Investire Luglio -Agosto 2019

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Luglio - Agosto 2019 Euro 5,00 90007 9 778123 057003

Conoscere, rischiare, guadagnare

Col wealth management le reti difendono i grandi patrimoni dalla paura DI MURO (IW BANK) «Rivoluzioniamo il nostro modello per i clienti ricchi»

SALVATORI: «IL RISPARMIO CAMBIERÀ»

COPPOLA: «LA FORZA DI ROTHSCHILD»

Intervista col grande banchiere: «Solo agli inizi le concentrazioni nel settore»

Intervista con il managing director e capo del Sud Europa del gruppo francese

INVESTIRE SPECIALIST

GLI ITALIANI GIUDICANO I CONSULENTI FINANZIARI • Il sondaggio Makno-Rsm realizzato per Investire • Il futuro è della consulenza olistica di N. Ronchetti

L’ALTRA COVERSTORY Stefano Zavaglia, co-fondatore e a.d. di GFG, racconta in un’intervista multimediale le strategie della sua azienda monegasca


Uomo + robot e la gestione vince ÂŤIl nostro team - spiega l’amministratore delegato di GFG è come un tandem bio-sintetico. Un robot e un essere pensante che pedalano insieme. Mensilmente ci prefiggiamo di profilare il futuro andamento dei mercati. Tra algoritmi e competenza umanaÂť. E i premi raccolti dai prodotti gestiti lo dimostrano


EDITORIALE

Rischi veniali e rischi mortali di Sergio Luciano

L’

idea che Mark Zuckerberg sia uno Stranamore del business, un genio fuori di testa, può venire in mente a chiunque, seguendone le elucubrazioni con cui ha presentato Libra e valutando i contenuti del progetto. Perchè Libra è la costruzione, già progettuale, più eversiva e delirante che mente umana abbia mai seriamente presentato al mondo, quanto di più simile alla Spectre – la fantomatica associazione segreta nemica dell’agente 007 – sia mai stato ufficializzato. Ma è un’idea sbagliata. Basta rileggersi un’istruttiva puntata della rubrica Inside business di Richard Waters sul Financial Times del 2 maggio, dal titolo definitivo: “Il problema urgente di Facebook è trovare nuovi modi per fare soldi”. Nell’articolo, il columnist scriveva: “Trovare nuovi modi per fare soldi ha assunto una nuova urgenza, soprattutto per quanto riguarda i pagamenti e il commercio elettronico. (...) Facebook dovrà muoversi molto più concretamente nello sviluppo di nuove forme di reddito rispetto al passato”. Già: perché appena quaranta giorni prima dell’annuncio di Libra, Zuck aveva presentato una serie di nuovi servizi proiettati sul versante dell’esperienza, addirittura degli incontri fisici tra utilizzatori del social, che non avevano convinto il mercato e si capivano poco. Il mantra dei dati come nuovo petrolio, nuova pietra filosofale, che pervade Silicon Valley inizia a scontrarsi con la dura evidenza che nessuna merce conserva il suo valore se è inflazionata, e la Rete è stata costruita senza barriere né filtri alla circolazione dei nostri dati, per cui la privacy è andata a farsi benedire ma la ubiquitaria disponibilità dei dati - sottrattici con l’inganno psicologico di carpire in molti modi diversi il nostro consenso beota senza retrocederci alcun vantaggio - è vana, perché tutti sanno tutto di noi, e dunque nessuno ha più poteri commerciali esclusivi. Con Libra Zuckerberg dunque cambia gioco. Altro che dati: vuole i soldi, direttamente i nostri soldi, e per farlo vuole sostituirsi alle banche centrali. Sovvertire un pilastro della convivenza umana che, pur con molte pecche, regge i sistemi civilizzati da quasi tremila anni. E spudoratamente dichiara di

voler sostenere la sua criptovaluta con un paniere collaterale di garanzie che ne attutiscano la volatilità demenziale tipica della categoria. In pratica: farà la sua banca centrale. Ora: per quanto gli americani abbiano nel loro dna l’idea che prima si costruisce e poi si regola, questo di Zuck non è un ranch che si possa poi abbattere. È un attacco al cuore della democrazia, all’esclusiva monetaria e alle leggi che la regolano, sotto il controllo del sistema democratico di affidamento del potere, il meno peggio mai adottato al mondo. Un attacco che non deve essere consentito. Non si tratta di difendere le banche o le società di carte di credito e tutto quel fritto misto di opportunisti che si sono precipitati sotto il tendone da circo di Zuck senza impegnarsi più di tanto a restarci. Si tratta semplicemente di difendere l’autoderminazione dei popoli. Dovrebbe occuparsene il consiglio di sicurezza dell’Onu, e non è una battuta. Per ora se ne occuperà il Congresso americano, è pur sempre un inizio. Si dirà che la finanza “ufficiale” le sue monete parallele prive di sottostanti le ha create, le ha chiamate derivati e le ha nascoste sotto il tappeto. Vero: ma due cose cattive non ne fanno una buona. Se e quando i mercati finanziari riusciranno a smaltire l’orgia dei derivati – che sta comunque rivelandosi per ora governabile – non dovrà essere per ritrovarsi poi dominati da un magnate monopolista con due miliardi di cittadini valutari privati! Di fronte a questo genere di rischi, impallidiscono quelli che di quando in quando si affacciano sul mercato finanziario regolamentato, quello vero. Come nel recente e sopravvalutato caso dei fondi di H2O, dove qualche leggerezza sarà pur stata forse commessa – ammesso che – ma l’allarme è stato eccessivo e il rischio è rientrato. È vero che, almeno in Italia, manca una sana cultura del rischio, che renda consapevole chi decida di assumersene e, quando necessario, più rapido nel difendersene e meno piagnone nel lamentarsene dopo. Ma se per guardare il particolare dell’ordinaria amministrazione del rischio veniale di un infortunio borsistico, si trascurasse l’obbligo di sventare quanto prima il rischio fatale di Libra, allora sì che finirebbe male. Per tutti tranne che per Zuck.

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Registrazione Tribunale di Milano N. 126 del 27/3/1982 Direttore responsabile Sergio Luciano Caporedattore Marco Muffato Newsroom Marina Marinetti, Marco Scotti, Riccardo Venturi, Raffaela Jada Gobbi, Liliana Nori Hanno collaborato Antonio Quaglio (Consulente del

direttore), Rosaria Barrile, Francesco Bellizzi, Ugo Bertone, Annalisa Caccavale, Giacomo Damian, Giuseppe D’Orta, Alessandro Ghisolfi, Fabiana Giacomotti, Gian Marco Litrico, Paolo Ludovici, Paolo Maiolati, Davide Passoni, Anna Piazza, Matteo Ramenghi, Nicola Ronchetti, Monica Setta, Gloria Valdonio, Paolo Zucca Contributors Vittorio Borelli, Enrico Cisnetto, Giuseppe Corsentino, Anna

Gervasoni, Glauco Maggi, Andrea Margelletti, Marco Onado, Francesco Priore, Giulio Sapelli, Franco Tatò Partnership Editoriali Confedilizia, Scenari Immobiliari Redazione info@economymag.it Segreteria di redazione Monia Manzoni Presidente e A.D. Giuseppe Caroccia

Editore incaricato Domenico Marasco Responsabile commerciale Luca Ronzoni Casa editrice Economy s.r.l. Piazza Borromeo 1, 20123 MilanoTel. 02/89767777 Distribuzione Pressdi - Via Mondadori, 1 Segrate - 02 7542097 Stampa Stampa Rotolito. S.p.a 20063 - Cernusco S.N. (MI)

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Gioielleria Garaffo – Torino / Antica Gioielleria Cannoletta – San Remo (IM) Gioielleria Grimoldi – Milano / Tresor Montre et Bijoux – Induno Olona ( VA) Tokatzian – Venezia / Ibis Gioielli – Ancona e Civitanova Marche (MC) Pasquali Domenici – Viareggio (LU) / Gioielleria Menichini – Roma Gioielleria Cristilli – Roma / Gioielleria Brusaporci Roberto & Figli – Latina Gioielleria Soprana dal 1910 – Vicenza / Cazzaniga Gioielli – Pescara


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SOMMARIO Luglio - Agosto 2019

di marco onado

La Germania è in crisi? C’è poco da festeggiare

“Pecunia olet”? La banca non può fare finta di niente

di g.sapelli

L’Iran denuclearizzato torna in discussione

COVERSTORY Le reti di consulenti finanziari puntano sul wealth management per salvaguardare i clienti più benestanti

12 IL GERMANISTA 14 FINANZA REALE . 16 TERZA REPUBBLICA

di franco tatò

di sergio luciano

Rischi veniali e rischi mortali

di a gervasoni

Il private banking è vivo e lotta insieme a noi

La profezia di Cossiga e la Terza Repubblica

LA NUOVA FRONTIERA

IW BANK

Grandi patrimoni in cerca di protezione. Ecco i piani delle reti per cavalcare il trend

Il d.g. Di Muro presenta la WMU, la divisione dei cf dedicata al mondo wealth

CHE BANCA!

WIDIBA

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Nasce il servizio Prime per i clienti top. L’head of advisors Viscanti ne svela i segreti

ROTHSCHILD & CO AM

BANOR

La strategia eurocentrica che piace tanto ai risparmiatori italiani

COSMOPOLITICA di andrea margelletti Iran-Usa, l’escalation che nuocerà a tutti

QUI PARIGI di giuseppe corsentino Fa bene la Francia a bloccare i fondi avvoltoio?

QUI NEW YORK di glauco maggi

Il voto pro Trump ha dato la scossa alle pensioni

IL GIRO DEL MONDO IN 30 GIORNI

Toronto Raptors vincono l’NBA e il loro valore schizza alle stelle

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Ora consulenti finanziari, domani patrimoniali. Il capo rete Marconi spiega la svolta

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Puntare sui titoli value contro la sopravvalutazione delle azioni growth

MONDO

03 EDITORIALE 08 WATCHDOG 10 IL SISMOGRAFO



SOMMARIO

INVESTIRE SPECIALIST 34 36 38 40 42

SONDAGGIO MAKNO-RSM/ I clienti italiani promuovono i consulenti finanziari

EFPA ITALIA/ Il presidente Deroma sul futuro della certificazione dopo l’Efpa Meeting di Torino

CONSULENZA/ Il ceo di Finer Ronchetti spiega perchè è destinata a crescere l’advice olistica

JOINT VENTURE/ Tra Italia e Francia in atto un intreccio di aziende che non finirà mai

QUESTIONE DI RATING/ Declassamento dei Btp da investment grade a high yield? Ecco i rischi

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ESG/ Focus su Mainstreet Partners, la mosca

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PIANETA IPO/ Le quotazioni delle piccole e medie

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bianca che fornisce rating di sostenibilità sui fondi imprese sono in calo. I nuovi Pir non aiutano

ASSET MANAGEMENT/ L’italiano di JpMorgan che insegna ai francesi il valore del rischio

PRIVATE EQUITY/ Che crescita di performance nel comparto e di profitti per investitori e imprese PRODOTTI FINANZIARI/ La corsa all’economia circolare nel certificato di Exane Derivates

SEDIE&POLTRONE/ Mannocchi e D’Amico avanzano all’interno di Société Générale

POLE POSITION/ Quegli attacchi alle petroliere che ricordano tanto lo schiaffo del soldato

TALENT SHOW/ Il roboadvisor vince sul fai-da-te nella prima gara sui sei mesi PROFESSIONE CONSULENTE/ Guida ai nuovi rendiconti, istruzioni per un uso consapevole

64 PAROLA DI ESPERTO

92 IL DENARO DEI VIP

68 PIANETA FINTECH

94 GIOIELLI DA INVESTIMENTO

Carlo Salvatori dice la sua su banche e risparmio

I regolatori europei tra crypo-asset e blockchain

Stefania Orlando svela in cosa investe

Che affare in tempi di incertezza

70 USA & CINA 72 ART ADVISORY

96 IMMOBILIARE 100 NUOVA TOYOTA SUPRA

74 PARLA ZAVAGLIA (GFG)

102 RECENSIONI

76 PONZI & I SUOI FRATELLI

103 EDUCAZIONE FINANZIARIA

79 FINANZA SPETTACOLO

104 LA FILOSOFIA DI GALGANO

90 MODA & DINTORNI

106 MALALINGUA

Guerra digitale spietata in nome del 5G

Quanti ostacoli per i collezionisti d’arte

«Come siamo diventati star del reddito fisso»

Cento anni di truffe attraverso il multilevel

Lo schema Ponzi diventa una pièce teatrale

I manager italiani amati dalle griffe straniere

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luglio - agosto 2019

Il settore vola grazie a fondi e Reit

Il ritorno dell’iconica sportiva

La finanza salvifica nel libro di Badrè

Le authority scoprono il mistery shopping

L’approccio “Agile”, un vantaggio per le aziende

I minibot sono come le felpe di Salvini



WATCHDOG Marco Onado È professore senior di Economia degli intermediari finanziari nella Università Bocconi di Milano. È stato Commissario Consob. Collabora con “Il Sole - 24 Ore”, “Lavoce.info” e “voxeu.org”.

“PECUNIA OLET”? LA BANCA NON PUÒ FARE FINTA DI NIENTE

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uest’anno le banche del Nord Europa, indebitamente considerate modelli di efficienza e correttezza, sono state investite da uno scandalo di dimensioni colossali. Danske Bank ha dovuto ammettere di essere coinvolta in uno schema di riciclaggio attraverso la sua filiale estone che è andato avanti indisturbato per anni, nonostante varie segnalazioni in passato, comprese quelle delle autorità russe (paese peraltro che è noto per essere quanto meno di manica larga in materia di controlli sui movimenti illeciti di capitali). Il clamore della vicenda ha portato alla ribalta altri episodi gravi avvenuti negli ultimi 18 mesi nelle principali banche globali, uno dei quali ha coinvolto Deutsche Bank, che già aveva collezionato una serie lunghissima di sanzioni per violazioni di ogni tipo alle norme di correttezza. Non a caso il neo-presidente dell’European Banking Authority ha dedicato la sua prima intervista al Financial Times alle responsabilità degli intermediari in questo delicato campo e l’autorità di vigilanza britannica ha posto questi controlli SEDE DI BANKITALIA tra le sette priorità del suo piano di vigilanza. La morale è molto semplice: la vecchia indifferenza degli operatori finanziari alla provenienza del denaro (pecunia non olet, si diceva allargando le braccia) non ha più ragione di esistere perché il denaro di provenienza illecita oltre che essere un fiume sempre più impetuoso ha destinazioni estremamente pericolose: basti considerare che nella terminologia corrente il riciclaggio è sempre associato al finanziamento del terrorismo. La nuova attenzione dei regolatori richiede controlli da parte degli intermediari tanto minuziosi quanto efficaci perché come dimostrano i casi ricordati, se un operatore, per quanto grande, è colto con le mani nel sacco, le conseguenze sono pesantissime: sanzioni salate, ma soprattutto perdita di re-

putazione, dunque di clienti e di volumi di attività. Il punto è che i controlli in questione non sono solo responsabilità degli uffici competenti, in particolare l’audit interno degli intermediari, piccoli o grandi che siano. Chi ha la responsabilità del contatto diretto con il cliente, per esempio nei servizi di investimento, è spesso nelle migliori condizioni per cogliere elementi di anomalia che meritano un’indagine più approfondita e mirata, dunque il primo per far suonare un campanello d’allarme, altrimenti i controlli si riducono ad una specie di rete a strascico buttata nel mare magnum dei dati e delle informazioni. In Italia l’istituzione in prima linea è l’Unità di informazione finanziaria costituita presso la Banca d’Italia, che pubblica interessanti documenti utili a tutti gli operatori a contatto con i clienti, compreso un elenco molto interessante di casistiche sui modus operandi (per usare un termine investigativo) più comuni. Non bisogna dimenticare che nel bel Paese solo l’evasione fiscale alimenta un giro vorticoso di quattrini: L’Istat stima che nel periodo 2010-2015, c’è mediamente un vuoto di 87 miliardi tra le imposte effettivamente versate e quelle che i contribuenti avrebbero dovuto versare in caso di perfetto adempimento degli obblighi tributari. E da lì all’autoriciclaggio il passo è breve. Non basta. La criminalità organizzata non è facilmente riconoscibile sotto il profilo finanziario perché rifugge dall’adozione di schemi tipici di comportamento. Per intercettare le segnalazioni riconducibili a tali contesti, è necessario,dice l’Uif, «fare riferimento alle reti sociali sottese alle segnalazioni e a indicatori soggettivi che possano essere spie di contaminazione dei circuiti finanziari». In altre parole, i primi a dover tenere gli occhi aperti sono gli operatori a diretto contatto con il cliente.

Regole dure verso le banche che non sono attente alla provenienza del denaro

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Mediobanca Certificates, 70 anni di storia. Il mercato finanziario è come il mondo. Per essere esplorato in tutta la sua ricchezza ha bisogno di navigatori esperti. Dal 1946 Mediobanca assiste le imprese e gli investitori con servizi finanziari altamente specializzati dedicati a realtà che evolvono continuamente. I Certificates Mediobanca sono il frutto di competenza, esperienza e affidabilità. Certificates Mediobanca: un punto d’arrivo.

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IL SISMOGRAFO Giulio Sapelli È Ordinario di Storia Economica presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Milano e direttore scientifico della Fondazione Enrico Mattei.

IL VANO LAVORO DI OBAMA PER DENUCLEARIZZARE L'IRAN

L

a situazione in Iran è molto grave perchè lo è in obamiana in Medio Oriente che era appunto l’accordo con l’Iran tutta la regione. L’Iran è una potenza che ricorda per la denuclearizzazione. la Cina e per certi versi la Russia di Putin: cioè so- Una mossa che non poteva che rafforzare la politica di Nestanzialmente sovversiva rispetto all’ordine inter- tanyahu. Gli Usa e Netanyahu lavorano insieme per creare la nazionale. Tende a far prevalere le sue esigenze di Nato del Golfo: un accordo militare sul modello della Nato che espansione rispetto agli accordi internazionali che sottoscrive e metta insieme Israele, Sauditi e Stati Uniti, isolando la Russia e che dovrebbero dettare i voluti e condivisi equilibri. si erga come un baluardo nei confronti dell’Iran espellendo le Non si spiegherebbe altrimenti la presenza delle Guardie della Guardia Rivoluzionarie da Libano e Siria. rivoluzione iraniane in Siria e in Libano, a presidio e ratifica del Gli iraniani come rispondono? Con le guerre asimmetriche. rapporto che hanno con gli Hezbollah. Naturalmente non mandano siluri contro le petroliere, ma si L’equilibrio precario che sembrava essersi creato ha iniziato adoperano affinchè saltino sbattendo contro le mine di cui hana sgretolarsi dopo il trasferimento dell’ambasciata americana no disseminato il mare di Hormutz. Così gli iraniani tentano di da Tel Aviv a Gerusalemme. Ora gli USA premono per il supera- rispondere alle sanzioni minacciando di bloccare lo stretto dal mento definitivo del modello “due nazioni-due stati”, e premo- quale transita il 30 per cento del commercio mondiale di peno sulla Giordania affinchè accolga numerosissimi palestinesi, trolio. cosa che Amman non accetta. Si sa che il genero di Trump, Ja- Devo dire che trovo un po’ patetico vedere tutto ciò con la lente red Kushner, ha convinto il suocero dei prezzi petroliferi. Il vero proa promuovere un nuovo sistema di blema è che si rischia oggi la guerautocontrollo del Medio Oriente, ra frontale con Iran. Ma c’è anche che è in fase di negoziato. E che è da chiedersi a cosa sono serviti strutturalmente antagonista di una 40 anni di sanzioni anti-Iran. Da grande potenza economica e miliquando cadde l’ultimo Scià, ci sono tare come l’Iran. Un Iran che peralstate sanzioni. Noi italiani ci siamo tro aveva raggiunto un miracoloso dichiarati contro queste sanzioni, accordo di denuclearizzazione con non solo perché ledevano gli ingli USA di Obama e con l’Unione euteressi dell’Eni, molto presente in ropea che ora è stato messo in diIran, ma anche perché convinti che scussione dalla nuova presidenza a le sanzioni contro gli Stati che sbastelle e strisce. gliano non li aiutano a cambiare. Dietro tutto questo c’è la convinAl contrario scatenano il consenso zione del “dep state” americano ROBERTO FICO CON MOHAMMAD JAVAD ZARIF interno verso quei governi. A parte – quello che ha portato al potere la grande finanza e la grande induTrump – che l’accordo tra l’Iran e Obama non era di buona lega, stria, il popolo minuto rinfocola – per queste sanzioni - il suo non ci hanno mai creduto e l’hanno criticato dal primo giorno. odio verso gli USA e l’Occidente. Tra una sanzione e l’altra bisoDa un lato dunque la nuova crisi iraniana mette a nudo il fal- gnerebbe ricordarsi questa cosa. limento della politica mediorientale di Obama. La sua utopia Lo so, si ripropone nel pensiero di tutti la domanda se ci si era quella di far cadere le dittature negli stati arabi, in primis possa o meno fidare degli impegni di Teheran. Ma se non ci in Egitto, con il passaggio da Mubarack a Morsi, con la denu- si fida, vuol dire che si deve smantellare e abolire l’Agenzia clearizzazione dell’Iran e dunque l’instaurazione di una pace Onu per la denuclearizzazione. Io non so se ci si possa fidare, in Medio Oriente fondata su una coabitazione che di fatto non so però che tutti condivisero che per lo meno con l’accordo incrociava i desiderata di Israele. Obama-Iran si frenava la nuclearizzazione. Portare una simile La politica di Obama fallisce e ha avuto anche un suggello sim- potenza sul terreno della trattativa nucleare, avrebbe potuto bolico nell’infarto che ha colto Morsi durante il processo che lo spingere anche Pakistan, India e forse Cina a trattare la loro vede imputato al Cairo, con la Fratellanza musulmana che rima- denuclearizzazione. ne senza appoggio, e con Erdogan che – pur non primo di seri Aggiungo infine che questa crisi, ancora una volta, ha scatenato problemi in casa sua - si candida a diventare la nuova nazione di contrasti tra la Germania e la Francia da una parte con gli USA. appoggio degli equilibri del quadrante. In tutto questo quadro, Al punto che i francesi hanno mandato una delegazione a Tehecrolla ora per iniziativa di Trump l’altro baluardo della politica ran per esprimere il loro sostegno al governo. 10

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IL GERMANISTA Franco Tatò Manager eclettico e innovativo, è tra i pochissimi italiani ad aver diretto aziende in Germania, paese (e cultura) che ama ed è l’unico ad essere stato amministratore delegato sia di Rizzoli che di Mondadori

LA GERMANIA È IN CRISI? C’È POCO DA FESTEGGIARE

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hi con riluttanza, chi con invidia, chi con ammirazio- Il crollo dei grandi partiti tradizionali, in un paese che gode di una ne più o meno convinta, tutti noi abbiamo sempre situazione economica eccezionalmente buona, porterebbe a conconsiderato, negli ultimi anni, la Germania come la cludere che la diffusione della ricchezza corrompe, rende gretti e prima della classe nel consesso europeo e non solo. ottusi, gelosi del benessere raggiunto e non disposti a condividerlo In effetti, traendo le somme della situazione econo- soprattutto con chi, spinto dalla sofferenza e dal bisogno, aiuta col mica tedesca alla fine del 2018, non si poteva ignorare che la Ger- suo lavoro a mantenerne la stabilità. L’epoca delle scelte illuminate mania si trovava al picco delle sue realizzazioni: una crescita eco- sembra essere definitivamente tramontata e anche in Germania la nomica ininterrotta da quasi dieci anni, produttività in crescita fine del bipolarismo di fatto ci lascia in eredità una frammentazioda sempre, assenza totale di disoccupazione, incremento del red- ne irrimediabile. dito delle famiglie, indebitamento dello stato inferiore al 60% del Ma la vera sorpresa viene all’inizio del 2019, quando la situazioPil, insomma una situazione indiscutibile di benessere diffuso. ne economica esce improvvisamente dall’illusione dello sviluppo Però, proprio mentre si stava costruendo queinarrestabile e mostra debolezze insospettasta situazione di benessere numerario, scopte. La crescita della produzione industriale pia il problema dell’immigrazione, problema si arresta quasi senza preavviso e l’industria ingigantito dai successi elettorali dell’AfD, automobilistica, fiore all’occhiello della Gerfrutto anche di alcuni episodi di criminalità mania e principale sostegno delle fiorenti che hanno coinvolto immigrati e che sono staesportazioni, sembra non essersi accorta, forti ingigantiti fino a demolire quella è stata una se perché assorta a leccarsi le ferite del diedecisione da grande statista di Angela Merkel. sel gate, che il futuro dell’automobile è l’auto Nessuno sembra domandarsi dove sarebelettrica, con tutte le profonde conseguenze a be l’economia tedesca se la Cancelleria non livello di sistema che investiranno soprattutavesse aperto le porte a oltre mezzo milione to l’occupazione e il gigantesco indotto: cosa di profughi siriani. Questa decisione è stata faranno industrie come la Bosch o gli innucontestata non solo da una parte dell’eletto- ANNEGRET KRAMP-KARRENBAUR merevoli fornitori di parti, quando un veicolo rato, ma anche da una parte della base della elettrico ha solo circa 300 parti usurabili? CDU e dai sostenitori della CSU, rappresentati nel governo dell’in- Ma non basta: solo ora ci si accorge dell’enorme ritardo nella gombrante ministro degli interni Seehofer. Questa situazione ha informatizzazione della pubblica amministrazione, del sostecostretto Angela Merkel a lasciare la presidenza del partito e a gno solo formale all’industria 4.0, della troppo lenta diffusione rimanere al potere come un Cancelliere azzoppato, con un suc- dell’utilizzo dell’intelligenza artificiale e si potrebbe continuare, cessore, Annegret Kramp-Karrenbaur, peraltro da lei sostenuta, non dimenticando però la prevista crisi della Deutsche Bank, un in nervosa attesa di prendere il suo posto. tempo simbolo della solidità del sistema tedesco, ora in faticosa L’inadeguatezza di AKK, come viene chiamata, condurrà la CDU ristrutturazione dopo una serie di infortuni manageriali. a una crisi profonda che si manifesterà chiaramente alle elezioni In realtà si tratta di una crisi del sistema di management. Non europee con una drammatica perdita di consensi e quindi alla sarebbe altrimenti spiegabile una classe dirigente aziendale che possibilità di perdere, per la prima volta dal 1948, la prima posi- non esita a truccare le carte per dimostrare di essere all’altezza zione tra i partiti tedeschi. della sua fama e si illude di essere padrona del mercato. Solo degli C’è un parallelo illuminante in questa situazione, quello con il irresponsabili in Italia possono gioire del momento di difficoltà Cancelliere Gerhard Schroeder, il quale perse la fiducia della base del nostro principale cliente. Se la Germania, un paese forte e con del partito e le elezioni per avere realizzato la sua agenda 2000, i bilanci in ordine, non riesce a sottrarsi alle profonde inquietudivero segreto dell’eccezionale sviluppo dell’economia tedesca. ni di un riposizionamento strategico globale, che ne sarà di noi? La SPD ha pagato lo scotto di una confusa visione del mondo col Non solo i tedeschi guardano con apprensione alle mosse preterzo posto alle elezioni europee, priva di un segretario e di una paratorie della politica in vista delle prossime elezioni previste direzione, in balia di un giovanotto estremista con poche idee nel 2022, ma probabilmente anticipate a fine 2020. Ad Angela sbagliate come Kevin Kuehnert. Se le previsioni del futuro politi- Merkel si dovrà riconoscere il merito di aver gettato le basi per co del paese non sono catastrofiche è perché, dopo l’affermazio- la riforma del sistema educativo con la revisione dei poteri delle ne elettorale che li posiziona al secondo posto, i Verdi, dotati di regioni alle quali era finora affidato con risultati molto discutibili. una leadership giovane e capace, si possono ora proporre come Noi dobbiamo sperare di poter continuare a trarre esempio da solido partner di governo. quanto succede in Germania. 12

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FINANZA REALE Anna Gervasoni Professore Ordinario di Economia e Gestione delle Imprese alla Liuc di Castellanza. È anche direttore generale dell’Aifi (Associazione italiana del private equity, venture capital e private debt)

IL PRIVATE BANKING È VIVO E LOTTA INSIEME A NOI

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Il Private Banking Index, relativo al 2018, dipinge un comparto in salute e ancora in fase di espansione

rivate banking in crescita; solidità che regge l’urto della crisi. L’industria del private banking è talmente cresciuta che oggi gestisce quasi un decimo della ricchezza degli italiani, 800 miliardi su meno di 10mila di patrimonio complessivo (di cui 6300 miliardi in immobili). Il cuore del settore sta nell’attarre capitali dalle famiglie più abbienti, conservarli e aumentarne nel tempo il valore. Mantenere le masse in gestione e incrementarle, è la prima sfida, la seconda è attrarre nuovi clienti nel proprio perimetro. Per questo, per misurare l’andamento e la salute del 2017), mentre la ricchezza netta delle famiglie italiane rimane private banking, si deve guardate da un lato al mercato finan- sostanzialmente stabile; un contributo a sostegno del positiziario, dall’altro all’economia reale. L’Osservatorio lanciato da vo andamento del private banking giunge invece dall’analisi Liuc Business School e Banca Generali, quest’anno in collabora- dell’Indice di Gini, che misura la concentrazione del reddito e zione con BlackRock e Natixis, ha condotto un’attività di ricerca della ricchezza (all’aumentare della concentrazione, aumentavolta alla costruzione di un indicatore in grado di rappresen- no i patrimoni potenziali “private”). Con riferimento all’indutare in maniera efficace l’evoluzione dello stato di salute del stria del private banking, il numero di potenziali clienti (misettore. L’analisi parte dall’individuazione delle possibili aree surato in famiglie “private”) permane sostanzialmente stabile, di influenza in grado di esercitare un impatto sul comparto del pur in crescita per il terzo anno consecutivo, mentre un buon private banking, identificando tre componenti rilevanti: l’anda- impatto sull’andamento dell’indicatore giunge dal numero di mento del settore del private banking, ovvero del mercato in servizi offerti dai player attivi sul mercato, sempre più alla riesame (prendendo in considerazione per esempio le masse cerca di un vantaggio competitivo derivante dalla differenziagestite, la clientela potenziale e i prodotti offerti); l’evoluzione zione e dalla completezza della propria offerta. Tale evidenza del contesto socio-economico di riferimento, ovvero del nostro appare coerente con la crescente rilevanza strategica attribuita Paese (considerando per esempio lo stock di ricchezza delle fa- ai servizi innovativi di consulenza e di supporto, nonché all’inmiglie italiane, l’andamento del Prodotto interno lordo e l’evo- troduzione sul mercato di strumenti alternativi di investimenluzione della concentrazione del reddito in ambito domestico); to. Notevole infine l’effetto prodotto proprio dalla crescita del l’andamento dei mercati regolamentati domestici (analizzato peso relativo degli investimenti alternativi sul totale degli inveattraverso l’andamento del principale indice di Borsa, nonché stimenti e dall’evoluzione delle masse gestite (il comparto ha di alcuni cluster di imprese creati ad hoc dall’Osservatorio con ormai superato gli 800 miliardi di euro di patrimonio gestito riferimento al comparto finanziario in esame ed al luxury). Lan- nel nostro Paese). Un elemento contraddittorio e di “freno” è ciato nel 2016 con un valore di 100 punti base in riferimento rappresentato, invece, dalle performance dei mercati regolaall’anno 2015, il Private Banking Index (PB-I) dipinge un 2018 mentati: il principale indice di Borsa ha determinato un conpositivo per il settore, raggiungendo un valore di 116,06 punti tributo assolutamente negativo nel calcolo del Private Banking base, segnale di un comparto in saluIndex; allo stesso tempo, il cluster di te e ancora in fase di espansione. Lo creato ad hoc dall’OsservaIL PRIVATE BANKING IN ITALIA imprese scorso anno, il dato relativo al 2017 si torio e relativo al settore del private era attestato a 115,05 punti base: dunbanking evidenzia una contrazione que, il trend intrapreso dal comparto piuttosto significativa, evidente prima è indubbiamente volto all’espansione di tutto in termini di capitalizzazione OPERATORI SPECIALIZZATI e alla crescita, seppur con intensità di mercato. La matrice di prodotti/ più contenuta rispetto all’anno preservizi offerti, sempre più evoluta e cedente. E’ uno specchio di quanto sta arricchita, mantiene alta l’attenzione VALORE DEGLI ASSET avvenendo nel nostro sistema paese. della clientela private, creando comA livello di contesto socio-economico, petizione tra operatori e favorendo la CLIENTI l’evoluzione del Pil offre un contributo concentrazione della ricchezza della limitato, a fronte di un rallentamento famiglia sotto un unico gestore anche rispetto alle attese a livello di crescita attraendo capitali riaspetto a impieghi reale (+0,9% rispetto al dato Istat del alternativi, quali l’immobiliare. BANKER ATTIVI

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TERZA REPUBBLICA Enrico Cisnetto È un editorialista, economista e conduttore televisivo italiano, ideatore della trasmissione televisiva Roma InConTra. È conferenziere, consulente politico-strategico e tifoso della Sampdoria

LA PROFEZIA DI COSSIGA E LA TERZA REPUBBLICA

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a paura con cui gli investitori guardano all’Italia è più che comprensibile. Perché oltre ai soliti e arcinoti ostacoli per chi vuole fare impresa, oltre al quotidiano battibecco politico, alle uscite infelici e al rischio di instabilità del Paese, c’è il rischio di un salto nel vuoto, anzi, nel nulla istituzionale visto che l’attuale stagione rischia di crollare senza che esista alcuna alternativa praticabile. Francesco Cossiga un giorno mi disse con tono profetico che la Seconda Repubblica sarebbe finita quando i magistrati avrebbero cominciato ad arrestarsi tra di loro. Quel tempo sembra giunto. Tanto che il Consiglio Superiore della Magistratura è sconvolto da accuse di corruzione che fanno vacillare la credibilità stessa dell’organo costituzionale di autogoverno del potere giudiziario, coinvolgendo le correnti dell’Associazione Nazionale Magistrati, il sindacato delle toghe che in questi anni è stato sul proscenio della politica indirizzando l’agenda (non a caso sempre il “picconatore” appellò l’ANM come “associazione sovversiva e di stampo mafioso”). Naturalmente, io che garantista lo sono da sempre e in tutte le circostanze, sostengo che anche in questo caso deve prevalere la presunzione d’innocenza, ma certo le accuse di regalie in cambio di sen- FRANCESCO COSSIGA tenze pilotate e di gestione delle nomine in modo opaco, disintegrano la (residua) reputazione dell’ordine giudiziario. Oltretutto, in queste settimane i magistrati, allo scopo di farsi male l’uno contro l’altro, hanno fatto avere a giornalisti amici carte e intercettazioni riservate, con l’obiettivo di colpirsi vicendevolmente a mezzo stampa. E questo ha portato anche i cronisti delle varie testate ad accusarsi l’uno con l’altro. Ecco, siamo di fronte ad una versione inedita del cortocircuito mediatico-giudiziario, un’edizione 2.0 di quanto abbiamo visto tra il 1992 e il 1994. Allora lo scandalo di Tangentopoli e i conseguenti riflessi “indotti” sui media contribuirono in modo decisivo al crollo della Prima Repubblica e alla nascita della Seconda. Poi, negli anni successivi il rapporto patologico tra giustizia e politica e quello malato tra toghe e media è proseguito senza soluzione di continuità, finendo per diventare l’architra16

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Il “Picconatore”: «La Seconda Repubblica finirà quando i giudici cominceranno ad arrestarsi tra di loro» ve su cui si è retto l’intero sistema istituzionale del Paese. Ma se quel rapporto, deviato e disfunzionale, è stato una vera e propria tragedia, oggi il suo crollo – di cui è lecito gioire – si manifesta in forma di farsa. Intanto per i contorni che lo scandalo ha assunto, visto che sembra di essere di fronte a una lotta disordinata tra fazioni, goffe e a tratti ridicole. Ma soprattutto, perché oggi non c’è un’alternativa. La sensazione che le vicende di oggi siano l’anticamera del vuoto. Non sapremo mai con certezza quanto l’attacco mediatico-giudiziario di Tangentopoli fosse preordinato e organizzato, ma certo per sostituire il vecchio schema di potere era subito pronta ai nastri di partenza la “gioiosa macchina da guerra” di Achille Occhetto, anche se poi risultata miseramente perdente. Invece dopo la crisi del 2011 tutti annunciarono la nascita della Terza Repubblica, come anche in occasione delle elezioni del 2013 e poi del 2018. Sbagliandosi, perché la verità è che ci troviamo soltanto nella “Seconda Repubblica-bis”, un malato terminale in cui tutti i problemi del passato sono aggravati e incancreniti, mentre di nuovo abbiamo solo l’incompetenza al potere. Certo c’è da augurarsi l’avvento di una nuova stagione, ma che ciò avvenga per l’inedita via giudiziaria e mediatica nella quale i vecchi alleati di ieri si ammazzano tra loro, e per di più senza che qualcuno abbia uno straccio di idea di come ricostruire l’assetto politico-istituzionale che si va disfacendo, non è certo possibile. Così, oltre ai soliti problemi, chi vuole fare impresa e investire in Italia, si trova di fronte al pericolo che il sistema istituzionale si disintegri. Inevitabile che rinunci. (twitter @ ecisnetto).


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L’ASCESA DEL WEALTH MANAGEMENT

GRANDI PATRIMONI IN CERCA DI PROTEZIONE di Rosaria Barrile

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econdo lo studio Global Wealth Management Report di EY, condotto su 2.000 clienti in 26 paesi di cui 50 in Italia, i titolari di grandi patrimoni sarebbero diventati più esigenti non solo in termini di qualità del servizio e di trasparenza dei costi, ma anche di innovazione tecnologica. In particolare il 41% dei clienti italiani vorrebbe ottenere una consulenza finanziaria attraverso app mobile rispetto al 20% del 2016 mentre il 9% intende utilizzare in futuro assistenti digitali. Ma tale inclinazione, almeno per ora, è ben lontana dal ridurre il numero dei wealth manager: il ricorso al “face to face” è diminuito di soli due punti percentuali in Italia contro un calo di 14 punti registrato in media a livello globale, a dimostrazione del fatto che, almeno nel Belpaese, l’interazione e lo “human touch” restano indispensabili per chi dispone di grandi patrimoni, come hanno confermato Azimut, Banca Generali, Banca Mediolanum, Deutsche Bank Financial Advisors, Fideuram e Fineco. Presso Azimut la clientela di fascia alta è servita attraverso la piattaforma di servizi Azimut Wealth Management che opera per tutti i 1800 consulenti finanziari del gruppo, spiega Paolo Martini, amministratore delegato e direttore generale di Azimut Holding. «Siamo stati i primi a unire il mondo del private banking con quello delle reti e i 260 wealth manager oggi attivi testimoniano la bontà del nostro modello basato su ascolto, voglia di osare e indipendenza. I servizi proposti

A DISPETTO DELL’AVANZATA DEL DIGITALE, LO “HUMAN TOUCH” È FONDAMENTALE

vanno dall’analisi del patrimonio ai diversi servizi di raccolta ordini, tra cui la piattaforma di trading ideata con Banca IMI, dalle soluzioni di multi private insurance fino all’offerta multi-banca depositaria per le gestioni patrimoniali in Italia, Svizzera e Lussemburgo, un servizio che adesso qualcuno sta cercando di copiare». Attraverso, Azimut Wealth Management che costituisce la divisione dedicata ai patrimoni più importanti e che vanta oltre 12 miliardi di euro di asset in gestione, vengono proposti anche strumenti di investimento nell’economia reale. 18

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«Siamo stati tra i primi, già nel 2014, a livello di gruppo a proporre questo tipo di investimenti. Negli ultimi anni abbiamo acquisito competenze che oggi sono concentrate in Azimut Libera Impresa Sgr, una società totalmente dedicata agli investimenti su strumenti non quotati che oggi gestisce circa 550 milioni di euro. I nostri professionisti, e quindi i loro clienti, hanno accesso a una piattaforma integrata di prodotti dedicata alle imprese da un lato e investitori dall’altro, con l’obiettivo di favorire l’immissione di liquidità nell’economia reale e allo stesso tempo offrire opportunità di rendimento per gli investitori. Stiamo per lanciare cinque nuovi fondi dedicati alla clientela privata e alla clientela professionale mentre il 29 e


COVERSTORY 30 ottobre sveleremo a Milano, nel corso di un evento della durata di due giorni dedicato alle imprese, un progetto che intende fornire un supporto al nostro Paese Italia ricco di pmi, idee e giovani brillanti». Per consentire al consulente e wealth manager di dedicarsi alle attività a maggior valore, verrà presto introdotta una piattaforma tecnologica avanzata. «Partiremo a settembre con la nuova piattaforma su cui stiamo lavorando da circa due anni con il contributo di tanti consulenti. La tecnologia è necessaria ma lo è nella misura in cui aiuta il consulente a svolgere meglio e più velocemente il proprio lavoro. Difficilmente potrà sostituirsi a un professionista soprattutto in certe tematiche complesse che richiedono non risposte standard ma empatia e condivisione». Secondo Marco Bernardi, vice direttore generale di Banca Generali la spinta verso il wealth management rappresenta in questo momento una tendenza trasversale a tutte le reti di consulenza. «In Banca Generali siamo stati in un certo senso precursori di questa transizione: quando abbiamo riorganizzato la rete distributiva, presentando due anni fa la nuova Banca Generali Private, abbiamo voluto valorizzare il nostro modello di servizio per consentire ai consulenti di erogare il livello di supporto più adatto a ogni fascia di clientela. Oggi il 70% delle nostre masse è rappresentato da clientela private. Abbiamo un’intera divisione dedicata alla clientela wealth, con portafoglio superiore ai 50 milioni pro capite, con strutture fisiche in 7 città e una rete di 300 wealth manager che amministrano circa 21 miliardi di masse». In termini di offerta Banca Generali ha sviluppato soluzioni di investimento dedicate ai clienti con almeno un milione di euro di asset in gestione, tra cui gestioni patrimoniali e polizze di private insurance. «Il vero cuore dell’offerta è rappresentato da soluzioni di investimento personalizzate, che riescono a combinare non solo le diverse opportunità del mondo gestito, ma anche quello degli strumenti meno liquidi. La consulenza sulle proprietà immobiliari è una delle competenze più richieste. Comprendere il grado di efficienza e le diverse caratteristiche di una

Nella pagina accanto Paolo Martini, a.d. e d.g. di Azimut Holding. Sotto Marco Bernardi, vice d.g. di Banca Generali

proprietà real estate è una sfida che abbiamo colto insieme a un team di professionisti. Allo stesso modo ci confrontiamo con imprenditori che necessitano di due diligence per analisi patrimoniali familiari oppure per operazioni straordinarie. Il supporto con la piattaforma fintech BgSaxo apre poi all’opportunità della copertura di hedge dinamico sui cambi, garantendo protezione alle aziende orientate all’export. Sempre più interessanti inoltre in termini di diversificazione finanziaria sono le cartolarizzazioni di crediti verso la pubblica amministrazione che riescono a offrire rendimenti interessanti in cambio di garanzia pubblica, decorrelazione dai mercati e assenza di volatilità». Nel modello di business di Banca Generali è integrato un sistema di app che facilitano l’operatività sia per la clientela che per i banker (a cui è dedicata la piattaforma digitale per la consulenza e la digital collaboration per l’execution degli ordini). «Si tratta di quel modello di banca AllWays, dove la tecnologia è vista sempre come tramite e mai come sostituto del consulente, soprattutto in un contesto come quello del wealth management dove la relazione personale resta il vero valore aggiunto». Banca Mediolanum ha da tempo lanciato un servizio di consulenza dedicato ai clienti con patrimonio totale di almeno 2 milioni di euro denominato “Wealth Solutions”. “Tale servizio viene erogato mediante la sottoscrizione di un contratto di consulenza che parte dall’analisi del portafoglio finanziario complessivo del cliente, presso la rete e presso terzi, nonché del patrimonio immobiliare, della situazione successoria e delle partecipazioni societarie”, precisa Vittorio Gaudio, direttore asset private & wealth management di Banca Mediolanum. «Una volta elaborata questa immagine complessiva del patrimonio fanno seguito proposte di revisione al fine di ottimizzare le potenzialità di rendimento, la posizione fiscale e le problematiche di passaggio generazionale». Per quanto riguarda la struttura della rete dei consulenti finanziari è stata operata una suddivisione in segmenti, tra cui i private banker e i wealth advisor, ovvero consulenti con un patrimonio superiore ai rispettivamente a 25 e 60 milioni euro. «I clienti di Banca Mediolanum con paluglio - agosto 2019

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trimonio superiore a un milione di euro sono oltre 5 mila, per un totale complessivo vicini ai 12 miliardi di euro. C’è una crescente consapevolezza della necessità di pianificare nel medio e lungo termine. Insieme a diversificazione e redditività adeguate, la nostra clientela private è molto sensibile a tematiche di protezione e come tale l’offerta di prodotti a matrice assicurativa riscuote un notevole interesse». All’universo delle soluzioni già disponibili sono state aggiunte in tempi più recenti la consulenza relativa al riassetto del governo aziendale e la finanza straordinaria. «In quanto pionieri nel mondo dei Piani individuali di risparmio (Pir, n.d.r.) abbiamo già da tempo sensibilizzato i clienti su alcuni temi di investimenti. Guardiamo con interesse ai prodotti investiti nei Private Markets, soprattutto a favore delle eccellenze italiane e delle Pmi. L’obiettivo è crescere, e molto, nel segmento dei clienti a elevata patrimonialità. Crediamo sia un obiettivo alla portata di Banca Mediolanum alla luce di tre elementi che

A sinistra Vittorio Gaudio, direttore asset private & wealth management di Banca Mediolanum. Sotto Silvio Ruggiu, head of advisory clients di Deutsche Bank Italia

TUTTE LE RETI DI CF STANNO AMPLIANDO IL PERIMETRO DEI SERVIZI PER I CLIENTI HNWI ci contraddistinguono e che sono prioritari: solidità della banca, completezza delle soluzioni disponibili, personalizzazione e capacità di ascolto nella relazione”. La struttura private di Deutsche Bank Financial Advisors conta circa 70 consulenti, tutti con un portafoglio clienti superiore ai 40milioni di euro e un patrimonio totale amministrato di circa 4 miliardi euro. A livello commerciale, la struttura è gestita dal coordinatore nazionale private advisors Carmelo Sarcià che supporta i consulenti su tutto il territorio nazionale. «Il cliente HNWI è da sempre molto esigente e DBFA vuole mettere i propri consulenti nella condizione di individuare soluzioni finanziarie altamente personalizzate, contando sul supporto della piattaforma globale del gruppo», aggiunge Silvio Ruggiu, head of advisory clients di Deutsche Bank Italia. «Inoltre, i continui investimenti in tecnologia permettono ai nostri consulenti di lavorare sempre meglio in mobilità e in modalità paperless. La proposition DBFA è 20

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focalizzata sulla figura del “cliente-imprenditore”, cui ci proponiamo come unico punto di riferimento per tutte le sue esigenze, anche quelle non finanziarie. Lo facciamo con un’offerta che unisce le competenze finanziarie dei Private Advisors alle conoscenze di business e corporate banking tipiche di una banca commerciale. Ma anche con servizi ad hoc, come ad esempio la proposta “db Private Club”, l’art advisory, il real estate, la consulenza legale e fiscale, le soluzioni dedicate al tempo libero e il servizio di concierge dedicato. I Private Advisor possono anche contare su servizi di assistenza “priority”, volti a ottenere risposte più veloci e su una struttura di sede a loro dedicata che li supporta a 360 gradi». Sul fronte dell’offerta, l’ufficio Investment Advisory DB ha realizzato portafogli bilanciati con approccio ESG e portafogli modello denominati “Dynamic Volatility Target” che hanno come principale obiettivo il perseguimento di un migliore rapporto rendimento/ rischio su un orizzonte temporale di medio periodo, limitando la volatilità. «A disposizione dei nostri clienti abbiamo poi le gestioni patrimoniali e altre gestioni esclusive come la Rre (Return risk engineering, n.d.r.), che coniugano l’esperienza di un team di professionisti con sedi tra Zurigo, New York, Francoforte e Milano e permettono una gestione attiva delle strategie di copertura. Per decorrelare completamente i portafogli infine è in fase di creazione una Sicaf immobiliare che


COVERSTORY

A sinistra Mario Bombacigno, responsabile private wealth management di Fideuram ISPB. Sotto Mauro Albanese, direttore commerciale rete pfa & private banking di Fineco

avrà l’obiettivo di investire in residenze sanitarie assistite e residenze per studenti universitari». La mission alla base del modello di servizio private wealth management di Fideuram è quella di fornire alla rete di circa 5.000 consulenti finanziari un supporto consulenziale disegnato su misura per ognuno dei loro migliori clienti, su tutte le esigenze, finanziarie e non, come sottolinea Mario Bombacigno, responsabile private wealth management di Fideuram – Intesa Sanpaolo Private Banking: «È questo l’impulso che anima il nostro lavoro all’interno della struttura PWM, articolata in business unit che lavorano in maniera sinergica, a supporto dei private banker, su tutti gli ambiti di consulenza patrimoniali; un’ulteriore business unit si occupa inoltre di sviluppare in maniera continuativa nuove soluzioni e nuovi servizi per rispondere alle esigenze in continuo cambiamento della clientela private. Questo tipo di consulenza, di altissima qualità e personalizzazione, richiede expertise profonde. Operativamente abbiamo adottato una logica di affiancamento che combina la presenza dei professionisti della banca con il supporto tecnico-specialistico di partner selezionati dal mercato e di gruppo. Poniamo particolare attenzione al cliente imprenditore che, al tema della trasmissione della ricchezza deve aggiungere anche il passaggio dell’impresa. Fideuram offre servizi di consulenza integrati per indirizzare tutte le fasi di questo delicato momento, identificando gli strumenti più efficaci: servizi fiduciari, costruzione di veicoli quali Trust e patti di famiglia, assistenza fiscale e legale, strutturazione di strumenti finanziari personalizzati, corporate advisory». Con 365 private banker e un patrimonio di oltre 29 miliardi di euro, Fineco partendo delle esigenze dei clienti

più sofisticati, ha attivato da oltre due anni una nuova struttura dedicata alla clientela di fascia alta. «Muovendoci in questa direzione abbiamo individuato un gruppo di consulenti finanziari, inizialmente poco più di 200, oggi 365, particolarmente impegnati nella gestione della clientela private”, dichiara Mauro Albanese, direttore commerciale rete pfa & private banking di Fineco. “Si tratta di un segmento “mobile” a cui accedono progressivamente consulenti che dimostrano di avere skill e potenzialità nel seguire questi clienti. A loro è dedicato un percorso formativo tagliato su misura e riferito ad un complesso di argomenti finanziari, giuridici, fiscali, immobiliari, di corporate advisory e di strumenti operativi”. Anche Fineco dedica particolare attenzione al mondo dei clienti imprenditori non solo contribuendo a gestire gli eventi legati al passaggio generazionale ma anche altri momenti di discontinuità nella vita dell’azienda, tra cui le operazioni di M&A. «Sono cambiate le esigenze di consulenza ma è cambiato anche l’approccio al risparmio. In un’Italia sempre più digitalizzata, il supporto tecnologico diventa protagonista sia nel rapporto cliente-consulente, sia nel lavoro quotidiano del professionista. Mi riferisco alla Mobile collaboration, che permette sia ai clienti di valutare direttamente dall’app le soluzioni di pianificazione proposte dai cf, sia al consulente di condividere con il cliente da remoto il proprio schermo per analizzare la situazione patrimoniale. Entro la fine dell’anno avremo qualche novità sul fronte delle piattaforme rivolte alla nostra rete. In particolare si tratta di due piattaforme che esalteranno la produttività e consentiranno al consulente di dedicare più tempo alla relazione con il cliente». luglio - agosto 2019 9

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INTERVISTA A DARIO DI MURO

LA PAROLA D’ORDINE È PERSONALIZZAZIONE di Marco Muffato

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rchitettura aperta, servizi personalizzati di banca-assicurazione e di gestione patrimoniale, ma anche lending e corporate advisory. Il terzo gruppo bancario italiano Ubi, attraverso la controllata IW Bank Private Investments, lancia il suo assalto al target di clientela più appetibile, con un progetto di ampio respiro nel wealth management. E lo fa lanciando anche una operazione interna di selezione, e poi esterna di reclutamento, di consulenti finanziari di elevata professionalità e portafoglio. Le ambizioni sono alte e cioè di passare dagli attuali 1,5 miliardi a un patrimonio di 5 miliardi nel giro di tre, cinque anni. Vediamo come, ne parliamo con Dario Di Muro, direttore generale di IW Bank PI. Di Muro, da cosa è nato il vostro impegno nel wealth management e come si sostanzia? Dalla tendenza alla crescita di portafogli,

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IW BANK LANCIA LA SUA WEALTH MANAGEMENT UNIT CHE INNOVA IL MODELLO DI SERVIZIO PER CONSOLIDARE LA RELAZIONE CON I CLIENTI PIÙ BENESTANTI

Dario Di Muro, direttore generale di IWBank Private Investments

alla selezione dei professionisti e infine dalla necessità di servire i clienti in maniera sempre più professionale e adeguata. Abbiamo così fatto nostro l’invito del segretario generale di Assoreti Marco Tofanelli a che tutte le reti si strutturino per offrire un servizio private/wealth ai clienti della fascia più elevata. In effetti questo trend lo abbiamo intercettato già da qualche tempo con la creazione della Wealth Management Unit (WMU, n.d.r). Quali sono le caratteristiche di questa unit? Attualmente conta su circa 30 consulenti finanziari con portafogli medi di 50 milioni e superiori. Il cf che ha portafogli così grandi tenderà a focalizzarsi su clienti di fascia superiore per ottimizzare i tempi di lavoro. Nelle banche in generale si segmenta in funzione del portafoglio del cliente, noi segmentiamo in funzione del portafoglio del consulente, più grande è il portafoglio più numerosi saranno i clienti di fascia alta. Non è necessariamente detto che il wealth manager, questo il nome del consulente finanziario in forza alla WMU, che seguirà sempre un cliente sopra il milione di euro, anzi potrà seguire anche un cliente con 100, 200mila euro. Sarà raro ma capiterà. E questa mi creda è una differenza sostanziale di approccio tra reti di cf e banche. A tendere stiamo puntando molto su questa struttura tanto da avere un piano a 3-5 anni che prevede di arrivare dagli attuali 30 a 100 wealth manager dal portafoglio medio superiore ai 50 milioni. Com’è organizzata la WMU? I consulenti finanziari sono seguiti direttamente dal team di direzione con un livello di servizio molto elevato visto che per ogni ufficio della WMU sono previsti tra uno o due assistenti, in funzione della numerosità dei consulenti serviti, che hanno il compito di sgravare i professionisti da tutto il carico degli adempimenti amministrativi. Gli assistenti sono nostri dipendenti, non rappresentano quindi un costo a carico dei consulenti. I


COVERSTORY nostri wealth manager lavorano all’interno dei Wealth Center di Milano, Genova, Firenze, Roma e Pescara. La WMU è seguita dal direttore commerciale Stefano Lenti che si avvale di Andrea di Salle quale responsabile della unit. Quali sono le peculiarità sul fronte dei servizi? IW Bank Wealth Management è il brand della unità operativa che rappresenta l’eccellenza nell’offerta dei servizi. Oltre a collocare qualsiasi prodotto della banca, la WMU dispone di servizi personalizzabili di banca-assicurazione e di gestione patrimoniale per la fascia alta della clientela. L’architettura aperta sembra essere meno in voga di un tempo tra le reti di consulenza finanziaria. Vale anche per voi? No, anzi. Il nostro modello di business è imperniato sul concetto di architettura aperta e sulla massima libertà nella scelta delle soluzioni più adatte alle esigenze di ogni investitore. Chi apprezza maggiormente questa impostazione è il consulente di fascia alta che è molto sensibile alla libertà e all’ampiezza di gamma dei prodotti. E poi c’è il tema della formazione e dei servizi per il cliente imprenditore… Abbiamo realizzato un catalogo di formazione ad hoc improntato soprattutto allo sfruttamento delle sinergie con il gruppo e in particolare con la divisione corporate e investment banking del gruppo per quanto attiene l’attività di lending e di corporate advisory, focalizzate sul cliente imprenditore. Il tutto si sostanzia in un indice di soddisfazione dei clienti molto elevato e di un tasso di raccolta netta molto positivo. A proposito di clienti, chi sono e che iniziative studiate per consolidare la relazione? I clienti dei wealth manager sono perlopiù professionisti di alta fascia, imprenditori, ricchi ereditieri, verso i quali studiamo iniziative ad hoc come l’organizzazione di eventi in location

artistiche o di particolare prestigio. Ne abbiamo organizzati recentemente tre e ne abbiamo in programma altri tre prima dell’estate. “Top Italy Excellence” è il format studiato per questi eventi che sono realmente esclusivi e limitati a un massimo di 30 clienti. A questo proposito segnalo le visite e le cene esclusive effettuate al Palazzo reale di Genova e sulla terrazza del Duomo di Firenze. Il tasto su cui sembra essersi spostata l’attenzione degli operatori è quello dei costi, anche per l’effetto indotto dalla Mifid 2. Come wealth quali livelli di pricing praticate? Non facciamo differenze di pricing rispetto per esempio alla rete tradizionale, la differenza riguarda solo la personalizzazione di alcune soluzioni d’investimento per i clienti da oltre il milione di euro. Aggiungo che abbiamo guardato con trepidazione all’arrivo della rendicontazione secondo i parametri della Mifid 2 proprio perché riteniamo di essere molto competitivi, rispetto alla concorrenza, sul piano dei costi. Parliamo di reclutamento, qual è il vostro target? Noi ci poniamo come polo di attrazione per i consulenti che hanno le caratteristiche descritte in precedenza e guardiamo in primis alle strutture bancarie verso le quali abbiamo degli indubbi vantaggi in termini di pricing e di livello di servizio. La nostra azione non è tanto diretta contro le reti concorrenti quanto verso quei professionisti che vogliono passare alla libera professione e che lavorano nelle strutture wealth anche di grossi player internazionali. Nel frattempo avete annunciato due ingressi di rilievo … Infatti, si tratta di professionisti esperti, molto conosciuti e di assoluto valore (leggere box sotto). A partire da Alfonsino Mei, che seguirà la clientela istituzionale all’interno della unit, fino a Carlo Bagnasco, uno dei padri nobili della professione di cf, due volte presidente Anasf, che ci offrirà supporto nelle relazioni con le istituzioni.

MEI E BAGNASCO, DUE STAR PER LA RETE DEL GRUPPO UBI

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ue professionisti di grido rafforzano la squadra di IW Bank Private Investments, la rete dei consulenti finanziari del gruppo Ubi Banca. Il primo dei rinforzi è Alfonsino Mei (nella foto in basso a sinistra), professionista romano, con un lungo passato in Finanza & Futuro e nella successiva trasformazione in Deutsche Bank Financial Advisors. Mei è molto noto per l’impegno a favore della categoria dei consulenti finanziari: è consigliere nazionale di Anasf dal 2015 e oggi è componente di amministrazione di Enasarco in quota Anasf. Mei entrerà a far parte, come responsabile della clientela istituzionale seguendo anche i rapporti con le istituzioni del settore, della divisione wealth management coordinata da Andrea di Salle, che è la unit d’eccellenza

della rete dei 700 consulenti finanziari di IW Bank Private Investments guidata da Stefano Lenti. Di grande riievo è anche l’ingresso di Carlo Bagnasco, genovese, uno dei padri della professione di cf, presidente dell’Albo di Autodisciplina dei consulenti finanziari alla fine degli anni ‘80, due volte presidente dell’Anasf dal 1994 al 2002, di cui è attualmente consigliere nazionale, componente dell’Apf (Albo promotori finanziari) prima e dell’Ocf (Organismo consulenti finanziari) poi. Ha iniziato l’attività con Fideuram, proseguendola in Divalsim poi Rasbank, quindi in Finanza & Futuro e poi sotto le insegne di Deutsche Bank Financial Advisors. Bagnasco, come spiegato da Di Muro nell’intervista, si occuperà in IW Bank di relazioni con le istituzioni.

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INTERVISTA A DUCCIO MARCONI

I CAVALIERI DELLA CONSULENZA PATRIMONIALE di Marco Muffato

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a rete di CheBanca! punta forte sul team dei private financial advisor, consulenti finanziari di grande portafoglio, esperienza, che attraverso un iter formativo ad hoc sono pronti a soddisfare le esigenze dei clienti top. In una parola la rete dei consulenti finanziari di CheBanca! punta tante fiche sul wealth management. Ed è la spinta inarrestabile del business che spinge in questa direzione vista le necessità di servizi sempre più ampi, che vanno ben oltre il perimetro degli investimenti finanziari, manifestata da una clientela benestante con esigenze diversificate. Ma come si stanno organizzando i financial advisor della banca del gruppo Mediobanca al nuovo compito? Ne parliamo con Duccio Marconi, direttore centrale rete consulenti finanziari di CheBanca!

Marconi, quali sono i vostri obiettivi nella gestione patrimoniale della clientela? Fin dalla nascita della rete dei cf nel luglio di due anni fa abbiamo deciso di puntare sull’evoluzione dei consulenti finanziari in consulenti patrimoniali. Eravamo consapevoli infatti che la gestione del patrimonio dell’investitore non può prescindere da un percorso di identificazione dei veri obiettivi del cliente che non si limitano ovviamente al campo finanziario. In quest’ottica si è deciso di attivare attivato il servizio wealth che offre, in coordinamento con il consulente, una risposta alle esigenze del cliente e una puntuale analisi sulla situazione patrimoniale per quegli aspetti non strettamente attinenti alla sfera finanziaria, come la successione, la protezione dei propri beni, la fiscalità, operazioni aziendali, immobiliari e di art advisory, in un’ottica di consu24

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Nella foto Duccio Marconi, direttore centrale rete cf di CheBanca!

COSTITUITO UN TEAM DI PRIVATE FINANCIAL ADVISOR CHE SARÀ DEDICATO ALLA CLIENTELA PIÙ BENESTANTE lenza globale. L’individuazione e realizzazione delle migliori soluzioni avviene in stretto coordinamento con gli specialist delle società del gruppo Mediobanca preposti a svolgere tali attività e con il supporto di professionisti esterni per esempio per l’immobiliare e l’art advisory. I servizi di consulenza patrimoniale saranno di pertinenza esclusiva dei cf? Il servizio è messo a disposizione in primis dei private finan-


COVERSTORY cial advisor di CheBanca!, ovvero dei consulenti finanziari con i portafogli più importanti. Si tratta di consulenti finanziari con masse gestite superiori ai 40 milioni e che in genere detengono i clienti di maggiori dimensioni: per loro sono stati pensati percorsi di formazione a supporto della gestione patrimoniale, oltre a essere stati previsti processi dedicati per garantire la massima efficacia nel coinvolgimento delle strutture preposte ai servizi patrimoniali e software esterni di supporto. A loro vengono infine offerte da parte della direzione centrale leve concrete per lo sviluppo della clientela in target, attuale e potenziale, attraverso l’organizzazione di eventi sul territorio nonché contatti da poter sviluppare. I cf private-financial advisor all’interno della rete dei cf CheBanca! sono attualmente una quindicina ma sono destinati a crescere in maniera significativa, per numero e masse. Tengo a sottolineare che anche gli altri 300 cf possono comunque servirsi della struttura wealth e accedere a questa tipologia di servizi per i loro clienti con esigenze più sofisticate. Parliamo allora dei servizi wealth studiati per i private financial advisor… Sono davvero tanti e coprono ogni esigenza. Come dicevo le principali attività offerte dal servizio wealth avvengono all’interno del gruppo Mediobanca, attraverso le collaborazioni: con le funzioni corporate & investment banking per la consulenza e i finanziamenti alle imprese nonché per le operazioni sui mercati finanziari, con la struttura di portfolio management solutions per le soluzioni di investimento dedicate a investitori istituzionali, con il private banking per quanto riguarda l’offerta delle polizze LPS. Le altre società del gruppo di cui ci avvaliamo per offrire consulenza sono Spafid (la fiduciaria del gruppo, n.d.r), Mediobanca Sgr, Cairn Capital, Compagnie Monégasque de Gestione, Ram Active Investments, MBFacta, SelmaBipiemme Leasing e MBCredit Solutions. La collaborazione con le società del gruppo MB mette a disposizione della nostra clientela l’expertise proveniente da un network di funzioni, competenze e società, creando al contempo nuove fonti di reddito per i nostri consulenti. Ulteriori collaborazioni riguardano Unione Fiduciaria, Santandrea Luxury Houses del gruppo Gabetti e gli studi professionali Loconte & Partners e Pirola Pennuto Zei; al fine di arricchire e completare l’offerta è inoltre in definizione la collaborazione con uno dei principali player di mercato specializzato in Art Advisory. A completamento dell’attività, la struttura “Wealth ed eventi Cf”, organizza incontri formativi relativamente alle mutate esigenze della clientela e alle problematiche connesse al patrimonio complessivo ed eventi per la clientela relativamente ad argomenti attuali e di massimo interesse. Come state preparando la rete al nuovo perimetro di azione? Quali percorsi avete previsto per i vostri cf? Abbiamo definito un percorso formativo tecnico in particolare con la collaborazione delle società del gruppo Mediobanca ma anche con le società con cui abbiamo attivato una collaborazione esterna. È un percorso di formazione continua che non si esaurisce nell’anno. Ricordo che i nostri private financial advisor hanno a disposizione un budget specifico per organizzare eventi per i clienti sul territorio al fine di pre-

sentare i nostri servizi wealth tra i clienti e non, contribuendo così a stimolare nuove esigenze di investimento.

Parliamo degli economics e degli obiettivi di crescita… Oggi siamo 333, abbiamo raggiunto un patrimonio/raccolta di 3 miliardi di masse in 22 mesi, divisi tra raccolta diretta, indiretta, gestita e amministrata. Le masse sul wealth? Oggi i clienti wealth con più di un milione di euro rappresentano circa il 35% delle masse totali, il resto sono clienti affluent. Molti cf sono entrati negli ultimi sei mesi e molti di questi stanno ancora sviluppando nuova clientela. L’obiettivo è una crescita continua per i prossimi 5 anni con l’ingresso di un centinaio di consulenti all’anno e quindi con una crescita di un miliardo all’anno di patrimonio, avvicinandoci così al nostro obiettivo: tagliare il traguardo dei 10 miliardi di asset gestiti. Ci concentriamo dove vogliamo aprire punti vendita, ne abbiamo aperti 67, puntiamo ad aprirne altri 33 in tutta Italia nei prossimi 12 mesi, abbiamo già identificato la città. Siamo una rete che vuole avere una vocazione nazionale: le sole regioni dove siamo scoperti attualmente sono Val d’Aosta, Trentino, Sardegna e Abruzzo. Ma presto saremo ovunque. luglio - agosto 2019

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INTERVISTA A NICOLA VISCANTI

MI CHIAMO «PRIME» E GESTISCO PATRIMONI FUORI DAL COMUNE di Marco Muffato

A

rriva la rivoluzione di Widiba nel wealth management. La svolta è di pochi giorni fa, lo scorso 25 giugno a Milano, quando nella cornice insolita del cinema Anteo, Marco Morelli, amministratore delegato del Monte dei Paschi di Siena e Marco Marazia, neo direttore generale di Widiba, hanno presentato a media e stampa specializzata il nuovo corso della banca dei cf del gruppo senese. Sulle pagine di Investire e in compagnia di Nicola Viscanti, head of advisors di Widiba, approfondiamo le caratteristiche dell’inedito modello per i clienti e la rete dei consulenti finanziari.

Viscanti, avete deciso di cambiare marcia nel wealth management, ma in che senso? Da questo mese partiamo con un nuovo modello di servizio sul wealth management per potenziare i servizi di consulenza patrimoniale alla clientela con esigenze più complesse. La nostra è una banca dalla forte impronta tecnologica e che riesce a offrire eccellenti servizi da sempre all’intero mercato, senza fare differenze tra le generazioni, dal 18enne al primo conto corrente fino alla persona che per ragioni di età vuole pianificare per tempo il passaggio generazionale. Sappiamo bene che in Italia la concentrazione della ricchezza e le maggiori esigenze di pianificazione finanziaria e patrimoniale si riscontrano nella fascia degli over 65, quindi il potenziamento del modello di servizio sulla fascia di clientela che in Italia chiamiamo private non sarà tanto legata ai prodotti quanto a soddisfare una serie di esigenze specifiche di questo target. Quali servizi saranno potenziati in particolare? 26

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WIDIBA ANNUNCIA LA RIVOLUZIONE PER I CLIENTI TOP. DAI SERVIZI DI CONSULENZA PATRIMONIALE ALLE CONVENZIONI ESCLUSIVE

Sicuramente la pianificazione successoria, con dei tool realizzati ad hoc dedicati a queste esigenze. Poi ricordo che possiamo contare su eccellenze a livello di gruppo con cui già lavoriamo in sinergia, quali MPS Fiduciaria, e MPS Capital Service e con le quali siamo d’accordo per predisporre una serie di servizi rivolti a imprenditori e ai top client, dalle fusioni alle acquisizioni societarie, dalle grandi operazioni di finanziamento fino alla realizzazione di prodotti ad altissima personalizzazione.


COVERSTORY Come pensate di preparare i consulenti finanziari al cambio di passo nel wealth? Con un master di sei mesi che avrà il patrocinio di una importante università italiana e che partirà dopo l’estate. Il corso tratterà i temi della pianificazione successoria compresa quella dell’imprenditore e della sua azienda, la tutela patrimoniale e la protezione della famiglia. Chi parteciperà al master? La fascia alta dei consulenti finanziari, i professionisti con maggiore storicità, che a partire dal 1° luglio potranno acquisire la connotazione di Private. La carriera dei nostri cf infatti è studiata unicamente su portafoglio clienti e redditività complessiva; evidenzio che i consulenti lavorano esclusivamente ad architettura aperta. Il livello Private, il sesto della nostra carriera, è previsto per quei consulenti con oltre 30 milioni di portafoglio a cui corrisponde un riconoscimento economico-meritocratico, ovvero un livello provigionale più alto. Oltre a parametri qualitativi sono necessari elementi qualitativi, compreso un numero minimo di clienti con oltre 500.000 euro di patrimonio. Fin dove arriverà il cf nella sua attività di assistenza al cliente di maggiori disponibilità? La banca sta mettendo a disposizione dei suoi professionisti strumenti avanzati per la consulenza patrimoniale. La formazione specifica consentirà al cf di fare da solo un certo tipo di lavoro di assistenza al cliente, nel caso il professionista necessiti di supporto potrà contare su società interne ed esterne al gruppo. Quest’ultimo è il caso della consulenza fornita dallo studio legale-fiscale Pirola per il quale esiste una convenzione che prevede un’assistenza di primo livello gratuita, e una consulenza più approfondita a richiesta e a condizioni agevolate dove il rapporto diventa diretto tra consulente esterno e cliente, anche se sempre alla presenza del cf che mantiene un ruolo centrale, tirando le fila del rapporto indipendentemente se a essere chiamate in causa siano società interne o esterne.

Che tipo di filosofia avrà il vostro nuovo modello di servizio sulla clientela benestante? Nei prossimi mesi partiremo con un modello di servizio diretto alla clientela di fascia alta, dai 500mila euro in su per intenderci. Servizi e prodotti che in parte erano già esistenti ma che potenzieremo significativamente perché questa fascia di clientela richiede un aggiornamento costante nelle proposte per soddisfare le nuove esigenze. Andremo ad aggiungere ai servizi di cui parlavamo prima anche mezzi di pagamento dedicati, tante convenzioni esclusive. Il tutto vivrà all’interno di una vetrina digitale dedicata, con un look&feel e un posizionamento diverso da quello di widiba.it. Il nostro obiettivo è passare dal rich client al whealty client, è per questo che abbiamo scelto di chiamare il tutto Prime, un mondo esclusivo per persone con patrimoni fuori dal comune, che avrà appunto l’obiettivo di coccolare i clienti più benestanti per consentire loro di vivere al meglio la propria condizione benessere. Ci avvarremo delle migliori applicazioni dell’intelligenza artificiale per anticipare i bisogni di questa clientela prima ancora che li esprimano. Altro che profiling finanziario, faremo un profiling dei bisogni reali dei nostri clienti, che non saranno più private ma appunto Prime.

Nicola Viscanti, head of advisors di Widiba

Per quanto attiene il reclutamento di professionisti per rafforzare il presidio nel wealth? Siamo orientati a reclutare meno persone che in passato ma con un profilo più alto. Trenta milioni ok, ma facciamo anche una valutazione sui luoghi di provenienza. Siamo molto interessati a inserire figure manageriali in zone dove non siamo presenti, nel nord Italia in particolare sia a ovest che a est. Naturalmente siamo fortemente orientati a colleghi con una certa seniority e in modo particolare sui bancari, anche perché stiamo cercando di offrire tutti i servizi messi a disposizione compresa l’area crediti e quindi per gestire in modo globale le esigenze dei clienti di fascia più alta. Riassumendo con il lancio di Prime cosa cambia per Widiba? Diventiamo una banca con una offerta tra le più complete del mercato e quindi interessante per tutte le fasce di consulenti finanziari, ma oggi ancora di più dei professionisti che hanno nei loro portafogli la gestione anche dei clienti più esigenti. luglio - agosto 2019

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INTERVISTA AD ALESSIO COPPOLA

SIAMO SPECIALISTI SULL’EUROPA E LAVORIAMO SUL LUNGO TERMINE di Sergio Luciano

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uovi megatrend di sviluppo economico a cui ispirare la gestione dei patrimoni; sostenibilità a tutto campo nella costruzione dei portafogli secondo i criteri Esg (Enviromental, social and government); apertura agli asset illiquidi purchè di grande qualità per diversificare l’offerta gestionale alla clientela istituzionale senza trascurare l’opportunità retail offerta dagli Eltif. Sono le tre linee guida che nel prossimo futuro Rothschild & Co Asset Management seguirà per declinare il suo approccio di sempre, la forza della tradizione coniugata con la costante determinazione a evolvere e captare il futuro. In questa intervista a Investire, Alessio Coppola, managing director e capo del Sud Europa del gruppo, illustra come tutto questo vada letto in coerenza con lo sviluppo conosciuto nell’ultimo anno, anche grazie alle nuove iniziative intraprese con Banca Patrimoni Sella, con Zurich e con Allianz Bank Financial Advisors, e in generale con l’idea di flessibilità e gestione attiva che Rothschild & Co AM applica al suo agire.

Dunque, tre nuovi progetti: ce li dettaglia? Il primo riguarda l’introduzione e lo sviluppo nella nostra gamma d’offerta di una serie di strategie tematiche che avranno un focus sull’Europa: scelta non scontata, visto la diffusa tendenza del mercato di riferirsi spesso, nell’individuare i trend, a un universo globale. La nostra riflessione è invece che, essendo noi specialisti sull’Europa, potremo intercettare meglio in quest’ambito alcuni nuovi modelli per costruire soluzioni innovative e offrire ulteriori opportunità di diversificazione per investitori eurocentrici come per esempio sono i risparmiatori italiani. Qualche esempio? Il megatrend della demografia, con l’innalzamento dell’età media, la cosiddetta silver age, che determina nuovi consumi e costumi. Oppure l’ambito definito family and enterpreneurs, una soluzione dedicata a società che hanno l’azionista di controllo o di riferimento nella famiglia che ha generato l’impresa, soprattutto small e mid cap. Il secondo progetto? La condivisione di un trend globale: quello dell’impact investing e dei parametri Esg, una tendenza generale che seguiremo e guiderà il processo di riconversione degli asset disponibili sul mercato verso soluzioni più coerenti con un obiettivo di sosteni-

ROTHSCHILD & CO AM PUNTA SU TRE PROGETTI: TEMATICI, ESG E SOLUZIONI ILLIQUIDE

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Nella foto Alessio Coppola, managing director e responsabile Sud Europa di Rothshild & Co AM

bilità ed inclusione. Vedo nei prossimi cinque anni una graduale e naturale conversione del mercato dei servizi finanziari, e noi intendiamo avere un ruolo attivo in questo processo. Il nostro commitment parte a livello di gruppo: tengo a precisare che Rothschild & Co Asset Management ha deciso di diventare un gruppo a emissioni zero e dunque perseguirà quest’obiettivo tramite un efficiente utilizzo delle risorse e il foot-print of setting credits, anche acquistando cioè crediti ambientali. Il terzo progetto? Un ulteriore sviluppo delle soluzioni illiquide da includere nella nostra gamma di investimenti, dal private equity al private debt, ad oggi disponibili sotto forme di fondi alternativi riservati alla clientela istituzionale ma


COVERSTORY che verranno anche arricchiti con la formula Eltif. Insomma necessariamente crescerà la quota parte di strumenti illiquidi per i portafogli che può rappresentare un fattore di diversificazione e supporto ai temi dell’economia reale. Come si collegheranno questi nuovi progetti con l’impostazione consolidata della vostra attività? In un modo del tutto coerente e spontaneo. Veda, guardiamo a quanto è stato realizzato negli ultimi dodici mesi. Abbiamo molte importanti novità, ma tutte in totale continuità rispetto alla scelta fondante: posizionarci sul mercato della distribuzione di prodotti finanziari come un provider eccellente di soluzioni a gestione attiva e con ampia delega di gestione. Si, soluzioni flessibili. Poi ce le riepiloga, ma intanto come definite in Rothschild & Co AM il concetto di flessibilità? Premetto che il concetto di flessibilità viene spesso associato a un’attività frenetica di riposizionamento dell’asset allocation del portafoglio in funzione delle condizioni di mercato. Tutto vero, per carità, ma nel concreto – come tutti sappiamo nell’industria – questa è più che altro un’iperbole di marketing. Per noi, invece, la flessibilità va vista e vissuta come un mezzo per raggiungere la creazione di valore sul medio-lungo termine. La possibilità, ma non un obbligo, per il gestore di scegliere momento per momento le asset class più interessanti, mixarle nel modo più appropriato, senza peraltro escludere l’eventualità in cui una strategia di medio-lungo possa subire delle fisiologiche fasi di sotto-performance nel breve. Cioè: puntare alla concretezza e alla crescita anche al costo di comprimere un po’ il breve? Direi meglio: il concetto di fondo multiasset o flessibile è spesso legato all’idea di un obiettivo di performance assoluta su base annua: invece non deve necessariamente essere così! Non è questo almeno il nostro obiettivo, sarebbe disguidante. L’obiettivo qualitativo massimo è allocare in piena discrezionalità gli asset rispetto all’obiettivo di creazione di valore che, sul mercato finanziario, l’esperienza ci conferma essere un concetto riscontrabile nel medio termine. Un discorso sul metodo… Esattamente. Noi puntiamo a far percepire queste competenze per quel che sono: metodologiche. La storia del nostro gruppo evoca tanti valori, in questo senso: investimenti di lungo termine, rapporto fiduciario col cliente, delega forte, obiettivo costante della miglior tutela attraverso la massima professionalità. Ecco: il vero comun denominatore è il valore della professionalità affidabile. È stato il principio ispiratore degli ultimi anni di lavoro qui in Italia. Non a caso, il nostro team vede impegnati tre professionisti senior – Paule Ansoleaga Abascal che segue l’offerta sui clienti gestori, Giovanni Balducci, che segue la distribuzione, e io al coordinamento. Ho voluto puntare su profili professionali senior piuttosto che su una struttura mista, pur valorizzando le figure junior nelle preziose attività di supporto, per offrire il massimo valore aggiunto nell’interazione con i nostri partner-clienti e quindi nello sviluppo del business. In collegamento con la casa madre? Stretto collegamento, direi. Regolarmente abbiamo occasioni di confronto dove vengono condivise le esperienze a livello

dei singoli mercati su cui siamo presenti. I gestori ci illustrano i trend del mercato, noi presentiamo le istanze della clientela e coadiuviamo al meglio il loro impegno. A questo punto ricolleghiamo tutto ciò a quanto avete fatto in Italia nell’ultimo anno… Beh, su tutto direi tre progetti di assoluto rilievo che sono dirette espressioni di questo nostro approccio. Il primo, il lancio di un fondo co-gestito con Banca Patrimoni Sella – si chiama R-Co Profilo BPA Selection - per offrire un servizio di asset allocation e selection flessibile, in grado di beneficiare dell’interazione tra strumenti tradizionali e alternativi, una soluzione unica nel suo genere. Poi un accordo molto importante con Zurich finalizzato a un servizio di advisory esclusivo per una delle quattro linee di un nuovo prodotto unit-linked a fondi esterni, lanciato dalla compagnia in questi mesi sul mercato. Un mandato multiasset con un profilo target di volatilità al 9%, che riteniamo un livello appropriato per esprimere appieno l’obiettivo di creazione di valore nell’attuale contesto di mercato. Se considero inoltre l’obiettivo di rendimento sul medio-lungo termine tipico di una polizza vita, questo target del 9% è la dimensione giusta per matchare al meglio esigenze e potenzialità. Ultima ma non ultima la partnership con Allianz Bank Financial Advisors… Sì, partita il 4 luglio scorso. Siamo stati selezionati con il nostro fondo R-Co Valor, un fondo flessibile che ha 25 anni di storia prestigiosa. Per citare solo alcuni dei riconoscimenti ottenuti consideri che è stato premiato negli ultimi 3 anni consecutivi, dal 2016 al 2018, come miglior fondo nella categoria flessibile da Citiwire. E’ un fondo che da quando opera ha sempre deliverato un’eccellente performance sul medio-lungo termine. L’accordo con Allianz Bank Financial Advisors prevede l’utilizzo del fondo quale soluzione dedicata all’interno della unit-linked Team Collection. Dunque partnership come questa sono importanti per voi? Assolutamente sì, perché confermano l’interesse per i nostri valori, gestione attiva, diversificazione e affidabilità del partner con cui si costruiscono le proprie scelte d’investimento nel tempo. I nostri obiettivi di sviluppo sono chiaramente orientati ad un’ampliamento del network di distributori e allo sviluppo di partnership importanti. Non è semplice costruirle ma è cruciale. Sempre declinando il vostro concetto di flessibilità? Sì, per noi come le dicevo flessibilità significa massima delega al gestore nella costruzione e manutenzione del portafoglio, senza vincoli di breve termine. Ebbene, nel caso dell’accordo con Zurich, la flessibilità risiede nelle modalità con cui costruiamo l’asset allocation, con un mandato di advisory rispetto ad un universo di investimenti individuato dalla compagnia. Nel caso di Banca Patrimoni Sella la flessibilità sta nel modo stesso in cui è stato costruita la soluzione e attraverso l’individuazione degli ingredienti più adeguati per attuarla. Infine nella partnership con Allianz Bank Financial Advisors, con il nostro fondo R-co Valor il concetto di flessibilità è declinata all’interno di un fondo che da oltre 25 anni è sinonimo di gestione attiva e approccio opportunistico sui diversi mercati e asset class.

«SIAMO PROVIDER DI SOLUZIONI A GESTIONE ATTIVA»

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MESSAGGIO PUBBLICITARIO

Segui i leader degli investimenti ESG

I Lyxor ETF* “Trend Leaders” e “Leaders” replicano indici di MSCI che, da oltre 40 anni, raccoglie e elabora dati in ambito ESG. Il Lyxor MSCI Europe ESG Leaders (DR) UCITS ETF consente un’esposizione alle società europee best-in-class per rating ESG. Anche la gamma di Lyxor ETF ESG Trend Leaders consente un’esposizione alle società best-in-class per rating ESG delle aree geografiche Eurozona, mondo, USA e mercati emergenti, tenendo in considerazione anche l’evoluzione del rating ESG nel tempo.

I Lyxor ETF ESG Leaders e Trend Leaders quotati su Borsa Italiana: ISIN

Ticker di Bloomberg

TER1

Lyxor MSCI Europe ESG Leaders (DR) UCITS ETF - Acc

LU1940199711

ESGE IM

0,20%

Lyxor MSCI EMU ESG Trend Leaders (DR) UCITS ETF - Acc

LU1792117340

EESG IM

0,20%

Lyxor MSCI USA ESG Trend Leaders (DR) UCITS ETF - Acc

LU1792117696

UESG IM

0,25%

Lyxor MSCI World ESG Trend Leaders (DR) UCITS ETF - Acc

LU1792117779

WESG IM

0,30%

Lyxor MSCI EM ESG Trend Leaders UCITS ETF - Acc

LU1769088581

MESG IM

0,30%

Nome ETF

The original pioneers Contatti: www.lyxoretf.it | info@ETF.it | 800 92.93.00 | Consulenti 02 89.63.25.00 | Istituzionali 02 89.63.25.28 | LYXOR <GO>

* I Lyxor ETF citati sono Fondi o Sicav francesi o lussemburghesi gestiti da Lyxor International Asset Management (qui per brevità “Lyxor”), i cui prospetti sono stati approvati dalla AMF o dalla CSSF. Per la data di approvazione si rinvia ai Prospetti. (1) Il costo totale annuo dell’ETF (TER – Total Expense Ratio) non include i costi di negoziazione del proprio intermediario di riferimento, gli oneri fiscali ed eventuali altri costi e oneri. Il valore degli ETF citati può aumentare o diminuire nel corso del tempo e l’investitore potrebbe non essere in grado di recuperare l’intero importo originariamente investito. Questo è un messaggio pubblicitario e non costituisce sollecitazione, offerta, consulenza o raccomandazione all’investimento. Prima dell’investimento negli ETF citati si invita l’investitore a contattare i propri consulenti finanziari, fiscali, contabili e legali e a leggere attentamente i Prospetti, i “KIID” e i Documenti di Quotazione, disponibili sul sito www.lyxoretf.it e presso Société Générale, via Olona 2, 20123 Milano, dove sono illustrati in dettaglio i meccanismi di funzionamento, i fattori di rischio, i costi e il regime fiscale dei prodotti.


COVERSTORY INTERVISTA A LUCA RIBOLDI

PIÙ VALUE CHE GROWTH COSÌ BANOR SEGUE IL VALORE di Sergio Luciano

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al turbocapitalismo alla crescita del valore autentico, fondato sull’economia reale, e dunque sostenibile nel tempo: è una riconversione con cui i mercati finanziari internazionali cominciano a fare i conti, ma che alcuni gestori anche italiani, come Banor, hanno adottato in tempi non sospetti. Per cui oggi la sopravvalutazione che, in base ai rapporti economici fondamentali, rivelano molte società quotate della categoria “growth” non li trova impreparati: «Rispetto agli ultimi anni e oltre, i livelli di sopravvalutazione che riscontriamo oggi sono pari a quelli massimi registrati nel 2000 con la bolla del Nasdaq, e per la precisione del Tmt», dice Luca Riboldi, direttore investimenti di Banor, «una fase in cui si raggiunsero più di 3 standard deviation in confronto con la media storica di premio del growth rispetto al value».

Non crede che l’approccio growth rifletta una cultura turbo-capitalista e iper-tecnocratica che considera verosimile uno sviluppo esponenziale futuro tanto da inserirlo nei calcoli dei prezzi di oggi? L’esistenza di settori growth molto di moda, come quello del green e delle nuove tecnologie, legati a attese di crescita fortissima, è un dato di fatto. Ciò che spinge queste valutazioni ‘super care’ è la situazione di tassi di interesse a zero e tassi reali negativi in varie parti del mondo. Da qui tutte le valutazioni di crescita forte vengono spinte verso multipli dei fatturati reali a livelli mai visti in passato. E spesso, non dimentichiamolo, parliamo anche di aziende in perdita. Di conseguenza il mercato è pronto a pagare prezzi molto elevati per quelle società che riescono a crescere velocemente in un ambiente debole dal punto di vista della crescita economica globale.

Nella foto Luca Riboldi, direttore investimenti di Banor

«LA NOSTRA STRATEGIA? COMPRARE TITOLI A MULTIPLI RAGIONEVOLI RISPETTO ALLA MEDIA DEL TASSO DI CRESCITA» Ci sono interazioni tra tech giants e comparto growth? I giganti tecnologici come Facebook, Amazon, Apple, Google sono stati di certo il settore trainante della forte crescita del Nasdaq, una crescita che però comprende non solo il tech ma molti altri comparti ad alta crescita. Le grosse imprese hanno dei multipli che sono, allo stesso tempo, alti rispetto alla storia dei settori di riferimento ma ancora abbastanza compatibili con i tassi d’interesse estremamente bassi sia a dieci anni che reali. Quindi le valutazioni che li riguardano sono care, è vero, ma non folli. Ciò che fa veramente la differenza è il peso che questi colossi hanno sugli indici americani. Tanto che tutti coloro che puntano a strategie passive e che, quindi, luglio - agosto 2019

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conseguenza della scarsa crescita economica, il che spinge gli investitori a pagare moltissimo per le aziende in crescita. Quindi lo scenario futuro è che probabilmente resteremo con tassi bassi ancora per un po’, e dunque i titoli growth continueranno a essere gettonati per i loro tassi di crescita importanti. Ma se la crescita economica resterà debole, il rischio è che i titoli growth cresceranno del 10-15% e non più del 20-30, il che potrebbe portare a un contraccolpo sulle loro valutazioni di mercato.

investono nei settori growth, hanno tirato dentro una quantità di flussi tale che oggi quasi il 90% degli asset allocator americani e gli addetti alle strategie sono costretti a guardare a società che non hanno né i vantaggi competitivi né i multipli comparabili con quelli dei grandi nomi del tecnologico. Parliamo di aziende medio-grandi con valutazioni molto care, nonostante perdano soldi e siano fortemente indebitate.

Che significa per Banor la definizione di titoli value che seguite nella vostra attività di gestione degli investimenti? L’approccio value, per noi, significa comprare titoli con valutazione a sconto rispetto al valore intrinseco, cioè rispetto alla valutazione dei flussi di cassa e ai dividendi che genereranno negli anni futuri. In questa strategia rientra anche l’acquisto di titoli a multipli ragionevoli rispetto alla media del loro tasso di crescita. Ciò non vuol dire che anche la parte growth, con titoli che trattano a multipli ragionevoli, non possa rientrare nella categoria value, a patto però che diano un margine di sicurezza tra la valutazione di mercato e quel che noi consideriamo il valore reale.

Nella foto Massimiliano Cagliero, amministratore delegato di Banor

«PARTIAMO DALL’ANALISI SETTORIALE, PER SCEGLIERE LE MIGLIORI SOCIETÀ O QUELLE PIÙ SOTTOVALUTATE»

Come interagiscono le attese sui tassi d’interesse, a quanto pare destinati a rimanere bassi, almeno in Europa, con la persistente politica espansiva preannunciata da Draghi, con le previsioni sull’andamento dei titoli growth e dei titoli value? I tassi d’interesse bassi sono una 32

Qual è oggi la vision di Banor sulla geopolitica, di fronte alle incertezze internazionali derivanti dalle politiche Usa e dalla Brexit? Per quanto riguarda la guerra commerciale Cina-Usa, la maggiore criticità del momento, sembra che i due antagonisti riescano comunque a dialogare. Troveranno qualche forma di accordo, pensiamo. Ma non sarà un accordo definitivo: il tema della proprietà intellettuale richiede riforme strutturali da parte del governo cinese e questo richiederà del tempo. La battaglia sulla tecnologia andrà avanti per anni. Quindi, credo che ci sarà una tregua a 300 gradi, non 360!, con una parte di contenzioso che resterà aperta. Lo dimostra anche la nuova allocazione in corso delle produzioni americane per diversificare il rischio Cina. Ciò avrà un impatto negativo su quella economia che perderà parte del suo attuale quasi monopolio come produttore mondiale per conto terzi. Per quanto riguarda Brexit, sembrerebbe che ci sia una tendenza verso un approccio duro da parte del Regno Unito con un guadagno di posizioni nella sfida elettorale da parte dell’ex sindaco di Londra, Boris Johnson. In ogni caso, confidiamo in una uscita dall’Europa con un accordo. Per concludere, uno sguardo al Medio Oriente. Non pensiamo che Trump abbia voglia di invischiarsi in una guerra aperta contro l’Iran; riteniamo che la linea dura

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del presidente Usa sia una strategia che, al contrario, mira a trovare un accordo.

In questo contesto mutevole sui mercati finanziari, come funziona il metodo Banor applicato alle gestioni patrimoniali? Abbiamo un approccio che parte dall’analisi settoriale, per passare poi alla scelta delle migliori società o di quelle più sottovalutate nei vari settori. Una selezione in cui i comportamenti socialmente responsabili tenuti dalle aziende, in base ai parametri Esg, stanno assumendo sempre più importanza. Una volta espletata questa fase, si procede alla creazione del portafoglio in base al rischio che si vuole assumere, definendo quale scostamento dal benchmark assumere e selezionando le aziende che hanno maggiore spazio di rialzo.


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EFPA ITALIA MEETING 2019/1

Gli italiani giudicano (bene) i consulenti finanziari di Marco Muffato

IL SONDAGGIO DELL’ISTITUTO DI RICERCA MAKNO-RSM, COMMISSIONATO DA INVESTIRE, EVIDENZIA IL FORTE GRADIMENTO DEI RISPARMIATORI PER I FINANCIAL ADVISOR DI CASA NOSTRA

MARIO ABIS, PRESIDENTE DELL’ISTITUTO DI RICERCA MAKNO-RSM

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ome gli italiani giudicano i consulenti finanziari. Ritratto di una professione nel percepito dei risparmiatori” è il titolo del sondaggio commissionato da Investire e presentato da Mario Abis, presidente dell’istituto di ricerca Makno-Rsm all’Efpa Meeting di Torino lo scorso 7 giugno. L’evento riservato ai professionisti degli investimenti finanziari, certificati dalla fondazione presieduta da Marco Deroma, era la platea giusta per riflettere e confrontarsi sul percepito dei risparmiatori in relazione a interlocutori abituali quali sono i consulenti finanziari. Lo studio si basa su un campione di 200 risparmiatori sul territorio nazionale, intervistati tramite indagine Cawi.

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Identikit del risparmiatore che usa i cf L’identikit di chi si rivolge a un consulente finanziario per la gestione dei propri risparmi è quello di un uomo, quarantenne, con istruzione superiore e che vive in città con più di 100mila abitanti. In due casi su tre si tratta di un lavoratore dipendente, spesso con ruolo impiegatizio. Nella maggioranza dei casi (51%) il cliente, con l’aiuto del consulente, si aspetta di ottenere rendimenti tra l’1% e il 3% annui, ma una buona parte (41% circa) spera in rendimenti superiori al 3% annuo. Il principale canale per l’accesso al mondo della consulenza finanziaria resta il passaparola (47%); segue il contatto telefonico con il professionista (23,8%). La pubblicità delle banche è il terzo canale di informazione (21,8%). Gli italiani intervistati, che scoprono i servizi di consulenza tramite internet, sono soltanto il 7,4%. 34

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Come ti conquisto il cliente Coerentemente alla prevalenza del canale del passa parola, i dati sull’origine della fiducia che i risparmiatori hanno nei consulenti rivelano che il primo fattore è il modo di fare del professionista (42,3%). Seguono: il comportamento nelle fasi di crisi finanziarie (33,8%); la conoscenza e stima personali (23,9%) e il rapporto di parentela (16,6%). Gli incontri e i contatti tra consulente e cliente sono frequenti, in particolare: si incontrano di persona almeno quattro volte l’anno (42% circa dei casi), si sentono telefonicamente almeno una volta ogni due-tre mesi (49%) e si confrontano mensilmente (42,6%) sull’andamento degli investimenti o almeno una volta ogni tre-sei mesi.

Obiettivo diversificazione Ma entriamo nel vivo del sondaggio Makno-Rsm con gli aspetti qualitativi che sono emersi. Il 92,6% è sostanzialmente soddisfatto del lavoro quotidiano compiuto dai consulenti finanziari. Più precisamente il livello di soddisfazione per i consigli ricevuti dal proprio cf è alto nel 29,2% dei casi; sufficiente nel 63,4% e scarso solo per il 7,4%. Chi si rivolge a un professionista differenzia di più i propri investimenti. Un elemento di valore, soprattutto in fasi critiche dei mercati come quella che stiamo vivendo. Il 41% degli intervistati investe in due strumenti, il 40% in non meno di tre. Prevalgono i fondi comuni che sono scelti dal 18% dei risparmiatori; le polizze vita attraggono invece il 16% degli intervistati, la gestione patrimoniale in fondi l’11%.


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Rispetto ai consigli che ricevono la soddisfazione è: 0,0% 10,0% 20,0% 30,0% 40,0% 50,0% 60,0% 70,0%

Alta

29,2%

Sufficiente

63,4%

Scarsa

Nulla

7,4%

0,0%

Consulenza più ampia nel futuro della professione Il 55% dei risparmiatori chiede al proprio consulente altre competenze oltre a quelle in materia di investimenti: il consulente infatti è anche “la persona che mi deve aiutare nelle questioni patrimoniali, successorie e legali, affiancandosi ad altri professionisti”. E questo è un dato molto interessante perché dimostra che c’è un sostanziale allineamento tra la maggioranza dei risparmiatori e le strategie attuali delle reti di consulenti finanziari che puntano a un deciso allargamento del perimetro dei servizi alla clientela in chiave di wealth management e investono pesantemente in formazione con l’obiettivo di trasformare il consulente finanziario in un advisor patrimoniale. Competenza ok Consulenti finanziari italiani promossi anche in competenza. Di fatto il 96,1% del campione esaminato ritiene il suo professionista preparato. Il 40,1% delle persone intervistate valuta infatti la loro preparazione alta; mentre per il 56,4% è sufficiente e solo

La fiducia nel consulente nasce da: Conoscenza e stima personale

Comportamento nelle crisi finanziarie

0,0% 10,0% 20,0% 30,0% 40,0% 50,0% 60,0% 70,0% 40,1%

Sufficiente

Limitata

Nulla

56,4%

3,5%

0,0%

Parentela 23,9%

33,8%

In materia di mercati e di investimenti, la competenza del proprio consulente è considerata:

Alta

per il 3,5% dei risparmiatori è scarsa. Questi ultimi due dati ribadiscono l’importanza di non abbassare la guardia nella preparazione e nell’aggiornamento costante dei professionisti. La valutazione del livello di competenze deriva in primo luogo dai risultati ottenuti dagli investimenti consigliati (51,5%) ma fattore di valutazione positiva è anche il comportamento del consulente, al di là degli aspetti strettamente professionali. È importante infatti anche la sua capacità di essere stato vicino nei momenti difficili delle crisi finanziarie (31%) e di aver guidato la pianificazione del risparmio familiare anche al di fuori dell’ambito degli investimenti finanziari, per esempio con consigli sulla casa e sullo studio dei figli (14,5%). Tutti numeri che

16,6%

42,3%

Modo di fare

fanno capire quanto sia importante per i clienti avere a che fare con professionisti che conoscano la propria situazione e sappiano comprendere e interpretare le loro esigenze reali.

Essere certificati è meglio. Non è indifferente infine che il consulente finanziario sia in possesso di una certificazione professionale, anzi. Tre risparmiatori su quattro si avvalgono di un consulente con certificazione professionale (quale essa sia: per esempio Efpa, Iso 22.222 o un certificato interno conseguito al termine di un iter formativo strutturato) mentre appena un 25% non ne è a conoscenza e non si è informato. La certificazione professionale è dunque molto apprezzata dai risparmiatori e contribuisce a rafforzare la loro fiducia nel lavoro del consulente. luglio - agosto 2019

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INTERVISTA A MARCO DEROMA

Noi consulenti finanziari «questi sconosciuti» per troppi di Sergio Luciano

D

a una parte la crescente complessitа dei mercati finanziari e dell’offerta di prodotti del risparmio gestito; dall’altra la compressione dei margini dell’intera industria del settore. Eppure, tra questi due problemi convergenti – in questa specie di stretto marino che fa pensare ai mitologici Scilla e Cariddi – i consulenti finanziari sono i possibili vincitori, anzi i candidati a vincere. A un’ unica condizione: che riescano a formarsi, a studiare, studiare e studiare per rispondere sempre meglio alla domanda di condivisione, comprensione e tutela che proviene dal mercato. Ed è stato questo anche il senso profondo di un Meeting, quello annuale dell’Efpa a Torino, che è andato oltre le attese. Come Marco Deroma, presidente di Efpa Italia, spiega in dettaglio a Investire.

Presidente Deroma, al vostro Meeting è stata presentata una ricerca della Finer di Nicola Ronchetti (vedi articolo su questo stesso numero) di grande profondità tecnica sulle caratteristiche e le richieste del mercato e un’indagine sociodemografica della Makno Rsm di Mario Abis sulle grandi attese che i rispamiatori ripongono sulla figura e sul ruolo del consulente finanziario. Due forti incoraggiamenti per voi, ma anche due sfide. Sicuramente, ma c’è una terza sfida, forse la più avvincente e ricca di opportunità: far conoscere il ruolo e il valore della figura del consulente a quella grandissima parte del mercato dei risparmiatori che ancora non ci conosce. C’è tutto un mondo da raggiungere, un mondo che avverte con più chiarezza di prima la necessitа di capire, approfondire, confrontarsi e scegliere con consapevolezza. Se ci sono 1500 miliardi di euro di liquidità 36

luglio - agosto 2019

Nella foto Marco Deroma, presidente di Efpa Italia

CI SONO 1500 MILIARDI DI LIQUIDITÀ SUI C/C. C’È BISOGNO DI MOLTA CONSULENZA PER PASSARE DA MODALITÀ RUDIMENTALI DI RISPARMIO ALLA CAPACITÀ DI INVESTIRE parcheggiati sui conti correnti, qualcosa vorrà pur dire. C’è molto bisogno di consulenza per passare da queste modalità rudimentali di risparmio alla capacità di investire. E questo sarebbe – non dimentichiamolo – un modo importantissimo per far contribuire questa massa di risparmi oggi di fatto inutilizzati allo sviluppo del Paese, quindi nell’interesse di tutti. Muovere una parte di questi soldi al di fuori dei conti correnti e convogliarli sull’economia reale sarebbe un gran bene. Dunque c’è in Italia un’immensa prateria di risparmiatori e di risparmio da valorizzare nel loro interesse e nell’interesse di tutti.


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Ma la sua categoria è matura per queste sfide? Per essere proattiva e aggiungere valore consulenziale autentico al proprio lavoro quotidiano? La categoria dei consulenti finanziari è senza dubbio entrata tutta nell’ordine di idee del long-life-learning, dell’apprendimento e dell’aggiornamento continuo. Si riconosce ormai vastamente e senza tentennamenti la crucialità della formazione. Ma su questo tema, che è veramente fondamentale, vorrei sottolineare alcuni elementi di dettaglio che tali a ben vedere non sono.

LA FORMAZIONE SUI PRODOTTI NON È DI SERIE B. IL REGOLATORE EUROPEO LE DÀ LA GIUSTA IMPORTANZA E DOBBIAMO TENERNE CONTO Quali? Partiamo dalla cronaca minima, anche per un giusto riconoscimento all’organizzazione. Il Meeting è piaciuto molto ai suoi oltre mille partecipanti, lo attestano i questionari raccolti che hanno confermato un netto passo avanti rispetto al sentiment dello scorso anno. E anche le tavole rotonde sono piaciute di più. E dunque la nostra intenzione è confermare la serietа del format, che rimarrа prevalentemente formativo. Detto questo, parliamo di crescita. Direi che siamo in linea con l’obiettivo lanciato per la mia presidenza, quello degli 8000 iscritti a fine mandato, cioè fine 2021. Ed è stato particolarmente positivo essere cresciuti anche quest’anno, nonostante un po’ di difficoltа legate alla scelta di alcune banche che per evidenti problemi di bilancio hanno dovuto ridurre i loro investimenti. Dunque, crescere ancora contando sulle proprie forze? Anche, naturalmente, ma sono certo che il mercato guarda coerentemente e concordemente nella stessa direzione, si tratta di non rallentare per qualche episodio di inevitabile discontinuità. Daremo più risalto alla certificazione di primo livello, che consideriamo molto interessante per il mondo delle reti, e stiamo concentrando gli sforzi lì, pur non dimenticando le fasi successive della certificazione. Com’è percepita la crucialità della formazione e della specializzazione nel mondo bancario? I sindacati ci segnalano il bisogno di formazione del personale, trasversalmente. Il mondo bancario sa bene che occorre essere formati, uscire dalle indicazioni commerciali pure e semplici, andare sempre più verso un piano di consulenza percepita. Certo chi come i consulenti è abituato alla libera professione, vive la formazione come una fase più connaturata al proprio ruolo, per i lavoratori dipendenti questo meccanismo mentale può essere più complesso, ma questo non è un problema.

E qual è il problema? Guardi: parlando in termini generale e senza assolutamente voler deprecare nessuno, il problema è quando si cade, spesso anche in buona fede, nell’errore di considerare la formazione un costo comprimibile, magari sull’altare di qualche piccola soddisfazione in più per gli azionisti. Ormai la formazione è

parte integrante del core-business, e va vista così. Da tutti.

Dunque su questa forte convinzione farete…come dire, opera di apostolato professionale? Finora le iniziative culturali di Efpa Italia le abbiamo volutamente mantenute entro il confine del Meeting, un evento di successo ma pur sempre unico nell’anno. Il primo sconfinamento sarа quello di incontrare con maggior frequenza i nostri certificati, per trovare altre occasioni e formule partecipative. Tenga conto che il quadro normativo in cui agiamo è cambiato rispetto al passato. Noi di Efpa abbiano sempre ritenuto, finora, di non occuparci della formazione sui prodotti. I prodotti venivano visti più come un dato commerciale che culturale. Ma il nuovo quadro regolatorio europeo, ci chiede oggi di conoscere e servire i clienti conoscendo al meglio anche i prodotti. Questa indicazione nuova del regolatore europeo è stata ripresa da Consob anche di recente, con documento Q&A dell’ottobre 2018, che definiva anche la formazione sui prodotti come aggiornamento professionale, computabile all’interno delle 30 ore minime obbligatorie. Quindi anche noi di Efpa inizieremo a uscire dai confini del passato e cominceremo a parlare di formazione sui prodotti. Non dobbiamo più considerarla una formazione di serie B. Dovremmo cominciare a pensarla come una formazione anch’essa obbligatoria nella relazione e nel confronto col mondo della produzione. Dunque un appello alla collaborazione verso le società prodotto? In futuro dovremo lavorare molto con loro. Anzi: a mio avviso, una delle ragioni che spingono a volte gli intermediari a tornare indietro rispetto al passato in termini di architettura aperta è anche il bisogno di formazione. Ci si rende conto di dover formare i consulenti sui prodotti che distribuiscono. E si può pensare che un eccessivo ampliamento di questa formazione sui prodotti possa essere controproducente. Invece io credo fermamente che per interpretare in modo corretto la professione del futuro dovremo anche venire incontro al bisogno di conoscere i prodotti e cercare di limitare il più possibile la contrazione delle architettura aperte. luglio - agosto 2019

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EFPA ITALIA MEETING 2019/3

La consulenza non balla più da sola, il futuro è dell’advice olistica di Nicola Ronchetti

I FINANCIAL ADVISOR VANNO PREPARATI ADEGUATAMENTE PER PRESIDIARE BENE LE QUATTRO FASI DI VITA DEL CLIENTE: ACCUMULO, GESTIONE, DE-CUMULO E SUCCESSIONE NICOLA RONCHETTI

L

a consulenza olistica, quella che abbraccia tutti i progetti del cliente, è di fatto una realtà per molti professionisti del risparmio anche se non per tutti, l’Italia con Germania, Francia e Repubblica Ceca esprime il miglior potenziale anche se occorre migliorare la consapevolezza delle proprie competenze e investire in formazione. La consulenza olistica si basa su una ricetta tanto semplice quanto complessa da realizzare: un approccio personalizzato in grado di includere tutti i progetti di vita dei clienti che vanno conosciuti approfonditamente e a cui va offerta un’unica regia. Il mantra è rifuggire dal consulente tuttologo, promuovere il professionista collettore di competenze distinte e complementari. Per creare valore al cliente – e farglielo apprezzare - la consulenza finanziaria non potrà più ballare da sola, ma dovrà divenire omnicomprensiva nella sostanza (nelle diverse fasi di vita del cliente: accumulo, gestione, de-cumulo, successione) ma anche essere riconosciuta formalmente e supportata da adeguati di strumenti che consentano analisi dettagliate (anamnesi, analisi, diagnosi) e soluzioni mirate e personalizzate. C’è tra tutti i cf intervistati in 16 paesi la netta percezione che per realizzare tutto ciò occorra formazione, preparazione, supporto della propria mandante e del legislatore. Per trasformare la consulenza olistica da puro slogan ad approccio strutturato, la preparazione, la formazione e l’aggiornamento appaiono fondamentali per imparare ad ascoltare i clienti a decodificarne i bisogni, interpretarli, trasferirli a specialisti adeguati e preparati e contribuire infine a realizzarne i progetti. Le fondamenta della consulenza olistica sono la pianificazione finanziaria, patrimoniale, la consulenza fiscale, successoria, la protezione, la previdenza e la gestione di asset illiquidi (immobili e altri beni reali). Gli strumenti innovativi per costruire la casa della consulenza olistica partendo da queste fondamenta sono molti (trust, fiduciarie, investimenti in asset alternativi, private equity e private debt, investimenti in start up, club deal, crediti lombard, private insurance) ma vanno conosciuti approfonditamente e maneggiati con cura per evitare di farsi abbagliare da mode momentanee. Dalla ricerca emerge come non pochi cf intervistati, trasversalmente a tutti i 16 paesi coinvolti, a eccezione di UK - mercato straordinariamente all’avanguardia su questi 38

luglio - agosto 2019

temi - si sentano ancora impreparati: la loro onestà intellettuale va dunque riconosciuta e premiata investendo sulla loro crescita professionale e sulla certificazione delle loro competenze. La generazione dei millennial, composta di individui nati tra il 1980 ed il 2000, tutti quindi nativi digitali, è da molti anni al centro dell’attenzione dell’industria finanziaria. La ricerca conferma una importante presenza di programmi ad hoc dedicati a questo segmento della popolazione, che nel mondo rappresenta la coorte demografica più ampia (2,7 miliardi di individui), il mondo della consulenza finanziaria ha quindi ancora ampi spazi di miglioramento. Quando i millennial sono diventati adulti le banche avevano già perso buona parte della loro autorevolezza e reputazione: il loro rapporto con le istituzioni finanziarie è quindi naturalmente più distaccato anche grazie all’immenso contributo dato dalla tecnologia alla disintermediazio. La ricerca evidenzia l’esigenza espressa dai cf di disporre di programmi specifici per clienti millennial focalizzati sia sulla loro educazione finanziaria che su soluzioni mirate ai loro bisogni, e iniziative di formazione e tirocinio per i colleghi millennial: la strategia di ingaggio di questa generazione si basa sull’uso massivo di tecnologia per comunicare ma anche del coinvolgimento diretto loro e dei loro genitori considerata la mancanza di esperienza nella gestione delle reazioni emotive e la minor conoscenza dei mercati. Da anni si parla di robo-advisor: la ricerca conferma che siamo tuttavia ancora in uno stadio evolutivo e con questa forma di consulenza virtuale che non sembra aver ancora imparato a ballare da sola. Questo aspetto è confermato dal fatto che lo sviluppo dei robo-advisor avviene ancora e soprattutto in partnership con realtà fintech e non è sviluppato all’interno delle banche sia per la complessità che le caratterizza ma anche perché oggi si tratta di una commodity facilmente replicabile che merita però continui aggiornamenti. Sarebbe tuttavia un errore sottovalutare i robo-advisor sia per la loro capacità di ottimizzare costi e tempi efficientando i processi, che per supportare la consulenza: l’integrazione del digitale nel rapporto consulenziale porterà valore aggiunto soprattutto nell’ambito della valutazione di adeguatezza e profilazione del rischio, purché a guidarli e a programmarli ci sia sempre la mente umana.



JOINT VENTURE

Italia e Francia, quell’intreccio tra aziende che non finirà mai A cura di Ugo Bertone

Q

«

uesta joint venture è solo il punto di partenza di una collaborazione basata su una visione industriale comune», dichiara soddisfatto Hervé Guillou, il pdg brètone di Naval Group ammiccando in direzione di Giuseppe Bono di Fincantieri, fresco partner dell’alleanza tra i due gruppi della difesa. Missione compiuta, ma non del tutto: Guillou, ha dovuto fare i salti mortale per avere il via libera all’intesa dai militari e dall’azionista di controllo Thales, ma manca ancora un tassello decisivo: lo scambio di azioni, che potrà avvenire solo dopo l’accordo tra la stessa Thales e Leonardo. Bono, dal canto suo, annuisce soddisfatto ma si concede una nota di ironia: «Caro Hervé ci hanno definito l’Airbus dei mari, ma se l’Europa dei cieli avesse marciato a questa velocità di crociera, Boeing non avrebbe avuto concorrenti». E il pensiero del numero uno di Fincantieri, cresciuta in 17 anni sotto la sua guida fino a 5 miliardi di fatturato e 19 mila dipendenti, corre all’altra joint venture, quella tra i cantieri italiani e quelli di Saint Nazaire: una storia infinita, conclusa dopo mille colpi di scena con l’accordo che prevede il 50 per cento più un’azione in mano italiana, ma

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luglio - agosto 2019

Nella foto a destra Emmanuel Macron, in basso Giuseppe Bono

PER UN’INTESA TRA FCA E RENAULT SFUMATA, SONO INNUMEREVOLI LE FUSIONI E GLI INCROCI AZIONARI TRA AZIENDE TRANSALPINE E ITALIANE che è ferma da due anni in attesa del via libera dell’antitrust europeo. «Nello stesso lasso di tempo», scherza ma non troppo Guillou «la Cina ha costruito l’equivalente dell’intera flotta francese». Lo scambio di battute tra i due lupi di mare di Italia e Francia avviene il 14 giugno, sulla tolda della Federico Martinengo, la fregata della marina militare italiana ormeggiata nella base della Spezia, in occasione della firma della nuova “alleanza tra eguali” tra due nazioni cugine che spesso litigano ma altrettanto sovente sembrano condannate a marciare assieme. Come dimostra il fatto che, nelle stesse ore in cui nel porto ligure si definivano i particolari delle prime offerte comuni da presentare ai possibili clienti (l’obiettivo è una raccolta di ordini per 1,7 miliardi di euro in quattro anni), a Parigi andava in scena il secondo atto di una storia ancora più complicata, protagonisti Mike Manley, il ceo inglese di Fiat Chrysler e Jean Dominique Sénard, il dg di Renault che due giorni prima aveva sfidato lo Stato azionista ribadendo che la fusione con la controllata del gruppo Agnelli, messa in crisi del voltafaccia di Emmanuel Macron, «era la più bella operazione che io abbia mai visto». Di qui la sensazione che la partita sia tutt’altro che finita, anche se sarà necessario attendere gli sviluppi dell’assemblea di Nissan, il terzo partner indispensabile per mettere a punto un’alleanza davvero globale, forte della taglia critica necessaria per competere nel mondo dell’auto di oggi e ancor più di domani. Ma più delle esitazioni del gruppo giappo-


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nese, in crisi di risultati e di vendite ma assai avanti nella tecnologia dell’elettrico, pesa sull’asse Torino-Detroit-Parigi-Yokohama l’ipoteca rappresentata dal vecchio vizio statalista transalpino: sia John Elkann che i soci giapponesi di Nissan chiedono che l’azionista pubblico faccia un passo indietro nel capitale di Renault e, di riflesso, della casa nipponica (al 43% in mano all’azienda francese). Non è certo un problema di mano pubblica o di quote di mercato invece quello che frena la marcia di Essilor-Luxottica, il leader mondiale degli occhiali nato dalla fusione del gruppo italiano, numero uno delle montature, forte di quasi diecimila negozi di proprietà più altri centomila punti vendita di terzi nel mondo e il gruppo parigino che vende le proprie lenti a circa 400 mila dettaglianti di tutte le dimensioni. La corazzata è rimasta incagliata per mesi causa il dissidio sulla scelta del capo azienda. Alla fine, per scongiurare l’ingresso sulla scena di altri protagonisti indesiderati (vedi i fondi attivisti) i duellanti hanno ritirati esposti e denunce delegando alcuni poteri a Francesco Milleri, l’uomo di cui si fida di più Del Vecchio, e a Laurent Vacheron, in rappresentava di Hubert Sagnières, già pdg della società francese. Una pace, anzi un armistizio perché non è ancora stato sciolto il nodo del futuro numero uno. Si va avanti così in un clima di “sfiducia operosa”, pronti a collaborare ma con una metaforica pistola sul tavolo per non esser colti di sorpresa. Nel complicato scacchiere delle relazioni a cavallo delle Alpi c’è stato spazio per la scalata tentata da Vincent Bolloré, all’epoca incontrastato socio di riferimento di Telecom Italia, a Mediaset, operazione scongiurata in extremis dal gruppo Fininvest, ferita ancora aperta anche se le parti sono alla ricerca di una soluzione che minimizzi i costi del conflitto (per Bolloré). La relazione da sempre più delicata e sensibile, del resto, riguarda infatti la finanza. Un fil rouge robusto collega Milano a Parigi ancor prima della Mediobanca di Enrico Cuccia. Oggi a interpretare quel legame è Jean-Pierre Mustier, il parigino che ha saldamente in pugno le redini di Unicredit destinata, secondo i suoi disegni, a diventare un grande hub della finanza europea. A render possibile il piano, tra le altre cose, è il sostegno del sistema Italia, garantito dall’impegno di Mustier a vigilare sull’italianità dI Mediobanca e di riflesso delle Generali, guidata dall’amico Philippe Donnet. Ma le relazioni finanziarie tra Piazza Affari e Parigi passano da mille snodi, non ultimo quello di Amundi, il colosso francese del risparmio gestito che resta uno dei forzieri più ricchi di Btp. Non è sempre questione di duelli o di liti. Il caso di scuola, al proposito è quello di Stmicrolectronics, la jv italofrancese che

JOHN ELKANN

HERVÈ GUILLOU

consente ai due Paesi di aver un ruolo nel mercato dei chips e di conseguenza nell’elettronica d’avanguardia collegata all’energia, all’automotive e all’internet delle cose. Un’alleanza di successo cresciuta sotto il segno della disperazione: a metà anni ‘80 sia la francese Thompson che l’italiana Sgs sembravano votate al fallimento in un settore destinato al dominio dell’Asia. Ma Pasquale Pistorio, un manager in arrivo da Motorola, convinse i partner di Stato che meritava fare ancora un tentativo: oggi Stm, guidata da fine maggio 2018 da Jean-Marc Chevy dopo il lungo mandato di Carlo Bozotti, è una multinazionale di dimensioni globali ma dove però gli investimenti in Italia e Francia vengono distribuiti in parti eguali. Basta così. Un elenco seppur sommario dell’intreccio di proprietà e di interessi tra Roma e Parigi potrebbe occupare lo spazio di un’enciclopedia. Non si può trascurare l’effetto dello shopping sulla moda italiana effettuato dalle due ammiraglie della moda: Lvmh e Kering che, anche approfittando degli errori nostrani (vedi Hdp/Gemina), hanno avuto facile gioco nell’acquisire il controllo dei gioielli del made in Italy. Nell’orbita del colosso Kering, ex PPR, sono entrati Gucci, Brioni, Pomellato e Bottega Veneta. LVMH (Moët Hennessy Louis Vuitton) Non è stata da meno: nel 2001, dopo aver già acquistato Emilio Pucci, Bernard Arnault è entrata in Fendi. Poi è la volta di Bulgari, rilevata nel 2011 con un’operazione a 9 zeri e due anni più tardi di Loro Piana. Quindi nel 2015 del marchio di gioielleria Repossi. E probabilmente, non è finita qui. Inutile ed ingiusto però gridare al saccheggio. Sia Lvmh che Kering, oltre ad aver pagato generosamente gli acquisti, hanno saputo ridar smalto a marchi ed aziende, tutelando e rilanciando lavorazioni artigianali già in declino moltiplicando i posti di lavoro a Firenze, Veneto e a Milano. C’è anche chi torna indietro, come Auchan che ha di recente abbandonato la Penisola a vantaggio di Conad, ma la presa transalpina sulla grande distribuzione continua grazie a Carrefour sbarcata in Italia con l’acquisto dei supermercati Gs. E che dire della tavola? Lactalis, numero uno del latte, ha consolidato la leadership italiana conquistata con lo sbarco in Parmalat acquistando la Nuova Castelli società specializzata nei formaggi dop a cominciare dal parmigiano reggiano già posseduta dal fondo di investimento inglese Chartherhouse capital. Una sorta di oltraggio per i tradizionalisti già feriti dal passaggio delle più grandi saline marine d’Europa, quelle di Margherita di Savoia in Puglia (con una produzione di 800.000 tonnellate all’anno), alla francese Salins. Basta così. luglio - agosto 2019

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RUMORS E MERCATI

Povera Italia se scivola giù nel rating e il Btp cade nell’inferno “high yeld» di Matteo Ramenghi *

UN DECLASSAMENTO AVREBBE CONSEGUENZE NEFASTE: FAREBBE SCATTARE UN’ONDATA DI VENDITE DAI FONDI «INVESTMENT GRADE»

L

a virata della Federal Reserve verso possibili tagli dei tassi e le indicazioni accomodanti della Bce hanno portato a una contrazione dei rendimenti obbligazionari a livello globale e nell’eurozona, dando sollievo anche ai nostri Btp. Restiamo però ben distanti da quelli che, fino a poco tempo fa, erano i nostri compagni di viaggio. Un titolo di Stato portoghese con scadenza a dieci anni oggi rende meno dello 0,6%, uno spagnolo meno dello 0,4%. Il Btp con medesima scadenza sfiora il 2,1%, a un passo dal corrispondente greco (2,5%). In poche parole il differenziale che paghiamo, lo spread, ormai non è più solo nei confronti dei primi della classe, ma anche nei confronti dei Paesi considerati periferici. Credo che questi pochi dati fotografino in maniera asettica la percezione che il nostro Paese sconta sui mercati e nei consessi internazionali. In effetti in seguito all’introduzione del reddito di cittadinanza e di quota 100 sono arrivati diversi downgrade da parte delle agenzie di rating. L’Italia si trova oggi sul livello più basso del rating ‘Investment Grade’. Scivolare nella categoria successiva, ‘High Yield’, significherebbe far scattare volumi elevatissimi di vendite perché molti fondi ‘Investment Grade’ non possono detenere titoli ‘High Yield’. Una situazione che potrebbe pregiudicare l’accesso ai mercati dell’Italia. Inoltre le scosse di assestamento seguite alle elezioni europee hanno portato alcune forze politiche a riesumare minacce di sforamenti sul deficit e a portare avanti una proposta di emissione dei cosiddetti mini-Bot, vale a dire di titoli di Stato emessi a pagamento di debiti commerciali (che graverebbero sul debito pubblico). Molti operatori di mercato hanno considerato questa misura un escamotage per emettere una sorta di valuta parallela, cosa che in alcuni scenari potrebbe avere potenzialmente riflessi negativi per la permanenza italiana nell’euro. Tutto ciò ha contribuito a far lievitare lo spread, che non è una questione solo per tecnici o per i mercati finanziari perché incide direttamente sull’economia reale: i tassi d’interesse pagati dallo Stato guidano i rendimenti delle emissioni obbligazionarie bancarie e, a cascata, si ripercuotono su tutta l’economia zavorrando la nostra competitività e rendendo più onerosi i progetti di potenziamento della capacità produttiva e le nuove iniziative imprenditoriali. I tentativi di rassicurazione da parte del governo si sono scontrati con le segnalazioni del Fondo Monetario Internazionale e del Teso42

luglio - agosto 2019

Matteo Ramenghi inizia con questo articolo la sua collaborazione con Investire

ro USA che hanno indicato come il debito pubblico italiano sia una fonte di vulnerabilità e che i propositi di aumento del deficit peggiorerebbero la situazione. Ancora di maggior rilevanza è stato il richiamo della Commissione Europea che, a seguito di uno scambio di corrispondenza con il governo M5S-Lega, ha indicato come l’Italia non abbia ridotto l’indebitamento e consigliato all’Ecofin - il Consiglio economico e finanziario che raggruppa i ministri finanziari - di avviare una procedura per violazione per debito eccessivo. Di fatto le regole fiscali dell’area dell’euro richiedono un disavanzo inferiore al 3% del Pil, una convergenza verso un bilancio strutturale in pareggio e una convergenza a lungo termine verso un debito/Pil del 60%. Gli ultimi due parametri probabilmente non saranno raggiunti nonostante gli oneri derivanti dal reddito di cittadinanza e quota 100 si siano rivelati minori del previsto. Alla fine - proprio mentre Investire chiudeva le sue pagine - la trattativa con la Commissione per evitare la procedura si è risolta bene, ma solo grazie ad un sia pur modesto intervento concreto. Le crescenti pressioni sul fronte fiscale, la perdita di influenza nella UE e le tensioni all’interno della coalizione di governo creano insomma condizioni di instabilità che pesano sull’economia italiana e potrebbero portare l’Italia verso elezioni anticipate entro la fine del prossimo anno. La prima finestra per votare è alla fine di settembre, ciò implicherebbe le dimissioni del governo già nella seconda metà di luglio. Se ciò si verificasse, la formazione di un governo più sensibile alle richieste del mercato e delle imprese potrebbe avere un impatto positivo per i Btp e per la borsa italiana. Ma una campagna elettorale in chiave anti-europea allontanerebbe molti investitori dal mercato italiano, almeno fino a che il quadro politico e fiscale risultasse più chiaro. Il margine di sicurezza che separa l’Italia dal rating ‘High Yield’ è ormai risicatissimo, non ci possiamo permettere altre scivolate. * Chief Investment Officer UBS WM Italy


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ASSET MANAGER

Esg, la chiave è nell’integrazione di Marco Muffato

MAINSTREET PARTNERS È TRA I PLAYER (POCHI) IN GRADO DI FORNIRE UN RATING DI SOSTENIBILITÀ SUI FONDI D’INVESTIMENTO

U

no dei parametri per valutare se un fondo comune è davvero sostenibile è osservare come il gestore integra i fattori Esg nel suo processo d’investimento. Come spiega a Investire Rodolfo Fracassi, co-founder & managing director di MainStreet Partners, uno degli operatori che sembra (tra i pochi) ad avere le idee chiare sul magmatico e spesso indecifrabile universo degli investimenti responsabili.

Fracassi, di processo di integrazione Esg se ne sta parlando tanto. Viene davvero utilizzato dai gestori? Le rispondo attraverso una piccola premessa descrittiva su MainStreet Partners. La ragione per cui abbiamo deciso di fare un rating di sostenibilità dei fondi è che non ci siamo limitati ad analizzare le società inserite nel portafoglio del fondo. Noi guardiamo a monte anche altri parametri tra cui il processo d’investimento che svela attraverso quali ragionamenti il gestore è arrivato a scegliere quel determinato titolo. Uno dei parametri è quindi proprio di osservare come il gestore integra i fattori Esg nel suo processo d’investimento. A questo proposito i gestori adottano strategie anche molto diverse tra loro: per esempio c’è il gestore che adotta la soluzione più light comprando il rating Esg e stabilendo che tutti titoli che hanno un rating superiore al rating minimo prefissato debbano andare in portafoglio. E poi ci sono i gestori più evoluti che integrano tutti i fattori ambientali, sociali e di governance proprio all’interno della valutazione della singola azienda. Si tratta di gestori che vanno a valutare i flussi di cassa guardando come i rischi ambientali e sociali possono influenzare quei risultati. Infine ci sono i gestori che considerano solo le aziende che hanno un rating Esg massimo per ogni settore. Dal nostro punto di vista fanno bene perché c’è una relazione molto stretta tra il rating Esg elevato e la qualità del business dell’azienda che si analizza. E l’integrazione Esg come viene utilizzata dai consulenti? Il concetto è che fino a oggi è stato difficile per i cf navigare il mondo dei fondi sostenibili perché c’era poca informazione, poche metriche pratiche facili da capire per compiere scelte efficienti per i clienti. Oggi grazie al lavoro che abbiamo fatto di mettere a disposizione sia il rating di sostenibilità sia la trasparenza dei risultati extra finanziari dell’universo dei fondi Esg è diventato molto più semplice per l’advisor fare le scelte di portafoglio.

Rodolfo Fracassi, co-founder & managing director di MainStreet Partners

Uno dei problemi è trovare un metodo che consenta davvero di valutare ciò che è Esg da quello che non lo è. Esiste? Insomma come si fa a riconoscere i fondi sostenibili? Bisogna fare una differenza tra le agenzie che fanno il rating di sostenibilità della singola azienda e tra le agenzie in grado di fornire rating sui fondi, dove c’è il vero buco di mercato. Ci sono pochi data provider in grado di offrire questo servizio e proprio per questa ragione abbiamo costruito un sistema proprietario per valutare la sostenibilità dei fondi. Si tratta di un vero e proprio modello molto strutturato che essenzialmente analizza il livello di sostenibilità della casa di gestione, del team di gestione, del processo d’investimento e a seguire di tutti i titoli in portafoglio. Diamo una pagella al singolo fondo dopo un approfondimento basato su oltre 100 parametri Esg. In cosa consiste l’accordo con Banca Generali? Con il team di Banca Generali lavoriamo da un anno per costruire un universo di fondi Esg, che oggi è costituito da circa 170 prodotti di cui forniamo il rating nonché le metriche per misurare i risultati sociali e ambientali e l’allineamento ai Sustainable Development Goals delle Nazioni Unite. Per ogni fondo siamo in grado di dire quanta C02 si risparmia investendo in quel fondo rispetto al benchmark, piuttosto che guardare al numero di donne nei cda e anche nel management, altro aspetto per esempio che incide ai fini del rating. Mettiamo a disposizione di Banca Generali tutta una serie di parametri grazie ai quali possono scegliere i fondi sostenibili da inserire nella gamma. In base a questi parametri il consulente peraltro può scegliere quali fondi mettere in portafoglio e può anche allineare i portafogli ai valori e alla sensibilità ambientale e sociale del cliente. Infine con Banca Generali abbiamo realizzato delle gestioni patrimoniali Esg delle quali siamo l’investment advisor. luglio - agosto 2019

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PIANETA IPO

Quelle quotazioni che languono con i nuovi Pir 2.0 di Gloria Valdonio

DRASTICA RIDUZIONE DELLE PMI CHE HANNO DEBUTTATO SUI LISTINI. INCIDE LA MANCANZA DI FLUSSI DAI PIANI INDIVIDUALI DI RISPARMIO

S

enza le Pmi le Ipo languono. E non solo in Italia, ma in tutta Europa. E infatti sul bilancio negativo delle quotazioni registrato nel 2018, e confermato nei primi mesi dell’anno, pesa soprattutto la drastica riduzione del numero di piccole e medie imprese che hanno debuttato sui listini. In Italia per esempio sono state solo sei le Ipo sul segmento Aim nel primo trimestre 2019 con una raccolta davvero modesta di 48 milioni di euro. Secondo gli operatori, per dare linfa ai mercati, i governi europei dovrebbero dare subito nuovo impulso al settore. Un impulso che per l’Italia potrebbe partire dal ritorno a una versione meno vincolante dei Pir, che si sono dimostrati molto efficaci nel favorire la quotazione nel 2017. Venendo ai numeri, in base all’Ipo Watch 2018 di Pwc, il mercato europeo delle Ipo ha visto le quotazioni in calo del 20% in termini di raccolta (36 miliardi di euro contro i 45,1 miliardi del 2017) e numero di operazioni. La contrazione più significativa si è registrata sulla Borsa di Madrid (-80%), seguita da Borsa Italiana (-65%) e da Euronext (-53%). I dati negativi del 2018 sono stati addirittura superati nel primo trimestre 2019, che ha registrato i volumi e i valori più bassi dal 2009 con solo 32 le Ipo in Europa per una raccolta di 0,7 miliardi di euro (il settore più attivo è stato quello dei servizi finanziari, che rappresenta il 64% della raccolta totale) rispetto ai 13,1 miliardi e alle 69 Ipo del primo trimestre 2018. Anche il valore medio delle offerte è drammaticamente diminuito, passando da 44

luglio - agosto 2019

A destra Marco Clerici, co-responsabile dell’investment banking di Equita

190 milioni di euro nel primo trimestre 2018 a soli 22 milioni nei primi tre mesi del 2019.

Europa Per quanto riguarda la performance dell’Europa, il mantra degli operatori è sempre quello: il mercato è in calo a causa di volatilità, Brexit e deglobalizzazione. «Le incertezze geopolitiche hanno indotto negli investitori un atteggiamento di estrema cautela che ha comportato, con riferimento al primo trimestre 2019, un significativo calo delle quotazioni sulle Borse europee sia in termini di numero di operazioni che di valore», afferma Alessandro Loizzo, director capital markets & accounting advisory di PwC. Nonostante le incertezze non siano affatto sfumate non sono poche le aziende che stanno scaldando i muscoli per la quotazione. Infatti, secondo gli operatori, ci sono un paio di novità all’orizzonte che potrebbero avere impatti positivi. La prima arriva dalla Bce, che dovrebbe riattivare nel 2019 nuove operazioni di Tltro che dovrebbero incrementare la liquidità in circolazione e impattare positivamente sui mercati. Si aggiunga il fatto che Mario Draghi (che comunque lascerà la presidenza della Banca centrale a ottobre) non ha escluso un nuovo ricorso al quantitative easing che porterebbe ulteriore ossigeno alle banche e agli investitori istituzionali. La seconda novità arriva dagli Stati Uniti, o meglio dalla Federal Reserve, che sembra aver deciso di tenere i tassi di interesse stabili, e ciò dovrebbe avere un impatto positivo sulle Borse e sul valore dei multipli che gli investitori sono pronti a riconoscere alle società quotate. Italia Per quanto riguarda Borsa italiana, nel corso della primavera si è distinta per un’operazione straordinaria, quella di Nexi che ha raccolto ben 5 miliardi di euro, alla quale si sono aggiunte solo sei piccole operazioni sul mercato Aim nei settori tech e finance


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Nella foto a sinistra Alessandro Loizzo, director capital markets & accounting advisory di Pwc

per complessivi 21 milioni di euro. L’aspetto negativo sono le dimensioni lillipuziane delle operazioni; quello positivo è una relativa vivacità del mercato delle piccole e medie imprese. «Nonostante le difficoltà del settore, si registra un buon numero di piccole e medie aziende che stanno valutando la quotazione sul mercaro Aim nel corso del 2019. Il processo di quotazione sull’Aim, più snello e veloce rispetto al mercato principale, sta aiutando le società di dimensioni contenute a superare il tabù della Borsa», dice Loizzo. Che aggiunge: «Ritengo che il calo delle quotazioni degli ultimi mesi sia in parte riconducibile al fenomeno delle Spac (Special Purpose Acquisition Companies, ovvero veicoli privi di attività operative che hanno lo scopo di reperire, attraverso la quotazione, le risorse finanziarie necessarie per acquisire o fondersi con una società operativa non quotata, n.d.r.) che, soltanto in Italia, nel primo trimestre 2018 avevano raccolto circa un miliardo con sei operazioni e che nel corrispondente periodo del 2019 registrano una singola operazione con raccolta molto contenuta». Eppure le condizioni per la quotazione a Piazza Affari non sarebbero affatto negative: la Borsa è cresciuta del 10% nei primi cinque mesi, ed è più conveniente rispetto alla media europea. Un recente report di Equita mette in evidenza che, rispetto agli indici europei, le MidSmall cap italiane in media sono a sconto del 2%, in linea con i livelli registrati in marzo e gennaio 2019 e contro un premio del 2% nel settembre 2018.

Il blocco dei Pir Previsioni moderatamente negative anche per Marco Clerici, co-responsabile dell’investment banking di Equita, che mette l’accento su un fattore tecnico, che inciderebbe più di altri fattori legati al mercato. «Prevedo che il rallentamento del primo semestre non verrà completamente ribaltato nella seconda parte dell’anno: sarà probabilmente un semestre opaco soprattutto per la mancanza di confidenza degli investitori sulle mid e small cap e per la totale mancanza di nuovi flussi dai Pir», spiega Clerici. Vediamo qual è la portata di questa affermazione. Tra gennaio 2017 e giugno 2018 la raccolta netta dei Piani individuali di risparmio (pari a circa 13 miliardi di euro) ha rappresentato quasi il 70% della raccolta complessiva dei fondi aperti registrati in Italia. Nel secondo semestre 2018 la raccolta Pir è diminuita bruscamente, e i rimborsi sono stati limitati, a causa di incentivi fiscali che incoraggiano gli investitori a detenere investimenti per un minimo di cinque anni. E arriviamo a gennaio 2019, con le sottoscrizioni dei nuovi Pir che si sono completamente arrestate (la raccolta netta nel primo trimentre è stata negativa per 2,2 milioni) a seguito delle modifiche introdotte con l’ultima legge di bilancio, mentre le Sgr non hanno istituito nuovi fondi. Il canale Pir, che secondo stime di Pwc rappresenta circa il 10% dell’attuale flottante Aim, si è interrotto con l’avvio dei Pir 2.0, che obbliga i gestori di questi fondi a riservare una quota del 3,5% al settore del venture capital, introducendo così un elemento di rischiosità non ricercato dal risparmiatore. «A nostro avviso i nuovi vincoli introdotti sono troppo restrittivi, e non vediamo spazio per la crescita dei nuovi Pir a meno che non vengano apportate modifiche alla legge», dice Luigi de

L’attività delle Ipo europee dal 2010 20

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Q1 2011

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Valore ebn

18.0 Q1 2015

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Q1 2018

Q1 2019

Volume delle IPO

100 15 Valor IPO ebn

Il tabù del debito Il mercato in teoria sarebbe attraente per gli investitori, ma le aziende italiane che approdano sui listini si contano sulle dita di una mano. Qual è la ragione? «Dal punto di vista del mercato la situazione italiana è particolarmente delicata, risultando condizionata dall’incertezza delle politiche economiche, anche sul debito pubblico», dice Loizzo. Si tratta del ben noto avvitamento: se l’Italia non attiva politiche espansive non favorisce lo sviluppo e scoraggia gli investitori esteri, ma se attiva politiche espansive aumenta il debito e scoraggia comunque gli invesitori esteri, e così via. A ciò si aggiunge la ciliegina del possibile avvio della procedura di infrazione contro l’Italia, annun-

ciata dalla Commissione europea il 5 giugno, e che ha prodotto l’effetto immediato di fermare qualunque progetto di quotazione per stare a vedere quali saranno le scelte dell’Ue sul nostro Paese. «Se venisse avviata la procedura ci sarebbe un ulteriore freno alle politiche di sviluppo e per le quotande si aprirebbe la strada di altri mercati», è il commento di Loizzo. Con queste premesse, «Nel complesso ci aspettiamo un mercato principale che sarà lento e dormiente anche nella seconda metà del 2019. Mentre l’Aim si mostra più vivace e frizzante con un buon numero di società pronte all’Ipo entro la fine dell’anno, anche se saranno operazioni di piccolo taglio», aggiunge Loizzo.

0

IPO

FONTE: PWC

luglio - agosto 2019

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Bellis, co-responsabile dell’Ufficio Studi di Equita. «Tenuto conto dell’alta incidenza dei prodotti Pir sulla raccolta, c’è il rischio che in futuro parte della nuova raccolta e del risparmio possa essere indirizzata verso fondi europei a scapito dell’Italia». «La nuova normativa sui Pir ha reso inattuabile per i gestori la raccolta, perché li obbliga a investire una porzione significativa dei portafogli in asset illiquidi», dice Clerici. Che aggiunge: «Molte pmi stanno trovando una valida alternativa ai mercati dei capitali nel private equity, che è spesso disposto a pagare multipli superiori a quelli attualmente riconosciuti dal mercato».

Il trionfo del private equity A questo proposito è interessante l’analisi di Franklin Templeton contenuta in un report di giugno relativa al mercato americano delle Ipo. «Oggi», è scritto, «molte società non sentono più la necessità di quotarsi sul New York Stock Exchange, il Nasdaq o un’altra Borsa globale per raccogliere denaro tramite un’offerta pubblica iniziale. Le società della “new economy”, in particolare, riescono più facilmente a ottenere finanziamenti senza entrare nel mercato pubblico e restano quindi private più a lungo». Secondo gli analisti la quotazione può consentire a una società di aumentare rapidamente il capitale raccogliendolo da un vasto numero di azionisti. Ma significa anche che una società deve rispondere a quegli azionisti, attenersi a requisiti normativi sempre più stringenti e dover spendere molto denaro per quotarsi. Non a caso molte società con valutazioni oltre un miliardo di dollari (i famosi “unicorni”) sono ancora private

e nei loro piani non è prevista la quotazione. Non solo. A partire dal 2018 l’età media delle società tecnologiche sostenute dal venture capital al momento dell’Ipo è salita a 10,9 anni rispetto a 7,9 anni del 2006. Inoltre poiché molte società oggi decidono di entrare nel mercato pubblico dopo parecchio tempo di attività, accade spesso che il maggiore apprezzamento del loro valore si verifica prima del lancio della loro Ipo. C’è poi un’altra riflessione da fare: in passato non era affatto insolito per le società – in particlare quelle tenologiche - osservare forti rialzi del prezzo delle loro azioni subito dopo la quotazione in Borsa, ma molte società che più di recente hanno fatto il loro ingresso nel mercato pubblico non stanno registrando lo stesso tipo di apprezzamento post Ipo. «Per questo motivo molte società stanno effettuando aumenti di capitale con più facilità senza quotarsi in Borsa», spiega il team azionario di Franklin Templeton. «Anche se le società non quotate non sono redditizie, spesso gli investitori privati (venture capitalist, nonché investitori indipendenti e fondi comuni) desiderano investirvi in quanto esse possono avere modelli di business nuovi con effetti dirompenti sulle industrie consolidate». Da questo ragionamento sorge la domanda finale: investire in Ipo è una strategia redditizia? La risposta è sempre nel report di Franklin Templeton. «I rendimenti derivanti dalle Ipo statunitensi evidenziano una tendenza al ribasso: i titoli azionari soggetti a Ipo nel primo trimestre del 2018 hanno registrato rendimenti medi del 15% nell’anno successivo all’Ipo, meno della metà della media del 34% e del 39% evidenziata rispettivamente nel 2017 e 2016».

LE IPO DEL 2019 SULL’AIM SETTORE

SUB SETTORE

Industrial

Packaging

Neoexperience

Experience

Digital Customer Experience

Gear

Financials

SPAC

Maps

Technology

Società Editoriale Il Fatto

DESCRIZIONE ATTIVITÀ

MERCATO

DATA IPO

RACCOLTA IPO (EM)

Società innovativa attiva nel settore del packaging con un’ampia gamma di macchine e soluzioni tecnologiche per il confezionamento di prodotti alimentari, non alimentari e medicali

AIM

15/02/19

5,3

PMI innovativa italiana che opera come software vendor nel settore della Digital Customer Experience

AIM

20/02/19

4,1

SPAC

AIM

26/02/19

30,0

Digital Trasformation

PMI innovativa attiva nel settore della digital transformation, attraverso la progettazione, produzione e distribuzione di software per l’analisi dei big data, necessari alle realtà aziendali per la pianificazione delle attività

AIM

07/03/19

3,5

Consumer Service

Editoria

Media content provider ed editore de Il Fatto Quotidiano e di diversi prodotti multimediali ed editoriali

AIM

14/03/19

2,9

Crowdfundme

Financials

Fintech Crowdfunding

CrowdFundMe S.p.A., portale di equity crowdfunding che offre alle Start Up e alle PMI innovative un metodo di finanziamento alternativo, proponendo a investitori retail e professionali la possibilità di investirvi in modo semplice

AIM

25/03/19

3,5

AMM

Technology

Digital Services

AMM, azienda attiva nel mobile marketing e nel web advertising, che offre alla clientela B2B servizi di messaggistica istantanea, Chat Box e pubblicità on-line

AIM

30/04/19

2,8

SOCIETÀ Ilpra

FONTE: PWC

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luglio - agosto 2019



ASSET MANAGEMENT

Un italiano a Parigi ha insegnato ai francesi il valore del rischio di Giuseppe Corsentino

I

l palazzo settecentesco, l’hôtel particulier appartenuto ai marchesi de la Fare, sul lato nobile della nobilissima e bellissima Place Vendôme, con il grande portone dipinto di blu e le enormi finestre bianche con le tendine color crema che si affacciano sulla piazza, è come la sintesi architettonica di quel che è stata e di quel che è la più grande banca del mondo, la JPMorgan, qui in Francia. Prima banca americana a sbarcare in Europa, a Parigi, nel 1868 (150° anniversario l’anno scorso, dunque), alla vigilia della feroce guerra franco-prussiana e prima banca internazionale a finanziare, con un prestito obbligazionario di 250milioni di franchi, le ultime ambizioni imperiali di Napoleone III affossate, come si sa, nella piana di Sedan nel 1870. Neanche mezzo secolo - ora siamo nel 1916 - e la République del premier Briand e del generale Joffre avrebbe avuto bisogno, per resistere ancora una volta ai prussiani, dei prestiti di JPMorgan. Che, dice la leggenda, si fece ripagare in tutto o in parte con il palazzo settecentesco di place Vendôme dove oggi, almeno sull’asset management, comanda un italiano, Pietro Grassano, piemontese di Novi Ligure, da cinque anni direttore generale e country manager del colosso americano dopo un lungo periodo di apprendistato a JPMorgan AM Italia e il rodaggio manageriale in Andersen Consulting (vedi box in basso a pagina 45).

Monsieur Grassano, la leggenda del palazzo JPMorgan mi dà il pretesto per la prima domanda: se oggi ci fosse John Pierpont Morgan farebbe credito alla Terza Repubblica (chiamiamola così) italiana? Premessa: io mi occupo esclusivamente dell’asset management, del risparmio gestito, e non dell’attività bancaria, ma se il suo è un divertissement, un gioco storico, risponderei di sì anche se la domanda andrebbe posta al mio omologo italiano. Io, da cinque anni ho la testa solo sul mercato francese, un mercato enorme che in termini di attivi vale, secondo certe stime e non considerando i depositi bancari e le tesorerie aziendali, oltre quattro trilioni di euro ma che, purtroppo, destina solo una frazione minima - 300 miliardi di euro - all’investimento finanziario attraverso gli strumenti dell’industria dei fondi comuni d’investimento in un’ottica contendibile, cioè aperta al mercato fuori da logiche “captive” di scuderia. In Italia questa industria del risparmio vale più del doppio, almeno 800miliardi di euro. Per questo lei dice che, se fosse vivo, JPMorgan, il banchiere che ha fatto la storia di Wall Street, non esiterebbe ad aprire le sue linee di credito alla Repubblica Italiana anche in era grillo-leghista? Ripeto, il mio target, il mio lavoro, il mio mercato è la Francia di cui ora le parlerò. Ma da italiano a Parigi, detto senza ironia, non posso non osservare anche a distanza che il mio Paese, dove prima o poi penso di ritornare, ha uno “stato patrimoniale” invidiabile che gli analisti, tutti presi dalla nevrosi del debito pubblico, fanno 48

luglio - agosto 2019

fatica a mettere a fuoco. Tradotto in cifre, che cosa vuol dire “stato patrimoniale” invidiabile? Quello che si sa già: un debito privato inferiore alla media europea, circa il 60%; un export che genera ogni anno 500miliardi di fatturato e un surplus della bilancia commerciale di 40 miliardi; una ricchezza finanziaria privata, delle famiglie, che supera i 10mila miliarPIETRO GRASSANO di. E infine,un avanzo primario pari all’1,6% del pil. Difficile credere che un Paese così, al netto di tutte le turbolenze politiche, non possa recuperare un “merito del credito” rispettabile. La Francia però ne ha uno molto più alto. È vero, ma questo è un Paese molto più strutturato, che fa sistema da secoli, accentrato e colbertista. Per dire, se guardiamo all’interazione tra sistema industriale e mercato finanziario, fino ad arrivare alla gestione del risparmio, faccio fatica a credere che questo modello francese, che alla fine è finanziato dalle tasse e che stenta ad allocare capitale all’economia reale, sia in grado di dare molte soddisfazioni agli investitori che cercano diversificazione anche geografica e performance finanziaria nel lungo periodo. Non a caso molti sforzi di riforma del presidente Macron cercano di andare proprio in questa direzione. Per JPMorgan, per la sua cultura finanziaria anglosassone, una bella sfida e una gran fatica. L’Italia, tutto sommato, è un terreno più agevole. Guardi che noi non vendiamo prodotti finanziari ai risparmiatori, non abbiamo una rete come le grandi banche tipo BnpParibas o Societé Générale. I nostri venti collaboratori nell’asset management, su un organico complessivo della banca di circa 250 dipendenti, trattano essenzialmente con i partner istituzionali, banche commerciali e società finanziarie, a cui offriamo un bouquet di prodotti che, visti i risultati, sono abbastanza apprezzati. E quali sono questi risultati? In Francia, a differenza che in Italia, non ci sono graduatorie e ranking ufficiali e riconosciuti, nello stile dei paper di Assogestioni per intenderci, e anche questo mi sembra un indicatore di una certa differenza nella trasparenza tra i due mercati. Ma i risultati? Incrociando varie fonti JPMorgan France si piazza al terzo posto, per attivi, e al secondo a 12 mesi per raccolta lorda e netta, tra gli operatori che come noi distribuiscono esclusivamente


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attraverso reti non proprietarie. Cinque anni di “cura Grassano” saranno pur serviti, immagino. Al terzo posto dopo l’inglese M&G e la svizzera Pictet. Non spetterebbe a me dirlo, ma più che una cura io ho fatto una piccola rivoluzione “pop”. Nel senso che ho preso una struttura e un’equipe con la testa molto francese, cioè con una visione e uno stile da grand commis della pubblica amministrazione e ho provato a trasformarle in un team, in una squadra che ora lascia l’ufficio, incontra i clienti, raccoglie suggerimenti e sensazioni, interfaccia le nostre fabbriche di prodotto che stanno in Lussemburgo, a Londra e in tutte le altre piazze finanziarie internazionali. Risultati? Trattiamo con maggiore scioltezza e facilità con gli istituzionali, il mondo del wholesale, i distributori retail - sempre in ottica B2B -, vinciamo mandati importanti, mettiamo in campo prodotti nuovi, frutto di una più moderna capacità di ascoltare il mercato. Può fare un esempio? Il nostro nuovo fondo Global Income, un insieme di attivi azionari selezionati dai nostri esperti tra quelli che hanno un flusso continuo, non episodico intendo dire, di dividendi e di cedole. Un modo per assicurare un rendimento anche in un periodo di tassi ai minimi, come si sa. Global Income, mi lasci dire, è stato un buon successo negli ultimi cinque anni anche qui in Francia, in un mercato che - come le spiegavo prima - non ha una vera attitudine al rischio e va cercando la sua remunerazione su altre strade. Quali? L’ottimizzazione fiscale. Essendoci qui un’elevata pressione tributaria - non dimentichi che la super-patrimoniale, la cosiddetta Isf-Impôt de solidarité sur la fortune, che tassava tutti gli attivi al marginale, è stata abolita neanche due anni fa dal presidente Macron - l’obiettivo del risparmiatore è ridurre legalmente il peso delle tasse e garantirsi così un rendimento minimo. Lo strumento-chiave in questa strategia finanziaria è rappresentato dalle polizze assicurative “Fonds Euro” (polizze di ramo primo, n.d.r.) che danno in media un rendimento dell’1,8% con garanzia e liquidità quotidiane. È evidente che in ambiente come questo chi fa la differenza non è il bravo banker capace di interpretare i mercati per il cliente, ma il bravo ingegnere patrimoniale, figura professionale quasi inesistente in Italia, un ircocervo con competente finanziarie e giuridico-fiscali. Insomma, un occhio alla Borsa e ai mercati e un occhio al Codice civile e alle norme tributarie, agli scaglioni d’imposta, alle detrazioni-deduzioni. Sì, ma non siamo davanti ad un monolite anche se le polizze assicurative, gratta gratta, sono piene di titoli di Stato francesi. Diciamo che è in atto una forma di evoluzione darwiniana del mercato francese, con più spazio per le polizze Unit Linked - in cui è l’investitore finale a essere esposto alla coppia rischio/rendimento del sotto-

stante- e che in questa fase JpMorgan ha trovato il suo ambiente migliore, le sue occasioni di crescita. Sta dicendo che il risparmiatore francese, finora protetto dalla rete assicurativa o dal Livret A, il mitico libretto a risparmio per le fasce più basse, comincia a fare i conti con tassi, spread, rischio cambio, recessione, inflazione e deflazione e tutti gli altri indicatori del mercato finanziario? Diciamo che siamo dentro questo processo. Anche se la complessità e, se vuole, l’unicità del mercato francese, non sono di per sé un dato tutto negativo. Il risparmiatore italiano, talvolta, dietro la patina della modernità nasconde qualche istinto predatorio. Torniamo all’America ora di Trump che cresce del 3% in un mondo pieno di affanni. È per questo che il suo grande capo, Jamie Dimon, si dice certo che nel 2019 non ci sarà nessuna recessione? Anch’io la penso come mister Dimon e non perché è il mio grande capo come dice lei. Il mondo scoppia di debiti sovrani, è vero, Italia in testa, ma i fondamentali economici sono tutti in positivo. Le guerre commerciali tra potenze vecchie come gli Usa e nuove come la Cina danno l’impressione di essere come un teatro shakesperiano animato dagli attori più navigati in cerca, soprattutto, dell’applauso della propria platea. In realtà, secondo i nostri analisti le guerre commerciali non peseranno più dell’1% sul pil mondiale che nel corso del 2019 è dato comunque in crescita del 2,6%. Dunque, è il momento di investire… Direi di sì. A mio parere è il momento di investire con una logica di pianificazione, attraverso fondi Multi-Asset e bilanciati, che combinino la cautela delle obbligazioni con la partecipazione alla crescita consentita dagli attivi azionari. Come sempre, il rischio è il prezzo per un rendimento, e il rendimento è il premio per un rischio. Questa fase non fa eccezione rispetto a questa regola di base dell’economia. Siamo arrivati alla fine di un ciclo - quello del denaro a costo zero - e quindi prima o poi i tassi cresceranno... Probabilmente ci sarà più volatilità. Ma anche il recupero di una situazione più normale, in cui il capitale possa avere una produttività marginale – e quindi una remunerazione – positiva. La fine dell’era della cosiddetta “repressione finanziaria”, insomma. E i fondamentali potranno recuperare il loro ruolo nella riflessione degli investitori. Questo discorso vale anche per i mercati europei? Anche la vecchia Europa, se le tensioni geopolitiche non faranno sfracelli, non sembra dal punto di vista dei fondamentali dare eccessivi segnali di allarme. Pensi che perfino i fondi pensioni giapponesi, come a dire il massimo della prudenza, hanno cominciato a investire in bond dei principali stati europei. Certo, se ci fossero i bond europei come chiedeva, a suo tempo, il ministro Tremonti… Quella è un’altra storia. Ne parliamo la prossima volta.

PIETRO CHE HA SCELTO ECONOMIA PER NON DELUDERE MAMMA E PAPÀ

Pietro Grassano, che oggi guida il “métier” di asset management del colosso JpMorgan in Francia, ha scelto di studiare economia (alla Bocconi, corso di laurea in DES, Discipline economiche e sociali) per far felici entrambi i genitori, il padre Giuseppe insegnante di lettere al liceo di Novi Ligure e la mamma Olga insegnante di matematica. Dopo la

Bocconi Pietro Grassano è a Bruxelles a occuparsi, per un paio d’anni, di trading di materie prime, quindi a Milano prima in Andersen Consulting (consulenza finanziaria, per alcuni progetti di Benetton) e poi in Bnp Paribas, dal 2002 direttore commerciale dell’asset management. Da qui a JpMorgan Italia e, dal 2014, a Parigi direttore generale dell’asset

management. Per cui, alla fine, sono più di vent’anni che Grassano, il bambino che non voleva scegliere tra studi letterari e studi matematici, si occupa di risparmio gestito. Gli piace e vuole continuare a farlo, ma da un’angolazione ecologicoambientale. Perché, dice, il pianeta ha bisogno di molti denari, del risparmio dei suoi abitanti per salvarsi. luglio - agosto 2019

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L’INDAGINE AIFI-KPMG

Performance in grande crescita per le attività di private equity di Annalisa Caccavale

È

dal 1996 che ogni anno Kpmg insieme ad Aifi conduce un’indagine annuale per monitorare le performance che realizzano i fondi di private equity e venture capital attivi in Italia. Grazie a questo studio negli anni si è potuto realizzare un quadro che mostra l’andamento del mercato italiano in questo settore e il suo stato di salute, nonché tendenze e possibili dinamiche evolutive. Il 2018 è stato un anno record per l’ammontare investito dal private equity e anche i ritorni sugli investimenti hanno mostrato segnali positivi. Le performance dei fondi, considerando i disinvestimenti realizzati nel 2018, a prescindere dall’anno dell’investimento, segnano infatti un 16,9%, con una crescita im50

luglio - agosto 2019

LA RICERCA HA COINVOLTO 83 OPERATORI E 105 DISINVESTIMENTI REALIZZATI NEL CORSO DEL 2018. IL QUARTILE SUPERIORE HA OTTENUTO RENDIMENTI DEL 49,3% CONTRO IL 42,2% DELLO SCORSO ANNO portante rispetto al 12,5% registrato lo scorso anno. Questo è quanto emerge dalla ricerca che ha coinvolto 83 operatori e 105 disinvestimenti realizzati nel 2018. Guardando i dati nello specifico, a determinare tali risultati è stata la presenza di alcune operazioni con performance particolarmente positiva, nonostante la crescita dell’incidenza delle operazioni svalutate o con rendimento negativo. In particolare il quartile superiore per performance ha registrato un rendimento pari al 49,3%, contro il 42,2% dell’anno precedente. Da sottolineare che sono state mappate 12 operazioni, in crescita rispetto alle 9 del 2017, i cui rendimenti sono stati superiori al 100%. Guardando alle aziende disinvestite dal punto di vi-


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sta del loro fatturato, le exit del 2018 hanno riguardato prevalentemente impese medio piccole con un fatturato al di sotto dei 50 milioni di euro, che rappresentano il 70,2% del campione, con un rendimento registrato pari al 16% (13,6% l’anno precedente). Le operazioni in imprese con un fatturato compreso tra 50 e 250 milioni di euro (26% del campione) sono state caratterizzate da un rendimento del 21,2% (8,6% nel 2017), mentre quelle in aziende di grandi dimensioni, con un fatturato oltre i 250 milioni (3,8% del numero totale), hanno registrato una performance del 12,2%, in linea con il 2017 (13,1%). Sul fronte della tipologia di operazione, i buyout, pur essendo diminuiti numericamente (passando da 32 a 22), sono cresciuti in termini di rendimento, che si è attestato a 16,9%, contro il 13,4% del 2017. Anche le operazioni di expansion, pur rimanendo costanti nel numero, migliorano significativamente in termini di performance (17,7% nel 2018 contro 6,3% nel 2017) e registrano il rendimento più alto dal 2013. Infine la categoria delle imprese in fase di early stage, storicamente interessata da elevata volatilità e da rendimenti negativi, nel 2018 ha registrato un IRR pari al 4,4%, positivo per il terzo anno consecutivo. Guardando alla tipologia di operatore, nel 2018

gli operatori domestici non bancari (tipicamente sgr e investment company), hanno registrato una performance positiva e sostanzialmente stabile rispetto all’anno precedente, ottenendo un rendimento del 10% (10,5% nel 2017), mentre i fondi internazionali, grandi protagonisti degli investimenti in Italia nel 2018, hanno registrato una performance del 25,5% (in crescita rispetto al 13,3% del 2017). La survey annuale però guarda anche alle performance sulla base di un orizzonte temporale, in particolare a tre, cinque e dieci anni, considerando tutti gli investimenti effettuati nell’orizzonte temporale di riferimento, indipendentemente dal fatto

LE OPERAZIONI OTTENGONO ECCELLENTI PROFITTI CHE SODDISFANO GLI INVESTITORI E LE IMPRESE. QUESTE ULTIME CRESCONO CON UN IMPATTO MOLTO POSITIVO SUL TERRITORIO DI RIFERIMENTO

che siano stati disinvestiti o risultino ancora in portafoglio. Focalizzando l’attenzione sull’orizzonte a dieci anni, il più significativo dal punto di vista statistico, si osserva un lieve aumento in termini di rendimento (12,8% nel 2018 contro 12,5% nel 2017), principalmente dovuto all’uscita dall’orizzonte degli investimenti effettuati nel 2008 caratterizzati da bassi rendimenti. Insomma, guardando ai numeri, il private equity lavora bene, realizza buone performance e ottiene eccellenti rendimenti che soddisfano gli investitori e le imprese che, grazie al loro apporto, crescono e permettono anche un impatto economico positivo sul territorio. Il trend degli ultimi anni di analisi, dice questo, tra un anno vedremo se sarà ancora così o se qualcosa, nel frattempo, è cambiato.

RENDIMENTO LORDO PER SCADENZE TEMPORALI

Yearly Pooled IRR 3YR

Yearly Pooled IRR 5YR

Yearly Pooled IRR 10YR

23.9%

18.0% 15.0% 12.5% 12.8%

12.2% 8.9%

9.3%

9.0%

10.0%

2018

2014

8.8% 8.6%

7.0% 5.1% 2.6%

2014

2015

2016

2017

2018

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FONTE: AIFI-KPMG CORPORATE FINANCE

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PRODOTTI a cura di Francesco Bellizzi FONDI FONDI

CERTIFICATI

L’OBBLIGAZIONARIO CHE INVESTE SUL CREDITO

LA CORSA EUROPEA ALL’ECONOMIA CIRCOLARE E IL CERTIFICATO DI EXANE DERIVATES

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a notizia è di marzo scorso. Il primo rapporto nazionale realizzato dal “Circular Economy Network” e Enea ha aggiudicato all’Italia il primo posto della classifica delle cinque principali economie europee. Un dato positivo che, però, è accompagnato da un altro negativo. Se la seconda classificata, il Regno Unito, nel 2018 ha acquisito 90 punti e la terza, la Germania, ben 88, il Bel Paese si è arenato a 1 punto in più. Anche la quarta classificata, la Francia, ha fatto meglio di noi nell’ultimo anno guadagnando 87 punti. Lo stesso vale per la quinta classificata, la Spagna, con un miglioramento di 81 punti. Il rischio è quindi quello di scivolare giù nella lista dei paesi impegnati sul fronte dell’economia circolare. Di certo la finanza ha un ruolo importante, ricoprendo il ruolo di attrattore di capitali per progetti di economia auto-riciclabile. Si inquadra in questo contesto il nuovo certificato, Tracker Ecpi Circular Economy Leaders presentato il 18 giugno da Exane Derivates. Il prodotto della società milanese garantisce un’elevata diversificazione geografica rimanendo concentrato nei Paesi ad alta capitalizzazione. Usa, Giappone, Francia, sono i mercati più rappresentati all’interno del certificato, sia in funzione della capitalizzazione e sia per via della più rapida e consolidata diffusione delle prassi di economia circolare. Il nuovo certificato è negoziabile con liquidità giornaliera su EuroTLX a partire da 1 Certificato dal valore nominale di 100 euro. Il Tracker ECPI Circular Economy Leaders è emesso da Exane Finance e garantito da Exane Derivatives (rating di Moody’s: Baa2; rating di S&P: BBB+ ) e ha, come sottostante, l’indice Ecpi Circular Economy Leaders, creato da Ecip. La Ecpi, nata nel 10997, si occupa dell’indicizzazione di investimenti sostenibili e della selezione delle aziende che rientrano nella sfera dell’economia circolare. La scelta delle realtà da inserire negli indici si basa partendo dall’analisi delle azioni concretamente sostenibili che porta alla valutazione del rating Esg, assegnato in base ad un protocollo di ricerca proprietario di Ecpi. Quelle con il rating più alto vengono inserite e indicizzate nell’indice. Spiega Antonio Manfrè, cross asset investment solutions sales di Exane Derivatives.:«Il riciclo e l’efficiente uso e ri-uso delle risorse sono cardini di sostenibilità da cui il mondo non può prescindere. Ecpi è leader nel campo degli indici Esg tematici e noi di Exane Derivatives, attraverso il certificato sul suo indice abbiamo voluto dare ai nostri clienti la possibilità d’investire in questa tematica nella quale crediamo molto». 52

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C

armignac ha di recente registrato il suo fondo Ucits, Carmignac Portfolio Unconstrained Credit. Lo strumento obbligazionario investe in strategie di credito a livello globale ed è disponibile in Lussemburgo, Svizzera, Germania, Austria, Spagna, Francia, Italia, Belgio e Singapore. L’obiettivo è sovraperformare l’indice di riferimento su un orizzonte di investimento minimo consigliato di due anni. Il fondo è gestito con una strategia flessibile e opportunistica e con un’esposizione decorrelata dagli indici ma basata sulle conviction degli specialisti dell’azienda. Un approccio tipico delle gestioni attive. Carmignac Portfolio Unconstrained Credit è co-gestito da Pierre Verlé, responsabile del credito, e Alexandre Deneuville, gestore obbligazionario. I due vengono coadiuvati da un team ampio, costituito da 12 specialisti tra gestori e analisti esperti in ambito obbligazionario. Le loro competenze sono focalizzate sulle obbligazioni corporate investment grade e high yield nei mercati sviluppati ed emergenti al credito strutturato. L’approccio unconstrained consente di guardare oltre il consensus e di ricercare driver di performance, selezionando i titoli meno scambiati nei quali l’azienda vede valore. Per assicurare la massima flessibilità il fondo investe nell’intera asset class del credito, associando un’approfondita analisi macroeconomica a una selezione bottom-up per conseguire un profilo di rischio/rendimento ottimale sull’intero ciclo del credito. Per ottimizzare la gestione del rischio, la struttura del portafoglio riflette le view del gestore e l’analisi di mercato, in maniera indipendente dall’indice ma ancorata a una base qualitativa e quantitativa. Questo permette di adeguare la strategia a scenari che possono mutare nel tempo.

ODDO BHF, L’AZIONARIO PUNTA I MEGATREND

D

a metà giugno il fondo azionario è disponibile anche per la distribuzione in Italia. Parliamo di Oddo Bhf Polaris Balanced, attualmente è valutato 5 stelle da Morningstar, è uno dei fondi su cui l’asset manager franco-tedesco punta di più. In ordine di tempo è il secondo prodotto della gamma Polaris che sbarca sul mercato italiano. Il primo è stato Oddo Bhf Polaris Moderate, di cui la registrazione nel Bel Paese risale ad aprile. Polaris Balanced presenta un’esposizione azionaria compresa tra il 35% e il 60%, è gestito da Oddo Bhf Am Lux, con la consulenza di Oddo Bhf Trust. Questa società, rientrante in Oddo Bhf AG di Francoforte, lo scorso febbraio ha ricevuto per la seconda volta consecutiva il premio come miglior gestore patrimoniale a 1 e 5 anni, rilasciato dall’istituto di rating indipendente Firstfive. Tutti i fondi della gamma Oddo Bhf Polaris hanno un approccio che si concentra su società di alta qualità, con potenziale di crescita e valutazioni attraenti. Si punta sui trend più promettenti: digitalizzazione; invecchiamento della popolazione; le evoluzioni socio-economiche della classe media; le tendenze nei consumi. I titoli sono selezionati sulla base di analisi aziendali fondamentali. La famiglia di fondi ODDO BHF Polaris è composta da quattro fondi con un Aum complessivo che supera di poco 1,8 miliardi di euro. Il processo di investimento si concentra sulla gestione del rischio e sulla selezione mirata di titoli azionari di Europa e Stati Uniti.


Barabino & Partners Design


SEDIE & POLTRONE di Marco Muffato Casacche che si scambiano, volti noti che passano da un ruolo all’altro: il valzer delle poltrone è intenso nella finanza, dove vige ancora il merito e dove chi rende bene viene promosso o ricoperto di offerte allettanti. Agli HR il compito di attrarre i talenti, a noi quello di raccontare il risiko, oltre a notizie e indiscrezioni su un mondo ricco di costanti novità.

MANNOCCHI E D’AMICO CRESCONO IN SOCIÉTÉ GÉNÉRALE

C

ostanza Mannocchi (nella foto) è stata nominata head of exchange traded products in Italia. Basata a Milano, Costanza riporta a Didier Imbert, head of exchange traded solutions for Europe, e a Roberto Pecora, head of global markets in Italia. Nel suo nuovo ruolo Costanza guiderà la piattaforma di prodotti di Société Générale in Italia quotati presso Borsa Italiana. Alessandro D’Amico è stato nominato head of cross asset distribution sales in Italia.

Basato a Milano, Alessandro riporta a Roberto Pecora e Frederic Despagne, head of cross asset distribution for Europe (ex-France). In questo ruolo guiderà lo sviluppo dei prodotti di Societe Generale e dei rapporti con gli intermediari distributori con sede in Italia. Mannocchi e D’Amico hanno preso il posto di Marcello Chelli e Vincenzo Saccente, diventati rispettivamente European head of distribution and retail e head of sales per i Lyxor Etf.

BANOR CAPITAL PRENDE RANIA

B

anor Capital ha annunciato l’ingresso nel suo team di Gianmarco Rania (nella foto) , in qualità di head of equities e portfolio manager con focus sul mercato azionario europeo. Da oltre 15 anni all’interno del mondo del risparmio gestito, Rania ha maturato una significativa esperienza nella gestione di fondi azionari e di patrimoni individuali per diverse società dell’asset management. Ha iniziato la sua carriera nel 2002 in Pioneer Investments come equity portfolio manager per poi lavorare in Caxton Associates, Exor e Azure Wealth, dove ha gestito varie strategie su mercati azionari europei. Più recentemente ha ricoperto la carica di chief investment officer in Hywin Wealth.

LOMBARD ODIER IM INGAGGIA REDAELLI

L

ombard Odier Investment Managers ha nominato Andrea Redaelli (nella foto) nel ruolo di senior sales distribution. Laureato nel 2010 in Finanza all’Università Bocconi di Milano Redaelli, 33 anni, lavorerà insieme a Giancarlo Fonseca, head of distribution, per sviluppare il canale retail, in particolare reti di consulenza finanziaria e private banking, per la branch italiana del gruppo svizzero. Redaelli proviene da BlackRock dove negli ultimi 8 anni ha ricoperto diversi ruoli, da ultimo come sales nel team retail con focus sulla clientela Wholesale e responsabilità su mercati esteri quali Grecia e Malta.

FIORAVANTI ENTRA IN BANCA FINNAT

I

l private banker Lorenzo Fioravanti (nella foto) si unisce al team private di Banca Finnat. Lavorerà all’interno della direzione commerciale, per la squadra di Alessandro Mansueti nella filiale di Via Piemonte 127 a Roma. Fioravanti ha iniziato la sua carriera in Banca Commerciale Italiana nel 1993, per poi approdare in Banca Intesa

fino al 2005, ricoprendo ruoli di responsabilità nella gestione della clientela di elevato standing. Dal 2005 al 2008 ha lavorato poi in Intesa Sanpaolo Private Banking e in seguito in Santander Private Banking, inglobata successivamente in Ubs Europe, dove è rimasto fino a oggi con il ruolo di associate director wealth management.

NEUBERGER BERMAN, COSIO PER EMEA E AMERICA LATINA

N

euberger Berman ha annunciato l’ingresso di Jose Cosio (nella foto) nel ruolo di head of intermediary clients per tutta l’area Emea e America Latina, riportando direttamente a Dik van Lomwel, responsabile della regione. Cosio proviene da un competitor come Alliance Bernstein, dove ha ricoperto vari

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ruoli di senior business development, tra i quali più recentemente quello di managing director global intermediaries per Regno Unito, Medio Oriente e Nord Africa e Sud Europa. Ha maturato 18 anni di esperienza nei servizi finanziari, lavorando anche per Wachovia Securities e Old Mutual Bermuda.



POLE POSITION

a cura di Buddy Fox

GLI ATTACCHI ALLE PETROLIERE COME LO SCHIAFFO DEL SOLDATO

Q

uattro più due fanno sei. Gli attacchi alle petroliere nel Golfo persico paiono una riedizione truce dello schiaffo del soldato, un gioco un tempo diffuso nelle caserme. Il giocatore estratto a sorte voltava le spalle al gruppo con il palmo di una mano rivolto verso gli altri partecipanti, i quali lo colpivano uno schiaffo, più o meno consistente. Se indovinava, il colpitore prendeva il suo posto. Spesso capitava che il gruppo si mettesse d’accordo e al malcapitato toccava subire un numero imprecisato di colpi. È stato l’Iran, affermano gli americani. Proprio nel momento in cui l’amministrazione USA pare indecisa tra l’intraprendere azioni punitive o dare vita a iniziative diplomatiche inattese sulla falsariga dell’apertura concessa alla Corea del Nord nei mesi scorsi. L’Iran, come nel gioco da caserma, naturalmente nega qualsiasi responsabilità. Anche se è un fatto che il prezzo del petrolio è immediatamente schizzato all’insù: inevitabile pensare a un calcolo degli ayatollah per compensare l’effetto delle sanzioni USA sul loro export. Altro fatto incontestabile è la recrudescenza delle azioni militari nello Yemen condotte dalle milizie sciite fedeli a Teheran, in particolare gli attentati agli oleodotti sauditi, l’odiato nemico sunnita.

Scoppierà una nuova guerra del Golfo, la terza? Mentre oggi il governo islamico di Teheran introduce un ulteriore motivo di tensione annunciando che non intende rispettare le quote di produzione di uranio arricchito, assistiamo come al solito sbigottiti e impotenti all’ultimo in senso temporale paradosso che la Storia con la “esse” maiuscola ci apparecchia. Gli Stati Uniti muovono la Quinta Flotta a presidio di una regione dove non hanno più alcun interesse commerciale essendo diventati completamente autonomi dal punto di vista energetico. Sono trascorsi quarant’anni dal triste trionfo della rivoluzione komeinista e dall’occupazione della Grande Moschea della Mecca da parte di integralisti sunniti che tanto terrorizzò i governanti sauditi. Prese le mosse allora un tragico domino i cui effetti continuano anche oggi. Uno “schiaffo” tra opposti fondamentalisti religiosi che continua a coinvolgere il mondo intero. E che costringe anche il riluttante Trump a continuare il mestiere di gendarme del mondo. Il petrolio rimane sempre oggetto di contesa, lo dimostrano i prezzi che rimangono tutt’ora su livelli sostenuti, a dimostrazione che la materia prima è ancora di difficile sostituzione. Gli ideologhi del “peak oil” e i fanatici seguaci di Greta dovranno pazientare ancora.

CARI TEDESCHI, I DEBITI NON SEMPRE SONO UNA COLPA

F

orse la colpa è di Lutero. Il frate ribelle che sancì il distacco da Roma affiggendo sulla porta della chiesa di Wittenberg 95 tesi incendiarie nel lontano 1517. Anche allora il motivo scatenante fu il debito e il sistema delle indulgenze, l’astuta tecnica di finanziamento inventata dalla Chiesa Cattolica. Di certo non è un caso che il lemma tedesco “Schuld” possa significare sia “colpa” che “debito”. Più precisamente, la parola “Schuld” al singolare è usata soprattutto per parlare di “colpa”, mentre il suo plurale – “Schulden” – può anche significare “debiti”. Insomma non se esce: per i severi tedeschi riformati il debito, i debiti sono una colpa non una necessità. 56

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Inevitabile pensare alle dichiarazioni del sino a oggi silente Paolo Savona, l’ottuagenario nuovo presidente della Consob, ex ministro degli Affari europei, economista ritenuto da alcuni pensatore raffinato. Nella sua relazione ai mercati ha sottolineato come il risparmio italiano, pari a circa 16mila miliardi di euro, sia una garanzia per l’Italia nonostante l’imponente debito pubblico di 2300 miliardi. Sempre secondo Savona non esisterebbe un rapporto ideale tra debito pubblico e Prodotto interno lordo. Di conseguenza se il Pil crescesse più del debito, non ci sarebbero grossi problemi, poiché il risparmio degli italiani è sei volte più grande del debito. La tesi sostenuta da Savona è simile a quella di Tremonti, rilanciata recentemente anche dal Governatore della Banca d’Italia: la creazione di un titolo di Stato europeo, uno strumento per fare nuovo debito. Una strada decisamente inusuale rispetto al credo ufficiale. La domanda che conta è tuttavia un’altra: fare altro debito non è, ci perdoni Lutero, un peccato in sé. Dipende da come lo si intende usare. Fare debito per assumere più dipendenti pubblici, per sostenere il Reddito di cittadinanza, fare debito per finanziare imprese decotte e moribonde strangola l’economia sana, quella vitale e innovativa. Se è vero che il risparmio degli italiani copre abbondantemente il debito, la scelta da compiere è la stessa che riguarda il così detto buon padre di famiglia: vendere l’argenteria e i gioielli di famiglia per giocare ai cavalli oppure per far studiare i propri figli? Fare debito per creare valore o per comprare consenso sociale, le moderne indulgenze? Lutero, da bravo frate agostiniano, non avrebbe dubbi.


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L’ILLUSIONE DELLA NEW ECONOMY

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a che mondo è mondo l’uomo ha sempre avuto la curiosità di viaggiare. Ma mai come oggi, con le piattaforme online, il mondo ci appare così vicino, friendly, a portata di ogni tasca. È il processo di democratizzazione che pensiamo il web stia imprimendo ai modelli di business. Ma abituarci all’idea che sia un diritto sacrosanto che con un click, e tutti abbiamo la possibilità di un click visto che al mondo ci sono più sim che persone, possiamo andare a Pechino o a Omaha spendendo pochissimo, affermerà il diritto sacrosanto di questi soggetti a disintermediarsi dalle responsabilità

sociali, ambientali e fiscali. Booking.com, la società olandese dal valore di 77 miliardi di dollari, solo in Italia incassa commissioni per circa 800 milioni ma in virtù dei cordoni laschi del suo paese d’origine ne versa al nostro erario appena 4,7. Ogni stratagemma è utile a sfuggire al fisco e a una responsabilità sociale rappresentata dall’equazione che a più tasse pagate corrisponde maggior benessere per tutti. Dov’è dunque il valore aggiunto di questa new economy? Non sarà solo l’ennesimo claim pubblicitario che nasconde le vecchie dinamiche di profitto?

FACEBOOK, CHE PROFITTI CON CALIBRA

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opo mesi di anticipazioni e rumor vari, “Faccialibro” ha finalmente annunciato la nascita di Libra, la criptovaluta a cui sta lavorando in partnership con altre aziende. La notizia mi riporta in mente il telegramma spedito da Mark Twain all’Associated Press dopo aver appreso che era stato pubblicato il suo necrologio: “Spiacente di deludervi, ma la notizia della mia morte è grossolanamente esagerata”. Ovvero, date più volte per spacciate le criptovalute pare godano di ottima salute. Cosa sappiamo di “Libra”, leggiadro nome di origine latina che simboleggia l’equità e la Giustizia? Due cose. La prima, Libra non sarà controllata direttamente da Facebook bensì da un consorzio; la seconda, il social network spera di fare profitti dal prossimo anno attraverso Calibra, il sistema di pagamento basato sulla criptovaluta.

In buona sostanza, il progetto riguarda la creazione di una valuta stabile perché non sottoposta alle speculazioni di Borsa come nel caso dei Bitcoin. Si ritiene che almeno inizialmente Libra potrà essere utilizzata come sistema di pagamento decentralizzato nei paesi in via di sviluppo nei quali in pochi possiedono un conto in banca. Una volta avviato, la gestione operativa del progetto dovrebbe essere affidata a un’associazione no-profit. E i profitti? Verranno da Calibra, il “portafoglio digitale” che oltre a conservare il denaro in “valuta Libra” consentirà di fare acquisti e accedere a servizi finanziari. L’astuzia consiste nel fatto che Calibra oltre a lavorare all’interno di “Faccialibro” potrà essere attivato da altre applicazioni progettate per chi non è iscritto al social network. Insomma, proprio come Mark Twain il grande cantore del fiume Mississippi, pare che anche i figli del fintech siano vivi e vispi come lepri marzoline.

MACRON COME UN BIMBO CAPRICCIOSO NELLA VICENDA FIAT-RENAULT

C

i sono promesse che fanno presagire un matrimonio perfetto sotto tutti i punti di vista - caratteriale, psicologico e finanche patrimoniale. Purtroppo, a volte le promesse hanno ali come quelle dei pinguini e non riescono a spiccare il volo. Quando un’unione annunciata con giubilo sfuma penosamente, i casi sono due: o stiamo assistendo alla rappresentazione della “Traviata”, oppure un padre-padrone si è messo di traverso impedendo le nozze. Come è accaduto tra Alfredo Renault e Violetta FCA; il padre in commedia porta il nome di Emmanuel Macron, il piccolo tecnocrate che sogna di essere la rincarnazione del generale De Gaulle e dello spirito di grandeur che lo animava. Chi scrive vuol bene alla Francia. Adora i suoi vini, il piacere impagabile di fare il flaneur nei caffè o a passeggio nelle sue meravigliose città. Ma anche l’amore – soprattutto l’amore consapevole – non può chiudere gli occhi su vizi divenuti perversioni. Il signore che regna all’Eliseo e si spaccia per convinto europeista, in tema di sovranismo non ha nulla da invidiare al nostro Salvini o all’ungherese Orbàn.

Se il “suo prima la Francia e prima i francesi” è indubbiamente più sofisticato (o meglio: meno rozzo) degli altri, la sostanza non cambia. La sostanza è un bambino capriccioso che, padrone del pallone, vuol giocare nel ruolo che dice lui. Oppure si va tutti a casa. Bene ha fatto quindi John Elkann affermando “che non vi sono attualmente in Francia le condizioni politiche perché una simile fusione proceda con successo”. Purtroppo questo matrimonio non sa da fare. Una scelta che penalizza tutti – azionisti, lavoratori e circuito dei fornitori – in un momento in cui la cosa più saggia è fare squadra contro gli imperi dell’Est e dell’Ovest, dando vita al lucido progetto di quel genio di Marchionne. “Parigi, o cara, noi lasceremo, la vita uniti trascorreremo...” cantano Alfredo e Violetta. Come è noto, nel mondo del melodramma il lieto fine non è contemplato, ma questa tra Fca e Renault sembra più una tragicommedia e come ogni spettacolo merita il colpo di scena. Voci riferiscono che i protagonisti siano tornati al tavolo. Divisi non si va da nessuna parte. La necessità della sopravvivenza riuscirà anche nel miracolo di portare accordo tra italiani e francesi. luglio - agosto 2019

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TALENT

LA COMPETIZIONE TRA UN “FAI DA TE”, UN CF E UN ROBOADVISOR

Agosto, la sfida passa sul portafoglio “vacanze” “U

na poltrona per tre” è una competizione tra tre portafogli realizzati da un “fai date”, un consulente finanziario e un roboadvisor. Ha la durata di un anno e prevede la possibilità di rotazione del portafoglio, con un cambio di massimo due strumenti, al termine del primo semestre. Ogni mese partirà una nuova gara. Aggiornamenti e confronti L’aggiornamento sull’andamento di ciascuna di esse avrà cadenza semestrale. Tre concorrenti che non copiano La composizione dei portafogli è elaborata

LE SCELTE DEL “FAI DA TE”

in completa autonomia dai partecipanti al talent e oltre ad avere lo scopo della competizione vuole offrire spunti meramente informativi inerenti l’impiego di strumenti finanziari quotati sul mercato regolamentato italiano. Le informazioni e le analisi esposte pertanto non costituiscono sollecitazione al pubblico risparmio qualunque decisione di investimento e il relativo rischio rimane a carico dell’investitore. Investire non si assume alcuna responsabilità per l’eventuale utilizzo che il lettore potrà fare dei contenuti esposti. ISIN

“Domenica d’agosto che caldo fa, la spiaggia è un IT0005108219 girarrosto non basterà bere una bibita” cantava qualche IT0000336518 anno fa Bobby Solo a cui facevano eco i Righeira IT0001469995 con la loro indimenticabile “Vamos a la playa”. Per non parlare delle decine e decine di hit, i GB0031215220 tormentoni musicali che ogni estate celebrano la stagione della spensieratezza. Talmente IT0005338675 estranea ai “pensieri”, da essere ingiustamente ritenuta la peggior nemica degli investitori. IT0005083727 Andiamo in vacanza con l’anima se non con il corpo, e stiamo alla larga dalla Borsa, JP3756600007 pare essere il motto che circola nel mondo finanziario. Errore. Veniale, ma pur sempre errore. Ogni stagione, come la frutta e le canzoni, offre la sua brava opportunità: l’abilità sta nel cogliere quelle giuste. Tempo di disimpegno? Bene, allora i titoli “giusti” sono quelli legati al piacere, al sogno e all’avventura. Quelli del viaggio, della vacanza, della fuga dal quotidiano metropolitano, una fuga che abbiamo tentato appunto di replicare con gli investimenti, questo è uno degli scopi del portafoglio di questo mese che abbiamo deciso di chiamare “PORTAFOGLIO VACANZE” o tempo libero, a seconda dei gusti. Scegliere le occasioni ma con un tema di fondo che voglia portare anche un po’ di spensieratezza, o meglio che strizzi l’occhio a settori che spesso vengono emarginati o sottovalutati. Nella mia personale lista, ho voluto privilegiare i titoli legati al turismo, da sempre l’Italia è meta di milioni di viaggiatori che per un anno intero sognano le nostre bellezze e le nostre spiagge. Da

luglio - agosto 2019

Una famiglia con prole, genitori giovani entrambi lavoratori. Si punta a costruire un “portafoglio vacanze” o “tempo libero”, cioè con strumenti sul settore turismo.

PREVALE L’OBBLIGAZIONARIO

di Giacomo Damian

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IL PROFILO DEL MATCH

FONDO

MIX

I GRANDI VIAGGI

20%

JUVENTUS

10%

DIGITAL BROS

30%

CARNIVAL CRUISE

5%

SOSTRAVEL.COM

10%

CALEIDO GROUP

5%

NINTENDO

20%

sempre si ripete che l’Italia potrebbe vivere solo di turismo, e di aziende specializzati ne abbiamo molte, tra l’altro il prossimo sbarco in borsa del gigante Alpitour, potrebbe essere un ottimo traino sia per il settore che per le quotazioni di borsa delle “rivali”. Per il settore tempo libero ho scelto due aziende specializzate nei video games, Nintendo che è inutile nominare, tanto è conosciuta a livello mondiale, mentre Digital Bros, meno conosciuta al grande pubblico, è una società che non solo vende i videogiochi ma li crea, una realtà molto interessante. E poi c’è Juventus, non ho mai considerato l’acquisto delle azioni di squadre di calcio un investimento intelligente, ma la Juventus non è più solo una squadra di calcio, è un’azienda a tutti gli effetti, per di più c’è l’aspetto speculativo di risultati e chissà, di possibile futuro passaggio di proprietà. Vamos a la playa, divertitevi, ma tenete il tablet sempre con voi, anche al mare, sarà un’estate di grandi occasioni.


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LE SCELTE DEL CONSULENTE FINANZIARIO INVESTIMENTI SPECULATIVI PER PICCOLE PORZIONI DI RISPARMIO DENOMINAZIONE

ISIN

ETF TRAVEL

LU1834988781

30%

BOOKING

US09857L1089

15%

LAGARDER

FR0000130213

10%

STAR ENTERTAINMENT GRP LTD/T

AU000000SGR6

10%

CROWN RESORTS LTD

AU000000CWN6

10%

HEIWA CORPORATION

JP3834200002

10%

DISNEY

US2546871060

15%

TOTALE

PESO

100%

Paolo Maiolati* L’Estate, è una stagione nella quale pensiamo ai viaggi e al nostro benessere psicofisico. Da questo spunto è nata l’idea di costruire un portafoglio in linea con il periodo che per tutti gli italiani vuol dire meritate vacanze. Da questa semplice considerazione, e seguendo le indicazioni del profilo per il Talent di questo mese, ho costruito un portafoglio particolarmente speculativo consigliato per una piccola parte del proprio risparmio che non viene destinata a progetti particolari di vita, in linea di massima tale portafoglio difficilmente può superare il 10% del proprio patrimonio. Fatte queste doverose considerazioni passo a elencarvi e a fornirvi una breve spiegazione dei vari prodotti che ho selezionato per comporre il portafoglio che chiamerò “tempo libero”. In questo paniere, il primo titolo che ho deciso di selezionare si chiama Etf Travel, strumento che investe in società europee addette al tempo libero e ai viaggi, è la punta di diamante del “giardinetto” di strumenti che ho costruito e anche per questo ho deciso di dare a questo titolo un peso preponderante nel portafoglio.

A seguire ho proceduto a un’attenta selezione di azioni specifiche, tra queste ho scelto Booking a cui ho dato un peso del 15% nel paniere. Booking è una società che ritengo interessante sia per il suo posizionamentoin un settore di rilievo e in crescita che per gli ultimi investimenti effettuati per espandersi nel mercato cinese. Un altro 15% per divenire soci della Disney colosso mondiale, un’attrazione internazionale ben nota a tutti tra l’altro, nota a margine, io stesso quest’estate vorrei andare in uno dei suoi celebrati parchi divertimenti per sperimentare di persona il successo di questo marchio. Per completare il portafoglio “tempo libero” alle ultime quattro aziende ho deciso di dare un peso del 10%, non per una minore importanza, ma sulla base di un giudizio personale, nell’ordine sono: 1) Lagarder, azienda francese che è impegnata in vari settori tra i quali la pubblicazione di contenuti di intrattenimento nonché negozi e duty free in strutture aeroportuali e in stazioni ferroviarie; 2) Crown Resort ltd australiana ma presente in tutto il mondo con alberghi di lusso; 3) Star Entertainment Grp Ltd/t che ha effettuato grossi investimenti per nuovi resort in tutta l’Australia; 4) e per concludere in bellezza Heiwa corporation, il colosso giapponese creato durante la seconda guerra mondiale che oltre ad essere il più grande produttore di “slot-machine” giapponesi sta diversificando con campi di golf e altri parchi di divertimento. Buona estate a tutti i risparmiatori e ai lettori di questa rivista. *Consulente finanziario iscritto all’Albo Ocf (Organismo consulenti finanziari) sezione dei consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori

luglio - agosto 2019

59


TALENT

LE SCELTE DEL ROBOT (elaborazioni di Investire sui dati Deus Technology) “Estate, che ha dato il suo profumo ad ogni fiore, l’Estate che ha creato il nostro amore, per farmi poi morire di dolore…” Odio l’Estate cantava nel 1960 Bruno Martino, anni ruggenti i ’60, anche per la Borsa. Ma oggi come allora, se per l’uomo questa è la stagione del divertimento, della bellezza, della spensieratezza e dei giochi, per i piccoli risparmiatori di tutto il mondo questa è il periodo degli incubi e del terrore. Temporali che attraverso nuvoloni si materializzano sopra le nostre teste, rinfrescano e portano beneficio, per l’uomo ma non per il risparmiatori, che dai temporali finanziari trovano solo grandi preoccupazioni capaci di rovinare ogni vacanza. Difficilmente questa estate sarà diversa dalle altre, anzi visto l’ottimismo e la troppa esuberanza di inizio anno, a cui si aggiungono le incertezze e variabili negative (come il conflitto degli USA con l’Iran e la minaccia della bocciatura del rating all’Italia oltre che a una non tanto fantasiosa crisi di governo) che si stanno affollando ai margini del mercato, è altamente probabile che anche questa volta ci sarà da ballare, ma non di gioia. Come dimenticare l’estate della tigri asiatiche del 1997, quella della crisi russa del 1998, quella successiva allo scandalo Enron del 2002, o quelle dello scandalo mutui subprime del 2007/2008, nonostante una tendenza generale anche positiva, ogni volta questa stagione è capace di regalarci

sgradite sorprese, che nella maggior parte dei casi vengono superate, ma che quando le devi vivere sembrano allungarsi in un tempo senza fine. Proprio per questo, in vista dell’insidiosa stagione estiva, abbiamo pensato di creare un portafoglio che almeno sulla carta possa regalare un po’ di spensieratezza, e chissà anche qualche rendimento aggiuntivo. Come tradizione, abbiamo chiesto alla società Deus Technology la realizzazione di un mix capace di rispondere alle esigenze del profilo indicato, una selezione di strumenti del settore turismo, divertimento e tutto ciò che riguarda il tempo libero, anche per questo l’abbiamo soprannominato “portafoglio vacanze”. Il risultato è un portafoglio prevalentemente orientato al mercato obbligazionario, con una diversificazione geografica che vede gli USA in assoluta prevalenza. “Tornerà un altro inverno, cadranno mille petali di rose, la neve coprirà tutte le cose, e forse un po’ di pace tornerà”, nella poesia di Bruno Martino c’è tutta la saggezza e il buon consiglio per l’investitore, anche per i mercati tornerà l’inverno, dove ogni turbolenza e preoccupazione sarà placata, perché l’inverno è la bella stagione dei rendimenti. In borsa è così, va tutto sempre al contrario.

TANTO OBBLIGAZIONARIO, CON GLI USA IN PRIMO PIANO ISIN

NOME

01/12/2018

LU0748141586

JPM Global Strategic Bond C Dis USD

22,00%

IE0002460198

PIMCO GIS Global Bond Inst Dis USD

15,00%

LU0062905079

SISF Global Corporate Bond AV C Dis USD

13,00%

IT0005024234

Italy-3.5 Btp-1Mz30-01/03/2030 CF EUR

10,00%

EU0009656420

EUR Currency

5,00%

ES0109067019

Amadeus IT Grp Br-A

10,00%

US46137V7203

Invesco Dynamic Leisure and Entertainment ETF Dis USD

19,00%

LU0378437254

ComStage STOXX Europe 600 Travel & Leisure ETF I Acc EUR

6,00%

L’ASSET MIX DEL MESE PESO

MACRO

60

MICRO

PESO

AZIONARIO

35%

Etf/Fondi Azionari Leisure AzionI

25,00% 10,00%

Obbligazionario

60%

BTP Italia Obbligazionario Globale Obbligazionario Emergenti

10,00% 37,00% 13,00%

Cash

5%

Cash

5,00%

luglio - agosto 2019


INVESTIRE SPECIALIST

La corsa del Cavallino non si ferma FERRARI: chi non sogna una Ferrari? Passano le mode, cambiano le generazioni e i desideri, ma l’amore per la Ferrari sembra ancora non voler tramontare. Un lusso ormai viste le quotazioni, lo è anche il titolo in borsa, ma chi cerca il meglio e la qualità non bada al prezzo né alla spesa. Ferrari, dopo il +220% dal prezzo di quotazione e il +400% dai minimi del 2016 quando per la maggior parte degli analisti il titolo era scoppiato, oggi gira a 38 volte gli utili, carissimo per i tradizionali parametri, ma come ricorda Guido Maria Brera, Ferrari è un “trophy asset” (suo il copyright) possiamo definirlo uno strumento finanziario da collezione, non è difficile immaginare che se il rialzo corale continuerà, Ferrari correrà ancora, e molto, oltre i limiti di velocità. Gli Agnelli metteranno in vendita anche il Cavallino? AMAZON: la notizia risale al 3 maggio, quando sui monitor di tutti gli operatori del mondo è apparsa una notizia sconvolgente “Buffett compra azioni Amazon e diventa un’azionista del gruppo”. Notizia sconvolgente perché fin dall’alba dell’era internet il guru di Omaha, seguendo il suo motto “non compro ciò che non conosco” si era definito totalmente estraneo al mondo della tecnologia, sconvolgente perché l’acquisto è stato fatto uscendo dai suoi metodi e parametri di valutazione, essendo Amazon salita di oltre il 30.000% dai mini- WARREN BUFFETT mi del 2002 ed essendo l’azienda considerata cara e con valori fuori mercato. Infatti all’acquisto Buffett ha voluto aggiungere un suo classico commento sarcastico “idiota io a non farlo prima”. Anche i migliori sbagliano, e c’è chi pensa che l’errore sia doppio: dopo aver mancato l’occasione in passato, ora ha comprato a prezzi folli. Amazon è un titolo che fin dalla quotazione in borsa è sempre stato considerato carissimo, sia dagli analisti e sia dai risparmiatori, ma nonostante i livelli fuori controllo ha continuato a salire. Questo perché secondo il pensiero comune l’attività principale è quella della spedizioni dei pacchi, quando questa è invece l’unica attività in perdita, ben altri risultati provengono dalle attività come il web service o il food, sia nel commercio “fisico” e sia online, e poi c’è tutto il potenziale del settore finanziario da sviluppare. Perché proprio dal mese di giugno, secondo la normativa “psd2” i colossi come Amazon potranno diventare delle banche e su espressa richiesta, potranno ottenere dalle banche tradizionali l’estratto conto di tutti i clienti che domiciliano i pagamenti verso l’azienda di Seattle. E’ la delegittimazione delle istituti finanziari tradizionali? Mi sa che anche questa volta Warren Buffett ci ha visto giusto.

UBI BANCA: sono passati i tempi di Cuccia in cui le fusioni si decidevano e si concordavano a tavolino, come sono passati i tempi in cui a Piazza Affari erano le banche a trainare gli indici verso i record, oggi le banche sono macigni, zavorre che trascinano finanza e borsa a fondo. Non tutto però è perdutovperché le banche, almeno a livello di quotazioni potrebbero presto risvegliarsi, la minaccia dei colossi sopra descritta è una realtà imminente, e soprattutto, gli istituti (come le case automobilistiche) sono troppe e miniaturizzate, la necessità delle fusioni oggi è un obbligo. Ubi Banca è una delle banche più belle e sane del nostro Paese, fino a oggi penalizzata dall’andamento generale del settore e forse anche perché considerata cacciatrice, se devi spendere il mercato non sempre ti premia. Oggi invece si fanno sempre più insistenti le voci che vogliono Ubi come una delle prede più ambite. Un cambio di ruolo che dovrebbe fare la differenza sull’andamento delle quotazioni future. In spiaggia con il tablet accesso, sarà un’estate movimentata. RISANAMENTO: la grande attesa per il 24 giugno, giorno della scelta tra Milano/Cortina e Stoccolma della città (nel nostro caso le città) che ospiterà le Olimpiadi invernali del 2026, si è rivelato per il nostro Paese quello della grande gioia e soprattutto della rivincita dopo lo scippo con sorteggio (il delitto perfetto) avvenuto a favore di Amsterdam, la città scelta come nuova sede Ema per il farmaco. Quell’attesa montata per giorni, nata in solitudine, con il passare dei giorni ha raccolto un consenso sempre più corale, una cosa straordinaria nel tradizionale individualismo del nostro benamato Paese. Per Milano la vittoria è e sarà il turbo di un meccanismo già avviato, perché nel capoluogo della finanza italiana, il mercato immobiliare vive un solitario, quanto vivace, fermento affaristico con compravendite in continuo rialzo. Le Olimpiadi invernali in Italia per realtà come Risanamento non èun risultato che cambierà il futuro della società, ma sarà soltanto una delle frecce nell’arco del rilancio. Risanamento, un’azienda prima affondata e ora risanata ha molte occasioni davanti, un percorso che non permette retromarce, nemmeno per le quotazioni in borsa che sono ancorate su minimi ingiustificati. Ripresi i lavori di bonifica a Santa Giulia, c’è l’Arena sportiva da completare che sarà ultimata con la vittoria olimpica, e poi ci sono i palazzi Sky. La vendita con gli australiani di Lend Lease sembra solo una pura formalità. luglio - agosto 2019

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TALENT

Robot primo sui 6 mesi 13,86% 13,29%

«C

i sono tutte le premesse per un bellissimo 2019 e per gli anni a venire». Sembrava una battuta quella che il premier Giuseppe Conte, in un’intervista al programma su RaiDue “Povera Patria” del 1 Febbraio, pronunciava sotto un cielo grigio plumbeo, dove dati negativi sibilavano come missili prima del grande botto: la Recessione. Sarà anche vero che i toni trionfalistici del primo ministro potevano sembrare troppo ottimisti, e addirittura stonati se affiancati all’orchestra dell’economia che sta suonando una marcia funebre mentre il governo danza come se in sottofondo ci fosse il flauto magico, e che Conte di economia non sa un granché ma se si guarda l’andamento dei mercati, con stupore si scopre che l’ottimismo non è mai troppo. Forse Conte non ha tutti i torti, e se la Borsa, grande anticipatore, non mente, quello che si para davanti a noi è un futuro radioso. Lo dicono i numeri, in 6 mesi è un rialzo corale già a due cifre, persino per Piazza Affari. È un mondo difficile da comprendere, i vecchi parametri non funziona più, a inizio anno, reduci da una fine 2018 disastrosa e atipica, il 2019 più che radioso sembrava tenebroso e proprio per questo motivo abbiamo deciso di proporvi tre diversi portafogli pronti per ogni evenienza. A destra, nelle tabelle, ecco l’andamento della gara sui 6 mesi. Al giro di boa sono tutti positivi ma visto il contesto, sul gradino più alto sta chi ha osato di più. Complimenti al Robot di Deus per il vantaggio, la sfida a superarlo si fa ancora più entusiasmante, anche se tutti noi ci auguriamo che, anche se a suo vantaggio, la positività generale possa continuare a lungo. 62

luglio - agosto 2019

3,79% ROBOT (DEUS): CHI OSA SPESSO VIENE PREMIATO NAME

ISIN

RENDIMENTO

iShares EUR Govt Bond 20yr Target Duration UCIT Dis EUR

IE00BSKRJX20

15,08%

iShares Core Moderate Allocation ETF Dis USD

US4642898757

11,54%

Vanguard Emerging Markets Government Bond Index ETF Dis USD

US9219468850

11,55%

iShares II USD High Yield Corp Bd UCITS ETF Dis EUR

IE00B4PY7Y77

11,32%

Italy-BTP 01/09/2046 3.25%-01/09/2046 CF EUR

IT0005083057

9,21%

Multi Units France Lyxor MSCI World UCITS ETF Dis EUR

FR0010315770

18,35%

Xtrackers II Eurozone Government Bond 1 Acc EUR

LU0290357507

13,19%

RENDIMENTO TOTALE

13,86%

FAI DA TE: GIARDINETTO AGGRESSIVO CHE RENDE BENE NAME

ISIN

PORTAFOGLIO

RENDIMENTO

Fidelity America A-Acc-USD

LU0251131958

25%

11,29%

Vontobel Global Equity USD Acc B

LU0218910536

35%

17,82%

Invesco Japanese Equity Advantage Fund A Accumulation JPY

LU0607514717

10%

6,62%

Comgest Growth Asia Pac ex Japan USD Acc

IE00B16C1G93

20%

5,88%

European Opportunities Extension EUR Acc

LU0418791066

10%

23,94%

RENDIMENTO TOTALE 13,29%

FAI DATE: IL CONSERVATIVO TRA ALTI E BASSI NAME

PORTAFOGLIO

RENDIMENTO

UNICREDIT 6.95% Ot22 Lt2 Eur

XS0849517650

ISIN

15%

6,75%

BTP Italia 1,65%

IT0005012783

15%

-0,66%

US Generic Govt 30 Year Yeld

USGG30YR:IND

10%

16,32%

LYXOR Bund Daily (-1X) inverse UCITS ETF

LU1523099700

10%

-5,57%

ETFS Physical silver

JE00B1VS3333

10%

4,46%

ETFS Physical gold

JE00B1VS3770

10%

11,29%

ENI (FTSEMIB 40)

IT0003132476

5%

NOKIA (Global Equity Market)

FI0009000681

5%

DIGITAL MAGICS (mercato AIM)

IT0004900160

5%

LIQUIDITÀ 15%

7,35%

(5,35% +2% cedola)

-7,53%

(-12,14% +4,61% cedola)

-10,28%

RENDIMENTO TOTALE 3,79%


INVESTIRE SPECIALIST

PROFESSIONE CONSULENTE Risponde Francesco Priore all’indirizzo priore.studio@virgilio.it Startupper e decano della consulenza finanziaria, Priore ha fondato l’Anasf e contribuito alla fondazione dell’Albo. Docente Universitario, autore e consulente di comunicazione e marketing finanziario. È stato direttore marketing della rete di Banca Fineco e membro del CdA di Consultinvest Sim.

CF, NON SI PUÒ ESSERE TUTOR DEI FIGLI

GUIDA ALLA LETTURA DEL RENDICONTO

Caro Francesco,

Gentile Francesco,

il problema del ricambio

sono da anni cliente dei cf, se ne sono

generazionale è noto, c’è crisi

alternati due, entrambi validi e della stessa

di vocazioni, oggi poi è stato istituito

banca, seguo un po’ le notizie del mercato

il tutoraggio per il primo anno

e da più di un anno leggo che arriverà,

di attività, è una corretta seconda

mi sembra, una comunicazione della

difficoltà. Nella società in cui opero si

banca con l’illustrazione e la spiegazione

verifica un ulteriore difficoltà,

dei costi che ho sostenuto al momento

un cf non può essere tutor dei propri

dell’investimento e successivamente.

figli. La ratio ufficiale è che per la

I giornali parlano sempre

valutazione finale ci sarebbe conflitto

di preoccupazioni. Perché,

d’interessi. È possibile?

c’è da aspettarsi qualche sorpresa? A. F.

C

arissimo, sì, è possibile, però esaminiamo il caso, un cf di successo, se non lo fosse il figlio non ne seguirebbe le orme, convince il figlio a scegliere questa attività, ben sapendo che non è facile né semplice, e lo addestra a praticare una professione complessa e prestigiosa, se la si sa esercitare ad alto livello culturale e comportamentale. La capacità comportamentale di sapersi relazionare con i clienti è una competenza che si mutua facilmente da un modello genitoriale. Un altro obiettivo, probabilmente, a tempo debito, è traferire al figlio il proprio portafoglio, come in qualunque studio professionale. Che interesse avrebbe il genitore a mandare avanti un figlio negato e negligente? Probabilmente nessuno. Sarebbe una perdita di tempo e di energie, meglio indirizzarlo ad altre attività; di contro, al momento della quiescenza, meglio vendere il portafoglio piuttosto che affidarlo al figlio che lo “dilapiderebbe”. Perché infine un altro cf dovrebbe tutorare il figlio di un collega, che comunque resta sempre un competitor come avviene tra professionisti? Forse la mandante non considera i propri cf dei professionisti, oppure è un esercizio di potere visto che le norme nulla dicono in merito. Al posto della mandante e del cf opterei per una riflessione più approfondita.

G.M

G

entilissima Signora G., soprese cattive certamente no. Il valore dei suoi investimenti non subirà incremento o meno in base a questa comunicazione. Il valore dipende dalle quotazioni che in genere variano quotidianamente, con oscillazioni più o meno consistenti, come lei sa. La comunicazione che riceverà dovrebbe indicare come vengono distribuite le spese di sottoscrizione che lei ha pagato e quelle di gestione che in genere paga trimestralmente. Qualunque bene o servizio lei acquisti ha un costo, per i servizi finanziari l’authority europea ha imposto correttamente la massima trasparenza. Potrà sapere il ristorno al suo cf, alla banca, alla fabbrica prodotti e così via. Nessun sottoscrittore immagina che banche e cf lavorino gratis. Il suo cf che professionista sarebbe se non guadagnasse quanto un avvocato o un commercialista? Lei potrà sentirsi soddisfatta se a fronte del corrispettivo lordo che va al suo cf è ben assistita, altrimenti è giusto che gli chieda più assistenza. Non si aspetti una comunicazione tipo lista della spesa, ben che vada sarà lunga quanto quella per la spesa delle feste natalizie. Quando le perverrà, se ne avrà voglia, mi faccia saper cosa ne pensa dei costi e della comunicazione. Sono davvero curioso di sapere le sue impressioni. A rileggerla, cordialmente. luglio - agosto 2019

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SCENARI INTERVISTA A CARLO SALVATORI

Per la grande industria del risparmio la concentrazione è solo agli inizi di Sergio Luciano

«I

n Italia, oggi, c’è molta propensione a risparmiare, anche più di quanto ce ne sia stata in passato, ma poca propensione a investire»: dentro gli occhi azzurri di Carlo Salvatori c’è un’esperienza unica del sistema bancario e finanziario italiano. «Le incertezze prevalgono sulla fiducia», aggiunge, fissandoi bonariamente il suo interlocutore. Ed osservandolo Salvatori con un briciolo di memoria storica non si può non ricordare che questo banchiere ha lasciato un’impronta essenziale in tutte le vicende aziendali positive del sistema creditizio italiano degli ultimi trent’anni. «Ma se ci guardiamo alle spalle», prosegue lui, «se scrutiamo in profondità i fondamentali del sistema Italia, gli elementi di fiducia possiamo ancora riconoscerli tutti», dice ancora Salvatori, oggi presidente di Lazard Italia dopo una carriera inimitabile in Bnl, Nuovo Ambrosiano, Cariplo, Unicredit, Capitalia, Unipol. E accetta di analizzare per Investire la situazione macroeconomica del nostro Paese e le nuove dimensioni nelle quali l’industria del risparmio gestito si trova ad agire. Dottor Salvatori, lei conosce bene l’economia italiana e le esigenze e le paure dei risparmiatori. Cosa suggerirebbe a chi lavora nel settore? Chi fornisce assistenza e consulenza ai risparmiatori – quindi certamente i consulenti finanziari ma anche le banche – deve concentrarsi nel guidare i clienti alla scelta dei prodotti finanziari migliori, più che nella gestione diretta. I consulenti lo fanno, e rivestono un ruolo di grande responsabilità. Devono imparare a farlo sempre meglio anche le banche: dotandosi di consulenti della clientela sempre più bravi, preparatis64

luglio - agosto 2019

I PROTAGONISTI DEL SETTORE SONO ORIENTATI AD AGGREGARSI PER SOSTENERE I COSTI DEGLI UFFICI STUDI E DELLA GESTIONE. «L’AZIENDA ITALIA? MERITA ANCORA FIDUCIA» Carlo Salvatori, oggi presidente di Lazard Italia dopo una carriera con ruoli apicali in Bnl, Ambrosiano Veneto, Cariplo, Unicredit, Capitalia, Unipol

simi sui prodotti del risparmio gestito, davvero in grado di fornire consulenza. Disposti a considerarsi in permanente riqualificazione, consapevoli dell’enorme responsabilità che hanno nei confronti dei clienti… Il quadro è così mutato dunque rispetto a 35 anni fa, quando comparvero sul nostro mercato i fondi d’investimento? Completamente mutato. Allora bastava distinguere solo tra prodotti azionari e obbligazionari! Oggi è tutto estremamente più complesso. Bisogna scegliere tra Paesi, settori, orizzonti temporali diversi. Anche nel solo comparto obbligazionario le opzioni possibili sono infinite...

Il tutto in un contesto davvero confuso e critico... Indubbiamente. Abbiamo avuto una crisi economica e finanziaria lunga e anomala che è durata sei-sette anni e che per


SCENARI certi versi ancora dura. L’Italia in alcune fasi non è neanche cresciuta, e comunque cresce meno della media mondiale. Un problema accentuato dal fatto che anche i Paesi vicini sono in crisi, dalla Francia alla stessa Germania. Anche il Terzo Mondo ha rallentato la sua crescita, il che frena la nostra visto che quei Paesi sono ormai importanti consumatori e consumano meno. E non basta.

basata sulle piccole e medie imprese, che rappresentano il 97% del nostro Pil imprenditoriale, e questa polverizzazione del tessuto produttivo ci ha creato più problemi di quelli occorsi ai paesi dalla dimensione aziendale media maggiore. Per le piccole imprese investire in alta tecnologia, in ricerca e sviluppo, in nuovi talenti professionali diventa sempre più difficile. Gli stessi distretti, potenti centri nevralgici dell’economia nazionale, non hanno sempre potuto supplire a quest’evidente debolezza. Tanto più in un Paese dove il livello della disoccupazione è fuori dalla norma… soprattutto quella giovanile. Tutto ciò induce i più a tenere da parte il reddito che possono risparmiare, e a non investirlo. Appunto la propensione a risparmiare e a non investire.

Cos’altro c’è? C’è indubbiamente nel mondo una crisi dei modelli politici. In Italia c’è un governo strano, senza precedenti, che ha preso impegni pur sapendo che probabilmente non sarebbe riusciti a mantenerli: il che non aiuta l’economia reale. Ma anche la Germania, pur dopo la lunga stagione dei governi Merkel, è in difficoltà politiche, la Francia ha i suoi problemi, come pure la Gran Bretagna, soprattutto per la Brexit. E sugli stessi potentissimi Stati Uniti non possiamo non rilevare che a fronte di un’economia reale forte, c’è una politica che esprime al vertice una guida atipica per la leadership della più potente nazionale del mondo. E dunque? Con simili premesse, è inevitabile una crisi della fiducia. Nel nostro Paese poi spesso sembrano vincenti i troppo furbi e perdenti gli onesti. E’ un Paese dove non pagare le tasse è quasi un vanto, ottenere giustizia è un lusso, vi accede soltanto chi può pagare per anni gli avvocati. E non basta... Cos’altro c’è? C’è l’ansia, lo stress, per un cambiamento galoppante indotto dalle nuove tecnologie digitali, in pochi anni siamo passati dai pc di pochi agli smartphone di tutti… ma non tutti sono stati pronti nel recepire le nuove tecnologie… che devono essere incorporate negli assetti organizzativi e nei prodotti, questo richiede tempo ed ha creato problemi in quelli che sono stati più lenti nell’aggiornarsi. Abbiamo un’economia

Theresa May con Giuseppe Conte

E dove ravvisa invece gli elementi di fiducia che pure ci sono? Innanzitutto nella nostra storia: il nostro Paese ha saputo superare bene tanti momenti di crisi. La mancanza di risorse primarie ci ha sempre insegnato a lavorare con un handicap rispetto ai Paesi concorrenti. A mettere a frutto l’intelletto per coprire quel gap di difficoltà di base… derivante da mancanza di industria primaria. A mettere a frutto la nostra capacità abituale a lavorare sodo e crescere a prescindere da chi ci governa. Qui non c’entra la prima, la seconda o la terza Repubblica: abbiamo sempre avuto, dal secondo Dopoguerra in poi, governi deboli che duravano pochi mesi, quasi mai più di due anni, che non svolgevano programmi di lungo periodo e si orientavano alle esigenze elettorali di breve periodo. E dunque noi italiani abbiamo maturato e consolidato una forte capacità di far da soli. Quindi? Quindi, nonostante i problemi dell’economia che non va, della politica che non aiuta, nonostante le mille difficoltà del contesto, dalla giustizia civile impantanata in tempistiche infinite all’inaffidabilità della burocrazia che tiene lontani gli investimenti stranieri, l’Italia resta un Paese caratterizzato da tante aziende eccellenti. Aziende che continuano a investire in ricerca e sviluppo, nell’internazionalizzazione, nel digitale e presentano dati di crescita bellissimi. Abbiamo campioni nazionali di dimenluglio - agosto 2019

65


SCENARI sioni magari medie, rispetto ai competitor stranieri, eppure in grado di primeggiare sui mercati.

Nel mondo c’è una crisi dei modelli politici come dimostrano le difficoltà che stanno vivendo i paesi leader dell’Ue Francia e Germania (nella foto Angela Merkel ed Emmanuel Macron)

Ma il debito pubblico va pur ridotto...bisognerà ricorrere a misure straordinarie? Certo, va ridotto perché determina sempre una qualche emergenza finanziaria da coprire, ma potremmo riuscirci se la politica economica non fosse così impostata sulla ricerca del consenso elettorale a breve termine. Se è vero che abbiamo 2000 miliardi di patrimonio immobiliare pubblico e almeno 400 miliardi di questo patrimonio non è funzionale ed è dunque vendibile, perché non si fa una legge con cui si cambia destinazione d’uso a tanti beni immobiliari pubblici inutilizzati? Che oggi sono lì a deteriorarsi e che magari gli enti locali si tengono stretti senza usarli? Mettendoli a reddito si ridurrebbe il debito pubblico, eccome. E poi, ancora...

«UN’IDEA PER RIDURRE IL DEBITO PUBBLICO? ABBIAMO 2.000 MILIARDI DI PATRIMONIO IMMOBILIARE PUBBLICO DI CUI 400 MILIARDI SONO VENDIBILI. CAMBIAMO LA LORO DESTINAZIONE D’USO E FINALMENTE VENDIAMOLI!»

Ma il debito pubblico? È enorme, senza dubbio. Ma abbiamo anche asset meravigliosi. Quando si parla del debito pubblico è giusto temerlo, giustissimo sarebbe ridurlo, ma in sé non è un male esiziale, in Giappone ne hanno il doppio del nostro. Il nostro debito privato infatti è inferiore alla media europea. Il debito totale, che si ottiene stilando una sorta di stato patrimoniale del Paese, grazie ai nostri straordinari asset, di gran lunga più ricchi di quelli di quasi tutti gli altri Paesi europei, è sostenibile. Quindi viviamo pericolosamente, ma non siamo in una situazione finanziaria complessiva fallimentare. Ripeto: mettiamo all’attivo il patrimonio immobiliare e la ricchezza finanziaria delle famiglie e al passivo il debito a breve e a lungo termine: il risultato algebrico è in attivo.

Cosa? Abbiamo la fortuna di essere il Paese più bello del mondo, con quasi 7500 chilometri di coste, il 70% di tutte le opere d’arte del mondo racchiuso nei musei o, peggio, nei loro magazzini, una ricchezza artistica impareggiabile e non certo limitata alla grandi città d’arte - Roma, Firenze e Venezia – ma a tutte le città, che hanno qualcosa da mostrare del loro passato. E poi il clima... A mio avviso, il ministero del turismo e della cultura dovrebbe essere il più importante, o uno dei più importanti, e utilizzando meglio il patrimonio risolveremmo il problema della disoccupazione, almeno al Sud. Il Portogallo ha fatto investimenti nell’Algarve, la Spagna nel Sud del suo territorio: e invece l’Italia sta perdendo quote di mercato nel settore turistico... mentre gli investimenti nel turismo, soprattutto al Sud, sarebbero una mossa sicura. Quando ero in Ambroveneto feci un viaggio in auto da Taranto a Reggio Calabria: vidi centinaia di chilometri di meravigliose spiaggie vuote. Tutte da valorizzare. Servirebbero investimenti in infrastrutture e in comunicazione: per fare molto più turismo e far sapere quanto in più possiamo farne.

Non è che andrebbe anche ampliata l’offerta di prodotti di risparmio? Non è quello il problema, l’offerta c’è ed è vasta. Il problema è che cresce solo, o quasi, il risparmio monetario perché c’è tanto timore del futuro tra la gente. 66

luglio - agosto 2019

Come dovrebbe evolvere l’industria del risparmio per reagire a questo timore? Concentrandosi su un’offerta sempre più qualificata dei prodotti delle grandi fabbriche del risparmio, quelle che hanno la massa critica per eccellere e che sono quasi sempre straniere perché è in atto, e proseguirà, una grande concentrazione tra i protagonisti di questa industria, tutti orientati ad aggregarsi per poter sostenere i costi degli uffici studi, della gestione professionale e della distribuzione. Non c’è anche un problema di scarsa educazione finanziaria? In dubbiamente sì e da quando mi occupo del settore la situazione è migliorata ma non abbastanza. Sia lo Stato che le associazioni professionali del settore devono fare di più. Trent’anni fa con i borsini in banca era diverso: facevano tutto da soli, la scelta era infinitamente più piccola, era tutta nazionale. La gestione professionale non ancora nata come industria globale: oggi lo è.


FINTECH

ECOSISTEMA DIGITALE

Banca Generali con l’open banking nel mirino di Mario Romano

B

anche e fintech viaggiano sempre di più a braccetto attraverso innovazione e crescita. Lo mette nero su bianco uno studio di Accenture che ha mappato oltre 400 interazioni tra le principali banche europee e le società finanziare fintech. Un dato che vale come una conferma: il passaggio da una fase sperimentale alla vera e propria adozione di nuove soluzioni digitali procede a passo spedito, anche grazie alle normative sull’Open banking. Sempre secondo lo stesso studio le banche che portano avanti la trasformazione digitale, aprendosi anche al mondo delle startup fintech (che propongono servizi finanziari innovativi), sono premiate dai mercati con una valutazione fino al 40% superiore a quella degli altri istituti. In questo ambito dunque è utile rilevare quali sono i fattori che stanno spingendo la crescita del settore fintech. In primis la normativa PSD2, ossia la direttiva europea 2015/2366 entrata in vigore il 13 gennaio 2018. A metà settembre di quest’anno questa norma sarà estesa e porterà alla definizione di nuovi standard di sicurezza per i pagamenti digitali. Questo nuovo impianto normativo ha inciso in maniera sostanziale sull’ecosistema dell’Open banking e stimola la nascita di nuovi player, spingendo gli attori tradizionali ad adeguarsi ai nuovi trend e alle nuove tecnologie, per rimanere competitivi sul mercato. Ma non si tratta solo di leggi imposte o di aggiornamenti forzati: questo cambiamento nasce per soddisfare i bisogni degli utenti finali. Un cliente su due nel mondo infatti chiede innovazione sotto forma di servizi bancari digitali. E in Italia? Nel nostro Paese uno dei pochi casi di Open banking è rappresentato da Banca Generali che sta investendo con convinzione in questo ambito. Per accelerare l’istituto del leone alato ha messo in piedi un sistema di alleanze per creare un hub capace di integrare diverse piattaforme partner dove i propri private banker e clienti trovano costantemente servizi e soluzioni su misura. Sono nate così due joint-venture: una con Saxo Bank nell’amministrato e nel trading, l’altra con Ubs Partner per lo sviluppo di un motore personalizzato nel robot for advisory a tutela dei portafogli. Una strategia che recentemente è stata illustrata dall’amministratore delegato di Banca Generali Gian Maria Mossa. Che chiarisce: “L’orientamento a un ecosistema digitale è uno dei pilastri del nostro piano industriale al 2021 e l’evoluzione del fintech rappresenta una grande opportunità per chi come noi punta sulla qualità nella relazione di fiducia tra il professionista e le famiglie”.

L’ISTITUTO DEL LEONE ALATO, GRAZIE ALLE ALLEANZE CON SAXO BANK E UBS PARTNER CREA UN HUB CAPACE DI INTEGRARE DIVERSE PIATTAFORME PARTNER A VANTAGGIO DI CONSULENTI FINANZIARI E CLIENTI

Gian Maria Mossa, ad Banca Generali

Anche chi si impegna a formare i manager di domani è molto attento al tema del Fintech. Come il professor Marco Giorgino, docente di finanza e risk management del Politecnico di Milano che, in una recente tavola rotonda, ha spiegato: “Oggi il fintech può essere una grande opportunità per la banche che possono alimentare processi di innovazione e quindi fare quel salto anche culturale oltre che di trasformazione digitale che porterà a una serie di vantaggi per il futuro”. “In tal senso”, aggiunge Giorgino, “il 2019 sarà un anno importante per lo sviluppo del fintech in Italia, anche attraverso forme di collaborazione basate su open innovation con banche e assicurazioni”. Tanti attori, dunque, sotto l’ombrello del fintech e tra questi le banche con al centro di ogni progetto un obiettivo finale: semplificare la vita di tutti i giorni al più ampio bacino di persone possibile. luglio - agosto 2019

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TRASPARENZA LE REGOLE DELLA BORSA

Proxy advisor e sostenibilità: nuove frontiere della corporate governance di Anna Piazza

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l’ora della trasparenza e delle buone pratiche anche nelle relazioni evolutive fra società quotate e investitori istituzionali. “La Shareholder Rights Directive II”ì, adottata due anni fa in sede comunitaria, è entrata in vigore da pochi giorni in Italia e punta tra l’altro i riflettori sull’affidabilità delle comunicazioni dei proxy advisor”, ha sottolineato Stefano Preda durante la sua lectio magistralis tenuta al Politecnico di Milano in occasione del ventennale del codice di autodisciplina delle società quotate alla Borsa Italiana. Preda, che ne fu il padre, non si è limitato a un bilancio di uno dei passaggi decisivi nello sviluppo della civiltà di

STEFANO PREDA A VENT’ANNI DALLA NASCITA DEL CODICE DI AUTODISCIPLINA DI PIAZZA AFFARI: LA SFIDA DELL’INFORMAZIONE OGGI PROSEGUE ANCHE NEL CAMPO NON FINANZIARIO mercato nella finanza nazionale (il “Codice” seguì a ruota il Testo unico dell finanza firmato da Mario Draghi, alla vigilia del debutto dell’euro). E’ stato così che nella sua lecture - tenuta nell’Aula magna del campus della Bovisa, particolamente affollata di studiosi e operatori - c’è stato spazio per un focus incisivo sullo stato dell’arte nelle assemblee societarie delle quotate italiane. Tra le prime cento società italiane per capitalizzazione - ha ricordato l’aziendalista del Politecnico, tra l’altro past president di Borsa Italiana, Mediolanum e di Banca Esperia - il

I REGOLATORI SONO IN GRADO DI OCCUPARSI DI FINTECH? di Angelo Curiosi Cyber-valute, crypto-asset e blockchain al centro delle attenzioni dei regulator europei. Fenomeni impetuosi che vanno analizzati a fondo per comprenderne le implicazioni e costruire norme adeguate

L’

attività delle Fintech prolifera in tutto il mondo e Mark Zuckerberg, il patron di Facebook, spiazza e spaventa il mondo lanciando la sua cyber-valuta, Libra: ma i regolatori internazionali sono pronti a fronteggiare una simile rivoluzione? Per accettarla e incanarla entro regole certe, se non addirittura per contrastarla? Se n’è parlato a fine maggio in un convegno nazionale promosso da 24OreBusinessSchool in partnership con Investire, al quale la Commissione europea, grazie ai buoni uffici di Mario Nava – direttore DG Fisma, la direzione generale della stabilità finanziaria, dei servizi finanziari e dell’unione dei mercati dei capitali – ha preso parte

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per fare il punto sulla complessa relazione tra il galoppante sviluppo della fintech e i regolatori internazionali della Commissione Ue. Alla data del convegno, di Libra non sapeva ancora nulla nessuno: figuriamoci quanto ulteriormente è aumentata la sensibilità sl tema. “Se i regolatori siano attrezzati per occuparsi di fintech oppure no è un’ottima domanda”, risponde Delphine Leroy, componente del team fintech della Commissione europea: “Se vogliamo che il fintech prenda davvero piede, la comprensione di questi strumenti da parte degli addetti ai lavori è fondamentale. Quello che abbiamo fatto negli ultimi due anni è stato la creazione di un

‘Fintech Lab’ a Bruxelles, interno alla Commissione e focalizzato sullo studio di specifiche tecnologie. Abbiamo organizzato due eventi: uno dedicato al cloud computing e un altro all’intelligenza artificiale. Durante questi appuntamenti, tecnici e regolatori si sono confrontati su casi concreti. È stato un successo. I risultati finali arriveranno nel 2020, mentre il prossimo aggiornamento è previsto a giugno”. Per Leroy è inoltre “fondamentale mettere in connessione le diverse architetture normative europee. Per questo motivo lo scorso mese abbiamo lanciato il ‘Efif’ (European Forum for Innovation Facilitators). Il primo evento è stato


TRASPARENZA peso degli istituzionali nell assemblee è in crescita sensibile e accelerata: nel 2012 la quota media di capitale “istituzionale” presente agli shareholder meeting era del 12%, cinque anni dopo era il dato era già a quota 20 per cento. Ed è un trend cui si sovrappone la penetrazione del duopolio globale nel mercato della proxy advisorship. Iss e Glass Lewis controllano il 97% del mercato negli Usa, dove il 92% dei gruppi quotati dichiara di essersi affidato a un proxy advisor per le proprie raccomandazioni in assemblea. “In Italia già un terzo degli investitori istituzionali - ha puntualizzato Preda - dichiarano di avvelersi di queste consulenze per formulare indicazioni di voto in oltre il 90% delle assemblee partecipate. L’interfaccia dei proxy advisor è certamente una delle aree critiche di monitoraggio per chi si occupa di corporate governance oggi, sul terreno cruciale dell’informazione”. Dati precisi per il buon funzionamento della core governance, ma anche dati nuovi: è nel campo della sostenibilità che le linee-guida Ue incrociano le raccomandazioni del restyling avviato già nel 2018 per il Codice Preda. Vent’anni dopo l’ora zero della disclusure di tutte le informazioni finanziarie necessarie è ora di migliorare l’accuratezza e completezza delle informazioni di carattere non finanziario e di sostenibilità. “E’ necessaria una descrizione dei principali rischi, generati o subiti, connessi ai temi ambientali, sociali, attinenti al personale, al rispetto dei diritti umani e alla lotta contro la corruzione attiva e passiva e che derivano dalle attività dell’impresa, dai suoi prodotti, servizi o rapporti commerciali, incluse, ove rilevanti, le catene di fornitura e subappalto”. E nell’architettura della governance societaria la creazione di un “comitato sostenibilità” è ormai un must. Il Codice nel frattempo registra traguardi di applicazione

fatto a settembre e è stato ospitato dalla “Euro Banking Association”. Nel frattempo la Commissione si è molto impegnata nel supporto al processo di digitalizzazione sui fronti del cloud, dell’intelligenza artificiale e della blockchain. Dobbiamo fare di più per il settore finanziario sul fronte dei finanziamento sulle nuove tecnologie. Un anno fa abbiamo adottato un piano per il fintech che mira all’implementazione dei finanziamenti e a una maggiore collaborazione con l’ESAs (Forum che raccoglie Autorità bancaria europea, Autorità

Nella foto Stefano Preda

europea per le assicurazioni e sistemi pensionistici e Autorità europea per la sicurezza e i mercati)”. Sul fronte della regolamentazione del settore europeo, molto è stato fatto negli ultimi 3 anni. “Abbiamo adottato la Psd2 (la nuova direttiva sui pagamenti digitali, ndr), e abbiamo proposto di recente una regolamentazione per il crowdfunding, insieme alla revisione della struttura dell’ESAs. Sul fintech abbiamo fatto un passo in avanti. Siamo impegnati in un lavoro preparatorio in vista della prossima commissione, per garantire che la struttura normativa sia aderente alle attuali tecnologiche distruptive per il settore”. Sulle novità in arrivo sul tema dei crypto asset e della blockchain si è poi pronunciato Francesco Passera, componente del team fintech della Commissione europea: “La blockchain è molto promettente, e la politica della Commissione, negli ultimi tre anni, è stata di supporto e promozione di questa tecnologia.

superiori al 75% nelle cinque principali aree di governance: composizione e funzionamento del cda, competenza e professionalità degli amministratori, indipendenza degli amministratori, comitati consiliari e politiche di remunerazione. Il successo più visibile (ma non il solo): l’affermazione delle quote rosa. Ancora nel 2010 per 1979 amministratori uomini le donne erano soltanto 151; nel 2017 il rapporto era 1508 a 751. Abbiamo differenti strumenti anche se è innegabile la difficoltà nell’inquadrarlo legislativamente. Nel febbraio 2018 abbiamo istituito il “Blockchain forum innovation”. Sui crypto asset stiamo invitando le autorità di vigilanza nazionali a mappare i sistemi legislativi. L’assunto da cui partiamo è che i crypto asset sono nati prima degli schemi regolatori dei mercati finanziari; per questo abbiamo rivisto alcuni schemi regolatori per adattarli a questo settore che, fino a ieri, ne era completamente escluso”. E i rischi? “Ci siamo concentrati sulla comprensione degli schemi regolatori dedicati alle valute digitali, per costruire un sistema resiliente e sicuro che comprenda tutte le istanze espresse dalle varie legislazioni. Abbiamo invitato le autorità europee a inviarci consigli tecnici. I primi sono iniziati ad arrivare ad aprile. Adesso la Commissione dovrà fare un lavoro di sintesi e decidere che strada prendere”.

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SICUREZZA USA E CINA

Guerra digitale col 5G nel mirino di Gloria Valdonio

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on è più una guerra commerciale. Non è (o non è ancora) una guerra militare. Ma senza dubbio, quella tra Washington e Pechino, è una guerra tecnologica, e digitale in particolare. Con tanto di ostaggi in carne e ossa, come Meng Wanzhou, chief financial officer di Huawei, nonché figlia del fondatore Ren Zhengfei, arrestata in Canada il 6 dicembre con l’accusa di violazione delle sanzioni contro l’Iran e tuttora in attesa di estradizione negli Stati Uniti. Le conseguenze politiche e giuridiche a lungo termine di qualsiasi azione, o inazione, si faranno sentire sia negli Stati Uniti sia in Cina. Da mesi però televisioni e giornali insistono sulla disputa commerciale sino-americana. «Ma davvero», si domanda Eoin Murray, head of investment di Hermes Investment Manage-

NON È UNA QUESTIONE DI ACCIAIO E SEMI DI SOIA: QUELLA TRA WASHINGTON E PECHINO È UNA TECH WAR, CON TUTTI I CRISMI E SENZA ESCLUSIONE DI COLPI, DAGLI ESITI INCERTI ment, «il nodo sono realmente acciaio, e semi di soia?». Murray sostiene infatti che le attuali tensioni nascondano una tech war, dove uno dei due contendenti è chiaramente in vantaggio. E a sostegno della sua tesi ci ricorda che a fine aprile il segretario del Tesoro degli Stati Uniti, Robert Mnuchin, aveva annunciato che Stati Uniti e Cina avevano raggiunto un’intesa di massima. Ma, al posto dell’accordo, il mondo ha assistito a un’ininterrotta escalation delle tensioni. Made in China 2025 Ma quel che più conta è che il programma Made in China 2025 è stato per lo più confermato e, sebbene mascherata sotto la nozione di “produzione avanzata”, Pechino intende continuare a

PREPARIAMOCI, LO SCONTRO DURERÀ PARECCHI ANNI

di Gloria Valdonio

Eoin Murray, head of investment di Hermes, spiega a Investire le conseguenze delle schermaglie commerciali tra USA e Cina. «La diffusione globale del 5G rallenterà e probabilmente diventerà più costosa»

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a guerra commerciale USA-Cina sembra nascondere la vera natura dello scontro: la tecnologia. Quali sono i rischi concreti? O, al contrario, si tratta di esagerazioni? Interpreto l’attuale schermaglia commerciale tra Stati Uniti e Cina come l’apertura di una guerra tecnologica che durerà per molti anni. In questa fase non mancano i rischi sia a breve sia a lungo termine, con un’escalation più recente a seguito della decisione dell’amministrazione Trump di colpire Huawei e le sue filiali. La risposta cinese, nella misura in cui rappresenta un cambiamento

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nel tenore della disputa per come si era svolta fino a ora, insieme alla minaccia di ritorsione con la limitazione o il divieto di esportazioni di “terre rare” negli Stati Uniti, vede anche una sensibile espansione. Passare dalle restrizioni all’importazione all’utilizzo delle esportazioni come un’arma è un rischio reale. Quali saranno le prossime mosse della Cina? Dopo il quasi fallimento della società cinese di telecomunicazioni ZTE lo scorso anno, la Cina si era già mossa per aumentare l’autosufficienza sulle importazioni legate a settori critici e mi

aspetto che le aziende tecnologiche cinesi vedranno maggiori investimenti sotto forma di R&S. Più in generale, prevedo catene di fornitura globali più corte, con la prospettiva di un’estensione dei dazi Usa su tutte le importazioni cinesi, accelerando le decisioni da cui trarranno vantaggio impianti di produzione alternativi, probabilmente in Vietnam, India e Malesia. Perché lo sviluppo della rete 5G fa così paura? La rete 5G, insieme all’edge computing, è fondamentale per la prossima ondata di innovazioni


SICUREZZA perseguire la ricerca di supremazia nelle tecnologie chiave. La Casa Bianca ha comunque già chiarito che la guerra commerciale non riguarderà solo i dazi. Il presidente Donald Trump ha incluso la riduzione delle esportazioni statunitensi di tecnologie sensibili a imprese cinesi chiave come appunto Huawei, la limitazione degli input cinesi a sistemi di telecomunicazioni critici e l’esame degli investimenti cinesi nelle imprese statunitensi. Allo stesso tempo i cinesi potrebbero limitare le esportazioni dei principali fattori di produzione necessari alle imprese statunitensi, riscaldando ulteriormente i rapporti. «Naturalmente è molto difficile dire dove tutto ciò potrà portare o quali potrebbero essere i costi, ma ci sembra improbabile che i dazi rappresentino la battaglia finale di questa guerra», è il commento del team di analisti di Unigestion.

Terrorismo tecnologico e 5G L’obiettivo evidente di Trump è Huawei, o meglio il suo business 5G e il suo rapporto con il governo della Repubblica Popolare cinese. «La chiave dello scontro è che, grazie al dominio nello sviluppo della tecnologia 5G, la Cina ha preso in mano il futuro e sta correndo con esso», conferma Murray. «E anche se la guerra tecnologica può essere nascosta in bella vista con le sembianze di una guerra commerciale, le linee d’azione sono già profondamente definite e una parte sembra aver già superato l’altra». Quale sia questa parte è ormai evidente. Anche se gli Stati Uniti rimangono molto divisi, sembra invece esservi concordanza sulla minaccia rappresentata dalla tecnologia cinese. Infatti, anche se nessuno ha ancora spiegato con precisione quali siano le aree di vulnerabilità, è certo che la legge nazionale cinese sull’intelligence – dove le organizzazioni “sostengono, cooperano e collaborano nel lavoro di intelligence nazionale” – renderebbe un’economia liberale come quella americana molto esposta alle tecnologiche. La combinazione della nuova architettura cloud dell’edge computing, che consente ai dispositivi connessi di elaborare i dati più vicino a dove sono creati piuttosto che inviare tutti i dati ai grandi data center, insieme alla latenza da 1 a 5 millisecondi e all’enorme ampiezza di banda della rete 5G, sarà alla base del lancio di nuovi settori e sviluppi, come la guida autonoma e numerose applicazioni legate all’Internet of Things. Quanto dipendono da Huawei e dalla tecnologia cinese le infrastrutture europee e americane? Sebbene gli operatori di telecomunicazioni statunitensi si siano astenuti dall’uso delle apparecchiature Huawei, la diffusione globale del 5G rallenterà probabilmente e diventerà certamente

controparti cinesi, anche quando hanno le sembianze di aziende quotate. «Ai più alti livelli dei governi occidentali si teme che se le reti 5G saranno interamente realizzate o dipendenti dalla tecnologia cinese, le informazioni di natura sensibile potrebbero essere accessibili ai cinesi», spiega ancora Murray. Che aggiunge: «Pechino inoltre sarebbe semplicemente in grado di spegnere l’interruttore, qualora decidesse di farlo. In breve, gli Stati Uniti hanno paura del terrorismo tecnologico». L’Occidente in ritardo Il tema del 5G non è circoscritto all’America. Come spiega Margaret Vitrano, co-portfolio manager del Legg Mason ClearBridge US Large Cap Growth Fund, Huawei ha un’esposizione molto limitata alle infrastrutture degli Stati Uniti, ma intercetta una quota significativa della spesa per le infrastrutture di rete in tutta Europa, tra il 30 e il 40% per la rete 5G. Come ben documentato da un report del Global McKinsey Institute, l’Europa è in ritardo rispetto agli Stati Uniti e ad alcuni Paesi asiatici, Cina in testa, sulla tecnologia digitale e sull’intelligenza artificiale. E, nonostante un notevole slancio (grazie a un capitale investito in tecnologia quadruplicato rispetto a cinque anni fa), potrebbe dover accelerare gli sforzi per stare al passo. «La Cina è avanti rispetto al resto del mondo con lo sviluppo della tecnologia 5G», dice Murray. «Gli Stati Uniti, l’Europa e altre nazioni sviluppate hanno fatto alcune incursioni in questo settore, ma sono troppo indietro e sarebbero necessari miliardi di investimenti per recuperare il ritardo». Per quanto riguarda gli Stati Uniti, come spiega Vitrano, hanno certamente sviluppato un ampio settore tecnologico, ma sono meno radicati nei settori internet e software. «La Cina rimane ancora molto dipendente dai semiconduttori statunitensi, ma ha impegnato grandi quantità di capitali per realizzare un’industria nazionale più autosufficiente», conclude Vitrano.

più costosa a causa dell’interruzione della fornitura e i fornitori alternativi trarranno vantaggio dal miglioramento in termini di pricing power. È vero che un numero crescente di altri Paesi si è già esposto con la società cinese, aspetto che probabilmente rafforzerà ulteriormente la posizione di Huawei come fornitore 5G. In ogni caso, i fornitori alternativi possono trarre vantaggio nel medio termine, anche se hanno tanto da recuperare.

Google si è allineata alle indicazioni di Trump. Ma come si comporteranno le altre aziende e quali saranno le ripercussioni sulle società high tech americane e delle nazioni occidentali alleate? La risposta immediata dei giganti della tecnologia statunitense era prevedibile, con Google, Intel e Qualcomm in fila nel rispetto delle indicazioni di Trump. Tuttavia l’impatto immediato di queste aziende non è eccessivamente significativo per le operazioni di Huawei. Tema più importante è stato l’annuncio di ARM, chip designer britannico, di non poter più vendere licenze per il suo smartphone CPUS a Huawei a causa delle sue filiali basate negli Stati Uniti. Considerando che i processori progettati da ARM alimentano il 95% di tutti i dispositivi mobili nel mondo, in Europa prevedo benefici immediati per Ericsson e Nokia.

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NORME ART ADVISORY

Collezionare opere d’arte in Italia una corsa a ostacoli legali e fiscali di Paolo Ludovici

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l mercato dell’arte in Italia continua a caratterizzarsi per dimensioni e numeri molto modesti rispetto ai principali Paesi UE e in confronto ad altri settori dell’economia (come la moda e il design) non sembra fino a oggi riuscito a sfruttare pienamente il brand “Italia” e il potenziale di uno dei principali patrimoni artistici e culturali nel mondo. Rispetto a tale situazione non aiuta certamente il contesto normativo e fiscale che riserva per coloro che desiderano acquistare e collezionare opere d’arte in Italia una serie di complicazioni e incertezze. Sotto il profilo civilistico il quadro normativo prevede diverse restrizioni alla circolazione delle opere d’arte. Le opere che vengono assoggettate alla “dichiarazione di interesse culturale” (cosiddetto “vincolo”) ai sensi della disciplina in materia di beni culturali di cui al decreto legislativo n. 42/2004, non possono infatti essere esportate al di fuori del territorio italiano, eccetto per periodi di tempo molto limitati. Inoltre, rispetto alle opere “vincolate”, il proprietario è tenuto a fornire allo Stato un diritto di prelazione in caso di cessione. La dichiarazione di interesse culturale – che secondo alcune ricerche può ridurre il valore di mercato di un’opera fino al 40 per cento – è stabilita dalla competente autorità pubblica (“Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio”) e può riguardare:

Nella foto a sinistra Paolo Ludovici. Nella pagina accanto “Covoni”, il quadro impressionista dipinto da Claude Monet

I COLLEZIONISTI PRIVATI PENALIZZATI DALLE INCERTEZZE D’INTERPRETAZIONE DELLE REGOLE E DA ALIQUOTE IVA CHE IN ITALIA SONO MOLTO PIÙ GRAVOSE RISPETTO AD ALTRI PAESI UE

le opere d’arte che rivestono un interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico “particolarmente importante”, non sono realizzate da un artista vivente e la cui esecuzione è avvenuta da oltre 70 anni; oppure le opere d’arte che presentano un interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico “eccezionale” per l’integrità e la completezza del patrimonio culturale della Nazione, che non sono realizzate da un artista vivente e la cui esecuzione è avvenuta da oltre 50 anni (si dovrebbe trattare esclusivamente di opere di artisti italiani o comunque di opere che per altre ragioni abbiamo un 72

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forte collegamento con il territorio dello Stato). La norma non fornisce alcuna indicazione o criterio specifico al fine di determinare quando un’opera d’arte possa rientrare in una delle due predette categorie e ciò ha comportato inevitabilmente nel tempo valutazioni discrezionali e molto discusse, nonché un numero consistente di controversie tra collezionisti e autorità competenti. Tale contesto normativo certamente penalizza l’intero settore. Da un lato sono infatti scoraggiati gli investimenti da parte dei privati nelle opere “antiche” che già sono sottoposte al “vincolo” o comunque hanno tutte i requisiti per esserlo. Dall’altro lato viene incentivato il trasferimento all’estero delle opere di arte contemporanea, prima che queste possa maturare i requisiti di “anzianità” per essere sottoposte alla “dichiarazione di interesse culturale”. Per quanto riguarda le implicazioni fiscali, l’acquisto di opere d’arte in Italia è soggetto a Iva con aliquota del 22%, a meno che il venditore non sia lo stesso artista, nel qual caso si applica l’aliquota ridotta del 10%. La stessa aliquota Iva ridotta trova applicazione anche alle importazioni da un paese extra-UE, a condizione che l’opera rientri nell’elenco di beni considerati come “oggetti d’arte” ai fini dell’Iva e dei dazi doganali. Tale elenco, che trova origine nella legge comunitaria (ed è quindi implementato in maniera più o meno uniforme in tutta Europa), è molto datato e non è mai stato aggiornato nel corso del tempo. Ne consegue che mentre sono incluse tra le opere assoggettate alla disciplina di favore tutte le maggiori forme artistiche tradizionali (tra cui i quadri, le pitture e le sculture), vengono ingiustificatamente penalizzate molte delle recenti espressioni artistiche. Non è per esempio da escludersi che, in


NORME

sede d’importazione, le opere litografiche realizzate dai grandi maestri della pop art americana possano non essere considerate come “oggetti d’arte”, semplicemente perché prodotte attraverso un processo industriale dove la matrice non è realizzata interamente a mano dallo stesso artista. Inoltre l’aliquota Iva ridotta del 10% prevista dall’Italia in sede d’importazione è circa il doppio di quella applicata da altri Stati membri dell’UE (il Regno Unito e la Francia prevedono rispettivamente il 5% e il 5,5%) e ciò ha incentivato molti collezionisti italiani ad importare oggetti d’arte attraverso altri paesi comunitari, contribuendo così a diminuire il ruolo di gallerie, case d’asta e fiere commerciali italiane. In termini di imposte sul reddito, secondo l’attuale legislazione italiana, per come interpretata dalla maggior parte della dottrina e della giurisprudenza (sia di merito che di legittimità), le plusvalenze realizzate dalla vendita di opere d’arte non sono tassabili, a meno che non siano realizzate nell’ambito di un’attività professionale o occasionale. In linea di principio, un’attività commerciale (professionale o occasionale) potrebbe verificarsi solo laddove la cessione dell’opera d’arte avvenga nell’ambito di un’attività di “rivendita”, caratterizzata dal fatto che l’acquisto dell’opera è funzionale alla successiva cessione. Al contrario la cessione di un’opera d’arte non dovrebbe mai dare luogo a un’attività commerciale quando l’opera è stata acquistata solo per il semplice uso personale e il mero godimento dell’acquirente, mentre la successiva vendita rappresenta un evento funzionalmente non correlato al precedente acquisto. Tale interpretazione della norma è stata messa in discussione da una proposta normativa inizialmente contenuta nella legge di bilancio per il 2018. Tale proposta di legge prevedeva in particolare l’introduzione di una norma, avente carattere interpretativo (e quindi con un effetto retroattivo), in base alla quale: − le vendite di opere d’arte da parte di privati sarebbero sempre state da considerare come un’attività commerciale occasionale (indipendentemente dall’esistenza di un collegamento funzionale con il precedente acquisto); − le plusvalenze derivanti dalla cessione di opere d’arte sareb-

bero sempre state tassabili. La proposta di legge è stata fortemente criticata e da ultimo non approvata dal Parlamento. Infine, per quanto riguarda l’imposta sulle successioni e donazioni, le opere d’arte classificate come “beni culturali” sono esenti a condizione che vengano rispettate determinate condizioni (per esempio il bene sia detenuto dal beneficiario della donazione o dall’erede per almeno cinque anni). Le opere d’arte che non rientrano tra i beni culturali sono invece in generale soggette all’imposta sulle successioni e donazioni, che si applica con le aliquote comprese tra il 4 e l’8 per cento, a seconda del grado di parentela tra il defunto e l’erede. In caso di successione, alle opere d’arte detenute presso le abitazioni del de cuius si applica un’apposita presunzione di legge prevista per il denaro, i gioielli e la mobilia. In base a tale presunzione si considerano compresi nell’attivo ereditario denaro, gioielli e mobilia per un importo pari al dieci per cento del valore globale netto imponibile dell’asse ereditario anche se non dichiarati o dichiarati per un importo minore, salvo che dalla redazione di un inventario analitico (redatto secondo i criteri di cui al codice di procedura civile) non ne risulti l’esistenza per un importo diverso. A tali fini si considera mobilia l’insieme dei beni mobili destinati all’uso o all’ornamento delle abitazioni e ciò porta pertanto a includere tra la mobilia anche le opere presenti presso le abitazioni del de cuius. Tale presunzione dovrebbe rappresentare un criterio di determinazione del valore imponibile di determinati beni mobilia (denaro, gioielli e mobilia), vincolante sia per il contribuente sia per l’amministrazione finanziaria, con la conseguenza che entrambe le parti sarebbero tenute ad attenersi al valore forfettario del 10 per cento, fatta salva la presenza di un inventario analitico da cui si evinca un valore inferiore o superiore. Questa lettura della norma tuttavia non sarebbe condivisa dall’amministrazione finanziaria italiana, che riterrebbe sempre possibile per gli uffici competenti accertare la presenza di denaro, gioielli e mobilia nell’attivo ereditario per un importo superiore al 10 per cento, anche attraverso elementi di prova diversi dall’inventario analitico. luglio - agosto 2019

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FIXED INCOME INTERVISTA A STEFANO ZAVAGLIA

Cautela e rendimento, che abbinata Così si diventa star con il reddito fisso di Sergio Luciano

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uadagnare con il fixed income, l’obbligazionario, in una fase di volatilità dei mercati è un po’ la chimera di chiunque, ma i dati di performance di GFG, Groupe Financier de Gestion, società di gestione di Monaco, dimostrano che non è impossibile: “Il nostro fondo Euro Global Bond ha un track-record eloquente, in questo senso”, sottolinea Stefano Zavaglia, l’amministratore delegato di GFG, che ha fondato l’azienda nel 2010, “Anzi, direi che è un fondo celebre per le ottime performance messe a segno negli anni e per essere riuscito a rimanere in parità nel corso di un anno orribile come il 2018. Ci siamo riusciti perchè siamo ben disposti a lavorare in fasi di volatilità, ma cerchiamo di farlo col minor rischio possibile. Ed è questo che gli investitori cercano: cautela ma rendimento, anche nella volatilità”. Nella sua sede di rappresentanza milanese in Piazza Castello, con la Torre del Filarete di sfondo, Zavaglia non ostenta neanche un filo di boria, come se fosse una cosa all’ordine del giorno quel che è riuscito a fare: fondare una società di gestione nel bel mezzo della crisi finanziaria peggiore dell’era moderna e portarla al successo in pochi anni, con le stelle Morningstar e una serie di riconoscimenti che hanno piazzato i vari prodotti dell’azienda spesso avanti a quelli dei maggiori colossi della finanza internazionale. In realtà c’è un pensiero forte, dietro questi risultati. Il fondo obbligazionario, lanciato nel 2011 con 30 milioni di asset, li ha visti crescere considerevolmente negli anni successivi. Sul successo di questo primo prodotto, la società si è poi ingrandita ampliando la sua offerta.

Zavaglia, ci svela qual è il suo ingrediente segreto? Nessun segreto! È un mercato in continua evoluzione, bisogna capirne la direzione. Recentemente, abbiamo scelto di creare un modello gestionale proprietario che mette a fattor comune due input: quello quantitativo, basato su principi di data analysis e tecniche di machine learning e quello fondamentale, totalmente umano. È come se il nostro team fosse un tandem bio-sintetico. Un robot e un essere pensante che pedalano insieme. Mensilmente ci prefiggiamo di profilare il futuro andamento dei mercati. Sulla base dei dati quantitativi dell’algoritmo e della competenza ed esperienza dei gestori. Ma il vostro algoritmo su cosa fonda le sue analisi? Su vari tipi di analisi, dall’analisi dei principali fattori d’investimento come il momentum, a tecniche statistiche cosiddette predittive. Selezioniamo i sottostanti in base al loro andamento in un determinato intervallo di tempo e ci investiamo. A questa base di valutazione aggiungiamo altri elementi fondati su un modello 74

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Stefano Zavaglia, amministratore delegato di GFG, Group Financier de Gestion

di scoring cui contribuiscono in azienda tutte le persone che quotidianamente operano sui mercati e che esprimono le loro valutazioni su tutti i comparti e su tutti i sottostanti, obbligazionario compreso. La confluenza di questi fattori di analisi genera un risultato... potente. Come vi siete organizzati, operativamente? Posso dire che abbiamo un forte team di gestione. In particolare dal 2015, quando abbiamo avviato il team dell’analisi quantitativa, con l’assunzione di profili professionali fortemente quantitativi, professionisti giovani ma di forti competenze. Abbiamo scelto poi di articolare la struttura su tre business unit: il fund management; la gestione della clientela privata; e GFG Lab, che è poi il motore quantitativo e di data analysis che permette alle altre due unità di funzionare efficientemente. Nell’insieme un team molto forte: una squadra di quindici eccellenti professional. D’altronde è una risorsa essenziale per viaggiare bene sui mercati, e con serietà. Anche voi orientati verso un approccio data-driven?


FIXED INCOME Sì, nel senso che ci siamo dotati delle professionalità capaci di usare quel linguaggio e dialogare correntemente con i nuovi sistemi. La vera domanda è: come si potrebbe oggi stare sui mercati finanziari senza sviluppare competenze e strutture nell’abito della data science e basare le proprie decisioni sempre più su stream consistenti di dati! Senza, si resta come degli alieni, smarriti in un mondo che non comprendiamo. Soprattutto quando sul mercato si scatenano determinati fenomeni... va tenuto presente, e non è del tutto rassicurante, che già oggi il 60-70 per cento dei flussi finanziari sui mercati sono dettati dall’intelligenza artificiale. È un dato che fa paura, che ci fa capire come l’input umano sia sempre più debole... Quindi bisogna comprendere e usare l’intelligenza artificiale, per quella grande risorsa che è, senza farsene soverchiare. Senta, Zavaglia, ma come le è nata l’idea di diventare imprenditore della finanza dopo tanti anni di prestigiosa carriera in banca? E in che momento, poi! Tutto comincia nel 2007-2008, con l’esplosione della crisi finanziaria. Devo essere sincero: ho pensato che le banche sarebbero entrate in un loop di difficoltà, sia di mercato che regolamentari, e di fatto non sarebbero più state nelle condizioni di gestire bene i rischi finendo col ritirarsi da determinate attività. Sarebbero diventate intermediarie di rischi e non più gestori. Ma questo avrebbe ridotto il loro slancio imprenditoriale. Io avevo maturato una buona esperienza sui mercati, soprattutto obbligazionari, ero stato a Madrid, con la responsabilità delle operazioni sull’Italia e per dire, nel ’93 avevo vinto il premio Ebranati per l’attività sul Forex. E dunque ho pensato di mettere in campo tutte le mie competenze. La maniera migliore era quella di creare un’azienda che potesse darmi l’opportunità di trasmettere a un team giovane le mie competenze e prendere, in cambio, le loro.

«IL NOSTRO FONDO EURO GLOBAL BOND È CELEBRE PER LE PERFORMANCE MESSE A SEGNO NEGLI ANNI. IL NOSTRO MERITO? LAVORIAMO SULLA VOLATILITÀ RISCHIANDO POCHISSIMO» Una bella vision... Per me il concetto chiave dell’imprenditorialità è partire dalla propria esperienza, che dev’essere il fulcro dello sviluppo aziendale, e l’esperienza mia e dei miei partner era forte sul reddito fisso. Posso dire che ci è andata bene, abbiamo intercettato il ciclo economico positivo che è ripartito da novembre 2011 fino aprile 2015, con un trend fortissimo di apprezzamento dei titoli di Stato europei, e avendo lanciato, appunto, un fondo specializzato in questo comparto. Abbiamo avuto numerosi riconoscimenti internazionali... Quali sono le vostre caratteristiche peculiari? La capacità gestionali e il time to market, innanzitutto. E come avete trovato i clienti? Il board della società è composto da professionisti titolari da decenni di intense relazioni fiduciarie. Gli interessi dei clienti e i nostri coincidono. Che profilo ha la vostra clientela? Tramite i nostri prodotti lussemburghesi gestiamo molta

clientela istituzionale italiana. A Monaco operano con noi numerosi importanti family office, che rappresentano un mercato importante nel Principato, tanto che nell’ultimo anno è stata creata una nuova figura che è quella della fiduciaria abilitata a fungere da family office. Spesso ci confrontiamo con clienti molto preparati, è un ambiente stimolante, vai al supermercato e ci incontri magari uomini tra i più ricchi del mondo... Quindi è utile essere nel Principato? Sì, e non solo per la fiscalità agevolata, anche perché noi gestiamo veicoli lussemburghesi, regolamentati e autorizzati in tutta Europa. Prendiamo il meglio di Monaco e il meglio di Lussemburgo. Ma ripeto: a Monaco incrociamo l’ambiente più stimolante del mondo. Lo avevo capito lavorando nel Principato per Deutsche Bank. È una piazza affascinante e attrattiva, in particolare per la qualità delle persone che puoi incontrare. Ambiente stimolante ma molto sfidante... Le sfide sono tante, il nostro vero impegno, il nostro faro, è corrispondere alle attese delle istituzioni che ci hanno affidato i loro soldi. Così si dà solidità alle relazioni con loro: assumendosi la responsabilità del loro patrimonio. Seguiamo investitori che hanno molta visibilità sociale. Tutti i nostri collaboratori ne sono consapevoli, e sono completamente dedicati al loro lavoro. Insomma: vi si può definire una boutique finanziaria internazionale? Certamente, cerchiamo di non focalizzarci solo su un mercato locale e possiamo dirci in grado di affrontare la creazione di qualsiasi prodotto finanziario. Oggi tramite la nostra Sicav abbiamo due fondi in Lussemburgo con due comparti autorizzati anche alla distribuzione in Italia, e infatti siamo sul Sole 24 Ore tutti i giorni con la nostra quotazione quotidiana nella pagina dei fondi. Stiamo lanciando anche altri tre prodotti: un fondo ultra short term con l’obiettivo di essere una valida alternativa ai fondi monetari che a oggi offrono un rendimento negativo, investendo sulle scadenze da 1 a 3 anni di obbligazioni corporate; un obbligazionario corporate, dedicato alle emissioni aziendali; e un fondo che seleziona i migliori manager di strategie d’investimento alternative. Sono tutti e tre in fase di autorizzazione in Lussemburgo. luglio - agosto 2019

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FRODI LE MODERNE CATENE DI SANT’ANTONIO

Charles Ponzi e i suoi fratelli, che inganni con il multi-level di Giuseppe D’Orta

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LO SCHEMA PONZI È UN MODELLO ECONOMICO DI VENDITA TRUFFALDINO CHE PROMETTE FORTI GUADAGNI ALLE VITTIME A PATTO CHE QUESTE RECLUTINO NUOVI “INVESTITORI”DA TRUFFARE

tempi cambiano e le frodi si adeguano, ma alla fine i caratteri che contraddistinguono le vicende sono sempre gli stessi. Astuzia da parte di qualcuno, avidità e faciloneria da parte di molti altri. Oggi ci sono internet e ancora più i social network, strumenti rapidissimi e moderni per attivare quello che è il passaparola di sempre. E’ anche logico, spiegano gli psicologi e gli antropologi, perché i comportamenti dell’essere umano sono sempre gli stessi da migliaia di anni. Da qui il ripetersi di schemi da molti erroneamente ritenuti troppo antiquati per poter funzionare.

Alle origini dello Schema Ponzi E dire che il celeberrimo “Schema Ponzi” nasce da un’idea perfettamente regolare. Charles Ponzi, infatti, nel 1919 apprende dell’esistenza di un particolare strumento postale: il buono di risposta internazionale (IRC). Si tratta di buono da cambiare col francobollo da applicare alla risposta, utilizzato quando il destinatario si trova in un altro paese. I buoni risposta avevano un costo diverso da paese a paese, mentre il controvalore in affrancatura era uguale. Da qui l’idea di arbitraggio: comprare i buoni dove costano poco e cambiarli in francobolli dove val76

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gono molto, per poi venderli. Ponzi aveva bisogno di capitali da investire, e spinge gli amici ad entrare in affari con lui, promettendo il 50% di guadagno in 90 giorni, a fronte del 400% di guadagno dell’operazione da lui stimato. Arriva a creare la Securities Exchange Company per pubblicizzarsi meglio. Le prime operazioni vanno bene e Ponzi paga gli investitori. Inizia il passaparola, e in pochi mesi la raccolta esplode, passando da 5.000 a 420.000 dollari da febbraio a maggio 1920. Ponzi è costretto ad assumere agenti, che remunera con provvigioni altissime. La raccolta prosegue talmente copiosa che Ponzi compra la banca dove deposita il danaro, la Hanover Trust Bank e riesce nell’intento. A luglio arriva ad avere diversi milioni. E’ durante questi pochi mesi che l’arbitraggio diviene frode che porterà circa 40.000 persone a investire circa 15 milioni di dollari dell’epoca. In piena estate inizia la fine: dal 26 luglio il Boston Post inizia a pubblicare articoli sulla società di Ponzi, con l’analista Clarence


FRODI Barron che si dice sicuro che le cose non tornano. I buoni risposta in possesso di Ponzi dovrebbero infatti essere ben 160 milioni, una cifra impossibile. Inoltre le provvigioni pagate agli agenti e i costi erodono i guadagni presunti. A quel punto parte la corsa ai riscatti, che in un primo tempo Ponzi riesce a fronteggiare sia pagando molti investitori, sia con un’opera di convincimento che tutto è in regola e non ci sono pericoli. Un suo ex agente pubblicitario, però, racconta al Boston Post i discorsi assurdi di Ponzi sui guadagni e l’articolo del 2 agosto è il colpo finale. Il 10 agosto la Securities Exchange Company e la Hanover Trust Bank vengono chiuse. Il 13 agosto Ponzi viene arrestato. Eppure molti investitori considerano responsabili del crack i giudici che lo hanno fermato.

Ascesa e crollo di Giorgio Mendella In tempi più recenti si è usato come mezzo di comunicazione la tv: uno dei principali esempi è avvenuto in Italia nei primi anni ‘90 del secolo scorso, quando Giorgio Mendella, dominus del gruppo Intermercato, raccolse 70 miliardi (400 il debito complessivo infra-gruppo) da oltre 13.000 persone in operazioni di riporto titoli, denominate “mutui”, della capo-gruppo Capital Italia, coi quali prometteva interessi anche superiori al 20 per cento annuo. Il vero scopo era non pagare il debito ma offrire azioni Intermercato che aveva un capitale sociale di 9 miliardi e 900 milioni composto da 9,9 milioni di azioni del valore nominale di mille lire. Azioni che i risparmiatori strapagavano rispetto al reale valore. In diecimila invece sottoscrissero mandati per l’ acquisto di appartamenti e villette a Costanza, sul Mar Nero, a prezzi ridicoli. L’unico vero asset di valore era Retemia, in possesso di una delle dodici licenze nazionali allora previste. Ed è proprio da Retemia che venivano irradiati i proclami di Mendella . La stessa che, il giorno degli arresti, mandò in onda una videocassetta registrata dal latitante Mendella, che si discolpava ed esortava a non far finire Retemia in altre mani. Come Ponzi, Mendella cercò di comprare un istituto di credito, il Banco di Tricesimo, poi finito in liquidazione coatta, ma l’operazione fu bloccata dalla Banca d’ Italia. A differenza di quanto in genere accade in si-

ELEMENTI COMUNI: LA PROMESSA DI ALTI GUADAGNI A BREVE TERMINE; INTROITI DA INVESTIMENTI DI “ALTA FINANZA” POCO CHIARI; OFFERTA RIVOLTA A NON COMPETENTI mili casi, i truffati che ai tempi si sono costituiti parte civile sono riusciti a recuperare un quarto dell’investimento, oltre le spese. Sono rimaste a loro modo nella storia le assemblee-convention a Viareggio, con migliaia di azionisti festanti nell’ascoltare il tele-predicatore, come definito dai tanti che a ragione lo osteggiavano. Un vizio, quello delle convention, che Mendella non ha mai perso: l’ultima “rimpatriata” coi collaboratori è avvenuta lo scorso dicembre.

Il caso Evolution Market Un altro caso esemplare è rappresentato dalla panamense Evolution Market, bloccata dalla Consob a fine 2008 dopo analoghi interventi delle autorità di Francia e Spagna e il cui patron, il messicano German Cardona, fu arrestato in Spagna. Si è infatti in presenza di un classico schema piramidale dapprima molto diffuso in Messico ma che si è poi esteso in giro per il mondo tramite internet. Insomma il web è servito per allargare la base della piramide e di conseguenza prolungare la vita dello schema. L’offerta consisteva in una gestione in valute che garantiva rendimenti anche superiori al 10% mensile. Se davvero si potesse guadagnare il 10% al mese e si reinvestissero di mese in mese i guadagni, in quindici anni, un investimento di appena

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FRODI mille euro garantirebbe oltre ventotto miliardi e duecento milioni di euro! Se qualcuno fosse davvero capace di generare simili performance, non perderebbe tempo a proporre l’affare ad altri. Non solo: sarebbe impossibile applicare il sistema su vasta scala, poiché a un certo punto non ci sarebbero sul mercato volumi di scambi sufficienti ad assorbire le operazioni! Come logico, il tutto si è dimostrato una catena di sant’Antonio alla fine estesa in oltre sessanta paesi. I venditori del sistema erano spesso reclutati tra gli stessi clienti, col tipico schema multi-livello che accompagna l’espandersi delle piramidi. Le ultime tracce sono rappresentate da una comunicazione del gennaio 2009 in cui si si annunciavano grandi novità in arrivo e si invitavano i clienti a portare il saldo dei conti ad almeno 500 dollari pena la loro estinzione (altro sintomo dell’imminente esplosione). La Procura Distrettuale della Florida ha ottenuto il sequestro di 138 milioni di dollari in lingotti d’oro e 40 milioni di dollari in depositi bancari, distribuiti tra i truffati che hanno fatto domanda, indipendentemente dalla loro nazionalità. Cifre che possono apparire notevoli ma che vanno raffrontate con l’altrettanto notevole numero di investitori coinvolti.

Il “Madoff dei Parioli” Un recente caso che ha fatto scalpore per dimensioni, modalità e presenza di numerosi vip tra la clientela è quello del tracollo per oltre trecento milioni di euro a danno di duemila soggetti causato da Gianfranco Lande, arrestato a marzo 2011 e che da oltre vent’anni raccoglieva danaro con i suoi venditori (i principali Torregiani e Castellacci) tramite la EIM, società inglese del tutto abusiva sia come intermediario, sia come prodotti venduti (che poi erano tutti falsi), con ufficio principale a Via Bocca di Leone, nei pressi di Piazza di Spagna a Roma. I prodotti erano soprattutto fondi chiusi di una società delle Bahamas sempre appartenente a Lande e situati alle Isole Vergini Britanniche. Ma è stato appurato che le quote erano false, e comunque quelle poche quote vere fossero senza valore, dato che il patrimonio dei fondi era inesistente. I rendimenti offerti al pubblico erano decisamente fuori mercato. Per esempio la quota unitaria iniziale di ventitrè milioni di lire raddoppiava dopo un anno. Poi con il tempo i rendimenti erano 78

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Gianfranco Lande, anche soprannominato “Il Madoff dei Parioli”

calati ma sempre elevati, 20%-25%, poi 10%-15%. Le cose sono andate avanti, gonfiando sempre più le cifre come tipicamente avviene in questi meccanismi, fino alla fine del 2007, momento in cui la EIM ancora riusciva a sostenere tutti i disinvestimenti che i clienti richiedevano. A inizio 2008 si verificarono le prime difficoltà per chi voleva uscire, con pagamenti sempre più ritardati e scarsi rispetto alle richieste. Nell’ultimo trimestre del 2008 entrò in gioco la capo-gruppo lussemburghese Dharma Holdings, di cui viene collocato un primo prestito obbligazionario (in totale è di sessantacinque l’ammontare emesso). Questi titoli iniziarono a essere spinti ovunque su Roma, tirando dentro la vicenda molti clienti nuovi. La situazione si fece però sempre più disperata, la crisi finanziaria iniziata proprio a inizio 2008 portò enormi difficoltà nel reperire denaro fresco e anche un aumento di richieste di disinvestimento. Nell’ultimo trimestre 2009 Lande tirò fuori un coniglio dal cilindro: lo scudo fiscale. I clienti vennero consigliati a scudare le posizioni dato che il grosso di queste era in fondi chiusi esteri non armonizzati alla direttiva UE e quindi andavano dichiarati ogni anno nell’apposito modello della dichiarazione dei redditi, come anche andavano dichiarati i guadagni che andavano ad aumentare la base imponibile Irpef. Per la quasi totalità dei clienti fu una notizia del tutto nuova, molti scuda-

MAI INNAMORARSI DI UN INVESTIMENTO, SOCIETÀ O PERSONA. POSSONO DELUDERE COME SPARIRE, MENTRE LE PERDITE PURTROPPO RESTANO rono e si ritrovarono quindi clienti della EGP, società francese con filiale a Roma regolarmente iscritta alla Consob. La mossa fu però inutile, oramai la falla era troppo grande per essere tappata e si giunse a settembre 2010 con la Guardia di Finanza che arrivò in EGP su mandato del PM Tescaroli che il 24 marzo effettuò gli arresti.

Insegnamenti utili Quali insegnamenti si possono trarre da queste, come altre storie, diverse tra loro ma dai contenuti sempre uguali? Prima di tutto che non esistono guadagni alti e sicuri, specie se costanti nel tempo. Chi li promette è per forza di cose in malafede. Il passaparola, l’amico che sta guadagnando, da soli non bastano: occorre valutare le cose senza farsi condizionare. Se non si è sicuri, abbandonare l’idea senza farsi abbindolare dall’invito a provare con una piccola somma. Ancora: bisogna prendere in considerazione molto seriamente ogni minimo segnale negativo, senza sottovalutarlo. Infine mai innamorarsi di un investimento, di una società o di una persona. Possono deludere come anche sparire, mentre le perdite restano.


SPETTACOLO EDUCAZIONE FINANZIARIA

Quando la storia di un truffatore diventa una pièce teatrale

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di Francesco Bellizzi

l Charles Ponzi, portato in teatro con un progetto di educazione finanziaria da Consob che ha girato tutta l’Italia in queste settimane, ha fatto tappa anche a Milano. Al Teatro Dal Verme il 28 maggio sera scorso è andata in scena la storia del truffatore italoamericano della prima metà del 900, diventato famoso per il metodo che porta il suo nome, quello della piramide rovesciata fatta dal passaparola tra investitori che diventano anche soci e - soprattutto - promotori della truffa stessa. Il monologo su Ponzi nasce da un’idea della responsabile dell’ufficio studi economici della Consob, Nadia Linciano che, dopo aver letto la biografia del personaggio ha deciso di avviare un progetto che parlasse alle nuove generazioni con il linguaggio del teatro. Per questo arduo compito è stato scelto Massimo Giordano, attore e drammaturgo che spazia dalla stand up comedy a lavori più complessi, come “La guerra di Rocco”, spettacolo dedicato alla biografia di un comune soldato durante la Guerra del 15-18. Giordano è riuscito nella missione di attirare l’attenzione della giovane platea, che non è sembrata provata dalla lunga giornata passata e neanche dal viaggio, nel caso di una scolaresca di Brescia. L’ironia è stata la chiave per consegnare al pubblico un racconto della vita del truffatore, libera da qualsiasi forma di mitizzazione o accento paternalistico. Ponzi è apparso per quello che probabilmente è stato: un uomo senza arte né parte con un solo obiettivo: accumulare ricchezza. A qualunque costo. Dal primo contatto con il mondo delle truffe, subendone una da un conterraneo durante la traversata dalla Sicilia verso gli Usa, alle prime “creste” sui conti dei tavoli del ristorante in cui lavorava, Carlo Pietro Giovanni Guglielmo Tebaldo Ponzi - al secolo Charles Ponzi - fu vittima lui stesso di imbrogli e sfruttamento. Esperienze davanti a cui reagì non con sdegno ma con ammirazione per l’arguzia e la spregiudicatezza dei suoi carnefici. La svolta, Ponzi, la ebbe con il lavoro come aiuto cassiere a Montreal, nel Banco Zarossi. Istituto da cui fu cacciato per una storia di assegni falsi e nel quale tornò, anni dopo, in veste di proprietario. Il personaggio si guarda indietro e ripercorre le tappe della carriera criminale che lo ha portato in galera più volte e ricorda di quando iniziò a guadagnare con la pubblicità dell’editoria aprendo un giornale tutto suo. Davanti all’assenza di inserzionisti, decise di attirarli spedendo delle lettere promozionali. Dalla lettera di risposta di un potenziale cliente dalla Spagna, Ponzi scoprì i guadagni possibili con i Buoni di risposta internazionale grazie al sistema della piramide rovesciata. Il sistema gli permise di guadagnare abbastanza per comprare edifici e società, ma anche di accumulare debiti e denunce, sotto il cui peso sarebbe rimasto

LA VITA SPERICOLATA DI CHARLES PONZI IN UN APPLAUDITO MONOLOGO VOLUTO DALLA CONSOB PER FAR RIFLETTERE LE NUOVE GENERAZIONI alla fine schiacciato. La sala del teatro era piena di ragazzi dell’istituto di istruzione superiore“G. Giorgi” di Milano e del liceo delle Scienze Umane “De Andrè” di Brescia. Tutti studenti e studentesse del quinto anno quindi alle prese con la crisi che sconvolse l’economia americana (e non solo) nel 1929. Perfettamente in tema con lo spettacolo e con il panorama attuale italiano. Il vicedirettore di Consob, Giuseppe D’Agostino, ha introdotto lo spettacolo ricordando che il basso livello di conoscenza di temi economici e finanziari «porta a un peggioramento della qualità della vita del 40%». Un rischio concreto in Italia, visto che la Banca Mondiale, nel 2015, ha certificato che solo il 37% della popolazione dispone di un livello sufficiente di alfabetizzazione economico-finanziaria. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. In primis sotto quelli di Consob che, nel solo periodo tra marzo e aprile scorsi, ha effettuato trentotto interventi, tra repressioni di attività finanziarie abusive e comunicazioni ai risparmiatori. Complessivamente da inizio anno sono stati 60 gli interventi dell’autorità di vigilanza. Il quadro italiano della formazione finanziaria è molto preoccupante e si inserisce in un contesto nazionale in cui l’analfabetismo funzionale negli investimenti finanziari (ossia l’assenza di strumenti critici per interpretare concetti complessi) supera ormai il 60%. Quello di cui c’è bisogno è un vero piano di emergenza che tenga insieme il mondo dell’istruzione e quello economico-finanziario. Lo dicevano nel 2017 Bankitalia, Consob, Covip e Ivass in un sondaggio in cui certificavano la “assenza di un quadro nazionale che definisca in modo unitario fabbisogni formativi, priorità e criteri di intervento”. luglio - agosto 2019

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COSMOPOLITICA Andrea Margelletti Presidente del Centro Studi Internazionali, docente presso la Facoltà di Scienze delle Investigazioni e della Sicurezza dell’Università di Perugia e Narni. Unico membro onorario delle Forze Speciali

IRAN-USA, L’ESCALATION CHE NUOCERÀ A TUTTI

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pirano nuovi venti di guerra nel Golfo Persico che, per l’ennesima volta, torna a essere il ventre molle di un Medio Oriente in cui l’inconciliabilità degli interessi particolari di potenze più o meno regionali continua ad avere la meglio su ogni tentativo di dialogo, anche a discapito delle prospettive di stabilità di medio-lungo termine. L’attacco alle due petroliere in transito dalla Penisola Arabica agli energivori mercati asiatici è stato solo l’ultimo pretesto per rintuzzare le già tese relazioni tra Iran e Stati Uniti e portare il tono dello scontro verso un pericoloso punto di non ritorno. Ancora da chiarire la dinamica e la regia dei sabotaggi, ma entrambe le parti hanno già puntato il dito l’uno contro l’altro, entrambi forse troppo abituati a continuare a guardare il dito invece che provare a HASSAN ROUHANI vedere la luna. Perché che sia stato il pretesto di qualche nostalgico del 2003 di trovare una nuova pistola fumante da mettere in mano a Teheran; o il tentativo delle frange più oltranziste della Repubblica Islamica di dare una spallata al governo pragmatista di Rouhani, per togliersi dai piedi una volta per tutte la politica di appeasement con l’Occidente e testare fino a che punto sia possibile tirare la corda anche con l’Amministrazione Trump; o ancora l’iniziativa di qualche rivale dell’Iran sull’altra sponda del Golfo, interessato a mettere sale nella ferita aperta del rapporto Teheran-Washington: ebbene, in ogni caso soffiare sul fuoco delle tensioni in questo spicchio di mondo non hai mai prodotto effetti contingenti e limitati. E mentre sembrano tutti impegnati a guardare la pagliuzza nell’occhio dell’altro invece di accorgersi della trave nel proprio, nessuno sembra accorgersi, o a nessuno sembra importare particolarmente, che si stanno creando le condizioni per una per una pericolosa escalation da cui difficilmente qualcuno potrà uscirne davvero vincitore. Sembra ormai es-

sere stato archiviato il tanto sudato accordo sul nucleare, che gli Stati Uniti hanno deciso di denunciare unilateralmente e che l’Iran considera ormai un escamotage orchestrato da Washington, con la complicità dell’Europa, per rallentare l’avanzata tecnologica della Repubblica Islamica. Peccato che il valore dell’intesa non stia tanto nell’essere uno strumento di non proliferazione quanto nel servire da tappo al vaso di Pandora mediorientale. Solo che in questo caso è non la curiosità, ma la mancanza di lungimiranza, a portare a scoperchiare il vaso. Le prime avvisaglie del contenuto che potrebbe riversarsi nella regione sono già presenti: il Pentagono annuncia un incremento del numero di uomini inviati in Medio Oriente per garantire la sicurezza dei propri obiettivi sensibili; l’Iran passa in rassegna quell’universo di milizie sciite sparse per il Medio Oriente, che ha supportato in questi anni di lotta a Daesh e con cui ora vuole costruire la propria assicurazione sulla vita, mentre lancia un ultimatum, disperato più che minaccioso, a tutti quei Paesi ancora impegnati nell’accordo sul nucleare, in primis l’Europa. Già, l’Europa. Imbrigliata dalla burocrazia e rallentata dalle difficoltà interne, si trova a essere spettatore passivo di una crisi in cui sono in gioco interessi diretti dell’UE stessa. Tralasciando il fatto che dallo stretto di Hormuz passi circa il 30% del greggio mondiale e che una crisi nel Golfo avrebbe un impatto sul mercato petrolifero internazionale, la degenerazione delle tensioni con l’Iran innescherebbe un effetto domino in Medio Oriente che si riverbererebbe in una nuova pressione ai confini del Vecchio Continente. Le promesse fatte a Teheran di trovare una soluzione per tenere in piedi l’accordo e contrastare le nuove sanzioni americane, non sono fino a ora state mantenute e Bruxelles si deve rivolgere a Russia e Cina per avere una sponda con cui invitare Teheran alla calma. L’Iran perde la pazienza, l’Europa perde la faccia.

Spirano nuovi venti di guerra nel Golfo Persico, con l’Europa che potrebbe presto risentirne

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QUI PARIGI di Giuseppe Corsentino

LA FRANCIA VUOLE BLOCCARE I FONDI-AVVOLTOIO. FA BENE?

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n Italia la Cassa Depositi e Prestiti della nuova stagione giallo-verde, guidata da Fabrizio Palermo, non si è fatta scrupolo ad allearsi con il fondo attivista Elliott- altrimenti chiamato “fondo avvoltoio” per la rapacità dei suoi interventi e l’avidità delle sue strategie - del finanziere ebreo-americano Paul Singer (per intenderci, quello che ha speculato sul default argentino nel 2011 guadagnando in pochi mesi due miliardi di dollari, più 2000% sull’investimento iniziale) pur di ridimensionare il peso e il ruolo dell’azionista di maggioranza francese (con una quota del 24%) Vivendi nel capitale di Tim. In Francia al contrario la Cassa Depositi e Prestiti con gli “avvoltoi” non vuole avere nulla a che fare. E per contrastare le manovre dei vari Elliott (che nel frattempo ha rilevato anche una quota di minoranza del colosso del wine&spirit Pernod Ricard provando perfino a far sponda con il suo grande concorrente Lvmh di Bernard Arnault e la sua divisione vini Hennessy Moët Chandon), Muddy Waters, l’altro fondo attivista americano che vende allo scoperto azioni del gruppo Casino, la cassa della stagione macroniana (in sostanziale continuità, va detto, con la presidenza Hollande), attraverso il suo braccio operativo, la banca d’investimento Bpi France, ha tenuto a rassicurare le prede nazionali e tutto il sistema delle aziende francesi quotate che non lascerà nulla di intentato per metterle al sicuro dagli avvoltoi. Si tratti dei fondi americani, di quelli inglesi (come Amber Capital che ha rilevato il 5% del gruppo editoriale Lagardère, quello del settimanale Paris Match e delle edicole Relay nelle stazioni e negli aeroporti), o di quelli nazionali come Ciam, Charity investiment asset management (nome davvero curioso per un fondo-avvoltoio), sedi a Parigi e Londra, che si sta lavorando ai fianchi con le solite vendite allo scoperto il colosso francese delle riassicurazioni Scor, quarto al mondo nel suo campo. E per rassicurare questi “fleuron” dell’economia nazionale niente di meglio che mettere sul tavolo la bellezza di tre miliardi di euro (con modalità che saranno precisate, in ogni caso favorevoli) come ha annunciato il pdg di BpiFrance, Nicolas Dufourque, enarca e grand commis (ha lavorato con Hollande e Macron) che interpreta in questo modo le scelte della politica che, sul punto, vanno nella direzione della difesa dell’interesse nazionale 82

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com’è tradizione nella Francia colbertista e sovranista. Pensate che s’è mosso anche il presidente della commissione finanze dell’Assemblea nazionale, il repubblicano Eric Woerth che ha aperto un dossier-flash sull’attivismo dei fondi attivisti e in perfetto accordo con il suo collega di commissione del partito macronista (Benjamin Dirx), ha cominciato un giro di audizione delle vittime e ora medita una trasferta a Londra e a New York per ascoltare i regolatori delle piazze finanziarie dove gli avvoltoi alla Paul Singer svolazzano in tutta libertà. Non solo la politica. Si sono messi in moto anche le lobby parigine come l’Afep (Association française des entreprises privées), l’associazione delle imprese industriali quotate al Cac40, insomma i colossi, che ha creato un think tank tecnico giurdico in collaborazione con il Club des juristes, presieduto dall’ex presidente della Consob francese Michel Prada, ufficialmente “pour reflechir sur la question”, in realtà per verificare se l’attuale apparato normativo consenta di mettere un freno ai raid dei fondi attivisti ora che l’ufficio studi di Banque Lazard ha fatto sapere che dal 2018 a oggi gli avvoltoi sono volati su 247 aziende in tutto il mondo e su 28 solo in Europa (Francia compresa). Eppure la contraerea sui fondi attivisti, apparentemente bipartisan come si è visto, ha le sue contraddizioni interne. Anzi, si trova di fronte a quello che qui viene definito un “choix cornélien”, un dilemma insolubile come quello dei protagonisti delle tragedie di Corneille. Perché, alla vigilia della Brexit e mentre Europlace, la società di marketing politico-territoriale di Parigi (a cui voleva aggiungersi anche il governo italiano ai tempi di Renzi ma è stato respinto), fa di tutto per attirare verso la piazza di Parigi le grandi banche d’affari e le finanziarie (fondi speculativi compresi) in uscita da Londra, che senso avrebbe mettere sotto controllo gli “attivisti” e, addirittura, fare una legge per dire “quello che possono o non possono fare in Francia” come ha dichiarato recentemente lo stesso ministro dell’economia, Bruno Le Maire, in un convegno di imprenditori? “Les prédateurs ne sont pas les bienvenus au capital des entreprises” ha proclamato il ministro strappando l’applauso. Ma nessuno gli ha ricordato che nell’ecosistema del capitalismo finanziario c’è posto anche per gli avvoltoi. Fanno un brutto lavoro, si sa, ma in certi casi è utile a ripulire il mercato.


QUI NEW YORK

di Glauco Maggi

IL VOTO PRO TRUMP HA DATO LA SCOSSA ALLE PENSIONI

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America che lavora pensa al futuro, e risparmia un sacco, da formica gigante. Si fa tanto rumore sul popolo americano oppresso dai debiti, da quelli contratti per diplomarsi allo stock delle carte di credito, e l’allarme è in assoluto più che giustificato. Oltre 44 milioni di americani (dato del 2018) detengono complessivamente quasi un trilione e mezzo di dollari (1500 miliardi) di debiti studenteschi: significa che all’incirca un americano su quattro sta ripagando i prestiti ricevuti per diplomarsi, e che ogni studente ha in media 37.172 dollari da restituire dal momento della ‘graduation’, un aumento di 20mila dollari rispetto al 2005. Quanto al debito medio delle carte di credito ha toccato gli 8.339 dollari a famiglia nell’aprile 2019, per un totale di 1.064 miliardi di dollari distribuito tra 128 milioni di nuclei familiari: il dato supera il record pre-recessione che nel 2008 era pari a 1.020 miliardi di dollari. Si tratta di grossi numeri che impallidiscono però a fronte della cassaforte pensionistica complementare in cui i lavoratori attuali, dipendenti e autonomi, custodiscono e arricchiscono la loro riserva previdenziale privata: 29,1 trilioni, ossia 29.100 miliardi di dollari, alla fine del primo trimestre di quest’anno, dato più alto del 7,4% rispetto alla fine di dicembre 2018 (fonte: ICI, Investment Company Institute; Fed; Ministero del Lavoro; Consiglio delle assicurazioni; IRS). L’incremento registrato nel primo trimestre 2019 è dovuto alla ripresa del mercato azionario a Wall Street, poi proseguito nei mesi successivi fino a riportare a metà giugno 2019, a livelli attorno ai record storici, i tre principali indici: S&P a 2954 punti (da 2126 di fine ottobre 2016, +39%), Dow Jones a 26.753 (da 18.161, +47,3%), Nasdaq Composite a 8051 (da 5190, +55%). Per i pensionandi di oggi, che hanno nei loro fondi previdenziali presenze percentuali più o meno elevate di azioni (dipende dalle scelte individuali che fanno, per lo più sotto la guida dei consulenti finanziari o dei datori), la scossa data a Wall Street dal voto pro Trump del novembre 2016 continua a dare frutti. L’universo delle forme pensionistiche complementari, integrative (sostanzialmente, più che in Italia) della Social Security, è costituito da diverse tipologie, tutte con il beneficio della tassazione differita sui versamenti. L’ICI, l’associazione dei fondi comuni

e del risparmio gestito, ne fornisce periodicamente lo spaccato. Dall’ultimo rapporto, appena pubblicato (19 giugno 2019), emerge che gli attivi nei conti pensionistici individuali (IRA, fondi pensione volontari), ammontavano a 9.400 miliardi di dollari alla fine del primo trimestre del 2019, con un incremento dell’8,3% rispetto alla fine del 2018. Le attività dei piani a contribuzione definita (Defined Contributions; sono i fondi in cui, stabilita la contribuzione ma non la rendita, il rischio è trasferito ai sottoscrittori) erano pari a 8mila miliardi alla fine di marzo, in aumento dell’8,2% sulla fine del 2018. I piani a benefici definiti governativi (Defined Benefits, nei quali il sottoscrittore godrà di un risultato predefinito), compresi i piani governativi federali, statali e municipali, detenevano 6.300 miliardi di attivi a fine marzo, un incremento del 6,2% da fine dicembre 2018. I piani Defined Benefits del settore privato, un tempo prevalenti nel sistema e ora sempre meno diffusi per aver portato al collasso i bilanci di molte aziende, avevano ancora 3.200 miliardi di attività a fine marzo, con riserve di rendita al di fuori dei conti di pensionamento per altri 2100 miliardi. I datori di lavoro, nel regime ormai dominante della contribuzione definita, offrono un’ampia gamma di opzioni di investimento ai dipendenti per incoraggiarli al risparmio previdenziale, secondo uno studio sui conti pensionistici individuali (chiamati 401k dal comma che regola il loro regime fiscale), di BrightScope e ICI. Il rapporto ha rivelato che nel 2016 il piano medio 401k ha offerto 27 opzioni di investimento, tra cui un mix di fondi azionari, fondi obbligazionari e fondi target (in cui l’obiettivo temporale impone un trend sempre più prudente, ossia obbligazionario, del portafoglio). Lo studio ha anche evidenziato che i datori di lavoro puntano sulla semplicità delle formule d’investimento offerte e sulla diminuzione progressiva dei costi per convincere i lavoratori ad aderire. Oltre ai 29,1 trilioni del tesoretto privato descritto, per gli americani c’è comunque pure la pensione pubblica, la Social Security (S.S., l’Inps USA), che spetta ai lavoratori che hanno versato almeno 10 anni di contribuzione obbligatoria nella loro vita: i dipendenti devono finanziare la S.S. con il 6,2% di tassa sul salario, a cui si aggiunge il 6,2% del datore di lavoro; gli autonomi pagano una tassa del 12,4%. luglio - agosto 2019

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IL GIRO DEL MONDO IN 30 GIORNI

C’È POSTA PER TRUMP. È XI: NON COMPRA PIÙ I SUOI BOND

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a Cina sta vendendo titoli di consecutive di titoli di Stato, il 7 maggio (il Stato americani a un ritmo giorno dopo l’annuncio di nuovi dazi da piuttosto sostenuto. Secondo parte di Trump), che avrebbe dovuto coli dati diffusi dal dipartimento locare 38 miliardi di titoli a 3 anni, e quella del Tesoro degli Stati Uniti, le dell’8 maggio su 27 miliardi di dollari di disponibilità sono scese a 1.113 miliardi di bond decennali. Le aste hanno segnato la dollari ad aprile, il livello più basso da due peggiore perfomance dei T-bond amerianni a questa parte, segnando la seconda cani degli ultimi anni: il decennale è stato contrazione mensile consecutiva: meno collocato con un rendimento del 2,479% 10,4 miliardi di dollari a marzo, e meno rispetto al previsto 2,46%, il più elevato balzo in punti base 7,5 miliardi ad apriTRA MARZO E APRILE LA CINA dall’agosto 2016, le. La Cina possiede HA VENDUTO T-BOND PER 18 mentre il bond triencomunque quasi un terzo dei Treasury MILIARDI. E DUE ASTE A MAGGIO nale ha registrato non solo il peggior bond detenuti fuori SONO ANDATE QUASI DESERTE rapporto Bid-to-codagli Usa. Le vendite massicce degli ultimi mesi da parte cine- ver, coefficiente che indica la differenza tra se spingono i prezzi delle obbligazioni al domanda e offerta in un collocamento di ribasso, e i rendimenti al rialzo: questo bond, che cresce insieme all’interesse per potrebbe quindi rendere più costoso per i titoli (2,17 rispetto al 2,55 precedente), Washington finanziare il debito. Che si ma anche un crollo verticale degli acquisti tratti di una strategia cinese per far capi- sul mercato indiretto, dove il governo cire a Trump chi ha il coltello dalla parte del nese è da sempre il più grande acquirente manico, pare evidente dal flop di due aste di bond sovrani americani. A quanto pare

dalle aste era sparita non solo la Cina, ma anche i paesi su cui la Cina esercita un dominio politico. Un messaggio forte e chiaro: si tratta di vedere se l’imprevedibile Donald Trump ne terrà debito conto, come sembrerebbe dalle aperture successive al flop delle aste, o se tirerà diritto per la sua strada. A tutti i costi.

BBVA INVESTE IN MESSICO: PIÙ FILIALI E DIGITAL BANKING CON IL SOSTEGNO DI LOPEZ OBRADOR La banca spagnola Bbva ha un ruolo centrale in Messico: copre il 96% della popolazione ed è presente nel 67% dei comuni del Paese, con 1.834 filiali e 12.595 bancomat. Ma intende ampliare ulteriormente la sua influenza, investendo circa 3,3 miliardi di dollari nel corso della presidenza di Andres Manuel Lopez Obrador (2018-2024). Lo ha annunciato il direttore generale della controllata messicana, Eduardo Osuna. “Siamo e continueremo a essere la banca del futuro nel Paese e il principale alleato finanziario del Messico”, ha detto Osuna durante l’incontro dei consulenti nazionali di Bbva. L’investimento pianificato, spiega il quotidiano economico spagnolo “Cinco Dias”, è del 22% superiore ai circa 2,7 miliardi di dollari programmati durante il governo di Enrique Peña Nieto (2012-2018). Oltre all’apertura di nuove filiali bancarie, Bbva vuole estendere il digital banking con il sostegno del presidente López Obrador, che ha sottolineato la necessità per tutti i comuni del Paese di avere accesso alle reti internet.

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IL GIRO DEL MONDO IN 30 GIORNI

LA DEUTSCHE BANK SU UNA MONTAGNA D’ORO. VENEZUELANO

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volte nei momenti più difficili capitano fortune inattese. È quel che è successo a Deutsche Bank, che sta attraversando un periodo buio, con le azioni ai minimi e la fusione con Commerzbank tramontata. Ma l’istituto di credito si è trovato in possesso di 20 tonnellate d’oro: si tratta del collaterale depositato dal Venezuela presso la Banca d’Inghilterra al momento della ricezione di un finanziamento da 750 milioni di

ISRAELE, LA CRESCITA DEL DEFICIT IMPONE UN NUOVO TAGLIO DELLE SPESE

Un taglio di 3,25 miliardi di shekel (circa 900 milioni di dollari), che si aggiunge a una precedente richiesta di tagliare il budget di 1,16 miliardi di shekel ai bilanci dei ministeri della Difesa e dell’Istruzione. Lo ha proposto il ministro delle Finanze israeliano, Moshe Kahlon, per ridurre il crescente deficit. Per ridare respiro all’economia, Kahlon ha previsto, accanto ai tagli, l’aumento delle tasse sulle macchine ibride e una nuova tassa sui carburanti industriali, che dovrebbe generare entrate per 450 milioni di shekel. Lo scorso gennaio il Tesoro ha avvertito che la crescita economica più lenta del previsto nel 2019 avrebbe comportato un minor gettito fiscale, con un conseguente deficit di bilancio di circa 10 miliardi di shekel (circa 2,7 miliardi di dollari). L’aumento del disavanzo è stato rafforzato dall’incremento della spesa pubblica, dopo che i ministri hanno ceduto alle richieste di salari più alti nel settore pubblico, compresa la polizia, ed erogato sussidi per gli alloggi. La misura economica si è resa necessaria in una fase delicata, con il paese pronto a tornare alle urne il prosssimo 17 settembre.

dollari dalla banca tedesca, nel 2016. La crisi economica del paese sudamericano, al cospetto della quale le difficoltà attraversate da Deutsche Bank sono quasi roba da ridere, hanno però impedito il pagamento degli interessi sul prestito. L’istituto di credito di Francoforte ha quindi potuto

LE 20 TONNELLATE D’ORO DATE IN GARANZIA DA CARACAS PER UN PRESTITO SONO ORA NELLA DISPONIBILITÀ DI FRANCOFORTE

recedere dall’accordo in anticipo, e ora ha accesso all’oro depositato dal Venezuela, dal valore di 860 milioni di dollari, con un guadagno di 110 milioni. Un utile che in teoria dovrebbe essere restituito, perché il contratto di credito stabilisce chiaramente che è dovuto al debitore. Ma la Deutsche Bank non può rimborsare il profitto al Venezuela semplicemente perché gli Stati Uniti hanno imposto un embargo commerciale al regime del presidente Nicolas Maduro. Se la Deutsche Bank dovesse violarla, si creerebbero nuovi problemi con gli Stati Uniti. Considerato che un anno fa la banca tedesca non ha superato lo stress test della Fed a causa delle sue “ significative debolezze”, e in vista del successivo, non sembra una mossa auspicabile. Almeno per il momento, Francoforte dovrà tenersi la sua montagna d’oro… luglio - agosto 2019

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I TORONTO RAPTORS VINCONO L’NBA. E IL LORO VALORE SCHIZZA A DUE MILIARDI DI DOLLARI

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incendo uno storico titolo NBA, i Toronto Raptors sono diventati anche la squadra sportiva professionistica col maggior valore in Canada. Due miliardi di dollari, contro 1,5 miliardi dei Maple Leaf (hockey) e dei Blue Jays (baseball). Il tutto nella città che, secondo uno studio della Ryerson University, cresce di più in Nord America. Sono numeri che si misurano con i 3,2 miliardi di euro del Real Madrid, primo in Europa nel 2018, e il miliardo e 200 milioni della Juventus, prima in Italia, ma che scontano anche le diverse dimensioni delle platee di riferimento. In ogni caso, un affarone per la Maple Leaf Sport and Entertainment, il conglomerato controllato al 75% da Bell Canada e Rogers Communications, che aveva compra-

to i Raptors per 400 milioni di dollari nel 2012. Ora la squadra fattura 275 milioni di dollari all’anno, più di metà con i diritti televisivi. Chi gongola meno è McDonalds. Poco più di un anno fa, prima dell’arrivo della superstar Kawhi Leonard, regalava patatine fritte nei locali dell’Ontario quando i Raptors segnavano più di 12 “bombe”, i canestri da 3 punti messi a segno dalla lunga distanza. La previsione, basata sulla stagione precedente, era di 700 mila porzioni gratuite. Con l’av-

L’ECONOMIA TEDESCA RALLENTA ANCORA

LEONARD, ASSO DEI RAPTORS, SEGNA TROPPE “BOMBE”. E MC DONALDS CI RIMETTE DUE MILIONI DI PORZIONI DI PATATINE vento di The Claw, l’Artiglio, soprannome dell’asso dei Raptors Leonard, le porzioni gratuite sono diventate 2 milioni, con un esborso di 6 milioni di dollari. Nel frattempo l’Artiglio ha fatto causa alla Nike, rea di usare senza autorizzazione il logo che riproduce la sua mano stilizzata. Ai benefici fiscali per gli atleti professionisti che giocano in Canada, in questo modo, potrebbe aggiungersi un risarcimento coi fiocchi.

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uova battuta d’arresto per l’economia tedesca. Secondo le previsioni pubblicate dalla Bundesbank infatti nel secondo trimestre del 2019 la crescita del prodotto interno lordo (Pil) della Germania subirà «un lieve declino». In particolare la Bundesbank nota come «gli effetti speciali che hanno contribuito a un notevole incremento del Pil nel primo trimestre dell’anno in corso si stanno riducendo, se non invertendo di tendenza». Da gennaio a marzo scorso, come riferisce la Bundesbank, la crescita della Germania è stata dello 0,4%. A rallentare l’espansione dell’economia tedesca sarà in primo luogo il “rimbalzo” del settore edilizio nel trimestre corrente, dopo la crescita significativa nei primi tre mesi dell’anno dovuta all’inverno mite. Inoltre incidono i ritardi nella consegna degli autoveicoli, dovuti all’introduzione della nuova normativa ambientale in materia di gas di scarico basata sulla procedura di prova per veicoli leggeri armonizzata a livello mondiale (Wltp). Terzo fattore di rallentamento per la crescita della Germania è l’incertezza legata alla Brexit, fattore di sofferenza per le esportazioni tedesche verso il Regno Unito. Più in generale secondo la Bundesbank, «la tendenza economica di fondo rimane debole, con il fattore decisivo individuato nel declino del settore industriale». All’inizio di giugno la Bundesbank ha ridotto le previsioni di crescita nel 2019 dall’1,6% stimato a dicembre scorso allo 0,6%. 86

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I MOTORI DELL’AIRBUS RIPARATI A ABU DHABI

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n accordo da 6,5 miliardi di dollari con Rolls-Royce per la manutenzione dei motori Trent 700. Lo ha siglato Sanad Aerotech, di Mubadala, interamente controllata dal fondo statale di Abu Dhabi. La società, precedentemente nota come Turbine Services and Solutions Company, fornirà servizi di revisione per i motori Trent 700 fino al 2027 e diventerà anche un centro di manutenzione certificato per il motore Rolls-Royce. «Sanad oggi non è un mero fornitore locale di servizi di manutenzione, riparazione e revisione, bensì un fornitore di caratura globale», ha dichiarato Mansour Janahi, ceo di Sanad. «Vogliamo ora concentrarci maggiormente sull’investimento in nuove tecnologie, che supporteranno la nostra crescita». Sanad manuterrà annualmente 75 motori Trent 700 utilizzati sull’Airbus A330. Il centro di riparazione e manutenzione di Abu Dhabi ha fornito servizi di questo tipo per 90 motori dall’inizio delle operazioni nel 2013; il numero salirà a oltre 600 nel prossimo decennio. L’azienda aumenterà la forza lavoro di oltre il 40% fino a circa 500 ingegneri e tecnici aeronautici, per tenere il passo dei nuovi e più gravosi impegni.


IL GIRO DEL MONDO IN 30 GIORNI

PATRICK DRAHI SI È COMPRATO SOTHEBY’S

S LA VILLE LUMIÈRE PRIMA AL MONDO PER R&S

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arigi è al primo posto a livello globale per gli investimenti in ricerca e sviluppo (R&S). Nel 2018 aveva 47 progetti attivi, con una crescita del 34% rispetto al 2017, seguita da Singapore (42 progetti), Bangalore (33), Barcellona (29) e Shanghai (24). «Gli investimenti in R&S sono particolarmente strategici» afferma Lionel Grotto, direttore generale di Paris Region Entreprises, la struttura regionale di sostegno agli investitori stranieri, «è il primo mattone della produzione della conoscenza e della crescita industriale. Inoltre i posti di lavoro che nascono dalla creazione e dall’espansione dei centri di R&S sono altamente qualificati e apportano un elevato valore aggiunto». Secondo lo studio Global Cities Investment Monitor, Parigi è ora la seconda destinazione a livello globale per gli investimenti internazionali effettuati nel 2018, dopo Londra ma davanti a Singapore, a Dubai che mantiene il quarto posto, a New York che ne guadagna uno, e a Shanghai che scende dal quinto al sesto posto. Nel complesso, l’Europa rappresenta il 43% degli investimenti internazionali ed è il primo continente, ma perde tre punti percentuali. La regione Asia-Pacifico è ancora molto lontana, con una quota del 27%, ma sta crescendo a un ritmo molto sostenuto: il 17%. Segue il Nord America con il 12% degli investimenti internazionali, che ha perso a sua volta l’1%.

otheby’s, la casa d’aste più famosa del mondo insieme alla rivale di sempre Christie’s, è stata acquistata per 3,3 miliardi di euro da Bidfair Usa, veicolo di proprietà dell’imprenditore franco-israeliano Patrick Drahi, presidente di Altice Group, specializzato in telecomunicazioni e media. Sotheby’s torna così ad essere una società privata, uscendo dopo trentuno anni di quotazione dalla Borsa di New York (d’altra parte anche Christie’s è di proprietà di Artémis, la holding familiare del collezionista François Pinault). Gli azionisti di Sotheby’s riceveranno 57 dollari per azione, con un sovrapprezzo del 61% rispetto al valore del titolo al 14 giugno, corrispondente al livello più alto raggiunto dalle azioni lo scorso anno. L’operazione sarà parzialmente finanziata da Patrick Drahi, che ha dichiarato che venderà azioni di Altice Usa per 400 milioni di dollari, circa il 2,5% del capitale della sua controllata americana, di cui attualmente detiene il 38%. Il resto di questa operazione personale sarà finanziata attraverso una linea di credito aperta da Bnp Paribas. L’imprenditore non ha mai avuto paura del debito. Per costruire il suo gruppo, ha fatto ampio ricorso a esso: Altice è attualmente seduto su circa 49 miliardi di euro di debito, diviso tra le sue attività europee (60%) e americane (40%). Nel mondo dell’arte Patrick Drahi è conosciuto come collezionista di opere impressioniste e moderne. Si dice addirittura che Samuel Valette, vicepresidente delle vendite private di Sotheby’s a Londra, fosse suo consulente.

DECOLLA L’HAMBURGER VEGANO: BEYOND MEAT MOLTIPLICA PER OTTO IL VALORE DELL’IPO

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a febbre per l’hamburger vegano, nelle ultime settimane, ha contagiato anche Wall Street. La californiana Beyond Meat (Nasdaq: BYND), con Bill Gates e Leonardo Di Caprio come investitori da copertina, ha moltiplicato per otto i 25 dollari dell’IPO di maggio – per ora, la migliore dell’anno – fino al nuovo massimo storico a 201, grazie anche al + 69% nei due giorni successivi all’annuncio del raddoppio delle previsioni di vendita per fine anno. Questo non ha impedito a J.P. Morgan di tagliare il rating da “neutral” a “overweight” e che il titolo lasciasse sul terreno un 20% dai massimi, pur restando di gran lunga al di sopra dei 123 dollari del prezzo

LE PREVISIONI DI VENDITA SONO RADDOPPIATE. NEGLI USA IL 12% DEI MILLENNIAL È VEGETARIANO

massimo indicato dagli analisti. Per molti un fisiologico riallineamento dei prezzi di mercato ai fondamentali: un classico anche per titoli con le migliori performance di sempre, Netflix, Amazon e Tesla incluse. Il momentum di Beyond Meat si è esaurito e si comincia a compararne i multipli con

il resto della industry: con una market cap pari a 45 volte le vendite, si misura con il 6,7 di Coca-Cola, l’1,4 di Kellogg, il 2,8 di Unilever, il 3,3 di Nestlè e il 7,6 di McDonald’s, ma anche con la crescente competizione di Nestlè, Tyson e Impossible Foods. Questo mentre il potenziale del mercato delle proteine non animali resta enorme, con i circa 7,3 milioni di vegetariani negli USA (il 3% degli adulti, ma tra i Millennial sono al 12%). Per AT Kearney, entro il 2040, il 60% della carne consumata verrà da tessuti coltivati in laboratorio.

Il giro del mondo in 30 giorni è a cura di Riccardo Venturi luglio - agosto 2019

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Leader Europeo nelle


M. Di Lorenzo

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FASHION MODA E DINTORNI

La carica dei manager italiani al timone dei brand del lusso di Fabiana Giacomotti

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icono che il nuovo amministratore delegato di Bottega Veneta, Bartolomeo Rongone, sia molto simpatico e particolarmente benvoluto dai colleghi. Ce lo conferma uno dei manager di vertice dell’area commerciale del marchio di altissima gamma del gruppo Kering, incontrato sul vaporetto durante un’assolata domenica di giugno a Venezia, e non abbiamo motivo per smentirlo: Rongone, che fino a oggi ha mantenuto un basso profilo e non ha ancora, ovviamente, rilasciato interviste. Dalle immagini diffuse con il comunicato della nomina emerge il volto di un filosofo simpatico, del genere severo ma presente, molto amato dai discepoli. I tre anni circa di gestione di Claus-Dietrich Lahrs, che “ha deciso di lasciare l’azienda per motivi personali e riavvicinarsi alla famiglia”, conoscete lo stile di questo genere di uscite, non hanno lasciato traccia in Bottega Veneta, se non una lunga serie di tagli nel marketing e nella comunicazione che hanno sostanzialmente azzerato la presenza e la riconoscibilità del marchio nell’ambito dello stile alto, sofisticato e desiderabile in cui l’aveva collocato fino al 2015 Marco Bizzarri prima di assumere le redini di Gucci con il successo che si sa. Dopo averci pensato un po’, ma neanche troppo, François Henri Pinault ha dunque nominato amministratore delegato Rongone Bartolomeo detto Leo, “photography and art addict” come dichiara il suo profilo su LinkedIn, 48 anni, ex analista del lusso entrato a far parte del settore dal 2001 come responsabile della business

Nella foto in alto Bartolomeo Rongone, neo amministratore delegato di Bottega Veneta. Nella foto in basso l’imprenditore francese Francoise Henri Pinault

SPIRITO APERTO E CAPACITÀ NELLE FUNZIONI SUPPLY CHAIN E CUSTOMER ORGANIZATION, ALLA BASE DEL SUCCESSO DEI NOSTRI CONNAZIONALI intelligence di Fendi. Fino a ieri, anzi fino a settembre quando assumerà l’incarico in Bottega Veneta a tempo pieno, sarà Chief operating officer di Yves Saint Laurent, con responsabilità di prodotto e di global retail operations e client engagement. Se voleste andare a leggere il curriculum dei manager della moda e del lusso più in vista del momento, almeno in due snodi di carriera trovereste esattamente queste voci: “supply chain” o “client relationship management”. Vi trovereste anche un’altra informazione: i vertici delle aziende del lusso mondiale sono in buona parte italiani. Nel gruppo Kering, francese fino al midollo, le posizioni di ceo dei tre principali marchi sono occupate da tre manager nati al di sotto delle Alpi: Bizzarri da Gucci, Francesca Bellettini da Yves Saint Laurent e adesso Rongone da Bottega Veneta. Accade lo stesso 90

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nel gruppo più rilevante del lusso mondiale, LVMH, dove la seconda carica, quella di direttore generale delegato, è occupata da Antonio “Toni” Belloni, ex presidente di Procter&Gamble Europa. Nella lista dei manager italiani che guidano brand del lusso stranieri o diventati tali per cessione trovereste anche Daniela Riccardi, amministratore delegato di Baccarat; Stefano Sassi, numero uno di Valentino ormai di lungo corso; Fabio d’Angelantonio, ex Luxottica, numero uno di Loro Piana («Fabio ha un eccellente track record nello sviluppare brand, reti di negozi e organizzazioni manageriali in tutto il mondo», disse il


FASHION figlio di Bernard Arnault, Antoine, presidente del marchio, ufficializzando la sua nomina tre anni fa: «La sua personalità aperta e la sua cultura italiana contribuiranno a rafforzare il percorso di crescita di Loro Piana nel ready to wear»). E ancora Fabrizio Malverdi, già in Dior, Givenchy, numero uno di Brioni; Massimo Piombini, di Balmain. Eccetera. Tutti in possesso di passaporto italiano ma, soprattutto, del modo di gestire le aziende che il famoso “spirito aperto” evocato da Antoine Arnault evoca e che sembra dispiegarsi in modo particolarmente efficace nelle due funzioni manageriali più ricercate nel famoso “mercato globale”: supply chain e customer organization. Spostamento e collocamento di beni di lusso dal Canada all’Australia, capacità di percezione dei desiderata dei mercati più diversi (e valutazione del loro impatto percentuale sul fatturato), velocità nell’assunzione delle decisioni. Problem solving per intuizioni, più che per schemi e applicazioni di protocolli. Per questo, lo spirito italiano, e persino il nostro vituperato sistema accademico (sempre meno vituperato, in realtà: i nostri atenei stanno guadagnando posizioni nei ranking internazionali proprio grazie al maggior numero di laureati che trovano lavoro in imprese internazionali), sta dimostrandosi molto adatto alla congiuntura. Un po’ meno, purtroppo, alla situazione economica del paese, e che per la prima volta dalla grande crisi del 2008 ha iniziato ad intaccare il sistema della moda. Poche settimane fa Altagamma, l’associazione delle imprese del lusso, ha annunciato che mancheranno 236mila addetti entro il 2025, di cui oltre 18mila nel design e 46mila nella moda, in particolare tecnici, programmatori, tagliatori, cioè funzioni a cui manca solo uno storytelling efficace come quello costruito negli anni dall’alimentare e dall’alta cucina per diventare desiderabili tra i giovani (perché nessuno si sia ancora inventato una “sartoria da incubo” oltre alle cucine di Antonino Cannavacciuolo non è chiaro: dovrebbe essere perfino più semplice, altrettanto scenografico e comunque sporcare e puzzare di meno). Il problema non è solo di ricambio generazionale e professionale, a cui la “quota cento” sta creando danni, ma la stessa capacità del Paese da una parte di continuare a consumare (le spese in abbigliamento sono praticamente ferme da oltre un anno), e dall’altra addirittura di continuare a produrre. Guardare e lavorare all’estero e poi crescere professionalmente extra moenia è dunque necessario. Secondo le ultime previsioni di Confindustria Moda, l’export del comparto tessile-moda-abbigliamento è cresciuto nel primo semestre dell’anno del 5,6%, mentre il saldo commerciale è risultato pari a 7,4 miliardi con un aumento del 9,9 per cento). Le cose insomma non vanno male ma, come faceva notare qualcuno alla recente apertura di Pitti Uomo, funzionano solo in virtù della tigna dei singoli imprenditori. Angela Merkel non li accompagna a fare affari all’estero, come

Nella foto a destra Stefano Sassi, numero uno di Valentino. Nella foto in basso a sinistra Francesca Bellettini, presidente e ceo di Yves Saint Laurent

accade con i tedeschi: ci vanno da soli, e in effetti se la cavano. Finché il sistema regge, e il sistema inizia a perdere pezzi preziosi. In cinque anni andranno in pensione 47mila addetti del settore, mentre solo 10mila neodiplomati usciranno dalle scuole professionali. L’emergenza lavoro potrebbe infatti aggravarsi molto rapidamente, entro 2-3 anni. Il presidente di SMI, Marino Vago, ha dichiarato di recente di aver portato la questione a un “tavolo con il ministro Luigi Di Maio”, ricevendone “una risposta stizzita”. La federazione che presiede raggruppa 50mila aziende di tessile e abbigliamento, parte delle 67mila imprese di Confindustria Moda. Una realtà che rivendica di essere “un asset strategico che meriterebbe più attenzione”, capace di generare nel 2018 oltre 55 dei 96 miliardi di ricavi della moda italiana (che oltre ad abiti e tessuti, comprende anche occhiali, gioielli, calzature e accessori). Il ‘downsizing’ innescato dalle crisi 2005 e 2009 ha fatto sì che il settore, dal 2013, abbia perso oltre 12mila dipendenti, recuperandone poche centinaia. La moda italiana ha trovato ora un suo equilibrio e le “competenze distintive” sono considerate l’asset preferenziale per agganciare quei 3,7 miliardi di vendite in più che gli analisti di Prometeia credono possibili entro il 2023. A meno che non manchino tintori, tessitori, operai e tecnici, come denuncia appunto Altagamma. “Abbiamo un governo con un programma che è un non senso”, è critico Vago. “fatto di due anime con posizioni in apparenza inconciliabili. Non so quanto questa cosa possa reggere, ma ne stiamo pagando le conseguenze”. Le preoccupazioni di SMI diventano particolarmente allarmanti adesso, a fronte della stretta di Bruxelles sui conti dell’Italia e della sempre più evidente incapacità dell’esecutivo di tener fede alle promesse elettorali su occupazione e welfare. Il Paese non si può permettere di vivere (così tanto) al di sopra dei propri mezzi. E lo sguardo di cupidigia che va rivolgendo al famoso risparmio privato italiano non fa che generare ulteriori allarmismi. Dunque, paese stagnante, con una crescita sostanzialmente a zero, rischio patrimoniale, scarsi investimenti in ricerca e università, debito fuori controllo. Che la moda sia la prima a scontare il nuovo contraccolpo sembra inevitabile. Epperò, la notizia che vi siano 300mila nuove matricole, di cui molte in settori a possibile crescita, come economia, ingegneria, biotecnologie, lascia intravvedere uno spiraglio, e immaginare un senso di responsabilità e di concretezza da parte del paese che Palazzo Chigi sembra aver smarrito. Anche nella moda, secondo motore del paese, la storia dei nostri manager può essere di ispirazione. Basta volerla raccontare e sostenere. luglio - agosto 2019

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IL DENARO DEI VIP PARLA STEFANIA ORLANDO

«Non mi sento una cicala, punto (quasi) tutto sugli immobili» di Monica Setta

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tefania Orlando, classe ‘66, conduttrice talentuosa e di grande esperienza, si è risposata il 2 luglio a Fregene con il compagno storico Simone Gianlorenzi che ha 9 anni meno di lei e un grande avvenire come musicista nel mondo. Il primo matrimonio era stato con l’attore Andrea Roncato. Dal 1997 al 1999, non avevano avuto figli e si erano lasciati amichevolmente almeno fino a quando Roncato non si è risposato (e pare che la moglie sia legittimamente gelosa). Professionalmente nata come immobiliarista, figlia di un avvocato dell’alta borghesia romana, Stefania è ancora profondamente sulla cresta dell’onda. Tutto l’anno conduce la popolarissima rubrica sulla tv dentro il contenitore di Uno mattina in famiglia nel week end e poi gira l’Italia con la sua band ospite dei talk show più quotati e padrona di casa lei stessa come è accaduto a Telenorba con “Buon pomeriggio” due stagioni fa. Il merito del suo successo va “anche” all’indole da lavoratrice infaticabile. Stefania è una che non molla. Guadagna e mette da parte, preferisce su tutto il mattone e punta decisa sull’autonomia. «I miei genitori mi hanno insegnato a cavarmela da sola senza contare su mariti ricchi che potessero mantenermi», racconta la conduttrice in questa intervista esclusiva a Investire, «non ho mai chiesto neppure alla mia famiglia. Lavoro da quando avevo 18 anni e ho sempre calibrato le entrate e le spese in modo da avere comunque da parte un gruzzoletto. Non sono miliardaria però ho investito bene. Da brava esperta del settore immobiliare appena ho qualche soldino da parte acquisto una casetta. Sono investimenti con cui non si perde mai».

«CERCO INVESTIMENTI CAUTI, COPERTI, GARANTITI. SE PROPRIO DEVO SCEGLIERE TRA I BOT E LE AZIONI OPTO PER I PRIMI» Stefania ma che rapporto hai con il denaro? Direi un rapporto sano, concreto. So che il denaro è un mezzo non un fine. Serve per vivere e anche bene. Ma non sono di quelle che vivono per i soldi, assolutamente no. Ho imparato nel tempo che la regola “fai il passo lungo quanto la tua gamba” è giustissima. Non ho mai speso più di quanto potessi permettermi. Ma non ho mai detto no a un lavoro perché conosco l’importanza dei sacrifici e so che le cose si otten92

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gono faticando. Ecco non do mai nulla per scontato e questa mia propensione a calcolare tutto mi aiuta pure nella gestione del budget personale. Sei più formica o cicala? Sono stata più formichina. Ho investito negli immobili come ti ho detto ma anche nelle polizze assicurative. Tutti investimenti cauti, coperti, garantiti. Non amo giocare in Borsa e se devo scegliere proprio tra un Bot e un’azione punto sui titoli di stato. Non credo a quanti vivono sopra il proprio livello economico. Prima o poi il rischio di perdere tutto esiste.


IL DENARO DEI VIP Ti ricordi una spesa folle nella tua vita di formica? Beh, si ho comprato un chihuahua anni fa che costava 6 milioni di vecchie lire. Era bellissimo! Ho comprato un’altra volta un Rolex a un mio fidanzato che però forse non se lo meritava... Tornassi indietro non lo rifarei! A Simone che amo da morire ho regalato solo chitarre ma tra noi i conti sono comuni ormai siamo una famiglia!

in charity. Gesto molto apprezzato dai nostri amici che la pensano preferibilmente come noi.

E se invece diventassi ministro dell’economia o premier che cosa faresti per aiutare l’azienda Italia? Punterei a ridurre le tasse. Il peso fiscale in Italia è troppo alto e anche gli imprenditori che assumono pagano oneri assurdi. Per questo punterei alla defiscalizzazione degli oneri sociali e contributivi per le aziende che fanno nuove assunzioni. Ma sono ottimista e penso che la locomotiva Italia nel 2020 tornerà a viaggiare.

Hai avuto anche regali folli? Certamente! Ho ricevuto una Porsche che un mio corteggiatore mi fece trovare sotto casa. Stupenda. Grande tentazione ma non amavo quell’uomo e non accettai il dono.

Ma esiste un sogno che non hai realizzato ancora? Beh una cosa che vorrei avere esiste. Da brava immobiliarista adoro le case e ne ho una adoratissima a Fregene con un giardino che amo molto. Mi piacerebbe avere la classica super casa con attico e vista mozzafiato su Roma. Sarebbe bellissimo ma per adesso mi accontento di quel che ho e soprattutto vivo un momento d`oro perché dopo 11 anni d’amore ho sposato il mio compagno Simone.

Che cosa hai nel portafoglio? Guarda... Lo apro davanti a te. Ecco ci sono contanti sotto i 300 euro e un bancomat. Malgrado io abbia tre conti correnti non amo avere carte di credito. Giro con un bancomat se ho bisogno di prelevare o di fare qualche spesa importante. Per il resto uso il cash per le piccole spese di ogni giorno in modo da potermi regolare a proposito delle uscite! Se domani diventassi multimiliardaria che cosa faresti con i tuoi soldi? Non sono né diventerò mai ricca ma in silenzio amo fare beneficenza per aiutare chi sta meno bene di me. Mi considero una privilegiata che fa il mestiere dei suoi sogni e ha le cose che vuole. Mi sento perciò in dovere di dare una mano a chi è in difficoltà. Anche per la lista nozze del mio matrimonio io e mio marito abbiamo deciso di devolvere ogni dono

Due immagini di Stefania Orlando, che in materia d’investimenti ritiene che non si debba mai fare il passo più lungo della gamba.

A proposito di matrimoni si è parlato tanto delle nozze finte di Pamela Prati che erano state organizzate con gli sponsor e senza marito. Nel vostro caso come è andata? Noi abbiamo fatto nozze vere e abbiamo pagato di tasca nostra a eccezione di alcuni doni che ci hanno fatto gli amici. La torta di mele di Stefano Crialesi, il vestito mio e di Simone by Dream sposa atelier e la torta nuziale della Chiara dell’uovo. Questi sono gli amici che hanno voluto partecipare alla festa del nostro amore.

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COLLEZIONISMO CONSIGLI UTILI PER ORIENTARSI

Gioielli da investimento, che affare in tempi di incertezza di Davide Passoni

“U

n diamante è per sempre” è più di un payoff. Nominato nel 1999 come “Slogan of the century” dalla rivista americana Advertising Age, accompagna dalla metà del secolo scorso uno dei marchi più celebri dell’industria dei preziosi e certifica una incontrovertibile verità. Non tanto e non solo perché quel pezzo di carbonio è virtualmente indistruttibile, quanto perché esso, come le altre pietre preziose, una volta incastonato in gioielli di altissimo valore li rende dei beni rifugio perennemente validi. Una tendenza certificata dall’andamento dei dati rilevati nel Knight Frank Luxury Investment Index relativo al 2018 il quale, pur segnando un -5% anno su anno in termini di valore globale degli investimenti in gioielli, ha mostrato come il settore continui a far registrare interessanti opportunità di guadagno. Restando ai diamanti, per esempio, il 2018 è stato un anno abbastanza positivo per quelli colorati, per i quali si continua a notare una certa stabilità dei prezzi, con un leggero aumento per la maggior parte delle cromie e delle dimensioni, anche se il rallentamento economico cinese ha causato un calo del numero delle transazioni al dettaglio. I commercianti stanno resistendo, con una proiezione di miglioramento nella seconda metà del 2019. In termini di colore, i diamanti blu hanno avuto lo scorso anno i migliori risultati, specialmente quelli dalle tonalità più intense, con una crescita in valore di quasi il 12% per quelli di alcune specifiche dimensioni. Sul fronte aste, il pezzo più pregiato battuto nel 2018 è stato un pendente in perle appartenuto alla regina Maria Antonietta di Francia, aggiudicato da Sotheby’s a novembre per oltre 36 milioni di dollari. Investire in gioielli, quindi, è ancora una buona strategia per preservare o incrementare il proprio patrimonio. Ne è convinta anche Vittoria Bianchi, amministratore delegato di Faraone Casa d’Aste di Milano, una delle realtà più importanti a livello italiano per quanto riguarda le aste di preziosi. Oltre a creare una linea di gioielli propria, Faraone ha il polso della situazione per l’andamento degli investimenti in preziosi e per quello delle aste. Sotto il martello dei battitori passano infatti pezzi molto pregiati e l’affluenza agli appuntamenti di un pubblico numeroso e variegato, testimonia che l’interesse verso il gioiello prezioso e raro come bene rifugio è ancora alto. Specialmente nel periodo attuale.

Nella foto a destra Vittoria Bianchi, a.d. di Faraone Casa d’Aste di Milano

È IL MOMENTO DI ZAFFIRI KASHMIR, RUBINI BIRMANI, SMERALDI COLOMBIANI. A CONDIZIONE CHE ABBIANO UNO STATO DI CONSERVAZIONE IMPECCABILE, DESIGN PARTICOLARE E MANIFATTURA ECCELSA

Pensa sia un buon momento, oggi, per investire in gioielli? 94

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Il mio potrebbe sembrare un consiglio di parte, ma la risposta non può che essere affermativa. Siamo in un momento di grande incertezza, con mercati che presentano una forte volatilità, dove quello che oggi risulta profittevole, per variabili molteplici e imprevedibili domani potrebbe non esserlo più, un momento in cui ai grandi profitti si possono affiancare importanti perdite. Ecco dunque che iI gioiello, con caratteristiche specifiche e permanenti, può essere considerato un investimento più sicuro. In aggiunta, con il pericolo di una nuova recessione il valore dell’oro è tornato a salire. Questo ovviamente se si parla, cosi come per i prodotti finanziari, di importanti investimenti di capitale: molti investitori con un discreto portafoglio si stanno infatti orientando verso questa direzione. Nonostante gli acquirenti internazionali la facciano da padroni anche nelle aste nazionali, in tempi di mercati difficili anche i clienti italiani si stanno lentamente risvegliando. Che cosa bisogna assolutamente sapere per entrare in questo settore con consapevolezza, senza rischiare acquisti


COLLEZIONISMO che possano rivelarsi infruttuosi? Cosi come per i prodotti finanziari non bisogna avventurarsi, bensì affidarsi alla consulenza di affidabili operatori del settore. Nella scelta dei gioielli da investimento suggerisco di orientarsi verso firme prestigiose, pietre con caratteristiche oggi considerate rare che non siano state sottoposte a trattamenti: zaffiri kashmir, rubini birmani, smeraldi colombiani, corredati da certificazioni redatte da istituti internazionali riconosciuti. Gli oggetti devono vantare uno stato di conservazione impeccabile, un design particolare, materiali e manifatture eccelse. Quali sono i marchi con i quali si va sul sicuro? Tra le firme più richieste ci sono quelle del secolo scorso di Cartier, Boucheron, Bulgari, Buccellati. Molto interessanti per gli investitori sono anche i gioielli con un’importante storia, appartenuti a regnanti e personaggi famosi; poi, ovviamente, ci sono i diamanti e i fili di perle naturali. Stessa cosa vale per gli orologi, molto desiderati dai collezionisti: brand prestigiosi come Rolex, Patek Philippe, Vacheron Constantin sono una garanzia. Da chi farsi consigliare e guidare nella scelta del gioiello da investimento? Avere un esperto di fiducia, così come per ogni investimento importante, è fondamentale. Faraone Casa d’Aste, per esempio, grazie al nome che vanta è da sempre sinonimo di garanzia e può contare su un team di esperti, sia nel campo dei gioielli sia degli orologi, che compiono un’attenta analisi per determinare l’autenticità di ogni pezzo. Un controllo approfondito che coinvolge dal primo all’ultimo dettaglio e che può naturalmente guidare l’investitore nel fare scelte non avventate e garantirne gli acquisti. Qualche esempio di scelta non avventata? Noi consigliamo di puntare su preziosi di alta gioielleria, firmati o non, ma che abbiano un quid che li differenzi da quanto si trova abitualmente sul mercato; quindi una lavorazione particolare di una certa epoca, gemme dalle caratteristiche uniche, diamanti over-size o purissimi, certificati dai più riconosciuti istituti internazionali, perle naturali, orologi quasi introvabili o provenienti da collezionisti, quindi in condizioni impeccabili. Chi è, secondo lei, l’investitore-tipo che sceglie il gioiello come bene rifugio?

Puntare su preziosi alta gioielleria, firmati o non, ma che abbiano un quid che li differenzi da quello che si trova di solito sul mercato

Chi cerca un investimento sicuro e durevole in un mercato come quello attuale, che presenta un’estrema volatilità e incertezza. Le aste sono un buon luogo per chi cerca un gioiello da investimento? Perché? Certamente l’asta offre la possibilità di compiere un acquisto a un prezzo decisamente inferiore rispetto a quanto offerto in boutique. In aggiunta i lotti acquistati all’asta hanno già subito una svalutazione e quindi non perdono ulteriormente il loro valore: questo costituisce un forte incentivo per l’ipotetico acquirente. Al contrario un prodotto nuovo uscito dalla boutique subisce una costante svalutazione nel tempo. Gli oggetti che Faraone Casa d’Aste pone all’incanto, sebbene “usati”, sono per la maggior parte in ottimo stato di conservazione. Hanno passato una selezione attraverso criteri molto rigidi e il fatto che non perdano più valore costituisce un’ulteriore garanzia per l’acquirente che un giorno vorrà rivenderli a sua volta. I diamanti, che hanno le certificazioni internazionali più riconosciute, vengono proposti al 50-60% del valore di listino del Rapaport, standard de facto per la quotazione di queste pietre. Antichi o contemporanei: su quali gioielli puntare? Suggeriamo di orientarsi su pezzi antichi, storicamente importanti, unici; su gioielli d’epoca di grandi Maison, pietre di colore purché di eccellente purezza, non scaldate e con provenienza determinata. Oltre che, naturalmente, su diamanti certificati e su perle naturali. Buy, sell o hold? Comprare, vendere o tenere: che cosa è consigliabile di più oggi per chi punta sui gioielli? In sintesi: vendere ciò che non ci piace più in cerca di un qualcosa di nuovo. Alla nostra clientela proponiamo, oltre alla vendita all’incanto, anche l’on-line. A essere cambiati non sono solo i gusti ma anche gli stili di vita; le occasioni per indossare parure importanti sono rare e in questi casi la scelta molto spesso ricade su qualcosa di purissimo e poco vistoso. Da qui deriva la “necessità” di trasformare i gioielli della nonna in qualcosa che abbia queste caratteristiche, ed ecco che entra in scena il gioielliere di famiglia per ridisegnare e appunto trasformare il gioiello in qualcosa di più attuale. A volte, però, smontare un gioiello dalla manifattura eccelsa è quasi oltraggioso ed eccoci a consigliare la vendita all’incanto, senza doversi muovere dal proprio salotto.

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IMMOBILIARE MERCATO

Risparmio gestito in immobili a vele spiegate con fondi e Reit di Alessandro Ghisolfi

N

el 2019 continua il momento positivo dei mercati immobiliari internazionali, con una grande spinta a investire sul residenziale, novità assoluta per il settore, che porta il mattone sul trono degli investimenti a livello mondiale. Il fenomeno più importante è la crescita del risparmio gestito in immobili attraverso fondi immobiliari (quotati e non) e Reit (Real estate investment trust). Il totale degli investimenti a livello mondiale continua a crescere e alla fine dello scorso anno ha raggiunto 2.930 miliardi di euro, in aumento del 3,5 per cento rispetto al 2017. Cresce il patrimonio anche in Italia: +13,8% nel 2018 per 66 miliardi di euro, l’obiettivo è arrivare a 80 miliardi nei prossimi tre anni. I dati sono ricavati dal Rapporto 2019 “I Fondi immobiliari in Italia e all’estero”, giunto alla sua 34ma edizione. Il Rapporto, pubblicato ogni anno nel mese di giugno, viene realizzato da Scenari Immobiliari in collaborazione con lo Studio Casadei. In Europa sono operativi oltre 1.870 veicoli, con un patrimonio complessivo pari a circa 1.100 miliardi di euro. Si tratta di un aumento che sfiora il cinque per cento rispetto all’anno scorso,

tuttavia il peso dell’Europa sul patrimonio totale nel mondo ha subìto variazioni marginali rispetto all’anno precedente, mezzo punto percentuale di aumento, con oltre il trentasette per cento. Rispetto alle altre forme di investimento, anche nel 2018 i rendimenti sono stati elevati e più stabili, in sostanza perché dipendono da contratti di locazione a lungo termine che coprono mediamente periodi tra i tre e i quindici anni, a seconda del mercato e del settore. Tra i fondi immobiliari la larga maggioranza è composta da veicoli non quotati, mentre i fondi quotati sono una minoranza, poiché hanno subito pesantemente gli effetti delle congiunture economiche negative. L’attrattività di fondi e Reit è strettamente legata all’efficienza della normativa, soprattutto fiscale, che rappresenta l’elemento in grado di garantire il successo e la costante espansione del settore, come appare evidente nel mercato europeo. I Reit europei rappresentano il 41 per cento del patrimonio totale gestito, mentre il mercato continua a essere guidato dai fondi non quotati che pesano per il 55 per cento. I veicoli a contenuto immobiliare svolgono inoltre un ruolo im-

ANDAMENTO DEL PATRIMONIO TOTALE DEI FONDI IMMOBILIARI E DEI REIT NEL MONDO Valore in mld di euro 2.930

3.000

2.830 2.400

2.500

2.620

2015

2016

1.950

2.000 1.500

2.550

1.550

1.450

1.700

1.000 500 0

2010

2011

2012

FONTE: SCENARI IMMOBILIARI

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2013

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2017

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IMMOBILIARE portante nel processo di trasformazione dell’attività di gestione patrimoniale. La centralità della valorizzazione, accompagnata dall’esigenza di molte società di concentrare le risorse sul core business, porta al rapido aumento della domanda di gestione professionale. Nel complesso l’approccio dei gestori è stato positivo ma continua a essere orientato alla prudenza. Investimenti ed export continueranno anche nel 2019 a essere fondamentali per i Paesi, ma tra le preoccupazioni maggiori c’è, soprattutto nell’area euro, la riduzione dei risultati. Il residenziale rappresenta il mercato più importante per i veicoli operativi in alcuni Paesi europei. L’interesse per il residenziale come asset class di investimento da parte degli investitori istituzionali è cresciuto in questi anni, anche in Italia, ma le operazioni realizzabili non sono numerose. Il buon andamento del mercato immobiliare e un incrementato interesse per una gestione professionale, fanno crescere ancora il comparto dei fondi immobiliari italiani, ormai ai primi posti in Europa. Un ruolo importante riguarda le dismissioni pubbliche che, secondo le informazioni note, dovrebbero utilizzare in buona parte lo strumento fondo. Il patrimonio immobiliare detenuto dai 450 fondi attivi nel 2018 è superiore a 66 miliardi di euro, con un incremento del 13,8 per cento in un anno. Le previsioni per il 2019 indicano un patrimonio di almeno 75 miliardi (più 12,1 per cento). Il fatturato complessivo delle sgr italiane è stato di circa 420 milioni di euro nel 2018, con circa 1.200 addetti; gli acquisti nel corso dell’anno sono stati pari a 6,1 miliardi di euro a fronte di 3,5 miliardi di dismissioni. La Germania è il Paese leader per gli investitori istituzionali in abitazioni. Solo a Berlino sono stati investiti quasi quattro miliardi di euro nel 2017 e nella prima parte del 2018 gli investimenti sono cresciuti del 7,4 per cento. In Olanda, il mercato degli investitori del comparto residenziale durante la prima parte del 2018 è stato particolarmente effervescente. In Spagna si sono confermate le cifre dell’anno precedente e i volumi investiti sono aumentati di circa 6,5 punti percentuali. Il buono stato di salute del mercato terziario è anche testimoniato dalla contrazione dei rendimenti. L’offerta durante i primi sei mesi del 2018 ha visto come protagoniste soprattutto Parigi e Londra, che hanno completato

IL PATRIMONIO DEI FONDI IMMOBILIARI EUROPEI Base (2010=100) Paese

2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017 2018 2019*

Gran Bretagna

100

110

126

144

132

162

132

209

200

202

Germania

100

96

100

108

126

138

148

162

183

188

Francia (Scpi+Opci)

100

140

169

182

212

254

328

400

442

479

Spagna

100

74

26

22

5

5

6

6

5

4

Svizzera

100

119

133

155

184

156

195

200

305

346

Olanda

100

103

96

99

100

104

105

114

124

126

Lussemburgo

100

116

127

143

164

197

249

280

347

354

Italia

100

106

109

115

128

134

141

156

176

197

FONTE: SCENARI IMMOBILIARI

IL TOTALE DEGLI INVESTIMENTI A LIVELLO MONDIALE CONTINUA A CRESCERE E ALLA FINE DELLO SCORSO ANNO HA RAGGIUNTO I 2.930 MLD, IN AUMENTO DEL 3,5% RISPETTO AL 2017 alcune importanti realizzazioni destinate al settore, assorbendo così circa il 44 per cento dell’offerta totale (oltre un milione di metri quadri di nuovi uffici). I fondamentali del mercato immobiliare logistico – industriale sono probabilmente i migliori e più performanti degli ultimi vent’anni e i veicoli europei stanno approfittando dei risultati. Il 2018 ha confermato queste tendenze e anche per il 2019 le previsioni sono tutte positive. Nel 2018 sono state registrate transazioni a livelli record in Uk, Germania, Spagna e Olanda. Il maggiore problema in questo momento per gli investitori istituzionali è la carenza di prodotto, soprattutto di grandi dimensioni. La geografia degli investimenti potrebbe subire cambiamenti significativi nei prossimi mesi ma soprattutto nei prossimi anni. Oltre all’evoluzione delle decisioni protezionistiche degli Stati Uniti, alla capacità dei Paesi europei di mantenere ancora il loro grado di attrattività, all’attuazione definitiva di Brexit, nel lungo periodo i temi tanto dibattuti, rigenerazione, urbanizzazione, invecchiamento della popolazione e ulteriore diffusione della tecnologia, saranno in grado di modificare l’ambiente costruito e i relativi mercati immobiliari. A questi si aggiunge la meno indagata, ma altrettanto importante, ascesa della classe media. Il numero di famiglie a reddito medio nel 2030 sarà più che raddoppiato a livello globale, passando da 554 milioni nel 2010 a 1.121 milioni. E ciò non avverrà soltanto nei Paesi del sud-est asiatico. Nel 2030 le città più ricche del mondo saranno concentrate nella parte settentrionale del continente americano. Tutto ciò si tradurrà, per gli investitori e i gestori del real estate, in crescente domanda immobiliare non solo nella tradizionale asset class residenziale ma in tutte quelle nuove forme abitative oggi solo accennate e in una nuova evoluzione delle superfici commerciali e ricettive. luglio - agosto 2019

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CASE HISTORY

IMMOBILIARE

L’affittacamere reinventata può essere un’arte a cinque stelle di Angelo Curiosi

A

un certo punto della mia vita ho capito che la sicurezza del tempo indeterminato a me faceva paura», dice Denise Mirto, e gli occhi le scintillano di entusiasmo, a smentire il tono di voce pacato e l’argomentare logico che usa: «Non riuscivo più a vedermi in prospettiva, lo sguardo non arrivava oltre, e mi spaventava l’idea di entrare ogni giorno nello stesso posto», aggiunge e come in un fast-forward è facile immaginarsi questa ragazza – appena trentenne, già imprenditrice in proprio nel turismo e nell’immobiliare – alla guida di un suo grande gruppo. «Di sicuro mi piace fare cose in contrasto con quello che ho visto fare dai diciotto ai ventott’anni, lavorando per altri», precisa, guardandosi attorno nel suo piccolo-grande quartier generale a due passi da Piazza di Spagna, a Roma: «Ho imparato tanto, per carità: e sono riconoscente a chi me ne ha dato l’opportunità. Ma mi sono messa in proprio per fare di testa mia. Volevo cambiare a mie spese e mio rischio, ma anche a mio vantaggio, e l’ho fatto, lo sto facendo». È nata una stella, non c’è che dire: piccola, ma brillante. E se lo spirito imprenditoriale è un dato cromosomico – chissà! – Denise Mirto è nata imprenditrice. Oggi Denise ha tre società: con due – The Historical e Domus Bocca di Leone - gestisce le quattro camere del Relais Bocca di Leone, nel cuore della capitale, e altre quattro piccole suite, curatissime, molto confortevoli, che ha chiamato appunto Domus Bocca di Leone. Tecnicamente, opera con una licenza da affittacamere, ma le strutture sono curate e accudite con un gusto e una qualità da hotel a cinque stelle. Poi 98

NEL CUORE DELLA CAPITALE DENISE MIRTO GESTISCE CAMERE E SUITE CURATISSIME CON LE SUE SOCIETÀ THE HISTORICAL E BOCCA DI LEONE, STA DIVERSIFICANDO ED È ATTIVA ANCHE A LONDRA

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Denise Mirto ha una terza società, a Londra, con la quale sta lanciando una start-up digitale che rivoluzionerà – dice lei, ma la sfida è avvincente e suggestiva – l’hotelleria di lusso. Ma andiamo con ordine. Dopo il liceo linguistico, e durante gli studi di giurisprudenza, Denise si è messa a lavorare: «Sì, certo, dal basso, alla Gregory Hotels di Roma, un piccolo gruppo con 13 strutture, e ho fatto la gavetta», racconta oggi Denise Mirto: «Segretaria amministrativa di nome, tuttofare in pratica, in un semi-interrato – nel vero senso della parola - dove c’era un archivio che io dovevo curare. Niente di bello, vero? Però, che miniera d’oro! A forza di sistemare carte, leggendo qua e là, ho imparato tanto, da autodidatta. Si potrebbe dire che ho rubato il mestiere. A un tratto il titolare si è reso conto che ero un po’ sprecata e mi ha preso come sua assistente personale. Per me è stato più di un master. Lui era un fulmine, dilagante, febbrile, bravissimo, multitasking. Io non avevo una vita mia. Ricordo che comprai una custodia impermeabile per il telefonino, perché dovevo e volevo rispondere sempre, anche quand’ero sotto la doccia!». Scuola di guerra, insomma: turni pomeridiani, notturni, front-office, direttrice d’albergo a 20 anni. «Poi lui


CASE HISTORY

cedette l’azienda al figlio che la vendette a una società che tenne solo me di tutti i quadri e i dirigenti, poi ho cambiato seguendo uno dei top-manager in una sua avventura imprenditoriale…finché ho deciso di farne una mia». Si è visto che ne ha poi fatte tre, di società; e come se non bastasse, mentre gestisce le sue attività, dà anche consulenze alberghiere – da una struttura a Fontana di Trevi ad un’altra, a Trinità dei Monti – per creare valore attorno a immobili poco redditizi e permettere alle loro proprietà di ricavarne di più: volendo, anche col venderli. «Sono consulenze che faccio da sola, per me sono un contorno professionale: per poter crescere devo diversificare le linee di ricavo. Mi affidano strutture da rilanciare e io lo faccio. Ne ho avute 4 o 5 nel corso dell’ultimo anno. Tutte storie positive». «Per partire col Relais ho preso un prestito pesante, e mi sono buttata – racconta ancora la giovane impenditrice – E oggi posso dire che ce l’abbiamo fatta perché rispettiamo le scadenze e realizziamo il nostro margine di guadagno, necessario a investire ancora». Denise e la sua piccola squadra, insomma, hanno fatto e fanno 1000 cose insieme, «non senza capire che così rischiamo, ma ci impegnamo a fondo, ci mettiamo tutto il nostro lavoro e il nostro cuore, e ci stiamo riuscendo: anche se tornassi indietro lo rifarei», racconta l’imprenditrice: «Perché questa vita mi assorbe ma mi permette di esprimere in concreto le idee

Denise Mirto, imprenditrice alberghiera innovativa

che ho in testa, superando il vecchiume che ho dovuto gestire. La mia sfida, oggi posso dire vinta, è stata dare confort alberghiero da cinque stelle con una licenza da affittacamere. Il Relais e la Domus vivono per l’esperienza che ci abbiamo costruito intorno». L’”origination” della clientela non è stata costruita da zero: le strutture erano già attive, avevano già un certo afflusso, trattando meglio i clienti si è avviato un formidabile passaparola: «Be’, sì: potrei dire che abbiamo costruito una bella storia di brand reputation», spiega Denise Mirto, «allungando la permanenza media (in gergo: stay, ndr) da 1,5 notti – che era troppo poco per rendere bene e per permettere un’organizzazione di qualità – a 4 notti. Gradatamente abbiamo visto diminuire la clientela…poco raccomandabile, che anche in termini di fatturato vale poco, e visto crescere con soddisfazione quella straniera, di qualità». La cura dei dettagli è quasi maniacale: ed è una parte del segreto del successo di Denise. Adesso le nuove sfide si chiamano “Casa Vacanze The Finest” e la società di Londra. La prima è un appartamento, contiguo alle otto camere delle due dimore in centro a Roma ma distinto e autonomo da esse, che veniva utilizzano fino a poco tempo fa come deposito di una famosa argenteria. «Avevo fatto amicizia col proprietario», racconta con la sua concreta semplicità Denise Mirto, «e ho saputo per tempo che era in vendita. L’ho trasformato in una casa-vacanze, credo molto bella. Rispetto naturalmente i limiti che la legge stabilisce per questo tipo di immobili a uso commerciale, ma anche qui sono riuscita a fare tutto al contrario di quel che ho visto fare ad altri». E dunque la nuova struttura non sarà utilizzata solo come “accomodation” ma anche come location per eventi e photo-shooting, «per superare il limite dorato dell’attività turistica, diversificarne l’utilizzo e allungarne la stagionalità». Saltando a pie’ pari – oltretutto – le piattaforme internet dominanti (su cui invece si trovano il Relais e la Domus) per non dipenderne! E poi? Poi c’è l’ultima nata: «Si chiama Fit your way, ed è una start-up digitale», sintetizza Denise Mirto: «È la cosa più folle che mi sia venuta in mente, e anche la più bella. Ci lavoro da due anni. Qui in Italia ho provato a proporla, ma non è stata capita. E allora ho pensato bene, visto che andavo spesso a Londra, di presentarla lì, ed è cambiata subito la musica. Stiamo già firmando i primi accordi». Il concept è avvincente: sfruttando l’esperienza dell’hotellerie, Denise ha costruito una piattaforma che permette al cliente, in fase di prenotazione, di personalizzare la camera a un livello molto più avanzato e fine di quanto si possa (e raramente, peraltro) fare oggi. «Significa davvero potersi arredare e attrezzare la camera a propria misura», spiega, «usando un configuratore che con un semplicissimo drag and drop permette al cliente di trasferire da un magazzino di tools e di arredi alla sua camera ciò che preferisce, poi, trovarcelo davvero!». Sulla piattaforma saranno raggiungibili le strutture convenzionate e si potranno scegliere gli allestimenti. «Sarà un successo? Ovviamente mi auguro di sì, e penso di sì», conclude Denise Mirto: «Ma sicuramente era un altro mio sogno e lo sto realizzando. Uno dei diecimila che ho». luglio - agosto 2019

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MOTORI

NUOVA TOYOTA SUPRA: IL RITORNO DELL’ICONICA SPORTIVA Torna la Toyota GR Supra, la quinta generazione della leggendaria sportiva di Toyota nonché il primo modello GR sviluppato dalla Toyota Gazoo Racing. Un grande ritorno, a 17 anni di distanza dal termine della produzione, per una delle vetture più iconiche di Toyota. Il progetto del Chief Engineer Tetsuya Tada strizza l’occhio alla gloriosa dinastia delle sportive Toyota, attraverso un progetto che prevede e mantiene

intatta l’essenza della Supra, ma che condivide buona parte delle soluzioni tecniche con BMW. Passo più corto, ampie carreggiate, pesi ridotti, baricentro ribassato e scocca ad elevata rigidità, sono gli elementi strutturali che caratterizzano la nuova GR Supra. La vettura propone un motore 3.0L twin scroll turbo in grado di erogare 340 cavalli e un valore di coppia di 500 Nm, che insieme al cambio automatico a 8

rapporti e alla trazione esclusivamente posteriore, permettono di passare da 0 a 100 km/h in 4,3 secondi.

FERRARI 488 PISTA SPIDER: L’APERTA PIÙ PERFORMANTE DEL CAVALLINO

ARRIVA CORSA-E: LA SEGMENTO B DI OPEL DIVENTA ANCHE ELETTRICA Arriva la nuova Opel Corsa 2019, la sesta serie della citycar tedesca che il costruttore del Gruppo PSA offre per la prima volta anche in una versione elettrica a batteria con un’autonomia di 330 chilometri. Con i suoi 5 posti a sedere, la nuova Corsa-e ha una batteria da 50 kWh, che può essere ricaricata rapidamente fino all’80 per cento della capacità in 30 minuti. La potenza di 136 CV e la coppia massima di 260 Nm le permettono di passare da 0 a 50 km/h in 2,8 secondi e in 8,1 secondi da 0 a 100 km/h. Le dimensioni propongono una lunghezza di 4,06 metri, con la linea del tetto che richiama quella di una coupé, senza che si perda nulla in termini di altezza interna. Tra le funzioni principali spiccano i fari anteriori adattivi IntelliLux LED matrix, al debutto nel segmento delle piccole. L’abitacolo è caratterizzato dal cruscotto digitale e dal nuovo sistema Multimedia Navi con schermo touch che arriva fino a 10 pollici di grandezza. 100

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Si tratta della 50° Ferrari aperta, la Ferrari 488 Spider è la più performante mai prodotta, con il miglior rapporto peso/potenza di sempre (1,92 kg/CV). Il propulsore è quello della 488 Pista, premiato anche come miglior motore del mondo agli International Engine of the Year Awards. Si tratta del V8 biturbo da 3.902 cc, in grado di erogare 720 CV, per un’accelerazione da 0 a 100 km/h in 2,85 secondi e una velocità massima di 340 km/h. A livello di guida l’ottima base della 488 Pista è stata affinata grazie al Ferrari Dynamic Enhancer (FDE), che rende la gestione delle dinamiche laterali a elevate prestazioni più prevedibile, controllabile e intuitiva. Le linee sensuali della 488 Pista sono figlie dei designer guidati da Flavio Manzoni, capo del centro stile Ferrari, che hanno elaborato le linee della spider senza trascurare l’aerodinamica. All’interno, oltre all’utilizzo della fibra di carbonio e dell’Alcantara sono state adottate le pedane in alluminio mandorlato, che sostituiscono i tappeti in moquette, e il laccetto apriporta al posto della maniglia lato pilota.

in collaborazione con Autoappassionati.it


Crema

Crema


BIBLIOTECA Antonio Quaglio Laureato in Economia aziendale all’Università di Venezia, è stato inviato e caporedattore a Il Sole 24 Ore. Collabora a www.ilsussidiario.net.

LA FINANZA HA BISOGNO DI UN “RESET” (NON IMPOSSIBILE)

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a finanza è il più complicato e rischioso dei sistemi di guida di un’economia capitalista: salvo tutti gli altri. Parola di Bertrand Badrè: un economista-banchiere francese che ha voluto consegnare le memorie calde dei suoi primi 50 anni, lasciando però al lettore la convinzione che di lui si sentirà ancora parlare. Anche perché - a differenza di Thomas Pikkets, maitre à penser connazionale e quasi coetaneo - la sfida intellettuale posta da un libro che assegna alla finanza un ruolo “salvifico” è tanto più forte quanto meno è apocalittica e populista a quasi un decennio dal deflagrare della crisi globale. Ed è spericolatamente provocatoria - a cominciare dall’introduzione firmata dal presidente Emmanuel Macron - in quanto utilizza una critica serrata alla finanza del primo ventennio del ventunesimo secolo per rilanciarne la funzione nei prossimi decenni. E, non da ultimo è certamente intrigante la proposta di un’opera del genere al mercato italiano nella primavera del 2019. “E se la finanza salvasse il mondo? Governare il capitale è possibile” (Solferino, 2019) è stato scritto da un purosangue dell’establishment francese. Denis Badré, padre di Bertrand, è tuttora senatore di MoDem, formazione social-liberale supporter di En Marche! La gavetta del giovane Badré è stata classica: Science Po ed Ena, con il tirocinio completato al ministero delle Finanze. Poi il passaggio al lato privato dei boulevard del potere parigino: a Lazard (è dalla sede di Manhattan della maison che Badré vede crollare le Torri l’11 settembre 2001). Poi un ritorno alla tecnocrazia, nello staff di Michel Camdessus, gil direttore generale del Fmi. Di seguito la consacrazione come top banker: come group cfo di Credit Agricole e quindi di Société Générale. Infine l’ascesa nell’olimpo globale: come direttore generale della World Bank dal 2013 al 2016. Ma - diversamente da una “fine della storia” alla Fukuyama, lettura prediletta in gioventù - Badré è ripartito senza esitazioni: fondando BlueOrange Capital, una casa d’investimenti votata alla finanza sostenibile. In un mondo diviso fra i billions delle risorse pubbliche e i trillions dei bisogni (non solo la domanda di beni e servizi ma soprattutto quelli di capitali per lo sviluppo) è 102

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Le memorie calde di Bertrand Badrè sul futuro di banche e mercati: dai colossi francesi a Wall Street, dalla World Bank a un’iniziativa di asset manager illusorio pensare di fare a meno della finanza. Essa - negli ultimi anni del secolo scorso - si è rivelata secondo l’autore una sorta di “genio della lampada”: che - nel Millennium Summit 2000 dell’Onu - governi e banche erano convinti di aver congiuntamente posto al loro servizio. Purtroppo la “Torre di Babele” (metafora per la finanza derivata su scala globale) non si è dimostrata più resistente di quella biblica, con tre effetti perversi: la trasformazione di quelli finanziari “in mercati contro tutti gli altri”, il degrado del credito a “prodotto come tutti gli altri”, con l’indebitamento delle famiglie ridotto ad acquisire immobili già esistenti e non a finanziare investimenti di capitale. L’enorme complessificazione del sistema e della sua vigilanza ha fatto il resto, ma lasciando anzitutto incompleta la globalizzazione e prosciugando di fiducia soprattutto un processo di crescita corale del pianeta. Ma un reset è davvero possibile? Quanto la finanza può ri-emergere come veicolo di accelerazione reale verso obiettivi come quelli dell’Agenda 2030? Secondo Badrè la “rivoluzione silenziosa dei mercati” è già in corso ed è forse più significativa dei lunghi e farraginosi tentativi di ri-regolamentazione globale; oppure più promettente di quanto lascino intendere turbolenze e instabilità geo-economiche. E non sorprende che Badrè racconti di una sua iniziativa di education concepita assieme all’ex principal della Ferrari Jean Todt: sicurezza della circolazione auto e sicurezza finanziaria, in un “nuovo mondo” hanno più di un problema in comune. Fare a meno della mobilità e della finanza è impensabile. Investire sulla loro sostenibilità è la via obbligata.


EDUCAZIONE FINANZIARIA Paolo Zucca Iscritto all’Ordine dei Giornalisti dal 1979, già responsabile del supplemento de II Sole 24 Ore Plus 24. Partecipa a tutorial e iniziative contro l’eccessivo uso del contante. Twitter @pzu551

...E LE AUTHORITY SCOPRIRONO IL MISTERY SHOPPING

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a sola conferma che le Authority (e recentemente lo ha fatto l’Ivass per il settore assicurativo) utilizzeranno maggiormente la tecnicalità del mystery shopping è una buona notizia per la tutela del risparmiatore/investitore. Gli “acquirenti in incognito”, che forse sarebbe meglio definire i “controllori in incognito”, si presenteranno come clienti e chiederanno ingenuamente alle reti bancarie e assicurative, ai broker, ai consulenti dei dettagli informativi che - raccolti in documentazione di sistema - permetteranno a Banca d’Italia, Ivass, Consob e altri vigilanti di valutare la qualità e la correttezza dell’offerta. Finora si erano mossi, con successo, soltanto giornali specializzati trasformando i giornalisti in finti clienti. La sanzione era soprattutto reputazionale, sulla base di quanto raccolto e documentato dai cronisti. Adesso la verifica esterna, e non a caso si parla di “audit in incognito”, verrà avviata da chi avrà la possibilità di sanzionare. Sembra un’operazione molto aggressiva. In realtà è una delle più intelligenti forme di dissuasione a monte, aiuta a prevenire cattivi comportamenti nella vendita finanziaria. I migliori istituti e le migliori compagnie hanno già dei monitoraggi interni per verificare la coerenza e correttezza della propria proposta al pubblico. Poi i panni si lavano in casa. Il cliente non conosce i correttivi. Con il mystery shopping si va oltre il principio dell’ispezione interna. Se in teoria ogni cliente può essere il controllore esterno nessuno potrà permettersi di piazzare quello che vuole allo sprovveduto. Perché il finto ingenuo potrebbe essere l’agente del mystery. Chi è a contatto con il pubblico dovrà essere informato dalla sua società che si stanno introducendo modalità esterne di vigilanza. La paura di cadere nella trappola è un buon deterrente contro le forzature che avvengono in fase di vendita: non si può per esempio vantare una performance passata senza precisare che non per questo è ripetibile. O confrontare prodotti finanziari senza avvertire della loro differente rischiosità, far firmare senza leggere, saltare l’illustrazione della documentazione, non si potrà contare sull’opacità sui

Gli acquirenti-controllori in incognito possono contribuire a ridurre le diffuse pressioni commerciali di reti bancarie e assicurative che hanno l’obiettivo di vendere tutto a tutti costi o mancare al rispetto sostanziale dei profili di rischio. Sono alcune delle piccole o grandi scorrettezze utilizzate quando la spinta a vendere è fortissima. Più che contro i dipendenti bancari o le reti di vendita, l’utilizzo dei controlli in incognito spinge a formare meglio coloro che sono sulla frontiera delicata del contatto con il pubblico. Non a caso, salvo alcune richieste di informazioni, i sindacati bancari non ostacolano i controlli di qualità che in apparenza sembrano mettere sulla graticola il lavoratore. Proprio la presenza dei mystery può diventare un argine alle continue pressioni commerciali per vendere tutto a tutti, anche saltando procedure di buon senso prima che di normativa. Il mystery shopping, che è anche una tecnica commerciale e di marketing in settori diversi sempre per misurare la qualità dell’offerta, in finanza è praticato dalle Authority di alcuni Paesi europei. Le nuove forme di vigilanza ispettiva previste dalla Mifid 2 spingono in quella direzione. Così come l’autorità europea di vigilanza sui mercati e tutela degli investitori, l’Esma, potrà coordinare tra gli interventi, anche quelli di mystery shopping. Dove ne vedremo l’applicazione? Ovviamente si agirà, anche tramite entità esterne alle Authority, a sorpresa. O più probabilmente nelle aree dove singoli risparmiatori o associazioni dei consumatori segnaleranno pratiche potenzialmente scorrette. luglio - agosto 2019

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STRATEGIE IL GRANDE CAMBIAMENTO DI “AGILE”

Accrescere efficacia ed efficienza dei progetti aziendali di Mariacristina Galgano *

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n’efficace gestione dei progetti è fondamentale per rilasciare con rapidità e qualità nuovi prodotti, nuovi modi di erogarli e generare processi interni che siano in grado di garantire efficienza, qualità e tempestività. Tuttavia la gestione dei progetti rappresenta spesso uno dei punti critici, in questo processo fondamentale nella ricerca costante di innovazione. La quantità di progetti in essere, l’evoluzione costante del contesto, il continuo cambiamento nelle priorità generano spesso una situazione difficile da gestire. Progetti che subiscono ritardi, Gantt non rispettati, persone in over stress, sono spesso sintomi di questo malessere. In numerose realtà ci sono persone dedicate a tenere aggiornati i Gantt che cambiano in continuazione. L’approccio “Agile” risponde in modo straordinario a questa esigenza e fornisce un vero e proprio vantaggio competitivo alle aziende che sapranno adottarlo con successo.

rizzare la creatività, insita in un team, soprattutto quando questo è un tema interdisciplinare. Questo framework incanala il metodo con il quale i team lavorano veramente e fornisce loro strumenti semplici per auto-organizzarsi e migliorare rapidamente in velocità e qualità. Un metodo ispirato al Toyota Production System Eliminare gli sprechi nella gestione di un progetto e nel rilascio del suo valore è l’obiettivo fondamentale dello Scrum, che si basa sulla filosofia del Toyota Production System, considerato uno dei più efficaci sistemi manageriali. Attraverso la definizione di obiettivi sequenziali da raggiungere in un determinato lasso di tempo, Framework Scrum genera cicli brevi di autoregolazione basati su meccanismi di retroazione oppure su feedback dal cliente o dal fruitore dell’output. Questi cicli sono chiamati Sprint. I benefici del Framework Scrum Il metodo consente al team, spesso interfunzionale, di diventare più rapido e più efficace nel rilasciare output intermedi e dunque garantire un confronto sistematico con l’esterno, dal quale scaturisce un forte processo di apprendimento e miglioramento. In questo modo i progetti sono più allineati alle esigenze di un contesto in costante cambiamento, al contempo sono in grado di rilasciare “valore“ in tempi rapidi. In questo modo aumenta anche il grado di soddisfazione dei componenti del team che spesso con l’approccio tradizionale vivono una grande frustrazione.

L’ARTE DELLO SCRUM PER MIGLIORARE IN MODO DRASTICO LE PERFORMANCE SUL FRONTE DELL’INNOVAZIONE E NELLA GESTIONE DEI PROGETTI STRATEGICI Come superare i limiti del Project Management “Agile” supera in modo innovativo ed eccellente i limiti dell’approccio tradizionale al Project Management. Lo strumento operativo dell’approccio “Agile” si chiama Framework Scrum, di cui uno degli inventori fu Jeff Sutherland. Si tratta di un approccio che, alla luce della vasta esperienza di Sutherland, consente di realizzare risultati di qualità migliore a costi inferiori. Oggi questo metodo è uno dei segreti delle realtà più innovative che caratterizzano il nostro mercato. Scrum è di fatto il framework sviluppato per mettere in pratica concretamente i valori di “Agile”. Il suo nome deriva dal Rugby e si riferisce al modo in cui il team lavora collettivamente per muovere la palla sul campo. Allineamento scrupoloso, unità d’intenti e chiarezza dell’obiettivo sono i fattori che vengono enfatizzati. Scrum consente di far fronte a un contesto in costante cambiamento e al contempo è in grado di far emergere e valo104

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Un incontro sll’”Agile” Leadership Program Come tutti gli approcci estremamente innovativi anche Agile richiede un profondo cambiamento culturale sia da parte di chi svolge il progetto sia da parte del committente cioè la direzione. Per questo motivo è molto importante che l’introduzione di “Agile”, e in particolare del framework Scrum, venga supportato adeguatamente dalla direzione che per prima deve comprendere i nuovi principi di questo approccio. Galgano ha perciò deciso di organizzare un incontro con Jeff Sutherland per favorire l’assimilazione dei nuovi principi. Il tema chiave che verrà affrontato è quello della leadership, nell’ambito dell’”Agile” Program.

* amministratore delegato del Gruppo Galgano-Consulenti di Direzione


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MALALINGUA Vittorio Borelli Giornalista di lungo corso, condirettore de Il Mondo, fondatore e direttore di East, già direttore delle relazioni esterne di Unicredito nella gestione Rondelli-Profumo

I MINIBOT SONO COME LE FELPE DI SALVINI

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iorgino: «Signore e signori buonaseIonesco: «Mi spiace deluderla. Purtroppo ra. Apriamo il TG1 delle 20,30 con mentre Salvini parlava io ero al telefono con una dichiarazione rilasciata pochi un antropologo sudafricano che studia il linsecondo fa da Matteo Salvini alla guaggio del corpo dei rinoceronti. Se vuole nostra corrispondente dal Viminale posso raccontarle come i giovani rinoceronti Chiara De Boccalonis. Chiara, che cosa ti ha detto affrontano la pubertà e come si pongono di in esclusiva l’onorevole?» fronte alla svolta trampiana che liberalizza Chiara: «Oh, Francesco, una cosa davvero sorprenl’uso del contante nelle foreste pluviali. Ma dente! Sono ancora così emozionata che non so se l’avverto che i rinoceronti non hanno in proriuscirò….» posito un’idea consolidata, giacché le foreste Giorgino: «Respira profondamente Chiara e racconpluviali le hanno viste soltanto su WhatsApp». ta ai nostri telespettatori che cosa ti ha rivelato il miGiorgino: «Stando così le cose… Le chiedo, nistro che, ricordiamolo, è anche capo della Lega» tuttavia, come pensa che reagirà Luigi Di EUGÉNE IONESCO Chiara: «Non ci crederai mai. Ha detto Maio alla clamorosa esternazione che per lui i Minibot sono… come le sue di Salvini». felpe!» Ionesco: «Cantando. Era Di Maio Giorgino: «Molto interessante, Chiara. e tu eri con me / era di Maio poco E ti ha anche spiegato il senso di queste tempo fa / e sul tuo viso lacrime sue illuminate parole?» chiare…». Chiara: «Non ne ha avuto il tempo, Giorgino: «Professore… professopressato com’era da pressanti oneri re… e ancora fra noi? Le chiedevo di istituzionali: inaugurazione di un diDi Maio, il leader del M5S». stributore automatico di preservativi Ionesco: «Giovanotto, guardi che io nella periferia di Garbagnate, varo di un mezzo anfibio corazzato sono un destrutturatore di linguaggi convenzionali, non un indovisul lago di Caldonazzo, rimpatrio di un keniota residente a Brem- no. Che cosa vuole che ne sappia io del suo Di Maio. Se ci tiene così bate di Sopra che indossa una maglietta con la scritta “Siamo tutti tanto glielo chiedo. Pronto onorevole Di Maio? Sono Eugéne Ioneuguali”, Fernet corretto col caffè e alzabandiera con gli alpini a Pie- sco, il commediografo… No, non il commediante, il commediograve del Cadore, chiusura dell’asilo nido del Parco Trotter di Milano fo. Il commediografo è colui che scrive le commedie che il commedove gli extracomunitari hanno superato il 25% ….» diante interpreta. C’è qui uno della Rai che vorrebbe sapere cosa Giorgino: «Va bene, va bene, abbiamo capito. Ma tu e gli altri colle- ne pensa dell’ultima dichiarazione di Salvini su felpe e Minibot». ghi presenti che idea vi siete fatti?» Di Maio: «Conoscendo la concretezza Matteo, credo abbia voluto Chiara: «Le interpretazioni sono tante. Per il Fatto Quotidiano, dire che se i creditori dello Stato non vogliono i Minibot gli si poMatteo ha voluto ricordare che il PD è il partito delle banche, delle trebbe dare un certo numero di felpe». lobby e dei corrotti. Per il Manifesto, il ministro ha voluto lanciare Giorgino: «Onorevole, scusi se mi intrometto. Lei ci sta dicendo che un siluro agli alleati del M5S, ma per colpire in realtà sia Berlusconi il MEF ha un algoritmo che valuta l’equivalenza fra felpe e Minibot? sia la Meloni. Per la Verità invece il leader leghista ha semplicemen- Sarebbe una grande notizia per i nostri telespettatori». te inteso schiaffeggiare sonoramente e pubblicamente il culone di Di Maio: «Il MEF? Scusi, la linea è un po’ disturbata. Che cosa intenAngela Merkel» de con MEF?». Giorgino: «Il culone di… Ti sei consultata, Chiara, con i colleghi del- Giorgino: «Il Ministero dell’Economia e della Finanza è il ministero la stampa estera? Che ne pensano gli amici del Financial Times?» del ministro Tria». Chiara: «Ho chiesto al grande Martin Wolf. Mi ha detto che ne vole- Di Maio: «Non me ne parli. Quello è un infiltrato che risponde alla va parlare con lo scrittore dell’assurdo Samuel Beckett» Ue e a Mattarella… Ma scusi, saremo mica in diretta?» Giorgino: «E…» Giorgino: «Ehm, temo di sì, onorevole. Sa com’è, i TG vanno ancora Chiara: «Lo scrittore stava aspettando un certo Godot e non poteva in diretta. Tornando a felpe e Minibot…». rispondere» Di Maio: «Occhei, occhei. Mo’ chiamo Conte e gli dico di mediaGiorgino: «Bè, casualmente abbiamo qui ospite nel nostro studio re. Se Salvini vuole dieci felpe per un Minibot, noi ne vogliamo il celeberrimo commediografo romeno Eugéne Ionesco. Ebbene soltanto cinque. In cambio chiediamo tre etti di salario minimo, professore, come dobbiamo intendere questa importantissima di- un chilo di reddito di cittadinanza e dieci porzioni di onestà. chiarazione del ministro degli Interni?» Accà niscuno è fesso!»

Quell’algoritmo del Mef che valuta l’equivalenza tra Bot di piccolo taglio e l’indumento caro al nostro vicepremier

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