale provvisoria. Il mercato si sa, GIUSEPPE MORFINO non ha mezze misure, e per una notizia che in fondo riguarda solo una parte della società ha deciso di fare di tutta un’erba un fascio, penalizzando l’intero gruppo. Il risultato: dai 6€ di inizio 2018, fino a un minimo in dicembre di 0,65. Minimo che qualcuno, che non si fa impressionare dalle esagerazioni (stupidità?) ha interpretato come occasione. Quel qualcuno è la Tamburi investimenti che ha pensato bene di entrare con una quota superiore al 3%. Sarà l’inizio di qualcosa di importante? Quello che sembra è che in borsa ci siano stati veramente i saldi e come spesso accade, pochi se ne sono accorti, anche tra i grandi investitori, visto che fino a poco prima dell’ingresso di Tamburi c’era ancora, dopo un ribasso del

ANDREA AGNELLI

80%, chi intendeva guadagnare con gli short. L’intelligenza degli algoritmi, la più grande sopravvalutazione.

FIDIA: azienda leader nel settore della progettazione, produzione e commercializzazione a livello internazionale di sistemi integrati per la lavorazione di forme complesse destinati principalmente al settore della stampistica e dell’aerospaziale. Un piccolo gioiello di tecnologia tutta italiana, tanto che a Piazza Affari è inserita nel gruppo delle Star. Il titolo nel 2018 ha molto sofferto, travolto dalle vendite come tutte le società del settore che da stelle brillanti, sono diventate stelle cadenti. Il problema principale di Fidia è nel bilancio, perché a un portafoglio ordini sempre gonfio, segue una redditività spesso negativa. Per dirla semplice è come un attaccante bravo a smarcarsi, abile, ma che una volta davanti alla porta si mangia parecchi goal. Deve trovare solo la mira, o qualcuno che sappia come allenarla. Passa a due spicci, attenzione perché se qualcuno se ne accorge ne può fare un sol boccone.

NOKIA: dalla cellulosa ai cellulari, pochi conoscono la vera natura e la storia di Nokia, un marchio associato sempre ai cellulari e per molti, addirittura defunto. Niente di più sbagliato. Nokia è viva e vegeta e oggi, dopo aver cambiato per l’ennesima volta pelle, ridotta a cenere e risorta come una fenice, si è lanciata in una nuova avventura con l’obiettivo di diventare leader del settore. Nata come segheria e cartiera, passando per la produzione di stivali di gomma, è divenuta famosa in tutto il mondo per la produzione dei cellulari e sempre per i cellulari è affondata, rischiando addirittura la definitiva scomparsa. È qui che emerge la forza del gruppo, nella sua flessibilità e capacità di resilienza, dopo aver visto il baratro con i propri occhi (il titolo da 40€ crollò a 1,80€) riesce a sbolognare i cellulari a Microsoft e si dedica alla costruzioni delle rete compiendo il prodigio della fusione con Alcatel-Lucent. L’unione di due giganti che escono da pesanti ristrutturazioni, più snelli e più efficienti, ora pronti a combattere ad armi pari con Huawei. Il futuro passa anche da qui. (g.d.) febbraio 2019 99


PARLA MAURIZIO VITOLO, AD DI CONSULTINVEST

«Siamo contrarian, e funziona ma alla base c’è tanta analisi» di Sergio Luciano

«L

ei vuol sapere se il nostro mercato azionario è a buon prezzo? Il tema delle valutazioni borsistiche è sempre molto opinabile. E io sulla Borsa non sono per niente ottimista. Sull’obbligazionario, invece sì»: Maurizio Vitolo, fondatore ed amministratore delegato di Consultinvest – un gruppo finanziario vigilato che si articola in una Sgr e nella dodicesima rete del ranking nazionale – di mestiere, passione è vocazione è un gestore, anzi è il capo della sua squadra di gestione. Ed accetta di illustrare a Investire il suo punto di vista su una fase volatile e incerta per tutti i mercati finanziari.

Dunque non è ottimista sulle azioni. So che molti rilevano che i prezzi sono prevalentemente bassi rispetto agli utili, ma se ci fosse forte rallentamento dell’economia, non sarebbero poi così bassi! Per stabilirlo bisognerebbe conoscere in anticipo l’andamento della congiuntura economica mondiale. La Cina, per esempio: ha un debito privato insostenibile, se la sua economia rallentasse, esploderebbe il rischio di riduzione degli investimenti che già oggi si corre e di bolla finanziaria. E quale politica gestionale adotta? Una gestione prudente e conservativa. Come dicevo, sono un fan del comparto obbligazionario, oggi: c’è valore. L’incertezza ha fatto allargare molto gli spread sia sui governativi che sui corporate, anche sul mercato italiano. Non è giustificabile spread che c’è oggi sul Btp rispetto a Madrid o a Lisbona. C’è lo spazio per ridurlo. E’ un’opportunità investire nei Paesi ad alto spread, ma comunque lo spread italiano rispetto a vari altri paesi dell’area euro è su un livello sbilanciato. Ma il debito pubblico è più alto che mai… 100 febbraio 2019

Maurizio Vitolo, fondatore, amministratore delegato e principale azionista della Consultinvest

Sì, ma la gran parte è detenuto dagli italiani, le famiglie italiane sono titolari di un grandissimo risparmio e sommando il debito privato e debito pubblico del nostro Paese si ottiene un totale molto migliore di quello di tanti altri partner dell’eurozona… Non è facile guidare la nave del risparmio di questi tempi… Veda, noi abbiamo una precisa filosofia gestionale: siamo contrarian, cioè investiamo quando mercati i scendono. Certo, così facendo a volte può capitare che nelle fasi Orso si perda più di altri, però di regola abbiamo sempre recuperato con gli interessi. Adesso molti di quelli che seguono gli algoritmi per fare le loro scelte seguono gli stessi trend: quando mercati scendono tutti a vendere, quando salgono tutti a comprare. Noi no, non facciamo così. Quando vediamo che ci sono delle buone opportunità di recupero di valore sul mercato, cerchiamo di coglierle e quando riteniamo che siano esaurite riduciamo gli investimenti. Un attentissimo stock picking? Direi che ci basiamo più su aspetti macroeconomici, anzichè rincorrere i trend. E’ uno stile gestionale diverso da quelli prevalenti, altrimenti non si chiamerebbe contrarian. Non siamo gli unici, ma…siamo bravini, dicono. E le performance? Buone, anche molto buone. Abbiamo per esempio un fondo obbligazionario, Alto rendimento flessibile, che è stato per anni tra i migliori d’Europa e va ancora molto bene. Siamo stati anticipatori su tante cose. Anche sugli absolute return fummo tra i primi. Rivolgendomi ancora al gestore che è in lei, come fa nascere i suoi prodotti? Cercando di fare quel che ci viene richiesto dai clienti finali. Scelte diverse e originali, diverse dal solito, che servono per costruire portafogli efficienti.


INVESTIRE SPECIALIST

Ma a volte deludono! Un fondo non va guardato come un qualcosa a se stante, va guardato come un elemento importante all’interno di un portafogli diversificato… Per esempio? Ci vogliono idee per fare il sarto…e ci vuole il coraggio di portarle avanti. Se fai un prodotto a benchmark è facile scegliere…di non scegliere! E la giochi sui costi, sei lì intruppato con gli altri. Non ti distingui e non rischi. Ma se fai un prodotto con logiche diverse spesso ti scosti molto dagli altri. Quindi voi non seguite gli algoritmi? Io lavoro su macromodelli econometrici che vengono calati nei singoli prodotti… Usiamo anche, all’interno di questi macromodelli, alcuni algoritmi, anzi per la verità li abbiamo sempre usati, anche quando non erano di moda. Non puoi non usarli… però sopra gli algoritmi ci sono le analisi di scenario, tutto parte da quelle! Chi ve le fa? Noi da soli ce le facciamo, perbacco. Il nostro Ufficio studi interno fa ogni mese un documento approfonditissimo sull’economia mondiale. Che ci viene riconosciuto come un prodotto qualificato anche in sedi molto autorevoli… Per noi è il punto di riferimento fondamentale. Poi tutto quello che fa l’ufficio studi lo caliamo sulla rete, informiamo i nostri consulenti sugli asset su cui investire perché potenzialmente molto profittevoli e su quelli su cui invece ridurre gli investimenti, e aggiorniamo le istruzioni a ogni cambio di scenario, al bisogno. Monitoriamo che tutto quel che accade sia in linea con le nostre valutazioni e se ci sono fatti che ci inducono a cambiare le nostre scelte informiamo immediatamente anche la rete… Parla molto della rete: ci tiene? E me lo chiede? Il consulente è una risorsa-chiaveve ha tanta autonomia: può decidere di vendere al cliente i nostri prodotti d’investimento ma anche soltanto prodotti di terze parti che teniamo nel nostro portafoglio. Non hanno alcun diktat da noi: quel che conta è la qualità del servizio al cliente. Abbiamo un ufficio che fa la sua analisi sulla qualità dei prodotti, indichiamo al consulente quelli che sono di maggior quaità rispetto ad altri e gli diciamo quali, secondo i nostri scenari, sono le asset class da favorire e quali no, poi loro sono liberi… Fatto cento il risparmio che raccogliere, quanto proviene dai vostri consulenti e quanti dalle banche collocatrici? Circa la metà per canale. E infatti la nostra strategia è quella di crescere con nuovi consulenti finanziari e nuove banche collocatrici. Cosa offrite ai vostri consulenti? Grazie della domanda, mi dà l’occasione di spiegare siamo attrattivi per i consulenti, nonostante le nostre dimensioni innegabilmente piccole rispetto ai big del mercato. Veda, noi nasciamo dalla gestione del risparmio, io stesso ho cominciato presso un agente di cambio e quando ho fondato Consultinvest, di cui sono ancora azionista di maggioranza, insieme con Massimo Verzani, mio vice sin da allora, da trent’anni. Abbiamo costruito il nostro brand da zero su una filosofia di servizio tailor made al cliente, indirizzato a fare cose diverse da quelle che facevano gli altri. Ebbene, quest’approccio presuppone che il rapporto per-

sonale tra il consulente che ci rappresenta e il cliente sia centrale, essenziale! Altro che robot. Anche negli Stati Uniti il rapporto personale tra aziende del risparmio e cliente è ancora centrale, e in un mercato come il nostro dove c’è poca cultura finanziaria è ancora più importante. E così noi oggi abbiamo una filiera corta tra gestione e distribuzione, per questo possiamo pagare bene i nostri consulenti. Quanto tempo dedica alla gestione? Tutto il mio tempo! Il tasso di personalizzazione delle nostre gestioni è spinto, ripeto. Facciamo gestioni patrimoniali con un forte tasso di personalizzazione. I nostri quindici fondi non sono a benchmark, hanno logiche di investimento proprie. Però cercate anche altre banche collocatrici, dunque vi fidate del circuito creditizio… Guardi, le banche italiane sono valide, sicuramente avranno talvolta erogato credito con degli errori, nelle fasi positive del mercato, ma la crisi è nata non per causa nostra, è partita dagli errori creditizi commessi dalle banche straniere sui mercati stranieri, non in Italia. Senza la grande recessione mondiale le banche italiane non avrebbero avuto i problemi che hanno avuto… La vostra consulenza sia indipendente? Senz’altro sì, e in molti casi abbiamo anche anticipato cose dette molto dopo da altri. Per esempio? Vedo che si inizia a parlare di una nuova “tltro”, come si chiama quella particolare modalità della Bce per immettere liquidità nel sistema senza ricorrere al Quantitative Easing. Ebbene, carta canta: noi ne parliamo da mesi, perché ritenevamo che fosse una formula adatta a quello scopo. Un’ulteriore estensione del QE avrebbe potuto apparire come un aiuto all’Italia, ma visto che a livello europeo bisognerà ancora aiutare le banche, la tltro è la formula che andrà bene a tutti, agli Stati indebitati e a quelli che non hanno problemi finanziari, per sostenere l’economia reale. I commentatori ne parlano da qualche settimana. Noi prima dell’estate. Siete orgogliosi di questo genere di anticipazioni? Posso dirle che le nostre persone sono entusiaste del loro lavoro, sono persone veramente motivate. Si rimboccano le maniche ogni giorno, lavorano con passione, amano il lavoro fatto bene e il rapporto con i clienti, così come noi amiamo il rapporto con la rete, umano, intepersonale, mai artificiale. Chi le diede l’idea di impostare così la vostra attività? Comiciammo facendo riunioni con i clienti, gli spiegavamo le cose che nessuno gli diceva. Così siamo nati e cresciuti… Attività on-line ne fate? L’online non funziona bene, chi ci ha provato non ha avuto successo. Ci vuole un brand fortissimo e per costruirlo ci vogliono tantissimi investimenti. Poi c’è il problema che i consulenti lo possono vedere come concorrente. Noi siamo molto attenti a non disintermediare i nostri consulenti, è una forma di rispetto, non li scavalchiamo. Diamo loro gli strumenti per lavorare loro in maniera più semplice possibile, per esempio la firma digitale. Non siamo in molti a farlo. Per i clienti la vostra italianità è un pregio? Non è un fattore dirimente, piuttosto lo è la nostra indipendenza, l’assenza di conflitto d’interessi.

«SONO PESSIMISTA SULLA BORSA MA SULL’OBBLIGAZIONARIO MI SENTO OTTIMISTA. I CONSULENTI? RISORSA CHIAVE»

febbraio 2019 101


IMMOBILIARE OSSERVATORIO

L’immobile torna appetibile, ma dev’essere di alta qualità Elaborazione dati, proiezioni e analisi a cura di Scenari Immobiliari

Residenziale in crescita La Lombardia nel 2018 si conferma come il primo mercato immobiliare d’Italia, concentrando il 22,8% delle compravendite residenziali nazionali (+13,8%). Le compravendite in Lombardia nel 2018 dovrebbero attestarsi a 140mila unità immobiliari, (123mila nel 2017). In Italia il 2018 dovrebbe chiudersi con 610mila transazioni complessive (+8,9%). Le previsioni per il 2019 rimangono positive sia a livello lombardo che a livello nazionale, con compravendite residenziali in aumento e una maggiore tenuta delle quotazioni immobiliari. Il tasso di crescita delle transazioni in Lombardia dovrebbe nuovamente superare il dato medio nazionale, distanziando ulteriormente il resto della Penisola. Il distacco tra Lombardia e altre regioni è destinato a proseguire negli anni grazie alla dinamicità dei nuovi sviluppi e delle riqualificazioni attive sul territorio, tutti interventi che contribuiranno a migliorare la qualità dello stock e ad avviare processi di rigenerazione urbana, offrendo prodotti in linea con le esigenze di una domanda in rapida espansione. Milano si dimostra nuovamente capofila del rinnovamento e della crescita del patrimonio residenziale, su cui insiste una domanda sempre più consistente e in cui va ampliandosi la componente estera di acquirenti e investitori.

N° compravendite settore residenziale CLASSIFICA

REGIONI

VAR% 2018°/2017

22,8

140.000

123.000

13,8

2

Lazio

11,0

67.300

60.500

11,2

3

Emilia Romagna

9,3

57.000

51.000

11,8

4

Piemonte

9,3

56.500

51.200

10,4

5

Veneto

9,1

55.500

50.000

11,0

6

Toscana

6,3

38.200

35.500

7,5

7

Campania

5,6

33.900

32.100

5,6

8

Sicilia

5,5

33.300

33.000

0,9

9

Puglia

5,3

32.300

31.500

2,5

10

Liguria

3,8

23.000

21.000

9,5

11

Sardegna

2,0

12.300

12.000

2,5

12

Marche

1,8

11.000

10.700

2,8

13

Calabria

1,7

10.400

10.300

1,0

14

Abruzzo

1,6

9.800

9.700

1,0

15

Friuli Venezia Giulia

1,3

8.000

7.700

3,9

16

Trentino Alto Adige

1,2

7.100

6.900

2,9

17

Umbria

1,1

6.600

6.300

4,8

18

Basilicata

0,6

3.800

3.700

2,7

19

Molise

0,4

2.200

2.200

0,0

20

Valle D’Aosta

0,3

1.800

1.700

5,9

100,0

610.000

560.000

8,9

ITALIA *STIMA Fonte: Scenari immobiliari

DI CUI LOMBARDIA

2010

1.502,9

28,9

2011

1.958,4

45,2

2012

2.419,2

24,7

2013

3.366,6

31,1

2014

4.972,1

26,6

2015

7.605,6

52,7

(VALORE%)

2016

7.075,6

51,0

2017

9.766,4

50,0

2018

7.500,0

46,7

TOTALE

46,166,8

43,9

102 febbraio 2019

2017

Lombardia

INVESTIMENTI

(MILIONI DI EURO)

2018°

1

Investimenti immobiliari in Italia con focus sulla Lombardia tra il 2010 e il 2018 ANNO

% SUL TOTALE 2018°

Lombardia sempre più attrattiva Negli ultimi otto anni la crescita degli investimenti che ha caratterizzato il mercato immobiliare è stata trainata in gran parte dalla capacità attrattiva della Lombardia. La regione ha infatti concentrato il 43,9 per cento degli investimenti nazionali, per un totale di oltre 20 miliardi di euro. Tra il 2010 e il 2018 la crescita degli investimenti in Lombardia è stata significativamente più rapida rispetto a quanto osservato nel resto del Paese, in particolare a partire dal 2015, quando il traino dell’area metropolitana Milanese si è fatto più significativo. Occorre precisare che il 2017 è stato un anno particolarmente positivo per gli investimenti a livello nazionale, che hanno raggiunto la cifra record di circa 9,8 miliardi di euro, con una crescita del 38 per cento rispetto al 2016. Di questi, oltre 4,8 sono arrivati in regione Lombardia (il 50 per cento circa), destinati al 90 per cento alla città metropolitana di Milano, dove nello stesso periodo gli investimenti sono cresciuti di oltre il 43 per cento, totalizzando il volume massimo mai registrato nell’ultimo decennio.


IMMOBILIARE LE PROPOSTE PER IL SETTORE

Fatturato immobiliare logistica ANN0

FATTURATO

2017

4.350

2018

4.450

2019*

4.600

VAR% 2018/2017

VAR% 2019*/2018

2,3

3,4

*STIMA

Logistica in scia positiva Nel 2018 il fatturato del mercato immobiliare della logistica in Italia ha continuato sulla scia positiva che lo caratterizza ormai da oltre quattro anni. Anche se in termini di scambi la variazione è stata più decisa, il fatturato è cresciuto a un ritmo più lento, a causa di una debolezza delle quotazioni, registrando una variazione lievemente negativa -0,4 per cento rispetto all’anno precedente, per un ammontare complessivo di circa 4,5 miliardi di euro. L’effervescenza della domanda e l’interesse mostrato da parte degli investitori, presuppone una continuità degli scambi che a fine 2019 saranno in grado di generare un fatturato pari 4,6 miliardi di euro, con un incremento atteso pari al 3,4 per cento rispetto al 2018. Tra le aree a maggiore appetibilità vi è quella del comprensorio della città metropolitana di Milano e la provincia di Monza e Brianza dove abbondano la classe B e la classe C. Le motivazioni di fondo risiedono con molte probabilità nel fatto che, nella maggior parte dei casi, le aziende desiderose di posizionarsi all’interno del comprensorio cercano immobili di qualità particolarmente elevata, di cui il mercato è carente. L’esistente ha un rapporto qualità/ prezzo non idoneo, risulta quindi più conveniente allontanarsi in direzione delle province limitrofe, dove qualità dell’immobile e costi sono più consoni alle esigenze. Infatti le province, quali Pavia, Varese, Bergamo, Brescia e Como, presentano una diminuzione dell’offerta.

Carico fiscale record. E Confedilizia invoca il cambiamento

L

a nuova rilevazione di Eurostat evidenzia un mercato florido in tutta Europa, tranne che in Italia. E dal 2019, grazie alla manovra, i Comuni potranno aumentare Imu e Tasi, rendendo ancora più grave il carico di tassazione patrimoniale. «Quando si capirà che va cambiata politica?» Il tweet del 18 gennaio del presidente di Confedilizia, Giorgio Spaziani Testa (nella foto), mette il dito nella piaga: quella della “mungitura” dei proprietari immobiliari. Una tasca “sicura” cui attingere secondo necessità, perché gli edifici non si possono nascondere nei paradisi fiscali o in cassetta di sicurezza. Peccato che quello che per decenni per gli italiani è stato l’investimento principe, che tanto ha contribito alla crescita del Paese, sia urbanistica che economica, negli ultimi anni abbia fatto un triplo salto mortale, portando i rendimenti prossimi allo zero, se non in negativo. E anche i dati Istat, secondo Spaziani Testa, «registrano ancora una volta lo stato di crisi senza precedenti del mercato immobiliare». Beninteso, non si tratta di una crisi in termini di volumi, che anzi mostrano incoraggianti segnali di ripresa degli scambi, ma di valori: «Nell’ultimo anno, i prezzi delle abitazioni esistenti sono diminuiti di un ulteriore 1,3%. Dal 2010, appena prima dell’introduzione dell’Imu, la riduzione è pari, secondo l’Istat, al 22,9%». Fosse solo questo il problema: il fatto è

che il rilancio del mercato immobiliare in Lombardia, a Milano e, più sommessamente, nei grandi centri urbani, non faccia da traino al resto d’Italia. Cioè una miriade di piccoli centri, di periferie, di abbozzi di urbanizzazione infranti. Ma soprattutto di un patrimonio immobiliare con standard non adeguati alle richieste del mercato: il mix tra pressione fiscale, necessità di mantenere un livello minimo di redditività e al tempo stesso miopia di quella miriade di proprietari, per lo più anziani, che nell’immobiliare hanno la loro principale fonte di reddito, ha inibito quegli interventi di riqualificazione necessari a mantenere accettabile il valore di case, uffici e negozi. Così, a specchiarsi nel “caso Milano”, troviamo una situzione desolante. «A questi numeri», continua Spaziani Testa, «vanno sempre aggiunti quelli dell’infinito patrimonio di immobili privi di qualsiasi valore perché nessuno li vuole acquistare o prendere in affitto. I risparmi degli italiani vanno in fumo e la politica continua a girarsi dall’altra parte. Anzi, la legge di bilancio ha addirittura concesso ai Comuni, per la prima volta dopo tre anni, la libertà di aumentare ancora le aliquote della già folle patrimoniale sugli immobili rappresentata dai 21 miliardi di euro annui di Imu e Tasi (per un totale di 150 miliardi dal 2012 a oggi, ndr). Evidentemente, in Italia ci sono forme di risparmio meno degne di tutela di altre. Ma a rimetterci è il Paese intero». febbraio 2019 103


IL DENARO DEI VIP

INTERVISTA ESCLUSIVA

«Felicità è investire nella mia terra» Il senso di Albano per il business di Monica Setta

C

ome ogni volta che va al Festival di Sanremo, sia che abbia una canzone in gara oppure che porti solo i figli nel parterre, Albano Carrisi prenota la stessa camera al Grand Hotel di Bordighera dove lo attende un sontuoso cesto di frutta fresca carico anche di noci e datteri. La sua bella e ariosa stanza affacciata sul Mar della Liguria ha lo stesso prezzo da almeno un decennio in quanto il cantante pugliese più famoso al mondo é considerato da tutti una specie di amico della famiglia. Albano, che a risparmiare ci tiene, viene qui comunque anche se gli sarebbe più comodo, soprattutto dovendosi esibire sul famoso palco dell’Ariston, un hotel pluristellato nel centro della cittadina dei fiori. “Provengo da una famiglia di contadini, gente che viveva del proprio lavoro nei campi, ho conosciuto le ristrettezze e non mi sono mai abituato al lusso anche quando, con i primi successi delle mie canzoni, ho iniziato a potermi concedere qualcosa in più” racconta Albano in esclusiva ad Investire. Classe 1943, nato a Cellino San Marco, un radioso co104 febbraio 2019

«LA MIA AUTENTICA RICCHEZZA SONO QUELLE MERAVIGLIOSE PIANTE DI ULIVO CHE SOMIGLIANO AL MIO CARATTERE, TENACE E LEALE. E NON SPERPERO I MIEI SOLDI, FRUTTO DI UN LAVORO DURISSIMO» mune del profondo Salento il 20 maggio, Albano comincia a scrivere canzoncine a 12 anni (la primissima si chiamava Addio Sicilia) e a 17 abbandona gli studi alla scuola magistrale per volare a cercare fortuna al nord, a Milano.

Che rapporto ha con il denaro? “Beh, sai dove ho cominciato a lavorare appena arrivato nella grande Milano? Al ristorante “Il dollaro”, dove incontro Pino Massara con cui faccio il primo provino”, ride Albano. “Non ho mai dato importanza al denaro ma all’epoca ne avevo davvero poco. Avevo però una immensa passione per la musica e sarei stato disposto a tutto pur di realizzare il mio sogno”. Di acqua ne é passata sotto i ponti da quel periodo, eravamo nel 1967 quando Albano esplose con il successo mondiale “Nel sole”, eppure la stessa preventiva prudenza contro le spese eccessive accompagna il cantante oggi come ieri. Adesso che si dedica alla nostra cover lo vediamo girare per negozi di strumenti musicali pronto a cercare una chitarra nuova per Yari, il secondogenito nato dalle nozze con Romina Power (la prima figlia scomparsa e mai dimenticata era la bellissima Ylenia, poi dopo Yari ecco Cristel e Romina ju-


IL DENARO DEI VIP Albano Carrisi, un caposcuola della canzone italiana nel mondo. Nell’altra pagina e qui sotto, due immagini della sua tenuta a Cellino San Marco

nior; dalla seconda unione con la show girl Loredana Lecciso sono venuti al mondo invece Yasmine e Albano junior detto Bido).

Chiedi sempre lo sconto quando fai shopping? “Non necessariamente, ma tengo a non sperperare il denaro che nel mio caso é frutto di un lavoro durissimo”, annota lui, “passo in aereo tre quarti della mia vita, ho concerti dovunque in tutto il mondo ma non mi tiro indietro se mi chiedono di cantare in una piazza di paese, perché l’affetto che ricevo quotidianamente dalla mia famiglia e dal mio pubblico mi ripaga di ogni sacrificio. Dove investe Albano i suoi utili? “Nella mia terra, nel vino o nell’olio, mi piace pensare che la mia autentica ricchezza sono quelle meravigliose piante di ulivo che somigliano al mio carattere, tenace e leale. Il mio vero lusso non passa attraverso alberghi costosi o aerei privati, ma dalla gioia di sapere che, lavorando senza sperperare, potrò lasciare una testimonianza di quanto ho realizzato nella vita ai miei nipoti”, commenta il cantante. Infatti, andando a scandagliare nel suo portafoglio (lo apre per noi) scopriamo che il grande Leone di Cellino, uno degli italiani più famosi e potenti al mondo, gira con in tasca un centinaio di euro, neanche un centesimo in più. Porta dietro quanto gli serve, ci confida, perché nel tempo gli hanno clonato almeno una decina di carte di credito così preferisce usare il cash ovviamente per le piccole spese (poi ci sono gli assegni). Ma per che cosa ama spendere Albano? “Per i regali ai miei figli”, risponde lui, gioioso al solo nominare i cinque “pargoli”. Gli piace anche fare regali alla mamma Jolanda che ha appena compiuto 96 anni e non torna mai a casa da un viaggio a mani vuote.

E ai figli dà una paghetta mensile, soprattutto ai due ragazzi ancora minorenni avuti dalla Lecciso? “Ci sto riflettendo proprio in questo momento storico, anche se ho insegnato ai miei ragazzi la cosa più importante, ossia il valore del lavoro. Quasi tutti lavorano o studiano ed hanno la mia stessa passione per la musica, cosa di cui vado orgoglioso”. Investitore cauto, Albano capitalizza i guadagni della musica nella sua straordinaria farm di Cellino che é anche una bellissima struttura alberghiera con spa e ristorante annesso, il Don Carmelo, intitolato al padre. Qui arrivano in estate o

inverno clienti da tutte le parti del mondo attratti dal nome di Albano e dalla leggenda di questo cantante che ha del magico. Per due volte negli anni scorsi ha rischiato la vita, tanto da avere deciso inizialmente di appendere al chiodo la chitarra il 31 dicembre scorso. Poi la forza della vita, come dice lui, ha prevalso e Albano continuerà a cantare da solo o in coppia con la ex moglie Romina Power. A lungo si é discusso di una reunion sentimentale ma lui stesso smentisce e afferma di vivere uno stato di grazia da pater familias libero di godere in assoluto dei figli e dei buoni rapporti con le sue ex (anche con la Lecciso non c’é mai stato un ritorno di fiamma).

Il segreto della sua fortuna? “Non essere mai nè troppo nè poco ed evitare investimenti ad alto tasso azionario”. Infine, a proposito della querelle fra Claudio Baglioni e Matteo Salvini Albano che é tradizionalmente uomo non divisivo anzi tendente alla pace, spiega che Baglioni (suo amico storico) può dire legittimamente ciò che vuole. Nello specifico Baglioni aveva dichiarato facendo scatenare la polemica con la Rai di voler ricostruire a Sanremo quel clima di armonia che, complice la questione della immigrazione, manca nel paese. Albano perô non fa mistero di condividere con Salvini una visione più razionale e politica della questione; a Salvini il re di Cellino ha recentemente regalato il suo vino. Anzi é andato a trovarlo al Viminale ed ha intonato con il vicepremier alcuni dei suoi motivi più celebri. Che sia dunque la famosa Felicità di mangiare un panino con un bicchiere di vino (rosso pugliese) a siglare la pax dell’Ariston 2019 tra Baglioni ed il leader leghista? Come direbbe l’ultimo dei poeti citati (Lucio Battisti) lo scopriremo solo.... vivendo. Buon festival ad Albano & co.

febbraio 2019 105


BIBLIOTECA Antonio Quaglio Laureato in Economia aziendale all’Università di Venezia, è stato inviato e caporedattore a Il Sole 24 Ore. Collabora a www.ilsussidiario.net.

I RISPARMI SI TUTELANO EDUCANDO I RISPARMIATORI

È

ormai lontano il tempo in cui il Governatore della Banca d’Italia parlava pubblicamente in pochissime occasioni nell’arco dell’anno: il 31 maggio, nelle sue Considerazioni Finali all’assemblea dei partecipanti al capitale; alla Giornata del Risparmio, all’assemblea dell’Abi e in occasione della convention annuale del Forex Club (quest’anno si svolge a Roma, con il patrocinio di Iccrea Banca, per la 25esima edizione dopo la nascita di AssiomForex, l’associazione professionale di tutti gli operatori italiani dei mercati finanziari, come Investire racconta in altre pagine). Da un ventennio il banchiere centrale di Palazzo Koch non è più il dominus di una moneta sovrana e da alcuni anni non è più nemmeno il vigilante ultimo del sistema bancario nazionale. Prende tuttavia la parola molto più di un tempo. Lo sviluppo dapprima irresistibile della finanza globale di mercato e quindi la sua crisi e la faticosa ricerca di exit e new normal, hanno inevitabilmente ridimensionato i poteri d’intervento diretto di un governatore nazionale come quello italiano: ma non la responsabilità che continua ad assegnargli un’opinione pubblica di cittadini, prima ancora che un mercato di investitori, intermediari e imprese. Ed è una sfida politico-culturale - quella di una comunicazione pubblica completamente diversa dal tradizionale signalling delle banche centrali - che Ignazio Visco, attuale governatore in Via Nazionale, ha raccolto mettendo a frutto la sua formazione di economista cosmopolita, maturata nell’incarico di chief economist dell’Ocse e poi di vicedirettore generale di Bankitalia. Non ha quindi stupito che dopo la riconferma ottenuta un anno fa - superando le turbolenze di una controversa commissione d’inchiesta sul sistema bancario - Visco abbia voluto rielaborare in un volume una serie di interventi tenuti durante i suoi primi sei “Anni difficili” (questo il titolo del libro edito nell’autunno scorso dal Mulino). Né sorprende, tra le pagine, scorgere quanto prioritaria sia

- nella vision di Visco - la tutela del risparmio in una prospettiva più ampia e complessa della stessa vigilanza creditizia. Per Visco è il ruolo dell’educazione finanziaria - quindi la corretta formazione e informazione dei risparmiatori-investitori - a essere sempre più strategico, centrale, “civico”. Scrive con chiarezza il Governatore: “L’azione della vigilanza minimizza ma non può annullare la probabilità che una banca entri in crisi (anche per effetto di comportamenti illeciti oltreché imprudenti)”. E se “la vigilanza prudenziale resta rivolta ad assicurare la stabilità del sistema e la sana e prudente gestione degli intermediari”, in tutti i paesi “si è affiancata quella in materia di trasparenza e correttezza dei comportamenti degli intermediari”. Un’innovativa “vigilanza di tutela” è dunque rivolta a garantire che il cliente-risparmiatore sia sempre più in grado di fare scelte consapevoli sui prodotti adatti alle proprie esigenze e a condizioni adeguate, confrontabili tra diversi intermediari”. Le sfide dell’educazione finanziaria, d’altra parte, si presentano complesse: un processo socioculturale di medio periodo con un traguardo win win. “La vigilanza - sottolinea Visco - non può sostituirsi ai risparmiatori nelle scelte che essi sono chiamati a fare nell’allocazione della propria ricchezza”. Tuttavia può e soprattutto nel caso della Banca d’Italia, vuole aiutarli: a maggior ragione dopo che - Visco nel volume lo ricorda - una survey condotta sulle competenze finanziarie degli italiani , ha rilevato livelli di “conoscenze” e “comportamenti” al di sotto delle medie Ocse. Su diversificazone di portafoglio, capacità di pianificazione di obiettivi di lungo termine, conoscenza degli strumenti offerti dall’innovazione i risparmiatori italiani devono recuperare molti gap. Un “Comitato per la programmazione e il coordinamento delle attività di educazione finanziaria” è stato istituito fin dal 2016. Ma la sfida di “raccogliere e unire tutte le forze in campo” è solo all’inizio: in attesa - si augura il Governatore - di “un progresso più deciso lungo la strada intrapresa”.

Il governatore della Banca d’Italia ripropone in un volume sei anni (difficili!) di interventi pubblici, costruiti con coerenza e rigore. Conclusione: la vigilanza non è tutto

106 febbraio 2019



EDUCAZIONE FINANZIARIA Paolo Zucca Iscritto all’Ordine dei Giornalisti dal 1979, già responsabile del supplemento de II Sole 24 Ore Plus 24. Partecipa a tutorial e iniziative contro l’eccessivo uso del contante. Twitter @pzu551

INFORMIAMOCI SUL NOSTRO RATING, SERVE ANCHE AL MUTUO

N

on c’è soltanto il rating-paese o il rating-impresa. Ognuno di noi ha, e avrà sempre di più, una valutazione di potenzialità di credito in base alle risorse accumulate, alla stabilità delle entrate disponibili e alla nostra storia di cliente. Una buona manutenzione del nostro profilo di risparmiatore-pagatore permette di ottenere condizioni di credito migliori, più rapide con più prestatori di denaro in gara per lavorare con un buon cliente. Una gestione disordinata, con ritardi nel pagamento delle rate, si scarica sul costo del prestito successivo. Bisogna quindi conoscere la nostra reputazione creditizia, non lasciarla scadere e se possibile migliorarla. Servirà. Niente di diverso da un buon guidatore che avrà benefici sulla polizza auto o chi rispetta un regolare piano di controlli medici per la copertura assicurativa. Il caso più comune è il mutuo per la casa, in genere la prima abitazione o un cambio per migliorare la qualità della vita. In Italia si effettuano poco meno di 600mila compravendite l’anno, più della metà utilizzando mutui. La pratica di prestito per la casa mette in moto valutazioni da tutte le parti coinvolte che possono essere gestite con vantaggio, di denaro e tempo, se manterremo una forte credibilità finanziaria. Si avvicina ma non equivale all’avere buone disponibilità momentanee. Attività imprenditoriali, artigianali o professionali possono avere fasi economiche molto positive oppure deboli e negative. Il lavoro dipendente a tempo indeterminato è in linea di principio il più stabile e deve comunque fare i conti con possibili crisi aziendali o costi non prevedibili. Il lavoro a tempo determinato o legato alla Gig economy comporta qualche fatica in più nell’accesso al credito. È meglio, per evitare di perdere tempo, cercare di sapere subito come veniamo valutati: lo si può fare chiedendo la propria posizione ai principali Sistemi di informazione creditizia (per esempio il Crif, ma non è l’unico) che permettono, su richiesta, di verificare l’esattezza dei dati contenuti e chiedere la cancellazione se errati. Sono archivi delicati, oggetto di un dettagliato codice deontologico da parte dei gestori. Hanno obblighi ben definiti anche sulla protezione della storia del cliente. Sulla correttezza nell’uso dei dati è attivo anche il Garante della privacy. I vantaggi di un buon curriculum di pagatore si riflettono anche sui sistemi di prequalifica di un mutuo. Di che cosa si tratta? Venditori, compratori, agenti immobiliari, mediatori creditizi hanno interesse a stringere i tempi della compra108 febbraio 2019

Con una semplice richiesta on-line è possibile conoscere il proprio profilo creditizio per avere le condizioni migliori vendita. Il mercato della casa è in lenta ripresa e i tassi sono poco lontani dai minimi. Sono condizioni favorevoli per chi acquista con debito, accettabili per chi deve vendere. Poter condurre rapidamente il passaggio di proprietà è un obiettivo condiviso. Tra i servizi offerti al cliente, in un ruolo che è sempre più di consulenza e non di sola percentuale sulla transazione, la prequalifica può risultare interessante: si tratta di definire sulla base di parametri forniti dal cliente la “capacità di mutuo”. Società di credito specializzato e consulenti di qualità la possono fornire gratuitamente e in pochi minuti. Permetterà a tutti di centrare meglio la ricerca di una casa escludendo ciò che è fuori target. Sapere quale potrà essere il mutuo massimo ottenibile non significa minore grinta nella trattativa, un comportamento che avvantaggerebbe il venditore. Non è detto che quella somma verrà richiesta per intero. Va letta come una informazione preliminare che chiarisce al compratore “cosa si può permettere” scartando visite o trattative laddove cash e mutuo non potranno arrivare. Se vogliamo, meno sogni e più concretezza. Una consulenza alle famiglie di buona qualità tiene d’occhio l’indebitamento perché non diventi eccessivo e cerca la soluzione, tempo e tasso, più rispondente. Un passaggio ulteriore è la predelibera, anche in questo caso con l’aiuto di consulenti ci si può presentare a una trattativa con un contratto di finanziamento promesso da una banca. Il finanziamento potenziale è valido per alcuni mesi. La banca in fase iniziale valuta le capacità di reddito del cliente e non conosce l’immobile. Si tagliano i tempi e si favorisce il buon esito della compravendita. Evita la frustrazione di una casa che piace, disponibile subito, ma troppo cara. La predelibera serve nei casi di acquisti in asta. Quale che sia la formule scelta, una storia positiva di ripagatore e di gestione finanziaria è la condizione di forza per avere, all’occorrenza, nuovi prestiti. Senza timidezze si possono chiedere e imporre i tassi migliori.


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COLLEZIONISMO INVESTIRE NELLE OPERE D’ARTE

Mercati volatili? Niente panico, ci sono sempre i “beni passione” di Vincenzo Petraglia

S

i chiamano “beni di passione” e giocano un ruolo da protagonisti nel portafoglio dei collezionisti:. Tanto che le reti si appoggiano sempre più spesso a esperti. Ci riferiamo a gioielli, auto d’epoca, orologi di prestigio, arredi di design. E alle opere d’arte, che garantiscono, se scelte oculatamente, ottime rivalutazioni nel tempo e costi di mantenimento assai contenuti. Senza contare il piacere per gli occhi. Ne parliamo con un esperto del settore, Alex Ricchebuono, da oltre vent’anni esperto di asset management e profondo conoscitore del mercato dell’arte, cui ha dedicato, tra le altre cose, un documentario, Money Art, andato in onda su Rai 5 e di cui qui ci svela opportunità e rischi. «Negli ultimi mesi è tornata la volatilità sui mercati come non si vedeva da tempo», spiega: «facendo crescere appunto le richieste verso forme alternative di investimento, inclusi i beni tangibili di valore intrinseco, i cosiddetti beni da collezionismo. Secondo alcuni report infatti un investitore su sei ha deciso di puntare su questo settore per proteggere e diversificare il proprio patrimonio». Quali sono le dinamiche sviluppate dai beni di passione rispetto alle asset più tradizionali? Gli investimenti legati alle passioni hanno di solito un respiro di medio-lungo termine e sono meno coinvolti in situazioni di panic selling. La parte del leone la fa il collezionismo d’arte moderna che ha registrato un giro d’affari di decine di miliardi di euro a livello globale con una crescita soprattutto in paesi come Stati Uniti e Cina.

SECONDO DELOITTE IL VALORE INVESTITO IN ARTE E OGGETTI DA COLLEZIONE DALLA CLIENTELA PRIVATE SUPERERÀ I 2.700 MILIARDI DI DOLLARI ENTRO IL 2016 I fattori scatenanti nell’acquisto di beni da collezionismo sono principalmente quello emotivo e quello di appartenenza a uno status sociale. Soprattutto nei paesi in via di sviluppo o dove si stanno affermando nuove élite di milionari, come la Cina e l’India, possedere in casa propria le opere di determinati artisti è il modo per sentirsi pienamente parte di quella ristretta privilegiata cerchia. Tuttavia anche il fattore finanziario sta diventando sempre 110 febbraio 2019

più importante rendendo il collezionista un cliente ideale per gli istituti che offrono servizi di private banking. Queste persone il più delle volte non sono degli avidi speculatori, bensì individui che accumulano valore in beni che li coinvolgono emotivamente e che al contempo possono proteggere e incrementare il loro patrimonio. Ciò porta a un aumento della domanda che richiede sempre di più servizi professionali relativi alla gestione e alla protezione del valore investito in un settore così potenzialmente variegato. Una grande maggioranza di collezionisti quindi,compra principalmente per soddisfare una passione, ma sempre più spesso con una visione


COLLEZIONISMO Alex Ricchebuono, esperto di lungo corso di asset management e “beni di passione”. Nella pagina accanto, il Salvator Mundi attribuito a Leonardo Da Vinci

d’investimento e con l’obiettivo di diversificare il proprio portafoglio per proteggerlo da improvvisi shock sui mercati.

Quali sono i trend nel collezionismo? Il mercato dell’arte e dei beni da collezione necessita oggi di strumenti di analisi e di gestione sempre più precisi e sofisticati, in grado di sopperire alla mancanza di standard e regolamentazioni uniformi. Questo è ancor più vero nel nostro Paese che è letteralmente una miniera d’oro di oggetti preziosi e antichi che però sempre meno incontrano l’apprezzamento dei collezionisti internazionali, storicamente dominato da un gusto più contemporaneo. C’è sempre più uno scollamento tra le generazioni di nuovi collezionisti dalle più disparate provenienze geografiche e culturali e il mondo classico dell’arte antica. Nel corso degli ultimi anni in effetti il comparto degli Old Masters è risultato il segmento più enigmatico e selettivo. Nonostante il tasso di invenduto medio molto elevato, dovuto alla presenza di un vasto numero di opere nei cataloghi d’asta che non sono riuscite ad attrarre l’interesse degli acquirenti, è comunque vero che ultimamente si è ripreso rispetto ai periodi precedenti. L’aspetto più rilevante è stata la grande incidenza di risultati d’asta inattesi, garantiti spesso dalla presenza di opere ricercate e molto apprezzate. Questo però non può far dimenticare che la parte del leone nel campo del collezionismo d’arte lo ha avuto e continua ad averlo il segmento dell’arte contemporanea, con la nascita di nuovi artisti e nuove correnti che hanno velocemente incontrato i gusti dei collezionisti. Per quanto riguarda gli altri oggetti, un segmento che per ora non conosce crisi è quello delle auto storiche e degli orologi di pregio. Le prime per la loro rarità e bellezza, i secondi per la facilità di trasporto e commercio e anche perché possono essere utilizzati e indossati anche tutti i giorni.

vanti in gestione. La divisione di Deloitte che si occupa di questo settore stima che il valore investito in arte e oggetti da collezione da parte dei clienti di private banking ammonterà a oltre 2.700 miliardi di dollari entro il 2026. Si tratta di una cifra davvero gigantesca e quasi doppia rispetto ai valori attuali che conferma la necessità di sviluppare servizi ad hoc per rispondere alle esigenze di una clientela in espansione e con una visione sempre più globale e sempre meno locale. La cosa interessante poi è che i beni da collezione, soddisfacendo come detto esigenze emozionali e di status symbol, sono meno soggette a forme di panic selling rispetto alle altre forme d’investimento finanziario tradizionali.

UN INVESTITORE SU SEI PUNTA SUL COLLEZIONISMO PER DIVERSIFICARE E PROTEGGERE IL PATRIMONIO

Com’è cambiato negli ultimi anni l’approccio a questo mercato? Quello che in origine era un hobby per ricchi facoltosi ed eccentrici filantropi in cerca di emozioni per rifuggire il tran tran della vita quotidiana, è diventato sempre più un’attività professionale gestita secondo principi e competenze di altissimo livello. Questo ha fatto nascere una serie di professionalità sempre più specifiche a supporto di chi si avvicina a questo poliedrico mondo. La competizione nel settore della gestione dei patrimoni è cresciuta di pari passo esprimendosi attraverso una sempre maggiore offerta di servizi di gestione rivolti a un numero relativamente circoscritto di individui e famiglie molto facoltose che include, tra le altre, la gestione delle opere d’arte e la manutenzione e l’affiancamento nella vendita di oggetti da collezione. Di qui la necessità sempre più sentita di sviluppare un approccio a 360 gradi nella gestione patrimoniale dei clienti perché altrimenti si rivolgerebbero altrove col rischio concreto di perdere asset rile-

I segmenti d’investimento più dinamici in arte e beni da collezione quali sono? Il mercato dell’arte e dei beni da collezione nel corso degli ultimi 18 mesi si è dimostrato più vivace e propositivo rispetto al 2016, anche se recentemente si è assistito a un rallentamento influenzato anche da fattori d’incertezza, quali la Brexit, e dalla recrudescenza della volatilità sui mercati con un effetto negativo sulla spesa destinata ai beni da collezione. Questo ha confermato una generale cautela negli acquisti e un’accresciuta selettività da parte dei collezionisti. Un migliore contesto economico a livello globale e una riduzione della volatilità sui mercati finanziari potranno certamente contribuire a rasserenare il clima facendo ritornare il trend sui binari di una crescita a lungo termine. Detto questo, i settori più vivaci sono stati come detto quelli dell’arte moderna post-war e dell’arte contemporanea. Mentre per i beni da collezione i segmenti più dinamici sono stati i vini, le auto storiche e gli orologi di pregio. febbraio 2019 111


COLLEZIONISMO La copertina del fanta-romanzo finanziario di Ricchebuono, che racconta la crisi post 2008 con gli occhi di un ex banker

Il 2017 è stato l’anno dei record... Nel 2017 il mercato a stelle e strisce ha confermato il suo ruolo di leader nelle aste del segmento della pittura, recuperando la spinta che lo aveva caratterizzato nel biennio 2014-2015. New York in particolare è stata in grado di attrarre i collezionisti più importanti e facoltosi, che hanno partecipato alle sue aste da ogni parte del mondo affascinati dalla scelta degli oggetti selezionati e dal costante livello di altissima qualità dei cataloghi. L’Asia ha seguito a ruota settando peraltro il nuovo record per il comparto gioielli con l’acquisto per oltre 71 milioni del Pink Star, un diamante rosa di purezza sopraffina, guadagnando nel 2017 il gradino più alto del podio per il comparto delle Arti Minori. Forte l’interesse dei collezionisti asiatici nei confronti dei beni più antichi di origine locale, nonché nei confronti delle aste dei vini, per le quali Hong Kong aveva già dimostrato la sua forza nel corso del 2017. Anche il mercato della pittura dell’area asiatica ha mostrato comunque una crescita importante in termini sia di volumi sia di vivacità. Tra i principali valori strappati nelle aste internazionali negli ultimi anni (vedi tabella) spicca senza dubbio il caso del Salvador Mundi di Leonardo, un dipinto che ha riscritto la storia del collezionismo internazionale con un prezzo di aggiudicazione di 450 milioni di dollari. Di recente poi abbiamo avuto i casi eclatanti dell’opera che si è autodistrutta di Banksy e il primo dipinto creato con Intelligenza Artificiale che hanno attratto l’interesse di curiosi e appassionati. A cosa occorre stare attenti? Le parole chiave sono lecita provenienza e tracciabilità della storia degli oggetti collezionati. Senza una certificazione di un esperto circa la qualità e autenticità dell’opera e in assenza dei documenti comprovanti l’acquisto e i vari passaggi di proprietà delle opere e degli oggetti posseduti, l’accesso alle aste internazionali è 112 febbraio 2019

praticamente compromesso. Ma sempre più operatori domestici seguono queste regole. Pertanto è fondamentale rivolgersi a degli esperti professionali e al mercato ufficiale onde evitare problemi. Non di rado si assiste a situazioni in cui collezioni accumulate negli anni ma prive delle necessarie certificazioni espongono collezionisti in buona fede, ma soprattutto i loro eredi, a spiacevoli sorprese, con il rischio concreto di ritrovarsi intere collezioni virtualmente non collocabili sul mercato. Questo vale soprattutto per quei beni come gli orologi e i vini pregiati che hanno un turnover più elevato e che un incauto acquisto può rendere invendibili. Dunque un approccio professionale anche e soprattutto in questo campo è fondamentale. Infatti in un mercato in crescita e molto ricco i falsari sono molto attivi e hanno maturato un’esperienza e una tecnica così sofisticate da essere in grado di piazzare sul mercato falsi di qualità eccelsa con le relative pezze d’appoggio, naturalmente falsificando anche quelle.

Top 10 delle opere battute in asta preso Sotheby’s e Christie’s nel 2018 Artista/ Anno realizzazione

Opera

Risultato

Casa d’asta

Data d’asta

1 Amedeo Modigliani 1917

Nu couché (sur le côté gauche)

157.159.000

Sotheby’s New York

14 maggio

2 Pablo Picasso 1905

Fillette à la corbeille fleurie

115.000.000

Christie’s New York

8 maggio

3 Edward Hopper 1929

Chop Suey

91.875.000

Christie’s New York

13 novembre

4 David Hockney 1972

Portrait of an Artist (Pool with Two Figures)

90.312.500

Christie’s New York

15 novembre

5 Kazimir Malevich 1916

Suprematist Composition

85.812.500

Christie’s New York

15 maggio

6 Claude Monet 1914-17

Nymphéas en fleur

84.687.500

Christie’s New York

8 maggio

7 Henri Matisse 1923

Odalisque couchée aux magnolias

80.750.000

Christie’s New York

8 maggio

8 Constantin Brancusi La jeune fille 1932 sophistiquée

71.000.000

Christie’s New York

15 maggio

9 Pablo Picasso 1937

Femme Au Béret Et À La Robe Quadrillée (Marie-Thérèse Walter)

69.204.720

Sotheby’s Londra

28 febbraio

10 Willem de Kooning Woman as Landscape 1954-55

68.937.500

Christie’s New York

13 novembre

Fonte: elaborazione basata sui dati pubblicati dalle case d’asta



MALALINGUA Vittorio Borelli Giornalista di lungo corso, condirettore de Il Mondo, fondatore e direttore di East, già direttore delle relazioni esterne di Unicredito nella gestione Rondelli-Profumo

LA PRIMA ANALISI COSTI-BENEFICI? SEMPLICEMENTE DIVINA

S

baglia chi pensa un laconico “shit”. Bernardo che l’analisi colo ignorò, anzi andò da Papa sti-benefici sia Innocenzo III e gli chiese nata con la Tav. di essere nominato capo E con Tonineldel foundraising papale e li. Nelle antiche scritture di bollare come eretico il persiane si ipotizza che la rivale. “Va bene per il founprima risalga addirittura al draising” rispose Innocenzo Creatore. Il quale, di fronte “ma Abelardo?”. “È la spina alla lamentele di Adamo e nel fianco della nostra narEva per un Eden in cui gli razione vincente” spiegò unici svaghi si riducevano Bernardo. “Con tutta i suoi al correre nudi dietro alle libri, la sua cultura, la sua farfalle, s’inventò la scenegaria eternamente pensogiata del serpente che porsa… Se vuoi la tua Crociata ge la mela a Eva. “Almeno devi cacciarlo. Poi ti mando me li tolgo di torno” pensò PECCATO ORIGINALE, PIETER PAUL RUBENS un Pdf con il mio business il Buonuomo. Sennonché, plan”. all’ultimo, fu assalito dal Poco convinto, il Papa predubbio: “Se li faccio uscire, tese che si organizzasse quelli si mettono a fornicare una sfida oratoria tra i due. come conigli e mi diventano Ma quando Abelardo seppe prima centinaia, poi migliaia, che la contesa sarebbe stata infine miliardi. E con miliargiudicata soltanto da vescovi di di umani sai le rotture di eterodiretti non si presentò marroni! Ogni giorno valane prese la via dell’eremo di ghe di preghierine, pressioni Cluny, dove morì. La Seconda psicologiche, richieste d’arbiCrociata venne indetta e fece trato… Per non dire di quelli la fine della prima. che bestemmiano dalla mattina alla sera come fossero in Rete”. Nel 1500, la vicenda dei due monaci fece dire all’arguto NicNell’impossibilità di chiedere consiglio a chicchessia, Dio si ri- colò Machiavelli che i risultati delle analisi costi-benefici spose da solo: “Ok. Ma se li tengo qui non vedrò mai la ruota, la dipendevano non dalla competenza ma dalla composizione carta igienica, la tv, Marylin Monroe, lo scacciapensieri, il gelato delle commissioni. “Non lasciatevi intimorire dalla retorica al limone, la Rai e il Festival di Sanremo con polemiche incorpo- degli esperti” spiegò strizzando l’occhio al ministro delle rate! Caro Alter Ego, il mio infinito è certamente grandioso, ma è Carrozze a cavalli Introninelli. “I tecnici sono sempre di due anche infinitamente noioso”. tipi: quelli d’accordo con te e quelli in disaccordo. Basta sceUn altro importante esempio di analisi costi-benefici si ebbe gliere bene”. nel 1100 con la diatriba tra due monaci: Bernardo di Chiara- In tempi più vicini, il caso più noto di analisi costi-benefici valle e Pietro Abelardo. I due avevano idee opposte su tutto, fu quello della partecipazione degli Usa alla Seconda Guerreligione compresa. Abelardo era un secchione triste, scon- ra Mondiale. Divisi i partiti, divise Wall Street e le società di troso e riservato, un ibrido tra Sergio Mattarella e Graziano rating, divisa l’opinione pubblica, soltanto i militari e l’induDelrio. Bernando un interventista compulsivo e caciarone stria del cinema tifavano per l’entrata in guerra. I militari per alla Vittorio Sgarbi. Convinto della necessità di una Seconda ragioni ovvie, Hollywood perché aveva già in mente una seCrociata, Bernardo chiamò a sé un gruppo di esperti dello rie di commoventi kolossal, come quello interpretato da Ben Ior e chiese loro di spiegare perché la Prima, guidata da Pie- Affleck, capaci di rendere simpatici gli americani al mondo tro l’eremita, fosse finita in un pasticcio tragicomico. Il ver- intero. “Perché – scrisse la commissione costi-benefici nodetto dei tecnici fu netto: la Prima Crociata era finita male minata dal presidente Roosvelt – nessuno comprerebbe mai per difetto di leadership, di investimenti esteri e di comu- qualcosa da un venditore antipatico. E noi, dopo la guerra, nicazione. Informato del responso Abelardo commentò con avremo molto da vendere per rientrare dell’investimento”.

Toninelli ha tratto ispirazione dalla Bibbia e dalla storia delle Crociate. Ma ha anche attinto dagli scritti del Machiavelli. E dai Diari di Roosvelt

114 febbraio 2019




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