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Consulenti tuttofare Non solo gestione del risparmio: i clienti chiedono sempre di più assistenza a 360°. Per i consulenti una sfida, ma anche una grande opportunità. Ecco come coglierla al meglio. Con le interviste a Marco Deroma e Massimo Miani
ETF, UNA CAVALCATA VINCENTE CHE METTE IN DISCUSSIONE LE VIRTÙ DELLE GESTIONI ATTIVE In Europa i fondi passivi potrebbero rappresentare tra il 25 e il 28% del mercato dei fondi comuni entro il 2025. La liquidabilità è quasi sempre assicurata. E la Mifid 2 sta dando la spinta decisiva alla loro affermazione
GIANEMILIO OSCULATI: «TROPPE REGOLE INGESSANO BISOGNA TORNARE A RISCHIARE E A DIVERSIFICARE»
GUADAGNARE NELL’ERA DEI DAZI di U.Bertone
• Aim: i dieci anni di Integrae, leader del mercato • Aste immobiliari, convengono (a saperci fare) • Whisky, caccia al tesoro del distillato migliore
• Europa: «Le blue chip immuni dal voto» • Carollo: “Ecco perchè il petrolio vincerà» • I prodotti del mese, da Twc a AcomeA
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EDITORIALE
Altro che patrimoniale di Sergio Luciano
M
entre i partiti della provvisoria maggioranza gialloverde che guida l’Italia riprendono a divergere su tutto nell’azione di governo, semmai con più veleno dopo i risultati delle europee – si approssima sul calendario la scadenza della manovra economica più incerta di sempre. Dentro la quale l’esecutivo Conte dovrà tentare di quadrare, insieme, almeno cinque cerchi: sarà l’olimpiade della finanza pubblica. Dovrà quadrare il cerchio delle clausole di salvaguardia, da scongiurare; quello della flat tax, rivendicata da Salvini; quello dell’autonomia amministrativa, a chiacchiere voluta da tutti ma nei fatti ormai neanche da tutta la Lega; il cerchio dei contributi alle famiglie con figli, caro a Di Maio; e ancora, quello dell’Alitalia e delle banche in crisi. Come faranno, divisi su tutto come sono, a quadrare anche un solo di questi cinque cerchi è un mistero. L’unica certezza è che esiste una risorsa ancora superlativa di cui l’Italia dispone, ed è il risparmio delle famiglie. Diecimila miliardi di euro tra immobili e investimenti mobiliari, più del quadruplo del debito pubblico, sei volte e mezzo il Pil, poco o punto utilizzato per lo sviluppo dell’economia. Con il solito autolesionismo la sinistra tafazziana, uscita comunque malconcia anche dall’ultima tornata elettorale, ha subito ricominciato a parlare di patrimoniale. Così, tanto per indurre le famiglie che possono a portare i soldi in salvo altrove. E c’è chi parla anche di incrudelimento delle tasse sulle successioni. Ma ancora peggio suona – ovvero non suona - il silenzio del governo, su come utilizzare o meglio indurre, con una “spinta gentile”, questo risparmio a giovare al Paese. Altro che patrimoniale. Esattamente come farebbe un’azienda in crisi, l’Italia dovrebbe trovare un modo virtuoso – e naturalmente volontario, libero – di mettere in comunicazione il risparmio con le tante opportunità di investimento che il mercato privato ancora offre: investimento redditizio, va da sé (quindi, né Alitalia né banche, almeno non per le famiglie). Occorrerebbe, nel quadro della politica economica di salute pubblica che qualunque governo prima o poi dovrà varare, fare esattamente il contrario della patrimoniale, incentivare cioè fi-
scalmente gli investimenti per reinserire l’enorme ricchezza dei cittadini nelle vene del sistema economico. E non solo sotto la forma dei titoli di Stato ma con sistemi convenienti fiscalmente – quello dei Pir parve esserlo, salvo poi afflosciarsi – che stimolino chi ha quattrini a impiegarli anziché tenerseli sotto il materasso o al massimo confinati nei prodotti di investimento più sicuri e sbiaditi, a cominciare dai titoli di Stato. Quindi non patrimoniale ma stimoli nel trattamento fiscale dei patrimoni investiti produttivamente; e riduzione delle aliquote sui redditi delle imprese e delle famiglie, anche con una flat-tax – che andrebbe però rimodulata senza stupide provocazioni anticostituzionali preservando una curva di progressività da un minimo più basso dell’attuale a un massimo pari alla metà dell’attuale – ma bilanciata dall’arma totale contro l’evasione fiscale che questo Paese richiede: una drastica restrizione dell’uso del contante. Perché è l’eccesso di contante che garantisce ancora la filiera perfetta del nero a una larga fetta della popolazione. Inutile farsi illusioni: ben difficilmente tutto questo accadrà. Ma qualcosa può e deve essere fatto anche a livello individuale e anche dai professionisti della gestione del denaro altrui: i banker e i consulenti finanziari. Educare o rieducare al rischio intelligente e diversificato tutti i risparmiatori che siano almeno di un gradino sopra al livello-base. Lo dice bene Gianemilio Osculati, nell’intervista di questo numero: occorre riscoprire il rischio e la diversificazione. E smontare le troppe norme che di fatto impediscono l’uno e l’altra. Del sondaggio esclusivo di Makno-Rsm per Investire – che verrà presentato al convegno annuale dell’Efpa di Torino il 7 giugno 2019 – si può oggi anticipare che si rileva tra i cittadini una forte esigenza di consulenza finanziaria, non accompagnata però da una chiara nozione di chi siano e cosa facciano i consulenti. E dunque è questa la frontiera del nuovo impegno professionale dei consulenti: farsi conoscere e apprezzare, affermarsi come interlocutori di riferimento delle famiglie, comunicare vastamente la forza e la crucialità del loro ruolo. Perché intanto che il Pubblico annaspa, il Privato ha il diritto di tutelarsi, innanzitutto investendo bene le risorse che ha.
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Registrazione Tribunale di Milano N. 126 del 27/3/1982 Direttore responsabile Sergio Luciano Caporedattore Marco Muffato Newsroom Marina Marinetti, Marco Scotti, Riccardo Venturi, Raffaela Jada Gobbi, Liliana Nori Hanno collaborato Antonio Quaglio (Consulente del
direttore), Rosaria Barrile, Francesco Bellizzi, Ugo Bertone, Annalisa Caccavale, Giacomo Damian, Mauro Del Corno, Pierluigi Di Paolo, Giuseppe D’Orta, Alessandro Ghisolfi, Fabiana Giacomotti, Gian Marco Litrico, Davide Passoni, Claudio Patalano, Monica Setta, Gloria Valdonio, Paolo Zucca Contributors Vittorio Borelli, Matteo Bosco, Andrea Carbone, Enrico Cisnetto, Giuseppe Corsentino, Anna
Gervasoni, Glauco Maggi, Andrea Margelletti, Marco Onado, Francesco Priore, Giulio Sapelli, Franco Tatò Partnership Editoriali Confedilizia, Scenari Immobiliari Redazione redazione@investiremag.it Segreteria di redazione Monia Manzoni Presidente e A.D. Giuseppe Caroccia
Editore incaricato Domenico Marasco Responsabile commerciale Luca Ronzoni Casa editrice Economy s.r.l. Piazza Borromeo 1, 20123 MilanoTel. 02/89767777 Distribuzione Pressdi - Via Mondadori, 1 Segrate - 02 7542097 Stampa Stampa Rotolito. S.p.a 20063 - Cernusco S.N. (MI)
giugno 2019
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SOMMARIO Giugno 2019
05 EDITORIALE 10 WATCHDOG 12 IL SISMOGRAFO
di sergio luciano
No patrimoniale, occorrono incentivi fiscali
di marco onado
Le vere insidie oggi si nascondono nei bond
di g.sapelli
La nuova economia di Bergoglio ha radici antiche
Il consulente 4.0 è qui. Non solo investimenti: l’advisor oggi spazia dal passaggio generazionale a real estate e fiscalità
14 IL GERMANISTA 16 FINANZA REALE . 18 TERZA REPUBBLICA
di franco tatò
Economia pianificata, la ricetta di chi teme il futuro
di a gervasoni
Sis palestra dei professionisti del venture capital
Chi ha vinto le Europee? “Il partito che non c’è”
COVERSTORY COSA FANNO LE RETI
DEROMA (EFPA ITALIA)
I cf diventano pivot dei clienti grazie alla preparazione multi-disciplinare
Il super financial advisor di casa nostra deve essere certificato nel post Mifid 2
MIANI (CNDCEC)
PARLA OSCULATI
La strada maestra è la sinergia tra commercialisti, bancari e consulenti finanziari
Dare più rendimenti oggi? Gli operatori devono rischiare di più e diversificare
20 26
24 28
RAPPORTO
EXCHANGE-TRADED FUND
31 ETF, LA GRANDE AVANZATA 38 AMUNDI 39 LYXOR 36 VANGUARD 40 WISDOMTREE 37 I-SHARES 42 OSSIAM 6
Costi bassi, semplicità e trasparenza, rendimenti tracciabili e liquidabilità quasi sempre garantita. Il mondo della gestione attiva ha finalmente un avversario temibile nel risparmio gestito
La competizione tra i player non è solo sui costi
Gli obiettivi dell’asset manager USA in Italia
Diversificare con oro e intelligenza artificiale
È amore vero tra Etf e consulenti finanziari
Etf, è il momento della trazione integrale Esg
giugno 2019
Raggiungere il retail lavorando con la distribuzione
© Getty Images
Un partner di fiducia è responsabile quando contribuisce a contrastare il cambiamento climatico.
Strategie per l’ambiente e il clima Poiché responsabilità è sinonimo di rendimento sostenibile, Amundi si impegna ad affrontare, con soluzioni innovative, le grandi sfide legate all’ambiente e al clima: • attraverso le strategie azionarie, green bond e real asset, per finanziare la transizione energetica ed ecologica; • attraverso le strategie “low carbon”, per ridurre l’esposizione dei portafogli dei clienti ai rischi legati ai cambiamenti climatici; • e attraverso iniziative specifiche, per orientare i flussi di investimento verso progetti sostenibili, in particolare nei paesi emergenti. _ amundi.it #ResponsiblePartner #Ambition2021 Messaggio pubblicitario. L’investimento comporta un sostanziale grado di rischio. Prima di qualunque investimento, prendere attenta visione della documentazione relativa allo strumento finanziario oggetto dell’operazione, la cui sussistenza è disposta dalla applicabile normativa di legge e regolamentare tempo per tempo vigente. Si declina qualsiasi responsabilità in caso di qualsivoglia perdita, diretta o indiretta, derivante dall’affidamento alle opinioni o dall’uso delle informazioni ivi contenute. Il presente documento non è diretto a investitori al dettaglio né alle “US Person” così come definite nel U.S. “Regulation S” della Securities and Exchange Commission. Amundi Asset Management, “Société par Actions Simplifiée” di diritto francese con capitale sociale di € 1.086.262.605 - Società di gestione del risparmio autorizzata da AMF con il numero GP 04000036 - Sede legale: 90, boulevard Pasteur, 75015 Parigi, Francia - 437 574 452 RCS Paris - amundi.com - Responsible Partner: Partner Responsabile - Ambition: Ambizione. Aprile 2019. |
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USA-CINA/ Affrontare con successo la stagione
ENERGIA/ Il petrolio (e il diesel) resteranno strategici. L’economista Carollo spiega perchè
dei dazi doganali è possibile
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EUROPA/ La zona euro riuscirà a chiudere il ciclo dell’austerity?
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BLUECHIP/ Cinque titoli su cui scommettere nel dopo elezioni europee
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TALENT SHOW/ Il portafoglio difensivo di un dipendente pubblico è al centro della gara
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PRIVATE CAPITAL/ Investitori sul picco della montagna. Ecco le asset class su cui puntare
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italiano di Fundchannel
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ANNIVERSARIO/ Integrae Sim, la leader dell’Aim, compie dieci anni. Parla il dg e fondatore Giannotta
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COSMOPOLITICA DI ANDREA MARGELLETTI Ecco di cosa ha davvero bisogno l’Africa
QUI PARIGI DI GIUSEPPE CORSENTINO
I grandi banchieri francesi si stanno tagliando lo stipendio
QUI NEW YORK DI GLAUCO MAGGI Agli americani piace la pappa pronta dei Tdf
IL GIRO DEL MONDO IN 30 GIORNI Via della Seta, la Cina punta anche sulla Grecia
PRODOTTI/ Il primo Etf green attivo europeo è di Franklin Templeton. Arriva il conto di Findomestic
SEDIE&POLTRONE/ Lombardi responsabile
PROFESSIONE CONSULENTE/ Le reti fanno un grande errore a non puntare sui giovani cf
88 90 91 92
MONDO
INVESTIRE SPECIALIST
SOMMARIO
73 SIS
100 MODA & BUSINESS
76 VIGILANZA 78 CREDITO&POLITICA
102 IL DENARO DEI VIP 104 COLLEZIONISMO
80 IMMOBILIARE/1
108 AUTOAPPASSIONATI
84 IMMOBILIARE/2
110 BIBLIOTECA
86 IMMOBILIARE/3
112 EDUCAZIONE FINANZIARIA
96 CYBERCRIMINALITÀ
114 MALALINGUA
Vi spieghiamo perchè è un’occasione mancata
Le 4 banche italiane potevano essere salvate
Quale finanza per i nuovi eurodeputati
Acquistare casa con le aste conviene
L’inquilino sbagliato lo evito con un’app
Berlino ha il maggior incremento dei prezzi
Attenti al phishing, i vostri dati sono in pericolo
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giugno 2019
Pitti Immagine, un format che viene da lontano
Manila Nazzaro investe nel reddito fisso
Caccia grossa al whisky più pregiato
Ford Focus Active e la gamma Crossover
La fiducia di Savona nell’AI
Scelte in linea tra istituzionali e privati
Anno Domini 750: si vota e si rivota
ACTIVE IS: INVESTIRE ACTIVE IS: NELLA NUOVA “PET ECONOMY” INVESTIRE NELLA NUOVA “PET ECONOMY” Oltre ai trend virtuali dei settori ultra innovativi, si sviluppano nuove tendenze concrete con ampie frontiere e voglia di coccole. Il boom degli ultimi anni ci ha convinto ad investire nella “pet economy” con il fondo Allianz Pet and Animal Wellbeing: per stare al fianco dei nostri amici a quattro zampe cogliendo nuove opportunità. Oltre ai trend virtuali dei settori ultra innovativi, si sviluppano nuove tendenze concrete con ampie frontiere e voglia di coccole. Il boom degli ultimi anni ci ha convinto allianzgi.it ad investire nella “pet economy” con il fondo Allianz Pet and Animal Wellbeing: per stare al fianco dei nostri amici a quattro zampe cogliendo nuove opportunità.
allianzgi.it
Value. Shared. L’investimento implica dei rischi. Il valore di un investimento e il reddito che ne deriva possono aumentare così come diminuire e, al momento del rimborso, l’investitore potrebbe non ricevere l’importo originariamente investito. Allianz Pet and Animal Wellbeing è un comparto di Allianz Global Investors Fund SICAV, società d’investimento a capitale variabile di tipo aperto costituita ai sensi del diritto lussemburghese. I rendimenti passati non sono indicativi di quelli futuri. Le classi del comparto dsponibili per la commercializzazione in Italia sono: A EUR (LU1931535857), A H2-EUR (LU1931536079), AT EUR (LU1931535931) e AT H2-EUR (LU1931536152); spese correnti annue stimate per suddette classi del comparto 2,10%. Il prospetto, i documenti istitutivi, gli ultimi rendiconti contabili e il documento delle Informazioni chiave per gli investitori in Italiano, nonché le commissioni ed i prezzi giornalieri delle azioni di ciascuna classe di ogni comparto sono disponibili gratuitamente sul sito www. allianzgifondi.it. Il presente documento è una comunicazione di marketing da Allianz Global Investors www.allianzgi.it, di l’investitore gestione a L’investimento implica dei rischi. Il valore di un investimento e il reddito che ne emessa deriva possono aumentare così comeGmbH, diminuire e, al momentouna del società rimborso, responsabilità limitatal’importo di dirittooriginariamente tedesco, con sede legale Allianz in Bockenheimer Landstrasse 42-44, Francoforte Meno, iscritta Fund al Registro presso la potrebbe non ricevere investito. Pet and Animal Wellbeing è un60323 comparto di Allianzsul Global Investors SICAV,Commerciale società d’investimento Corte di Francoforte sultipo Meno col numero HRB 9340,del autorizzata dalla BaFin (www.bafi n.de).passati Allianznon Global ha futuri. stabilito succursale in Italia, Allianz a capitale variabile di aperto costituita ai sensi diritto lussemburghese. I rendimenti sonoInvestors indicativiGmbH di quelli Le una classi del comparto dsponibili Global Investors GmbH, Succursale in Italia, via (LU1931535857), Durini 1 - 20122 A Milano, soggetta alla vigilanza delle competenti Autorità italiane(LU1931536152); e tedesche in conformità alla per la commercializzazione in Italia sono: A EUR H2-EUR (LU1931536079), AT EUR (LU1931535931) e AT H2-EUR spese correnti normativa comunitaria. La presente comunicazione non è redatta in base ai requisiti legali previsti per assicurare l’imparzialità delle raccomandazioni in materia di annue stimate per suddette classi del comparto 2,10%. Il prospetto, i documenti istitutivi, gli ultimi rendiconti contabili e il documento delle Informazioni chiave per gli strategia di investimento, non comporta pertanto alcun divieto di negoziazione anticipata rispetto alla divulgazione di suddette raccomandazioni. investitori in Italiano, nonché le commissioni ed i prezzi giornalieri delle azioni di ciascuna classe di ogni comparto sono disponibili gratuitamente sul sito www. Giugno AdMaster 798138 allianzgifondi.it. Il presente documento è una comunicazione di marketing emessa da Allianz Global Investors GmbH, www.allianzgi.it, una2019, società di gestione a
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responsabilità limitata di destinato diritto tedesco, con sede legale in Bockenheimer Landstrasse leggere 42-44, 60323 Francoforte sul Meno, iscrittapresso al Registro Commerciale presso la Annuncio pubblicitario all‘investitore al dettaglio. Prima dell’adesione il KIID e il prospetto disponibili i soggetti distributori e sul Corte di Francoforte sul Meno col numero HRB 9340, autorizzata dalla BaFin (www.bafin.de). Allianz Global Investors GmbH ha stabilito una succursale in Italia, Allianz sito www.allianzgifondi.it. Global Investors GmbH, Succursale in Italia, via Durini 1 - 20122 Milano, soggetta alla vigilanza delle competenti Autorità italiane e tedesche in conformità alla normativa comunitaria. La presente comunicazione non è redatta in base ai requisiti legali previsti per assicurare l’imparzialità delle raccomandazioni in materia di strategia di investimento, non comporta pertanto alcun divieto di negoziazione anticipata rispetto alla divulgazione di suddette raccomandazioni.
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WATCHDOG Marco Onado È professore senior di Economia degli intermediari finanziari nella Università Bocconi di Milano. È stato Commissario Consob. Collabora con “Il Sole - 24 Ore”, “Lavoce.info” e “voxeu.org”.
LE VERE INSIDIE OGGI SI NASCONDONO NEI LEVERAGED BOND
«U
n’ultima cosa: ultimi anni: secondo una stistate attenti ma JPMorgan addirittura del là fuori». Con 40 per cento nell’ultimo anno, queste parole sfiorando i 200 miliardi di dolsi concludelari di scambi proprio come i va il briefing dei poliziotti di New Cdo prima della crisi. 1 I deriYork che apriva ogni puntata di vati di oggi hanno come sotuna famosa serie Tv degli anni tostante debiti a imprese, che Settanta (Hill Street). Si potrebsono cresciuti a ritmo molto bero usare le stesse parole per le elevato negli ultimi tempi, scelte di investimento in questa raggiungendo livelli preoccudelicata fase del ciclo economico panti. Con tassi di interesse e finanziario. Siamo alla fine di così bassi, le imprese hanno una lunga fase positiva dei merpreferito distribuire generosi cati azionari internazionali: la dividendi piuttosto che accancorrezione dalla fine del 2018 ha tonare utili. Il loro leverage, eliminato un eccesso di sopravquindi la loro rischiosità fivalutazione, ma per il mercato JANET YELLEN, PRESIDENTE USCENTE DELLA FED nanziaria, è aumentata contiobbligazionario permangono senuamente. gnali di prezzi superiori a quelli Proprio il settore dei leveragiustificati dai fondamentali. È il ged loans è considerato oggi messaggio del Global Financial il principale fattore di rischio Stability Report del Fondo monein caso di rallentamento della tario dello scorso aprile: le insicrescita o addirittura di inverdie peggiori si nascondono oggi sione del ciclo (non si dimennei mercati obbligazionari. tichi che questa è una delle La crisi finanziaria (creata da un eccesso di debiti a sua volta de- più lunghe fasi di espansione dell’economia americana della terminata da tassi di interesse sempre più bassi) è stata curata storia). Lo continuava a dire la presidente uscente della Fed, Jaabbassando ulteriormente i tassi di interesse fino a portarli nel net Yellen e lo ribadisce l’ultimo rapporto della banca centrale regno dell’irrealtà dei livelli negativi. Una scelta che non aveva americana sulla stabilità finanziaria. Il leveraged lendig (defialternative, ma che in un certo senso ricorda il metodo di Mitri- nito come quello che riguarda imprese con un indebitamento date che secondo la leggenda si era immunizzato dal rischio di superiore a quattro volte i profitti lordi cioè l’Ebitda) è aumenessere avvelenato assumendo dosi minime e crescenti di veleni. tato del 20 per cento solo nell’ultimo anno. 2 Il fatto che per il L’effetto è stato quello di stimolare la ricerca spasmodica di ren- momento le insolvenze siano basse non toglie che il rischio di dimenti abbastanza elevati da giustificare la cascata di commis- questo segmento sia oggi un fattore se non di allarme, almeno sioni che è tipica della gestione del risparmio. di preoccupazione. Ed è inutile ricordare che questo rischio si All’inizio di questo millennio, l’ansia del search for yield era un riflette nei titoli emessi a fronte delle erogazioni e finisce nei ingrediente importante della complessa ricetta che ha confe- portafogli di fondi, soprattutto passivi, Etf e simili che sono zionato la crisi finanziaria, facendo gonfiare i prezzi come un poi usati come “mattoncini” per la costruzione dei portafogli soufflé, che sono crollati non appena qualcuno ha cominciato a degli investitori privati nei quattro angoli del pianeta, Europa esercitare un briciolo di spirito critico. Ma l’ottimismo era tanto compresa ovviamente. Insomma: i pericoli che si profilano non radicato che c’è voluto del tempo per accorgersi che in giro c’e- sono così gravi come quelli del Bronx temuti dal sergente della ra una gran quantità di titoli che a quel punto sono stati definiti serie televisiva, ma bisogna tenere gli occhi ben aperti. “tossici”. Per capirlo, è bene rivedere un film ricco di insegnamenti come “La grande scommessa”. Il film nei titoli di coda ricordava che strumenti finanziari ana- 1 Investors flock back to credit product blamed in financial crisis Financial Times, 3 May 2019. loghi a quelli più tossici, i Cdo, erano già in circolazione (per la 2 Fed warns leveraged lending could exacerbate a downturn Financial serie: Plus ça change, plus c’est la même chose). Non sorprende Times, 6 May 2019 che proprio questo segmento sia cresciuto notevolmente negli
I prestiti emessi dalle imprese con debiti quadrupli rispetto all’ebitda sono il nuovo rischio
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giugno 2019
Le sfide più importanti sono quelle affrontate insieme. Un partner su cui poter contare è fondamentale. Da 35 anni siamo al fianco di famiglie italiane, grandi gruppi bancari e investitori istituzionali per accompagnarli nella scelta delle migliori soluzioni di investimento. Senza fermarci mai. Ecco come siamo diventati il più grande gruppo indipendente in Italia. Ed ecco perché siamo stati premiati come migliore società di gestione italiana anche nel 2019 *. Ora lo sai: se cerchi un partner per andare lontano, puoi contare su di noi. Contatta il tuo consulente o visita il sito www.animasgr.it
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IL SISMOGRAFO Giulio Sapelli È Ordinario di Storia Economica presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Milano e direttore scientifico della Fondazione Enrico Mattei.
LA NUOVA ECONOMIA DI BERGOGLIO HA RADICI ANTICHE
L’
iniziativa lanciata per l'anno prossimo da Papa Francesco ad Assisi, la convention di 500 giovani economisti di tutto il mondo per inviduare la strada verso "una economia diversa, quella che fa vivere e non uccide, include e non esclude, umanizza e non disumanizza, si prende cura del creato e non lo depreda” non può che essere apprezzata e anche ammirata ma non mi pare una novità. Piuttosto, un segnale forte in una direzione di continuità lungo un magiestero che risale a due secoli fa. Quest'appello di Bergoglio, più precisamente, va visto in coerenza con le grandi encicliche papali sull'economia e il lavoro, in particolare con la “Populorum progressio” di Paolo VI, ma anche con la "Caritas in Veritate" di Benedetto XVI e addirittura, a ben vedere, con la stessa Rerum Novarum di Leone XIII, che si può lecitamente considerare il documento base della dottrina sociale della Chiesa. Nell'iniziativa di Bergoglio si ritrova una forte visione della necessità di un'economia più giusta tra Sud e Nord del mondo, l’appello alla predicazione da parte di tutti i credenti a favore di un’economia più giusta e attenta alle differenze che a sua volta ha precedenti illustri. Non dimentichiamo che Papa Montini si fece fotografare durante un suo viaggio in America - in un'epoca pre-social - con in testa un casco di diume dei Pellirosse (gesto al quale Pasolini dedicherà una colonna molto importante dei PAPA FRANCESCO suoi "Scritti corsari"). Alla base di quest’appello c’è la lettera che Bergoglio ha scritto, ancora da Arcivescovo di Buenos Aires, nel bicentenario della fondazione dell’Argentina. E' una lettera molto importante, a tutta la nazione argentina, in cui lui fonda quella che chiamerà la teologia dei popoli. Papa Francesco ha sempre avuto una visione del cattolicesimo come terza via tra capitalismo e socialismo. In quella lettera sostanzialmente afferma concetti molto vicini a quelli della teologia della liberazione di Leonardo Boff, salvo ribadire la messa al bando della violenza e della lotta armata. L'appello di oggi poi trova una particolare sintonia con la "Caritas in veritate", soprattutto quando afferma che un'economia giusta non si può costruire con le sole logiche capitalistiche, occorrono
per realizzarla le imprese no-profit, le cooperative, insomma tutti gli strumenti del capitalismo più temperato, europeo, e meno iperliberista. In questo senso la continuità con la tradizione del passato è chiarissima. Ciò detto l'evento di Assisi rappresenta pur sempre un forte richiamo per le coscienze e dovremo osservare con attenzione a cosa potrà portare. Ma ripeto: sempre nel segno della continuità. Anche Pio XII, sull'economia, non ha detto cose diverse. Si può addirittura risalire a Pio X e trovare tracce di quel che il grande teologo e sociologo francese Emile Poulat definì come il passaggio della Chiesa dal fianco dell'oligarchia a quello del popolo e come un distaccodal liberimo economico. Si potrebbe considerare che la Caritas in Veritate cadde in una fase in cui il pensiero unico capitalistico non era forte e diffuso come oggi, ma a ben vedere non è così. Il pensiero unico procede a gonfie vele da trenta, quarant'anni. Forse il fatto nuovo è la morte della sinistra politica, che fa ben più effetto. Ci volevano i gilet gialli a farcene ricordare... La più grande critica implicita che arriva dall'iniziativa di Assisi riguarda non tanto la destra politica, quanto la sinistra, o meglio la ex sinistra. Perciò non sarà un appello vano: nel mondo dell’impresa – se non in quello dei manager - ci sono ancora tanti imprenditori semplici e dediti, che sentono la forza del rapporto tra morale ed economia, che hanno il senso del collettivo, del rispetto degli altri. Tanti imprenditori che non sanno precisamente cos’è la corporate social responsability nei fatti la praticano. Quello su cui l'appello di Assisi potrà incidere è ciò che io chiamo il capitalismo neo-schiavistico, che assume e licenzia le persone come vuole, e le tratta come bestie… l'ultimo numero della Economic e labour relation review, dell'Università di Sidney, in un saggio intitolato “Utilities versus quality working life”, dimostra come in tutto il mondo la condizione del lavoro sia tornata quella dell'inizio della rivoluzione industriale. Non esistono più contratti e diritti, si parla solo di manager e mai di lavoratori. Anche un pensiero debole – non teologico – con tutto il rispetto per Bergoglio, crea scandalo. Paolo VI si indignerebbe se vedesse le condizioni in cui versano i lavoratori di oggi.
L'iniziativa del Papa è nel solco delle encicliche di Paolo VI e di Benedetto XVI
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giugno 2019
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IL GERMANISTA Franco Tatò Manager eclettico e innovativo, è tra i pochissimi italiani ad aver diretto aziende in Germania, paese (e cultura) che ama ed è l’unico ad essere stato amministratore delegato sia di Rizzoli che di Mondadori
ECONOMIA PIANIFICATA, LA RICETTA DI CHI TEME IL FUTURO
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evin Kuehnert, ventinove anni, è il veramente giovane presidente degli Juso, l’organizzazione dei giovani socialisti della SPD, da sempre fucina dei quadri del partito. Come la maggioranza dei giovani Kuehnert è un incendiario e tende a prendere posizioni estreme se non estremiste. Finora le sue intemperanze hanno sempre trovato una comprensiva indulgenza e qualche commento forse troppo benevolo del politicamente scomparso Martin Schulz. Adesso, con un partito sfibrato da anni di grande coalizione, guidato da un segretario debole, come la simpatica signora Nahles e da un comitato centrale diviso, in chiara difficoltà a presentarsi come credibile alternativa di governo e a contrapporre argomentazioni efficaci alle proposte populiste della AfD, Kuhnert ha pensato che era venuto il momento di dar fuoco alle polveri, sfidando le stantie impostazioni ideologiche e impartendo una lezione ai vecchi parrucconi della direzione del partito e agli ancora influenti numi tutelari come l’ex-cancelliere Gerhard Schroeder. Con un focoso discorso alla manifestazione di apertura della campagna elettorale per le elezioni europee e in una lunga intervista all’autorevole settimanale Die Zeit, Kuehnert ha portato un attacco frontale al capitalismo, generatore di incolmabili disuguaglianze e al mercato, dominato dalle grandi imprese profittatrici. Prendendo esempio dai populisti, ha sorpreso tutti proponendo di espropriare la proprietà della Bmw e poi proseguire con le altre grandi imprese. Per rispondere ai disagi provocati dagli elevati affitti nelle principali città, la soluzione è semplice, gli affitti verranno stabiliti di autorità e nessuno potrà possedere immobili oltre alla casa in cui abita. In realtà si tratta di un rilancio dell’economia pianificata, dell’abbandono del programma di Bad Godesberg, documento fondante della socialdemocrazia, per tornare a una forma di socialismo veteromarxista comprendente sostanziose dosi di Comunismo. E’ sorprendente che un giovane nato trent’anni fa a Berlino ovest, possa aver dimenticato le narrazioni della soffocante atmosfera della DDR, il collasso delle industrie di Stato e gli angosciosi casermoni della periferia di Berlino Est, i famigerati Plattenbau, il cui unico destino è ora la demolizione. Il vero rimprovero alla SPD è quello di non essersi appropriati da subito dei temi sociali del populismo, ora riproposto come metodo: stimolare un bisogno, non necessariamente essenziale, trasformarlo in problema, ampliarne l’importanza e offrirsi come gli unici che possono rispondere con una soluzione radicale e rapida senza curarsi troppo delle conseguenze, negando anche l’evidenza. Nessuno può ignorare che tutti gli Stati che hanno scelto un’economia pianificata, sono falliti lasciando cumuli di macerie. Ma ancora più illuminante è l’esempio della Cina: per decenni il Partito e lo Stato padroni assoluti hanno prodotto miseria, repressione e sottosviluppo, fino alle riforme 14
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KEVIN KUEHNERT, PRESIDENTE DEI GIOVANI SOCIALISTI DELLA SPD
di Deng Xiao Ping. Con una robusta iniezione di capitalismo cosiddetto selvaggio o far west, l’economia cinese si è sviluppata a tassi di crescita finora sconosciuti e in pochi anni è arrivata a competere con gli Stati Uniti per il primo posto a livello mondiale. E’ evidente che il livello di benessere attuale non era neppure ipotizzabile per la Cina di Mao. Gli Stati Uniti a loro volta sono l’esempio di un paese trasparentemente capitalistico, la cui economia è da trentatre trimestri in costante sviluppo con una disoccupazione al 3,9%, un numero che non si vedeva dal 1969. Il populista Trump si è guardato bene dal predicare un cambio di paradigmi, anzi ha voluto caratterizzare l’inizio del suo mandato con un provvedimento supercapitalistico come l’energica riduzione delle imposte. La sua furia populista si è sfogata ingigantendo il problema dell’immigrazione che non è mai stato un problema in tutta la storia degli Stati Uniti e con una politica estera aggressiva e rivendicatoria, aprendo continuamente nuovi fronti di scontro con la protervia di semplici tweet. L’imposizione di dazi, un atto distorsivo dei rapporti competitivi, presentata come un atto presidenziale arbitrario, è in realtà una dichiarazione di guerra alla globalizzazione e questo accomuna il populismo americano ai vari populismi europei, soprattutto a quello nostrano: tutti questi movimenti, populisti o sovranisti che dir si voglia, si presentano come agenti di cambiamento, ma non di progresso, anzi di ritorno al passato: basta con le aperture, basta con la globalizzazione, con la libera circolazione delle merci e delle persone, basta con l’aborto, basta con il divorzio, riapriamo le case chiuse, reintroduciamo la lira e cosi via. Questi sono cambiamenti? Mi sembrano un coercitivo ritorno al passato perché si ha paura del futuro. In questo senso i discorsi di un giovane socialista tedesco potrebbero non preoccuparci , in quanto vaneggiamenti di una personalità non del tutto matura, ma sono invece preoccupanti come segno dei tempi, come manifestazione dell’insofferenza per le forme borghesi della nostra società e forse anche della rabbia per non riuscire a capire dove stiamo andando.
FINANZA REALE Anna Gervasoni Professore Ordinario di Economia e Gestione delle Imprese alla Liuc di Castellanza. È anche direttore generale dell’Aifi (Associazione italiana del private equity, venture capital e private debt)
I SIS, PALESTRA DEI PROFESSIONISTI DEL VENTURE CAPITAL
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on il Decreto Crescita pubblicato in Gazzetta Ufficiale lo scorso 30 aprile sono state introdotte le Sis, Società di investimento semplici, uno strumento che desta grande interesse in quanto potenzialmente utile per rispondere all’esigenza degli investitori che vogliono unirsi per investire in startup. Attualmente fare venture capital richiede strutture di una certa dimensione nonché un notevole sforzo organizzativo per rispondere alle richieste di vigilanza. Dall’altro lato nel mercato italiano sono presenti strumenti informali, come i club deal, dove di volta in volta gli investitori si ritrovano per mettere insieme i capitali e selezionare l’impresa obiettivo. In questo contesto la Sis può venire incontro al bisogno di ricorrere a un veicolo di investimento, seppur autorizzato e vigilato dalle autorità, più leggero in termini di adempimenti da rispettare (come delineato nel Decreto Crescita, le Sis saranno sì Oicr di tipo chiuso, riservati a investitori professionali, ma nei loro confronti troveranno applicazione diverse esenzioni i cui dettagli saranno specificati con l’emanazione della normativa secondaria). D’altro canto il ricorso alle Sis potrebbe rendere maggiormente strutturato l’emergere di gruppi di investitori che possono selezionare più di una startup, consentendo loro di avere una visione più ampia con possibilità di diversificare gli investimenti. In questo senso le nuove strutture potrebbero potenzialmente rappresentare un’evoluzione dei club deal tramite cui le persone fisiche potrebbero divenire i gestori di questi nuovi veicoli e fare volano sulle risorse dei professionali cui le Sis sono destinate. Tale strumento potrebbe rivelarsi utile anche nell’ambito di una raccolta di capitali presso il mondo del private banking. Le Sis infatti potrebbero raccogliere capitali dei cosiddetti investitori professionali, categoria che include le persone fisiche in possesso dei requisiti idonei di competenza e che investano almeno 500mila euro. Secondo quanto sancito dal decreto le Sis assumeranno la struttura giuridica di Sicaf (Società di investimento a capitale fisso) autogestite con un limite di raccolta massimo fissato a 25 milioni di euro. Proprio su questo tema Aifi ha 16
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Le nuove strutture potrebbero rappresentare un’evoluzione dei club deal. Uno strumento utile per raccogliere capitali anche nel private banking da tempo iniziato a lavorare, con il supporto della propria Commissione Tax&Legal, a uno statuto standard con l’obiettivo di individuare e risolvere gli elementi di maggiore criticità propri di questo veicolo societario rendendone maggiormente efficace l’utilizzo ai fini dell’attività di investimento nonché di rendere più agevole il processo di autorizzazione e, in generale, il rapporto tra gestori e autorità di vigilanza. Pensiamo che questo nuovo canale presenti elementi di interesse e possa costituire un ulteriore strumento tramite il quale canalizzare risorse anche private in modo efficiente per investire nell’economia reale, in particolare in quella che fa capo alle startup e alle imprese caratterizzate da un alto tasso di innovazione. Inoltre le Sis potrebbero rivelarsi come un utile mezzo attraverso cui supportare la nascita di nuovi operatori che, partendo da iniziative di dimensioni più ridotte, possano formarsi e divenire i professionisti del venture capital di domani.
LA LORO DEFINIZIONE NEL DECRETO CRESCITA
In base all’articolo 28 del Decreto Crescita le Sis si configurano come società avanti quale oggetto sociale “l’investimento collettivo raccolto in Pmi non quotate sui mercati regolamentati di cui all’art.2, par.1, lett. f) del regolamento (Ue) n.2017/1129 del 14 giugno 2017 che si trovino nella fase di sperimentazione, costruzione e avvio dell’attività”.
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TERZA REPUBBLICA Enrico Cisnetto È un editorialista, economista e conduttore televisivo italiano, ideatore della trasmissione televisiva Roma InConTra. È conferenziere, consulente politico-strategico e tifoso della Sampdoria
CHI HA VINTO LE EUROPEE? “IL PARTITO CHE NON C’È”
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alle urne delle elezioni europee è uscito un vincitore. Peccato che in quanto contumace, alla fine sia risultato perdente. Sto parlando di quello che io chiamo il “partito che non c’è”, il quale avrebbe potuto ottenere uno straordinario risultato ma, non presentandosi, ha perso prima ancora di cominciare. A guardare dentro le urne emerge infatti che l’astensionismo incorpora, oltre la quota “fisiologica” di qualunquisti del tutto disinteressati alla vita pubblica, anche un numero “patologico” di italiani scoraggiati e delusi che non hanno saputo per chi votare senza vergognarsene. A questi vanno poi aggiunti i molti elettori che hanno sì votato, ma turandosi il naso e quant’altro, sottomettendosi alla logica del meno peggio, senza una reale convinzione. Ergo, fate la somma, e vedrete che il “partito che non c’è”, quello che avrebbe avuto la preferenza dei tanti moderati e riformisti, avrebbe potuto essere il partito di maggioranza relativa. Come nel passato lo sono stati la Dc e la Forza Italia della prima ora. Insomma il lascito di queste elezioni è che c’è un enorme spazio da riempire. Altrove si è trovato chi lo ha fatto: da Emmanuel Macron agli spagnoli dei ciudadano e di Podemos. In Italia no. Eppure in passato ci sono stati dei fenomeni nuovi ed emergenti: la lista Bonino di alcune elezioni europee orsono; la prima Rosa nel Pugno, Scelta Civica di Monti e gli stessi 5stelle. Tutti andati a occupare terre elettorali abbandonate. Questa volta niente. Nonostante che alcune piazze riempite di gente educata e competente, che lavora e crea ricchezza e che per questo chiede modernità ed efficienza, avessero fatto sperare che potesse nascere una rappresentanza nuova. Mi riferisco ai quarantamila “Si Tav” a Torino, alle manifestazioni gemelle di Genova, Verona, Milano e perfino Roma, al nuovo attivismo degli interessi organizzati. Mi riferisco anche al fermento sindacale dei Colla, il riformista numero due della Cgil, e dei Bentivogli, il segretario dei metalmeccanici della Cisl. Come a quello di alcune associazioni imprenditoriali, da quelle confindustriali di Milano e della Lombardi ai Cavalieri del Lavoro. Iniziative belle, ma – almeno fin qui – incapaci di generare la scintilla necessaria per far ardere il sacro fuoco di una nuova avventura politica organizzata. È stato bello l’applauso, caloroso e insistito, rivolto dagli industriali riuniti nell’assemblea nazionale di Confindustria, al presidente Mattarella. Ma anche un po’ vigliacco. È stato come dire: meno male che ci sei tu, ci ripariamo dietro di te. Ma al capo dello Stato non può essere chiesto di ricoprire un ruolo di rappresentanza o anche solo di supplenza politica. Invece per dare voce e 18
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Si sente la necessità di nuovi soggetti politici. La società civile e la borghesia devono rimboccarsi le maniche e ragionare su un’idea di futuro corpo agli italiani senza rappresentanza, a coloro che non si lasciano andare alle pulsioni populiste e sovraniste, occorre mettere in moto dei processi che consentano di generare nuovi soggetti all’altezza della sfida che il Paese ha di fronte. Serve che la società civile, e la borghesia produttiva in particolare, che per troppo tempo ha abdicato a ogni responsabilità pubblica, smetta di compilare la lista della spesa e si rimbocchi le maniche e ragioni su un’idea di futuro. Anche queste elezioni, come le precedenti, hanno dimostrato che c’è uno spazio enorme a disposizione del “partito che non c’è”, fatto dei tanti italiani “non allineati”, spesso “astensionisti consapevoli”, che non vogliono abbandonarsi alla logica del “tanto peggio, tanto meglio”, che non si illudono di fronte alle facili soluzioni, alle narrazioni da social, alle semplificazioni mediatiche. Una forza liberaldemocratica, riformatrice, europeista, laica ma non laicista, centrale nella geografica politica, non perché centrista, ma perché strategica, capace, collocandosi al centro dello scacchiere politico, di scompaginarlo, imponendo nuove regole e nuove istituzioni. Sarà per la prossima volta? (twitter @ecisnetto)
OLTRE IL RISPARMIO GESTITO
IL CONSULENTE PATRIMONIALE? IN ITALIA ORMAI È REALTÀ di Rosaria Barrile
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econdo una ricerca condotta dalla società Finer su impulso dell’Anasf, l’associazione rappresentativa dei professionisti che svolgono l’attività di offerta fuori sede e di consulenza finanziaria, le figure che oggi ruotano intorno agli investitori privati, con elevate disponibilità patrimoniali, sarebbero non solo numerose ma anche scarsamente integrate tra loro. A svolgere un ruolo da regista, anzi di vero e proprio “pivot”, potrebbe essere invece svolto dal consulente patrimoniale, inteso come colui che è in grado di reperire e proporre un basket coerente di servizi intorno al cliente su temi quali la fiscalità, il passaggio generazionale, la gestione immobiliare, l’art advisory e molto altro ancora. A puntualizzare le criticità insite in tale evoluzione è Maurizio Bufi, presidente di Anasf. «Si tratta di un percorso particolarmente selettivo perché richiede al consulente elevate capacità interdisciplinari. In prima battuta resterà riservato ai grandi portafoglisti proprio perché a richiedere questo tipo di approccio è il mercato medio alto. Questa trasformazione richiederà inoltre tempo perché occorre organizzazione e preparazione. Questo tema si innesta inoltre su quello più ampio relativo all’opzione per lo svolgimento della professione attraverso la forma della persona giuridica, un tema
LE MAGGIORI RETI STANNO LAVORANDO PER TRASFORMARE I CF IN “PIVOT” DEI CLIENTI, DALLA PREPARAZIONE INTERDISCIPLINARE su cui è stato recentemente presentato un disegno di legge, accolto con favore da Anasf. In futuro, ovvero quando tale opzione sarà disponibile, i singoli consulenti abilitati all’offerta fuori sede pur continuando a svolgere la professione individualmente potranno, in via non alternativa ma integrativa, costituire veicoli specifici e quindi costituirsi in forma associata, tali per cui a ciascuno siano affidate competenze 20
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specifiche, tra cui per esempio, la consulenza patrimoniale».
Tutte le tappe dell’evoluzione La trasformazione verso la consulenza 4.0 è in corso da tempo presso tutte le primarie reti italiane, spinta anche dal mutato contesto normativo. L’entrata in vigore della Mifid 2, introducendo una maggiore trasparenza sui prodotti e servizi, sta infatti contribuendo a far emergere aspetti inerenti la qualità del servizio fornito come hanno confermato a Investire le testimonianze di Azimut, Banca Generali, Bnl Bnp Paribas, Deutsche Bank Financial Advisors, Fideuram e Widiba. Per Paolo Martini, amministratore delegato e direttore generale di Azimut Holding, nonostante l’evoluzione sia in corso, occorre muoversi in modo graduale. «La capacità di dare valore al cliente e di farlo percepire in modo corretto è una
COVERSTORY delle sfide chiave dell’industria. Siamo stati abituati per anni a farci pagare sul prodotto ora ci spostiamo sul servizio e quindi servono nuove logiche anche di comunicazione verso clienti e mercato. In Azimut abbiamo lavorato per rafforzare il ruolo del consulente finanziario attraverso una formazione mirata e una nuova piattaforma di business che lanceremo entro la fine dell’anno basata su una logica goal based. È comunque importante tenere vive le due modalità di gestione del cliente anche perché non tutti passeranno subito alla consulenza evoluta. Ci sono moltissimi clienti soddisfatti di quello che hanno ottenuto in questi anni e della gestione del rapporto con i loro consulenti. Cambiare ed evolvere è importante ma serve sempre il giusto equilibrio. Noi abbiamo integrato nella piattaforma di servizio le competenze necessarie per erogare una consulenza efficiente sia sul portafoglio finanziario, sia sul patrimonio personale, famigliare e aziendale. Per tutte queste tematiche i nostri consulenti possono contare sull’affiancamento di oltre 40 specialisti. La nuova consulenza avrà diverse modalità di remunerazione del consulente oltre a una maggiore integrazione dei servizi di reportistica evoluta». Il percorso verso la consulenza 4.0 si traduce per Azimut in uno stanziamento per la formazione di circa 1,5 milioni di euro per il 2019. «Abbiamo creato la piattaforma dei servizi di wealth wanagement e stiamo erogando formazione da oltre sette anni su temi quali previdenza e welfare aziendale, wealth planning, corporate, servizi di advisory. Lo scorso anno siamo stati partner esclusivi dell’università di Brescia per la seconda edizione del Master di II livello sulla gestione del patrimonio e sul passaggio generazionale. Da quest’anno siamo partner esclusivi del master di Wealth Management - Gestione del patrimonio, promosso dalla Business School di Bologna per il quale offriamo a 15 giovani motivati ad alto potenziale l’opportunità di crescere professionalmente». La consulenza patrimoniale evoluta è uno dei pilastri anche del nuovo piano triennale 2019-21 che Banca Generali ha presentato lo scorso dicembre. Al 31 marzo le masse in gestione sotto consulenza evoluta ammontavano a oltre 3 miliardi di euro. «La banca ha iniziato già nel 2014 le attività di sviluppo di BG Personal Advisory, la piattaforma proprietaria che consente
Nella pagina accanto Maurizio Bufi, presidente Anasf. Sopra Paolo Martini, amministratore delegato di Azimut Capital Management. Sotto Andrea Ragaini, vice direttore generale di Banca Generali
oggi ai quasi 2000 private banker e wealth manager di offrire consulenza anche su aspetti non finanziari del patrimonio dei clienti. La nostra piattaforma digitale di consulenza è sviluppata già in ottica Mifid 2 e prevede moduli attivabili a seconda delle necessità del cliente», dichiara Andrea Ragaini, vice direttore generale di Banca Generali. «Questo approccio è stato possibile grazie a una serie di accordi con partner che hanno competenze sui vari settori, mentre i nostri consulenti mantengono la relazione di fiducia con il cliente di cui restano l’interlocutore privilegiato». Il vero punto di forza della consulenza evoluta di Banca Generali risiede però nell’approccio bottom-up con cui è stata sviluppata: fin dai primi passi del progetto, la banca del Leone ha coinvolto la propria rete di banker nello sviluppo della piattaforma, allargando sempre di più il numero di professionisti coinvolti. «Con il servizio di consulenza evoluta BG Advisory, il cliente paga solo i servizi che utilizza, riconoscendo alla banca una extra fee di circa lo 0,4% con l’esclusione del modulo per l’art advisory che è invece gratuito. A questo, la Banca ha aggiunto possibili “feebased” con consulenza evoluta su singoli ambiti patrimoniali a seconda delle necessità, dando quindi ancora più flessibilità al servizio al cliente». Il valore delle sinergie A differenza di quanto sta accadendo presso diverse reti di consulenza, in Bnl-Bnp Paribas la consulenza patrimoniale rappresenta il punto intorno a cui si è sviluppata tutta l’offerta al cliente già fin dai primi passi della rete dei giugno 2019
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Life Banker, circa cinque anni fa. «Per noi la consulenza patrimoniale è un concetto molto ampio e va a investire tutto ciò che ha un valore patrimoniale per il cliente», precisa Ferdinando Rebecchi, responsabile della rete. «Andiamo quindi a proporre servizi per la gestione di beni immobiliari, dagli appartamenti ai capannoni di natura commerciale e industriale fino ai terreni, ai valori delle quote societarie, dal parco auto fino alle coperture assicurative per i familiari. Per noi fare consulenza patrimoniale vuol dire essere nelle condizioni più adatte per riuscire a fornire tutte queste risposte attraverso soluzioni di alto livello professionale». A consentire rapidità di risposta ai bisogni del cliente è la disponibilità di servizi all’interno del gruppo a cui poter attingere in modo strutturato. «All’interno del nostro perimetro abbiamo il know di Bnp Paribas Real Estate, l’expertise nella finanza strutturata, nell’attività di M&A e nei progetti di internazionalizzazione, nei passaggi successori e nei servizi fiduciari. Prima di essere operativi come rete, abbiamo dedicato tempo e risorse nella costruzione di questo modello proprio per poter partire già “nativamente” con questa proposta, evitando quindi di doverci successivamente adeguare così come invece sta avvenendo oggi nel settore». Ai Life Banker vengono garantiti supporti di direzione e sul territorio e percorsi di accompagnamento affinché siano in grado di proporre servizi in modo proattivo secondo la logica dell’evoluzione dei bisogni nel corso del ciclo di vita del cliente e della sua impresa. «A fine maggio è partita la prima edizione del Master in Consulenza Patrimoniale, con la partecipazione dei consulenti appartenenti all’Équipe d’Excellence, il club dei Life Banker che si sono distinti per aver interpretato al meglio il modello di servizio della Rete. I consulenti si confronteranno con docenti di consolidata esperienza e saranno in aula per 7 giornate e 2 sessioni di follow up, frequentando circa 10 moduli. Per ottenere il diploma, i banker dovranno superare un test scritto e una prova orale davanti a una commissione di membri interni ed esterni alla banca». Per far sì che tale modello di consulenza venga poi trasferito nella relazione con il cliente, Bnp Paribas Life Banker ha da sempre adottato politiche provvigionali mirate. «Una parte 22
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Sopra Ferdinando Rebecchi, responsabile della rete Life Banker di Bnl-Bnp Paribas. Sotto Silvio Ruggiu, head of advisory clients di Deutsche Bank e responsabile di Deutsche Bank Financial Advisors
importante delle provvigioni che vengono corrisposte ai consulenti si riferisce già allo sviluppo di soluzioni di tipo patrimoniale per il cliente e non puramente finanziarie. Per quanto per esempio riguarda i finanziamenti alle aziende noi riconosciamo al nostro consulente la stessa management fee corrisposta per i fondi comuni di investimento dato che per noi gli asset di impiego valgono come gli asset di raccolta. Noi infatti consideriamo già questa parte “core” e non un corollario all’attività di distribuzione di prodotti finanziari storicamente prevalente nelle reti di consulenza già esistenti». Il valore delle sinergie con il resto del gruppo è un fattore chiave anche per Deutsche Bank che ha deciso di integrare Deutsche Bank Financial Advisors nella struttura Advisory Clients di Deutsche Bank. «Nel biennio 2019-20 il focus è sulla formazione continua di tutti i professionisti DBFA. Dall’inizio anno abbiamo già ampiamente coperto le tematiche di consulenza avanzata, lending, corporate finance e passaggio generazionale. L’integrazione con il mondo corporate del modello Advisory Clients ci permette, di coinvolgere in qualità di docenti i responsabili dei vari segmenti del gruppo DB, precisa Silvio Ruggiu, head of advisory clients Deutsche Bank e responsabile Deutsche Bank Financial Advisors. «Il modello di servizio è già strutturato ma lo stiamo via via affi-
COVERSTORY nando. Dal punto di vista organizzativo, sul territorio abbiamo oltre 100 business banker, gestori di portafoglio e di relazioni con aziende, che possono accompagnare dal cliente il consulente finanziario che fin qui ne ha gestito solo il portafoglio privato. I consulenti, oltre a saper parlare la lingua dell’imprenditore, devono essere in grado di attivare le relazioni necessarie con i diversi specialisti ed esperti, attingendo alla piattaforma di DB. Per questo formazione, affiancamento ed esperienza sul campo sono fondamentali. I riscontri ci sono già e sono molto positivi: a oggi abbiamo oltre 660 milioni di linee di finanza ordinaria e straordinaria concesse ad aziende introdotte da consulenti finanziari, con oltre 100 milioni erogati dall’inizio di quest’anno». L’approccio olistico alla gestione dell’intero patrimonio si rivela centrale per chi ha fatto del presidio della fascia più elevata del mercato il proprio target, come spiega Fabio Cubelli, condirettore generale area di coordinamento affari di Fideuram ISPB. «La maggior parte dei clienti private sono imprenditori e hanno necessità composite che abbracciano tutta l’area del corporate e immobiliare. La figura del private wealth advisor e la struttura di private wealth management sono state create per rispondere alle esigenze complesse del cliente private ed high net worth di Fideuram, attraverso un approccio globale alla gestione dell’intero patrimonio. Continueremo a investire in questa direzione per massimizzare l’imprenditorialità dei nostri wealth advisor e attrarre i migliori professionisti sul mercato. Il nostro è un posizionamento sempre più private. Lo dimostrano i numeri, infatti oggi più della metà dei nostri asset è collocata su clienti appartenenti a questo segmento. Nel 2013 abbiamo avviato il Campus Fideuram anticipando lo spirito di fondo della nuova normativa Mifid 2. Il Campus ci consente di sviluppare al meglio le competenze che le modifiche normative, il mercato e i nostri clienti ci richiedono. Abbiamo sviluppato percorsi differenziati per cluster, sulla base dell’esperienza e delle conoscenze dei consulenti e li stiamo accompagnando verso lo sviluppo di
Sopra Fabio Cubelli, condirettore generale area di coordinamento affari di Fideuram ISPB. Sotto Nicola Viscanti, responsabile della rete dei consulenti finanziari di Widiba
competenze in grado includere la protezione, la previdenza, il passaggio generazionale, il patrimonio immobiliare”. All’interno della piattaforma di consulenza Wise di Widiba, sono stati integrati tutti i servizi evoluti di advisory, come spiega Nicola Viscanti, responsabile della rete dei consulenti finanziari di Widiba. «I nostri consulenti sono già in grado di rispondere a diversi target di clientela tra cui gli imprenditori che ci richiedono servizi altamente specializzati per le loro aziende, dai finanziamenti corporate alla finanza agevolata, dal leasing & factoring alla gestione della tesoreria fino ai servizi fiduciari. Il nostro obiettivo è quello di servire tutti i nostri clienti con un occhio di riguardo al target degli imprenditori e dei liberi professionisti. Puntiamo a diventare l’interlocutore privilegiato per rispondere ai bisogni inerenti i vari ambiti, inclusi quelli dell’asset protection e della family governance. Stiamo pensando di introdurre uno spazio digitale condiviso con i clienti nel quale, oltre a dialogare con il proprio consulente, si potranno utilizzare dei tool di tipo educational sulle tematiche patrimoniali. Abbiamo già in calendario un master: il percorso alternerà alle attività didattiche d’aula, momenti di verifica e approfondimento on line, ci saranno testimonianze di studi di Consulenza legali, fiscali, notarili e partner commerciali. Il percorso si conclude con un esame finale al superamento del quale verrà rilasciato un attestato riconosciuto da una prestigiosa Università». giugno 2019
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INTERVISTA A MARCO DEROMA
IL SUPER ADVISOR ITALIANO? È CERTIFICATO di Marco Muffato
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a strada verso la creazione di un sistema di super-consulenti, con competenze che vanno oltre gli orizzonti degli investimenti finanziari, passa anche per la certificazione professionale. L’universo Efpa attualmente è la punta di diamante in Europa nella costruzione di professionisti dotati di adeguate competenze e certificate. E il nostro paese è da sempre un avamposto importante nel sistema della certificazione, come spiega a Investire Marco Deroma, presidente di Efpa Italia.
Deroma, Efpa Italia sotto la sua presidenza ha quota 6000 certificati nel mirino, ponendo l’Italia a paese leader (con la Spagna e la Gran Bretagna) del sistema europeo della certificazione. Quale obiettivo di certificati può raggiungere la fondazione nei prossimi anni e a che condizioni ciò potrà verificarsi? Efpa Italia già oggi si qualifica come sistema di certificazione per financial advisor e financial planner con una reputazione di eccellenza nel nostro paese. L’obiettivo della Fondazione per il futuro è quello di consolidare la propria posizione aumentando il numero dei suoi professionisti certificati mettendo nel mirino proprio i risultati raggiunti da paesi come Spagna e Regno Unito. Per fare ciò sarà necessario aumentare ulteriormente il nostro impegno a collaborare con gli intermediari, sia bancari che reti. Il tutto senza tralasciare il mondo dei consulenti autonomi. Secondo lei attraverso quali tipologie di professionisti il sistema Efpa può crescere ancora in Italia? Bancari, assicuratori o commercialisti? Il bacino di utenza della fondazione 24
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IL PRESIDENTE DI EFPA ITALIA TRACCIA IL FUTURO DELLA CERTIFICAZIONE PROFESSIONALE. NEL MIRINO PURE ASSICURATORI E DOTTORI COMMERCIALISTI si compone in prevalenza di consulenti finanziari appartenenti alle reti di consulenza e al personale bancario. In un sistema finanziario italiano che si contraddistingue per essere tendenzialmente banco-centrico, è naturale che l’attenzione di Efpa Italia sia orientata al trovare un punto di incontro con gli istituti per offrire ai loro dipendenti, interessati a conseguire una certificazione di conoscenze e competenze indipendente e condivisa a livello europeo, l’opportunità di farlo. L’apertura a categorie come quella di assicuratori e commercialisti non è da escludersi, ma molto dipenderà da quali saranno le direttrici di evoluzione del mercato. Risulta più facile comunque immaginare la possibilità di un allargamento del bacino di utenza della fondazione al ramo assicurativo, ancor di più se si considera che i prodotti assicurativi fanno già parte della preparazione richiesta ai candidati che si sottopongono all’esame per le certificazioni Efpa. Ritiene che complessivamente le reti di consulenti finanziari abbiano compreso l’importanza della certificazione professionale, varando programmi formativi finalizzati al conseguimento del certificato per i propri consulenti o potevano fare di più? L’importanza di conseguire un attestato di conoscenze e competenze indipendente e di qualità è stata molto sentita da parte delle reti di consulenti finanziari, interessate a testare il proprio personale sulla base degli standard definiti sia dal livello Eip – European financial practitioner sia dal livello Efa – European financial advisor. Al momento sono in via di sviluppo programmi formativi specifici finalizzati proprio al raggiungimento dei livelli di preparazione idonei al conseguimento delle certificazioni.
COVERSTORY Efpa Italia è di fatto controllata dall’Anasf, l’associazione di categoria dei cf abilitati all’offerta fuori sede. Sono maturi i tempi per l’allargamento della base degli azionisti, per esempio alle associazioni di intermediari come Abi e Assoreti? Quali potrebbero essere i vantaggi? Nonostante Anasf rimanga fondatore e conferente unico di Efpa Italia, la fondazione preserva la sua identità, in linea agli standard di indipendenza tra formazione e certificazione necessari per assicurare dei criteri di valutazione obiettivi e non autoreferenziali. Detto ciò persiste l’interesse a sviluppare una più stretta collaborazione con gli enti formativi che fanno capo agli intermediari, come Abi formazione o Assoreti formazione. La Mifid 2 sta favorendo o ostacolando il processo di crescita della certificazione? Mifid2 ha portato un forte richiamo alla rilevanza dell’attestazione oggettiva di livelli minimi di conoscenza e competenza del personale adibito all’erogazione di informazioni o consulenza in tema di investimento. La ratifica della normativa da parte delle autorità competenti ha mancato di sottolineare l’importanza di una certificazione indipendente, ma stiamo comunque riscontrando una crescente sensibilità verso il tema da parte degli intermediari.
Come sono suddivisi oggi i 6000 certificati? Qual è la certificazione di punta oggi in Italia? Oltre il 50% dei professionisti certificati Efpa Italia hanno prediletto l’Efa, livello di certificazione che riguarda l’attività di consulenza finanziaria. Abbiamo registrato inoltre un forte interesse per l’Eip, indirizzato a coloro che offrono il servizio di consulenza di base, che ha una sua dignità ed è visto come primo step per affrontare i successivi.
Marco Deroma, presidente di Efpa Italia
Ci sono novità in vista per quanto attiene i programmi formativi e gli esami? Efpa è sempre attenta a mantenere i propri livelli di qualifica perfettamente allineati alle novità normative. Lo Standard and qualification committee (Sqc) si occupa di porre periodicamente in revisione i contenuti dei programmi e verificare che le diverse affiliate si siano uniformate nell’applicazione delle modifiche richieste. In questo processo di updating a breve verranno resi noti i nuovi programmi d’esame che vedranno l’ampliamento delle tematiche incluse sia ai temi Esg, sia alle novità normative in ambito di product governance, rendicontazione dei costi e applicazione delle direttive Idd e Mcd. Parliamo dell’Efpa Meeting di Torino, quale sarà il filo conduttore della manifestazione? Durante l’Efpa Italia Meeting di Torino cercheremo di dare una chiave di lettura diversa all’ormai nota ondata di cam-
TUTTI I PROFESSIONISTI CERTIFICATI DA EFPA ITALIA RIPARTITI NEI QUATTRO LIVELLI DEFS
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biamento che ha travolto il mondo della consulenza finanziaria. L’industria è chiamata a mettere in atto una rivoluzione e a mettere in discussione le proprie certezze per abbracciare nuovi modi di operare e di concepire il ruolo stesso del consulente finanziario. La due giorni torinese (6-7 giugno, Centro Congressi Lingotto di Torino, ndr) si concentrerà sulla figura del consulente finanziario, offrendo uno strumento di orientamento che accompagni il professionista a comprendere la propria dimensione e il proprio perimetro operativo, così da poter prendere consapevolezza delle conoscenze e competenze che gli vengono richieste e che meglio rispondono alle esigenze del cliente. In questo percorso i vari stakeholder avranno modo di esprimere la loro opinione, direttamente o indirettamente, grazie a momenti di dialogo e confronto e alla presentazione dei risultati della ricerca europea, in memoria di Aldo Varenna, sulle percezioni del consulente finanziario riguardo il suo ruolo e sul giudizio che i clienti hanno di esso. Interessanti saranno anche i risultati di un sondaggio condotto da Investire volto a raccogliere l’opinione diretta dei risparmiatori italiani sulla figura del financial advisor. giugno 2019
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DOTTORI COMMERCIALISTI
«GESTIONE INTEGRALE DEI PATRIMONI ORA CO-WORKING CON CF E BANCARI» di Sergio Luciano
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arola d’ordine: lavorare insieme per il miglior vantaggio del cliente. Fedele a uno stile di presidenza decisamente collaborativo ed ecumenico, Massimo Miani – al vertice del Consiglio nazionale dei commercialisti – vede nella gestione dei patrimoni non tanto un terreno di concorrenza tra i suoi associati da un lato e i consulenti finanziari o i banker dall’altro, quanto al contrario uno spazio di co-working in cui operare insieme. E il suo consigliere nazionale delegato per la finanza, Lorenzo Sirch, gli fa eco estendendo quest’approccio collaborativo anche al mondo della mediazione creditizia.
Dunque presidente Miani: non pensa che i commercialisti possano di fatto soffiare clienti ai consulenti finanziari? Credo che la nostra professione, che è sempre stata abbastanza varia nel contenuto del rapporto con i clienti, stia rapidamente cambiando e andando verso nuove specializzazioni. Quando ho iniziato io il commercialista si occupava di tante cose. Ora le esigenze sono mutate e questo sta avendo un effetto positivo anche su di noi, perché a nuove esigenze ha fatto riscontro un nuovo e migliore rapporto col cliente. In concreto, cos’è cambiato: i clienti non chiedono più a voi consigli su come investire? No, il commercialista rimane il primo interlocutore del cliente rispetto a tanti temi. E’ visto come un esperto ad ampio raggio sulle materie finanziarie. A me è capitato tante volte che un cliente mi chiedesse anche consigli esterni al perimetro delle mie competenze dirette. Quel che è cambiato è che per anni abbiamo cercato di dare direttamente le risposte necessarie, cercando però anche e sempre che fossero risposte qualitativamente elevate. Poi pian piano quelli tra noi più aperti al nuovo – e oggi ormai direi la stragrande maggioranza – hanno iniziato gradatamente a dirottare i clienti con esigenze specifiche verso altri colleghi più ferrati, più specializzati; o anche verso altri professionisti, purchè noti e stimati. Senza pretendere di gestire per forza il rapporto in prima persona. Dunque un’apertura alle collaborazioni? Sì, si sono creati percorsi e relazioni naturali, perché le competenze di maggior livello che talvolta ci vengono richieste vanno fatte trovare presso i soggetti più adatti, con un sistema sinergico tra vari professionisti che devono ovviamente lavorare insieme su tematiche tipo quella di cui parliamo - la gestione
LA STRADA MAESTRA PER IL FUTURO È NELLA SINERGIA TRA PROFESSIONISTI. MA ORA I COMMERCIALISTI PUNTANO ANCHE ALL’ALBO OCF
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In alto Massimo Miani, presidente del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti
integrale dei patrimoni - su cui converge efficacemente la mia professione con quella del consulente finanziario come del notaio… Ma c’è spazio per tutti? Concettualmente sì, poi in pratica dipende dalle dimensioni di un dossier e dunque da caso a caso, ma ci sono migliaia di esempi virtuosi in cui si lavora magari anche in quattro per un unico progetto di un solo cliente, dividendosi i compiti per competenze e priorità. Per questo stiamo promuovendo queste
COVERSTORY genere di collaborazioni. Abbiano una norma del nostro ordinamento che indica le materie di nostra competenza ma io stesso non mi vergogno a dire che non mi considero ugualmente ferrato su ciascuna di esse! Quindi lei auspica una più diffusa abitudine a smistare il lavoro collaborando con i colleghi in base alle competenze di ciascuno? Assolutamente sì! Anche nell’ambito della nostra categoria il metodo collaborativo è qualificante, al di là di gelosie inappropriate. Non devo aver timore di passare un incarico a un collega più ferrato, il quale naturalmente dovrà riconoscermene il merito… ci sono attività che a volte vengono date all’esterno oppure non vengono trasferite a nessuno, anche a costo di perderle o di non dare il servizio come si dovrebbe! A volte si è portati a dissimulare le proprie inevitabili carenze – vista l’enorme complessità delle materie di cui ci occupiamo – e invece bisogna cambiare mentalità, non aver paura di dire che non si è tuttologi. E allargare il giro delle collaborazioni. E’ ovvio che chi – come me in questo momento – opera nell’ambito di studi molto strutturati può trovare all’interno della sua struttura tutto quel che occorre, ma chi non agisce in simili ambiti deve riuscire a perseguire un’offerta di alta qualità ai clienti anche facendosi affiancare da altri… Dunque il commercialista istruisce la pratica di base, come un medico di medicina generale, e poi indirizza il cliente verso lo specialista? Metafora ardita, ma rende. Se occorre, si indirizzi il cliente dove sarà aiutato con maggior competenza. Noi possiamo sempre fare una prima parte del lavoro: avendo una visione molto ampia delle esigenze del cliente, del suo stato patrimoniale, possiamo fare un’analisi globale delle sue necessità, fungendo da play-maker anche nelle fasi successive. Ma dopo aver analizzato le sue esigenze e delineata una strategia, non si deve temere di rivolgersi a terzi. E’ un’esigenza di cambio culturale per tutti noi, siamo noi quelli che in passato siamo stati abituati a fare tante cose in proprio, ma oggi a livello specialistico devi farti supportare. Infine presidente: con quali categorie vede meglio e più facile e proficua la collaborazione dei commercialisti?
Sotto Lorenzo Sirch, consigliere del Consiglio nazionale dei commercialisti con delega ai temi finanziari
Direi sicuramente il consulente finanziario e il funzionario di banca, anche più dei notai… E come si può immaginare una configurazione di queste nuove attività di frontiera tra la professione del commercialista e queste altre professioni? La domanda – suggerisce il presidente Miani – va girata a Lorenzo Sirch, consigliere nazionale dell’ordine con delega ai temi della finanza. Da tempo assistiamo alla proliferazione di figure professionali che divengono istituzionali perché vengono rese titolari, con pretesa di esclusività, di attività in parte svolte tradizionalmente anche da noi commercialisti. Parlo per esempio di attività che oggi ricadono nella consulenza finanziaria indipendente - non quella dei consulenti abilitati all’offerta fuori sede - rientrante nell’ambito dell’Organismo consulenti finanziari (Ocf, n.d.r.) o della mediazione creditizia rientrante nell’ambito dell’Organismo degli agenti e dei mediatori creditizi (Oam, n.d.r.). I casi lampanti di quanto dico sono appunto rappresentati dall’Ocf e dall’Oam. In entrambi i casi ci sono innegabilmente alcune sovrapposizioni, sia pur limitate, tra parti di attività storicamente svolte dai commercialisti e attività svolte invece dagli iscritti a questi elenchi. L’Ocf è un organismo vigilato dalla Consob, l’Oam dalla Banca d’Italia: sono ormai strutturati in un modo affine a quello degli ordini professionali… Come vorreste regolarvi nei confronti loro e dei loro iscritti? Con entrambi stiamo cercando di trovare un modus operandi che possa permetterci di continuare a fare il lavoro che tradizionalmente facciamo, senza sovrapporci alle attività che vengono regolate da questi organismi. E in particolare per l’Ocf? Vediamo con favore e quindi chiediamo che i commercialisti che già svolgano da tempo anche quelle attività – sono una minima parte rispetto al totale degli iscritti – e che ne abbiano acquisito le competenze, possano iscriversi anche all’Ocf, naturalmente assoggettandosi alla normativa prevista da quest’organismo. Ok, ma per iscriversi accettereste di dover superare un esame oppure no? Su questo tema, indubbiamente cruciale, stiamo perfezionando una proposta che dovrà necessariamente essere vagliata in ambito legislativo. Ma le rispondo sulle linee di massima: riteniamo che l’iscrizione dovrebbe essere automatica per coloro che possano comprovare di svolgere già da tempo e regolarmente quelle attività. E per l’Organismo degli agenti e mediatori creditizi? Le norme attuali prescrivono che per mettere professionalmente in contatto banche e imprese si debba iscritti a tale organismo: e anche in questo caso vorremmo estendere l’ambito della pratica a chi, tra noi, già svolga questo lavoro. Siamo certi che quest’attività di rating advisor non infranga nessuna normativa e anzi consenta di svolgere al meglio le altre attività caratteristiche dei commercialisti. giugno 2019
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INTERVISTA A GIANEMILIO OSCULATI
VUOI DARE RENDIMENTO AI CLIENTI? RISCHIA DI PIÙ E DIVERSIFICA
«Q
uello che negli ultimi vent’anni è stato stabilito per proteggere l’investitore da truffe e malversazioni si è tradotto in realtà in un freno a mano che ha bloccato il mercato del risparmio italiano. Si è tradotto in un freno al rischio e alla crescita delle competenze, mentre il rischio e le competenze sono alla base della possibilità di ottenere rendimenti importanti da un investimento”: Gianemilio Osculati, come suo stile da sempre, non le manda a dire. Uno dei più brillanti e versatili manager italiani, ex capo per tanti anni di McKinsey, ristrutturatore con grande successo della Banca d’America e d’Italia all’epoca della sua acquisizione da parte di Deutsche Bank, responsabile del wealth management di Banca Intesa, presidente di Eurizon e a.d. di IntesaSanPaolo Vita, senior advisor di KKR e innovatore seriale soprattutto nel settore assicurativo e finanziario, è oggi di nuovo – dopo un breve passaggio come a.d. di Banca Progetto - in prima linea con una serie di iniziative imprenditoriali tra operazioni speciali e finanziamenti alle imprese e alle Pmi con la sua Osculati & Partners, a due passi dalla Biblioteca Ambrosiana. Dunque le disquisizioni sulle nuove pratiche eccellenti nella gestione dei patrimoni sul mercato italiano la lasciano un po’ indifferente… Non crede che un approccio integrale alle esigenze del cliente sia vincente? Rispetto profondamente l’impegno che tanti operatori pongono nel qualificare sempre di più il rapporto con il cliente e i servizi erogati. Mi sembra però ci si sia dimenticati che se non si può prendere rischio non si guadagna. Per tanti anni le autorità regolatorie hanno posto limiti alla rischiosità degli investimenti e ora ci 28
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di Sergio Luciano
IL MESSAGGIO DEL TOP MANAGER «IL MERCATO DEL RISPARMIO BLOCCATO DALLE NORME COME DA UN FRENO A MANO»
A destra Gianemilio Osculati
troviamo in una situazione nella quale la ricchezza media della famiglia italiana ha perso molte posizioni. E cosa cambierebbe nelle regole? Tanto. A cominciare dalla cultura del rischio. Ripeto: investire significa prendere rischi, altrimenti non si ottengono rendimenti positivi. Oggi, addirittura, anche con un po’ di rischio i rendimenti rimangono negativi. Di fatto l’ordinamento in essere impedisce a quasi tutti i risparmiatori di accedere direttamente ai prodotti di vero rischio. Non si può investire, nella pratica, nel private-equity internazionale e non si può investire negli hedge fund internazionali. Eppure le grandi università americane e gli stessi fondi pensione Usa diversifi-
COVERSTORY cano pesantemente su private equity ed hedge fund, che sono Dunque se lei andasse alla Consob? le asset class migliori ormai da tempo. Invece nei fatti cosa acNon scherziamo, per fortuna alla Concade nel nostro mercato? Che il grosso delle risorse finiscono sob è andata una personalità di assoluto convogliate in prodotti vigilati, cioè costruiti pensando a come e grandissimo livello come Paolo Savofarli approvare dalle autorità, non a come produrre rendimenna, che troverà molto da fare e lo farà. ti. Fondi comuni, anzi comunissimi. Che vengono offerti a scafSi aspetta così tanto dalla nuova prefale al pubblico indistinto. sidenza? E i consulenti professionali? Conosco bene e seguo da tanti anni il Oggi non sono la soluzione, mentre potrebbero esserlo. Il riprofessor Savona e lo considero prepasparmiatore senza skill adeguata può solo accedere ai prorato e lucido come nessun altro. È una dotti praticamente privi di rischio e quindi di rendimento, persona eccezionale. anche se si fa affiancare da consulenti specialisti. In pratica: si Una curiosità: lei ha lavorato molto possono acquistare solo prodotti con poco rischio per creare nel settore assicurativo, dove il coportafogli con poco rischio anche se ci si affida a esperti. È una re-business non è assumere rischi ricetta per la povertà, specie per i più giovani. ma neutralizzare il rischio… Quindi, che fare? Non è necessariamente così. Per esemQuel che andrebbe fatto è far assimilare ai risparmiatori e agli pio, appena entrato nel settore, tanti intermediari la cultura del rischio. Avvicinare il risparmio al anni fa, togliemmo liquidità alle polizze rischio. Rischio consapevole, certo. Quindi, assolutamente, riVita lanciando un prodotto che chiaschio diversificato. Il problema non si risolve tenendosi alla mammo Orizzonte 7 anni. La logica era: larga dalle asset class considerate rischiose, ma diversificanse il cliente rinuncia alla liquidabilità do. Ciò che le istituzioni dovrebbero assicurare, oltre alla propermanente dell’investimento, il gestore fessionalità e alla indipendenza dei consulenti, è la diversifiinveste meglio. Perché fare il 15% in 5 cazione degli investimenti: non è grave che io rischi molto, è anni è più facile che fare il 3% annuo per grave se concentro tutte le mie risorse su un’unica scelta ad 5 anni! E così fu: i rendimenti per il clienalto rischio. Che è poi esattamente quanto è accaduto a molte te salirono. Fu un prodotto di grandissivittime delle popolari venete. mo successo: il cliente aveva accettato il In concreto? rischio di non avere liquidità, ma in camOccorre riscrivere le regole e aprire il mercato del risparmio bio otteneva tanto. Abbiamo anche fatto alle due asset class più ricche, private equity ed hedge fund, di altre innovazioni. Per esempio abbiamo qualsiasi Paese e senza inutili ostacoli. Il compito dei governi è tolto per primi il rendimento minimo di mettere a disposizione dei propri cittadini i prodotti migliogarantito sulle polizze Vita, limitandoci a ri del mondo, incluso quelli finanziari. A condizione, naturalgarantire il capitale. Mi spiego: se come mente, che chi voglia puntare sulle opportunità più rischiose gestore sono costretto a garantire l’1% venga affiancato da soggetti accreditati. tutti gli anni, investo in un bond al 2%, Cosa suggerirebbe oggi a un venticinquenne che volesse lucro la differenza e mi fermo lì. Ma se investire un piccolo patrimonio pensando al proprio fusono libero di operare senza il vincolo turo non immediato? del rendimento minimo magari investo Probabilmente, di investire significativamente nell’azionario in prodotti più performanti ma a magUsa, che da 150 anni outperforma tutte le altre Borse. Di ingiore rendimento. E il prodotto Vita così vestire inoltre un 5-10-15 per cento al massimo sui mercati dà migliori rendimenti finali al cliente. emergenti, sulla Cina per esempio. E di avere una prospettiva Il rischio di non avere un rendimento di lungo periodo. Dobbiamo importare il modello vincente: garantito ogni anno si traduce in rendiprendere rischi, diversificare gli investimenti e decorrelarli. E menti migliori nel tempo. avere una visione a lungo. Però, Osculati: non è un po’ ingeneroso con l’industria del risparmio GLOSSARIO: CHE COS’È LA DIVERSIFICAZIONE gestito? Credo che il mondo del risparmio gestirischiare non è considerata dagli to sappia bene che con i limiti di oggi si Il rischio è una componente operatori una buona scelta perchè produce ben poca ricchezza. Per carità: imprescindibile degli investimenti: l’inflazione andrà ad erodere il valore anche i fondi comuni Ucits possono an- per questo la diversificazione è la dei risparmi nel tempo. L’inflazione è dar bene, ma sono mattoncini di una regola d’oro di ogni strategia.Più una certezza, mentre il rischio si può costruzione alla quale mancano le parti precisamente diversificare vuol dire gestire con l’aiuto di un esperto che essenziali, sono prodotti semplici, in- distribuire le risorse su numerosi sia capace di costruire un portafoglio dustriali. Ripeto: alla fine, i mercati che strumenti (possibilmente con diversificato. Il suggerimento è di rendono veramente sono pochi e sono caratteristiche diverse) in modo da essere diffidenti con chi consiglia tutti caratterizzati da un certo livello di bilanciare il rischio e ottimizzare i di investire in un solo “paniere”. profitti. Non investire per paura di rischio. giugno 2019
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UN TEAM DI GESTIONE ESPERTO Il Global Sustain è gestito dal team International Equity, lo stesso team che gestisce il fondo Global Brands, che conta più di 20 anni di esperienza nella gestione di portafogli azionari globali di alta qualità e che, ad oggi, gestisce un patrimonio di oltre 37 miliardi di dollari.
CODICI ISIN
MORGAN STANLEY INVESTMENT FUNDS
Global Sustain Fund
Classe A
LU1842711845
Classe AH
LU1905620776
Classe B
LU1966773217
Classe BH
LU1966773134
Classe C
LU1966773050
Classe CH
LU1966772912
State cercando un portafoglio ESG di qualità? Pensiamo che considerare le questioni ambientali, sociali e di governance (ESG) sia fondamentale per il compounding. La nostra nuova offerta, il Global Sustain, mira ad investire in società di alta qualità in grado di generare elevati livelli di rendimento sostenibile. Il comparto esclude società che investono nella produzione di tabacco, alcol, intrattenimento per adulti, gioco d’azzardo, armi controverse o armi da fuoco e combustibili fossili. Il risultato è un portafoglio azionario globale ad alta convinzione e massimo coinvolgimento nel sostenibile, con emissioni ridotte e basato sulla qualità. Il Global Sustain investe in un portafoglio ESG di altissima qualità.
Siamo direttamente e continuamente coinvolti dai management delle aziende in cui investiamo per poter esercitare un’influenza significativa su questioni chiave, come quelle legate ai fattori ESG.
Incontri del 2018
2
Emissioni ridotte2
Global Sustain è un portafoglio a ridotta intensità di CO2, con emissioni più basse del 10% rispetto alla media delle società appartenenti all’indice MSCI World.
Tonn. di CO2 /$m investiti
406
134 229
Incontri con la dirigenza
Incontri dedicati a tematiche ESG
8 Global Sustain
MSCI World
3
Costruito sulla qualità3
Il team ricerca aziende in grado di generare elevati rendimenti sostenibili per lunghi periodi. Il risultato è un portafoglio che tende ad avere rendimenti più elevati sul capitale operativo e una maggiore stabilità dei margini rispetto ai fondi competitor della stessa categoria.
Posizionamento del Global Sustain rispetto ai fondi competitor della stessa categoria3
Stabilità del margine a 10 anni (%)
1
Massimo coinvolgimento1
100
Global Sustain
75
50
0
25 50 75 ROOCE 12 mesi precedenti (%)
1 Tutte le interazioni intercorse tra i gestori di portafoglio del team International Equity e i dirigenti o membri del CdA tra il 1° gennaio e il 31 dicembre 2018 in cui sono stati discussi fattori E, S, o G rilevanti. Dati aggiornati annualmente.
MSCI ESG Research definisce l’impatto ambientale di un portafoglio in base alle emissioni di carbonio (Scope 1 e 2) di un portafoglio per milione di dollari investiti. L’impatto è calcolato, in proporzione alla quota di proprietà dell’investitore, sommando tutte le emissioni relative a un portafoglio in base ai dati dichiarati o stimati.
2
3 ROOCE (redditività del capitale operativo impiegato) = EBITA (utile al lordo d’interessi, imposte e ammortamento)/Ppe (proprietà, impianti, macchinari) + capitale circolante netto commerciale (avviamento escluso). Esclusi i titoli finanziari.
A uso esclusivo dei clienti professionali. Il valore degli investimenti e i proventi da essi derivanti possono aumentare come diminuire e il capitale restituito può essere inferiore a quello inizialmente investito. Comunicazione di marketing pubblicata da Morgan Stanley Investment Management Limited (“MSIM”), società autorizzata e regolamentata nel Regno Unito dalla Financial Conduct Authority. Sede legale: 25 Cabot Square, Canary Wharf, London E14 4QA. Registrata in Inghilterra e Galles con n. 1981121. Questo tipo d’investimento comporta rischi aggiuntivi. Per l’informativa completa sui rischi si rimanda al Prospetto del comparto e al Documento contenente informazioni chiave per gli investitori. Documenti disponibili gratuitamente all’indirizzo sopra riportato oppure online all’indirizzo morganstanley.com/im. Le opinioni espresse sono quelle degli autori al momento della pubblicazione e possono variare in base alle condizioni economiche e del mercato. Non ci assumiamo alcuna responsabilità di aggiornare le informazioni/opinioni contenute in questo documento o comunque notificare eventuali modifiche delle nostre opinioni, della ricerca o delle informazioni. © 2019 Morgan Stanley. Tutti i diritti riservati.
2458700 Scad. 13/03/2020 9580571
RAPPORTO
EXCHANGE-TRADED FUND Forse tra qualche tempo saranno i prodotti finanziari più amati dagli italiani, anche più dei fondi comuni d’investimento. Hanno costi molto bassi, sono semplici e trasparenti, i rendimenti sono tracciabili e la liquidabilità è quasi sempre assicurata. La Mifid 2 poi sta dando la spinta decisiva alla loro affermazione ASSET MANAGEMENT
LA GRANDE AVANZATA DEGLI ETF METTE IN CRISI LA GESTIONE ATTIVA di Gloria Valdonio
L
a proliferazione degli Etf (Exchange-traded fund) e la varietà degli strumenti a replica passiva degli indici a disposizione degli investitori è addirittura inebriante. Da quando sono stati lanciati (era il 1989 quando fu scambiato il primo Etf negli Stati Uniti e in Canada) hanno iniziato a farsi spazio tra i più tradizionali fondi comuni di investimento, mentre è aumentato il loro peso nelle gestioni, nelle unit linked, nei prodotti assicurativi e to che gli Etf sono molto flessibili e sono pubblicizzati anche anche nei fondi della previdenza complementare. Gli Etf piac- come sostituti dei futures, mentre gli Etf con leva finanziaria ciono anche ai trader, e questo perché è molto chiaro che cosa e inversa sono spesso impiegati da hedge fund per eseguire ci si aspetta da loro: replicare l’indice selezionato. Piace mol- posizioni lunghe o corte. Per queste caratteristiche sono moltissimo anche il loro costo, che è nettamente inferiore a quello to amati anche dai trader. «Il grande vantaggio per il privato delle gestioni attive, la tracciabilità dei rendimenti (segui l’in- è che può accedere a questi strumenti alle stesse condizioni dice e sai come si comporta l’Etf), la liquidabilità (quasi sem- di prezzi degli investitori istituzionali», spiega Silvia Bosoni, pre assicurata), nonché la semplicità e la trasparenza dei costi responsabile Etfs, Etps e fondi di Borsa Italiana. «E questo è resa inevitabile dalla Mifid 2. Al punto che molti si domandano tanto più vero in Borsa italiana, dove la presenza degli investise la gestione attiva non si avvii a un lento crepuscolo nelle tori retail è testimoniata dal controvalore medio dei contratti scelte degli investitori, se è vero che – come emerge da uno scambiati che è di circa 22mila euro, un valore sensibilmente studio europeo di Greenwich Associates inferiore a quello delle altre piazze eu(BlackRock) su 127 investitori istituzioropee e più simile ai mercati americanali - nel 2018 le allocazioni in Etf sono ni». Borsa italiana tra l’altro contende aumentate del 50%, raggiungendo il a Deutsche Boerse il primato in Euro15% del totale del patrimonio in gestiopa come numero di contratti siglati nel ne. Gli investitori istituzionali – è scritto 2018, mentre a marzo si è piazzata senella ricerca - stanno utilizzando gli Etf conda come controvalore degli scambi sia come strumenti tattici sia strategici dietro Londra. di lungo periodo nella costruzione del portafoglio. Nel reddito fisso poi le alLa rivoluzione locazioni in Etf sono raddoppiate, pari Quanto al mercato mondiale, ha superaa un’incidenza del 20% del patrimonio to i 5 trilioni di dollari a gennaio e negli totale, così come per le allocazioni in Etf ultimi dieci anni ha segnato un tasso di azionari, incrementate dal 14% degli crescita annuo del 19%, mentre l’increSILVIA BOSONI DI BORSA ITALIANA asset nel 2017 a circa il 28%. Va aggiunmento annuo dei fondi di investimento
IN EUROPA I FONDI PASSIVI POTREBBERO RAPPRESENTARE TRA IL 25 E IL 28% DEL MERCATO DEI FONDI COMUNI ENTRO IL 2025
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RAPPORTO/EXCHANGE-TRADED FUND nello stesso periodo è stato del 2%. In Europa gli Etf hanno iniziato a essere scambiati in Borsa solo negli anni 2000, ma il gradimento è stato grande e il patrimonio gestito è passato da 100 miliardi di euro di fine 2008 a 760 miliardi del primo trimestre 2019 e oggi rappresenta l’8,6% dell’Aum (Asset under management) totale dei fondi d’investimento europei, rispetto al 5,5% di cinque anni prima. Come spiega Morningstar l’adozione di Etf in tutta Europa dovrebbe accelerare, stimata da cambiamenti normativi favorevoli, innovazione e un crescente riconoscimento dei benefici a lungo termine degli investimenti a basso costo e il settore potrebbe arrivare a 2 mila miliardi di attività già nel 2024. “Nel frattempo”, è scritto nel report, “i fondi passivi nel loro complesso, cioè gli Etf e i fondi comuni indicizzati, si prevede continueranno a prendere la quota di mercato dalle loro controparti attive, e potrebbero rappresentare il 25-28% del mercato europeo dei fondi di investimento nel 2025. E si ritiene che gli Etf saranno la forza trainante di questa crescita”. «I maggiori utilizzatori saranno gli investitori istituzionali con i tassi di crescita maggiori per i fondi pensione e per le assicurazioni», è il commento di Francesco Branda, head of passive & Etf specialist sales Italy di Ubs AM il primo provider di Etf Sri in Europa con un 34% di market share secondo i dati Morningstar di fine aprile.
Passivo batte attivo Questi sono i numeri, e la consulenza finanziaria indipendente non ha dubbi. «Gli Etf sono molto meno costosi anche dell’80% all’anno come carico commissionale, spesso più redditizi e sempre più intelligenti nella formula “smart beta», afferma Salvatore Gaziano, direttore investimenti di SoldiExpert. «E tutte le analisi dimostrano che tra un fondo e un Etf, quest’ultimo è migliore come rischio/rendimento per l’investitore nel 90% dei casi». Nella gestione attiva dei fondi d’investimento, spiega ancora Gaziano, i costi, che vengono spalmati nella catena distributiva, possono essere anche del 2-3% annuo, e anche di più per quelli azionari; mentre per gli Etf il costo di gestione è nettamente più basso, e questo regala nel tempo un vantaggio importante a prodotto. «I risparmiatori dovrebbero quasi sempre preferirli ai fondi, soprattutto nel caso di patrimoni medio-bassi», dice ancora Gaziano, «ma nella realtà banche e reti propongono i fondi d’investimento, perché ottengono cospicue retrocessioni in media il 75% del costo di gestione viene retrocesso al collocatore, mentre sugli Etf no». «La replica passiva di un paniere, che non prevede remunerazione a un gestore, ha impatti importanti anche per gli investitori istituzionali», aggiunge Andrea Cattapan, responsabile area risparmio gestito di Consultique. «I grandi distributori retail fanno fatica ad accettare gli Etf perché sono economici», aggiunge Enrico Camerini, head of Institutional clients Ishares Italy del gruppo BlackRock, «eppure l’Etf è un ottimo strumento in mano a un gestore di portafoglio, anche attivo, perché permette di entrare immediatamente in un certo mer32
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Nella foto a sinistra Francesco Branda di Ubs AM. Nella foto a destra Andrea Cattapan di Consultique
cato e a un certo prezzo». In ogni caso il trend a favore degli investimenti a costi bassi, o molto bassi, è favorevole, così come la guerra sulle comissioni, e dopo che Fidelity ha lanciato negli Stati Uniti i primi fondi indicizzati a costo zero, “ora sono in molti a domandarsi chi lo farà per primo sul mercato europeo”, si legge in un report Morningstar.
Risultati smart Costano poco, questo è chiaro. Ma sono anche vincenti? Un’analisi condotta dal team di ricerca di Lyxor, che copre circa 7mila fondi per 1.600 miliardi di euro ha dimostrato che nel 2018 solo il 24% dei gestori attivi ha sovraperformato il
BORSA ITALIANA CONTENDE A DEUTSCH BOERSE IL PRIMATO DEI CONTRATTI SIGLATI
Nella foto a destra Enrico Camerini di Ishares Italy
proprio indice di riferimento durante l’anno, in netto calo ri- fare prezzo, come è successo il giorno successivo alla Brexit, spetto al 48% del 2017 e alla media decennale del 36%. Ma anche l’Etf può avere difficoltà. Ma queste sono situazioni ci sono analisi ancora più drastiche. «Dalle nostre statistiche limite». Quanto ai prodotti più rischiosi, quelli a leva, i più solo il 5-10% dei fondi europei a dieci anni è riuscito a battere aggressivi, perché pur avendo un patrimonio separato dall’ei rispettivi benchmark di categoria, mentre - facendo confron- mittente come tutti gli Etf, il loro funzionamento di replica ti omogenei - gli Etf risultano vincenti nel 90% dei casi», affer- della performance degli indici espone a incrementi o molto ma Cattapan, secondo il quale diversi Etf di ultima generazio- positivi oppure molto negativi. In ogni caso, secondo gli opene, definiti smart beta, che applicano algoritmi per replicare ratori, alcuni Etf sono così liquidi e il controvalore scambiato il paniere di riferimento modificandolo (includendo magari è così significativo da non rappresentare un problema. E anle società con i migliori fondamentali di bilancio, le migliori che la proliferazione dei prodotti non vede segni di frenata. prospettive, o prendendo i titoli meno volatili o meno esposti al ciclo economico) allo scopo di fare meglio dell’indice per- Crescita a doppia cifra mettono di fare una gestione attiva dando modo all’investitore E allora quali sono le previsioni degli addetti ai lavori? “Gli di attuare le sue strategie. «Il mercato Etf per una percentuale Etf diventeranno sempre più popolari in Italia e una spinta molto alta investe in repliche passive», importante potrebbe darla la Mifid 2 dice Antonio Gatta, co-branch manager che incoraggia una maggiore attenzioe institutional sales director di Franklin ne ai costi. In quest’ottica gli Etf divenTempleton in Italia. «Ma negli ultimi tano una soluzione piuttosto competitianni si sono aggiunti prodotti smart va”, dice Roberto Rossignoli, portfolio beta che vanno a migliorare il profilo manager di Moneyfarm. “Ci aspettiamo di rischio/rendimento riducendo i moun tasso di crescita a doppia cifra per menti di downside e le correzioni soil mercato italiano, superiore a quella prattutto nel mercato obbligazionario: dell’industria del risparmio gestito in sono prodotti che superano la dicotomia generale”, è l’opinione di Branda. Ma strategia attiva e passiva, il cui obiettivo quali Etf cresceranno? Se oggi il merè fare meglio dell’indice». In ogni caso cato investe soprattutto in Etf azionari per gli operatori tra le due strategie prevalentemente passivi, spicca il peso non c’è antagonismo, ma cooperazione. crescente degli Etf obbligazionari. Solo «Riteniamo che i fondi a gestione attiva in Europa, alla fine del 2018, il numero ANTONIO GATTA DI FRANKLIN TEMPLETON e quelli a gestione passiva presentino di prodotti quotati di tipo obbligaziovantaggi differenti a seconda delle dinario ha superato la soglia di 400 (per verse fasi del ciclo economico» è il comlo più Etf) per un patrimonio di oltre mento di Marlène Hassine Konqui, 198 miliardi di dollari rispetto ai cirhead of Etf research e di Jean-Baptiste ca 137 miliardi di dollari di attività a Berthon, senior cross-asset strategist fine del 2016. «Uno degli elementi più di Lyxor AM. «Nelle fasi recessive sarebattraenti degli Etf è che con un’unica be opportuno privilegiare i fondi attivi operazione, un investitore può effettie alternativi, mentre nella fase iniziale vamente aggiungere migliaia di obblidel ciclo economico gli investitori dogazioni al proprio portafoglio» spiega vrebbero preferire gli strumenti passivi, Simone Rosti, responsabile per l’Italia poiché il beta diventa la fonte di perfordi Vanguard. «Pochi gestori professiomance principale. Nelle fasi intermedie nali possono ottenere un’esposizione e avanzate del ciclo economico, carattecosì ampia e diversificata in modo così rizzate da una più fragile direzionalità economico come quello degli Etf. InolROBERTO ROSSIGNOLI DI MONEYFARM dei mercati, la giusta combinazione di tre, gli investitori acquisiscono un’efondi attivi e passivi può offrire notevoli sposizione su obbligazioni a cui è diffivantaggi». «Il nostro portafoglio ideale cile accedere: la disponibilità di alcune è composto per il 50-60% da Etf, per il obbligazioni si è infatti notevolmente 20-30% da fondi flessibili o alternativi, ridotta dal 2008 e dall’avvio delle polie per il 10% da certificati», è l’opinione tiche di allentamento quantitativo delle invece di Cattapan. principali Banche centrali e gli Etf sono intervenuti per colmare il divario. Ciò è Liquidità diffuso in settori quali corporate bond, E allora è inevitabile affontare la più high yield e debito dei mercati emergrande preoccupazione di ogni invegenti». stitore: gli Etf sono liquidi? «In linea di massima è garantito lo smobilizzo Sostenibilità, naturalmente del mercatodall’emittente», dice CattaMa il mercato non è fermo alla dialetSALVATORE CATALANO DI VAN ECK pan. «Solo se il sottostante non riesce a tica equity-bond. La strategia degli giugno 2019
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RAPPORTO/EXCHANGE-TRADED FUND operatori mira a innovare e trovare nuove soluzioni per gli investitori. «L’innovazione è l’arma essenziale in tutti i settori per avere successo», dice Salvatore Catalano, responsabile per l’Italia di VanEck. «E la nuova frontiera è rappresentata dai prodotti che aggiungono qualcosa all’indice, come i prodotti settoriali, i prodotti smart, e soprattutto quelli sostenibili». «Prevedo una crescente attenzione sulla parte attiva e sugli Esg, perché sia il retail che gli istituzionali guardano sempre di più alla sostenibilità», conferma Gatta. «Tra qualche anno tutti i prodotti saranno Esg, che anche a livello europeo potrebbe diventare un criterio di valutazione imposto dai regolatori», aggiunge Giuliano D’Acunti, responsabile commerciale Italia di Invesco. La conferma è data dalla ricerca di Greenwich Associates, secondo la quale gli investitori istituzionali europei stanno integrando gli standard ambientali, sociali e di governance (Esg) nei loro processi di investimento e molti di questi investitori utilizzano proprio gli Etf come veicolo favorito per adottare tali esposizioni Esg. Inoltre quasi la metà dei partecipanti allo studio prevede di avere oltre il 50% del patrimonio complessivo investito con criteri Esg entro i prossimi cinque anni. La tendenza poi è costruire prodotti assolutamente originali sono poi alcuni prodotti assolutamente originali. Uno su tutti, l’Invesco Msci Europe Esg Leaders Catholic Principles Ucits Etf, che è stato quotato da pocco ed è l’unico nel suo genere. Si tratta della replica fisica dell’Indice Msci Europe Select Catholic Principles che investe in aziende europee che aderiscono alle linee guida di responsabilità e sostenibilità a cui si aggiungono i criteri di esclusione dettati dai principi cattolici. «In altre parole il sottostante non include armi, contraccezione, pornografia e staminali, cioè tutto il settore farma», spiega Franco Rossetti, Etf senior relationship manager di Invesco. Se queste sono le tendenze, il futuro è incerto per gli strumenti più inefficienti, nonché, per le gestioni con costi troppo elevati e non giustificabili, e per i prodotti strutturati più complessi. «Credo che in questo senso gli Etf stiano contribuendo a costruire nuovi standard in termini di trasparenza», dice Rossignoli. 34
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NELLA GESTIONE ATTIVA I COSTI POSSONO RAGGIUNGERE ANCHE IL 2-3%, NEGLI ETF LE SPESE SONO DI POCHI CENTESIMI Sopra da a sinistra a destra Giuliano D’Acunti e Franco Rossetti di Invesco.
Emittenti italiani, dove sono? Nonostante l’espansione il mercato degli Etf resta concentrato con i primi tre emittenti che controllano circa i due terzi degli asset. In particolare iShares è al primo posto con una quota del 44,6% e il suo primato è particolarmente schiacciante proprio nel reddito fisso, dove controlla più del 60% delle attività. Seconda è Xtrackers, la cui quota è passata dal 9,8 all’11%, in parte grazie al consolidamento tra la divisione degli Etf e quella degli Etc (i prodotti specializzati sulle materie prime), seguita da Lyxor con l’8,4%. Gli ultimi due anni hanno visto poi una raffica di fusioni e acquisizioni nel mercato Etf europeo e l’ingresso di molti dei più grandi gestori patrimoniali del mondo. Da segnalare l’acquisizione di Source da parte di Invesco, passando così da operatore di nicchia in uno dei primi dieci fornitori di Etf in Europa. WisdomTree ha acquisito l’attività di commodity di Etf Securities e ora è diventata leader nelle materie prime. Di dimensioni più ridotte è stata l’acquisizione di Think Etf da parte dell’olandese VanEck per ampliare la presenza europea. Altri protagonisti, tra cui Tabula e Candriam, hanno debuttato negli ultimi due anni, mentre le americane Fidelity, Franklin Templeton e JPMorgan sono entrate nel mercato degli Etf con le proprie piattaforme e Goldman Sachs dovrebbe farlo nel 2019. L’Italia è sempre sorprendente: ci giochiamo il primo posto con Deutsche Boerse per numero di contratti e controvalore scambiato su Etf, eppure non ci sono emittenti domestici. Perché? «Tutti i principali emittenti esteri hanno deciso di quotare i loro prodotti anche in Italia perchè il mercato Etfplus garantisce un’elevata liquidabilità grazie alla presenza di diverse figure di market making e i clienti italiani e non solo comprano su Etfplus perlo stesso motivo: book profondo e spread contenuti», è la risposta di Bosoni.
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RAPPORTO/EXCHANGE-TRADED FUND
L’
uragano Vanguard si è abbattuto sul mercato italiano 5 mesi fa con la presentazione in Borsa . Ne parliamo con Simone Rosti, responsabile per l’Italia di Vanguard.
Rosti, può fare un primo bilancio della vostra attività in Italia? Fin dalla presentazione abbiamo dichiarato di voler lavorare con tutti gli interlocutori presenti sul mercato: consulenti finanziari, clienti istituzionali e privati. Con i cf siamo consapevoli delle difficoltà a essere distribuiti perché Vanguard a differenza di altri operatori non concede retrocessioni di prodotto. Fatta la premessa, in 5 mesi abbiamo già ricevuto significativi riscontri di apprezzamento avendo raccolto alcune centinaia di milioni. Siamo partiti in Borsa Italiana dal 16° posto e siamo arrivati al 9° posto come masse grazie a questa raccolta. Il bilancio per ora è assolutamente positivo. Il mercato come vi ha accolto? Direi con stupore e interesse. Lo stupore è dovuto al fatto che Vanguard ha fatto il suo ingresso in Italia all’indomani della entrata in vigore della Mifid 2, una normativa che favorisce operatori con un approccio trasparente come il nostro. L’interesse è dovuto alla comprensione della nostra struttura mutualistica che è la vera ragione dei costi bassi che pratichiamo. Quali sono i vostri obiettivi in Italia? Non è un mercato affollato? I nostri obiettivi sono tre. Il primo è di contribuire a ridurre i costi e le complessità per i risparmiatori. Il secondo è di far conoscere Vanguard come società, la sua struttura mutualistica che consente, ripeto di avere prodotti a un pricing molto conveniente. Il terzo è di rendere familiare agli investitori il rapporto con la nostra gamma di prodotto. Sì gli operatori nel mercato degli Etf sono tanti ma con un distinguo: esistono società core come la nostra che dispongono di un’offerta generalista e poi gli operatori di nicchia, proprio come nel mercato della gestione attiva. Che politiche distributive attuerete? Il nostro obiettivo ripeto è di lavorare con tutti, Esistono strategie di prodotto, faccio riferimento ai prodotti wrapper, in cui c’è spazio per i nostri Etf. Oggi il mercato privilegia gli strumenti passivi e senza retrocessioni all’interno del mondo delle soluzioni wrapper. Quindi i nostri interlocutori in questo momento sono i gestori 36
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INTERVISTA CON SIMONE ROSTI
LA MUTUALISTICA CI RENDE LEADER di Marco Muffato
GLI OBIETTIVI DI VANGUARD IN ITALIA. CHE PUNTA SU COSTI LIGHT, TRASPARENZA E GAMMA DIVERSIFICATA DI PRODOTTI
Simone Rosti, responsabile per l’Italia di Vanguard
patrimoniali, i team di advisory del private banking e gli investitori istituzionali. Il cf conseguentemente sta iniziando a utilizzarci e a conoscerci attraverso i prodotti wrapper. Le nostre strategie sono rivolte prevalentemente agli investitori istituzionali, che utilizzano soprattutto Etf senza dare particolare spazio ai fondi indicizzati che rappresentano un altro punto di forza della nostra offerta. Purtroppo al momento gli investitori istituzionali ragionano in modo semplicistico pensando che quando si parla di prodotti attivi esistano soli i fondi e quando si parla di prodotti passivi l’orizzonte sia fatto di soli Etf. In realtà Vanguard vanta una storia di eccellenza anche nei fondi indicizzati peraltro molto più utilizzati degli Etf nel resto d’Europa. In Italia si investe il 100% in Etf, all’estero appena il 25%. Quale Etf sta riscontrando il maggior interesse? Nella prima parte dell’anno quelli dedicati ai mercati emergenti sia azionario che obbligazionario. Mentre negli ultimi due mesi abbiamo registrato una richiesta di Etf obbligazionari principalmente governativi euro e azionario globale. Prevedete di ampliare la gamma degli Etf in Italia? Ai 19 attuali aggiungeremo altri 2/3 prodotti. Ma con una avvertenza: non saremo mai quel tipo di società che lancia continuamente prodotti e con altrettanta frequenza li chiude. Che prospettive per il mercato italiano degli Etf? La presenza contemporanea di dinamiche come Mifid 2, i tassi bassi nel mercato obbligazionario, e la ricerca di riduzione dei costi per gli investitori che spingono verso gli Etf. A questi aspetti vanno aggiunti le modalità di investimento orientate sempre di più a una maggiore diversificazione e quindi aperte agli strumenti passivi.
PARLA ANDREA FAVERO
È SBOCCIATO L’AMORE TRA ETF E CONSULENTI FINANZIARI
C’
è molto spazio per la crescita degli strumenti passivi in Italia? A questa e ad altre domande di Investire risponde Andrea Favero, head wealth iShares Italia del gruppo BlackRock.
di Marco Muffato punto di vista dei costi. Solo la leva costi farà la differenza? Non solo i costi. Anche se il tema sta favorendo l’industria degli Etf. In realtà quando si parla di Etf con le realtà distributive, si entra in logiche di partnership orientate verso servizi che vengono realizzati e offerti a quegli operatori. La competizione è quindi anche nella capacità di fornire questi servizi a valore aggiunto, non nella semplice offerta di mattoncini ma di consulenza a supporto della costruzione del portafoglio e dell’analisi del rischio. Che pensano gli italiani degli Etf? Per scelta, non abbiamo relazioni dirette con i clienti finali, siamo intermediati e quindi in grado di rispondere solo indiret-
Favero, da operatori leader nella gestione passiva vi infastidisce la presenza di tanti competitor? Riteniamo che l’aumento della concorrenza per un mercato che ha ancora molti spazi di crescita sia un elemento positivo. Che ci siano operatori della gestione attiva che iniziano ad avere linee di business ANDREA FAVERO, HEAD WEALTH ISHARES ITALIA sull’indicizzato, diventando così Etf provider, è un catalizzatore per l’intera industria. Inoltre è una conferma della bontà della strategia di BlackRock che ha creduto per prima in una offerta differenziata tra gestione attiva e passiva. È comunque una dimostrazione di crescita dell’industria. Quali sono i numeri degli Etf in Italia? In Italia l’industria degli Etf vale circa 80 miliardi di euro. Noi crediamo che il mercato abbia spazi di crescita importanti, e nel nostro paese più che altrove, attraverso il mercato della distribuzione. Siamo ancora una realtà molto piccola rapportata allo spazio che gli Etf hanno conquistato sul mercato USA. tamente alla domanda dai consulenti, che esprimono un crescenCosa sta cambiando nei rapporti con la distribuzione? te interesse per portafogli modello di soli Etf. Questa preferenza Le nostre elaborazioni interne, che l’anno scorso stimavano una non credo sia solo una scelta di economicità ma di una maggiore penetrazione nei portafogli dei consulenti finanziari di un paio di consapevolezza sugli altri benefici di questi prodotti in termini di punti percentuali, sono accelerate significativamente in termini trasparenza ed efficienza, anche per la parte core del portafoglio. percentuali: la stima per quest’anno è del 6% di penetrazione, Come sta evolvendo la vostra gamma prodotto? quindi un incremento del 4%. Come si spiega il dato? È cresciuto Nel corso degli anni abbiamo completato l’offerta core e ci siamo l’utilizzo dei prodotti passivi e la voglia dei cf di conoscere meglio concentrati a sviluppare strategie inedite come smart beta, Esg, il prodotto. Conseguentemente dalle direzioni centrali di reti e il mondo dei tematici azionari. Una volta come Etf provider andagli stessi cf è aumentata la richiesta di confronto su soluzioni davamo a prendere gli indici più diffusi e li replicavamo. Adesso, sulla base dell’esigenza dei clienti, costruiamo indici volti a sodd’investimento esclusivamente con Etf o che possano includerli. disfare specifiche esigenze. La logica con cui stiamo strutturando Questo cambiamento a quali fattori è dovuto? C’è una componente legata a Mifid 2: maggiore trasparenza, l’offerta Esg è quella di ascoltare le necessità del cliente istituzioattenzione ai costi e al value for money. L’anno scorso i rendi- nale o del distributore e quindi di personalizzare l’indice. menti sono stati negativi e quelli attesi sono comunque conte- I risultati dei primi 3 mesi de 2019? nuti in tutte le asset class, siamo quindi in una fase matura del Il primo trimestre è stato il migliore di sempre in Europa. Conficiclo economico, c’è voglia di costruire portafogli efficienti dal diamo in un andamento positivo anche nei mesi successivi.
NEL 2019 LA PENETRAZIONE DEGLI STRUMENTI PASSIVI NEI PORTAFOGLI DEI CF POTREBBE TRIPLICARE SECONDO ISHARES
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RAPPORTO/EXCHANGE-TRADED FUND INTERVISTA A VINCENZO SAGONE
LA COMPETIZIONE NON È SOLO SUI COSTI
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di Marco Muffato on Vincenzo Sagone, head of Etf, Indexing & Smart Beta business unit in Amundi Sgr, approfondiamo il tema del peso e delle prospettive degli Etf di Amundi nello Stivale.
Si parla di Etf solo con riferimento ai costi. È giusto? Il costo è sicuramente molto importante ma lo è sempre stato perché l’Etf è entrato sul mercato italiano nel 2002 proprio come prodotto a basso costo e di facile accessibilità. In questo ultimo periodo con tassi e rendimenti molto bassi e prossimi allo zero ha accresciuto la sua importanza. Tuttavia il costo non è l’unico fattore cruciale, ce ne sono anche altri: come soffermarsi sulla società che emette Etf, indagando se è solida, così da capire chi stai comprando. Altro aspetto rilevante è il verificare quale indice si stia comprando. Nel caso del Giappone per esempio esistono diversi indici: nel 2014 investire in ciascuno dei cinque indici sul paese nipponico dava risultati molto diversi. Ancora: per quanto attiene l’azionario europeo abbiamo sette Etf quotati in Italia parlando solo di indici tradizionali e arriviamo superare i dieci se consideriamo anche gli smart beta e gli Sri. Ultimo punto di attenzione è la liquidità degli Etf sul mercato. Devo dire che l’investitore italiano è fortunato perché Borsa Italiana è uno dei mercati più consistenti per numero di Etf quotati e per liquidità in termini di scambi e di volumi. Avete sforbiciato le commissioni? Noi siamo arrivati sul mercato italiano nove anni fa, la value proposition di Amundi Etf era quella di essere “cheaper & smarter”, emettendo prodotti a basso costo rispetto al mercato e in effetti nostri Etf quotati sono sempre stati molto competitivi in termini di costo. Quando emettiamo un Etf cerchiamo di posizionarci sempre nella forchetta inferiore e la nostra gamma è meno cara rispetto alla media del mercato ponderata per gli Aum. Quest’anno per esempio abbiamo emesso una gamma, Amundi Prime Etf, che è la più competitiva nel panorama europeo. Nove Etf con le esposizioni più importanti e con un livello commissionale, in termini di spese correnti uniformi, dello 0,05. Questi Etf li abbiamo quotati in Italia, Germania e UK. Cosa sta cambiando nei rapporti con la distribuzione? Il nostro utilizzatore principale era il cliente istituzionale Negli anni e grazie alla Mifid 2 il prodotto Etf sta conquistando un forte interesse anche sul mercato retail. Non tanto tra i risparmiatori fai da te ma quanto tra i consulenti autonomi, che sono pagati a parcella e quindi inseriscono nella pianificazione prodotti effi-
VINCENZO SAGONE, HEAD OF ETF, INDEXING & SMART BETA DI AMUNDI SGR
L’ESPONENTE DI AMUNDI SGR FA IL PUNTO SUL MERCATO E SULLE NOVITÀ DELL’OFFERTA NEL SETTORE DEI PRODOTTI PASSIVI
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cienti a basso costo, e attraverso le wrap solution ovvero i prodotti da distribuzione, un tempo costituiti da fondi di fondi o gpf e che ora stanno aumentando l’esposizione in Etf. Questa passione per gli Etf nasce da due motivi: il primo è conseguenza di Mifid 2 verso una maggiore trasparenza delle spese effettuate dal cliente e che spinge gli operatori ad abbattere i costi di produzione; il secondo è rappresentato dai rendimenti bassi, per cui diminuendo i costi recupero margine e rendimento per i risparmiatori. E per quanto attiene l’evoluzione della gamma prodotti? Partiamo dalla gamma Amundi Prime, un gamma semplice e a bassissimo costo (0,05%, n.d.r.), che ci rende tra gli emittenti con il livello di spese più competitivo sul mercato. Della gamma a gestione passiva fanno parte anche gli Esg e gli Etf tematici azionari su cui il mercato si sta orientando. Abbiamo emesso un altro Etf obbligazionario in Borsa italiana, che replica un basket di titoli obbligazionari a tasso variabile con scadenza tra i 3 ed i 7 anni. Un ottimo strumento per gestire il rischio tasso del portafoglio.
I
l mercato italiano degli Etf registra circa 68 miliardi di euro di patrimonio con quasi mille Etf quotati, ripartiti tra 21 emittenti. Si tratta di uno dei maggiori mercati europei, con una massiccia presenza di investitori retail. A Marcello Chelli, referente per i Lyxor Etf in Italia, il primo provider a quotare un Etf in Italia nel 2002 e secondo operatore per patrimonio e controvalore negoziato su Borsa Italiana (in Europa è il terzo con un patrimonio di 60 miliardi di euro), chiediamo quali sono le strategie e gli obiettivi per l’Italia e non solo.
Quali sono le nuove frontiere degli Etf? La Mifid 2 ha posto una grande attenzione ai costi e, pertanto, sono sempre di più i servizi e prodotti basati su Etf: in particolare registriamo un crescente interesse da parte delle unit linked. Ci aspettiamo un supporto anche dalla consulenza indipendente grazie alla costituzione dell’albo dei consulenti finanziari autonomi e, in particolare, dalla diffusione nel private banking della consulenza fee only, svincolata dagli inducement incorporati negli strumenti. I vostri prodotti più innovativi? Da anni abbiamo messo a disposizione una gamma di Lyxor Etf a basso costo con un Ter compreso tra 0,04% e 0,12% all’anno che copre i maggiori mercati obbligazionari e azionari coem Europa, Eurozona, USA, UK, Giappone, Asia, Global: all’interno di tale gamma vengono evidenziati, con il suffisso “core”, gli strumenti a replica fisica che non si espongono al rischio del prestito titoli. Lyxor ha, inoltre, la gamma di Etf a leva e short più rilevante attualmente disponibile sul mercato con 26 strumenti con un track record fino a dieci anni. Tali prodotti vengono utilizzati con finalità sia di trading sia - per quelli short - di copertura. Dato che sono esposti al compounding effect, per la copertura del rischio dei portafogli di Btp abbiamo di recente reso disponibile l’Etf Short sul Btp con leva “mensile” e non “giornaliera”. Siamo inoltre i primi ed unici a mettere a disposizione degli investitori una gamma di strumenti, i Lyxor ETF Inflation Expectation su euro e Usd, che sono esposti solo alle aspettative di inflazione, il cosiddetto inflation break-even, e non anche al rialzo dei tassi, al contrario dei classici Etf su inflation linked bond, dal momento che hanno una duration quasi nulla.
INTERVISTA A MARCELLO CHELLI
È ORA DI PUNTARE SULLA DISTRIBUZIONE di Gloria Valdonio
COME RAGGIUNGERE IL RETAIL? CON PIÙ ATTENZIONE A UNIT LINKED, ADVISORY DESK, ROBO-ADVISOR E CF AUTONOMI
Marcello Chelli, referente per i Lyxor Etf in Italia
Infine abbiamo articolato la nostra offerta Esg intorno a due pilastri: 4 Etf Esg “tematici” legati agli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite (acqua, energie rinnovabili, green bond e parità di genere, n.d.r.) e 5 Etf Esg geografici (Eurozona, Europa, USA, emerging market e mondo, n.d.r.). Questi ultimi replicano indici Msci Esg Leaders e Trend Leaders che prendono in considerazione i rating Esg e, al contempo, premiano le società che li hanno migliorati nel tempo. Quali canali intendete potenziare? In Italia Lyxor Etf intende focalizzare una maggiore attenzione verso il business Distribution, cioè verso piattaforme di fondi, unit linked, advisory desk, robo-advisor, fintech, consulenti indipendenti, eccetera. L’obiettivo è supportarli con soluzioni personalizzate che includono portafogli modello, negoziazione a costo nullo per le unit linked, soluzioni con protezione, prodotti quotati basati su Etf e quant’altro. La medesima attenzione dovrebbe essere profusa anche a livello europeo attraverso una struttura organizzativa dedicata. Cresceranno le masse gestite della strategia passiva? In termini di masse in Italia gli Etf pesano circa il 3% del risparmio gestito complessivo e il 7% dei fondi aperti Ucits, quindi molto al di sotto degli standard europei e soprattutto statunitensi: pertanto ci si può verosimilmente attendere un aumento non marginale di tali rapporti a favore degli Etf. A ogni modo, la Lyxor Dauphine Research Academy, un’iniziativa congiunta di Lyxor Asset Management e dell’Università Paris-Dauphine, ha dimostrato che esiste una stretta relazione tra le due realtà e che esse possono essere complementari nella costruzione di un portafoglio modello. giugno 2019
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RAPPORTO/EXCHANGE-TRADED FUND PARLA ANTONIO SIDOTI
ORO E INTELLIGENZA ARTIFICIALE COSÌ DIVERSIFICO IL PORTAFOGLIO di Rosaria Barrile
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seguito dei primi effetti della Mifid 2 gli intermediari si stanno indirizzando verso la ricerca di scelte più efficienti sia per quanto riguarda l’allocazione core, attenta ai benchmark tradizionali quali per esempio le principali aree geografiche, sia l’allocazione di natura tattica, che suggerisce prese di posizione su un determinato trend di mercato. Nell’attuale contesto gli Etf possono però aiutare a recuperare efficienza nell’allocazione di portafoglio e di questo ne è convinto Antonio Sidoti, Co-head of Southern Europe Distribution di WisdomTree. «In questo contesto si inseriscono gli Etf giunti a una certa maturità anche in Italia. L’evoluzione di questi strumenti è stata tale da far sì che oggi essi non solo siano in grado di coprire tutte le asset class e i relativi sottosegmenti, ma che vengano utilizzati in modo crescente nei portafogli dati il loro costo contenuto, la loro elevata trasparenza e negoziabilità. Si tratta infatti di prodotti “trasversali” in grado di rispondere ai bisogni di diversi target di investitore. Dato anche uno scenario macroeconomico complesso, attraverso gli Etf è possibile operare infatti delle selezioni ben precise e prendere esposizione solo su determinati segmenti di mercato, ovvero solo su singole asset class di difficile accesso o selezione, anche di natura fondamentale come la scelta di società che staccano dividendi. Oppure ci possono essere stili diversi che possono aiutare ad effettuare interventi mirati su specifiche aspettative di mercato, tanto che è possibile parlare di strategie multifattoriali. In sostanza gli Etf, rispetto al tradizionale stock picking di singoli titoli, consentono di intervenire rapidamente per individuare le opportunità del ciclo economico». In uno scenario europeo caratterizzato dal perdurare di bassi tassi di interesse e da un contesto macroeconomico interessato dalla guerra dei dazi, WisdomTree ha individuato tre filoni di investimento di lungo termine che possono essere convertiti in strategie Etf, Etc o Etn. «Tra le commodity, l’oro sta ricevendo molta attenzione come elemento di diversificazione di portafoglio, infatti continua a essere annoverato tra i beni rifugio storici in una situazione di incertezza dei mercati. Un altro elemento evidente è che probabilmente in Europa i tassi rimarranno ancora a lungo inalterati; questo fa sì che dal mercato europeo obbligazionario sia estremamente difficile estrarre un rendimento. Abbiamo
quindi predisposto una soluzione ottimizzata», puntualizza Sidoti. «La nostra strategia considera i panieri europei tradizionali obbligazionari sia da un punto di vista aggregato, sia per quanto riguarda i titoli governativi. Andiamo poi ad applicare al basket tradizionale un ottimizzatore che riconsidera i pesi all’interno degli indici tradizionali. L’ottimizzazione applicata è confinata all’interno di determinati livelli di rischio che la nuova composizione assume per riuscire a ottenere un rendimento maggiore in termini di yield. In sintesi andiamo ad aumentare il rischio di duration al massimo di un anno per fornire un tracking error più contenuto rispetto al benchmark europeo tradizionale che rappresenta comunque storicamente una parte core del portafoglio investitori. Il terzo filone infine è quello dell’intelligenza artificiale, un tema che può essere soggetto a volatilità nel breve ma destinato a consolidarsi nel lungo periodo e ad avere un elevato impatto su tutti gli ambiti della vita quotidiana, sociale ed economica».
GLI ETF INTERCETTANO MEGLIO LE OPPORTUNITÀ DEL CICLO ECONOMICO RISPETTO ALLO STOCK PICKING DI SINGOLI TITOLI
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ANTONIO SIDOTI, CO-HEAD SOUTH. EUROPE DISTRIBUTION DI WISDOMTREE
RAPPORTO/EXCHANGE-TRADED FUND PARLA CARMINE DE FRANCO
ETF A TRAZIONE INTEGRALE ESG L’AI IN GIOCO PER TRARRE VALORE di Rosaria Barrile
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mercato, Ossiam si è mossa versa un’integrazione globale dei temi Esg e della riduzione della carbon footprint all’interno delle proprie strategie. «Stiamo lavorando su questo fronte e continueremo anche per gli anni a venire perché riteniamo che il tema possa offrire spunti importanti. Abbiamo appena listato un Etf in grado di combinare un approccio all’intelligenza artificiale con tematiche Esg. In pratica non faremo solo uno screening per “ripulire” il portafoglio ma andremo a estrapolare informazioni e fare ricerca alfa dato che l’Esg non rappresenta altro che un nuovo modo per individuare i punti forti e quelli deboli di un impresa e quindi di un investimento. Lo faremo attraverso tecniche di maCARMINE DE FRANCO DI OSSIAM chine learning, le stesse che per esempio oggi vengono utilizzate in altre industry, tra cui il retail per intercettare le preferenze dei potenziali clienti». In sintesi verrà effettuato il profiling delle imprese che si sono distinte per le performance e che hanno avuto difficoltà finanziarie per cercare di comprendere se all’interno di questi gruppi esiste o meno un profilo Esg comune. «La mole di dati oggi a disposizione ci spinge a usare il machine learning anche in questa direzione assistito a uno switch tra una gestione molto più conservativa per costruire un Etf molto innovativo», sottolinea De Franco. a strategie che prevedono una maggiore esposizione in equity. «In pratica l’intelligenza artificiale ci consente di costruire un Nel corso del primo trimestre del 2019 c’è stata una maggiore portafoglio utilizzando dati Esg in maniera diversa rispetto al esposizione al rischio di mercato e i clienti hanno effettuato del- passato. Vengono utilizzati per individuare opportunità e rischi le rotazioni all’interno dei loro portafogli verso Etf caratterizza- nelle società in cui si intende investire e non valutare eventuali te da maggior beta e strategie market cap. In pratica si è passati esclusioni sulla base di criteri fissi. Per semplificare, possiamo da una ricerca di protezione che aveva caratterizzato il periodo ben dire che come il rating di un titolo governativo non può immediatamente successivo l’estate del 2018 verso una mag- rappresentare efficacemente tutte le caratteristiche e i punti di giore esposizione all’azionario via via che i mercati risalivano. forza o di debolezza di un Paese, allo stesso tempo la nota agMa lo scenario potrebbe nuovamente cambiare nel giro di bre- gregata relativa alla sostenibilità di un’azienda non ne fornisce ve e i manager potrebbero essere tentati di fare del “lock in” il comportamento complessivo in termini Esg ma occorre guarsulle performance che hanno ottenuto. Forse invece è arrivato il dare ai dati granulari per poi risalire ai profili di performance. momento di prendere una pausa e ritornare nuovamente verso Ovviamente, dato che si parla di centinaia e centinaia di indicagestioni più conservative date le incertezze del quadro econo- tori è indispensabile ricorrere a tecniche di machine learning in mico». grado di trasformare il modello nel tempo, anche perché l’Esg è Come specialisti delle strategie alternative smart beta, che cer- un tema in costante evoluzione e l’aspetto legato all’apprendicano di trarre valore dalla deviazione rispetto ai benchmark di mento continuo diventa fondamentale”. nche se il 2019 si è aperto con il passaggio degli investitori da posizioni più conservative a una maggiore esposizione verso i rischi di mercato, il resto dell’anno potrebbe comportare la necessità di tornare a un approccio più prudente puntando sulla diversificazione offerta dagli Etf. Ad affermarlo è Carmine De Franco, head of fundamental research di Ossiam società del Gruppo Natixis, presente in Italia dal 2011. «Già a partire dagli ultimi mesi del 2018 abbiamo
ATTRAVERSO L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE OSSIAM PUNTA ALLA RICERCA DI ALFA ESTRAPOLANDO I PUNTI DI FORZA E DI DEBOLEZZA
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RIFLESSIONI SUL DUELLO USA-CINA
Guadagnare nell’era dei dazi? Per i più bravi, è possibile di Ugo Bertone
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re film sulla guerra di Corea in prima serata trasmessi dalla rete tv più seguita per tre giorni di fila è una sorta di record anche per la Cina, Paese attento alle esigenze della politica più che all’audience. Ma, come scrive il New York Times, la scelta dell’ente di Stato risponde anche agli umori del pubblico che, dopo il freno di Washington all’export cinese ha apprezzato i vecchi film dedicati alle gesta vittoriose dell’esercito popolare capaci di far argine contro le armate del generale Mac Arthur. Anche così si misura la rabbia popolare di fronte alle “provocazioni” americane sui dazi, a partire dalla scelta di Donald Trump di annunciare l’aumento delle tariffe sulle merci di Pechino all’indomani del 4 maggio, in coincidenza con il centesimo anniversario della rivolta degli studenti cinesi contro il “tradimento di Versailles”, quando gli Alleati violarono gli accordi assegnando al Giappone lo Shandong, già promesso alla giovane repubblica cinese. È un puro caso, probabilmente, che Donald Trump abbia scelto questa data simbolo per accelerare la pressione contro il rivale. Ma anche i simboli, consapevoli o meno, possono avere un grande peso. In Cina più che altrove. È necessario partire da qui, dal duello tra Usa e Cina per la leadership politica ma anche tecnologica e finanziaria, per decifrare l’andamento prossimo futuro dei mercati. Anche di quelli europei, compresa Piazza Affari certo, non vanno sottovalutate le tensioni nell’Eurozona dopo il voto, a partire dall’inevitabile turbolenza italiana o dalla saga della sterlina impegnata a sopravvivere alle convulsioni della Brexit. Non è difficile prevedere un’estate ad alta tensione per il Tesoro italiano che dovrà emettere tra giugno e luglio 65 miliardi di titoli di Stato contro soli 29 miliardi in scadenza. In parallelo i mercati 44
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Nella foto sopra il presidente della Cina Xi Jinping
già scommettono su nuovi cali record dei rendimenti dei titoli tedeschi (a danno dei conti della redditività del sistema). Ma l’episodio chiave da cui discende l’attuale congiuntura, va fatta risalire a quell’ultimatum di Trump via tweet che ha fatto crollare lunedì 6 maggio i listini azionari, provocato la corsa ai “porti sicuri” delle obbligazioni di Stato e causando un notevole ampliamento dei premi al rischio sulle obbligazioni societarie. Una svolta a sorpresa che ha costretto gli operatori, già convinti che l’accordo tra i big fosse ormai cosa fatta, a rivedere le proprie analisi alla luce di un’escalation che, per ora, non offre spiragli. Con Trump, hanno scritto i media cinesi più vicini al potere, è inutile trattare: l’unico linguaggio che può capire è quello della guerra valutaria o quella, ancor più temibile, dei bond: a marzo lo stock dei titoli USA in mano alla banca centrale è sceso di 22 miliardi di dollari. Noccioline, rispetto a un possibile disinvestimento da mille miliardi di dollari o giù, un’ipotesi da fantascienza ma che serve in un clima da guerra psicologica. Trump, cui non dispiace affatto la sfida dei muscoli, non si fa certo impressionare. Washington al contrario sta concentrando tutte le sue energie per il grande duello. In questa chiave si spiega il rinvio, non la rinuncia, ai dazi sull’auto europea così come la conclusione dell’accordo sull’acciaio con Messico e Canada che spiana la strada al rinnovo del Nafta. Ci sarà tempo per regolare i conti con l’Unione Europea che si lamenta del presidente Usa, “ci tratta peggio della Cina”. Per ora la vera guerra è con la Cina.
INVESTIRE SPECIALIST
E la Corporate America si schiera dietro il presidente: Google ha sospeso Huawei dai suoi servizi base (Chrome, You Tube e Gmail). Quando si va in guerra, del resto, tutto il resto passa in secondo piano. La Fed in particolare non può più dire di no alle richieste del presidente sui tassi o sull’espansione del bilancio della banca centrale. Se Pechino procederà alle vendite dei T-bond, la Fed dovrà intervenire assorbendo le vendite cinesi. Non è detto che l’escalation non conosca soste. Anzi. Si può ipotizzare che, in vista del G20 di fine giugno a Tokyo, i Big preparino qualche sorpresa per sorprendere il rivale e la speculazione nel frattempo evita scelte frettolose che potrebbero rivelarsi sbagliate. Ma tanti segnali convergono in una direzione precisa: 1) la tendenza al rialzo dei tassi, già annunciata dalla Fed, è morta e sepolta; 2) così come vuole il presidente, la banca centrale seguirà una politica espansiva, simmetrica a quella che, dice Trump, “il mio amico Xi Jingping può imporre ai banchieri cinesi”. Del resto a proposito del confronto con la Cina i democratici sono ancor più rigidi dei repubblicani. Per di più è già partita la corsa alla Casa Bianca. E nessuno di questi tempi pensa a stringere i cordoni della borsa. 3) Lael Brainard, membro del Fomc assai vicina ai democratici (poteva succedere a Janet Yelen se avesse vinto Hillary Clinton) pensa a tassi zero finché occupazione e inflazione non raggiunge-
TRA TANTI RISCHI SPICCANO ANCHE LE OPPORTUNITÀ. OCCHIO AI BOND SOCIETARI IN EURO E ANCHE AI TITOLI HIGH YIELD DELL’EUROZONA
ranno un livello prefissato in caso di rallentamento dell’economia. Più o meno quello che Trump ripete da mesi in aperta critica con i falchi repubblicani. 4) Insomma, come ha scritto Alessandro Fugnoli, “il rialzo dei tassi di dicembre è stato il canto del cigno della Fed. Da qui in avanti, se persiste lo scontro con la Cina, alzare i tassi sarà antipatriottico e abbassarli sarà un dovere. I tassi nominali e reali più bassi sono così chiamati a garantire una forte rete di protezione ai mercati azionari”. I venti di guerra dunque hanno avuto anche l’effetto positivo di scacciar via lo spauracchio della recessione. A sostenere i mercati saranno perciò ancora una volta le banche centrali: la Fed che, ribaltando i suoi orientamenti precedenti, probabilmente taglierà almeno una volta i tassi nel 2019; alla Bce Mario Draghi, per paradosso rafforzato dal fatto che non è ancora emerso il nome del suo successore, si congederà dopo aver lanciato a fine estate una nuova tornata di maxi finanziamenti a tassi negativi, dove le banche sarebbero pagate per attingere liquidità, per poi girarla al sistema, attraverso prestiti a famiglie e imprese. In termini operativi la situazione sembra così offrire, accanto ai rischi legati alle tensioni internazionali e all’emergenza della finanza pubblica di casa nostra, anche più di un’opportunità, vuoi sul terreno delle obbligazioni che su quello azionario grazie all’azione delle banche centrali. Le vere difficoltà potrebbero per paradosso emergere solo al momento dell’auspicata ripresa, quando i banchieri centrali riproveranno (come hanno fatto
con scarso successo a fine 2018) a rimettere ordine nei conti della finanza pubblica. Intanto i gestori andranno a caccia della miglior relazione qualità/prezzo. Le obbligazioni societarie in euro, come ha dimostrato l’esordio positivo delle emissioni di Fca-Credit Agricole e di Acea, meritano un occhio di riguardo. I bond corporate investment grade sembrano in grado di sterilizzare almeno parzialmente il rischio insito nelle emissioni di Stato, che minacciano un andamento ballerino nei prossimi mesi. I più arditi poi possono guardare ai titoli high yield, confortati dalla possibilità che nell’eurozona si ripeta il recupero che ha distinto il mercato Usa. Un’alternativa efficace possono essere i titoli degli enti sovranazionali, Bei e Banca Mondiale in testa, ma in questi casi per spuntare un buon ritorno è necessario rivolgersi alle valute emergenti. E le azioni? Un’analisi sui flussi a lungo termine di Piazza Affari induce a un certo sconforto. Secondo i risultati di una ricerca Ubs dagli inizi degli anni ’90 a oggi, il nostro listino è salito di appena l’87% contro il +229% medio dell’Unione Europea, un risultato che si spiega con l’andamento negativo della produzione industriale, scesa di un quarto nello stesso periodo, e del pil, in calo del 10%. Ma se si scende nel dettaglio si scoprono non poche “pepite d’oro” a partire da una matricola d’oro uscita, speriamo temporaneamente, dal listino italiano: Luxottica che nel marzo 2008 valeva in Borsa 5,7 miliardi di euro mentre oggi, pur appesantita dalla bagarre con i soci francesi, Essilor-Luxottica è schizzata attorno ai 48 miliardi. Altri esempi virtuosi sono Davide Campari, società di Luca Garavoglia ormai proiettata sulla scena internazionale, o la piccola Amplifon che oggi vale 3,1 miliardi, altra multinazionale tascabile che conferma come abbia pagato la scelta di compensare la crescita modesta dei consumi interni puntando sui mercati internazionali. Purtroppo, salvo qualche eccezione, all’appello sono mancati i Big. Paese per Paese il rapporto tra vendite delle multinazionali industriali e Pil, rileva un rapporto dell’ufficio Studi di Mediobanca, è pari al 32,3% in Germania, del 26,4% in Francia e in Italia solo dell’8,2 per cento. Un divario che, ai tempi della guerra commerciale che tende a favorire le grandi dimensioni contro le nicchie, rappresenta un altro handicap per il Bel Paese. Facile prevedere, sia tra le industrie (vedi Brembo) o in banca (Unicredit su tutte) un’ondata di merger, medicina necessaria per affrontare la stagione dei dazi. giugno 2019
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PANORAMA MACROECONOMICO
L’Europa riuscirà a chiudere il ciclo dell’austherity? di Gloria Valdonio
SONO I FATTORI STRUTTURALI, PIÙ DI QUELLI CICLICI, A DETERMINARE LO STALLO ECONOMICO DELLA ZONA EURO. PESA LA FORTE ESPOSIZIONE AI MERCATI ESTERI IN UNA FASE DI RECESSIONE COMMERCIALE E LA RIGIDITÀ DEI MERCATI DI CAPITALE. ORA UNA POLITICA FISCALE ESPANSIVA
O
ra che il Parlamento europeo si è rinnovato, e che cambierà la composizione della Commissione europea e (in ottobre) la presidenza della Bce, il nodo di un’economia fiacca e completamente divaricata da quella americana viene al pettine e con esso si moltiplicano le ricette per uscire dalla fase di stallo. Le preoccupazioni convergono soprattutto sulla Germania, che è riuscita a evitare di poco la recessione registrando un Pil piatto nel quarto trimestre, dopo la contrazione dei tre mesi precedenti, mentre la produzione industriale complessiva dell’Eurozona è nuovamente diminuita. Nonostante ciò il mercato ha continuato la sua crescita, scegliendo piuttosto di concentrarsi sul tono più accomodante delle Banche centrali. Ma fino a quando potrà durare? Per i money manager è davvero difficile capire che cosa ha determinato questa situazione, che cosa servirebbe per ripartire e soprattutto fare previsioni concrete sul futuro del Vecchio Continente. Perché le contraddizioni sono tante. Il quadro euro-americano. Da molti punti di vista infatti l’eurozona è più sana rispetto agli Stati Uniti. L’area euro ha un debito pubblico medio di poco superiore all’85% del Pil contro quasi il 100% degli Stati Uniti e le famiglie europee sono molto meno indebitate di quelle americane. Quest’anno inoltre l’eurozona riporterà un deficit del bilancio pubblico di circa l’1% del Pil che si confronta con il 4% abbondante d’oltreoceano. C’è un altro indicatore che vede l’eurozona più virtuosa: la bilancia commerciale, che è positiva per oltre il 3% del Pil rispetto a un deficit americano di oltre il 2%. Ma nonostante ciò gli Stati Uniti negli ultimi dieci anni sono cresciuti quasi il triplo rispetto all’Europa. «La maggiore flessibilità dell’economia, un modello più concentrato sulla domanda interna, una 46
giugno 2019
A destra Matteo Ramenghi, chief investment officer di Ubs WM Italy
più ampia esposizione alle nuove tecnologie e un migliore accesso al mercato dei capitali spiegano solo in parte questo differenziale di crescita», afferma Matteo Ramenghi, chief investment officer di Ubs WM Italy. «Il resto nasce nel 2008, o meglio dalla reazione alla crisi finanziaria, che negli Usa è stata rapidissima con lo stanziamento già nel 2009 di ingenti somme per ricapitalizzare il settore bancario e la Fed che avviava il quantitative easing. Mentre l’Eurozona accumulava un colpevole ritardo con la Commissione europea che ha tenuto un approccio dogmatico sin dall’inizio della crisi, talvolta tollerando eccezioni ma quasi mai dimostrando iniziativa nella gestione delle emergenze». Va ricordato che la Bce ha addirittura alzato i tassi nel 2008 e non ha varato misure di sostegno tangibile fino al famoso “whatever
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it takes” di Mario Draghi nel 2012, mentre un vero e proprio programma di immissione di liquidità è iniziato solo nel 2015. In conclusione la ripresa europea è cominciata nel 2013 e non nel 2009 come per gli Stati Uniti e la debolezza economica non è stata ancora pienamente riassorbita. «Le ragioni di tali ritardi vanno ricercate nella difficoltà di concordare soluzioni accettabili per tutti i Paesi dell’Ue, nella mancanza di un’unione fiscale, bancaria e del mercato dei capitali», è l’opinione di Ramenghi.
A destra David Zahn, head of European fixed income di Franklin Templeton FIG
La giapponificazione dell’Europa. Ma sono proprio la rigidità del modello politico europeo, un mercato dei capitali iper regolamentato, l’eccesso di esposizione ai mercati esteri, i ritardi tecnologici e quelli della Bce le cause dell’attuale stallo economico? Secondo molti strategist c’è dell’altro. Particolarmente interessante è l’opinione di David Zahn, head of European fixed income di Franklin Templeton Fixed Income Group, secondo cui l’economia europea in realtà si starebbe espandendo al di sopra del suo tasso di crescita potenziale, che è di circa l’1%. «Ricordiamo che solo due anni fa l’Europa
L’UE È LA PRIMA POTENZA COMMERCIALE E LA SUA SALUTE È STRETTAMENTE CORRELATA AL RESTO DEL MONDO, CINA IN PRIMIS cresceva del 2,5%, quindi ben al di sopra del potenziale e gli operatori di mercato ritenevano che la crescita non sarebbe potuta rimanere a quel livello», spiega Zahn, che è comunque convinto che ci sarà una nuova accelerazione e un rialzo oltre l’1,5% nel 2019. Ma non è questo il punto. «La crescita potenziale in Europa rimarrà relativamente bassa a causa dei dati demografici e della mancanza di riforme strutturali», dice lo strategist. In ogni caso sia la domanda interna che quella esterna si sono visibilmente indebolite in Europa, mentre gli Stati Uniti mostrano un passo migliore. Se, in aggiunta a una serie di questioni di carattere politico nel Vecchio Continente, si vanno a sommare una sfilza di dati considerevolmente deboli per la regione, si scovano gli ingredienti chiaramente alla base del nervosismo tra gli investitori. Tale segnale induce il team Emea Multi Asset di Bmo Global AM a considerare che l’economia della zona euro sia appesantita da problemi di fondo e che la “giapponificazione” dell’Europa - ovvero il
Sotto a sinistra Salman Ahmed, chief investment strategist di Lombard Odier IM. Sotto a destra Didier Saint-Georges, membro del Comitato investimenti di Carmignac
passaggio a un contesto di prolungata bassa crescita e bassa inflazione unito all’abbondanza di liquidità delle Banche centrali - sia davvero dietro l’angolo.
Il fattore Cina. La frustrazione degli investitori nella formulazione di previsioni nasce da due elementi. Il primo è che l’economia europea è estremamente aperta verso l’esterno. Poco meno del 20% del Pil comunitario proviene dalle esportazioni al di fuori dell’Unione. Questa performance fa dell’Ue la prima potenza commerciale mondiale, ma di riflesso la salute della sua economia è strettamente correlata a quella del resto del mondo. «L’improvvisa e aspra recessione commerciale è all’origine dell’attuale rallentamento globale», spiegano da Templeton. «Nel mondo integrato, caratterizzato da partner commerciali largamente diversificati, conti capitale e partite correnti aperti e stretti legami finanziari internazionali, uno shock commerciale ha un impatto diretto sull’attività economica globale». «La seconda difficoltà», aggiunge Didier Saint-Georges, membro del Comitato Investimenti di Carmignac, «deriva dal fatto che la Cina è il maggiore partner commerciale dell’Ue, subito dopo gli Stati Uniti. Ma riuscire a decifrare la reale dinamica economica cinese è difficile. Secondo le statistiche ufficiali, la crescita cinese si attesterebbe stabilmente intorno al 6,4% da quattro anni: in realtà non è così e l’analisi dei dati incrociati con le statistiche economiche, più tragiugno 2019
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Flussi netti di liquidità attraverso acquisti Flussi Banche Centrali, in miliardi di dollari
250 200 150 100 50 0 -50 -100
2009 ECB
2010
2011
2012
BoE
Fed
BoJ
2013
2014
2015
2016
2017
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Total
Note: Il totale si riferisce alla media mobile a 3 mesi degli acquisti di titoli FONTE: HAVER ANALYTICS, UBS
sparenti, dei partner commerciali rivela invece che la Cina ha subito un netto rallentamento nel 2015, seguito da una vivace ripresa nel 2016 e da una nuova frenata nel 2018». Intanto gli ultimi dati Ocse riducono la previsione sulla crescita globale dal 3,5% al 3,3% per il 2019, con tagli più draconiani nell’eurozona dall’1,8% all’1%. «Abbiamo bisogno di una soluzione per la guerra commerciale e di ulteriori stimoli da parte della Bce affinché la situazione cambi. E’ anche importante che il settore automobilistico tedesco si riprenda dai problemi di compliance dell’anno scorso», è il commento di Salman Ahmed, chief investment strategist di Lombard Odier IM. Stop austherity. La grande domanda quindi è la seguente: poiché i tassi d’interesse sono al minimo assoluto, e conseguentemente la Bce avrebbe poco spazio di manovra in caso di (molto probabile) flessione dell’economia, perché l’Europa si mostra così riluttante a varare una politica di stimoli fiscali, o meglio ad assecondare politiche nazionali che vanno in quella direzione? Secondo Philipp Vorndran, capital markets strategist di Flossbach von Storch AG, la Bce può mantenere bassi i tassi di interesse e quindi ritardare il fallimento dei singoli Paesi riducendo artificialmente i costi di rifinanziamento dando così alla zona euro sempre più tempo. «Può aiutare i politici, ma non può sostituirli nel lungo periodo. Le dolorose riforme strutturali, che sarebbero assolutamente necessarie per rendere l’euro resistente alle intemperie a lungo termine e rimediare ai difetti di costruzione, non saranno invece imposte ai cittadini», è l’opinione di Vorndran. Che aggiunge: «Ecco perché con ogni probabilità arriverà l’ora della politica fiscale: programmi di stimolo economico, tagli fiscali o agevolazioni, da molti definiti regali per l’elettorato» Ma attenzione: «Una politica fiscale espansiva ha un effetto inflazionistico, che non fa ben sperare per i risparmiatori e per i sistemi pensionistici 48
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classici, e questo perché i tassi di interesse rimarranno bassi all’interno della zona euro», dice Vorndran. Che aggiunge: «L’enorme montagna di debiti continua a crescere e con essa la dipendenza dai bassi tassi di interesse: un circolo vizioso perché i tassi di interesse rimarranno bassi per sempre. Almeno fino a quando l’euro esistetà nella sua forma attuale». Sotto Philipp Vorndran, capital markets strategist di Flossbach Van Storch AG
La Bce. Per Franklin Templeton invece la Bce avrebbe ancora frecce al suo arco. Per esempio, può progettare nuove Ltro; può cambiare il proprio reinvestimento nel bilancio per concentrarsi maggiormente sul debito societario, che è sta-
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to il suo Qe più potente. Può ancora riavviare il QE qualora l’economia diminuisca ulteriormente il suo ritmo con poche lamentele da parte della Germania, dato che la sua economia sta rallentando in modo significativo. Può infine segnalare che i tassi di interesse rimarranno negativi nel prossimo futuro. «Riteniamo improbabile che sia in grado di aumentare i tassi prima del 2022», dice Zahn. Secondo Ahmed invece la narrazione politica in Europa rimane contraria all’uso del fiscal arrow: «Si tratta di un errore soprattutto perché il populismo continua a crescere. Le istituzioni chiave corrono il rischio di una profonda riconfigurazione dei loro mandati se questo atteggiamento non cambierà». Mercati. Poiché la confusione è totale, la cautela la fa da padrona e la liquidità è aumentata tra gli investitori insieme alla riduzione delle posizioni sull’azionario e l’abbandono dei titoli ciclici. Per Alistair Wittet, gestore del fondo Comgest Growth Europe, dal momento che le previsioni sul Pil continuano a essere oggetto di downgrade, le attese sono di un ulteriore calo nella stima sulla crescita degli utili pari all‘8% per l’indice Msci Europe nel 2019, dopo un miglioramento di appena il 5% nel 2018. «Rimaniamo focalizzati sulla ricerca di società in crescita e di alta qualità i cui modelli di business, cultura e di esecuzione offrono protezione da forze esogene, come
Sopra Alistair Wittet gestore del fondo Comgest Growth Europe
Scenari di crescita dell’Eurozona Crescita del Pil in % anno per anno 8 6 4 2 0
-2 -4 -6 -8 1970
1975
1980
1985
Crescita Pil
1990
1995
Espansione
2000
2005
2010
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Moderata recessione
2020
2025
Recessione severa
Espansione economica dal picco precedente
La contrazione è principalmente dovuta alla recessione 2011–12 (Index 4Q 2007=100) 120 116 112 108 104 100 96 92
2008
2009
Pil Eurozona
2010
2011
2012
2013
Pil USA
FONTE: ECB, HAVER ANALYTICS, OXFORD ECONOMICS, UBS
2014
2015
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2018
l‘incertezza politica o l’indebolimento dell‘economia», dice Wittet. Gam al contrario ha una view positiva sul mercato azionario europeo. «Crediamo che le valutazioni dei titoli del Vecchio Continente, i dividendi e gli utili societari siano attraenti». Ma aggiunge: «Quest’anno la selezioni dei titoli si rivelerà probabilmente la chiave per estrarre i benefici da questa asset class». Per Carmignac i titoli ciclici europei non saliranno certo alle stelle nel 2019, tanto più che un eventuale accordo commerciale tra Cina e Stati Uniti favorirà, come è prevedibile, le importazioni provenienti dagli Usa. «Ci teniamo lontani dai trade sensitive stock, come le automobili. In ogni caso privilegiamo i settori difensivi, dato il sentimento di rischio sul mercato», aggiunge Ahmed.
Nell’incertezza quindi prevale la tattica. “Attualmente abbiamo una posizione di liquidità relativamente elevata. Se i prezzi dovessero scendere di nuovo drasticamente, avremmo sufficiente margine di manovra per agire in modo anticiclico”, dice Vorndran. E l’Italia? La voce fuori dal coro è ancora quella di Franklin Templeton: “Siamo costruttivi sul debito del governo italiano in quanto ci sono rischi, ma gli investitori sono compensati per questi rischi”, dice Zahn. Che conclude profeticamente: “La situazione politica italiana è probabilmente la più interessante. Se la Lega confermerà i risultati emersi dai sondaggi, allora potrebbero promuovere elezioni nazionali per consolidare il loro controllo e questo dovrebbe essere un catalizzatore positivo per il debito del governo italiano”. giugno 2019
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EQUITY
Blue chip europee «sicure» oltre l’incognita del voto di Mauro Del Corno
L
e elezioni europee hanno fornito un insegnamento di cui dovrebbe fare tesoro chiunque voglia investire in azioni, tenendo conto delle incognite politiche. Un buon esempio di come e quanto gli appuntamenti elettorali possano influenzare, o non influenzare affatto, i listini. Di come sia possibile proteggere un portafoglio dalle incertezze riconducibili al contesto politico. O del modo in cui si possono sfruttare questi stessi fattori per trarne profitto. In generale risultati sostanzialmente in linea con quanto previsto dai sondaggi non provocano particolari sussulti poiché già incorporati, con largo anticipo, nei prezzi delle azioni. Al contrario i listini si muovono quando ci sono buone o cattive sorprese. Nell’immediato la reazione tende a essere esagerata (“overreact”), sia al rialzo che al ribasso. Una caratteristica oggi esasperata dalla predominanza di scambi automatizzati. Circa i due terzi di tutti gli ordini di acquisto e vendita sono gestiti da algoritmi che cercano di estrarre pro50
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UNA “MANITA” DI TITOLI AZIONARI A PROVA DEL DOPO ELEZIONI EUROPEE. SI TRATTA DI AZIENDE A GRANDE CAPITALIZZAZIONE I CUI FATTURATI SONO SPALMATI SU PIÙ AREE GEOGRAFICHE fitti da movimenti dei titoli che avvengono in frazioni di secondo. Il risultato è che nel brevissimo termine le oscillazioni si amplificano e le ondate di vendita (o acquisto) si estendono a gran parte dei titoli. I movimenti delle azioni tendono a scollarsi, quasi completamente, dai cosiddetti fondamentali (ossia i valori dei bilanci delle aziende quotate). In questi frangenti caotici è bene tenere a mente tre parole magiche: sangue freddo e pazienza. Alti e bassi sono quasi sempre destinati a ridimensionarsi in poco tempo, e valutazioni più ragionate sui titoli a sostituire quelle più “istintive” e dettate da logiche di brevissimo periodo. Sul Vecchio Continente gravano ancora numerosi fattori di incertezza che non mancheranno di provocare contraccolpi sui mercati nei prossimi mesi. Da tempo i listini azionari si muovono come un pendolo che oscilla tra paura ed euforia. A dettare il ritmo sono stati soprattutto i segnali inviati dalle banche centrali, prima più inclini a una graduale stretta monetaria, poi più accondiscendenti verso il proseguimento
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di politiche estremamente espansive. Prossimi sviluppi del processo di Brexit, tensioni commerciali tra Usa, Cina ed Europa, fragilità delle finanze pubbliche italiane, avvicendamento alla guida della Banca centrale europea con la fine del mandato di Mario Draghi sono i temi che disegneranno gli scenari nei prossimi mesi. Vediamo qualche consiglio per costruire un portafoglio azionario il più possibile protetto da eventuali turbolenze. La prima considerazione è quasi di buon senso. Navi grandi tengono il mare agitato meglio delle piccole. Dunque meglio puntare su aziende con grandi capitalizzazioni e composizione dei fatturati spalmata su più aree geografiche. Per non aggiungere rischio a rischi, evitare titoli di paesi con prospettive economiche più deboli. Quindi, purtroppo, anche l’Italia. Finanziari e automobilistici sono titoli tradizionalmente più volatili e quindi, salvo qualche eccezione, poco adatti alla costruzione di un portafoglio difensivo. Non sembra consigliabile scommettere troppo sul dollaro, puntando magari su titoli europei molto esposti sui mercato statunitense. Le turbolenze politiche incidono certamente sul cambio ma ci sono altri fattori che sostengono l’euro, rendendo improbabile un significativo apprezzamento del biglietto verde. Qualche sorpresa positiva potrebbe invece arrivare dalla Cina, dove gli effetti delle misure di stimolo avviate dalle autorità di Pechino dovrebbero dispiegare appieno i loro effetti soprattutto nella seconda parte dell’anno. Fatte queste premesse ecco alcuni titoli per costruire un piccolo paniere coerente con quanto scritto. Il primo è Total, colosso petrolifero francese che capitalizza 124 miliardi di euro e ha la quota più pesante (6,2%) dell’indice Eurostoxx50 dei primi 50 titoli area euro. Total ha risultati e redditività in crescita negli ultimi 3 esercizi. Dispone di ampia liquidità (26 miliardi di euro) e quindi non soffre eventuali peggioramenti delle condizioni creditizie. Il prezzo del greggio costituisce un’incognita ma diversi specialisti del settore sottolineano come l’industria petrolifera sia molto più preparata che in passato di fronte a repentine discese delle quotazioni. Total mostra inoltre un rapporto tra prezzo delle azioni e utili che si colloca nella fascia basa rispetto ai concorrenti. Elemento che potrebbe segnalare la presenza di margini di apprezzamento del valore del titolo. Restando in Francia un’altra opzione interessante è rappresentata dal gruppo Louis Vuitton Moet Hennessy (LVMH). Grande nome del lusso, con valore di borsa di 167 miliardi di euro, mostra risultati in costante miglioramento. Chi investe dev’essere ben consapevole che performances passate forniscono poche certezze riguardo a guadagni futuri. Non perché non si possa capire se un’azienda è sana, ben gestita e prometten-
te, ma perché tutto ciò che è facilmente prevedibile è già incorporato nel prezzo delle azioni. Tuttavia il nostro primo obiettivo è difensivo ed esistono fattori che potrebbero spingere questo titoli al rialzo. Come tutte le aziende del lusso, anche LVMH è infatti sensibile alle prospettive dell’economia cinese, mercato sempre più importante per questo tipo di consumi. Se nella seconda parte del 2019 la Cina dovesse ritrovare un ritmo di crescita più sostenuto, chi ha in tasca questi titoli avrebbe verosimilmente motivo di compiacersi. In quest’ottica un altro titolo da guardare con interesse è quello del gruppo industriale tedesco Siemens. Fortemente internazionalizzato (realizza solo 1/8 del suo fatturato in Germania), e quindi meno sensibile alle vicissitudini del Vecchio Continente, capitalizza circa 90 miliardi di euro. L’eventuale accelerazione della Cina e di tutti i paesi emergenti che trascina con sè, potrebbero fornire una spinta importante ai risultati del gruppo. Inoltre negli ultimi anni Siemens si è dimostrata molto attenta a mantenere allettante la remunerazione degli azionisti sotto forma di dividendi. Solidità finanziaria, internazionalizzazione e prolungata crescita, contraddistinguono anche SAP, colosso tedesco del software con capitalizzazione di 131 miliardi di euro. Ricavi, margine industriale (differenza tra ricavi e costi) e utili sono in miglioramento da più esercizi, così come i dividendi corrisposti. L’ultimo titolo è un’eccezione alla regola secondo cui nelle fasi di marcata incertezza, è meglio evitare titoli finanziari. Si tratta infatti di Allianz, primo gruppo assicurativo d’Europa, con valore di borsa di 84 miliardi. L’assicuratore tedesco è particolarmente solido, mostra utili in crescita e un sensibile incremento dei dividendi negli ultimi esercizi. Ha al suo interno una realtà come Pimco, importante nome del risparmio gestito, basato negli Stati Uniti. Allianz è quindi una buona scelta per garantire una migliore diversificazione settoriale all’interno di questo piccolo portafoglio. Esiste infine un’opzione piuttosto semplice per chi vuole allentare i legami con l’Europa…restando in Europa. L’indice londinese FTSE 100 raggruppa le 100 più importanti aziende quotate britanniche. Si tratta di un listino estremamente internazionalizzato. Ben il 71% dei ricavi delle società che lo compongono proviene infatti da mercati esteri. Per questa ragione paradossalmente, il Ftse100 non soffre dell’indebolimento della sterlina che si verifica quando crescono le incertezze sulla Brexit. Una sterlina più debole rende più convenienti i beni di questa società sui mercati esteri, favorendone la competitività. Un Etf che replichi l’indice è una buona idea per aggiungere un pizzico di dinamismo al nostro portafoglio, senza assumersi rischi eccessivi. giugno 2019
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PRIVATE CAPITAL
Investitori sul picco della montagna Ecco le asset class su cui puntare di Annalisa Caccavale
IL 2019 METTERÀ ALLA PROVA L’INDUSTRIA DEGLI INVESTIMENTI ALTERNATIVI. FIDUCIA NEGLI HEDGE FUND E NEL PRIVATE DEBT
L
a copertina dell’ultimo studio di Preqin, dedicato all’Investor Outlook: Alternative Assets H1 2019, mostra il picco di una montagna e viene il dubbio se pensare che il private equity sia alla base o al picco del massiccio. Secondo il report, pubblicato qualche giorno fa, il 2019 potrebbe essere un anno cruciale sia per l’industria sia per il private capital. Dopo aver goduto di un periodo di crescita costante nell’ultimo decennio, con un record di masse in gestione pari a 9.440 miliardi di dollari (i dati mondiali sono al 30 giugno 2018), ora la rotta sembra invertita. Annusando il cambio d’aria, a novembre 2018 Preqin ha condotto un’indagine su oltre 400 investitori per verificare il loro sentiment sulle varie asset class (private equity, hedge fund, real estate, infrastrutture, private debt e risorse naturali), e farsi anticipare sfide e piani per i prossimi 12 mesi. In effetti dai risultati della ricerca emerge come gli investitori si sentano già sul picco della montagna e con tali livelli di attività si sono detti d’accordo sul fatto che si è al culmine del ciclo del mercato azionario e che il mercato mostra già i primi segnali di indebolimento. Gli investimenti alternativi hanno superato gli ostacoli dell’ultima recessione e presentano numerosi elementi di attrattività: nel private equity la ricerca di rendimenti elevati nelle infrastrutture e real estate, la copertura contro l’inflazione e il flusso di entrate affidabili; nel private debt il costante flusso di reddito e negli hedge fund e nelle risorse naturali la diversificazione e la scarsa 52
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A destra Theresa May, ex primo ministro britannico
correlazione con altre categorie di investimento. Le varie asset class hanno logiche e scopi differenti quindi non sorprende che gli investitori abbiano strutturato nel tempo portafogli più grandi e più complessi, non essendo ancora evidenti gli elementi di un cambiamento del mercato. La logica è quella di sovraperformare così da non mostrare il calo sulle altre asset class. Gli hedge fund riescono molto bene in questo perché sono in grado di offrire una protezione del capitale durante un mercato al ribasso prevedendo un riequilibrio dei loro portafogli nell’anno successivo. Il mercato continua a essere una grande opportunità anche se le sfide da affrontare sono molte e differenti a seconda dell’investimento; per esempio nel settore delle risorse naturali queste ultime sono diventate progressivamente più care, la concorrenza è cresciuta e i gestori dei fondi sono sempre più sotto pressione nell’offrire un prodotto d’eccellenza. L’industria degli investimenti alternativi nel suo insieme ha dimostrato capacità di adattarsi e superare queste sfide. I gestori di fondi stanno evolvendo le loro strategie e i percorsi verso il mercato per continuare a creare valore, gli investitori stanno diventando sempre più sofisticati nel valutare le diverse opportunità e gli advisor offrono servizi a valore aggiunto per i propri clienti. La differenza la fanno l’informazione e la capacità di reperire le conoscenze necessarie per studiare il quadro d’insieme in cui si va a inserire l’investimento che si vuole realizzare. Nel mondo del private equity si stanno offrendo ritorni altissimi che superano spesso le più rosee aspettative anche se, nel 2018, l’attività di raccolta dei fondi ha subito un rallentamento rispetto ai livelli record del 2017. Questo perché gli investitori istituzionali hanno ridotto i nuovi impegni. I ritorni sono alti e gli intervistati ritengono che il trend proseguirà in tale direzione se i gestori saranno capaci di continuare a trovare opportunità di disinvestimento adeguate. Gli alti rendimenti sono uno dei principali motivi per cui gli inve-
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la più attraente opportunità di investimento, seguita dall’ovest Europa , escluso il Regno Unito, 49%. La Gran Bretagna è vista favorevolmente dal 28% degli investitori anche se l’incertezza del mercato derivante dalla Brexit potrebbe scoraggiarli. Alcuni intervistati infatti preferiscono aspettare e verificare come si evolverà la situazione dopo la Brexit, indirizzandosi intanto verso i mercati asiatici, in forte sviluppo. Siamo sicuramente al centro dell’attenzione e dobbiamo mantenere le promesse di rendimento per consolidarci.
Intenzioni di investimento in private equity da parte degli investitori nel lungo periodo (2012-2018) 100% 90%
33%
36%
39%
80% 70% % di intervistati
stitori continuano a investire nel private equity (lo dice il 51% degli intervistati). Quasi i due terzi (65%) delle target hanno reso oltre 12%. La buona notizia è che gli investitori sono ampiamente soddisfatti di come sono andati i loro investimenti: il 64% ha dichiarato che le aspettative sono state ampiamente soddisfatte; più di un quarto degli intervistati, il 26%, ha affermato che i rendimenti hanno decisamente superato le aspettative. Nel periodo 2011-2015, i fondi di buyout hanno realizzato un Irr medio netto del 16-21%, seguito dai fondi di venture capital (1321%) e da quelli di expansion (10-18%). Anche se molti sono cauti rispetto ai rendimenti futuri, gli investitori restano ancora fiduciosi sul fatto che nel 2019 si possano raggiungere obiettivi di portafoglio ambiziosi: il 68% rimane sereno sul fatto che anche per il 2019 i rendimenti resteranno in linea con quelli del 2018, quindi estremamente positivi. Interessanti sono i dati infine sull’effetto Brexit: nel 2019, il 36% degli investitori intervistati mirerà esclusivamente agli investimenti nei mercati sviluppati, mentre il 40%, oltre a questi, potrebbe destinarne una parte sui mercati emergenti. Solo una piccola quota, 8%, investirà soprattutto in questi ultimi. All’interno dei mercati sviluppati, due terzi degli investitori ritengono che gli Stati Uniti rappresentino
52%
48%
43%
46%
60% 50% 48%
40%
49% 53%
30% 20% 10%
19%
16%
8%
0%
nov-12
nov-13
nov-14
Incremento allocazione
6%
6%
4%
5%
nov-15
nov-16
nov-17
nov-18
Stessa allocazione
Diminuzione allocazione
FONTE: PREQIN INVESTOR INTERVIEWS, NOVEMBER 2012-2018
Principali sfide per i rendimenti nel 2019 72% 40%
Competizione 33%
Incremento tassi di interesse
32%
Condizioni disinvestimento 23%
Volatilità mercato azionario 20%
Contesto geopolitico
17%
Deal flow 7%
Regolamentazione
5%
Volatilità mercato valutario
0%
49%
43%
Valutazione
Volatilità mercato commodities
46%
53%
1% 10%
20%
30%
40%
50%
60%
70%
80%
% di intervistati FONTE: PREQIN INVESTOR INTERVIEWS, NOVEMBER 2018
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I DIECI ANNI DI INTEGRAE SIM, LA LEADER DELL’AIM
«Dateci un mercato borsistico e vi solleveremo le piccole imprese» di Sergio Luciano
D
ieci anni fa, quando abbiamo iniziato, siamo partiti da due considerazioni. Abbiamo considerato che in Italia c’era e c’è ancora un tessuto industriale ricchissimo di piccole e medie imprese dinamiche e redditizie, ma spesso sottocapitalizzate», racconta Luigi Giannotta, direttore generale e fondatore di Integrae Sim. «E che d’altra parte c’era depositato nelle banche una grande ricchezza privata delle famiglie italiane, spesso collocata in prodotti di risparmio poco fruttuosi. Abbiamo pensato quindi di poterci collocare al centro di questi due mondi, destinati sicuramente a incontrarsi, prima o poi: investitori in cerca di aziende promettenti e aziende promettenti in cerca di investitori. Un mercato che non poteva non nascere e crescere sano, a nostro avviso: un mercato che oggi è l’Aim Italia, e che come Integrae Sim è nato dieci anni fa. I fatti ci hanno dato ragione». Parola di pionieri, insomma: pionieri del mercato azionario delle piccole imprese, appunto l’Aim Italia, che in dieci anni ha dato molte soddisfazioni, creato anche – fatalmente, soprattutto all’inizio – qualche malumore, ma in ogni modo è diventato adulto e si è consolidato. Un mercato su cui si sono distinti alcuni nuovi operatori finanziari, di varia natura e fisionomia, tra i quali Integrae Sim si è affermata come leader: con 36 operazioni totali e con 22 operazioni dal 2014 al 2018 su un totale di 71 quotazioni fatte nel periodo è stata di gran lunga il Nomad più attivo. Ed è stata la terza nella graduatoria stilata per valore di raccolta finanziaria, ben 93,4 milioni di euro. Ma soprattutto si è collocata al primo posto per andamento delle capitalizzazioni borsistiche delle società collocate, che nell’insieme viaggiano tutte sopra il prezzo di collocamento. «Non possiamo lamentarci», ammette Giannotta, con un understatement che richiama subito alle mente lo stile della casa dalla quale Giannotta e gli altri soci fondatori di Integrae Luigi Giannotta e Antonio Tognoli, provengono: la Comit, la mitica Banca commerciale italiana (poi confluita in Banca Intesa) che è stata praticamente per trent’anni la leader incontrastata del capital market e della riservatezza. «Un principio che ci piace e che applichiamo è: ‘Fatti, non parole’, che non è poco, in un mondo dove ci sono tante chiacchiere», s’inserisce Francesco D’Antonio, responsabile del corporate finance di Integrae Sim, un po’ il cuore pulsante dell’azienda, la fabbrica dei prodotti. «Per fare il nostro mestiere, questo forse possiamo dirlo serenamente, occorre amarlo molto e amare molto questo Paese, perché è un mestiere difficile, ma dà anche molte soddisfazioni». Un pensiero che connota tutto il team della società, un team coeso, af-
«
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Luigi Giannotta, direttore generale e fondatore di Integrae Sim
UN TEAM DI MANAGER TEMPRATI ALLA SCUOLA COMIT, UNA VISION LUCIDA E UNA SFIDA: FARE BUSINESS E CRESCERE INSIEME CON I CLIENTI. IDENTIKIT DI UN MARKET-MAKER fiatato, ma con diverse esperienze che assieme creano valore per i clienti. E portano clienti: perché tutta la squadra monitorizza costantemente il mercato per individuare le aziende “papabili” per l’accesso all’Aim. «Bisogna amare questo Paese e le sue piccole imprese», prosegue D’Antonio, «armandosi di elasticità mentale, di competenze interdisciplinari, e anche un po’ di pazienza. E aprendosi a comprendere le dinamiche imprenditoriali, il punto di vista di imprenditori che hanno superato tante difficoltà per fare grande la loro impresa e non vogliono privarsene ma, insieme, vogliono vederla crescere. Quindi da una parte possono aprirsi all’idea di quotare in Borsa l’azienda, raccogliendo capitali,
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dall’altra hanno mille timori. Il contesto, non dobbiamo dimenticarlo, sembra essere un percorso a ostacoli contro la quotazione». Il team che oggi guida Integrae lavorava già, con i metaforici calzoni corti, negli “splendidi Anni Novanta”, quando arrivarono i primi incentivi fiscali del decreto Tremonti, che riconosceva uno sconto fiscale del 16% per i primi tre anni alle neo-quotate. Poi c’è stata l’esperienza del mercato Expandi, poi il Mac… «Quando abbiamo deciso di creare una nostra azienda indipendente», rievoca ancora Giannotta, «e abbiamo chiesto tutte le autorizzazioni per poter operare come Sim, dotandoci dei relativi requisiti, c’era ancora il Mac, che operava insieme con l’Aim. Finchè qualcuno opportunamente pensò di fonderle, e nacque l’Aim Italia come lo abbiamo oggi. Con molta prudenza, a piccoli passi…». Quei piccoli passi sono diventati via via una marcia ben cadenzata, se non trionfale. Oltre cento società quotate in dieci anni, mentre sugli altri mercati in due secoli di attività della Borsa italiana, vi si erano quotate poco più di 200 società, peraltro soprattutto banche, assicurazioni e finanziarie. «Ma sia chiaro: questi numeri decretano un successo, certo, ma non rendono
GIANNOTTA E D’ANTONIO: «LA COSA PIÙ INTERESSANTE È VEDERE COME UNA PMI CHE SI QUOTA CON SUCCESSO, RICEVE DALL’APERTURA AL MERCATO DEI BENEFICI ENORMI, MOLTO AL DI LÀ DEL CAPITALE CHE HA INCASSATO» più facile trovare e accompagnare in quotazione piccole e medie società che siano davvero adatte», spiegano Giannotta e D’Antonio: «Bisogna fare un’opera di scouting e poi formazione, accompagnandole a capire cosa cambia, quotandosi. Di fatto noi eroghiamo corsi accelerati alle nostre aziende clienti, spiegando i passi necessari e propedeutici per la quotazione in Borsa. Ma la cosa più interessante è vedere come poi una Pmi italiana che ce la fa, che si quota con successo, riceve dall’apertura al mercato dei benefici enormi, che vanno molto al di là sia del capitale reperito sia dell’effetto pubblicitario connesso alla quotazione. Benefici che stanno nella migliore conduzione dell’attività imprenditoriale. Trasparenza, efficienza, visione strategica: quel che il mercato chiede». «Se le piccole e medie imprese si fermassero, in Italia», chiosa Giannotta, «l’Italia intera si fermerebbe. Invece, le Pmi che si aprono al mercato sono dinamiche e proattive. E trasparenti. Le Pmi italiane sono un tessuto imprenditoriale ricco di eccellenze, ripeto, e questo ormai ben si riflette nell’Aim Italia. Certo all’inizio c’è stato anche qualche passo falso e tanta diffidenza da parte di molti e del sistema bancario in
LA TOP TEN DEGLI INTERMEDIARI
PER VALORE SOCIETÀ
VALORE (mln €)
PER VOLUME NUMERO OPERAZIONI
VALORE
SOCIETÀ
(mln €)
NUMERO OPERAZIONI
1
Intermonte
140,7
5
1
Integrae SIM
93,4
22
2
CFO Sim
103,8
7
2
Banca Finnat Euramerica
57,7
9
3
Integrae SIM
93,4
22
3
EnVent
32,3
9
4
EQUITA
92,3
3
4
CFO Sim
103,8
7
5
Mediobanca
75,0
3
5
Banca Popolare di Vicenza
62,3
7
6
Banca Popolare di Vicenza
62,3
7
6
Intermonte
140,7
5
7
Banca Profilo
56,5
4
7
Banca Profilo
56,5
4
8
Banca Finnat Euramerica
50,7
9
8
EQUITA
92,3
3
9
Banca IMI/Intesa Sanpaolo
56,5
2
9
Mediobanca
75,0
3
31,1
2
10 Unicredit
31,1
2
10 Unicredit
PERIODO DI RIFERIMENTO:2014-2018. FONTE: ELABORAZIONE LEGALCOMMUNITY.IT E FINANCECOMMUNITY.IT SU DATI MERGERMARKET
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FAVORIRE L’ACCESSO DELLE PICCOLE E MEDIE IMPRESE AL MERCATO DEI CAPITALI DOVREBBE ESSERE UN OBIETTIVO ESSENZIALE PER OGNI GOVERNO primis, ma poi il mercato è migliorato. Oggi ci sono moltissime società di qualità, anche di settori tradizionali e non solo digitali o tecnologiche», aggiunge il direttore generale di Integrae. Secondo il quale però l’economia italiana ha un grandissimo potenziale ancora inespresso. Se pensiamo che in Gran Bretagna il mercato analogo ha quotato 3000 società, si capisce subito quanto terreno potrebbe ancora essere guadagnato. «Favorire l’accesso delle piccole e medie imprese al mercato dei capitali dovrebbe perciò essere un obiettivo essenziale per qualsiasi governo, a prescindere dal colore politico», osserva D’Antonio: «Attraverso il credito d’’imposta per esempio. Ma anche aumentando la consistenza e rafforzando la fisionomia degli investitori incaricati e favoriti nell’investire sulle Pmi». Il riferimento è trasparente e riguarda la nuova normativa sui Pir, che è stata deludente: «Ci aspettavamo un regolamento più facilmente utilizzabile e invece le nuove regole appaiono confuse e di non facile applicazione. Fatto sta che la normativa dei Pir 2.0 sembra scritta più per il venture capital e private equity che per l’Aim Italia, che infatti non sta raccogliendo granchè. Speriamo piuttosto che i nascenti Eltif possano costituire un’alternativa valida. I Pir vanno bene all’inizio, ma se poi gli investimenti fatti nelle Pmi finiscono in un fondo aperto mal si adattano ad un’ottica di medio lungo termine». Secondo Integrae Sim, l’Aim è infatti una chiave fondamentale proprio per far crescere dimensionalmente le Pmi nel lungo termine: «E non 56
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Francesco D’Antonio responsabile del corporate finance di Integrae Sim
soltanto per i capitali che può portare loro, quanto anche per la riorganizzazione manageriale che induce. Il che giova alle imprese: le scelte delle aziende quotate sono costantemente più orientate verso la creazione del valore rispetto a quelle delle aziende private». Il sostegno al mercato azionario delle Pmi dovrebbe essere dunque una priorità per qualunque governo: «Naturalmente in un’ottica lungimirante e non speculativa. Qualcosa di buono è stata fatta, in passato: la detraibilità del 50% dei costi di quotazione, lo sconto del 30% a chi investe in Pmi innovative… ma come in tutti i processi di crescita forte, come quello che l’Aim sta vivendo, non tutto è stato lineare…», conclude D’Antonio. Qualcosa va inoltre migliorato – o forse semplicemente riordinato – anche nei ranghi di chi opera come intermediario e advisor sul mercato delle quotazioni delle Pmi. Avere le caratteristiche legali di un vero Nomad normato in base alla legge italiana e ai Regolamenti di Borsa Italiana, sottolineano in Integrae Sim, comporta, come soggetto vigilato da Banca d’Italia, costi di compliance annuali di oltre un milione di euro e solo per dire al mercato che si è una Sim. Chi non deve sostenere questi costi può praticare prezzi inferiori, ma non può fornire lo stesso servizio di una Sim con tutte le necessarie autorizzazioni per operare come un vero intermediario.La concorrenza simmetrica fa bene al mercato, sostengono i vertici di Integrae, sempre tenendo bene a mente che il Nomad deve tutelare perché risponde, quasi come un pubblico ufficiale, della correttezza dell’operato delle società che porta in Borsa. «Per essere una Sim non basta un’etichetta, ci vuole un’organizzazione con tanto di corporate finance, trading, ricerca, etc.», dice Giannotta, «e non basta inserire uno o due professionisti in struttura» per essere un intermediario finanziario professionale. I piani per il futuro? Giannotta e D’Antonio accarezzano con gli occhi la sfilata di “tombstone” di plexiglass che celebrano i collocamenti di successo condotti in dieci anni: «Vogliamo continuare a crescere anche noi, continuare a fare molti fatti e poche chiacchiere, a individuare piccole e medie aziende eccellenti e aiutarle a diventarlo ancora di più quotandosi all’Aim Italia. Tra dieci anni, ne siamo sicuri, ci ritroveremo ancora qui, ancora più forti e più soddisfatti».
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ECONOMIE CHE CAMBIANO
Quei pregiudizi da cui liberarsi per investire nei mercati emergenti in collaborazione con Franklin Templeton
PAESI VISTI COME UN INSIEME OMOGENEO DI ESPORTATORI DI MATERIE PRIME E PRODUTTORI A BASSO COSTO. MA LA VERITÀ È ASSAI DIVERSA
S
ignificativi progressi su vari fronti hanno fondamentalmente cambiato la percezione dei Mercati emergenti (Me) nel lungo periodo, che è imperniata sulla crescita dei redditi e sul miglioramento della qualità della vita, sulla scia della forte aspirazione della gente a un futuro migliore. Per capire quanta strada abbiano compiuto i Me basta ricordare che nel 2017 hanno generato quasi la metà (44%) della crescita del Pil mondiale, rispetto al 20% del 1987. Ciò nonostante, sui Me persistono vecchi pregiudizi che sono diventati una delle principali ragioni della loro scarsa rappresentazione all’interno dei portafogli di molti investitori. L’ostinazione a persistere in questi vecchi presupposti può avere gravi implicazioni per gli investitori, che in tal modo ignorano probabilmente la trasformazione di queste economie, continuando a destinare sistematicamente allocazioni inferiori alla media alle parti del mondo che crescono ai ritmi più elevati. La maggior parte dei Me alla ricerca di crescita circa 20–30 anni fa, ha perseguito un semplice obiettivo, ossia produrre e vendere all’estero. I paesi con abbondanti riserve di petrolio, metalli preziosi e altre materie prime, le fornivano alle nazioni industrializzate bisognose di risorse. Altre economie si sono avvalse degli ampi bacini di manodopera a basso costo per diventare centri manifatturieri poco costosi per l’Occidente. Non sorprende che le sorti di questi Me siano spesso cambiate di pari passo con quelle del resto del mondo. Gli echi di questo passato rimangono forti. Molti investitori continuano a considerare i Me come esportatori a basso prezzo la cui crescita dipende dai Mercati sviluppati (Ms) e si preoccupano per la percepita ciclicità degli investimenti nei Me. Le prime pagine continuano a focalizzarsi sull’esposizione economica dei Me ai Ms, ma così facendo non si riconosce che le economie dei Mercati emergenti sono state protagoniste di un’evoluzione significativa, salendo ai gradini superiori della scala dello sviluppo. In alcuni dei maggiori Me, come la Cina, osserviamo che il rapido incremento dei propulsori economici di natura interna — consumi e tecnologie — fanno passare in secondo piano le vecchie industrie legate alle materie prime o alle esportazioni a basso costo. I consumi interni in rapido aumento
A destra, Manraj Sekhon, CFA Chief Investment Officer, Franklin Templeton Emerging Markets Equity
all’interno di grandi economie come quella cinese, hanno a loro volta determinato una maggiore percentuale di esposizione economica intra-Me rispetto ai Ms. Le variazioni nell’indice Msci Em rispecchiano l’evoluzione del panorama economico. Negli ultimi dieci anni, la ponderazione dell’energia nell’indice Msci Em si è quasi dimezzata, scendendo dal 15% all’8%; il settore delle materie prime è anch’esso diminuito. Tuttavia la ponderazione dell’informatica è più che raddoppiata, salendo dall’11% al 27% e il settore dei beni voluttuari si è a sua volta ampliato. Parecchi Me hanno assunto la guida dell’innovazione e stanno superando l’Occidente in aree come e-commerce, pagamenti digitali, servizi bancari via mobile e veicoli elettrici. Ad ampia conferma del progresso collettivo dei Me, ricordiamo che hanno superato Stati Uniti e Giappone in termini di domande di brevetto. Sotto certi aspetti i punti deboli dei Me sono divenuti i loro punti forti. Non ostacolati da investimenti irrecuperabili in sistemi tradizionali o infrastrutture, hanno potuto godere di ampi spazi per fornire soluzioni creative ad alcune delle loro maggiori problematiche. L’adozione di un’ottica di lungo termine lascerà alle potenti tendenze in atto un tempo sufficiente per per coglierne i risultati , senza il timore di subire i contraccolpi negativi derivanti dall’episodica volatilità di mercato. Inoltre riteniamo che i migliori risultati d’investimento richiedano un approccio attivo, in combinazione con la capacità di identificare aziende dotate di una capacità sostenibile di generare utili e scambiate a sconto rispetto al loro valore intrinseco. Sebbene questo quadro si discosti da alcuni dei più tradizionali approcci all’asset allocation, riteniamo che possa aiutare gli investitori a trarre profitto in modo ottimale dalle opportunità offerte oggi dall’asset class dei Me. giugno 2019
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L’ECONOMISTA DELL’ENERGIA
«Altro che tramontare, il petrolio (e il diesel) resteranno strategici» di Sergio Luciano
I
combustibili fossili hanno un grande avvenire davanti a sé. Per di più, sostenibile. Con buona pace delle rinnovabili, con cui convivranno per molti decenni ancora… e un grande avvenire ce l’ha in particolare il diesel. Ne è sicuro – e spiega molto bene il perché - Salvatore Carollo, uno dei massimi esperti italiani del settore, una vita al trading dell’Eni, alla cui Academy ancora insegna, e consulente internazionale per major petrolifere e Stati sovrani come l’Angola. «Guardi, le faccio un ragionamento semplicissimo. Se raffiniamo un barile di petrolio, ne ricaviano per il 5% jet-fuel, carburante per aerei; per il 30% benzina; e per il 40-50% diesel. Se decidiamo che il diesel inquina e non vogliamo più utilizzarlo, come prevedono le sparate di un po’ di sindaci ambientalisti, quel 40-50% del barile che diventa diesel non possiamo bruciarlo né disperderlo nell’ambiente, quindi lo dobbiamo stoccare. Dopo pochi giorni, gli stoccaggi si riempiono e la raffineria si ferma. Addio aerotrasporto, addio traffico autoveicolare». Ma è assurdo! Appunto: per cui dire fermiamo le macchine diesel è un’assurdità. Ma com’è che negli Usa il diesel non c’è e campano benissimo senza? C’è differenza storica tra Europa e USA. Gli Stati Uniti hanno scelto la benzina, da sempre. E le sono rimasti ancorati. Anche il loro sistema industriale brucia benzina. Hanno raffinerie per cui il greggio viene trasformato in benzina, tutto, mentre noi abbiamo ottimizzato impianti per massimizzare la produzione di gasolio, loro hanno massimizzato benzina. Se davvero oggi in Italia volessimo abolire il diesel, per non fermare aerei e auto, dovremmo varare un enorme piano industriale di riconversione delle raffinerie. Parliamo però di investimenti dell’ordine di 10 miliardi di dollari solo per l’Italia. E chi ci si mette? 58
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SALVATORE CAROLLO, TRA GLI ESPERTI DI ENERGIA PIÙ QUOTATI DEL MERCATO, SFATA UNA CHIMERA: «NEL 2040 UTILIZZEREMO, PER L’ELETTRICITÀ, TANTO COMBUSTIBILE FOSSILE QUANTO OGGI»
Salvatore Carollo, uno degli economisti del petrolio più esperti del mondo
Ma come siamo arrivati a questo blocco, a questa scelta del diesel? La rete delle raffinerie nacque col piano Marshall. Il petrolio greggio arrivava in Italia attraverso Suez e veniva trasformato in benzine, gasoli, oli combustibili. Dall’Italia la benzina così ottenuta continuava il suo viaggio verso gli USA ma avendo ridotto il costo trasporto del trasporto al 20% del peso originario del barile. L’80% rimaneva in Europa, sotto forma di gasolio per i trasporti e l’olio combustibile per le centrali elettriche. L’enorme sviluppo del diesel in Europa nasce da questa scelta industriale fatta nel Dopoguerra per assecondare un’esigenza americana: importare il greggio mediorientale già trasformato nella beneamata benzina risparmiando sul peso. Ci saranno però paesi al mondo dove il diesel non è così insostituibile… Nossignore, a livello mondiale la situazione è ancora più critica, perché manca una capacità qualificata di raffinazione: non possiamo contare neanche su eccedenze produttive di altre aree geografiche. Noi che eravamo il Paese raffinatore per tutta
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l’Europa e che tuttora disponiamo di impianti efficienti, ci stiamo mettendo in una situazione di grave criticità che potrebbe esplodere da un momento all’altro. Cinquant’anni fa eravamo in grado di esportare benzina negli USA, se dovessimo finire con l’importarla dovremmo competere con consumatori di Paesi più ricchi di noi. Dunque il petrolio resta cruciale? Fin troppo. E caro. È facile rifugiarsi nelle analisi macro politiche per parlare del prezzo del petrolio, ma non possiamo trascurare le drammatiche fragilità del sistema industriale intermedio su cui si basa il sistema di approvvigionamento dei prodotti di cui abbiamo bisogno. La domanda mondiale ha superato i 100 milioni di barili al giorno. Dobbiamo avere la consapevolezza che non disponiamo già oggi di una capacità di raffinazione adeguata a trasformare questi 100 milioni di barili in prodotti finiti. Ogni giorno, qualcosa può interrompere la catena del supply dagli eventi politici a un semplice uragano nei Caraibi. Purtroppo dobbiamo solo aspettare e sperare che non accada. E l’elettrico? Non è la soluzione. Una soluzione è qualcosa che, integrato al sistema energetico nel suo complesso – tecnologie, filiera di approvvigionamento, capacità trasformativa – deve e può essere globale. Noi abbiamo due terzi dell’umanità che sta uscendo ora dall’indigenza più nera, iniziando a mangiare qualcosa in più di una ciotola di riso al giorno e hanno bisogno di energia. Arriviamo noi, dall’alto del nostro benessere stratificato, e gli diciamo: non dovete più usare energie fossili. E’ uno schema improponibile. E allora moriremo tutti soffocati dalla CO2? Macchè. La risposta è nelle tecnologie già esistenti per usare le fonti fossili in un modo più qualificato. Per esempio quelle per liquefare il gas, o anche il carbone. Oggi l’elettricità nel mondo è prodotta all’80% da fonti fossili. Nel 2040 forse scenderemo al 70%. Ma il 70% nel 2040 con 9 miliardi di popolazione, quindi in termini assoluti quel 70% varrà quanto il 100% di oggi. Altro che basta petrolio. Continuerà a crescere per decenni la domanda di barili e di tecnologie. Perciò io dico: interveniamo e subito sulle nuove tecnologie di trasformazione del petrolio per renderlo sempre meno inquinante, o altrimenti, se continueremo a gingillarci con l’elettrico, le emissioni di Co2 cresceranno in maniera drammatica. Qui è la cecità! La propaganda facile tende a far perdere di vista la direttrice corretta degli investimenti, perché qui il problema è tutto lì: il partito mondiale della spesa pubblica punta all’elettrico. Ma come? E il potere dei big del petrolio? La mitica Opec? Parlare di Opec è come parlare di un fantasma, di un mito del passato. Opec ha deciso il suicido sostanziale nel dicembre dell’88 quando, alla vigilia di Natale, lasciò che la Thatcher creasse un mercato petrolifero alternativo costruito intorno al Brent, facendo diventare Londra la capitale del petrolio e attirandovi tutte le società petrolifere. Era un mercato fisico del Brent: si comprava e vendeva forward Brent o fifteen days Brent. E poi? Poi si affinò l’efficienza del mercato Brent per evitare i rischi legati allo scambio fisico della merce. Fu creato un mercato petrolifero dove il petrolio, materialmente, non c’era più: si commercializzavano Ipe Brent, diritti d’acquisto… oggi i future sul Brent non hanno più correlazione con il prodotto… ebbene, per reazione l’Opec decise di non pubblicare più prezzo di Arabian Light, che era il valore di riferimento universale, ma di usare come bench-
mark il valore del Brent come scaturiva da questi mercati gestiti nella City. Pensava di essersi dotata di un’arma per la guerra dei prezzi, invece aveva perduto la guerra. Quando l’Opec parla di controllo della produzione, si tratta di messaggi pubblicitari assolutamente irrilevanti per gli equilibri del mercato fisico. Pensi che su una nave petroliera è discrezionalità degli armatori e dei trader caricare un 5% di barili in più o di meno, rendendo impossibile determinare l’esatto volume di greggio esportato dai terminali Opec. Se dichiarano riduzioni di 1%, in realtà possono esportare il 4% in più del dichiarato. Questo crea giochi di mercato al riparo dalle rilevazioni della stampa. Che però sfamano la curiosità dell’opinione pubblica. Dunque cosa accadrà? Le benzine stanno rincarando. Io, che non sono un tecnologo, se leggo i grafici, vedo che il prezzo della benzina sale ovunque, segno evidente che c’è uno shortage, insomma c’è scarsità di greggio. Poi vedo che ci sono sanzioni all’Iran, e scommetto che Trump non le toglierà! E allora investo sui future del petrolio e guadagno. Automaticamente quel prezzo al rialzo
PER NON MORIRE SOFFOCATI DALLA CO2 LA SOLUZIONE RISIEDE NELL’ADOTTARE LE TECNOLOGIE DISPONIBILI PER RENDERE SEMPRE MENO INQUINANTI TUTTI I DERIVATI DAL PETROLIO E DAL CARBONE
generato dal mercato sulla base di questo gioco di attese, mi fa aumentare davvero il prezzo del carico fisico di greggio che sto comprando. Stiamo parlando di un mercato molto sensibile alle opinioni. E, lo ripeto: l’Opec oggi è come un’auto da corsa in cui si sia rotta la trasmissione. Il pilota sale, accende, sente il rombo del motore, ma l’auto resta ferma. Adesso poi si parla di questo Opec Plus allargato alla Russia. Ebbene: l’ultima cosa che Mosca vuole è il controllo della produzione. L’Opec l’ha ammessa perché sa che la strategia di Putin prevede il ritorno russo nel Golfo Persico, ipotesi alla quale Arabia ed Emirati dovrebbero dire ufficialmente no mentre, trovando Putin al tavolo dell’Opec, con la finta ipotesi di dover discutere la regolazione della produzione di petrolio, possono negoziare… giugno 2019
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PRODOTTI
a cura di Francesco Bellizzi
FONDI
IL PRIMO ETF GREEN ATTIVO EUROPEO È DI FRANKLIN TEMPLETON
D
al palco del Festival dello Sviluppo Sostenibile 2019 di Roma, Ignazio Visco non ha usato mezze parole. «Bankitalia adotterà una strategia di investimento che terrà conto dei criteri Esg». Il governatore ha sottolineato anche come l’offerta di prodotti non sia ancora all’altezza dell’interesse che i risparmiatori italiani stanno dimostrando verso la finanza sostenibile. A questo tipo di domanda del mercato finanziario ha risposto Franklin Templeton con il lancio, a inizio maggio, del primo Etf Euro Green Bond a gestione attiva europeo. Un fondo che è entrato nella gamma degli Etf attivi, della società di investimento statunitense. Un passo in avanti ambizioso perché si parla di un settore, quello dei fondi comuni di investimento, caratterizzato da sempre da una gestione passiva. Gestito a Londra da David Zahn e Rod MacPhee, rispettivamente head of European fixed income e portfolio manager, l’Etf Ucits Etf Franklin Liberty Euro Green Bond2 prevede un’esposizione a obbligazioni che finanziano progetti a sostegno di un futuro a basse emissioni di carbonio. Inoltre il prodotto della società di investimenti statunitense consente l’apertura al mercato europeo delle obbligazioni verdi, con una massimizzazione dei rendimenti totali. Zahn spiegava che «nei periodi di avversione al rischio, le obbligazioni verdi mostrano una volatilità inferiore poiché gli investitori tendono a mantenerle in portafoglio. Sia nei mercati primari che nei secondari, il 72% delle obbligazioni verdi presentava rispettivamente, dopo sette giorni, spread minori rispetto alle obbligazioni ordinarie e il 62% dopo 28 giorni». Il nuovo Extended traded fund di Franklin Templeton è stato quotato lo scorso 30 aprile alla Deutsche Börse e il 2 maggio alla London Stock Exchange e alla Borsa Italiana, entrando così a far parte di una solida gamma di nove Etf smart beta ed Etf attivi all’interno della piattaforma Etf Ucit Franklin LibertySharesTM domiciliata in Irlanda. Sulle opportunità per il mercato italiano, il co-branch manager e institutional sales director, Antonio Gatta aggiungeva che il fondo «offre agli investitori nazionali la possibilità di integrare strategie green in portafoglio e di accedere a investimenti attenti al cambiamento climatico, con il valore aggiunto di beneficiare del valore creato da una gestione attiva». L’Etf sul clima investe almeno il 70% del proprio patrimonio netto in obbligazioni a marchio green, mentre la restante parte del portafoglio è costituita da obbligazioni prive di un’etichetta specifica destinate, comunque, alla riduzione delle emissioni nocive. 60
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IL FONDO TECNOLOGICO DI TCW ANCHE IN ITALIA Come primo passo verso l’apertura all’asset class azionaria della sua sicav, Tcw ha scelto di presentare anche in Italia il fondo a gestione attiva Tcw Global Artificial Intelligence Equity. Il nuovo strumento, con un patrimonio di 1,3 miliardi di dollari, punta a ottenere una crescita del capitale nel lungo termine, investendo in titoli di aziende con una capitalizzazione superiore ai 300 milioni di dollari al momento dell’acquisto, attive nell’IT, nei consumi discrezionali, nell’industrial e healthcare. Il processo parte dalla valutazione dei 5.000 titoli coperti dalla ricerca interna di Tcw. La scrematura successiva segue parametri finanziari usuali e le iniziative nel campo dell’Ai delle singole aziende. Si arriva così a una cerchia di 25-60 società, posizionate in base alle convinzioni, al potenziale di rialzo e al livello di utilizzo dell’Ia. Il portafoglio è piuttosto concentrato, con un peso iniziale delle posizioni non superiore all’8%, per una migliore gestione del rischio. Il fondo è co-gestito da Jeffrey Lin e Thomas Lee, entrambi con una vasta esperienza negli investimenti e nei settori IT e comunicazioni mobili. CERTIFICATI
I 50 TURBO CERTIFICATES DI BNP PARIBAS
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l 13 maggio Bnp Paribas ha lanciato, per la prima volta per il mercato italiano, 50 Turbo Certificate su valute e materie prime. Questo tipo di prodotto derivato, negoziabile sul mercato SeDeX di Borsa Italiana, è adatto a investimenti di breve termine e permette di investire a leva sfruttando posizioni al rialzo o al ribasso, con un minor impiego di capitale e un impatto marginale della volatilità sul prezzo. L’emissione offre un portfolio rinnovato che, per la prima volta, integra 10 certificate su valute, in particolare sulla coppia euro/dollaro statunitense, e (per la prima volta) 40 su materie prime, tra cui Wti, argento, oro, gas naturale e brent. I prodotti permettono di amplificare i movimenti del sottostante grazie alla leva finanziaria e, a differenza dei certificate a leva fissa e degli Etn a leva sulle materie prime, non risentono dell’effetto compounding. La leva scelta resta invariata fino alla chiusura della posizione, e non solo nella singola giornata di negoziazione. Il prezzo del Turbo Long riflette la differenza tra la quotazione del sottostante e il livello dello strike. Allo stesso modo il calcolo il prezzo dei Turbo Short, dipende dalla differenza tra lo strike e la quotazione del sottostante. Il suo valore azzera, determinando la perdita del capitale investito, quando la quotazione del sottostante tocca il livello di knock-out, che per i Turbo coincide con il livello di strike. A differenza dell’investimento in future, questo meccanismo permette all’investitore di conoscere dall’inizio la perdita massima potenziale. Infine l’opzione di rivendita e acquisto, senza dover aspettare la normale data di scadenza, resta a disposizione del titolare per tutta la vita del prodotto.
INVESTIRE SPECIALIST
SALVADANAIO DIGITALE
GIMME5 DI ACOMEA PER I CLIENTI DI BANCA DEL PIEMONTE
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ra le novità nel panorama italiano degli strumenti digitali che permettono di mettere da parte e gestire piccole somme di denaro, c’è Gimme5. Il salvadanaio digitale della società di gestione di Alberto Foà, Giordano Martinelli, Roberto Brasca e Giovanni Brambilla, AcomeA sgr, messo a disposizione di Banca del Piemonte. La partnership tra i due soggetti punta a offrire un servizio fintech innovativo e gratuito per la gestione dei risparmi. Da metà maggio scorso tutti i clienti della Banca del Piemonte possono richiedere l’attivazione del servizio, collegato al proprio conto corrente. Gimme5 è una app evoluta disegnata dedicata ai piccoli risparmiatori, che fa accedere a prodotti di investimento diversificati e gestiti professionalmente attraverso un alto livello di automatizzazione. Una volta scaricata l’app e aperto il proprio account, il correntista si trova davanti a due possibilità. Potrà gestire manualmente le somme, ricordando di
PAGAMENTI
BANCOMAT PAY PER LA P.A. DI INTESA SANPAOLO
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ntesa Sanpaolo è riuscita ad anticipare i competitor diventando il primo payment service provider. Il nome del suo questo servizio è Bancomat Pay ed è dedicato ai pagamenti online verso la pubblica amministrazione e nasce dalla collaborazione tra il team per la trasformazione digitale dell’Agenzia per l’Italia Digitale, Bancomat spa e l’istituto di credito di Carlo Messina. Bancomat Pay, entrato a far parte di PagoPA (il sistema unico di gestione dei pagamenti elettronici per la P.a.), prevede pagamenti in tempo reale con una semplice conferma sul cellulare dell’operazione richiesta. Il riversamento rispetta le regole in vigore per il sistema unico. Il sistema è attualmente utilizzato da enti pubblici, banche, poste, istituti di credito e privati e ha registrato oltre 10 milioni di transazioni sulla sua piattaforma, con un tasso di crescita nel 2018 del 219% sul 2017. Alessandro Zollo, amministratore delegato di Bancomat spa si è detto soddisfatto: “Sosteniamo insieme alle banche l’innovazione del Paese facendo ingresso nel mondo dei pagamenti della pubblica amministrazione. Tutti i clienti di Bancomat Pay potranno usare il servizio a prescindere dal la banca di appartenenza, mediante gli stessi canali delle banche o attraverso il sito web PagoPA”.
effettuare il bonifico per concludere la singola operazione. Oppure può utilizzare il Rid/Sdd, per attivare i meccanismi di investimento automatici, sulla scia delle nuove tecnologie ormai di casa nel settore del risparmio gestito. L’entità dei versamenti viene monitorata dal sistema attraverso i clic, denominati Joink che, a fine mese, Gimme5 si occuperà di rendicontarli. Con l’opzione “Joink Ricorrente” è possibile impostare un importo fisso che verrà periodicamente e in modo automatico accantonato e trasferito nell’account personale aperto per l’utilizzo dell’app. L’accumulo mensile non è un obbligo. L’utente è libero di emettere bonifici quando vuole, oppure sbloccando la funzionalità “Investi Subito” per visualizzare in pochi giorni la propria posizione aggiornata. Le modalità di versamento di Gimme5 sono, al momento: MyBank, bonifico, Rid/Sdd e Sofort/Klarna. AcomeA sgr ha già annunciato che se ne aggiungeranno altri.
IL CONTO CORRENTE DI FINDOMESTIC
Da questo maggio i 2,6 milioni clienti dell’istituto di credito al consumo, Findomestic, potranno aprire un conto corrente dove depositare i propri risparmi. È la prima volta che in Italia, una società di credito al consumo offre un conto corrente. Accedendo dal conto corrente online, il cliente può usufruire di Pago Sereno, la linea di credito del C.C. di Findomestic per la gestione delle spese. Si ha tempo fino a 30 giorni dall’esecuzione dei singoli pagamenti per ripensarci e per decidere se rateizzarli. La rateizzazione può andare dai tre ai sei mesi. Come dichiarato dal direttore generale dell’istituto, Gilles Zeitoun, lo strumento è utile anche per lo studio dei comportamenti e delle esigenze dei risparmiatori. Il lancio del nuovo strumento risale al 6 maggio scorso, giorno di presentazione anche del bilancio 2018 della società con cui ha registrato 9,7 milioni di euro di masse erogate.
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POLE POSITION
a cura di Buddy Fox
UBER E LYFT, SE L’UNICORNO BUCA LA BOLLA
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entre si attende la conclusione di “Game of Thrones”, c’è un’altra storia fantasy che appassiona mezzo mondo. Il suo nome è Uber, uno dei così detti unicorni, ovvero le società hi-tech che la cui valutazione al momento del debutto in Borsa supera il miliardo di dollari, non proprio due spicci come si suol dire. Doveroso precisare che nonostante gli allarmi lanciati dalle più autorevoli voci dell’informazione economico-finanziaria il mercato continua a credere in loro. La madre di tutte le domande è dunque la solita: siamo in presenza di una bolla, di un flop annunciato? Facciamo un passo indietro. Il 10 maggio è il giorno della quotazione in Borsa di Uber, l’impresa che in pochi anni ha cambiato la mobilità urbana azzerando assetti vecchi come il cucco. Dopo aver cozzato furiosamente contro i regolamenti e contro i tassisti, l’azienda cambia management e strategia occupandosi di logistica, di cibo, di bici e di monopattini elettrici. Purtroppo, il giorno del debutto per Uber non sono rose e fiori: apre a 42 dollari (il prezzo di collocamento era
fissato a 45 dollari) e chiude a 41,57. Risultato: la valutazione raggiunta è pari a circa 75 miliardi, cifra assai inferiore ai 120 miliardi previsti. Secondo i soliti bene informati la causa della débâcle è duplice: la pressione esercitata dalla rivale Lyft da un lato, i risultati economici non proprio entusiasmanti dall’altro. Non solo: il grigiore dei conti Uber finisce col ripercuotersi negativamente sul più importante investitore, la giapponese Softbank. Insomma, parrebbe che anche questa storia fantastica richieda un tributo di lacrime e sangue. Anche per Facebook, un’azienda che aveva creato altrettante aspettative tra gli investitori, l’accoglienza in borsa non fu delle più felici: in poche sedute il titolo dimezzò il suo valore, tanto che anche allora subito si parlò di bolla esplosa. Ma per chi ci ha creduto ed ha investito, solo pochi anni dopo ha visto il prezzo decollare. È facilmente ipotizzabile che il destino di Uber possa replicare Facebook, essendo una delle aziende driver del futuro economico, grazie agli incentivi dei tassi zero, ogni ribasso diventerà un incentivo per chi ancora non è salito sul treno, pardon in groppa all’unicorno.
IL RISPARMIO GESTITO, LA MATERIA PRIMA DELL’ITALIA vendere il 17% delle azioni FinecoBank: 1,014 miliardi di euro, con una plusvalenza stimata in 500 milioni di euro. Tecnicamente questo genere di operazioni è chiamato “accelerated bookbuilding”. Un nome bellissimo: noi italiani adoriamo i termini inglesi. La domanda delle cento ghinee, mitica valuta della letteratura di cappa e spada, è dunque la seguente: il sagace signor Mustier è un venditore folle con un’idea geniale in testa o un kamikaze smanioso di fare seppukko? Sono tre parole: italiani gente ingenua?
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ono tre parole: sole cuore amore” cantava Valeria Rossi qualche anno fa, presumibilmente le preferite dagli italiani. Ne manca giusto una: risparmio. La nostra più grande materia prima non sono le coste in riva al mare, circa 3.000 km e neppure le giornate di sole, bensì il denaro risparmiato. Pensate in proporzione ne abbiamo più di tutto il mondo. Una ricchezza che fa gola a molti. Noi italiani siamo un paradosso vivente: risparmiamo ma non siamo capaci di far lavorare davvero il denaro, cioè di investirlo; un vecchio vizio confermato anche dall’ultimo rapporto “Global investor pulse” di BlackRock, il sondaggio condotto in 13 paesi che indaga sulle modalità degli investimenti nel medio-lungo termine. Una risorsa non sfruttata che rischiamo di mettere a repentaglio. Invece di custodire e rafforzare le società di gestione (il risparmio gestito è attualmente l’unica fonte di reddito delle banche) le mettiamo sul mercato a rischio conquista straniera. Una riflessione inevitabile alla luce della decisione di Unicredit di 62
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INVESTIRE SPECIALIST
LA NEW ECONOMY È POI COSÌ DIVERSA DALLA OLD?
E
bbene sì, lo confesso. La notizia dell’acquisto di Deliveroo da parte di Amazon mi ha riportato alla mente l’immortale Callas nella “Traviata” quando canta l’aria “Sempre libera degg’io / Folleggiare di gioia in gioia, / Vo’ che scorra il viver mio / Pei sentieri del piacer”. Sempre libera Violetta, sempre più liberi, liberissimi, i Cavalieri dell’Apocalisse Bezos, Zuckerberg, Page e Brin, i ricchissimi, potentissimi signori della new economy che governano le loro aziende planetarie in assenza pressoché totale di qualsivoglia controllo. Si propongono quali emblemi della modernità, della democrazia e pure dell’ecologia. Peccato che Google e Facebook da sole avrebbero sottratto ai paesi dell’Unione europea almeno 5,4 miliardi di tasse attraverso un sistema semplice quanto noto: si vende e si fattura in tutta Europa, ma le tasse si pagano in Irlanda, paese nel quale le aliquote sono semplicemente ridicole. Anche sullo
sbandierato progressismo dei Cavalieri della new economy c’è da ridire. Il modello aziendale della Silicon Valley è amorevole come la giungla amazzonica. Un esempio di scuola sono i lavoratori meno qualificati che lavorano nel quartier generale Apple. Non svolgono mansioni strategiche, sicché all’azienda della mela non interessano; più semplice quindi “riclassificarli” attraverso la ben nota pratica dell’outsourcing. E nel momento in cui le funzioni vengono affidate in appalto (e subappalto) l’azienda-madre se ne lava pilatescamente le mani. Temo che la morale di questa storia sia assai diversa da quella della povera Violetta, la cocotte d’alto bordo redenta dall’amore per Alfredo. La new-economy, per quanto assai diversa, per brama di profitto assomiglia alla old come due gocce d’acqua. O per restare in tema, di champagne.
HINDENBURG: CHE CI FA UN DIRIGIBILE IN BORSA?
L’
avevano chiamato LZ 129 Hindenburg in onore dell’ultimo presidente della Repubblica di Weimar, l’infausto Paul von Hindenburg. Un meraviglioso gigantesco Zeppelin orgoglio dell’aeronautica tedesca, il più grande oggetto volante mai costruito ritenuto il più sicuro in assoluto. Costruito in alluminio rivestito di cotone, 245 metri di lunghezza (9 in meno del Titanic) per 46,8 di diametro, conteneva 211.890 metri cubi di idrogeno, gas notoriamente assai infiammabile. Il 6 maggio 1937 il mastodonte dei cieli ebbe un incidente. Durante la manovra di attracco a Lakehurst nel New Jersey, lo Zeppelin prese fuoco e in meno di un minuto venne distrutto. Si ritiene che fu un accumulo di energia statica a generare la scintilla. E il regime nazista mise la parola fine al progetto Zeppelin. Vi chiederete che c’entri questa orribile storia (morirono bruciate vive 35 persone) con la Borsa? Gli operatori ai quali di certo non manca la fantasia hanno dato il nome dell’ultimo dei dirigibili tedeschi a un indicatore che ogni qualvolta
si verificano determinate condizioni anticipa una crisi tremenda, come per esempio avvenne nel tragico 2008. Se a tutto questo aggiungiamo il famoso detto “sell in may a go away” (vendi in maggio e fatti un viaggio) generato dal fatto che tradizionalmente il periodo tra maggio e ottobre non sarebbe il più favorevole per gli investimenti e misceliamo il tutto con le incertezze delle elezioni e della politica, c’è da toccare alternativamente legno e ferro. Insomma corriamo il rischio che si ripeta ciò che è accaduto l’anno scorso, inizio positivo e seconda parte tragica? Sono dell’avviso che questa volta le cose andranno diversamente. L’unica coincidenza con l’Hindenburg sta nella data: 6 maggio l’incidente, 6 maggio l’inizio della correzione di Borsa. I tassi d’interesse ancorati allo zero fungeranno ancora da solido sostegno nelle fasi negative di mercato. La “mano invisibile” delle banche centrali e la volontà di rielezione di Trump sono pronte a dare una nuova spinta al Toro.
LA RINASCITA DI TISCALI
«N
on ho venduto azioni Tiscali quando il titolo saliva, figuriamoci se vendo oggi che il titolo scende», si può dire tutto di Renato Soru, i giudizi sono trasversali ed estremi, tranne che non sia una persona di parola. Orgoglioso, un combattente taciturno, fedele e soprattutto molto testardo, qualità e caratteristiche che ha sempre mantenuto anche in un mondo volubile com’è quello dei mercati. Tiscali nasce 20 anni fa, si quota in borsa e vive un’ascesa inarrestabile, Renato Soru nei panni di Alessandro Magno dei provider, conquista espandendosi in tutto il continente, dalle piccole società dell’Est Europa fino a grossi calibri come Liberty Surf e World Online, memorabile la scalata a quest’ultima. Era l’alba del world wide web, un nuovo mondo selvaggio, specialmente nelle quotazioni di Borsa, una situazione che raggiunge il parossismo, per raccontare ai neofiti di che epoca d’oro stia parlando bastano pochi numeri: nel 2000 Tiscali arriva a capitalizzare 18 miliardi di euro (30 mila miliardi di lire dell’epoca) superando il gigante Fiat. Fu l’apice che accecò il popolo di borsa, e anche molti analisti. Memorabile rimarrà la valutazione “buy, con
target €1.500” lanciata da Ing. Icaro aveva toccato il Sole e le ali iniziavano a prendere fuoco. Iniziò un contemporaneo sgretolamento aziendale e di quotazioni di borsa, con un bilancio che non vedrà mai un euro di utile, se non nella storia recente. Dai fasti siamo passati alla vendita dell’argenteria, dal feudo di Cagliari è partita la grande avventura e al feudo di Cagliari siamo tornati, rischiando quasi di vendere anche il castello. Ma l’azienda e il suo fondatore, tranne qualche assenza, sono sempre rimasti in piedi a combattere. Oggi Renato Soru, chiusa la parentesi politica e archiviate le pendenze giudiziarie, torna pienamente operativo in azienda: è pur sempre capo e azionista del gruppo, pronto a dare una svolta. La breve esperienza dei soci russi con Scaglia, non ha avuto successo, ma ora è arrivato Claudio Costamagna, amico ed ex compagno di studi, che grazie all’esperienza in Cdp e in Goldman Sachs ha il pedigree finanziario giusto per mettere a posto il bilancio e rilanciare finanziariamente l’azienda. Alla parte tecnologica ci pensa Soru. Vale una scommessa? Soru non ha mai venduto e, se potesse, oggi comprerebbe ancora. giugno 2019
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TALENT
LA COMPETIZIONE TRA UN “FAI DA TE”, UN CF E UN ROBOADVISOR
Un portafoglio in difesa al centro della gara “U
na poltrona per tre” è una competizione tra tre portafogli realizzati da un “fai date”, un consulente finanziario e un roboadvisor. Ha la durata di un anno e prevede la possibilità di rotazione del portafoglio, con un cambio di massimo due strumenti, al termine del primo semestre. Ogni mese partirà una nuova gara. Aggiornamenti e confronti L’aggiornamento sull’andamento di ciascuna di esse avrà cadenza semestrale. Tre concorrenti che non copiano La composizione dei portafogli è elaborata
LE SCELTE DEL “FAI DA TE”
in completa autonomia dai partecipanti al talent e oltre ad avere lo scopo della competizione vuole offrire spunti meramente informativi inerenti l’impiego di strumenti finanziari quotati sul mercato regolamentato italiano. Le informazioni e le analisi esposte pertanto non costituiscono sollecitazione al pubblico risparmio qualunque decisione di investimento e il relativo rischio rimane a carico dell’investitore. Investire non si assume alcuna responsabilità per l’eventuale utilizzo che il lettore potrà fare dei contenuti esposti. ISIN
Non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa US9128286T26 dove andare. L’abbiamo scordato, ma i US31562QAC15 nostri nonni lo sapevano molto bene e prima di XS1551074138 loro i nonni dei nostri nonni. L’incertezza, il dubbio, l’imperscrutabile e l’incalcolabile, US12592BAE48 sono sempre stati la cifra della condizione umana. Oggi l’incertezza ha il volto della IT0005363111 Brexit, della guerra commerciale tra Usa e Cina, della contrapposizione totale tra le forze IT0003132476 politiche, dello scontro muro contro muro tra opposte concezioni del mondo e della vita. IT0000072170 La nostra fortuna, incomparabilmente grande, è il possesso di strumenti in grado di ridurre il rischio, contenere l’incertezza, risolvere positivamente l’ansia generata dall’ignoranza riguardo al futuro. Un esempio è l’asset ideato per le così dette “quota 100”, le persone che hanno la possibilità di aderire a questa soluzione pensionistica. Per loro ho ideato un portafoglio equilibrato che bilancia in modo ottimale il rapporto rischio/rendimento. Uno strumento utile per affrontare in modo positivo le incertezze di questo nostro tempo. Gli strumenti che ho scelto per il profilo di questo mese,vedono preponderante la parte obbligazionaria, difensivo e prudente. Le obbligazioni tripla A, simbolo di sicurezza, proprio per il loro aspetto rassicurante sono molto richieste, dunque costano, ho cercato quindi dei prodotti che abbiano una buona solidità unita a un prezzo vantaggioso. Per questo ho scelto i bond della galassia Fiat, vicini a scadenza, ma in fase di promozione di rating con cedola generosa
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Un dipendente pubblico che ha scelto quota100 per andare in pensione e che necessita di una rendita integrativa da aggiungere alla futura pensione. Portafoglio difensivo.
PREVALE L’OBBLIGAZIONARIO
di Giacomo Damian
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IL PROFILO DEL MATCH
FONDO
MIX
T-Bond USA 2029
20%
FIAT CHRYSLER BOND 4,5%
20%
BEI 5% (Rupia India)
20%
Cnh 4,375%
10%
BTP 2049
10%
ENI (azioni)
10%
FINECO (azioni)
10%
e prezzo vicino a 100. Il T-Bond è un must, un pizzico di Btp è necessario, nonostante le incertezze politiche e il peso del nostro debito, con tassi d’interesse ancorati intorno allo zero, il rischio è le potenziali turbolenze dovrebbero sempre rimanere limitate e tamponate per tempo.Un po’ di pepe per ravvivare tutto con i bond Bei in valuta indiana, anche questi vicini a scadenza, ma con cedola molto allettante, non dimentichiamo che l’India, a differenza della Cina, è la faccia più gentile del continente asiatico, con potenziale di crescita e sviluppo ancora enorme, e con una stabilità politica confermata anche dal recente esito elettorale. Le azioni, in piccola parte, ma ci sono, ho scelto il peso massimo di Piazza Affari, Eni che oltre ad avere un rendimento equiparabile a un’obbligazione, si trova ora su prezzi sacrificati e Fineco, titolo che a un rendimento dignitoso offre anche un appeal speculativo. Minimo rischio, massima resa, questa è la nostra missione.
INVESTIRE SPECIALIST
LE SCELTE DEL CONSULENTE FINANZIARIO OBIETTIVO FLUSSO CEDOLARE E VOLATILITA CONTENUTA DENOMINAZIONE
ISIN
PESO
ISHARES CORE CORP BOND UCITS ETF
IE00B3F81R35
34,9%
DB X-TRACKERS IBOXX USD Emerging Sovereigns Quality Weighted
IE00BD4DXB77
10%
SPDR® S&P® GLOBAL DIVIDEND ARISTOCRATS UCITS
IE00B9CQXS71
15,1%
ETFS Gold BULL
GB00B15KXX56
5%
MS GLOBAL BRANDS
LU0119620416
15%
MS GLOBAL OPPORTUNITY
LU0552385295
10%
WORLD BANK
XS1793242295
100%
TOTALE Filippo Vannucci* Il portafoglio che propongo per questa sfida mira a dare all’ipotetico investitore un flusso cedolare, una buona diversificazione anche a livello geografico e una volatilità contenuta. Nella scelta degli strumenti da utilizzare ho cercato anche di orientarmi su strumenti facilmente liquidabili. Dato che la richiesta è per un investitore prudente ho verificato, tramite backtest, l’andamento dell’investimento anche nel corso del 2018 per verificare come si sarebbe comportato in un anno tra i più complessi dell’ultimo decennio. Il risultato è stato incoraggiante in quanto si sarebbe registrata soltanto una leggera flessione del 1,03 %. Per quanto riguarda la componente valutaria ho scelto di privilegiare euro e dollaro (con un peso complessivo di circa il 25% per il dollaro USA). Grazie alla combinazione di strumenti obbligazionari e etf con stacco semestrale/trimestrale, l’investitore avrà un flusso costante di reddito durante il corso dell’anno così da integrare la pensione che percepirà. Infine gli strumenti presentano buon potenziale di diversificazione, con una correlazione inferiore a 0,6 per la maggior parte del portafoglio. Qui sotto potrete trovare gli strumenti che compongono il portafoglio con relativa descrizione. • IShares Core € Corp Bond Ucits Etf Eur (IE00B3F81R35): il fondo mira a replicare il più fedelmente possibile l’andamento di un indice composto da obbligazioni societarie di qualità investment grade in euro. Prevede la distribuzione di dividendi. Peso 34,9% • Db x-trackers iBoxx Usd Emerging Sovereigns Quality Weighted Ucits Etf (IE00BD4DXB77): Etf che investe nei mercati obbligazionari emergenti con distribuzione di dividendi. Peso 10% • Spdr® S&P® Global Dividend Aristocrats Ucits Etf (IE00B9CQXS71): lo scopo del fondo è replicare la performance di azioni ad alto rendimento mondiali. L’Indice S&P Global Dividend
10%
Aristocrats è concepito per misurare la performance di società globali ad alto rendimento da dividendo comprese nell’Indice S&P Global Broad Market (BMI) che hanno seguito una politica gestita di distribuzione di dividendi in aumento o stabili per almeno 10 anni consecutivi. Peso 15,1% • Etfs Gold Bull (GB00B15KXX56): Etfs Gold (Bull) consente di effettuare un investimento Total Return sull’ ro con la replica dell’indice Bloomberg Gold Subindex in aggiunta al rendimento del collaterale. L’indice replica il movimento dei contratti future dell’ oro utilizzati nel Bloomberg Commodity IndexSM. Peso 5% • MS Global Brands (LU0119620416): il team d’investimento ritiene che le società di alta qualità possano generare rendimenti interessanti nel lungo periodo. Di norma, queste società godono infatti di posizioni di mercato dominanti, beneficiano di attività immateriali di alto valore e difficilmente replicabili e sono in grado di generare un’elevata redditività del capitale operativo senza ricorso alla leva, nonché solidi flussi di cassa. Peso 15% • MS Global Opportunity (LU0552385295): il comparto mira a ottenere la crescita del capitale nel lungo termine investendo su scala globale in società consolidate ed emergenti di alta qualità che secondo il team di gestione sono sottovalutate al momento dell’acquisto. Per raggiungere questo obiettivo, il team d’investimento punta su società dotate di vantaggi competitivi sostenibili e di un profilo di crescita nel lungo termine in grado di creare valore, anziché concentrarsi sugli eventi nel breve termine, e attua una selezione dei titoli basata su una rigorosa analisi fondamentale. Peso 10% • World Bank (XS1793242295): bond in dollari di emittente primario. L’obbligazione fornisce una cedola annua del 3% in dollari e la scelta deriva anche dalla sostenibilità dell’investimento: nasce infatti come strumento volto a finanziare progetti di sviluppo e ad eliminare la povertà in linea con gli obiettivi della banca mondiale. Peso 10% *iscritto all’Albo Ocf, sezione dei consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede
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TALENT
LE SCELTE DEL ROBOT (elaborazioni di Investire sui dati Deus Technology) “A maggio non basta un fiore. Ho visto una primula: è poco. Vuol nel prato le prataiole: è poco: vuole nel bosco il croco. È poco: vuole le viole; le bocche di leone vuole e le stelline dell’odore. Non basta il melo, il pesco, il pero. Se manca uno, non c’è nessuno. È quando è in fiore il muro nero è quando è in fiore lo stagno bruno, è quando fa le rose il pruno, è maggio quando tutto è in fiore”. Pascoli ci aveva avvisato, senza natura in fiore non è maggio, non è primavera. Oggi non solo mancano i fiori, ma non si vedono spuntare nemmeno germogli verdi. Manca la luce, manca il sole, con un cielo oscurato da nuvole che alternano pioggia, ad altra pioggia è difficile essere ottimisti. È vero, non esistono più le mezze stagioni, una banalità che abbiamo sentito ripetere per parecchi anni, ed è probabilmente vera, il problema è che oggi sembrano non esistere più nemmeno le stagioni. Certezze che svaniscono e che si vanno ad accumulare ad un lungo elenco che trasversalmente unisce meteorologia alla politica, l’economia alla medicina, ma se ancora vogliamo aggrapparci a qualche appiglio di certezza, questo lo troviamo in alcuni proverbi di borsa che anno dopo anno, nonostante l’avvento di nuove regole, sembrano confermare la propria tradizione. “Sell in May and go away”, “vendi in maggio e fatti un viaggio” hanno sempre ripetuto gli anglosassoni, un appuntamento che anche quest’anno (sono rare le eccezioni) si è presentato con puntualità straordinaria! Uno dei tanti paradossi dei mercati, che confermano avere esistenza autonoma, è per esempio la stagionalità: quando
sul pianeta Terra è primavera, cioè gioia e divertimento, sul pianeta dei Mercati è autunno, cioè grandi preoccupazioni, e viceversa. Secondo un’antica quanto basica teoria del “topo meccanico” se ogni anno l’investitore applicasse il metodo dell’acquisto in ottobre e della vendita nel maggio successivo, statisticamente nel lungo termine riuscirebbe a ottenere risultati invidiabili anche per i migliori e più sofisticati gestori. Anche quest’anno, complici le varie incertezze politiche, la guerra sui dazi e un ipotetico rallentamento economico, l’effetto maggio sembra aver colpito, inaugurando quella che per i mercati è la stagione più complicata, ricca di insidie e avara di rendimenti. Proprio per questo abbiamo pensato di creare un portafoglio che potesse essere un antidoto alla stagione dei veleni, un portafoglio prudente e difensivo, ma capace di estrapolare un rendimento, che nel nostro caso sia di supporto nella forma di rendita integrativa. Abbiamo dunque chiesto al nostro fedele e capace algoritmo di Deus Technology di creare un portafoglio ombrello dove poter trovare riparo. Naturalmente la parte obbligazionaria è largamente preponderant,e ovviamente per trovare rendimento in un settore attratto dal livello zero delle banche centrali si è dovuto selezionare nel mondo, nei mercati emergenti, nei bond ad alto rendimento (con maggiore rischio) e persino nei Btp che nonostante tutto offrono rendimento che hanno pochi rivali. Per quanto riguarda l’azionario, sia tra i paesi sviluppati che gli emergenti c’è stato avuto un unico comune denominatore: il dividendo, possibilmente generoso. Come valuta si è preferito dare il maggior peso al dollaro, una moneta che nonostante tutto, regala ancora soddisfazioni e sicurezza in tutte le stagioni dell’anno.
PRUDENTE SÌ MA ANCHE IN CERCA DI RENDIMENTO ISIN
NOME
01/12/2018
US9219464065
Vanguard High Dividend Yield ETF Dis USD
14,00%
US97717W3152
WisdomTree Emerging Markets High Dividend Fund Dis USD
11,00%
LU0748141586
JPM Global Strategic Bond C Dis USD
22,00%
IE0002460198
PIMCO GIS Global Bond Inst Dis USD
18,00%
US4642861789
iShares Global High Yield Corp Bd ETF Dis USD
14,00%
IT0005024234
Italy-3.5 Btp-1Mz30-01/03/2030 CF EUR
11,00%
LU0049785362
UBS (Lux) Str F Balanced (EUR) P Dis EUR
10,00%
PORTAFOGLIO A (QUASI) TUTTO BOND PESO
MACRO
66
MICRO
PESO
AZIONARIO
25%
Azionario Sviluppato Azionario Emergenti
14,00% 11,00%
Obbligazionario
65%
BTP Italia Obbligazionario Globale Obbligazionario High Yield
11,00% 40,00% 14,00%
Bilanciati
10%
Bilanciati
10,00%
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Fineco, che boccone per i colossi
ADAN JOANS, MORGAN STANLEY
FCA-RENAULT: Al momento in cui questo numero di Investire vie- ed ha un bacino clienti talmente grande che potrebbe permetne chiuso in tipografia, della fusione prospettata dalla Fca alla tersi di rinunciare al mercato USA. Il problema per la Silicon Renault si sa solo questo: che è alla pari e non comporterebbe Valley è che se gli USA bloccano, a Huawei fanno il solletico, se a chiusure di stabilimenti. Non si sa se e come i francesi siano sta- bloccare è invece la Cina, per Apple è un trauma cranico. ti preventivamente sondati e come reagiranno, nel loro secolare sciovinismo, a una ipotesi che comunque ne diluisce il potere in TESLA: è il nuovo stock “bear case”, ovvero il perfetto caso di casa Renault. Sarà, la loro, una risposta alla Macron sui cantieri mercato Orso. In sintesi Tesla può essere il titolo predestinato a di Saint Lazaire o sarà una risposta “aperta” e consapevole della fare un vero ruzzolone a Wall Street. Tra 95 e 10$ è il target finecessità di innalzare ancora la massa critica minima che i grup- nale di questa caduta, che nel peggiore dei casi significherebbe, pi dell’auto devono raggiungere per competere a livello globale rispetto ai prezzi di oggi ($240) una perdita del valore del 95%. e nell’incipiente era della doppia rivoluzione, elettrica e digitale? Il problema per Tesla è che questo giudizio non arriva da un Di sicuro la proposta manda in archivio il sogno di Marchionne, analista ribassista per vocazione, e nemmeno da uno studioso e quello di una Fca aggregante, che non a caso fedele dell’auto tradizionale, questa previsioera stato rispedito al mittente dalla preda dene arriva da Morgan Stanley, per la precisione signata, la General Motors. La Fca post-nozze da Adam Jones considerato in passato un checon la Renault – eventuali – vedrebbe la Exor erleader di Tesla. Delusione da disinnamoradella famiglia Agnelli diluirsi alla metà della mento? I numeri del gruppo certo non aiutasua attuale quota, il che potrebbe comunno: previsioni in calo sui volumi di vendita in que conservarle un ruolo di riferimento, ma Cina, incidenti e vari guasti che continuano a molto indebolito, sulle strategie del colosso. tormentare il marchio e i costi e le spese di E d’altronde è quel che è logico che accada e produzione che non riescono a trovare un che John Elkann ha sempre lasciato intendere ridimensionamento accettabile. A questo si quando ha più volte sottolineato che la volontà aggiunge la verve comunicativa del grande della famiglia di restare in regia non avrebbe capo Elon Musk, che come twittarolo non ha costituito un freno contro eventuali possibilità JEAN PIERRE MUSTIER AD UNICREDIT nulla da invidiare a Trump. Con la differenza di aggregazione. Ci siamo, insomma. (s.l.) che Tesla è quotata in borsa, e certe sparate a lungo andare consumano la credibilità, sia della persona, sia del APPLE: la guerra sui dazi tra Cina e USA, simboleggiata dalla ri- marchio. La strada per Tesla è sempre più insidiosa e piena di valità tra Cisco e Huawei, può essere raccontata, sintetizzata e curve, riuscirà a rimanere in careggiata? Fine di un sogno? riassunta con lo storico sorpasso avvenuto tra le due aziende. Dove una scalcagnata compagnia di antenne e ripetitori per FINECO: ha destato grande scalpore l’ultima vendita di Unicredit cellulare, fatica, si innova e attraverso anche molti flop, riesce di un corposo pacchetto di azioni Fineco. Ma come, se l’Italia ha a superare quella che all’alba del web era considerata la regina una materia prima importante e questa è sicuramente il risparincontrastata del networking. Raccontato attraverso la metafo- mio, risorsa di cui è ricca. Fineco ne è degna rappresentante e ra di Beautiful è come se la Spectra avesse superato la Forrester. la mossa di Unicredit sembra più uno spreco di risorse che una E ricordiamo come agiva la Spectra, infatti anche per Huawei le valorizzazione. Qual è allora la strategia di valorizzazione che lacune delle leggi sul copyright in Cina hanno dato una spinta Mustier vorrà dare alla sua banca e quale futuro per Fineco? nell’accelerazione per il sorpasso. Oggi Huawei sembra pronta Nel breve il titolo del risparmio gestito soffre per la grande a spiccare il volo nel cielo infinito del 5G e Trump, compreso il quantità di azioni piovuta in borsa a prezzi scontati rispetto pericolo, tenta con qualsiasi escamotage di tarpare le ali. Trop- alle quotazioni ufficiali, un boccone che dovrà essere prima dipo tardi? Forse, perché a ogni blocco americano la Cina rispon- gerito, ma per il futuro, a livello speculativo, la situazione si fa de con bordate superiori. L’ultima su Huawei è il lancio di un interessante. Ora la maggioranza è sul mercato, pensate che i proprio sistema operativo che possa sostituire e al tempo stes- colossi stranieri si faranno sfuggire questa occasione? O Medioso essere compatibile con Android. banca interverrà per fare il cavaliere bianco, o meglio tricolore? Huawei è cresciuta e ha piedi ben radicati nei nuovi business, Sarà un autunno caldo, per una volta in senso positivo. giugno 2019
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SEDIE & POLTRONE di Marco Muffato Casacche che si scambiano, volti noti che passano da un ruolo all’altro: il valzer delle poltrone è intenso nella finanza, dove vige ancora il merito e dove chi rende bene viene promosso o ricoperto di offerte allettanti. Agli HR il compito di attrarre i talenti, a noi quello di raccontare il risiko, oltre a notizie e indiscrezioni su un mondo ricco di costanti novità.
LOMBARDI RESPONSABILE DI FUND CHANNEL IN ITALIA
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und Channel, una delle principali piattaforme di servizi di investimento B2B in Europa, ha affidato a Luca Lombardi (nella foto) la direzione dell’ufficio di rappresentanza di Milano recentemente inaugurato. Lombardi, che vanta 13 anni di esperienza nel settore dell’asset servicing, riporterà a Pierre-Adrien Domon, responsabile del Business Development di Fund Channel. Fund Channel è una piattaforma B2B di distribuzione di fondi con sede in Lussemburgo
creata nel 2005 e che attualmente opera in 14 diversi paesi in Europa e Asia. Dal 2009 è controllata in modo paritetico da grandi asset manager come Amundi e Bnp Paribas Asset Management. Negli ultimi 10 anni, Fund Channel ha sviluppato con successo il business sul mercato italiano B2B operando attraverso la propria sede in Lussemburgo, e i distributori italiani (banche, assicurazioni vita e multi-manager) rappresentano oggi il 7% delle attività.
ARISTEGUIETA A STATE STREET
DB INGAGGIA SCATTOLIN A PADOVA
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tate Street Corporation ha annunciato la nomina di Francisco Aristeguieta (nella foto) a ceo del proprio business a livello internazionale. Aristeguieta, che arriverà il mese prossimo, riporterà al presidente e ceo della società di investimenti, Ron O’Hanley, e diventerà membro del management committee, il gruppo di senior executive della società con le più alte responsabilità strategiche e decisionali.Aristeguieta, 53 anni, approda in State Street da Citigroup, dove ha recentemente ricoperto il ruolo di ceo del business in Asia, con supervisione su 60mila persone e un terzo degli utili della società. In passato è stato responsabile delle attività di Citigroup in America Latina.
eutsche Bank annuncia l’arrivo di Andrea Scattolin (nella foto) che si unisce al team di Padova come private banker. Scattolin vanta una lunga e consolidata esperienza nel settore, avendo precedentemente lavorato presso diversi istituti di credito a partire dal 1993 ed avendo sempre gestito portafogli importanti di clientela di elevato standing. La conoscenza della materia deriva anche da corsi di specializzazione: nel 2008 ha conseguito il Master Aipb – Università Cattolica di Milano “Certificazione delle competenze tecniche e finanziarie nel private banking”.
BIANCHETTA AL CENTRO FORMATIVO CREDEM
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arianna Bianchetta (nella foto) ha assunto l’incarico di responsabile del Centro Formazione e Competenze di Credem. Bianchetta è entrata a far parte del gruppo Credem nel 2015 come responsabile organizzativo e operativo di Banca Euromobiliare, la banca private del gruppo. Precedentemente ha lavorato nella
consulenza direzionale dei servizi finanziari. Gli investimenti sulla formazione sono sempre stati importanti per Credem. Nel 2018 in particolare sono stati erogati 40.500 giorni/uomo di formazione sia in aula presso la struttura di formazione permanente dedicata a tali attività denominata “Scuola Credem”, sia attraverso sezioni online.
ALLIANZ GI HA IL CHIEF SUSTAINABILITY OFFICER
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llianz Global Investors, uno tra i principali asset manager attivi, ha creato la nuova posizione di Chief Sustainability Officer, affidando il ruolo a Beatrix Anton-Groenemeyer (nella foto) attualmente global head of product specialists per il Fixed Income in Allianz GI. Beatrix riporterà direttamente al Ceo
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Andreas Utermann. Un segnale forte dell’importanza della sostenibilità per AllianzGI. AllianzGI è pioniere nelle tematiche Esg dal 2000. Per gli ultimi due anni consecutivi, ha ricevuto il rating A+ per il proprio approccio globale a strategia e governance Esg secondo i Principles for responsible investment (Pri).
INVESTIRE SPECIALIST
PROFESSIONE CONSULENTE Risponde Francesco Priore all’indirizzo priore.studio@virgilio.it Startupper e decano della consulenza finanziaria, Priore ha fondato l’Anasf e contribuito alla fondazione dell’Albo. Docente Universitario, autore e consulente di comunicazione e marketing finanziario. È stato direttore marketing della rete di Banca Fineco e membro del CdA di Consultinvest Sim.
TERZA ETÀ, I PRODOTTI CI SONO
CHE ERRORE NON PUNTARE SUI GIOVANI
Dottor Priore,
Carissimo Francesco,
lei era il consulente dei miei genitori
abbiamo avuto occasione
e zii a Pontelagoscuro: l’investimento
di operare alcuni anni fa
in Fonditalia, che lei fece sottoscrivere
nella stessa rete, io come consulente
a fine anni ’70, si rivelò riuscitissimo,
e manager, tu nel marketing. Oggi,
così come quelli consigliati dai suoi
improvvisamente, mia figlia dopo
“successori”. Oggi, a 65 anni, continuo a
alcune esperienze imprenditoriali
dirigere l’azienda: si legge con piacere che
ha deciso spontaneamente
potremmo raggiungere un’età veneranda,
di diventare consulente finanziario.
ma i suoi colleghi hanno qualche difficoltà
La scelta mi rallegra ma visto
ad assistermi per i futuri passaggi
che dovrò formarla vorrei impiegare
generazionali e a tutt’oggi non mi hanno
quel tempo per formare anche dei
ancora illustrato strumenti specifici per
nuovi consulenti ma la reti non
situazioni come la mia…
riescono ad attrarre neofiti. Dario Baldoni
G
entile Dario, fa sempre piacere constatare che qualche cliente, anche se di seconda generazione, riconosca il nostro lavoro. In genere quando i risultati sono brillanti il merito è dell’intuizione del cliente, viceversa le perdite sono causate dal professionista. Lei ha centrato un problema trascurato e che sta esplodendo, ovvero come affrontare le necessità di una generazione non ancora anziana; oggi si è anziani dopo i 75 e forse vecchi dopo gli 85, ma si hanno delle speranze di vita inimmaginabili 30-40 anni fa. I consulenti, l’età media è alta, sono stati formati per consigliare le persone a investire per poter vivere serenamente dopo i 65 anni. Oggi quello che manca non sono gli strumenti finanziari, ma la preparazione sulla soddisfazione dei bisogni che lei ha citato. Il mercato si sta rendendo conto di essere in ritardo, le scuole di formazione avevano affrontato il passaggio generazionale di padre in figlio, ma non il futuro prossimo da nonno a nipote, sono stati assolutamente ignorati i bisogni finanziari di chi avrà la fortuna di vivere a lungo. Stanno provvedendo e nel giro di poco tempo lei avrà la gradita sorpresa di trovare le risposte giuste. Cordialmente, FP
Giovanni Valdettaro
C
arissimo Giovanni, la tua situazione è paradigmatica, oggi solo qualche figlio d’arte può pensare di avviarsi a svolgere questa professione: per la famiglia di un aspirante, l’idea di investire per tre-cinque anni sullo sviluppo professionale del figlio come cf è assurda, spende lo stesso per mantenere un figlio in uno studio di un commercialista, non sapendo che i commercialisti intanto hanno cercato di entrare senza esami nell’albo dei consulenti. Il neofita ha bisogno di formazione, addestramento e sostegno economico: non essendoci più le over commission che ripagavano l’addestratore, non ci sono più addestratori. Forse c’è una soluzione in vista, la figura giuridica e lo studio professionale associato. Se si riuscisse a raggiungere questo obiettivo, alcuni professionisti come te abituati ad addestrare sarebbero interessati a formare nuove leve, figli e non, cui cedere in prospettiva il portafoglio sapendo di trasferire i clienti in mani sicure e preparate. Le imprese, che per tradizione sono conservatrici, resisteranno perché temono di perdere il “potere” o di rischiare per la responsabilità. A suo tempo si opposero all’Albo, la cui istituzione si è rivelata per loro una miniera d’oro, speriamo che questa volta la visione strategica sia meno miope. A presto, FP giugno 2019
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TREND LA NOVITÀ DEL DECRETO CRESCITA
Società d’investimento semplice: storia di un’occasione mancata
È
approdato alla fine in Gazzetta Ufficiale il Decreto Crescita 2019. Con quest’ultimo, in un clima di forte tensione politica incentrata sul braccio di ferro sul rimborso ai risparmiatori e il salva Roma, ha visto la luce nel nostro ordinamento giuridico un veicolo di investimento nuovo di zecca: la “Sis”, la Società di investimento semplice. Il Decreto ha visto alcune modifiche tra la versione approvata dal Consiglio dei Ministri, con la formula “salvo modifiche“, all’inizio dello scorso aprile e quella definitiva pubblicata in gazzetta il 30 aprile scorso che ne hanno stravolto il contenuto facendo probabilmente venir meno l’interesse inizialmente suscitato. La comunità degli investitori di venture capital, i cosiddetti business angels e venture capitalist di medie dimensioni, da tempo chiedevano infatti l’introduzione di un nuovo soggetto giuridico, più semplice e snello, che si affiancasse ai più noti fondi di venture capital e che permettesse finalmente di operare agilmente in un’area che era finora stata caratterizzata da una forte incertezza normativa per la sua prossimità ad attività riservate per legge a operatori regolamentati e soggetti a vigilanza da parte delle autorità finanziarie. Ma spieghiamo meglio di cosa si tratta. Da tempo i piccoli investitori nel mondo delle start up sentivano l’esigenza di assumere delle forme di aggregazione per poter gestire in maniera più strutturata ed efficiente l’attività di raccolta di fondi e di gestione degli investimenti. Per la natura implicita di questo settore, dove la dimensione tipica delle operazioni nella fase iniziale dell’attività d’impresa (il cosiddetto seed funding e A-rounds) è caratterizzato da un taglio relativamente piccolo dell’investimento, queste forme di aggregazione si sono sempre
di Pierluigi Di Paolo
GLI INVESTITORI CHIEDEVANO UN SOGGETTO GIURIDICO PIÙ SNELLO DEI FONDI DI VENTURE CAPITAL. MA LE ATTESE SONO STATE DELUSE Un parto difficile, quello del Decreto Crescita, dove ha trovato luce un veicolo di investimento tutto nuovo come la Sis
indirizzate verso strutture poco costose che hanno assunto le variegata forma di srl, meno spesso spa, società semplici e accordi fiduciari. Strutture che venivano create tendenzialmente per effettuare singole operazioni di investimento, i cosiddetti Club Deal, o per aggregare capitali al fini di effettuare una serie di investimenti da parte di un nucleo più o meno stabile di investitori. L’esigenza tuttavia di rendere più strutturata e continuativa l’attivita di raccolta di fondi da parte dei potenziali investitori e la volontà di dare maggior stabilità ai veicoli d’investimento si scontrava con il rischio che le formule sopra indicate potessero ricadere nell’ambito dell’attività che la legge riserva alla raccolta del risparmio gestito, con la conseguenza che tale attività doveva essere svolta da soggetti appositamente autorizzati e sottoposti all’attività di vigilanza di Banca d’Italia e Consob. Ma l’utilizzo di una Società di gestione del risparmio (Sgr) per esempio per effettuare attività di venture capital attraverso un fondo di investimento comporta dei costi di gestione amministrativa molto elevati, stimabili tra i 150mila e i 300mila euro che sono giustificati da dimensioni di raccolta del fondo superiori a 50 milioni di euro. Veicoli che dunque mal si conciliano con le dimensioni tipiche del venture capital italiano. Da qui la richiesta di introduzione di un nuovo veicolo d’investimento che potesse godere di una serie giugno 2019
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TREND di semplificazioni e che pertanto ne riducesse significativamente il costo di gestione. Un primo tentativo era già occorso in sede di approvazione del decreto semplificazioni a febbraio, ma la Sis era stata espunta all’ultimo momento con lo scopo di riproporla alla prima occasione utile; promessa mantenuta in sede di approvazione appunto del Decreto Crescita. Quest’ultimo è stato approvato in una prima versione il 4 aprile scorso e in quel contesto la neo introdotta Sis appariva completamente esentata dalla disciplina applicabile agli organismi gestione collettiva del risparmio. L’esercizio dell’attività delle Sis non avrebbe richiesto pertanto, alcuna autorizzazione preventiva, né onerosi obblighi di vigilanza. Il Decreto è stato però approvato “salvo intese” espediente tecnico con il quale sono ammesse modifiche fino alla pubblicazione in Gazzeta Ufficiale dove, in effetti, questa importante impostazione è stata completamente stravolta. Ma esaminiamo il nuovo veicolo. A differenza della versione precedente, che dava alla Sis la più semplice forma di società per azioni, il testo del decreto approdato in gazzetta prevede che la Sis abbia obbligatoriamente la forma giuridica di Società d’investimento per azione a capitale fisso, conosciuta anche come Sicaf. Quest’ultima può essere assimilata a un fondo comune d’investimento, dal quale si differenzia perché, mentre nel fondo d’investimento l’investitore è titolare di una quota del fondo stesso, che viene amministrato da una società di gestione distinta (la Sgr), nella Sicaf l’investitore assume la qualifica di socio della società, il cui capitale sociale coincide con il patrimonio amministrato. Da un punto di vista giuridico la Sicaf, a differenza del fondo, ha una propria personalità giuridica ed è gestita da un consiglio di amministrazione espressione degli azionisti. Il capitale sociale della Sicaf corrisponde al patrimonio dell’Oicr. A tutti gli effetti dunque le Sis saranno un soggetto regolamentato assoggettato alla disciplina del Testo Unico sulla Finanza e soggette alla vigilanza della Banca d’Italia e Consob, con tutte le consguenze in termini di oneri amministrativi che ne conseguono. A titolo di esempio volendo creare una Sis, mentre per costiture una spa gli investitori si sarebbero limitati ad andare dal notaio, al fine di costituire una Sicaf dovranno preventivamente chiedere un autorizzazione della Banca d’Italia, sentita la Consob. La circolarizzazione delle quote rilevanti della Sis necessiterà anche essa di una autorizzazione da parte di Banca d’Italia (per quanto semplificata), e così via discorrendo. Venendo alle altre caratteristiche della Sis, questa deve avere per og74
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Sopra il governatore di Bankitalia Ignazio Visco. Sotto il nuovo presidente della Consob Paolo Savona
getto esclusivo l’investimento diretto del patrimonio raccolto in Pmi non quotate su mercati regolamentati che si trovano nella fase di sperimentazione, di costituzione e di avvio dell’attività. Questa definizione lascia un po’ perplessi in quanto forse sarebbe stato sensato includere anche un generico richiamo a start up e Pmi innovative, che potrebbero per la verità essere anche in uno stadio di crescita successivo al mero avvio. Ulteriore restrizione introdotta nella versione definitiva del decreto è che l’investimento nella Sis, nella prima versione aperto a chiunque, è ora limitato ai soli investitori professionali, che rappresenta una importante limitazione al potenziale numero di investitori in start up. Il capitale sociale della Sis è quello previsto per le società per azioni, quindi di 50mila euro, mentre la raccolta complessiva, attraverso azioni o strumenti finanziari partecipativi, non potrà superare il patrimonio netto di 25 milioni di euro, e questo limite, se nella prima versione era giustificato dalla esclusione dalla disciplina regolamentare del testo unico della finanza, ora appare meno comprensibile alla luce dei costi amministrativi impliciti che probabilemte non si giustificheranno con un attivo gestito così esiguo. Le Sis godranno di alcune semplificazioni sul piano della struttura organizzativa, dell’articolazione del sistema dei controlli interni, e della gestione, pur nel principio generale che il sistema di governo e controllo dovrà essere adeguato per assicurare la sana e prudente gestione. Rimane di fatto che gli oneri per far fronte agli altri adempimenti di vigilanza rimangono assai rilevanti. È infine importante notare che norma introduttiva non contiene una indicazione del regime fiscale applicabile alle Sis, lacuna che andrà necessariamente colmata allo scopo di chiarire e coordinare il regime tipo delle Sicaf con il regime degli incentivi fiscali previsti per gli investitori e fondi investitori in start up innovative. In conclusione ci sembra di poter affermare che il travagliato iter di formazione del Decreto Crescita ha comportato uno stravolgimento significativo in quello che doveva essere un importante strumento a disposizione del Paese per lo sviluppo di quel venture capital affetto da congenito nanismo.
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SCENARI VIGILANZA
L’«omicidio» di 4 banche italiane Ecco come si poteva salvarle di Claudio Patalano
L
a vicenda di matrice europea che ha recentemente interessato le sorti di quattro banche nazionali (Marche, Etruria, Carife e CariChieti) induce a riflettere su alcuni “vizi strutturali” nell’impianto alla base del nuovo assetto di vigilanza bancaria Ue. Non si tratta di mettere in discussione l’opportunità di realizzare un sistema di vigilanza accentrato a livello europeo – del quale al contrario si condividono finalità e presupposti – quanto piuttosto di ripensarne le dinamiche di funzionamento allo scopo di evitare che l’erronea interpretazione di una norma da parte di un’istituzione dell’Unione possa generare l’ingente distruzione di valore che si è determinata nel nostro Paese a seguito della determinazione assunta dalla Direzione generale della concorrenza Ue lo scorso dicembre 2015 in materia di “aiuti di stato”. A destare preoccupazione e sconcerto sono soprattutto le argomentazioni utilizzate dalla Corte di Giustizia Ue per l’annullamento della decisione del 2015. Invero nell’accogliere la quasi totalità delle argomentazioni poste a fondamento dei ricorsi presentati dallo Stato italiano e dalle altre parti lese, il giudicante europeo ha dato atto di un errore macroscopico dell’Antitrust Ue nella valutazione dei fatti oggetto del suo scrutinio, espressione di un rigore “cieco” nell’interpretazione della delicata questione portata alla sua attenzione senza ponderare i rilevanti interessi coinvolti. Un vizio interpretativo quindi che un’architettura europea maggiormente calibrata nei pesi e nei contrappesi ovvero più efficienti meccanismi di coordinamento tra autorità europee e nazionali avrebbero potuto scongiurare, consentendo a contribuenti, azionisti e obbligazionisti di beneficiare di strumenti di intervento meno onerosi e salvaguardando miliardi di risparmio. 76
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GLI ISTITUTI BENCHÈ IN CRISI POTEVANO ESSERE RISANATI DAL FITD SENZA PER QUESTO INCORRERE NELLA VIOLAZIONE DELLA DISCIPLINA EUROPEA SULLA CONCORRENZA
L’autore, Claudio Patalano, già ispettore di vigilanza della Banca d’Italia
Invero il difetto sembra doversi ricondurre alla circostanza che a una pura interpretazione tecnica si è sovrapposta una visione fortemente politica della Commissione. Di qui la necessità di scindere ruoli e funzioni tra chi stabilisce le regole e chi ne presiede l’osservanza. I danni di quella clamorosa interpretazione si sono riflessi sull’intero sistema bancario italiano che ha sofferto le conseguenze di una crescente sfiducia. Un rischio, questo, tanto prevedibile quanto trascurato quando, del tutto inaspettatamente, l’intervento del Fondo interbancario di tutela dei depositi (Fitd) a sostegno del risanamento del gruppo Tercas è stato qualificato come “aiuto di stato” e l’Italia erroneamente accusata di aver violato l’articolo 107 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea. La vicenda delle “quattro banche” ne ha scontato le gravi ripercussioni e il conseguente clima di sfiducia ingeneratosi tra i risparmiatori, alimentato dai rumor e dai media, ha originato incertezze e fratture nell’opinione pubblica. Le quattro banche sono state scaraventate nel calderone delle banche “truffaldine” e tra il pubblico si è instillata la convinzione che il germe del raggiro fosse insito nell’intero circuito finanziario. Ne è dimostrazione il fatto che il decreto legge approvato lo
SCENARI
scorso 30 aprile e finalizzato, tra l’altro a rimborsare i risparmiatori coinvolti nei crack bancari degli ultimi anni è stato presto battezzato come “decreto truffati dalle banche”, sebbene gli stanziamenti all’uopo previsti dalla legge di bilancio siano rivolti a una platea ben più ampia dei “truffati”, abbracciando, a certe condizioni, quanti abbiano sottoscritto obbligazioni e azioni delle banche entrate in crisi. Peraltro, il predetto decreto ha previsto che il requisito di accesso agli indennizzi dell’istituito Fondo indennizzo risparmiatori (Fir), rappresentato dal possesso di un patrimonio mobiliare inferiore ai 100.000 euro, possa essere raddoppiato qualora la Commissione europea esprima il proprio assenso. Al riguardo si confida in un approccio di maggior apertura e flessibilità da parte dell’istituzione Ue, atteso che la misura andrebbe a coprire anche parte delle perdite patite da azionisti e obbligazionisti in conseguenza della decisione con cui la stessa,nel 2015 negò l’intervento del Fitd per il salvataggio della Cassa di Teramo. Le istanze risarcitorie nei confronti dell’Ue promananti da alcuni esponenti del mondo bancario non potranno comunque rimediare alle esternalità negative generate da quel fenomeno che ho definito, in modo provocatorio, un “omicidio d’impresa”. Le quattro banche, benché in crisi, avrebbero potuto essere risanate mediante l’intervento del Fondo senza per questo incorrere nella violazione della disciplina europea sulla concorrenza. La creazione di un level playing
field europeo rappresenta un obiettivo che deve essere caldeggiato e perseguito strenuamente, tuttavia l’armonizzazione delle regole e la realizzazione del Single European Market non possono essere inseguite “a tutti i costi”, vale a dire a scapito di interessi altrettanto fondamentali per gli Stati e i cittadini dell’Ue, quali la stabilità e la fiducia del mercato. Diversamente ragionando, si rischia di pervenire al paradosso di tradire proprio quei valori per la cui miglior tutela sono stati attribuiti poteri e funzioni alleistituzioni europee. In effetti, è così che può essere letta la decisione della direzione generale della concorrenza Ue del 2015: una deviazione dalla propria mission che resta, pur sempre, quella di contribuire al miglior funzionamento dei mercati dell’Unione a tutela delle imprese e dell’economia europea in generale. Così, al fine di preservare la credibilità e l’efficienza dell’Eurosistema, sarebbe auspicabile un’attenta analisi di quella commistione di ruoli – ingenerata dall’attribuzione a un organo esecutivo, quale la Commissione europea, dei poteri tipici di un’autorità tecnica indipendente – che in assenza di una contrapposizione funzionale/dialettica con le entità istituzionalmente preposte alla salvaguardia degli
L’ARMONIZZAZIONE DELLE REGOLE E LA REALIZZAZIONE DEL SINGLE EUROPEAN MARKET NON POSSONO ESSERE INSEGUITE A SCAPITO DELLA FIDUCIA E DELLA STABILITÀ DEL MERCATO
interessi di settore coinvolti, può essere in grado di provocare, anziché rimuovere, significativi svantaggi competitivi tra le imprese Ue e di produrre le rovinose conseguenze economiche, politiche e sociali cui abbiamo assistito in ambito nazionale.
COS’È IL FONDO INTERBANCARIO DI TUTELA DEI DEPOSITI
Il Fondo interbancario di tutela dei depositi (Fitd) è un consorzio di diritto privato costituito nel 1987 su base volontaria e divenuto successivamente obbligatorio. Lo scopo del Fitd è di garantire i depositanti delle banche consorziate che forniscono
le risorse finanziarie necessarie al uso perseguimento. Tale finalità istituzionale si realizza attraverso varie forme di intervento del fondo nei ocnfornti di banche consorziate sottoposte a procedure di liquidazione coatta amministrativa e di risoluzione nonchè
mediante interventi volti a superare lo stato di dissesto delle consorziate. Il limite di copertura è di 100mila euro per depositante e per banca. I tempi di rimborso sono fissati in 7 giorni lavorativi dalla data del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa. giugno 2019
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DIBATTITO POLITICA & CREDITO
L’eredità che i nuovi eurodeputati troveranno su banche e finanza di Antonio Quaglio
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no degli ultimi atti di prima fascia dell’Europarlamento uscente, a metà dello scorso aprile, è stato il via libera a un pacchetto di nuove regole volte a ridurre i rischi di crisi bancarie nella Ue: in particolare riguardo la gestione di nuovi non performing loans, a fianco dei quelli che si sono cumulati dopo il 2008 nei bilanci delle grandi banche europee. Strasburgo - sotto la presidenza dell’italiano Antonio Tajani (Ppe) - ha approvato una bozza già discussa dai ministri Econfin, ma senza rinunciare a interventi di modifica: con il ruolo attivo, tra l’altro, di Roberto Gualtieri, l’europarlamentare italiano del Pse che dal 2014 è stato alla guida della commissione per gli affari economici e monetari. Nel compromesso finale è entrato un assestamento flessibile dei requisiti di accantonamento patrimoniale prudenziale in vista di future perdite su crediti. E’ stato applicato in modo più esplicito e incisivo il principio di proporzionalità, principalmente a favore delle banche minori, più esposte nel finanziamento alle Pmi. Anche l’incoraggiamento allo sviluppo di un mercato degli Npl - utile a evitare il riformarsi di gigantesche zavorre - è stato delineato in chiave di protezione relativa dell’impresa creditrice in difficoltà rispetto ai rischi di eccessi aggressivi degli operatori finanziari. Il tutto è stato apertamente ricondotto anche dal Parlamento Ue agli obiettivi della direttiva Brrd (bail-in): a tutela quindi non solo successiva dei contribuenti in caso di crisi bancaria; ma soprattutto di prevenzione dei dissesti e quindi di protezione ex ante dei risparmiatori-investitori. Se il precedente europarlamento si era congedato - nella primavera di cinque anni fa - ponendo sigilli molto rigoristi alla svolta bail-in in campo finanziario, a Strasburgo i nuovi eurodeputati troveranno in eredità un avvio di revisione in progress: con un occhio diverso agli stessi obbligazionisti delle banche (severamente puniti dalla Bank recovery and resolution directive originaria) e agli stessi depositanti. L’aula ha fatto sentire una voce più distinguibile su un terreno di stretta competenza dei tecnocrati dopo lo scoppio della Grande Crisi e lo start dell’Unione Bancaria in Europa. Non è un caso che in soggetto come l’Associazione bancaria italiana - da anni affannata a inseguire con le proprie critiche ogni regola prodotta in Europa, lamentando la debolezza italiana a Bruxelles ma anche il ruolo marginale dei politici di Strasburgo - abbia espresso commenti favorevoli sulla prima pietra del post-Brrd.
ROBERTO GUALTIERI CON MARIO DRAGHI
È DIFFICILE PENSARE CHE LE ORECCHIE DEGLI EUROPARLAMENTARI NEO-ELETTI NON SARANNO TESE AL MINIMO RUMORE DI MOTORI INCEPPATI SUL MERCATO DI FONDI, GESTIONI E POLIZZE
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Il voto del 23-26 maggio del resto ha rimescolato com’era nelle attese la composizione dell’emiciclo. E - al di là dei nuovi equilibri numerici - il pressing di opinione pubblica per una ripresa di “politica creditizia” - in luogo di una semplice ricostruzione tecnocratica della vigilanza su scala sovrananazionale - ha avuto impatti al di là delle semplici manifestazioni di populismo antibancario. In un’Europa formalmente unita nella moneta e nei mercati finanziari, popolata oggi di banche vigilate da Bce ed Eba (che sollecitano aggregazioni transanzionali), i meccanismi di tutela dei depositi restano ancora nazionali: ancorati a un vecchio obiettivo tendenziale di finanziamento (0,8% dei depositi bancari di uno Stato-membro). Ciò che è accaduto in Italia - ma non solo nell’arco dell’ultima legislatura europea ha però sconvolto il quadro delle relazioni tra cittadini/risparmiatori, banche, authority e governi: difficilmente sarà possibile mantenere o appesantire severi standard prudenziali in nome di un’astratta “stabilità” e senza ritorni visibili in termini di tutela reale dei clienti delle banche per i dissesti di un lungo fine-crisi e per la gestione di quelli futuri.
DIBATTITO È assai probabile che una stessa attenzione politica da Strasburgo accompagni l’apertura del dossier Open Banking e quindi lo sviluppo di fintech (vedi articolo di Paolo Zucca). Ma anche l’evoluzione del collaudo della direttiva Mifid 2. “2019, l’anno della verità per il risparmio gestito”: è il il titolo della monografia Specialist riservata dal primo numero di Investire alla direttiva entrata in vigore all’inizio del 2018. Una rivoluzione imperniata su sei main driver riguardanti trasparenza e costi dell’offerta di prodotti di risparmio. Consulenza proporzionata, qualificata, non più opaca nei rischi di conflitto d’interesse: per risparmiatori più informati su contenuti e prezzi dei prodotti offerti. Separazione tra gestori e reti sul filo delle commissioni. E poteri effettivi alle
authority di vigilanza nazionali e sovrannazionali di limitare o vietare il collocamento di strumenti finanziari. L’ottimismo tra gli operatori prevale, ma il giudizio autentico sarà quello del mercato: ancora una volta il cambiamento dev’essere interamente fatto proprio dai risparmiatori, nella misura in cui coglieranno reali benefici nel mix redditività-tutela dei propri investimenti. Questi ultimo vengono già da una lunga fase di bassa profittabilità legata sia alle politiche monetarie “tassi zero”, sia alle periodiche turbolenze di assetamento dei mercati. Su questo sfondo il rischio di una “tempesta perfetta” è basso, ma non nullo. Ed è difficile che le orecchie dei nuovi europarlamentari non siano tese al minimo rumore di motori inceppati sul mercato di fondi, gestioni e polizze.
La rivoluzione open banking partirà dai pagamenti digitali
C
he cooperazione sarà? O che concorrenza sarà? Dal 14 settembre “parti terze” rispetto alle banche potranno ampliare i servizi esistenti o inventarne di nuovi potendo utilizzare una massa di dati finora “riserva” delle banche che li hanno raccolti e usati. Una miniera di numeri (disponibili in forma aggregata o frutto di autorizzazioni concesse dal cliente) incrociabili in ogni modo per leggervi le esigenze inespresse della clientela o ciò che manca. La nuova disponibilità dei dati permette di inventare, affinare e rendere più conveniente e mirata l’offerta delle banche tradizionali. Ma anche quella dei nuovi operatori che si stanno affacciando, anche quelli senza un pedigree creditizio. Ma chi sono le “parte terze” e da dove nasce questa apertura di open banking? La rivoluzione nasce nel mondo dei pagamenti digitali, sempre più baricentro nell’incrocio tra domanda e offerta di merci o servizi. Dove c’è conoscenza approfondita - e i dati sono fondamentali - c’è business. La banca aperta è un passaggio, insieme ad altri, della direttiva europea Psd2 (Payment Service Directive) che vuole favorire maggiore concorrenza, avviare nuovi servizi, standardizzare alcune modalità di pagamento diverso dal contante a vantaggio del consumatore. Le parti terze sono sostanzialmente Aisp (coloro che possono collegarsi a conti bancari per
di Paolo Zucca
MAURIZIO PIMPINELLA PRESIDENTE APSP
recuperare informazioni), Pisp (possono effettuare un pagamento per conto di un consumatore, previa autorizzazione) e il vivace mondo delle Fintech che punta molto su new banking, magari concentrando l’attenzione su una minima parte del business e specializzandosi. Non è l’anarchia: autorizzazioni e regolamentazioni fisseranno i paletti del gioco dove anche la protezione dei dati va ben garantita. Maurizio Pimpinella, presidente di Apsp (l’Associazione dei prestatori dei servizi di pagamento) segnala il passaggio di settembre come decisivo. «Siamo vicini alla seconda fase della rivoluzione. La Psd2 entra nel vivo e dal prossimo 14 settembre i cambiamenti tecnologico-normativi avviati lo scorso gennaio saranno arricchiti di nuovi elementi in ottemperanza alla norma europea focalizzando il mondo dei pagamenti ancora di più sul consumatore e sulla sua tutela. Si aprirà la vera e propria era dell’open banking». «Le Fintech», prevede Pimpinella, «sa-
ranno certamente, protagoniste di questo passaggio ma è molto probabile che operatori innovativi e operatori tradizionali inizieranno sempre più spesso a collaborare tra loro sfruttando le rispettive capacità orientandosi verso la soddisfazione del cliente». Più collaborazione che competizione con un passaggio che richiede la massima attenzione da parte della clientela, risparmiatori innanzitutto. Che in termini di protezione dovranno attivare una doppia chiave sulla loro operatività digitale, un doppio via libera che dovrebbe ridurre i rischi di intromissione o frode. La Strong customer authentication (Sca) è stata richiesta e regolata dall’Eba (l’Authority bancaria europea) proprio nel momento in cui si passa a un utilizzo più largo dell’aggregazione dei dati. «L’autenticazione forte dei clienti è il centro equilibratore della riforma che questa normativa ha portato al mondo dei pagamenti avviata con l’apertura dell’accesso ai dati dei clienti. I cambiamenti previsti». per Pimpinella «tutelano maggiormente e responsabilizzano, allo stesso tempo, l’utente che dovrà essere sempre più preparato, informato e attento nel concedere il proprio assenso ai servizi. L’educazione finanziaria e quella digitale, già fondamentali, sono oggi le “soft skill” imprescindibili che tutti noi dobbiamo padroneggiare per essere i protagonisti della rivoluzione e sfruttare al meglio le opportunità che il cambiamento ci offre». giugno 2019
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IMMOBILIARE/1
REAL ESTATE
Alle aste giudiziarie (e con prudenza) l’immobile può essere un affare di Giuseppe D’Orta
N
el 2018 il totale degli immobili andati in asta è stato di oltre 245.100, registrando un aumento di esecuzioni pari al 4,6% rispetto alle 234.340 del 2017. Di questi, il 76% degli immobili è in esecuzione a causa di pignoramento, e la maggior parte delle unità immobiliari poste in asta è rappresentata da appartamenti di piccole dimensioni, tipicamente bilocali, quindi le classiche prime case delle famiglie medie italiane. Il 22% è rappresentato dalle procedure concorsuali, nello specifico tutte quelle vendite che fanno capo a fallimenti, concordati preventivi, ristrutturazioni del debito, liquidazioni coatte amministrative. Il restante 2% interessa invece tutte quelle procedure di divisione giudiziale tra coniugi e cause civili che, pur passando dalla vendita all’asta del bene, non configurano pignoramento o fallimento. 80
giugno 2019
È BOOM PER IL MERCATO DELLE VENDITE DI APPARTAMENTI IN ASTA. MA COME ORIENTARSI IN QUELLA CHE APPARE UNA GIUNGLA E FARE BINGO? LO ABBIAMO CHIESTO A DUE ESPERTI In contemporanea la crisi bancaria ha indotto alla svendita degli Npl (i Non performing loans, cioè quei crediti che non rendono) il cui sottostante (cioè i beni a garanzia) sono a loro volta mutui casa, altro combustibile che ha ravvivato il fuoco delle svendite all’asta. In media i prezzi dei portafogli di Npl residenziali passati di mano si sono attestati attorno al 43% del valore lordo, i portafogli di immobili commerciali sono valutati attorno al 35%, mentre gli altri Npl secured viaggiano su valutazioni attorno al 33%. Dunque acquistare in asta è stato e può ancora essere un ottimo affare. Ma concretamente come si fa? I vantaggi economici dell’acquistare all’asta. È convinzione diffusa che acquistare un immobile all’asta sia vantaggioso solo da un punto di vista economico. Ma si tratta di una con-
IMMOBILIARE/1 vinzione errata e vi spieghiamo perché. Tutti ormai sappiamo che aggiudicarsi un immobile pignorato significhi infatti acquistare a un prezzo di molto inferiore al valore di mercato. E ciò è possibile perché, già nella valutazione iniziale, il perito stimatore nominato dal giudice decurta dal prezzo di stima un 5-10% per il solo fatto che l’immobile viene venduto giudizialmente. Considerato poi che oggi, già al primo esperimento, l’investitore può presentare un’offerta minima inferiore di un quarto rispetto al prezzo base stabilito nell’avviso di vendita, ecco che sin da subito è possibile aggiudicarsi il bene, addirittura senza disputare la gara se l’offerente è l’unico partecipante, al 30-35% in meno del suo reale valore. Percentuale di sconto che è destinata ad aumentare in caso di esperimenti andati deserti. Ed è altrettanto noto che la convenienza economica derivi non solo dal più basso prezzo di acquisto rispetto alla compravendita tra privati, ma anche dal risparmio su altre spese. Tanto per ricordarne qualcuna, dato che la vendita di immobili all’asta non viene di norma affidata alle agenzie immobiliari bensì pubblicizzata esclusivamente sul portale delle vendite pubbliche, sui siti internet dei gestori specializzati ed autorizzati a svolgere questo tipo di attività, sui siti dei tribunali e sulle riviste di settore distribuite gratuitamente, e considerato poi che la visita dei beni è consentita solo tramite custode giudiziario nominato dal giudice, ecco che il mercato giudiziario offre un servizio senza però far pagare quel 2-3% in più sul prezzo di acquisto a titolo di provvigione che va all’agente immobiliare. Così come un’altra forma di risparmio è data dal fatto che nelle aste giudiziarie l’immobile viene trasferito dal giudice e quindi l’investitore non deve sopportare l’onorario del notaio. Su questo punto bisogna far presente che rispetto al passato il Decreto legge n. 59/2016 e la relativa legge di conversione, ha previsto che possa essere posto a carico dell’aggiudicatario parte del compenso previsto per il delegato alla vendita (che è in genere un avvocato). Si tratta tuttavia del 50% e non già dell’intero compenso ma della sola fase finale di trasferimento. In pratica un’inezia, considerato che è stato stimato che se l’immobile viene aggiu-
NON È SOLO QUESTIONE DI PREZZI SCONTATI (DAL 30% IN SU) E DELLA ASSENZA DI ONORARIO AL NOTAIO: L’ACQUISTO IN ASTA È SENZA DUBBIO MOLTO PIÙ SICURO CHE SUL LIBERO MERCATO
Nella foto l’avvocato Emma Iocca
dicato a un prezzo che non supera i 500mila euro, l’aggiudicatario dovrà corrispondere al delegato un massimo di 660 euro oltre alle spese vive. La convenienza maggiore è un’altra. Tanto premesso, ciò che invece sfugge clamorosamente ai più, e che costituisce invece il vantaggio forse più importante, è che l’acquisto in asta è di gran lunga più sicuro, in termini di stabilità della vendita, rispetto all’acquisto sul libero mercato. Dovrebbe infatti essere chiaro a tutti, ma purtroppo non lo è, che dietro la compravendita di qualsiasi immobile possono annidarsi molteplici problematiche che non sono solo quelle che emergono, facilmente, dai pubblici registri immobiliari consultati dai notai prima e dopo il rogito, ma che spaziano dalle difformità urbanistiche alla presenza di vincoli occulti o di situazioni giuridiche limitanti. Ebbene, mentre in sede di compravendita ordinaria nessun professionista compie gratuitamente un controllo approfondito atto a scovare e scongiurare pericoli di tal genere, negli acquisti alle aste, i beni per poter essere messi in vendita e poi trasferiti effettivamente senza limitazioni nella libera circolazione, devono essere sottoposti, senza peraltro alcun onere aggiuntivo per l’aggiudicatario, a plurime verifiche: prima da parte dell’avvocato del creditore procedente, quindi dal tecnico, poi dal custode giudiziario e dal delegato e – ripetutamente – dal giudice dell’esecuzione. A conti fatti, solo la cattiva informazione può essere la ragione per cui in Italia ci sono tanti imgiugno 2019
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IMMOBILIARE/1 mobili all’asta che restano invenduti.
Il parere degli esperti. Tra casi di cronaca giudiziaria, continue riforme giuridiche, storie di noti “palazzinari” e moltiplicazione di corsi di formazione volti ad acquisire le competenze di quella che sembra essere la professione del momento e cioè “l’investitore immobiliare”, il mercato delle Aste giudiziarie è un fenomeno in gran voga. Ma è davvero così conveniente come dicono, acquistare un immobile all’asta? Lo abbiamo chiesto ai titolari dello studio legale Iocca-Chiappetta, gli avvocati Emma Iocca e Raffaella Chiappetta impegnati a 360 ° in questo campo sia come consulenti legali degli acquirenti-investitori, sia come avvocati difensori dei pignorati o dei creditori, sia come custodi giudiziari, delegati e curatori fallimentari per il Tribunale di Cosenza.
pignorato si trovi in un quartiere centrale di Milano, un conto è che si trovi in una zona periferica, non fornita dai servizi di trasporto pubblico. In questo secondo caso è più facile acquistare a prezzi molto scontati ma è anche vero che questo tipo di investimento sarà adatto a chi non dispone di grandi capitali per fare acquisti migliori ma che, al tempo stesso, non vuole pagare, inutilmente, un fitto. E non solo: l’esito dell’asta e quindi il prezzo di aggiudicazione variano anche molto dallo stato giuridico del bene o dal tipo di diritto che è stato pignorato e che viene messo in vendita.
SI PUÒ VENDERE ALL’INCANTO NON SOLO LA PIENA PROPRIETÀ MA ANCHE ALTRI DIRITTI COME LA NUDA PROPRIETÀ E L’USUFRUTTO
Intuiamo cosa intenda per “stato giuridico”, non capiamo invece cosa voglia dire con “tipo di diritto” venduto. Non stiamo parlando di acquisti di immobili di proprietà del debitore esecutato? Iocca. Guardi, è un luogo comune che di un immobile si possa vendere, o acquistare, solo la piena proprietà. Possono infatti essere pignorati, e quindi acquistati, anche altri diritti quali per esempio la nuda proprietà o l’usufrutto. Mi spiego meglio. Quando per esempio l’esecutato è titolare del solo diritto di usufrutto, che è quel diritto reale che consente il godimento pieno del bene ma limitato nel tempo, cioè per un tot di anni, i suoi creditori potranno mandare in vendita questo diritto e non già la piena proprietà che appartiene a un altro soggetto. Questo tipo di situazione implica in effetti l’esistenza di un vincolo, l’usufrutto, che comporterà sia la fissazione di un prezzo base d’asta ridotto di molto, sia la scarsa partecipazione di offerenti. Ecco un tale tipo di acquisto sicuramente non è consigliabile per due futuri sposini che vorranno andare a vivere in quell’immobile per tutta la vita. Ma lo stesso immobile diventa invece molto appetibile per l’imprenditore che vuole mettere a reddito il bene, che acquisterà quindi per esempio a 30 mila euro, ricavandone una rendita di 12 mila euro all’anno, per 10 anni, e per un totale di 120mila euro.
È vero che chi partecipa alle aste giudiziarie può aggiudicarsi un immobile con un importo prezzo del 25% inferiore rispetto al prezzo di mercato? Iocca. Uno sconto del 25% è il minimo, è molto più frequente acquistare al 50, 60, 70% in meno del valore dell’immobile.
Addirittura? E da cosa dipendono queste oscillazioni? Iocca. Molto dipende dalla città in cui si sta vendendo l’immobile, dalla cultura dei cittadini. Per esempio partecipare a un’asta a Milano non è la stessa cosa che parteciparvi a Cosenza. Nelle città più importanti d’Italia o in quelle maggiormente turistiche, gli immobili si vendono più facilmente: alle aste partecipano infatti più offerenti; gli esperimenti non vanno sempre deserti e non ci sono quindi tutti quei successivi ribassi che portano ai prezzi scontati che le ho indicato. In pratica, ci sta dicendo che fare affari alle aste è possibile a Cosenza e non a Milano? Iocca. No, non esattamente. Un buon acquisto dipende anche da tanti altri fattori che vanno dalle esigenze del singolo alla fantasia imprenditoriale di chi compra. Per esempio un conto è che l’immobile 82
giugno 2019
Le aste immobiliari nel 2018 245.100 nel 2018 + 4,6% rispetto al 2017
76.219
le aggiudicazioni su 267.323 aste pubblicate
1 su 75
famiglie ha la casa all’asta
FONTE: GABETTI GROUP
Le prime 5 regioni per numero di esecuzioni immobiliari
1
2
3
LOMBARDIA
SICILIA
VENETO
19,46%
9,77%
7,96%
4
5
PIEMONTE
LAZIO
7,98%
6,88%
IMMOBILIARE/1 L’affare in pratica dipende anche dall’intelligenza imprenditoriale di chi partecipa all’asta. Ora però mi preme chiedere un’altra cosa: ma è vero che le aste immobiliari sono frequentate da malavitosi? Chiappetta. Questo è uno dei tanti luoghi comuni che si sentono sulle aste. Non dimentichiamo che l’immobile all’asta viene venduto da un Tribunale e non da un privato, quindi i controlli sono severi. Pur tuttavia penso che questa leggenda sia stata originata e poi alimentata dal vecchio sistema con cui un tempo si svolgevano le aste. Una volta era infatti possibile che il giorno della vendita, l’esecutato o altri interessati, facessero pressioni sugli offerenti presenti fino a indurli a ritirare le offerte. Oggi, inconvenienti del genere non possono però più accadere perché dal 2005 il legislatore ha messo in atto una serie di riforme, di correttivi che sfuggono magari alla comprensione dei non addetti ai lavori ma che meriterebbero di essere conosciuti, anche per evitare queste “dicerie”. Gliene dico uno: l’attuale regola della “irrevocabilità dell’offerta”, che fa sì che una volta depositata l’offerta, questa non possa più essere ritirata e che quindi si possa essere dichiarati aggiudicatari anche se non ci si presenti all’asta, è stata pensata proprio per evitare quel tipo di turbativa d’asta prima accennata. Restando in argomento ho bisogno di fugare un dubbio. Visto che nell’avviso di vendita non può essere indicato il nome dell’esecutato, non c’è il rischio di acquistare l’immobile di una persona poco raccomandabile? Chiappetta. Le dico come evito questa possibilità con i miei clienti. Intanto deve sapere che l’offerente se fa regolare richiesta di visita e si presenta all’appuntamento fissato per vedere l’immobile, mostrando quindi un reale interesse, ha diritto di conoscere il nome dell’esecutato. A quel punto, prima di depositare l’offerta, avrà il tempo di prendere le opportune informazioni e, se il caso, di non presentare l’offerta e non partecipare all’asta. Detto ciò, e compreso che realmente si possono fare affari alle aste, rimane da dire che acquistare un im-
TURBATIVE DI MALAVITOSI PER RITIRARE LE OFFERTE? LA REGOLA DELLA “IRREVOCABILITÀ DELL’OFFERTA” EVITA IL PROBLEMA ALLA RADICE
Nella foto l’avvocato Raffaella Chiappetta
mobile con questo sistema, significa lasciare per strada una persona, magari una famiglia. Non crede allora che per lanciarsi in questi investimenti è richiesta assenza di sensibilità e mancanza di scrupoli? Chiappetta. La ringrazio per la domanda e spero di fare un po’ di chiarezza al riguardo. Bisognerebbe infatti capire che una volta in asta l’interesse dell’esecutato è che il bene venga venduto il prima possibile. Chi compra subito l’immobile in realtà fa un favore all’esecutato. Consideri infatti che chi subisce un pignoramento è perché ha dei debiti, delle vertenze. Ammettiamo che l’esecutato abbia 100mila euro di debiti e che la sua casa valga 200mila euro. Se l’immobile verrà venduto al primo esperimento, l’esecutato pagherà per sempre i suoi debiti e gli resteranno anche un po’ di soldi, diciamo sui 30-50 mila euro. Al contrario, se l’immobile viene venduto dopo 12-18 mesi al terzo esperimento - e l’immobile, nel 90% dei casi, alla fine viene venduto -, non solo l’esecutato non prenderà soldi dalla vendita del proprio immobile, ma il suo sacrificio non sarà valso neppure a pagare tutti i debiti, che continueranno quindi a perseguitarlo. Ed è proprio questo il motivo per cui non smetterò di ripetere che quando si riceve la notifica di un pignoramento, non serve non ritirare la “busta verde”, ma bisogna correre subito da un avvocato specializzato in espropriazioni immobiliari per vagliare in tempo le tante alternative di cui il debitore oggi dispone, per riuscire a bloccare la procedura all’inizio. Una volta innescata l’asta, per il debitore diventa infatti tutto più difficile se non impossibile. giugno 2019
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IMMOBILIARE/2 INTERVISTA AD ANDREW MCLEOD
L’inquilino sbagliato a casa tua? Lo eviti con l’intelligenza artificiale di Gian Marco Litrico
I
o e Andrew McLeod, ceo di Certn, una startup canadese che applica l’AI per verificare le credenziali dei candidati per il mondo del lavoro e delle locazioni immobiliari, ci diamo appuntamento su JoinMe. Andrew, 32 anni, è lontano mille miglia dallo stereotipo del nerd e lancia startup da quando aveva 18 anni. Ha anche trovato il tempo per un Master in Business administration e uno in Business e diritto internazionale. E’ soprattutto un Millennial cresciuto a pane e Internet. «Insieme ad altri due soci, abbiamo fondato Certn con l’obiettivo di creare una piattaforma che rendesse piu’ semplice ed efficiente, per datori di lavoro e proprietari immobiliari, la valutazione delle persone rilevanti per i loro business. La fiducia
«IL NOSTRO SOFTWARE ELABORA LE INFORMAZIONI PROVENIENTI DA 200MILA DATA BASE NEL MONDO. COSÌ DA AVERE PREDIZIONI SUL COMPORTAMENTO FUTURO DEL LOCATARIO»
è alla base delle transazioni economiche, soprattutto quando e’ validata da informazioni attendibili». Sottoscrivo il punto: quando assumi un talento o affitti casa tua, le decisioni “di pancia” possono essere una bomba a orologeria per il tuo business. Spulciamo insieme un po’ di statistiche americane e canadesi, visto che Certn opera in entrambi i mercati. A un reato antico come il furto da parte di un dipendente, si deve un terzo dei 47 miliardi di dollari di inventario “spariti” nella larga distribuzione americana l’anno scorso e il 30% dei casi di fallimento di un’impresa commerciale. Un altro 6% del fatturato viene perso a causa delle frodi messe in atto dal personale, per un ammontare di 6 miliardi di dollari all’anno. Sembra un bollettino di guerra, ma nella gestione di questi rischi Andrew ha visto una missione e un’opportunità economica. «Una ricerca su Google o un controllo della solvibilità non bastano. Tanto più nella Gig Economy, dove hai a che fare con professionisti indipendenti che lavorano fuori dalla tua azienda e che conosci poco. Per questo abbiamo creato Softcheck Screen, un software proprietario che elabora informazioni prese da oltre 200 mila database in tutto il mondo. Questo insieme di informazioni ci permette di fare predizioni accurate sul com84
giugno 2019
portamento futuro di un candidato, di un locatario o di chi chiede un mutuo». Come fa l’AI a farsi un’opinione? Da dove vengono i dati che il sistema utilizza. Che succede quando vi sbagliate? Il linguaggio tradisce una buona dose di pregiudizio, ma Andrew ignora con garbo le idiosincrasie dell’intervistatore venuto dal passato. «L’AI non prende decisioni. Fa delle domande. A una enorme quantità di soggetti e velocissimamente. Poi organizza l’informazione per l’utente per aiutarlo a prendere le decisioni. Per esempio, aiuta a eliminare i falsi positivi. Cercare un signore che si chiama Andrew McLeod, per esempio, può significare dover trovare quello giusto tra i 301 omonimi, alcuni dei quali nati nello stesso giorno o che magari si fanno chiamare Andy. I 200mila data base da cui attingiamo, probabilmente il più grande archivio di fonti per la gestione del rischio al mondo, coprono i social media, le news mainstream, i database dell’Fbi e della Rcmp, la polizia federale canadese, le liste di sex offender. Sono in gran parte dati pubblici. Spesso, anzi, aiutiamo le istituzioni governative a organizzare i dati di cui dispongono in modo da aumentarne la fruibilità su Internet». Scorriamo insieme altre statistiche. Il 16% del personale impiegato da Medicare negli Stati Uniti ha subito una condanna penale dopo l’assunzione. Gli omicidi negli ambienti di lavoro, un migliaio all’anno negli USA nei primi anni ’90, sono in calo da anni, ma sono stati 400 nel 2016, con un costo medio per il datore di circa 800mila dollari. Sull’onda lunga del #Metoo, nel 2018 ci sono state più di 85 mila controversie di lavoro per discriminazione, con 400 milioni di dollari di risarcimenti alla vittime. Insomma, scegliere le persone giuste è
IMMOBILIARE/2 cruciale per proteggere non solo il patrimonio aziendale, ma anche il catalogo esteso dei diritti della persona e, una volta di più, la bottom line. Il “Negligent hiring”, l’assunzione negligente, quando provata, comporta la responsabilità civile dell’azienda. Se volete, un aspetto inquietante della privatizzazione “on steroids” della società americana: le persone con disturbi mentali non vengono prese in carico dal sistema sanitario e le aziende cercano di cautelarsi con lo screening “scientifico” del personale.
Quale tipo di comportamenti siete in grado di individuare? «Chiaramente una persona che fa commenti razzisti o sessisti su Facebook non è adatta a lavorare in una posizione che la metta a contatto col pubblico. Ma anche una persona che fa “job hopping”, cambiando occupazione spesso, merita un supplemento di indagine: potrebbe trattarsi di un segnale della incapacità di far parte di una squadra, oppure di una persona di talento che vuole essere valorizzata e potrebbe essere la persona giusta nella tua azienda. Le grandi corporation fanno un monitoraggio continuo di Linkedin proprio per accertare questi elementi. Noi lo facciamo con il nostro algoritmo e mettiamo queste informazioni a disposizione anche delle aziende medio-piccole. Se una persona ha ricevuto una condanna penale dieci anni fa, questo non vuol dire che non possa accedere a un’occupazione, ma il datore di lavoro ha un interesse diretto a una informazione del genere. Un problema c’è anche quando un candidato sostiene di avere una determinata esperienza professionale senza che questo sia vero. Il paradosso è che la gente tende a mentire tre volte di più nel proprio c.v. che nella propria pagina Facebook». Cambiamo angolo di visuale: Certn offre alle aziende strumenti per proteggere i loro asset patrimoniali e umani. Che benefici offrite al mondo immobiliare? «Due cose: intanto la possibilità di stipulare online il contratto di affitto. E poi la capacità di integrare il controllo sulla solvibilità di un potenziale inquilino con altri elementi di valutazione. Una persona con una situazione finanziaria impeccabile, potrebbe essere nel registro dei sex offenders. L’AI permette di effettuare questi controlli incrociati, rapidamente e a un costo compreso tra i 5 e i 40 dollari». In Europa, norme come il GDPR (General Data Protection Regulation) e la Payment Service Directive stanno cercando di restituire ai consumatori il controllo delle informazioni sulle loro finanze. In Nord America pare che non sia ancora così: la verifica sulla solvibilità di un soggetto si fa attraverso il credit score, un sistema a punti che ne traccia l’affidabilità creditizia di una persona guardando alla puntualità con cui ha pagato le rate del mutuo, le bollette o un prestito personale. I datori di lavoro possono accedere a queste informazioni, e non solo quando operano nel settore finanziario.
Insomma l’elefante nella stanza è il rispetto della privacy dell’individuo. Glielo faccio notare, ma Andrew non sembra troppo preoccupato. “Lavoriamo con professionisti esperti in privacy in tutto il Nord America per essere certi che i nostri processi aziendali siano legali ed etici. Peraltro il credit score non funziona sempre.
«INCROCIAMO IL CONTROLLO SULLA SOLVIBILITÀ CON ALTRI ELEMENTI. IL POTENZIALE INQUILINO MAGARI È UN OTTIMO PAGATORE PERÒ È NEL REGISTRO DEI SEX OFFENDERS» Uno studente di un college o un coltivatore in India non hanno una storia di credito. Per questo è importante integrare queste informazioni con altre, per aver un quadro completo della persona che abbiamo davanti quando facciamo business. Però non vogliamo togliere i diritti umani dall’equazione. Per esempio ci limitiamo ad analizzare quello che una persona scrive su Facebook, ma non le foto che lo ritraggono nei suoi momenti di relax. Un contenuto minaccioso o violento su Facebook o Twitter potrebbe costituire un rischio per altri inquilini o colleghi, violando il loro diritto a una fruizione pacifica della loro proprietà’ o del loro ambiente di lavoro. I gusti musicali, le opinioni politiche, lo stato famigliare, la razza o la religione, non sono rilevanti a questo scopo. Peraltro la maggior parte delle persone sembra non rendersi conto che le aziende e i proprietari immobiliari stanno già guardando ai loro pr.ofili social e valutando con i propri parametri soggettivi - leggi pregiudizi -, le foto postate da un potenziale impiegato o inquilino». Una conversazione istruttiva questa con Andrew. Che rafforza l’idea che la qualità del patrimonio umano di un’azienda sia un elemento chiave anche per chi investe. Vale per il top management per definizione, ma anche per il resto delle persone in azienda. In un numero crescente di casi, le aziende condannate per discriminazione di genere o molestie sessuali nell’ambiente di lavoro sono state chiamate a rispondere in giudizio proprio dagli azionisti. Alla prossima assemblea di bilancio, chi investe avrà una ragione in più per approfondire le slides sulle gestione dei talenti nell’azienda. O magari per fare qualche domanda sugli investimenti in HR Tech, l’insieme delle applicazioni di AI che stanno rivoluzionando il rapporto tra capitale e lavoro in modi che nemmeno Karl Marx avrebbe potuto immaginare. giugno 2019
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IMMOBILIARE/3 RANKING
Berlino star del residenziale Monaco e Hong Kong le più care di Alessandro Ghisolfi
I
l 2018 è stato un altro anno positivo per il mercato immobiliare residenziale in quasi tutte le principali nazioni del mondo industrializzato. A livello globale i prezzi delle abitazioni sono cresciuti in media - come rilevano idati di Scenari immobiliari - di 4,5 punti percentuali rispetto al 2017. Come per altri indicatori macroeconomici anche nel comparto immobiliare, durante l’ultimo trimestre del 2018, si sono iniziati però a registrare i primi segnali di rallentamento, sia sul fronte dei prezzi di vendita che su quello degli scambi. Questi segnali sono giunti in primis dai mercati delle principali città statunitensi e asiatiche. Hong Kong, che per il terzo anno consecutivo ha registrato una crescita dei prezzi superiore al dieci per cento annuo, ha chiuso l’ultimo trimestre del 2018 in calo (-1,1 per cento). Al di là della performance di Malta (+12,8 per cento annuo) che come tutti i piccoli Paesi subisce variazioni di prezzo a due cifre anche nel solo giro di 12 mesi, In linea generale sono le nazioni europee e dell’area Apac (Asia e Pacifico) quelle più vivaci, mentre USA e Canada hanno segnato il passo, dopo le ottime performance degli anni scorsi. Con aumenti superiori al 5 per cento annuo abbiamo
infatti Paesi come Olanda, Singapore, Irlanda, Spagna, Filippine, Germania e Tailandia. I prezzi degli immobili residenziali delle nazioni che hanno registrato variazioni comprese tra il 5 e il 2 per cento in più rispetto al 2017, li troviamo in Messico, Portogallo, Cile, Nuova Zelanda, Australia e, appunto, Stati Uniti. In Europa, oltre all’aumento dei prezzi di vendita, durante il 2018 si è registrata una generalizzata crescita dei canoni di locazione, in particolare in Germania e in Olanda. Anche Francia, Spagna e Irlanda hanno rilevato aumenti sui canoni piuttosto significativi e gli investimenti sul comparto stanno crescendo di mese in mese. Attraverso tutta Europa gli investimenti nel segmento residenziale durante il 2018 hanno generato volumi superiori ai 50 miliardi di euro, con un aumento del 21 per cento rispetto al 2017. Nei Paesi europei gli investitori locali hanno fatto gara con quelli esteri per acquisire le aree o gli edifici più interessanti e dal potenziale di rendita migliore. Le previsioni sono che nel 2019 questo volume di investimenti sarà ancora più alto. La grande spinta agli investimenti sul residenziale è iniziata, tutto sommato da poco; ancora 5 anni fa i volumi globali non superavano i 25 miliardi di euro, erano quindi più bassi del 50
LA CLASSIFICA DELLE CITTÀ PIÙ CARE DEL MONDO
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36.000 29.000 23.000 17.800
Monaco Hong Kong Londra New York Parigi
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17.500
Tokyo
14.700
Mosca
14.300 14.200 14.000
12.500 11.300 10.800 10.600
Vienna Ginevra Singapore Shangai Mumbai Sidney Toronto
IMMOBILIARE/3
LE CAPITALI NEL MONDO CON L’INCREMENTO MAGGIORE CLASSIFICA PER VARIAZIONE % ANNUA DEI PREZZI DI VENDITA - MAGGIO 2019/MAGGIO 2018 14,9 12,0 10,8
10,4 9,1
8,7
8,2
7,8
6,8
6,3
5,6
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4,9
4,5
4,3
4,1
Mi lan o
Mo sc a Pe ch ino
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Ma nil a Ma dr i Sin d ga po re Ho ng Ko ng Ba rce lo Sa n F na ra nc isc o
Be rlin o Ed im bu rg o
2,5
FONTE: SCENARI IMMOBILIARI
per cento rispetto a oggi. Negli USA il comparto residenziale più vivace è quello degli immobili “multifamily” (condomini) e su questo segmento nel 2018 gli investimenti totali nel 2018 sono stati di oltre 170 miliardi di dollari. Per il 2019 si prevede tuttavia, una flessione di circa dieci punti sui volumi globali. Gli investitori esteri sono meno stimolati ad investire negli Stati Uniti, sia per motivi legati ai bassi rendimenti ottenibili, sia per motivi fiscali; per questo motivo solo il 9 per cento del volume totale degli investimenti è stato nel 2018,+ di provenienza estera (circa 15 miliardi di dollari). Il mercato residenziale dell’area asiatica risulta più complesso e variegato, data l’ampiezza del territorio e l’alto numero di città e popolazione presenti. In linea generale la tendenza è sempre positiva, con aumenti sia sul fronte delle compravendite che dell’aumento dei prezzi e del valore in conto capitale degli immobili. La Cina rimane protagonista con le performance di Hong Kong soprattutto, mentre sul continente continuano le politiche restrittive sulla casa per frenare l’enorme mole di offerta che si è andata a sviluppare negli ultimi otto anni. Anche a Singapore sono state applicate delle normative volte a raffreddare un po’ il mercato che stava pericolosamente surriscaldando i prezzi di vendita delle abitazioni, soprattutto nel comparto del lusso (“prime residential”). Nelle Filippine, a Manila, i valori si sono confermati in crescita (oltre dieci punti percentuali in più rispetto al 2017) così come in Tailandia (a Bangkok i prezzi delle case sono aumentati in media del 4,1 per cento). La pipeline delle nuove costruzioni in Asia rimane molto robusta e per il 2019 sono previste nuove realizzazioni in tutti i Paesi dell’area asiatica. D’altra parte, analizzando la serie storica dei prezzi delle abitazioni in Asia, si registra un aumento globale dei prezzi medi in tutti i Paesi di circa l’80 per cento a fine 2018, rispetto a soli dieci anni fa.
CONFEDILIZIA: NO ALLE PATRIMONIALI OMBRA «Il rapporto Abi-Agenzia delle entrate segnala che dal 2012, anno di introduzione della mega-patrimoniale sugli immobili (ancora in essere), il risparmio immobiliare di famiglie e imprese in Italia si sta erodendo inesorabilmente, unico caso in Europa. Occorre intervenire con urgenza attraverso misure che siano in grado di rianimare un comparto che, quando non soffocato da politiche sbagliate, è sempre stato un volano di sviluppo, con benefici effetti su occupazione e consumi. Il decreto crescita è la prima occasione»: è il forte appello che il presidente di Confedilizia, Giorgio Spaziani Testa, ha lanciato a fine maggio coerentemente con la sua linea di scongiurare altre “batoste” sul settore. Ma qualcosa forse si muove, perchè almeno la componente leghista del governo riconosce - come ha fatto il viceministro dell’Economia Garavaglia in una recente intervista al Corriere - i “danni incalcolabili” che sta producendo la mega-patrimoniale sugli immobili, indica la necessità di intervenire e segnala che il Governo ha deciso di iniziare riducendo l’Imu dei beni strumentali. Un cambio di rotta che ha naturalmente suscitato il plauso di Confedilizia, che da tempo definisce i 21 miliardi annui di Imu e Tasi “un problema che va rimosso, a beneficio dell’intera economia”, mentre invoca interventi capaci di rianimare il settore nei valori e negli scambi.
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COSMOPOLITICA Andrea Margelletti Presidente del Centro Studi Internazionali, docente presso la Facoltà di Scienze delle Investigazioni e della Sicurezza dell’Università di Perugia e Narni. Unico membro onorario delle Forze Speciali
DI COSA HA BISOGNO DAVVERO L’AFRICA
L’
Italia, nella sua prestigiosa cornice di Roma, ospita da decenni le sedi delle più importanti agenzie internazionali deputate alla cooperazione allo sviluppo quali Fao, Ifad e Wfp, a testimonianza di un impegno storico e strutturato nel promuovere la crescita di Paesi afflitti da profonde vulnerabilità sociali ed economiche. L’Italia, in quanto ponte geografico tra Europa e Africa, non può sottrarsi a questo ruolo storico di mediazione tra le due sponde continentali, cercando di equilibrarne i rapporti anche in momenti difficili come quelli odierni, in cui le paure legate all’incertezza economica e al terrorismo talvolta offuscano la capacità di giudizio e il buonsenso di alcune fasce dell’elettorato europeo. La vocazione africana dell’Italia è venuta fuori, ancora una volta e con rinnovato vigore ed entusiasmo, in occasione della prima edizione di Exco, la fiera della cooperazione allo sviluppo. Un evento che ha riunito istituzioni, associazioni della società civile, organizzazioni internazionali e non-governative tutte unite dall’obiettivo di migliorare i rapporti e le opportunità tra il nostro Paese e i tanti partner, sia storici che potenziali, africani. Un evento riuscito, non solo per l’alto livello di partecipazione di addetti ai lavori, giornalisti, esperti e imprenditori, ma soprattutto per i contenuti di un dibattito franco ed effettivo, lontano da quei gangli diplomatici e da quelle ingessate esigenze di protocollo che spesso narcotizzano questo genere di eventi. In questo senso, Exco è stata l’occasione per domandarsi qual è lo stato dei rapporti tra Italia e Africa e, soprattutto, qual è la strada che i Paesi del continente vogliono intraprendere nel prossimo futuro. Quando si parla di Africa, spesso gli europei, italiani compresi, compiono una serie di errori, con l’aggravante delle recidività. Il primo è la cosiddetta “sindrome da senso di colpa” legata al passato coloniale. Nessuno nega la brutalità di quel momento storico, i danni sistemici e le sofferenze che ha apportato ai Paesi africani. Però, quello è il passato. Un passato di cui avere piena consapevolezza per guardare al futuro. Sono passati 70 anni dal processo di decolonizzazione e sia l’Italia che l’Europa hanno fatto e continuano a fare il possibile per rimediare a quell’infamia. Tuttavia strutturare un’azione politica esclusivamente sul quel presupposto storico e sul quel sentimento è sbagliato, anacronistico e irrispettoso verso la nuova Africa che avanza. Anche in molti Paesi africani
esistono movimenti e partiti politici che basano tutta la propria propaganda su una sorta di “sindrome da risarcimento” e di retorica anti-occidentale. Vecchi trucchi che noi europei e italiani conosciamo benissimo ma che le giovani ed inquiete democrazie africane devono imparare e gestire. Dopotutto i populismi non conoscono differenze di razza e religione. Il secondo errore, derivante dal primo, è il terribile anelito terzomondista secondo il quale noi europei, per farci perdonare le colpe dell’occupazione, dobbiamo farci carico, come dei moderni mecenati, dello sviluppo africano, inondante i loro Paesi di denaro, aiuti umanitari e altre forme onnicomprensive di supporto materiale. Anche in questo caso, alcuni furbetti del quartierino da Algeri a Città del Capo costruiscono brillanti carriere politiche urlanti e ancor più proficue vite nel segno della speculazione più sfrenata, sia sugli aiuti che sulla buona fede dei donatori. L’aiuto internazionale è fondamentale e rappresenta la fonte di salvezza per migliaia di persone nelle aree più critiche del continente. Tuttavia l’Africa non è fatta solo di guerre, disperazione e fame e, soprattutto, gli africani sono i primi che vogliono liberarsi da questa logica di assistenzialismo. Questa riflessione ci conduce ad analizzare il terzo errore, per fortuna in corso di graduale correzione, che riguarda l’elaborazione di soluzioni ai problemi africani da un punto di vista non africano. Per decenni l’Europa e l’Italia non si sono chiesti cosa volesse davvero l’Africa o come l’Africa volesse essere aiutata. Soltanto oggi, spaventati dalla crescente presa che la penetrazione cinese ha sul continente, ci accorgiamo che, oltre a guerre civili e diamanti, oltre a corruzione e conflitti etnici, c’è crescita economica, sviluppo della capacità umana e voglia di emanciparsi. L’Africa non vuole aiuto, vuole cooperazione e partnership bilaterali create sulle basi di equità e parità. L’Africa non vuole giganteschi conglomerati stranieri che vincono gare d’appalto statali ma forme di partenariato pubblico-privato che finanzino il mercato locale e innalzino gli indici di produttività di benessere locali. I settori dove procedere a sono illimitati, dall’agroindustria fino ai servizi per le imprese, dalle energie rinnovabili fino alla formazione specialistica, dal farmaceutico fino al turismo. Milioni di euro, benefici comuni e condivisi: la più classica delle situazioni win-win. Aiutiamoli a casa loro, ma anche aiutiamoci a casa loro e aiutiamoci insieme.
Basta aiuti. Piuttosto i Paesi africani reclamano cooperazione e partnership
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QUI PARIGI di Giuseppe Corsentino
I GRANDI BANCHIERI FRANCESI SI TAGLIANO LO STIPENDIO
“L
a fin de l’âge d’or des banquiers millionaires” titola l’inserto economia di Le Monde, ma la stagione dei superbonus, dei premi annuali da centinaia di migliaia di euro elargiti con estrema prodigalità ai propri top manager direttori generali, amministratori delegati e trader di alto rango - dai consigli d’amministrazione delle principali banche francesi quotate, a cominciare da BnpParibas e Societé Générale, non si chiuderà tanto velocemente come vorrebbe una vecchia direttiva europea (CRD IV, Capital Requirement Directive) che impone di ridurre la parte variabile (cioè i bonus) nelle politiche retributive di quei banchieri che qui, in Francia, vengono definiti “preneurs de risque” (prenditori di rischio), cioè quelli che stanno in alto nella scala gerarchica aziendale. In un paese che deve fare i conti con rabbie e fratture sociali quasi inimmaginabili (eppure presenti nella società se no non si spiegherebbe la mobilitazione continua dei Gilet gialli con la continua richiesta di “plus de pouvoir d’achat”, più soldi in busta paga), giacobino e corporativo “en même temps”, un sistema di retribuzioni milionarie (per banchieri e non solo) non è più temibile come dimostrano anche le feroci polemiche che puntualmente scoppiavano ogni anno in primavera al momento del rinnovo della “envelope” (busta) destinata dalla Régie Renault, azienda con una pesante golden share pubblica, al suo Grand Chef Carlos Ghosn: 7 milioni di euro più varie altre voci fino ad arrivare a 13 (quest’anno zero polemiche solo perché Ghosn è finito in galera per reati finanziari…in Giappone). Eppure a confronto con la Gran Bretagna i banchieri milionari francesi sono una frazione minima, 233 contro i 3.500 inglesi (su un universo di 5mila in tutta Europa, dati dell’Eba, European banking agency), un centinaio in meno rispetto alla Germania (390) e qualche decina in più rispetto all’Italia (201, tra cui spicca - diciamolo subito - l’ad di Banca Intesa, Carlo Messina con la sua “envelope” di 5,5 milioni di euro, un compenso pari all’ammontare degli stipendi di 122 dipendenti del gruppo bancario come fa osservare uno studio del sindacato First-Cisl). Non sono 90
giugno 2019
tanti, ma anche per loro “l’heure n’est pas à la fête”, la pacchia sta finendo per dirla con il lessico social del ministro Salvini. Stando ai numeri pubblicati dalla società di recruiting e di consulenza Heidrick&Struggles, nel 2018, il livello dei bonus destinati ai banchieri “preneurs de risques” con stipendi superiori a 500mila euro è sceso dell’8% (a quota 235mila euro) nei ranghi di Societé Générale e del 5% nella concorrente (e più grande) BnpParibas con un livello medio di 287mila euro per bonus. Il numero uno di Societé Générale, Fréderic Oudea (che è stato riconfermato a maggio), ha visto la sua busta paga complessiva (fisso + variabile) scendere del 19% a 2,3 milioni di euro, mentre il suo collega di BnpParibas, Jean-Laurent Bonnafé a cui è stato chiesto di tagliare molti posti di lavoro senza ricorrere ai “plan social” cioè allo stato di crisi, come invece sta facendo Societé Générale che ha dichiarato un migliaio di esuberi, ha dovuto rinunciare al 9% del suo stipendio lordo e fermarsi a 3,3milioni di euro. Oudea ha pagato il crollo di Borsa di Societé Générale (-35,4% alla fine del 2018) e la multa da 2,7 miliardi di dollari negli Stati Uniti (nel 2014 era toccato anche a BnpParibas costretta a pagare un’ammenda quasi quadrupla di 8,8miliardi di dollari) e, su consiglio dei consulenti della comunicazione della banca (e fors’anche degli avvocati), ha fatto pure il bel gesto di rinunciare ai bonus e ai premi negoziati nel contratto. Bonnafé, anche lui, ha pagato il crollo di BnpParibas in Borsa (-36,6%) e la discesa dei margini, ma non ha fatto il bel gesto di Oudea: ha accettato con stile da enarca il ritocco dello stipendio e si è lanciato nell’operazione forse più difficile della sua carriera in BnpParibas. Quale? La riduzione massiccia dei costi con relativo taglio dei posti di lavoro accompagnata da una altrettanto massiccia digitalizzazione del lavoro bancario, operazione sostenuta da 6 miliardi di euro d’investimenti ma che non sarà senza conseguenze sociali e d’immagine per “la banque d’un monde qui change”, che è il suo orgoglioso “pay off”. E il risparmio sui bonus servirà soprattutto a coprire “les methodes sales”, gli sporchi metodi della ristrutturazione come ha già scritto il settimanale satirico Le Canard Enchaîné.
QUI NEW YORK
di Glauco Maggi
AGLI AMERICANI PIACE LA PAPPA PRONTA DEI TDF
C
omplessa, fino al mistero? Oppure semplice, fino all’automatismo? La storia della finanza americana ha due anime. Da una parte c’è la sofisticata cultura dei matematici e degli esperti di software, che lavorando per gli hedge fund e le banche sfornano derivati, opzioni, warrant, strumenti incomprensibili ai comuni mortali. Dall’altra è però grazie all’uso dell’high tech nella finanza che i consumatori possono beneficiare di “invenzioni” che suonano addirittura banali, accessibili a chiunque. Automatiche, appunto. Il fondo comune fu l’idea prima, rivoluzionaria, che mandò in pensione lo “stock picking”, la (rischiosissima e difficile) scelta individuale delle azioni e diede il via alle gestioni guidate e di massa. Attive all’inizio, quando la regia era degli agenti di cambio riciclati che muovevano i primi passi nella diffusione commerciale, fuori borsa, del loro ‘sapere’ azionario. E poi passive quando la tecnologia e gli ingegneri prestati alla finanza bancaria, hanno via via trasformato i classici indici di borsa, da testimonianze storiche del capitalismo USA (pioniere fu il Dow Jones), in frontiere per la ricerca e in miniere per il marketing. Cioè negli Etf. Di automatismo in automatismo, gli Exchange traded fund, sono ora i protagonisti di un’ulteriore corsa verso la semplificazione della vita degli investitori e sempre a opera dei tecnici della complessità informatica. Ormai diventati le tessere di base, fungibili, su cui i gestori costruiscono i portafogli per le più disparate clientele e strategie, gli Etf costituiscono infatti la quasi totalità della materia prima dei cosiddetti “Target-Date mutual fund” (TDF). Nel 2017, il 95% dei nuovi versamenti da parte dei lavoratori iscritti ai fondi pensione volontari (IRAs e 401 ks) sono andati a questa famiglia di fondi comuni, che sono un’altra storia di successo nella evoluzione della “consulenza che ti semplifica la vita”. Il concetto è elementare, basandosi sulla prima lezione impartita a chi si avvicina alla finanza. Le azioni sono più rischiose delle obbligazioni, ma storicamente (almeno guardando alla borsa USA) danno un guadagno più alto dei bond a reddito
fisso sul lungo termine. Bisogna però avere pazienza, perché le azioni sono più volatili. Il loro prezzo varia con maggiore ampiezza e frequenza rispetto a quello delle obbligazioni e bisogna quindi mettere in conto di subire cadute più forti. Un lavoratore che ha davanti 40 anni di carriera, e di versamenti, fa cosa giusta a partire con un portafoglio pensionistico sbilanciato sulle azioni, per poi via via ridurre l’esposizione alle azioni e aumentare quella in bond. I TDF fanno questo per lui, e per essere ancora più chiari hanno nel loro nome l’anno in cui l’investitore calcola di smettere di lavorare: TDF 2020, o TDF 2025, o TDF 2040 e così via. Quando un dipendente, o un autonomo, sceglie un simile prodotto da mettere nel proprio fondo previdenziale aziendale o volontario, ci pensa poi il computer a dosare la quota di rischio, le azioni, che saranno via via calanti con l’avvicinarsi dell’appuntamento con la pensione. Facile, deresponsabilizzante, ma non necessariamente sempre un affare. Può capitare di imbattersi nella crisi nera del 2008, e avere un TDF 2010 o 2015 con una presenza azionaria ancora significativa (il 20%? il 30%?) e pochi anni davanti per recuperare la perdita subita dal crollo di Wall Street. All’opposto il Journal Report (WSJ) del 6 maggio ha riportato uno studio sul TDF 2050. Il fondo, rivolto a chi oggi ha circa 30 anni, ha dato un ritorno annuale medio del 7,12% negli ultimi 5 anni (alla data del 26 aprile 2019). Chi avesse optato, anziché per il TDF 2050, per un puro Etf ancorato allo S&P500 avrebbe incamerato un guadagno del 12% annuo. Il 10% iniziale di bond nel TDF 2050 lo avranno anche reso più “sicuro” fin da subito, ma nel periodo Toro della Borsa Usa ciò è stato un handicap. Niente di drammatico. Basta sapere ciò che si vuole quando si decide un investimento, anche quelli strategici che coprono mezza vita. E gli americani pensionandi sembrano amare la “pappa pronta” dei fondi target, con pregi e difetti. Nel 2010 i TDF hanno avuto versamenti previdenziali, tra IRAs e 401 ks, per 306 miliardi di dollari; nel 2015 sono stati 671; nel 2016, 778; nel 2017, 975; nel 2018, 947 miliardi. giugno 2019
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IL GIRO DEL MONDO IN 30 GIORNI
DOPO VISION FUND, UN NUOVO FONDO SOFTBANK DA 100 MLD
U
n secondo fondo da 100 mi- è più che triplicato su base annua, a 494 liardi di dollari per l’investi- miliardi di yen (4,4 miliardi di dollari), mento in startup e progetti grazie proprio ai ritorni sugli investimenti tecnologici innovativi. Ne nelle startup. Son ha dato un forte segnale ha annunciato il lancio «nel di fiducia annunciando il raddoppio dei diprossimo futuro» l’a.d. di SoftBank Group videndi. Diversi analisti temono però che Masayoshi Son, spiegando che sarà «più o l’intraprendenza di Son stia spingendo meno delle stesse dimensioni del primo». Softbank ai suoi limiti finanziari. Sino allo Son si riferisce al Vision Fund, inaugurato scorso marzo, Vision Fund aveva investito solo due anni fa, che ha raccolto proprio 60,1 miliardi di dollari in 69 aziende. Tra i principali settori 100 miliardi di dollaL’AD MASAYOSHI SON CONTINUA oggetto dell’interesse ri da grandi investiA INVESTIRE MASSICCIAMENTE e degli investimenti tori di tutto il mondel gruppo giappodo, Arabia Saudita IN STARTUP E PROGETTI nese c’è quello delle in primis, e ha finanTECNOLOGICI INNOVATIVI automobili a guida ziato in modo massiccio società come Uber Technologies autonoma. Il consorzio giapponese istitue WeWork. Il lancio di un secondo fondo ito da SoftBank Group, Toyota Motor e da della stessa entità rafforzerebbe il ruolo una controllata di quest’ultima azienda, di Masayoshi Son, già oggi una delle figure Denso, investirà un miliardo di dollari in più influenti nella scena tecnologica globa- Uber Technologies. L’obiettivo dell’accorle. Vision Fund ha ottenuto risultati inatte- do, annunciato lo scorso aprile, è di tenesi: SoftBank ha annunciato che il suo utile re il passo di Waymo, leader della guida operativo per il primo trimestre dell’anno autonoma lanciato da Google. Prevede un
investimento di 400 milioni di dollari da parte di Toyota; Softbank contribuirà con 330 milioni di dollari tramite il suo Vision Fund, mentre il fornitore di componentistica per auto Denso parteciperà all’investimento con 267 milioni di dollari. Toyota ha impegnato separatamente altri 300 milioni di dollari.
OETTINGER: «IL MERCATO INTERNO DELL’UE È LO SCUDO DELLA GERMANIA CONTRO TRUMP» «I tedeschi dovrebbero apprezzare maggiormente l’Unione Europea come scudo contro Trump». Lo ha affermato il commissario europeo al Bilancio, Guenther Oettinger, in un’intervista al quotidiano tedesco “Rheinische Post”. Per Oettinger il mercato interno dell’Ue è lo «scudo della Germania» contro il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, che più volte ha minacciato il paese di applicare dazi sull’importazione delle autovetture di produzione tedesca. A tal riguardo, Oettinger ha osservato che «se la Germania venisse colpita dalle tariffe statunitensi, l’Unione europea risponderebbe». Gli USA avrebbero quindi dei «problemi ad accedere al mercato unico europeo, che conta 510 milioni di persone». Per tale motivo, ha notato il commissario europeo al Bilancio, «Trump ci pensa tre volte» prima di adottare i dazi sull’importazione delle auto tedesche negli Stati Uniti. Il commissario europeo al Bilancio ha infine affermato che «con la Germania da sola sarebbe del tutto diverso, ma spesso i tedeschi se ne rendono conto troppo poco».
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IL GIRO DEL MONDO IN 30 GIORNI
VIA DELLA SETA, LA CINA PUNTA ANCHE SULLA GRECIA
I
l presidente greco Prokopis Pavlopoulos, in visita ufficiale per cinque giorni a Pechino, è stato accolto in pompa magna dal presidente cinese Xi Jinping, che ha definito la Grecia «una buona amica della Cina». I media ufficiali cinesi hanno dato grande risalto alla visita ufficiale del presidente greco, trascurando invece l’intensificazione delle ostilità commerciali tra la Cina e gli Stati Uniti. La Cina guarda alla Grecia come a una testa di ponte cruciale per il successo della Belt and Road Initiative (Bri, la Nuova via della seta) nel Continente europeo.
IL MINISTRO DEGLI ESTERI IRANIANO: NESSUN NEGOZIATO CON GLI STATI UNITI
L’Iran non è interessato a negoziare con gli Stati Uniti un nuovo accordo sul nucleare dopo che Washington ha deciso l’abbandono dell’intesa multilaterale raggiunta nel 2015, e il ripristino del regime sanzionatorio a Teheran. Lo ha dichiarato il ministro degli Esteri iraniano Mohammad Javad Zarif. Il ministro ha sottolineato che sino allo scorso aprile, Teheran ha tentato di dialogare per ottenere lo scambio di cittadini iraniani detenuti negli USA, Germania e Australia sulla base di accuse «fasulle» in cambio della liberazione di cittadini internazionali detenuti in Iran. Tale accordo non è più possibile perché gli Usa hanno posto «precondizioni: gli Stati Uniti non sono nella posizione di imporre precondizioni all’Iran», ha affermato. Zarif ha definito gli Stati Uniti «prepotenti», per le pressioni che hanno esercitato sui loro alleati e sul resto della comunità internazionale al fine di forzare l’adesione al regime sanzionatorio contro l’Iran. «È la prima volta nella storia che un prepotente minaccia chiunque altro, paesi importanti, di punizioni per aver osservato un accordo che non gli piace», ha aggiunto Zarif.
Pechino e Atene si sono avvicinate negli anni della crisi del paese europeo: l’amministrazione Xi ha concesso assistenza finanziaria alla Grecia durante la fase più acuta della crisi del debito di quel paese, e una compagnia di Stato cinese ha acquistato il più grande porto commerciale della Grecia, nel Pireo. Il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Geng Shuang, ha
IL PRESIDENTE GRECO PAVLOPOULOS, IN VISITA A PECHINO, È STATO ACCOLTO IN POMPA MAGNA DA XI JINPING
definito la gestione cinese nel Pireo «un esempio della cooperazione di successo tra Cina e Grecia». Il presidente cinese ha anche offerto un pranzo ufficiale in onore del presidente greco. Pavlopoulos ha anche visitato a Pechino il quartier generale della società cinese delle telecomunicazioni, Huawei, incontrando il senior vice president della compagnia, Philip Jiang, da cui ha ricevuto informazioni sugli attuali sviluppi tecnologici di Huawei e sulla sua visione globale. Questo proprio mentre le sanzioni americane stanno sempre più cercando di isolare il colosso cinese delle telecomunicazioni. Più di 25 studenti universitari greci hanno partecipato al programma Huawei’s Seeds for the Future, che aiuta gli studenti di talento a perfezionarsi con tecnologie all’avanguardia. giugno 2019
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IL GIRO DEL MONDO IN 30 GIORNI
L’ECONOMIA GIAPPONESE AZZOPPATA DALLA GUERRA COMMERCIALE STATI UNITI-CINA
L’
intensificazione del conflitto commerciale tra Stati Uniti e Cina sta spingendo l’economia giapponese sull’orlo della recessione. È quel che emerge dall’indice coincidente dell’economia giapponese, un indicatore che include il tasso di occupazione, la produzione in-
dustriale, i redditi personali e la vendita di corso dell’anno fiscale conclusosi alla fine beni manufatti e provenienti dall’estero, di marzo. Il calo, il primo registrato dalle che ha segnato un netto calo a marzo. Il aziende giapponesi quotate da tre anni governo è stato così costretto a rivedere fiscali a questa parte, è riconducibile in le proprie valutazioni, e ha ammesso che gran parte alla contrazione della domanda il quadro economico è in peggioramento. cinese di smartphone e semiconduttori, A incupire ulteriormente la prospettiva c’è e più in generale alle tensioni connesse al conflitto commerl’aumento dell’imI DATI DI MARZO FANNO TEMERE ciale tra Stati Uniti posta sul valore agCHE LA TERZA ECONOMIA e Cina. Gli utili netti giunto che dovrebbe delle aziende giapposcattare a ottobre, DEL PIANETA POSSA PRESTO nesi hanno segnato anche se il peggioENTRARE IN RECESSIONE un balzo annuo del ramento del quadro economico generale e l’indebolimento già 12,6% nella prima metà dell’anno fiscale marcato dei consumi stanno alimentando appena concluso, tra aprile e settembre l’ipotesi che il rincaro possa essere nuo- 2018; nei sei mesi successivi però la sivamente rinviato. Le aziende giapponesi tuazione si è invertita, con un calo degli quotate in borsa hanno fatto registrare utili del 14,6%, secondo i dati elaborati dal un calo degli utili complessivi del 2% nel quotidiano economico “Nikkei”.
APPLE, UN SILURO DALLA CORTE SUPREMA
L
a Corte Suprema degli Stati Uniti ha stabilito che gli utenti di iPhone potranno avviare una class action contro Apple per abuso della sua posizione dominante sull’App Store, e il conseguente aumento dei prezzi. Il colosso di Cupertino si era rivolto alla Corte nel tentativo di capovolgere la decisione di un giudice che aveva permesso a un gruppo di consumatori l’avvio di una class action contro l’azienda. Ma con una decisione presa di misura, 5 voti a favore contro 4 contrari, la Corte Suprema ha deciso invece che gli utenti di iPhone potranno procedere con l’azione legale collettiva. Il gruppo di consumatori sostiene che il monopolio della società sul suo App Store abbia portato a un aumento smodato dei prezzi delle app per iPhone. Apple ha replicato sostenendo che i consumatori non abbiano alcuna possibilità di citare in giudizio la società, che si limiterebbe a un ruolo di intermediazione tra gli utenti e gli sviluppatori delle app. Decisivo nello stabilire l’orientamento della Corte Suprema è stato il giudice Brett Kavanaugh, che si è espresso in modo diverso rispetto ai suoi colleghi conservatori, schierandosi con i giudici liberali. La Corte Suprema aveva stabilito nel 1977 che solo gli “acquirenti diretti” di prodotti siano legittimati ad agire in giudizio. Kavanaugh ha respinto l’argomentazione di Apple secondo cui sarebbero gli sviluppatori di app e non la società che gestiva l’App Store a vendere i programmi direttamente agli utenti. 94
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WEIDMANN: DAZI, UN VELENO PER L’ECONOMIA
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n veleno per l’economia, di cui risentirebbe anche la Germania, almeno in minima parte». Così Jens Weidmann, il presidente della Bundesbank, la banca centrale tedesca, ha definito le dispute sul commercio internazionale, come quella in corso tra Stati Uniti e Cina, ma anche quella che potrebbe aprirsi tra Stati Uniti e Unione Europea. Intervenendo alla Giornata delle casse di risparmio tedesche ad Amburgo, Weidmann ha paventato il rischio di un ulteriore rallentamento dell’economia globale proprio a causa della guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina. Per il presidente della Bundesbank, come ha riferito il quotidiano tedesco “Handelsblatt”, a causa della disputa tra Washington e Pechino «dall’inizio del 2019, il commercio internazionale ha subito un notevole rallentamento». Pertanto, ha avvertito Weidmann, «una ulteriore escalation sarebbe un veleno per l’economia, soprattutto per gli Stati Uniti». Secondo le stime della Bundesbank, le barriere commerciali già adottate da Usa e Cina possono «incidere negativamente sulla prestazione dell’economia dei due paesi per lo 0,5% e ridurre il commercio globale dell’1%».
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IL GIRO DEL MONDO IN 30 GIORNI
CENTENO: UE, È ORA DI AUMENTARE I SALARI
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obbiamo dare ai cittadini l’inequivocabile segnale che tutti gli europei beneficeranno della ripresa dell’economia dopo la crisi finanziaria avviata nel 2008». Lo ha detto il presidente dell’Eurogruppo, il ministro delle Finanze portoghese Mario Centeno, in un’intervista rilasciata al quotidiano tedesco “Die Welt”. «I salari devono aumentare per tutti nell’Unione Europea, per rispondere all’ascesa dei partiti populisti ed euroscettici» ha aggiunto il presidente dell’Eurogruppo. Per Centeno, in diversi Stati dell’Ue (tra questi non figura l’Italia, ahinoi), il tasso di disoccupazione è ora «a livelli molto bassi»; a suo avviso, anche per questo motivo «i salari devono aumentare di conseguenza». Il presidente dell’Eurogruppo ha quindi evidenziato che l’istituzione di un bilancio comune per gli Stati membri dell’Eurozona è tra i progetti più importanti dell’integrazione europea. Per Centeno «i valori dell’Ue e l’euro hanno collaborato a portare pace e prosperità» in Europa. Pertanto questi ideali devono essere «ulteriormente sviluppati» e un bilancio comune per l’Eurozona avrebbe «un impatto positivo per le economie di tutti i paesi» che adottano l’euro, ha concluso il presidente dell’Eurogruppo. Centeno è stato protagonista dell’intesa trovata dai 27 ministri delle Finanze sulla riforma del Meccanismo europeo di Stabilità (Esm), che diventerà davvaro il paracadute del Fondo europeo di risoluzione già nel 2020, «purché vi siano state sufficienti riduzioni dei rischi nei bilanci bancari».
« NISSAN SPROFONDA DOPO IL CASO-GHOSN
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enault batte Nissan negli utili per la prima volta da un decennio, ma è una vittoria di Pirro: i due costruttori infatti sono partner, e l’utile operativo di Nissan è crollato del 45% a 318,2 miliardi di yen (2,91 miliardi di dollari) in un anno segnato dall’arresto dell’ex presidente dell’azienda, Carlos Ghosn, e dallo scontro di potere all’interno dell’alleanza che include, oltre a Renault e Nissan, anche il partner minoritario Mitsubishi Motors. Nel 2018 Renault ha conseguito invece un utile operativo di 3,61 miliardi di euro (4,06 miliardi di dollari). Nissan ha fatto anche registrare il margine operativo più basso tra le tre aziende: 2,7%, contro il 6,3 di Renault e il 4,4 di Mitsubishi; e ha ridotto i dividendi per la prima volta in 10 anni, a 40 yen per azione contro i 57 yen dello scorso anno. Non sono peraltro in vista novità importanti sul fronte dell’offerta di modelli: anche per questo le prospettive di una rapida uscita dalla crisi per Nissan appaiono remote. Il piano annunciato nel novembre 2017 prevede un aumento delle vendite annue di 3.700 miliardi di yen (33,6 miliardi di dollari), pari a circa il 30 per cento, sino a 16.500 miliardi di yen entro l’anno fiscale 2022. Ma secondo fonti aziendali citate dalla stampa giapponese, l’obiettivo verrà abbassato a 14mila miliardi di yen. Nissan intende produrre quest’anno 4,6 milioni di autoveicoli, il 15% in meno rispetto al 2018, il numero più basso da nove anni a questa parte. Il dato, contenuto nei piani comunicati dall’azienda ai fornitori, è stato riportato dal quotidiano “Nikkei”.
L’ECONOMIA ISRAELIANA CRESCE DI OLTRE IL 5% NEL PRIMO TRIMESTRE DELL’ANNO
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econdo dati dell’Ufficio centrale di statistica, l’economia israeliana è cresciuta del 5,2% nel primo trimestre del 2019 su base annua. Nell’ultimo trimestre del 2018 il Pil era cresciuto del 3,9%, mentre nel terzo trimestre del 2018 si era attestato al 2,8%. Sottraendo il valore delle importazioni di veicoli e delle imposte, l’economia è cresciuta del 3,7% nel primo trimestre dell’anno e del 3% nell’ultimo trimestre del 2018. La spesa per l’acquisto di automobili da parte dei privati ha registrato un aumento del 600% su base annua, dovuta all’imminente riduzione dei benefici fiscali. Su base annua la produzione aziendale è aumentata del 5,8% nel
UN RISULTATO IN CRESCITA DAL + 3,9% FATTO REGISTRARE NELL’ULTIMO TRIMESTRE 2018
primo trimestre del 2019. Le importazioni di beni e servizi sono aumentate del 6,7% nel primo trimestre, un dato in flessione rispetto al più 12,2% registrato nell’ultimo trimestre del 2018. Infine le esportazioni sono cresciute del 4,9%. Secondo Shlomo Swirski, direttore accademico del Centro
Adva, il coordinamento della sicurezza tra l’Autorità palestinese e Israele nella Cisgiordania occupata dà un contribuito importante alla prosperità dell’economia israeliana. «Le politiche di Abu Mazen in Cisgiordania in parallelo con quelle della Banca centrale israeliana e del governo Netanyahu hanno contribuito alla prosperità dell’economia israeliana, aumentando il volume del turismo, riducendo la disoccupazione e il deficit finanziario in Israele» ha affermato Swirski in un articolo pubblicato sulla rivista israeliana Globes.
Il giro del mondo in 30 giorni è a cura di Riccardo Venturi giugno 2019
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TRUFFE
CYBERCRIMINALITÀ
Le mille trappole del phishing per rubare i vostri dati bancari di Marco Scotti
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e nei giorni scorsi vi è arrivata una mail di una nota catena di elettronica che vi annuncia una vincita inaspettata e tutto questo vi sembra troppo bello per essere vero… avete ragione! Peggio, si tratta di una truffa volta a rubare i vostri dati bancari comunemente nota come phishing. Si tratta di un sistema piuttosto comune in cui malintenzionati inviano messaggi via mail nella speranza che qualcuno “abbocchi”. Un evento che non è poi così remoto come può sembrare, né tantomeno deve essere addebitato esclusivamente a sprovveduti navigatori occasionali pronti a farsi menare per il naso dal primo truffatore di passaggio. Le persone infatti continuano imperterrite ad aprire email o allegati nonostante le continue campagne di sensibilizzazione. In base al report di Verizon 2018 Data Breach Investigations, il 4% degli obiettivi di una campagna di phishing aprirà link o documenti. Se a questo si somma il fatto che, secondo il Microsoft Security Intelligence, lo scorso anno si è assistito a un vero e proprio boom del phishing, si capisce subito che è bene tenere alta l’attenzione. L’analisi condotta dal colosso fondato da Bill Gates è il frutto di un’analisi di 6.500 miliardi di minacce che ogni giorno solcano in lungo e in largo la rete cercando un modo per insidiare i computer di qualche malcapitato. E dunque, secondo Microsoft il phishing è il metodo di attacco preferito dai cybercriminali - che troppo spesso 96
UNA RETE DI DELINQUENTI SI AGGIRA PER IL WEB CON L’OBIETTIVO DI PROSCIUGARE CONTI CORRENTI E CARTE DI CREDITO PREPAGATE. L’IMPERATIVO È UNO: NON APRITE QUELL’EMAIL
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vengono identificati con dei ragazzotti brufolosi che in uno scantinato di qualche periferia cittadina provano a superare le loro frustrazioni e che invece sempre più spesso fanno capo a organizzazioni criminali vere e proprie tra cui, tanto per restare a casa nostra, fanno bella mostra di sé mafia, camorra e ‘ndrangheta. Tra gennaio e dicembre dello scorso anno la percentuale di messaggi malevoli inviati tramite email è aumentato del 250%. All’atto pratico come si può finire nelle reti dei criminali online pronti a prosciugare carte prepagate e conti correnti? E che garanzie offrono le banche in caso di frode? Partiamo dal primo punto: se il risultato che si vuole raggiungere è sempre lo stesso – ottenere le credenziali dei vostri depositi e
TRUFFE sottrarre quanto più denaro possibile – le modalità sono sempre differenti e fantasiose. Il comune denominatore è rappresentato da una mail inviata da un soggetto che dovrebbe essere celebre e affidabile – una banca, una catena di supermercati o altri esercizi che hanno particolare vicinanza con il denaro – con un link in calce che rimanda a un sito che ricalca (ma gli errori evidenti si dovrebbero notare abbastanza chiaramente) quello dell’originale. Ad aprile per esempio una finta informativa di Poste Italiana che annunciava il blocco della carta Postepay per motivi di sicurezza, dal momento che erano state “riscontrate delle transazioni sospette, probabilmente non autorizzate dal titolare”. Solo che non era vero niente. Poste non aveva mai mandato questa mail e il link a cui puntava la mail era in realtà uno specchietto per le allodole: una volta premuto sul pulsante infatti si veniva invitati a inserire i propri dati personali. Un primo campanello d’allarme è la grammatica: errori marchiani, ortografia incerta, frasi sconnesse sono tutti segnali che a inviare quel messaggio non sono stati esattamente degli accademici della Crusca ma piuttosto,dei truffatori stranieri che non hanno completa padronanza della lingua italiana. Fondamentale quindi evitare di cliccare su qualsiasi link. Anche perché nel caso di Poste – come in quasi tutti gli altri – la società non può permettersi di inviare certe notizie attraverso la mail ma deve usare canali più ufficiali come la posta ordinaria o quella certificata. Attenzione poi anche ai toni particolarmente “allarmisti” (rispondi subito, il tuo account verrà chiuso entro 24 ore e via dicendo). Nel caso riceviate mail di questo tipo, qualora il vostro sistema di controllo delle mail non le abbia già bloccate, ci si può rivolgere anche alla Polizia Postale per segnalare il tentativo di intromissione. Ma veniamo alla domanda più importante e a cui è più complesso rispondere: che cosa succede in caso di frode? La banca deve rispondere per la sottrazione di denaro o è esclusiva responsabilità del cliente? La giurisprudenza in questo caso sembra essere a favore del consumatore, ma la strada è più complicata del previsto. Una sentenza della Cassazione (n. 9158/2018) ha stabilito che nel caso di operazioni effettuate mediante strumenti elettronici è l’istituto di credito che deve fornire la prova della riconducibilità della transazione al cliente. Nello specifico, infatti, un cliente aveva subito un furto dal suo conto corrente postale e aveva richiesto all’Istituto che gli venisse rifusa la cifra sottratta. Di fronte al diniego, si era andati in causa fino ad arrivare alla Cassazione, che aveva ritenuto come parte del rischio professionale di una banca o di un istituto quello di dover rifondere i correntisti truffati tramite sistemi elettronici. Gli ermellini infatti avevano notato che la causa di questa frode fosse proprio una mail di phishing che aveva permesso di sottrarre i dati dei correntisti.In ottica Psd2 (la normativa che permette agli utenti di impiegare i servizi finanziari di terze parti, come Google, Samsung, Apple e altri operatori fintech), poi le banche hanno dovuto trovare una soluzione all’aumentata necessità di garantire sicurezza alla clientela. Uno dei sistemi individuati è quello delle cosiddette “chiavette”, che servono per garantire la transazione online con un secondo fattore di autenticazione e che per alcuni istituti è già stata digitalizzata definitivamente sullo smartphone. Intesa SanPaolo per esempio ha chiesto ai suoi correntisti che utilizzino l’accesso online di dotarsi della app tramite smartphone che consente di assicurare qualsiasi transazione tramite un’autenticazione con pin o con parametri biometrici (impronte digitali o iridi). Un sistema che dovrebbe garantire maggiormente i clienti ma che in
SECONDO IL REPORT DI VERIZON 2018 DATA BREACH INVESTIGATIONS IL 4% DEGLI OBIETTIVI DI UNA CAMPAGNA DI PHISHING APRIRÀ LINK O DOCUMENTI. ANCHE MICROSOFT LANCIA L’ALLARME realtà presta il fianco a possibili diatribe con gli istituti di credito: nel caso infatti di impiego di tutte le tecnologie richieste dalla banca, se si viene attaccati con successo di chi sarà la responsabilità? Gli istituti di credito hanno messo a punto una tecnologia che, al momento, garantisce standard di sicurezza molto più elevati di quelli precedentemente raggiunti dalla semplice combinazione di username e password. Ma la lotta al cybercrimine ricorda tristemente quella al doping: i malfattori sono sempre avanti e le autorità devono profondersi in qualsiasi sforzo per riuscire a stare al passo. Ma, si diceva, la giurisprudenza è ancora complessa nel determinare le responsabilità. Per esempio in un caso recente la cliente di un istituto di credito stava pagando online una bolletta quando le è comparsa una finestra pop-up che la invitava a cliccare sul link per completare la procedura. La signora, seppur in maniera avventata, cliccava sul collegamento e si vedeva sottratti 10.900 euro. Chiedeva quindi il risarcimento alla banca che accettava ma che la avvertiva: in caso di assenza di responsabilità da parte dell’istituto, la somma sarebbe stata nuovamente stornata dal conto corrente della cliente. Cosa che è avvenuta puntualmente qualche mese dopo. La banca infatti sosteneva che la responsabilità era da addebitare interamente all’avventatezza della signora. La vicenda non è ancora conclusa: dopo aver querelato la banca, infatti, alla cliente veniva offerto un risarcimento pari al 60% della cifra sottratta. Una transazione che è stata rifiutata e che dovrà essere riconsiderata in tribunale. Ma un dato emerge chiaramente: se le tecnologie per proteggersi (ma anche per essere frodati) sono ormai molto evolute, non lo è ancora il sistema bancario né, tantomeno, la giurisprudenza. Serve quindi rimediare in fretta. Ne va della credibilità dell’intero sistema. giugno 2019
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MODA
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i certo ci siamo evoluti e abbiamo moltiplicato le manifestazioni, ma il modello di Pitti Immagine è ancora quello indicato da Marco Rivetti trent’anni fa, come sai», dice l’amministratore delegato Raffaello Napoleone al telefono, fermo nel traffico di Parigi dove ha presentato la nuova edizione di Pitti Uomo, in programma dall’11 al 14 di giugno a Firenze, per poi replicare a Hong Kong e in altre città di cui certamente io, ma forse anche lui, ha perso il conto. Le conferenze stampa e le presentazioni di Pitti Uomo durano un mese intero; un lungo tour de force che si conclude a dieci giorni dalla serata di apertura della manifestazione, nella celeberrima Sala Bianca di Palazzo Pitti restaurata grazie alla spinta decisiva del sovrintendente degli Uffizi Eike Schmidt (che il Signore ce lo conservi, anche se temiamo che il Kunsthistorisches Museum di Vienna avrà la meglio sulle lungaggini burocratiche italiane nel bandire il nuovo concorso). Questa “del trentennale” sarà un’edizione unica, già festeggiata con un’emissione postale e una serie di celebrazioni a gennaio: la prima sfilata di moda italiana a Palazzo Pitti data 22 luglio 1952 (“fin dal superbo scalone, gli armigeri in giubba e braghettoni del Cinquecento, a strisce gialle e rosse, davano il tono a tutta la serata”, scriveva La Nazione nello stile cronachistico ispirato dei tempi), e si era tenuta un anno e mezzo dopo la prima, leggendaria presentazione a casa del marchese Giovan Battista “Bista” Giorgini; ma il modello attuale, con le fiere e le manifestazioni irradianti dalla Fortezza da Basso a tutta la città di Firenze, portano invece la data del 1988 e la firma geniale di Marco Rivetti, il fondatore del Gruppo Gft e, in buona sostanza, del pret-à-porter italiano come lo conosciamo oggi. Pitti genera un fatturato di 38,2 milioni e, nel tempo, ha dato vita a una serie di manifestazioni rilevantissime nel proprio settore, come Pitti Fragranze e Taste, quest’ultima aperta anche al pubblico e davvero selezionatissima. L’unica iniziativa che continui a non decollare è Super, che si tiene a Milano ed è legata al prodotto moda donna: forse non è sufficientemente attrattivo il luo100
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A FIRENZE DALL’11 AL 14 GIUGNO
Pitti Immagine, un format che viene da lontano fondato su stile e lavoro di Fabiana Giacomotti
Un gruppo di visitatori stranieri al Pitti Uomo edizione 2018
go dove viene organizzata (i sotterranei di piazza Lina Bo Bardi sono brutti forte, spiace dirlo), forse non si riesce a farvi convergere quel mix unico di intelligenze, imprenditoria e simpatia che accorre invece a Firenze cancellando tutti gli altri impegni. Chissà; galleggia, in attesa dell’evento in grado di cambiarne le sorti. A questo punto però mi tocca fare un endorsement: qualche anno fa, in occasione dei 60 anni dalla nascita del Centro di Firenze per la Moda Italiana, holding di Pitti Immagine, che cadevano in concomitanza con i sessant’anni della televisione italiana, la Rai, curai al Cinema Teatro Odeon una serata speciale di immagini di archivio che ritraevano Roberto Capucci alla sua prima presentazione, le modelle che si vestivano al Collegio del Poggio Imperiale, Emilio Pucci vestito per l’appunto in calze “divisate” e giustacuore e altre delizie e dunque sì, conosco bene la macchina di Pitti e la capacità organizzativa sinergica che è in grado di generare. Il suo segreto, se così si può definire, sta tutto nella secon-
MODA da definizione del logo, in quell’”Immagine”. Per capire che cosa intendesse Rivetti quando lo coniò, non pensate al suo valore semantico attuale, che può apparire superficiale e inconsistente, logorato dall’uso, ma al suo valore etimologico, e a quello che rappresentava negli Anni Ottanta del secondo boom economico italiano: “imago-ginis - Forma esteriore degli oggetti corporei” ma anche, per estensione e come specifica la Treccani “Modo, aspetto, serie di caratteristiche con cui un personaggio, un’azienda, un ente o anche un prodotto industriale si presentano o vengono presentati al pubblico, secondo certi criteri che tendono ad assecondare il più possibile i gusti e i desideri del pubblico stesso”. In quella “tensione”, che non diventa mai appiattimento, adesione supina e banale, si percepisce lo spirito con cui Rivetti trasformò quella che rischiava di diventare una fiera di settore come un’altra nell’appuntamento imprescindibile per un esercito di buyer, aziende e giornalisti (oltre 60 mila all’ultima edizione di Pitti Uomo). Purtroppo, e lo diciamo con un certo scoramento, iniziano a essere numerosi i cosiddetti “operatori del settore” che a giugno volano direttamente da Firenze a Parigi, saltando la men’s fashion week di Milano. In questa stagione, il nuovo presidio di Giorgio Armani, affiancato alla tenuta di Prada e di Versace e alla presenza poliedrica di Marcelo Burlon, appare come un ultimo grande appello al ricompattamento di un sistema, quello delle “settimane della moda”, che va sgretolandosi sotto la spinta potente delle sfilate e degli eventi speciali itineranti organizzati in occasione delle pre-collezioni e delle “cruise”, significative in termini di fatturato più delle stesse collezioni stagionali, che i grandi brand organizzano nei principali mercati del loro export. Pitti ha saputo superare il problema; in un certo senso, è nata con quella struttura a stella, satellitare, per non accorgersene nemmeno. A giorni vi sfilerà Givenchy, marchio che, sotto la guida artistica di Clare WaightKeller, è tornato nuovamente di culto. A Milano dubitiamo che sarebbe venuto per molti motivi, e uno in particolare: Firenze non rappresenta la concorrenza a Parigi, ma un’isola, un laboratorio e un momento a sé. Si innesta su un tessuto cittadino ricettivo ed entusiasta nei riguardi della pacifica (ed elegante) invasione internazionale come a Milano non è mai accaduto, e stempera il lato commerciale insito nella sua natura con iniziative culturali di grande valore, mai al servizio degli interessi di gruppi editoriali o singole aziende come accade altrove. Zero “marchette” insomma, che sono diventate la peste del sistema, oppure iniziative commerciali sì, ma ben concepite e strutturate: insomma tolleranza zero per la sciatteria o la mancata congruenza del progetto al tema dato per la stagione. Sulle rive dell’Arno si è percepibilmente accolti e graditi in un contesto meraviglioso, che è facile e pure piacevole percorrere a piedi. Il programma è variegato, e soddisfa tanto l’esegeta della moda, il “commerciale” che vuole “scrivere” ordini e il vanesio che discorre di pellami senza azzeccare un congiuntivo quanto l’intellettuale che non riesce a rassegnarsi alla natura effimera e fondamentalmente industriale della moda. A questo scopo, alla fine degli Anni Novanta nacque con una mostra di Doug Aikten Pitti Immagine Discovery, presto trasformata in Fondazione, che rappresenta il braccio culturalmente armato della rassegna. La sua missione si trova chiara-
RAFFAELLO NAPOLEONE: «CERTO, CI SIAMO EVOLUTI E ABBIAMO MOLTIPLICATO LE MANIFESTAZIONI, MA IL MODELLO DI PITTI IMMAGINE È ANCORA QUELLO INDICATO DA CARLO RIVETTI TRENT’ANNI FA»
Raffaello Napoleone, amministratore delegato di Pitti Immagine
mente espressa nello statuto (“riflettere sui rapporti tra moda, arte, architettura, comunicazione e al cortocircuito che provoca la loro interazione, promuovere e valorizzare la ricerca culturale e le produzioni artistiche, approfondendo le aree nelle quali la moda trova ispirazioni creative e forme di sperimentazione”) e ha portato alla nomina di un consulente artistico super partes e di rilevanza internazionale come Olivier Saillard. Il successo di Pitti Immagine è determinato anche dalla sua natura giuridica: formalmente una srl, è però dominata dallo spirito della fondazione, e reinveste tutti i cospicui utili nella propria crescita, sostenendo il soggiorno di stampa e buyer internazionali, favorendo contatti e iniziative trasversali. All’ufficio stampa e comunicazione, cioè all’”Immagine”, lavorano in tanti, e lavorano tantissimo. Non accade mai che una richiesta non venga evasa nell’arco della giornata, specificità non certo comune anche in molti grandi gruppi. L’ultima riguarda questo articolo. Drin drin molto lontano, chiudo precipitosamente la telefonata accingendomi a inviare un messaggio. Vengo preceduta: “Siamo a Hong Kong, ma se è urgente siamo qui”. Ecco, funziona in questo modo. giugno 2019
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IL DENARO DEI VIP PARLA MANILA NAZZARO
«Casa di proprietà e reddito fisso. Azioni e diamanti? No grazie» di Monica Setta
È
diventata miss Italia nel 1999 sbaragliando ogni concorrenza perché quel suo sguardo intenso aveva fatto breccia non solo sulla giuria ma sull’Italia intera. Oggi Manila Nazzaro, 42 anni, 2 figli e un ex marito calciatore, conduce ogni giorno una trasmissione quotidiana su Radio Zeta ed è opinionista in vari salotti tv targati Mediaset o Rai. Attenta al denaro, per sua stessa ammissione, Manila non è però un’accumulatrice seriale anzi. Le piace mettere da parte i suoi guadagni ma soprattutto ama il suo mestiere che definisce il più bello del mondo.
Che rapporto ha con i soldi? Sono una persona che tiene in considerazione il denaro perché me lo guadagno a prezzo di enormi sacrifici. Da quando mi sono separata da mio marito tiro su praticamente sola due bambini cercando di non far mancare loro davvero niente. Fin da piccola mettevo da parte 300-400 lire delle 1000 che i miei nonni mi davano come paghetta la domenica quando andavo a trovarli dopo la Messa. Spendevo qualcosa per la mia grande passione e poi conservavo il resto nel salvadanaio... Quale era la sua grande passione? Beh, glielo confido. Amavo i pop corn ma siccome i miei genitori erano attenti a farci mangiare cose semplici e poche merendine o patatine io ne approfittavo nei giorni di festa quando andavo dai nonni. Papà e mamma non mi hanno mai dato la famosa “paghetta” e io faccio lo stesso con i miei figli.
L’EX MISS ITALIA 1999, OGGI CONDUTTRICE E OPINIONISTA, È UN’OCULATA RISPARMIATRICE Le cose importanti le compro io per loro ma se vogliono un gioco in più sono molto severa. Li ho abituati al rispetto per i soldi. Non si coltivano mica come le rose né crescono sugli alberi! Per guadagnare i soldini - i miei figli lo sanno - la mamma esce presto da casa e sta in piedi fino a sera magari anche senza pranzare. Pochi giorni fa per esempio sono uscita per intervistare George Clooney. L’ho inseguito per ore e poi sono riuscita a realizzare la mia intervista. Grande soddisfazione ma sono 102
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tornata a casa che i miei bambini erano già addormentati.
Mai fatto follie anche dopo i grandi guadagni di Miss Italia? La sola follia che ho fatto nella mia vita è legata al mio ricevimento nuziale. Ho voluto un addobbo floreale degno di una regina, ci tenevo molto. L’effetto era splendido ma il conto è stato salatissimo. Ho speso oltre 10mila euro solo in rose e peonie... Forse tornassi indietro cercherei di risparmiare un pochino. Per il resto adoro scarpe borse e vestiti ma sono molto parsimoniosa. Facendo
IL DENARO DEI VIP la conduttrice tv mi capita di ricevere in omaggio abiti e accessori. Qualcosa accetto ma se mi piace un vestito in più lo acquisto magari con un po’ di sconto.
tetto sulla testa di proprietà resta la miglior condizione dare redditività ai propri risparmi.
Gira con molto cash in portafoglio? Assolutamente no. Noi donne abbiamo borse già così piene di mille oggetti - pettine, rossetto, cellulare, bloc notes, perfino biscotti o quaderni dei figli - almeno il portafoglio lo tengo leggero. Porto con me il necessario per le piccole spese e poi ho un carnet che tengo conservato in una fodera della borsa dove ci sono i documenti e le carte di credito. Più bancomat che assegni! Mi piace tenere comunque gli spiccioli a portata di mano per un caffè al volo o un acquisto veloce. Il resto è tutto tracciabilissimo.
Per che cosa ama risparmiare? Per comprare case. Anzi, casa. Ho investito nell’appartamento della mia famiglia perché sono convinta che il mattone sia la cosa più redditizia nel tempo. Se ho qualche soldino da parte compro titoli di stato a lunga scadenza così da avere un rateo mensile ma sto lontana dalla Borsa. Più volte mi è capitato di ricevere proposte per investire in azioni o in diamanti ma ho sempre declinato. Sono una risparmiatrice cauta e tradizionale. Infatti finora per fortuna non ho mai perso un euro
Che cosa acquistò con i primi guadagni da modella? Me lo ricordo bene comprai una Micra era la mia prima macchina e ci giravo per Roma. Ero felicissima ma mi aiutò in parte mio padre che è un uomo molto attento al risparmio. All’epoca le mie amiche dissero che ero stata fortunata ma io non credo alla fortuna che cade dal cielo. Per guadagnare bisogna impegnarsi e fare sacrifici. I soldi facili non esistono o se ci sono io non li ho mai visti. Io sono abituata a guadagnare ogni euro con tenacia e senza risparmiarmi. Corro per tutta Italia viaggiando anche la notte per condurre un evento e non dico mai di no. Finché posso mi godo il mio mestiere che é oggettivamente il più bello del mondo.
Tra i suoi sogni c’è quello di diventare una miliardaria? No devo dire proprio di no. Sogno un futuro roseo per i miei figli e ancora credo che il mio mestiere mi darà ancora tante soddisfazioni. Sogno magari un nuovo amore che sia quello definitivo, maturo. Ma i soldi no.
Manila Nazzaro sta alla larga dalla Borsa e crede invece molto nel mattone
Ha detto che preferisce investire in reddito fisso. Non si fida delle Borse o ha avuto qualche brutta esperienza? Personalmente come ho detto prima ho sempre declinato le proposte che avessero al centro un investimento in azioni perché non ho il tempo necessario per poter controllare ogni giorno l’andamento della Borsa italiana e di quelle internazionali. Ma la mia quota di investimento principale rimane il mattone. Avere un giugno 2019
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COLLEZIONISMO IL MERCATO DEL WHISKY
Scozzese o giapponese è caccia al distillato più costoso di Davide Passoni
I
l mondo degli investimenti alternativi riserva chicche inattese, che hanno spesso il pregio di far sì che il desiderio di veder fruttare i propri risparmi vada di pari passo con il soddisfacimento di passioni molto personali. Vale nel caso dell’orologeria, dell’arte, persino dei sigari. E vale anche per i whisky rari. Il whisky è infatti un bene estremamente voluttuario, che da sempre ha propri collezionisti e appassionati, disposti a spendere cifre importantissime per mettersi in cantina una bottiglia o, meglio ancora, una botte rara, a volte senza nemmeno aprirla per degustarne il contenuto. Con la speranza o la certezza che diventi preziosa con il passare degli anni. Non è un caso che il valore dell’indice Knight Frank Rare Whisky 100, stilato dalla società di consulenza Rare Whiskey 101 e contenuto nel The Wealth Report redatto annualmente dagli inglesi di Knight Frank, sia cresciuto di quasi il 600% negli ultimi dieci anni. Che il collezionismo di whisky rari sia un fenomeno tutt’altro che trascurabile e coinvolga appassionati di altissimo livello è testimoniato dal fatto che a questa cerchia appartengono personaggi tra i più ricchi al mondo, come il fondatore di Amazon, Jeff Bezos, e il patron di Alibaba, il cinese Jack Ma. Proprio il jet privato di Ma è stato più volte segnalato all’aeroporto di Aberdeen, in Scozia. A conferma di come i mercati asiatici siano quelli in cui la passione per il whisky da collezione sta accelerando in maniera sensibile, bastano tre numeri: in India, Cina e a Singapore, le vendite di whisky scozzese sono aumentate rispettivamente del 44%, 35% e 24% nella prima metà del 2018, secondo la Scotch Whisky Association, con il single 104
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L’INDICE KNIGHT FRANK RARE WHISKY 100 È CRESCIUTO DEL 600% NEGLI ULTIMI 10 ANNI. LE VENDITE DELLE BOTTIGLIE DA COLLEZIONE SONO CRESCIUTE IN INDIA, CINA E SINGAPORE malt che ha coperto quasi il 30% delle esportazioni totali. E non è un caso che queste dinamiche, insieme a un nuovo “turismo del whisky”, abbiano portato compagnie aeree come la cinese Hainan Airlines a istituire un volo diretto Edimburgo-Pechino. La riprova di questo trend viene da Sami Robertson, che proprio per Knight Frank lavora a stretto contatto con clienti di Singapore, il quale nel The Wealth Report ricorda come uno dei suoi contatti nella città asiatica abbia di recente speso oltre 100mila sterline per una bottiglia. Una cifra di tutto rispetto, che però impallidisce di fronte agli 1,2 milioni di sterline pagati per una bottiglia di The Macallan 1926, durante un’asta di whisky da Christie’s, a Londra, lo scorso novembre. Proprio The Macallan 1926 è una sorta di leggenda tra i collezionisti: ne sono state prodotte solo 40 bottiglie, 12 delle quali illustrate da artisti di fama mondiale. Il fatto che, al momento dell’imbottigliamento, il distillato vantasse 60 anni di invecchiamento, ha contribuito ad aumentare la fama e la valutazione di questo lotto ricercatissimo. Ma nelle aste non sono solo gli scozzesi a farla da padroni. Una bottiglia del giapponese Yamakazi, invecchiato
COLLEZIONISMO 50 anni, è stata infatti battuta da Bonhams nell’estate 2018 per oltre 343mila dollari. Tuttavia, per quanto passione e ricchezza siano molle formidabili che spingono alla ricerca e all’acquisto di botti e bottiglie introvabili, il vero valore aggiunto, lo scatto in avanti che dà un senso nuovo e uno spessore assoluto a questo tipo di collezionismo, è l’unicità. Perché il vero ricco, il vero appassionato non si accontenta di possedere qualcosa di raro: vuole qualcosa di irripetibile. Ecco dunque che cresce tra gli amanti del distillato scozzese la ricerca del whisky personalizzato. Alcuni vogliono le proprie botti e sono disposti a pagare somme di sei o anche sette cifre per averle. Mettere il proprio whisky in decanter personalizzati, creati ad hoc da cristallerie di altissima qualità e regalarli agli amici all’interno di scatole realizzate su misura, è infatti per loro la quintessenza del regalo esclusivo. Il rovescio della medaglia è dato dal fatto che le distillerie hanno preso consapevolezza di questa rapida ascesa del mercato e del cambiamento delle sue dinamiche, con la conseguente impennata dei prezzi. Ecco dunque che, anche per i più facoltosi, non basta sventolare una carta di credito davanti a una botte in una cantina centenaria; non è più sufficiente conoscere le persone giuste per rintracciare le botti più pregiate. Le distillerie sono infatti sempre più restie a vendere quelli che sentono ancora di più come i gioielli di famiglia. Ora che il mercato tira, anch’esse puntano al massimo profitto. Un profitto che, come abbiamo visto, va di pari passo con l’esclusività del distillato che viene prodotto. Lo ha capito anche un colosso come la multinazionale Diageo, che possiede ventotto distillerie di whisky single malt in Scozia e gestisce un programma chiamato “Casks of Distinction”. Si tratta di un programma aperto solo a clienti privati selezionati, che coinvolge un numero molto limitato di botti e offre agli appassionati l’opportunità di accedere ad alcuni dei marchi più esclusivi di proprietà della multinazionale. Uno di essi, Brora, è ricercatissimo dai conoscitori ed è definito da Diageo “silent distillery”, in quanto chiuso nel 1983
Gli appassionati più facoltosi si contendono le botti introvabili
ma di imminente riapertura. Anche The Macallan ha compreso l’importanza di coinvolgere il vero appassionato facoltoso e offre un numero limitato di botti di whisky appena distillato attraverso il suo programma En Primeur. Legalmente tutto lo Scotch Whisky deve essere invecchiato per un minimo di tre anni, ma per le botti del programma En Primeur è previsto un invecchiamento minimo di 12 anni. I prezzi partono da 35mila sterline per il programma su invito, che è disponibile solo per i clienti selezionati e che, nelle intenzioni della distilleria, dovrebbe incoraggiarli a godere del piacere di gustare un The Macallan Single Malt, piuttosto che vederlo come un’opportunità di investimento o di speculazione. Per tornare poi alla voglia di unicità di cui abbiamo parlato in precedenza, al termine dell’affinamento del distillato, il cliente avrà i diritti sul whisky contenuto nella sua botte e potrà collaborare con la distilleria per creare un design personalizzato della bottiglia, che potrà degustare, condividere o regalare. Come per altri beni quali gli orologi o i gioielli, poi esiste anche un mercato secondario nel quale circolano le botti vendute dalle distillerie prima che le quotazioni dei whisky single malt di qualità si impennassero. Anche in questo caso, come accade per gli altri articoli di “seconda mano”, chi acquista deve stare bene attento a ciò che sta comprando. Come ricorda Andy Simpson di Rare Whiskey 101, non c’è nessuna garanzia che solo perché una botte è vecchia o proviene da una nota distilleria, il whisky contenuto avrà un giugno 2019
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COLLEZIONISMO
IL SOGNO DI OGNI COLLEZIONISTA: ACQUISTARE UNA BOTTE DIRETTAMENTE DAL PROPRIETARIO DI UN MARCHIO RICERCATO LA PAROLA ALL’ESPERTO
sapore eccezionale o possa essere persino bevibile. Infine lasciamoci guidare da Charlie Beamish di Beamish International - società che opera nel settore degli investimenti alternativi ed è specializzata in whisky -, che a The Wealth Report offre alcuni suggerimenti su come individuare i distillati con le migliori prospettive di rivalutazione nel tempo. “Bisogna frequentare degustazioni e aste, partecipare a presentazioni e arrivare a conoscere quante più persone possibili che siano esperte e operino nel settore. Se si è davvero fortunati, solo così si può avere l’opportunità di acquistare una botte. Queste infatti raramente vengono messe in vendita, ma quando accade sono molto ricercate. Avere accesso a botti rare direttamente dai proprietari dei marchi con l’opzione di un imbottigliamento originale è il massimo per il collezionismo di whisky ricercati”.
I 10 WHISKY TOP
consigliati da Sukhinder Singh per iniziare una collezione, tra soddisfazione del palato e prospettive di rivalutazione.
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CAOL ILA 12 YEAR Islay Single Malt
TALISKER 10 YEAR Single Malt from Skye
Sukhinder Singh ha iniziato la propria carriera lavorando nell’emporio di famiglia a Londra ed è diventato uno dei maggiori esperti e collezionisti mondiali di whisky rari. Ha creato la piattaforma di commercio online The Whiskey Exchange e una catena di negozi. Ecco i suoi suggerimenti per The Wealth Report su come gestire una collezione di whisky che possa diventare una fonte di investimento. - Non limitarsi a un solo whisky. Il whisky è prima di tutto un fatto di emozioni e sentimenti: ne servono almeno cinque per soddisfare i diversi stati d’animo. - Ricordarsi che il whisky è prodotto in lotti, quindi anche la stessa marca può
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variare nel gusto nel tempo. È possibile disamorarsi anche dei propri whisky preferiti. - Imparare a leggere le etichette, dato che sono spesso una miniera di informazioni. Vale specialmente per le bottiglie prodotte da distillerie indipendenti. - Continuare a informarsi. Frequentare presentazioni, aste e cercare rivenditori specializzati. - Non dare per scontato che tutte le edizioni speciali siano effettivamente tali. Alcune sono fantastiche, ma altre sono create solo per fare cassa contando sull’impennata della domanda.
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THE ARRAN 14 YEAR Single Malt
THE BALVENIE 14 YEAR Caribbean Cask Single Malt
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Highland Single Malt
CLYNELISH 14 YEAR
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REDBREAST 12 YEAR Single Pot Still Irish Whiskey
KAVALAN CLASSIC
Taiwanese Single Malt
9
4
GLENFARCLAS 15 YEAR
Coastal Highland Single Malt
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HIBIKI JAPANESE HARMONY Blended Malt and Grain Whisky
MICHTERS SOUR MASH American Whiskey
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MOTORI
FORD FOCUS ACTIVE: SI COMPLETA LA GAMMA CROSSOVER La nuova Ford Focus Active, disponibile 5 porte e wagon, completa la gamma crossover di Ford, che unisce la posizione di guida rialzata e la versatilità tipiche dei SUV, con il dinamismo e la praticità delle compatte, mantenendo inalterato il piacere di guida tipico di Focus. L’esperienza di guida al volante è infatti ulteriormente migliorata grazie al Select Mode, che prevede la possibilità di scegliere tra
le due nuove modalità di guida che sono Active e Trail. L’anima avventurosa è espressa nel look esterno di ispirazione outdoor, con la vettura rialzata fino a 34 mim e dotata dell’innovativa configurazione delle sospensioni posteriori SLA. La Focus Active propone anche motori a scelta tra il pluripremiato
benzina EcoBoost e i Diesel EcoBlue, abbinati al cambio manuale a 6 rapporti o all’automatico a 8 rapporti. La gamma di tecnologie di assistenza alla guida include inoltre l’Adaptive Cruise Control con Stop & Go, Speed Sign Recognition e Lane-Centring, il Predictive Curve Light e l’Active Park Assist
ALFA ROMEO GIULIETTA MY19: LA COMPATTA ITALIANA SI RINNOVA
RANGE ROVER EVOQUE: ECCO LA SECONDA GENERAZIONE La nuova Range Rover Evoque giunge alla seconda generazione e propone un mix tra il design del modello precedente e sorella maggiore Velar, cambiando molto sotto il cofano e nell’abitacolo. Lunga 4,37 metri, mantiene la linea di cintura alta, con le maniglie a scomparsa di scuola Velar, così come le firme luminose, con gruppi ottici molto assottigliati sia all’anteriore sia al posteriore. Aumenta il passo di 21 mm e permette di guadagnare maggiore spazio per
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gli occupanti. Questo è stato possibile grazie all’adozione della nuova piattaforma PTA, in grado di ospitare anche i motori elettrificati. Alcuni dispositivi di sicurezza e di ausilio alla guida garantiscono ottime prestazioni anche in offroad, grazie all’evoluto Terrain Response 2. L’abitacolo adotta il doppio schermo da 10” Touch Pro Duo, mentre il quadro strumenti è digitale da 12,3”. A listino le nuove unità Ingenium (benzina e Diesel, tutte quattro cilindri 2.0) con il debutto della tecnologia ibrida leggera a 48V.
Con il Model Year 2019, Alfa Romeo Giulietta mantiene il suo stile inconfondibile e il suo carattere sportivo, capace di conquistare gli automobilisti attenti allo stile italiano e alla tecnica finalizzata al piacere di guida. La compatta Alfa Romeo resta dunque fedele alle caratteristiche che ne hanno decretato il successo: agilità, sterzo diretto, sospensioni evolute e distribuzione equilibrata dei pesi, e propone al contempo alcune novità in termini di personalizzazione. Per questo la gamma si articola attraverso cinque allestimenti e offre sei nuovi pacchetti per rispondere alle più svariate esigenze. La gamma motori prevede il turbo benzina 1.4 da 120 CV, il Multijet 1.6 da 120 CV, sia con trasmissione manuale, sia con l’automatico Alfa TCT, e il rinnovato 2.0 Diesel da 170 CV. La Giulietta MY19 infine si proietta nel futuro della mobilità attraverso U-Go by Leasys, la prima piattaforma di mobilità integrata che offre ai privati soluzioni di condivisione dell’auto peer to peer.
in collaborazione con Autoappassionati.it
BIBLIOTECA Antonio Quaglio Laureato in Economia aziendale all’Università di Venezia, è stato inviato e caporedattore a Il Sole 24 Ore. Collabora a www.ilsussidiario.net.
LA FIDUCIA DI SAVONA NELL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE
P
aolo Savona debutta ufficialmente come presidente della Consob a Milano, il prossimo 14 giugno. La sua prima Relazione annuale - al vertice dell’Autorità di Borsa - è particolarmente attesa: anzitutto perché un personaggio che da molti decenni calca da protagonista prosceni e backstage della governance economica italiana, non si è così frequentemente impegnato o espresso sul terreno della finanza privata di mercato. La sua stessa bibliografia scientifica occupa dodici pagine in calce alla sua recente autobiografia (“Come un incubo e come un sogno - Memoralia e Moralia di mezzo secolo di storia” - Rubettino, 2018) ma è quasi esclusivamente macroeconomica. E il diario del suo personale “viaggio di Ulisse” è ricchissimo di aneddoti, ma ambientati soprattutto nelle stanze della Banca d’Italia o della grande politica economica: anche se nel curriculum di Savona - tra l’altro direttore generale di Confindustria con Guido Carli e ministro dell’Industria nell’esecutivo Ciampi - non mancano la presidenza del Credito industriale sardo, la direzione generale della Bnl, la presidenza di Capitalia e, per due volte, la guida del Fondo interbancario di tutela dei depositi. Esperienze di cui Savona pare peraltro conservare più “incubi” che “sogni”: assieme a una netta sfiducia sia verso banche e banchieri nazionali, sia soprattutto verso le istituzioni via via chiamate a vigilarli. Curiosamente, sia la sua contrastata candidatura a ministro dell’Economia nel governo gialloverde, nel maggio di un anno fa, sia il suo approdo al vertice della Consob sono stati inizialmente osteggiati per via del suo coinvolgimento in Euklid: una start-up londinese che corre, assieme a migliaia di altre nelle praterie sterminate e inesplorate di fintech e delle nuove criptovalute. “Un’avventura intellettuale”, secondo Savona, che ne parla giusto nelle ultime righe del suo lungo racconto esistenziale. Bisogna d’altronde arrivare fin qui per leggere parole di fiducia tutt’altro che banali - e perfino un po’ programmatiche - nei confronti dello sviluppo vorticoso dell’intelligenza artificiale sui mercati finanziari. “Le tecniche fintech - scrive il neo-presidente Consob consentono scelte oggettive, ossia non più esposte agli errori o malversazioni personali dei gestori; trasparenti fin dal momento della loro attuazione e in via permanente nel corso della loro vita; impenetrabili da forze esterne al titolare dei risparmi posseduti; e se si vuole, eque, ossia sganciate da 110
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L’autobiografia del neo-presidente Consob contiene l’apertura al fintech come auto-controllo della finanza commissioni fisse a prescindere dai risultati, ma agganciate a questi ultimi”. Queste gestioni, “rispondono a un’etica superiore, oggi caratterizzata da forma parassitaria, che la regolamentazione pubblica recepisce senza tener conto delle nuove tecniche disponibili e dei costi di sopportare.Le regole infatti impongono l’uso di un broker autorizzato; il ricorso a una banca presso cui tenere i conti; la scelta di una banca depositaria e di una società di revisione dei conti. In genere l’onere per il risparmiatore è nell’ordine minimo del 2%: paradossale per una politica monetaria che tiene i tassi prossimi a zero e di conseguenza i rendimenti bassi, inferiori ai costi di gestione. L’eutanasia del risparmiatore sollecitata da Keynes per uscire da uno stato di sottoccupazione diviene condizione permanente dello stesso. Le nuove tecnologie rendono obsoleto il meccanismo regolatorio, senza renderlo sicuro”. L’autobiografia di Savona tuttavia non è solo denso gergo di economista. Vi compare, per esempio anche una foto del 1967: in una stanza di Via Nazionale attorno al futuro Nobel Franco Modigliani si raccolgono Savona, Antonio Fazio (futuro Governatore), Guido Rey (futuro presidente dell’Istat) e Mario Sarcinelli, futuro vicedirettore generale Bankitalia ingiustamente arrestato anni dopo per aver vigilato con rigore sulle banche di Michele Sindona. Il team - la crema della scuola di Guido Carli - stava lavorando al primo modello econometrico della Banca d’Italia: estremo sforzo di “vigilare” razionalmente sulla realtà economico-finanziaria attraverso gli strumenti dell’analisi quantitativa. È - certamente è stato - un mondo in cui i regolatori contavano più del mercato e lo dominavano in forza di una superiorità intellettuale e di un mandato politicosociale a frenare l’uso incontrollato della moneta e del credito. Piaccia o no, il Savona-pensiero appare ancora questo.
EDUCAZIONE FINANZIARIA Paolo Zucca Iscritto all’Ordine dei Giornalisti dal 1979, già responsabile del supplemento de II Sole 24 Ore Plus 24. Partecipa a tutorial e iniziative contro l’eccessivo uso del contante. Twitter @pzu551
LE BANCHE VENDONO I LORO BTP. E LE FAMIGLIE?
F
acile a dirsi. Non altrettanto facile è replicare al volo i comportamenti degli investitori istituzionali. Banche, assicurazioni, fondi pensione, fondazioni e altri big sembrano cavalcare gli alti e bassi dei mercati, schivare le crisi e prendere tutto il vantaggio - a tutela dei patrimoni che gestiscono - dei rialzi. Non è proprio così, anche tra i grandi c’è chi vince e chi perde. Il peggioramento lo vedono in tanti, non tutti trovano la soluzione giusta. Con abbondanti fondi a disposizione, grandi centri interni di analisi dedicata, cui si aggiungono pagatissimi consulenti esterni (anche ex presidenti o ex premier), i big sono in grado di cogliere i punti di svolta dei listini. E i loro cambi di direzione dettano i trend. Quando arrivano i privati può essere troppo tardi. Il risparmiatore attento dovrebbe mettersi rapidamente in scia adeguando il proprio portafoglio, discutendo di possibili modifiche con il consulente che, se professionale, dovrebbe essersi già fatto vivo per lo stesso motivo. Nella pratica, un allineamento di comportamenti tra istituzionali e privati non è facile. Tempi e costi (attenzione dedicata, fonti informative, capacità di interpretazione, tecniche di copertura) impediscono di stare al passo. Gli istituzionali, non va dimenticato, devono contabilizzare ogni giorno il valore di mercato delle obbligazioni possedute, le famiglie non lo fanno e vanno a scadenza. Quindi non percepiscono le perdite di valore corrente. E se non si avverte la perdita potenziale si riduce la necessità di intervenire. La passione per il mattone, da quello storico di famiglia alla prima casa, dalla casa di vacanza a quella da affittare, riduce il patrimonio disponibile per gli investimenti mobiliari: su uno stock di ricchezza delle famiglie di oltre 10mila miliardi la parte finanziaria è superiore ai 4mila miliardi. Di questi circa 1.350 miliardi vengono mantenuti fin troppo liquidi. I titoli di Stato (si dice Btp ma si intendono tutti) sono circa il 20% e superano gli 800 miliardi senza contare gli indiretti cioè in mano a gestori per un ulteriore 10% della parte finanziaria del patrimonio. Seguendo la traccia degli investitori istituzionali su questi 1000-1200 miliardi diretti e indiretti bisognerebbe fare un 112
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L’allineamento dei comportamenti tra istituzionali e privati non è facile ma auspicabile bel ragionamento. Nelle ultime settimane più entità italiane, in occasione delle assemblee dei soci e dei risultati trimestrali, hanno espresso l’intenzione di ridurre il possesso dei titoli di Stato domestici. O vendendo, o aspettando la scadenza dei titoli senza rinnovare. Da UniCredit a Intesa Sanpaolo, dalle assicurazioni a alcuni gruppi finanziari. E’ una pratica di derisking, riduzione calibrata dei rischi per non avere attivi finanziari sbilanciati su alcuni titoli, alcuni Paesi, aree o scadenze. Per esempio UniCredit vuole ridurre i 58 miliardi di Btp che rappresentano la metà dei 112 miliardi di bond governativi globali in portafoglio. Le banche italiane ne hanno in pancia per circa 400 miliardi con scadenze piuttosto lunghe e, proporzionalmente, le più piccole ne hanno più delle grandi. Dopo aver incrementato l’acquisto di Btp nell’ultimo anno ora vogliono vendere o non rinnovarli alla scadenza. Devono spezzare la dipendenza da eccesso di titoli di Stato, quel circuito pericoloso – tenuto d’occhio da analisti e società di rating - che indebolisce le banche perché i titoli di Stato perdono valore, ma anche lo Stato si indebolisce perché le banche vanno in crisi. Dall’estero (che detiene meno di un terzo del debito) se ne comprano meno da quando l’Italia è vissuta come rischiosa (e lo testimonia lo spread - differenza di rendimento tra i decennali pubblici italiani e tedeschi- sempre molto alto) ed è finito il Quantitative easing che permetteva alla Bce maggiori acquisti. Per settembre è atteso l’avvio di una operazione di nuova liquidità alle banche (Tltro, rifinanziamento a medio-lungo termine) che oltre a concedere prestiti avranno convenienza economica a tornare sui titoli di Stato. Ma di italiani – come dicono - ne hanno troppi. Torneranno gli acquirenti stranieri? Si farà appello alle famiglie?
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Data
Firma
MALALINGUA Vittorio Borelli Giornalista di lungo corso, condirettore de Il Mondo, fondatore e direttore di East, già direttore delle relazioni esterne di Unicredito nella gestione Rondelli-Profumo
ANNO DOMINI 750: SI VOTA E SI RIVOTA
C
orreva il 750 D.C. I Longobardi governavano l’Italia da più di un secolo, incredibilmente senza la consulenza di Matteo Salvini. I Franchi, tanto primitivi da non potersi permettere un Gps, premevano sulle frontiere svizzere confondendole con quelle italiane (si sussurra che Pipino il Breve desiderasse fortissimamente andare a fare shopping a Mediolanum, all’Emporio Armani, dove vendevano mutandoni di lana per tutte le taglie e dove andava regolarmente a fare spesa Renato Brunetta). Il Sacro Romano Impero, dissolto in Occidente, sopravviveva a Bisanzio, a Ravenna e ad Arcore tra lussi materiali e mollezze morali. La situazione italiana era talmente grave che Bruno Vespa, con la consulenza di Gigi Marzullo, decise di dedicare uno speciale di Porta a Porta al dilemma dei dilemmi: è meglio un’invasione barbarica rispettosa della cultura dei vinti o tirare a campare sotto il Papa di Roma in attesa dell’arrivo di Carlomagno? CARLO MAGNO E MATTEO SALVINI Giorgia Meloni disse che temeva soprattutto l’inciucio tra Papa Leone e l’imperatore bizantino Costantino V. Luigi Di Maio garantì che il suo movimento sarebbe stato immune dalla corruzione (male che aveva caratterizzato tutte le élite dalle Idi di Marzo in poi) grazie a un vaccino inventato da certo Roberto Burioni. Michele Emiliano si fece portare in trasmissione un piatto con il simbolo del Pd e vi sputò dentro a riprova della propria autonomia. Silvio Berlusconi III (il primo e il secondo erano stati scartati dal casting Rai per ragioni estetiche) si presentò con una parrucca policroma di Missoni e una dozzina di aspiranti olgettine e spiegò che soltanto la f… avrebbe potuto salvare l’Italia. Di fronte all’evidente scetticismo di Marzullo, che considerava la f… una bizzarria verticale da giovani romantici, il Cavaliere spalancò la dentiera e promise di costruire un ponte di barche tra Lisbona e New York, ovviamente a spe-
se dei portoghesi. Per non essere da meno, il giorno dopo la Casaleggio e Associati si impegnò a prolungare il ponte fino all’Australia, sempre a spese dei portoghesi. Massimo D’Alema rivelò, invece, che Carlomagno non sapeva leggere né scrivere. Il messaggio era chiaro: dopo aver fatto fuori Prodi, Veltroni e Renzi, lui era disponibile a rovinare l’Italia prima ancora che Mazzini e Cavour la costruissero. Di Battista infine andò a Porta a Porta e dichiarò che “sebbene non avressimo esperienza di governo, la soluzione del problema sarebbimo noi”. Vespa, che non sbagliava un congiuntivo dalla sua prima tessera democristiana, cercò conforto nel Libro delle Risposte di Nino Frassica. La risposta che gli sembrò più appropriata fu la seguente: “La grammatica sta ai Cinquestelle come Attila sta ad Aquileia: in entrambi i casi un assedio disastroso”. Lo speciale si concluse con un’intervista a Matteo Salvini. Che esordì contestando la diceria secondo la quale i Goti e i Visigoti erano scesi da Nord attraversando le Alpi. Il segretario della Lega giurò sulla testa di Umberto Bossi e dei suoi figli “di aver saputo da un frocio fenicio che i barbari erano venuti in barca da Sud, dal Mediterraneo, e che si erano camuffati da alemanni indossando pelli d’orso e parrucche affittate in un suk di Cartagine”. Il 4 marzo 750 D.C., le prime elezioni dei Secoli Bui si rivelarono un rompicapo perfino per Ilvo Diamanti. Dal che i longobardi ne dedussero che ci volevano o un’altra invasione o nuove elezioni, magari il 26 maggio. Carlo Magno, da Aquisgrana, mandò a Papa Leone un piccione viaggiatore per dirsi d’accordo per nuove elezioni. Il messaggio (scritto da una schiava turca che riferiva segretamente a Recep Tayyit Erdogan) si concludeva con il più noto jingle di Renzo Arbore: “Tenete duro, vengo dopo il Tiggi”.
“Il Sacro Romano Impero, dissolto in Occidente, sopravviveva a Bisanzio, a Ravenna e ad Arcore tra lussi materiali e mollezze morali...”
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Messaggio Pubblicitario. Indice di solidità CET 1 14,3% (dato al 31 marzo 2019 riferito al Gruppo Bancario Mediobanca). Tale indicatore valuta la solidità patrimoniale di una banca mettendo in relazione principalmente il capitale ordinario versato con le attività ponderate per il rischio.