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INVESTIRE | ANNO II | N.13 | MENSILE | FEBBRAIO | DATA DI USCITA IN EDICOLA: 4 FEBBRAIO 2020 | POSTE ITALIANE S.P.A. - SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - D.L. 353/2003 (CONVERTITO IN LEGGE 27/02/2004 N° 46) ART. 1, COMMA 1, LO/MI
CONSULENZA
Advice, la nuova frontiera è fee based: piace l’idea di pagare i consigli, non più i prodotti. Una ricerca esclusiva di Finer per IWBank e Investire
DI MURO (IWBANK) «Il nostro grande cantiere sulla professione del futuro»
GHIZZONI (ROTHSCHILD SPA): «IN UN’ERA DI INCERTEZZE SI APRONO GRANDI SPAZI PER IL RISPARMIO GESTITO»
ENASARCO, LA SFIDA DI “FARE PRESTO”
• DOSSIER/ Il ruolo del credito popolare nel Sud • Hedge Fund, tutti i perchè della grande fuga • Petrolio, l’oro nero destinato a vivere in bilico
• Parla Bufi: «I miei anni all’Anasf» • È l’ora del personal branding • Illiquidi, decolla la sfida di Azimut
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Studiato per investire sulla crescita strutturale cinese, JPMorgan Funds – China A-Share Opportunities Fund è gestito da un team esperto che lavora per individuare le migliori idee senza vincoli di benchmark e concretizzarle scegliendo aziende di qualità con elevato potenziale di crescita nel lungo termine. Per sapere di più www.jpmam.it
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EDITORIALE
L’advice è pura se è in buona fede di Sergio Luciano
“T
utto è puro per i puri” (omnia munda mundis): lo dice quel grande personaggio manzoniano che è Padre Cristoforo ne “I promessi sposi”, qualche lettore con i capelli grigi se lo ricorderà. Quella celebre frase del classico ottocentesco torna in mente a sentir parlare di “consulenza pura”, un concetto quanto mai attuale tra i risparmiatori più avvertiti e gli operatori finanziari più attenti, come ben dimostra la ricerca svolta da Finer per IWBank e Investire che sintetizziamo in questo numero. Un concetto che dunque rientra spesso nel dibattito professionale in corso nel mondo del risparmio gestito e che ritornerà anche nelle giornate di Consulentia, dal 4 al 6 febbraio 2020 a Roma. Ma cos’è, la consulenza pura? Da quali impurità è esente? La risposta tecnica è articolata, profonda e precisa. Merita di essere lasciata agli approfondimenti specifici. Ma c’è anche una risposta etica, valoriale e sociale. Che definisce “pura” quella consulenza volta esclusivamente a fare al meglio – secondo scienza e coscienza professionale applicate al momento dato – gli interessi del cliente. Previo pagamento, si capisce: la consulenza è un lavoro, non è filantropia; ma un pagamento il più possibile riferito alla creazione di un valore aggiunto, per il cliente, aggiunto cioè rispetto al mero atto di vendita di un bene d’investimento piuttosto che d’un altro. In questa direzione sembra andare il nuovo interesse che suscitano le forme di consulenza “fee based”, se non addirittura “fee only”, dove quindi il costo del servizio è indipendente dalla tipologia del prodotto acquistato. Una consulenza che assomigliasempre di più, in questo senso, all’atto professionale del bravo medico, che effettuata la diagnosi delle necessità del paziente-cliente, prescrive la medicina più adatta, scegliendola tra tutta la farmacopea disponibile, e non lasciandosi minimamente influenzare dai rapporti d’interesse o conoscenza che può avere con questa o quella casa produttrice farmaceutica. Intendiamoci – ed è qui che la frase manzoniana s’incastra perfettamente:
ogni consulenza è “pura” quando è fatta in buona fede professionale nell’esclusivo e massimo interesse del cliente. Essa può quindi senza alcun dubbio coincidere anche con la proposta di un prodotto finanziario emesso dalla casa stessa per la quale il consulente opera, a patto che il professionista sia in buona fede sicuro della qualità di quella sua proposta. Il che per fortuna – e a onore della categoria – già accade nella stragrande maggioranza dei casi. Una buona consulenza finanziaria è dunque sempre “consulenza pura”. Ma evidentemente non sempre la gente ci crede. Compito storico di chi gestisce e colloca prodotti finanziari, compito umano e sfida professionale, è convincere quanta più gente possibile a crederci. A fidarsi. Compito umano e sfida professionale perché – come ben illustra Federico Ghizzoni nella sua intervista in questo stesso numero di Investire – mai come in questa fase storica di evoluzione e circostanze di mercato inedite il fai-da-te del risparmio è sconsigliabile, se non ai superesperti e ai temerari. E se ben 1400 miliardi di euro delle famiglie italiane giacciono, non gestiti e quindi oggi non redditizi, sui conti correnti bancari, è evidente che enorme è il mercato potenziale da far finalmente emergere. Con un’opera di “apostolato finanziario” che tutte le case d’investimento e le reti di vendita dovrebbero fare più di quanto già non facciano. Ma anche con una crescita generale della reputazione del ruolo e della figura di chi fa consulenza finanziaria. Una crescita reputazionale da costruire sul campo, con lo stile, la competenza, la dedizione, l’attaccamento al ruolo. “Il modo per ottenere una buona reputazione sta nell’agire per essere ciò che desideri apparire”, insegnava Socrate tremila anni fa. E ai nostri giorni Warren Buffett insegna che “ci vogliono vent’anni per costruire una reputazione e cinque minuti per rovinarla. Se pensi a questo, farai le cose in modo diverso”. Ecco, alla fin fine – e al di là dei pur importanti dettagli tecnici – quel che conta è mantenere e accrescere la reputazione della consulenza. Con i fatti e non a chiacchiere.
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Registrazione Tribunale di Milano N. 126 del 27/3/1982 Numero iscrizione ROC: 29993 Direttore responsabile Sergio Luciano Caporedattore Marco Muffato Newsroom Marina Marinetti, Marco Scotti, Riccardo Venturi,
Raffaela Jada Gobbi, Liliana Nori, Claudia Spatafora Hanno collaborato Antonio Quaglio (Consulente del direttore), Rosaria Barrile, Ugo Bertone, Giacomo Damian, Giuseppe D’Orta, Fabiana Giacomotti, Monica Setta, Claudio Riva, Nicola Ronchetti, Gloria Valdonio Contributors Enrico Cisnetto, Anna Gervasoni,
Andrea Margelletti, Marco Onado, Matteo Ramenghi, Giulio Sapelli, Franco Tatò Partnership Editoriali Anasf, Assoimmobiliare Redazione info@economymag.it Segreteria di redazione Monia Manzoni Presidente e A.D. Giuseppe Caroccia
Editore incaricato Domenico Marasco Responsabile commerciale Luca Ronzoni Casa editrice Economy Group s.r.l. Piazza Borromeo 1, 20123 Milano Tel. 02/89767777 Distribuzione Pressdi - Via Mondadori, 1 Segrate - 02 7542097 Stampa Stampa Rotolito. S.p.a 20063 - Cernusco S.N. (MI)
febbraio 2020
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SOMMARIO Febbraio 2020
03 EDITORIALE 09 WATCHDOG 10 IL SISMOGRAFO
di sergio luciano
L’advice è pura se è in buona fede
13 IL GERMANISTA 14 FINANZA REALE 16 III REPUBBLICA
di franco tatò
L’economia soffre per il gap tecnologico
di marco onado
Professioni a rischio?La tecnologia non ha colpe
di g.sapelli
di a.gervasoni
Anni 20, la sfida cinese porterà a nuovi assetti
di e.cisnetto
L’omicidio Soleimani, un atto di deterrenza
Il “Rosatellum” ko, serve il proporzionale
COVERSTORY CONSULENZA PURA
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I risparmiatori cercano sempre più consigli indipendenti? La soluzione è far pagare il servizio non il prodotto
LA RICERCA FINER
RIVOLUZIONE IWBANK
Il servizio fee only piace ai clienti patrimonializzati
La svolta fee based raccontata dal dg Dario Di Muro
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SPECIALE CONSULENTIA 20
24 SETTIMA EDIZIONE AL VIA 26 PARLA MAURIZIO BUFI 28 FINANZA COMPORTAMENTALE Tutti i numeri della manifestazione dedicata ai cf
MONDO
Il presidente Anasf fa il bilancio dei suoi mandati
92
Un prodotto è buono se ne cogli il valore
94
FOCUS RETI
30 32 BANCA EUROMOBILIARE PERSONAL BRANDING
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Cosa fanno le reti per valorizzare i loro consulenti
I piani sulla clientela Hnwi e sul reclutamento
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febbraio 2020
96
COSMOPOLITICA di Andrea Margelletti Dopo Berlino, il futuro della Libia è più fosco
QUI PARIGI di Giuseppe Corsentino Debito pubblico, Francia batte Italia
QUI NEW YORK di Glauco Maggi
Effetto impeachment? Economia e listini Usa volano
IL GIRO DEL MONDO IN 30 GIORNI
Goldman Sachs e lo scandalo del fondo malese
kairospartners.com
ActivESG
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BENVENUTI NEL CIRCOLO VIRTUOSO TRA SOSTENIBILITÀ E VALORE. KIS ActivESG è la proposta di Kairos dedicata agli investimenti responsabili che investe in società rispettose dell’ambiente, attive nel sociale e guidate da solidi principi di governance. È tra le prime soluzioni di investimento ESG in Italia che adotta una strategia di gestione long-short. La consolidata expertise in metodologie di gestione alternative, unitamente alla capacità di selezione dei titoli, basata su di un rigoroso processo di analisi fondamentale, consente infatti a Kairos di proporsi sul mercato con un’offerta distintiva. KIS ActivESG è una scelta sostenibile, che si propone di generare un impatto positivo sul mondo, continuando a valorizzare il patrimonio dei nostri clienti.
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SOMMARIO
INVESTIRE SPECIALIST 34 36 38 40 42 45 50 52 54 70
AZIMUT/ L’ad e dg Paolo Martini anticipa le nuove mosse sul mercato degli strumenti illiquidi
PRIVATE EQUITY/ Il 2019 è stato un anno record per le operazioni d’investimento nelle imprese ROTHSHILD SPA/ Parla il presidente Ghizzoni: «In questa fase praterie per il risparmio gestito»
LISTINI BOLLENTI/ Il Toro avrà ancora fiato? dipenderà dalla Cina e dalle banche centrali
HEDGE FUND/ Chiusi 4.000 fondi, i riscatti raddoppiano. Le ragioni di una débȃcle
PETROLIO/ Il greggio in bilico tra nuova domanda e spinte per la decarbonizzazione EULER HERMES/ Assicurazione dei crediti. Ne parla il board member Michele Pignotti
USA-CINA/ Arriverà la quiete dopo la tempesta della guerra commerciale?
ELEZIONI ENASARCO/ Parlano i leader della lista “Fare Presto! E fare bene”
MUTUI/ Estinzioni anticipate dei finanziamenti. Una sentenza dà il là alla caccia ai rimborsi dei costi
74 76 81 82 83 84 86
FIDINAM/ Storia e servizi della società leader
nella consulenza fiscale, aziendale e immobiliare
ANNIVERSARIO/ Francesco Priore, decano dei consulenti finanziari, racconta 50 anni di mestiere PF GOLF/ Parte il circuito dell’associazione dei
consulenti finanziari golfisti. Prima tappa a Parma
SEDIE & POLTRONE/ Donato Savatteri cresce in T.Rowe Price e diventa head of Southern Europe
PROFESSIONE CONSULENTE/ Troppo pochi i servizi studiati per la Silver economy
POLE POSITION/ Banche, una crisi dovuta alla trasformazione che non riguarda tutti
UNA POLTRONA PER TRE/ Sfida sulle materie prime con scelte di portafoglio al massimo rischio
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DOSSIER BANCHE E SUD Grazie al ruolo delle banche popolari l’obiettivo di salvaguardare le realtà produttive del Mezzogiorno, che altrimenti sarebbero scomparse, è stato raggiunto. Ma l’impegno per il benessere del territorio continua
101 ASTE IMMOBILIARI
108 AUTOAPPASSIONATI
102 FASHION
110 BIBLIOTECA
104 IL DENARO DEI VIP
112 EDUCAZIONE FINANZIARIA
106 WHISKY
114 MALALINGUA
Si può pagare a rate il prezzo della casa?
Collezioni donna castigate, maschi tremate
Parla Alessandro Morelli, il pivot di Salvini
Pappy, il distillato Usa diventato culto
6
febbraio 2020
Il nuovo capitolo della Renaul Captur
Crediti deteriorati, il saggio di un banchiere
Il titolo ideale abbini performance ed Esg
La svolta del giornalismo 4.0: parità tra le fonti
WATCHDOG Marco Onado È professore senior di Economia degli intermediari finanziari nella Università Bocconi di Milano. È stato Commissario Consob. Collabora con “Il Sole - 24 Ore”, “Lavoce.info” e “voxeu.org”.
IL GIGANTISMO DEI PLAYER È IL PROBLEMA, NON LA TECNOLOGIA
A
gennaio abbondano sui giornali di mezzo mondo gli articoli sull’anno che verrà e spesso è difficile distinguere tra le pensose (e spesso oscure) previsioni degli esperti e le vaghe (ma quasi sempre rosee) indicazioni degli astrologi. C’è però un grafico interessante pubblicato dal Financial Times all’interno di una rassegna sui grandi cambiamenti dell’anno, di particolare interesse per i lettori di questa rubrica. Il grafico illustra la relazione tra la remunerazione media oraria di una serie di professioni e la probabilità che queste siano rimpiazzate nel prossimo futuro dalla tecnologia e in particolare dall’intelligenza artificiale; è anche indicato il grado di istruzione media delle varie categorie considerate. La prima caratteristica che colpisce l’attenzione è che non esiste professione che non sia colpita dal fenomeno. Le più a rischio sono quelle in cui il livello di istruzione è medio (scuola media superiore) e in cui l’attività è molto meccanica: con percentuali superiori all’80 per cento ci sono tassisti, panettieri e anche cuochi (sì, l’intelligenza artificiale deciderà se la cotoletta è cotta al punto giusto) questi ultimi appena sopra agli chef, che si presume finiranno in trasmissioni televisive. Tra le categorie meno toccate dal problema c’è quella degli analisti finanziari, il cui livello medio di istruzione è ovviamente superiore. È un dato interessante e anche consolatorio perché ci dice che l’applicazione dell’intelligenza artificiale alla gestione di portafogli, che pure avanza continuamente, avrà sempre bisogno di un controllo da parte dell’uomo. La tecnologia è sempre un passo avanti rispetto alla fallibilità della mano e della mente umana, ma non è perfetta. Nel profetico film di Stanley Kubrick 2001 Odissea nello spazio, il computer Hal che guida la missione impazzisce e regredisce al livello infantile, cantando filastrocche mentre l’astronauta si perde nello spazio. Non è eccesso di fantasia: gli ultimi incidenti aeronautici e la decisione (costosissima) della Boeing di mantenere a terra il nuovo aereo i cui sistemi elettronici di bordo (proprio come Hal) avevano di fatto reso tardivo e inefficace l’intervento umano, dimostrano il costo tragico che può avere l’eccesso di fiducia nella tecnologia. E quando si hanno in mano i risparmi di una vita di milioni di persone, il problema non è meno importante di quando sono in ballo le vite umane.
Ovviamente, il Financial Times ci dice che la probabilità che gli analisti finanziari vengano sostituiti dalle macchine è molto più bassa (circa il 10 per cento) rispetto ad altre. Ma questo non comporta che non succederà. Il problema fondamentale di sopravvivenza della professione sta ancora nel vecchio dilemma tra gestione attiva e gestione passiva. Per quanto quest’ultima sia stata una grande invenzione (dovuta al genio di uno dei padri nobili del risparmio gestito americano, John Bogle) non è affatto vero che la gestione attiva sia stata soppiantata. Anzi, secondo stime di Bloomberg sarebbe almeno dieci volte superiore a quella passiva e ben di più nel settore obbligazionario, dove il concetto del replicare un benchmark è ancora più lontano dagli obiettivi reali degli investitori. Il problema strategico per la professione è piuttosto legato agli sconvolgimenti che stanno avvenendo negli ultimi anni a causa del persistere di un basso livello di tassi di interesse, che rende non accettabili i livelli commissionali su cui il settore si è cullato per decenni. Quando il lunghissimo boom di Borsa si arresterà, come prima o poi deve succedere (e non è detto che non sia proprio il 2020 l’anno della svolta) il problema esploderà in tutta la sua dimensione. A quel punto molti gestori di piccole e medie dimensioni dovranno affrontare uno scenario fatto di contrazione delle masse gestite e quindi dei ricavi e saranno prede facili per i grandi operatori del settore. I livelli di concentrazione del settore, già giunti a livelli solo pochi anni inconcepibili (Blackrock gestisce oltre 6 trilioni di dollari e ha partecipazioni significative in tutte, ma proprio tutte, le società quotate nei principali indici) aumenteranno ulteriormente. Già da tempo, qualche esperto del settore ha detto che una società di asset management su tre è destinata a essere assorbita da altre più grandi e la tecnologia sarà proprio uno dei fattori che distinguerà i compratori (i grandi attori) dagli acquisiti (i piccoli). E i dipendenti di questi ultimi, analisti finanziari compresi, saranno a rischio, come sempre succede nelle fusioni. Il responsabile non sarà tuttavia l’intelligenza artificiale, ma un mondo che ha smesso di preoccuparsi del gigantismo dei grandi protagonisti della finanza mondiale (e del mondo della comunicazione in generale), ignorando che il capitalismo ha dato risultati straordinari solo quando ci si è preoccupati di assicurare un livello accettabile di concorrenza in tutti i mercati. Un’altra storia quindi e altro colpevole, ben diverso dalla tecnologia, da mettere sul banco degli imputati. febbraio 2020
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IL SISMOGRAFO Giulio Sapelli È Ordinario di Storia Economica presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Milano e direttore scientifico della Fondazione Enrico Mattei.
L'OMICIDIO SOLEIMANI, UN ATTO DI DETERRENZA
C
hi critica Trump per il suo commissione della Cina all’interno del Wto un’eportamento con l’Iran non ha mai norme occasione di valorizzazione. La Cina letto Kissinger. Come sempre, ancessava di essere percepita come una potenza che in questo caso, emerge che comunista dittatoriale e veniva accolta come ciò che dirige il mondo è la culun partner con cui addivenire a una negoziatura delle persone e degli uomini. Forse solo zione guidata fondamentalmente dall’impetra qualche decennio capiremo quali danni rativo della valorizzazione capitalistica e della ha fatto il disconoscere, come accade oggi, la rendita finanziaria. teoria realista della diplomazia internazionale E veniamo all’Iran: nei confronti dell’Iran è teorizzata da due grandi maestri, Raymond avvenuto lo stesso processo. Nonostante oggi Aron ed Henry Kissinger, teorici dei due granl’Iran sia una nazione neo-revisionista, in polidi imperi, quello francese e quello statunitentica estera, molto simile a quello che era l’Urss. se, entrambi protesi al dominio dei due grandi Non solo l’Iran contesta l’esistenza stessa di oceani. Solo per un soffio – non dimentichia- IL GENERALE QASEM SOLEIMANI Israele, non solo respinge tutte regole nella molo! - la Francia non è stata a capo anche politica internazionale, ma ha creato addiritdel continente nordamericano. Così sarebbe avvenuto se avesse tura un’organizzazione di fatto assimilabile a quella che era l’invinto la guerra combattuta con gli inglesi tra Canada e Montagne ternazionale comunista con i suoi partiti, aggregati dal progetto Rocciose. Senza dimenticare che solo dal ’54 la Francia ha separa- di disgregare l’ordine capitalistico. Oggi, al posto dei partiti coto i suoi destini dall’Asia. La grande differenza tra le storie dei due munisti nazionali coordinati da Mosca, esistono le milizie sciite e imperi è che gli Stati Uniti, anche quando hanno perso sul terreno le truppe dei pasdaran operanti nei vari territori. Una realtà che il loro dominio militare, hanno continuato di fatto a esercitarlo era guidata dal generale Qasem Soleimani che operava e opera attraverso una superiorità militare, e dunque una deterrenza, per distruggere sia la potenza saudita sia lo stato di Israele sia che continua a essere di 1 a 1000 oggi ancor di più grazie alla tutto ciò che possa condurre a una pacificazione e a un abbassasuperiorità tecnologica. È stata questa superiorità, concentratasi mento della tensione conflittuale che per ragioni storiche ha pernella deterrenza verso l’ex Unione Sovietica, teorizzata e guidata meato da decenni tutto il Grande Medioriente. Con quest’approcdall’intellettuale più potente del XX secolo che è stato appunto cio rischiava di riprodursi nuovamente una situazione di pericolo Henry Kissinger, che ha condotto al crollo dell’Urss. Liberando un nucleare che solo illusoriamente il presidente Obama, erede di potenziale economico e culturale quale mai si era visto prima, su quella trasformazione del partito democratico prima evocata. scala planetaria. Non dimentichiamo che questo è stato il vero Ci si è sempre illusi - facendo correre un grave pericolo a Israele risultato della fine della guerra fredda. Perché non avremmo avu- - che l’Iran potesse essere distolto con un semplice trattato dal to gli effetti benefici che la globalizzazione ha avuto se non fosse perseguire la propria potenza nucleare. crollata l’Urss. Ma anche i domini più forti possono essere messi Naturalmente la storia non si fa con teorie spionistiche o cospirain crisi. Dal crollo dell’Urss non è sortito un nuovo accordo di Yal- torie. Credo che l’attacco delle milizie di Soleimani all’Ambasciata ta, e il mondo – nulla sostituendosi al precedente duopolio rus- americana di Baghdad non sia avvenuto per ordine del medesiso-americano – è caduto nel disordine. Anzi: dal profondo della mo, troppo intelligente, ma per il fanatismo dei suoi seguaci. Costoria nordamericana è nata quella trasformazione inaspettata munque, di fronte a questo attacco, fosse o no diretto o voluto del partito democratico che ha avuto i suoi pilastri nei coniugi da Soleimani, gli Usa non potevano non rispondere: avrebbero Clinton e in Madeleine Albright, che si è unita a quella del labu- dato un gravissimo segno di debolezza non solo sul fronte inrismo inglese, ed ha fatto sì che entrambi questi partiti non solo terno, come accadde con la vicenda degli ostaggi di Teheran che sia siano posti a capo della deregolamentazione finanziaria glo- costarono la presidenza a Carter, ma anche nei confronti dell’islabale ma si siano fatti anche entrambi influenzare dalle teorie di mismo estremistico, e avrebbero ancor più precipitato il Grande Leo Strauss (il leader dei cosiddetti neocon nordamericani) so- Medioriente in una confusione pericolosissima. stituendo quindi la politica estera fondata sulle teorie realistiche L’uccisione di Soleimani non è stata un omicidio come ho avuto con quella fondata sui diritti umani. E dunque abbandonando sia sfortuna e il terrore di leggere, ma un atto di deterrenza, un atto la teoria della ragion di Stato sia la teoria della deterrenza. realistico, per intimidire l’Iran e il gruppo fanatico ierocratico che Figlia di questa trasformazione ideologica, fortemente spinta oggi è alla sua testa. Credo che questo atto abbia aperto le sperandella finanza internazionale, è stata l’apertura del sistema com- ze dei mercanti del bazar iraniano e di tutti coloro che si opponmerciale internazionale alla Cina. Questa visione vedeva nell’am- gono con coraggio contro l’attuale regime dittatoriale di Teheran. 10
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IL GERMANISTA Franco Tatò Manager eclettico e innovativo, è tra i pochissimi italiani ad aver diretto aziende in Germania, paese (e cultura) che ama ed è l’unico ad essere stato amministratore delegato sia di Rizzoli che di Mondadori
L’ECONOMIA ARRANCA PER COLPA DEL GAP TECNOLOGICO
Q
uando all’inizio del 2019 abbiamo letto che in Germania si prevedeva un andamento recessivo, dopo anni di continua crescita del prodotto interno lordo e in generale di brillante espansione di tutte le attività economiche, fummo tutti sorpresi anche perché l’anno precedente si era chiuso con risultati eccezionali. Alcuni con preoccupazione, altri con malcelata soddisfazione ci siamo chiesti se il primo della classe non stesse perdendo qualche colpo. Nessuno però si aspettava l’inizio di una seconda crisi dopo quella del 2008. La crisi del 2008 fu una crisi finanziaria e le onde partite da Lehman Brothers misero in difficoltà l’intero sistema finanziario tedesco. Grandi nomi anche a livello internazionale mostrarono improvvisamente debolezze insospettate. Come tutte le situazioni di crisi, la crisi finanziaria del 2008 ha messo in luce le debolezze del sistema, istituti che si ritenevano imbattibili con una punta di supponenza germanica, scoprirono che i loro sistemi tecnologici erano arretrati, che erano stati compiuti clamorosi errori di management, che valutazioni tardive e topiche strategiche rischiavano di far collassare anche istituti dei quali nessuno avrebbe potuto immaginare una tale situazione. Alcuni di questi problemi si trascinano ancora oggi, dopo che il sistema finanziario tedesco compiuto una grande ritirata dai mercati finanziari internazionali per concentrarsi sul mercato domestico con un profilo bassissimo. E come sempre in questi casi si scopre di avere ALICE WEIDEL troppa gente, troppe filiali, buoni rapporti con i clienti, ma servizi arretrati e insufficienti. Quindi iniziano pesanti ristrutturazioni, prepensionamenti, licenziamenti e così via. Ma più sorprendente è il ritardo tecnologico, ritardo che nessuno immaginava e che dimostra l’impreparazione del sistema ad affrontare i nuovi modi di fare finanza col supporto di tecnologie avanzate. Non è la prima volta che difficoltà enormi scuotono il sistema. Molti ricorderanno la chiusura della Bank für Gemeinwirtschaft e il collasso Dresdner Bank, della quale alcuni superstiti frammenti fanno parte della Allianz per permetterle di seguire la moda della bancassurance, assorbendo le magagne con le robuste spalle del monopolista assicurativo. La crisi attuale, perché di crisi si tratta, è una crisi industriale le cui motivazioni profonde furono annunciate dal cosiddetto Dieselgate, causato non da vere difficoltà tecnologiche, ma da clamorosi errori di management di tipo sconosciuto alla tradizione tedesca, cioè quello di aggirare i problemi con un ben mascherato sotterfugio, invece di risolverli. Ora è emerso il ritardo nello sviluppo delle automobili elettriche e l’evidente imprepa-
razione dell’industria automobilistica ad affrontare la rivoluzione dei prodotti con tutte le sue conseguenze. Un altro settore che sta affrontando difficoltà enormi è quello della costruzione di macchine, fiore all’occhiello dell’industria tedesca, che vede assottigliarsi il portafoglio ordini in gran parte per perdita di competitività a causa del carente utilizzo di nuove tecnologie. Abbiamo già avuto modo di dire che la Germania ha un ritardo abbastanza importante nell’uso delle nuove tecnologie, ritardo che si estende dalla finanza all’industria, all’istruzione, all’amministrazione pubblica. Che questo fenomeno possa avere effetti importanti o drammatici sulla situazione economica non lo crede nessuno. Infatti l’indice Dax delle aziende più importanti quotate alla Borsa di Francoforte ha raggiunto negli ultimi giorni di gennaio il record assoluto. Credo che questo sia dovuto al fatto che i conti dello Stato e la gestione della cosa pubblica sono in ordine, che il bilancio dello Stato ha chiuso il 2019 un profitto di venti miliardi e che quindi il Paese dovrebbe avere riserve finanziarie sufficienti per affrontare problemi anche importanti senza aumentare l’indebitamento. Se cerchiamo di capire a cosa è dovuta la fama della Germania come Paese altamente affidabile, scopriremo che questa deriva soprattutto dalla stabilità di governo e da quello che si può chiamare buon governo. La decennale esperienza della grande coalizione ha permesso di identificare per tempo i problemi politici e sociali risolvendoli con un sostanziale consenso dei cittadini. Anche questa situazione è destinata a cambiare. La martellante opposizione della AfD, che si può concentrare solo su pochi temi fomentati da loro stessi, come l’immigrazione, il danno economico di una politica verde, la gestione eccessivamente conservatrice delle riserve finanziarie. Credo che la situazione politica cambierà per la necessaria fine della grande coalizione l’ affacciarsi sulla scena politica di un forte partito verde. Ma anche l’AfD è cambiata, gli adepti della prima ora sono scomparsi con metodi meno sanguinosi dell’eliminazione delle SA e si sono presentati sulla scena politica personaggi come Gaulad e Weidel, oratori straordinari. Gli interventi parlamentari di Alice Weidel sono capolavori di retorica, ricordano i discorsi di Hitler e di Goebbels. I sorrisi di sufficienza con cui vengono accolti dagli avversari politici ricordano quanto avveniva all’inizio degli anni ‘30, quando sono stati tutti seppelliti. Speriamo che non succeda, che il prossimo Governo Federale si concentri su obiettivi realistici e condivisi, così da bloccare questa infezione, analoga alla influenza cinese che ci sta minacciando. febbraio 2020
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FINANZA REALE Anna Gervasoni Professore Ordinario di Economia e Gestione delle Imprese alla Liuc di Castellanza. È anche direttore generale dell’Aifi (Associazione italiana del private equity, venture capital e private debt)
ANNI 20, LA SFIDA CINESE PORTERÀ A NUOVI ASSETTI
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Cruciale il piano di sviluppo Made in China 2025 finalizzato al primato nell’hi-tech mondiale. Con riflessi sulle pmi italiane
l dato del Pil Cinese, +6,1% nel 2019, elevato rispetto agli standard occidentali, è in netta flessione rispetto al passato; difficile dire quanto ha pesato la tensione UsaCina sui dazi, nodo che pare sciolto anche se la guerra commerciale continua e vedremo con quali armi si giocherà. Certo è che la crescita è rallentata anche perché la Cina è sempre più interdipendente dalle altre economie. Esiste un tema di crescita interna, e su questo è la politica cinese che deve fare le sue scelte, ma abbiamo un effetto fortissimo che deriva dai rapporti con le altre economie dove le imprese cinesi sono clienti e fornitori primari. Le restrizioni tariffarie tra opportunità di profitto, ben oltre i trend di mercato. i due Paesi hanno già determinato una forte contrazione degli Possiamo quindi provare a convertire una situazione di tensioacquisti americani da parte del Paese asiatico e viceversa. Ma ne dei mercati per migliorare il nostro grado di competitività non ci sono solo rapporti di export import di prodotti di largo e avvantaggiarcene per diventare protagonisti nelle attività consumo. commerciali anche in quel mondo che oggi sembra a noi inavLe reti sono più articolate, riguardano le subforniture, i semi- vicinabile. La Cina, però, è anche diventata leader in alcune lavorati, la componentistica, i servizi. Difficile dire in quale mi- tecnologie e questo non può che avere degli impatti nel lungo sura questo possa anche rappresentare una opportunità per il termine. Pensiamo ad esempio al tema dei big data. Dobbiamo nostro Paese e per l’Europa. Secondo i dati Unctad (la Confe- guardare con attenzione al piano di sviluppo pluriennale Made renza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo) e ripre- in China 2025 dove uno dei focus è il raggiungimento del primasi da un Rapporto di previsione di Confindustria, ci sarebbero to nell’hi-tech mondiale: nelle reti, nell’intelligenza artificiale, significative prospettive di crescita dell’export, quantificate in nei big data e nella robotica. Gli Usa sanno che la crescita cinecirca 70 miliardi di dollari, di cui 50 miliardi verso gli Stati Uniti se è determinata da questi programmi. Questi fenomeni come d’America anche perché, tali prodotti non sono sostituibili con peseranno sui mercati finanziari? Quali saranno le dimensioni quelli locali quindi serve un fornitore esterno. Una opportunità relative dei mercati e quali saranno i nuovi grandi operatori da per le imprese italiane? Alcune sono già ben radicate, altre sono tenere d’occhio? Non più solo un mercato di sbocco o un mercapronte? to di fornitura a basso costo: per le imprese italiane si cercherà Forse sì ma devono strutturarsi e servono capitali per permette- in Cina un partner commerciale, un partner tecnologico o un re il loro ingresso nel mercato internazionale e il private capital potenziale acquirente? Gli anni 20 saranno un interessante inpuò essere un ottimo supporto perché ha aiutato, vedi ricerca treccio di politica e economia che ci porterà a nuovi assetti. Liuc – Università Cattaneo, nell’82% delle operazioni di investimento, a migliorarne i processi di espansione anche se la grande maggioranza di queste era già operante oltre confine. Il lavoro del fondo ha permesso, in oltre il 90% dei casi, un potenziamento della loro crescita. Le aziende in fase non ancora così avanzata, durante il periodo di permanenza del fondo, il cosiddetto holding period, hanno avviato, nella metà dei casi, il processo di ingresso per aggredire nuovi mercati oltre a quello italiano. Altro elemento che può servire alla crescita delle nostre aziende riguarda le attività di M&A: quelle che vogliono internazionalizzarsi realizzano in media quasi due operazioni di acquisizione, privilegiando l’acquisto di competitor per consolidarsi sul mercato. Contrariamente a molti preconcetti, le più attive, in questo processo, sono le pmi che operano nei settori industriali e dei beni di consumo e il 59% di queste ha un fatturato inferiore ai 50 milioni di euro. Si crea valore e si creano GIUSEPPE CONTE E XI JINPING 14
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TERZA REPUBBLICA Enrico Cisnetto È un editorialista, economista e conduttore televisivo italiano, ideatore della trasmissione televisiva Roma InConTra. È conferenziere, consulente politico-strategico e tifoso della Sampdoria
IL MAGGIORITARIO HA FALLITO, TORNIAMO AL PROPORZIONALE
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attarellum, Porcellum, Italicum, Rosatellum 1 e Rosatellum 2. E adesso, forse, Germanicum. Il risiko è ripartito e la legge elettorale sta per subire l’ennesima mutazione. Perchè i partiti, incapaci di dar vita a un sistema politico maturo, tentano la scorciatoia del meccanismo di voto, naturalmente cercando quello più PALAZZO MONTECITORIO utile alla loro sopravvivenza. È dal 1994 che la politica tenta di recuperare credibilità cavalcando l’anti-politica, tra le altre cose abbandonandosi all’illusione del maggioritario e del bipolarismo, quella per cui “la sera delle elezioni bisogna sapere chi ha vinto”. Ma non sta scritto da nessuna parte che debba essere per forza così, tanto che non accade né in Germania né in Spagna, che sono forme di democrazia parlamentare, nelle quali è normale che le maggioranze di governo si formino in parlamento. Mentre altra cosa è un sistema presidenziale, come quello francese e statunitense. Noi invece per tutta la Seconda Repubblica abbiamo avuto un maggioritario nelle urne, senza adeguare l’architettura istituzionale. Con molti danni e nessun vantaggio. Per esempio non ha prodotto stabilità, visto che nessuna coalizione è stata mai confermata alla successiva tornata elettorale, che due legislature sono finite anticipatamente e troppi governi si sono alternati con maggioranze assai più variabili di quelle della Prima Repubblica. Inoltre non c’è stata l’auspicata semplificazione, visto che i partiti si sono moltiplicati esponenzialmente rispetto ai tempi del proporzionale, semmai s’è creata degenerazione, perché tale è stato il perenne scontro “armato” tra due coalizioni contrapposte (berlusconiani contro anti-berlusconiani) che ha prodotto un sostanziale immobilismo. Insomma quello che abbiamo realizzato è una mostruosa caricatura del bipolarismo. Conseguenza, anche del dna di un paese individualista, frazionista e campanilista come il nostro, che non è fatto per un sistema politico maggioritario in cui chi vince prende tutto e chi perde fa l’opposizione
preparandosi al game successivo. Perché chi conquista la maggioranza dei seggi parlamentari per effetto di meccanismi “dopanti” del voto, poi si ritrova incapace di governare, non avendo il sufficiente consenso nella società. E allora, qual è il sistema elettorale migliore, qui e ora? Diciamo che se il centro-sinistra è quello dell’asse tra Pd e 5stelle, che regge l’attuale governo, e il centro-destra è una coalizione ad assoluta trazione sovranista e populista (Salvini e Meloni), allora non solo non è un crimine, come dicono i cantori dell’anti-politica, ma è salutare voler tornare al proporzionale. A maggior ragione alla luce del taglio di un terzo dei parlamentari, che genera un evidente problema di rappresentatività. La legge attualmente in vigore, il cosiddetto “Rosatellum”, è costruita male, visto che è a base proporzionale ma con una quota di maggioritario che obbliga ad allearsi prima del voto in coalizioni che inevitabilmente si sciolgono un minuto dopo. Dunque toglierla di mezzo potrebbe essere un vantaggio, ma a patto di non peggiorare le cose. Per cui se proporzionale deve essere, che sia in chiave pienamente tedesca: sbarramento al 5%, diritto di tribuna, sfiducia costruttiva in caso di caduta del governo, preferenze (minore dei mali rispetto alle liste bloccate), possibilità del voto disgiunto, riscrittura dei regolamenti di Camera e Senato per scongiurare le transumanze parlamentari (quelli approvati di recente sono stati facilmente aggirati). Ma non basta. Occorre sconfiggere il dominio dell’incompetenza e farla finita con i leader che durano lo spazio di un mattino. E se è vero che nella Prima Repubblica il sistema proporzionale funzionava perché esistevano dei partiti strutturati, forti, capaci di selezionare la classe politica, allora è assolutamente determinante che le forze politiche tornino “partiti” con una chiara radice culturale e politica. Movimenti e partiti personali, no grazie. Basta così. (twitter @ecisnetto)
Il “Rosatellum” va mandato in soffitta. La politica può recuperare credibilità solo adottando il proporzionale alla tedesca. Che funziona così...
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PER INVESTIRE IN OBBLIGAZIONI
INTEK 2020-2025
PREcEdENTE EMISSIONE: Obbligazioni INTEK 2015-2020 interamente sottoscritte da più di 2.000 sottoscrittori ANdAMENTO STORIcO: valore di quotazione delle Obbligazioni INTEK 2015-2020 sempre compreso tra il 99 e il 104% del valore nominale LOTTO MINIMO dI INVESTIMENTO: 1.080 euro Dal 27 gennaio al 14 febbraio sarà possibile sottoscrivere alla pari le Obbligazioni INTEK 2020-2025 al tasso fisso del 4,50%* Dal 27 gennaio al 11 febbraio per i possessori delle Obbligazioni INTEK 2015-2020 sarà possibile scambiare 1 obbligazione vecchia con 1 nuova. * Tasso annuo lordo fisso
L’Offerta in Sottoscrizione delle Obbligazioni Intek Group SpA 2020-2025 (codice ISIN IT0005394884) è indirizzata al pubblico indistinto in Italia. Per sottoscriverle, rivolgiti alla tua banca o al tuo intermediario. Prima dell’adesione leggere il Prospetto Informativo. L’approvazione del Prospetto non deve essere intesa come approvazione dei titoli offerti. L’Offerta Pubblica di Scambio parziale su massime n. 2.354.253 obbligazioni è rivolta ai possessori delle Obbligazioni Intek Group SpA 2015-2020 in circolazione (codice ISIN IT0005074577) ed è effettuata alla pari rispetto ai rispettivi valori nominali. Per aderire all’Offerta Pubblica di Scambio, rivolgiti alla tua banca o al tuo intermediario. Prima dell’adesione leggere il Documento d’Offerta. Per maggiori informazioni sull’offerta in sottoscrizione e sull’offerta di scambio è possibile consultare la documentazione sul sito www.itkgroup.it/it/operazionistraordinarie oppure contattare il Global Information Agent Georgeson tramite mail a offerte-intek@georgeson.com o chiamando il Numero Verde 800 123 793
MESSAGGIO PUBBLICITARIO CON FINALITà PROMOZIONALI. L’Offerta in Sottoscrizione di Obbligazioni del Prestito Obbligazionario “Intek Group SpA 2020-2025” è indirizzata al pubblico indistinto in Italia, a investitori qualificati in Italia e a investitori istituzionali all’estero. Le Obbligazioni, del valore nominale di 21,60 euro ciascuna, saranno emesse ad un prezzo pari al 100% del valore nominale, avranno una durata di 5 anni ed una cedola fissa annua lorda del 4,50% pagata annualmente in via posticipata, offrendo un tasso di rendimento annuo lordo effettivo a scadenza del 4,50%. Alla scadenza, il Prestito Obbligazionario verrà rimborsato alla pari, ovvero al 100% del valore nominale. è inoltre prevista la facoltà per Intek Group SpA (Intek) di rimborsare anticipatamente, anche parzialmente, le Obbligazioni a decorrere dalla scadenza del secondo anno, secondo le modalità previste dal Prospetto Informativo. Le proposte di acquisto delle Obbligazioni dovranno essere effettuate esclusivamente attraverso il Mercato Telematico delle Obbligazioni (MOT) di Borsa Italiana SpA, avvalendosi degli intermediari. Il Prestito Obbligazionario sarà ammesso alle negoziazioni sul MOT. L’Offerta di Scambio è rivolta ai portatori delle Obbligazioni “Intek Group S.p.A. 2015-2020” (Obbligazioni 2015). Intek riconoscerà a ciascun aderente all’Offerta di Scambio n. 1 Obbligazione (avente le medesime caratteristiche delle Obbligazioni oggetto dell’Offerta in Sottoscrizione) per ogni Obbligazione 2015 portata in adesione all’Offerta di Scambio, oltre al pagamento in denaro del rateo interessi maturato fino alla data di regolamento. Per l’Offerta in Sottoscrizione le adesioni sono raccolte sul MOT, e pertanto, non è richiesta la sottoscrizione di alcuna scheda di adesione. Per l’Offerta di Scambio è invece richiesta la sottoscrizione della scheda di adesione. Prima dell’adesione alle Offerte leggere il Prospetto Informativo approvato dalla Consob in data 23 gennaio 2020 ed il Documento di Offerta, che in base alle norme in vigore, ha natura volontaria e non è pertanto stato oggetto di approvazione da parte di Consob. Il Prospetto Informativo ed il Documento di Offerta sono disponibili, in formato cartaceo, per tutta la durata delle Offerte, presso la sede legale di Intek, in Milano, Foro Buonaparte n. 44, in formato elettronico, sul sito internet di Intek (www.itkgroup.it/it/operazionistraordinarie) nonché, quanto al Documento di Offerta, presso l’Intermediario Incaricato del Coordinamento della Raccolta delle Adesioni, Equita SIM SpA, con sede legale in Milano, Via Turati n. 9. Si invita, in particolare, a prendere visione delle caratteristiche e dei rischi dell’investimento in obbligazioni.
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COVERSTORY
CONSIGLI INDIPENDENTI
FEE ONLY O BASED, IL CLIENTE CERCA VERA CONSULENZA di Marco Muffato
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l cliente è pronto al grande cambiamento. La ricerca di Finer, realizzata in collaborazione con IWBank e Investire (descritta dal suo autore Nicola Ronchetti a pagina 20 e 21), offre uno spaccato importante sull’evoluzione dei gusti degli investitori di alta fascia in materia di consulenza finanziaria: circa l’89% dei clienti Hnwi, il 67% di quelli private e il 45% di quelli affluent si dicono molto interessati all’offerta di un servizio di consulenza finanziaria fee only. Un messaggio e a un tempo un invito alle reti di consulenti finanziari di strutturarsi per offrire un servizio che ha almeno due fondamentali valenze: la prima è che il financial advisor di casa nostra sarebbe pagato a parcella per i suoi consigli alla stregua di un avvocato e di un dottore commercialista e quindi non più per il momento finale della sua attività che si concretizza nella individuazione dei prodotti in portafoglio. Essere pagato per i consigli e non per i prodotti che vendi è un passaggio simbolicamente forte. Segna l’approdo a una concezione più matura della professione dove sono premiate a monte le capacità del consulente finanziario di individuare esigenze e di compiere delle scelte nell’interesse dei clienti e non più a valle della relazione, cioè al momento della scelta della soluzione d’investimento. Il consulente stesso è così chiamato a una presa di coscienza
che lo responsabilizza di più o lo induce a investire sullo sviluppo delle proprie competenze assecondando le iniziative di alta formazione sempre più diffuse tra le reti di consulenza finanziaria e finalizzate a trasformare il financial advisor di casa nostra in un professionista a tutto tondo: un consulente patrimoniale, capace di interpretare cioè non solo i bisogni finanziari ma in grado di allargare il proprio raggio di azione agli ambiti extra-finanziari del patrimonio del cliente, quali per esempio le proprietà immobiliari e la gestione dei passaggi successori. La seconda valenza nella scelta di un servizio di consulenza fee only o fee based è che porta al superamento del potenziale conflitto d’interessi interno al sistema di remunerazione di reti e consulenti nel momento in cui premia il momento del collocamento. Con la tentazione di scegliere il fondo di un asset manager anziché di un altro, oppure un fondo anziché un Etf, per valutazioni di mera convenienza in termini commissionali. Per amore di verità va evidenziato che, se anche fino a oggi il momento premiante per l’intermediario in termini economici sia stato sempre rappresentato dal collocamento, in realtà già da anni come promotore finanziario prima e poi con il cambio di denominazione in consulente finanziario ha lavorato a lavora con i clienti in un’ottica di pianificazione finanziaria e quindi comunque molto professionale. Chiamarsi consulente finanziario vuol dire però uscire dal limbo e vedersi finalmente valutato e premiato per il momento più qualitativo della propria azione che consiste nella architettura complessiva degli investimenti del cliente. Infine un messaggio ai clienti: il passaggio da un sistema di remunerazione a un altro non comporta necessariamente né una diminuzione né un aggravamento di costi. Semplicemente se prima come investitori pagavano per ottenere prodotti ora pagheranno per ottenere consigli che il sistema di pricing fee only o fee based, quando adottato dall’intermediario, contribuirà a rendere più indipendenti. febbraio 2020
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LA RICERCA FINER IN COLLABORAZIONE CON IWBANK E INVESTIRE
LA DOMANDA DI ADVICE CRESCE ECCO COSA CHIEDONO I CLIENTI di Nicola Ronchetti
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a consulenza finanziaria di qualità è oggi massima- nista – sia esso un consulente finanziario, un private banker o mente richiesta e fondamentale per l’economia del un gestore bancario - è apprezzato soprattutto per la sua prenostro paese nel suo complesso, ricoprendo un ruo- parazione e la sua professionalità (che pesano mediamente più lo sempre più sociale. Basti pensare che gli italiani dell’80%), per la disponibilità e la sua reperibilità (70%) e per detengono in media un terzo del proprio patrimonio la sua capacità di ascolto apprezzata in modo crescente da chi finanziario in liquidità, cioè ci sono ben mille trecento miliardi di ha patrimoni più consistenti (45% clienti mass market, 57% afeuro parcheggiati sui conti correnti, infruttiferi e destinati a per- fluent e 76% private). Consulenza è dunque capacità di ascolto, dere progressivamente parte del loro potere di acquisto. Anche d’altronde l’evoluzione del ruolo del promotore finanziario oggi in altri Paesi la quota di liquidità è elevata (in Spagna e Germania consulente finanziario ha sancito progressivamente il cambio è superiore all’Italia), ma in Italia la metà delle famiglie italiane culturale da venditore a consigliere esperto. Questa evoluzione detiene in liquidità il cento per cento del proprio patrimonio. Le è stata accompagnata anche dall’ampliamento dei bisogni dei motivazioni di questo atteggiamento certamente autolesionista clienti che non si riducono più alla sola gestione dei propri risono da ricondurre a due fattori sopra tutti: 1) il calo di fiducia sparmi, ma includono anche i temi del credito e della protezione. verso le banche; 2) la scarsa proattività da parte delle stesse nel In tempi di tassi zero è abbastanza contro intuivo vedere come i contattare e nell’educare i clienti. Una sorta di circolo vizioso: tassi di crescita del ricorso al credito (sia al consumo che immoda un lato le recenti crisi circoscritte a poche banche inaffidabili biliare) siano oggettivamente bassi (+6% credito al consumo, che hanno comunque bruciato 45 miliardi di euro di risparmi -14% immobiliare). Sul tema protezione poi la misura del fenoprivati, hanno gettato un’ombra su tutto il sistema; dall’altro la meno della sotto assicurazione è impressionante se consideriamaggior parte delle nostre banche che sono solide e sane paiono mo il bene più prezioso degli italiani: la casa. In Italia i possessori poco proattive. Tra gli italiani cosiddetti affluent, cioè con con- di una casa sono circa l’80% e a fronte di circa 56 milioni di unità sistenze finanziarie superiori ai duecento mila euro ben il 20% abitative private ne sono assicurate meno di un milione. Se poi è da un anno che non sente o vede il proprio referente, il 55% facciamo un confronto europeo sulla diffusione delle polizze a solo una volta l’anno. E come se non bastasse, i pochi contatti si riducono LA REPUTAZIONE DELLA BANCA molto spesso alla tentata vendita a freddo di un prodotto e non all’ascolto E LA PREPARAZIONE DEL PROFESSIONISTA dei progetti e quindi alla proposizione Fatto 100 i motivi per i quali ha affidato i suoi risparmi/ i suoi investimenti a… di una loro realizzazione. Il mercato che peso darebbe a ognuna di queste variabili? (risposta singola valori %, totale = 100) in Italia è dominato dalle banche, che pur alle prese con profonde ristrutturazioni, godono di una rendita di 70 65 posizione derivante dalla loro brand 60 equity ovverossia dal valore del loro marchio, frutto di una presenza fisica e 50 di un radicamento sul territorio storici. Solidità e affidabilità (fondamentali 40 nel 91% dei casi), buona reputazione 32 30 (79%), il consiglio di amici e parenti (66%) e la capacità di generare fiducia 20 (52%) sono i veri asset delle migliori 10 banche italiane. Subito dopo il valore 3 della banca viene il ruolo centrale del 0 referente per gli investimenti che pesa I costi La preparazione del professionista L’affidabilità della banca un terzo nella scelta finale di affidare i propri soldi in gestione. Il professio- FONTE: RICERCA FINER REALIZZATA IN COLLABORAZIONE CON IWBANK PRIVATE INVESTMENTS E INVESTIRE 20
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COVERSTORY IL REFERENTE PER GLI INVESTIMENTI: PREPARATO, DISPONIBILE, CON UNA BUONA REPUTAZIONE E DISPONIBILE AD ASCOLTARMI Quando pensa al suo referente in banca, al suo consulente o referente per gli investimenti cosa è più importante per lei? (risposta multipla valori %) 100 90 80 70 60 50
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Mass Market (fino a €50K) La sua preparazione professionalità La sua reputazione e serietà
Affluent (fino a €500K)
Private (oltre €500K)
La sua disponibilità, reperibilità La sua capacità di ascoltarmi
FONTE: RICERCA FINER REALIZZATA IN COLLABORAZIONE CON IWBANK PRIVATE INVESTMENTS E INVESTIRE
protezione dei beni e del patrimonio e consideriamo che l’Italia temporale degli investimenti che in Italia è mediamente inferioè uno dei paesi più flagellati da alluvioni e da terremoti il con- re a quello europeo; 3) il bisogno di definire il profilo di rischio fronto è terrificante. Il rapporto premi pagati sul prodotto inter- dell’investitore. Questi nuovi fronti richiedono da un lato prono lordo è in Italia dell’1% con una media dei premi per abitante fessionisti preparati che sappiano lavorare in team dove siano di 279 euro, in Francia 2,5% con 865, in Germania 2,4% con 996, presenti competenze trasversali, dall’altro istituzioni (banche, in Olanda 7,2% con 3.259. Ecco che in questo contesto il ruolo assicurazioni, reti di consulenti finanziari) solide, credibili e didel cf è essenziale: se è in grado di trasmettere fiducia nel suo sponibili a riprendersi il ruolo anche sociale che avevano le pricliente probabilmente potrà guidarlo verso scelte più consape- me banche nate non a caso in Italia cioè quello di finanziare l’evoli. La consulenza è un processo ricorsivo che richiede tempo conomia reale e di avvicinare la finanza alla vita di tutti i giorni. e costanza da parte di un professionista qualificato che operi possibilmente senza L’INTERESSE PER IL SERVIZIO DI CONSULENZA FINANZIARIA subire eccessive pressioni sull’acquisizione di nuovi clienti, masse e budget di pro“FEE ONLY”: PIACE AI CLIENTI PIÙ PATRIMONIALIZZATI dotto. L’evoluzione degli stili di vita degli (valori % - risposta singola) italiani sta segnando anche la modalità 100 di interpretare il ruolo della consulenza. 89 Pensiamo alla ricomposizione del nucleo 80 familiare, sempre meno figli e sempre 67 più anziani, allo stock del risparmio degli 60 italiani che è superiore ai loro flussi reddituali, alla generazione nata nel dopo 45 41 guerra che ha consentito alle generazioni 40 successive un futuro, fungendo spesso da 23 ammortizzatore sociale. In epoca di tassi 14 20 10 10 zero è poi sempre più complesso trovare investimenti in grado di offrire rendimen1 0 ti degni di questo nome, e quindi si aproAffluent Private HNWI no tre nuovi fronti tra loro correlati: 1) l’accessibilità al grande pubblico degli inMolto intessati Abbastanza interessati vestimenti illiquidi (private equity/debt, Poco o per niente infrastrutture, crediti non performanti); 2) la necessità di allungare l’orizzonte FONTE: RICERCA FINER REALIZZATA IN COLLABORAZIONE CON IWBANK PRIVATE INVESTMENTS E INVESTIRE febbraio 2020
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INTERVISTA A DARIO DI MURO
ARRIVA LA CONSULENZA FEE BASED IWBANK INFRANGE L’ULTIMO TABÙ di Marco Muffato
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e reti e la consulenza fee based, un binomio impensabile fino a qualche anno fa, diventato oggi realtà anche per i financial advisor di casa nostra e i loro clienti grazie a IWBank Private Investments, banca del gruppo UBI Banca. Dario Di Muro, direttore generale di IWBank, è l’artefice di questa svolta, annunciata nella Convention milanese della banca lo scorso 23 gennaio presso l’Università Bocconi. Nella circostanza è stata presentata anche una ricerca realizzata da Finer, commissionata da IWBank e realizzata in collaborazione con Investire, sul tema “Consulenza e wealth management: le richieste dei clienti e i fattori di successo”, che conferma la bontà della scelta strategica dell’istituto focalizzata sullo sviluppo della consulenza evoluta.
LA RETE DEI CF DI UBI BANCA LANCIA IL SERVIZIO IWPROADVICE DIRETTO ALLA CLIENTELA TOP
Quali sono i risultati della ricerca di Finer, commissionata da IWBank e Investire, che l’hanno impressionato di più e perché? Nella ricerca presentata alla nostra Convention, il dato che suscita la maggiore attenzione – e che non è una sorpresa ma semmai per noi una conferma - è la richiesta da parte dei clienti di servizi di consulenza a tutto tondo, non solo in ambito finanziario ma afferenti a tutto il patrimonio, dal real estate, a tutte le possibili esigenze di successione, fino alla ottimizzazione fiscale. Altra conclusione molto interessante della ricerca e in linea con la nostra visione del business è che questa consulenza a tutto tondo è ancora più gradita se proviene da un professionista che lavora per un brand apprezzato per solidità e competenza. Il terzo aspetto di assoluto interesse è relativo al livello di maturazione del mercato per quello che riguarda il recepimento dell’offerta di consulenza evoluta, in particolare da parte dei profili di clientela top.
La consulenza fee based piace dunque ai clienti in particolare ai clienti di fascia alta e altissima. Anche IWBank vuole puntarci e come? Come accaduto in molte altre occasioni, i nuovi servizi saranno inizialmente apprezzati dalla fascia più alta di clientela ma siamo convinti che con il passare del tempo anche la fascia media apprezzerà sempre più i servizi di consulenza fee based. La consulenza evoluta, lo ricordo, può essere prestata in due modi: on top cioè aggiungendo alle commissioni che normalmente si percepiscono dall’asset manager una commissione che remunera il servizio di consulenza, anche extra-finanziaria, oppure con una 22
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modalità fee based, in cui il distributore rinuncia a tutte le commissioni girate dall’asset manager in favore di un’unica fee pagata dal cliente che va a remunerare il servizio offerto. Adottando questa seconda modalità si passa da una remunerazione fondata sul prodotto a una basata sul servizio.
Possiamo definirla una svolta rivoluzionaria per il mondo della distribuzione dei servizi finanziari? Sì, a nostro avviso è una svolta epocale. Tanto è vero che IWProAdvice ha rivestito un ruolo centrale all’interno della nostra Convention. Il servizio riassume quanto detto, consente cioè di fornire al cliente una consulenza sulla parte finanziaria del patrimonio unitamente alla componente immobiliare, a servizi in ambito fiscale/successorio e alla consulenza su eventuali portafogli finanziari detenuti presso banche terze. È una consulenza che quindi va a coprire tutte le possibili esigenze del cliente. Siamo consapevoli di non essere i primi a lanciare questo servizio però siamo allo stesso tempo soddisfatti perché riteniamo che sia assolutamente completo. E lo è anche in virtù del fatto di aver alle spalle un gruppo, UBI Banca, che ci mette a disposizione competenze e strumenti di altissimo livello nell’investment banking: dalla corporate advisory, cioè dalla consulenza sulle aziende, a tutte le forme tecniche del credito; dalle attività di m&a alla costituzione di veicoli fiduciari quali per esempio i trust. Il mercato, rispetto al passato, sembra pronto a recepire la novità… Infatti noi siamo convinti che il mercato sia a un punto di svolta: si sta verificando una forte convergenza che porta in direzione di una totale trasparenza: mi riferisco alla nuova reportistica prevista dalla Mifid 2 che spinge gli
COVERSTORY Dario Di Muro, direttore generale di IWBank Private Investments
operatori a evidenziare tutti i costi sostenuti dal cliente, ma anche alla tecnologia che consente al cliente con pochi clic di acquisire e visionare le informazioni necessarie a prendere decisioni sempre più consapevoli e, in ultimo, alla volontà da parte dei clienti di partecipare molto più che in passato alle scelte in ambito finanziario. Se questo è il quadro d’insieme siamo convinti che la risposta più corretta sia quella di un modello di business che si fondi sulla trasparenza, sulle competenze del consulente e su un’architettura assolutamente aperta in tutte le tipologie di prodotti, dal risparmio gestito all’amministrato fino all’assicurativo e ai certificati. Noi riteniamo di aver imposto un modello di business che fa suoi gli aspetti di trasparenza, architettura aperta e formazione di grande qualità per permettere al consulente di essere in possesso di tutte le competenze necessarie. La consulenza evoluta diventa così l’aspetto caratterizzante della nostra proposta assicurando massima trasparenza, azzerando qualsiasi conflitto d’interesse e supportando il cliente in tutte le esigenze in modo da generare il massimo valore possibile. E il cliente in più saprà subito quanto pagherà per il servizio… Il cliente naturalmente saprà con esattezza quanto paga perché non dovrà fare la somma dei costi come accadeva in passato, la
L’IWBANKER SECONDO IWBANK
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IWBanker è il professionista che rappresenta l’eccellenza della consulenza finanziaria, perché in grado di coniugare competenze e condivisione dei valori fondativi della banca. Alla centralità del cliente, l’IWBanker affianca sempre: • Competenza: per essere costantemente all’altezza delle aspettative. • Formazione: per migliorarsi e accogliere con entusiasmo e consapevolezza le evoluzioni del mercato. • Integrità: per meritare la fiducia e consolidare la relazione con il cliente.
fee sarà infatti commisurata a una percentuale del patrimonio gestito.
Il vostro servizio di consulenza fee based sarà erogato da tutta la rete? Il servizio IWProAdvice sarà erogato da tutti i nostri consulenti finanziari, sia wealth manager che non. Noi siamo partiti già dal 2019 con un programma formativo di change management che coinvolgesse tutta la rete, 700 consulenti finanziari, e che spiegasse le logiche, la filosofia e gli aspetti operativi del nuovo servizio di consulenza evoluta. Adesso riprenderemo l’erogazione dei moduli formativi per completare quel percorso e mettere tutti i professionisti in grado di offrire il servizio migliore. Quali sono le altre novità che avete presentato in Convention? Abbiamo presentato il nuovo portale dei cf denominato SMART, un acronimo che richiama i nostri valori di fondo, i valori a cui ci ispiriamo nel nostro rapporto con i clienti, ossia: Sostenibilità, Metodo, Ambizione, Risultati, Trasparenza. Il nuovo portale di cui sono stati presentati alla rete i primi moduli, è proprietario e nasce dalla stretta collaborazione tra i consulenti finanziari e i tecnici informatici. Tutte le funzionalità sono state concepite infatti sulle esigenze del consulente: SMART quindi sarà utilizzato quotidianamente, una vera e propria scrivania virtuale che il consulente porterà con sé ovunque. E per fruire al meglio del nuovo portale abbiamo concluso un accordo con un importante provider IT per mettere a disposizione dei nostri consulenti un tablet di ultima generazione, a condizioni molto agevolate.
Anche alla luce della Convention di Milano, quali sono ora i vostri obiettivi per l’anno in corso e i seguenti? La Convention è stata focalizzata sui nostri valori perché adesso vogliamo guardare lontano e a più ampio respiro. I valori sono le radici, che ti consentono di crescere rimanendo ben saldo sul terreno, e pertanto la nostra azienda deve guardare all’obiettivo di raggiungere i 20 miliardi di asset under management (oggi a quota 13,5 miliardi. N.d.r.) e i 1000 consulenti finanziari (oggi 700. N.d.r.) nel più breve tempo possibile. Queste ambizioni si basano su una valutazione fondata sulla sola crescita organica della nostra banca. febbraio 2020
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SPECIALE / CONSULENTIA 20 GRANDI EVENTI
CONSULENTIA, L’AVVENTURA CONTINUA (ALLA GRANDE) di Mario Romano
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e ha fatta di strada ConsulenTia. La manifestazione romana, giunta alla sua settima edizione che si svolge anche quest’anno a febbraio nel tradizionale e suggestivo scenario dell’Auditorium Parco della Musica, è la più attesa non solo dai consulenti finanziari di tutta Italia ma da parte di tutti gli addetti ai lavori del risparmio gestito. E può permettersi – con soddisfazione – di tirare le somme e fare un po’ i conti su quella che è diventata oggi dalla storica prima edizione del 2014. Un po’ di numeri In sette edizioni, la rassegna di incontri e formazione organizzata dall’Anasf, l’associazione di categoria dei consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede, ha visto
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LA MANIFESTAZIONE ROMANA DELL’ANASF, RISERVATA ALL’AGGIORNAMENTO DEI CONSULENTI FINANZIARI, È GIUNTA ALLA SETTIMA EDIZIONE infatti quasi raddoppiare il numero dei partecipanti. Dai 1.640 della prima storica edizione, ai 3.044 e 3.000 di ConsulenTia 2018 e 2019. Per non parlare degli sponsor passati dai 24 del 2014 ai 54 dell’edizione 2019 o dei giornalisti accreditati dai 30 del 2014 ai 50 del 2019. Con queste premesse l’edizione 2020, che prende inizio questo mese di febbraio da martedì 4 a giovedì 6, ha le carte in regole per battere tutti i record di partecipazione.
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Vicini alla professione E a proposito del crescente successo della manifestazione, il direttore generale dell’associazione di categoria dei consulenti finanziari Germana Martano spiega che «Quando Anasf ha lanciato ConsulenTia l’obiettivo era quello di realizzare un appuntamento interamente dedicato alla categoria che rappresentiamo, costruito intorno ai temi che riguardano da vicino la professione. Ciò che è diventato nel tempo è fonte per noi di grande soddisfazione. Oggi ConsulenTia è un punto di riferimento per tutta l’industria del settore e per i professionisti della consulenza, dove la parola d’ordine è confronto. Per questo motivo l’edizione 2020 della manifestazione riporta come pay off Il più grande appuntamento dei consulenti finanziari». «L’evento ideato da Anasf è stato in grado in questi anni non solo di portare sul tavolo del dibattito l’attualità del mondo della consulenza finanziaria in Italia ma anche di anticipare le ricadute che le novità normative o i mercati avrebbero avuto sulla professione, stimolando un dibattito tra tutti gli attori coinvolti. In tempi non sospetti abbiamo parlato di ricambio generazionale nella professione, di Mifid, per fare solo alcuni esempi”, ha continuato Martano.
I NUMERI ATTESTANO IL SUCCESSO CRESCENTE DELLA RASSEGNA: DAI 1.64O PARTECIPANTI DEL 2014 AI 3.000 DEL 2019
Format dinamico ConsulenTia 2020 riserva anche quest’anno delle sorprese stimolanti per i partecipanti. «Trovato un format dinamico e che funziona, abbiamo sempre mantenuto alto il livello dei temi della tre giorni e anche per la settima edizione nazionale Anasf ha in serbo un programma che saprà offrire ai partecipanti stimoli e riflessioni innovativi. A partire dall’appuntamento di “Un’ora con…”, che vedrà come ospiti Marco Bentivogli, segretario generale della Federazione Italiana Metalmeccanici Cisl, ed Enrico Giovannini, economista, statistico e accademico italiano, che interverranno su lavoro, tecnologia e sostenibilità. Un momento che è sempre stato molto apprezzato dalla platea. Il valore aggiunto poi sarà la pos-
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sibilità di incontrare nell’ampia area espositiva le case prodotto che ogni anno ci accordano fiducia confermando la loro partecipazione e di ascoltare le loro view sui mercati negli incontri in programma che si svolgeranno nelle due sale Sinopoli e Petrassi, che lavoreranno in parallelo”, ha concluso Martano. Doppia edizione Ricordiamo che ConsulenTia, oltre all’appuntamento invernale di febbraio che si svolge sempre nella Capitale, dal 2016 prevede anche una edizione autunnale itinerante che si è svolta dapprima a Treviso (2016), poi a Torino (2017), quindi a Napoli (2018) e infine a Bologna (2019).
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SPECIALE / CONSULENTIA 20 INTERVISTA CON MAURIZIO BUFI
«CONTRATTO, PERSONA GIURIDICA, GIOVANI: E LA PROFESSIONE VOLERÀ» di Marco Muffato
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a settima edizione di ConsulenTia coincide con un momento importante in casa Anasf, l’imminente addio di Maurizio Bufi alla presidenza dopo due mandati al vertice dell’associazione di categoria dei consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede. Otto anni ricchi di soddisfazioni personali ma anche per la categoria che rappresenta, come la nascita dell’Albo unico dei consulenti finanziari sotto l’egida dell’Ocf. La casa di tutti i consulenti finanziari infatti porta anche e soprattutto la firma di un Bufi determinatissimo nell’attuarla. Proprio con il presidente uscente Investire fa il punto su passato, presente e futuro di Anasf e della professione di consulente finanziario.
IL PRESIDENTE USCENTE DELL’ANASF RICORDA I SUOI DUE MANDATI E MANDA UN MESSAGGIO AL SUO SUCCESSORE…
Bufi, ConsulenTia è uno dei fiori all’occhiello della sua esperienza alla presidenza di Anasf. Quali sono i ricordi più significativi delle precedenti sei edizioni? Quale ritiene sia stata la più importante e perchè? Per quanto riguarda le precedenti edizioni, la prima e la seconda, quando abbiamo messo a confronto i bilanci delle principali società, analizzati dall’Università Bocconi, già allora chiamate a misurarsi sul futuro del settore della consulenza, attraverso il modello di business prevalente in Italia. Come pure i convegni dedicati al nuovo Albo, che stava prendendo forma e che ha visto protagonisti, oltre ad Anasf, le associazioni degli intermediari e le autorità. L’ultima, quella del 2019, e so già che quella di quest’anno sarà a sua volta da ricordare, perché la migliore deve ancora venire. Dico questo, perché ConsulenTia è stata concepita e rimane un “work in progress” con un impianto collaudato, che fin dalla prima edizione ha centrato l’obiettivo, perché ha rappresentato una cornice interamente dedicata al mondo dei consulenti e delle reti, aperto alla società, al di là dei pur specifici confini professionali. Ricordo, a questo riguardo, come abbiamo voluto dedicare un apposito spazio ai temi dell’attualità economica, con il format di “Un’ora con ...”, che ha sempre riscosso grande apprezzamento. Qual è l’aspetto più interessante a suo giudizio dell’edizione 2020? Prima di tutto il convegno inaugurale, che riprende i temi sensibili per l’evoluzione della professione, affrontando la questione del binomio continuità e sostenibilità dell’industria 26
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MAURIZIO BUFI, LEADER DELL’ASSOCIAZIONE DEI CONSULENTI FINANZIARI
nella quale operano i consulenti finanziari. Ciò in presenza dei trend di lungo periodo che scaricano i loro effetti sull’attività, a cominciare dalla vastità e pervasività della regolamentazione, dall’ampliamento dei soggetti che operano in concorrenza e dalla diffusione della tecnologia e dei nuovi mezzi di comunicazione. Sappiamo peraltro che alcuni di questi fattori determinano una diminuzione dei costi e conseguentemente incidono sui margini degli operatori, che a parità di altre condizioni, si abbassano, richiedendo uno sforzo in termini di produttività. Non posso non citare però il convegno dedicato ai giovani nella professione, perché vogliamo mantenere alta l’attenzione su una questione irrisolta del nostro settore, quella del ricambio generazionale.
Come vede il futuro di questa manifestazione. A suo giudizio come può crescere ancora? Dovrà sempre più avere un approccio interdisciplinare, cioè non parlare solo del proprio settore, ma provare a inserirlo sempre più nel contesto economico e sociale del paese, con un focus sui grandi temi dell’economia italiana e un’attenzione all’Europa ed alle sfide che l’attendono. Insomma deve aprirsi di più alla società e ai soggetti economici e produttivi che vi operano, in cui l’elemento della gestione efficiente del risparmio ricopre un ruolo fondamentale per la crescita del Paese. Su questo versante non mancano gli ambiti di approfondimento, dall’educazione finanziaria agli investimenti sostenibili, dal collegamento all’economia reale alla questione demografica. Con ConsulenTia volge al termine la sua conduzione dell’associazione. In otto anni com’è cambiata Anasf e soprattutto com’è cambiata la professione? La nostra associazione è cresciuta soprattutto dal punto di vista istituzionale, consolidando la sua mission come interlocutore affidabile rispetto ai vari stakeholder e, pur rimanendo stabile come numero di iscritti, ha sviluppato la capacità di parlare per conto di tutta la categoria dei consulenti finanziari, cioè di rappresentare di fatto anche coloro che non sono iscritti ad Anasf, ma esercitano la professione. Ciò è avvenuto soprattutto sui fronti in cui l’azione associativa si è fatta carico di interpretare - e dunque rappresentare - tutti i consulenti e sugli impatti che ne sono derivati. Penso alla Mifid, all’Ocf, a Enasarco. E questo è un grande merito e al contempo un’eredità di “politica associativa” da preservare. A proposito di Ocf, “La grande casa di tutti i consulenti finanziari” è diventata realtà proprio sotto la sua conduzione… Infatti ci abbiamo lavorato con grande determinazione e visione d’insieme, un terreno dove per una volta con altri stakeholder siamo riusciti a “fare sistema”, perché abbiamo avuto una strategia chiara, che pure ha richiesto capacità di sintesi e mediazione, contribuendo a elevare quel ruolo istituzionale di cui dicevo.
Lo considera il maggior successo della sua gestione? Ci ho lavorato molto, avendo chiaro che quel fronte preminentemente istituzionale portava con sé la questione della denominazione, quella della governance e quella della vigilanza, quindi ci giocavamo buona parte della reputazione costruita in tanti anni, a partire dalla battaglia per la costituzione dell’Albo. Sicuramente quindi si è trattato di uno dei maggiori successi, perché è partita da lontano, ha di fatto attraversato entrambi i miei due mandati, avendo richiesto costanza nell’azione e lungimiranza nelle prospettive, perseguite con convinzione; un ambito in cui mi sono prodigato personalmente per il buon esito finale, assumendomene anche la responsabilità. Cosa le sarebbe piaciuto realizzare per i consulenti finanziari sotto la sua presidenza e che non ha avuto il tempo di attuare? In primo luogo la definizione di una cornice contrattuale tra consulenti e società mandanti più moderna e più risponden-
te all’evoluzione della professione, indirizzata chiaramente in questi lunghi anni verso un approdo ad alto contenuto professionale. Non possiamo più considerare, sotto il profilo dello svolgimento dell’esercizio professionale e delle regole a cui deve rispondere, il collocamento e la consulenza finanziaria nella cornice contrattuale, nata a metà anni ‘80, degli agenti di commercio e senza nulla togliere alla “promozione” dell’attività, che fa parte della nostra storia e che non rinneghiamo. Forse, quello che però mi rende più insoddisfatto e che marca in modo chiaro anche il percorso che l’associazione dovrebbe continuare a battere per il futuro, rimane l’irrisolta “questione giovani”, che non a caso sarà al centro del secondo convegno di ConsulenTia, a dimostrazione della nostra sensibilità al tema. In questo senso ritengo che la nostra associazione non debba solo tutelare gli attuali consulenti in attività, ma guardare al futuro con spirito innovativo e sano pragmatismo. In questa chiave, va inserita anche la nostra proposta della “persona giuridica” che, pur essendo molto divisiva, potrebbe rappresentare un modo nuovo di affrontare la questione dell’inserimento dei giovani nella professione. A questo riguardo c’è molto da fare anche nel rapporto con le Università per la promozione della professione nel nostro paese. Mentre parliamo sono in corso le elezioni dei delegati al prossimo Congresso di Solbiate Olona, l’undicesimo nella storia dell’Anasf: che augurio fa al prossimo presidente Anasf e ai colleghi presenti negli organi di governo che lo affiancheranno? L’augurio è quello di valorizzare il patrimonio di immagine, di proposta, di credibilità e di affidabilità che la nostra associazione ha costruito in termini di rappresentanza degli interessi dei consulenti e della tutela dei risparmiatori in tutti questi anni, partendo a sua volta dall’eredità dei mandati precedenti. In particolare consiglio al futuro presidente e agli organi collegiali di concepire l’Anasf come un corpo unico, seppur con molte sensibilità diverse, dove è richiesta una specifica capacità di sintesi. Inoltre suggerisco un approccio inclusivo, vista la natura della nostra casa comune, quella cioè di essere un’associazione di categoria, che rappresenta di fatto anche i non iscritti e di abbandonare la logica delle “casacche” che non contribuisce alla crescita associativa, anzi spesso la limita.
Le chiediamo di fare il futurologo: tra dieci anni come vede il futuro del consulente finanziario? Sarà sempre così forte il peso della società mandante o rafforzerà le sue caratteristiche di libero professionista? Il modello di business delle reti ha funzionato e garantito sviluppo e stabilità al settore, e lo ha fatto proprio perché ha saputo aprirsi sempre più verso un approccio consulenziale e professionale, interpretando così anche la ratio del legislatore in materia di tutela del risparmio. Certo occorre continuare su questo percorso, dove ancora molto resta da fare, dal punto di vista della qualità del servizio di consulenza, da quello degli investimenti in formazione e valorizzazione del ruolo di operatore qualificato presso le famiglie italiane, garantendo adeguati ritorni ai consulenti che intrattengono la relazione con la clientela, efficientando le strutture distributive e investendo sui giovani professionisti del settore. febbraio 2020
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SPECIALE / CONSULENTIA 20 FINANZA COMPORTAMENTALE
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70mila azionisti della Banca Popolare di Bari, piuttosto che quelli di Banca Etruria, di Veneto Banca eccetera, al momento dell’acquisto erano convinti di fare un buon investimento. Al contrario, spesso un prodotto finanziario di ottima qualità è percepito come troppo rischioso o comunque da evitare. Il perché l’hanno spiegato i teorici della finanza comportamentale, e in particolare Daniel Kahneman, uno psicologo premio Nobel per l’Economia: what you see is all there is, quello che vedi è tutto quello che c’è, ovvero per l’investitore del prodotto finanziario conta solo quello che percepisce, non quello che c’è dietro, che sia negativo o positivo. «Quando proponiamo al cliente soluzioni di investimento» dice Ruggero Bertelli, professore associato di Economia degli intermediari finanziari all’Università di Siena, che ha ripreso la locuzione di Kahneman per il suo seminario Anasf a Consulentia “Behavioral asset allocation”, «queste oltre a essere tecnicamente fatte bene devono anche avere la caratteristica di essere percepite come di valore dall’investitore. Ma le due cose non vanno a braccetto». Proprio gli studi di Kahneman e dell’altro Nobel Richard Thaler dimostrano che il nostro modo di osservare la realtà, i dati, le nostre esperienze, sono fortemente condizionati da un elemento di superficialità nella valutazione. «Purtroppo l’investitore non va a guardare le cose che a noi operatori interesserebbe guardasse», spiega Bertelli, «guarda quello che vuole e lo interpreta come gli pare, non ci possiamo fare nulla. What you see is all there is, quello che vede l’investitore è quello che c’è, non possiamo pretendere diversamente; sarebbe auspicabile, ma purtroppo questo non avviene nella stragrande maggioranza dei casi, soprattutto quando sarebbe particolarmente importante che vedesse oltre ciò che gli viene fatto vedere, o che a lui fa comodo percepire, per esempio nel caso delle azioni della Banca Popolare di Bari». Partendo 28
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UN PRODOTTO È BUONO SE NE COGLI IL VALORE di Riccardo Venturi
UNO STRUMENTO FINANZIARIO DI OTTIMA QUALITÀ È SPESSO PERCEPITO COME TROPPO RISCHIOSO. MA IL RIMEDIO C’È...
Nella foto Ruggero Bertelli, professore associato di Economia degli intermediari finanziari all’Università di Siena
da questo presupposto, il professore di Economia degli intermediari finanziari spiega che la costruzione di portafogli moderni non può rimanere quella di una volta, perché non verrebbero percepiti di valore. «È inutile che diciamo testardamente: questo è un portafoglio efficiente» osserva Bertelli, «perché l’investitore non è in grado di percepire il valore dell’efficienza. O troviamo un altro modo di consegnargli un portafogli efficiente, oppure abbiamo perso». Uno degli elementi di cui tener conto, e che Bertelli mostrerà durante la breve attività d’aula del seminario, è che le perdite nella percezione contano il doppio dei guadagni. «Nasce così la differenza tra la classica frontiera efficiente, quella che costruiamo noi in laboratorio» spiega Bertelli, «e la frontiera percepita, che non lascia scampo: l’investitore sceglierà il portafogli con poco azionario, perché è una scelta di volatilità, e la volatilità dà luogo a perdite che, nella percezione dell’investitore, pesano il doppio dei guadagni». Nell’interesse dell’investitore, quindi, i prodotti finanziari vanno presentati nel modo giusto. «Come ha spiegato Thaler, quello della percezione di valore è un tema di architettura delle scelte» puntualizza il professore di Economia degli intermediari finanziari, «dobbiamo costruire un sistema che faccia scegliere all’investitore i portafogli efficienti, sapendo però che lui non riesce a vederli». Perché li veda bisogna costruire un framework, una storia nel quale questo portafoglio efficiente diventa bello, comodo, colorato, confortevole, sicuro… «Certo, se non crediamo che nel lungo termine avvenga un determinato valore, possiamo usare solo trucchi» aggiunge Bertelli, «Un consulente onesto che non crede nella capacità di un’industria di creare valore al cliente dirà: non lo fare. L’architettura delle scelte insomma non è manipolazione».
FOCUS RETI di Rosaria Barrile PERSONAL BRANDING
Non è solo questione di “etichetta”
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uello che nel gergo del marketing tradizionale implica la trasformazione di se stessi in un vero e proprio marchio, nella consulenza finanziaria diventa una promessa di valore e una garanzia di qualità ulteriore rispetto a quella del brand della rete. Il personal branding, inteso come promozione della professionalità del singolo, sembra essere così diventata la chiave per accorciare le distanze tra la rete e il cliente, alla ricerca di consulenti non solo preparati, ma anche in grado di distinguersi nel mare magnum delle proposte in apparenza tutte uguali. «La comunicazione della qualità del servizio svolto dal singolo consulente ha un ruolo sempre più distintivo», commenta Stefano Gallizioli, responsabile sviluppo rete e recruiting Fideuram–ISPB, che sottolinea come nella percezione del cliente tra il brand personale del consulente e quello della rete non vi sia un trade off. «Se ad un’azienda di valore con un brand forte e riconosciuto viene a sommarsi il brand di un consulente di qualità - punto di riferimento della sua community – il risultato si traduce in un maggior valore per entrambi. La vera complessità è rendere oggettivo il riconoscimento del
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IL PERSONAL BRANDING È LA CHIAVE PER ACCORCIARE LE DISTANZE TRA RETE E CLIENTE
Nella foto in basso a sinistra Stefano Gallizioli, responsabile sviluppo rete e recruiting di Fideuram-ISPB. In basso a destra Paolo Isidoro, responsabile area sviluppo rete di IWBank Private Investments
brand e delle competenze del consulente stesso. Infatti spesso c’è il rischio di overselling o di perdita di credibilità. In questo senso è importante abbinare alla comunicazione elementi oggettivi, come per esempio le certificazioni formative. Abbiamo sviluppato programmi di educazione finanziaria sia in modalità digitale, sia tramite incontri denominati “salotti finanziari” nei quali i consulenti sono i protagonisti». «Negli ultimi anni abbiamo inoltre portato avanti iniziative di taglio digital. La prima si chiama Alfabeto Fideuram, una piattaforma di relazione tra clienti e consulenti. Si tratta di un modello diverso rispetto a quello delle banche on-line: per noi al centro c’è il cf e la piattaforma digitale è un supporto per rafforzare la relazione. La seconda iniziativa riguarda la collaborazione con LinkedIn e l’utilizzo della piattaforma social nella sua versione più evoluta. L’azienda mette a disposizione contenuti e strumenti di supporto formativo e informativo e piattaforme dedicate per agevolare l’attività di marketing e di sviluppo. Ma nella comunicazione del proprio personal brand, uno dei valori fondamentali è essere se stessi ed è per questo che sono i consulenti a decidere come utilizzare i diversi canali», conclide Gallizioli. Il ruolo dei professionisti come brand ambassador sembra
BANCA EURO PUNTA SU LINKEDIN Regole chiare per i cf sui social. Le ha decise Banca Euromobiliare, come spiega il direttore marketing Roberto Maugeri (nella foto). «Da circa un anno abbiamo una policy sulla brand image e sulla gestione di un profilo digital/social. Per esempio, la presenza dei nostri professionisti e delle persone che lavorano per la nostra organizzazione su “LinkedIn”, deve rispettare standard precisi per garantire un’immagine coordinata e uniformità di stile. Riteniamo che queste modalità di presentazione del brand aziendale e personale possano contribuire a generare valore nella comunicazione di un’immagine professionale e moderna. Inoltre
abbiamo condiviso con la rete di consulenti finanziari e private banker un processo di selezione delle iniziative in grado di generare benefici per la reputazione della banca l’affermazione della leadership dei professionisti sul territorio».
costituire ormai un punto fermo nella strategia di sviluppo di IWBank Private Investments, come racconta Paolo Isidoro, responsabile area sviluppo rete: «Il personal branding nella consulenza finanziaria è diventato un elemento necessario per comunicare il proprio modo di essere sul mercato. Stiamo mettendo a disposizione dei consulente dei mini siti personali uniformi nella creatività e nel layout, ma personalizzabili per quanto riguarda le informazioni professionali. A ognuno dei nostri consulenti viene così data la possibilità di valorizzare la propria immagine in modo coordinato con quella della banca attraverso uno strumento che aiuta a dare una overview della propria storia. Per una realtà come IWBank i consulenti rappresentano dei veri e propri brand ambassador: per questo il personal branding avrà sempre più spazio e moduli dedicati nei nostri percorsi formativi. Stiamo già collaborando con una delle maggiori piattaforme digitali, particolarmente accreditata in ambito finanziario, per poter attivare delle sessioni di personal branding dedicate ai nostri migliori consulenti finanziari e wealth banker, con l’obiettivo di stimolarli a valorizzare sempre di più la propria immagine professionale». In Banca Mediolanum, come spiega Gianni Rovelli, direttore comunicazione e marketing commerciale, la parte alta della rete, che comprende attualmente 45 wealth advisor, 70 consulenti “top global” (per dimensioni di portafoglio gestito) e i private banker, può contare su tutta una serie di strumenti di comunicazione ribattezzati “differenziali di servizio”. «Grazie al supporto di strutture dedicate siamo in grado di organizzare per i nostri family banker degli eventi chiavi in mano
In basso Gianni Rovelli, direttore comunicazione e marketing commerciale di Banca Mediolanum
per fidelizzare o incontrare nuova clientela. Per il wealth advisor sono eventi totalmente gratuiti, mentre agli altri professionisti è richiesto contributo che può essere eventualmente sostenuto in modo integrale dalla banca sulla base dell’esito dell’evento. Il mio staff interno di comunicazione realizza progetti di personal branding per tutti i nostri 45 wealth advisor che comprendono un video personalizzato, uno shooting fotografico e la creazione di contenuti destinati ad arricchire il profilo Linkedin». Tutte le tipologie di banker dispongono di un minisito dedicato che, oltre a contenere i propri dati personali e il curriculum, può essere alimentato con contenuti realizzati internamente e che possono essere selezionati dal consulente a seconda delle sue esigenze di comunicazione. «Attraverso dei contest legati ai risultati commerciali selezioniamo inoltre i consulenti a cui offrire una vetrina all’interno della quale raccontarsi su riviste finanziarie specializzate. A ciò si affianca la campagna di comunicazione su misura: analizziamo i bisogni di ciascun wealth advisor e pianifichiamo un’attività dell’ordine di qualche migliaio per ognuno di loro una volta all’anno. Andiamo a creare con la mia struttura di pianificazione pubblicitaria territoriale una campagna tailor made per il singolo family banker utilizzando tutti gli strumenti a nostra disposizione, dalle mailing su liste profilate e autorizzate fino alla selezione di comunità verticali su cui andare a veicolare un messaggio ad hoc» In Widiba, oltre a poter accedere alla formazione in aula dedicata allo sviluppo di storytelling per i canali social, tutti i consulenti hanno a disposizione un sito web personale. «Tutti ospitano contenuti personalizzati e studiati per il proprio pubblico di riferimento», aggiunge Nicola Viscanti, responsabile della rete di Widiba. I contenuti dei siti possono variare all’interno di tematiche ritenute di interesse per il mercato. Nel 2019 è partito un nuovo progetto basato sullo sviluppo dei siti personali. Per ora si tratta di un pilota: un gruppo di consulenti e tutti gli area manager dispongono di un sito con una nuova struttura. All’interno è previsto anche uno spazio blog da personalizzare che può essere collegato, secondo una logica cross canale, con i propri canali social. febbraio 2020
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FOCUS RETI di Marco Muffato INTERVISTA CON MATTEO BENETTI
Banca Euromobiliare accelera sulla clientela Hnwi
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na clientela di alto e altissimo profilo, con esigenze di gestione del patrimonio sempre più sofisticate, ha innescato un meccanismo virtuoso nel sistema del wealth management nostrano. Dove i competitor si sfidano in una gara nello strutturare servizi finanziari e non di elevata complessità e ad alto uso di tecnologia, puntando le proprie fiche anche sul rafforzamento delle competenze dei professionisti in organico, consulenti finanziari e private banking. Una lotta senza esclusione di colpi dove emerge un player storico nella gestione dei grandi patrimoni come Banca Euromobiliare. Dei progetti dell’istituto del gruppo Credem Investire ne parla con il direttore generale Matteo Benetti (nella foto in alto a destra).
L’ISTITUTO DEL GRUPPO CREDEM PUNTA SULLA CONSULENZA PATRIMONIALE PER VINCERE
Benetti, come sta cambiando Banca Euromobiliare e quali sono i suoi punti di forza per fidelizzare investitori top e acquisirne di nuovi? Da sempre attenti ad interpretare correttamente le esigenze dei clienti, abbiamo sviluppato alcune attitudini: assistenza e affiancamento costante, autorevolezza ed affidabilità nella ge-
stione del patrimonio. Ai clienti offriamo quindi in prima battuta assistenza e affiancamento, che riteniamo indispensabili per accompagnare le scelte d’investimento, per gestire l’emotività e l’ansia che si generano in questo momento di elevata volatilità dei mercati finanziari. La seconda attitudine riguarda la costante crescita della cultura finanziaria della clientela che richiede e apprezza un partner autorevole e affidabile per la gestione del proprio patrimonio nella sua interezza - inclusi gli asset non finanziari - e per la programmazione nel passaggio generazionale. Il cliente private è spesso anche un imprenditore. Come approcciate questa tipologia di cliente?
PARLA PAOLO TINTI (BANCA EUROMOBILIARE)
Il reclutamento si riorganizza per far volare il wealth
L’
attività di reclutamento di consulenti finanziari e private banker è sempre più cruciale per le strategie di sviluppo nel wealth management di tutti i principali player nel ricco e concorrenziale mercato degli high net worth individual. Banca Euromobiliare ha perciò affidato a un manager di grande esperienza, Paolo Tinti (nella foto in basso a destra), la direzione sviluppo reti che ha tra le sue attribuzioni proprio quella di valorizzare le attività di recruiting. Tinti, che ha lasciato la direzione rete di Banco Bpm nel 2017 per approdare in Credem a capo della divisione sviluppo rete nello stesso anno, racconta così l’approdo al nuovo incarico. «A maggio 2019 il dg Matteo Benetti mi ha chiamato in Banca Euromobiliare per guidare la direzione sviluppo reti, che comprende sia i consulenti finanziari che i private banker dipendenti (in organico sono rispettivamente 300 32
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e 100, n.d.r.). Con Matteo abbiamo voluto dar vita a un progetto volto a costituire un team dedicato al reclutamento che coprisse tutto il territorio nazionale. Sono stati quindi scelti dei manager all’interno della rete con attitudine al ruolo per poter realizzare una intensa attività di reclutamento», ricorda Tinti. A dicembre 2019 Banca Euromobiliare ha dato vita al team di sviluppo rete composto da sette manager: Cecilia Del Pace (Centro-nord), Roberto Cavallarin e Gianluca Scarcella (Triveneto), Fabio Babbalacchio e Franco Innocenti (Toscana), Federico Giordano (Piemonte-Liguria), Pier Paul Vacca (Sardegna e Sicilia). Con lo stesso Tinti che ad interim si occupa direttamente di Lazio e Campania. «L’obiettivo di questo progetto», spiega Tinti, «è di realizzare una organizzazione solida e ben visibile di selezione e sviluppo su tutto il territorio nazionale. Come responsabile della struttura mi muovo su tutto il territorio nazionale
Per la famiglia di un imprenditore, Banca Euromobiliare ha delineato una strategia “ad hoc” per la gestione del patrimonio personale dei suoi componenti. Tale strategia si fonda sull’individuazione, la valutazione e la combinazione di fattori di opportunità/rischio aziendali e della famiglia, di criteri di asset allocation e portfolio management propri di Banca Euromobiliare, al fine di massimizzare il grado di coerenza con la sfera professionale, familiare e personale. La soluzione ha la caratteristica di essere: “individuale” in quanto definita in modo personalizzato, “dinamica” perché segue nel tempo l’evoluzione della famiglia dell’imprenditore a parità di condizioni di mercato e “integrata” nel senso che contempla tutti gli aspetti legati al patrimonio consentendo di intervenire sia sulle dimensioni finanziarie sia non finanziarie. È soddisfatto dell’andamento del 2019? Quali sono i vostri obiettivi per quest’anno e quelli a medio e lungo termine? Nel 2019 è stato avviato un programma di iniziative orientate a far evolvere il modello e la cultura aziendale. Sono convinto che nei prossimi 3 anni la banca potrà raggiungere importanti risultati in coerenza con le nostre potenzialità e in considerazione della raccolta netta di circa 800 milioni di euro registrata nel 2019 (stima, in attesa dei dati consolidati. N.d.r.), in crescita del 150% rispetto alla media degli ultimi 8 anni. Tutto ciò in linea con la strategia di forte accelerazione nello
È STATO CREATO IL TEAM DI SVILUPPO RETE CON SETTE MANAGER per finalizzare le trattative più importanti e affiancare i colleghi della struttura. L’anno scorso sono entrati 40 top private di altre banche in assenza di una struttura centrale organizzata, ora con una funzione dedicata l’obiettivo del 2020 non può essere che proseguire il percorso iniziato nel 2019». Per raggiungere questo traguardo Banca Euromobiliare punta a rafforzare la struttura del team sviluppo rete con professionisti provenienti da altre reti, a loro volta specializzati nell’attività di reclutamento. Ma qual è il target di professionisti della consulenza ricercato? «Abbiamo focalizzato l’attenzione su professionisti con una consolidata esperienza nella gestione dei grandi patrimoni perchè vogliamo garantire ai nostri clienti un livello di servizio ai vertici del sistema», afferma Tinti a cui domandiamo quali sono le leve che oggi consentono di convincere un cf o un private banker a cambiare casacca. «Se fino a ieri il tema della remunerazione era
sviluppo della clientela Hnwi della banca. Nel corso dell’ultima convention tenutasi lo scorso novembre sono stati annunciati i target per il 2020 che prevedono un miliardo di nuova raccolta ed entro i prossimi 3 anni l’obiettivo è di raggiungere i 16 miliardi di euro di total asset.
Il ruolo del consulente nella relazione con il cliente è davvero un fattore distintivo per la vostra organizzazione? Assolutamente sì. I nostri professionisti hanno la possibilità di offrire alla clientela target un servizio di consulenza patrimoniale davvero completo, in grado di assistere il cliente, anche il più esigente, nelle scelte strategiche per la tutela, la valorizzazione e la conservazione nel tempo del patrimonio famigliare e aziendale. Infatti, grazie alle competenze specialistiche del nostro centro di advisory - recentemente rafforzato con la nascita di Euromobiliare Advisory sim, una nuova società al servizio di consulenti finanziari e private banker - siamo in grado di supportare i nostri clienti nell’interpretazione dei mercati, nell’individuazione delle scelte allocative per il portafoglio investito in strumenti finanziali, nella consulenza per la gestione del patrimonio immobiliare e artistico, nell’attivazione di servizi fiduciari e nella consulenza assicurativa e fiscale e nella consulenza legata al passaggio generazionale e alla continuità imprenditoriale. Al fine di garantire standard di eccellenza nella gestione dei nostri clienti, curiamo attentamente lo sviluppo e la crescita professionale dei nostri consulenti finanziari e private banker con programmi di sviluppo e crescita professionale e con il confronto continuo e costante con gestori, strategist, economisti, specialisti del diritto di famiglia, fiscalisti delle più importanti case di investimento con le quali collaboriamo per poter erogare un servizio di consulenza eccellente. preminente oggi è concorrente», afferma il direttore sviluppo reti. «L’evoluzione dell’attività, la maturità dei clienti più consapevoli delle proprie esigenze e l’abbandono della logica di mero collocamento di prodotti in luogo di una logica di erogazione di servizi di advisory di elevata qualità, ha cambiato giocoforza le regole del reclutamento. Oggi si è attrattivi verso cf e pb se alle spalle si ha una banca in grado di supportare il professionista con servizi di consulenza ad ampio spettro ed elevata competenza in grado di soddisfare una clientela dalle esigenze sofisticate». «Naturalmente», continua Tinti, «un altro motivo di attrattività è l’essere parte di uno dei primari gruppi bancari italiani. Anche la capacità di erogare formazione di alta qualità entra in gioco nella scelta del professionista, oltre a un’ampia gamma di soluzioni personalizzate e processi semplificati per velocizzare l’execution e agevolare le attività di consulenza ad alto valore aggiunto. Tutti aspetti che noi di Banca Euromobiliare garantiamo da tempo ai consulenti e ai private banker che vengono a lavorare da noi». febbraio 2020
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INTERVISTA A PAOLO MARTINI
La svolta di Azimut funziona I mercati privati conquistano il retail di Marco Muffato
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IL GRUPPO ITALIANO RAFFORZA L’IMPEGNO NELLA COSTRUZIONE DI STRUMENTI ALTERNATIVI PER LA CLIENTELA PRIVATA. ECCO COME
un momento d’oro per Azimut. Nella recente Convention di Montecarlo il gruppo presieduto da Pietro Giuliani ha presentato risultati senza precedenti e nuovi progetti che potrebbero consentire, in condizioni di mercato normali, di arrivare a un’utile netto per il 2020 di almeno 300 milioni. Questo target sarà raggiungibile, nei desiderata societari, grazie a una crescita su tutte le linee di business: la distribuzione in Italia, le attività estere e i prodotti alternativi, sui quali il gruppo investirà molte energie. Non è quindi un caso che stia crescendo a pieni ritmi proprio il progetto sugli investimenti alternativi. Dopo il successo del maggior evento italiano dedicato ai mercati privati, Azimut Libera Impresa Expo, la raccolta sui prodotti lanciati nell’ultimo trimestre del 2019 ha raggiunto quota 450 milioni, portando a più di un miliardo di euro le masse sui prodotti di private market. E il futuro potrebbe essere ancora più roseo. Come spiega a Investire, l’amministratore delegato e direttore generale di Azimut holding, vice presidente di Azimut Capital Management nonché presidente di Azimut Libera Impresa Sgr, Paolo Martini.
Martini, fin dove volete arrivare con la “democratizzazione” degli strumenti alternativi nel retail? Com’è stata la risposta della clientela privata alla possibilità di inserire in portafoglio un fondo di private equity come Demos 1? Il risparmiatore italiano è ricettivo? Direi eccellente. Più di 5mila persone hanno acquistato quote di Demos 1 per cui abbiamo superato i 150 milioni di raccolta con l’obiettivo di arrivare a 350 milioni nei prossimi mesi. Più in generale stiamo proponendo modifiche all’asset allocation inserendo una nuova asset class che è quella degli strumenti alternativi, dei nuovi prodotti sui private asset come private equity, venture capitale e private debt. I clienti accettano questa strategia con la finalità di avere rendimenti più interessanti in un mondo a tasso zero, di migliorare l’efficienza del portafoglio e di avere un orizzonte temporale di medio e lungo e termine che evita gli errori tipici evidenziati dalla finanza comportamentale. Aggiungo che i clienti sono più contenti di investire direttamente in aziende. Abbiamo accompagnato queste modifiche all’asset allocation a una grande campagna di educazione finanziaria diretta a clienti e consulenti. Per quanto attiene i consulenti abbiamo fatto una operazione di informazione/ formazione che va avanti da 5 anni e che ha previsto corsi in aula, la realizzazione di una piattaforma digitale con una serie 34
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Nella foto Paolo Martini, ad e dg di Azimut Holding, vice presidente di Azimut Capital Management e presidente di Azimut libera Impresa Sgr
di video tutorial e corsi online che abbiamo sviluppato nel corso del tempo. Inoltre disponiamo di un team di 20 persone sul territorio che va parlare quotidianamente con i clienti per sensibilizzarli su questi temi. Lo stesso evento Aliexpo è stato studiato con obiettivi educational e ha avuto un riscontro enorme con 14mila presenze, abbiamo realizzato un manuale diffuso (autore lo stesso Martini, “L’arte di fare impresa”. N.d.r.) in 40mila copie e organizzato moltissime giornate di educazione finanziaria. Dopo il private equity è arrivato un fondo di venture capital per il retail. Quali sono le caratteristiche del prodotto e i target? Siamo ufficialmente partiti con il collocamento del fondo Italia 500, realizzato in collaborazione con P101 Sgr: sarà un
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fondo comune di investimento alternativo chiuso e non riservato, la cui durata sarà di 10 anni, con un importo minimo di sottoscrizione di 5 mila euro. Le aziende target sono startup con un fatturato sino a 5 milioni di euro e pmi con sede prevalentemente in Italia, operanti su tecnologie, prodotti e servizi riferibili ai settori industriali e digitali, con un fatturato compreso tra i 5 e 50 milioni di euro. Il target di raccolta è di 40 milioni che chiuderemo in pochissimi mesi.
C’è poi tra le novità in cantiere anche quella del fondo immobiliare, stavolta riservato a investitori istituzionali. Quali li obiettivi? Il nuovo fondo da circa 800 milioni di euro dedicato al real estate e alle infrastrutture sociali, Esg compliant, sarà gestito da Andrea Cornetti, in precedenza general manager di Prelios Sgr. Il prodotto, che è in via di definizione, è destinato agli investitori istituzionali e stiamo al contempo valutando se ampliare questa asset class anche al retail. Come è noto questa asset class, a causa di operazioni andate male in passato, fa i conti con una immagine negativa. In sé non è un asset class negativa ma va costruita bene. L’iniziativa negli alternativi in Usa, annunciata a Montecarlo, è stata varata con quali finalità? Il tema degli alternativi è partito in Italia con Azimut Libera Impresa, ma tutto quello che pensiamo ha sempre una valenza internazionale. Il mercato americano, che è il più sviluppato nel settore dei private market, non poteva lasciarci indifferenti. Abbiamo così stretto un accordo con il partner giusto per entrare in questo mercato, Jeffry Brown (già managing director in Dyal Capital, gruppo Neuberger Berman, Bear Stearns Am e Morgan Stanley Am. Regista di 50 transazioni per oltre 135 miliardi di dollari negli alternativi. N.d.r.), costituendo una newco. Quindi quello che faremo sarà di sfruttare le immense relazioni di Jeffry sul territorio andando ad acquistare quote di minoranze di asset manager alternativi negli Usa con masse inferiori ai tre miliardi euro. Abbiamo vari dossier sul tavolo tutti molto interessanti, che stiamo analizzando. C’è tanta carne al fuoco… Come sta crescendo Azimut Libera
Impresa dal punto di vista organizzativo? ALI segue la strategia del gruppo Azimut dalla sua nascita. Noi dobbiamo essere anche una fabbrica di prodotti alternativi, non ci limitiamo cioè a partnership in cui diamo in gestione i nostri veicoli ma, essendo il nostro un progetto strategico di lungo termine e facendo parte di un gruppo che fa della gestione un suo punto fermo, abbiamo mantenuto queste caratteristiche anche negli alternativi. Detto questo ALI seguirà tre filoni di gestione dei prodotti. Il primo filone è appunto quello dei prodotti gestiti direttamente di cui un esempio è Demos 1. A questo scopo stiamo continuando ad acquisire professionalità di alto profilo del mercato come Marco Bernardi, già director in Alpha e che sarà uno dei nostri partner nel private equity, che si affianca a Matteo Bruni (già cfo di Camfin. N.d.r.) e in attesa di un nuovo partner di alto profilo che arriverà prima dell’estate. Il team sarà costituito da circa 20 persone basate principalmente a Milano, con le persone dedicate al real estate operative da Roma. La seconda tipologia di prodotti sarà realizzata attraverso le partnership strategiche con primari operatori del settore, soprattutto con riferimento alle asset class dove siamo meno competenti: è il caso di Hamilton Lane con il fondo di fondi di private equity Global Invest e di Dea Capital con cui abbiamo costituito un fondo di private debt che ha già raccolto 120 milioni di euro. La terza area di prodotti è collegata alle operazioni realizzate in co-investimento con partner che hanno competenze specifiche ed è il caso citato di Italia 500, un fondo di venture capital che farà co-investimenti con P101, fondo appena lanciato da Andrea Di Camillo, uno dei padri del venture capital in Italia. Per semplificare il funzionamento di questo genere di operazioni: si individua insieme una azienda x, il fondo P101 decide di investire una somma in quella azienda, Italia 500 fa altrettanto. L’importo minimo di sottoscrizione viene poi deciso in base alla dimensione dei due fondi.
«AZIMUT LIBERA IMPRESA SGR SEGUIRÀ TRE FILONI NEI PRIVATE MARKET: PRODOTTI REALIZZATI IN PROPRIO OPPURE IN PARTNERSHIP E CO-INVESTIMENTI»
Il progetto Alihub a che punto è? Oggi gli imprenditori cercano due cose: il networking e il fare rete, con cui ottenere connessioni importanti perché dalle connessioni si crea nuovo business. Ci sono aziende con eccellenze fortissime, ma inserite in contesti di nicchia, con poca attitudine al marketing, che faticano a farsi conoscere. Ed è un peccato perché magari dispongono di expertise eccezionali. Ci sono aziende italiane con focus sulla tecnologia che se fossero operanti nella Silicon Valley varrebbero dieci volte tanto. La seconda cosa di cui necessitano queste aziende è la voglia di acquisire competenze e di essere informate in maniera più semplice e molto mirata. Alihub farà proprio queste due cose: aiuterà gli imprenditori nella visibilità dell’azienda e nello sviluppo delle competenze con una comunità che avrà come scopo quello di aiutare le aziende a crescere. È un progetto aziendale dove stanno lavorando trasversalmente tante persone e con profitto. febbraio 2020
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PRIVATE EQUITY
Pem 2019, anno record per le operazioni: 222 deal +21% di Annalisa Caccavale
I
l 2019 è l’anno record per il private equity. Questo è il dato che emerge leggendo i numeri pubblicati dall’Osservatorio PEM® di Liuc – Università Cattaneo. Negli scorsi 12 mesi sono stati infatti registrati 222 deal con una crescita del 21% rispetto ai 175 dell’anno precedente. «La vitalità del private equity, in particolare nel mid-market, è il segnale di un’Italia che funziona, quella fatta di aziende che crescono e che competono sui mercati globali. La qualità delle aziende, degli imprenditori e manager ha trovato nel private equity interlocutori professionali e contributi qualificati nella realizzazione di nuovi e sfidanti obiettivi», ha riferito Marco Canale, presidente e ceo di Value Italy e in effetti il private capital nel 2019 ha mostrato che è possibile investire nell’economia reale del nostro Paese con ritorni di sicuro interesse. Guardando anche il finale d’anno, dopo un terzo trimestre già eccellente, il private equity italiano accelera ulteriormente il trend nella fase conclusiva del 2019. Sono stati infatti,76 gli investimenti annunciati tra ottobre e dicembre dello scorso anno, contro i 56 del trimestre immediatamente precedente e i 54 dell’analogo periodo del 2018. Il settore è in crescita e ha lavorato bene, chiudendo in deciso rialzo rispetto al dato complessivo registrato l’anno precedente e consolidando ogni anno con maggior vigore, la ripresa avviata ormai da un quinquennio. Di fatto, proprio il biennio 2018-2019 segna per il private equity non solo il ritorno a un livello di attività paragonabile a quello pre crisi, ma anzi un deciso superamento dello stesso, con volumi sensibilmente superiori rispetto agli anni d’oro 2006-2008. Il quarto trimestre dello scorso anno, inoltre, evidenzia un numero di operazioni assolutamente mai registrato dall’Osservatorio, rubando tale primato proprio al terzo trimestre del 2019. Sulla base dei valori enunciati, l’indice tri36
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L’INDICE PEM-I SEGNA IL PUNTO PIÙ ALTO A 633 PUNTI BASE ELABORATO DALL’OSSERVATORIO LIUC, MAI REGISTRATO NELLA STORIA DELL’INDICE E INDICATIVO DI UN ECCELLENTE STATO DI SALUTE mestrale Private Equity Monitor Index – PEM®I, elaborato dai ricercatori dell’Osservatorio raggiunge quota 633, un valore da record assoluto, mai registrato nella storia dell’indice e indicativo di un eccellente stato di salute del mercato italiano dell’investimento in capitale di rischio. Analizzando i dati, rispetto allo scorso anno si registra un numero inferiore di deal con enterprise value superiore al miliardo di euro e un numero sempre più consistente di operazioni nell’ambito del mid market e del segmento delle piccole imprese, fattore che conferma un crescente grado di penetrazione del private equity nel sistema imprenditoriale italiano e, quale primaria conseguenza, la dimostrazione di una maturità sempre più spiccata del settore. Nel corso del 2019, i buyout rappresentano il 75% del mercato, le operazioni di expansion si confermano su discreti livelli, 19%, incrementando non tanto il peso relativo sul mercato, quanto
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piuttosto il numero assoluto di operazioni, a fronte di un mercato decisamente sempre più ampio. Sono inoltre state rilevate operazioni di turnaround, 4%, e di replacement, 2%. Si registra in aggiunta una nutrita presenza di operazioni di add on, 47, che arrivano a rappresentare ben il 21% del mercato, a conferma dell’importanza dei progetti di aggregazione industriale, che ormai costituiscono in numerosi settori una delle chiavi di creazione di valore di maggior efficacia. Si conferma l’elevato interesse e attenzione dedicati dagli investitori internazionali alle imprese del nostro Paese: nel corso del 2019, il 50% dei deal, 110 sul totale di 222, è riconducibile a operatori non domestici, a conferma di una ormai nuovamente consolidata attrattività del nostro sistema industriale. Per quanto concerne la distribuzione geografica, la Lombardia attrae il 37% degli investimenti, seguita dall’Emilia Romagna e dal Veneto, rispettivamente con il 13% e il 12%. Buono il contributo offerto dalla Toscana, con 15 operazioni. Analizzando invece i settori merceologici, prodotti industriali e beni di consumo rappresentano, in sostanziale linea con il passato, il 48% del mercato. Da segnalare, la conferma dell’attenzione degli operatori verso il comparto alimentare (12%) e del terziario (11%), nonché una decisa ricomparsa del comparto Ict (8%).
SI CONFERMA L’ELEVATO INTERESSE E ATTENZIONE DEDICATI AGLI INVESTITORI INTERNAZIONALI ALLE IMPRESE DEL NOSTRO PAESE: NEL CORSO DEL 2019 IL 50% DEI DEAL È DALL’ESTERO
Nella pagina accanto Marco Canale, presidente e ceo di Value Italy. Sopra la sede della Liuc
2016-2019: l’andamento del Private Equity Monitor Index – PEM® I (2003 base 100) 633
650 600 550
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FONTE: PEM® - WWW.PRIVATEEQUITYMONITOR.IT
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INTERVISTA CON IL PRESIDENTE DI ROTHSCHILD & CO
Ghizzoni: «In questa fase complessa, praterie per il risparmio gestito» di Sergio Luciano
«N
ell’economia mondiale e sui mercati finanziari si sono concentrate molte inedite anomalie tutte insieme. Non se ne vede una soluzione a breve termine. E dunque in un contesto del genere l’industria dell’asset management può avere sviluppi particolarmente interessanti. Il fai-da-te è quanto mai sconsigliabile»: è lucido e insieme pacato come sempre Federico Ghizzoni, banchiere di lungo corso e vasta reputazione, oggi tra l’altro presidente di Rothschild & Co. in Italia. Ed è stato la guest-star di un road-show che il team di asset management di Rothschild & Co. in Italia, guidato da Alessio Coppola, ha compiuto in varie città italiane e straniere per incontrare banche, Sgr, family office e tutti i clienti istituzionali che scelgono e possono scegliere i fondi della Casa. Un road show conclusosi a Milano alla presenza di Ghizzoni. Dunque molte anomalie sui mercati. C’è da preoccuparsi? Sono anomalie, sono situazioni senza precedenti, è difficile fare pronostici salvo constatare che non si vede un possibile motore di riequilibrio. Le banche centrali oggi sono in una situazione in cui, anche volendo, non hanno le condizioni per tornare a una politica monetaria gradualmente normalizzata perché mancano i presupposti. Se gli Stati non entrano a loro volta in una fase di politica fiscale più flessibile, tutto sembra destinato a restare inchiodato alle logiche del momento. Che ne pensa dei tassi negativi? Ci siamo arrivati con politiche monetarie sempre più espansive, che indubbiamente ci volevano, senza saremmo rimasti in recessione. Ma adesso sono passati anni dall’emergenza e non si capisce come si possa uscire da questo loop di politiche espansive e tassi negativi. Certo, sono stati fattori utili per non far crollare il Pil ma 38
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«L’INDUSTRIA DELL’ASSET MANAGEMENT PUÒ AVERE OTTIMI SVILUPPI. TRA TANTE ANOMALIE, IL FAI-DA-TE È QUANTO MAI SCONSIGLIABILE»
Nella foto Federico Ghizzoni, presidente di Rothshild & Co. in Italia
gli effetti positivi di ciò sono stati in parte neutralizzati dalla politica fiscale europea restrittiva e, da parte della stessa Bce, dall’introduzione di norme bancarie restrittive. Quindi questa enorme liquidità generatasi non si è scaricata sull’economia reale perché le banche sono state bloccate e le politiche economiche a loro volta espansive che alcuni Paesi avrebbero avuto le condizioni di avviare non ci sono state. Quindi è rimasta un’enorme liquidità in giro con tassi negativi. Con quali conseguenze? Se penso agli effetti prima di tutto sociali, è evidente che questa situazione sta allargando la forbice della disuguaglianza. Ci sono stati poi effetti reali sui risparmiatori, che non hanno avuto i rendimenti desiderati dai loro portafogli, col relativo rischio di bolle, dopo dieci anni di crescita dell’equity su tutte le piazze; c’è un real estate che in alcune aree sta crescendo oltre misura, lo stesso private equity inizia a ipervalutare alcuni suoi investimenti. E resta sullo sfondo il problema dell’uso spregiudicato della liquidità, per esempio con i derivati, e della ricerca affannosa di nuove asset class su cui investire, come le criptovalute per esempio o alcuni campioni dell’ high-tech dov’è difficile distinguere tra la
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vera innovazione e quella finta. In tutto questo, le banche tradizionali…? Il quadro attuale qualche aspetto positivo lo presenta: il funding non è più un problema, alcuni clienti sono stati agevolati dai tassi bassi, sulle sofferenze è stato fatto un buon lavoro… l’aspetto negativo della situazione è che c’è poca domanda credito, e i margini di interesse sono bassissimi. In generale – e questo è il nodo vero – le banche oggi hanno un grave problema di scarsità di ricavi e devono rifocalizzare il loro business. Le banche italiane sono però sicuramente più solide di due anni fa. Il capitale c’è, gli Npl sono scesi a livelli accettabili, i dividendi sono tornati. Quello che manca ancora è capire come un trend negativo sui ricavi, che prosegue da anni a colpi di -5% all’anno, possa essere ribaltato. Bisognerebbe rimettersi in gioco, ma se vai sul mercato a presentare il tuo piano industriale è molto più facile parlare di quel che fai, far apprezzare una ristrutturazione con sicuri tagli di costi che prospettare strade per accrescere i ricavi. Nel primo caso ti credono, nel secondo anche no. Battute a parte? C’è da ripensare come far crescere questo business, questa industria. C’è la nuova concorrenza del fintech e del nuovo parabancario… le banche dovrebbero rendersi protagoniste del fintech, non subirlo. Ci sono aspetti tecnologici per il business bancario che sono estremamente importanti, soprattutto per la gestione delle informazioni sui clienti, visto che non ci sono ricavi derivanti dal digitale, finora servito solo per tagliare i costi. Ma c’è anche un problema, infatti: col diffondersi dei servizi digitali, è cresciuta l’infedeltà della clientela. Che si sposta rapidissimamente da un provider all’altro. Quindi a maggior ragione per le banche è venuto il momento in cui superare il ragionamento sull’efficienza dei costi e tornare a concentrarsi sulla crescita
«IL NOSTRO GRUPPO HA OGGI TUTTE LE PREMESSE PER ESSERE VINCENTE. ABBIAMO PRODOTTI SEMPLICI E TRASPARENTI E DI LUNGO TERMINE» dei ricavi. Un approccio ossessivo sui costi può essere addirittura controproducente per i ricavi. Per esempio oggi i clienti soprattutto in tante località della provincia italiana, possono non trovare più fisicamente neanche una filiale dove andare a discutere dei loro problemi che pure, con l’invecchiamento medio e l’instabilità economica, percepiscono come accresciuti. Io dico: d’accordo nel chiudere le filiali inutili, ma poniamoci il problema di relazionarci davvero col cliente che ha bisogno anche di contatto diretto, come dimostrano le scelte di banche digitali come Fineco che da una parte vivono su piattaforme molto sofisticate ma dall’altro presidiano il territorio con migliaia di consulenti e un numero rilevante di uffici sparsi ovunque. Bisogna tornare a discutere anche di questi aspetti. E venendo all’asset management? Ripeto, è certamente un business che in una situazione come questa può avere uno sviluppo estremamente interessante. In Italia in particolare, dove la quota dei risparmi drenata dal risparmio gestito è attorno al 12%, quindi molto bassa. Ma poiché l’offerta dei prodotti finanziari, tanto più in quest’epoca di incertezza, si è fatta estremamente polverizzata, occorre più che
mai che la clientela scelga una guida forte sulla scelta del prodotto su cui investire. E io sono sicuro che tutto quel che le case investono sia sul fronte della produzione di strumenti innovativi che della loro gestione professionale ha un futuro roseo perché si richiederà sempre di più che gli intermediari si pongano in una relazione forte con i loro clienti. Come vede in questo contesto il vostro gruppo? Esaminando il mercato dell’asset management in senso lato e poi valutando quel che facciamo noi, credo che ci siano tutte le condizioni necessarie per essere vincenti. I nostri sono prodotti semplici e trasparenti, da tempo abbiamo capito che non avrebbe avuto senso giocare su condizioni opache o costi nascosti: la trasparenza paga, e molto. Inoltre l’approccio gestionale deve essere di medio-lungo termine. Nel sistema Rothschild, il management che gestisce i fondi è lo stesso da molti anni ed è sostanzialmente libero di prendere tutte le decisioni che desidera, senza alcun vincolo dettato dall’alto ma puramente ponendosi in quest’ottica di medio-lungo termine che preferiamo perchè ti costringe a uscire da un approccio speculativo e non inseguire il miraggio del ritorno nel breve termine. E poi conta molto la reputazione della Casa, l’approccio sempre prudente, la scelta della flessibilità, dei costi contenuti, con una sostanziale garanzia di investimento e ritorno nel medio-lungo termine. E con la capacità di rispondere ai clienti in tempi molto rapidi. Da questo deriva anche una costante ricerca, molto cara al nostro asset management in Italia, di prodotti nuovi, di formule tailor-made, di opportunità flessibili per i clienti, che pochi competitor hanno e che, secondo noi, sono le uniche risorse per contrastare e battere la crescita dei prodotti d’investimento automatici, robotizzati… E il conflitto d’interessi? Nel nostro caso, zero. Non c’è. Tutti investimenti che vengono fatti, sia in equity che obbligazionari, sono scelti in modalità del tutto indipendente e asettica con le altre industries del gruppo, senza obblighi né doveri verso nessuno. I nostri soli principi sono la trasparenza, la chiarezza, la coerenza nell’investimento, la stabilità dei team gestionali, la pianificazione a lungo termine e insieme la velocità delle risposte ai clienti e l’agilità nella costruzione dei prodotti tailor made. febbraio 2020
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DOPO UN GENNAIO DI TURBOLENZA
Quanto fiato ha ancora il Toro? Dipende da Cina e banche centrali di Ugo Bertone
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stato un inizio d’anno da incorniciare. Nelle prime undici sedute del 2020, prima della vacanza del Martin Luther King jr. Day, i mercati Usa hanno segnato otto nuovi record storici trainando, ancor prima del debutto della campagna delle trimestrali, l’indice S&P 500 ben otre la barriera dei 3.300 punti, così spiazzando JP Morgan che, pur essendo la più ottimista tra i Big, aveva fissato l’asticella del rialzo per l’intero anno a 3.400 punti, un livello già sfiorato a metà gennaio. A favorire il rally, si sa, è stata la sigla della pace (meglio dire la tregua) commerciale con Pechino preceduta dall’azione delle banche centrali, Fed in testa, che ha garantito la liquidità necessaria per lo sprint. Ma quanto durerà questo scenario positivo? E come proteggere i frutti del rally? Proviamo ad azzardare qualche risposta e a suggerire una possibile strategia basata sulle potenzialità della Cina, scatenata dal pressing di Washington. Non è il caso di trascurare la Borsa americana, a partire dai tre giganti (Apple, Microsoft e Alphabet) che hanno varcato la soglia dei mille miliardi di valore, ma Shanghai e Shenzhen, oltre ad Hong Kong ancora circondata dai manifestanti che tanto pesano sullo shopping, ripartono dopo una stagione difficile che ha compresso i valori finanziari delle aziende del Celeste Impero. 40
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IN PRIMAVERA LA CARICA DI WALL STREET POTREBBE PERDERE UN PO’ DI ENERGIA. A MENO CHE LA FED NON TORNI IN CAMPO CON NUOVI ACQUISTI PER ALIMENTARE LA CONGIUNTURA Fed e Bce hanno scatenato il Toro La chiave del rally avviato nel 2019 sta nella liquidità. A muoversi per prima non è stata la Fed, che al contrario ha proceduto per diversi mesi a tagliare i fondi in circolazione, ma attraverso il rimpatrio dei capitali dall’estero sull’onda degli sgravi fiscali garantiti nel 2018 dall’amministrazione Trump che hanno sostenuto i buy back a Wall Street. Una volta esaurito questo flusso, è entrata in azione la Federal Reserve per sedare le tensioni sul mercato dei capitali immettendo la liquidità necessaria a sostenere l’attività. Da settembre in poi il bilancio della banca centrale è fortemente salito oltre i 4.000 miliardi di dollari di cui 350 immessi nell’ultimo periodo attraverso operazioni a breve (entro 14 giorni) o comunque con durata di pochi mesi. È assai probabile che, a partire da febbraio, la Fed voglia ridurre l’importo di queste operazioni fino a chiudere il rubinetto tra aprile e giugno. Di riflesso, in primavera la carica del Toro potrebbe perdere un po’ di energia in quei mesi. A meno che la banca centrale non torni in campo con nuovi acquisti per alimentare la congiuntura.
Cina Nel 2019, ancor prima della firma della pace commerciale con gli Usa, la Borsa cinese ha messo a segno guadagni compresi tra il +32% e il +37% a seconda degli indici grazie al sostegno del pacchetto di stimoli che comprendeva riduzioni delle imposte sul reddito delle famiglie, progetti infrastrutturali e sgravi fiscali sul-
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le esportazioni, per un ammontare di 1500 miliardi di renmimbi, ovvero l’1,6% del Pil, ed è stato il più importante dal 2009. Un’operazione imponente che ha combinato politica monetaria e fiscale garantendo credito e liquidità per l’economia reale, limitando i danni della guerra commerciale. La tendenza è poi proseguita dopo la firma del 15 gennaio, senza patire gli effetti del rallentamento, già scontato, della crescita del prodotto interno lordo al 6,1%. Al di là della congiuntura ci son comunque vari fattori che favoriscono l’attenzione verso la piazza finanziaria cinese, sua per quanto riguarda le azioni che le obbligazioni. Come la data fissata al 2021, del limite alle partecipazioni azionarie degli investitori esteri nei settori titoli, gestione fondi, futures, assicurazione vita, pensione e salute. Questo significa che dal primo aprile le istituzioni finanziarie internazionali, oggi legittimate a possedere non più del 51% delle loro joint venture locali (fino al 2018 non potevano superare il 49%), potranno operare con società di proprietà in un mercato dal valore stimato in 45 mila miliardi di dollari. Non meno importante è l’aumento del peso delle A-shares cinesi nell’indice Msci: dal 26 novembre scorso infatti 204 titoli, tra cui 189 mid cap, sono entrati nel paniere messo a punto dal broker americano, una mossa che ha favorito l’afflusso sul mercato di investimenti per 40 miliardi di dollari. Per quanto riguarda le obbligazioni, Pictet rileva che il “blocco del renminbi è destinato a superare quella dell’euro nel prossi-
SI PUÒ PUNTARE SULLA CINA ANCHE IN VIA INDIRETTA, CERCANDO DI CAVALCARE LA CORRENTE DEI CONSUMATORI DEL CELESTE IMPERO
mo anno, quando diventerà l’area valutaria più grande al mondo dopo quella del dollaro”. Già oggi gli scambi collegati alla valuta cinese rappresentano già il 24,8% del Pil mondiale, di poco inferiore al 25,6% dell’eurozona. La moneta ha subito un brusco crollo lo scorso anno all’intensificarsi dei timori sulla guerra commerciale, al punto che, secondo Pictet, la valuta, già assolta dagli Usa dall’accusa di essere manipolata al ribasso, “è attualmente sottovalutato di oltre il 22% rispetto al dollaro”. Questo, assieme alla constatazione che il numero delle imprese straniere è cresciuto a 593.000 unità anche nell’anno della crisi dei rapporti con gli Usa spinge a far prevedere “che la valuta cinese guadagnerà almeno il 2% annuo per i prossimi cinque anni”. Insomma, la grande Cina è destinata a occupare una porzione importante degli investimenti nel reddito fisso. Gli investitori dovranno modificare la composizione del loro portafoglio per riflettere il peso crescente dell’economia asiatica. In sostanza Cina e Usa hanno i numeri per essere le grandi protagoniste anche nei mesi a venire (anche se in concorrenza con gli investimenti verdi). C’è ancora margine di crescita, insomma, anche a scontare gli inevitabili stop. È possibile che l’epidemia di polmonite esplosa nella città di Wuhan possa frenare le migrazioni turistiche per l’inizio dell’anno del Topo o creare problemi più profondi. Ma le esperienze passate ci dicono che il Paese è meglio attrezzato rispetto al passato per affrontare problemi di questo tipo. Merita a questo punto affrontare una domanda: come investire
BERNARD ARNAULT, PATRON DEL GRUPPO LVMH
in Cina, mercato complesso e tutto sommato sconosciuto, oltre che difficile. Il modo più semplice passa per l’uso di un indice di mercato. Ciò può esser fatto a basso costo tramite l’uso di un Etf. Si può scegliere tra prodotti composti a titoli azionari a larga capitalizzazione (classe A), piuttosto che su prodotti sui valori con base Hong Kong. Tra i prodotti più affidabili spicca quelli basati sull’indice S&P China 500, espresso in dollari Us, comprende oltre 500 (a oggi 563 per la precisione) tra le società a maggior capitalizzazione e a maggiore liquidità della Borsa cinese. Tra i top ten ci sono nomi di spicco come Alibaba e Baidu.com che insieme pesano per circa un terzo del totale.
Il lusso Ma si può puntare sulla Cina anche in via indiretta, cercando di cavalcare la corrente dei consumatori del Celeste Impero: 600 milioni di cinesi rappresentano la base dei clienti del lusso, per lo più europeo, che sta insidiando da tempo i tassi di crescita di Silicon Valley. Grazie ai consumatori cinesi che rappresentano più della metà del fatturato mondiale del settore. Un‘armata che ha affrontato impavida le recenti difficoltà dalla guerra dei dazi alle sommosse che da mesi rendono un’impresa fare shopping ad Hong Kong, con gravi danni per punti vendita costati miliardi. Ma queste difficoltà non hanno impedito a Lvmh, l’ammiraglia dell’impero creato da Bernard Arnault, il colosso che dispone (per ora) di 75 marchi che spaziano dalla moda a vini e liquori fino ai gioielli di Bulgari e Tiffany’s di macinare una lunga serie di record fino a realizzare nei 12 mesi una performance attorno 70 per cento, in buona parte frutto del gradimento dei cinesi che affollano i punti vendita (950 in tutto) presenti nel Paese asiatico, frutto di una relazione che risale addirittura al 1859. Ma nel 2020 tutti i record, recenti e passati potrebbero cadere: dal 5 al 10 novembre, per la prima volta, il gruppo parteciperà alla seconda edizione del CIIE, The China International Import Expo, un importante evento ideato per sviluppare il commercio e promuovere la cooperazione tra la Cina e altri Paesi che si svolgerà dal 5 al 10 novembre. Lvmh avrà un padiglione di 500 metri quadri dedicato a tradizione e innovazione che comprenderà tredici maison rappresentanti i cinque settori del gruppo, tutti presenti in Cina: vini e alcolici, moda e pelletteria, profumi e cosmetici, orologi e gioielleria, distribuzione selettiva. Potrebbe essere l’occasione per chiudere in bellezza l’anno del Topo. Anzi, del Toro. febbraio 2020
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HEDGE FUND
2019, fuga dagli hedge fund Chiusi 4.000 fondi, riscatti doppi di Gloria Valdonio
L’INDUSTRIA DEI FONDI SPECULATIVI PERDE APPEAL A CAUSA DI RENDIMENTI POCO GENEROSI. ALBERTINI: «UN FENOMENO CHE È DESTINATO A DURARE NEL TEMPO»
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on è la prima volta che accade. Ma è la prima volta che il fenomeno assume queste dimensioni. Nel 2019 l’industria degli hedge fund - un settore da oltre tremila miliardi di dollari – ha registrato una perdita di 4mila fondi. In altre parole il numero di fondi speculativi che hanno chiuso i battenti è stato superiore al lancio di nuovi prodotti che hanno come mission la ricerca dell’alfa, ovvero l’attitudine del prodotto di variare indipendentemente dal mercato di riferimento. Tra gennaio e novembre 2019 quindi i riscatti netti sono stati pari a 81,5 miliardi di dollari, più del doppio rispetto allo stesso periodo del 2018. A deludere gli investitori sono stati soprattutto i rendimenti, nonostante la performance del 2019 sia stata la migliore degli ultimi sei anni. L’Equity Hedge Fund Index di Bloomberg mostra infatti per i primi undici mesi dell’anno guadagni per il settore del 10% contro un incremento del 30% dell’indice azionario Standard&Poor’s 500, e le previsioni indicano che la forbice potrebbe allargarsi a fine anno. Per contrappasso gli ultimi anni, e il 2019 in particolare, hanno segnato la popolarità e il successo degli Etf, campioni delle strategie passive, ovvero le strategie che hanno l’unico scopo di replicare l’andamento di un determinato indice o il prezzo di una determinata asset class. «Lo strumento che una volta dava risultati costantemente superiori ai mercati azionari ora non è più capace di farlo e questo significa che la gestione attiva non funziona più bene come una volta», è il commento di Alberto Albertini, amministratore delegato di Banca Albertini. Che aggiunge: «Lo spostamento di danaro dalla gestione attiva verso quella passiva è un trend che durerà nel tempo». La scommessa sbagliata Che cosa è successo ai vari Buffett, Icahn, Paulson, Soros, Gross, e a tutti i guru di Wall Street che negli anni 90 hanno costruito fortune sulle loro scommesse e visioni? Hanno perso il tocco magico? Il punto di rottura, secondo gli analisti, è stata la crisi finanziaria del 2008 con la conseguente fuga dai fondi speculativi e la corsa (spesso inevasa) ai riscatti. Ma questo è solo uno dei numerosi fattori che ne hanno segnato l’attuale de42
febbraio 2020
Alberto Albertini, amministratore delegato di Banca Albertini. Nella pagina accanto Salvatore Gaziano, responsabile strategie di investimento di Soldi Expert SCF con Roberta Rossi, cofondatrice della società
clino. Le ragioni del ridimensionamento del comparto sono infatti molte. La principale è che strategie e scommesse sarebbero state spiazzate da mercati in continua ascesa (nonostante le previsioni), una longevità record accompagnata da scarsissima volatilità. E sono parecchi i guru che hanno preso un granchio. Su tutti, Ray Dalio, che è rimasto spiazzato dal rialzo dei mercati avendo nel 20172018 scommesso pesantemente su una recessione. Il fondatore di Bridgawater, l’hedge fund più grande del mondo, aveva preso anche una posizione molto decisa contro i titoli italiani prendendo iniziative politiche forti sulla scia dei più fortunati assalti di George Soros su
INVESTIRE SPECIALIST
lira e sterlina negli anni novanta. Impossibile non citare anche Crispin Odey (che gestisce l’omonimo fondo), il finanziere pro Brexit e genericamente “exit”: «Solo dopo due recessioni gli italiani hanno sentito quanto era stretta la giacca indossata con l’ingresso nell’Ue, a vantaggio dei governi ma non dei cittadini. E mi ha sorpreso il fatto che gli italiani abbiano subito una caduta ventennale del potere d’acquisto senza creare disordini di piazza», dichiarava Odey alla stampa. Quello di Odey era l’unico fondo che guadagnava molto nell’ultimo trimestre del 2018. Ma il finanziaere inglese ha deciso di imboccare la strada ribassista andando “short” accumulando così una montagna di perdite. «Quello che ha scombussolato tutti è stato l’ultimo trimestre 2018, quando il mercato è sceso molto, seguito dal pronto recupero del 2019», spiega uno strategist. «Chi aveva scomesso correttamente su una non recessione ha scongiurato le perdite». Ma perché i guru della finanza scommettevano tutti su una recessione? «Perchè era un momento in cui la Fed aveva la faccia da falco – forse per scarsa dialittica con Trump – e dichiarava una politica di inasprimento dei tassi nonostante le perplessità della comunità internazionale», spiega Alessandro Fugnoli, strategist di Kairos Partners.
La volatilità come occasione mancata La gestione iperattiva dei fondi speculativi certamente non viene esaltata in periodi bassa o bassissima volatilità, come è avvenuto nell’ultimo biennio. Inoltre molto spesso la scommessa dei gestori hedge cade sugli unicorni (ovvero le ricercatissime start-up non quotate valutate almeno un miliardo di dollari) che hanno deluso molto negli ultimi anni. Anche per queste ragioni l’obiettivo numero uno dei fondi speculativi, ovvero battere il mercato, non è stato raggiunto. Questo obiettivo nella gestione attiva può essere perseguito acquistando titoli azionari ritenuti sottovalutati (o destinati ad apprezzarsi) e vendendo allo scoperto (short selling) titoli dalle caratteristiche opposte, ovvero sopravvalutati e destinati a deprezzarsi. In questo modo l’esposizione del portafoglio risulta immunizzata rispetto al mercato e il rendimento non è in balìa dei periodi “toro” o “orso”, ma dipende esclusivamente dal cosiddetto stock picking, cioè la scelta dei titoli. «Gli hedge fund per loro natura sono in difficoltà quando ci sono andamenti decisi dei mercati e dovrebbero dare risultati migliori quando invece i mercati non hanno una direzione precisa», spiega Albertini. «Dal punto di vista tecnico si nota come molte strategie, che nel passato rappresentavano il valore aggiunto della gestione, ora non riescono a battere i mercati», aggiunge Salvatore Gaziano, responsabile strategie di investimento di Soldi Expert SCF. «Il 2009-2010 ha messo in crisi le strategie long-short o quelle macro utilizzate dagli hedge fund decretando così il successo delle strategie di investimento passive».
Costi e mancati rimborsi Il declino dei fondi speculativi comincia quindi con la crisi del 2008, che mette in piena luce la loro vera essenza: non sono, come dicono di essere, più long (rialzisti) che short (ribassisti). Le performance inevitabilmente più basse di una strategia long only in un momento di crescita ha generato perdite, e soprattutto ha provocato la corsa ai riscatti degli investitori e ai mancati rimborsi da parte di alcuni fondi. «Si è quindi diffusa la sensazione di scarsa liquidità nei momenti difficili e poi una
certa ostilità nei confronti di questi prodotti», è il commento di Gaziano. «Nel clima patologico del 2009-2010 poi ci sono stati alcuni politici come Angela Merkel che hanno puntato il dito su hedge fund addossando su di loro ogni responsabilità bollandoli addirittura con la definizione locuste del mercato», aggiunge un analista. Non ultimo va citata la voce “costi”. E’ chiaro che si è pronti a pagare anche tanto al gestore quando si guadagna, ma quando il fondo è in perdita è difficile giustificare le commissioni che sono davvero salate anche rispetto ad altri prodotti di risparmio gestito. Quale ruolo possono allora ritagliarsi gli hedge fund tra gli strumenti finanziari in futuro? «Rimarranno sempre nel campionario degli strumenti finanziari dei grandi investitori istituzionali, mentre l’investitore privato è ormai orientato sugli strumenti passivi», risponde Albertini. Che conclude: «Una parte delle masse è ora dirottata verso i fondi di private equity e private debt che offrono più potenziale al sottoscrittore». febbraio 2020
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INVESTIRE SPECIALIST
SUL SETTORE SI PROFILANO MESI DI VOLATILITÀ
Petrolio in bilico tra nuova domanda e spinte per la decarbonizzazione di Gloria Valdonio
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n bilico tra la realtà e la sua rappresentazione, la tesi prevalente per il petrolio è di una successione di mesi all’insegna della volatilità. La rappresentazione parla infatti di progressivo, ma veloce, abbandono del petrolio a favore di un ambiziosissimo programma di decarbonizzazione - accompagnato ovviamente da una drastica riduzione della domanda di petrolio - di cui l’Unione europea si è fatta ambasciatrice nel mondo. La realtà è che la domanda di petrolio continua a crescere e le previsioni indicano che il trend continuerà fino al 2040, trainato soprattutto dai Mercati Emergenti. «Il prezzo del petrolio continuerà probabilmente a segnalare un discreto grado di volatilità durante i prossimi mesi», conferma Audra Stundziaite, senior credit analysts di Hermes Investment Management. Che aggiunge:«La riduzione della domanda di petrolio, principalmente a causa del trend verso i veicoli elettrici, è un percorso che richiederà molto
FORZE CONTRAPPOSTE CONCORRERANNO A RENDERE ESTREMAMENTE VOLATILE IL BARILE, E SARANNO ANCHE UN FRENO A FUGHE IN AVANTI O A ECCESSI DI RIBASSO DELLE QUOTAZIONI. GLI ANALISTI VEDONO IL RANGE 60-70 DOLLARI tempo poichè contemporaneamente la domanda continua a crescere. Le quotazioni dell’oil sono infatti influenzate da molti fattori, quali l’andamento della crescita economica globale, il perdurare delle tensioni nell’ampia area geografica del Medio Oriente, l’esito dell’accordo commerciale tra la Cina e gli Stati Uniti e, non ultimo, il prossimo meeting dell’Opec di marzo, dove verrà presa una decisione sull’estensione ulteriore dei tagli alla produzione petrolifera in future». Audra Stundziaite, Senior Credit Analysts di Hermes Investment Management
L’imbuto di Hormuz Proprio in virtù di queste forze contrapposte il target di medio periodo più gettonato dagli analisti si colloca nel range 60-70 dollari, cioè in quella fascia di prezzo nella quale ha stazionato per molti mesi, a parte il piccolo rally estivo dovuto alle tensioni nello stretto di Hormuz culminate con il raid che ha portato all’eliminazione di Qasem Soleimani. Ovviamente per molti analisti un’eventuale escalation militare con la prospettiva di un possibile blocco del traffico nell’intero Golfo persico darebbe il via libera a nuovi rialzi. «Le tensioni militari creano potenziali rischi per l’approvvigionamento, per esempio qualora scoppiasse un conflitto aperto tra gli Stati Uniti e l’Iran, con lo Stretto di Hormuz che potrebbe diventare inaccessibile a un terzo del volume globale di petrolio», spiega Mobeen Tahir, associate director, research, febbraio 2020
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Mobeen Tahir, associate director, research, di WisdomTree
di WisdomTree. «Ritengo che i mercati petroliferi debbano pagare un premio di rischio geopolitico di peso ragionevole, visti i rischi della regione. Non lo hanno fatto nell’ultimo anno, ma forse ora stanno gradualmente iniziando a prezzarlo».
Cina-Usa Resta il fatto che, nonostante la recente impennata dovuta alle tensioni geopolitiche nel Middle East, il prezzo del petrolio Brent non ha ancora raggiunto i livelli dello scorso aprile. Come spiega Giuseppe Zaffiro Puopolo, portfolio manager di Moneyfarm, da un lato l’aumento della produzione negli Stati Uniti ha cambiato la dinamica dell’offerta e indebolito il potere contrattuale dell’Opec. Dall’altro la crescita globale rimane il fattore chiave nella determinazione del prezzo a causa del suo impatto sulla domanda di greggio. «Gli sviluppi della guerra commerciale Usa-Cina», spiega Puopolo, «hanno contribuito a dettare i corsi di Borsa del petrolio, e il recente accordo tra le due superpotenze ha supportato il rally del greggio. Ma il quadro dell’offerta non è stato di supporto: l’Opec si è infatti accordato a dicembre per estendere i tagli alla produzione, ma ciò non è stato sufficiente per aumentare i prezzi soprattutto perché da altre parti del mondo (come gli Stati Uniti) la produzione è cresciuta più del previsto, spingendo il prezzo verso il basso”. 46
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I rialzisti Nonostante le considerazioni fatte, ci sono strategist che credono in un apprezzamento, anche se non eclatante, dell’oil. Le motivazioni addotte sono facilmente intuibili: le tensioni commerciali si sono allentate esercitando così una pressione al rialzo sui prezzi del petrolio, mentre le tensioni militari creano potenziali rischi per l’approvvigionamento. Va detto che, nonostante le sanzioni statunitensi, l’Iran produce ancora più di 2 milioni di barili di petrolio al giorno, l’Iraq circa 4,7 milioni e che a oggi non c’è abbastanza capacità di riserva globale per sostituirlo. Inoltre circa un quinto delle esportazioni mondiali, e ben il 41% delle importazioni cinesi, transita dallo Stretto di Hormuz. Un ipotetico blocco comporterebbe un’impennata immediata dell’inflazione anche se, rispetto al passato, le dimensioni dello shock sarebbero certamente più contenute. «L’impatto più diretto dovrebbe consistere in un aumento significativo del prezzo del barile, accompagnato da un maggior interesse per i beni rifugio, oro in testa», spiega Olivier De Berranger, chief investment officer di La Fi-
LA FLESSIBILITÀ DERIVANTE DALLO SFRUTTAMENTO DELLO SHALE OIL RISPETTO AI POZZI TRADIZIONALI CONSENTIREBBE COMUNQUE DI MITIGARE UN POSSIBILE SHOCK PRODUTTIVO
Olivier De Berranger, cfo di La Financière de l’Echiquier
nancière de l’Echiquier. Che però aggiunge: «La flessibilità derivante dallo sfruttamento dello shale oil rispetto ai pozzi tradizionali consentirebbe comunque di mitigare un possibile shock produttivo: lo scisto americano presenta il doppio vantaggio di una messa in produzione in tempi rapidi a fronte di un investimento ridotto». Ma quali sarebbero le conseguenze di un apprezzamento? «Per le imprese dell’area, in gran parte legate al settore energetico e finanziario, le ripercussioni in Borsa potrebbero essere significative, anche se rappresentano solo una piccolissima minoranza tra le maggiori aziende mondiali: a parte Saudi Aramco, la compagnia petrolifera saudita da poco quotata, nessuna società quotata nella regione è tra le prime 250 del mondo in termini di fatturato», spiega De Berranger, secondo il quale però un’impennata del petrolio potrebbe anche avere un inedito risvolto ecologico virtuoso in quanto accelererebbe la transizione energetica e renderebbe le energie rinnovabili economicamente più interessanti.
HA I M AI P EN S A TO D I R A GGI UNG ER E PI Ù CL I EN T I CO N I L SO C IAL A D VER T I SI NG ?
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I ribassisti “Probabilmente anche il 2020 sarà caratterizzato da ampia offerta di petrolio e domanda debole”. E’ questa invece la principale tesi degli analisti “ribassisti”, che si ispirano all’outlook dell’IEA (l’Agenzia Internazionale per l’Energia) che stima che la crescita dell’offerta non Opec raggiungerà 2,2 milioni di barili al giorno, assorbendo ampiamente la crescita della domanda, pari a 1,2 milioni di barili al giorno. L’eccesso di approvvigionamento sarà quindi superiore a un milione di barili nel caso in cui l’Opec sosterrà gli attuali livelli di produzione. In questo scenario, è probabile che i produttori di petrolio convenzionali dell’Opec taglieranno ulteriormente la produzione per aiutare a bilanciare il mercato, ma difficilmente ciò sarà sufficiente. «Le prospettive ribassiste sono condivise dai mercati finanziari», afferma Puopolo. «La previsione del consenso prevede un prezzo intorno ai 60 dollari medi al barile nel 2020, in calo rispetto ai 64 previsti per il 2019. La curva dei futures indica un calo ancora più marcato, consolidando le view prudenti prevalenti sul mercato». Analogo il giudizio di Sophie Chardon, cross-asset strategist di Lombard Odier, secondo la quale il calo della domanda sarà il principale driver dei prezzi del petrolio nel 2020, in scia al rallentamento dell’economia mondiale. «Per questo le nostre previsioni a dodici mesi restano invariate a 60 dollari al barile - Brent -, con possibili rialzi nel breve termine», dice Chardon. Che aggiunge: «Tuttavia, sempre nel breve termine, ci aspettiamo un surplus sul mercato del petrolio fisico a causa dell’incremento della produzione in Norvegia e in Brasile, visto che alcuni programmi convenzionali iniziano a intensificarsi. Soprattutto riteniamo che l’Opec continui ad adottare un atteggiamento reattivo, modificando se necessario le stime sulla produzione». La decarbonizzazione. Ma in quale misura la decarbonizzazione annunciata influisce sui target? E quale incidenza avrà in futuro sulle componenti del prezzo dell’oil? Secondo Tahir i piani di decarbonizzazione avranno un impatto, ma di lungo periodo, sull’industria petrolifera. 48
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I veicoli elettrici e ibridi – spiega lo strategist - hanno registrato una crescita notevole negli ultimi anni e si prevede che questa tendenza continuerà. Detto questo, nel 2019 le auto a benzina e diesel hanno rappresentato nel complesso ancora il 93% delle immatricolazioni nel Regno Unito. «Ciò significa che il petrolio come fonte di energia per gli autoveicoli sarà probabilmente sostituito molto gradualmente», spiega Tahir. Secondo Puopolo il mondo sta usando l’energia in modo più efficiente. Dal 1990 l’intensità energetica del Pil (ovvero le unità di energia necessarie per produrre ciascuna unità di produzione) è diminuita a un tasso medio dell’1,5% all’anno. Questo significa che se nel 1990 ci volevano 7,6 megajoule per produrre ogni
LA MAGGIORE DOMANDA DI ENERGIA NON SIGNIFICA IN AUTOMATICO UNA MAGGIOR DOMANDA DI PETROLIO, CHE NEL 2020 RAPPRESENTERÀ IL 32% DEL MIX GLOBALE DEI CARBURANTI CONTRO IL 46% DEL 1970 Nella foto Sophie Chardon, crossasset strategist di Lombard Odier
dollaro di Pil reale, nel 2015 ne servivano solo 5,1. Risultato? Se questa tendenza continuerà, l’economia mondiale dovrà crescere di oltre l’1,5% ogni anno per generare più domanda di energia, e la crescita prevista del Fondo Monetario Internazionale è di circa il 3,5% all’anno per i prossimi anni. «Ma una maggiore domanda di energia non significa automaticamente una maggiore domanda di petrolio, infatti il mix energetico è cambiato nel tempo», spiega Puopolo. «Si prevede che la quota di petrolio nel mix globale di carburanti si attesterà intorno al 32% nel 2020, rispetto al 46% del 1970». Le fonti energetiche alternative come gas, energia nucleare e fonti rinnovabili (eolico, geotermico, biomassa e biocarburanti) stanno infatti conquistando crescenti quote di mercato, e le previsioni mostrano che la quota di petrolio scenderà a un quarto entro il 2040, quasi alla pari con il gas, mentre la quota di energie rinnovabili salirà al 14% nel 2040 da praticamente zero nel 2000. «Le previsioni a lungo termine incorporano ovviamente un elevato grado di incertezza, tuttavia, la spinta globale verso la decarbonizzazione e la “green economy” appare molto intensa», conclude Puopolo.
L’ASSICURATORE DEI CREDITI
«Si crescerà ancora, ma meno Molto dipenderà dai consumi» di Angelo Curiosi
«D
alla seconda metà del 2019, la parola recessione si è fatta sempre più insistente in alcune economie del vecchio Continente per via dei trend in decisa decelerazione nel commercio e nel manifatturiero. A livello globale invece ci attendiamo una crescita modesta con uno scenario di “soft landing” in cui il Pil dovrebbe mettere a segno nel 2020 una crescita del 2,4%, contro il +2,5% del 2019 e il +3,1% del 2018»: Michele Pignotti, top-manager di Euler Hermes, membro del consiglio del management con la responsabilità di marketing, commercio e distribuzione, ha idee chiare sull’anno appena iniziato. Il poderoso ufficio studi della più grande società mondiale di assicurazione del credito gli ha appena aggiornato le stime sull’economia mondiale, e gli economisti di casa – diversamente da tanti, troppi analisti finanziari delle grandi banche d’investimento padrone di Wall Street – difficilmente sbagliano (quantomeno non di grosso) quando analizzano il rischio per orientare al meglio le mosse di Euler Hermes, all’insegna della prudenza e dell’esperienza. Quella prudenza e l’esperienza che fa di Euler Hermes la punta di lancia del colosso assicurativo Allianz proprio nell’assicurazione dei rischi di credito. Allora, dottor Pignotti: quali sono le vostre previsioni globali e quali saranno i principali eventi che potranno influenzare la crescita? I consumatori saranno il fattore cardine di resilienza insieme a settori quali i servizi e le costruzioni, che consentiranno di superare il primo semestre 2020 senza ulteriori arretramenti, prima che le migliori condizioni monetarie e il minor rischio politico permettano un recupero del settore manifatturiero che dovrebbe avveni50
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INTERVISTA CON MICHELE PIGNOTTI, BOARD MEMBER DI EULER HERMES (GRUPPO ALLIANZ) «PER QUANTO RIGUARDA STATI UNITI E CINA, IL PEGGIO POTREBBE ESSERE ALLE NOSTRE SPALLE» re non prima della seconda metà del 2020. Guardando invece al rischio default delle imprese, il Global Insolvency Index (l’indice di insolvenza elaborato da Euler Hermes. N.d.r.) crescerà di +8%, sia nel 2019 che nel 2020, con un incremento significativo in Asia del +15% nel 2019 e del +16% nel 2020, un rimbalzo in Europa Occidentale, con un +3% nel 2019 e 2020 e un’inversione di tendenza in Nord America del +2% e +4% nel 2019 e 2020. Si è parlato a lungo di una Trade War tra Stati Uniti e Cina, Stati Uniti ed Europa…cosa avverrà nel 2020? Nel 2019 il commercio globale dovrebbe chiudersi con la crescita più lenta degli ultimi dieci anni e cioè +1,5%. Nell’insieme gli esportatori hanno perso in un anno 420 miliardi di dollari Usa. Le principali vittime della recessione commerciale sono state la Cina
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con -67 miliardi di dollari, la Germania con -62 miliardi di dollari e Hong Kong con -50 miliardi di dollari. Per quanto riguarda Usa e Cina, il peggio potrebbe essere alle nostre spalle, ma nonostante una leggera accelerazione ci aspettiamo che il commercio globale rimanga in questo regime di modesta crescita ancora nel 2020 con un +1,7%. Veniamo alla sua azienda. La digitalizzazione spinta sta cambiando il modo di fare business. Quali sono le sfide di Euler Hermes su questo tema? Soprattutto nel suo ruolo all’interno del Board a Parigi, quali potranno essere le novità digitali da cavalcare? Il gruppo Euler Hermes è sicuramente all’avanguardia nel settore assicurativo sul tema della digitalizzazione. Le due direttrici principali dell’innovazione digitale, che seguo in prima persona in seno al Board, sono la trasformazione dell’esperienza cliente e l’obiettivo di diventare una data driven company. Riguardo al primo punto abbiamo ad esempio appena lanciato un nuovo customer portal, My EH, che rivoluziona il modo di fruizione dell’assicurazione crediti grazie a uno studio approfondito dei customer journeys e su una nuova architettura informatica Api based. Sul secondo tema, stiamo integrando sempre di più l’intelligenza artificiale nei nostri processi al fine di profilare meglio i nostri clienti e prospect e anticiparne le esigenze, migliorare gli algoritmi di valutazione del rischio e favorire il real time pricing.
In termini di supporto alle imprese, ci sono novità significative. Come l’assicurazione del credito può supportare questa fase di bassa del ciclo economico? E in Italia? In media il 40% degli asset di un’impresa sono rappresentati dai crediti commerciali e circa il 50% di tutte le insolvenze proviene da fornitori con i quali si stabiliscono relazioni commerciali stabili e durature. Per una corretta gestione dei flussi di cassa e un valido indirizzo delle politiche commerciali ci si può avvalere dei servizi di assicurazione del credito a prescindere dalle fasi espansive o recessive del ciclo economico. Da alcuni anni Euler Hermes ha intrapreso un percorso di diversificazione dell’offerta per aziende di ogni dimensione e settore ritagliandosi un ruolo di partner a 360° nella gestione del credito
e supportando le aziende in ogni fase del loro ciclo di vita. In questo modo si va oltre la classica assicurazione crediti a breve termine offrendo soluzioni di garanzie assicurative a medio termine, cauzione e supporto nelle operazioni di finanza strutturata.
Da oltre un anno Euler Hermes è detenuta in modo totalitario da Allianz, quali sono le relazioni e le sinergie che state attuando sul mercato? Già da alcuni anni con l’intera galassia Allianz sono in piedi numerose sinergie di carattere operativo che si possono ben distinguere in attività di cross selling commerciale tra le varie società del gruppo; di investimenti congiunti come per esempio la start up digitale C2FO creata da Allianz X con il supporto di Euler Hermes; e infine di partnership nelle varie aree del mondo con l’obiettivo di migliorare la presenza e i servizi sul territorio, per esempio in Sud Africa e Arabia Saudita. L’obiettivo finale è di presentarsi sui mercati globali come un unico grande gruppo in grado di rispondere a qualsiasi esigenza finanziaria del cliente.
UN COLOSSO DA 2,7 MILIARDI DI EURO
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ichele Pignotti, nato a Napoli 54 anni fa, ha conseguito un Mba presso la scuola di management della Fondazione Cuoa. Ha cominciato a lavorare per Euler Hermes nel 2004 come direttore commerciale e marketing per l’Italia, dopo un’esperienza come direttore marketing europeo per Sara Lee Branded Apparel e come direttore marketing business in Telecom Italia. Nel 2008 è stato nominato ceo di Euler Hermes Italia. Con il suo operato e con quello di tutto il team locale, ha contribuito a rafforzare la leadership di mercato (48,7%, dati Ania 2015), ad ampliare l’offerta di prodotti e servizi e a incrementare la penetrazione nel mercato dell’assicurazione crediti. A partire dal 2010 è stato promosso a capo delle attività della regione Mmea (Paesi mediterranei, Medio Oriente e Africa). Dei 14 Paesi che oggi compongono la regione Mmea, in ben 12 Euler Hermes è leader di mercato. Nell’aprile del 2016 è divenuto Board Member di Euler Hermes ed attualmente opera presso l’headquarter di Parigi. Ma chi è Euler Hermes? Dal sito www.eulerhermes.it emerge il
profilo di un Ieader mondiale dell’assicurazione crediti, specializzata in cauzioni, recuperi, credito commerciale strutturato e rischio politico. Grazie a una banca dati proprietaria e a una rete di specialisti in loco, analizza quotidianamente l’evoluzione della solvibilità di aziende che rappresentano il 92% del Pil mondiale. Offre alle imprese la garanzia di operare con sicurezza e di ottenere il pagamento dei propri crediti. Indennizza i crediti inesigibili, ma soprattutto assiste i clienti per evitare operazioni dall’esito incerto. Ogni volta che si stipula una polizza di assicurazione crediti o altre soluzioni finanziarie, la priorità di Euler Hermes è la protezione predittiva, ma in caso di sinistro, il rating AA testimonia proprio la solidità delle risorse che la società mette in campo con il sostegno del gruppo Allianz per garantire l’indennizzo dei nostri clienti. Ricordiamo che il gruppo è presente in oltre 50 Paesi con 5.800 collaboratori. Nel 2018 Euler Hermes ha raggiunto un giro d’affari consolidato di 2,7 miliardi di euro e ha coperto transazioni commerciali per un ammontare totale di 962 miliardi di euro.
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GUERRA COMMERCIALE
La quiete dopo la tempesta? di Matteo Ramenghi*
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opo due anni di tensione e un’escalation di nuovi dazi, Donald Trump e il vice premier cinese Liu He hanno finalmente siglato un accordo che prevede che gli Stati Uniti revochino nuovi dazi al 15% su quasi 160 miliardi di dollari di prodotti cinesi e che la Cina si impegni ad aumentare le proprie importazioni dagli Stati Uniti per 200 miliardi di dollari, a rispettare la proprietà intellettuale e a difendere la stabilità della propria valuta. Ci potrebbero essere ulteriori passi avanti nella seconda fase delle trattativa, al momento non ancora pianificata. Si tratta di un accordo positivo per l’economia e per i mercati finanziari perché rimuove il rischio di ulteriori escalation. Nel corso dell’ultimo anno abbiamo più volte evidenziato come le tensioni commerciali tra Cina e Stati Uniti abbiano creato un clima di incertezza che ha penalizzato gli investimenti da parte delle aziende, facendo diminuire gli ordinativi dell’industria e portando a una decelerazione dell’economia globale. A questo punto possiamo aspettarci un recupero ma, in considerazione della natura limitata dell’accordo, probabilmente sarà solo parziale. Infatti restano in piedi dazi del 25% su 250 miliardi di dollari di prodotti cinesi e del 7,5% su altri 120 miliardi. Inoltre l’accordo raggiunto con la Cina non esclude che la minaccia di dazi venga utilizzata in futuro nei confronti di altri partner commerciali. Comunque le tensioni tra queste due super potenze non possono considerarsi accantonate. Sullo sfondo del protezionismo ci sono problemi ben più ampi come la rivalità tecnologica (a partire dal 5G), la sfera d’influenza geopolitica e la possibilità che nel giro di qualche anno la Cina superi gli Stati Uniti come prima economia mondiale insidiando il ruolo del dollaro di valuta internazionale. Infatti se l’euro oggi è meno credibile come alternativa al dollaro rispetto a venti anni fa, il renminbi, ancora in una fase iniziale della sua internazionalizzazione, ha il potenziale di proporsi come una temibile alternativa. Per esempio oggi la Cina è il principale importatore di petrolio che acquista prevalentemente dalla Russia, dall’Arabia Saudita e dall’Angola. La potenziale disponibilità in futuro di un grande esportatore di petrolio ad accettare il renmimbi al posto del dollaro sarebbe un segnale molto rilevante e di discontinuità. Le Borse hanno cominciato a scommettere sulla tregua già a partire da metà dicembre dello scorso anno, ma la reazione positiva è continuata nelle ultime sedute. D’altra parte l’atteggiamento accomodante delle principali banche centrali fornisce un’assicurazione contro i rischi politici e si tratta ovviamente di un fattore di supporto per il mercato azionario e in particolar modo per gli emergenti. Per quanto riguarda questi ultimi, 52
febbraio 2020
«SEPPUR NON RISOLUTIVI, GLI ACCORDI TRA STATI UNITI E CINA SONO POSITIVI PER ECONOMIA E MERCATI FINANZIARI»
Nella foto il presidente degli Stati Uniti Donald Trump con il vice premier cinese Liu He
a partire dall’Asia, non bisogna perdere di vista le grandi trasformazioni in corso. La crescita della popolazione, l’allargamento della fascia media e la creazione di infrastrutture uniti al rapido recupero tecnologico – soprattutto in Cina – sono elementi destinati a rafforzare la domanda interna e a far evolvere queste economie molto rapidamente. Nei prossimi anni il Pil delle economie emergenti continuerà a crescere più rapidamente rispetto a quello delle economie avanzate. Questa crescita dovrebbe tradursi in migliori fondamentali per tali economie e in maggior rilevanza negli indici azionari e obbligazionari globali. * Chief investment officer Ubs Wm Italy
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NUOVE EMISSIONI
Intek Group ritorna sul mercato dei bond di Angelo Curiosi
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IL PRESTITO OBBLIGAZIONARIO QUINQUENNALE, 2020-2025, EMESSO DALLA HOLDING PAGA UNA CEDOLA DEL 4,5% LORDO IN PIENA ERA DI TASSI NEGATIVI
n prestito obbligazionario quinquennale, 2020-2025, che paga una cedola del 4,5% lordo – molto interessante in un’era di tassi negativi – emesso al dettaglio (lotto minimo 1.080 euro) da una società quotata sana, profittevole, con un patrimonio netto di 500 milioni di euro, con 60 milioni di cassa, che prima dell’emissione ha, come debito finanziario, circa 100 milioni di obbligazioni e successivamente, a fine febbraio, ridurrà questo debito a circa 75 milioni: è il bond che dal 27 gennaio prossimo sarà collocato in Borsa, al Mot, dalla Intek Group, la holding di partecipazione guidata da Enzo Manes cui fanno capo la quota di controllo del colosso dei metalli non ferrosi KME, nonché partecipazioni in Culti Milano (valore 10 milioni) e Ducati Energia (valore 17) e immobiliari tra Milano, Varedo e Ivrea per ulteriori circa 24 milioni netti. Il bond verrà classato in Borsa senza intermediari e al pubblico indistinto con un’operazione composita che è stata approvata dal consiglio di Intek, con il supporto dell’advisor Equita Sim, il 3 dicembre scorso. Consob ha approvato il prospetto informativo relativo all’offerta pubblica in sottoscrizione e alla contestuale ammissione a quotazione del nuovo bond. L’operazione è finalizzata – recita il comunicato Intek – “a consentire alla Società di mantenere la liquidità a un livello equilibrato, permettendo il finanziamento di nuove operazioni di investimento, di allungare la durata media del debito, potenzialmente riducendone il costo medio, nonché di semplificare la struttura del capitale”. Ma per comprendere bene il senso e la costruzione è interessante fare un passo indietro. In sostanza, Intek prosegue un rapporto felice con il mercato obbligazionario che dura dal 2012. In quell’anno la società promosse un’offerta pubblica di scambio con cui offrì ai suoi azionisti la sottoscrizione di obbligazioni 2012-2017 a un tasso dell’8% sottoscrivibili in cambio di azioni Intek. Nel 2015 a questi obbligazionisti venne offerta la possibilità di rinnovare il prestito con condizioni diverse: tre anni di durata in più (scadenza 2020, dunque), a fronte di un tasso al 5% per un valore complessivo di 101,7 milioni, di cui poco più di 60 finalizzati a sostituire i vecchi bond e 40 di nuova emissione, a fronte dei quali la domanda fu di ben 170 milioni. L’operazione è stata la prima effettuata direttamente sul Mot da parte di un’impresa non bancaria senza collocatore. Da allora il prestito ha pagato regolarmente le sue cedole restando quotato attorno alla parità. Il nuovo prestito sarà ora destinato in parte (50,9 milioni sui 101,7 che oggi costituiscono lo stock circolante) alla sostituzione e rinnovo del prestito 2015 da parte dei suoi portatori,
effettuabile dal 27 gennaio al’11 febbraio; e in parte, per ulteriori 25 milioni, alla sottoscrizione di bond per ulteriori 25 milioni fino al 14 febbraio. I bond offerti in scambio che non dovessero essere sottoscritti saranno poi a loro volta riofferti, col meccanismo del claw back, a tutto il mercato. Gli ultimi 25 milioni del vecchio prestito saranno semplicemente rimborsati facendo ricorso a parte della liquidità di cui Intek attualmente dispone. Il tutto si concluderà il 18 febbraio. Al buon andamento dell’emissione obbligazionaria è collegata la possibilità, per Intek, di effettuare una successiva operazione sicuramente apprezzata da analisti e mercato: nel caso cioè le Obbligazioni 2020 saranno emesse almeno per 60 milioni di euro, Intek lancerà un’offerta pubblica di scambio volontaria totalitaria sulle azioni di risparmio Intek Group, con corrispettivo rappresentato da Obbligazioni 2020, con riconoscimento - tenuto conto del valore nominale delle nuove obbligazioni - di un premio di oltre il 53,7% rispetto alla media dei prezzi di Borsa degli ultimi tre mesi precedenti l’offerta. Qualora quest’offerta di scambio su azioni di risparmio venga promossa, si prevede che possa svolgersi entro il mese di aprile 2020 con l’emissione di altri bond per massimi 25 milioni di euro. Il mercato ha già risposto positivamente a questa offerta: dopo l’annuncio il prezzo delle azioni di risparmio è salito di quasi il 50%. febbraio 2020
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PREVIDENZA
Alfonsino Mei: «Solo ‘Fare Presto’ può dare un futuro all’Enasarco» di Angelo Curiosi
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al 17 al 30 aprile 2020 agenti e case mandanti saranno chiamati a votare per rinnovare le cariche per la guida della Fondazione Enasarco per il quadriennio 202024. Nelle elezioni del 2016, Alfonsino Mei (Anasf) è stato il primo (e unico) consulente finanziario a entrare del Cda Enasarco e oggi, con la lista unitaria “Fare Presto! E Fare Bene”, si candida alla guida dell’Ente: «L’attenzione sui Consulenti Finanziari in questi anni è salita vertiginosamente, grazie anche, permettetemi di dirlo, al lavoro svolto dal sottoscritto; come Consigliere Anasf ho sempre riferi-
IL PRIMO E A OGGI UNICO CONSULENTE FINANZIARIO MAI ENTRATO NEL CDA DELL’ENTE E ORA CANDIDATO AL VERTICE SPIEGA LE QUALITÀ DI NOMI E PROGRAMMA to con trasparenza le attività svolte dai Cda Enasarco, dando la massima tutela al controllo degli accantonamenti dei consulenti finanziari. Noi consulenti siamo tra le categorie che versano di più in Enasarco e tra i più preparati tecnologicamente; svolgiamo un ruolo cruciale in questo percorso di riscatto e rinascita, occupando, anche percentualmente, come iscritti, uno spazio maggiore rispetto agli altri», dice Mei. “Fare Presto! E fare bene” è la lista unitaria di cui Mei è promotore e che ha messo insieme le associazioni nazionali di categoria Anasf (consulenti), Federagenti e Fiarc (agenti), con il sostegno
Cambiare per tutelare le pensioni
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e elezioni del 2016 hanno rappresentato una pietra miliare nella storia dell’Enasarco, perchè i Ministeri vigilanti con esse hanno inteso introdurre elementi di trasparenza e democraticita’ prima assenti, visto che il Cda non veniva eletto dalla “base” ma nominato direttamente “dall’alto”. Un sistema che perpetuava uno status quo immodificabile, con un ente finito in diverse occasioni al centro di scandali e oggetto di indagini sui media nazionali. Nel 2016 non a caso proprio a seguito di tali elezioni e delle svariate migliaia di consensi ricevuti, l’associazione che rappresento ha potuto finalmente essere presente in Enasarco (sia nell’Assemblea dei delegati che nel Cda), possibilità a noi prima negata da chi era arroccato sull’Aventino. Purtroppo però già dai primi passi della nuova presidenza – che aveva promesso una netta discontinuità rispetto al passato - abbiamo riscontrato una profonda divergenza di vedute su come intervenire per mettere in sicurezza il risparmio previdenziale degli iscritti, che ci ha portato di fatto a dissociarci da una linea gestionale ritenuta assolutamente deludente e che abbiamo criticato a più riprese. E in questa valutazione ci siamo trovati praticamente da subito d’accordo sia con Anasf che con Fiarc Confesercenti. Non ci si può limitare all’ordinaria amministrazione e a “mettere una pezza” a situazioni figlie di un passato opaco più o meno recente, laddove la situazione LUCA GABURRO 54
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richiederebbe invece interventi risoluti da un lato e una visione strategica di prospettiva da un altro, anche per far fronte all’ormai decennale consistente calo degli iscritti che dovrebbe preoccupare moltissimo. Enasarco dovrebbe garantire non solo la cosiddetta sostenibilità finanziaria, ma anche l’equità e l’adeguatezza delle prestazioni agli iscritti, e la soluzione non può essere che gli iscritti versino sempre di più per avere sempre di meno. Queste considerazioni hanno portato le 3 associazioni a costituire la Lista “Fare Presto e Fare Bene” che concorrerà alle prossime elezioni Enasarco di aprile 2020. Riteniamo infatti non siano ulteriormente differibili profondi interventi sulla gestione del patrimonio mobiliare ed immobiliare dell’ente, sulle prestazioni offerte e sulle consulenze. Tra gli obiettivi prioritari del nostro Programma, la riduzione degli oneri di funzionamento, l’efficientamento delle prestazioni integrative e una gestione professionale del patrimonio per massimizzarne la redditività all’interno di una asset allocation più in linea con la mission previdenziale dell’ente e attuata attraverso processi decisionali trasparenti. Occorre subito un reale e deciso cambiamento a tutela dei risparmi pensionistici degli iscritti prima che sia troppo tardi e per questo ci candidiamo alla guida dell’ente. di Luca Gaburro Segretario generale Federagenti
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di Confesercenti e Anpit: «In Enasarco è custodito il presente e il futuro degli iscritti e delle loro famiglie. Non c’è quindi dubbio che la cassa previdenziale debba essere consegnata nelle mani di chi ha le giuste professionalità e conosce la storia, l’importanza e la responsabilità di questa professione. L’attuale governance non è stata capace, in questi anni, di rispondere alle esigenze degli iscritti e la nostra proposta va proprio nella direzione di dare un ricambio e una rinascita autentica a Enasarco, che tra perdite di iscritti, investimenti poco azzeccati e assenza di programmazione si è rivelata fallimentare. Al centro del nostro programma ci sono invece le competenze: siamo gli unici ad avere le skills adeguate per produrre un aumento delle rendite del patrimonio dell’ente e tutelare le pensioni di consulenti e agenti». Mei invita poi i consulenti finanziari a prestare attenzione perché «per le elezioni Enasarco della prossima primavera sono scese in campo delle liste civetta, che si spacciano come rappresentative della nostra professione, ma che tra i candidati schierano solo un paio tra consulenti e iscritti all’Anasf; in altre liste ci sono invece alcuni candidati consulenti, che però sono in continuità con il sistema attuale. Per questo invito i nostri iscritti a scegliere l’unica, vera, lista dei consulenti finanziari “Fare Presto! E fare bene”: perché significa scegliere la trasparenza e la professionalità. In Enasarco ci sono in ballo i risparmi di 220.000 famiglie e non si scherza con il futuro di chi ha lavorato una vita». Negli ultimi 10 anni Enasarco ha registrato una perdita media di 5.000 iscritti l’anno «e questa rotta va assolutamente invertita. Per questo tra i primi punti del nostro programma ci sono i giovani, che intendiamo coinvolge-
Nella foto Alfonsino Mei davanti a un pannello con il logo della lista
re con un progetto-lavoro i cui benefici cadranno su tutto il sistema Paese. Tra i temi del nostro programma c’è poi quello di allargare il fronte pensionistico ai contribuenti silenti, coloro che non riescono a raggiungere l’attuale requisito minimo pensionistico di 20 anni; la nostra intenzione è quella di abbassare il requisito a 5 anni, naturalmente attribuendo l’assegno su base contributiva. «Enasarco deve avere la capacità di rispondere ai bisogni degli iscritti e dare una visione, un’idea chiara di futuro e noi di “Fare Presto! E Fare Bene ce l’abbiamo», conclude Mei.
Discontinuità netta col passato
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elle prossime elezioni Enasarco, la Fiarc ha scelto la strada dell’alleanza con chi, nell’ultima legislatura, si è trovata al suo fianco nelle scelte e nelle conseguenti votazioni a partire dal voto contrario alla approvazione degli ultimi bilanci della Fondazione ossia la Federagenti e l’Anasf. Questa alleanza ha dato vita a una lista unica che esprime, già nel nome, la necessità e l’urgenza di una riforma radicale dell’Ente: “Fare FABIO D’ONOFRIO presto e fare bene”. Al nostro fianco c’è anche la Confesercenti, quale associazione di rappresentanza delle case mandanti, che insieme a noi condivide la necessità dell’immediatezza del cambiamento. Tutti insieme (Fiarc, Federagenti e Anasf) abbiamo già avviato un lavoro capillare su tutto il territorio, perché abbiamo l’ambizione di voler parlare direttamente con il maggior numero di agenti e di consulenti e far capire loro che votare per la nostra lista “Fare presto” è l’unico possibile segno per un reale cambiamento epocale della Fondazione Enasarco. Per ottenere questo risultato, proponiamo un originale modello di analisi ed un metodo di lavoro più moderno e al passo con le nuove dinamiche del settore dell’intermediazione al fine di poter garantire ai circa 220.000 agenti, rappresentanti di commercio e consulenti finanziari in attività una pensione e una assistenza degne di questo nome.
Analisi e lavoro: questo il nostro paradigma su cui si vuole improntare l’azione riformatrice della Fondazione: • dobbiamo fare presto perché lo scenario economico si trasforma velocemente in un contesto di non facile lettura per le nostre imprese; • dobbiamo fare presto perché le nostre imprese cambiano e cambia il loro progetto imprenditoriale; • dobbiamo fare presto perché Enasarco non può a sua volta non cambiare. Ma dobbiamo anche avere la forza di invertire la rotta. Dobbiamo scrollare da Enasarco l’immobilità, la poca trasparenza, ma anche correggere molte scelte che consideriamo sbagliate. Il cambiamento si attua giorno dopo giorno con la certezza che Enasarco deve rappresentare un valore aggiunto e non un maggior costo, un corpo estraneo lontano dalle imprese: Fare Presto per fare di Enasarco un partner affidabile ed efficiente dei consulenti finanziari, degli agenti e delle preponenti questa è la nostra missione, la nostra sfida. Renderla una struttura snella, efficiente e centrata sul suo core business che è garantire le pensioni e che queste siano le migliori possibili, Fare Presto affinché Enasarco possa rappresentare concretamente una certezza per il futuro e non solo un costo. di Fabio D’Onofrio Coordinatore Nazionale della Fiarc febbraio 2020
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DISTRETTI INDUSTRIALI
Così la California d’Italia ha reagito allo tsunami cinese delle scarpe di Federico Pirro
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l comparto del tessile-abbigliamento-calzaturiero ha un’antica tradizione in città e centri minori della Puglia - come Barletta, Trani e Molfetta sulla costa a nord di Bari, Putignano nel Sud-Est barese, Martina Franca nel Tarantino, Nardò, Casarano, Matino e Tricase nel Salento - ma nell’ultimo ventennio ha subito una dura ristrutturazione selettiva che ha causato la scomparsa di grandi aziende storiche (qualcuna delle quali giunta anche a 1.500 occupati come le calzaturiere Filanto e Nuova Adelchi in provincia di Lecce) ma anche di molte pmi che erano riuscite a crearsi sia pure a fatica un proprio marchio. Tale processo tuttavia, causato dall’arrivo sui mercati di sbocco delle produzioni locali di beni di qualità medio-bassa a prezzi molto contenuti provenienti dal Far East, pur decimando imprese e occupati, non ha distrutto completamente il comparto nelle sue articolazioni, ma ha determinato in molte aziende, ben dirette da imprenditori lungimiranti, un riposizionamento competitivo su fasce di beni di qualità, confezionati però come ‘contoterzisti’ per marchi del lusso. Sono rinate così imprese che, cambiata in alcuni casi ragione sociale, sono divenute soggetti aziendali la cui rapida crescita è stata studiata anche a livello internazionale. È il caso della Leo Shoes di Casarano nel Salento sud occidentale, erede della tradizione della Filanto - per oltre 40 anni vera impresa ‘motrice’ dell’area con tutto il suo vasto indotto - che da qualche anno, riassumendo la manodopera prevalentemente femminile della vecchia società e guidata da Antonio Sergio Filograna, dopo aver consuntivato 11,8 milioni di fatturato nel 2012, ha raggiunto i 62 milioni nel 2017, per poi balzare a fine 2018 a 109,7 milioni di ri56
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Una foto storica del calzaturificio Elata di Salvatore Nicolazzo Nella pagina di destra un’immagine dello stabilimento Les Shoes
LA CRISI HA DETERMINATO IN MOLTE AZIENDE, BEN DIRETTE DA IMPRENDITORI LUNGIMIRANTI, UN RIPOSIZIONAMENTO SU FASCE DI BENI DI QUALITÀ cavi, meritandosi così una citazione del Financial Times tra le industrie italiane a più elevato tasso di crescita media annua. Con 576 addetti diretti più una supply chain ragguardevole e un nuovo stabilimento in previsione con altri 100 occupati, oggi la Leo Shoes produce per Ferragamo, Gucci e altri marchi di livello internazionale perché alla manodopera salentina si riconoscono abilità manifatturiere non facilmente reperibili in altri territori. Sempre a Casarano si ricorda per la sua storia un’altra industria calzaturiera più piccola della precedente, la Elata, fondata nel 1924 da Martino Nicolazzo che continua a produrre calzature di qualità, nota anche per aver fornito le scarpe calzate da Richard Gere nel film Chicago. Altro caso aziendale di rilievo nazionale è quello della Cofra di Barletta, fondata nel 1938 col nome di Cortelgomma da Ruggiero Cortellino, che - dopo essersi affermata negli anni ’80 per le calzature sportive e da jogging con il marchio The best walker, poi colpite dalla concorrenza devastante di quelle a basso prezzo dei Paesi asiatici - avendo intuito per tempo quanto poi sarebbe accaduto, dal 2004 ha diversificato entrando nel comparto delle safety shoes, calzature di sicurezza, di cui è diventata leader in Italia insieme a un’azienda del
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Nord, arricchendo inoltre la gamma dei beni venduti con un vasto assortimento di abbigliamento da lavoro. La società diretta da Giuseppe Cortellino ha chiuso il 2016 con 106,5 milioni di ricavi, il 2017 con 118,4 e il 2018 con un fatturato di 125,1 milioni, occupa 2.597 addetti, 2.200 dei quali in laboratori in Albania e 397 a Barletta - questi ultimi con alte professionalità in design, logistica e amministrazione - ed esporta quote rilevanti dei suoi prodotti. Un’altra industria barlettana attiva nello stesso settore delle calzature di sicurezza è la Base Protection, ora del gruppo spagnolo Fegemu che, da un fatturato nel 2016 di 25,3 milioni, è salita l’anno successivo a 32,7 milioni, per toccare poi nel 2018 i 38,4 milioni di ricavi. L’azienda tra l’altro ha messo a punto la linea ‘Miss base’ destinata alle donne lavoratrici. Nelle calzature sportive, ma anche nelle safety shoes, è attiva da anni, ma in un altro territorio come quello di Cisternino (BR), il Calzaturificio Panda Sport che ha creato la linea Panda Safety, chiudendo il 2018 con ricavi per 17,8 milioni. Ancora nel calzaturiero, ma questa volta nel segmento del lusso, si è affermata nel Basso Salento la Iris Sud, fondata nel 1994 dall’imprenditore veneto Antonio Baiardo, e poi ceduta alcuni anni più tardi al colosso nipponico del settore Onward Kashiwaya. Anche molte pmi nel settore dell’abbigliamento esterno e di quello intimo si segnalano sia come ‘contoterziste di qualità’ e sia come produttrici con marchi propri ormai di successo. A Canosa di Puglia nella provincia Bat si è affermata da anni nell’intimo e nella pigiameria per uomo, donna e bambino la Igam che ha chiuso il 2018 con 15,4 milioni di ricavi. Nell’abbigliamento esterno di serie si segnala a Barletta la Moda Effe che è salita dai 18,8 milioni di ricavi del 2016 ai 31,9 del 2018. Sempre nell’abbigliamento esterno spicca nel Salento la Barbetta industria confezioni, guidata da Luciano Barbetta, anch’essa ormai fornitrice di fiducia di grandi marchi del settore, che nel 2016 ha fatturato 21,7 milioni, aumentati nel 2017 a 32,7 e nel 2018 saliti ancora a 45,4 milioni. Invece tra le industrie di confezioni con marchio proprio, emerge nell’area di Martina Franca in Valle d’Itria nel Tarantino la Confezioni Lerario con il marchio Tagliatore per capispalla di alta qualità, esportati in diversi Paesi. La Lerario - che all’inizio degli anni ’80 fornì anche 300 abiti di scena per il primo film della serie Batman - si è sviluppata in un contesto manifatturiero erede della tradizione dei ‘cappotta-
ri’ che dai primi del Novecento avevano prodotto cappotti e mantelle di bassa qualità venduti sui mercati settimanali. Ma quella tradizione si è evoluta nel corso dei decenni verso la manifattura di ‘capispalla’ di qualità medioalta e oggi Martina Franca è una delle realtà del settore più dinamiche del Sud che annovera altre aziende affermate come Angelo Nardelli, I.co.man 2000, Confezioni Tagliente ed alcune minori. Nella regione inoltre sono molto diffusi atelier e maison pder abiti da sposa e da cerimonia di elevata qualità: le aree che ne registrano il maggiore addensamento sono quelle di Putignano nel Sud-Est barese, di Trani nella Bat e alcuni centri del Salento come Ruffano ove dal 1957 è attiva l’ormai notissimo laboratorio di Elena Della Rocca. In Puglia producono altre aziende, dalle Manifatture Daddato di Barletta (maglierie) - che confeziona su licenza ed è salita da 28,4 milioni di fatturato nel 2016 a 37,7 del 2018 - alla D.G.Group di Andria, che ha lanciato la linea JiJil, total look per donna e bambina, con ricavi di 14,1 milioni nel 2016, di 15,7 l’anno successivo, per poi toccare i 16,1 milioni nel 2018. Nelle jeanserie resiste il marchio meltin’ pot, lanciato sul mercato nazionale dalla Romano confezioni di Matino nel Leccese, che ha trasferito a laboratori esterni la produzione dei suoi capi, oggi venduti anche in un grande store nella cittadina salentina. tra le camicerie emerge quella di Angelo Inglese di Ginosa (Taranto) che ha conquistato anche alcuni particolari clienti, come ad esempio il principe Carlo d’Inghilterra. Per riqualificarsi nell’alto di gamma il sistema moda salentino ha istituito il Politecnico del made in Italy come scuola di formazione e centro di competenza riconosciuto per supportare il comparto del fashion dapprima nel Salento, poi in Puglia e gradualmente nel Meridione. La sede è a Casarano e vi si svolgono corsi di formazione per figure richieste da imprese ormai impegnate da tempo nel rilancio delle loro lavorazioni con capi e altri beni di qualità.
L’export del Tac pugliese ha recuperato nel 2017-2018 livelli apprezzabili, come si evidenzia dai dati riportati (milioni di euro) 2017
incremento/decremento %
2018
incremento/decremento %
Produzione tessile e abbigliamento
340
10,3
341
0,0
Pelletteria , accessori e calzature
391
0,2
401
2,2
Beni esportati
FONTE: ISTAT
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DOSSIER BANCHE E SUD
CREDITO
Il Sud deve molto al localismo sano delle sue Banche Popolari di Giuseppe De Lucia Lumeno (*)
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Associazione fra le banche popolari nella sua attività istituzionale ha sempre prodotto ed elaborato analisi e statistiche sulle banche associate e i territori serviti. Nel corso degli anni sono stati pubblicati decine di studi e documenti per analizzarne l’attività e l’incidenza nel sostegno dell’economia reale nelle aree di elezione; nonché, in collaborazione con consorelle estere, l’efficacia della presenza del Credito popolare a livello internazionale. A maggior ragione alla luce degli ultimi accadimenti che hanno coinvolto la Banca popolare di Bari, abbiamo predisposto questo ulteriore lavoro con il fine di verificare il comportamento delle banche popolari nel loro complesso e, specificatamente, nel rapporto con il territorio del Mezzogiorno nel periodo che va dai primi anni novanta a oggi, mettendo in relazione i risultati raggiunti e la loro presenza e prossimità nei territori presi in considerazione. Si tratta di anni estremamente difficili per l’economia e di conseguenza per 58
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GRAZIE AL RUOLO DI QUESTA CATEGORIA CREDITIZIA L’OBIETTIVO DI SALVAGUARDARE NUMEROSE REALTÀ PRODUTTIVE CHE ALTRIMENTI SAREBBERO PER SEMPRE SCOMPARSE È STATO RAGGIUNTO l’intero sistema bancario caratterizzati da rilevanti trasformazioni del contesto operativo di riferimento non soltanto della categoria ma anche dal rapido mutamento dell’intero settore bancario nell’italia meridionale. L’analisi del contesto del periodo preso in considerazione rende evidente quanto le banche popolari e del territorio possano vantare un importante risultato di tenuta nonché la conferma dell’imprescindibilità del ruolo che esse svolgono nell’economia reale di questi territori. Tra le 16 banche “non significant” con sede nel meridione ben 9 sono popolari. Gli impieghi vivi delle banche popolari con sede nel Mezzogiorno negli ultimi dieci anni sono cresciuti del 14%, quasi tre volte quanto riscontrato per il sistema il cui dato è stato pari al 5,5%. Complessivamente, a metà del 2019, gli impieghi al Sud superano i 25 miliardi di euro e i depositi i 24 miliardi di euro. Inoltre, negli ultimi dieci anni i flussi di nuovi finanziamenti alle pmi delle popolari sono stati pari a 115 miliardi di euro per le aziende minori e quelli alle famiglie per i mutui hanno raggiunto i 39 miliardi di euro. Un ruolo essenziale realizzato
DOSSIER BANCHE E SUD
anche grazie a una presenza capillare sul territorio con quasi 1.000 sportelli e che permette alle banche popolari di continuare ad essere l’unico riferimento creditizio in 80 comuni del meridione. Sono risultati importanti che non possono essere ignorati o sottovalutati. Bisogna dunque mettere in relazione questi risultati con le principali tendenze mostrate dalle Popolari nei diversi percorsi all’interno delle regioni meridionali utilizzando un “indicatore sintetico di localismo” e analizzando la variazione dello stesso nel periodo preso in considerazione (l’ultimo trentennio). Con l’indicatore sintetico è infatti possibile monitorare la politica aziendale delle singole banche in relazione ai tre aspetti delle politiche di un istituto di credito: concentrazione dell’attività nelle aree di riferimento, con particolare attenzione al reimpiego del risparmio a livello territoriale; capacità concorrenziale, ovvero attitudine a difendere o migliorare le proprie quote di mercato; efficienza allocativa, espressa dalla competenza nel selezionare i prenditori di credito e, quindi, limitare al massimo i rischi connessi. Quello che emerge è un quadro omogeneo e di non difficile lettura. Il Credito popolare tende a incrementare il proprio livello di radicamento anche in presenza di una costante espansione territoriale. A dimostrarlo è un’analisi comparativa degli insiemi, solo a prima vista “differenti” ma sostanzialmente identici nei comportamenti, che possono essere enucleati all’interno delle banche popolari. In estrema sintesi, è possibile affermare che la vocazione al finanziamento dell’economia reale dei territori non soltanto non è stata messa in discussione dalla trasformazione del comparto che all’inizio del periodo preso in considerazione era formato quasi esclusivamente da banche locali ma, come i dati dimostrano, ha rappresentato uno dei suoi punti di forza. Questa considerazione vale sia per i gruppi bancari popolari, per così dire, “endogeni” del Mezzogiorno, sia per le banche che, nel tempo, sono entrate a far parte di gruppi controllati da una popolare cooperativa con sede al di fuori dell’area geografica. È infatti l’intero comparto che mostra chiaramente un incremento dell’indicatore sintetico di misura del localismo. Dunque l’espansione è avvenuta in maniera ragionata rispettando il vincolo di non snaturare una identità vocata ai territori, al servizio di un crescente numero di sistemi produttivi locali. Una scelta strategica che accomuna tutte le banche popolari indipendenti, le capogruppo e gli istituti locali da esse controllati e che ha dato i propri frutti. I trent’anni presi in considerazione non sono però tutti uguali. Qualsiasi considerazione che non prendesse in considerazione la crisi economico finanziaria iniziata nel 2008, sarebbe del tutto forviante e macroscopicamente errata. Come anche il Rapporto Svimez del 2019 ha segnalato, nell’ultimo ventennio, la politica economica nazionale ha disinvestito dal Mezzogiorno, ha svilito anziché valorizzare le sue interdipendenze con il Centro-nord. Abbiamo assistito a un progressivo disimpegno della leva nazionale delle politiche di riequilibrio territoriale con conseguenze negative non soltanto per il Mezzogiorno stesso ma per l’intero Paese. Così asimmetrie nei regimi fiscali, nel costo del lavoro e in altri fattori che determinano ampi differenziali regionali di competitività, fanno sì che il Nord Italia non sia tra le locomotive d’Europa, alcune regioni dei nuovi Stati membri
IL COMPITO DELLE BANCHE POPOLARI NEL MEZZOGIORNO, COME DA QUESTO LAVORO RISULTA OGGETTIVAMENTE EVIDENTE, RESTA, OGGI PIÙ CHE MAI, ESSENZIALE dell’est superino molte regioni ricche italiane e il Prodotto interno lordo del Mezzogiorno perda quasi il 20% (-10% Puglia; -14% Abruzzo e Molise; -19% Campania; -19% Calabria; -21% Sicilia). Ma la stagnazione è anche il frutto di dinamiche demografiche negative (bassa natalità, emigrazione di giovani, invecchiamento della popolazione) che riguardano tutto il Paese e in particolare il Mezzogiorno. Senza un intervento serio di politiche economiche, che spezzi questo circolo vizioso, il Sud perderà 5 milioni di persone e quasi il 40% del Pil. La stessa Commissione europea, nei mesi scorsi, con una lettera indirizzata al governo italiano ha espresso le proprie preoccupazioni sull’andamento degli investimenti nel sud del Paese. Un dato che risulta in calo rispetto a quello che è il livello minimo previsto per non violare la regola europea dell’addizionalità (secondo cui le risorse europee erogate attraverso i fondi strutturali devono essere aggiuntive a quelle previste dagli investimenti nazionali e non sostitutive). Proprio il fatto che le risorfebbraio 2020
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DOSSIER BANCHE E SUD
se pubbliche destinate al Mezzogiorno sono lo 0,40% del Pil del meridione contro un impegno siglato con le autorità europee di destinare almeno lo 0,47% rischia di far perdere al nostro Paese l’accesso a quei fondi strutturali che darebbero ulteriore ossigeno a una economia che continua a manifestare segnali di vera e propria stagnazione e asfissia a viaggiare a una velocità inferiore rispetto alle altre regioni italiane ed europee. Tra il 2008 e il 2016 il calo degli investimenti al Sud e stato del 3,6 per cento l’anno; più debole e in maggiore flessione rispetto al resto del Paese, così come è stata anche l’attività di progettazione di opere pubbliche. Il ritardo del Mezzogiorno rispetto al Centro-nord in termini di Pil pro capite è oggi maggiore rispetto a quello degli anni settanta. A tutto questo si sommano le rigidità normative che hanno ancora più penalizzato proprio quelle banche che operavano in favore dell’economia reale e delle comunità come nel caso delle
banche del territorio. Considerando dunque il ruolo che gli istituti del Credito popolare hanno svolto in questi anni e i risultati ottenuti in termini di sopravvivenza del tessuto produttivo locale, l’obiettivo di salvaguardare numerose realtà produttive che altrimenti sarebbero per sempre scomparse è stato raggiunto. Ciò ha comportato inevitabilmente un costo elevato in termini di Npl che grazie anche alla capacità delle banche popolari di fare gioco di squadra, sono stati fortemente ridotti anche attraverso alcune operazioni di cartolarizzazione comune realizzate tramite la loro società, la Luigi Luzzatti. Il compito delle banche popolari nel Mezzogiorno del Paese, come risulta oggettivamente evidente, resta, oggi più che mai, essenziale per non disperdere quel patrimonio di imprenditorialità che anche in condizioni difficili ha cercato di nascere e svilupparsi nelle regioni meridionali. Un compito che si basa su una visione di crescita condivisa e di mutuo sostegno, che permette di creare quelle condizioni favorevoli per usufruire, in misura ancora più efficace ed efficiente, degli investimenti pubblici nazionali e dei fondi strutturali europei. Un compito che ha, come primo scopo, quello di ridurre il gap con le restanti aree del territorio nazionale e conquistare un nuovo percorso di crescita. *Segretario Generale Associazione Nazionale fra le Banche Popolari
Banche Popolari, evoluzione del contesto e localismo
L
e banche popolari hanno da sempre nel localismo uno dei loro principi cardine. Il localismo, inteso come filosofia di “fare banca” caratterizzata dall’elevata attenzione alle realtà locali e da uno spiccato orientamento verso la crescita, non solo economica, ma anche culturale e civile delle comunità servite, si esplica, nella realtà operativa delle banche popolari nel cosiddetto relationship banking. Il relationship banking è un modello di business basato sulla costruzione di solidi e duraturi legami di clientela con le famiglie e le piccole e medie imprese. Un modello che trae particolare vantaggio, nel caso delle banche popolari, dalla frequente coincidenza delle figure di cliente e socio, e, più in generale, dall’approfondita conoscenza del territorio da parte dei dipendenti della banca i quali appartengono alla comunità locale. A testimoniare il radicamento territoriale delle banche Ppopolari sono diversi studi - condotti nel corso degli anni - che hanno confermato la capacità di salvaguardare le proprie peculiarità nonostante un processo di graduale espansione che ha portato alcuni istituti a raggiungere una diffusione di tipo “nazionale” con un aumento costante e geograficamente dif60
febbraio 2020
A TESTIMONIARE IL RADICAMENTO TERRITORIALE DELLE BANCHE POPOLARI SONO DIVERSI STUDI CHE PROVANO LA CAPACITÀ DI DIFENDERE LE LORO PECULIARITÀ fuso delle quote di mercato complessive della categoria. Alcune analisi hanno fornito evidenza, in primo luogo, della tendenza delle banche popolari a concentrare la propria presenza “fisica” sul territorio intorno a ben definite aree produttive, caratterizzate da un’incidenza particolarmente elevata di pmi. In sostanza, l’ampliamento della rete delle singole popolari è stato ottenuto seguendo strategie di sostegno crescente a pochi territori ben definiti, piuttosto che con un’espansione radiale o “a macchia di leopardo” in aree limitrofe alle zone di insediamento. D’altra parte l’evidenza
DOSSIER BANCHE E SUD
TABELLA 1: BANCHE POPOLARI E DEL TERRITORIO Situazione per tipologia giuridica GRUPPI BANCARI Popolari capogruppo
Popolari S.p.A.
Banche S.p.A.
Totale Banche in gruppi bancari
Popolari indipendenti
102
7
0
1
8
94
2000
97
17
21
19
57
40
2007
97
17
23
34
74
23
2019
60
14
3
20
37
23
ANNO
TOTALE BANCHE
1994
CONTROLLATE
FONTE: ASSOPOPOLARI, BANCA D’ITALIA
relativa alla struttura del portafoglio impieghi delle banche opolari rivela come, sia in aggregato che singolarmente, la tipologia tipica di clientela non sia affatto mutata nel tempo, essendo ancora costituita per la maggior parte da famiglie e pmi. L’espansione dimensionale che ha caratterizzato tutto il comparto bancario prima della crisi del 2008 si inserisce in un più vasto processo di riorganizzazione degli assetti del settore che si è tradotto nel contempo in una diminuzione del numero degli intermediari, aspetto, questo, che ha riguardato anche le banche popolari (vedi tabella 1). Tale processo, innescato dai profondi mutamenti normativi e regolamentari intervenuti a partire dall’inizio degli anni ‘90 (si pensi per esempio alla liberalizzazione degli sportelli e alla despecializzazione dell’attività bancaria), ha portato per oltre un decennio ad una progressiva crescita della rete distributiva, basti considerare che tra il 1993 e il 2007 il numero di sportelli bancari per centomila abitanti era passato da 37 a 56 (vedi tabella 2). L’incremento in quegli è anni stato particolarmente rilevante nelle regioni settentrionali, ma anche il Mezzogiorno ha potuto beneficiare, pur se in minor misura, di questa maggiore offerta. In effetti, la liberalizzazione degli sportelli ha contribuito ad accrescere fortemente il clima concorrenziale tra istituti di credito ma anche a mutare drasticamente la tipologia di intermediari TABELLA presenti nelle singole realtà locali. Se prima l’unico punto di riferimento era rappresentato dalla banca locale, l’evoluzione successiva è stata che la clienANNO NORD tela bancaria poteva fare riferimento a piccoli istituti così come a filiali di gran47 1993 di gruppi bancari. Tuttavia gli effetti della crisi finanziaria 64 2000 dal 2008 in poi, i cambiamenti normativi introdotti in ambito europeo per 71 2007 promuovere l’unione bancaria e rafforzare la solidità delle banche in contesti 53 2018 avversi, un andamento dell’economia
reale che per l’Italia in questi ultimi anni è stato complessivamente recessivo o di stagnazione e l’introduzione di nuove tecnologie che hanno favorito lo sviluppo dell’home banking hanno portato a una progressiva riduzione degli sportelli, con il tasso di bancarizzazione sceso a 42. Nel contempo è proseguito il processo di consolidamento bancario e di aggregazione degli istituti, che ha concentrato la proprietà del sistema in un numero sempre minore di soggetti riducendo, di conseguenza, il novero dei centri “decisionali” ai quali fanno riferimento le agenzie bancarie. Ciò è stato tanto più vero nel Mezzogiorno dove, anche in coincidenza con la sostanziale scomparsa di un sistema che faceva affidamento sulle Casse di risparmio per il credito a breve termine e su di una serie di istituti di credito speciale per gli affidamenti a più lunga scadenza, si è verificata una drastica ristrutturazione del comparto che ha visto gran parte degli istituti originari del Sud “passare di mano”, per finire sotto il controllo di grandi gruppi bancari “multifunzionali “del Nord. È, dunque, possibile osservare (vedi tabella 3) come nel corso degli anni il numero degli istituti aventi sede legale nelle regioni meridionali sia significativamente diminuito per ogni tipologia bancaria, ossia banche popolari, banche di credito cooperativo e banche Spa. È interessante notare come, in 25
GRAN PARTE DEGLI ISTITUTI ORIGINARI DEL SUD SONO “PASSATI DI MANO”, PER FINIRE NEI GRANDI GRUPPI BANCARI “MULTIFUNZIONALI “DEL NORD 2: LIVELLO DI BANCARIZZAZIONE (sportelli ogni 100.000 abitanti) CENTRO
SUD
ISOLE
ITALIA
38
24
27
37
51
29
34
49
60
33
37
56
45
27
27
42
febbraio 2020
61
DOSSIER BANCHE E SUD
anni, il numero delle banche popolari e del territorio sia sceso da 44 a 11, quello delle banche Spa da 34 ad 8 e quello delle bcc da 260 a 78. Al netto degli istituti del Credito cooperativo, quindi le banche popolari e del territorio risultano essere in maggioranza nel sud del Paese e pertanto svolgono un ruolo essenziale nel difficile contesto economico dell’area, un contesto che la crisi di questi anni ha messo a dura prova come dimostra l’andamento del Prodotto interno lordo nazionale che a fine 2018 risultava ancora di quasi il 4 per cento inferiore al dato di dieci anni prima in termini reali. In quest’ottica si è cercato di comprendere se ci siano stati effetti rilevanti sulle relazioni con il territorio ed in particolare con le pmi da parte delle banche popolari in coincidenza dei mutamenti avvenuti nel corso degli anni sia sotto il profilo normativo che delle strategie aggregative o delle innovazioni tecnologiche. Tutto ciò potrebbe aver alterato la situazione esistente incidendo significativamente sulle dinamiche di finanziamento delle aziende e di conseguenza sulla crescita. Restrizioni quali quelle prodotte da una regolamentazione spesso troppo penalizzante verso il credito all’economia reale che potrebbe avere dato origine a nuovi equilibri di allocazione del credito a livello territoriale, a scapito delle imprese di minori dimensioni. Le banche popolari e del territorio, in quanto banche cooperative e localistiche, appartengono al novero degli istituti che, anche secondo uno studio del Fmi, contribuiscono alla stabilizzazione del sistema finanziario in virtù del loro peculiare rapporto con la clientela.In questo senso il localismo è stato
TABELLA 3: BANCHE CON SEDE NEL SUD ITALIA Numerosità degli istituti nel tempo ANNO
TOTALE Banche pop. Resto e del territorio del sistema
1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017 2018
44 40 37 34 31 31 32 27 24 23 24 25 26 28 26 26 26 26 24 22 21 17 12 11
TABELLA 4: NUMERO DEGLI SPORTELLI PRESENTI NEL SUD ITALIA ANNO
TOTALE
di cui sportelli di cui sportelli di banche nell’area di banche esterne all’area
Banche pop. Resto Banche pop. Resto Banche pop. Resto e del territorio del sistema e del territorio del sistema e del territorio del sistema
1995
50
2.979
387
1.943
163
1.036
2019
2.005
3.527
981
684
1.024
2.843
62
febbraio 2020
237 228 215 200 175 156 139 134 127 127 127 131 135 135 128 124 119 114 108 101 98 91 91 86
di cui DIPENDENTI di cui BCC
238 223 209 195 173 154 137 131 124 122 120 118 118 118 111 109 106 101 96 91 90 84 80 78
di cui CAPOGRUPPO
Banche pop. Resto Banche pop. Resto e del territorio del sistema e del territorio del sistema
39 32 24 15 8 7 6 5 4 4 5 7 8 10 10 9 9 9 9 9 8 7 5 5
219 210 197 179 159 139 125 119 114 114 114 120 123 122 116 114 111 107 101 96 93 86 87 84
1 1 2 3 3 3 3 3 4 4 4 4 4 4 4 4 4 4 4 4 4 4 4 4
8 8 7 6 5 4 4 5 4 4 4 4 4 4 3 3 2 2 1 1 1 1 1 1
uno degli elementi cardine dello sviluppo della categoria, che ha saputo sfruttare efficientemente il proprio modo di relazionarsi con la clientela rafforzando la propria presenza sul territorio, in particolare proprio al Sud, dove la chiusura di numerosi sportelli e i processi aggregativi che hanno riguardato le banche Spa hanno allontanato i centri decisionali da tali realtà. Al contrario, le banche popolari hanno perseguito uno sviluppo “local friendly”, basato sia sulla ricerca di economie di scala sia a migliorare l’efficienza nel rispetto della vocazione localistica e del radicamento territoriale. Nelle regioni meridionali (vedi tabella 4) il localismo è rappresentato proprio dalle banche popolari e del territorio. Nel 1995 gli sportelli nel Mezzogiorno afferenti a banche con sede legale in tali regioni rappresentavano il 70 per cento di quelli della categoria nell’area, mentre per il resto del sistema tale percentuale era del 65 per cento. Nel 2019, questo valore risulta essere pari al 49 per cento per le banche popolari e del territorio, un valore diminuito per effetto dell’espansione al Sud di banche della categoria con sede nelle restanti aree del Paese, mentre per il resto del sistema tale dato risulta essere crollato addirittura al di sotto del 20 per cento, a ulteriore conferma di come al di fuori delle banche popolari, nel Mezzogiorno, la maggior parte del credito erogato ha origine da un istituto o gruppo il cui centro decisionale non è al sud.
DOSSIER BANCHE E SUD
Banche Popolari e sistema bancario nel Mezzogiorno
L
a strategia e gli eventi sopra delineati indicano come nel Mezzogiorno l’incidenza delle banche popolari e del territorio con sede nell’area sia aumentata rispetto alle altre banche originarie sempre del sud. Inoltre, tra il 2011 e il 2018, mentre il Pil reale delle regioni meridionali è sceso mediamente in termini reali dello 0,5 per cento ogni singolo anno, gli impieghi della categoria nello stesso periodo sono rimasti sostanzialmente stabili, contrastando in misura anticiclica gli effetti di un contesto economico avverso (vedi tabella 5). A ciò si è aggiunto anche un aumento del numero dei clienti titolari di un conto corrente, con una crescita costante e continua dei depositi, prevalentemente a breve termine, (vedi tabella 6) delle banche popolari e del territorio in tutte le regioni meridionali, passando da 41,6 miliardi di euro nel 2011 a 49,2 miliardi di euro nel 2018 (18,3 per cento). Tale risultato deve ascriversi principalmente a due fattori. In primo luogo, molte banche popolari del Mezzogiorno hanno saputo crescere autonomamente, sfruttando le opportunità offerte dall’indebolimento o dalla scomparsa di alcuni istituti per guadagnare soci e clienti e per rafforzarsi in vista dell’arrivo di nuovi intermediari all’interno delle aree servite. Nel contempo, alcuni gruppi delle banche popolari e del territorio con sede nel Nord hanno iniziato ad espandersi nelle regioni meridionali, rilevando, in molti casi, la proprietà di istituti a carattere prettamente localistico in difficoltà. Come dimostrano alcune evidenze empiriche tali operazioni, se comparate con identiche iniziative intraprese da gruppi bancari Spa, si sono caratterizzate per un maggiore impulso della nuova gestione agli impieghi e alla raccolta sul territorio, per una minore riduzione dei costi operativi, per una politica di incentivazione del sostegno
L’ESPANSIONE DELLE BANCHE POPOLARI SI È CARATTERIZZATA PER AVER ULTERIORMENTE PRIVILEGIATO LE AREE IN FASE DI SVILUPPO, O COMUNQUE A PREVALENZA DI PMI allo sviluppo, piuttosto che di drenaggio di risorse a favore della capogruppo situata a centinaia di chilometri di distanza. Ciò è confermato anche dalla percentuale di risorse che vengono reimpiegate dalle banche popolari e del territorio nelle rispettive aree storicamente servite. Oltre il 73 per cento dei depositi da clientela, infatti, viene utilizzato per erogare finanziamenti a piccole e medie imprese della stessa provincia di origine del risparmio raccolto, con punte dell’80 per cento per le banche popolari del Sud, contro un dato estremamente più basso per le altre banche che supera di poco il 30 per cento. Queste ultime tendono ormai ad un modello di intermediazione, affermato nel Nord Europa, dove prevale sul lato dell’attivo di bilancio lo sviluppo della finanza rispetto al più impegnativo, rischioso e costoso impiego nel finanziamento dell’economia reale. Vi è anche da aggiungere, a ulteriore testimonianza del legame positivo tra il tradizionale modello
TABELLA 5: BANCHE POPOLARI E DEL TERRITORIO DISTRIBUZIONE REGIONALE DEGLI IMPIEGHI VIVI (valori in milioni di euro) 2011
2014
2018
REGIONI
Impieghi
Peso su totale%
Impieghi
Peso su totale%
Impieghi
Peso su totale%
Campania
8.795
3,1
8.729
2,9
8.377
2,8
Abruzzo
4.006
1,4
3.307
1,1
5.663
1,9
Molise
777
0,3
667
0,2
718
0,2
Puglia
8.873
3,1
9.832
3,3
9.468
3,2
Basilicata
1.955
0,7
1.854
0,6
1.712
0,6
Calabria
3.590
1,3
3.407
1,2
2.993
1,0
Sicilia
9.816
3,4
9.602
3,2
8.756
2,9
Sardegna
7.291
2,6
8.623
2,9
7.507
2,5
SUD
45.103
15,8
46.021
15,5
45.194
15,1
ITALIA
284.645
100,00
296.147
100,00
300.027
100,00
febbraio 2020
63
DOSSIER BANCHE E SUD
TABELLA 6: BANCHE POPOLARI E DEL TERRITORIO DISTRIBUZIONE REGIONALE DEI DEPOSITI
popolare e l’economia del Mezzogiorno, che l’espansione delle banche popolari si è caratterizzata per aver ulteriormente privilegiato le aree in fase di sviluppo, o comunque a prevalenza di pmi, a scapito dei principali centri urbani, dove, al contrario, più elevato è stato l’incremento della presenza delle banche Spa (vedi tabella 7).
(valori in milioni di euro) 2011
2014
2018
REGIONI
Impieghi
Peso su totale%
Impieghi
Peso su totale%
Impieghi
Peso su totale%
Campania
7.938
3,7
8.123
3,4
8.574
2,9
Abruzzo
3.579
1,7
3.570
1,5
7.045
2,3
Molise
649
0,3
689
0,3
892
0,3
Puglia
9.139
4,2
10.347
4,3
11.401
3,8
Basilicata
2.225
1,0
2.209
0,9
2.422
0,8
Calabria
3.517
1,6
3.573
1,5
3.881
1,3
Sicilia
8.068
3,7
8.158
3,4
8.483
2,8
Sardegna
6.464
3,0
7.562
3,1
6.498
2,2
SUD
41.579
19,3
44.231
18,4
49.196
16,4
ITALIA
215.167
100,00
240.484
100,00
282.877
100,00
TABELLA 7: DISTRIBUZIONE DEGLI SPORTELLI DELLE BANCHE POPOLARI E DEL RESTO DEL SISTEMA PER MODELLO DI SVILUPPO, ITALIA E MACROAREE ANNI 1996, 2007 E 2018 (valori percentuali, salvo diversa indicazione) 1996 MODELLI DI SVILUPPO
SLL
2007
2018
Banche Pop. e del territorio
Resto del sistema
Banche Pop. e del territorio
Resto del sistema
Banche Pop. e del territorio
Resto del sistema
Distr. %
Distr. %
Distr. %
Distr. %
Distr. %
Distr. %
ITALIA Sistemi manifatturieri di Pmi (*)
198
47,7
33,9
40,6
38,4
48,0
44,8
Sistemi di grande impresa
50
5,7
6,0
7,4
6,9
5,6
5,4
Sistemi urbani
11
20,9
25,8
21,1
26,4
19,6
25,4
Sistemi turistici
117
9,1
12,6
9,5
9,9
9,8
10,0
Sistemi a sviluppo meno intenso (**)
310
16,6
21,7
21,4
18,4
16,9
14,4
TOTALE
686
100
100
100
100
100
100
SUD E ISOLE Sistemi manifatturieri di Pmi (*)
21
7,0
5,9
6,0
6,1
7,0
6,8
Sistemi di grande impresa
14
4,6
4,4
8,1
6,9
4,6
3,9
Sistemi urbani
4
22,3
22,6
14,5
21,1
21,0
32,2
Sistemi turistici
46
4,2
5,5
9,0
7,9
4,5
4,4
Sistemi a sviluppo meno intenso (**)
240
61,8
61,6
62,4
58,1
62,9
52,7
TOTALE
325
100
100
100
100
100
100
(*): SISTEMI MANIFATTURIERI COMPRENDE: AREE PLURISPECIALIZZATE, DISTRETTI INDUSTRIALI, PROTO-DISTRETTI E SISTEMI DIVERSIFICATI (**): SISTEMI A SVILUPPO MENO INTENSO COMPRENDE: RITARDO DI SVILUPPO, SVILUPPO INTERMEDIO E AGRICOLI E RURALI FONTE: ELABORAZIONI SU DATI BANCA D’ITALIA
64
febbraio 2020
DOSSIER BANCHE E SUD
L’analisi statistica conferma il supporto che le Popolari hanno dato al territorio LE BANCHE DEL CREDITO POPOLARE SI CONFERMANO L’UNICO PUNTO DI RIFERIMENTO, IN TERMINI DI PROSSIMITÀ, PER IL TESSUTO PRODUTTIVO MERIDIONALE NELLE AREE STORICAMENTE SERVITE
O
biettivo della verifica statistica è quello di comprendere se al significativo mutamento del contesto economico, normativo e tecnologico che ha interessato tutti gli istituti bancari e anche le banche popolari e del territorio, si siano accompagnate anche modifiche nella modalità di relazione con il territorio, ovvero se, in linea con le evidenze risultanti dalle altre ricerche, al contrario le banche della categoria abbiano avuto strategie e comportamenti omogenei. Dimostrare, cioè che, nel Meridione d’Italia, ai mutamenti indotti o sollecitati da eventi esterni non abbia fatto riscontro una riduzione del localismo
ma che, al contrario, esso sia stato salvaguardato o accentuato. Da un punto di vista strutturale, ovvero di assetti proprietari e organizzazione, il panorama del Credito popolare nel Mezzogiorno appare, infatti, fortemente mutato. Come descritto in precedenza, fino al 1996 la categoria era caratterizzata da un insieme sostanzialmente omogeneo di banche locali (vedi tabella 3), mentre attualmente è possibile distinguere tra Popolari capogruppo e Popolari indipendenti. È importante però rovesciare il punto di osservazione e ragionare dal punto di vista locale, chiedendosi se esistano, effettivamente, differenze nel comportamento, nella filosofia di relazione con i clienti, tra questi diversi insiemi di banche popolari oppure se al contrario questa differenza sia solo “nominale” e celi un’omogeneità di strategie e modus operandi, tale da poter affermare che il localismo sia ancora una delle caratteristiche distintive dell’intera categoria. Costruzione di un indicatore descrittivo della dinamica del localismo È emersa quindi la necessità di definire, sulla base delle informazioni a disposizione, una serie di indicatori di localismo e di monitorare il loro andamento per stabilire se, nel complesso, l’attitudine localistica delle banche popolari e delle loro controllate sia aumentata o abbia subito una flessione. I dati a disposizione comprendono informazioni rela-
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65
DOSSIER BANCHE E SUD
tive a sportelli, impieghi, efficienza allocativa e depositi. La disaggregazione territoriale, su base provinciale, ha permesso un’analisi approfondita, ulteriormente arricchita dalla disponibilità di dati suddivisi per settore di attività economica, con la distinzione tra Imprese Minori (nota 1) e totale imprese. In questo modo è stato possibile evidenziare meglio se lo storico legame tra banche popolari e imprenditoria locale si sia indebolito o rafforzato nel tempo. Al fine di ridurre al minimo gli effetti distorsivi derivanti da insediamenti “iniziali” o troppo periferici, nella costruzione di alcuni degli indicatori, è stato introdotto il concetto di Area Servita (AS), selezionando, per ciascun periodo e per ciascuna banca, esclusivamente le province il cui peso relativo sul totale della banca fosse superiore, in termini di raccolta, al 5% del totale (nota 2). Per definire un indicatore sintetico del localismo di una banca si è poi iniziato con il delineare il comportamento “virtuoso”, dal punto di vista teorico, di una banca localistica ipotizzando che, in un dato periodo di tempo, tale istituto:
PARTICOLARMENTE SIGNIFICATIVA RISULTA INOLTRE LA TENDENZA A MIGLIORARE IL DIFFERENZIALE DI EFFICIENZA ALLOCATIVA RISPETTO ALLA MEDIA DEL SISTEMA BANCARIO NAZIONALE sono stati calcolati, per ciascuna banca, come media ponderata degli indicatori relativi alle province classificate come AS, utilizzando come peso, a seconda dell’indicatore utilizzato, l’incidenza percentuale degli impieghi, della raccolta e degli sportelli delle singole province. Le banche sono state valutate singolarmente, poiché l’obiettivo della ricerca è verificare la relazione tra ciascuna banca appartenente al Credito popolare e le proprie aree di riferimento. Definiti il campione di analisi e gli indicatori analitici di localismo è stata operata una valutazione complessiva sull’andamento del “localismo” di ciascuna banca monitorando l’andamento dei singoli indicatori nel periodo di osservazione, e assegnando a ogni coppia indicatore/banca un punteggio volto a distinguere tra incremento, stabilità, o riduzione del localismo (0 = riduzione
- mantenga un elevato rapporto tra gli impieghi destinati alle AS e gli impieghi totali, vale a dire concentri la redistribuzione del risparmio a livello locale (e quindi non presti a clienti localizzati all’esterno delle aree servite); - registri quote di mercato crescenti, o quantomeno non le veda ridotte; la dinamica delle quote di mercato va osservata, comunque, in termini relativi: se per esempio a un aumento della quota sportelli non si accompagnano progressi sul versante dell’intermediato è difficile giudicare se si stiano facendo “realmente” progressi; - abbia evidenziato un’efficienza allocativa superiore al sistema, nelle Aree Servite e con particolare riferimento alle imprese minori. In realtà, poiché di norma il livello medio della rischiosità delle pmi tende a essere superiore rispetto ai grandi gruppi industriali e visto che il portafoglio delle Popolari è molto sbilanciato verso le aziende di minori dimensioni, è possibile che la qualità media del credito della clienteFIGURA 1: IL LOCALISMO DELLE BANCHE POPOLARI la delle Popolari risulti, nell’aggregato, NEL MEZZOGIORNO inferiore rispetto al sistema. Per ovviare a questa possibile distorsione sono - QUOTE DI MERCATO + QUOTE DI MERCATO state considerate congiuntamente due + AREE SERVITE + AREE SERVITE variabili: 1) la variazione del rapporto sofferenze/impieghi; 2) il dato analogo relativo alle pmi. Di conseguenza, sono stati individuati tre gruppi di indicatori: il primo, focalizzato sulla concentrazione dell’attività della banca in una o più aree (le AS); il secondo dedicato alla capacità competitiva della banca nelle proprie AS; il terzo infine valido per definire l’efficienza allocativa a livello territoriale, sempre nelle AS. Per tenere conto del diverso peso specifico esercitato dalle AS (ovvero dei “poli” di attività) nell’operatività della banca inoltre gli indicatori del secondo e terzo gruppo 66
febbraio 2020
BANCHE POPOLARI INDIPENDENTI BANCHE POPOLARI CAPOGRUPPO
- QUOTE DI MERCATO - AREE SERVITE
Soglia di salvaguardia del localismo
+ QUOTE DI MERCATO - AREE SERVITE
DOSSIER BANCHE E SUD
Analisi dei risultati L’analisi dei risultati si presenta lineare e lascia poco spazio a dubbi interpretativi. Tutti i valori sintetici di categoria indicano infatti un generalizzato aumento del localismo. In particolare l’esame condotto indica che:
del localismo; 0,5 = localismo stabile; 1 = aumento del localismo) e calcolato, in generale, considerando la differenza tra i valori degli indicatori riferiti all’inizio ed alla fine del periodo. In sostanza è stato dato un vero e proprio “voto” alla dinamica di ciascun indicatore analitico, valutazione che tende a zero qualora la banca si allontani decisamente dai descritti comportamenti “virtuosi” in tema di localismo e, al contrario, si avvicina a 1 qualora la vocazione al territorio sia in aumento. Il valore medio, 0,5, segnala infine la salvaguardia delle relazioni con il territorio allo stesso livello.
- è aumentata la concentrazione dell’attività delle banche popolari all’interno delle loro aree di riferimento. In sostanza viene completamente confermata la teoria che vede la presenza e l’azione delle banche popolari e del territorio focalizzata in un insieme selezionato di sistemi produttivi, prevalentemente caratterizzati da pmi, aree nelle quali queste banche hanno saputo intensificare costantemente la loro presenza capillare e la loro attività a sostegno delle comunità servite; - è aumentata costantemente la presenza nelle aree servite: informazione tanto più significativa qualora si pensi il difficile contesto economico che il Credito popolare ha affrontato e la sua attività creditizia prevalentemente dedita al sostegno dell’economia reale; - particolarmente significativa risulta inoltre la tendenza a migliorare il differenziale di efficienza allocativa rispetto alla media del sistema bancario: gli specifici indicatori sono infatti risultati elevati e allineati alla fine del periodo considerato per effetto anche delle operazioni di cartolarizzazione condotte negli ultimi anni.
È stato così possibile definire una griglia riepilogativa: - del risultato di ciascuna banca, ottenuto come media semplice dei singoli indicatori; - del risultato di categoria in relazione ad ognuno degli indicatori. Ovviamente il valore dell’indicatore riepiloga una “tendenza” rispetto al fenomeno “localismo” e non un “livello” dello stesso. Tuttavia è opportuno ricordare che la natura delle banche esaminate all’inizio del periodo di analisi (il 1993) non lascia dubbi sulle loro caratteristiche di banche localistiche (per la maggior parte “locali”) per dimensione e diffusione geografica.
Nel complesso volendo rappresentare in un diagramma i possibili comportamenti con riferimento al localismo, le banche popolari e del territorio si sono mosse all’interno del quadrante
LE BANCHE POPOLARI HANNO AVUTO E HANNO NELLA LORO VOCAZIONE DI BANCHE DI PROSSIMITÀ UNO DEI PRINCIPALI ELEMENTI DI DISTINZIONE
1.È stato considerato l’aggregato formato da famiglie produttrici e società di persone, la migliore proxy disponibile delle pmi all’interno delle segnalazioni di Vigilanza della Banca d’Italia. Tale aggregato, in ogni caso, sottostima il reale peso delle pmi. 2. L’area di riferimento della banca popolare è stata identificata quindi con le province maggiormente significative nell’attività di raccolta di risparmio.
“virtuoso” (figura 1), a testimonianza di un generalizzato progresso in relazione ai profili del fenomeno sottoposti ad indagine. Un risultato di tale “compattezza” e omogeneità trova riscontro anche nella scarsissima variabilità dei valori sintetici relativi ai singoli istituti e nella circostanza che il valore minimo dell’intero campione è sostanzialmente allineato alla soglia di ”salvaguardia” del localismo. In altri termini è possibile affermare che la peggiore performance registrata risulta nell’aver mantenuto inalterato il rapporto con il territorio tipico di una banca locale. febbraio 2020
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DOSSIER BANCHE E SUD
Conclusioni L’approfondito esame della dinamica di un vasto insieme di indicatori di localismo riferito alle banche popolari e del territorio nel Mezzogiorno evidenzia, senza ombra di dubbio, come la categoria abbia significativamente salvaguardato ed incrementato quantità e qualità delle proprie relazioni con il territorio e le comunità locali servite nonostante una crisi dell’economia reale senza precedenti e tuttora in atto. L’analisi della capacità di queste banche di difendere le proprie quote di mercato e conquistarne altre anche per effetto di un processo di ridimensionamento portato avanti da altri istituti mostra come in un contesto di crescita della distanza dai centri decisionali che interessa il resto del sistema, le banche del Credito popolare siano ormai l’unico punto di riferimento, in termini di prossimità, per il tessuto produttivo meridionale. Ciò è stato fatto privilegiando le aree storicamente servite, dove il peso delle banche Popolari è cresciuto in misura maggiore. Inoltre, scendendo nel dettaglio dei dati relativi all’efficienza allocativa, emerge come il guadagno determinato dalle operazioni di cartolarizzazione con tre distinte operazioni per un valore di circa 3,5 miliardi di euro (“Pop NPL Gacs 2018”, “Pop NPL Gacs 2019”, “Performing 2019 GBV”) e una cessione di crediti (“GBV UTP De-risking UTP Popolari 2019”) per un importo tra i 400 milioni e 1,1 miliardi di euro, abbia avuto effetti più significativi nelle aree di presenza più recente della banca, una ulteriore conferma indiretta di come il relationship banking o la fidelizzazione del cliente sia un valore aggiunto per la banca stessa e la sua solidità. È possibile pertanto concludere
OGGI AL SUD QUASI UNO SPORTELLO BANCARIO SU TRE (UNO SU DUE SE CONSIDERIAMO LE SEDI LEGALI AL SUD) È AL SERVIZIO DEL TERRITORIO
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che, nelle regioni meridionali del Paese, le banche popolari hanno avuto e hanno nella loro vocazione di banche di prossimità e del territorio, uno dei principali elementi di distinzione e che su di esso hanno basato la loro attività in espansione degli ultimi anni. È soprattutto incrementando l’attività con le imprese di minori dimensioni infatti,che le banche popolari hanno assolto efficacemente alla loro mission, votata allo sviluppo economico e sociale delle aree servite. Attualmente quindi quasi uno sportello su tre nelle regioni meridionali (uno su due se consideriamo solo banche con sede legale al sud), in quanto parte del movimento delle banche popolari e del territorio, si attiva per “fare banca” al servizio del territorio, secondo principi e modelli di business tipici della banca locale ma al tempo stesso con un livello di capacità competitiva, in grado di confrontarsi con intermediari di livello nazionale e internazionale. Un risultato che si presenta quale ulteriore tassello nel sempre più vasto panorama di contributi teorici ed empirici che sottolineano l’importanza per il nostro tessuto produttivo di una categoria di banche ispirate ai valori del territorio e guidata da strategie di crescita sostenibile e mirata al potenziamento e allo sviluppo dell’economia reale. Dossier a cura dell’Associazione Nazionale fra le Banche Popolari
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CREDITO & REGOLE
Estinzioni anticipate dei finanziamenti: caccia ai rimborsi di Giuseppe D’Orta
L’
11 settembre rischia nuovamente di divenire una data storica per gli intermediari del credito della Ue e italiani in particolare. In quel giorno infatti la Corte di Giustizia Ue ha depositato la Sentenza C-383/18 (cosiddetta Lexitor) con cui, pronunciandosi sull’articolo 16 della Direttiva Ue 48/2008, ha sancito il diritto del consumatore, in caso di richiesta di rimborso anticipato del credito, di vedersi rimborsare la quota-parte non goduta di tutti i costi. Tutti, e non solo quelli recurring connessi all’intera durata del rapporto di credito, bensì anche gli oneri up-front che, essendo volti a remunerare attività destinate a esaurirsi con la stipula del contratto, non dipendono dalla durata del finanziamento.
Quali sono le caratteristiche delle due tipologie? Nell’ottenere un prestito, non si è soggetti al pagamento dei soli interessi ma anche di una serie di oneri quali le spese di istruttoria, i costi della pratica e quelli 70
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LA CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA HA SANCITO IL DIRITTO DEL CONSUMATORE, IN CASO DI RICHIESTA DI RIMBORSO ANTICIPATO, DI VEDERSI RIMBORSARE LA QUOTA-PARTE DEI COSTI relativi all’incasso della rata. Non solo: sono presenti, a seconda dei casi incorporate nelle spese di istruttoria oppure appositamente indicate, le provvigioni dell’intermediario del credito. Ed è soprattutto quest’ultima voce a elevare di molto il costo per il cliente: basti pensare che si può arrivare anche ad un terzo della somma richiesta. Nasce da ciò l’enorme differenza tra il Tan, il Tasso annuale nominale, ossia il tasso di interesse che viene applicato al finanziamento, e il Taeg, il Tasso annuo effettivo globale, che racchiude le spese da sostenere quando si chiede un finanziamento, perché include anche quelle accessorie. Il grosso problema per il settore intero nasce proprio qui. Le spese iniziali appartengono alla categoria up-front e ora vanno in proporzione restituite in caso di estinzione anticipata. A cosa è dovuta l’interpretazione della Corte di Giustizia Ue? Alcuni commentatori pongono in risalto la babele linguistica citata nella sentenza: “Un’analisi comparativa delle diverse ver-
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sioni linguistiche dell’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 2008/48 non permette di stabilire la portata esatta della riduzione del costo totale del credito prevista da tale disposizione”. In sostanza, per non perdersi dietro decine di traduzioni e interpretazioni i giudici avrebbero optato per la soluzione più agevole. Le cose non stanno così, come si legge appresso. I punti 31 e 32 esprimono concetti molto forti: “L’effettività del diritto del consumatore alla riduzione del costo totale del credito risulterebbe sminuita qualora la riduzione del credito potesse limitarsi alla presa in considerazione dei soli costi presentati dal soggetto concedente il credito come dipendenti dalla durata del contratto, dato che (...) i costi e la loro ripartizione sono determinati unilateralmente dalla banca e che la fatturazione di costi può includere un certo margine di profitto”. Ancora: “Limitare la possibilità di riduzione del costo totale del credito ai soli costi espressamente correlati alla durata del contratto comporterebbe il rischio che il consumatore si veda imporre pagamenti non ricorrenti più elevati al momento della conclusione del contratto di credito, poiché il soggetto concedente il credito potrebbe essere tentato di ridurre al minimo i costi dipendenti dalla durata del contratto”. Non manca la “solita” asimmetria tra le parti. Al punto 33 infatti la sentenza afferma: “il margine di manovra di cui dispongono gli istituti creditizi nella loro fatturazione e nella loro organizzazione interna rende, in pratica, molto difficile la determinazione, da parte di un consumatore o di un giudice, dei costi oggettivamente correlati alla durata del contratto”. Altro che tagliare corto per non perdersi nelle traduzioni! Il pronunciamento ha subito provocato enormi preoccupazioni nei vertici di banche e finanziarie come pure in tutti i soggetti intermediari, e nel contempo acceso speranze presso una vasta platea di loro clienti. Se la restituzione dei costi recurring di un prestito può valere alcune centinaia di euro, infatti per gli oneri up-front si entra nell’ordine delle migliaia. L’impatto sui bilanci è quindi potenzialmente destabilizzante. In Italia la casistica è disciplinata dall’articolo 125-sexies del Testo Unico Bancario che riconosce ai consumatori in caso di rimborso anticipato del prestito il “diritto ad una riduzione del costo totale del credito, pari all’importo degli interessi e dei costi
Il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco
dovuti per la vita residua del contratto”. La Banca d’Italia è intervenuta a precisare tramite le Disposizioni di trasparenza del 29 luglio 2009, più volte integrate fino agli “Orientamenti di Vigilanza in materia di cessione del quinto” del 30 marzo 2018, di cui parleremo più avanti. In base a tutto ciò, la giurisprudenza e i Collegi dell’Arbitro Bancario Finanziario riconoscevano a oggi il diritto del consumatore di vedersi restituire, in caso di estinzione anticipata del finanziamento, per la quota non goduta, gli oneri correlati ad attività destinate a svolgersi nel corso del rapporto (costi recurring) ma non quelli imputabili a prestazioni concernenti la fase delle trattative e della formazione del contratto (costi up-front). Nel dettaglio, il Collegio di Coordinamento, nella decisione 6167/2014, ha deciso che, in caso di estinzione anticipata del prestito: (a) sono, in principio, rimborsabili, per la parte non maturata, le commissioni bancarie, così come le commissioni
IL PRONUNCIAMENTO HA SUBITO PROVOCATO ENORMI PREOCCUPAZIONI NEI VERTICI DI BANCHE E FINANZIARIE PER GLI EVIDENTI RISCHI DI RINCARI di intermediazione e le spese di incasso quote; (b) in assenza di una chiara ripartizione, nel contratto, tra oneri e costi up-front e recurring, l’intero importo di ciascuna delle suddette voci deve essere preso in considerazione, al fine della individuazione della quota parte da rimborsare; (c) l’importo da rimborsare è stabilito secondo un criterio proporzionale, ratione temporis, tale per cui l’importo complessivo di ciascuna delle suddette voci viene suddiviso per il numero complessivo delle rate e poi moltiplicato per il numero delle rate residue; (d) l’intermediario è tenuto al rimborso a favore del cliente di tutte le suddette voci, incluso il premio assicurativo. Discorso a parte riguardo le polizze abbinate, le cui sorti non cambieranno. Sebbene la restituzione fosse stata già sancita più volte anche dalla Cassazione, è arrivato il “Decreto crescita”, ovvero il Decreto Legge 179/2012 convertito dalla Legge 221/2012, all’articolo 22 comma15-quater e seguenti a prevedere che febbraio 2020
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nei contratti di assicurazione connessi a mutui e ad altri contratti di finanziamento, per i quali sia stato corrisposto un premio unico il cui onere è sostenuto dal debitore-assicurato, le imprese, nel caso di estinzione anticipata o di trasferimento del mutuo o del finanziamento, restituiscono al debitore-assicurato la parte di premio pagato relativo al periodo residuo rispetto alla scadenza originaria.
Il quadro descritto è però destinato a mutare e molto in fretta Dopo la “Sentenza Lexitor”, il 4 dicembre 2019 la Banca d’Italia ha inviato agli intermediari una Comunicazione in cui afferma che “in base all’articolo 6 del Tub, le autorità creditizie esercitano i poteri loro attribuiti in armonia con le disposizioni dell’Unione europea, applicano i regolamenti e le decisioni dell’Unione europea e provvedono in merito alle raccomandazioni in materia creditizia e finanziaria”. Pertanto gli intermediari devono per forza di cose adeguarsi al nuovo quadro delineato dalla sentenza, ottemperando alle linee orientative indicate nella medesima Circolare nell’offrire i contratti di credito ai consumatori. In relazione ai criteri di rimborso, viene indicato che con riguardo ai nuovi contratti di credito ai consumatori (inclusi quelli di finanziamento contro cessione del quinto dello stipendio o della pensione), in caso di estinzione anticipata dovrà essere assicurata la riduzione del costo totale del credito includendo tutti i costi a carico del consumatore, escluse le imposte. A questi fini, gli intermediari potranno far riferimento anche alle buone prassi rese note dalla stessa Banca d’Italia in occasione dell’emanazione degli “Orientamenti di vigilanza” in materia di finanziamenti contro cessione del quinto dello stipendio o della pensione, con riguardo alle indicazioni sull’opportunità di ricorrere a schemi tariffari che incorporano nel Tasso annuo nominale (il cosiddetto “Tutto Tan”) la gran parte o tutti gli oneri connessi con il finanziamento, incluso il compenso per l’attività di intermediazione del credito. Schemi tariffari che non prevedono l’applicazione di tariffe ulteriori rispetto al Tasso annuo nominale assicurano infatti, in modo più agevole, che, in caso di rimborso anticipato, la riduzione del costo totale del credito tenga conto di tutti i co72
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La sede della Corte di Giustizia europea
sti del finanziamento. La Banca d’Italia aveva infatti “anticipato” la sentenza Lexitor proprio nella Circolare di marzo 2018 su ”orientamento delle operazioni di finanziamento contro cessione del quinto dello stipendio o della pensione”. Tra le buone prassi da seguire infatti c’è il suggerimento di incorporare nel Tasso annuo nominale (Tan) gran parte o tutti gli oneri connessi con il finanziamento. Addirittura, il punto 16 prevede che “Tutti gli oneri incorporati nel tasso (Tan) sono sempre oggetto di restituzione in caso di estinzione anticipata a prescindere dalla loro natura”. Proprio ciò che la sentenza C-383/18 dispone.
QUESTE VERTENZE SONO DESTINATE A FINIRE NON DAVANTI A UN GIUDICE, BENSÌ A ESSERE SOTTOPOSTE AI SETTE COLLEGI DELL’ARBITRO BANCARIO FINANZIARIO
Il punto focale è il passato Per i finanziamenti già in essere, “gli intermediari sono chiamati a determinare la riduzione del costo totale del credito includendo tutti i costi a carico del consumatore, escluse le imposte. Quanto ai costi chiaramente definiti e indicati nei contratti come non rimborsabili in caso di estinzione anticipata del finanziamento (up-front), la Banca d’Italia rimette al prudente apprezzamento degli intermediari la determinazione del criterio di rimborso; dovrà in ogni caso trattarsi di un criterio proporzionale rispetto alla durata (per esempio lineare oppure costo ammortizzato). Resta ferma la facoltà per gli intermediari di ridefinire conseguentemente gli accordi con le reti distributive”. Queste indicazioni della Vigilanza non hanno però valore di natura imperativa, pertanto banche e finanziarie potranno non adeguarsi.
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E non lo faranno di sicuro Non solo per l’ammontare da restituire sui finanziamenti in essere, ma anche e soprattutto per quelli già estinti. La prescrizione del diritto al rimborso infatti interviene solo dopo che sono decorsi dieci anni a far data dall’estinzione. Si tratta di una potenziale voragine di bilancio, tale da poter comprometterne la stabilità. Sull’efficacia della sentenza, riguardo contratti stipulati prima di essa, non ci sono pareri concordi. Da un lato se il giudice nutrisse dubbi sulla portata e sull’efficacia temporale della sentenza nell’ordinamento interno, dovrebbe o potrebbe (secondo i casi), interpellare di nuovo la Corte europea in base all’articolo 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea. E nel frattempo sospendere il giudizio. Non si può però non tenere conto che la Corte di cassazione ha chiarito come l’efficacia vincolante delle sentenze della Cge per il giudice nazionale, si estenda anche a rapporti giuridici sorti e costituiti prima della sentenza stessa. Soprattutto queste vertenze sono destinate a finire non davanti a un giudice, bensì a essere sottoposte ai sette Collegi dell’Arbitro Bancario Finanziario. E’ infatti sin troppo facile supporre un “assalto” anche di molto superiore rispetto a quello registrato negli ultimi anni, condotto da vere e proprie organizzazioni composte da avvocati e consulenti che, dopo essersi procurati in diversi modi, leciti e meno leciti, liste di clienti finanziati, li contattano per proporsi, facendo anche leva sul fatto che statisticamente una gran fetta di prestiti viene estinta in anticipo. L’attività dell’Abf quindi è destinata ad ingolfarsi come e peggio di quanto accaduto negli anni passati. Dopo la sentenza Lexitor sono apparsi due pronunciamenti, di segno opposto. Il Tribunale di Napoli, Seconda Sezione Civile, nella sentenza 10.489 del 22 novembre 2019 ha ritenuto che la sentenza interpreta la Direttiva Ue 2008/48, non l’articolo 125, comma 2 Tub applicabile in questo caso, né l’articolo 126-sexies Tub utilizzato per interpretare l’articolo 125 comma 2. Inoltre
secondo il giudice la Direttiva Ue 2008/48 non ha un’efficacia diretta nei rapporti tra privati (efficacia orizzontale), bensì solo nei rapporti tra lo Stato e i suoi cittadini (efficacia verticale). Al contrario il Collegio di coordinamento dell’Abf con la decisione 26.525 dell’11 dicembre scorso si è espresso a favore dell’efficacia orizzontale, ritenendo che la Direttiva vada interpretata nel senso che tutti i costi del credito (iniziali e recurring) sono soggetti a riduzione in caso di estinzione anticipata. Riconosce che l’Abf, similmente ai giudici nazionali, è vincolato dalla decisione della Corte e, differentemente da quanto statuito dal Tribunale di Napoli, ribadendo il primato del diritto europeo, ritiene che la norma di attuazione nazionale (articolo 125 sexies Tub) debba essere letta in modo conforme alla sentenza della Corte,
LE DISPOSIZIONI SI APPLICANO A TUTTI I CONTRATTI, COMPRESI QUELLI COMMERCIALIZZATI PRIMA DELL’ENTRATA IN VIGORE DEL DECRETO In basso una schermata dal sito dell’Arbitro bancario finanziario
operando quindi nei rapporti orizzontali di prestito tra clienti e banche. In assenza di un criterio normativo, il Collegio ha deciso secondo equità riguardo le modalità di calcolo, individuandole nella riduzione progressiva. Riguardo la retroattività, il Collegio è favorevole alla tesi pro-consumatore e ritiene la sentenza applicabile a tutti i ricorsi, salvo la compiuta prescrizione decennale. In poche parole il Collegio di coordinamento dell’Abf ha spianato ai clienti la strada per ottenere i rimborsi. Cosa succederà ora? La partita non è agevole. Le associazioni di settore, consapevoli del pericolo, hanno richiesto interventi normativi che possano eliminare, o ridurre, gli effetti sui contratti in essere e quelli passati. La Banca d’Italia, però, afferma di dover sottostare alle decisioni della Cge. Non è difficile ipotizzare che il campo di gioco si sposti in Parlamento, dove però il rischio di emanare una norma contraria ai principii dell’Unione Europea è molto elevato. febbraio 2020
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TUTELA DEI PATRIMONI
Niente soldi, siamo fiduciari La lunga storia di Fidinam di Sergio Luciano
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hiariamo bene una cosa: noi non ci occupiamo di soldi!», dice Giorgio Antonini, e dietro un’espressione tanto seria da confinare con la gravità si coglie una vena umoristica sofisticata, da grande umanista del business, quale sicuramente è questo signore elegante, grande esperto di arte moderna, punto di riferimento da mezzo secolo a Milano della Fidinam, una delle istituzioni professionali più efficienti e riservate per decine di clienti qualificatissimi in mezzo mondo: «Fin dalla nostra fondazione, ci occupiamo di fornire al cliente una panoramica degli strumenti giuridici, italiani ed esteri, per proteggere e gestire in modo fiscalmente efficiente qualsiasi tipologia di business», precisa Antonini. «Negli ultimi 7-8 anni la modalità di gestione della fiscalità transnazionale ha subìto profondi mutamenti derivanti in primis dall’intensificarsi della sottoscrizione tra gli Stati di accordi internazionali sullo scambio delle informazioni di natura tributaria», gli fa eco Filippo Tornambè, l’avvocato che è l’attor giovane di questa compagnia di professionisti di prim’ordine basata a Lugano. «Proprio per offrire risposte a tematiche complesse che interessano svariate legislazioni nel mondo», continua Tornambè, «ci occupiamo di fornire assistenza nella costituzione di strutture societarie estere, di acquisire eventuale mandato fiduciario per l’intestazione delle partecipazioni sociali e più in generale di consolidare e proteggere importanti patrimoni mobiliari e immobiliari. In altre parole, accompagniamo il cliente, investitore italiano od estero, nella scelta delle soluzioni giuridiche più rispondenti alle singole esigenze di ognuno e delle loro famiglie, tenendo in considerazione anche la variabile fiscale che, se non correttamente analizzata, rischia di rendere vani gli sforzi». 74
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LA STORIA LINEARE DI UNA DELLE PIÙ ATTIVE E RISERVATE SOCIETÀ GLOBALI DEL RAMO: «ACCOMPAGNIAMO IL CLIENTE NELLA SCELTA DELLE SOLUZIONI GIURIDICHE PIÙ RISPONDENTI»
Nella foto Filippo Tornambè
Benvenuti in via Senato 12 a Milano, appartamento in un palazzo da collezione di architettura, uno dei pochi “salotti buoni” internazionali che operano da sempre anche in Italia e spaziano direttamente – con uffici a Ginevra, Zurigo, Bellinzona, Mendrisio, Milano, Amsterdam, Lussemburgo, Hong Kong, Barcellona, Singapore, Dubai, Ho Chimin City, Sidney, Montecarlo – o indirettamente attraverso partrnership professionali di alto livello in quasi tutto il resto del mondo. E mai come in questi tempi complessi e un po’ rischiosi sono in tanti i clienti – attivi e potenziali - ad aver bisogno di questa consulenza, per tutelare, preservare e tramandare i loro patrimoni. Top-secret i nomi dei clienti (verso i terzi e non anche nei confronti delle autorità dei singoli stati) – e ci mancherebbe – ma c’è da scommettere che tra essi rientrino molte tra le famiglie “high net worth” del Vecchio e del Nuovo mondo. «Tutto ebbe inizio nel ’60 a Lugano», ricorda Antonini, «dall’iniziativa di tre avvocati: Tettamanti, Spies e Dotta, che - considerati quegli anni in cui il Ticino aveva ancora una fisionomia economica di agricoltori e braccianti - videro con lungimiranza i germi di un boom bancario, finanziario, immobiliare e quindi fiscale che sarebbe ben presto arrivato a ridisegnare l’economia europea. E fondarono una fiduciaria. Con un’idea fondamentale in mente, diversa da quella applicata da tutte le altre fiduciarie svizzere: non fare gestione patrimoniale». E dunque perché questi clienti prestigiosi si rivolgono a Fidinam? «Per tante e diverse ragioni. Con l’intensificarsi delle relazioni tra gli Stati in questo nuovo mondo globalizzato, i clienti vengono da noi per pianificare l’organizzazione delle loro attività imprenditoriali, soprattutto se con caratteristiche transnazionali, in modo fiscalmente efficiente al fine di sfruttare al meglio i benefici derivanti dalle statuizioni presenti nelle Convenzioni per evitare le
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doppie imposizioni. Il punto di partenza è, solitamente, l’analisi delle residenze delle persone fisiche poiché da tale assunto derivano non poche implicazioni fiscali. Per esempio, con la concorrenza fiscale spietata che si è instaurata tra gli Stati occidentali per attrarre sul proprio suolo i “paperoni”, abbiamo assistito al proliferare di regimi fiscali di vantaggio legati alla spostamento della residenza della persona fisica. Infatti negli ultimi anni si è assistito a un incremento della migrazione dall’Italia verso l’estero (migrazione che deve essere effettiva e non fittizia) in Stati sia comunitari che non, ma anche, per la prima volta, al fenomeno della migrazione al contrario da quando l’Italia ha introdotto numerosi regimi fiscali ad hoc, molto vantaggiosi, per chi decide di prendere la residenza sul suolo nazionale (si pensi alla norma salva-Ronaldo oppure al regime del rientro dei cervelli). Fidinam suggerisce – e, se richiesto, gestisce – tutte le operazioni da effettuare in entrata o in uscita: «Per esempio se un cliente vuol trasferirsi, ma per davvero, in Svizzera, viene da noi, analizziamo la sua situazione personale e patrimoniale al fine di metterlo al riparo da eventuali contestazioni da parte dell’Agenzia delle Entrate italiana ed espletiamo tutti gli adempimenti necessari per attuare i desiderata del cliente», spiega Tornambè. «Ci facciamo carico di tutti i servizi operativi, amministrativi, eccetera». Altro argomento molto delicato e ampiamente sentito sul suolo italiano ma anche all’estero, è la pianificazione successoria, la quale presenta rilevanti impatti fiscali, soprattutto se nella successione sono presenti elementi di transnazionalità. Secondo Antonini «programmare tutti gli aspetti relativi alla tassazione delle successioni è fondamentale ed invece è un’attività trascurata dalla moltitudine delle persone». Ma in realtà quella della protezione e dell’internazionalizzazione di attività imprenditoriali e dei patrimoni è come una galassia di problemi dall’assoluta complessità. Come la gestione dell’incapacità, temporanea o definitiva, del titolare di beni. «In Italia», precisa Antonini, «per i coniugati il tutore della persona incapace è automaticamente il coniuge. I single sono invece affidati dal giudice a un custode professionale che può essere chiunque! In Svizzera invece anche per chi ha moglie e figli», precisa Antonini, «si può predisporre un atto notarile, anche non pubblico, in cui il firmatario designa qualcuno che in caso di incapacità si occupi di lui in tutto e per tutto, dal pagamento delle bollette alla gestione del patrimonio, senza per questo diventare esecutore testamentario… ma ci vuole un atto, altrimenti si rischia un contenzioso senza fine in Tribunale!». Allargando lo sguardo agli strumenti-cardine della protezione del patrimonio, ecco quello più in voga, ma forse anche il meno conosciuto: il trust. «Abbiamo tre trustee company», spiega Tornambè, «localizzate in più giurisdizioni e fin dal momento della costituzione del negozio affrontiamo tutte le questioni legate alla strutturazione e sottoscrizione del negozio, sia in Italia che all’estero. Una volta effettuato ciò agiamo sia come trustee che come protector. Il protector è il guardiano che controlla il
trustee. Quindi alcune volte interveniamo in prima persona occupandoci delle gestione del patrimonio attraverso trustee company, mentre altre volte il cliente chiede, ai singoli professionisti di Fidinam, di assumere l’incarico di guardiano del suo patrimonio per i prossimi… 200 anni». Il trust, come noto, è un istituto giuridico di matrice anglossasone anche se affonda comunque le sue radici nel diritto romano. Non offre un espediente per evitare le imposte di successione; al massimo, le posticipa. «Le normative però sono complesse e diversificate. Per esempio se un soggetto conferisce un bene in un trust di diritto Usa, quando muore il disponente, il beneficiario del trust potrebbe avere il diritto ad ottenere il patrimonio del trust in maniera potestativa; circostanza quest’ultima che non può essere prevista in altri Stati. In Gran Bretagna, dove l’uso del trust è comunissimo, si sta assistendo al fenomeno dell’abbandono di proprietà immobiliari pregiatissime e che nessuno cura più, proprio per il malfunzionamento del trust illo tempore costituito». In definitiva la concorrenza fiscale che si stanno facendo gli Stati è estrema. «Altro che armonizzazione», commenta con la sua ironia Antonini. «E anche l’Italia, come anticipato, si è mossa introducendo regimi di vantaggio di vario genere con imposte uniche ed accordi fiscali. La Svizzera che ha da sempre il regime globalista, si sta chiedendo, forse per la prima volta, come tutelarsi dalle legislazioni europee che stanno introducendo dei regimi premiali ancor più vantaggiosi di quelli vigenti nella confederazione elvetica da più di vent’anni. Come Fidinam, abbiamo sempre evitato di far applicare al cliente il regime del globalista cosiddetto puro, perché l’ordinamento italiano – secondo una disposizione della vecchia convenzione italo-svizzera – limitava molto la possibilità di applicazione delle convenzioni se il Paese di residenza aveva un regime fiscale di vantaggio. Con la nuova norma Salva Ronaldo, abbiamo assistito forse per la prima volta, a una concorrenza fiscale italiana verso gli altri anche in virtù del fatto che vengono previste esenzioni specifiche sulle imposte di donazione e successione», conclude Antonini. Non c’è che dire: la tutela dei patrimoni è un mestiere da specialisti.
LA PROGRAMMAZIONE DELLA TASSAZIONE DELLE SUCCESSIONI È FONDAMENTALE E INVECE È UN’ATTIVITÀ TRASCURATA DALLA MOLTITUDINE DELLE PERSONE
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ANNIVERSARI
50 anni da consulente finanziario Priore racconta il suo mestiere di Mario Romano
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l 23 dicembre di 50 anni fa Francesco Priore, oggi guru riconosciuto della consulenza finanziaria e tra gli artefici dell’Albo professionale dei promotori prima e dei consulenti finanziari poi, acquisiva il suo primo cliente. La firma di questo contratto accadeva in un mondo totalmente diverso da quello di oggi, anche dal punto di vista finanziario. Ma parlando con Francesco sembra che i fondamentali della professione non siano affatto cambiati.
Che effetto le fa guardarsi indietro da professionista instancabile qual è? Dunque, vediamo, chi altro c’è nella professione che ha la mia stessa anzianità? Un po’ più giovani di me, Ennio Doris e Gianfranco Cassol. Bah, voltarsi indietro non è nel mio carattere… ma da bolognese di adozione ed estimatore di Lucio Dalla, che peraltro subentrò nel mio ufficio facendone la sua casa, diciamo che “vedo la bianca scia di un’elica…” Lei può raccontare la storia di questo mercato per intero perché prima di quel momento non c’era. Posso dire di aver ottenuto la legalizzazione della professione, questo sì, e ci tengo. In quel momento, fine ’87, la professione del consulente finanziario viveva un momento di difficoltà; erano crollate le Borse e sotto accusa erano i consulenti. Siamo riusciti a far capire alle authority, Parlamento e Consob, che legalizzare questa professione avrebbe dato maggior sicurezza ai risparmiatori, verificando integrità e competenze dei professionisti all’ingresso e comportamenti nel durante. Per fortuna il risparmio è tutelato dalla Costituzione, come la Salute, e non c’è stato bisogno di azioni di lobbismo: avemmo la fortuna di incontrare due Franco, Franco Piro e Franco Piga, uno presidente della Commissione Finanze della Camera, l’altro presidente della Consob, che capi76
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Francesco Priore, è stato presidente di Anasf e ha fatto parte di Apf e Ocf
«I CONSULENTI FINANZIARI SONO QUELLI CHE HANNO FATTO LA VERA EDUCAZIONE FINANZIARIA IN ITALIA, ONE-TO-ONE, CLIENTE PER CLIENTE. I TASSI NEGATIVI LI RENDONO OGGI INDISPENSABILI» rono la necessità e con la loro collaborazione riuscimmo a realizzare l’Albo dei promotori finanziari, contro tutti, dal sistema bancario alla Banca d’Italia. L’Albo ha bonificato la professione e ha consentito una grande crescita del mercato. Senza contare che i consulenti finanziari sono quelli che hanno fatto la vera educazione finanziaria in Italia, one-to-one, cliente per cliente. Il tema dell’educazione finanziaria ricorre continuamente, ne parlano tutti ma non si fa mai niente che davvero cambi le cose. L’educazione finanziaria non è indispensabile. Gli adulti non li educhi, si educano i bambini. Sono un po’ tranchant ma quando sento parlare di educazione finanziaria un po’mi viene rabbia e un po’ da ridere. Qualcuno per caso fa educazione sanitaria, al
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di fuori di qualche opuscolo? Se hai un problema di salute vai da un medico, se vuoi investire il tuo denaro, che dopo la salute e gli affetti è la cosa più importante per le persone, vai da uno specialista. E poi non è possibile insegnare agli adulti con i metodi didattici tradizionali, il cervello degli adulti è diversamente ricettivo e in generale sono meno disposti. Allora ci si deve rassegnare? No affatto, bisogna usare un po’ di pensiero laterale. Qual è il miglior catalizzatore di formazione? Il miglior veicolo per fare entrare concetti nuovi nella testa della gente? Le emozioni. Io credo che bisognerebbe fare educazione finanziaria attraverso le emozioni. C’è una bellissima pièce teatrale di Stefano Massini sulla storia dei fratelli Lehman… è una mia vecchia idea che ho presentato anche a produttori cinematografici ma per ora senza successo. Nella storia dei fratelli Lehman si parla di tutti gli strumenti finanziari, seguendo la grande saga della famiglia Lehman che da contadini in Germania diventano i più grandi banchieri del mondo. Seguendo le loro vicende ci si imbatte nella nascita dei principali strumenti finanziari, dai più semplici ai più sofisticati, inframezzati allo sviluppo di vicende molto interessanti sulle fortune e sfortune della famiglia. Ci vuole uno storytelling finanziario… Di più. Ci vuole una fiction in cui si parla di tutto, amori e guerre, e si veicola la conoscenza degli strumenti finanziari intrecciati alla vita. Come è nella realtà. Occorre studiare bene il progetto, con l’assistenza di psicologi comportamentali. Essendo la storia dei Lehman, potrebbe essere venduta in tutto il mondo. Quale paese non ha bisogno di educazione finanziaria? Detto da lei che ha sempre insegnato e tuttora insegna, la provocazione ha ancora più valore. Ho insegnato prima a Ferrara, diritto della comunicazione d’impresa e marketing finanziario. Laurea triennale. Oggi insegno a un Master in Wealth Management all’Università di Bologna. Sulla base di queste esperienze posso dire che le conoscenze le acquisisci con la scuola, le competenze con i master, la professione con l’addestramento. In base alla sua esperienza, come è cambiato il mercato della consulenza finanziaria in questi 50 anni? Le reti di vendita dei servizi finanziari hanno avuto un grande successo in Italia e hanno creato il mercato: senza le reti il mercato come l’attuale non sarebbe mai partito, perché all’inizio avevano la capacità di trasferire le esigenze dei clienti alle fabbriche prodotti. E’ stata anche la mia esperienza: incontri il cliente, capisci di cosa ha bisogno e hai la capacità di trasferire le informazioni dove si confezionano i prodotti finanziari. Il famoso vestito su misura in base alla propensione al rischio, obiettivi, orizzonti temporali. Oggi le cose sono un po’ diverse, credo che in Italia ci siano 30.000 fondi di investimento, una quantità impressionante, tra l’altro con costi di produzione elevatissimi: le strutture light di 50-40, anche 30 anni fa, sono state sostituite da strutture pesanti per far fronte anche a una quantità inimmaginabile di burocrazia. Questo è l’oggi sul versante di chi propone. Dal punto di vista dei risparmiatori, potremmo dire che gli italiani hanno scoperto la finanza con i tassi a due cifre, con la crisi petrolifera ed energetica del 1973-1974, e stanno scoprendo la consulenza finanziaria oggi, con i tassi negativi. Ma la stanno davvero scoprendo?
Ennio Doris, il patron di Banca Mediolanum, è uno dei personaggi chiave della storia della consulenza finanziaria nel nostro Paese
Negli ultimi 5 anni il risparmio gestito è letteralmente raddoppiato. Ma i consulenti finanziari in Italia gestiscono sì e no il 15% della ricchezza delle famiglie italiane, tutto il resto è nelle mani delle banche, le quali, con i tassi così bassi, hanno dovuto vendere servizi per fare margine. La compravendita di denaro, che è l’attività principale di una banca, non rende più niente e tenere il denaro fermo presso la banca centrale europea produce un tasso negativo, per cui le banche spingono i clienti a investire. Ecco perché il mercato del risparmio gestito sta crescendo. Però c’è ancora tanto spazio, parliamo di una liquidità di 1.400 miliardi di euro. Tenuto conto che nell’ambito del risparmio gestito c’è una quantità immane di risparmio in fondi obbligazionari e monetari che non rendono assolutamente niente, facciamo che siano altri 500-1.000 miliardi di euro, significa un totale superiore ai 2.000 miliardi di euro che potrebbero andare nel risparmio gestito. Draghi ha scelto questa strategia dei tassi quasi negativi per indurre le banche a prestare denaro alle attività reali, non è andata così. La crisi ha messo a dura prova le banche, gravandole di crediti inesigibili o meglio di creditori inadempienti. Date le circostanze, l’Esma, l’ente che governa le banche, ha imposto che a fronte dei prestiti le banche provvedessero ai relativi accantonamenti. Solo che mentre una volta per considerare un prestito rischioso si aspettava che non venissero pagate 5-6 rate, oggi già dalla seconda rata non pagata il prestito diventa rischioso e a fronte di quel prestito le banche devono accantonare del capitale. Cosa pensa dell’apparente svolta verso valori etici che sembra coinvolgere marche di largo consumo e imprese? E’ l’alba di un capitalismo riformato?
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Dalla rivoluzione industriale in poi, e soprattutto dallo sviluppo dei motori a scoppio e diesel, abbiamo distrutto il patrimonio ambientale; i prossimi 100 anni serviranno per ricostruirlo. Il business starà nella ricostruzione, e non è la prima volta; pertanto il business, che è e resterà il faro del capitalismo, porterà a comportarsi in modo sostenibile anche le aziende. Le aziende non sono diventate improvvisamente sante, stanno solo seguendo il proprio istinto. Anche i fondi etici stanno vivendo un vero e proprio boom, è perché rendono di più o perché la gente ha bisogno di uno scopo superiore? Non sono i fondi etici che rendono di più, sono le aziende etiche che rendono e resistono di più. Quarant’anni fa era stata fatta un’analisi delle aziende presenti sulla Borsa di New York nel 1900. Dopo 70 anni, di quelle aziende ne erano sopravvissute pochissime ma erano quelle che si erano comportate in modo etico. La sua opinione sul fintech e le paure che lo circondano. Il fai da te, in finanza, esplode nel momento in cui il mercato cresce e ci sono maggiori probabilità di portare a casa qualcosa anche se non sei esperto. Poi se ci guadagni sei tu che sei bravo non il mercato che cresce, se invece il mercato non cresce - ed è certo che in futuro oscillerà - nel momento in cui perdi è difficile dare la colpa al fintech, diventa colpa tua. Non c’è il consulente su cui rivalersi o che ti sostenga moralmente. Condividere le perdite può essere di grande aiuto. Non credo che i professionisti corrano dei rischi a causa del fintech. Invece il fintech potrebbe aiutarli in una serie di compiti, come dire, funzionali. In mano ai risparmiatori sì che può essere rischioso, passiamo dalla non conoscenza più totale alla presunzione di decidere da sé… Ecco che torna l’educazione finanziaria… L’educazione finanziaria è una maniera per scaricare sull’utente finale la responsabilità delle scelte. Come avviene con i continui interventi dei regolatori che obbligano la gente a firmare documenti di decine e decine di pagine che nessuno leggerà mai. Questo salva la pelle innanzi tutto alle authority che possono dire di averti messo in guardia, ma non tutela il risparmiatore. Oggi per aprire un conto corrente devi firmare un certo numero di pagine, questo ha forse protetto i milioni di risparmiatori che ci hanno rimesso i loro risparmi di una vita? Le authority fanno il loro lavoro e i consulenti finanziari anche, ma i cigni neri esistono e ricorrono, e di fronte ai 78
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Alessandro Foti (a sinistra), ad e dg di Finecobank e Pietro Giuliani (a destra), presidente di Azimut holding. Con Doris, secondo Priore, sono i protagonisti che hanno lasciato più il segno nel mondo delle reti di consulenti
cigni neri nessuno è preparato. Cosa distingue un bravo consulente da uno meno bravo? L’esperienza. Davanti a un cigno nero vai in crisi tanto quanto i tuoi clienti, poi capisci che la responsabilità è del cigno nero, non tua, e se hai lavorato seriamente non hai difficoltà ad affrontare i clienti. Io per i primi 7 anni ho continuato ad assistere i miei clienti che erano in perdita e all’epoca non c’era management fee, lo facevo a spese mie. Cercavo di fargli capire cosa stava succedendo. Ho mantenuti tutti i clienti e ho mantenuto ottimi rapporti con tutti. Il secondo cigno nero improvvisamente non è più nero, diciamo che è grigio. Allora riesci a trasmettere la necessaria tranquillità al tuo cliente e gli spieghi che è proprio durante il cigno nero che ti deve ascoltare perché si compra meglio. Ma gli devi anche spiegare che i risultati li avrà nel medio-lungo termine. Alla fine i periodi di crisi formano sia i consulenti che i loro clienti. Come le epidemie, come è cresciuta la medicina e la chirurgia? In guerra e nelle epidemie. Un segreto per essere un consulente di cui la gente si fida tutta la vita? Comportati con i tuoi clienti come ti comporteresti con te stesso. E’ evangelico ma è la verità. Le persone più interessanti che ha incontrato nella sua vita professionale? Ennio Doris, Alessandro Foti e Pietro Giuliani. Come si fa alla fine di una grande biografia professionale, chi vorrebbe ringraziare? Una donna eccezionale, Elena, moglie e compagna della vita, la cui intelligenza e comprensione mi hanno accompagnato durante tutto il mio lungo percorso professionale.
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PFGOLF
La sfida sul green parte da Parma di Marco Muffato
È
scattato il conto alla rovescia per i consulenti finanziari golfisti. Il 20 febbraio prenderà infatti il via il circuito di PFGolf con la prima gara che si svolgerà presso il Golf Club Ducato a Parma, con sponsor di tappa Neuberger Berman. E prenderà così il via una edizione, quella del 2020, che si annuncia come la più bella di sempre per il contesto nel quale si svolgeranno le prove (i miglior golf club presenti a livello nazionale) e per la qualità dei colpi attesi sui campi di gara. Le tappe del circuito saranno complessivamente diciassette. Nella tabella sono indicate tutte le gare previste dalla competizione organizzata dall’Associazione nazionale dei consulenti finanziari golfisti, compresa la doppia tappa di Folgaria che si svolgerà il 30 e il 31 luglio. Un capitolo a parte merita l’accordo sottoscritto proprio il 29 novembre scorso, al Golf Club di Castell’Arquata, tra PFGolf e Economy Group, la casa editrice di Investire. Investire sarà il media partner esclusivo dell’intero circuito golfistico per il 2020. L’evento sportivo vedrà la partecipazione di oltre 130 consulenti finanziari da tutta Italia e sarà raccontato da Investire con articoli sul mensile cartaceo e sul sito investiremag.it, anche con contributi video. «Avere Investire come media partner è per noi un grande motivo di orgoglio», aveva spiegato Patrizio Comi, presidente di PFGolf alla presentazione del circuito. «Anche perché è una rivista che non è di parte e non adotta logiche commerciali esasperate, toccando temi di grandi interesse per l’attività professionale dei nostri associati». Anche Domenico Marasco, editore incaricato di Economy Group aveva sottolineato l’importanza dell’accordo. «Abbiamo voluto fortemente questa partnership perché ci permette di portare i contenuti professionali di Investire all’attenzione dei cf, nel contesto gradevole dei Golf Club».
CENTOTRENTA CONSULENTI FINANZIARI SI AFFRONTANO NELLA PRIMA DELLE 17 TAPPE DEL CIRCUITO CHE HA COME MEDIA PARTNER INVESTIRE
PFGOLF: GARA PER GARA IL CIRCUITO 2020 DATA
LOCATION
SPONSOR DI TAPPA
20/02/ 2020
G.C. DUCATO (PR)
NEUBERGER-BERMAN
11/03/2020
G.C. ARZAGA (BS)
VONTOBEL
24/03/2020
G.C. VARESE
CAPITALGROUP
09/04/2020
G.C. VILLA CAROLINA (AL) MFS (1^ TAPPA trofeo MFS)
24/04/2020
G.C. MILANO
CANDRIAM (1^ tappa trofeo CANDRIAM)
07/05/2020
G.C. CA’ AMATA (TV)
PRAMERICA
22/05/2020
G.C. MONTICELLO (MI)
CANDRIAM (2^ tappa trofeo CANDRIAM)
12/06/2020
G.C. ALBENZA (BG)
CANDRIAM ( 3^ tappa trofeo CANDRIAM)
30/06/2020
G.C. BOLOGNA
MFS (2^TAPPA trofeo MFS)
17/07/2020
G.C. VILLA D’ESTE COMO
CANDRIAM ( 4^ tappa trofeo CANDRIAM)
30-31/07/2020
G.C. FOLGARIA (TN)
NATIXIS (CAMPIONATO IT. A SQUADRE)
27/08/2020
G.C. FRANCIACORTA (BS)
PRAMERICA
08/09/2020
G.C. CHERASCO (CN)
NORDEA
24/09/2020
G.C. PADOVA
NEUBERGER BERMAN
29-9/3-10/2020 G.C. ACAYA (LE)
FINALE TROFEO CANDRIAM
21-24/10/2020
PORTOGALLO
FINALE TROFEO MFS
3-7/11/2020
PORTOGALLO
FINALE CAMPIONATO IT. INDIVIDUALE
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SEDIE & POLTRONE di Marco Muffato Casacche che si scambiano, volti noti che passano da un ruolo all’altro: il valzer delle poltrone è intenso nella finanza, dove vige ancora il merito e dove chi rende bene viene promosso o ricoperto di offerte allettanti. Agli HR il compito di attrarre i talenti, a noi quello di raccontare il risiko, oltre a notizie e indiscrezioni su un mondo ricco di costanti novità.
SAVATTERI CRESCE IN T. ROWE PRICE
T.
Rowe Price, l’asset manager globale indipendente, ha ampliato le responsabilità di Donato Savatteri (nella foto), affidandogli la carica di head of Southern Europe. Savatteri, che anche nel nuovo ruolo rimarrà saldamente alla guida del team italiano, metterà l’esperienza accumulata in questi anni nell’avvio e sviluppo della presenza di T. Rowe Price sul mercato locale al servizio di un’area più estesa e comprendente, oltre all’Italia, anche la regione iberica.
Parallelamente Savatteri assumerà la responsabilità del coordinamento del canale intermediary di T. Rowe Price nell’area Emea. T. Rowe Price è arrivata in Italia nel 2014 con l’apertura di una branch a Milano operando dapprima nel mercato wholesale e istituzionale e poi nell’area retail e private banking, dove conta partnership con FinecoBank, Azimut, Allfunds Bank, Chebanca!, Cordusio Sim e Allianz, tramite la piattaforma Challenge Pro.
MAZZOLIN ENTRA IN ERIC SALMON
E
ric Salmon & Partners, società internazionale attiva nell’executive search, board consulting, management assessment e succession planning, potenzia la sua offerta nel settore financial services con l’ingaggio di Lodovico Mazzolin (nella foto). L’ex manager di Mps e Unicredit è entrato in Eric Salmon & Partners come consulente e leader della practice financial services, apportando la sua esperienza maturata in oltre 20 anni all’interno di gruppi bancari, società di private equity e consulenza. Prima di iniziare la carriera manageriale, Mazzolin ha lavorato per 8 anni in McKinsey seguendo progetti per istituzioni finanziarie europee, tra cui le tematiche relative all’impatto delle tecnologie nel business finanziario.
PECORA AD E COUNTRY HEAD DI SGSS
S
ociete Generale Securities Services ha nominato Roberto Pecora (nella foto) ad e country head di SGSS. Pecora riporterà al consiglio di amministrazione di SGSS e lavorerà in allineamento con David Abitbol, presidente del cda e head of SGSS, e Alessandro Gumier, head of global banking and investor solutions in Italia. Basato a Milano, la sua nomina è effettiva dallo scorso 1 gennaio 2020. Pecora sostituisce Frédéric Barroyer, di recente nominato head of group retirement and employee savings di Societe Generale Insurance. SGSS in Italia è attore chiave nel settore dei securities services con oltre 698 miliardi di asset in custodia.
LEPORE CAPO REAL ESTATE IN ITALIA DI UBS AM
U
bs Asset Management Real Estate & Private Markets ha annunciato la nomina di Gaetano Lepore (nella foto) come head of Italy real estate mantenendo anche il ruolo di portfolio manager in Ubs Am (Italia) Sgr. Entrato in Ubs Am dodici anni fa, Lepore ha ricoperto diversi ruoli tra cui quello di head of investment
management real estate Italy, esperienza che gli ha permesso di acquisire una profonda conoscenza del business, dei clienti e del portafoglio italiano. Lepore succede a Marco Doglio, che ha lasciato Ubs Am. Ubs Am nel 2015 ha istituito una piattaforma dedicata alla gestione dei fondi immobiliari.
BNP PARIBAS SS, NOVITÀ PER GIOFFREDA E CAMUÑAS
A
lessandro Gioffreda (nella foto), già responsabile della regione Continental Europe di Bnp Paribas Securities Services, è stato nominato head of territory management, estendendo il suo mandato a tutte le regioni di Bnp Paribas SS. Gioffreda sarà responsabile a livello globale di tutti i Paesi nei quali è presente la
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società. Altra nomina è quella di Alvaro Camuñas, già global head of sales and relationship management di Bnp Paribas SS, diventa head of client development. Le nomine di Gioffreda e o Camuñas saranno effettive dal 1 aprile 2020 ed entrambi riporteranno direttamente a Patrick Colle, ceo di Bnp Paribas Securities Services.
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PROFESSIONE CONSULENTE Risponde Francesco Priore all’indirizzo priore.studio@virgilio.it Startupper e decano della consulenza finanziaria, Priore ha fondato l’Anasf e contribuito alla fondazione dell’Albo. Docente Universitario, autore e consulente di comunicazione e marketing finanziario. È stato direttore marketing della rete di Banca Fineco e membro del CdA di Consultinvest Sim.
NON PENSIONATI MA ACTIVE LONGIVER
POCHI SERVIZI PER LA SILVER ECONOMY
Giovedì 19 dicembre si è svolto il pranzo
Sono un over 75 e svolgo ancora un po’
di Natale della direzione della società;
di professione ma solo come consulente
in quella occasione è stato annunciato
dei miei figli. Ho già provveduto ai
che con il 31 dicembre sarebbe cessato
miei eredi, sistemando buona parte del
il mio rapporto per raggiunti limiti di
patrimonio. Sia io che mia moglie siamo
età. Mi è stata consegnata la targa (molto
in ottima salute, viaggiamo, siamo dei
lusinghiera). E così, sono al capolinea:
buoni consumatori culturali, con un
con il 1° gennaio sono diventato un
patrimonio che ci consente di vivere
pensionato a tutti gli effetti.
bene e con l’allungamento della vita lo
Gianfranco Aldrovandi
C
arissimo Gianfranco, leggo con dispiacere la tua, perché ti sento amareggiato e posso capirti: ad entrambi è successo più di una volta di essere congedati da aziende alle quali avevamo dedicato e profuso, con entusiasmo, il meglio delle nostre energie ed esperienze. Le persone si affezionano alle aziende, le aziende non possono, sono impersonali e non hanno sentimenti: possono tutt’al più mostrarsi sensibili. Tu hai trasferito sapere e competenze, patrimonio da cui promana una rendita culturale-professionale che si è trasformata in redditività concreta per i consulenti finanziari delle aziende e per le stesse. Queste ultime in genere ragionano così: ha lavorato per noi e bene, per ragioni valide, tipo la quiescenza, dobbiamo rinunciare a lui con dispiacere ma non possiamo fare diversamente. L’aspetto economico è relativo, perché nel caso del rapporto di agenzia è il consulente che si paga da solo: infatti se è bravo difficilmente viene incentivato a cambiare, l’azienda potrebbe perdere asset o pagare gli asset per non perderli. Ogni impegno ha un termine, più impegni però non scadono contemporaneamente. Scrivi: sono al capolinea. Può essere un punto di arrivo o di partenza per un nuovo percorso, dipende solo dalla nostra volontà, però ce ne vuole tanta.Abbiamo fatto un lungo percorso comune, parallelo o diversificato, ma insieme abbiamo promosso la nostra professione, a tutti i livelli dall’esempio e impegno personale, al livello politico, dando un contributo determinante e fondamentale all’eticizzazione del mercato. Potresti ritenerti soddisfatto, allo stesso tempo puoi guardare al futuro come Active Longiver o distinto pensionato, cosa preferisci?
decumuleremo negli anni. Non vogliamo essere “i più ricchi del cimitero” ma nemmeno pesare sui figli vivendo troppo a lungo. Come orientarci? Giuseppe Gedri
G
entile Giuseppe, la ringrazio della fiducia, però non sono in grado di offrirle una consulenza. Lei ha delineato una situazione personale, non rara, oggi. È una richiesta che inizia a diffondersi. Oggi siamo nell’era della Silver Economy, i longevi attivi sono la classe più abbiente, in tutto il mondo occidentale, e hanno i mezzi per godersi i patrimoni accumulati. I longevi hanno avuto la fortuna di poter accumulare e anche da oggi decumulare, hanno idee chiare sui consumi edonistici, culturali, di wellness e così via, ma allo stesso tempo c’è l’annoso problema: “vivremo troppo poco o troppo a lungo?”. Non ci sono ancora servizi finanziari-patrimoniali ad hoc per queste esigenze: l’industria, che è stata capacissima nel far accumulare patrimoni immobiliari, è stata colta di sorpresa. Certo si può cercare di adattare l’esistente, però è più opportuno che le case ricerchino le vere esigenze dei singoli longevi per produrre servizi patrimoniali: immobiliari e assicurativi nuovi per le nuove esigenze. Non mi tiro indietro, ma non ci sono soluzioni innovative. Speriamo presto. In attesa di soluzioni ad hoc purtroppo resta il buon senso. Auguri. febbraio 2020
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POLE POSITION
a cura di Buddy Fox
FOLLOW THE MONEY E (FORSE) TROVERAI IL GREEN
“S
egui i soldi e troverai…” è un motto che il giudice Giovanni Falcone ha fatto diventare proverbiale. Nel nostro caso seguendo i soldi non troveremo nulla di losco. Al contrario questa pista conduce a un mondo più etico: il suo nome è “finanza sostenibile”. L’esempio lo dà BlackRock, il gigante della finanza americana in guerra con le aziende poco o nulla attente al clima, all’ambiente e all’economia sostenibile in generale. Una dichiarazione che suona come risposta all’accusa più volte ricevuta in passato da questa corazzata Usa degli investimenti, di non fare abbastanza affinché le aziende nelle quali è presente si dessero una mossa per alleggerire il loro impatto sul pianeta. «Ogni governo, azienda e azionista deve fronteggiare il cambiamento climatico», ha affermato Larry Fink (nella foto), ceo di BlackRock. Specificando, semmai ve ne fosse il bisogno, che in «un futuro molto vicino avrà luogo una significativa riallocazione del capitale». Segui i soldi e troverai il nuovo standard nel mondo degli investimenti, il nuovo criterio di valutazione del merito.
Che i tempi siano (finalmente) maturi per un cambio di passo che è sensato definire epocale lo dimostrerebbero anche le scelte dell’Unione Europea. A livello politico si ipotizza la creazione di un fondo chiamato “Invest Europe” capace di mobilitare una cifra di 279 miliardi di euro di fondi pubblici e privati per investimenti favorevoli al clima e all’ambientali. Il fondo è stato pensato allo scopo di convincere i paesi dipendenti dal carbone come la Polonia (e in parte la Germania) ad abbandonare i combustibili fossili, aiutandoli a sostenere le inevitabili ricadute economiche e sociali che il cambiamento comporta. «Vogliamo far in modo che le regioni carbonifere abbraccino senza esitazione il Green New Deal europeo” ha affermato un esponente della Commissione europea, «I lavoratori che perderanno il lavoro devono essere aiutati»”. Ottimi proponimenti, nobili obiettivi, alate parole. C’è da sperare che “seguendo le parole” si arrivi ai fatti e rapidamente. Le promesse da marinaio della presidenza Juncker per quello che doveva essere il grande piano di investimenti in infrastrutture, non sono un buon auspicio.
FAB FOUR, L’OLIGARCHIA SARÀ PRESTO IN GUERRA CON GLI STATI?
U
n tempo, mica tanto tempo fa, i Padroni del Mondo li riconoscevi dal peso. Oltre alla quantità di profitti che generavano con implacabile puntualità, pesavano enormemente per numero di dipendenti, sedi, impianti e strutture fisiche, le strabordanti risorse che consentivano loro di giganteggiare sul pianeta Terra. I signori del petrolio, dell’acciaio, delle ferrovie, del tabacco e delle telecomunicazioni, strutturati in conglomerate dagli interessi intrecciati e fittissimi imponevano con la forza dei numeri e delle rendite di posizione il loro predominio ai mercati. Li chiamavano “trust”, di fatto veri e propri mostri in grado di farsi beffe dei principi di libera concorrenza. Negli Usa, dove non tutto inizia ma tutto cresce a dismisura, la pacchia durò sino a quando Theodore Roosevelt, un presidente muscolare e interventista, fece un utilizzo estensivo dello “Sherman Antitrust Act” la più antica legge antitrust degli Stati Uniti (1890) sino ad allora praticamente inutilizzata. Il resto è storia nota: spezzatini che hanno fatto bene al mercato, benissimo all’innovazione e benino ai consumatori, il più recente dei quali riguardò il mondo delle telecomunicazioni. Una lunga (inevitabile) premessa per parlare dei Nuovi Padroni del Mondo. Oltre alla quantità di profitti che generano con implacabile puntualità, stupiscono il mondo per la leggerezza delle loro strutture fisico-logistiche, l’esiguità del numero di dipendenti e l’inconsistenza dei loro contributi fiscali. Sono imprese talmente grandi per fatturato, potere e profitto che tutte le altre al confronto 84
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sono bruscolini. Fanno parte del club Apple, Facebook, Amazon, Google, Microsoft, Netflix, Tesla. Tutte aziende della new economy, un esercito di gigantesche cavallette che macina profitti (pagando in proporzione quantità irrisorie di tasse) e che lascia dietro di sé un panorama della vecchia industria devastato. È un sistema a imbuto che vede entrare grandi profitti e restituire poco benessere, in tutte le sue declinazioni, al cittadino lavoratore, mentre al consumatore regalano l’illusione del comando. Per quanto stitico è il sistema al contrario è fertile la fantasia degli analisti nel generare tanti sottoinsiemi nella nomenclatura. Inizialmente erano FAANG, poi OTT, in seguito Club dei mille e infine Fab4. Cambia il nome ma è sempre della stessa oligarchia che stiamo parlando. Sino a oggi i Governi di mezzo mondo, quelli che contano e pesano, hanno fatto finta di niente. Nessun senatore Sherman all’orizzonte e neppure nessun presidente Roosevelt minaccia i sonni dorati dei signori Zuckerberg, Bezos (nella foto), Brin e Page. La domanda delle cento ghinee è dunque una sola: “quousque tandem, Catilina, abutere patientia nostra?” ovvero, sino a quando dovremo sopportare questo stato d’eccezione in cui tanto ricevono e poco danno? Tanto per capire di che grandezze di numeri stiamo parlando, le fab4, cioè Google, Amazon, Apple e Microsoft, sono colossi che superano i mille miliardi di dollari di capitalizzazione di borsa. Con solo due di esse si supera in valore il Pil italiano. La politica supererà l’attuale torpore legislativo o lascerà che da adesso in poi inizino guerre tra aziende e stati?
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BANCHE, UNA CRISI DA TRASFORMAZIONE CHE NON RIGUARDA TUTTI
D
icono che di notte tutti i gatti siano neri. Sappiamo bene che non è così e che comunque il sole, sorgendo, rimetterebbe le cose al loro posto. Stessa storia con le banche e più in generale con gli istituti finanziari. Tutti eguali, tutti dipinti di luttuosi colori per via della crisi e dell’incapacità di affrontarla questa crisi. Un vaticino espresso già nel lontano 2016 da Francisco Gonzalez (nella foto), presidente della BBVA, Banco Bilbao Vizcaya Artentaria, secondo il quale il 90% delle banche mondiali scomparirà nel giro di vent’anni. Gli interventi a sostegno delle banche hanno tenuto in vita anche quelle che avrebbero dovuto andare fallite dando vita a un circolo vizioso che ha prodotto perdite di efficienza e di profitti. La soluzione? L’avvio di un processo di consolidamento e di fusione che, appunto, porterà alla sparizione di un numero elevatissimo di sigle. Parola di banchiere. È davvero così, davvero non c’è più spazio né modo di fare banking in modo sano, solido e proficuo per i clienti e gli azionisti? Una volta lavorare in banca era il modo più sicuro di affrontare il futuro. Legioni di ragazze in età da marito lo sognavano bello, romantico e bancario. Poi è arrivato il web e dopo il web la grande crisi (le due cose non sono necessariamente collegate) che ha strapazzato il sistema finanziario come uno spremiagrumi impazzito. E come hanno reagito le banche, la totalità delle banche? Invece di pensare al nuovo, a come rispondere a un ecosistema completamente stravolto, hanno ficcato la testa nella sabbia fingendo di non vedere che c’era qualcuno (in verità più d’uno) che nonostante la crisi e nonostante internet, i soldi continuava a farli. Per sé e per i propri clienti. Stiamo parlando delle banche senza sportelli, del nuovo modo “invisibile” di fare banca, della banca che apparentemente non c’è e invece è dappertutto. Si chiama innovazione. O meglio, visione. Non si tratta di camminare sulle acque e fare i miracoli, cose che agli umani non
sono concesse. Ma del talento di vedere il futuro prima degli altri. Un dono che hanno in pochi e che fa la fortuna di molti. Uno che di talento visionario ne ha parecchio è Ennio Doris, il fondatore di Banca Mediolanum. Inventare una banca non è esattamente come mettere su una rivendita di bruscolini. Ci vogliono il giusto capitale per sostenere l’idea, spalle forti e testa fredda per perseverare e superare le inevitabili difficoltà. Ha investito, ma ha anche aspettato il momento giusto, e questo momento è arrivato nel punto più buio della crisi: il fallimento della Lehman Brothers. Mentre tutte le banche erano costrette a dichiarare che i loro prodotti avevano fatto default, lui decideva di rimborsare i sottoscrittori di Lehman che avevano visto il loro investimento azzerato. Colpo di genio: non solo il cliente viene rimborsato e tutelato, ma si crea un clima di fiducia immenso e incrollabile. Il fallimento Lehman Brothers, la disgrazie che ne è conseguita, Ennio Doris è riuscito a trasformarlo in una grande occasione. Come l’annuncio del bonus di 2.000 euro che Banca Mediolanum darà a tutti i dipendenti e ai family banker italiani e esteri. Nel momento in cui il mondo bancario non scoppia di salute Mediolanum è in netta controtendenza e, ancora una volta, anticipa il futuro. Vogliamo dare i numeri e fare un confronto? Undici anni dopo la grande crisi, oltre a Popolare di Bari il cui salvataggio costa 1,4 miliardi allo Stato e al Fondo Interbancario, altre 11 grandi banche si trovano a navigare acque difficili: 45 miliardi di risparmio perduto e 550 mila soci che si ritrovano azioni senza valore. Le banche, come i gatti di notte, non sono affatto “tutte nere”. Mentre la stragrande maggioranza taglia i posti di lavoro e distrugge il valore degli azionisti, un’altra banca italiana diversa per Dna, storia e creatività, distribuisce 15 milioni di bonus. Quello che per alcuni è una crisi, per altri è una grande opportunità.
DONALD ALLA CONQUISTA DI TAIWAN IN NOME DEL 5G
S
i dice che Donald Trump stia corteggiando la più grande azienda di semiconduttori al mondo, per farle spostare le sue attività produttive in Usa e diventare fornitore esclusivo di chip per le forze militari americane. L’azienda in questione si chiama Taiwan Semiconductor, è un colosso dei chip, numero uno al mondo, prima di Global Foudries il cui azionista di maggioranza è Abu Dhabi, e di Umc, anche essa di Taiwan. Taiwan Semiconductor è già oggi un fornitore degli Usa, producendo chip per i computer utilizzati negli aerei F-35, ed essendo fornitore chiave di aziende private di matrice americana quali Apple, Google, Intel e Qualcomm. Ma non è dovuto a questo l’appetito di Trump: da sempre la Cina reclama Taiwan come proprio territorio, toglierle TSMC significherebbe toglierle un vantaggio competitivo se non addirittura l’intero controllo dell’industria elettronica mondiale visto che già controlla il mercato delle terre rare. Le pressioni sulla società stanno aumentando proprio in queste ore, e probabilmente si dovrà arrivare a una decisione, entro la volata finale delle presidenziali Usa di quest’anno. Una trattativa che metterà a dura prova l’abilità contrattuale di Trump, che finché deve affrontare i capi di governo delle altre nazioni, attraverso il ricatto tariffario dei dazi, trova gioco facile, quando invece la partita è con i colossi industriali e soprattutto tecnologici che dominano il pianeta, il risultato finale diventa molto più incerto. Quale sarà la decisione di Taiwan Semiconductor? Accontenterà Trump, met-
tendo a rischio gran parte dei contratti con i propri clienti “nemici” degli Usa, rischiando anche di scontentare i propri azionisti, o invece farà il grande affronto all’amico americano rifiutando la sua offerta? Poi possiamo anche fare finta di nulla, festeggiando la firma sui dazi “fase1”, un accordo che si può sintetizzare in queste tre cifre: la Cina acquista beni americani per 197 miliardi di dollari, gli Usa le fanno uno sconto su 156 miliardi di dazi, restano immutati dazi su beni per 250 miliardi. Oppure possiamo pensare che la guerra dei dazi è il grande bluff, e che la guerra vera non è quella all’Iran, ma quella per la tecnologia dei semiconduttori che guiderà il 5G. febbraio 2020
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TALENT
LA COMPETIZIONE TRA UN “FAI DA TE”, UN CF E UN ROBOADVISOR
Sfida a tre sulle materie prime con scelte al massimo rischio
“U
na poltrona per tre” è una competizione tra tre portafogli realizzati da un “fai da te”, un consulente finanziario e un roboadvisor. Ha la durata di un anno e prevede la possibilità di rotazione del portafoglio, con un cambio di massimo due strumenti, al termine del primo semestre. Ogni mese partirà una nuova gara. Aggiornamenti e confronti L’aggiornamento sull’andamento di ciascuna di esse avrà cadenza semestrale. Tre concorrenti che non copiano La composizione dei portafogli è elaborata
LE SCELTE DEL “FAI DA TE”
di Giacomo Damian
in completa autonomia dai partecipanti al talent e oltre ad avere lo scopo della competizione vuole offrire spunti meramente informativi inerenti l’impiego di strumenti finanziari quotati sul mercato regolamentato italiano. Le informazioni e le analisi esposte pertanto non costituiscono sollecitazione al pubblico risparmio qualunque decisione di investimento e il relativo rischio rimane a carico dell’investitore. Investire non si assume alcuna responsabilità per l’eventuale utilizzo che il lettore potrà fare dei contenuti esposti.
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Il mondo delle materie prime, una selezione tra azioni, obbligazioni, fondi ed etf, tutti gli strumenti che permettono di investire in questo settore. Massimo rischio.
MIX DI ORO E TITOLI DI SOCIETÀ MINERARIE
ISIN L’opinione di Goldman Sachs è che nel 2020 il GB00B15KY328 prezzo dell’oro è destinato a salire ancora e con una JE00B1VS3770 velocità maggiore rispetto al petrolio, per diverse CA66987E2069 buone ragioni sia tecniche sia geopolitiche. E in effetti, sospinto dai venti di guerra che JE00B6TK3K31 hanno iniziato a spirare dal medio oriente a causa delle tensioni in Iran, l’oro ha visto GB00B15KY765 proprio in questo periodo le proprie quotazioni toccare i massimi dal 2013. In verità, i motivi US1921085049 che stanno spingendo la crescita della più preziosa tra le materie prime sono altri, più AU000000SAR9 sofisticati e al tempo stesso più efficaci, e ai più sconosciuti: la prima è che nel 2019 non sono state scoperte nuove miniere, quindi il timore che l’oro sia in fase di esaurimento sparge un senso di panico da accaparramento, la seconda è dettata dal calendario, tra la fine dell’anno e l’inizio dell’anno nuovo, c’è la tradizionale corsa agli acquisti dei cinesi in vista del Capodanno, una corsa se vogliamo dal sapore scaramantico, visto che il regalo in oro viene considerato come buon auspicio. Due giustificazioni che hanno un minimo comune denominatore e cioè che più si riduce l’offerta, più aumenta la domanda e di conseguenza il prezzo sale. Da moda, a tendenza sino a mania è un attimo. Sono molti gli investitori internazionali che improvvisamente si sono interessati all’oro, dal guru Byron Wien che segnala l’oro come un investimento interessante, fino al ministro delle finanze russo Siluanov che si dice pronto a diversificare parte dei fondi pensione proprio nel metallo giallo. Perciò per il profilo di questo mese, dedicato totalmente al mondo delle materie prime, seppure il settore sia ricco di prodotti,
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IL PROFILO DEL MATCH
FONDO
MIX
WISDOMETREE SILVER
20%
WISDOMETREE PHYSICAL GOLD
20%
NOVAGOLD RESOURCES (NG)
20%
WISDOMETREE COFFEE – EUR DAILY HEDGED
10%
WISDOMETREE WHEAT
10%
COEUR D’ALENE MINES (CDE)
10%
SARACEN MINERAL HOLDING (SAR)
10%
abbiamo deciso, per il portafoglio “fai da te” di focalizzarci in particolare all’oro, proprio perché lo consideriamo la possibile star di settore. Ma se l’Oro è il protagonista, l’argento non è da meno, da noi favorito per la sua ambivalenza, non solo come materia preziosa, ma anche per l’uso industriale che ne viene fatto e per il terzo e più importante motivo, mentre per l’oro l’esaurimento è più una fobia che una realtà, per l’argento sembra essere una certezza. Da anni non si scoprono più nuove miniere. Tra i prodotti scelti per il portafoglio, la quota di maggioranza è composta da Etf, per i motivi descritti sopra, oro e argento davanti a tutti, seguono caffè e grano, materie prime agricole che hanno ottime possibilità di rivalutazione dopo lunghi periodi di calo. Ho voluto cimentarmi nella scelta di singole società minerarie, anche qui la parte del leone la fa l’oro, merita attenzione Cdf un’ibrida per chi vuole diversificare, essendo una società con miniere sia d’oro che d’argento, un’ottima accoppiata per chi è indeciso.
INVESTIRE SPECIALIST
LE SCELTE DEL CONSULENTE FINANZIARIO CINQUE ETF SULLE COMMODITY ALLA RICERCA DI PERFORMANCE DENOMINAZIONE
ISIN
ISHARES DIVESIFIED COMMODITY SWA
PESO
DE000A0H0728
30%
IE00B579F325
30%
JP MORGAN GLOBAL NATURAL RESOURCES
LU0208853944
20%
WISDOMTREE PHYSICAL SILVER
JE00B1VS3333
10%
WISDOMTREE PHYSICAL PALLADIUM
JE00B1VS3002
10%
INVESCO PHYSICAL GOLD
Il portafoglio di Silvia Luchi Il portafoglio che propongo è incentrato sulle materie prime, un asset di tipo secondario che può essere utilizzato ad integrazione della tradizionale allocazione in bond e azioni, che non sempre riescono a contenere le forti oscillazioni che si presentano in contesti negativi di mercato. Inserire nei portafogli finanziari la componente delle commodity consente quindi di meglio posizionarsi all’interno della frontiera efficiente, limitando il down side risk di portafoglio durante fasi di stress di mercato, riducendone la volatilità e migliorando il rendimento complessivo. Nella selezione degli strumenti finanziari ho preferito gli Etf che consentono di replicare con precisione indici di commodity con costi di gestione contenuti. Poichè le materie prime, come detto, costituiscono un asset tipicamente difensivo in contesti di mercato avversi, ho messo alla prova il portafoglio in un anno particolarmente negativo per tutti gli asset finanziari come il 2018: in tale periodo il portafoglio avrebbe registrato una performance positiva pari al 2,27%. L’ idea di fondo nella composizione del portafoglio che propongo è quella di associare a una parte core, che rappresenti un’ampia selezione di materie prime, una parte satellite, nella quale siano sovrappesate alcune commodities che meglio possono performare in base all’attuale contesto di mercato.
A seguire porgo all’attenzione di tutti i lettori di Investire l’elenco e una sintetica descrizione degli strumenti finanziari selezionati: - IShares Divesified Commodity Swap: obiettivo del gestore è quello di replicare l’ andamento del Bloomberg Commodity Total Return Index, che include ciascun settore e tipologia di commodity: energia (petrolio Wti e Brent), metalli industriali (quali rame e alluminio), metalli preziosi (oro e argento), beni agricoli (mais e soia), bestiame. Peso 30%. - JP Morgan Global Natural Resources: il comparto investe, avvalendosi di una gestione attiva, in società che operano nel settore della produzione, estrazione e raffinazione di risorse naturali, quali principalmente gas, petrolio, metalli di base e metalli preziosi. Peso 20% - WisdomTree Physical Palladium: obiettivo dello strumento è quello di replicare il prezzo spot del palladio, metallo utilizzato principalmente in elettronica e come catalizzatore di emissioni inquinanti delle auto. Peso 10%. - Invesco Physical Gold: il fondo mira a replicare la performance del London Gold Market PM Fixing Price in dollari Usa. Poichè le prospettive per l’economia mondiale rimangono pressochè modeste e le controversie commerciali non del tutto risolte, l’oro come bene rifugio potrebbe continuare a essere in cima alle preferenze degli investitori. Inoltre l’attrativa dell’oro rimane forte in un contesto di tassi di interesse bassi o addirittura negativi. Peso 30%. - WisdomTree Physical Silver: strumento concepito per replicare l’andamento del prezzo spot dell’argento, metallo ampiamente utilizzato in numerosi campi dell’industria, dalla produzione di semiconduttori al fotovoltaico. Peso 10%.
LE SCELTE DEL ROBOT (elaborazioni di Investire sui dati Deus Technology) L’esempio più conosciuto è quello del film di Natale “Una poltrona per due” dove i fratelli Duke, sicuri delle informazioni riservate in possesso, scommettono tutto il patrimonio sul raccolto delle arance, e in un attimo, vedono quel patrimonio volatilizzarsi. Siccità, guerre, inondazioni, nuove scoperte, incendi, sono solo alcune delle innumerevoli variabili che possono far impennare o
affossare il prezzo di una materia prima e nessun investitore ne è immune. E’ capitato anche al re Jim Rogers, quando nel 2008, accecato dall’euforia sul petrolio lanciò una previsione di prezzo sull’oro nero fino a 300$, affermando che non avrebbe venduto finché nel centro di Berlino non sarebbero comparse le pale eoliche. Poche settimane e la bolla gli scoppiò in faccia.
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TALENT
Anche se per il profilo di questo mese abbiamo voluto dare intero spazio alle commodity, è importante sapere che in ogni portafoglio, soprattutto per quanto attiene i piccoli risparmiatori, questo settore deve avere, proprio per la sua natura altamente rischiosa, una piccola quota, soprattutto se la strategia è difensiva. Per quanto riguarda il portafoglio “roboadvisor” creato da Deus Tecnology, vediamo una preponderanza del settore azionario con il 50%, e la restante metà suddivisa tra obbligazionario, bilanciato e solo una minima presenza degli strumenti Etf, che nel caso delle materie prime cambiano denominazione in Etc, ed in particolare,
un prodotto dedicato al Palladio, un metallo che sta ricevendo più attenzioni anche dell’oro, in vista della rivoluzione energetica, in questo caso per l’uso nella creazione delle marmitte catalitiche. Per quanto riguarda la parte azionaria, curiosa, ma al tempo stesso molto interessante è la presenza di Intek, un titolo poco conosciuto dal grande pubblico, ma che in realtà rappresenta una gloria a Piazza Affari, una società che investe sul rame, materie prima che negli ultimi anni ha subito una fase calante, ma che in caso di forte ripresa economica potrebbe beneficiarne nel prezzo, a cascata sul titolo Intek, da tempo sottovalutato e trascurato dagli investitori.
TANTO AZIONARIO E POI UN MIX DI BOND, BILANCIATO ED ETC ISIN
NOME
13/09/2019
IT0004552367
Intek Group Risp.
17,21%
LU0312383663
Pictet Clean Energy I Acc EUR
19,36%
LU0568607625
Amundi CPR Global Gold Mines IU Acc EUR
13,43%
XS1881533563
Iren-1.95 Iren 25 EMTN-19/09/2025 CF EUR
15%
IE0004445015
Janus Henderson Balanced A Acc USD
12,83%
LU1093406772
AGIF Income And Growth I Dis EUR
12,17%
JE00B1VS3002
ETFS Metal Sec 2007 on Palladium Acc EUR
10%
L’ASSET MIX DEL MESE MACRO
PESO
AZIONARIO
50%
OBBLIGAZIONARIO BILANCIATI COMMODITY
15% 10% 10%
PESO
MICRO
32,79% 17,21% 15% 25% 10%
Fondi/ETF Azionari Azioni Obbligazionario Corporate Bilanciati Azionari ETC
The winner is... +8,90% ROBOADVISOR
+7,1%
CF FILIPPO VANNUCCI
(Deus Technology)
+7,86% “FAI DA TE” Giacomo Damian
LA CLASSIFICA È SEMESTRALE ED È RELATIVA ALLA GARA INIZIATA CON IL NUMERO DI GIUGNO DI INVESTIRE (PERIODO DELLA GARA DAL 31/05/2019 AL 17/01/2020)
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INVESTIRE SPECIALIST
Piazza Affari torna ai cancelli del paradiso P
IAZZA AFFARI: “il decennio perduto” questo probabilmente sarà il ricordo degli investitori del periodo che va dal 2009 al 2019 della Borsa di Milano. Perché se è vero che dai minimi del marzo 2009 la Borsa italiana ha fatto un esaltante +100%, è altrettanto vero che se confrontiamo il risultato con le performance delle altre Borse, l’umore immediatamente si capovolge e dall’esaltazione si passa allo scoramento. Tutto il mondo è salito, ma è salito molto di più, solo per fare un esempio, l’indice S&P500 (il faro dei mercati) dai minimi dello stesso periodo ha avuto un’impennata esuberante del 380%. Per Piazza Affari, in questo “decennio perduto” il grande recupero si è arenato per ben 3 volte sempre intorno alla quota di 24.500. Ogni volta c’è stata una scusa per respingere l’assalto, prima la crisi dei Pigs, poi la Cina e il petrolio e infine il “governo populista”, scuse vere o presunte che come un muro di gomma ci hanno rispedito al mittente della stagnazione finanziaria. Ma ora, sulla soglia di un nuovo decennio, la musica sembra cambiare. Qualche indizio sembra farci intravedere germogli verdi anche in Italia. Prima di tutto la finanza internazionale che non rema più contro: Pimco “sponsorizza” il nostro Btp definendolo ottimo per chi cerca rendimento, Citigroup promuove a overweight la nostra Borsa e quella svizzera (un binomio che ricorda molto la fine degli anni ’90, molto florida per noi), i tassi sono sempre a zero e a tutto questo si aggiunge la ritrovata benzina dei Pir. A zavorrare il nostro mercato in questi anni è stato soprattutto il settore bancario, ma anche a questo oggi è stata trovata una soluzione, infatti freschissima è arrivata la promozione di Goldman Sachs sui nostri principali istituti. Le banche italiane dovranno prima o poi affrontare il tema delle fusioni e questo solletica il rendimento. Piazza Affari ha ora tutte le carte in regola per fare il salto di qualità, dopo 10 anni di purgatorio, siamo di nuovo davanti ai cancelli del paradiso, oltre 24.500 si apriranno praterie e anche qui a Milano potremo vivere l’euforia, un sentimento che da troppi anni è stato dimenticato.
A
ZIMUT: Più 146% nel 2019, +296% nell’ultimo decennio, +1.030% dalla quotazione a oggi (dividendi compresi) e un rendimento annuo del 60%, questi sono solo alcuni, strepitosi, numeri di Azimut, il titolo che tra la fine del 2018 e l’inizio del 2019 era al primo posto nel rapporto settimanale della Consob, rapporto che segnala le maggiori posizioni al ribasso degli investitori professionisti. Qualcuno si è bruciato parecchio, non solo perché si è perso un favoloso rally, ma perché mettendosi contro, ha perso parecchi soldi. Azimut un anno fa viaggiava sotto i 10€, le borse erano in crisi per la minaccia tassi, e i Pir erano finiti nel limbo. Poi è arrivata la riscossa, le masse gestite sono aumentate vigorosamente, altrettanto gli utili con lo stacco di un dividendo
PIAZZA AFFARI
straordinario, Piazza Affari ha cambiato marcia e Azimut ha iniziato ad espandersi anche all’estero. Grande merito va a Pietro Giuliani, il gran capo, uomo che conosce bene il mercato, e questa qualità lo spinge a prendersi anche molti rischi. Seneca diceva che non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare, e Giuliani la sua meta la conosce molto bene, tanto da voler portare la sua creatura al miglior risultato della storia proprio in coincidenza del trentesimo compleanno del gruppo. Utile, masse gestite e dividendo saranno oltre ogni stima. Se Azimut fosse una squadra di calcio, sarebbe sicuramente la Danimarca degli anni ’80 quella di Elkjaer e Laudrup, li chiamavano “danish dynamite” per quanti goal segnavano, ma avevano un difetto, non riuscivano mai a vincere un trofeo. Due anni fa Giuliani disse che il titolo doveva valere almeno 50€. Oggi, rilanciando come sua abitudine, dichiara che l’obiettivo è 100€. Anche con la velocità di crociera del 2019 per raggiungere quella quota ci vorranno almeno 3 anni, a meno che, qualcuno da oltre confine si accorga della pentola d’oro e non inizi a farci un pensierino. L’euforia è la leva della speculazione.
F
ALCK: Trecentotrentacinque milioni di fatturato, 191 milioni di ebitda, 60 di utile e 480 dipendenti, ecco in sintesi il quadro del 2018 di una delle più belle aziende italiane. Un quadro che, visto l’andamento di borsa (+108% nel 2019) deve essere in ulteriore miglioramento. Falck è un’azienda simbolo del coraggio, non solo per la mutazione virtuosa di business, da inquinante (acciaio) a green energy (eolico, solare, stoccaggio batterie), ma anche perché è l’azienda che va ad investire dove il green non è il benvenuto. Prima negli Usa di Trump, e nonostante l’incognita Brexit, in Uk da Johnson. Ci sarebbe da spellarsi le mani, anche per l’andamento del titolo, che da anni è tra i nostri favoriti. E non è finita qui, perché ora l’emergenza climatica e il “green new deal” la metteranno nei radar anche dei grandi investitori. I massimi storici sono a 9€ e potrebbero essere un trampolino per nuovi slanci.
B
ANCA PROFILO: dice un antico detto di Borsa che se il risparmio gestito sale, allora vuol dire che il rialzo generale è sano e ha vita lunga. Un bel segnale visto che il risparmio gestito a Piazza Affari nel 2019 è stato tra i settori più comprati. Ma anche lo stormo dei cigni più belli ha qualche brutto anatroccolo, Banca Profilo è una di queste eccezioni. La creatura di Matteo Arpe continua a deludere, tanto che più di un investitore comincia a dubitare del tocco magico di quello che fu l’enfant prodige che fece il miracolo in Capitalia. Nel 2020 però la situazione può cambiare, sia per un effetto trascinamento, o anche più semplicemente per quel detto che grazie all’alta marea si sollevano tutte le barche. febbraio 2020
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COSMOPOLITICA Andrea Margelletti Presidente del Centro Studi Internazionali, docente presso la Facoltà di Scienze delle Investigazioni e della Sicurezza dell’Università di Perugia e Narni. Unico membro onorario delle Forze Speciali
IL CIELO È POCO AZZURRO SOPRA BERLINO
I
l 9 luglio del 2006, in un impeto di irrefrenabile felicità, Berlino, di rifiutare la tregua organizzata da Erdogan e Putin, il telecronista sportivo Fabio Caressa urlava ai milioni di un autentico non expedit pronunciato nelle stanze del Cremlino giubilanti italiani come il cielo sopra Berlino fosse azzur- (quasi) senza battere ciglio. In questo contesto appare doveroso ro, celebrando così la vittoria della Nazionale sugli odiati sottolineare come sia stata Parigi, più di tutti, a bloccare qual“cugini” francesi nella finale dei campionati del mondo siasi dichiarazione che esplicitasse le responsabilità di Haftar, di calcio. Quasi 14 anni dopo la capitale tedesca non ci porta spingendo per una generica condanna internazionale nei conaltrettanta fortuna in una partita internazionale ben più deli- fronti di entrambe le parti in conflitto e impedendo l’attuazione cata e strategica di quella di allora, dove al posto del CT Marcel- del tanto agognato meccanismo sanzionatorio. Quindi l’Eliseo, lo Lippi c’è il Premier Giuseppe Conte e dove bisognava capire in maniera piuttosto sfacciata, prosegue il suo doppio gioco con come marcare Erdogan, Putin e Macron anziché Henry, Zidane Tripoli e Tobruk con l’unico obbiettivo di raccogliere i dividendi e Ribery. Ovviamente si tratta della pace: i ricchi contratti della partita internazionale energetici e di sfruttamento sulla Libia e nella fattispecie delle terre rare possibilmendella Conferenza di Berlite senza competitori eurono dello scorso gennaio alla pei. La Libia come il Niger e il fine della quale il cielo sopra Mali, nei sogni francesi. il Reichstag non è assolutaDopo Berlino il futuro del mente azzurro, sia in senso marasma libico appare anitaliano che in senso europeo. cora più fosco, confusionario Infatti la conferenza sulla Lied aperto a qualsiasi evolubia più che la finale di Copzione. Lo scenario più propa del Mondo ha ricordato, babile è una prosecuzione ahimè per noi, la Conferenza “controllata” delle ostilità, in di Berlino del 1884, quella cui Haftar proseguirà lungo che legalizzò gli avampoil duplice binario dell’aggressti commerciali occidentali sione militare e della tessituin Africa e aprì la corsa alla IL GENERALE HAFTAR E GIUSEPPE CONTE ra di alleanze tripoline con gli spartizione del continente, scontenti di Serraj, sperando avviando quella che Lenin di continuare a erodere terchiamò l’era dell’imperialireno e consenso al governo smo. Infatti, sebbene la diplodell’ovest della Libia. mazia sia riuscita ad elaboraTuttavia non bisogna nepre un documento congiunto pure sottostimare la possiper accelerare la sinora dobilità di uno stallo prolunlorosa transizione libica alla gato trai due contendenti e, democrazia e alla pace, non è parallelamente, tra i gruppi stato inserito alcun meccanidi rispettivi sponsor esterni smo sanzionatorio in grado di punire chi non si adegua ai prin- che li sostengono. Un simile scenario, se sommato alla distrocipi sottoscritti. Proprio la mancanza di azioni internazionali fia dell’azione politica esterna dell’Ue, non può che favorire gli punitive, in grado di dissuadere uno dei contendenti a preferire ultimi due arrivati nell’arena libica, ossia la Turchia del Sultano la spada alla penna, è stata la tragica condizione che ha permes- Erdogan e la rediviva Russia dello Zar Putin che, sottotraccia, so al generale Haftar di rosicchiare legittimità internazionale a vorrebbero ottenere gli stessi risultati raggiunti in Siria. Un colpi di cannone e con il metodo tutto mafioso del ricatto ener- trionfo della geopolitica del “contropiede” a dispetto del “bel getico. Quindi, tra un’offensiva su Tripoli e una chiusura degli gioco” della diplomazia europea. Bello ma sterile. impianti petroliferi, l’uomo forte della Cirenaica scommette Su questo terreno fangoso, l’Italia sembra sempre più isolata e tutto sulla politica del fatto compiuto, ben consapevole delle con sempre meno opzioni per ribaltare l’azione. In sintesi, ridivisioni interne all’Europa, dell’indifferenza statunitense e del schiamo di trovarci presto esclusi dalla competizione che consupporto più o meno esplicito di Francia, Emirati Arabi Uniti e ta e relegati a kermesse minori. Sarebbe peggio della mancata Russia. Questa consapevolezza gli ha permesso, poco prima di qualificazione ai Mondiali di Russia del 2018.
Dopo la Conferenza nella capitale tedesca il futuro della Libia appare ancora più fosco, aperto a qualsiasi evoluzione
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THE POWER OF BEING UNDERSTOOD
In 2020 experience the power of being understood. Experience RSM.
www.rsm.global/italy MILANO | ROMA | TORINO | FIRENZE | BRESCIA | NAPOLI | AGRIGENTO
RSM Società di Revisione e Organizzazione Contabile S.p.A., RSM Studio Palea Lauri Gerla, RSM Italy Accounting S.r.l. and RSM Italy Corporate Finance S.r.l. are members of the RSM network and trade as RSM. RSM is the trading name used by the members of the RSM network. Each member of the RSM network is an independent accounting and consulting firm each of which practices in its own right. The RSM network is not itself a separate legal entity of any description in any jurisdiction. The network is administered by RSM International Limited, a company registered in England and Wales (company number 4040598) whose registered office is at 50 Cannon Street, London EC4N 6JJ. The brand and trademark RSM and other intellectual property rights used by members of the network are owned by RSM International Association, an association governed by article 60 et seq of the Civil Code of Switzerland whose seat is in Zug. Š RSM International Association, 2020
QUI PARIGI di Giuseppe Corsentino
ANNO NUOVO DEBITI (PUBBLICI) VECCHI: FRANCIA BATTE ITALIA
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a buona notizia per la Grecia e per l’Italia sono due curve che s’incontrano e si toccano. Non fanno la felicità dei graficisti ma quella di due ministri del Tesoro. Perché il primo collocamento del 2020 dei titoli di Stato di Atene, Buoni del Tesoro a dieci anni, è avvenuto al tasso dell’1,39%, appena un centile sotto l’analogo collocamento dello stesso titolo italiano, avvenuto all’1,40%. Il governo di centro-destra di Mitzotakis può festeggiare in un Paese in cui il debito pubblico è al 180% del Pil (ai tempi di Tsipras i tassi erano arrivati al 18%). Ma con i tassi a questi livelli, possono festeggiare tutti gli stati europei, Italia e Francia ANTHONY REQUIN in primis, cioè quelli con il welfare più generoso e i bilanci pubblici più a rischio fuori dai parametri (l’Italia, come si sa, ha un debito pari al 134% del Pil; la Francia ha appena toccato il 100%) che potranno continuare a indebitarsi sui mercati finanziari senza temere nell’immediato crisi di liquidità. Se si fanno le somme – come hanno fatto gli uffici studi parigini di Natixis e Societé Générale in un paper destinato all’Aft, l’Agence France Tresor (l’equivalente della nostra Direzione del debito pubblico) e che Investire ha potuto consultare – si arriva a cifre enormi: tutti insieme i Paesi dell’Eurozona nel corso del 2020 collocheranno sul mercato titoli per un ammontare complessivo di 890 miliardi di euro (stima Natixis) o di 920 miliardi (stima Societé Générale). Al primo posto, diciamo a pari “demerito”, Francia e Italia che chiederanno al mercato 245 miliardi di euro (ma è la Francia che si indebiterà di più rispetto al 2019: 245 miliardi – o 230 secondo le stime più prudenziali di Societé Générale – rispetto ai 205 di emissioni nette dell’anno scorso). Seguono, nella graduatoria dei debitori, la Germania con 164 miliardi di emissioni, solo due di più dell’anno scorso; la Spagna con 106 miliardi e poi, in ordine decrescente, Belgio (31 miliardi), Olanda (28 miliardi), Irlanda (19 miliardi), Austria (15 miliardi), Portogallo (13 miliardi) e infine la piccola Grecia che sta tornando sui mercati con uno spread inferiore a quello italiano (6 miliardi). Una cifra enorme ma che quasi sparisce di fronte al totale dei debiti che le economie di tutto il mondo (sommando settore pubblico e privato) hanno accumulato in questi anni. L’Institute of international finance, emanazione di trenta banche internazionali con sede a Washington, 94
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ha calcolato che questo debito globale è arrivato a 250mila miliardi di dollari, più o meno il 320% del Pil mondiale cioè di tutta la ricchezza prodotta dal pianeta in un anno. Come se ne possa uscire, ormai è materia taumaturgica più che economica e politica. Si sa solo che di questa montagna di debiti 115mila miliardi di dollari fanno capo agli Stati – soprattutto Cina e Stati Uniti - e che i titoli pubblici rappresentano ormai il 47% del mercato obbligazionario mondiale mentre la pressione dei Paesi emergenti continua, per evidenti ragioni, a salire (9.400 miliardi di dollari nel 2019 senza contare l’equity che tornerà interessante per gli investitori internazionali nel 2020). Insomma, al confronto, la vecchia Europa sembra “un bon éleve”, un bravo allievo come si dice qui, con i suoi 890 o 920 miliardi di euro di collocamenti previsti per il 2020. Avvantaggiata dai tassi bassi, spesso addirittura sotto lo zero come mai accaduto prima. La Francia è la più favorita. Spiega lo strategist di Natixis: «Parigi potrà collocare i titoli a scadenza 5 anni, che rappresentano un quarto del suo debito, a tassi negativi». Lo si era già visto a settembre quando l’Aft, l’agenzia del Tesoro, ha piazzato 10 miliardi di titoli (a 3,5 e 10 anni) a tassi compresi tra zero e 0,09% e la cosa ha sorpreso perfino il direttore generale di Aft, Anthony Requin, che al quotidiano economico Les Echos aveva confidato con candore un “Non ce l’aspettavamo”. A stupire tutti, monsieur Requin e gli economisti dell’agenzia, sono stati soprattutto il collocamento di 1,7 miliardi di Oat green a dieci anni (Obligations assimilables du Tresor che servono a finanziare gli investimenti ecologici dell’industria di Stato) al tasso di -0,36% e il collocamento di titoli a 30 anni allo 0,52% cioè 30 punti-base in meno rispetto a un’identica operazione fatta due mesi prima, a luglio 2019. Se le cose andranno avanti così anche nel 2020 la Francia potrà finanziare il suo debito a un tasso medio dello 0,21%, spiegano i tecnici del Tesoro. Per la verità, anche il tasso medio dei titoli di Stato italiani è sceso in questi ultimi mesi da 0,63% a 0,55% ma il nostro problema, come si sa, è l’instabilità del governo. Deve far riflettere questo particolare: i tassi a 10 anni sono cominciati a scendere dopo il 5 settembre, il giorno in cui Salvini ha messo in crisi il Conte 1. Ma il Conte 2, al momento, non ha fatto meglio della Grecia.
QUI NEW YORK
di Glauco Maggi
EFFETTO IMPEACHMENT? ECONOMIA E LISTINI USA VOLANO
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a scabrosa faccenda dell’impeachment a Donald Trump, approdata in Senato in gennaio, sta avendo un effetto negativo su Wall Street paragonabile a quello che avrà sul futuro dell’attuale inquilino della Casa Bianca: nullo. Non è il fatto che persino Nancy Pelosi, la speaker democratica della Camera artefice della trafila eccezionale (due casi in tutto il Novecento, Richard Nixon e Bill Clinton) sa che il processo non porterà alla cacciata del presidente anzitempo (non ci sono 20 senatori NANCY PELOSI del Gop disposti a tradire Donald), e che quindi nessuna inedita crisi istituzionale devastante si aprirà in primavera gettando nel marasma il Paese, e con esso la finanza che ama le certezze. Qualcuno potrebbe anzi pensare che è la prospettiva certa del fallimento dell’impeachment di un presidente amico del business come ce ne sono stati pochi, a fare del bene ai listini. Lasciando da parte trumpiani e anti trumpiani, come mostra il boom di posti di lavoro, di stipendi e di consumi, è l’economia ad andare proprio bene, a Main e a Wall Street insieme. Le stelle poi si sono allineate per farla brillare ancora di più. Nel giorno - 15 gennaio - in cui Nancy distribuiva agli amici Democratici penne commemorative uguali a quella usata da lei per la sua storica firma in calce al documento di trasferimento al Senato dei due ‘articoli di impeachment’ (per abuso di potere e ostruzione del Congresso), alla Casa Bianca Trump firmava con il vicepremier cinese Liu He l’accordo che chiudeva la Fase Uno della trattativa commerciale tra i due colossi, dopo i due anni della ‘guerra delle tariffe’ scatenata dal presidente Usa. In soldoni ciò significa che Pechino si impegna a comprare merci e servizi americani per oltre 200 miliardi in dollari in due anni, a permettere a ditte finanziarie Usa di operare nel mercato più popoloso al mondo con la libertà che non c’era mai stata, ad accettare da parte cinese regole punitive concrete in caso di non ottemperanza. Le tariffe americane non spariscono ma si dimezzano al 7,5% per 120 miliardi di beni cinesi, perchè Trump vuole avere ancora una leva tangibile per strappare concessioni “liberiste” nella Fase Due che si aprirà a breve. Sono previsti con-
fronti bilaterali semestrali con l’obiettivo di ridurre lo squilibrio nella concorrenza dovuto al dominante peso dello Stato comunista nell’economia “privata” cinese. Altra “stella”, sempre in gennaio, è stata l’approvazione del Congresso del nuovo patto con Messico e Canada, l’Usmca, che sostituisce la Nafta: era un altro obiettivo della campagna elettorale di Trump, realizzato. Queste vittorie-simbolo con gli altri governi porteranno presumibilmente un dividendo politico a Trump che può sventolare il suo motto “America First”. Ma avendo sostanza economica in termini di promozione di affari, in tutti i settori dall’agricoltura alle manifattura all’high tech, questi successi sono pure una iniezione di fiducia per investitori e consumatori. Il Pil Usa avrà un rimbalzo. E dal clima pro business maturano i record dopo record degli indici di borsa, con il Dow Jones che ha tagliato l’ennesimo traguardo psicologico, 29 mila punti. Una bella spinta a Dow, S&P500 e Nasdaq l’hanno data a metà mese le banche con gli annunci dei loro profitti. La J.P. Morgan Chase, la maggiore nel Paese, ha riportato l’anno più profittevole della sua storia, grazie alla crescita del 21% degli utili nel quarto trimestre, trainati dal balzo del 31% nel fatturato. Anche i profitti di Citigroup sono saliti notevolmente, del 15%, con il +31% delle entrate da trading e il + 33% nelle operazioni di Ipo. E la Morgan Stanley ha superato le aspettative degli analisti di FactSet per il quarto trimestre, realizzando 9 miliardi di dollari di profitti su 41,4 di fatturato nel 2019: l’indice di profittabilità è cresciuto del 12,9% nell’anno, e il ceo James Gorman ha alzato l’obiettivo tra il 13% e il 15% entro il 2021. Il settore bancario Usa si sta insomma curando con successo dai “malanni” della Grande Recessione: c’è un approccio meno speculativo, mentre è maggiore la propensione ad attività di asset management, di consulenza e di servizi. E i tagli fiscali di Trump alle corporation hanno aiutato. L’indice del settore Kbw Bank (del Nasdaq), che contiene un paniere di banche nazionali e regionali, è così salito dai 94 punti del 2019 agli attuali 110 (+17%). L’Etf Financial Select Sector SPDR, allargato alle imprese finanziarie, è balzato del 32,1% l’anno passato, e vanta il +12,2% annualizzato nell’ultimo decennio. febbraio 2020
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5MILA KM IN AUTO ELETTRICA. SULLA STRADA ENEL X IN CILE
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ltre 5 mila chilometri dal nord ne dell’iniziativa dal ministro dell’Energia, al sud del Cile percorribili con Juan Carlos Jobet. L’investimento iniziale un’auto elettrica, grazie a 1800 sarà di 15 milioni di dollari. La rete avrà punti di ricarica per veicoli elettrici e punti di ricarica ogni 60 km circa nelle ibridi. È l’Electroruta Enel X, la prima au- autostrade, e un’ampia offerta nelle printostrada elettrica nazionale che unisce cipali città. «Tenendo conto che la mobilità il paese dalla regione settentrionale di elettrica è un impegno strategico del paeArica fino a Punta Arenas, sullo stretto di se, abbiamo deciso di essere protagonisti Magellano, presentata dalla controllata di di questa sfida e abbiamo invitato diverse Enel dedicata ai servizi innovativi legati istituzioni e aziende a stringere un accorall’energia. Secondo Enel si tratta del pro- do che ci permetta di lavorare insieme per la decarbonizzazione getto di elettromoL’ELECTRORUTA ENEL X del trasporto e la debilità più ambizioso ATTRAVERSA IL PAESE DA NORD contaminazione delle dell’America Latina. città», ha affermato «Stiamo avanzando A SUD, CON 1800 PUNTI DI verso una matrice di RICARICA PER VEICOLI ELETTRICI l’amministratore di generazione più puEnel X Cile, Karla Zalita e sostenibile e verso un uso quotidiano pata. Si prevede che in Cile entro il 2024 sempre maggiore e sempre più efficiente circoleranno più di 80 mila veicoli elettrici: dell’energia elettrica», ha dichiarato l’am- l’autostrada elettrica di Enel X sarà in graministratore delegato di Enel Cile, Paolo do di soddisfare oltre il 50% del fabbisoPallotti, accompagnato nella presentazio- gno di infrastruttura di questo parco auto.
L’operazione era già iniziata nel 2019 con l’installazione di punti di ricarica nella regione della capitale Santiago e in alcune delle principali città come Concepcion, Temuco e Chillan. Il piano di Enel X offrirà varie soluzioni adatte alle necessità dei diversi clienti, con stazioni di rispettivamente da 22, 50, e 350 kW.
FRANCIA, SOLO 5 MILIARDI ALLE STARTUP. PECCATO CHE NOI SIAMO FERMI A MENO DI 700 MILIONI Cinque miliardi di euro, il 40% in più dell’anno precedente, con 736 operazioni di cui 16 oltre i 50 milioni, il doppio del 2018. È la raccolta delle startup francesi nel 2019, in crescita ma pur sempre inferiore rispetto a quella della Germania (6,09 miliardi di euro) e del Regno Unito (11,4 miliardi di euro). I dati della società di consulenza Ernst & Young, riportati dal quotidiano “Les Echos”, vengono quindi considerati positivi, ma non esaltanti. Cosa dovremmo dire noi? Secondo l’Osservatorio Startup Hi-
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tech promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano infatti nel corso del 2019 le startup hi-tech italiane hanno raccolto finanziamenti per 694 milioni di euro, 100 milioni in più rispetto al 2018, ma con una crescita più contenuta rispetto a quella dell’anno scorso, quando il capitale era quasi raddoppiato nell’arco di dodici mesi. E soprattutto siamo sempre più distanti dalla concorrenza: non ci resta che augurare buon viaggio alle startup italiane più promettenti.
IL GIRO DEL MONDO IN 30 GIORNI
LA GERMANIA NON SA COME SPENDERE L’AVANZO DI BILANCIO
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ome spendere l’avanzo di bilancio da 13,5 miliardi di euro registrato nel 2019, al massimo storico? Ogni Paese ha i suoi problemi, i tedeschi hanno questo, che ha provocato un intenso dibattito nella Grande coalizione. Cdu e Csu intendono utilizzare il surplus per tagliare
NIGERIA, TRATTATIVA SUL PRESTITO
Le autorità della Nigeria incontreranno i finanziatori che hanno concesso al Paese un prestito di 850 miliardi di naira, circa 2,8 miliardi di dollari. I fondi saranno concessi sotto forma di prestiti esterni, e saranno integrati nel bilancio 2020. La Nigeria ha chiesto un prestito per finanziare la crescita economica del Paese, dopo la recessione in cui è caduta nel 2016. Il governo sta ora cercando di aumentare le entrate attraverso aumenti delle imposte sul valore aggiunto, ma anche il costo del debito è in aumento. La Nigeria ha previsto per il 2020 una spesa pari a 34,6 miliardi di dollari, il che presuppone un deficit dell’1,52% del prodotto interno lordo, che andrà finanziato attraverso prestiti interni ed esteri. L’ufficio del debito ha dichiarato che la Nigeria ha un rapporto debito/Pil del 18,47 per cento, inferiore al limite del 25%. Tuttavia la Nigeria, prima economia del continente, spende più della metà delle sue entrate nel servizio del debito. Recentemente l’Eni e i suoi partner in Nigeria Lng hanno preso la decisione finale di investimento per il progetto di espansione dell’impianto di gas naturale liquefatto, che si prevede operativo nel 2024.
le tasse, mentre la SpD propone di impiegarlo per ridurre il deficit dei comuni a più alto debito e per investimenti a lungo termine nelle infrastrutture municipali. «L’avanzo deve affluire nelle casse dei comuni più deboli dal punto di vista finanziario, nella buona istruzione, nella digitalizzazione e in ambiziose misure per la protezione del clima», ha affermato il segretario generale della SpD, Lars Klingbeil. Ma il presidente della Csu, Markus Soeder, ha invece proposto di utilizzare il surplus del bilancio federale per la riduzione del prezzo dell’energia elettrica, da cui trarranno
LA GRANDE COALIZIONE SI DIVIDE SUL TEMA. CDU-CSU VOGLIONO TAGLIARE LE TASSE, L’SPD AIUTARE I COMUNI IN DIFFICOLTÀ
beneficio «sia le imprese sia i cittadini». Il ministro dell’Economia e dell’Energia, Peter Altmaier della Cdu, ha invece ribadito l’intenzione di ridurre l’imposta sulle imprese e abolire il contributo di solidarietà, un’aliquota del 5,5% sulla tassa sul reddito introdotta nel ‘91 e impiegata in gran parte per coprire i costi della riunificazione. febbraio 2020
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GOLDMAN SACHS, LO SCANDALO DEL FONDO MALESE 1MDB COSTA DUE MILIARDI DI DOLLARI
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e autorità di regolamentazione degli Stati Uniti sostengono che Goldman Sachs, per incassare le commissioni relative a operazioni di emissione obbligazionaria, abbia trascurato i segnali di corruzione nel fondo sovrano malese 1Mdb e la condotta illegale di alcuni suoi dipendenti. Per questo, secondo quanto riportato dal “Wall Street Journal”, Goldman Sachs ha stanziato altri 1,1 miliardi di dollari alla fine dell’anno scorso per pagare l’accordo previsto con le autorità. Le sanzioni comminate alla banca per il suo ruolo nello scandalo di malversazione hanno
eroso circa il 13% degli utili della banca nel 2019, provocando un forte calo dei profitti. Goldman Sachs sta negoziando per pagare
1000 MLD PER IL GREEN DEAL? NON CI SONO
al dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti una multa di circa 2 miliardi di dollari e dichiararsi colpevole di violazione delle leggi antifrode. Jho Low, finanziere malese di 38 anni, è accusato di aver sottratto da 1Mdb diversi miliardi di dollari, spesi in proprietà di lusso, opere d’arte, persino per finanziare il film nominato all’Oscar Il lupo di Wall Street, proprio una storia di eccessi finanziari. Le riserve destinate alle spese legali hanno spinto il rendimento del capitale azionario di Goldman Sachs, una misura attentamente monitorata del valore per gli azionisti, al 10% nel 2019, il peggiore tra i risultati finanziari finora divulgati dalle grandi banche d’investimento. L’utile annuale è calato dell’1%.
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n assegno scoperto. Così il quotidiano tedesco “Handelsblatt” definisce il piano per investimenti da mille miliardi di euro entro il 2030 con cui la Commissione europea intende finanziare il Green new deal lanciato dal presidente Ursula von der Leyen (nella foto). Gli Stati membri dell’Ue infatti, difficilmente aumenteranno i propri contributi al bilancio europeo, necessari al finanziamento, e il relativo piano per gli investimenti. Per Sven Gielgold, capo della delegazione dei Verdi tedeschi al Parlamento europeo, «la Commissione europea non ha i fondi, ma non osa dirlo apertamente, parla di mille miliardi di euro e dispone soltanto di 7,5 miliardi»: una differenza abissale. Per von der Leyen entro il 2050 il continente dovrà essere neutro dal punto di vista climatico; i costi dell’operazione sono molto elevati. Un’operazione legata anche al desiderio di creare una nuova politica industriale europea federale. La Commissione intende riallocare circa metà dei fondi strutturali e sociali nei propri piani per l’ambiente e la transizione energetica. In questa sfida, svolgerà un ruolo essenziale anche la Banca europea per gli investimenti, che aumenterà la spesa in progetti per il clima dal 30 al 50% del proprio volume di finanziamento totale. Secondo la Commissione europea, tra la riallocazione dei fondi strutturali e sociali e l’incremento della spesa da parte della Bei, la politica climatica dell’Ue otterrà risorse tra gli 1,5 e gli 1,7 mila miliardi di euro. Previsioni che sollevano più di una perplessità. 98
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ALBANIA, PROGETTO PER LA PARITÀ DI GENERE
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n accordo a sostegno di un programma per la parità di genere in Albania, e l’accesso delle donne all’economia. L’ha firmato il ministro delle Finanze e dell’Economia, Anila Denaj, con la Banca mondiale. «Con questo accordo intendiamo intensificare il processo decisionale e gli strumenti per consentire l’accesso delle donne al mercato del lavoro e ai mercati finanziari quale forza molto importante per sviluppare l’economia, sviluppare l’imprenditoria e aumentare il Pil nazionale pro capite», ha detto il ministro Denaj dopo aver firmato l’accordo. La Banca mondiale stima che l’Albania perda annualmente il 20% del suo Pil pro capite, a causa del basso tasso di partecipazione della forza di lavoro femminile e di una marcata presenza delle donne nei settori non retribuiti, e del divario salariale medio tra donne e uomini in posizioni simili. L’accordo da circa 8 milioni di euro dovrebbe mobilitarne circa altri 50 di finanziamenti dall’Agenzia francese per lo sviluppo. «Questa disuguaglianza nel mercato del lavoro è stata ereditata, ed è un fenomeno presente in molti Paesi» ha tenuto a sottolineare il ministro albanese.
IL GIRO DEL MONDO IN 30 GIORNI
IL COMMISSARIO UE AGLI USA: DECIDIAMO NOI
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on siamo un’estensione degli Stati Uniti d’America nell’Unione europea. Siamo l’Unione europea e saranno i nostri Stati membri a stabilire quali debbano essere le nostre politiche, si tratti di commercio, sicurezza o altre aree». Lo ha affermato il nuovo commissario per il Commercio dell’Unione europea, l’irlandese Phil Hogan (nella foto) durante un intervento presso il think tank Center for Strategic and International Studies di Washington, nel corso di una visita negli Usa. Hogan ha così difeso con decisione la gestione delle relazioni con l’Iran da parte dell’Unione europea, in risposta a indiscrezioni di stampa secondo cui Washington avrebbe minacciato dazi del 25% sulle auto europee per spingere Germania, Francia e Regno Unito ad accusare formalmente Teheran di aver violato l’accordo sul nucleare del 2015: iniziativa che i tre Paesi europei hanno effettivamente intrapreso il 14 gennaio scorso. Il commissario europeo ha lamentato che è difficile difendere le politiche di apertura commerciale dell’Unione «quando le aziende europee rischiano di essere colpite da tariffe e restrizioni ingiustificate senza alcun preavviso». Il sanguigno Hogan ha anche affermato che il presidente degli Stati Uniti Donald Trump «continua a lamentarsi solo perché vuole accrescere la sua popolarità in vista delle elezioni. È ossessionato dal voler ridurre il deficit commerciale, ma sta pensando solamente alle elezioni di novembre». Il commissario si è detto detto comunque fiducioso sul raggiungimento di un accordo tra Unione europea e Usa per riportare le relazioni commerciali a ottimi livelli.
BANCHE TEDESCHE, I TASSI SONO NEGATIVI
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econdo un’analisi condotta dal portale per i consumatori “Biallo.de” su circa 1.300 istituti di credito tedeschi, sempre più banche e casse di risparmio applicano tassi di interesse negativi. Secondo la “Sueddeutsche Zeitung”, nel frattempo 186 istituti di credito accumulano capitali per il mantenimento dei bilanci. Il numero di banche che insistono su una cosiddetta tassa di custodia è quasi raddoppiato da luglio 2019. La maggior parte dei tassi negativi è applicata ai clienti commerciali, e le banche spesso concludono accordi individuali per assicurarsi legalmente. Nella maggior parte dei casi gli interessi negativi sono addebitati su conti correnti o di deposito libero a partire da 100 mila euro. «Osserviamo una tendenza generale secondo cui gli istituti finanziari vogliono scoraggiare i nuovi clienti che intendono depositare elevati livelli di liquidità», si legge nello studio di “Biallo.de”. Inoltre, afferma l’analisi, «potrebbe anche accadere che gli interessi negativi vengano applicati a conti correnti con saldi di 20 mila o 50 mila euro». Nella maggior parte dei casi, il tasso di interesse negativo sui depositi è dello 0,5%, equivalente a quello applicato dalla Banca centrale europea.
FCA SI ALLEA CON LA TAIWANESE FOXCONN PER SVILUPPARE L’AUTO ELETTRICA E CONNESSA
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iat Chrysler e il gruppo taiwanese Hon Hai, proprietario di Foxconn, intendono istituire una joint venture per la produzione di veicoli elettrici e lo sviluppo di tecnologie per l’interconnessione wireless tra autovetture. Lo ha annunciato la società taiwanese. Hon Hai ha spiegato che deterrà la sua quota del 50% sia direttamente che indirettamente; la sua partecipazione diretta non supererà il 40%, un 10% in mano a società controllate. La joint venture produrrà veicoli per il mercato cinese, ma molti dettagli dell’accordo devono ancora essere elaborati; l’accordo finale verrà probabilmente presentato nei prossimi mesi. Foxconn ha investito molto in imprese legate all’inno-
vazione nei trasporti, tra cui Didi Chuxing, il colosso cinese dei servizi di guida, e le startup cinesi di veicoli elettrici Byton e Xpeng, oltre che nel gruppo cinese attivo nel comparto batterie Catl, e in una varietà di altre start-up tecnologiche per il trasporto principalmente cinesi. «Con questa
operazione sarà possibile combinare il potenziale innovativo delle due parti nella ricerca, nello sviluppo e nella produzione dei veicoli elettrici. Il piano iniziale è di produrre in Cina per il mercato locale, con la possibilità di esportare in futuro» si legge in una nota di Hon Hai. L’operazione verrà gestita principalmente dalle controllate del gruppo FitT Hon Teng, che fa componenti per auto, e Fih Mobile, che si occupa dell’assemblaggio di smartphone Android. Nel progetto Fih Mobile fornirà le soluzioni software per le auto elettriche. Secondo Nikkei Asian Review, Fih Mobile ha rallentato la sua attività nel settore smartphone, proprio per concentrare maggiori risorse nel comparto automotive.
Il giro del mondo in 30 giorni è a cura di Riccardo Venturi febbraio 2020
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IMMOBILIARE
I CONSIGLI DI DUE AVVOCATI SPECIALIZZATI
Si può pagare a rate il prezzo dell’immobile acquistato all’asta? di Giuseppe D’Orta
È
opinione diffusa che il prezzo di aggiudicazione in asta di un immobile debba pagarsi versando subito l’intera somma tramite assegno circolare intestato alla procedura, e che chi non ne disponesse debba fare ricorso ad un un mutuo. Sono in pochi a sapere che è invece prevista anche la rateizzazione fino a 12 mesi. Vediamo come funziona quest’ultima forma con gli esperti di esecuzioni, avvocati Emma Iocca e Raffaella Chiappetta dell’omonimo studio legale, i quali avvisano da subito che la rateizzazione prevede l’autorizzazione da parte del Giudice dell’Esecuzione.
In quale momento il giudice autorizza a pagare a rate? A norma dell’articolo 569 del codice di procedura civile il giudice può consentirlo, motivando adeguatamente le ragioni, dopo l’udienza di comparizione delle parti, nel disporre con ordinanza la vendita dell’immobile pignorato. Sebbene la lettura della norma faccia pensare che la rateizzazione sia rimessa al giudizio di convenienza del giudice e che non sia subordinata alla richiesta dell’investitore, riteniamo che il giudice possa accordarla anche in un momento successivo e in assenza di un’espressa previsione nell’ordinanza di vendita. Per essere più chiari, l’offerente può fare richiesta al momento della presentazione dell’offerta avendo cura di documentare l’esistenza di adeguati presupposti quali per esempio il godimento di rendite periodiche che gli consentirebbero di onorare le scadenze delle rate pattuite, e il giudice può autorizzare la rateazione, nel caso in cui il richiedente risultasse vincitore della gara, solo al momento dell’emissione del decreto di aggiudicazione. Come ovvio chi fosse intenzionato a richiedere il pagamento rateale deve mettere conto il mancato accoglimento e presentare quindi l’offerta solo se in grado di disporre dell’intera somma. In caso di diniego da parte del giudice e di mancato versamento dell’intero prezzo di aggiudicazione nel termine
indicato nell’ordinanza infatti si viene dichiarati inadempienti. A proposito di mancato pagamento rateale, se l’aggiudicatario autorizzato non dovesse essere in grado di farvi fronte, andrebbe incontro alla perdita della cauzione (articolo 587 c.p.c., n.d.r.) e all’ulteriore eventuale pagamento a titolo di responsabilità (articolo 177 disp. att. c.p.c., n.d.r.)? In realtà le conseguenze dell’inadempienza dell’aggiudicatario in questo caso sarebbero maggiori, considerato che verrebbe disposto pure l’incameramento delle rate già versate. Non c’è il rischio che, dopo aver versato la cauzione, l’aggiudicatario entri in possesso dell’immobile senza pagare neppure una rata e rimanerci dentro per chissà quanto tempo? Questo rischio è minimo perchè l’offerente che, oltre al pagamento a rate, volesse ottenere anche l’immissione nel possesso dell’immobile, dovrebbe prestare un’adeguata quanto costosa fideiussione per un importo non inferiore al 30% del prezzo di vendita, rilasciata da operatori professionali a favore della procedura esecutiva a garanzia del rilascio dell’immobile entro 30 giorni e del risarcimento degli eventuali danni arrecati. È utile inoltre precisare che, con o senza fideiussione, l’aggiudicatario autorizzato a pagare a rate diventa proprietario dell’immobile e matura il diritto ad ottenere il decreto di trasferimento solo dopo il pagamento dell’ultima rata. A conti fatti le rate sono più impegnative per l’offerente. E ai creditori quanto conviene? È un modo per facilitare gli offerenti che non hanno immediata disposizione dell’intera somma ma che possono in qualche modo evitare di far ricorso a un finanziamento e di conseguenza è una possibilità in più per vendere gli immobili in quei tribunali dove non c’è molta affluenza. In presenza di tanti partecipanti infatti è difficile ipotizzare che un’offerta con richiesta di pagamento a rate possa essere preferita a un’altra di pari importo con pagamento in un’unica soluzione. febbraio 2020
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FASHION SOCIETÀ & TENDENZE
Maschi, siete avvisati: l’alta moda concederà meno al vostro immaginario di Fabiana Giacomotti
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er una di quelle ragioni insondabili che fanno dei creativi esseri dotati di sensibilità unica e i direttori creativi dei collettori privilegiati di questa attitudine, il barometro della moda sembra essersi spostato collettivamente sulla riflessione attorno al ruolo sociale del maschile e del femminile. Chi sono io, chi sei tu, quali comportamenti ci si aspetta da noi o, come si direbbe in inglese che è una lingua meno schematica di quanto si pensi, “che ruolo siamo stati costretti a interpretare”, which role are you expected to play, da quando eri bambino. E soprattutto, come queste costrizioni, che hai interiorizzato fin dalla più tenera età, continuino a influenzare la tua vita. Nel giro di una settimana, tra la chiusura delle collezioni uomo di Milano e la haute couture di Parigi, abbiamo assistito a un deciso cambio di passo rispetto alla riflessione sul “genere” avviata dalla sfilata uomo di Gucci di gennaio 2015 che, pur diventata mainstream, si sta perdendo nelle rivendicazioni di gruppi specifici, spesso dunque osteggiate dalla maggioranza, senza contribuire in nulla in quello che sempre gli inglesi definirebbero “the beef”, cioè il conquibus, le posizioni lavorative, il quattrino. Va bene parlare dei diritti Lgbt, ma where’s the beef, dov’è la ciccia quando, a oltre un secolo di distanza dalle prime proteste delle operaie, nel mondo le differenze salariali tra uomo e donna sono ancora e in media del 30 per cento, ma toccano il 60 in posizioni apicali? La moda, quella ricca a potente delle grandi multinazionali, Lvmh e Kering, sembra essere dunque diventata il volano ideale per trasferire messaggi sociali a un pubblico ben più vasto di quello che assiste a una sfilata, e cioè quello 102
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NEL CONFRONTO TRA LA MODA DONNA E QUELLA MASCHILE DELLE COLLEZIONI DEL NUOVO DECENNIO, SONO LE DONNE, CERTAMENTE, A VOLERSI PIÙ STRUTTURATE E PIÙ SEMPLICI
Sopra un allestimento della sfilata di Maria Grazia Chiuri realizzato in collaborazione con Judy Chicago (© Kristen Pelou). A sinistra la Collezione Couture P/E 2020 di Antonio Grimaldi. Nella pagina accanto key looks dello show HC SS (© DIOR)
che legge quotidiani e riviste, pur limitato ed elitario, e quello che scrolla insistentemente gli account Instagram dei propri beniamini, e che è invece illimitato e mondiale. Dunque il direttore creativo di Gucci Alessandro Michele riflette sulla prima infanzia invitando la platea a «una diserzione da schemi e uniformi patriarcali» e suggerendo un cambio di passo, anzi di sensibilità agli uomini, invitandoli «a dialogare con la loro parte femminile»; da Dior, invece, Maria Grazia Chiuri rielabora in passerella il concetto a lei molto caro delle
FASHION dee e delle donne forti della mitologia greca e romana allestendo l’immenso spazio immaginato dall’ artista femminista Judy Chicago in forma di vagina con arazzi e stendardi ricamati in India, dove questa tecnica artigianale è riservata agli uomini come lo era nella Sicilia araba, mille anni fa, e dove la maison del gruppo sostiene una scuola. Testi e pensieri riprendono epigrammi e aforismi della stessa artista (“e se le donne governassero il mondo?” “gli uomini e le donne saranno uguali?” “le donne anziane saranno venerate?”) e volti stilizzati di uomini e di donne, in un progetto che sognava di poter sviluppare dagli anni Settanta e che è rimasto aperto al pubblico fino a fine gennaio. Segnatamente, nel museo dedicato all’artista a cui molti non sanno perdonare la crudeltà con cui trattò l’amante e collega Camille Claudel, una donna che possedeva il suo stesso talento, e di sicuro una sensibilità superiore alla sua. «Il vero problema è che noi, in quanto donne, non ci sentiamo autorizzate a sognare», dice Chiuri: «Io stessa, quando ho iniziato questo lavoro, non ho mai pensato che avrei potuto accedere a questo ruolo. Da dove viene questo blocco?». Segnatevi questo sostantivo, sensibilità: ne sentiremo parlare ancora a lungo, ma vediamo già da adesso i risultati della sua mancanza, anche nell’ambito di espressioni popolari dello spettacolo come il Festival di Sanremo. L’infelicissima osservazione di Amadeus sulle sue co-conduttrici, definite tutte unicamente come “belle donne” e da cui è molto probabilmente dipeso il ritiro all’ultimo minuto della più bella e della più potente, Monica Bellucci, è infatti in parte il risultato della scarsa cultura del conduttore - aver compiuto studi regolari aiuta a possedere un lessico e un immaginario più ricchi e un’apertura mentale diversa da quelle di cui ha dato prova – ma in parte anche il prodotto di un’entourage e di un sistema che, in alcune parti del mondo di cui sfortunatamente l’Italia fa parte, spingono per una visione retrograda e patriarcale della donna. La haute couture e gli splendidi abiti di Maria Grazia Chiuri, quelle complesse costruzioni in tripolina di fili metallici dorati che si scuriranno naturalmente col tempo, simbologia visiva del tempo che cambia l’aspetto delle cose e degli uomini (e non necessariamente in peggio) non rappresentano certo un’opzione di stile e di guardaroba per tutti. Il messaggio a cui alludono, però, sì, così come le camicie ampie e sognanti, i volumi definiti eppure morbidi che Pierpaolo
Piccioli ha immaginato per l’uomo di Valentino. Nel confronto fra la moda donna e quella maschile delle ultimissime collezioni, quelle del nuovo decennio, sono le donne, certamente, a volersi più strutturate e anche più semplici. Meno tacchi, meno trucco (da Giorgio Armani Privé proprio zero), in generale meno concessioni all’immaginario maschile, o per meglio dire alla “man made woman” a cui Carina Chocano, contributing editor del New York Times, ha dedicato un paio di anni fa un saggio illuminante, “You play the girl”. Come sosteneva Emanuele Severino, il filosofo scomparso poche settimane fa, e come molti altri pensatori, Baruch Spinoza in testa, tutte le esistenze sono. Ed essendolo, non possono essere a disposizione, cioè violate, oppresse, negate. Il clima sta cambiando, e molto più velocemente di quanto avremmo ritenuto possibile: lascia, non troppo volontariamente, il direttore generale della BBC, Tony Hall, dopo sette anni contrassegnati dagli scandali e da una clamorosa serie di cause per un forte gender-gap nella retribuzione di giornalisti e conduttori. Le differenze salariali, in cui l’Italia viaggia su una media del 5 per cento ufficiale, ma non sulle posizioni di vertice dove risulta più elevato, sarà il nuovo banco di prova delle aziende. Chi aveva già capito come fosse possibile uscirne, quale fosse il primo passo da compiere, era un raffinato reverendo inglese, forse amante delle bambine, di sicuro molte affezionato a una di loro, Alice Liddell. Quando Charles Dodgson, Lewis Carroll, la fa parlare con la finta tartaruga e con il grifone, le sta spiegando che non c’è niente di male a essere diversi dagli altri, che si può crescere anche senza uniformarsi a quanto gli altri si aspettano da noi. E quando la fa ribellare alla regina e alle sue surreali regole (“siete solo un mazzetto di carte”), le fa capire che per cambiare le cose, talvolta, basta cambiare prospettiva. A cadere nel buco del coniglio dove il mondo è alla rovescia si inizia molto presto, ma ci si può sempre svegliare. Non abbiamo ancora capito perché un giorno, alla magnifica mostra che Walt Disney organizzò a Parigi una decina di anni fa, una mamma strattonò la sua bambina davanti allo schermo dove si proiettava Alice nel paese delle meraviglie. Non abbiamo mai dimenticato che cosa le disse: “Vieni via, è pieno di cattivi pensieri”. febbraio 2020
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IL DENARO DEI VIP PARLA ALESSANDRO MORELLI
La prudenza del pivot di Salvini «No ai rischi, delego mia moglie» di Monica Setta
È
considerato l’uomo forte della Lega di Matteo Salvini. È lui, Alessandro Morelli, presidente della commissione trasporti della Camera, lo snodo strategico dei leghisti in Rai. Potente, forse potentissimo, Morelli è un giovane dal carattere schietto che si trincera dietro una proverbiale riservatezza. Alessandro, dicono gli amici, vive per la politica e per la sua famiglia. Ha due figli maschi, una moglie che adora e una terza bambina che nascerà a marzo.
«IL MIO RAPPORTO COL DENARO È SEMPRE STATO COLPEVOLMENTE DISTACCATO: CI PENSA MIA MOGLIE A FAR QUADRARE I CONTI. MI CONSIDERO PIÙ FORMICA CHE CICALA CON TRE FIGLI E POCO TEMPO PER ME»
Onorevole Morelli che rapporto ha con i soldi? Il mio rapporto col denaro è sempre stato colpevolmente distaccato. Ci pensa mia moglie a far quadrare i conti.
Ma lei si considera più formica o cicala? Vorrei essere un po’ più cicala ma tre figli e zero tempo a disposizione per viaggi o svaghi purtroppo fanno di me una formica perenne. Su che cosa investe i suoi risparmi? Punterei a quanto di più sicuro c’è tra le offerte, non ho il tempo di seguire i saliscendi borsistici come mi ha spiegato il mio amico Claudio Borghi (parlamentare e presidente commissione Bilancio. N.d.r.) quando lavorava in Borsa: una vita che deve appassionare, altrimenti impossibile da vivere. Lei è padre di 2 figli e tra poco avrà una femmina. Ai maschi da già la paghetta? Sono troppo piccoli per le paghette, prima o poi capiterà. Penso che il rapporto col denaro debba essere improntato sul rispetto, fin da piccoli si deve avere chiaro quanto sia difficile portare a casa la 104
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pagnotta e che nessuno regala nulla. I risultati sono merito del lavoro e dell’impegno, tutto il resto verrà.
Quali sono i principi che trasmettete ai figli? Che cosa insegnate loro a proposito del denaro? L’istruzione dei bimbi e il cibo che abbiamo in casa. Pensiamo che avere una giusta formazione fin dalla più tenera età sia importantissimo per i bimbi, oltre a questo in tavola cerchiamo di mettere meno cibo “industriale” possibile, in fondo... siamo quello che mangiamo. Se lei fosse nei panni del primo ministro che farebbe per l’economia?
IL DENARO DEI VIP
«UNA MANOVRA ECONOMICA CHE METTE 7 MILIARDI DI TASSE NON PUÒ CERTO PUNTARE AL RILANCIO. LA SUGAR E LA PLASTIC TAX SONO DUE FOLLIE» venga da esperienze Ue, Bankitalia o Bce. I risultati che hanno portato sono sotto gli occhi di tutti... Una manovra economica che mette 7 miliardi di tasse non può certo puntare al rilancio. Tra le altre, la Sugar e la plastic tax sono due follie che potremmo definire degli “autodazi” visto che l’Italia ha un ruolo da leader nelle produzioni plastiche. I continui venti di guerra inoltre certo non aiutano in una stituzione internazionale nella quale, oltre ai missili in Medio Oriente, la brace arde sotto la cenere tra Usa e Cina per lo sviluppo delle nuove tecnologie digitali, strumenti che non gestiscono solo i dati dei cittadini, ma governano gli apparati infrastrutturali più sensibili come le grandi reti militari, elettriche, i trasporti, i servizi pubblici. É questo quello di cui parliamo quando citiamo gli “interessi nazionali “. E se fosse lei il ministro dell’economia... La cosa mi fa sorridere, sarebbe una vera provocazione perché si potrebbe dire certamente che finalmente un ministero sarebbe lontano da legami, lacci e lacciuoli. Lasciando perdere me, forse comunque farebbe bene avere un ministro che non pro-
Nella foto in alto a sinistra Alessandro Morelli è con Letizia Moratti. Nella foto sopra è con Matteo Salvini
Che cosa pensa di Draghi? Il “why not” di Salvini su questo argomento apre a scenari inattesi fino poco tempo fa. Che il primo partito italiano, con i suoi rappresentanti delle regioni, che votano per l’elezione della presidenza della Repubblica, accenni a questa strada é una enorme apertura della Lega. Draghi e le sue scelte alla Bce sono figlie di una situazione: la Germania padrona d’Europa ha dettato e detta la linea. Chissà che si possa fare uno scatto d’orgoglio nel tutelare gli interessi italiani proprio con chi ha vissuto certi meccanismi, però prima di tutto, patti chiari e ...
Se vincesse la lotteria che cosa farebbe? Le risponderei subito con il famoso viaggio intorno al mondo, ma la mancanza di tempi adeguati lo impedisce. Facciamo cosi, leggendo Investire punto a non perderli per poter esaudire il sogno tra qualche annetto.
DA DIRETTORE DI RADIO PADANIA A PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE TRASPORTI DELLA CAMERA
A
lessandro Morelli, classe 1977, nasce a Vizzolo Predabissi, piccolo comune alle porte di Milano, vive nel capoluogo lombardo; ha conseguito il diploma di istituto tecnico agrario, si è poi iscritto alla facoltà di produzioni animali senza tuttavia conseguire la laurea. Da dicembre 2013 a marzo 2018 è stato direttore di Radio Padania, l’emittente radiofonica della Lega Nord, dal 2016 è inoltre direttore de Il Populista, il Blog di Matteo Salvini. Nel 1997 viene eletto Consigliere del Municipio 5 di Milano, venendo rieletto anche nel 2001 e nel 2006. Da giugno 2010 a maggio 2011 è stato Assessore al Turismo del
comune di Milano, nella giunta di Letizia Moratti. Nel 2011 viene eletto in consiglio comunale a Milano, divenendo capogruppo della Lega Nord; nel 2016 viene nuovamente eletto consigliere comunale. Alle elezioni del 2013 è stato candidato alla Camera, nella circoscrizione Lombardia 1, risultando tuttavia il primo dei non eletti. Alle elezioni politiche del 2018 viene eletto alla Camera dei Deputati, nelle liste della Lega nella circoscrizione Lombardia 1. Il 21 giugno 2018 viene eletto presidente della 9ª commissione permanente trasporti della Camera dei Deputati, ruolo che ricopre attualmente.
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COLLEZIONISMO IL TURISMO DEL WHISKY
Quando il distillato Usa diventa culto “Hai il Pappy?” di Claudio Riva*
L’
alchimia che trasforma una bottiglia di whiskey in un oggetto desiderato dai collezionisti disposti a pagare dieci, cento volte il suo valore iniziale di mercato fonde un mix di esclusività, qualità e soprattutto rarità. Il nostro immaginario va verso le edizioni vintage di Macallan, Bowmore, Dalmore. Difficilmente penseremo ad un whiskey americano. Perché il Pappy Van Winkle è riuscito ad infastidire i giganti scozzesi? Se fai la domanda “Hai il Pappy?” al Bar Manager del whiskey bar Seven Grand di San Diego ottieni la risposta definitiva. «Sì, abbiamo il Pappy Van Winkle. Sì, è costoso. In realtà abbiamo tutte le versioni di Pappy Van Winkle dal 2012 ad oggi, e costano da 50$ a 300$ al dram (1 oncia). Stiamo costruendo una biblioteca di distillati qui. Se vuoi whiskey fico, ecco noi selezioniamo single barrel. Se vuoi Pappy, ti faremo pagare una fortuna. Questo sembra arrogante e assurdo, ma ti prometto che c’è una buona ragione. Se sei pronto per la storia del grande sogno americano continua a leggere. Ti consiglio di prepararti un drink. Il mondo del whiskey è un luogo selvaggio e colorato, pieno di tradizione, pazienza, onore e, soprattutto ... sciocchezze di marketing. Inventeranno ogni sorta di storia sul perché dovresti comprare quella botti-
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IL PAPPY VAN WINKLE COSTA UNA FORTUNA E DEVE IL SUO SUCCESSO A UN MISTO DI ESCLUSIVITÀ, QUALITÀ E SOPRATTUTTO RARITÀ glia specifica; distillato cinque volte, filtrato col diamante, finish in sette botti, acqua pura di calcare, senza glutine e vegano, sono tutte descrizioni che mi vengono in mente. La linea tra le sciocchezze del marketing e le qualità intrinseche si impenna quanto più popolare è il prodotto. Se non l’hai già notato, il whiskey è molto popolare e l’assurdità è ovunque. Allora, cosa succede con Pappy? Ci sono due passaggi fondamentali, si ha bisogno di una storia sulla sua origine e di una descrizione di cosa sia davvero. Sorprendentemente, merita la sua reputazione e vale il suo costo. Con l’avvertimento che 300$ all’oncia è sempre assurdo. La storia inizia nel lontano 1897. Il whiskey americano prima del 1897 aveva pochissime regole in merito ad additivi, trasparenza o etichettatura. Tutto era caos e il west era davvero selvaggio. Mentre le conseguenze della guerra civile si concludevano, Julian Van Winkle iniziò a lavorare con un uomo di nome W. L. Weller. Weller gestiva un’azienda che non produceva whiskey ma ne vendeva una varietà di marchi. Man mano che il business cresceva accaddero due cose: Weller invecchiava e Julian acquisiva per conto dell’azienda una distilleria. Weller vendette la società a Van Winkle e alla fine la distilleria prese il nome di Stitzel-Weller.
COLLEZIONISMO Van Winkle era un ragazzo super intelligente e previde il proibizionismo con un decennio in anticipo. O forse semplicemente sapeva come fare amicizia con i potenti. A ogni modo la distilleria che acquistò nel 1908 divenne una delle poche distillerie autorizzate a continuare la produzione e la vendita di whiskey durante il divieto. Vai Old Rip! A questo punto vale la pena fare una divagazione e discutere sul cosa c’è esattamente in una bottiglia di Pappy Van Winkle Straight Kentucky Bourbon. Ci sono 5 ingredienti, acqua, lievito, orzo, mais e poi un cereale aromatizzante. La segale è il cereale aromatizzante comune per il bourbon. Ciò non significa che debba essere obbligatoriamente segale, si potrebbe usare qualsiasi altro cereale. La pratica generale prima che l’industria diventasse sofisticata era quella di usare tutto ciò che era disponibile. La segale (rye) è sempre stata una decisione economica e razionale. A volte omettevano del tutto la segale, o mettevano dentro del frumento (wheat), o impazzivano e li usavano tutti e quattro. Maker’s Mark ha iniziato a dire a tutti che la ricetta di Maker’s è nata dalla cottura del pane. Questa è una bella analogia per pen-
sare ai sapori che il cereale aggiunge al whiskey. L’orzo maltato è il re qui perché è il cereale che dà il via al processo di conversione dell’amido in zucchero, che il lievito potrà mangiare e trasformare in etanolo. Il Pappy Van Winkle è ciò che nel settore viene chiamato “wheated”. Il wheated bourbon, hai indovinato, usa il frumento come cereale aromatizzante. Le proporzioni esatte sono rigorosamente segrete (70% / 16% / 14%). Torniamo alla nostra storia; il proibizionismo è finito e il whiskey sta tornando. Julian è sul pezzo e rilascia due etichette piuttosto importanti; W. L. Weller Special Reserve e Old Fitzgerald. Van Winkle inizia a vendere il W.L. Weller con un “cenno di frumento” per comunicare il carattere superiore del suo whiskey. Questa è il primo riferimento che si possa trovare di “wheated” usato come elemento di differenziazione per un whiskey. L’annuncio pubblicitario qui sotto allude a un “segreto secolare” e il consenso generale è che il dipartimento marketing se lo sia inventato. Velocemente arriviamo al 1957, e sei seduto in una cucina calda, raggi rossi di luce ricoprono la tovaglia di cotone a scacchi davanti a te. Il cestino di vimini al centro del tavolo rilascia attraverso una tela di lino il vapore del pane di mais ancora caldo. Allontani il tuo piatto, una fetta di pane avanzata, seducente e ricoperta di burro che si scioglie nelle calde crepe. Bill Samuels Sr. guarda un foglio di carta, ti fissa con uno sguardo, metà dispettoso e metà orgoglioso, e te la avvicina. «Sai, Margie lo ha fatto, dice che abbiamo bisogno di una bottiglia come uno dei
loro fantasiosi cognac. Non so del cognac, ma so che lei è davvero carina», dice Bill. «EEEE!» il suono penetrante di un timer da forno. Margie si sporge in avanti e apre il forno. Margie dice: «So che Julian è d’accordo con me, Bill, il frumento è la nostra risposta». Julian la interrompe «Hai ragione Margie, il top di cera rossa su un collo lungo e una spalla larga è pura classe. E il frumento è la tua risposta Bill, lo faccio da anni». Maker’s Mark, l’iconico whiskey con la parte superiore in cera rossa deve i meriti della sua ricetta a una “cottura” intelligente e a Van Winkle. Gli anni ‘70 e ‘80 furono un periodo difficile per il whiskey. La vodka era di gran moda e la nuova generazione voleva sovvertire le tradizioni soffocanti dei loro genitori. Nel corso dei decenni e negli anni ‘90 una distilleria dopo l’altra venne chiusa o accorpata. Il miglior whiskey al mondo veniva messo in bottiglia e venduto a prezzi stracciati. La distilleria Stitzel-Weller ha spento i propri alambicchi e ha venduto botti e marchi nei primi anni ‘90. Julian Van Winkle, da non confondere con suo padre, Julian Van Winkle, non avrebbe comunque rinunciato agli affari di famiglia. Mantenne il nome Pappy Van Winkle e avviò un contratto con la Sazerac Company. L’Old Fitzgerald fu venduto a Heaven Hill e Weller andò a Sazerac. Il wheated bourbon si diffuse nel resto del Kentucky e ora siamo arrivati alla storia contemporanea. A partire dall’inizio degli anni 2000 prese forma il movimento del cibo a km zero. Le persone avevano fame di autenticità, di slow food, di verdure fresche e di cucina stimolante. Le tradizioni divennero nuovamente interessanti. La gente iniziò a riscoprire il bourbon e quella roba di Pappy era tra le migliori. Julian si è giocato la sua mossa di marketing facendo amicizia con l’ospitalità e la ristorazione. Col passare del tempo, tutti abbiamo riconosciuto quanto dannatamente gustosa fosse quella roba. Il nettare di Stitzel-Weller stava per terminare e Sazerac non aveva prodotto molto wheated bourbon. Forse è meglio dire che nel 2010, quando Pappy costava 45$ a bottiglia e non se lo filava nessuno, nessuno pensava che avrebbe raggiunto il valore di migliaia di dollari in meno di un decennio. Anche se Julian avesse saputo nel 2010 quanto sarebbe diventato popolare e avesse iniziato a produrne in quantità, a questo whiskey mancherebbero comunque almeno 3-6 anni per essere considerato alla giusta maturazione. Così mentre il bourbon diventava popolare, il delizioso whiskey che stava cercando di proporre alle persone diventava raro. Quindi ora siamo tutti rovinati e dobbiamo sganciare quantità assurde di denaro se vogliamo comprare quelle bottiglie da 30$ o 40$ contenenti whiskey sbalorditivo ma che oggi non si trovano più. * fondatore di Whisky Club Italia febbraio 2020
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MOTORI
NISSAN JUKE: IL PIONIERE DEL SEGMENTO SI RINNOVA Era il 2010 quando Nissan con Juke dava vita a un nuovo segmento, quello dei crossover compatti. Dopo quasi una decade e un milione di unità vendute, arriva la nuova generazione. Forme che seguono il family feeling del marchio, linee eleganti e scolpite da coupé, carattere atletico grazie ai cerchi da 19” e al tetto che sembra “sospeso”, interni più moderni e spaziosi, con una capienza del vano bagagli che sale a 422 litri. Nuove anche le tecnologie a disposizione, tra cui
gli avanzati sistemi di assistenza alla guida Nissan ProPilot, l’ultima versione del sistema di infotainment NissanConnect con wifi integrato e l’interfaccia per smartphone con aggiornamenti over-the-air. Un motore proposto, il
turbo benzina 1.0 da 117 Cv, 3 cilindri abbinato a un cambio manuale a 6 rapporti o cambio automatico a doppia frizione Dct a 7 rapporti, oltre alla possibilità di scelta fra 3 modalità di guida: Eco, Standard e Sport.
RENAULT CAPTUR: UN NUOVO CAPITOLO PER IL B-SUV FRANCESE
Dopo oltre 160.000 Captur vendute della vecchia generazione, il B-SUV straniero più venduto in Italia è pronto a vivere una nuova avventura, con l’arrivo in Italia del nuovo modello. Costruito attorno alla nuova piattaforma CMF-B, la nuova Renault Captur è più lunga di 11 cm (4,23 m) rispetto al passato, mentre dal punto di vista del design le forme sono state rinnovate, con la firma luminosa a Led C-Shape all’anteriore, nuovi fari posteriori e 108
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tante personalizzazioni disponibili. Dentro prende spazio la nuova “Flying Consolle” da 9,3” interamente connessa e lo schermo della strumentazione digitale, per un abitacolo al passo con i tempi. Ampia è la scelta tra le alimentazioni disponibili, prima dell’avvento della versione ibrida plugin: due Diesel, tre Benzina e il motore Turbo Gpl da 100 Cv. Disponibile anche la trasmissione automatica con cambio a doppia frizione Edc.
FERRARI ROMA: LA DOLCE VITA SU QUATTRO RUOTE La nuova Ferrari Roma prende ispirazione dal passato, più precisamente dagli anni ’50 e ’60, quando la Città Eterna era al centro della scena internazionale, anche a livello cinematografico. Progettata dal Centro Stile Ferrari, la Roma propone una perfetta pulizia delle linee, senza sfoghi d’aria superflui, proiettori Full Led e con una calandra innovativa. Per gli interni è stato sviluppato un nuovo approccio, che passa dalla creazione di due cellule dedicate a driver e passeggero. Il quadro strumenti digitale da 16 pollici fornisce al guidatore tutte le informazioni necessarie, mentre il display centrale con schermo verticale da 8,4” e il nuovo passenger display garantiscono grande intuitività e facilità di utilizzo sia per il passeggero sia per il guidatore. Il telaio è stato rivisto, tanto che il 70% delle sue componenti sono completamente nuove, mentre il motore è un V8 turbo da 620 Cv, abbinato al nuovo cambio a doppia frizione a 8 velocità, più veloce e ottimizzato nel peso rispetto al vecchio 7 rapporti.
in collaborazione con Autoappassionati.it
in collaborazione con Epipoli IL BOOM DELLE CARTE REGALO
Gift Card multimarca: ideale per le nuove generazioni
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i scrive “reso gratuito” si legge “libertà di scelta sempre e comunque. Anche se ho già comprato”. Sono anni che lo shopping online fa i conti con una sola certezza: l’indecisione dei consumatori. Ma, ormai si sa, la realtà virtuale non fa altro che anticipare le tendenze degli store fisici, così il 2018 è stato l’anno della nascita della categoria dei “restitutori seriali”, sancita ufficialmente da uno studio effettuato da Barclaycard - la società che si occupa della gestione delle carte di credito per la banca inglese - secondo cui un quarto degli acquisti fatti online vengono poi restituiti. Comprare adesso, per un’occasione, per necessità, per un impulso, ma decidere dopo. I consumatori, sempre più immersi in un mondo dove tutto è sempre a portata di mano, chiedono questo, anzi ne hanno bisogno, e il mercato lo sa. I tempi cambiano e i prodotti si evolvono. Soprattutto quelli smart, da sempre pronti a stare al passo con in tempi se non ad anticiparli. Non è dunque affatto un caso che il 2019 abbia aperto la pista alle Gift Card Multichoice, carte regalo utilizzabili presso diverse insegne, categoria che sta già fiorendo nel 2020. Si tratta di una previsione facile da fare non solo perché sono sempre di più gli studi come quello firmato dal professor Geoff Beattie, docente di psicologia dei consumi alla Edge Hill University, secondo cui i consumatori non riescono a resistere alla tentazione di acquistare per poi rendersi conto di aver comprato qualcosa di cui non avevano bisogno, ma anche perché sono sempre di più le Gift Card di questo tipo che vengono vendute e prodotte sia in Europa che all’estero. Così, mentre in UK spopola la Restaurant Choice, in Australia si trovano la Gourmet Restaurant Card e la Australia’s most loved casual dining, in America si può acquistare una Happy Dining. Tutte carte con alla base un meccanismo identico: il
NEL NOSTRO PAESE QUESTA TENDENZA È GIÀ STATA INTERCETTATA DA EPIPOLI CHE HA IMMESSO SUL MERCATO LA RESTAURANT CARD E LA MYGIFTCARD PLUS consumatore acquista un codice, un buono, che può spendere presso il ristorante che preferisce all’interno del catalogo della carta. Non solo: uscendo dall’ambito della ristorazione le cose non cambiano. La One4All inglese, la Happy Moment americana e le varie carte della serie Ultimate Gift Card australiane, solo per citarne alcune, sono prodotti che offrono al consumatore la possibilità di spendere il proprio buono all’interno di un catalogo composto da molti marchi e, spesso, anche da viaggi ed esperienze. L’Italia non è certo da meno, grazie ad esempio all’offerta di Epipoli, che comprende la Restaurant Card, la prima carta prepagata in Italia spendibile in tutti i ristoranti, i bistrot, le pizzerie e i fast food che accettano Mastercard, e la MyGiftCard Plus, che consente di scegliere tra Gift Card dei grandi marchi, esperienze e ticket. «Dopo aver introdotto le Gift Card in Italia e aver reso l’espositore delle MyGiftCard il metro cubo più redditizio di ogni punto vendita, non potevamo farci scappare l’occasione di importare per primi questo trend nel nostro Paes», ha dichiarato Gaetano Giannetto, fondatore e ceo di Epipoli. «I nostri prodotti sono pensati per dare ai grandi marchi il migliore strumento di marketing possibile, ecco perché siamo sempre attenti alle esigenze dei consumatori». L’espositore delle Gift Card si prepara a diventare così la porta d’accesso verso un mondo sempre più vasto, rendendo i retailer uno snodo fondamentale verso nuove frontiere dello shopping. febbraio 2020
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BIBLIOTECA Antonio Quaglio Laureato in Economia aziendale all’Università di Venezia, è stato inviato e caporedattore a Il Sole 24 Ore. Collabora a www.ilsussidiario.net.
BANCHE ATTENTE: I CREDITI DETERIORATI SPESSO NON SONO TALI
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Cesarini su Bancaria spiega che una parte rilevante dei bad loans già ceduti potrebbe ritornare in bonis. Ecco perchè
el rapporto Abi d’esordio nel nuovo anno tutti gli indicatori riguardanti l’andamento aggregato dei bad loans nel sistema bancario italiano sono apparsi incoraggianti. Le sofferenze nette, al novembre scorso, sono calate del 22,7% rispetto a dodici mesi prima; del 55,1% al confronto biennale e addirittura del 66,7% verso il picco di fine 2015. Il rapporto sofferenze nette su impieghi totali si è attestato all’1,70%: era 2,22% a novembre 2018 e 4,89% a novembre 2015. E’ un’emergenza risolta? Forse non del tutto. E soprattutto non è affatto certo che lo smaltimento accelerato e radicale - attraverso rapporto creditizio. cessioni in blocco raccomandate dalla moral suaLe perdite definitive riconducibili sion delle autorità di vigilanza europee e italiane agli Npl hanno anzitutto contribunon riveli prima o poi di aver distrutto più valore di ito a determinare l’eliminazione quanto era preventivato o giustificato. Non solo nei dal mercato bancario di numerosi bilanci bancari, ma anche - e forse soprattutto - nei player o di aver obbligato a pesanti conti complessivi dell’Azienda Italia. ricapitalizzazioni. Sull’altro versanL’allarme giunge proprio dal numero di novembre te le cessioni hanno prodotto un di Bancaria, la storica rivista dell’Associazione. Il “effetto-abbandono” per il cliente titolo di apertura - “Le conseguenze economiche affidato, “troncando immediatae strutturali delle cessioni massive di crediti detemente e in via definitiva la trama riorati: alcune riflessioni” - è firmato da Francesco dei rapporti con lo stesso intessuti Cesarini: professore emerito di economia delle nel corso del finanziamento”. Se il aziende di credito all’Università Cattolica, tra l’altro giudizio della banca sul grado di past president di UniCredit e Popolare di Milano. In FRANCESCO CESARINI “decozione” si rivelasse ex post erun intervento di discussione su un articolo preparato o troppo severo - soprattutto rato sulla stessa tema da Elena Beccalli - preside della Facoltà di se la valutazione volta a definire il prezzo di cessione non si sia Scienze Bancarie Finanziarie e Assicurative della Cattolica - Ce- svolta in modo analitico sia stata basata, specie per i crediti di sarini rileva anzitutto il persistere di premesse problematiche minore importo, prevalentemente su algoritmi probabilistici - la radicate nel sistema italiano. La tendenza all’iperindebitamento cessione non sarebbe indolore né ovviamente per l’impresa inbancario delle imprese - afflitte da uno costante sottocapitalizza- teressata né in via generale per il sistema economico. “La cessazione e poco aperte agli apporti finanziari dal mercato - si è misu- zione dell’attività di un’azienda in ipotesi ancora dotata di una rata con la simmetrica pratica del multiaffidamento, che ha spin- certa capacità di ripresa avrebbe infatti conseguenze negative di to gli intermediari a massimizzare la profittabilità del portafoglio carattere prociclico su prodotto, occupazione, grado di concorcrediti, soprattutto in fase di euforia speculativa e di tassi in calo. renzialità dei mercati”. Il tutto, non manca di annotare l’autore, sotto uno sguardo delle Una parte dei bad loans già ceduti - o soprattutto ancora in lista diverse autorità monetarie ispirato all’”ottimismo istituzionale”. di cessione - presenta una probabilità più o meno alta di ritornaLa bolla di crediti non performing e unlikely-to-pay si è comun- re in bonis, specie se seguiti con attenzione e competenza dalla que gonfiata a dismisura e dal 2015 il pressing della vigilanza banca che ha concesso il credito. Le raccomandazione di Cesarini ha spinto banche di ogni dimensione a liberarsi di ingenti stock, è quindi lineare e ferma: “Le maggiori banche procedano quanto privilegiando sempre di più grandi cessioni in blocco, guardando prima a riesaminare, ed eventualmente a interrompere, la straalle opportunità fiscali di breve periodo e sotto la pressione dei tegia di cedere in massa i propri crediti deteriorati e tornino a nuovi e più stretti parametri di vigilanza. Secondo le cifre riporta- gestire al proprio interno, attraverso efficienti work out departte da Beccalli tra il 2015 e il 2018 sono stati smaltiti 148 miliardi ment capaci di utilizzare al meglio il patrimonio informativo di di bad loans lordi a prezzi pari a frazioni piuttosto basse, seppur cui già dispongono, almeno per gli Utp”. Di più: “Da un’inversione in crescita, del valore lordo delle sofferenze cedute: 33 per cento di rotta potrebbe trarre qualche beneficio la loro immagine atnel 2017 e 2018 per le posizioni assistite da garanzie reali; 9 e 11 tuale, che rischia di risultare appannata, agli occhi della clientela per cento rispettivamente nei due anni per le altre posizioni. Gli (imprese e depositanti) anche a causa delle nuove modalità di impatti, segnala Cesarini, sono stati severi su entrambi i lati del recupero crediti”. 110
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EDUCAZIONE FINANZIARIA Paolo Zucca Iscritto all’Ordine dei Giornalisti dal 1979, già responsabile del supplemento de II Sole 24 Ore Plus 24. Partecipa a tutorial e iniziative contro l’eccessivo uso del contante. Twitter @pzu551
UN TITOLO DA COMPRARE? CHE ABBINI PERFORMANCE E TASSONOMIA
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al clima delle Borse alle Borse del clima e oltre ai tassi c’è la tassonomia. Per i risparmiatori è meglio prendere subito la mano con un nuovo scenario, positivo per il pianeta e potenzialmente virtuoso per chi sceglie di dar voce al proprio risparmio. Di che cosa si tratta? E’ la maggiore attenzione in Europa, e non solo, alle ricadute collettive di ogni attività aziendale con conseguenze sui listini. Chi sarà più credibile, nei suoi progetti e nelle prassi, verrà premiato. Si cercano performance senza danni, senza sensi di colpa. Saranno più esigenti gli investitori istituzionali che stanno raccogliendo denaro con prodotti targati Esg (Environmental, social, governance cioè ambientale, sociale e corretta gestione di impresa) e saranno più attenti gli investitori individuali. Soprattutto i primi potranno determinare cadute di valori di titoli per premiarne altri. Tanto vale quindi per il risparmiatore-investitore prendere le misure e non farsi sorprendere. Meglio ancora individuare già qualche buon titolo o bond capace di prendere aria fresca dalla svolta dell’attenzione ambientale. Tanti fattori spingono in quella direzione. Non va sottovalutato il nuovo piano politico, ancora da precisare, del Consiglio e del Parlamento Ue per investire qualcosa come mille miliardi in un Green New Deal. Che è un po’ infrastrutture, riconversioni, incentivi a settori per arrivare – come ha detto Ursula von der Leyen, presidente della Commissione – a un 2050 con il Vecchio Continente completamente neutro dal punto di vista climatico. Nei prossimi 30 anni il risparmiatore attento avrà l’opportunità di beneficiare di investimenti in settori bagnati dal fiume di denaro pubblico e non è poco quello privato che si sta accumulando. La raccolta targata Esg sta crescendo rapidamente e in Europa gli investimenti con tali caratteristiche valgono 14mila miliardi su un totale globale Esg di 31mila miliardi. Più crescerà la raccolta e più lieviteranno gli asset gestiti, meglio saranno individuabili i settori che vinceranno e quelli che perderanno. Per sintetizzare, a fianco dei parametri di Borsa come prezzo/utile, stime dei ricavi, contendibilità, patrimonio andranno aggiunti elementi reputazionali, rating ambientali, ri112
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L’acquisto di titoli, bond e fondi non può più essere guidato da soli obiettivi di rendimento ma deve essere ispirato anche ai criteri di sostenibilità ambientale. Dunque: occhio ai prodotti Esg spetto Esg e altri elementi segnaletici in fase di definizione. Uno di questi è la tassonomia. Cosa si intende? E’ il tentativo di classificazione dei criteri per determinare se un’attività economica è sostenibile dal punto di vista ambientale. Si tratta della definizione di alcuni principi: mitigazione del cambiamento climatico; uso sostenibile e protezione dell’acqua e delle risorse del mare; transizione all’economia circolare inclusa la prevenzione degli sprechi e l’aumento dell’assorbimento delle materie prime secondarie; prevenzione e controllo dell’inquinamento; protezione e restaurazione della biodiversità e degli ecosistemi. Linee guida da memorizzare. Per tutti i prodotti finanziari dichiarati come sostenibili dovrà esserci la prova del rispetto dei criteri. La definizione di cosa è buono e cosa è nocivo si presta a critiche (l’energia nucleare non è penalizzata) e si può immaginare che prima del 2021, quando la lista verrà dettagliata, vi saranno correzioni, interferenze di gruppi di pressione, furbizie. Il greenwashing (lavaggio solo di comunicazione) è in corso perché nessuna società quotata può permettersi di lasciar andar via gli investitori istituzionali che sostengono il valore e gli scambi (quindi liquidità) dei suoi titoli. Da cittadini, e da cittadini che muovono denaro, i risparmiatori avranno dei vantaggi collettivi e individuali se cominceranno a investire nel decennio-trentennio che ci attende.
MALALINGUA Vittorio Borelli Giornalista di lungo corso, condirettore de Il Mondo, fondatore e direttore di East, già direttore delle relazioni esterne di Unicredito nella gestione Rondelli-Profumo
ARRIVA LA SVOLTA DEL GIORNALISMO 4.0: PARITÀ TRA LE FONTI
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n summit notturno dei direttori e dei commentatori italiani più autorevoli. Ovviamente top secret. Conclusosi, a larghissima maggioranza, con una mozione rivoluzionaria: per recuperare credibilità, lettori e ascolti, l’informazione 4.0 deve smetterla di porsi super partes a parole, lo deve fare con assoluta e democratica equidistanza dalle fonti. Nella mozione, subito consegnata in forma di scoop-velina al Fatto Quotidiano, si possono leggere esempi concreti della nuova dottrina. Eccone alcuni scelti a caso. Mettiamo che la Corte Costituzionale respinga un ricorso della Lega con argomenti meramente giuridici. Ebbene, il giornale o la televisione 4.0 non deve limitarsi a dare notizia della sentenza, ma deve porre sullo stesso piano le sofisticate tesi della Suprema Corte e la propaganda di Salvini. Altro esempio. Che fare se in Libia il generale Haftar decide di ignorare gli appelli e le pressioni internazionali per una tregua? Semplice, accanto alla notizia, che resta sacra, si devono pubblicare con il medesimo rilievo le ragioni di Haftar, quelle di Fayez Al Sarraj, quelle di Putin e Erdogan. E perfino quelle di Luigi Di Maio. “Deciderà poi il cittadino-lettore-elettore come valutarle” ha spiegato a nome di tutti il direttore e detentore de La Verità Maurizio Belpietro. Ancora: poniamo che una grande banca popolare del Sud fallisca e che il suo capo, due ore prima del commissariamento, prelevi del suo conto 5 milioni e mezzo per fare 6 pagamenti urgenti: bisogna interpellare i 6 destinatari e raccogliere le loro ragioni sugli incassi. Ma le nuove linee guida non valgono soltanto per l’alta politica o l’economia, valgono anche per la cronaca, il costume o lo sport. Poniamo il caso che un Suv laico decida di investire un gruppo di suore all’uscita dalla messa. Bene, non si potrà più dare la colpa al Suv, come si è sempre fatto, si dovrà anche chiedere alle suore superstiti se stavano attraversando in maniera corretta o alla spe-
raindio. E come ci si comporta in redazione se un direttore di banca stressato dagli interessi negativi vuole richiamare l’attenzione della pubblica opinione facendo fuori la moglie? Ovvio, si devono pubblicare le ragioni del femminicida, quelle del Governatore della Banca d’Italia sull’andamento dell’inflazione in Europa e quelle del confessore della moglie che, in vita, aveva preteso di sottoscrivere un mutuo all’1% lordo. Infine, poniamo il caso che la Juve strapazzi il Genoa o l’Udinese. Guai a pubblicare panegirici sulla strapotenza bianconera! Si dovranno invece pubblicare le analisi di vincitori e vinti, consentendo a questi ultimi di lamentare arbitraggi fasulli, rigori non dati e via dicendo. D’altronde, intervistato da Lilly Gruber, Eugenio Scalfari ha confessato che nell’ultima intervista esclusiva con Dio il problema della parità delle fonti era già emerso in tutta la sua drammaticità: se, al tempo dei tempi, si fosse evitato di dare tutta la colpa a Caino probabilmente gli umani si sarebbero risparmiati il Diluvio Universale, le Invasioni Barbariche, la Controriforma e fors’anche il Festival di Sanremo. Mentre Scalfari parlava, lo storico Ernesto Galli della Loggia annuiva e confidava ai cronisti che i carolingi non avrebbero messo a ferro e fuoco l’Europa se un grande imperatore come Pipino non fosse stato universalmente deriso con l’appellativo di Breve. “Si sarebbe dovuto aprire un dibattito tra ortopedici e spingere l’Istat a rivedere la media altezza europea” ha sentenziato Galli dall’alto della sua poliforme sapienza. Resta tuttavia da chiedersi se basterà questa clamorosa svolta a risollevare le sorti dell’informazione italiana. Qualche dubbio sussiste. Pur senza esprimere un voto negativo, Vittorio Feltri ha salutato i colleghi biascicando tra sé e sé: “Ma che me ne frega, io sono di Bergamo e abito in via Quadronno!”, ma forse non era lui, forse era Crozza.
Con le nuove regole l’imperatore Pipino non sarebbe diventato il Breve
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