Investire Luglio - Agosto 2020

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Luglio/Agosto 2020 Euro 5,00

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INVESTIRE | ANNO II | N.18 | MENSILE | LUGLIO - AGOSTO | DATA DI USCITA IN EDICOLA: 11 LUGLIO 2020 | POSTE ITALIANE S.P.A. - SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - D.L. 353/2003 (CONVERTITO IN LEGGE 27/02/200 4 N° 46) ART. 1, COMMA 1, LO/MI

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I nuovi portafogli meno liquidi ma più convincenti L’INTERVISTA / Parla Marco Tofanelli:

«Ok al risparmio nell’economia reale ma sempre nell’interesse dei clienti»

NICASTRO: «IL FUTURO SARÀ DELLE BANCHE SPECIALIZZATE»

Parla il banchiere che ha appena lanciato Progetto Idea: il fintech sta sovvertendo ogni schema, vinceranno le specializzazioni e noi puntiamo sulle piccole imprese

• Tarantola: «Banche-imprese, più servizi» • Chilelli (Ecra): «Promuoviamo asset privati» • Bond, si profila una stagione promettente

INVESTIRE SPECIALIST

CRIPTOVALUTE AMMESSE “A PALAZZO” BCE, ABI E CONSOB ORA NE DISCUTONO • Janus: «Un 10% di mattone ok in portafoglio» • Vaccini , ecco chi vincerà la grande corsa • Ubi Banca, nel private vince la multicanalità • T. Rowe P. , le cinque “chiavi” anti-recessione • Carluccio: «Miglioreremo le linee guida Esma»


A scopo promozionale. Destinato ai soli investitori professionali. Il valore di un investimento e il reddito che ne deriva potrebbero aumentare o diminuire. Pubblicato in Europa da Janus Henderson Investors. Janus Henderson Investors è il nome con cui vengono forniti i prodotti e i servizi d’investimento da Janus Capital International Limited (n. di reg. 3594615), Henderson Global Investors Limited (n. di reg. 906355), Henderson Investment Funds Limited (n. di reg. 2678531), AlphaGen Capital Limited (n. di reg. 962757), Henderson Equity Partners Limited (n. di reg. 2606646) (ciascuna registrata in Inghilterra e Galles


ABBANDONA I TUOI DUBBI. NON I TUOI OBIETTIVI Le incertezze di mercato non dovrebbero farti perdere di vista i tuoi obiettivi finanziari. Janus Henderson offre soluzioni d’investimento per aiutarti a tenere la rotta nell’attuale contesto di incertezza. • Sfrutta la disruption • Persegui il reddito • Scegli la diversificazione janushenderson.com/ScopriDiPiu

all’indirizzo 201 Bishopsgate, Londra EC2M 3AE e regolamentata dalla Financial Conduct Authority) e da Henderson Management S.A. (n. di reg. B22848, registrata all’indirizzo 2 Rue de Bitbourg, L-1273, Lussemburgo e regolamentata dalla Commission de Surveillance du Secteur Financier). Janus Henderson, Janus, Henderson, Perkins, Intech, Alphagen, VelocityShares, Knowledge. Shared e Knowledge Labs sono marchi commerciali di Janus Henderson Group plc o di una delle sue società controllate. © Janus Henderson Group plc.



EDITORIALE

La realtà e i paradisi artificiali di Sergio Luciano

T

redici miliardi di dollari di capitalizzazione borsistica e non ha ancora fatturato un solo dollaro. È la stupenda metafora di Nikola Corporation, l’azienda americana nata fusione tra la start-up Nikola e il fondo d’investimenti VectorIQ, che produce camion elettrici, pare bellissimi, o meglio li produrrà, tra non meno di sei mesi, e intanto si è quotata e ha raggiunto un valore di Borsa, appunto, di 13 miliardi di dollari. Per capirci, quanto Fca. Siamo alla pura follia. A oggi, niente e nessuno può garantire che il modello di business della propulsione elettrica a batteria giustifichi la redditività implicita in questi valori. É evidente che chi compra titoli Nikola o Tesla non lo fa pensando di tenerli finchè i dividendi delle relative aziende ne giustificheranno i livelli stratosferici ma conta di rivenderli prima, guadagnandoci, in una riedizione allucinata e legalizzata dello schema Ponzi. Però, che dire: bravi loro, è tutto regolare, tutto alla luce del sole americano, “vendete pure pezzi di cielo, purchè diciate che sono pezzi di cielo”; è il vecchio motto dei regolatori di Borsa yankee. Un paradiso artificiale, ma ha i suoi beati, da sempre. Da questa parte dell’Atlantico, la musica è diversa, con analogie. Un ponte virtuale collega infatti New York a Francoforte, e si chiama liquidità. La Federal Reserve e la Bce stanno metaforicamente stampando moneta a tutta randa. La regalano alle banche per garantire loro un po’ di margini d’interesse senza bisogno che facciano nulla; la Fed compra anche corporate bond, e pochi giorni fa la presidente della Bce, Christine Lagarde, ha detto che anche il suo istituto è pronto a “un allargamento ulteriore degli asset accettati come garanzie a fronte della liquidità erogata”, tradotto: anche la banca centrale europea inizierà probabilmente a comprare corporate bond (leggasi inchiesta in questo numero!). La realtà del mercato italiano privato, però, non gode né dei paradisi artificiali del Nasdaq e dell’high-tech onorico ameri-

cano, né appieno delle suggestioni di un’infinita irrorazione di liquidità da parte delle banche centrali. Perché gli errori di decenni si pagano, e frenano i sogni. Dunque anche alcune grandi operazioni in corso, a volerle guardare senza gli occhiali rosa, pur se più o meno valide o più o meno sostenibili, nascono comunque da “fallimenti di mercato”. Ubi, cui le resistenze cervellotiche di un paio di banche popolari sulla frontiera di una gracile sovranità hanno impedito di diventare locomotore di un terzo polo bancario, verrà probabilemente aggregata da Intesa: tanti auguri ma un terzo benedetto polo da qualche parte dovrebbe pur nascere in Italia; Tim e Open Fiber potrebbero finalmente por mano a una rete unica di banda ultralarga ma con ritardi e sperperi spiegabili solo alla luce di intralci e malafede che dapprima hanno spappolato la vecchia e gloriosa Sip e poi hanno consegnato ciò che ne restava nelle mani inaffidabili di due concorrenti stranieri, prima Telefonica o poi Canal Plus. Generali – peraltro contesa dalle malmostosità di azionisti privati anzianissimi e dunque anagraficamente privi di prospettive imprenditoriali verosimili – muove giustamente a difesa di Cattolica, ma solo perché quest’ultima, che ha respinto gli stimoli al cambiamento di azionisti prestigiosi, è oggi costretta a ricapitalizzare. Insomma, ci arrocchiamo sulle poche eccellenze residue per difenderle dagli appetiti stranieri. La ridicola, e pietosa, impasse politico-giudiziaria su Autostrade si consuma intanto che un colosso previdenziale da 130 miliardi di patrimonio decide, sì, di investire in Italia, e sulle autostrade, ma anziché candidarsi a quel ginepraio punta 2,4 miliardi su Brebemi, piccola ma scintillante arteria padana… E dunque? Dunque non fidiamoci se non di noi stessi e delle imprese, italiane e non, purchè producano valore. L’economia reale – ne parliamo in questa coverstory sugli investimenti alternativi – non è il Bengodi, ma per chi sa scegliere e valutare è un luogo dove non fioriscono forse le grandi vincite alla lotteria ma non allignano le disillusioni scottadita.

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Registrazione Tribunale di Milano N. 126 del 27/3/1982 Numero iscrizione ROC: 29993 Direttore responsabile Sergio Luciano Caporedattore Marco Muffato Newsroom Marina Marinetti, Davide Passoni, Marco Scotti, Riccardo Venturi, Raffaela Jada Gobbi, Liliana Nori Hanno collaborato Antonio Quaglio (Consulente

del direttore), Rosaria Barrile, Ugo Bertone, Giacomo Damian, Mauro Del Corno,Giuseppe D’Orta, Fabiana Giacomotti, Francesco Priore, Monica Setta, Nicola Ronchetti, Gloria Valdonio Contributors Vittorio Borelli, Enrico Cisnetto, Giuseppe Corsentino, Anna Gervasoni, Glauco Maggi, Andrea Margelletti, Marco Onado, Matteo Ramenghi, Giulio Sapelli, Franco Tatò

Partnership Editoriali Anasf, Assoimmobiliare Casa editrice Economy Group s.r.l. Piazza Borromeo 1, 20123 Milano Tel. 02/89767777 Presidente e A.D. Giuseppe Caroccia Direttore editoriale

Concessionaria esclusiva OYSTER S.r.l Amministratore unico Domenico Marasco Distribuzione Pressdi - Via Mondadori, 1 Segrate - 02 7542097

Alfonso Ruffo Segreteria di redazione Monia Manzoni

Stampa Grafiche Letizia 84040 - Capaccio Scalo ( SA )

luglio - agosto 2020

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SOMMARIO Luglio - Agosto 2020

03 EDITORIALE 09 WATCHDOG 10 SISMOGRAFO

13 IL GERMANISTA 14 FINANZA REALE 16 III REPUBBLICA

di sergio luciano

La realtà e i paradisi artificiali

di marco onado

Dove sono le aziende attente all’ambiente?

di a.gervasoni

Private capital, che futuro se i fondi pensione...

di giulio sapelli

Per le autostrade largo al “Common Goods”

Una ondata di Pir alternativi, Eltif, fondi di private equity e di venture capital entreranno nei portafogli dei risparmiatori

di franco tatò

Perchè la Germania ci tende la mano (sul serio)

di e.cisnetto

Urge il partito che non c’è per l’Italia migliore

COVERSTORY CORPORATE BOND/1

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Lo Zio Sam compra obbligazioni societarie e dà il vaccino al mercato

CORPORATE BOND/2

CORPORATE BOND/3

Benvenuti al bazar del debito e che occasioni, paga la Bce

Maxia (Allianz GI): «Bond appetibili con i tassi bassi»

FOCUS

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ECONOMIA REALE

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BANCA GENERALI

Private sempre più vicino alle imprese. In rampa di lancio Eltif e corporate finance

EURIZON CAPITAL REAL ASSET Un nuovo operatore pronto a promuovere asset privati e illiquidi. In arrivo un Pir

26 29 31

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RETI&ILLIQUIDI

Tofanelli (Assoreti) spiega come i consulenti finanziari aiuteranno l’economia (e i clienti)

AZIMUT

Che ambizioni nell’economia reale, obiettivo 10 miliardi di euro di masse nei prossimi 5 anni

LIB CAPITAL

Con private equity e real asset un fondo di alta gamma per un target di 200 milioni

FOCUS RISIKO BANCARIO

32 36 6

AGGREGAZIONI POST-COVID Il vento delle fusioni riprenderà forza nella tempesta dei conti economici. A partire dal 2021

38 40

RAPPORTO BANCA-IMPRESA Tarantola (ex vice dg Bankitalia): «Migliorerà con più servizi e tanta sostenibilità» luglio - agosto 2020

RIVOLUZIONE TECNOLOGICA

Nicastro (Officine Cst): «Per affermarsi nei servizi bancari il primo requisito è la tecnologia»

BANCA POPOLARE DI BARI

Il salvataggio dell’istituto passa per un “dilemma del prigioniero” tutto italiano


SOMMARIO

INVESTIRE SPECIALIST 46 48 49 50 52 54 56 58 60 62

REPORT FRANKLIN T./ Tra i consulenti

finanziari italiani e l’Esg è scoppiato l’amore

SYCOMORE AM/ Parla Ponchon: «Aziende favorite nel dopo-Covid? Le coerenti con i trend strutturali» BANOR SIM/ La solidarietà, un investimento

che riesce sempre a non deludere le aspettative

HI-TECH/ Ramenghi (Ubs WM Italy): «Premiare

chi sa innovare, ignorare chi non è al passo coi tempi»

CRIPTOVALUTE/1 Finalmente le criptocurrency sono state ammesse a Palazzo. Abi e Consob ne parlano

CRIPTOVALUTE/2 Parravicini (Swan Am): «La moneta digitale è ormai bene rifugio come l’oro» JANUS HENDERSON INVESTORS/ Il virus

non frena l’immobiliare. Il 10% di mattoni è sempre ok

CICLICITÀ 2.0/ Sundstrom (Pimco): «Sono i chip non i mattoni che conteranno nel dopo Covid-19»

JP MORGAN AM/ Parla il country head Alfieri: «La volatilità? Sarà alta fino a novembre» FIDA/ L’ad Costan: «L’industria del risparmio ha dimostrato una nuova maturità»

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ELEZIONI ENASARCO / Ormai il caso è proprio istituzionale: il governo preme, l’ente non risponde EFPA EUROPE/ Il presidente Carluccio: «Linee guida Esma da migliorare, ci impegneremo per cambiarle» RICERCA FINER-ASSOGESTIONI/ Quella finanza “reale” che fa bene all’economia

CORONAVIRUS/ La lunga corsa al vaccino,

ecco chi tra le società farmaceutiche può spuntarla

PRIVATE BANKING/ Le strategie di Ubi Banca tra multicanalità, servizi e semplicità

T.ROWE PRICE/ I cinque temi chiave per il 2021. Ecco come sfruttarli al meglio SEDIE E POLTRONE / Azimut ingaggia Nello Foltran, due nomi per l’equity di Ersel Am

PROFESSIONE CONSULENTE/ Quella del

consulente finanziario è professione per donne

POLE POSITION/ La calda estate dell’ex salotto buono di Milano. La stella del Btp sarà cometa o cadente TALENT/ Un portafoglio fatto di sole nazioni è il leitmotiv della gara tra fai-da-te, cf e robot

42 MERCATO AZIONARIO FASHION & BUSINESS 44 90 ASTE IMMOBILIARI 92 IMMOBILIARE INNOVATIVO 94 TURISMO DI CLASSE 96 LIBRI PER L’ESTATE 97 EDUCAZIONE FINANZIARIA 98 MALALINGUA

MONDO

Valutazioni alte: lo spettro della bolla sui listini

82 83 84 88

I brand politcamente corretti abbracciano il black Bloccate dal Covid? No, acquisti col “saldo e stralcio”

QUI PARIGI di Giuseppe Corsentino

La grande truffa finanziaria delle vacche fantasma

QUI NEW YORK di Glauco Maggi

Più trasparenza a Wall Street ma contro la Cina

IL GIRO DEL MONDO IN 30 GIORNI

Argentina, braccio di ferro con BlackRock e Fmi

COSMOPOLITICA di Andrea Margelletti

Usa, quando protesta sociale e razziale si fondono

La via del crowdfunding spiegata da Giuseppe Gatti

La filosofia aziendale di Franco Girasoli

Cosa regalare a politici, giornalisti e opinion leader Riesaminiamo il nostro mattone da investimento Tutti i vedovi inconsolabili del Covid-19 luglio - agosto 2020

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WATCHDOG Marco Onado È professore senior di Economia degli intermediari finanziari nella Università Bocconi di Milano. È stato Commissario Consob. Collabora con “Il Sole - 24 Ore”, “Lavoce.info” e “voxeu.org”.

“FINANZA VERDE”, POCHE LE AZIENDE ATTENTE ALL’AMBIENTE

A

nche il mondo degli investimenti ha le sue mode e oggi l’ultimo grido è la “finanza verde” che ha creato una nuova strategia: puntare su imprese che danno un contributo maggiore alla sostenibilità della crescita mondiale. Ed è significativo che la grave recessione indotta dal Coronavirus non abbia allentato l’interesse in proposito: del resto è intuitivo che le imprese che più contribuiscono al global warming non possono che avere un futuro a lungo termine meno redditizio, a causa della regolazione, di tasse sulle emissioni di biossido di carbonio e forse anche del boicottaggio dei consumatori. GRETA THUNBERG Nell’ambito della cosiddetta finanza responsabile attenta ai fattori Esg (Environmental, social, governance), il primo termine è diventato assolutamente prevalente. Sono nati quindi molti fondi specializzati, con tutto il loro corollario: richieste anche regolamentari di disclosure alle imprese; società di rating specializzate e così via. In particolare le informazioni ambientali dovrebbero distinguere le emissioni totali di ciascuna azienda in tre categorie: quelle dirette (scope 1); quelle indirette per l’energia acquistata (scope 2) e tutte le altre indirette riconducibili all’organizzazione del processo produttivo (forniture, viaggi aziendali e così via). Ma quanto possono contribuire gli investitori istituzionali a questa nobile causa? Un numero recente di The Economist si è preso la briga di fare qualche calcolo e i risultati buttano molta acqua sul fuoco dei facili entusiasmi. Non che il problema non sia grave: ogni anno immettiamo nel nostro sempre più disastrato pianeta gas che contribuiscono all’innalzamento della temperatura per l’equivalente di 55 miliardi di tonnellate di biossido di carbonio (di cui 37 provenienti da combustibili fossili e processi industriali vari). E le imprese hanno migliorato l’informazione: i bilanci (che sempre più assumono la dimensione di un’enciclopedia) contengono informazioni Esg per due terzi delle imprese dell’indice S&P 500 (erano la metà cinque anni fa), per quasi l’80 per cento delle imprese dello Euro Stxx600 e per il 46 per cento delle imprese del Nikkei. Dai dati pubblicati, la rivista inglese ha stimato il totale riconducibile a tutto il mondo delle imprese, quotate o no. E il risultato

non è dei più incoraggianti: le imprese quotate incidono solo per il 14 per cento del totale mondiale delle emissioni e la percentuale si ferma al 23 per cento se si considerano anche le informazioni sulle emissioni del terzo livello. Dietro questo risultato ci sono due fattori: in primo luogo il numero delle società quotate non è cresciuto affatto negli ultimi decenni, ovviamente con l’eccezione dei Paesi emergenti. In secondo luogo gran parte delle emissioni nocive viene da imprese controllate dallo Stato su cui gli investitori istituzionali possono contare marginalmente. E comunque quelle a proprietà concentrata, in cui gli investitori di minoranza hanno minor capacità di influire, sono la stragrande maggioranza. Le iniziative come quella di Blackrock che, anche a nome di altri investitori istituzionali che hanno asset under management per oltre 40 trilioni di dollari, miranti a richiedere alle imprese di indicare obiettivi in termini di emissione non ha dato risultati incoraggianti. Un ente indipendente stima che solo il 9 per cento ha indicato obiettivi compatibili con la riduzione di due gradi del global warming. Si potrebbe argomentare che anche senza le complessità delle classifiche Esg, gli investitori potrebbero risolvere il problema alla radice finanziando energie rinnovabili: ma anche qui non è così facile. Un paper recente dell’economista italiana Mariana Mazzucato (che insegna a Londra da anni) ha dimostrato che questo mondo (che per quanto in crescita rimane ancora minoritario rispetto alle fonti di energia tradizionali) è finanziato solo per un quinto da intermediari tradizionali e le banche fanno la parte del leone: la quota degli investitori istituzionali non supera il sette per cento. Tutto questo fa capire che la “finanza verde” è una gran bella cosa, ma la strada per indurre attraverso di essa (e soprattutto con le scelte dei fondi di investimento) comportamenti virtuosi delle imprese è in salita, come è naturale che sia per cambiamenti così radicali e che muovono interessi enormi. È invece concreto il rischio che, sull’onda della moda, si alimentino false aspettative nei risparmiatori e soprattutto che si crei la tipica situazione di troppi fondi che inseguono poche imprese veramente attente all’ambiente. Anche Greta Thunberg (nella foto) inviterebbe alla prudenza.

Il grande successo dei fondi Esg può creare aspettative eccessive nei risparmiatori

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IL SISMOGRAFO Giulio Sapelli È Ordinario di Storia Economica presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Milano e direttore scientifico della Fondazione Enrico Mattei.

PER LE AUTOSTRADE LARGO AL MODELLO "COMMON GOODS"

L

e autostrade non possono essere più gestite col modello Iri. Dobbiamo uscire dal regime delle concessioni. A coordinare questa essenziale categoria di infrastrutture deve essere un ente not for profit, dove lo Stato e gli enti territoriali – Comuni, Province e Regioni – investano solo il capitale di avviamento e poi li amministrino come si fa con un bene comune, nominando un amministratore unico, non pagando più dividendi ma reinvestendo tutti i proventi dei pedaggi in manutenzione, migliorie e interventi benefici sui territori attraversati. L’obiettivo statale sia quello di garantire la mobilità, la sicurezza, la qualità dell’ambiente e la coesione dei territori. Oggi la tecnologia consente di monitorare la solidità e la tenuta di queste infrastrutture con una sensibilissima sensoristica che traccia di giorno in giorno le possibili degenerazioni dei materiali, la dilatazione dei metalli, il decadimento dei cementi, i rischi del manto di asfalto: tutto. Sulla base di questi dati si indirizzano le ispezioni dove e quando ce n’è bisogno per appurare la gravità del deterioramento creatosi. Sono tecnologiche ormai affidabili, messe a punto dalla ricerca petrolifera, gasiera e sismica, si possono osservare gli effetti dell’usura dovuta al transito degli autoveicoli, si controlla in tempo reale come i materiali da costruzione rispondono alle sollecitazioni, resistono alle vibrazioni. Studi decisivi sono stati effettuati grazie a queste innovazioni per esempio nella valutazione dell’elasticità del cemento, ed hanno rivelato una relazione diretta tra elasticità e deteriorabilità. Queste considerazioni sulle nuove tecnologie della sicurezza dovrebbero a maggior ragione indurre al più presto a mettere in atto nuove forme di proprietà. Nella consapevolezza che se lo Stato fa qualcosa di utile, visibilmente e dimostrabilmente utile alla collettività, viene apprezzato e rispettato anche dai singoli territori, che possono addirittura sostenere tassazioni di scopo: l’importante è che capiscano quanto sia nel loro interesse accettare quegli interventi. Quando l’allora presidente della Provincia di Milano Filippo Penati mi nominò presidente dell’Amsa (l’azienda per la mobilità sostenibile), mi documentai sul modo migliore per realizzare

l’Autostrada Pedemontata e, con l’aiuto progettuale di Mediobanca e Banca Imi, prendemmo in esame la formula adottata dalle gestioni autostradali della Florida. Scoprimmo che le migliori erano appunto rette da enti not for profit. Gli Stati federali mettevano i capitali d’avvio, naturalmente, e la gestione non veniva affidata a un consiglio d’amministrazione ma ad un amministratore unico, un civil servant, con uno stipendo equo per lui e per la forza lavoro, in modo che i proventi fossero interamente destinati appunto a pagare manutenzione, migliori e naturalmente gli ammortamenti. Poche tratte autostradali nel mondo sono codificate così, ma funzionano molto bene. Le autostrade gestite così diventano un puro bene pubblico, cosa diversa dal bene statale o privato, perché appartiene direttamente alla collettività. Il piano della Provincia però non andò in porto. Ci si scontrava con la forte volontà politica che voleva un consiglio d’amministrazione e con la strategia della Banca per le Infrastrutture, che aveva un accordo quadro per finanziare la Provincia. Sul nostro progetto si creò una polemica politica che condusse alle dimissioni di tutti i consiglieri, uno per uno… Il risultato fu che non facemmo la Pedemontana. Ecco: oggi, rievocare in qualsiasi forma modificata il ritorno all’Iri dimostra una paradossale mancanza di innovazione. Ripeto, la nuova filosofia da seguire è quella dei “common goods”, contraddistinti da una governance diversa. La figura classica dell’azionista deve scomparire, almeno per le infrastrutture più grandi e importanti. Ben venga, invece, l’iniziativa privata per quelle più piccole e di minore impatto e strategicità. Poi è chiaro che il regime giuridico delle infrastrutture può e deve essere diversificato, a seconda dei luoghi e degli scopi. Ad esempio se ripristinassimo una delle linee ferroviarie più belle d’Europa, la Cuneo-Nizza, che ha forti costi di manutenzione – e che infatti durante il fascismo venne affidata alla gestione del Genio Ferroviario – ecco: quella sarebbe un bene turistico, di lusso, che potrebbe reggersi sui biglietti, come il treno che in Perù va da Cuzco va a Machu Picchu: per i contadini è quasi gratis, i turisti pagano un salatissimo biglietto, ma lo fanno volentieri per il meraviglioso paesaggio di cui godono.

Lo Stato investa soltanto il capitale d'avviamento, poi si reimpieghi l'utile in manutenzione e sociale

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PRIVATE BANKING DAL 1973 Banca Euromobiliare, firma storica della finanza italiana, è la boutique finanziaria del Gruppo Credem, focalizzata nella gestione degli investimenti e nell’advisory di alta gamma per imprenditori, investitori istituzionali, professionisti e clientela private.

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IL GERMANISTA Franco Tatò Manager eclettico e innovativo, è tra i pochissimi italiani ad aver diretto aziende in Germania, paese (e cultura) che ama ed è l’unico ad essere stato amministratore delegato sia di Rizzoli che di Mondadori

PERCHÈ LA GERMANIA CI TENDE LA MANO (SUL SERIO)

«È

nel pieno interesse dei tedeschi che l’economia italiana resista», aveva detto Angela Merkel in una delle prime esternazioni dopo l’esplodere della pandemia in Europa. E l’ha ripetuto a fine giugno, parlando del Mes (“non l’abbiamo creato per non utilizzarlo”) e sottolineando come sia giusto che la Germania “non pensi solo a se stessa, ma sia pronta a un atto straordinario di solidarietà verso i Paesi come Italia e Spagna, colpiti in modo violento sul piano economico, sanitario e, a causa del grande numero di vittime, anche emotivo”. Se la Cancelliera si è – come dire – distratta dai suoi non piccoli problemi interni e si è pronunciata in modo così netto sul Mes è stato anche perché ha constatato che in Italia le polemiche politiche contro quello strumento sono molto dure. C’è nel nostro Parlamento una gran quantità di rappresentanti secondo i quali non si devono chiedere prestiti all’Europa perché esisteANGELA MERKEL rebbe il rischio di esserne poi danneggiati. Il che è assurdo per chiunque conosca le condizioni in cui versa la sanità italiana che ha drammatico bisogno di questi soldi, come la gestione dilettantistica dell’emergenza Covid ha dimostrato ma come ben sapeva chiunque fosse stato costretto alle attese bibliche o alle file interminabili necessarie anche prima della pandemia per fruire anche di prestazioni sanitarie urgenti e di esami diagnostici cruciali contro patologie anche mortali. Ebbene, la Merkel – che da pochi giorni è tra l’altro presidente di turno dell’Europa – ha voluto lanciare un segnale preciso sull’interconnessione profonda (“è nel pieno interesse dei tedeschi…”) che c’è tra la nostra economia e quella della Germania. Se il sistema italiano implodesse, la Germania perderebbe il suo principale subfornitore in tutte le filiere industriali. E se la ripresa economica tedesca fosse meno forte di quella che invece si profila, tantissime nostre imprese vedrebbero deperire il loro principale cliente. Il messaggio della Cancelliera è stato dunque rivolto anche a una parte dell’opinione pubblica del suo Paese che vive con fastidio e anche offesa gli echi delle polemiche antitedesche in Italia, peraltro rinfocolate da numerosi esponenti leghisti, compreso il leader, cioè da quello che è pur sempre il primo partito italiano nei sondaggi. Con il suo dire, quindi, la Cancelliera ha raggiunto due obbiettivi: spiegarsi con i suoi concittadini, e rassicurare gli italiani. Purtroppo la risposta datale dal nostro

presidente del Consiglio è stata inopportuna e supponente. Forse fidando del buon rapporto personale che pare abbia con la Merkel, Conte ha ritenuto di propinarle una battuta piccata, forse utile a tenersi buona la frangia oltranzista dei Cinquestelle, quella di Di Battista, ma comunque sbagliatissimo che su una materia così seria. Molti di noi italiani condividono un sentimento che se non è francamente antitedesco si esprime, se non altro, in una malcelata soddisfazione rispetto ai problemi che la Germania sta vivendo. Ma nella realtà, i dati dimostrano che dalla pandemia i tedeschi stanno uscendo a vele spiegate. La loro economia, malgrado i drammatici problemi dell’automotive, sta ripartendo molto bene. A ritmo serrato. E promette di chiudere l’anno con una contrazione nettamente inferiore alla media europea e tanto più al calo che purtroppo colpirà l’Italia. Questo è accaduto per la concretezza e la rapidità dei provvedimenti del governo, tutti autofinanziati, che hanno risollevato il morale della nazione sia sul piano sanitario, con contromisure rapide, drastiche ed efficaci, che su quello economico. I sostegni alla liquidità delle imprese sono stati erogati quando i nostri erano ancora in mente dei. E diminuire di 5 punti l’Iva sui generi alimentari è stato un segnale importante. Insomma, la loro fase 3 i tedeschi la stanno vivendo bene, pur avendo forti ritardi nella digitalizzazione e soffrendo duramente la crisi dell’automotive. La Merkel sa che questo insieme di positività non le garantisce di essere confermata per il quinto mandato, perché nel suo partito non sembrano più essercene i presupposti. Chi avrebbe le migliori carte per succederle come capo del partito ed anche come potenziale cancelliere è il presidente della Baviera Markus Thomas Theodor Söder, ma il rischio è che per mille ragioni si confermi la tradizione per cui un bavarese non è mai diventato cancelliere. C’è poi il fortissimo Friedrich Merz, un finanziere liberale di grande capacità, molto apprezzato ma non amatissimo nel partito. E c’è poi Armin Laschet, presidente del Nord-Westfalia, di modesta leadership. E dunque per la Merkel giocarsi alla grande il semestre europeo è una doppia occasione: alimentare il “partito del quinto mandato”, che sta irrobustendosi attorno a lei in Germania; o comunque rafforzare talmente la propria già grandissima immagine in Europa da risultare candidata naturale per qualsiasi nuova responsabilità sovranazionale cui potrebbe un domani ambire.

La Cancelliera ha voluto così rassicurare sia noi che i suoi elettori

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FINANZA REALE Anna Gervasoni Professore Ordinario di Economia e Gestione delle Imprese alla Liuc di Castellanza. È anche direttore generale dell’Aifi (Associazione italiana del private equity, venture capital e private debt)

CHE FUTURO PER IL PRIVATE CAPITAL SE I FONDI PENSIONE...

L’

emergenza Coronavirus ha enfatizzato la necessità di affrontare la crisi economica con un approccio e una visione europea. La comune volontà parrebbe quella di ricostruire e rifondare un contesto economico e sociale basato su nuovi modelli di sviluppo che prevedano l’inclusione, l’attenzione all’ambiente e l’ innovazione digitale. Ma innanzitutto, al centro della ripartenza vanno messe le imprese. Dopo il lockdown, dopo la chiusura totale di attività e produzione di beni e servizi che ha fatto crollare il Pil italiano (e non solo), i dati Istat non sono incoraggianti: le prime proiezioni ci dicono che a fine del prossimo anno avremo recuperato poco più della metà di quanto perso fin qui tra investimenti, esportazioni e consumi. Il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, nel suo discorso annuale, ha dichiarato che nel primo trimestre dell’anno il Pil italiano ha avuto una flessione del 5% e questa potrebbe essere più marcata nel secondo. Su base annua si prevede una caduta del 9% che potrebbe arrivare, nella peggiore delle ipotesi, al 13%. Il presidente della Consob Paolo Savona ha richiamato nella sua relazione annuale la necessità di fare uno sforzo comune, chiamando il risparmio italiano a partecipare al rilancio del Paese, con una attenzione agli investimenti in capitali produttivi, proprio a tutela del risparmio stesso. È dal sostegno finanziario alle imprese italiane, dal dare loro capitali per investire nello sviluppo e nel rilancio che può ripartire la nostra economia creando posti di lavoro, nelle imprese e nel loro indotto. Come può contribuire quindi il risparmiatore? Dopo aver dato il via libera agli incentivi fiscali per i nuovi Pir, che possono essere uno degli strumenti per far convergere risorse sull’economia reale, proprio in questi giorni, il Ministero dell’Economia ha avviato una consultazione in merito all’abbassamento della soglia minima di sottoscrizione dei Fondi di investimento aalternativi (Fia) riservati. Questo aprirebbe la tanto

IGNAZIO VISCO

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...potranno investire in asset illiquidi. “Invest Aifi” nasce per investitori istituzionali e fondi di private equity in cerca di dialogo richiesta possibilità per i privati, il cosiddetto mercato retail di fascia alta, di sottoscrivere fondi di private capital di norma destinati a investitori istituzionali. L’abbassamento della soglia a centomila euro, rispetto ai cinquecentomila euro previsti oggi, potrebbe consentire a una platea dotata di patrimoni di medie e grandi dimensioni, l’investimento nel medio-lungo periodo in asset illiquidi e in società non quotate, diversificando il proprio portafoglio finanziario, potendo accedere a prodotti con alto profilo rischio rendimento e allo stesso tempo garantendo la possibilità di finanziare le imprese italiane. Dall’altro lato, questo aiuterebbe i fondi di private equity, venture capital e private debt, permettendo di disporre di risorse maggiori da investire direttamente nell’economia reale. I rendimenti tra l’altro in Italia sono stati sempre molto interessanti. Secondo l’analisi annuale di Kpmg il private equity ha dato mediamente rendimenti a due cifre negli ultimi 5 anni. Alti rendimenti si ottengono aiutando con capitali e supporto le imprese che hanno potenziale a fare piani di sviluppo, e se si cresce, ne beneficia l’occupazione, tema centrale soprattutto in questa congiuntura. Del resto, una recentissima analisi di Pwc dice che le imprese supportate dal private equity e dal venture capital danno un impulso fondamentale all’occupazione, infatti negli ultimi 5 anni il numero dei loro addetti è cresciuto ad un tasso del 5%, a fronte di valori negativi per le imprese comparabili ecpiù in generale per l’occupazione italiana. Non a caso l’attenzione a questo mercato la troviamo in altri importanti contesti, basti pensare che negli Stati Uniti si è in questi giorni dato il via libera affinché i capitali raccolti dai cosiddetti piani 401 (k) ovvero i piani pensionistici individuali (si parla di oltre seimila miliardi di dollari) possano essere investiti anche in fondi di private equity. Se i fondi pensione italiani dimostrassero la stessa sensibilità, investendo con decisione in fondi di private capital con focus sulle imprese italiane, ci sarebbe un contributo decisivo. Per questo motivo Aifi (l’associazione che rappresenta i fondi di private equity, venture capital e private debt) ha lanciato Invest Aifi, una piattaforma di dialogo tra gli investitori istituzionali e i fondi di private capital, in primis per conoscersi meglio.



TERZA REPUBBLICA Enrico Cisnetto È un editorialista, economista e conduttore televisivo italiano, ideatore della trasmissione televisiva Roma InConTra. È conferenziere, consulente politico-strategico e tifoso della Sampdoria

IL PARTITO CHE NON C’È RAPPRESENTI PRESTO L’ITALIA MIGLIORE

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l Fondo Monetario prevede che il pil mondiale si contrarrà nel 2020 di meno del 5% per poi rimbalzare del 5,4% nel 2021, mentre quello delle economie avanzate calerà dell’8% per risalire del 4,8% e quello europeo del 10,2% per rimbalzare del 6%. L’Italia, invece, perderebbe quasi 13 punti per recuperarne solo la metà l’anno prossimo. Serietà e senso di responsabilità vorrebbero che di fronte a queste previsioni il governo producesse uno sforzo, immediato e radicale, per spingere in modo strutturale la crescita ed evitare che il debito, destinato ad approssimarsi al 170% del pil, diventi insostenibile sui mercati finanziari. Invece, dopo la celebrazione in modalità solo mediatica degli Stati Generali, governo e maggioranza, in mancanza di idee e di coesione, puntano a scavallare l’estate rinviando la definizione del piano di rilancio, con la scusa di attendere che sia irrevocabilmente formalizzata in sede comunitaria la decisione sul Recovery Plan. Peccato che in Europa la nostra credibilità nel chiedere sostegno dipenda proprio dalla bontà, o meno, del piano economico, e quindi da come si intenda spendere le risorse che ci saranno riservate, come pure dall’utilizzo del Mes – come ha cercato di spiegare Merkel a un Conte che ha fatto orecchie da mercante – come segno di smarcamento dalle prurigini ideologiche che su quei fondi si sono manifestate ma soprattutto da quelle anti-europee e sovraniste che non a caso albergano nei critici del fondo destinato alla sanità, che spesso coincidono con quei tromboni (o peggio) che al suolo dell’inno nazionale predicano che possiamo finanziarci da soli. Roma, invece, offre lo spettacolo di una coalizione di governo sbrindellata e di una opposizione non meno divisa. La tregua che aveva tenuto nei mesi dell’esplosione della pandemia e del conseguente lockdown, è finita ai primi di maggio, al momento della riapertura del Paese, quando si è trattato di passare dalle disposizioni restrittive e punitive a quelle di rilancio. Di chi è la colpa? Tutti la danno ai 5stelle, che sono disastrosi sia quando sono compatti – perché non possono che ricompattarsi sulle vecchie parole d’ordine ultra populiste di Grillo – sia quando, come ora, sono divisi, anzi sbriciolati. In effetti, i grillini sono portatori di una cultura (si fa per dire) illiberale, giustizialista, punitiva nei confronti delle imprese e dello sviluppo (la famosa decrescita in-felice). Il no al Mes, le follie su Alitalia, Ilva e Aspi, sono solo gli esempi più recenti dei loro limiti politici. Ma sono insostituibili, in questo parlamento. Non basterebbe neppure una loro formale scissione, con una parte guidata da Conte nell’alleanza con il Pd, per evitare che continuino ad essere il “peso morto” della politica italiana. Ecco perché dare solo la colpa a loro non esaurisce il quadro delle responsabilità e, soprattutto, non serve. La prima delle corresponsabilità è quella del presidente Conte. Lungi dal rappresentare una cultura di governo quale che sia, 16

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BEPPE GRILLO

Il Paese è in crisi profonda e il governo cincischia. Colpa dei Cinquestelle? Sì ma anche di Conte, del Pd e delle destre l’avvocato Gran Navigatore usa le contraddizioni e i contrasti dentro il movimento pentastellato e tra questo e il Pd, per non decidere e costruire la sua durata sul rinvio delle scelte dividenti. Ma in questo quadro come non dare la sua parte (non piccola) di responsabilità al Partito Democratico, incapace non solo di conquistare la leadership nella coalizione nonostante le debolezze grilline, ma anche di attingere al suo riformismo – che per limitato e un po’ stereotipato che sia, comunque c’è – per dare un significato alla presenza al guida del Paese in un momento così drammatico. Certo, sono emersi con sempre maggiore evidenza (alleluia) dei mal di pancia – dal sindaco di Bergamo Gori al presidente dell’Emilia-Romagna Bonaccini, passando per l’operazione Scalfarotto in Puglia – verso una gestione del partito (Zingaretti) e della presenza del Pd nel governo a dir poco sciape. Ma se è difficile non giungere alla conclusione che la permanenza di questo governo sia dannosa, resta da capire come da un’eventuale crisi possa emergere una situazione migliore. Considerate le profonde divisioni che attraversano il centro-destra, resta solo da sperare che se crisi politica ha da essere, che attraversi tanto la maggioranza quanto l’opposizione, e che dalla frullata escano leadership diverse dalle attuali, a cominciare dal Pd e dalla Lega. O che in vista di elezioni, che prima o poi ci saranno, il “partito che non c’è” finalmente si palesi per dare alla parte migliore del Paese una degna rappresentanza. (twitter @cisnetto)


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CORPORATE BOND

LO ZIO SAM COMPRA BOND SOCIETARI E DÀ IL VACCINO AL MERCATO di Gloria Valdonio

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a valanga di liquidità generata dalle politiche fiscali e monetarie delle principali economie al fine di contrastare lo shock economico seguito al lockdown sanitario impedirà che i default si abbattano come fulmini sulle aziende dal prossimo autunno fino alla primavera 2021: questa ipotesi si è fatta certezza tra gli investitori lunedì 15 giugno, quando la Federal Reserve ha confermato di voler ampliare la composizione dei suoi acquisti di asset, inglobando anche debito societario nell’ambito dello strumento Secondary Market Corporate Credit Facility (fino ad allora il programma della Fed consentiva di acquistare questo debito solo attraverso gli Etf) allo scopo di andare direttamente in soccorso delle società in difficoltà, le quali avranno meno passività nei confronti dei loro creditori e un rischio ridotto di fallimento per gli azionisti. Una Fed che si assume i rischi di default ha fatto dimenticare i timori di coda di una seconda ondata autunnale (e di una terza invernale) di contagi da corona virus, e nei giorni successivi all’annuncio gli indici sono tornati a brillare recuperando le perdite precedenti. «Non abbiamo dubbi sul fatto che questo sarà l’anno delle obbligazioni societarie», è il parere di Alex Pelteshki, fixed income manager di Kames Capital. Che aggiunge: «Capita una volta ogni dieci anni, ma la corsa delle obbligazioni societarie potrebbe vedere in questo 2020 rendimenti a doppia cifra per l’intera asset class». Obbligazioni o azioni? Stimoli monetari e fiscali a parte, il ragionamento degli investitori più fiduciosi nei confronti delle obbligazioni societarie è che questa crisi ha anche 18

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Nella foto Alex Pelteshki, fixed income manager di Kames Capital

LA MOSSA DELLA FED PIACE PERCHÉ ALLONTANA I RISCHI DI MOLTI TEMIBILI DEFAULT prodotto uno spostamento globale nell’equilibrio di potere tra creditori e detentori di azioni. «Dopo anni di dividendi pagati con l’emissione di debito e di operazioni di riacquisto di azioni, i tavoli sembrano essere cambiati», spiega Pelteshki. «Le aziende sono fortemente concentrate nella raccolta di liquidità al fine di assicurare le loro operazioni aziendali qualora i mercati si dovessero riprendere, riducendo allo stesso tempo, in parte o completamente, i rendimenti per gli azionisti». La crisi sanitaria internazionale quindi avrebbe nel complesso favorito i detentori di corporate bond piuttosto che gli amanti delle azioni. E questo, secondi gli investitori, sarebbe già visibile dal rimbalzo dei prezzi dell’ultimo mese e mezzo (da inizio maggio) con le obbligazioni investment grade non legate a Paesi periferici che sono già tornate a livelli superiori a quelli precedenti la crisi. «I mercati hanno iniziato il proprio recupero quando è diventato chiaro che le Banche centrali avrebbero ripreso aggressivamente gli acquisti di titoli corporate, espandendo la lista della spesa anche ad alcune


COVERSTORY

ALCUNI DEI SETTORI PIÙ COLPITI DAL VIRUS POTREBBERO VIVERE UNA FORTE RIPRESA parti del mercato high yield: una novità, sia per la Fed che per la Bce”, spiega Francesco Castelli, head of fixed income di Banor Capital.

Valutazioni basse Ma non è solo questo il motivo della loro corsa: l’iniziale recupero del prezzo dei bond è stato alimentato, oltre che da una notevole risposta della politica monetaria, da valutazioni basse, superando di gran lunga quanto accaduto durante la crisi finanziaria del 2009. Come spiega Andrea Cattapan, responsabile ufficio studi di Consultique, questa volta gli effetti sulla finanza del crollo delle economie occidentali sono stati vicini allo zero. «Tutti i principali asset hanno fatto un buon recupero, e ora stanno risalendo anche le obbligazioni in difficoltà, come quelle del settore automobilistico, che avevano perso anche il 65% del loro valore pre Covid» afferma lo strategist. Ma qual è stato il comportamento del settore corporate nel corso della crisi? Secondo Bloomberg la correzione dai massimi per il segmento investment grade è stata del 7% per le emissioni in euro e del 16% per quelle in dollari. Il drawdown dai massimi per l’high yield è stato del 20% sia per le emissioni euro che in dollari. Queste percentuali sono amplificate per le società del settore auto, oil&gas, viaggi e turismo e trasporti con alcuni bond di questi settori crollati anche del 30-40 per cento, mentre i settori healthcare, food & beverage, utility e ovviamente tecnologia si sono dimostrati più resistenti.

Nelle foto, da sinistra Andrea Cattapan, responsabile ufficio studi di Consultique e Marija Veitmane, senior multi asset class strategist di State Street Global Markets

La forza dei fondamentali E’ vero che la ripresa dell’area del credito Usa è stata più lenta rispetto a quella dei mercati azionari, ma i rendimenti e anche le prospettive sono interessanti. I rendimenti dei bond a metà giugno (fonte Bloomberg) sono pari a 0,87% per i corporate investment grade zona euro (scadenza media 5 anni), del 2,34% per gli investment grade zona dollaro (scadenza media 8,5 anni), del 4,45% per gli high yield zona euro (scadenza media 4 anni), del 6,6% per gli high yield zona dollaro (scadenza media 3,7 anni). Confortano gli investitori in bond (soprattutto quelli denominati in dollari) anche i dati diffusi a metà giugno, secondo i quali i consumatori americani stanno spendendo il loro denaro nonostante il virus e la guerriglia urbana originata a fine maggio a Minneapolis e subito dilagata nelle principali metropoli americane. «Le vendite al dettaglio di maggio hanno subìto un forte rialzo e ci aspettiamo che lo slancio del settore persista», afferma Marija Veitmane, senior multi asset class strategist di State Street Global Markets - Con il sostegno del governo a coloro che hanno perso il lavoro o sono stati licenziati, la crisi ha avuto un impatto minimo sulla ricchezza dei consumatori, con i prezzi degli immobili e il mercato azionario che restano solidi”. Diversamente da quanto è avvenuto in Europa, i consumatori americani, invece di rimandare gli acquisti, sono passati in blocco agli acquisti online, e le vendite di automobili hanno registrato un forte balzo, dato che le persone hanno preferito spostarsi con mezzi propri e hanno abbandonato il trasporto pubblico. «Inoltre, anche se all’inizio dell’anno abbiamo visto una forte debolezza nel settore dei servizi alimentari, probabilmente anche questo comparto riporterà forti performance una volta revocate le misure di lockdown», aggiunge Veitmane. Consigli per gli acquisti Ma su quali titoli conviene puntare? Il teorema “tanto non fallisce nessuno” è errato come insegna il recente fallimento di Hertz, nome storico del mercato americano, mentre è certo che altre ristrutturazioni sono all’orizzonte. Per questo motivo il metodo di valutazione, banale ma attualissimo, degli investiluglio - agosto 2020

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tori professionali è analizzare ogni singola società, parlare con i manager per identificare con precisione chi ce la farà e chi invece non riuscirà a ripartire al fine di proteggere il capitale dei clienti. «In questo contesto ci siamo concentrati sulle aziende che hanno la capacità di resistere a una crisi di liquidità, in quanto possono raccogliere nuovo debito in caso di necessità, e che presentano un valore a lungo termine, anche in uno scenario pessimistico, in grado di coprire agevolmente il livello di indebitamento», aggiunge Rose Ouahba, head of fixed income di Carmignac. Che aggiunge: «Il panico generalizzato ci ha offerto l’opportunità di investire in situazioni specifiche dei settori particolarmente colpiti dalla crisi, come quello del leisure, delle compagnie aeree e delle automobili». Long sui ciclici Malgrado il grande recupero, sono molti gli investitori convinti che ci siano ancora buone opportunità nei settori ciclici (per esempio, auto e bancari), rimasti relativamente indietro nel movimento di recupero sia sull’azionario che sull’obbligazionario e che oggi continuano a offrire rendimenti nettamente superiori a quelli che di metà febbraio. I titoli bancari subordinati, in particolare, sarebbero molto attraenti secondo Castelli di Banor Capital. «Molti investitori temono che si ripeta il disastro bancario visto nel 2009, ma questa volta sarà molto diverso», dice lo strategist. «In primo luogo le banche si sono presentate a questa crisi con un capitale regolamentare più che doppio rispetto ai livelli del 2007, all’alba della grande crisi finanziaria. Ci saranno quindi sicuramente delle perdite, ma difficilmente potranno intaccare le riserve di un settore nettamente rinforzato». «In secondo luogo», aggiunge Castelli, «abbiamo visto con quale velocità si sono mosse le autorità regolamentari: extra-iniezioni di liquidità, abbassamento dei minimi regolamentari, sospensione della normativa Ifrs9 relativa al riconoscimento anticipato delle perdite. Insomma, tutte manovre volte a preservare la stabilità del sistema bancario». Secondo Steven Boothe, Cfa head of global investment‑grade

Nelle foto da sinistra Steven Boothe, head of global investmentgrade credit di T. Rowe Price e Jeremy Cunningham, fixed income investment director di Capital Group

credit di T. Rowe Price, molte banche globali sono fondamentalmente solide con ampi livelli di capitale. Ma investire in società bancarie al di fuori degli Stati Uniti può fornire preziosi vantaggi di diversificazione. «Per esempio, le obbligazioni emesse da banche selezionate nel Regno Unito e in Irlanda tendono a essere meno correlate con il mercato delle obbligazioni societarie statunitensi e le consideriamo davvero interessanti», dice Boothe. I fallen angel Nonostante il drammatico calo dei prezzi del petrolio, iniziato con la decisione dell’Arabia Saudita di incrementare la produzione a marzo, non è stata cancellata dagli strategist l’intera industria energetica. In quella che può sembrare un’idea contrarian, gli investitori stanno individuando opportunità in obbligazioni emesse da alcune società nel settore petrolifero di scisto degli Stati Uniti. «Per il governo degli Stati Uniti, infatti, si tratta di un settore strategico chiave, e quindi è più probabile che possa beneficiare più di altri della politica fiscale», dice Boothe. Che aggiunge: «Trovo interessanti anche le obbligazioni di alcune società energetiche intermedie, che elaborano e trasportano prodotti petroliferi». Secondo Jeremy Cunningham, fixed income investment director di Capital Group, infine, i fallen angel, cioè le obbligazioni investment grade che sono scese allo status high yield, diventeranno un tema dominante negli anni a venire. Quest’anno, e ancora nel 2021, il rating di circa 500 miliardi di dollari di obbligazioni investment grade potrebbe essere declassato ad high yield, vista la maggiore aggressività delle agenzie di rating rispetto alle crisi precedenti. «Consideriamo gli angeli caduti più un’opportunità che un rischio. Nel corso del tempo, infatt, questi titoli tendono a sovraperformare l’indice complessivo high yield», dice Cunningham. Che conclude: «Molte società che operano in settori come l’energia, l’auto, l’industria, i materiali e i consumi ciclici sono buoni candidati per tornare all’investment grade entro i prossimi cinque anni».

GLI «ANGELI CADUTI» ATTRAGGONO PERCHÉ IL GOVERNO LI AIUTA CON GENEROSI SGRAVI

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Obiettivo 2020: piena integrazione dei criteri ESG negli investimenti

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I BOND PUBBLICI

BENVENUTI AL BAZAR DEL DEBITO OCCASIONISSIME, PAGA LA BCE di Ugo Bertone

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a quanto movimento c’è all’ingresso del supermarket virtuale del Tesoro. Premono alla porta le tradizionali aste di Bot, Btp e Cct che non solo si susseguono senza sosta ogni quindici giorni ma si sono moltiplicate in diverse varianti: sono tornate in uso le aste Bot con durata flessibile, da tempo abbandonate; sono state proposte offerte in date non tradizionali, peraltro con risultati eccellenti. Aumenta pure la duration del debito e non è da escludere che prima o poi la situazione di mercato non suggerisca di lanciare qualche emissione a lunghissimo termine, quelle finora riservate all’Austria od alla Svizzera. Solo il Bel Paese assieme a pochi altri paga ancora un interesse positivo. Una delle tante follie amplificate dall’epidemia. All’interno dell’area dell’euro si prevede che sette economie su 19, non solo l’Italia, presenteranno a fine anno un rapporto debito/Pil ben al di sopra del 100%, mentre solo in sei economie questo rapporto rimarrà al di sotto dell’obiettivo del 60%.

IL TESORO VUOLE RADDOPPIARE L’AMMONTARE DEI TITOLI DI STATO NEI PORTAFOGLI DEI RISPARMIATORI ITALIANI

Dal Btp Italia a Futura E tanto per confermare che il ministero fa sul serio, ecco che pochi giorni dopo il ministro Roberto Gualtieri ha presentato Btp Futura, l’ultimo (per ora) prodotto finanziario sfornato dagli alchimisti del Tesoro, da almeno quarant’anni, dai tempi del decollo del mercato secondario dei titoli del Bel Paese facendo di necessità virtù. Non sfugge alla regola Futura: un titolo a dieci anni che prevede cedole fisse ma crescenti nel tempo. I rendimenti presenteranno un tasso cedolare fisso per i primi 4 anni, che aumenta una DAVIDE IACOBONI, DIRETTORE DEL DEBITO prima volta per i successivi 3 anni e “Raddoppiare i btp in tasca agli italiani” una seconda volta per gli ultimi 3 anni di vita del titolo. Un Ma la confusione sotto i cieli può favorire gli audaci. E così, meccanismo semplice e di sicuro successo, apprezzato perprima di giocare la carta dei titoli a 50 anni da offrire a fondi ché rappresenta una scommessa sulla crescita di un Paese pensione o assicurazioni, il Tesoro italiano ha scelto un altro schiacciato su una situazione tutt’altro che allegra: da giuobiettivo, ancor più ambizioso: raddoppiare l’ammontare gno sino alla fine del 2020 l’Italia dovrà rimborsare più di dei titoli di stato in mano ai piccoli investitori al dettaglio 190 miliardi di scadenze di debito pubblico. italiani. «Abbiamo un circolante presso il retail di circa 80 miliardi di euro ed è un valore molto basso» ,ha dichiarato Centoventidue miliardi da rimborsare in tre mesi di recente alla presentazione dell’ultimo Btp Italia Davide In particolare, nei tre mesi che corrono fra settembre e noIacoboni, responsabile del debito pubblico presso il Tesoro vembre lo Stato dovrà restituire ai propri creditori qualcosa aggiungendo che «Siamo impegnati in una politica di gestio- come 122 miliardi di euro in linea con il recente passato: dal ne del debito che possa portare ad un raddoppio di questo 2006 a marzo 2020 l’Italia ha pagato ai creditori 1.020 mivalore in pochi anni». Un’operazione che può riuscire, na- liardi di interessi. Il calcolo l’ha fatto un analista, Maurizio turalmente, solo se i “clienti”, cioè i risparmiatori, saranno Mazziero, che, pur rilevando come «non ci siano particolari soddisfatti dei prodotti, non solo in termini di rendimenti ma criticità nell’assorbire i titoli di Stato in circolazione grazie anche della varietà delle offerte in arrivo, sia dall’area di Sta- agli acquisti della Bce, l’autunno si presenta particolarmente to che delle emissioni corporate private. impegnativo in termini di scadenze». 22

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COVERSTORY “Meglio un bosco che i titoli di carta”. O no? Insomma, i numeri giustificano l’attivismo del Tesoro che approfitta della “generosità” dei banchieri centrali, pronti a tutto pur di scongiurare il collasso. Ma fino a che punto si può spingere il gioco? Non si rischia, almeno nel lungo termine di risvegliare lo spauracchio dell’inflazione con effetti nefasti per chi ha dato fiducia allo stellone? “Meglio la legna del bosco che i titoli di carta” recita lo slogan di Legal & General Jeffery, gestore, citato da Reuter, che suggerisce di investire in boschi e terreni agricoli per creare un antidoto all’inflazione che verrà dopo la lunga onda di emissioni. La preoccupazione per ora è senz’altro esagerata. Ma gli investitori non si lamentano: il prezzo dei legnami da costruzione in dieci anni è salito del 130 per cento. In realtà pur senza inseguire i boscaioli nella foresta di Sherwood, i risparmiatori possono trovare opportunità più che discrete nell’universo dei corporate bond.

Foà: un buon affare i bond bancari italiani É quel che sottolinea Alberto Foà, fondatore e presidente di AcomeA: «I bond del comparto bancario italiano rappresentano grosse occasioni di acquisto. Vale ai per i senior preferred di realtà medie che per i Tier2 delle grandi banche. È una delle posizioni su cui ancora oggi crediamo ancora fermamente, come dimostrano gli investimenti nei nostri portafogli AcomeA basati sui Pir, ma anche nei tradizionali fondi obbligazionari globali». Investire in corporate bond bancari può offrire una doppia opportunità: da un lato partecipare agli effetti del risiko bancario di qui all’autunno per quel che riguarda l’Ops di Intesa su Ubi (e gli effetti collaterali di Banca Bper ed Unipol), dall’altra cavalcare il calo dello spread, ovvero l’indice del buon stato di salute dei Btp. Un’arma a doppio taglio, se si pensa al rischio downgrade dei titoli italiani. In caso di retrocessione del rating della Repubblica Italiana infatti gli effetti si potrebbero sentire su tutte le emissioni, comprese le più solide. Generali a prova di rating Prendiamo il caso delle Generali. Il maggiore rischio per i sottoscrittori dei bond della compagnia è rappresentato proprio da un downgrade dell’Italia sotto investment grade. Anche se il portafoglio in Btp, circa 62 miliardi, è concentrato a fronte del business vita in Italia e ciò consente di sterilizzare l’eventuale effetto negativo. La forte presenza di investitori internazionali nelle varie emissioni (si arriva anche al 92%) sta a indicare che il rischio Italia non rappresenta un ostacolo agli acquisti. In grande spolvero anche le emissioni di Enel e di Eni, entrambe ben comprate dagli investitori internazionali al punto che non si può escludere in futuro l’emissione di prestiti obbligazionari con la possibilità di convertire il capitale investito in azioni in cui lo Stato abbia una partecipazione rilevante. Si può pensare anche a collocamenti di valore molto elevato, riservati a grandi banche o assicurazioni internazionali. Non va dimenticato però che le emissioni cor-

FOÀ: «OBBLIGAZIONI BANCARIE NAZIONALI BUONA OCCASIONE PER GLI INVESTITORI» porate non sono a prova di rischio come dimostrano, ultimo caso in ordine di tempo, le traversie degli obbligazionisti. Nonostante quel che continuano a pensare molti risparmiatori, dietro obbligazioni dal rendimento particolarmente allettante si nasconde il rischio default.

Alberto Foà, fondatore e presidente di AcomeA

L’Arma del pepp favorisce gli acquisti Le alternative ai titoli del Tesoro, anche a restare nei recinti made in Italy, comunque non mancano nonostante i rendimenti che lasciano a desiderare. Per strappare yield significativi occorre avventurarsi in emissioni rischiose. Il consiglio in questo caso è di operare attraverso i fondi di investimento e gli Etf, sfruttando il propellente delle Banche centrali. Così come la Fed, anche la Bce si è messa in azione attraverso il programma Pepp che prevede anche l’acquisto di corporate bond anche se, almeno per ora, solo se dotate di investment grade. A questa mossa senza precedenti hanno fatto seguito massicci afflussi verso il mercato del credito corporate europeo e americano, oltre a favorire un ulteriore restringimento degli spread su ambo le sponde dell’Atlantico. All’apparenza, insomma, un quadro solido. Troppo rassicurante per un Paese dalla finanza pubblica così fragile da non escludere nuove scene di ordinaria paura come quelle vissute in più occasioni nell’ultimo decennio. Come sottolinea Angelo Drusiani, «il futuro dei titoli di Stato italiani è infatti legato soprattutto alla politica economica e finanziaria che il nostro Paese mette in atto». Ciò che i mercati non amano è l’assenza di interventi, da parte dei vari governi che si sono succeduti negli ultimi anni, in grado di invertire la tendenza che vede il debito pubblico italiano salire di anno in anno senza interruzioni. Ma questo sogno è destinato a rimanere nel cassetto ancora per un bel po’. luglio - agosto 2020

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A SOS INVESTIRE L’INTERVISTA A MASSIMILIANO MAXIA

NELL’ERA GEOLOGICA DEI TASSI BASSI LE OBBLIGAZIONI SONO APPETIBILI di Sergio Luciano

I MERCATI CERCANO RENDIMENTI, LE BANCHE CENTRALI COMPRANO DEI PRESTITI: CI SI PUÒ FIDARE Nella foto Massimiliano Maxia, senior fixed income product specialist di Allianz Global Investors

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l tema di fondo per i mercati finanziari resta la ricerca del rendimento. I tassi di interesse sono destinati a rimanere bassi per un periodo di tempo molto prolungato, quindi le obbligazioni societarie - anche quelle di elevata qualità, quelle investment grade - offrono dei rendimenti che sono veramente bassi rispetto alle medie storiche, ma sicuramente ancora interessanti rispetto alle alternative»: Massimiliano Maxia responsabile del reddito fisso presso Allianz GI, che ne ha parlato a Sos Investire. L’importante è sempre diversificare e selezionare le scelte. I listini azionari avevano recuperato a fine maggio tutto il terreno perduto in marzo e aprile. E intanto l’economia reale peggiorava. Com’è potuto accadere? Non è la prima volta che si verifica questa divergenza tra quanto esprimono i mercati finanziari e quanto esprime l’econo24

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mia reale soprattutto in Europa e nell’area euro. Credo che vedremo sicuramente dati macroeconomici decisamente negativi fino al mese di luglio, avremo i dati relativi al secondo trimestre di quest’anno che saranno sicuramente anche peggiori rispetto a quelli del primo trimestre. Nel primo trimestre abbiamo avuto gennaio e fabbraio tutto sommato normali, la crisi è iniziata nel mese di marzo, quindi il secondo trimestre si rivelerà pessimo. E questo i mercati lo stanno già scontando. Ci aspettiamo che i dati macroeconomici possano incominciare lentamente a migliorare in corrispondenza del ritorno o della graduale riapertura delle attività produttive un pò ovunque, siamo nelle varie fasi due o tre in Europa e anche negli Stati Uniti. Peraltro in Europa i principali mercati azionari, sono ancora in territorio negativo. A questo bisogna aggiungere ovviamente anche la grande portata delle decisioni delle banche centrali, intervenute in maniera veramente importante, tempestiva, soprattutto la Fed. La Banca centrale europea, dopo qualche errore di comunicazione del mese di marzo, ha sicuramente corretto gli interventi che sono stati assolutamente molto efficaci e non ultimo quello di aumentare il piani di programmi di acquisto di altri 600 miliardi e di spostarlo fino a giugno del 2021. Questa quindi è una situazione dove c’è finalmente di nuovo abbondanza di liquidità sui mercati, e tassi di interesse destinati a rimanere bassi, e questo secondo me spiega la buona performance dei mercati azionari. Ma quanto si ci si può fidare dei bond corporate e del debito pubblico? Penso che sia un settore che possa dare ancora delle opportunità di investimento interessanti: ricordiamoci che abbiamo le Banche centrali che comprano, sia che la Banca centrale europea che la Banca centrale americana che addirittura ha in programma di acquistare i titoli obbligazionari societari al di sotto del investement grade quindi i famosi titoli high yield, dando quindi ulteriore supporto ai mercati. Ma davvero la Bce compra corporate bond privati? La Bce compra titolo obbligazionari societari ma non al di sotto


COVERSTORY dell’investement grade, comunque fornisce liquidità ai mercati e quindi di fatto riesce a controllare la volatilità che si crea nei momenti più complicati. Credo che il metodo importante sia, nello scegliere questo tipo di strumento, saper differenziare anzitutto tra i vari settori e poi a livello di singola emissione, perché credo che un fatto evidente della situazione in cui ci stiamo trovando sia che non tutti i settori industriali sono stati colpiti allo stesso modo. Il settore automobilistico, giusto per fare degli esempi, il settore dei trasporti, le compagnie aeree, in parte il settore energetico, tutto ciò che va legato al turismo, ai viaggi e sono i settori probabilmente più penalizzati, perché queste attività sono state ferme e probabilmente non avranno più le stesse dinamiche del recente passato. Altri settori hanno invece beneficiato di questa situazione: il settore tecnologico, anche con lo smartworking, il settore delle telecomunicazioni, per ovvie ragioni il settore farmaceutico, quindi credo che sia importante saper differenziare tra i settori e poi ovviamente anche a livello di singola società. E il debito pubbico? Anche qui sia importante importante differenziare.Ci sono Paesi che ancora offrono rendimenti interessanti dove quindi la domanda è altissima rispetto ad un’offerta che invece resta bassa soprattutto per quanto riguarda le recenti emissioni dei nostri Btp sono state accolte in maniera eccezionale dal mercato perchè i termini relativi, i rendimenti offerti sono più alti rispetto a quello che troviamo in altri paesi e quindi credo che sia ancora e rimarrà uno dei temi più importanti dei mercati. C’è molta curiosità attorno al Btp Futura, presentato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze e che verrà lanciato ai primi di luglio: che ne pensa? Mi sembra uno strumento interessante, un’emissione leggermente diversa rispetto a quelle che gli investitori istituzionali sono soliti seguire e sui quali poi investono, però con prospettive di rendimento assolutamente interessanti nel contesto dell’area euro dove, ripeto, ci sono Paesi che hanno rendimenti negativi lungo tutte le scadenze. Credo quindi che possa essere molto apprezzato, come del resto è stato molto di successo anche il recente Btp Italia, che verrà guardato con molta attenzione dagli investitori sia

ANCHE PER I BOND LA PAROLA D’ORDINE RESTA LA STESSA: DIVERSIFICAZIONE MASSIMA istituzionali che forse, in questo caso, retail perché credo che abbia delle caratteristiche più attraenti per quel tipo di investimento. Tornando ai corporate bond, prevede molte prossime emissioni attraenti? Credo di sì. L’abbiamo visto in queste settimane, ci sono stati giorni dove le nuove emissioni sia di titoli governativi che di corporate bond sono state molto forti, anche rispetto a quello che abbiamo registrato nello stesso periodo temporale del 2018 e nel 2019. Questo è stato l’effetto degli interventi delle Banche centrali, I tassi di interesse sono scesi, i rendimenti sono diventati più bassi e quindi questo facilita il lancio di nuove emissioni perché ne abbatte il costo per le società, che pagano meno interessi rispetto a quello che invece avrebbero potuto dover pagare in una situazione dove i tassi di interesse erano più alti. Credo che questo fattore resterà. Chi investe però deve saper scegliere bene, selezionare le giuste emissioni, capire quali società avranno ancora le migliori prospettive in termini di fondamentali, in termini di crescita degli utili e del fatturato nel corso dei prossimi mesi. Dunque la parola d’ordine è: selettività! Direi diversificazione, perché siamo in un contesto di mercato dove i rendimenti sono bassi e dove i famosi spread, quindi i differenziali di rendimento tra un settore e l’altro, tra un titolo e l’altro, sono più bassi rispetto a quelli che avevamo nel corso del recente passato, sebbene per effetto della correzione che c’è stata sui mercati di questi ultimi mesi, più alti rispetto a prima. Bisogna saper scegliere, è importante cercar di capire quello che potrebbe succedere nei prossimi mesi, il peggio forse è passato ma siamo comunque in una situazione ancora estremamente complicata, dove la volatilità ci sarà ancora, dove gli effetti negativi sull’economia reale continueremo a vederli per diversi mesi e quindi saper scegliere il giusto strumento a seconda delle circostanze di mercato è assolutamente importante, Non è semplice estrarre valore dai propri investimenti in questo quadro, bisogna essere assolutamente molto attenti a creare portafogli diversificati in maniera tale che quando ci sono delle situazioni di volatilità più elevata gli impatti, gli effetti possono essere più facilmente, più efficacemente assorbiti. Per concludere sul debito pubblico: che ne pensa delle ipotesi di mutualizzazioni che da più parti si affacciano nel dibattito internazionale? Credo che parlare di mutualizzazione del debito per il momento sia ancora abbastanza difficile e prematuro, non credo che ci siamo ancora… però già il fatto che buona parte di questi capitali che sembrano essere stati destinati all’Italia e ad altri Stati dell’Unione dal recovery fund non siano sotto forma di prestiti, credo che questo sia un passo avanti sicuramente veramente molto molto importante. luglio - agosto 2020

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FOCUS ECONOMIA REALE RETI & STRUMENTI ILLIQUIDI

Private market nei portafogli? Ok ma nell’interesse dei clienti di Marco Muffato

L’

effetto pandemia, la necessità di reperire risorse finanziarie per supportare le imprese italiane nella fase più difficile per il nostro Paese dal Dopoguerra, ha avvicinato due mondi che fino a qualche anno fa erano molto distanti: l’economia reale e il risparmio privato. Anche perché sul fronte degli investitori e degli intermediari, che ne gestiscono i risparmi, si è palesata la necessità di trovare alternative capaci di generare buoni rendimenti in periodi di tassi zero. Prendiamo il caso del Decreto Rilancio che ha dato il via ai Pir alternativi, un’ottima iniziativa per orientare il risparmio degli italiani verso l’economia reale. Secondo le stime di Intermonte la raccolta complessiva sui Pir sarà di 1,2 miliardi nel 2021 e di oltre 3 miliardi l’anno successivo. E raccolte molto significative sono attese anche per gli altri strumenti della grande famiglia dei privati market: fondi di private equity, di venture capital, Eltif… In pratica si stanno ponendo le basi per un trasferimento che riguarda non solo parte della liquidità giacente sui conti correnti ma anche delle masse attuali in risparmio gestito verso i nuovi prodotti in economia reale. Sarà un passaggio fruttuoso e con rischi accettabili per i risparmiatori italiani? A cosa dovranno fare attenzione intermediari come le reti di consulenza finanziaria nel proporli ai loro clienti? Ne parliamo con Marco Tofanelli, segretario generale di Assoreti Tofanelli, il sistema delle reti di consulenti finanziari si è messo alle spalle brillantemente l’incubo del Coronavirus: nei mesi più caldi della pandemia la raccolta netta del comparto è stata ampiamente positiva e spesso migliorativa rispetto all’eccellente 2019. Che morale si può trarre da questa esperienza? La raccolta netta positiva, ma anche l’aumento della clientela servita proprio in quel periodo, mostrano chiaramente che il riconoscimento dell’importante ruolo di protezione del risparmio assunto con responsabilità dalle nostre banche associate con i loro consulenti è andato consolidandosi sempre più negli investitori italiani: non è un caso, è l’evidenza di un’attività svolta nell’interesse del cliente, in cui tecnologia e capitale umano si fondono con sapienza ed efficienza. Ma, al di là della competenza e della professionalità dimostrate, mi piace sottolineare la vicinanza, il dialogo continuo, la disponibilità di tutti a tutti i livelli, che hanno permesso di contenere, ne sono certo, 26

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TOFANELLI, SEGRETARIO GENERALE DI ASSORETI, GUARDA CON FAVORE AL RISPARMIO PRIVATO INVESTITO NEL TESSUTO ECONOMICO molti comportamenti che sarebbero stati poco avveduti, tipici dei risparmiatori nei momenti di forte crisi e incertezza.

Marco Tofanelli, segretario generale di Assoreti

L’era digitale che è alle porte a suo giudizio esalterà il ruolo dei consulenti finanziari e delle loro società mandanti? Ne sono assolutamente certo; nelle banche reti da anni ormai, da un lato l’attenta e lungimirante digitalizzazione dei processi, lo sviluppo di piattaforme tecnologicamente avanzate, gli interfaccia intuitivi ma sempre più completi, chiari e trasparenti, sia a livello informativo che dispositivo; dall’altro lato, l’evidente e riconosciuta professionalità dei consulenti finanziari, che è andata sempre più elevando il rapporto fiduciario che li lega ai propri clienti, hanno prima realizzato e poi ben sviluppato un servizio di consulenza finanziaria evoluto, unico direi. Oggi un ricambio generazionale di qualità e l’inserimento di competenze specialistiche, insieme alla grande esperienza maturata, esalteranno, è proprio il termine appropriato, questa modalità di relazione fornendo un ulteriore, inarrivabile, vantaggio competitivo. È un modello vincente e non si improvvisa.


Negli scorsi mesi lei si è espresso a favore di un ruolo forte delle reti di consulenza finanziaria per investire e quindi sostenere l’economia reale. Può specificare meglio la sua posizione? Le imprese di consulenza agli investimenti realizzano una felice funzione di sintesi nel mercato, perché possono coniugare il perseguimento di obiettivi macroeconomici con l’esigenza, insopprimibile, normativamente inderogabile nella prestazione del servizio di consulenza, di proteggere gli investitori dal rischio di compiere operazioni inconsapevoli e inadeguate. Nel nostro sistema, l’investimento nei Fia (Fondi di investimento alternativi, ndr) e in generale nelle forme finanziarie studiate per agevolare l’afflusso del risparmio a determinate categorie di imprese, quelle imprese che costituiscono il tessuto economico italiano, viene veicolato tramite un servizio personalizzato e consulenziale che intanto consente al cliente di accedere al prodotto in quanto sia superato il test di adeguatezza; è un presupposto inderogabile e di assoluta tutela. La conversione del risparmio in investimento, in qualunque forma di investimento, attraverso qualsiasi prodotto, è quindi necessariamente assistita, curata, adeguata. Intendo dire che ogni raccomandazione che proviene da chi presta il servizio di consulenza, e le nostre imprese fanno questo, non può non tener conto degli obiettivi, della tolleranza al rischio, dell’orizzonte temporale del cliente, ossia del suo primario interesse. In questo senso vedo una utile condivisione di interessi e sono certamente favorevole alla partecipazione da parte degli italiani ad attività che prevedano l’investimento del risparmio privato nel tessuto economico del Paese, portando con sé tra l’altro, e non è poco, un tentativo di contenimento, in questo difficile periodo in cui il sostegno è necessario, della crescita vertiginosa dell’indebitamento pubblico e del susseguente correlativo impatto negativo sul risparmio stesso. Per sostenere questo nuovo ruolo delle reti a sostegno degli investimenti in economia reale servono a suo avviso nuovi strumenti finanziari? Che caratteristiche dovrebbero avere? Una premessa; sia chiaro - ed era già stato anticipato dal presidente di Assoreti,

Paolo Molesini, nel corso del nostro convegno dello scorso autunno, che tracciava, proprio nel titolo, contesto e condizioni per un servizio di consulenza di sostegno all’economia, un tema sensibile, che si sarebbe presentato a breve, e che, alla luce di quanto accaduto, è esploso -, che l’impegno e la responsabilità sono complessivi, da chi produce a chi seleziona a chi raccomanda. È fondamentale garantire la tutela del risparmiatore e riteniamo che il nostro sistema possa svolgere bene il proprio ruolo, senza tradire mai la fiducia e permettendo invece un sano stimolo, con l’ampliamento della gamma di offerta dei prodotti finanziari e il coinvolgimento di nuovi investitori. In tale contesto, nuovi strumenti, nuove piattaforme di investimento, la modifica normativa delle limitazioni agli investimenti, l’apertura verso una product governance meno paternalistica, il riconoscimento della consulenza di portafoglio, gli incentivi fiscali, sono tutte innovazioni utili e necessarie. Ripeto: la consulenza è granulare e ogni risparmiatore ha obiettivi diversi, gli strumenti non devono avere tutti le stesse caratteristiche, anzi; ma la raccomandazione deve essere fatta nell’interesse del cliente.

«IL SEMPLICE RISPETTO DELLE REGOLE ESISTENTI NON PUÒ PORTARE A RISCHI DI SISTEMA» Intanto le reti hanno iniziato a partire dallo scorso anno, ognuna con una propria strategia, a offrire una gamma di soluzioni diversificate per investire nell’economia reale: chi con fondi di private equity e venture capital, chi con Eltif e Pir di nuova generazione anche alternativi. Si tratta di prodotti inediti per il risparmio gestito che vanno metabolizzati dai consulenti finanziari e spiegati molto bene ai risparmiatori. Quali opportunità e quali rischi vede in questa nuova stagione delle vostre associate? Come ho anticipato sopra, il rispetto delle regole a tutela dell’investitore vale per tutti; fortunatamente questo settore gode di un regime di concorrenza molto accentuato, a tutto beneficio della domanda e, molte nostre imprese, ciascuna con la propria strategia, diversa poi in funzione di ogni cliente, offrono opportunità di investimento nell’economia reale a quegli investitori, che per motivi tra loro diversi, ritengano di voler investire in questi prodotti. La formazione in tema nei confronti dei consulenti – peraltro, oggetto della nostra offerta di formazione obbligatoria alle reti - è attenta e, a loro volta, la sensibilità dei consulenti finanziari nell’offrire questi prodotti li porta a svolgere un ruolo importante anche nell’educazione finanziaria del cliente. C’è un aspetto in definitiva che ci tengo ad evidenziare: le nostre imprese avvertono chiaramente di poter offrire un contributo significativo alla concreta realizzazione di obiettivi di politica economica, profondamente consapevoli però che tali obiettivi devono contemperarsi con l’interesse dei clienti, presupposto di una corretta prestazione del servizio di consulenza. Il semplice rispetto delle regole esistenti non può portare a rischi di sistema. luglio - agosto 2020

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FOCUS ECONOMIA REALE PRIVATE SEMPRE PIÙ VICINO ALLE IMPRESE

Banca Generali rilancia sugli Eltif e sui servizi di corporate finance di Marco Muffato

L’

impatto della recessione si fa sentire e anche il private banking studia nuove soluzioni per proteggere maggiormente i portafogli dei clienti, andando a valutare i vantaggi dalla decorrelazione dai rischi di volatilità dei mercati e fare da sponda alla ripresa. In questa direzione si inserisce l’iniziativa Bg4Real di Banca Generali che con investimenti e soluzioni di consulenza a supporto degli imprenditori e in generale dell’economia reale. Servizi di advisory alle imprese per il corporate finance o le operazioni straordinarie, supporto nelle analisi delle coperture dinamiche e spazio al credito in una formula all’avanguardia che avvicina il risparmio privato alle pmi. È così che nascono nella banca del Leone un nuovo fondo Fia (acronimo che sta per Fondo di investimento alternativo), Real Innovation, focalizzato sugli investimenti per la ripresa in Europa nel credito dedicato all’immobiliare e società attive in contesti attigui alla ripresa; e Real Eltif Italy, dedicato all’Italia a supporto dei crediti delle pmi e delle start up in fase avanzata di sviluppo. «Per chi come noi ha un approccio multimanager in architettura aperta e senza conflitti di interesse, la ricerca di qualità e innovazione nelle soluzioni di investimento è sempre una priorità», sottolinea Andrea Ragaini, vice direttore generale di Banca Generali, che aggiunge: «fino a oggi le soluzioni e gli incentivi per gli investimenti nelle imprese riguardava perlopiù la componente azionaria e per le realtà più strutturate il debito corporate, ma dal punto di vista degli investimenti in un periodo prolungato di tassi zero bisogna rendersi conto delle opportunità che offrono, in termini di premio di liquidità e di protezione dai rischi di volatilità, i mercati privati e gli strumenti meno liquidi». Dopo l’esperienza positiva delle due cartolarizzazioni “Italianonsiferma” per il credito alle pmi insieme a Credimi il passo successivo riguarda i cosiddetti nuovi Pir. Annunciati a metà giugno, l’Eltif è partito poco dopo mentre il Fia è in rampa di lancio nel mese di luglio. Entrambi i prodotti sono realizzati con la collaborazione della sgr 8A+ e si distinguono per le partnership nelle scelte di investimento per ciascuna asset-class. Per la componente di debito, che riguarda circa il 70% dell’asset allocation nel Fia e l’80% dell’Eltif, questa viene costruita con strategie intorno a senior secured loans e commercial mortgage back securities assegnate con managed account a gestori di grande qualità, tra cui: Muzinich, gestore americano specializzato nella gestione dei Loans, Cheyne Capital, boutique inglese da anni specializzata nella gestione del credito immobiliare e dei Commercial Morgage back securities, Ver Capital, gestore Italiano specializzato in Loans europei, Anthilia, gestore italiano specializzato in minibond e loan italiani e altri operatori di nicchia ma con forti competenze. La parte di equity verrà invece investita nel segmento delle “scale up”, cioè di quelle aziende che hanno già messo a punto il loro 28

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BUONE OPPORTUNITÀ SI PRESENTANO ANCHE IN ATTIVI MENO LIQUIDI

ANDREA RAGAINI, VICE DIRETTORE GENERALE DI BANCA GENERALI

modello di business, che sono già avviate e che necessitano di capitali per finanziare la crescita e per fare quel salto dimensionale che le porrà in condizioni di maggiore appetibilità, con conseguente incremento delle quotazioni. Questa componente verrà investita grazie ad un ecosistema dedicato che Banca Generali ha sviluppato con Fondi di venture capital internazionali, centri di Ricerca e operatori di tecnologia. I primi contribuiranno a apportare soluzioni di investimento in aziende target europee e supporteranno il processo di gestione delle partecipazioni nel corso degli anni. I centri di Ricerca, Polihub del Politecnico di Milano e CDI del Politecnico di Parigi, supporteranno invece l’analisi della opportunità di investimento e la due diligence tecnica. Le società corporate, tra cui Reply Breed, collaboreranno invece nell’individuazione delle aziende target e nelle due diligence tecniche degli stessi. La partnership con Intermonte invece aiuterà la selezione di realtà attive sul segmento Aim di Piazza Affari. Un team dedicato di Banca Generali farà infine da advisor ad 8A+ per la costruzione del portafogli Equity. «Abbiamo voluto dar vita a due prodotti innovativi per i clienti affluent e private, con l’ambizione di creare un ponte virtuoso di collegamento tra due risorse fondamentali del nostro Paese: il risparmio provato da un lato e il sistema dell’economia reale dall’altro», conclude Ragaini.


PARLA PAOLO MARTINI

Obiettivo 10 miliardi, ecco le nostre mosse

N

eppure la pandemia ha fermato il processo di democratizzazione degli investimenti in economia reale che va avanti spedito in casa Azimut. Come spiega l’ad di Azimut Holding e presidente di Libera Impresa Sgr Paolo Martini a Investire.

di Marco Muffato

L’AD DI AZIMUT HOLDING E PRESIDENTE DI LIBERA IMPRESA SGR ILLUSTRA LE SUE STRATEGIE

La Convention di Montecarlo nel gennaio del 2020 aveva dato ulteriore slancio a Libera Impresa Sgr. Dopo il lockdown ripartite? Non ci siamo mai fermati. Quanto accaduto a marzo comporta semmai un rafforzamento sulle strategie per l’economia reale in generale. La volatilità sui mercati c’è sempre stata: la raccolta Assogestioni dimostra ancora una volta purtroppo che, con riferimento all’equity, le persone hanno venduto nel momento sbagliato e comprato nel momento sbagliato. Gli investitori privati hanno venduto a marzo e aprile per paura quando il mercato era già sceso parecchio e hanno iniziato ad acquistare a maggio quando il PAOLO MARTINI mercato era già salito un bel po’. La nostra industria sa bene come avrebbe dovuto comportarsi ma nel momento di massima emotività purtroppo anche nel nostro mondo c’è chi non è riuscito a far rispettare i principi di finanza comportamentale. Gli investimenti in economia reale, per le loro caratteristiche, aiutano a gestire l’emotività e hanno offerto rendimenti superiori degli investimenti in società quotate: hanno generato ritorni annuali in media del 12% circa negli ultimi 10 anni, contro la media del 7,5% delle attività quotate. Aggiungo che è importante investire nelle imprese per aiutare il nostro Paese. Terzo aspetto, il Covid-19 ha riportato i prezzi a cifre più interessanti e contenute e quindi si può comprare meglio. Naturalmente per creare una cultura sugli investimenti in economia reale occorre tempo e noi ci stiamo lavorando da anni facendo tanta educazione sia ai consulenti finanziari sia ai clienti. Con Libera Impresa Sgr abbiamo già raccolto 1,2 miliardi e abbiamo aiutato 300 imprese, dalla fase di start up alla quotazione in borsa. Fondi di private equity, di venture capital, Pir alternativi o Eltif: con quale di questi strumenti si approccia meglio l’economia reale? Difficile dare una risposta: il mondo del private market è molto vario ed è presidiato con diversi prodotti focalizzati su varie asset class. I vantaggi fiscali previsti per esempio nei Pir alternativi fanno diventare questi ultimi dei facilitatori tattici per avvicinare il risparmio gestito a queste opportunità. Però per noi questo è un progetto strate-

gico di lungo termine che esula dal vantaggio fiscale del momento. Noi vogliamo far sì che il portafoglio della clientela, in possesso delle caratteristiche Mifid, abbia stabilmente un 10-15% di questi strumenti ben diversificati. Così da offrire la possibilità di performance importanti in un mondo a tassi zero. Qual è stata la risposta dei consulenti? Abbiamo già iniziato a raccogliere in maniera importante sui prodotti in economia reale. La risposta dei cf è quindi positiva anche perché abbiamo delle fabbriche prodotto che innovano molto e lavorano incessantemente: stiamo per lanciare il primo fondo Eltif Pir Ophelia, che investe in minoranza nel private equity, con soglia d’ingresso minima 10mila euro per la una clientela affluent. Poi “riapriremo” il nostro Azimut private debt prevedendo una soglia di 5 mila euro che è la più bassa per questo tipo di asset class, che investe in aziende che emettono per esempio minibond e che si affianca così a Demos, che è il fondo di private equity da 5mila euro di soglia d’ingresso con oltre 9000 sottoscrittori. Come sta rispondendo la clientela, che domande sta facendo? Deve essere educata e informata in modo corretto. Abbiamo 15 persone che da due anni su tutto il territorio nazionale formano ed educano i nostri consulenti e clienti al corretto uso degli strumenti di private market, scritto dei libri e registrato decine di video formativi. Gli obiettivi di Azimut libera impresa nei prossimi anni? Noi vogliamo arrivare ad avere 10 miliardi asset complessivi sugli alternativi tra Italia ed estero nei prossimi 5 anni con clientela privata e istituzionale grazie a una fabbrica prodotto in linea col nostro dna e attraverso accordi con partner qualificati come ad esempio P101, Gellify, Electa Ventures, Hamilton Lane e altri che verranno. Abbiamo poi fatto operazioni interessanti nel corporate finance tramite Azimut Enterprises che ha seguito, ad esempio, come advisor l’operazione di direct lending per il supporto al gruppo ParkinGO e ABC Morini nell’operazione che ha portato la società a entrare nel gruppo Margot. Adesso tutti parlano di questi temi, noi ci lavoriamo da 5 anni. luglio - agosto 2020

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FOCUS ECONOMIA REALE NUOVI PROTAGONISTI

Chilelli (Ecra): «Il nostro obiettivo? Promuovere asset privati e illiquidi» di Marco Muffato

EURIZON CAPITAL REAL ASSET HA INIZIATO L’ATTIVITÀ A FEBBRAIO. IN ARRIVO UN PIR

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dicembre 2019 è nata Eurizon Capital Real Asset Sgr (Ecra), una piattaforma dedicata agli investimenti nei mercati privati che completa la strategia sull’economia reale di Eurizon Capital (Ecra è partecipata al 51% da Eurizon Capital sgr e al 49% da Intesa Sanpaolo Vita). Di programmi e obiettivi della newco parliamo con Silvana Chilelli, ad di Ecra.

Eurizon Capital Real Asset ha iniziato la sua attività a febbraio, quali sono i suoi programmi per questo 2020 del Covid? Questo è un anno particolare che ha richiesto di adeguare i programmi al contesto che viviamo. Continuiamo a implementare i mandati di investimento per i nostri principali clienti: compagnie assicurative e fondi pensione. Il contesto di mercato ha richiesto di intensificare le attività di monitoraggio del portafoglio per comprendere l’impatto della crisi sul portafoglio. Per quanto serva ancora tempo per esaminare gli impatti, emergono chiaramente due elementi: i private market sono un elemento essenziale di diversificazione nell’ambito di un’asset allocation strategica. Secondo, le crisi violente impattano anche i private market ma è confermata la minore volatilità rispetto ai public market. Com’è organizzata la società, in quanti team? La società impiega circa 15 risorse e utilizza in outsourcing le funzioni di supporto di Eurizon Capital in particolare in ambito commerciale e infrastruttura di supporto. Il team di investimento è composto da circa 10 risorse con esperienza significativa sia nella selezione di manager nel settore alternativi, sia nella comprensione delle dinamiche afferenti agli asset sottostanti, ossia gli investimenti finali. Abbiamo per esempio colleghi che hanno lavorato nel credito alle imprese, nell’immobiliare o nel project financing infrastrutturale. Per capire come siamo organizzati ricordiamo che l’iniziativa è una partnership tra la divisione Asset Management e la divisione Insurance. Eurizon Capital fornisce la propria esperienza di leadership nell’asset management italiano: la distribuzione dei prodotti e servizi alla clientela, la piattaforma operativa e la struttura dei controlli di risk management e compliance. Intesa Sanpaolo Vita fornisce la propria esperienza 30

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di investitore e ha conferito alla nuova società il proSILVANA CHILELLI prio team di investimento dedicato ai private market. Quali novità per la gamma d’offerta? Da chi saranno distribuite e ad a quale clientela? Abbiamo visto con favore l’introduzione dei Pir alternativi, sono un grande sforzo per stimolare l’economia reale italiana dando supporto concreto alle imprese. Noi stiamo lavorando alla costituzione di un Pir ben diversificato dedicato in primis a clienti private ma che può essere un valido strumento anche per gl investitori istituzionali che vogliano approcciare e supportare in modo diversificato l’investimento nell’economia reale italiana. Come sarà ripartita l’attività tra clienti istituzionali e privati? I mandati istituzionali rimarranno la componente prevalente, ma abbiamo costituito una piattaforma unica di accesso ai private market che verrà messa a disposizione anche dei clienti privati. I clienti privati beneficeranno della diversificazione e dell’accesso a opportunità di investimento uniche. In quanto agli strumenti specifici offerti ai clienti, gestiremo sia di mandati di gestione sia fondi dedicati ai private market. Che obiettivi di redditività si pone la società? Vogliamo essere il punto di riferimento per assicurazioni, fondi pensione, clienti istituzionali in genere e private client; vogliamo promuovere la cultura dei mercati privati e illiquidi in Italia. Il raggiungimento di questi obiettivi potrà favorire una crescita significativa delle nostre masse in partnership con i nostri clienti. In Italia mancava una piattaforma di investimento in fondi di private market e crediamo che Ecra rappresenti la risposta al crescente interesse verso questi mercati da parte degli investitori che spesso hanno una limitata conoscenza delle dinamiche specifiche e delle modalità di selezione di gestori, mercati e strumenti. In questo contesto Ecra si pone con le sue competenze come il gestore capace di supportare l’investitore nella definizione degli obiettivi di investimento, la costruzione del portafoglio in fondi e la gestione e monitoraggio del suo portafoglio.


INVESTIMENTI ALTERNATIVI

«Con private equity e real asset un fondo su misura di alta gamma» di Sergio Luciano

«N

on mi invento nulla, non sono uno stregone, rifaccio – migliorandole – cose che ho già fatto. Ma migliorandole molto»: Francesco Libutti ha l’understatement di chi è abituato al successo e nell’alta finanza ci è nato. È titolare di una delle più grandi agenzie di assicurazioni in Italia e da 4 anni presiede un fondo di previdenza italiano - il Fonage, che da quasi 50 anni cura gli interessi previdenziali di 24 mila iscritti, con una storia positiva di quasi 50 anni. Ma ora, sulla scorta di questo know-how, Libutti vuol far di più: «Abbiamo lanciato Lib Capital, una società di servizi con sede nel Gran Ducato di Lussemburgo che si occupa di trovare soluzioni d’investimento per la clientela privata di elevato standing», spiega: «Lib Capital ha stretto una partnership con Fondaco Lux, società incorporata nel 2008 nel Gran Ducato di Lussemburgo, che fornisce soluzioni d’investimento dedicate a investitori istituzionali attraverso una infrastruttura efficiente e flessibile». Lib Capital ha creato Lib Capital Alternative Fund, un nuovo fondo d’investimento “alternativo”, di diritto lussemburghese, che concentrerà i suoi investimenti su fondi di private market europei, con una consistente esposizione a real asset e private equity, e con un rendimento obiettivo del 10% di Irr (tasso interno di rendimento) su un orizzonte temporale di 10 anni. «È un abito su misura per l’investitore privato», aggiunge Libutti, «con una soglia di accesso che manterremo volutamente alta, almeno 2 milioni, e un target di raccolta di 200 milioni nel primo anno e mezzo di vita, contiamo di raggiungerlo entro il primo trimestre del 2022. Inutile dire che il nostro target di clientela è contraddistinto da un alto livello economico-finanziario, con un profilo di rischio medio-alto, coerente con il target di rendimento che ci diamo. Ah, e un’altra cosa: cercheremo investimenti in attività sostenibili, andremo a cercare le aziende di valore che rispettino quella caratteristica, la clientela che avremo sarà spesso socialmente in vista, a volte anche mediaticamente esposta, e questa clientela oggi chiede iniziative sostenibili». Quel che distingue l’iniziativa e la impone nel panorama degli investimenti alternativi è il team. Gestore sarà Marco Guglielmi, un professionista con 25 anni di esperienza, sia di public market che di private marke; Fondaco avrò il ruolo di partner-advisor; e Andrea Iervolino, l’imprenditore italo-canadese della Iervolino Entertainment, produttore cinematografico di fama mondiale,

FRANCESCO LIBUTTI, CON ANDREA IERVOLINO, LANCIA «LIB CAPITAL» OBIETTIVO: 200 MILIONI

Francesco Libutti, fondatore di Lib Capital, che opererà in partnership con Fondaco e con la gestione di Marco Guglielmi

che attraverso questa iniziativa intende estendere la sua attività imprenditoriale al risparmio gestito. «Fondaco ha gli skills per fare tutte le due diligence di cui il Fondo avrà bisogno», prosegue Libutti, «E la mia idea è sempre stata quella di prendere in squadra chi avesse capacità gestionale diretta, ed è Guglielmi; alle sue competenze affiancheremo le straordinarie relazioni internazionali di Iervolino; e io, da 20 anni nel mondo assicurativo e finanziario». Per “investimenti alternativi” Libutti intende investimenti illiquidi, prevalentemente non quotati in Borsa oppure anche quotati ma dalle caratteristiche economiche attraenti sul lungo periodo, non sul breve. «Per esempio anche in altri fondi, che siano concentrati su tecnologie alternative… spesso con investimenti di lunghissimo periodo… dai sette anni in su. Ed anche non immediatamente liquidi… Un esempio illuminante: qualche anno fa abbiamo investito in Quercus, avendo fatto la scelta di un fondo illiquido di lungo periodo, scelto attraverso una due diligence fatta da Fondaco; il tutto ha portato a risultati a due cifre in un periodo in cui la Borsa non è andata affatto bene». Già oggi, per cominciare, Lib Capital sta valutando come target alcune start-up che investono in nuove tecnologie, ed altri investimenti che hanno a che fare con il green. Un fondo che farà senz’altro parlare di sé. E bene, naturalmente. luglio - agosto 2020

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RISIKO BANCARIO AGGREGAZIONI POST-COVID

Il vento delle fusioni riprende forza nella tempesta dei conti economici di Gloria Valdonio

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differenza della crisi del 2008 le banche non sono salite sul banco degli imputati nel processo sulle cause della recessione economica seguita al Covid-19. Anzi: con la pandemia, che ha attaccato ampi strati del settore produttivo, le banche sono state chiamate dai governi ad assicurare che i rubinetti del credito restassero aperti per imprese e famiglie. «In questa difficile missione si cela l’opportunità per il settore di farsi percepire come “parte della soluzione” e mandare in soffitta il ricordo del banchiere spericolato, salvato nel momento del bisogno dai contribuenti», è il commento di Filippo Alloatti, senior credit analyst di Federated di Hermes. Ciononostante nei mercati sviluppati, tra i titoli azionari meno favoriti nel post pandemia ci sono proprio quelli del settore bancario, soprattutto europeo. E non da oggi. Dal dicembre 2007 le banche incluse nell’indice Stoxx Europe 600 hanno sottoperformato ben del 120% su base total return. «È indubbio che il Coronavirus avrà un effetto disruptive e che il lockdown ribalterà come un calzino l’intero settore bancario, che però stava già mutando per conto suo», conferma Kristjan Mee, strategist, research and analytics di Schroders. E non poteva essere altrimenti, perché le banche sono in prima linea nella rivoluzione digitale impressa al mondo e che sembra ormai impossibile da contenere. Forse è prematuro dire come muterà il settore, ma ci si può avventurare nella formulazione di alcune ipotesi.

IL SETTORE BANCARIO SUBIRÀ PROFONDE TRASFORMAZIONI. GIÀ DAL 2021 I NODI AL PETTINE

Nella foto Filippo Alloatti, senior credit analyst di Federateds di Hermes.

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Nord e sud Europa È stato affermato come il virus sia “democratico” perché non fa differenza tra i potenziali contagiati. Lo stesso si può dire per il suo effetto sui diversi mercati bancari. L’Europa intera, per esempio, è stata colpita con diverse incidenze. Come spiega Alloatti, taluni sistemi bancari presentavano criticità già evidenti (si pensi alla zavorra di crediti inesigibili nell’Europa del Sud), o margini quasi inesistenti sul mercato dei prestiti alle imprese (Germania), o alla crescita anemica dei portafogli prestiti, ancorché sostenuta dalla liquidità delle ripetute aste T-Ltro. «In ogni caso il minimo comune denominatore per le banche della zona euro è la scarsa redditività, un fattore di debolezza che potrebbe cambiare solo quando l’economia uscirà dalla dura recessione di quest’anno», afferma Alloatti. Ma per il momento, e a seguito del lockdown, è opinione comune che il rischio di credito aumenterà. E che probabilmente si interromperà il ciclo virtuoso di riduzione dei crediti inesigibili nonostante le politiche delle autorità fiscali e monetarie che - per dimensioni - sono senza precedenti. Ma questo non avverrà subito. Come spiega ancora Alloatti, a livello dei singoli Stati, chi ha i conti in ordine (per esempio, Germania e Olanda) si può permettere interventi “cash” di notevole importo (si pensi ai 100 miliardi di euro stanziati dal governo tedesco per entrare nel capitale delle imprese in difficoltà). Chi invece non può permetterselo (vedi i Paesi del Mediterraneo) si limita a stanziare garanzie di Stato. «Il recente esercizio dell’Eba (chiuso il 25 maggio) sulle potenziali perdite da Covid non tiene conto dei pacchetti di misure di cui sopra, e certamente le perdite non le vedremo a breve. Se nel 2009 le banche europee ebbero 173 basis point di accantonamenti per perdite sul credito, nel 2020 si supererà forse la soglia dei 200 bp, ma non si andrà oltre solo perché una parte delle perdite sarà riportata al 2021», è il parere di Alliotti. Nuovo paradigma È nel 2021 quindi che emergeranno le fragilità del sistema le cui cause risalgono a un’epoca pre-Covid. Le cause sono quelle note: struttura dei tassi di interesse, alti costi fissi, inevitabile sposta-

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DUE NEMICI DELLE BANCHE: STRUTTURA DEI TASSI D’INTERESSE E COSTI FISSI mento dell’attività bancaria verso canali digitali con conseguente superamento del ruolo dell’agenzia e nuovi costi. La soluzione è altrettanto nota: le fusioni, che non sono una panacea, ma che rappresentano uno strumento in più nella cassetta degli attrezzi del management per far fronte alla tempesta che si è già abbattuta sul conto economico. «Una compressione ulteriore dei margini di intermediazione e una concorrenza spinta sulle commissioni resteranno elementi caratterizzanti del paesaggio bancario negli anni a venire», dice Alliotti. «Ben venga quindi il consolidamento, domestico in primis. Seguito magari da operazioni transfrontaliere che però necessitano del completamento dell’architettura dell’unione bancaria per arrivare all’assicurazione paneuropea sui depositi e alla fungibilità dei flussi finanziari tra diversi Paesi membri della Ue».

L’ombrello della Bce Per il momento la protezione della Bce è una manna per il settore. Inoltre il sistema bancario europeo è molto più sicuro oggi rispetto a prima della crisi finanziaria globale perché l’adozione di regole più stringenti ha portato a un aumento significativo dei buffer di capitale delle banche. Nonostante le incertezze, ci sono alcuni risvolti positivi emersi durante la crisi: i governi europei hanno adottato schemi di garanzie sui prestiti, la Commissione

KRISTJAN MEE, STATEGIST DI SCHRODERS

europea ha proposto un alleggerimento temporaneo dei requisiti di capitale e la Bce ha annunciato che fornirà fino all’1% sui prestiti alle banche se concederanno un numero sufficiente di nuovi prestiti. Il risultato di queste misure di supporto è che le banche hanno mantenuto i rubinetti aperti, anche se in tempi incerti avrebbero tagliato l’erogazione di credito. Solo a marzo i nuovi prestiti alle aziende nell’area euro sono stati pari a 115 miliardi di dollari, un aumento senza precedenti. Sebbene in gran parte si tratti di prestiti a

Banche, le economie di scala per classe dimensionale negli ultimi 12 anni

1,2

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classe 1 (>12 mld)

classe 2 (4-12mld)

classe 4 (0,5-1,5 mld)

classe 5 (<0,5 mld)

2014-2017 classe 3 (1,5-4 mld)

(Il valore medio dell’indicatore RSE per classe dimensionale di banca o per sottoperiodo. Un valore di RSE minore di 1 indica che i costi crescono proporzionalmente meno del prodotto (economie di scala), mentre un valore maggiore di 1 indica che i costi crescono più che proporzionalmente (diseconomie di scala). Il campione di banche esclude i gruppi bancari Unicredit e Intesa Sanpaolo e le filiali di banche estere. Le classi dimensionali sono identificate dai seguenti percentuali della distribuzione degli attivi delle banche: 95, 90, 75 e 50. I valori medi di RSE sono stimati in 3 sottoperiodi. Il primo termina con l’inizio della recessione che ha colpito l’Italia dopo la crisi finanziaria globale; il secondo comprende la crisi dei debiti sovrani; il terzo è caratterizzato da un miglioramento della situazione economica e patrimoniale delle banche e dalla ripresa dell’attività economica.

FONTE_ SEGNALAZIONI DI VIGILANZA

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RISIKO BANCARIO breve scadenza, anche quelli a cinque anni o più hanno visto una crescita record. Se le banche saranno in grado di mantenere invariata la qualità dei prestiti, erogando denaro invece di pagare interessi alla Bce per i depositi, gli effetti sulla profittabilità dovrebbero essere positivi. Nonostante ciò, come spiega Kristjan Mee, persistono due problemi strutturali: un’ampia mole di non-performing loan nei Paesi del sud Europa e la bassa profittabilità. Quest’ultimo punto è evidenziato dai livelli relativamente bassi del reddito netto da interessi e della redditività del capitale proprio (Roe) delle banche dell’area euro rispetto agli Stati Uniti.

Consolidamento Sulla necessità di un consolidamento del settore si è espressa anche la Banca d’Italia nella sua relazione annuale che contiene un’analisi su un campione di banche italiane nel periodo 20062017, che dimostra che i costi marginali della produzione e della distribuzione di servizi altamente standardizzati per i quali è rilevante l’impiego delle nuove tecnologie – come i servizi di pagamento e i depositi – diminuiscono al crescere dei volumi. Le economie di scala invece sarebbero molto contenute per le attività di erogazione dei prestiti e di gestione del risparmio, per le quali finora l’impiego delle nuove tecnologie è stato più limitato. L’analisi indica inoltre l’esistenza di rilevanti economie di scala per gran parte delle banche di piccola e media dimensione, mentre per le banche di maggiori dimensioni non vi sarebbero in media evidenti risparmi di costo all’aumentare della scala operativa. In particolare l’esistenza di economie di scala dipenderebbe dall’effetto sui costi, sia della gestione della rete distributiva, sia dell’utilizzo dell’innovazione tecnologica: la dimensione oltre la quale si esaurirebbero i rendimenti di scala crescenti è più bassa per gli intermediari la cui attività è concentrata in segmenti a ridotto impiego tecnologico e che operano prevalentemente attraverso la rete degli sportelli; risulta invece più elevata per quelli con una maggiore diversificazione dell’offerta di servizi e con un numero di sportelli limitato. Secondo Mauro Vicini, responsabile operativo di The Intermonte Eye (T.I.E.), è evidente

che il sistema bancario italiano ha un problema dimensionale. «la proposta di fusione tra Intesa e Ubi fa ripartire finalmente il risiko bancario», dice Vicini, «e ci aspettiamo che possa proseguire su banche di dimensioni minori». Secondo lo strategist sarebbe auspicabile, per svecchiare il sistema, far crescere le banche più piccole attraverso fusioni, magari anche trasversali a livello europeo individuando valore in alcune realtà in difficoltà, ma da salvare, come per esempio in Monte dei Paschi. Ma siamo sicuri che un’aggregazione sia di per sé un rafforzamento? «Una certa esplosione di sofferenze è da mettere in conto», afferma Vicini. «Ma le banche italiane sono molto più solide oggi di quanto lo fossero dieci anni fa. E poi c’è l’Europa, che ha rimosso lo spettro del credit crunch, perché ha capito che non bisogna lasciare le banche senza liquidità».

SE IL PROSSIMO ANNO IL SISTEMA ANDRÀ IN CRISI POSSIBILE UNA BAD BANK EUROPEA

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Sopra, a sinistra Mauro Vicini, responsabile operativo di The Intermonte Eye (T.I.E.) e a destra Vittorio Fontanesi, responsabile mercati obbligazionari di Acomea Sgr

Bad bank europea Secondo Vittorio Fontanesi, portfolio manager mercati obbligazionari di AcomeA Sgr, in Italia ci sono banche che hanno ottimi margini di capitale, come Intesa e Unicredit, e ci sono banche che hanno un’esposizione molto elevata a settori colpiti dalla crisi, come il real estate commerciale e i servizi ristorativi, per i quali bisognerà prima o poi contare i danni. «Non crediamo in ogni caso che il loro capitale scenderà sotto il buffer necessario e che sarà possibile un intervento statale», dice Fontanesi. Ma potrà bastare il nuovo rigore patrimoniale per scongiurare una crisi nel 2021? Se alcune banche dovessero andare in sofferenza nei prossimi mesi sono parecchi gli osservatori che ritengono probabile la costituzione di una “bad bank” europea che andrebbe a raccogliere i crediti deteriorati (e anche i derivati) delle banche che ne hanno necessità (inclusa Deutsche Bank). Nel frattempo questa crisi porterà quasi sicuramente a un consolidamento del settore aprendo la stagione dell’m&a bancario. Si tratta, come detto, di una partita europea e banche estere potrebbero segnare il fischio di inizio. Anche se, come spiega Fontanesi, «Le nostre banche in questo momento hanno maggiori possibilità di contrastare offerte estere rispetto al 2011».



RISIKO BANCARIO PARLA ANNAMARIA GIUSEPPINA TARANTOLA

«Il rapporto banca-impresa migliorerà con più servizi e tanta sostenibilità» di Annalisa Caccavale

PER L’EX VICE DG DI BANKITALIA LA FINANZA SOSTENIBILE GIOVERÀ ALLA RELAZIONE TRA CREDITO E PMI

«L

e banche possono fare molto per supportare l’economia reale in questo contesto. Teniamo presente il contesto: le banche sono chiamate a gestire la ripartenza nel periodo post pandemia, a continuare il processo verso la trasformazione digitale, a sostenere l’economia reale pur in presenza di un indubbio aumento dei crediti deteriorati dovuto alla crisi economica innestata dalla crisi sanitaria e a essere sostenibili»: così Annamaria Giuseppina Tarantola, già vicedirettore generale della Banca d’Italia e oggi presidente della Centesimus Annus Pro Pontefice, illustra a Investire la sua visione sulla finanza (e sul credito) sostenibili, premesse per una nuova stagione di investimenti che siano non solo etici ma anche vicini all’economia reale.

Presidente, la finanza sostenibile non è più un’opzione? No, non è più un’opzione. Conciliare tecnologia, sostenibilità ed efficienza è un bel rompicapo, che va però affrontato e risolto per accompagnare la transizione verso un nuovo modo di fare banca e un rapporto banca-impresa migliore e più soddisfacente per tutti. Bisogna trovare e realizzare, in tempi rapidi, progetti che diano un risultato economico e nello stesso tempo costruiscano un futuro sostenibile per le banche e per le imprese. Ci vogliono immaginazione, competenze, investimenti, anche rilevanti, coraggio e una regia forte che coordini tutte le azioni in un progetto unitario. E sul rapporto banca-impresa che futuro vede? Un’evoluzione verso un mix intelligente di erogazione del credito e di consulenza. Le banche possono guidare le imprese, soprattutto le Pmi, verso un’idonea diversificazione delle varie forme di finanziamento in modo da renderle più resilienti alle 36

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Nella foto Annamaria Giuseppina Tarantola, già vice direttore generale di Bankitalia e presidente della Centesimus Annus Pro Ponteficie

crisi, non solo finanziarie. La finanza sostenibile deve aiutare le imprese con strumenti appropriati alle loro esigenze. Alcune banche già hanno questa capacità di combinare nel modo più opportuno erogazione e consulenza. È una capacità che richiede conoscenza della situazione delle imprese, delle loro strategie e dei mercati in cui operano, della qualità del loro management. È una capacità che richiede anche un orientamento di lungo periodo, per saper discernere le situazioni di difficoltà momentanee, ma superabili, da quelle strutturali e individuare le soluzioni più idonee anche nell’ottica di ridurre l’impatto negativo delle crisi aziendali sugli stakeholder e sulle comunità. Compito certamente non facile che richiede un dialogo aperto, continuo e trasparente tra le banche e le imprese. Le imprese però si lamentano delle banche… Le imprese oggi lamentano la mancanza di dialogo e il fatto che spesso le banche decidono sulla base di algoritmi che non sempre colgono la situazione vera dell’impresa. Con lo sviluppo del fintech questa situazione potrà diventare la normalità. L’attività di consulenza ben condotta può essere il mezzo per mante-


nere il legame di relazione con l’impresa. L’impresa deve essere aperta e trasparente verso la banca, la banca deve fornire una consulenza ben fatta da parte di specialisti che non si improvvisano ma che richiedono formazione, professionalità, esperienza. Professionisti capaci di leggere i dati aziendali e di tornare a fare visite alle aziende. Ci vuole anche un forte committment dall’alto e massima correttezza, per saper guidare l’impresa verso le decisioni più proprie alle sue necessità. La consulenza va remunerata. Cosa devono fare di più e di diverso le banche per entrare sempre più in sintonia con chi necessita del loro aiuto? Non è semplice rispondere a questa domanda. Il dialogo e la reciproca conoscenza sono elementi imprescindibili. La fiducia reciproca è fondamentale. Questa fiducia è in parte venuta meno. La ricostruzione richiede tempo. Le imprese lamentano che le banche danno credito a chi non ne ha bisogno, richiedono garanzie eccessive, decidono in tempi troppo lunghi. Le banche eccepiscono la non piena trasparenza delle imprese, l’eccessivo indebitamento, la complessità e talora farraginosità della regolamentazione. Anche le banche sono imprese; sono imprese particolari che nell’erogazione del credito usano i mezzi finanziari dei depositanti, devono essere attente a dare credito a chi è in grado di restituirlo in linea capitale interessi entro le scadenze pattuite. La tutela del depositante e la particolare posizione che ricoprono per la trasmissione degli impulsi di politica monetaria hanno portato ad assoggettarle ad una incisiva regolamentazione. L’impresa non può pretendere che la banca la finanzi sempre, rapidamente e senza valutazione, ma nello stesso tempo ha bisogno del sostegno finanziario per produrre e investire. È una questione complessa. La banca deve essere efficiente nella valutazione del merito di credito ma anche capace di cogliere gli aspetti essenziali della situazione dell’azienda, capire le sue vere esigenze e le sue potenzialità di sviluppo. L’impresa deve accettare di essere valutata e capire che in certi casi è utile il ricorso a fonti di finanziamento alternative: per esempio minibond ed equity crowdfunding. È una utile una collaborazione delle banche con il mondo del private equity. In un mondo sempre più complesso non ci sono soluzioni semplici. La tecnologia è certamente un fattore che aumenta la produttività , riduce i tempi, accresce la flessibilità, però interrompe la relazione fisica che è molto importante. Banche e imprese sono chiamate a cambiare il loro modello di business, a essere digitali , efficienti, sostenibili e resilienti. Una sfida non da poco. Credo che sia necessaria una grande collaborazione, trasparenza e senso di responsabilità da entrambe le parti per cogliere tutto ciò che di positivo viene dalla tecnologia e mantenere le “buone regole” del dialogo e della reciproco conoscenza. Crede nella vasta applicazione dei principi Esg in finanza? Molte ricerche mostrano che c’è un crescente interesse da parte degli investitori istituzionali per i titoli emessi da aziende che adottano i criteri Esg. Nel 2019 sono stati lanciati 500 fondi Esg. Molti asset manager hanno affermato che investiranno prioritariamente, se non esclusivamente, in aziende che adottano i criteri Esg, uno per tutti il ceo di BlackRock, Lawrence D. Fink , ha dichiarato in una sua intervista del 2019 che non investiranno più in società che non siano sostenibili. Il volume pur in crescita è

«LE BANCHE CHE SI PRENDONO CURA DEI DIPENDENTI SONO PREMIATE DAI MERCATI» ancora modesto rispetto ai volumi totali dell’asset management. La preferenza per le società sostenibili è una scelta etica? Non so, è certamente una scelta economica perché le aziende che seguono i criteri Esg si sono dimostrate più resilienti durante la pandemia, sono meno rischiose nel medio-lungo periodo, i loro prodotti sono preferiti dai consumatori. Quindi investire in aziende sostenibili conviene. La ripartenza dopo la pandemia, la rigenerazione come ci indica Papa Francesco, deve fare i conti con l’uso diffuso della tecnologia , con il recupero di produttività ma anche con i cambiamenti climatici e con la solidarietà per generare una società migliore di prima capace di produrre una economia equa, solidale e sostenibile per tutti, nessuno escluso e una sana occupazione, rispettosa della dignità dei lavoratori. È quindi fondamentale investire in aziende Esg perché l’economia sostenibile ha bisogno di essere finanziata. Ci sono però problemi nella individuazione dell’economia sostenibile che sono stati messi bene in luce da un articolo dell’Economist di qualche settimana fa, questioni che vanno risolte con urgenza se vogliamo veramente cambiare le cose. L’Economist sostiene che il mondo del “sostenibile “ è caratterizzato da pensiero nebuloso, marketing non veritiero, dati cattivi o gonfiati. In questi giorni il Parlamento Europeo ha approvato la Regolamentazione della Tassonomia che è fondamentale per definire cosa è sostenibile e cosa no. È un punto di partenza importante per guidare gli investimenti in progetti verdi e sostenibili. Resta però aperto il problema della misurazione e della bontà dei dati per una corretta analisi dei rischi e per poter quindi stimare il giusto prezzo. Quanto questo incida nella asset allocation è ancora da analizzare in modo approfondito: dati certi ed affidabili non ci sono. Quanto inciderà il fattore umano nel post-Covid-19? Le risorse umane si sono dimostrate fondamentali nel periodo della emergenza sanitaria. Lo saranno anche nel post pandemia a condizione che la loro gestione sia orientata alla “cura” del corpo aziendale. Gli imprenditori illuminati lo sanno bene. Come ho detto il post pandemia sarà caratterizzato da ampio ricorso alla tecnologia, esigenza di recupero di produttività, sostenibilità. I criteri Esg sono la guida. Le società che hanno una elevata performance del fattore S, la Social consideration, che sono quelle che si prendono cura dei dipendenti - sono state premiate dai mercati. Saranno necessarie figure professionali nuove. Grande lavoro di educazione e formazione per creare competenze digitali e nello stesso tempo persone capaci di fare progetti di economia circolare, sostenibile, capaci di risolvere problemi complessi e imprevedibili, con una pluralità di competenze e punti di vista. Persone capaci di saper imparare guardando gli altri. Importante fare esperienza, vivere in relazione con gli altri, far fare esperienza. Nella ripartenza c’è rischio di insofferenza verso la pretesa delle donne di avere le stesse chance degli uomini dopo che si sono sobbarcate le fatiche dell’emergenza. luglio - agosto 2020

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RISIKO BANCARIO INTERVISTA A ROBERTO NICASTRO

«Per affermarsi nei servizi bancari il primo requisito è la tecnologia» di Sergio Luciano

FATTORE CHIAVE DI SUCCESSO SARANNO LE ECONOMIE DI SCOPO PIÙ CHE DI SCALA

L’

industria del credito deve riscrivere il vecchio “articolo quinto, chi ha i soldi ha vinto”, caro ai trader di Borsa. Oggi vince chi ha la tecnologia. Ma soprattutto vince chi ha quella nuova, senza avere anche la zavorra della tecnologia vecchia. Con la barca leggera e i sistemi di ultima generazione, una nuova banca può partire per un nuovo mondo, senza i retaggi asfissianti degli enormi investimenti fissi del passato. Lo spiega bene Roberto Nicastro, una carriera eccezionale all’attivo, fino alla direzione generale di Unicredit, oggi advisor in Europa del fondo Cerberus, vicepresidente di Ubi, presidente di Officine Cst e socio promotore di una nuovissima banca fintech, per la quale ha raccolto un club deal da 45 milioni di euro. Allora Nicastro: come si chiama la sua nuova sfida e perché dovrebbe risultare vincente? Posso svelarle solo il “nickname” dell’iniziativa, Progetto Banca Idea, ma il marchio non rimarrà questo. Crediamo nella mission che ci siamo dati e nelle risorse di partenza. La mission è servire le piccole e piccolissime imprese, dalle partite Iva individuali alle aziende che fatturano entro i 10 milioni. E le risorse: quelle tipiche delle fintech. Architettura informativa nuova, realizzata a prato verde; competenze digitali “native”; organizzazione “agile”, in team e non per silos. Ma come si inserirà questo progetto in quel che resterà dell’industria del credito? Sarà una delle venti banche mondiali che sopravvivranno da qui a 20 anni? Ho capito, lei in realtà mi sta chiedendo: il futuro sarà delle banche o delle fintech? Perché a tutti piace declinare la realtà su formule univoche… Ma io non la penso così: è un errore di impostazione. Se vuole il mio pensiero sul futuro del settore, le dirò che sarà scritto dal pluralismo tecnologico. Ci sono più modelli che possono funzionare, con alcune chiavi di lettura alla base. Il fattore-chiave saranno le economie di scopo, non quelle di scala. Economie di scopo tendono a vincere perché sono specializzate, sanno competere in contesti diversi. Certo, più sei grande più puoi permet38

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Nella foto Roberto Nicastro, presidente di Officine Cst, vice presidente di Ubi, già dg di Unicredit

terti di acquisire talenti e piattaforme, ma spesso devi anche scontrarti con tanta complessità e burocrazia. Quindi un’arena competitiva a grande biodiversità: banche, fintech ma anche colossi internet già operativi nei servizi finanziari tipo Amazon o Apple. Il nostro progetto vuole coniugare un Dna nativamente fintech e digitale con la caratteristica di soggetto regolato e vigilato da Banca d’Italia, serio, affidabile per la clientela. Dunque un futuro polimorfo, di giganti economici e veloci pasdaran tecnologici? Sì, e i giganti non avranno vita facile, se non sapranno darsi una strategia tecnologica chiara e insisteranno sulla tuttologia. Cosa dovrebbero fare, a suo avviso? Oggi una grande banca di successo deve essere soprattutto un entry-point per il cliente. Ci entra e trova tutto, ma lo trova da molti fornitori diversi, garantiti dal rapporto fiduciario con la banca che li coordina. Ora è chiaro che le banche tradizionali per trasformarsi in questo modo devono mettere in discussione tanti aspetti della propria organizzazione tradizionale. Per poter dialogare con tanti partner. Cioè in sostanza devono passare al cosiddetto open-banking, che poi è appunto la capacità di inte-


ragire tecnologicamente in ecosistema con tanti soggetti diversi. Inoltre devono progressivamente superare i vincoli rappresentati dalla legacy dei sistemi tecnologici monolitici e stratificati da cui il settore proviene. In termini di investimento il vantaggio è incredibile. La fintech può portare al cliente le stesse identiche funzionalità spendendo anche un ventesimo: esattamente il contrario delle tanto conclamate economie di scala. Com’è possibile, scusi? Un esempio concreto in molte banche tanta programmazione si è costretti a farla ancora con linguaggi di cinquanta anni fa tipo Cobol anziché con Python o Java. Questo perché per le grandi banche tradizionali, non solo in Italia, è difficilissimo e anche rischiosissimo cambiare radicalmente le proprie architetture informative, nel mentre che si continua a operare. E come cambiare il cervello elettronico di un aereo mentre vola… Qualcuno ha provato a lanciare a fianco del business tradizionale una banca rinnovata dalle fondamenta con l’obiettivo di spostarvi dopo qualche anno i clienti dalla banca tradizionale; Santander UK (che aveva acquistato Abbey National e 3 milioni di clienti) annunciò una strategia simile qualche tempo fa. Ma in generale per le banche maggiori si tratta di spendere moltissimo per evolvere, passare al cloud, ai microsistemi, sistemare la data governance; tra esse ci saranno vincitrici e sconfitte. Ma appunto l’80% degli investimenti tecnologici va in manutenzione evolutiva, non in vera trasformazione innovativa. Quindi in questo campo sono le economie di scopo a vincere (strategia e capacità di execution) non certo quelle di scala. Invece le fintech… Sull’innovazione radicale, sui talenti e sul lavoro in team vanno forti. Hanno architetture progettate ex novo, nate per il digitale, modernissime e flessibili. Fare innovazione costa loro una piccola frazione di quanto costi alle banche grandi. La loro sfida naturalmente è arrivare al cliente che le banche grandi invece hanno già in casa. E torniamo alla sua iniziativa, nome in codice Progetto Idea… Abbiamo raccolto 45 milioni – la più grande operazione di “seed” e venture capital finora attuata nel fintech in Italia – con un club deal di primissimo livello e molto complementare: dal gruppo Generali a Banca Sella, da Ifis, all’Isa, alla Popolare di Ragusa, a 360 Capital Partner e poi diversi family office di peso e molteplici top manager e professional come investitori individuali. Nella compagine è poi significativo il ruolo di Confartigianato, con mezzo milione di piccole imprese socie. Abbiamo acquisito una licenza 106, autorizzata dalla Banca d’Italia. Il ceo sarà Federico Sforza, che arriva da Nexi, e tutto il team è di primissimo ordine. Siamo ora sul mercato ad acquisire ulteriori competenze digitali. Ok: e il modello di business? Sostanzialmente sarà la prima banca digitale totalmente dedicata alle piccolissime imprese, purchè un minimo digitalizzate, perché è evidente che non avremo filiali fisiche. Un Mediocredito digitale? Contiamo di essere partner anche con Mediocredito Centrale, che si sta ponendo sempre più come punto di riferimento per la finanza alle piccole imprese. E anche noi saremo totalmente specializzati e devoti alle esigenze delle piccole imprese. Su 5 milioni di piccolissime imprese, ben più di metà ormai vivono la rete e il digitale e post lockdown i numeri non potranno che crescere. Scusi, e come farete senza accollarvi troppi rischi? Per valutare il merito di credito di un’impresa, ci vuole il tempo necessario!

Con la Psd2 oggi una banca può verificare i flussi di cassa dei clienti, presenti e passati, e questo dà una certezza che prima non era acquisibile, non in tempi brevi. Col digitale e le sue nuove regole, sì. I flussi possono essere monitorati a 360 gradi, è questa la novità dirimente. Offrirete anche i classici conti correnti? Certo! Grazie alla licenza 106 partiremo con finanziamenti diretti a breve; poi non appena avremo l’autorizzazione da banca – contiamo nel 2021 – estenderemo l’attività anche ai conti correnti. Un progetto attualissimo…ma in linea con quel che succede nel mondo? Siamo contenti di poter dare anche noi un contributo alla ripartenza post Covid e peraltro l’iniziativa si colloca in un trend europeo e mondiale. Stanno nascendo dappertutto fintech dedicate alle piccolis-

SAREMO TRA LE POCHE NOVITÀ DOPO IL COVID LA NOSTRA VOCAZIONE ? LE PICCOLISSIME IMPRESE sime imprese, spesso con licenza bancaria. Le regole generali del credito potremo applicarle con velocità e sicurezza garantite dalla tecnologia. Anche le autorità stanno evolvendo in questa direzione, sia Bce che Banca d’Italia hanno costituito unità dedicate al fintech. L’attività finanziaria anche in una dimensione fintech rimane sempre delicata per clienti, risparmiatori, contribuenti - basti vedere il caso Wirecard in Germania - e quindi si devono coniugare regole, sana gestione e tecnologia. Quindi credito veloce per una piccola impresa che deve correre… Esatto. Il che diventa anche un contributo importante alla modernizzazione del settore e del Paese. Ieri si pensava che l’annoso gap di produttività italiano si aumentasse solo fondendo le piccole imprese. Non mi pare la ricetta giusta per il nostro Paese. Io dico che un altro più efficace sentiero per la produttività passa per la digitalizzazione. Il nostro progetto – pensiamo – col suo modello digitale darà quindi anche un contributo alla miglioramento della produttività e della modernizzazione del sistema. luglio - agosto 2020

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RISIKO BANCARIO BANCA POPOLARE DI BARI

Il salvataggio passa per un “dilemma del prigioniero” tutto italiano di Giuseppe D’Orta

DOPO L’OK DELL’ASSEMBLEA ALLA TRASFORMAZIONE IN SPA RESTA IL GIALLO-TRANSAZIONE

I

l salvataggio della Banca Popolare di Bari approvato dall’assemblea dei soci del 29 giugno si è presentato come un classico caso di “dilemma del prigioniero” con l’aggiunta di una variante all’italiana. La situazione proposta è stata infatti analoga a quella del noto gioco applicato alla teoria economica: se la maggioranza degli azionisti avesse deciso di non accettare la proposta transattiva, la banca sarebbe finita in liquidazione coatta. Il numero di aderenti è stato invece sufficiente a far raggiungere lo scopo dell’assemblea cioè la trasformazione in Spa, ma comunque resta aperta per tutti i soci la strada di fare causa puntando a un risarcimento integrale. Vediamo di comprendere meglio il meccanismo. L’assemblea ha approvato il piano dei commissari straordinari di trasformazione in società per azioni, abbattimento integrale del capitale e contestuale ricapitalizzazione. L’esborso complessivo da parte del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi (tramite l’intervento del proprio schema volontario) e del Mediocredito Centrale ammonta a 1,6 miliardi. La banca era da tempo sostanzialmente fallita, seguendo una storia molto simile a quella delle due popolari venete. Gli importi investiti dagli azionisti si sono pertanto di fatto azzerati e a forte rischio di azzeramento erano le obbligazioni subordinate. La Popolare di Bari era ancora una società cooperativa per azioni, dove in assemblea vigeva il voto capitario indipendentemente dal numero delle azioni possedute. I commissari si sono quindi molto concentrati sul raggiungimento del quorum deliberativo, come pure sulla neutralizzazione delle possibili vertenze legali da parte degli azionisti. Per tale motivo i soci presenti in assemblea potranno beneficiare di un premio consistente nell’assegnazione di azioni gratuite per venti milioni di euro messe a disposizione dal Fitd secondo criteri di proporzionalità. È poi prevista l’attribuzione, per ciascuna azione posseduta diversa da quelle sottoscritte negli aumenti di capitale del 2014 e 2015, di un warrant che attribuirà il diritto di sottoscrivere azioni di 40

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A destra Marco Iacobini, ex presidente della Banca Popolare di Bari

nuova emissione della banca a partire dal quinto anno successivo all’assemblea e in determinate finestre temporali, sulla base di un prezzo di sottoscrizione che sarà calcolato sul valore della banca dopo la ricapitalizzazione. Questi due benefici saranno assegnati a tutti i portatori di azioni alla data del 31 marzo 2020 che hanno partecipato all’assemblea di fine giugno, a prescindere da come abbiano votato, e che siano essi persone fisiche anche se titolari di ditta individuale, società di persone, società di capitali, società cooperative o enti no profit. Sono esclusi invece gli investitori istituzionali e professionali. Unica condizione è che vengano iscritte presso il Registro delle Imprese le delibere di trasformazione in Spa e di aumento di capitale. Il piatto forte degli incentivi Il piatto forte degli incentivi, e dell’intera operazione di salvataggio, è costituito dall’offerta di transazione con gli azionisti che hanno sottoscritto i due aumenti di capitale del 2014 e del 2015, operazioni per cui la banca è stata sanzionata dalla Consob ed è sotto inchiesta della Procura di Bari a causa delle irregolari-


tà riscontrate nei prospetti e nel collocamento. Senza liberarsi dei rischi che un elevato numero di vertenze legali potrebbero cagionare, infatti, l’istituto non sarebbe in grado di proseguire l’attività. Basti pensare che la sola ricapitalizzazione del 2014 portò in cassa 300 milioni dal collocamento delle azioni e 200 milioni dai bond subordinati. I destinatari dell’offerta sono stavolta le sole persone fisiche, anche se titolari di ditta individuale, portatrici delle azioni della banca al 31 marzo 2020, a eccezione dei clienti con posizioni a debito in sofferenza e simili.

La proposta transattiva e il suo paradosso La proposta transattiva per evitare le cause di risarcimento prevede che la banca, a fronte della rinuncia da parte del beneficiario ad ogni pretesa o azione connessa agli aumenti di capitale del 2014 e 2015, corrisponda un indennizzo pari a 2,38 euro per azione – ovvero l’ultimo prezzo di quotazione del titolo nel mercato Hi-Mtf - ricevuta originariamente a seguito della sottoscrizione degli aumenti del capitale. Un importo che corrisponde al 25% del prezzo pagato. La proposta transattiva avrà efficacia solo al raggiungimento di un numero minimo di adesioni pari al 50% dei destinatari e portatori di un numero di titoli pari al 60% del controvalore delle azioni, sempre valorizzate al prezzo di euro 2,38, detenute dai destinatari stessi della proposta. In caso di adesione totalitaria, il costo a carico della banca sarebbe di circa 65 milioni. Un importo enormemente inferiore alle svariate centinaia di milioni di risarcimenti cui potenzialmente far fronte. In aggiunta i destinatari della proposta transattiva e degli incentivi potranno accedere a servizi e prodotti bancari e assicurativi a condizioni agevolate, come pure ad un particolare “Tavolo di Conciliazione di Solidarietà” tramite cui saranno trattati singolarmente i casi di azionisti che versano in stato di oggettiva difficoltà economica. Tutto ciò è previsto anche per gli azionisti non registrati quali soci. Tutta l’operazione, così come proposta e se rapportata alla recente storia delle altre banche fallite, porta a un paradosso. Il socio può decidere di rinunciare al rimborso del 25% con la quasi certezza di vedersi proporre, come per le altre banche fallite, un ristoro del 30% da parte dello Stato nel caso in cui non andasse in porto la transazione.

ce, sulle nuove azioni gratuite e sui warrants, il cui valore sarà per forza di cose talmente esiguo da suggerire di non prenderlo nemmeno in considerazione nei conteggi di convenienza. Così come deve essere chiaro che le attuali azioni, pur continuando ad esistere, avranno un valore pari a zero. Ed infatti il valore di recesso per gli assenti o dissenzienti alla trasformazione in Spa è stato stabilito in zero euro e zero centesimi!

Diverso il comportamento di chi punta al risarcimento integrale Ed eccoci al “Dilemma del prigioniero” di cui si diceva all’inizio: la mossa migliore è non aderire alla proposta transattiva confidando che questa raggiunga ugualmente i minimi di adesione previsti. Ciò rappresenterebbe un’ottima notizia per chi volesse fare causa alla banca, nel caso in cui ritenga di possedere ottime possibilità di riuscita della vertenza. E tra gli aderenti ai due aumenti di capitale “incriminati” ci sono tanti in possesso dei giusti requisiti. Se invece la proposta non fosse approvata, si perderebbe il diritto ad accedere all’offerta di transazione del 25% ma si otterrebbe il ristoro di Stato pari al 30%. È vero che se in troppi facessero un simile ragionamento, la transazione non passerebbe le soglie minime, ma il fatto che per accedere alla transazione si sia potuto in assemblea anche votare contro il piano è segno che i commissari sono molto sicuri non solo del raggiungimento dei quorum assembleari, come è poi effettivamente accaduto, ma anche di quelli previsti riguardo la proposta di transazione. Anche, e soprattutto, perché nelle agenzie è stato sottoposta ai soci non solo la delega per la partecipazione in assemblea ma anche la proposta di transazione. Non è difficile ipotizzare quindi che la gran parte degli interessati abbia pertanto già aderito all’offerta.

È POSSIBILE PERÒ CHE MOLTI SOCI ABBIANO GIÀ ADERITO ANCHE ALL’OFFERTA DI PACE

Quali comportamenti per i soci della Popolare di Bari? Incassare il 25% subito è meglio che attendere il 30% da parte dello Stato che arriverà con tempi molto lunghi. Inoltre, e soprattutto, occorre ricordare che l’aumento di capitale del 2014 fu organizzato in forma mista mediante emissione di azioni e di obbligazioni subordinate proposte alla clientela tramite un “pacchetto 50%+50%”. La riuscita della ricapitalizzazione, come evidenziato dai commissari, comporterà anche il regolare pagamento di cedole e capitale delle obbligazioni subordinate. In caso di liquidazione coatta, invece, il ristoro di Stato avverrebbe al 95% del nominale cui decurtare le cedole incassate nella misura superiore al rendimento medio dei Btp dell’analogo periodo. Nella seconda metà di giugno si è assistito a un vero e proprio “assalto” agli azionisti da parte delle agenzie della banca, aperte su appuntamento anche il pomeriggio e il sabato mattina. Possiamo quindi ritenere che il salvataggio della banca, nelle forme prospettate dai commissari, sarà completato tramite il successo dell’offerta di transazione. Inutile farsi illusioni, inve-

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BORSE IL MERCATO AZIONARIO

Lo spettro della bolla sui listini con quelle valutazioni troppo alte di Ugo Bertone

LA PIOGGIA DI LIQUIDITÀ IMMESSA DALLE BANCHE CENTRALI HA CREATO UN CUSCINETTO IN GRADO DI PREVENIRE TONFI DOLOROSI. MA UN CONTO È EVITARE UN CRACK, ALTRA COSA INNESTARE UN RALLY NELL’EQUITY

E

ppure non va giù. Cresce tra gli addetti ai lavori una sorta di nervosismo per l’andamento dei listini azionari. Perché, è la domanda che ricorre più spesso, le Borse non arretrano dai massimi? Certo la pioggia di liquidità immessa dalle banche centrali ha creato un cuscinetto in grado di evitare tonfi dolorosi. Ma un conto è evitare un crack, altro innescare un vero e proprio rally delle azioni all’interno di una congiuntura drammatica per il lavoro come per i consumi. Non è, suggeriscono i più prudenti, che si stanno ponendo le premesse per una bolla destinata a scoppiare con grave danno per tutti? Certo, se si adottano i criteri classici di valutazione delle azioni, a partire dal rapporto prezzo/utili, i valori sono alle stelle. Ma, obiettano altri osservatori, questo criterio non funziona ai tempi della pandemia. Non ha alcun senso misurare il valore di un titolo sulla base degli utili se l’azienda in questione sconta il prezzo di una lunga vacanza forzata.

Shiller: azioni care, ma non carissime Ma secondo Robert Shiller, il premio Nobel che per primo individuò “l’esuberanza irrazionale” degli anni Novanta, il confronto con il passato non offre stavolta una chiave di lettura definitiva: le azioni americane risultano oggi più care se messe a confronto con i prezzi segnati lungo quasi un secolo, dalla stagione che seguì la crisi del 1929 fino al 1996. Da allora la media delle valutazioni si è spostata verso l’alto fino alla punta del 2016. Da allora però i prezzi sono scesi a livelli più convenienti, specie in questi mesi in parallelo al calo dei tassi e al contributo degli acquisti della Fed: ogni trilione di Quantitative easing equivale grosso modo a un punto di ribasso dei tassi. 42

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Nella foto Robert Shiller, premio Nobel per l’Economia nel 2013

Il risultato? “Cheaper but not cheap”, per dirla con Shiller che, al momento di fare una previsione, si la cava così: «Se i profitti societari torneranno a crescere in un ambiente di bassa inflazione e di economia aperta, avranno senso valutazioni più elevate. Altrimenti, se si inasprirà la guerra commerciale e si rafforzeranno le barriere antitrust contro i big della tecnologia, i margini attuali saranno insostenibili». Messa così sembra la scoperta dell’acqua calda, ma a ben vedere il messaggio è chiaro: il mondo vive una fase di transizione tecnologica e di ridefinizione degli equilibri strategici che possono sfociare in un rilancio degli investimenti di rischio o in una lunga fase recessiva. Aiuto, il tonfo non c’è stato Di qui una prima risposta all’incertezza degli operatori alla ricerca di una spiegazione per la tenuta, dai più ritenuta sorprendente dei mercati azionari: chi o cosa ha impedito che, dopo l’intervento dei governi e delle banche centrali, prendesse il via una salutare correzione al ribasso che consentisse al mercato di ripartire con un’adeguata speranza di guadagno? Le spiegazioni tecniche abbondano perché ormai gli algoritmi


BORSE

A CORRERE PERÒ È SOPRATTUTTO IL NASDAQ, LA BORSA USA DELL’INNOVAZIONE: +12% A GIUGNO CONTRO IL -8,8% DEL DOW JONES E IL -3,5% DELL’INDICE S&P Nella foto Alessandro Fugnoli, strategist di Kairos

sono in grado di imprimere accelerazioni o svolte quasi imprevedibili. Ma una spiegazione salta all’occhio. Non ha senso parlare genericamente di “Borsa”. A correre è il Nasdaq +12% a metà giugno rispetto a gennaio contro - 3,5% dell’indice S&P e addirittura -8,8% del Dow Jones. Occorre risalire al 1983 per trovare un distacco analogo tra l’indice della “vecchia” America e il listino dell’innovazione. Ma anche questo dato rischia di essere fuorviante. Il rialzo del listino tecnologico è legato a una manciata di titoli: Apple, Amazon, Facebook, Alphabet (casa madre di Google) e Microsoft che rappresentano circa il 40% della capitalizzazione complessiva. Se a questo comparto si aggiungono pharma e biotech, sugli scudi in tempi di pandemia, non può che prender atto che il boom del Nasdaq (quattro massimi storici tra maggio e metà giugno) ha radici profonde ma limitate. Alla corsa di Amazon +47% nel 2020 sull’onda del trionfo dell’e-commerce si contrappongono le difficoltà di Boeing ma anche il bilancio in rosso di Jp Morgan e di Walt Disney, colpita dalla serrata di cinema e parchi tematici.

Tornano i privati, a colpire arriva Robin Hood Stavolta poi, a far saltare le previsioni si è messo Robin Hood. Più di dieci milioni di americani, orfani dei siti di scommesse sportive bloccate dall’infuriare della pandemia, si sono iscritti alla piattaforma di trading che porta il nome del ribelle di Sherwood con l’obiettivo di far soldi alla faccia dello sceriffo di Nottingham. Robinhood.com, che non fa pagare commissioni, è diventato nel giorno del lockdown il luogo ideale per giocare in borsa con i soldi del sussidio di 1.200 dollari concesso dal Tesoro. Buona parte di questi soldi è finita nei tecnologici, ma anche in valori ciclici ad alto rischio, facendo impazzire le quotazioni (e i professionisti di Wall Street). È il retail che sta difendendo il mercato. «I fragili», ha scritto Alessandro Fugnoli, «sono usciti in marzo, ma gli altri hanno resistito, aiutati dalla relativa semplicità di questa crisi così simile a una catastrofe naturale che fa tanti danni, certo, ma poi se ne va». E a dare manforte a chi ha resistito hanno cominciato ad arrivare quelli che erano restati ai margini dell’ultima parte del grande rialzo e aspettavano una nuova occasione. Tassi verso lo zero, che grande occasione Fin qui il quadro dei listini Usa, al solito determinante per definire l’umore dei mercati alla vigilia della stagione elettorale che si annuncia particolarmente difficile, se non cruenta come anticipato dalle violenze razziali. L’Europa si è adeguata a suo

modo, approfittando delle immissioni di liquidità sui mercati da parte della Bce e sfruttando, Italia e Spagna in testa, la benedizione dei tassi bassi a tutto vantaggio delle utility, così importanti per la Borsa italiana, ma anche della manifattura e delle banche, legate a filo doppio all’andamento del debito pubblico. Ma adesso? Diamo per scontato che prima o poi la logica dei numeri ci richiamerà all’ordine. Ma anche per noi vale il monito di Shiller. Se per i prossimi anni immaginiamo economie sostenute da ogni stimolo fiscale e monetario concepibile e una crescita che viene condotta a marce forzate su un livello superiore a quello del decennio scorso, allora lo spazio per i ciclici tradizionali può diventare strategico. Se invece ipotizziamo un ritorno ai ritmi stentati dell’economia pre-Covid, resi per di più irregolari dalle difficoltà di riadattarsi a un mondo in cui il virus non è debellato, allora avremo certamente altre fiammate dei ciclici, ora terribilmente depressi, ma non un ritorno alle valutazioni, per quanto modeste, che avevano prima dell’epidemia.

Tanti cavalli di razza. Snam a tutto idrogeno Insomma il destino è davvero nelle nostre mani. Non è esclusa una gelata, ma ci sono margini rilevanti per scommettere sulla crescita. E i cavalli di razza ci sono, a partire dalle prospettive dell’auto, reduce da un anno orribile. Dopo la stagione delle multe per l’inquinamento è entrata nel vivo la stagione dell’elettrico e i primi fermenti sull’idrogeno che già fanno volare Nikola, la start up Usa dei camion in cui Cnh dispone di una quota del 7% ma anche Snam, tra i leader mondiali del settore. L’elenco dei possibili target è però molto lungo, purché prenda piede per gli anni ‘20 uno scenario virtuoso, non solo per i contributi delle autorità monetarie ma anche per la crescita reale. Gli strumenti non mancano a partire dai Pir. La materia prima nemmeno. E dopo le migliaia di miliardi riversati sull’economia, sia in Europa che in Usa non è certo azzardato puntare un chip su infrastrutture e costruzioni. In attesa di capire che tipo di ripresa si profilerà per i prossimi anni.

E la Cina rialza la testa Di sicuro, tra i protagonisti del post-Covid 19 (per ora solo una speranza perché l’epidemia ci accompagnerà ancora per un bel po’) ci sarà la Cina, là dove è cominciata la stagione delle disgrazie. Nonostante le difficoltà, l’indice della Borsa di Shenzhen è in rialzo del 10% nel 2020, Shanghai è in rosso di quattro punti e mezzo, ma in pieno recupero mentre accelera la trasformazione dell’economia. “ Il cambiamento del modello di crescita – si legge in un report di Goldman Sachs – riceverà un impulso dopo la pandemia: avremo più servizi nella sanità, nell’istruzione on line e nell’intrattenimento”. Ma meno viaggi in Europa e Usa. luglio - agosto 2020

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SCENARI FASHION & BUSINESS

I brand del politicamente corretto abbandonano il gender per il black di Fabiana Giacomotti

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egli Stati Uniti, la vendita delle t-shirt arcobaleno quest’anno è calata del 58 per cento rispetto al 2019. In Italia nessuno ha fatto verifiche analoghe ma, a parte la foto del sindaco di Milano Beppe Sala con i calzini a strisce multicolori pubblicata sul suo account il 13 giugno e qualche pezzo compiacente sulle riviste femminili, capirete presto perché, nel 2020 il “Pride” – Gay come da origini, ma ormai anche Lbtq+, cioè e appunto l’amore arcobaleno, non ha registrato risultati di vendita altrettanto orgogliosi. Anzi. Il Covid, che ha cancellato in tutto il mondo le parate e le manifestazioni pubbliche della ricorrenza, limitandole ai consueti e ormai ubiqui webinar (In Italia l’unica manifestazione in presenza si è tenuta sempre nel capoluogo lombardo, e si è trattato di una “biciclettata”), è stato il primo fattore del calo. Il secondo è stato il movimento Black Lives Matter perché - duole dirlo ma questa è la tribuna adatta - anche la causa della diversità e dell’inclusione è una questione di marketing e di business, e non ci sono dubbi che #Blacklivesmatter + Covid abbiano battuto il Pride 2 a 0. Per estremizzare, il gender andava fortissimo cinque anni fa, dopo la prima sfilata di Alessandro Michele per Gucci che fece improvvisamente apparire il tema, fino a quel momento confinato nelle università, sui rotocalchi a larga diffusione: durò il tempo di discuterne a fondo, tanto che ora ne trovate le estremizzazioni (purtroppo, molto dolorose per le donne, attaccate come mai nella storia dell’umanità) solo in Gran Bretagna. Adesso, a eccezione di Burberry che proprio nelle ultime ore ha pubblicato sui social un filmato a favore del Pride con performance di Ultra Naté, la causa su cui i brand di moda stanno dando 44

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IL MARKETING DELLA MODA HA TROVATO UN NUOVO FILONE DI COMUNICAZIONE E LO STA CAVALCANDO IN TUTTO IL MONDO

In alto, un “murale” dedicato a George Floyd, il cittadino afroamericano Usa ucciso dalla polizia, in nome del quale si è scatenato in tutto il mondo un movimento di protesta straordinario, “Blak lives matter”. Qui sopra, Oliviero Toscani, fotografo e creativo italiano celebre per le sue provocazioni

il meglio di sé è il black. Ve ne portiamo un esempio pratico. Ancor prima che gli inviti alle manifestazioni online Lgbtq+ venissero inviati in milioni di caselle di posta elettronica, nei negozi di Abercrombie&Fitch – ormai votato ma alla diversità e all’inclusione dopo aver rischiato qualche anno fa di fallire per le accuse di razzismo estetico – le t-shirt con i messaggi pride e le immagini dell’attivista Jari Jones sono state accantonate per essere sostituite con immagini e messaggi a favore della causa Blm. Qualche giorno fa, la rivista professionale online BoF- Business of Fashion, segnalava una ricerca di Tribe Dynamics secondo la quale la mancanza di parate, concerti e feste da condividere o dove scattarsi selfie, ha fatto calare dell’80 per cento il coinvolgimento dei consu-


SCENARI matori sull’hashtag #Pride. Nel giro di poche ore, #BLM, Black Lives Matter è diventato il tema del momento, spinto da quella particolare abilità degli Stati Uniti a fare della propria agenda una questione mondiale. Per essere chiari, la causa dell’inclusione e dell’accettazione esistono ovunque, molto in Italia come ha scritto giustamente l’attivista fiorentina Angela Bondu sull’Espresso, ma sul caso ci sono state anche prese di posizione grottesche e perfino drammatiche, come ci faceva notare una nostra studentessa kazaka che ha assistito con irritazione alle querule dimostrazioni degli intellettuali del suo paese a favore di movimento BLM in un’area geografica dove i neri sono praticamente inesistenti, mentre alcune piccole comunità locali dissidenti vengono a suo dire quotidianamente vessate dal regime nel silenzio acquiescente di tutti. #BLM ha invece fatto il pieno mondiale di condivisioni e like, talvolta troppo come hanno osservato gli attivisti più colti e sgamati, ben consapevoli che troppa confusione annacqui il messaggio o, peggio, ne devi l’impatto. Nonostante le devastazioni, gli incendi e il sacco delle boutique di lusso di Fifth Avenue e di Rodeo Drive, immagini che non si cancelleranno facilmente dalla memoria del pubblico mondiale e che il presidente Trump sta usando come argomenti forti per la propria campagna elettorale, i brand della moda hanno diffuso in massa messaggi di solidarietà, condiviso immagini multirazziali poetiche e confortanti nello stile di Oliviero Toscani, comunicato prossimi programmi di inclusione di figure professionali di colore nei propri vertici. Per sua natura, e cioè per la necessità di accreditarsi come fattore sociale, la moda tende a sposare qualunque causa etica, ma nel caso Black Lives la faccenda è ancora più complicata, perché risale alle origini della moda e dell’abbigliamento di massa, diciamo al suo peccato originali: senza lo schiavismo bianco delle fabbriche in Inghilterra e quello nero delle piantagioni di cotone nel sud confederato, la moda non sarebbe mai diventata il fenomeno di massa che è oggi. Fino ad adesso la necessità di rispondere a questa esigenza, molto sentita dalla comunità afro-americana che è fra i principali acquirenti di moda europea, si è attuata con l’ingaggio, da parte delle multinazionali, di star creative come Virgil Abloh da Louis Vuitton

Nelle foto, dall’alto: Giuseppe Sala, sindaco di Milano, con le calze arancioni in onore del Gay-Pride; la pop-star Rihanna; lo stilista Virgil Abloh, designer, imprenditore e artista ingaggiato da Louis Vuitton come direttore artistico della collezione maschile

o di popstar come Rihanna, ma le posizioni apicali restano saldamente nelle mani della comunità bianca per due motivi ahinoi incontrovertibili. Il primo, legato alla storia: il modello di lusso che il mondo (ancora) desidera è nato in Europa, in parte nell’Estremo Oriente con cui si è spesso mescolato ed è un fatto culturale identitario prima che commerciale. Il secondo, legato al tempo e alla formazione: esistono ancora poche scuole di moda in Africa e pochissimi ragazzi di colore, anche afro-americani, scelgono studi specifici o di marketing del lusso e della moda, e infatti non è un caso che il programma Gucci Community stia investendo milioni di dollari nella formazione di giovani in tutto il mondo e in particolare in Africa. Oltre a prevedere l’inclusione e a rispettare ipotetiche “quote”, la moda è un business che deve funzionare, dunque deve affidarsi a persone capaci, e si tratta di un processo che, come chiunque dotato di un minimo di buon senso può capire, prenderà anni. Di certo George P. Floyd, l’ex giocatore di basket che “voleva toccare il mondo”, non avrebbe potuto immaginare che la sua morte atroce, avvenuta il 25 maggio a opera della polizia di Minneapolis e di un agente che avrebbe dovuto essere punito già da molto tempo, avrebbe fatto del suo volto un’icona mondiale. Resta da capire quanto a lungo lo sarà, in quale modo verrà usata o sfruttata, e se questo sfruttamento non potrà, alla fine, tornare utile. Di certo, il rischio della sovraesposizione mediatica e commerciale toccherà anche a lui, come ha toccato Greta Thunberg. Di fronte alla nuova e per ora inevitabile ondata mondiale di materiale di scarto degli ospedali prodotta dall’emergenza coronavirus – mascherine, bende, cerotti, camici monouso – chi vuole pensare ai moniti di Greta? Alle sue t shirt, ai suoi hashtag? Che fine hanno fatto Greta e Bernie Sanders, ricordava l’altro giorno su Internazionale Slavoj Zizek? Perché i due idoli recenti della sinistra sono scomparsi di scena? Perché le loro intuizioni su ambiente e giustizia sociale non sono state valorizzate dall’esplosione di crisi come la pandemia e la protesta antirazzismo? Forse perché “non erano abbastanza radicali”, come dice il pensatore di Lubiana. O forse perché li avevamo già trasformati, la prima soprattutto, in business da magliette a venti euro. luglio - agosto 2020

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IL REPORT

Tra consulenti ed Esg è scoppiato l’amore di Marco Muffato

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consulenti finanziari vedono sempre più i prodotti Esg (acronimo ormai familiare che sta Enviromental, social e governance) come un’opportunità per far crescere le loro attività e stringere legami più stretti con i loro clienti. Uno studio globale, sponsorizzato da Franklin Templeton e condotto da NMG Consulting, mostra come i consulenti finanziari facciano rientrare sempre più i prodotti Esg all’interno delle loro selezioni e allocazioni di portafoglio. Lo studio, che ha esaminato gli atteggiamenti di oltre 800 consulenti finanziari e intermediari nei confronti degli investimenti responsabili in 10 importanti mercati in tutto il mondo - in Emea, Apac e Nord America - ha mostrato come i consulenti recepiscano sempre più il valore di includere criteri Esg nelle decisioni di investimento. Italia e Francia leader del collocamento In Europa, la ricerca ha dimostrato come l’Italia e la Francia aprano la strada tra i Paesi esaminati, con nove intervistati su 10 che allocano investimenti in prodotti Esg (rispettivamente 91% e 90%). Guardando a prodotti Sri o nello specifico ai prodotti focalizzati sull’impact investing, i consulenti finanziari svedesi guidano il gruppo con il 70% e il 68% rispettivamente allocato a questi prodotti. Detto questo, gli investitori retail nel Regno Unito sono leggermente più avanti rispetto ai loro peers dell’Europa continentale quando investono in prodotti Esg, con l’87% dei consulenti del Regno Unito che hanno clienti investiti in fondi Esg, contro l’85% come media in tutta Europa. Gli investitori retail tedeschi, d’altra parte, sono in linea con i colleghi eu46

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IL 91% DEI CONSULENTI FINANZIARI ITALIANI INSERISCE PRODOTTI ESG ALL’INTERNO DEI PORTAFOGLI DEI PROPRI CLIENTI. LO AFFERMA LO STUDIO REALIZZATO DA FRANKLIN TEMPLETON CON NMG CONSULTING

Nella foto Julie Moret, global head of Esg di Franklin Templeton

ropei, con l’84% dei consulenti che afferma di avere clienti che investono in prodotti Esg e il 62% di investimenti in prodotti Sri (contro il 61% della media europea). «La crescente rilevanza delle problematiche ambientali legate alla transizione climatica, alla scarsità di risorse naturali e all’efficienza sta inducendo indubbiamente un maggiore interesse per I prodotti e le soluzioni Esg», afferma Julie Moret, global head of Esg di Franklin Templeton. «Anche le pressioni normative stanno accelerando questi temi. In modo incoraggiante, i risultati dello studio mostrano che i consulenti stanno rispondendo alla crescente domanda dei clienti contribuendo ad approfondire la conoscenza e l’innovazione del settore in questo spazio». Esg fa bene al business Tutti i consulenti finanziari intervistati hanno indicato un crescente interesse da parte dei clienti in prodotti di investimento con impatti Esg positivi, in linea con la crescente preoccupazione del pubblico per le questioni ambientali e i cambiamenti climatici. Inoltre, i consulenti con competenze nell’investimento responsabile ritengono che sia positivo per il business, con 9 intervistati su 10 (90%) che vedono gli investimenti responsabili come un’opportunità commerciale per la propria attività, incluso il 42% che lo considera una “grande opportunità”. Lo studio ha anche scoperto che l’inclusione delle valutazioni Esg nelle discussioni con i clienti retail permette loro di approfondire le relazioni consentendo nuove conversazioni sullo scopo fondamentale dell’investimento e sulla missione di investimento del cliente. «Il settore dell’asset management


INVESTIRE SPECIALIST

dovrebbe rispondere sostenendo i consulenti mentre educano sé stessi e i clienti sui fattori Esg, oltre a rispondere alla domanda degli investitori fornendo una gamma più ampia di prodotti e soluzioni innovative», suggerisce Michel Tulle, senior director Europa ex Regno Unito di Franklin Templeton, con la Moret che sottolinea: “L’industria deve assicurarsi che sia allineata quando si discute di terminologia e pratiche Esg. Una maggiore trasparenza dei rischi e delle misurazioni Esg non solo educherà e informerà meglio gli investitori nel loro processo decisionale, ma promuoverà le opportunità di investimento nel campo degli investimenti responsabili”. I fattori ambientali i più motivanti per investire A livello macro, quasi la metà (46%) dei consulenti ritiene che la“E” (i fattori ambientali) sia più importante per i propri clienti nel breve termine, con la “G” (fattori di governance) citata dal 34% e la “ S “(fattori sociali) citata dal 20%. Inoltre è molto probabile che le questioni ambientali interessino i clienti retail quando investono sia a breve che a lungo termine (rispettivamente 46% e 63%), con preoccupazioni per i cambiamenti climatici, la sostenibilità e l’efficienza delle risorse, essendo i primi tre problemi Esg che i consulenti ritengono possano cambiare nel momento in cui le persone investiranno a breve e lungo termine. A questo proposito David Zahn, head of european fixed income di Franklin Templeton, afferma che «In Franklin Templeton, disponiamo di una solida gamma di prodotti con strategie integrate Esg come il Franklin European Total Return Fund che recentemente ha ottenuto il marchio “Towards Sustainability” dal Central Labelling Agency (CLA) , un organo indipendente della Belgian Financial Sector Federation (Febelfin) . Inoltre continuiamo a rispondere alle esigenze dei clienti aggiungendo prodotti di investimento specifici sulle iniziative per contrastare il cambiamento climatico, come il Franklin Liberty Euro Green Bond Ucits Etf. I green bond sono già uno strumento importante nel tentativo di ridurre le emissioni di Co2 dell’economia globale e probabilmente continueranno a registrare una rapida crescita». «Per esempio», continua Zahn, «il nostro Franklin Liberty Euro Green Bond Ucits Etf mira a conseguire rendimenti sostenibili a lungo termine, nonché avere un impatto significativo e positivo sulle società e sull’ambiente. Alla luce dell’attuale pandemia e della recente volatilità del mercato, continuiamo a cercare di aggiungere obbligazioni corporate di qualità al fondo per ampliare la base di emittenti e aumentare l’esposizione al settore corporate in generale, poiché le emissioni hanno continuato a essere solide nel settore green bond».

modificato la propria allocazione patrimoniale per riflettere il crescente interesse in investimenti Esg. Dall’indagine è emerso che oltre quattro quinti (86%) di consulenti hanno già allocato prodotti Esg e tre quarti (77%) di consulenti in tutto il mondo si aspettano che i loro clienti aumentino l’allocazione a fondi di investimento responsabili nei prossimi due anni. I consulenti europei chiedono ora opzioni di investimento più responsabili per soddisfare la domanda dei clienti.

Meglio la gestione attiva All’interno delle categorie di prodotti, la preferenza del cliente è la gestione attiva rispetto a quella passiva e quella domestica rispetto a quella globale, in parte riflettendo il desiderio di fornire ai clienti delle indicazioni convincenti sugli investimenti responsabili.

Nella foto in basso David Zahn, head of european fixed income di Franklin Templeton

Che attenzione nel nostro Paese Lo studio ha anche mostrato che esistono grandi differenze tra i Paesi europei. In Italia, i consulenti hanno condotto conversazioni con i clienti sul tema Esg per oltre il 90% delle volte, seguite da Paesi Bassi (80%) e Germania (76%). È interessante notare come

A LIVELLO MONDIALE IL 77% DEI FINANCIAL ADVISOR SI ASPETTANO CHE I LORO CLIENTI AUMENTINO L’ALLOCAZIONE IN FONDI DI INVESTIMENTO RESPONSABILI ENTRO DUE ANNI

I 4/5 dei cfi hanno allocato prodotti Esg A causa della crescente domanda, molti consulenti europei hanno già

in Svizzera fosse altrettanto probabile che l’argomento (50%) fosse introdotto dal consulente o dal cliente. Gli investitori retail in Svezia, Danimarca e Paesi Bassi aprono la strada all’adozione di strategie di impact investing. Il Regno Unito sta recuperando terreno, con il 30% dei clienti retail che dovrebbero procedere a un “aumento significativo” degli investimenti responsabili nei prossimi due anni, in contrasto con la media globale ed europea (rispettivamente 23% e 25%). Oltre il 40% delle attività di investimento responsabile è collocato in prodotti nazionali; Il 29% è destinato a prodotti regionali, mentre un altro 27% è destinato a prodotti globali. luglio - agosto 2020

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PARLA PONCHON (SYCOMORE AM)

«Aziende favorite nel dopo-Covid? Quelle coerenti con i trend strutturali» di Mario Romano

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osa succederà nel dopo Covid-19? Investire lo ha chiesto a Frédéric Ponchon (nella foto), portfolio manager di Sycomore Asset Management (boutique focalizzata sugli investimenti Sri, parte della piattaforma di Generali Investments).

Dopo la tempesta sui mercati finanziari, l’economia reale affronta l’impatto della pandemia: con quali prospettive? L’economia globale soffrirà senza dubbio nei mesi a venire, con una severa recessione all’orizzonte. Per contenere tale scenario le banche centrali hanno definito misure straordinarie, che hanno contribuito a ridurre la volatilità e mantenere liquidità sui mercati. Anche i governi hanno mobilitato importi senza precedenti per evitare una grande depressione: queste misure saranno cruciali per la ripresa, ma il loro impatto reale si materializzerà a partire dal 2021. Per la seconda metà del 2020, FRÉDÉRIC PONCHON la questione fondamentale da monitorare nelle strategie azionarie è l’esatta magnitudine della distruzione del lavoro e la propensione delle famiglie a consumare. La riapertura dell’economia è positiva per il lato dell’offerta nell’equazione domanda/offerta, ma rimane un grande punto interrogativo circa la vitalità della domanda. Considerate le misure adottate dalle banche centrali e dai governi, siamo positivi a medio termine, pur rimanendo cauti nel breve. Quali i rischi principali sul mercato azionario europeo? Prevedo innanzitutto diversi rischi politici: il primo è che il recente rimbalzo del mercato è stato fondato sulla prospettiva di una più profonda integrazione nell’Eurozona, basata su una rafforzata solidarietà per proteggere le nostre economie. Tuttavia questo processo sarà lungo e doloroso prima di raggiungere un effettivo accordo. Un altro rischio politico è la Brexit, uscita dall’agenda nei primi mesi del 2020 ma che conoscerà a breve uno sviluppo cruciale. A questo si aggiungono la guerra commerciale Cina-Usa e le elezioni presidenziali statunitensi, che aumenteranno l’incertezza nei mesi a venire. Oltre ai rischi politici, il fattore chiave da monitorare è la spesa dei consumatori. Sia sul fronte politico che economico vi è una forte mancanza di visibilità, è quindi fondamentale concentrarsi su società con una bassa esposizione al ciclo economico e la cui crescita degli utili sia nel medio termine più prevedibile della media. Nelle vostre analisi vedete un rischio legato al debito so48

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UN FUTURO RADIOSO ATTENDE CHI OPERA NELL’E-COMMERCE, E-ENTERTAINMENT, SMART WORKING E NELL’ASSISTENZA SANITARIA cietario e al tema della solvibilità? Le imprese si troveranno di fronte a una situazione economica complessa e che peserà fortemente sui loro bilanci. Tuttavia vediamo con favore gli interventi dei governi che, al fine di preservare i posti di lavoro ed evitare eccessivi fallimenti, hanno introdotto misure di sostegno specifiche e stanno spingendo le banche a essere più flessibili, per esempio allentando i covenant delle esposizioni debitorie. Quali i settori più resilienti? La prima tendenza chiave è quella della digitalizzazione, che avvantaggerà tutti gli attori coinvolti in questo megatrend, come quelli specializzati nell’e-commerce, nell’e-entertainment, negli strumenti di smart working, nonché tutte i player che sono “enablers” (abilitanti, ndr) di questo processo. Prevediamo che nei prossimi anni ingenti investimenti saranno indirizzati verso questi settori, le cui valutazioni sono elevate ma dovrebbero rivelarsi giustificate dalle sottostanti tendenze strutturali. Il secondo settore è l’assistenza sanitaria, che registrerà un solido ciclo di investimenti, in particolare a beneficio del segmento delle attrezzature ospedaliere e dell’innovazione medica. La premessa chiave è che nei prossimi anni i bilanci sanitari dei governi saranno intoccabili. All’interno dell’universo sanitario, il segmento dell’alimentazione sana - con ingredienti naturali, meno grassi, zucchero e sale - è inoltre un buon esempio di slancio settoriale accelerato nella fase post-Covid. La vostra strategia è su aziende che perseguono crescita sostenibile e duratura: sono favorite nel dopo-Covid? La nostra strategia, basandosi su un approccio di investimento socialmente responsabile, si concentra su aziende di qualità che hanno definito una forte mission aziendale: affrontare le sfide sociali globali e beneficiare di tendenze strutturali a lungo termine, guidate dalla consapevolezza della responsabilità aziendale nei confronti di tutti gli stakeholder e della società nel suo complesso. Queste aziende offrono la più forte garanzia di una crescita maggiormente condivisa e quindi più durevole e sostenibile.


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TITOLI ESG

La solidarietà è l’unico investimento che riesce sempre a non deludere di Angelo Curiosi

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a solidarietà è l’unico investimento che non fallisce mai», sosteneva lo scrittore americano Henry David Thoreau. Un pensiero che ha valore anche nel mondo della finanza, a giudicare dall’andamento dei titoli Esg (Environmental, social, governance) nei mesi turbolenti che la pandemia di Covid-19 ha fatto vivere ai mercati. «Le aziende che riportano migliori performance nel mondo Esg hanno un beneficio competitivo che le porta a guadagnare quote di mercato e a recuperare più rapidamente le perdite nelle fasi difficili», conferma Angelo Meda, responsabile investimenti azionari di Banor Sim. «Rispetto alle crisi precedenti, però, questo forte e rapido impatto sull’economia mondiale renderà più importante del passato una di queste tre componenti: la S». I titoli legati a trend di lungo periodo come smart working o vendite online, rileva Banor Sim, hanno registrato massimi storici e l’emergenza Covid non ha fatto altro che accelerare questi trend; i titoli legati alle energie rinnovabili, invece, hanno recuperato quasi tutta la perdita di marzo, con il trend di lungo periodo che non ha subito un’accelerazione ma, nonostante il calo dei prezzi dell’energia, rimane inalterato; titoli legati a settori considerati meno sostenibili, nonostante un rimbalzo si trovano ancora a prezzi molto inferiori rispetto a quelli pre-Covid. Conviene quindi puntare su titoli Esg, specialmente ora che l’attenzione al sociale non è mai stata tanto alta? La risposta pare affermativa: «La componente sociale dell’impresa era considerata la meno importante tra le tre in un’analisi Esg», prosegue Meda, «sia per la difficoltà nella misurazione, sia per la mancata connessione, in passato, tra performance di Borsa e temi sociali. In questo momento, con disoccupazione in aumento, cassa integrazione e necessità di supporto ai sistemi sanitari mondiali, la componente sociale potrà favorire ulteriormente le società più virtuose e sostenere le comunità di riferimento, riportando interesse su una componente delle analisi Esg finora trascurata». Integrare i parametri Esg con gli strumenti tradizionali dell’analisi finanziaria non è facile: «Se vogliamo estremizzare il concetto, si potrebbe affermare che un milione di euro di profitto ottenuto attraverso un modello di business sostenibile vale di più di un milione di euro derivante da un’operatività con un ordinario modello di business. È però difficile determinare e quantificare il contributo derivante dalla sostenibilità». Da un lato infatti i dati non sono sempre disponibili e, quando lo sono, hanno una frequenza diversa da quelli contabili. Dall’altro i criteri con cui sono redatte le rendicontazioni

ANGELO MEDA, RESPONSABILE INVESTIMENTI AZIONARI DI BANOR SIM

LE AZIENDE SOSTENIBILI RECUPERANO PRIMA COMPETITIVITÀ DOPO LE CRISI. I TITOLI DELLE RINNOVABILI TRA I PRIMI A RIVEDERE I PREZZI DI MARZO non finanziarie hanno una storia relativamente recente (circa un decennio) rispetto a quella centenaria del bilancio contabile. Col risultato di avere metodologie così disomogenee, che portano a stabilire rating diametralmente opposti sulla stessa società. La Commissione Ue sta cercando di ovviare a ciò creando una tassonomia per gli investimenti sostenibili, ma anche standard condivisi di comunicazione, seppur utili, non risolvono le questioni aperte. Ciò che fa la differenza è l’approccio delle società nel valutare il livello di sostenibilità di un singolo emittente: «In Banor», conclude Meda, «adottiamo un processo che si articola su due livelli. Il primo, di carattere quantitativo, è legato a un’analisi dei bilanci di sostenibilità delle aziende in rapporto al settore di appartenenza, che ci permette di fare una scrematura iniziale. Il secondo, consiste nello stabilire un rapporto diretto con la società e valutarne lo stato e i progetti attraverso incontri con il management, tenendo conto di tutte le informazioni dirette e indirette a disposizione». Un lavoro non facile, «perché lo sforzo è identificare le società che stanno adottando criteri di sostenibilità e potrebbero beneficiarne in futuro. Banor ritiene importante guardare con attenzione alle variazioni di rating di sostenibilità, con cui come fund manager ci si deve confrontare, per cogliere i miglioramenti futuri». luglio - agosto 2020

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QUOTAZIONI ALTE, MA OPPORTUNITÀ ALTISSIME

Ancora dieci anni di gloria hi-tech Selezionando, ma si deve investire di Matteo Ramenghi*

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l rapporto tra economia e tecnologia è sempre stato molto stretto: le innovazioni tecnologiche e i progressi scientifici sono un importante motore di crescita economica, tuttavia l’impatto di una nuova tecnologia può essere inizialmente distruttivo (perdita di occupazione, deflazione) e spesso serve un periodo di adattamento prima di vederne gli effetti positivi sull’economia. Si trovano esempi in questo senso in tutte le epoche storiche, vedi l’introduzione della catena di montaggio agli inizi del ‘900. Negli ultimi anni gli avanzamenti non hanno riguardato solo robotica, processi produttivi o biotecnologie; alcune delle innovazioni più dirompenti hanno fatto sì che alcuni prodotti venissero sostituiti da contenuti fruibili online – pensiamo ai media, Cd, Dvd, ecc. Le catene produttive e distributive che sostenevano la componente “fisica” di quei prodotti hanno perso rilevanza mentre ne hanno beneficiato i consumatori e un numero limitato di aziende tecnologiche. Per questo si dice che viviamo nell’era della “tech economy”, caratterizzata dalla confluenza tra tecnologia e forze economiche. Il risultato è un’economia globale sempre più tecnologica, dove la separazione tra mondo digitale e mondo fisico diventa labile. L’ultimo decennio è stato caratterizzato dall’introduzione di nuove tecnologie dirompenti ma il loro effettivo impiego nella gran parte dei settori produttivi è stato limitato. Questo decennio sembra invece essere caratterizzato da una crescente penetrazione della tecnologia in tutti i settori produttivi, anche grazie ai nuovi supporti che rendono l’accesso più semplice come il 5G e il cloud. Il fulcro centrale di queste trasformazioni è infatti l’utilizzo di dati che vengono ormai registrati automaticamente a oggetti connessi a internet (il cosiddetto internet delle cose). Secondo le nostre stime, la mole dei dati crescerà di oltre dieci volte nel prossimo decennio. La sostenibilità ambientale è un altro cardine della rivoluzione tecnologica, spaziando dall’istruzione all’agricoltura, dall’automazione all’energia. Il Covid-19 ha certamente dato una ulteriore spinta a questi cambiamenti che hanno ormai coinvolto tutte le generazioni e tutti i continenti. L’impatto di queste trasformazioni comincia ormai a essere visibile anche in settori tradizionali come l’agricoltura e l’immobiliare. Basti pensare al rapido cambiamento della domanda di immobili per via della diffusione dell’e-commerce e del lavoro da casa. I centri di logistica e di gestione dei dati stanno guadagnando terreno a scapito degli spazi commerciali e degli uffici condivisi da molte persone. 50

PREMIARE LE SOCIETÀ CHE SANNO INNOVARE ALL’INTERNO DEI PROPRI SETTORI, EVITANDO QUELLE INCAPACI DI RESTARE AL PASSO CON I TEMPI

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La quarta rivoluzione industriale è solo agli inizi e a oggi probabilmente prevalgono gli aspetti “distruttivi” per quanto riguarda l’occupazione. Per stare al passo con le nuove tecnologie occorrono ricerca, investimenti privati e pubblici. Gli Stati Uniti sono partiti per primi, la Cina sta rapidamente recuperando terreno e in alcune aree li sta addirittura superando, l’Europa ha invece perso terreno e non è più leader sulle tecnologie di punta. Non tutto è perduto comunque. Il nuovo scenario dei tassi d’interesse e la forte risposta fiscale alla crisi generata dal Covid-19, nella speranza che il Recovery Fund venga approvato in linea alla proposta della Commissione europea, potranno consentire di mettere in campo capitali che potrebbero agevolare un recupero. Le regole di stabilità fiscale dell’Unione europea sono state centrali nella strategia economica ma risalgono agli anni ‘90 ed evidenziano dei chiari limiti in un contesto di crescente competizione tra potenze economiche. Che influenza hanno queste considerazioni sugli investimenti? Ci aspettiamo che il prossimo decennio rappresenti un periodo di crescente diffusione delle nuove tecnologie in tutti i settori produttivi, anche quelli più tradizionali. Occorrerà quindi selezionare le società che sanno innovare all’interno dei propri settori di appartenenza, evitando quelle incapaci di rimanere al passo con i tempi. Non basterà più privilegiare un settore produttivo rispetto a un altro, ma occorrerà comprendere la capacità di adattamento di ciascuna azienda. * Chief Investment Officer UBS WM Italy



CRYPTOCURRENCY/1

Criptovalute ammesse a Palazzo Abi e Consob almeno ne parlano di Riccardo Venturi

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e banche italiane sono disponibili a partecipare a progetti e sperimentazioni di una moneta digitale di Banca centrale europea. Sul tema l’Abi ha istituito dallo scorso anno un gruppo di lavoro dedicato ad approfondire gli aspetti legati a monete digitali e cripto asset»: lo scorso 18 giugno l’Associazione bancaria italiana ha così sdoganato ufficialmente il tema criptovalute: non si tratta più, insomma, di una materia riservata ai pirati. Segnali in tal senso erano già arrivati nei mesi scorsi da Francoforte: in uno dei suoi primi discorsi da presidente della Bce, Christine Lagarde ha annunciato di voler accelerare il lavoro della task force già al lavoro sulla Central Bank Digital Currency (CBDC) citata anche dall’Abi. L’obiettivo della task force è stato così definito dal presidente Mehdi Manaa: «Costruire una capacità collettiva di comprendere, monitorare e gestire le attività criptate nella Bce». Due giorni prima dell’annuncio dell’Abi, però, il presidente della Consob Paolo Savona ha messo in guardia sui rischi della moneta digitale. «Se si disponesse 52

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LA BCE HA DATO IL “LÀ” ANNUNCIANDO DI VOLER ACCELERARE IL LAVORO DELLA TASK-FORCE CHE DOVREBBE GESTIRE “LE ATTIVITÀ CRIPTATE” la nascita di una criptomoneta pubblica» ha scritto Savona, «il sistema dei pagamenti si muoverebbe in modo indipendente dalla gestione del risparmio, che affluirebbe interamente sul mercato libero, cessando la simbiosi tra moneta e prodotti finanziari»: un dibattito che sembra destinato a continuare nei prossimi mesi. Sono passati solo dieci anni ma sembra un secolo da quando, il 22 maggio 2010, il programmatore Laszlo Hanyecz comprò due pizze da “Papa John” a Jacksonville, in Florida, pagandole 10mila Bitcoin: è il primo caso documentato di utilizzo di criptovalute per l’acquisto di un bene. Col senno di poi forse Hanyecz avrebbe fatto meglio a metterli da parte, visto che al momento di scrivere questo articolo 10mila Bitcoin valgono circa 95 milioni di dollari… O ancora meglio a venderli il 17 dicembre 2017, quando il loro valore sarebbe stato più del doppio, 200 milioni: poi la bolla è scoppiata, ed è iniziato quello che è stato definito cripto winter, l’inverno delle criptovalute. Un’espressione che oggi pare quantomeno affrettata, visto che dal minimo sotto i 3mila dollari di dicembre 2018 oggi il Bitcoin è risalito a 9500. Ma soprattutto perché, seppur lontano dai riflettori mediatici che dopo lo scoppio della bolla si sono rivolti altrove, il fenomeno delle criptovalute è oggi più vivo che mai, ben al di là dei soli Bitcoin e anche dell’interesse


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delle banche centrali. Ogni giorno ne nascono di nuove (al momento di scrivere sono 2.677), e la capitalizzazione complessiva è di circa 270 miliardi di dollari, di cui 175, pari a circa il 65%, è la quota dei Bitcoin. Il volume di scambio giornaliero è di circa 100 miliardi di dollari, mentre il Forex in media nel 2019 ne ha scambiati 6.600 miliardi al giorno. Un mercato ancora relativamente piccolo quindi, ma è ormai evidente che non si tratta di una meteora. Lontano dai clamori dei media le criptovalute stanno trovando un nuovo assetto, che si regge su tre capisaldi. Primo, i Bitcoin, che tendono a diventare sempre più un’alternativa digitale all’oro – come indica anche il termine che definisce chi contribuisce alla sua creazione: miner, minatore - ma sembrano aver abdicato alla possibilità di costituire una moneta di scambio a causa dell’enorme volatilità, della lentezza delle transazioni (meglio, da questo punto di vista, anche l’altra criptovaluta Litecoin) e del grande dispendio energetico richiesto come prova del proprio ruolo ai validatori. Secondo, la piattaforma Ethereum, la cui importanza sta forse superando quella degli stessi Bitcoin – anche se non per FRANCESCO BRUSCHI capitalizzazione, che è comunque al secondo posto con 26 miliardi di dollari che ha aperto la via all’utilizzo della blockchain che sta alla base delle criptovalute per la creazione di un numero infinito di applicazioni, remunerata attraverso Ether, la criptovaluta dello stesso Ethereum. Terzo, le stablecoin, che promettono di risolvere il problema della volatilità, e quindi si candidano a essere un’efficace moneta di scambio, tramite l’ancoraggio a monete fiat, commodity quali l’oro, oppure attraverso complessi meccanismi automatici: è il caso di Tether, ancorato al dollaro in un rapporto 1 a 1, che non a caso ha scalato la classifica della capitalizzazione fino al terzo posto con 9 miliardi di dollari; ma anche quello di Libra, la criptovaluta di Facebook che con il secondo white paper diffuso ad aprile è scesa a più miti consigli, allontanandosi a grandi passi dal nobile modello anarchico della validazione aperta a tutti (permissionless) tipica di Bitcoin e delle criptovalute propriamente dette, configurandosi così come una moneta digitale ancorata a quelle esistenti che promette un utilizzo su scala planetaria. Proprio gli stablecoin aprono le porte alle CBDC, che potrebbero sostituire le valute tradizionali e come abbiamo visto interessano a Abi e Bce. Ma ripartiamo da Bitcoin. «Si è dibattuto se dovesse essere più uno store value, un mezzo per mettere il valore al sicuro similmente all’oro» dice Francesco Bruschi, direttore dell’osservatorio Blockchain & distributed ledger al Politecnico di Milano, «oppure se dovesse puntare a diventare effettivamente un mezzo tecnico con cui viene scambiato valore. La prima opzione si è pian piano affermata, e man mano che usciva dalla sua cerchia di utilizzo il Bitcoin si è apprezzato. Nel frattempo si sono evidenziati limiti sulla quantità di scambi che si possono fare nell’unità di tempo e problemi con il costo del meccanismo di consenso su cui si basa». Mentre il Bitcoin si sviluppava e veniva sempre più conosciuto, è nata una considerazione

PAGNOTTONI (UNIPV): «ATTENZIONE, LE VALUTE COMPLEMENTARI SONO DEI VERI MOSTRI DI VOLATILITÀ» tra i suoi sviluppatori: perché non utilizzare la tecnica che c’è sotto anche per degli scopi più generali, per applicazioni che non si limitino al trasferimento di valore monetario? «È nata così l’idea da cui scaturisce Ethereum: prendere la blockchain che è alla base di Bitcoin e farla diventare uno strumento che possa abilitare applicazioni disparate» spiega Bruschi, «alcune molto interessanti e potenzialmente disruptive: dall’automazione di sistemi finanziari a quelli di contratti complessi come quelli che legano gli utenti di un’assicurazione, fino a forme di identità digitale nuove e potenti». Sulla scia di Bitcoin nasce così Ethereum con la sua criptovaluta Ether, anch’essa oggetto di investimenti e speculazioni: ha toccato i 1400 dollari nel 2018, oggi ne vale 230 – ma a differenza di Bitcoin non ha un numero massimo prestabilito di unità emesse. Un’efficace analogia è quella che vede i Bitcoin come l’oro digitale, e gli Ether come il petrolio necessario a fare da carburante per l’elaborazione di tutti i tipi di transazioni o applicazioni complesse sull’enorme super computer globale decentralizzato che prende il nome di piattaforma Ethereum. Che ha anche il merito di sperimentare un tipo di validazione della blockchain più sostenibile, che invece di un forte dispendio di energia prevede una certa quantità di criptovalute messe in garanzia: se il validatore non fa bene il suo mestiere, le perde. Tra gli asset digitali costruiti sulle blockchain ci sono i token, molti dei quali sono monete digitali proprio come le criptovalute, con la differenza che non hanno la propria blockchain ma sono costruiti su quella di altre criptovalute: è il caso di Tether, così come di Maker, Bitcoin Cash e altre centinaia. «Uno degli esempi più famosi dell’utilizzo dei token sono gli Ico, Initial coin offering che hanno avuto un successo enorme nel 2017 e 2018» dice Giacomo Vella, ricercatore dell’Osservatorio Blockchain & Distributed Ledger, «le startup per finanziarsi emettono degli utility token prima di aver creato un servizio, in pratica prevendono la possibilità di utilizzarlo quando e se diventerà attivo». Il quadro si completa con la rapida crescita delle cosiddette stablecoin. «Le criptovalute sono nate per essere mezzi di scambio» osserva Paolo Pagnottoni, ricercatore al dipartimento di Scienze economiche aziendali dell’Università di Pavia, «ma in realtà sono un mostro di volatilità, e questo le rende impraticabili. Per questo sono nate le stablecoin, il cui valore può essere legato a un altro asset o commodity». Forse un giorno si avrà più fiducia nella blockchain che nella garanzia delle banche centrali. Come suggerito dal fondatore di PayPal David Sacks, al posto del “In God we trust” stampato sui dollari si fa largo un nuovo motto: In math we trust. luglio - agosto 2020

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CRYPTOCURRENCY/2

...E la moneta digitale si scoprì bene rifugio al pari dell’oro di Riccardo Venturi

PARRAVICINI (SWAN AM): «PER ENTRAMBE LA QUANTITÀ È DEFINITA: L’ORO VALE 9 TRILIONI DI $, LE CRIPTOVALUTE 270 MLD MA IL VALORE SALIRÀ»

ALESSANDRO PARRAVICINI DI SWAN ASSET MANAGEMENT SA

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e criptovalute sono un bene rifugio interessante in una logica di medio lungo periodo (5-10 anni), in quanto non inflazionabile dall’intervento delle autorità economico monetarie che stanno finanziando deficit pubblici in rapida crescita a causa della recessione globale da pandemia, il che prima o poi farà sentire i suoi effetti sulle valute. Parola di Alessandro Parravicini, strategic advisor per Swan Asset Management SA di Lugano, autore del recente volume Jungle Guide. Investire: il modo più difficile per fare soldi facili. «C’è chi parlando di criptovalute fa riferimento a un safe asset alternativo», dice Parravicini, «l’offerta è vincolata dall’algoritmo, non si può produrne più di quanto scritto nel codice, un po’ come l’oro o altri me54

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talli preziosi la cui quantità disponibile è data ed è impossibile crearne altra. Il mercato dell’oro come controvalore complessivo è nell’ordine dei 9 trilioni di dollari; le criptovalute sono sotto i 270 miliardi, meno del 3%: se lo si prende come bene rifugio in quanto non svalutabile, c’è tanto spazio». Tanto più che le criptovalute ormai costituiscono un asset affermato, non più una nicchia per iniziati: «Negli Stati Uniti ci sono contratti derivati standardizzati sulle principali criptovalute», sottolinea Parravicini, «in particolare future e opzioni su Bitcoin e Ethereum. Strumenti che vengono creati unicamente quando il sottostante è un asset finanziario ampiamente diffuso». Con la crisi pandemica è caduto il divieto assoluto di finanziamento dei deficit pubblici da parte delle banche centrali. «Dal quantitative easing si è passati alla monetizzazione del debito» afferma Parravicini, «non lo si potrebbe dire, sembra una parolaccia, e non giudico se sia un fatto buono o cattivo. Ma come diceva Jim Rogers, socio di George Soros, non si può investire per come dovrebbe essere il mondo, ma per come il mondo è». La realtà è che gli stati sono tornati a fare tanto debito contando sul fatto che saranno le banche centrali in un modo o nell’altro a coprirlo. «Che lo facciano direttamente o no sul mercato è solo una foglia di fico» rimarca Parravicini, «io investitore non ho problemi a comprare Btp, Bonos, Oat anche a rendimenti compressi, tanto so che dietro di me c’è un secondo compratore che si chiama Banca centrale europea che in qualsiasi momento si prende la mia carta». La monetizzazione del debito che è in corso avrà insomma prima o poi un effetto inflazionistico, anche se questo avverrà in tempi non brevi. «La Fed ha detto che di rialzare i tassi fino al 2022 non se ne parla» nota Parravicini, «se lo dicono loro che sono l’economia che ha gli anticorpi inflattivi più potenti ci dobbiamo credere, ma prima o poi qualcosa succederà». Questo rende interessanti gli asset che proteggono il valore reale della ricchezza. «Tra gli asset liquidi con queste caratteristiche tradabili normalmente, a parte le Borse che sono sopravvalutate» osserva Parravicini, «ci sono i bond inflation linked, i metalli preziosi, e io ci metto anche le criptovalute, una realtà liquida destinata a rimanere, anche se molto volatile: l’anno scorso ha perso il 25-30% da inizio anno, quest’anno ha guadagnato il 3035%. Per usare un’espressione cara a Wall Street, insomma, non è roba per vedove e orfani…».



IL GESTORE

Il virus non frena l’immobiliare un 10% di mattoni è sempre ok di Rosaria Barrile

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urante l’emergenza sanitaria causata dal Covid-19, le pareti domestiche hanno rappresentato l’unico luogo in cui single e famiglie hanno potuto lavorare, ricorrendo allo smart working, imparare, accedendo alla didattica a distanza, acquistare on line e persino passare il proprio tempo libero, condividendo spazi e persino pc o smartphone. Ma queste nuove abitudini potrebbero avere ancora a lungo un consistente impatto sui rendimenti offerti dal settore immobiliare sia direttamente, sia indirettamente come asset class finanziaria. A fornire un quadro di quanto sta avvenendo a livello globale è Guy Barnard, co-responsabile della divisione Global property equities di Janus Henderson Investors. «Nel corso della pandemia del Covid-19 le quotazioni azionarie di molte società immobiliari attive nella locazione residenziale sono scese di pari passo con quelle di altri Real estate investment trust (Reit, ndr) commerciali che generano reddito, a causa dei timori per i futuri tassi di pagamento degli affitti e delle prospettive dei canoni di locazione di mercato. Negli Stati Uniti, i dati del National Multifamily Housing Council Survey mostrano livelli di riscossione mensili pari al 95% a fine aprile e la tendenza appare in miglioramento agli inizi di maggio. Ciò sembra sottolineare la solidità del segmento residenziale persino nei periodi di crisi. Analogamente in Germania le società immobiliari quotate hanno riscontrato un impatto limitato sulla riscossione dei canoni di locazione e continuano a prevedere una crescita degli affitti, in linea con un trend che resta stabile da diversi anni e che neppure la crisi finanziaria globale è riuscita ad arresta56

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SECONDO JANUS HENDERSON INVESTORS, NONOSTANTE IL CALO DEGLI AFFITTI NEL RESIDENZIALE E IL CALO DELLA DOMANDA DEGLI UFFICI, IL SETTORE RESTA APPETIBILE Guy Barnard, Co-responsabile della divisione Global property equities di Janus Henderson Investors

re. Restiamo pertanto ottimisti riguardo alle prospettive per i proprietari di immobili residenziali nonostante l’incertezza del contesto normativo».

Quali sono gli elementi di incertezza che potrebbero pesare di più sul residenziale? Da fine marzo, in molti Paesi sono state adottate moratorie che impediscono ai proprietari di sfrattare gli inquilini anche in caso di mancato pagamento; la durata di queste misure resta però incerta. Inoltre in diverse città di tutto il mondo la disponibilità limitata di abitazioni con prezzi moderati è diventata un problema e l’attuale crisi mette ulteriormente in evidenza l’importanza di fornire abitazioni a chi lavora in settori chiave, come operatori sanitari e insegnanti. Di conseguenza alcune città hanno adottato misure di controllo per contenere l’aumento dei canoni d’affitto. Quale effetto avrà lo smart working per il comparto degli uffici?


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Fare previsioni è difficile ma riteniamo che nel complesso nei mesi a venire il mercato degli uffici attraverserà una fase di difficoltà. La domanda è: quanto sarà critica e quanto a lungo si protrarrà questa fase? Negli ultimi decenni negli uffici si è assistito a una riduzione degli spazi per via di una ricerca in termini di maggiore efficienza. Verosimilmente, date le norme per il distanziamento sociale, occorrerà invece ampliare lo spazio disponibile per singolo dipendente. Potremmo pertanto aver messo la parola fine alla costante diminuzione dello spazio per persona in ufficio, a tutto vantaggio dei locatori. È probabile che la necessità di un maggiore distanziamento tra i lavoratori abbia un impatto negativo soprattutto sugli edifici più vecchi e di qualità inferiore poiché sarà più difficile suddividere i dipendenti in più gruppi per poi ricollocarli all’interno dell’edificio. D’un tratto il numero di ascensori per persona e la qualità dei sistemi di riscaldamento, ventilazione e climatizzazione hanno assunto un’importanza pari a quella dell’ubicazione dello stabile. In piena recessione globale le aziende potrebbero quindi cercare di ridurre i costi, in primis quelli derivanti dall’affitto degli uffici. Se i dipendenti possono continuare a lavorare da casa garantendo gli stessi livelli di efficienza che avevano in ufficio, senza dubbio alcune società rivedranno le loro esigenze in termini di spazi. L’impatto sulla domanda di uffici non sarà così negativo come potrebbe apparire a una prima analisi e pertanto i paragoni con il mercato dei negozi fisici al dettaglio, in grave difficoltà, ci sembrano ingiustificati. Molte persone non hanno case adatte a diventare anche uffici. Lavorare in camera da letto, in corridoio o in garage con l’aspirapolvere e i bambini in sottofondo può andare bene nel breve periodo, ma la novità potrebbe presto perdere attrattiva. Prima dell’emergenza Covid-19 lo student housing e il senior housing and care sembravano aver catturato l’attenzione degli addetti ai lavori per le potenzialità di sviluppo. É ancora così oppure dobbiamo aspettarci una perdita di appeal per queste due asset class? A breve termine entrambi i settori si troveranno ad affrontare una serie di sfide a seguito della pandemia di Covid-19 e probabilmente vedranno diminuire alcuni redditi da locazione a causa dell’eccezionalità di questo momento. Ciononostante, guardando oltre i prossimi 12-18 mesi, si confermeranno come tendenze strutturali a lungo termine sia la crescente domanda di istruzione universitaria, e quindi di alloggi ben serviti per studenti, sia l’invecchiamento demografico che richiede alloggi specializzati. Consideriamo quindi qualsiasi debolezza nel breve termine come un’opportunità per aumentare l’esposizione a quelle aree del mercato immobiliare che vediamo come vincenti sul lungo periodo”. Qual è in questo momento la vostra strategia di investimento? Negli ultimi anni abbiamo valutato con più attenzione l’impatto del cambiamento degli stili di vita e delle tecnologie sul mercato immobiliare. Il frutto di questa analisi è stata un’esposizione molto limitata alle attività di vendita al dettaglio: non abbiamo per esempio alcuna esposizione sui centri commerciali negli Stati Uniti o in Europa. Nello stesso tempo abbiamo incrementato l’interesse per aree come gli asset logistici, che costituiscono una parte critica della rete di distribuzione per aziende come Amazon. Al momento la

ANCHE SE CI SARÀ QUALCHE PERTURBAZIONE NEL BREVE PERIODO, I DRIVER A LUNGO TERMINE DELLA DOMANDA POTREBBERO ADDIRITTURA ESSERE RAFFORZATI resilienza dei flussi di cassa e dei bilanci è fondamentale per proteggere il valore e determina vincitori e vinti a livello azionario. Siamo rimasti concentrati su aree di crescita strutturale, come quella industriale/logistica, e sull’affitto di immobili residenziali e tecnologici: data center e cell tower. In questo caso riteniamo che la pandemia di Covid-19 agisca da acceleratore di tendenze già in atto. Anche se ci sarà qualche perturbazione, sarà nel breve periodo, e i driver a lungo termine della domanda in questi settori potrebbero addirittura essere rafforzati. Come inserire questa asset class nel portafoglio? Molti studi hanno dimostrato che un’allocazione nei titoli immobiliari come parte di un portafoglio bilanciato di azioni e obbligazioni porterà a rendimenti più elevati, corretti per il rischio, per gli investitori. In genere il beneficio è massimizzato con un’allocazione di circa il 10% per gli immobili. Come team diamo molta importanza alla qualità del management e ai fattori Esg, ma cerchiamo anche di pensare in maniera critica, ponendoci diverse domande, come per esempio: è un buon settore su cui puntare a lungo termine? Di quali aree non si parla, quali opportunità esistono che altri possono ignorare? Consideriamo pertanto un fondo come il nostro Global property equities fund A2 Eur, che è gestito attivamente con riferimento all’Indice Ftse Epra Nareit Developed, come parte di un portafoglio equilibrato per la maggior parte degli investitori, in grado di fornire redditi e vantaggi in termini di diversificazione, nonché di liquidità continua. Il fondo investe almeno l’80% del patrimonio in un portafoglio di titoli azionari e titoli correlati ad azioni di fondi d’investimento immobiliari - Reit - e società che investono in immobili, di qualsiasi Paese. luglio - agosto 2020

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PARLA SUNDSTROM (PIMCO)

La Ciclicità 2.0 sarà verde e avrà un’anima digitale di Mario Romano

SONO I CHIP, NON I MATTONI, CHE CONTANO NEL MONDO DEL DOPO COVID-19. E TUTTO CIÒ CHE TUTELA L’AMBIENTE AVRÀ IL FAVORE DEI TEMPI

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e cose stanno migliorando, in alcuni casi in misura evidente. Le economie si stanno lentamente riaprendo e i dati economici mostrano segni incoraggianti di vita. Anche se non è ancora chiaro quanto sarà veloce la ripresa o se ci saranno ricadute diffuse nei casi di Covid-19 e un ritorno alle chiusure economiche, vale la pena considerare cosa fare prima di una potenziale ripresa post-pandemica che, alla fine, si concretizzerà», così si esprimes ul prossimo futuro a Investire Geraldine Sundstrom, managing director, responsabile strategie multiasset e portfolio manager di Pimco, il colosso dell’asset management statunitense che sede a Newport Beach in California. Dunque che fare? Per la Sundstrom «in genere, ha senso aumentare l’esposizione ai settori ciclici e alle imprese all’inizio del ciclo economico per poter godere della ripresa che ci attende». Tuttavia, secondo l’esperta di Pimco, queste regole base potrebbero non essere più applicabili in un’era di cambiamenti dirompenti. Questa volta, gli investitori dovrebbero seguire quello che accade e le misure che i governi stanno applicando per rilanciare le loro economie. «Pur essendo uniche e specifiche per ogni Paese o regione, le iniziative politiche in gran parte del mondo hanno un insolito numero di punti in comune, con un sostanziale sostegno che ricorre attorno a due grandi temi: il green e il digitale». I due temi decisivi per la ripresa, dunque, secondo Pimco sono proprio questi. Partiamo dal green: Il 15 maggio di quest’anno, la Cancelliera tedesca Angela Merkel e il Presidente francese Emmanuel Macron hanno proposto un piano di ripresa economica da 500 miliardi di euro affermando chiaramente che tale piano sarà molto diverso del passato e idoneo a garantire la svolta green. Anche la Cina, che negli ultimi due decenni ha fatto affidamento su una spinta infrastrutturale per alimentare la crescita, sta andando in questa direzione annunciando che la ripresa non si baserà su mattoni e malta. E la Corea del Sud, campione dell’export, ha progettato un pacchetto di stimoli focalizzato sulla digitalizzazione e sulla de-globalizzazione. In questo contesto, le batterie e i veicoli elettrici, così come i dispositivi per l’energia solare, sembrano essere i primi candidati a beneficiare di sussidi e della spesa pubblica. Inoltre, è probabile che i governi aumentino le tasse sull’inquinamento, desiderosi di rendere concreto il “sogno” green. Secondo 58

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Geraldine Sundstrom, managing director, responsabile strategie multiasset e portfolio manager di Pimco

motore della ripresa, si diceva, è il digitale: in un recente blog, Pimco ha evidenziato i cambiamenti strutturali e comportamentali che potrebbero derivare dalla pandemia di Covid-19 e che determineranno i vincitori e i perdenti della nuova era. Così come Pimco ha evidenziato gli sforzi dei governi per competere in un mondo sempre più digitale che vedrà la costruzione di “nuove infrastrutture” basate su 5G, WiFi 6, servizi cloud e data center, intelligenza artificiale, big data e smart city. Non solo: le aziende verranno incentivate, sia economicamente che politicamente, per riportare nel proprio Paese una parte della produzione. Ma per far sì che ne valga la pena, le aziende dovranno aumentare l’automazione dei loro processi nel tentativo di ridurre i costi. La domanda di robot dovrebbe subire un forte balzo nei prossimi anni con l’evolversi di queste tendenze e le aziende di robotica e automazione dei processi avranno probabilmente un ruolo via via più importante con il rallentamento dell’integrazione dell’economia mondiale. «I tempi sono cambiati”, conclude la Sundstrom. “Potremmo essere in anticipo su una nuova era ciclica o sulla Ciclicità 2.0. Se la precedente era veniva definita dai progetti infrastrutturali, questa seconda si concentra maggiormente sugli elementi immateriali che ci circondano e ci sostengono: sono i chip, non i mattoni, che contano».


Voglio trasformare la crisi in un momento di crescita per la mia azienda

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INTERVISTA A LORENZO ALFIERI, COUNTRY HEAD PER L’ITALIA DI J.P. MORGAN ASSET MANAGEMENT

Elezioni Usa e crisi con Pechino alta volatilità fino a novembre di Gloria Valdonio

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iviamo con la scienza divisa a metà, tra previsioni di nuove epidemie (benché circoscritte) e conseguenti lockdown a scacchiera, e depotenziamento del virus che declassificherebbe una sua ricomparsa a una specie di influenza stagionale, risulta difficile per gli strategist formulare outlook sull’andamento dei mercati nella seconda metà dell’anno. Ancora più difficile è mantenere accesa quell’euforia che ha accompagnato la fase di recupero dei mercati azionari, con alcuni indici - come l’S&P500 – tornati ai valori di inizio anno, che sembrava indicare una graduale ma definitiva uscita dall’emergenza. «Un’euforia», afferma Lorenzo Alfieri, country head per l’Italia di J.P. Morgan Asset Management, «che era supportata fondamentalmente dalla convinzione che le ingenti manovre fiscali e monetarie messe in campo con grande tempestività dalle principali istituzioni internazionali avessero favorito uno scenario di crescita anche migliore del precedente». In mezzo a questo caos Investire ha chiesto ad Alfieri su quali fattori puntare per formulare uno scenario per il secondo semestre e orientare al meglio i propri investimenti.

Per prima cosa, come spiega il recupero dei mercati delle ultime settimane? Il recupero è stato molto significativo perché l’origine del blocco produttivo di molti Paesi occidentali non è stata economica o finanziaria, ma nasceva da fattori estranei, nello specifico sanitari. In più arrivavamo da una ripresa importante, con le principali economie che esprimevano dati macro più che soddisfacenti. Queste dinamiche non sembrano essere venute meno ora, grazie alle straordinarie misure di natura monetaria e fiscale, nonché ai consumi che sono tornati - soprattutto negli Usa - ai livelli precedenti la crisi. Proseguirà quindi la fase positiva anche nelle prossime settimane? In questo momento i mercati stanno scontando una pronta ripresa dell’economia, dei consumi, della fiducia e delle aziende che si sono dimostrate molto reattive. Ma prima di capire se la strada intrapresa è quella giusta e fare previsioni sulla seconda parte dell’anno bisognerà analizzare molto bene i dati macro economici e i risultati aziendali. Quello che invece è certo è che la volatilità rimarrà elevata, perché ci sono tre fattori decisivi per i mercati, che sono anche tre grandi interrogativi: un’ipotetica seconda ondata epidemica, le elezioni americane, e lo stato dei rapporti tra Usa e Cina. Veniamo al primo interrogativo… Un secondo lockdown inevitabilmente comprometterebbe il recupero fatto e darebbe il via a un nuovo crollo dei consumi, dell’attività economica e della fiducia. La profondità di un’ipotetica seconda fase di crisi avrebbe conseguenze molto serie, perché 60

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UN NUOVO LOCKDOWN CERTAMENTE COMPROMETTEREBBE IL RECUPERO E FAREBBE CROLLARE I CONSUMI

LORENZO ALFIERI, COUNTRY HEAD PER L’ITALIA DI J.P. MORGAN AM

i governi e le Banche centrali non avrebbero più munizioni per fermare la recessione, che finora è stata limitata nel tempo e circoscritta nello spazio dalle istituzioni centrali. Veniamo agli altri due fattori di crisi: elezioni americane e rapporti Usa-Cina Questi sono due elementi collegati, e sono la causa della volatilità che ci accompagnerà fino a novembre. Gli attuali candidati alla presidenza americana hanno tra loro uno scarto molto limitato. E questo potrebbe indurre il presidente Donald Trump a mettere in atto misure inaspettate, come per esempio innalzare il livello di conflittualità con la Cina al fine di mantenere la leadership. In questo caso si allontanerebbe quello scenario di pax commerciale che era stato uno degli elementi trainanti del 2019 con i benefici effetti sui mercati che conosciamo. Quali sono allora le migliori soluzioni di portafoglio? In questo scenario è bene entrare progressivamente nei mercati finanziari (perché individuare il momento giusto sarà impossibile), avere una prospettiva di medio termine a causa delle innumerevoli incognite, e soprattutto non vanno cercate opportunità - che non ci sono - puntando solo sulle aziende di qualità con un posizionamento molto solido nei mercati di riferimento e buone prospettive di crescita. Nello specifico, per quanto riguarda l’azionario, sono positivo su Usa e Paesi emergenti dell’area asiatica. Per la parte emergente in particolare, è possibile trovare valore in alcuni investimenti in valuta locale, come il rublo, la rupia e il peso messicano.



L’ESPERTO DI ANALISI

«L’industria del risparmio ha dimostrato una nuova maturità» di Angelo Curiosi

«L’

industria del risparmio gestito e l’altra, spesso integrata e comunque sempre correlata, delle reti di vendita, si sono comportate bene nella fase calda della crisi del Covid e dei mercati finanziari. È merito dei professionisti del mercato che le quotazioni sono crollate meno di quanto si potesse temere ed hanno poi recuperato. Si sono visti comportamenti corretti che hanno certamente ben influenzato gli investitori, soprattutto i privati, che sono una massa importantissima ma difficilmente gestibile, perché è più gestita dalle emozioni che da altro. Avrebbero potuto fare danni a se stessi, invece si vede anche dall’andamento degli indici che tutto sommato è andata bene». Già, ma adesso, dottor Costan? «Adesso secondo me è il momento di interrogarsi e fare un pò di attenzione a quello che succederà nel prossimo futuro». Gianni Costan, amministratore delegato di Fida, è un osservatore attento e privilegiato delle dinamiche dei mercati finanziari. La società che guida lavora ogni giorno su un’enorme mole di dati, software, analisi. Quotidianamente analizza il mercato finanziario e in particolare quello del risparmio gestito e degli strumenti d’investimento, che definisce «un mondo in grande evoluzione che dobbiamo seguire perché cambia, è mutevole, e perché con esso naturalmente cambia non solo l’indirizzo del mercato, ma anche l’esigenza complessa degli investitori». E ne ha parlato con Sos Investire, la rubrica multimediale del nostro mensile.

remo l’uptrend che abbiamo vissuto negli ultimi anni oppure se ci sarà una fase di ripensamento. Intanto, direi che questo è un buon momento. Si aspettava che in questo momento di confusione andassero bene le medie aziende non soltanto i colossi? No, non mi aspettavo una cosa del genere, perché il classico movimento che accade in queste fasi di mercato concitate, il cosiddetto flight-to-quality, difficilmente porta capitali sulle small companies. Ritengo che però si sia ormai diffusa la consapevolezza che le small companies, e i loro comparti, sono spesso ad alta redditività, quindi anche le small companies offrono un alto tasso di qualità. Storicamente, tra l’altro, gli indici investibili che considerano appunto gli investimenti in titoli azionari di società a bassa capitalizzazione ma alta crescita sono estremamente redditizi, sono tra gli indici che storicamente bisogna tenere in conto. Quindi il flight-to-quality in questo caso ha premiato anche le piccole. A giudicare dai listini, è come se gli Usa si fossero arroccati sulle dimensioni e l’Europa abbia saputo scegliere fior da fiore… I numeri della disoccupazione negli Stati Uniti descrivono un tipico fenomeno americano. La rapidità con cui i segnali si trasmettono dall’economia alla finanza è tipicamente propria degli Stati Uniti più che dell’Europa. Lì ci sono stati tagli, disoccupazione, e ripresa borsistica. Ciò non di meno rimane interessante che le small company europee siano state oggetto di in investimento, quindi c’è del valore che evidentemente il mercato ritiene che possa essere espresso dalle azioni dagli investimenti su queste compagnie. Come valuta il mercato dei corporate bond? Una delle ultime categorie che abbiamo creato per le nostre rilevazioni è quella degli obbligazionari settoriali. Questo perché il mercato sta riconoscendo un valore alle obbligazioni corporate talmente rilevante da far nascere degli strumenti di risparmio gestito che vanno a coprire questo tipo di investimento. Tra l’altro è un fenomeno verticale su tutte le dimensioni delle aziende riguarda, sì, aziende tendenzialmente grandi ma il fenomeno dei mini bond in Italia è assolutamente interessante.

PARLA GIANNI COSTAN, CAPO DI FIDA: «RETI E FONDI SI SONO COMPORTATI BENE, ORA È TUTTO DA VEDERE»

A sostenere il mercato però c’è stata anche tanta liquidità. È vero che la liquidità è stata tanta, ma non sarebbe bastata ad arginare una fuga da panico, anche perché la violenza della discesa a cui abbiamo assistito dalla terza decade di febbraio e poi a seguire in marzo ha sicuramente generato degli stati di panico e di ansia negli investitori, ma - salvo alcuni casi in cui strumenti basati su algoritmi hanno tagliato gli investimenti e sono usciti dal mercato e non sono poi più rientrati – il resto ha tenuto. Ora potrebbe arrivare una fase laterale, di ricerca, di consapevolezza e poi potrebbe esserci un nuovo indirizzo che dirà se continue62

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INVESTIRE SPECIALIST

PREVIDENZA

Enasarco, ormai il caso è istituzionale il governo preme, l’ente non risponde di Sergio Luciano

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uattro lettere ufficiali dal governo all’Enasarco per intimare lo svolgimento immediato delle elezioni di rinnovo del consiglio d’amministrazione, e nessuna reazione. Nemmeno una piega. La vicenda della grande cassa previdenziale degli agenti di commercio bloccata sulla soglia del voto da una serie incredibile di cavilli e da una giustificazione pretestuosa – “il virus ci impedisce la campagna elettorale” – ha assunto ormai una tinta surreale che sta contaminando l’intera categoria delle venti casse previdenziali italiane, rappresentate dall’Adepp, la loro potente associazione, cui sono iscritti oltre due milioni di professionisti. Il surreale è questo: se due ministeri, Lavoro (nella foto, il ministro Nunzia Catalfo) ed Economia, non riescono a imporre nemmeno un atto dovuto e statutario come le elezioni periodiche all’organismo di governo di una di queste casse, in che modo si esprime il diritto di controllo e indirizzo che il governo deve esercitare su questi enti? E d’altra parte, se si dimostrasse – ipotesi estrema – il diritto giuridico di una cassa privata di ignorare un così chiaro e ordinario input governativo, a che titolo poi questa cassa o una sua “consorella” potrebbe richiedere ed attendersi l’intervento di salvataggio da parte del pubblico erario in caso di insolvenza? Perché lo scambio è chiaro: queste casse sono private nella gestione e nella responsabilità, ma pubbliche (e quindi soggette alla pubblica vigilanza) nell’obbligo di stabilità e tutela del risparmio previdenziale dei loro iscritti. Qualora però questo risparmio non venisse più tutelato a dovere per ammanchi o carenze gestionali, è chiaro che lo Stato interverebbe a tutelare gli interessi degli iscritti incolpevoli. Ecco perché è incredibile che l’Enasarco abbia

A SINISTRA, GIANROBERTO COSTA E A DESTRA, NUNZIA CATALFO

I MINISTERI VIGILANTI SPINGONO INUTILMENTE AFFINCHÈ LA CASSA RINNOVI I SUOI VERTICI INDICENDO LE ELEZIONI, GIÀ DIFFERITE DI TRE MESI fatto orecchie da mercante. E ammesso e non concesso che il consiglio Ensarco convocato per il 1° luglio – quando questa edizione di Investire sarà stata appena chiusa in tipografia – decidesse, bontà sua, di dar corso all’obbligo elettorale archiviando ogni pretesto, i due mesi e mezzo di ritardo rispetto alla scadenza elettorale originariamente convocata (16-30 aprile) sono già lì a gridare vendetta. La prima lettera del ministero del Lavoro è arrivata il 1° aprile, la seconda e la terza tra il 24 e il 28 dello stesso mese, e poi ancora una lettera il 16 giugno. È concepibile che un ente previdenziale vigilato ignori bellamente quattro intimazioni formali del governo? E nel frattempo, cos’ha fatto il vertice dell’Enasarco (nella foto, il presidente Gianroberto Costa)? Agendo in regime di sostanziale “prorogatio” – che potrebbe quindi potenzialmente risultare privo dei diritti istituzionali di decisione straordinarie - il consiglio ha stiracchiato le decisioni sugli aiuti post-Covid agli iscritti scontentando tutti con uno stanziamento che è giunto a circa 20 milioni che potranno però raggiungere i destinatari – una platea di circa 40 mila persone, e circa 29 mila che hanno già fatto domanda - tra la fine di luglio e il prossimo ottobre. Negli ultimi giorni si è irrobustito a Roma un gossip ministeriale secondo cui il governo potrebbe addirittura decidere un commissariamento ad acta per le elezioni. luglio - agosto 2020

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PARLA CARLUCCIO, N.1 DI EFPA EUROPE

«Linee guida Esma da migliorare ci impegneremo per cambiarle» di Marco Muffato

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e linee guida Esma del dicembre 2015 stabiliscono standard minimi per la valutazione delle conoscenze e delle competenze per il personale che fornisce consulenza sugli investimenti o fornisce informazioni su strumenti finanziari, depositi strutturati, servizi di investimento o servizi accessori ai clienti. L’Efpa, che rappresenta il sistema della certificazione professionale nel settore finanziario nell’Ue, ha colto diverse divergenze nell’attuazione negli Stati Ue degli orientamenti Esma per la valutazione delle conoscenze e delle competenze dei professionisti della consulenza finanziaria. Ne parliamo con Emanuele Carluccio, presidente di Efpa Europe.

EMANUELE CARLUCCIO

TROPPE DIVERGENZE TRA GLI STATI MEMBRI UE NELL’ATTUARE I REQUISITI MIFID2 SU CONOSCENZA E COMPETENZA DEI CF

Esma ha lasciato alla discrezione dell’autorità dei singoli Stati il ricorso alla pubblicazione di una lista specifica di “appropriate qualification” per soddisfare i requisiti di knowledge and competence del personale delle imprese di investimento. Che pensa? Il fatto che Esma abbia demandato alle autorità dei singoli Paesi tale decisione ha dato origine a un quadro estremamente disomogeneo di soluzioni adottate; se da un lato infatti ci sono Paesi, come per esempio la Spagna e l’Irlanda, che hanno individuato in modo molto puntuale un elenco di certificazioni valide ai fini della definizione delle qualificazioni ritenute appropriate, altri Paesi, tra cui l’Italia, la Germania ed Portogallo hanno preferito limitarsi a delle sole indicazioni di carattere generale - spesso coincidenti con quelle suggerite dalla stessa Esma nell’ambito delle Linee Guida - andando eventualmente a indicare un vincolo di ore minime di formazione da soddisfare. Il silenzio delle linee guida Esma in tema di livello-titolo di studio minimo per accedere al conseguimento di una “appropriate qualification” porta a situazioni divergenti tra i Paesi europei su chi possa essere parte dello staff di un’impresa che eroga servizi di investimento? Assolutamente si. Solo pochi Paesi, come per esempio la Repubblica Ceca e l’Ungheria, ravvisando nella consulenza finanziaria una vera e propria professione meritevole di un accesso regolato da precisi criteri e requisiti, hanno previsto l’obbligo di un titolo di studio minimo e cosi facendo hanno posto una barriera 64

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esplicita; altri Paesi hanno preferito non porre alcun vincolo, rendendo, nei fatti, la consulenza finanziaria una professione ad accesso libero. Altri Paesi ancora, pur non richiedendo alcun titolo di studio particolare, hanno richiesto la frequenza di corsi di formazione ad hoc e l’acquisizione di specifiche certificazioni professionali mentre altri ancora – tra cui l’Italia – hanno ritenuto, soprattutto per il personale già in servizio, di dover riconoscere l’esperienza pregressa nel settore quale condizione sufficiente per sopperire all’eventuale mancanza di un titolo di studio minimo. Le linee guida Esma hanno rimesso alle singole autorità nazionali la definizione dei dettagli tecnici e operativi inerenti il processo per il conseguimento di una “appropriate qualification”. Come giudica che ci sia spazio tanto per una valutazione di soggetti terzi all’impresa di investimento non coinvolti nell’attività di training quanto per una valutazione “interna” da parte di chi ha curato il training? Il fatto che Esma non si sia posta il problema di distinguere nettamente tra la valutazione delle conoscenze e competenze effettuata da un’entità, come per esempio Efpa, estranea non solo all’impresa di investimento ma anche all’eventuale organizzazione coinvolta nell’erogazione del processo di formazione, evidenzia il fatto che non sia stato preso in considerazione il rischio, elevatissimo, di un evidente conflitto di interesse che è insito non solo quando è l’intermediario finanziario a dover esprimere un giudizio sulle conoscenze e competenze del proprio personale ma anche quando a farlo è l’entità, istituzione od organizzazione, che si è fatta carico del processo formativo. Le linee guida Esma hanno assicurato convergenza tra i Paesi europei in tema di knowledge and competence delle persone dello staff delle imprese di investimento? Assolutamente no e questo pone problemi per la mobilità dei professionisti da un Paese all’altro dell’Ue. Va evidenziato poi che l’invito di Esma a tenere distinte e differenziate le qualifiche richieste per chi, tra il personale delle imprese di investimento, si limita a offrire solo informazioni sui prodotti e sui servizi di investimento rispetto a chi eroga un vero e proprio servizio di consulenza è rimasto inascoltato da gran parte delle autorità locali.


INVESTIRE SPECIALIST

RICERCA FINER PER ASSOGESTIONI

Quella finanza “reale” che fa bene all’economia

C’

è una finanza che va “corta” sulle nostre società quotate, si tratta di una finanza che viene volgarmente definita speculativa il cui motto è mors tua vita mea. C’è un’altra finanza, che investe in aziende con un’ottica sostenibile di medio lungo termine. Ancora prima della pandemia la finanza aveva fatto la sua scelta ben rappresentata dalle dichiarazioni di Larry Finch: «Siamo sull’orlo di una completa trasformazione della finanza che porta a riconsiderare le fondamenta stesse della finanza moderna». Molto apprezzabile la nuova opzione dell’industria del risparmio gestito che in epoca di tassi sotto zero e di fiumi di denaro impiantati in liquidità, propone prodotti illiquidi che investono in infrastrutture e nel capitale di aziende non quotate. Il punto nodale è come questi prodotti fino a oggi destinati a pochi eletti possa trovare terreno fertile anche presso il pubblico più allargato dell’investitore finale italiano. Per rispondere a questo quesito Finer ha realizzato per conto di Assogestioni una ricerca che ha coinvolto 1.600 investitori finali e 1.100 i professionisti (consulenti finanziari, private banker, gestori bancari e fund selector). La ricerca si è svolta in due periodi: prima dell’emergenza Covid-19: dal 27 gennaio al 17 febbraio 2020 e dopo l’emergenza Covid-19: dal 18 al 26 maggio 2020. Dalla ricerca emerge che il mercato potenziale c’è ed è ampio e qualificato, ma va informato, educato e sviluppato. Tra gli investitori finali si registra una crescita sia dei livelli di conoscenza (+14%), che di interesse (+13%) verso gli investimenti in economia reale dopo la pandemia. Il lockdown ha reso gli investitori finali più edotti – hanno avuto più tempo per informarsi – e anche maggiormente sensibili avendo sperimentato una nuova vulnerabilità a cui non erano preparati. Unanime è infatti la convinzione che

di Nicola Ronchetti* Investimenti in economia reale:

cresce la conoscenza dopo la pandemia > più tempo per informarsi e maggior sensibilità Dom. Ha mai sentito parlare di questi tipi di investimenti? Pir, Eltif, azioni di società e/o banche non quotate, obbligazioni di società e/o banche non quotate, infrastrutture, Npl. MEDIA RISPOSTE AFFERMATIVE VALORI% - BASE 1.600 INVESTITORI FINALI (MASS MARKET + AFFLUENT + PRIVATE)

50

AUMENTO RELATIVO CONOSCENZA +14%

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Pre-covid

Post-covid

FONTE: FINER PER ASSOGESTIONI

questi investimenti possano contribuire alla ripartenza dell’Italia. Cresce l’interesse per gli investimenti in aziende italiane, in quelle il cui impatto sociale e ambientale sia misurabile e in infrastrutture. I professionisti, ovverossia i consulenti finanziari, i private banker e i bancari, pur essendo tutti convinti che gli investimenti in economia reale possano contribuire alla ripartenza del Paese, ne sottostimano (del 17%) l’aumentato interesse e la propensione alla sottoscrizione dei propri clienti. La vera sfida per il lancio dei prodotti illiquidi passa dunque dall’informazione e dalla sensibilizzazione dell’investitore finale da parte della distribuzione e delle Sgr. Almeno questo è il punto di vista dei fund selector – cioè coloro che intermediano tra distributori e gestori – che sembrano cogliere questa distonia tra domanda e offerta e auspicano un ruolo più proattivo soprattutto della distribuzione ma anche delle case prodotto. Per i fund selector ben l’85% degli investitori finali non conosce i prodotti di investimento illiquidi; il compito di informare è in capo ai referenti per gli investimenti (100%), alle banche (99%) e in parte anche alle Sgr (66%). Le premesse e i numeri perché l’industria del risparmio gestito dia un ulteriore contributo all’economia reale e al rilancio del Paese ci sono tutte. In un mercato fortemente guidato dall’offerta, possiamo dire che la palla passa ora alla distribuzione e ai professionisti – consulenti finanziari, private banker e operatori bancari - a cui ci sentiamo di dare un unico suggerimento: battete il ferro finché è caldo. * Ceo di Finer

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COVID-19

La lunga corsa al vaccino Ecco chi può vincerla di Mauro Del Corno

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i fa presto a dire vaccino. Sette milioni di contagi in 6 mesi, oltre 400 mila vittime e la glaciazione del sistema produttivo, hanno scatenato la corsa alla ricerca della soluzione definitiva. L’antidoto a questo flagello sanitario, economico e presto sociale. Al momento si contano 183 sperimentazioni di farmaci anti-Covid, sparpagliate in una ventina di Paesi. Solo tre mesi fa erano la metà. In campo ci sono naturalmente tutti i pesi massimi dell’industria farmaceutica, da Johnson & Johnson a Sanofi, passando per AstraZeneca e Roche. Uno sforzo senza precedenti con miliardi di euro che stanno già affluendo verso questa specifica ricerca. Eppure, il risultato non è scontato. Si pensi al virus dell’Hiv, noto alla scienza da una quarantina d’anni e ancora senza un rimedio preventivo. Incerte sono anche le tempistiche. Breve o lunga che sia, la strada verso un vaccino sicuro e commercializzabile su larga scala è ricca di insidie. I tempi per sviluppare un vaccino per un nuovo patogeno attraverso metodologie tradizionali sono lunghi. La coltivazione del virus indebolito all’interno di uova di gallina, cellule animali, o di insetti, la selezione degli elementi da inoculare nel corpo umano, i test, richiedono anni, a volte decenni. Sebbene il convergere di risorse economiche e umane verso il me66

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I PESI MASSIMI DELL’INDUSTRIA FARMACEUTICA SONO IN LOTTA PER ARRIVARE PER PRIMI ALL’ANTIDOTO SUL CORONAVIRUS. MA LE INSIDIE DA SUPERARE SONO TANTE PER UNA POSTA IN GIOCO CHE È ALTISSIMA E NON RIGUARDA SOLO LA SALUTE DEI CITTADINI desimo obiettivo possa contribuire accorciarle, si tratta comunque di tempistiche poco compatibili con l’urgenza attuale. Si sta quindi battendo la strada dell’ingegneria genetica. In pratica si tenta di insegnare direttamente alle cellule umane a produrre anticorpi, fornendo loro le “istruzioni” per farlo. Spiegato nel modo più semplice (a rischio di qualche imprecisione tecnica) ci si impossessa della sequenza genica del virus, si selezionano poi i geni che interessano, ossia quelli contro cui si vuole che il sistema immunitario impari a difendersi. Nel caso del Covid19 una piccola molecola, il dente della corona, che permette al virus di scardinare la porta d’ingresso delle cellule umane. Nel secondo passaggio questi geni, adeguatamente modificati, vengono introdotti nelle cellule umane. Facile a dirsi, meno a farsi. Recapitare alle nostre cellule “il manuale di istruzioni anti Covid” non è semplice. Le tecniche sono fondamentalmente tre. Si possono far trasportare i filamenti genetici da molecole di grasso, che si infilano con relativa facilità nelle cellule. Si possono inserire i geni del Covid-19 in un altro virus come quello, più innocuo, del raffreddore. Oppure si possono utilizzare piccole molecole di Dna dette plasmidi. Ogni metodo ha vantaggi e svantaggi. Una delle società in pole position nella corsa al vaccino è la statunitense Moderna che utilizza il sistema delle molecole di grasso. Il suo farmaco è già in uno stadio avanzato della speri-


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mentazione, presto dovrebbe cominciare la fase 3 con test su larga scala. Dallo scorso marzo, la capitalizzazione della società è quadruplicata, superando i 24 miliardi. Un’esplosione di valore che rischia tuttavia di sparire altrettanto in fretta qualora l’esito finale dovesse soddisfare le premesse. Moderna ha un accordo con la svizzera Lonza per uno sviluppo congiunto. Sono entrambe società relativamente piccole e avranno bisogno di appoggiarsi ad uno dei colossi della farmaceutica per la produzione su larga scala. Un vaccino basato su principi simili è oggetto delle sperimentazioni di Translate Bio. L’azienda ha da poco siglato un accordo da 425 milioni di dollari (che potrebbero salire fino a 2 miliardi) con la francese Sanofi per la prosecuzione dello sviluppo del prodotto. Come prevedibile, nel giorno della firma, le azioni della società biotech sono balzate del 50%. Ancora meglio hanno fatto le azioni di Inovio Pharmaceuticals, quadruplicate da marzo, cioè d quando la società sta cercando di sviluppare un vaccino basato sui plasmidi. Johnson and Johnson sta invece percorrendo la strada di un vaccino veicolato dal virus del raffreddore. Per svilupparlo ha siglato un accordo con l’autorità statunitense del settore che prevede uno sforzo congiunto da 500 milioni di dollari per questa ricerca. Il colosso farmaceutico ha promesso che la distribuzione del vaccino non sarà legato esclusivamente a logiche di profitto. Ciò non di meno negli ultimi due mesi la capitalizzazione della società è cresciuta del 30% dallo scorso aprile. In salita anche le quotazioni della britannica AstraZeneca, a seguito dell’accordo raggiunto con l’università di Oxford che sperimenta un vaccino imperniato su meccanismi simili a quello di Johnson and Johnson. Ma in questo periodo tutto ciò che ha a che fare con il Covid si trasforma in oro. La svizzera Roche ha visto il suo valore aumentare di 27 miliardi, sia in quanto produttrice di test per il virus, sia perché la sua controllata giapponese Chugai realizza un farmaco che potrebbe essere utilizzato per attenuare gli effetti del Covid sui pazienti più gravi. Il valore della statunitense Vertex Pharmaceutical è per esempio cresciuto di 15 miliardi in pochi mesi. Non produce farmaci o vaccini per il Coronavirus ma medicinali per fibrosi cistica. Si teme però che il dilagare del virus possa portare a un maggior fabbisogno di questi prodotti. La posta in gioco sta salendo anche perché gli Stati hanno

NON ESISTE LA CERTEZZA CHE UN VACCINO SICURO POSSA ESSERE OTTENUTO IN BREVE TEMPO E CHE SIA COMMERCIALIZZABILE SU LARGA SCALA iniziato ad aprire i cordoni della borsa. Tutti sperano di essere i primi a mettere le mani sul vaccino, assicurandosi le prime dosi disponibili. A pensar male un vantaggio economico e competitivo non da poco. La Commissione europea ha messo sul piatto 2,4 miliardi di euro, ma già nei mesi scorsi Germania, Francia, Italia e Olanda avevano avviato trattative con Johnson & Johnson per un accesso prioritario al farmaco, se e quando sarà pronto. Gli stessi quattro Paesi hanno annunciato ad inizio giugno di aver già raggiunto un accordo con AstraZeneca per la fornitura di 400 milioni di dosi. La Casa Bianca sta sostenendo le ricerche di Moderna e di altre biotech. In questo campo, come e più che in altri, la fretta non aiuta. La sicurezza di un vaccino è fondamentale, più alta è la soglia che si vuole raggiungere maggiori sono i tempi necessari. Anche perché quella dei Coronavirus si è dimostrata una famiglia di agenti patogeni difficile da neutralizzare. Lo sviluppo del vaccino per la Sars, la “nonna” del Covid-19, è stato interrotto poiché in alcuni casi il farmaco rendeva paradossalmente più facile per il virus colpire l’organismo. Non è un fenomeno sconosciuto nello sviluppo dei vaccini e poco male se questa criticità è rilevata nel corso dello sviluppo del farmaco. Non sempre è accaduto. Questo la dice lunga sulla prudenza necessaria anche se si sta correndo una gara contro il tempo. E, ribadiamolo, non esiste una certezza che un vaccino sicuro possa essere ottenuto in breve tempo. Tanto meno uno commercializzabile su larga scala. L’altro grande rischio è la possibilità che trovato il vaccino si crei un mondo di sommersi e salvati. Paesi ricchi che si possono assicurare le prime dosi, e altri costretti ad attendere. Stanziando i suoi fondi l’Unione europea ha specificato che si adopererà perché questo non accada. E dichiarazioni d’intenti in tal senso, anche da parte dell’industria farmaceutica, non sono mancate. Vedremo, si spera il più presto possibile, se alle parole seguiranno i fatti. luglio - agosto 2020

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LE STRATEGIE DI UBI BANCA

Multicanalità, servizi e semplicità approccio globale vincente nel private di Sergio Luciano

U

n ampio rapporto Aipb-Deloitte (Associazione Italiana Private Banking-Monitor Deloitte) dedicato al posizionamento del private banking italiano nel quadro competitivo internazionale, sottolinea la rilevanza del settore nel nostro Paese. Il private banking in Italia registra un patrimonio in gestione pari a circa 840 miliardi di euro e la quota di mercato detenuta dall’industria private è del 61%, molto rilevante e superiore a quella di altri Paesi. Se si considera inoltre che in Italia una parte ingente di patrimonio non è ancora gestita da strutture specialistiche, che la propensione al risparmio degli italiani è tra le più elevate al mondo, che l’attività per gli operatori richiede un basso assorbimento di capitale e i tassi di interesse sono ai livelli minimi, non è difficile immaginare che si tratti di uno dei settori più attrattivi nel panorama bancario italiano e internazionale. In tale contesto altamente competitivo, Ubi Top Private, divisione di Ubi Banca dedicata al private banking, si inserisce con una precisa strategia di servizio e competenze. «Le sfide cui siamo chiamati per vincere in questa competizione, sempre più aggressiva, richiedono, a nostro parere, semplificazione, capacità di approccio globale alle esigenze del cliente e modelli di servizio in grado di rispondere a interlocutori sempre più preparati e alla ricerca di soluzioni su misura», afferma Riccardo Barbarini, responsabile Ubi Top Private. «Inoltre, in questo contesto, si inseriscono due elementi emersi come particolarmente rilevanti alla luce dal periodo di emergenza che stiamo attraversando: la digitalizzazione, sostenuta dall’innovazione tecnologica, e la concentrazione». Con masse intermediate pari a circa 38 miliardi di euro al 31 dicembre, la divisione è organizzata in 28 centri private presenti su tutto il territorio nazionale e conta su una rete di 300 private relationship manager che gestiscono oltre 17mila relazioni. Sono numeri che consentono a Ubi Top Private di giocare un ruolo da protagonista, posizionandosi stabilmente tra i primi operatori del mercato italiano e in continua crescita. «Dal punto di vista della digitalizzazione dei servizi, stiamo assistendo a un vero e proprio shock tecnologico, che richiede investimenti sempre più ingenti per riuscire a fornire un elevato livello di servizio ai clienti e, quindi, assisteremo a una maggiore concentrazione degli operatori anche a causa dei costi da sostenere, difficilmente conciliabili con player di dimensioni contenute se non specializzati in ambiti di 68

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È ORMAI DIGITALIZZATO OLTRE IL 75% DELLE OPERAZIONI, SIA I CLIENTI CHE I NOSTRI RELATIONSHIP MANAGER SONO IN CONTATTO ANCHE DALLE ABITAZIONI nicchia» spiega Barbarini. «Noi, già prima dell’emergenza sanitaria, avevamo semplificato tutte le operazioni rendendole paperless attraverso processi di digitalizzazione: circa il 60% dell’operatività, ovvero decine di migliaia di operazioni all’anno, avRICCARDO BARBARINI veniva senza l’uso della carta e delle relative firme con significativi risparmi in termini di costo e di tempi, oltre che con un beneficio ambientale. Oggi, con questa modalità, superiamo il 75% delle operazioni e, soprattutto nell’attuale contesto emergenziale, la digitalizzazione dei processi e la tecnologia, oltre a semplificare la vita dei nostri clienti, hanno permesso loro di operare in completa sicurezza da casa. Parallelamente, hanno consentito ai nostri private relationship manager di essere loro ugualmente vicini, in grado di garantire un’assistenza, una consulenza e un’attenzione costanti». Una delle principali caratteristiche del modello di servizio di Ubi Top Private risiede però, come anticipato, nell’approccio globale alle esigenze espresse dai clienti, spesso tipicamente rappresentati da imprenditori o da famiglie imprenditoriali: «Un approccio di “wealth management” sta orientando sempre più il nostro servizio al cliente. Non è infatti più sufficiente essere percepiti “solo” come gestori del patrimonio. A nostro avviso è indispensabile poter soddisfare tutti i bisogni che la clientela esprime e che riguardano la famiglia, l’azienda sia anche aspetti relativi al patrimonio finanziario


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e immobiliare. Creando una struttura specialistica di family business advisory, siamo stati tra i primi, all’inizio degli anni ‘2000, a intercettare l’interesse crescente del cliente private/imprenditore. Lavoriamo costantemente per costruire servizi e offrire soluzioni rigorosamente “tailor made”, che consentano di soddisfare in modo integrato esigenze sempre più complesse. Tra le più frequenti, il presidio dei rischi - personali, familiari, professionali, economici, sanitari e patrimoniali - che accompagnano la vita professionale di ognuno; la protezione del patrimonio familiare, sia esso finanziario, immobiliare o aziendale; la gestione di situazioni di “discontinuità” private e dell’azienda anche attraverso forme di finanziamento personale e all’impresa. Sono tutti fattori caratterizzanti i bisogni dei nostri clienti che devono essere gestiti insieme alle tradizionali tematiche di investimento e di asset allocation: queste ultime, da sole, non bastano più a fare la differenza. E ritengo sia un servizio di estrema attualità. L’emergenza sanitaria ed economica che stiamo vivendo ha reso particolarmente evidente quanto sia necessario modificare le modalità con cui affrontiamo gli eventi imprevisti. Oggi siamo tutti più consapevoli che tali eventi possano accadere e colpire tutti senza distinzioni, avere dimensioni e conseguenze inimmaginabili. Una pianificazione attenta e ponderata diventa quindi l’unico strumento per proteggere il patrimonio familiare, aziendale e il benessere della famiglia contro l’imprevisto e l’improvviso». Di recente Ubi Top Private ha compiuto un passo ulteriore nella direzione della specializzazione per migliorare la propria capacità di servizio creando la struttura Grandi Patrimoni, in grado di potenziare anche le sinergie interne a una banca universale come Ubi. I cardini del modello di servizio dedicato ai grandi patrimoni riguardano varie aree. Si parte dalle competenze professionali che distinguono i private relationship manager in questo segmento: competenze interdisciplinari relative non solo ai mercati finanziari ma anche alla pianificazione finanziaria, alle strutture di tutela e di governance familiare, di corporate finance e structured lending. Inoltre, la consulenza non avviene solo su asset finanziari ma su tutto il balance sheet del cliente e lo accompagna nel tempo attraverso le varie fasi del suo ciclo di vita. Altrettanto importante è l’attività di consulenza sulla posizione globale del cliente, perché si tratta normalmente di clientela multibancarizzata: viene così seguita non solo relativamente ai rapporti che ha in essere con Ubi ma con un’attenzione complessiva agli attivi e ai passivi che caratterizzano la sua ricchezza e il suo patrimonio reale e mobiliare con l’obiettivo di evidenziarne posizioni di rischio e opportunità, inefficienze e possibilità di ottimizzazione. A tal fine, tutte le risorse e le strutture della banca vengono messe a disposizione: family business, investment bank, corporate and real estate lending, corporate advisory, consulenza evoluta su asset mobiliari e immobiliari. Infine, poiché molto spesso i possessori di grandi patrimoni coincidono con una tipologia di investitori maggiormente “educati” e più sofisticati, vengono loro riservati

strumenti di investimento esclusivi, flessibili e innovativi, sia proprietari sia in architettura aperta (club deals, raif, private equity, private debt). «La consulenza evoluta rappresenta un tratto distintivo del nostro modo di operare da molti anni» prosegue Barbarini. «Ubi Banca è stata una pioniera in Italia: il servizio che noi chiamiamo Awa, ovvero Active Wealth Advisory, è stato lanciato nel 2005 e da allora è andato costantemente evolvendosi, focalizzandosi sulla clientela hnwi/uhnwi. In particolare, negli ultimi mesi ha avuto luogo un’importante ristrutturazione e riorganizzazione dell’ufficio preposto alla consulenza e sono stati effettuati importanti investimenti, a testimonianza di quanto sia ritenuta un servizio cruciale nella divisione. Oggi la “consulenza evoluta” in Ubi poggia su due colonne portanti: personalizzazione e monitoraggio del rischio. Poniamo molta enfasi al profilo di rischio di ogni cliente e ai suoi obiettivi di investimento nell’orizzonte temporale di riferimento. E per garantire una sempre maggiore personalizzazione negli ultimi anni è stato fatto un grande sforzo per ampliare in maniera considerevole l’universo degli strumenti investibili, arrivando a includere nella piattaforma anche certificati home-made e forme di investimento alternative. Con riferimento al monitoraggio, sono stati fatti importanti investimenti in tecnologia per predisporre un sistema di allertistica sofisticato in grado di segnalare tempestivamente al private relationship manager/ advisor eventuali situazioni di stress di portafoglio. Senza dimenticare servizi accessori come l’analisi immobiliare e successoria. Voglio inoltre sottolineare che, sin dall’origine del servizio, la peculiarità di Awa è stata la gestione del rischio di portafoglio grazie alla centralità del principio della diversificazione e all’attenta allocazione del rischio». Un tema quantomai attuale oggi, alla luce della crisi generata da Covid-19. «La crisi che stiamo vivendo è certamente senza precedenti ma il concetto di rischio non si è modificato. Si deve sempre partire dall’assioma rischio-rendimento e visto che l’obiettivo è generare valore per i nostri clienti, il rischio non può essere annullato ma va appropriatamente gestito, quantificato, allocato e costantemente monitorato. La presenza nei portafogli di asset decorrelati permette di attutire le perdite che si registrano nelle fasi di maggiore stress dei mercati senza trovarsi nella posizione scomoda di doverli poi rincorrere». Un altro aspetto che la pandemia ha portato in evidenza è il trend di crescita in termini di flussi sui fondi Esg, peraltro già registrato nei mesi precedenti. «Un orientamento valoriale che ispira sempre di più anche le stra­tegie del private banking di Ubi Banca», commenta Barbarini. «Se per la clientela istituzionale un’integrazione degli aspetti Esg nella selezione degli investimenti è ormai quasi una scelta obbligata, la clientela privata italiana spesso si avvicina al concetto di «investimento sostenibile» spinta sia dalla sensibilità nei confronti dei temi sociali e ambientali, sia dalla possibilità di migliori performance rispetto a quelle degli investimenti tradizionali, come numerosi studi hanno dimostrato in questi ultimi mesi».

PER CONVINCERE I CLIENTI TITOLARI DI PATRIMONI IMPORTANTI OCCORRE UN APPROCCIO GLOBALE PER TUTTE LE ESIGENZE DI FAMIGLIA E IMPRESA

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L’INTERVENTO

Quei cinque temi chiave per il 2021 Ecco come sfruttarli al meglio di Yoram Lustig, head of multi-asset solutions Emea di T. Rowe Price

A

nche se non siamo ancora al giro di boa, possiamo già dire con sicurezza che il 2020 sia stato un anno straordinario. Gli investitori oggi si trovano di fronte a interrogativi difficili. La recente ripresa del mercato azionario è sostenibile o è semplicemente un rally all’interno di un mercato ribassista? Quali investimenti saranno i vincitori e quali i vinti via via che economia globale recupera terreno? E come dovrebbero essere posizionati i portafogli in questo contesto generale di incertezza? Per rispondere a queste domande, abbiamo identificato cinque temi chiave che a nostro avviso guideranno le performance dei portafogli nel corso del prossimo anno, e per ognuno di questi filoni abbiamo individuato tre idee di investimento.

I FILONI CHE GUIDERANNO LE PERFORMANCE DEI PORTAFOGLI NEL CORSO DEL PROSSIMO ANNO E I SUGGERIMENTI D’INVESTIMENTO APPROPRIATI

1. Recessione Si prevede che l’economia globale nella prima metà del 2020 si contrarrà a un livello mai visto dalla Grande Depressione degli anni ‘30, per poi espandersi con forza nella seconda metà dell’anno o in maniera più graduale nel 2021. È difficile guadagnare nelle fasi di recessione, ma alcuni investimenti - come le obbligazioni nominali – tendono ad avere prestazioni migliori di altri. Se la ripresa va in stallo e il lockdown continuerà per un periodo più lungo, la tecnologia potrebbe trarne vantaggio, consentendo la connettività remota, lo shopping online e il cloud computing. Questo va ad aggiungersi alla disruption già in corso guidata proprio dalla tecnologia, ed è un incoraggiamento ulteriore per gli investitori a stare dalla parte di chi promuove la trasformazione, non di chi la subisce. Invece, se il coronavirus dovesse ritornare dopo l’estate prima che venga sviluppato un vaccino, l’healthcare subirà un duro contraccolpo. 2. Bassi prezzi del petrolio e bassi rendimenti Complice la crisi del coronavirus, l’altro dramma nel 2020 è stato il calo del prezzo del petrolio. La sfida con non è solo la caduta della domanda - quando è stata l’ultima volta che abbiamo fatto un pieno di benzina? - ma anche l’eccesso di offerta. Anche i rendimenti obbligazionari sono bassi e probabilmente tali rimarranno per i prossimi 12 mesi. Ciò rende più 70

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Nella foto Yoram Lustig, head of multi-asset solutions Emea di T. Rowe Price

difficile per le banche realizzare profitti. Le azioni growth negli Stati Uniti possono continuare a sovraperformare quelle value perché il 40% dell’Indice Russell 1000 Growth è rappresentato dalla tecnologia mentre il 20% dell’Indice Russell 1000 Value è rappresentato dal settore finanziario e il 5% dall’energia .

3. Stimoli La quantità senza precedenti di stimoli iniettati nell’economia globale negli ultimi mesi ha dato ossigeno a individui, aziende ed economie. Anche se le autorità potrebbero aver semplicemente rimandato il problema, lasciandosi alle spalle una montagna di debito pubblico e l’inflazione, la situazione sarebbe stata molto più difficoltosa senza gli stimoli. Queste politiche hanno creato sfide e opportunità per gli investitori. Le tre idee di investimento legate agli stimoli si concentrano su (A) scarsità di rendimento, (B) banche centrali come guida – conviene acquistare i titoli in cui esse investono e (C) supporto trasversale agli asset rischiosi – quando c’è un’inondazione di liquidità, in generale le valutazioni salgono. 4. Ripresa Le crisi in genere passano attraverso tre fasi: tracollo, rally


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all’interno di un mercato ribassista e ripresa. Il tracollo è ormai alle nostre spalle. Tuttavia, non è chiaro se la ripresa dei mercati rispetto ai minimi di marzo sia solo temporanea, o rappresenti una ripresa sostenibile. Rimangono infatti molte incognite: il rischio di una seconda ondata di infezioni, la capacità di ripresa di un’economia compromessa e la possibilità di un ritorno a una nuova normalità. Le tre idee di investimento legate alla ripresa sono (A) diversificazione reale, non solo percepita – alcuni asset (per esempio obbligazioni societarie e materie prime) hanno una bassa correlazione con le azioni nei periodi positivi, ma un’alta correlazione nei momenti difficili; (B) bilanciamento tra asset difensivi e offensivi e (C) flessibilità – i portafogli devono essere agili e pronti ad adeguarsi.

5. Gestione attiva La dispersione dei rendimenti tra mercati, settori e titoli si è notevolmente ampliata. Le recessioni generano un processo di distruzione costruttiva attraverso cui le società che dovrebbero fallire falliscono. Il processo di ‘zombificazione’ – attraverso cui il denaro a buon mercato consente alle società fallimentari di sopravvivere attraverso prestiti a basso costo – potrebbe giungere al termine. Questo contesto di selezione naturale è un’opportunità per i gestori attivi, che possono fare la differenza selezionando mercati e settori che sono in grado di resistere meglio. Le tre idee di investimento in questo caso riguardano il comportamento appropriato per gestire attivamente il portafoglio.

COSA FARE IN CASO DI RECESSIONE IDEE DI INVESTIMENTO

I MOTIVI

BOND NOMINALI

SETTORI VINCENTI

IL RE “CASH”

Il calo dell’attività economica è deflazionistico. È probabile che i programmi di acquisto di obbligazioni mantengano bassi i rendimenti. Anche se il premio è scarso, è improbabile che le obbligazioni nominali perdano. Il credito di alta qualità può superare i titoli di Stato.

Alcuni settori sono vincenti durante il lockdown. La tecnologia consente di lavorare da casa. L’assistenza sanitaria è sotto i riflettori durante una pandemia globale. La gente ha bisogno delle basi, e andare al supermerato è una “spedizione di caccia”

È probabile che il cash generi scarse entrate. Tuttavia, quando altre attività sono in calo, il cash diventa il Re

• Long-duration government bonds • IG coporporate bonds1

• Tecnologia • Healthcare • Consumer staples

• Cash • Strategie ultra-short-duration

ESEMPI

IDEE PER LA RIPRESA IDEE DI INVESTIMENTO

I MOTIVI

ESEMPI

DIVERSIFICAZIONE

AGGRESSIVI E DIFENSIVI

FLESSIBILITÀ

Diversificare il rischio azionanario con investimenti che mostrano una bassa correlazione con le azioni nelle fasi ribassiste

In equilibrio tra asset aggressivi, che mirano a generare crescita, e asset difensivi che mirano a compensare il calo degli asset aggressivi

I mercati possono muoversi rapidamente in entrambe le direzioni in base alle notizie

• High-quality duration risk (government bond Usa, Germania e UK) • Investimenti multi-assett

• Aggressivi: Azioni, high yield, EMD • Difensivi: High-quality, long duration government bond, valute sicure (es., dollaro USA e yen, strategie difensive derivate

• Vigili e pronti • Affidarsi a gestori attivi per controllare gli sviluppi e adattarsi • Focus su asset liquidi

GUIDA ALLA GESTIONE ATTIVA IDEE DI INVESTIMENTO

I MOTIVI

ESEMPI

COMPRARE SUI RIBASSI

MANTENERSI LUCIDI

SCEGLIERE E UTILIZZARE SKILLS

Non siate precipitosi. Attendere con pazienza per acquistare sui ribassi. Il sentiment guida la volatilità a breve termine e i movimenti del mercato, creando opportunità quando i fondamentali sono solidi

È probabile che la volatilità e l’incertezza rimangano elevate. Non bisogna farsi prendere dal panico né essere un eroe. Sposare un orizzonte di lungo periodo e cercare di guardare oltre la crisi

Una gestione attiva ora ha più opportunità di aggiungere valore. Identificare e affidarsi a manager attivi e qualificati

• Quando gli asset rischiosi correggono, resistere alla tentazione di vendere e acquistare sui minimi • Valutare se i fondamentali hanno senso su un orizzonte di investimento a lungo termine

• Non farsi prendere la panico • Usare il buon senso per selezionare i possibili vincitori e vinti • Preparatevi a possibili rimpianti È probabile che tutti noi commetteremo degli errori

• Asset allocation tattica di tipo top-down • Selezione bottom-up • UtiLizzare i fondamentali per individuare le inefficienze

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SEDIE & POLTRONE di Marco Muffato Casacche che si scambiano, volti noti che passano da un ruolo all’altro: il valzer delle poltrone è intenso nella finanza, dove vige ancora il merito e dove chi rende bene viene promosso o ricoperto di offerte allettanti. Agli HR il compito di attrarre i talenti, a noi quello di raccontare il risiko, oltre a notizie e indiscrezioni su un mondo ricco di costanti novità.

AZIMUT INGAGGIA FOLTRAN

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zimut Capital Management Sgr, la società del gruppo Azimut che in Italia riunisce la rete di consulenti finanziari e wealth manager, si rafforza con l’ingresso di Nello Foltran (nella foto) in qualità di senior wealth & advisor manager operando in Piemonte, Valle D’Aosta, Liguria, Lombardia, Veneto e Friuli-Venezia Giulia, mettendo a disposizione delle strutture manageriali di rete la sua profonda conoscenza del tessuto economico e imprenditoriale del Nord

Italia e quindi dei segmenti corporate e private di quei territori.Foltran ha maturato 35 anni di esperienza nel settore bancario e in particolare nel gruppo Monte dei Paschi dove ha ricoperto diversi ruoli di responsabilità: Dal 2017 al 2018 era responsabile dello sviluppo della clientela top private e successivamente responsabile dell’area mercati e prodotti wealth management della banca e, come ultimo incarico, responsabile area mercati e prodotti corporate Italia.

GROUND È IL CAPO MONDIALE ESG

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apital Group, una delle società di investimento più grandi ed esperte del mondo, con oltre 1.700 miliari di dollari USA in gestione, ha annunciato la nomina di Jessica Ground, ex Schroders,(nella foto) in qualità di global head Esg . Entrerà a far parte di Capital Group a settembre e avrà sede a Londra. La ground sarà responsabile dell’ulteriore implementazione dell’approccio ESG di Capital Group nel suo processo di investimento a livello globale. Lavorerà con i team di investimento, distribuzione, marketing e IT per far progredire l’approccio Esg di Capital Group. Rappresenterà inoltre Capital Group nella partecipazione ad iniziative promosse dalle organizzazioni che promuovono il tema della sostenibilità.

ING, VAN RIJSWIJK È IL NUOVO CEO

I

ng, van Rijswijk sostituisce Hamers come ceo Ing ha nominato nuovo ceo Steven van Rijswijk (nella foto), attualmente membro dell’executive board e chief Risk Officer, che subentrerà a Ralph Hamers. van Rijswijk è entrerà in carica dal 1° luglio 2020. Hamers dal canto uso lascerà Ing per entrare in Ubs, dove diventerà Ceo nel corso dell’anno. L’olandese van Rijswijk, che è stato nominato membro del’Executive Board in occasione dell’Assemblea generale annuale degli azionisti del 2017 è entrato in Ing nel 1995 e ha ricoperto varie posizioni nei team M & A, equity capital markets e capital structuring and advisory.

ERSEL AM POTENZIA IL TEAM EQUITY

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uovi ingressi che vanno a rafforzare Ersel Asset Management. Si tratta di Sergio Allegri e Marco Gennari (nella foto) che sono entrati a far parte del team di gestione specializzato sui mercati azionari e coordinato da Marco Covelli, direttore investimenti della Sgr torinese. I due professionisti concentreranno la

loro attività sulla gestione di programmi azionari tematici dedicati all’innovazione tecnologica e in cui gli aspetti Esg (Enviromentale, social, governance) saranno parte integrante di un nuovo approccio all’investimento, basato sulle sinergie tra competenze tecnico-scientifiche e di gestione-analisi finanziaria.

GAM, ARRIVA BRIGGS PER GLI EMEA

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AM Investments ha annunciato la nomina di Richard Briggs (nella foto) quale investment manager nel team dedicato al debito dei mercati emergenti, guidato da Paul McNamara. Briggs, che sarà basato a Londra, si concentrerà in particolare sul credito sovrano dei mercati emergenti.

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Briggs lascia CreditSights, un’azienda di ricerca sul credito dove ha trascorso sette anni nel ruolo di analista senior e recentemente ha guidato la strategia globale per i mercati emergenti e la ricerca sul credito sovrano. In precedenza ha ricoperto il ruolo di economista specializzato sull’Asia emergente presso Alliance Trust.


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PROFESSIONE CONSULENTE Risponde Francesco Priore all’indirizzo priore.studio@virgilio.it Startupper e decano della consulenza finanziaria, Priore ha fondato l’Anasf e contribuito alla fondazione dell’Albo. Docente Universitario, autore e consulente di comunicazione e marketing finanziario. È stato direttore marketing della rete di Banca Fineco e membro del Cda di Consultinvest Sim.

SOLUZIONI SUI CONTRATTI A DISTANZA

CF, PROFESSIONE PER DONNE

Caro Francesco,

Gentilissimo Priore,

ho letto la tua risposta sull’impossibilità

ho una figlia che si diploma ed è attratta

per le Sim di contrattualizzare un nuovo

dalla consulenza finanziaria; tra le nostre

cliente a distanza. Vorrei capire se è

amicizie ci sono alcuni cf, ma in famiglia

una norma perché qualcuno dice che si

sarebbe il primo caso. Scontato che

può, qualcuno dice di no, qualcun altro

non esiste un problema di genere per le

che si potrebbe. La mia curiosità non

professioni, le pongo alcune domande:

è accademica, perché per acquisire un

qual è il percorso di studi ottimale?

nuovo cliente, per la contrattualizzazione

Acquisiti i titoli è necessario abilitarsi?

devo incontrarlo e per me va bene, ma in

Conviene orientarsi alla libera professione

questo periodo mi ha fatto perdere più di

o cercare una grande rete? Conto sulla sua

un’occasione. Sono interessato.

disponibilità e la ringrazio. Marco M.

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arissimo Marco, sembrerebbe che non esista una norma precisa, ma policy diverse. Le banche-reti, quelle organizzate, chiamano il cliente dal call center e tramite videocamera del pc o del telefono registrano il volto del cliente affiancato da uno o due documenti fronte-retro e il riconoscimento è concluso. Il cf poi procede per la contrattualistica e le sottoscrizioni a distanza con le firme Otp. Altre Sim, in casi eccezionali, si appoggiano a una banca di riferimento che procede tramite call center o sportello al riconoscimento, i trasferimenti avvengono tramite bonifico e l’antiriciclaggio è in capo alla banca. Una soluzione valida per tutti potrebbe consistere in una video conferenza a tre o più sim-cliente-consulente, organizzata dalla Sim per il riconoscimento a distanza del o dei clienti. Effettuato questo atto dovuto, il cf potrebbe agire per lo svolgimento dell’attività e con la firma Otp concludere anche la prima operazione in remoto. Ostacoli tecnici e procedurali non esistono, ma sembra che sussista anche in questo caso “il problema compliance”. Il compito della compliance è quello di verificare che tutta l’attività si svolga nel totale rispetto delle norme, garantendo in questo modo all’impresa di sviluppare il più possibile e senza timori la propria azione. Affermare l’impossibilità è più semplice che approfondire le sicurezze, ma nuoce all’impresa e al mercato. Il mercato si garantisce con la trasparenza, la chiarezza e l’agilità. Maggiore è il numero delle pagine da firmare, minore è la garanzia per i risparmiatori, gli esempi sarebbero superflui.

Elvira T.

G

entile Elvira, l’attività di consulente finanziario si addice particolarmente alle donne. Quest’affermazione è basata su dati reali: il portafoglio medio delle consulenti è nettamente superiore a quello dei colleghi, segno di un maggior successo professionale. Le ragioni sono diverse: studiano di più per esempio ma nella tradizione occidentale la donna ha sempre svolto la funzione di accumulo e amministrazione dei risparmi e di conseguenza è considerata più affidabile. Un percorso ideale sarebbe un corso di laurea triennale (oggi solo all’Università di Teramo), un master in wealth management (oggi alla Bologna Business School dell’Università di Bologna) e un quinto anno per la laurea Magistrale in un indirizzo di Economia il più vicino alle Scienze del Patrimonio. Il master è particolarmente utile perché prevede anche un tirocinio/stage di 600 ore presso un intermediario, con acquisizione di conoscenze e competenze, nonché i crediti per iscriversi direttamente al quinto anno della laurea magistrale. Superati gli esami di abilitazione alla consulenza finanziaria deve scegliere tra la libera professione o meno. Se sua figlia si fosse laureata in medicina lei le aprirebbe subito uno studio privato o preferirebbe che entrasse in un grande ospedale o in una prestigiosa clinica specializzata? Mi auguro di averle fornito risposte esaurienti, o le ho creato troppi dubbi? L’importante è che sua figlia ami le relazioni, abbia una resistenza adeguata alle frustrazioni come ogni professionista che si vuole affermare e non disdegni la finanza. luglio - agosto 2020

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POLE POSITION

a cura di Buddy Fox

LA CALDA ESTATE DELL’EX SALOTTO BUONO DI MILANO

P

iazza Affari, quando ancora i rumors erano come i pensierini nei Baci Perugina, si diceva che due erano i sogni nel cassetto: Mediaset in matrimonio con Telecom, e Generali a nozze con Mediobanca. E sono proprio quest’ultime, Mediobanca e Generali, grazie all’intemerata di Del Vecchio a rispolverare cassetti che sembravano depositati nei sottoscala della Borsa. Nell’era glaciale della tecnologia, anche per i più romantici forse non tutto è perduto, perché in un mercato ostaggio delle notizie sul Covid e manipolato dagli interventi delle Banche centrali, le indiscrezioni su Mediobanca e i sogni su Generali sono spruzzate di romanticismo che smuove l’appassita verve di Piazza Affari. Smuove, ma non emoziona, o almeno non emoziona il sottoscritto abituato a operazioni e atteggiamenti diversi, letti nelle cronache degli anni ‘80, vissute nei ‘90 e nei primi 2000 e oggi scomparse. L’algoritmo domina, come la burocrazia europea e le leggi sulle banche che hanno appassito i colori della finanza che un tempo era poesia, romanzo d’avventura e oggi è prosa paragonabile a un atto notarile. Del Vecchio bussa, chiede di entrare, pardon di aumentare, in passato le scalate in grande stile erano le razzie di azioni, spazzolate, strategie di guerra fatte in punta di piedi, o con un arsenale da guerra mondiale, dipende dai protagonisti, oggi si fanno sui social o con carte bollate. La liquidità infinita dovrebbe permettere ben altre operazioni, in grande stile, ma non c’è interesse, proprio perché l’interesse è altrove o semplicemente perché con quote di minoranza si ottiene il controllo.

“Le azioni si pesano e non si contano” diceva Enrico Cuccia, molti di voi non lo conoscono, sappiate che fino al 2000, anno del decesso, era il sacerdote indiscusso (negli ultimi anni spodestato) del santuario della finanza italiana, con importanti appoggi europei (tipo Antoine Bernheim o Michel David-Weill) perché in quegli anni l’Europa ci rispettava, la Francia ci rispettava tanto che spesso eravamo noi a tentare gli assalti. Oggi come allora sono le Assicurazioni Generali il tema del contendere, per il suo antico fascino, per il patrimonio immobiliare, per la quantità di risparmi e per il potere. Riuscirà Del Vecchio a innalzare i cuori? Ma sono altre le domande che si pongono gli operatori, perché sta agendo in questo modo? Per l’italianità del marchio? Perché i francesi voglio dare il colpo di grazia? O perché Greco ora a Zurich vuole mettere in opera la sua vendetta? Per chi ama la Borsa e la finanza, per il suo fascino, la sua segretezza e l’imprevedibilità, una buona notizia c’è: in un mondo che vive oggi succube della tecnologia, della digitalizzazione e dei soli numeri, ancora oggi un titolo antico come Generali è capace di scatenare interesse, è capace di sbalordire e anche solo per un’estate torna solitario al centro della scena. L’Estate, la stagione che svuota Milano e in cui Cuccia, in silenzio, preparava i suoi piani di battaglia. Perché Mediobanca fin dalla sua nascita (19431944) è stata la banca con l’idea di contribuire alla ricostruzione del Paese, e oggi con il Covid, come dopo la seconda guerra mondiale, con Leonardo del Vecchio vuole tornare ad aver quel ruolo.

WALL STREET, SUCCURSALE DI LAS VEGAS

A

lcuni giorni fa ho letto sul Financial Times che da qualche tempo si sono spostati sulle Borse anche gli scommettitori sportivi. Per non soffrire a lungo l’astinenza da pallone hanno ben pensato di cambiare agone e andarsene a “giocare in Borsa”, una definizione che sempre mi è risultata odiosa e che invece oggi raffigura fedelmente la realtà dei fatti poiché questi nuovi player si muovono applicando le stesse strategie utilizzate per le scommesse solo che al posto dei giocatori o dei cavalli, per dire, sul terreno di gioco ci sono le azioni, invece delle squadre di calcio ci sono gli indici di borsa. Gli scommettitori sportivi pare non siano gli unici nuovi “giocatori” di una Wall Street rutilante e tentacolare come una novella Las Vegas. Goldman Sachs ha scoperto che uno dei motivi dell’attuale effervescenza dei mercati finanziari risiede nel fatto che vi vengono immessi i sussidi di molti degli attuali disoccupati d’America. E l’ha scoperto attraverso i dati forniti dalla piattaforma Robinhood, proprio quella piattaforma che in questo momento sembra stia togliendo il denaro ad alcuni grandi investitori che ora sono al ribasso, per darlo ai poveri disoccupati. Tant’è che poche settimane fa al Senato Usa un nuovo piano di stimolo di 3mila miliardi è stato bocciato poiché avrebbe ritardato il ritorno all’attività di molti lavoratori tra i quali anche quelli che hanno iniziato a usare il sussidio investendo in Borsa, Etf, azioni e anche derivati, un sistema che per quanto vizioso per ora sta regalando loro ottimi risultati. Totò sosteneva che chi dice che il denaro non fa la felicità oltre a essere antipatico è pure fesso, visti i risultati perché dovrebbero voler tornare al lavoro? 74

luglio - agosto 2020

Wall Street ha già visto tempi in cui si parlava di Borsa ovunque, come negli anni del Panino e Listino, la metà degli ’80, l’era dei guadagni facili. Nulla al confronto di quel che accade oggi. Perché? Perché non c’è mai stato nulla di vagamente vicino alla pioggia di liquidità che sta cadendo in queste settimane e che continuerà a cadere con certezza. Una certezza assicurata dalle Banche centrali che diventa il salvagente di ogni perdita possibile. Siamo al cospetto di una parentesi transitoria? È solo una delle tante follie che nella storia hanno contraddistinto i mercati oppure sarà una condizione che potrà durare a lungo termine?


INVESTIRE SPECIALIST

LA STELLA DEL BTP SARÀ COMETA O CADENTE

“E

se è una femmina si chiamerà Futura, il suo nome detto questa notte mette già paura.” cantava Lucio Dalla nell’80 immaginando come sarebbe stato diverso e nuovo il mondo di chi ancora in quegli anni non era stato nemmeno concepito. Di certo non avrebbe mai potuto immaginare che quel nome da lui scelto per una bambina che avrebbe volato e nuotato su una stella, oggi invece è stato attribuito a un prodotto finanziario. Il BTP Futura nasce in un presente che annaspa nelle cattive acque del post Covid-19 e ha come missione quella non certo facile di aggredire la montagna di liquidità che i risparmiatori italiani tengono al riparo nei loro

conti correnti. Secondo il Centro studi di Unimpresa negli ultimi 12 mesi il saldo dei depositi e dei conti correnti è aumentato del 7%. Il Tesoro quindi ha in mente di coinvolgere le famiglie italiane, e convincerle in modo strutturale, a detenere il debito pubblico almeno nella misura del 10%, ma oltre a non essere una operazione priva di rischi, non è nemmeno così “futuribile”, anzi. La propose l’imprenditore Giuliano Melani, nel novembre del 2011, in piena crisi da spread, pubblicando sul Corriere una lettera ai risparmiatori italiani con la quale chiedeva il gesto patriottico dell’acquisto del nostro debito. L’iniziativa non solo non fu seguita, ma anzi fu molto criticata. È vero, il tempo e la storia cambiano le prospettive: se ieri si chiedeva di “cancellare” il debito, oggi si chiede di finanziare lo Stato, con lo stesso scopo di aiutare l’Italia. Ma 9 anni fa, quando si disse che sarebbe stato un rischio poiché l’Italia sfiorava il fallimento, il rendimento sarebbe stato maggiore di oggi in cui la situazione non è certamente cambiata. Il debito esiste sempre, la recessione idem, e anche la diffidenza dei Paesi del Nord Europa. Non c’era il Qe mentre oggi abbiamo tutti questi anni di stimoli che prima o poi dovranno terminare. A seguire l’idea di Melani l’Italia avrebbe messo al riparo il suo debito, e i risparmiatori avrebbero riscosso generosi rendimenti e rivalutazione del capitale. Il BTP Futura propone una scadenza decennale con tre step di tassi fissi crescenti nel tempo i cui minimi garantiti si sapranno alla chiusura del collocamento. Dunque la domanda è, mettendosi dalla parte del risparmiatore al quale si chiede il gesto generoso: le condizioni in fatto di rendimenti, premi fedeltà e tassazione agevolata, saranno più ghiotte del rischio?

QUELLE BLUE CHIP DI UN AZZURRO ITALIANO

P

uò un campione non fare parte della selezione dei migliori del proprio Paese? E’ capitato in molti sport, e a maggior ragione succede nel calcio, soprattutto in Italia dove le covate sono (o forse è meglio dire erano) spesso con il pedigree e i piedi buoni. È capitato ad Alfredo di Stefano, per i pochi, fortunati e privilegiati, che l’hanno visto giocare, in assoluto uno dei migliori di ogni epoca. Alfredo di Stefano non ha mai disputato un Mondiale, se l’avesse giocato, probabilmente l’avrebbe vinto, e con il trofeo sarebbe salito sul gradino più alto del podio con Maradona e Pelé. Ed è capitato a Mario Corso, l’ideatore della punizione a “foglia morta” nella versione italiana, l’uomo con un solo piede (il sinistro) che da solo bastava a far impazzire tutti i difensori avversari, il giocatore, forse l’unico italiano, che Pelé avrebbe voluto nel suo Brasile, un giocatore titolare nell’albo d’oro di 4 scudetti, 2 Coppe Campioni e 2 Coppe Intercontinentali, tutti trofei vinti con l’Inter. Ebbene, questo campione, non ha mai giocato un Mondiale con la maglia azzurra. Si racconta che in un amichevole tra Inter e Cecoslovacchia abbia scartato 6 giocatori avversari (mezza squadra) prima di portare la palla dentro la rete avversaria. Brera racconta che l’esultanza di Mariolino (così lo chiamavano) fu una corsa caracollante verso la tribuna dove sedevano i dirigenti azzurri con tanto di gesto del palmo di una mano verso l’avambraccio dell’altro arto. Il perché non abbia mai giocato un Mondiale una spiegazione, seppur un po’ forzata, ce l’avrebbe: davanti a lui come 11 c’era Giggiriva (si scrive tutto attaccato) e come 10 c’erano Rivera e Mazzola, difficile trovare il pertugio, anche se le sue punizioni lo trovavano sempre.

Ci sono ere, fortunate, di abbondanza dove si deve per necessità selezionare, e poi ci sono ere di carestia. Corso non è stato l’unico, c’è stato il bomber Pruzzo, capocannoniere senza maglia azzurra, Pablito per Bearzot era insuperabile, e lo stesso per il Beccalossi “il Becca” che davanti aveva il “Michelangelo” Antognoni. Questo perché in nazionale ci va il meglio, che sia abbondanza o carestia. Ed è grazie a questa metafora che il cittadino risparmiatore dovrebbe trovare la risposta alla domanda che oggi si pongono tutti: come mai la Borsa sale nonostante il Pil in caduta, la recessione e le numerose imprese in fallimento? La Borsa sale perché in Borsa c’è il meglio. In Borsa non c’è la pubblica amministrazione che ha molti sprechi e poche virtù, in Borsa non ci sono gli apparati di Stato che sopravvivono solo grazie ai sussidi, in Borsa non ci sono le aziende decotte. In Borsa c’è il fior dei fiori, quello che va in utile e che fa gola a molti, e proprio per questo sale e trascina gli indici azionari. La Borsa, in questo caso le “Blue chip”, sono come la nazionale, azzurro Italia, non rappresentano un intero Paese, ma il meglio del Paese, e l’Italia, come la sua nazionale è pur sempre tra le protagoniste del mondo, e nonostante tutto Piazza Affari continua a reggere il confronto, e con qualche aggiustamento potrebbe anche avere una marcia in più per vincere il mondiale. luglio - agosto 2020

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TALENT

LA COMPETIZIONE TRA UN “FAI DA TE”, UN CF E UN ROBOADVISOR

“Olimpiadi dei mercati” con portafogli di sole nazioni

“U

na poltrona per tre” è una competizione tra tre portafogli realizzati da un “fai da te”, un consulente finanziario e un roboadvisor. Ha la durata di un anno e prevede la possibilità di rotazione del portafoglio, con un cambio di massimo due strumenti, al termine del primo semestre. Ogni mese partirà una nuova gara. Aggiornamenti e confronti L’aggiornamento sull’andamento di ciascuna di esse avrà cadenza semestrale. Tre concorrenti che non copiano La composizione dei portafogli è elaborata

LE SCELTE DEL “FAI DA TE”

di Giacomo Damian

in completa autonomia dai partecipanti al talent e oltre ad avere lo scopo della competizione vuole offrire spunti meramente informativi inerenti l’impiego di strumenti finanziari quotati sul mercato regolamentato italiano. Le informazioni e le analisi esposte pertanto non costituiscono sollecitazione al pubblico risparmio qualunque decisione di investimento e il relativo rischio rimane a carico dell’investitore. Investire non si assume alcuna responsabilità per l’eventuale utilizzo che il lettore potrà fare dei contenuti esposti.

IE00B8NB3063

L’estate è questo, la stagione in cui lo sport IE00BF4NQ904 trova il suo massimo splendore, e in cui si IE00B5377D42 svolgono le manifestazioni più prestigiose, ad anni alterni i mondiali di calcio e soprattutto le NO0010786288 Olimpiadi, che erano previste a Tokyo. Per sopperire a questa mancanza, e per CA135087K379 non deludere gli inguaribili affezionati a questo tipo di manifestazioni, noi di Investire IT0005402117 abbiamo pensato, con l’ausilio dei mercati, di organizzare una competizione con delle US900123AT75 proposte di portafogli composti da singole nazioni: titoli di stato, valute e indici di borsa, una gara che è una sorta di olimpiade dei mercati finanziari. La squadra del “fai da te”, il portafoglio creato dal sottoscritto, è perfettamente bilanciata negli strumenti con la parte obbligazionaria al 50% e altrettanto è quella azionaria, mentre per quanto riguarda la selezione delle nazioni ho preferito orientarmi su Paesi considerati emergenti ed esterni alle principali aree monetarie, quella del eollaro e dell’euro. Una scelta motivata, in questi momenti di grande incertezza, la diversificazione geografica e valutaria sono considerate una virtù in quanto minimizzano e diluiscono i rischi, proprio perché l’investimento è spalmato in diverse aree economiche e valutarie, e potenzialmente ad alta remunerazione. Ho scelto la Cina perché è la nazione che conserva un ampio margine di azione sia di politica monetaria che fiscale, ed è l’area che ha ancora il maggior potenziale di crescita economica. Trovare un prodotto d’investimento adeguato non è stato semplice, causa la complessità del suo mercato azionario, per questo ho preferito

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Portafoglio “olimpico” costituito da investimenti in diverse nazioni attraverso l’utilizzo di qualsiasi strumento di mercato che investe su indici di borsa, titoli di stato e valute. Il rischio è medio/alto.

FOCUS SU AUSTRALIA, CANADA, NORVEGIA E TURCHIA ISIN

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IL PROFILO DEL MATCH

FONDO

MIX

Wisdomtree Ftse Mib 3x Daily Leveraged

20%

Hsbc Msci China A Inclusion Ucits Etf

20%

Ishares Msci Australia Ucits etf Usd Acc

10%

Bond Norvegia 1,75% 17fb27

20%

Bond Canada Tf 1,25% Gn30 cad

10%

Btp 01/03/36

10%

Bond Turchia 8% 14Fb34

10%

la semplicità scegliendo l’Etf con la maggior capitalizzazione e il minor costo di gestione. Ho selezionato l’Australia, sempre per quanto riguarda l’azionario, perché strettamente correlata alla crescita cinese. Per quanto riguarda il mercato obbligazionario, ho scelto due paesi che considero molto virtuosi come Norvegia e Canada che possiedono tutt’ora un margine di rendimento elevato, considerato lo stato dei tassi d’interesse mondiali compressi sullo zero. Ho scelto la Turchia, bond rischioso ma ad altissimo rendimento, per mettere un po’ di pepe nel portafoglio. Ed infine l’Italia, il paese con il maggior peso, perché tutt’ora sia a livello di bond che di equity è il paese che detiene il maggior potenziale di rivalutazione. Su tutta la parte obbligazionaria ho volutamente scelto scadenze lunghe, perché la protezione delle Banche Centrali dovrebbe sia permettere l’incasso di buone cedole che una protezione in conto capitale. Sono le virtù di questi tempi che, in apparenza, sembrano complessi.


INVESTIRE SPECIALIST

LE SCELTE DEL CONSULENTE FINANZIARIO Il portafoglio di Gabriele Zeoloni

SEI ETF PER SEI PAESI ISIN

I dati e i numeri IE00BJ38QD84 usciti nei mesi scorsi mostrano, LU1650492173 senza dubbio, una recessione LU1681037518 accentuata in tutte le aree economiche del Mondo. E d’altra parte, non poteva FR0010655746 essere diversamente visto che il lockdown ha bloccato e indebolito la macchina IE00BHZRQY00 produttiva del pianeta. FR0010361683 Tuttavia, gli ultimi indicatori anticipatori relativi a Cina, Europa e Stati Uniti LU1923627092 mostrano una rapida ripresa anche grazie alle forti misure di politica monetaria adottate dalle Banche Centrali, ma anche dai Governi, che attraverso la politica fiscale, con aiuti, prestiti e garanzie cerca di sostenere e rilanciare la produzione industriale. La pandemia è tutto sommato sotto controllo (ad esclusione di alcuni Paesi Emergenti e di alcune aree negli Usa) ed è necessario scongiurare il rischio di una seconda ondata con controlli rigorosi ed isolamento di nuovi focolai (com’è successo recentemente a Pechino). A livello congiunturale è sempre da monitorare la diatriba sul commercio tra Usa e Cina che potrebbe tornare all’ordine del giorno nelle prossime settimane. In funzione di quanto sopra esposto, nella creazione del “Portafoglio Olimpico” ho preferito un’esposizione totalmente

FONDO

MIX

Etf Usa (Indice Russell)

15%

Etf Regno Unito

15%

Etf Italia

14%

ETF SPAGNA

14%

ETF BRAZILE

14%

ETF INDIA

14%

ETF RUSSIA

14%

rivolta all’azionario in previsione del probabile recupero economico di fine 2020/inizio 2021 dovuto alla ripresa delle attività economiche. Spazio a Paesi il cui rimbalzo dai minimi è stato più contenuto per varie ragioni. Non potendo prescindere dagli Stati Uniti, dati gli interventi congiunti e decisi di Fed e Governo, ho inserito il più economico indice Russell. In Europa, dopo l’approvazione del Recovery Fund, via libera a Spagna e Italia. Ok l’Inghilterra che presenta buone valutazioni. Nei Paesi Emergenti, Brasile, India e Russia rappresentano senz’altro delle buone opportunità all’interno di un indice che ha ottime potenzialità di rialzo, e che tutt’ora rimane particolarmente conveniente.

LE SCELTE DEL ROBOT (elaborazioni di Investire sui dati Deus Technology) “La cosa importante nei Giochi Olimpici non è vincere ma partecipare. La cosa essenziale nella vita non è conquistare ma combattere bene”, il motto di Pierre De Coubertin è la frase che per eccellenza caratterizza le competizioni olimpiche. Una frase che a livello di investimenti e competizioni finanziarie potremmo adattare in questo modo: la cosa importante nella creazione di un portafoglio non è vincere ma creare rendimento. Ed è quello che noi di Investire cerchiamo di fare ogni mese attraverso questa competizione in cui si cimentano il “fai da te”, un “consulente finanziario” e il “roboadvisor”, tre diversi atleti che cercano di dare il meglio di se stessi per fornire i migliori spunti al lettore nella creazione o proponendo idee nel tentativo virtuoso della ricerca del rendimento. Non conquistiamo, ma cerchiamo di competere al meglio. Tema di questo mese, proprio per la concomitanza del periodo estivo dedicato a particolari competizioni, è la creazione di un “portafoglio olimpico”, una selezione tra tutte le nazioni del mondo attraverso l’utilizzo dei principali strumenti di mercato:

indici di borsa, valute e titoli di stato. Deus Technology, il roboadvisor che utilizziamo per offrire al lettore una maggiore offerta di investimento, partecipa con un portafoglio equamente distribuito tra obbligazioni e azioni, con una leggera prevalenza delle prime e una minima parte (5%) parcheggiata in liquidità. Per quanto riguarda l’obbligazionario, le aree prescelte sono le tre principali, la Cina, gli Usa e una buona parte di Italia, che essendo la nostra area di residenza non può mai mancare nel portafoglio. Per la parte azionaria la selezione è molto raffinata, un tris di proposte suddiviso nelle seguenti tre aree: gli Usa attraverso l’investimento sull’indice S&P500, il Giappone sul Topix l’indice allargato della borsa di Tokyo e la Svizzera. Per quanto riguarda l’aspetto valutario, la suddivisione è equamente divisa nelle due principali monete mondiali: il 44,53% in euro e il 42,14% in dollari, il restante 13,23% è in franchi svizzeri che corrispondono all’investimento nell’indice di borsa di Zurigo.

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TALENT

BOND DI CINA, ITALIA E USA. AZIONI DI SVIZZERA, GIAPPONE E USA ISIN

NOME

19/06/2020

LU1681040652

Amundi ISS US Treasury 7-10 Acc USD

21,65%

IE00B7LW6Y90

iShares V Italy Govt Bond UCITS ETF Dis EUR

16,77%

LU1094612022

Xtrackers II Harvest China Government Bond 1 Dis EUR

16,58%

IE00B3YCGJ38

Invesco S&P 500 UCITS ETF A Acc USD

15,49%

LU0943504760

Xtrackers Switzerland UCITS ETF Acc CHF

13,23%

LU1681037609

Amundi ISS Japan TOPIX Acc EUR

11,28%

US46138K1034

Invesco CurrencyShares Euro Currency Trust Dis USD

5,00%

L’ASSET MIX DEL MESE PESO

MACRO

OBBLIGAZIONARIO

55%

AZIONARIO

40%

LIQUIDITÀ

5%

PESO

MICRO

ETF Obbligazionari Usa

21,65%

ETF Obbligazionari Italia

16,77%

ETF Obbligazionari Cina

16,58%

ETF Azionari USA

15,49%

ETF Azionari Svizzera

13,23%

ETF Azionari Giappone

11,28%

ETF Liquidità

5,00%

The winner is...

-3,066% CF GIAN CARLO TAMBURINI

+4,25% ROBO ADVISOR (DEUS TECHNOLOGY)

CLASSIFICA A SEI MESI DELLA GARA AVVIATA NEL NUMERO DI GENNAIO 2020

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-26,02% “ FAI DA TE” GIACOMO DAMIAN


INVESTIRE SPECIALIST

Borse, in estate si balla. Prepariamoci PIAZZA AFFARI: a giorni è attesa il via libera della Consob sul prospetto dell’opa lanciato da Intesa su Ubi. Sembra una formalità, ma non è una notizia da sottovalutare perché costituisce una curiosa coincidenza. A Febbraio proprio su quest’offerta, gli indici di borsa sono volati su quote che non vedevano da anni (FtseMib a 25.000), nemmeno il tempo di festeggiare, e arrivò il tonfo. Oggi, a quattro mesi di distanza, proprio in concomitanza di importanti livelli recuperati, siamo in attesa della ratifica. Coincidenze che preludono nuovi tonfi? Viste le circostanze, possiamo immaginare che questa sarà un’estate piuttosto turbolenta. Per orientare l’investitore, proviamo a delimitare il perimetro di borsa: sopra 20.500 l’indice sarà in salvo, sotto 18.000 sarà calamitato sui precedenti minimi. Per il breve io rimango pessimista.

Affari sui massimi, e i titoli bancari che sembravano rivivere epoche antiche, Bnp Paribas era pronta a muovere oltralpe con un’offerta su Ubi Banca, volta a riprendere quel disegno di banche transnazionali cominciato a inizio 2000 con le dimissioni di Antonio Fazio da Banca d’Italia. Ed è forse perché circolava questo odore di assalto, che Carlo Messina a capo di Banca Intesa, la banca a difesa nazionale, in poche ore ha preparato l’offerta per battere sul tempo gli stranieri. Un’offerta che dopo mesi di gestazione, sembra in dirittura del via libera, con tutte le conseguenze del caso, come una possibile controfferta oppure una resistenza di qualche azionista di peso. A questo punto, con lo stacco dividendi congelato per mesi, invece di puntare sui predatori, perché non insistere sulle prede? L’estate finanziaria è sempre ricca di emozioni.

UBI BANCA: secondo alcune indiscrezioni a febbraio, con Piazza

BANCA PROFILO: grandi rivoluzioni in casa Profilo, dopo 11 anni Matteo Arpe, l’enfant prodige della finanza italiana, che attraverso Sator controlla la banca è pronto a lasciare? Le delusioni non sono mancate, qualche iniziativa sbagliata, e un business che stenta a decollare, Banca Profilo è stata una delle poche banche d’investimento quotate che in questi anni di bengodi per la finanza non ha saputo cavalcare l’onda, possono aver portato il finanziere verso la decisione di mollare la sua creatura. Il titolo, dopo mesi soporiferi si è rianimato, sia grazie al nuovo piano industriale, sia per i rumor sopra citati. E se ci fosse già qualcuno pronto a lanciare un’offerta per le quota di Arpe? L’estate è la stagione delle sorprese.

TESLA: obiettivo a $10.000, possibile? A pensarlo è Ron Baron, investitore miliardario che in un’intervista rilasciata alla Cnbc, si dichiara compratore perché da questi prezzi, e siamo sulla vetta dei 1.000$, il titolo può ancora decuplicare. Obiettivi di prezzo ambiziosi, per un investitore che ambizioso lo è sempre stato. «Molto tempo fa avevo dichiarato che avremo fatto 20 volte l’investimento su Tesla, fino a ora abbiamo fatto quattro volte e li raddoppieremo nei prossimi due anni». L’idea di fondo è che Tesla sia per l’auto quello che Amazon lo è stato per l’e-commerce. E sono in molti a pensarlo, come Cathie Wood di Ark Invest che ricorda come Tesla stia vivendo lo stesso tipo di scetticismo che nei primi anni ha accompagnato Amazon, l’altra similitudine è nei fondatori, considerati dei pazzi, così pensavano di Jeff Bezos, e così oggi pensano di Elon Musk. In effetti le premesse ci sono tutte, nel primo capitolo del Nasdaq (a cavallo del 2000) per anni Amazon non ha prodotto un cent di utile, solo voragini di bilancio, e lo stesso sta accadendo per Tesla che fino a ora ha prodotto solo promesse di utile che sono rimaste solo promesse. Siamo in una situazione surreale, per i prezzi delle azioni e per i fondamentali totalmente sconnessi: oggi Tesla capitalizza 8 volte i ricavi del 2019. Ma è in questi momenti apparentemente assurdi che nascono i vincitori del futuro, e tra questi potrebbe esserci Tesla che tra qualche anno rischia di far rimpiangere le attuali quotazioni, che oggi sembrano care, e che una volta rivalutate, dimostrerebbero come accaduto ad Amazon che le promesse sono diventate realtà. Se un titolo è vincente sarà sempre caro sui fondamentali rispetto ai competitor.

NASDAQ: sono giorni inebrianti di inizio estate, giorni in cui l’indice tecnologico non smette di sbalordire: prima recuperando tutte le perdite precedenti alla diffusione del Coronavirus, successivamente anche le perdite da inizio anno, non bastasse, recuperando anche i precedenti massimi storici di quest’anno, e proprio per voler sbalordire, facendo il record portandosi sopra la soglia psicologica dei 10.000 punti tondi tondi. L’euforia è nell’aria, ed è palpabile, ma se si scosta la schiuma e si assaggia la birra, si scopre che il sapore non è poi così gradevole, l’immagine è ingannevole. I numeri raccontano un’altra verità, e cioè che nonostante il Nasdaq sia tornato sopra la media mobile a 200 periodi (ottimo stato di salute), solo il 45% dei titoli che lo compongono replica la stessa dinamica. Ovvero, più della metà del listino è ancora sotto la media mobile 200, e quindi è in stato di sofferenza. Sapete in che altra occasione si è formato questo quadro tecnico? Nel febbraio 2020, poco prima del tracollo. Preparatevi perché quest’estate si balla.

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QUI PARIGI di Giuseppe Corsentino

LA GRANDE TRUFFA FINANZIARIA DELLE VACCHE FANTASMA

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ell’Italia dei primi anni ’80, quando non c’erano an- piccolo comune dell’Alvernia, che da mezzo secolo fa questo mecora i fondi comuni d’investimento e il risparmio stiere, cioè “investissement en cheptel bovines laitiers” seppure delle famiglie aveva un unico approdo, i Bot e i Cct con sempre maggiori difficoltà per la continua discesa del prezzo con rendimenti a doppia cifra ma già in fase calante, del latte. si chiamavano “titoli atipici”. Quel che è strano e che ha messo in allarme l’Amf è che stavolta Sarebbero diventati truffe finanziarie vere e proprie solo quan- dietro il vecchio “investissement en cheptel bovines laitiers” c’è do, tanti anni dopo, i processi (civili e penali) avrebbero travolto i un arcipelago di società fittizie che promettono rendimenti da 1 loro arrembanti inventori, personaggi a metà strada tra la pirate- al 2% al mese (quindi da 12 a 24% l’anno). ria e il vaudeville come, per citare i più famosi, “Con tecniche commerciali e abbordaggi teleOrazio Bagnasco con i suoi fondi immobiliari fonici da codice penale” spiegano a Investire gli di diritto svizzero (Europrogramme, mille miavvocati dello studio parigino 22L Avocats speliardi di raccolta!), Paolo Federici con la sua cializzato in truffe finanziarie e “class action”. Eurogest (contratti di associazione in parteLo studio ha aperto 750 dossier (236 contro cipazione, 500 miliardi), Luciano Sgarlata che siti e piattaforme illegali) e bastano queste civendeva partecipazioni immobiliari (330mifre a dare una dimensione della maxi-truffa liardi di contratti fiduciari), Giorgio Mendella, che funziona così: si telefona al risparmiatore, forse il più grande piazzista di “titoli atipici” ci si presenta come un banker, un gestore di (500 miliardi) sul suo canale tv, Retemia. Un patrimoni attento ai bisogni dei risparmiatori, gigantesco bottino di vecchie lire. ci si informa sulle sue capacità d’investimento LA SEDE AMF A PARIGI Nella Francia del 2020, durante le settimane e sul tasso di soddisfazione nei confronti della del confinamento da Coronavirus, da marzo a giugno, si è veri- banca (un argomento è il Livret A, diffusissimo, che rende lo 0,5%) ficato un po’ lo stesso fenomeno. Cioè a dire la corsa all’investi- o della Borsa (le perdite sul mercato sono le più brucianti per un mento alternativo, diciamo pure “atipico” per riprendere la de- risparmiatore poco avvezzo ai saliscendi del listino, come si sa), infinizione italiana, con l’obiettivo di superare il Livret A, le polizze somma si fa il solito discorso da imbonitori e quindi si fa scattare vita e perfino i guadagni di Borsa come ha raccontato questa ru- la trappola: un contratto-prova da 1.500 euro (il costo di una vacca brica sull’ultimo numero di Investire. Ma stavolta i pirati della fi- da latte), tanto per verificare promesse e impegni. Tutto on-line, si nanza alternativa hanno superato sé stessi. Non hanno proposto capisce. Contratto e bonifico a favore di società sconosciute (quai soliti investimenti in diamanti, opere d’arte, cripto-monete, vini si tutte domiciliate in Paesi finanziariamente incontrollabili come e altri beni-rifugio, ma vecchi contratti agrari di soccida rivisitati Montenegro, Slovenia, Ungheria). Nei primi mesi tutto funziona in chiave finanziar-capitalistica. Li hanno chiamati, infatti, “Capi- alla perfezione, quell’unica vacca da latte dimostra di essere “una tal Chaptel” (chaptel è il termine francese che indica gli asset di gallina dalle uova d’oro”: quell’1 o 2% di rendimento mensile arun’azienda zootecnica, a cominciare dalle vacche da latte) e nei riva puntuale e questo consente ai truffatori di alzare la posta. Si mesi del “confinement”, li hanno venduti per telefono, o via inter- parte da 1.500 euro per arrivare a mandati fino a 800mila, anche net, a migliaia di incauti e sprovveduti risparmiatori. La struttura un milione di euro (perché le famiglie francesi, come quelle italiacontrattuale è quella tradizionale della soccida, come si diceva: ne, hanno fieno in cascina e il risparmio, nei mesi del lockdown è il risparmiatore acquista una o più vacche da latte al prezzo di cresciuto di 55miliardi come s’è detto prima). mercato di 1.500 euro circa e poi le dà in affitto – sulla carta - agli A questo punto, come insegna la storia di tutte le truffe finanziaallevatori i quali pagano un canone mensile che rappresenta il rie, lo “schema Ponzi” s’interrompe: gli interessi non arrivano e il rendimento dell’operazione. Fin qui niente di strano, soprattutto numero di telefono del presunto gestore non risponde più. Valli in un Paese a forte vocazione agro-zootecnica come la Francia. a cercare. La vacca da latte non è più la gallina dalle uova d’oro, Qui ci sono società come la Elevage et Patrimoine di Meyzieu, un si è trasformata in una volpe. Da cacciare con il codice penale. 82

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QUI NEW YORK

di Glauco Maggi

PIÙ TRASPARENZA A WALL STREET MA CONTRO LA CINA

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n mese fa nel Congresso Usa è successo qualcosa di eccezionale, in questa stagione di esasperata rivalità politica tra i due poli. Il Partito Repubblicano e quello Democratico hanno votato una legge che rafforza la trasparenza in Borsa con “unanime consenso” in Senato. La misura passerà anche alla Camera entro l’estate con qualche aggiustamento. Su che cosa sono andati d’amore e d’accordo i parlamentari fedeli a Donald Trump e a Joe Biden a quattro mesi dal voto? Su due punti. Il primo è un imperativo della cultura finanziaria americana: la tutela degli investitori che considerano Wall Street il tempio laico della prosperità e della previdenza privata. Il secondo è figlio del clima sanitario del 2020, infettato dal Coronavirus e dalle colpe della Cina. L’ostilità bipartisan covava in verità da anni verso Pechino per cause ben note: le svalutazioni per drogare l’export cinese; l’offshore delle aziende Usa che ha dilapidato il Midwest; le violazioni delle regole negli scambi sotto l’ombrello fazioso anti-Usa del Wto (Organizzazione Mondiale del Commercio). Poi è arrivato il primo presidente che dal 2018 ha sfidato, con dazi urbi et orbi, la globalizzazione punitiva per la bilancia commerciale Usa e ultravantaggiosa per la Cina. E anche la Sec (Consob Usa) e il Congresso si sono svegliati. La goccia che ha fatto traboccare la tazzina della trasparenza è stato il caso della Luckin Coffee, quotata al Nasdaq. La startup cinese del caffè in strada, su input del governo Xi, ha aperto 6500 bar in Cina per fare concorrenza al colosso Usa Starbucks, che ne conta 4500, 2mila in meno. Ma i manager truccavano i conti, e sono emersi 310 milioni di dollari di incassi inventati. Il Ceo e il direttore della Luckin sono stati licenziati e il titolo, dai 50 dollari di gennaio, è via via precipitato a 3,8 (il 19 giugno). Mentre la Sec indagava sul marcio della Luckin, il Senato ha approvato il 20 maggio la legge “Holding Foreign Companies Accountable Act” sull’accesso delle società estere al mercato americano, firmata da John Kennedy (Repubblicano della Louisiana) e da Chris Van Hollen (Democratico del Maryland). Lo scopo è di proteggere i risparmiatori e pensionati americani (ma non solo, poichè sui titoli quotati a Wall Street investono i fondi pensione da tutto il mondo)

dalle società straniere che non rispettano la supervisione della Sec. La legge vieta che una società estera sia quotata negli Usa se non ha rispettato per tre anni consecutivi gli auditing (revisioni contabili) del Pcaob (Public company accounting oversight board). Istituito nel 2002, il Consiglio per la supervisione dei bilanci delle società quotate deve assicurare che le informazioni fornite dalle aziende al pubblico siano accurate, indipendenti e affidabili. Attualmente il governo comunista cinese rifiuta di consentire al Pcaob di ispezionare le revisioni delle società registrate in Cina e Hong Kong. Tali società rappresentano un forte rischio per gli investitori americani: nel solo 2011 circa l’11% di tutte le azioni legali in Borsa sono state intentate contro società di proprietà cinese accusate di aver falsificato i documenti finanziari. Secondo la Sec, 224 società quotate negli Usa sono in Paesi in cui vi sono ostacoli alle ispezioni Pcaob. Queste società hanno una capitalizzazione di mercato combinata di oltre 1800 miliardi di dollari. Negli ultimi 10 anni, il numero di società cinesi quotate nelle borse degli Stati Uniti è aumentato in modo significativo, permettendo a quelle società di sfruttare il capitale disponibile in America. Il disegno di legge richiede anche alle società quotate di rivelare se sono possedute o controllate da un governo straniero, compreso il governo comunista cinese. «La Sec lavora duramente per impedire che gli investitori siano truffati dalle società americane», ha commentato Kennedy dopo il voto. «Mentre continuiamo a sperimentare le ricadute economiche e la volatilità causate dalla pandemia di Covid-19, la necessità di proteggere gli investitori è sempre più importante», ha fatto eco Van Hollen. «Per troppo tempo le società cinesi hanno ignorato gli standard dei doverosi controlli degli Stati Uniti, fuorviando i nostri investitori. Le società quotate in borsa dovrebbero essere tutte tenute alle stesse norme». Sembra incredibile che, fino ad oggi, le società cinesi fossero riuscite a godere di eccezioni alle regole di trasparenza della Sec, notoriamente rigida verso le società americane ed europee. Ciò dà ragione a Trump quando sostiene che i cinesi hanno approfittato per anni della dabbenaggine dei governi di Washington, prima del suo arrivo, per ottenere accordi a loro favorevoli negli scambi bilaterali. luglio - agosto 2020

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IL GIRO DEL MONDO IN 30 GIORNI

LA SERBIA, BASE DI LANCIO DELLA CINA VERSO L’UE

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n’amicizia d’acciaio». Così il diventata il trampolino di lancio verso il presidente Aleksandar Vu- continente europeo per progetti di luncic (nella foto in basso con il go respiro, presentati da Xi Jinping nelle ministro Di Maio) ha definito il rappor- edizioni annuali dei Summit 16+1 (sucto tra la Serbia e la Cina, all’arrivo degli cessivamente 17+1 con l’inclusione della aiuti richiesti da Belgrado e spediti da Grecia) a partire dal 2012. Il partito di VuPechino per l’emergenza Coronavirus. cic e i suoi alleati, a cominciare dal Partito socialista serbo (Sps) «Adesso è chiaro PERÒ MOSCA RIMANE di Ivica Dacic, non che non esiste una DAL PUNTO DI VISTA ECONOMICO hanno mai nascosto solidarietà eurodi voler proseguipea» aveva detto lo IL FORNITORE ENERGETICO re una tradizione di stesso Vucic pochi ESSENZIALE DI BELGRADO impronta “jugoslagiorni prima per protestare contro l’inerzia di Bruxelles. va” tenendo aperte le porte a Oriente e a La dichiarazione d’amore per Xi da par- Occidente, dunque anche a Russia e Cina. te di Vucic non è piaciuta alle cancellerie Se Mosca è dal punto di vista economico occidentali, a cominciare da quelle eu- il fornitore energetico essenziale per la ropee, anche se poi la Serbia ha ribadito Serbia, la Cina ha fatto di questo paese lo l’impegno verso il percorso di adesione snodo di terra nella cerniera balcanica per all’Ue. Il legame tra Belgrado e Pechino le infrastrutture comprese nella Belt and non è una novità: si tratta con tutta evi- road initiative, cioè la nuova Via della seta. denza di un successo del progetto cinese Il progetto più noto riguardante la Serbia di una nuova Via della seta. La Serbia è è la linea ferroviaria veloce Belgrado-Bu-

dapest. Il gruppo statale China ocean shipping company (Cosco), che nel 2017 ha acquisito tutti i terminal del porto del Pireo, ha avviato nel 2017 un servizio ferroviario fino a Belgrado, vedendo nella capitale serba un porto continentale capace di ridirezionare le merci attraverso i grandi fiumi che l ’ a t t ra versano.

A DUBAI RIAPRE IL CANTIERE DELL’EXPO, LAVORATORI CON MASCHERINE PER UN SITO DA RECORD Corsa contro il tempo a Dubai: nonostante il rinvio di un anno della manifestazione causa Coronavirus gli operai del cantiere di Expo 2020 Dubai stanno accelerando per completare i principali lavori di costruzione del sito. L’evento, per il quale l’emirato ha stanziato 8,2 miliardi di dollari, si aprirà il primo ottobre 2021, ma gli organizzatori sembrano intenzionati a terminare i lavori principali entro la data di apertura originale,

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ovvero il prossimo ottobre. «Naturalmente l’impatto del Covid-19 ha influenzato la logistica e le consegne di alcuni dei lavori rimanenti, ma il 2020 resta l’anno di consegna» ha affermato il responsabile dello sviluppo e della consegna del sito, Ahmed al Khatib, alla guida di un gran numero di lavoratori, tutti con le mascherine, per completare l’enorme sito di Expo 2020 Dubai.


IL GIRO DEL MONDO IN 30 GIORNI

ARGENTINA, BRACCIO DI FERRO CON BLACKROCK E FMI

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ischia di finire in tribunale, e con l’esclusione del Paese dai mercati finanziari internazionali per più di dieci anni, il braccio di ferro tra il governo argentino e i fondi di investimento, tra cui BlackRock del magnate Larry Fink, cui deve circa mezzo miliardo di dollari. Dopo che il gruppo Ad Hoc di obbligazionisti del debito argentino aveva dichiarato «fallito il negoziato», il portavoce dell’Fmi Gerry Rice si è affrettato ad auspicare invece che il negoziato per la ristrutturazione di 66,3 miliardi del debito estero dell’Argentina con i creditori privati internazionali prosegua con l’obiettivo del raggiungimento di un accordo. «Naturalmente stiamo seguendo gli eventi da vicino e speriamo che tutte le parti continuino a impegnarsi e cerchino

COMMERZBANK FA LA SDEGNOSA, NIENTE FUSIONE CON DEUTSCHE Commerzbank ha smentito le indiscrezioni su una sua prossima e rapida fusione con Deutsche Bank. È quanto riferisce il quotidiano tedesco Handelsblatt, che ricorda come un’analoga operazione sia stata tentata dai due principali istituti di credito tedeschi nel 2019. Le trattative fallirono il 25 aprile dello scorso anno. A premere per una nuova fusione tra Deutsche Bank e Commerzbank sarebbe il ministero delle Finanze, preoccupato per i deludenti sviluppi della seconda banca di Germania. Dal 2009, tramite la banca statale Istituto di credito per la ricostruzione (Kfw), il governo federale detiene una partecipazione del 15,6% in Commerzbank. Il direttore finanziario della banca, Bettina Orlopp, ha respinto le voci sulla possibile acquisizione da parte di Deutsche Bank. Tale operazione «non ha alcuna importanza attualmente nel mio lavoro quotidiano», ha detto Orlopp.

di continuare i negoziati con l’obiettivo di raggiungere un accordo», ha detto Rice a Washington. Il portavoce dell’Fmi ha tuttavia riconosciuto che «i negoziati sono tra le autorità argentine e i creditori, è una questione che riguarda loro». «Stiamo prendendo in considerazione tutte le vie legali disponibili. Abbiamo compiuto ogni sforzo per raggiungere un accordo praticabile con il governo argentino, ma nonostante i nostri sforzi, le autorità han-

IL PRESIDENTE FERNANDEZ: «I CREDITORI NON POSSONO ESIGERE DALL’ARGENTINA QUELLO CHE NON ESIGONO DAL RESTO DEL MONDO»

no scelto di rendere più profondo e inutilmente questo periodo di deterioramento economico rifiutando la nostra soluzione sostenibile e ragionevole» ha dichiarato Ad Hoc. «Pagheremo nella misura in cui potremo, non un centesimo in più, su questo sono inflessibile», ha affermato Alberto Fernandez (nella foto col Papa), «Non credo che il default sia una soluzione, per cui continueremo a sforzarci, vedremo; i creditori non possono esigere dall’Argentina quello che non esigono dal resto del mondo, se non avvicinano le loro posizioni non dipende più da me». L’ultima offerta argentina prevede uno sconto complessivo del 50% del valore netto del debito più un bonus proporzionale agli attivi delle esportazioni. luglio - agosto 2020

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IL GIRO DEL MONDO IN 30 GIORNI

FACCE FEROCI E PATTI SOTTERRANEI, PECHINO ACCELERA L’ACQUISTO DI DERRATE DAGLI USA

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e tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina sono forse un po’ meno laceranti di quanto non venga comunicato. Secondo quando riferisce il quotidiano “Global Times”, Pechino ha infatti pianificato di accelerare gli acquisti di prodotti agricoli statunitensi in conformità all’accordo commerciale di Fase uno. In particolare la Cina ha accettato di acquistare 200 miliardi di dollari in più in beni e servizi statunitensi per due anni. Gli acquisti riguarderebbero soia, mais ed etanolo. «C’è stato un certo allentamento delle tensioni, ma si tratta anche della Cina che onora l’accordo», ha spiegato Gao Lingyun, esperto dell’Accademia cinese delle scienze sociali che segue da vici-

TRUMP FA IL DOPPIO GIOCO CON LA CINA

LIU HE: «DOVREBBERO ESSERE CREATE CONDIZIONI E UN AMBIENTE FAVOREVOLI, E DOVREBBERO ESSERE ELIMINATE LE INTERFERENZE» no la disputa commerciale Cina-Usa. Il vicepremier cinese Liu He, che dirige la delegazione cinese nei negoziati commerciali con gli Stati Uniti, ha dichiarato a un forum finanziario a Shanghai

RUSSIA PESSIMISTA SUL PREZZO DEL GREGGIO

L DA VIENNA NO AL RECOVERY FUND DELL’UE

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l cancelliere Sebastian Kurz (nella foto) ha ribadito la contrarietà dell’Austria al fondo dell’Ue da 750 miliardi di euro per la ricostruzione dopo la crisi del coronavirus. «Siamo contrari a un’Unione del debito fatta entrare dalla porta di servizio», ha dichiarato senza troppi giri di parole Kurz. Il cancelliere austriaco si oppone al piano per il fondo di ripresa elaborato dala Commissione Ue e sostenuto da Germania e Francia, che si basa sulla concessione di prestiti rimborsabili e sovvenzioni non esigibili ali Stati membri dell’Ue colpiti dalla crisi. I finanziamenti deriverebbero dall’emissione di debito da parte della Commissione Ue. Con Paesi Bassi, Danimarca e Svezia, l’Austria fa parte dei cosiddetti “Quattro frugali” che contestano la proposta della Commissione europea e insistono affinché il fondo per la ripresa preveda esclusivamente prestiti rimborsabili. Kurz ha respinto le accuse di mancanza di solidarietà nei confronti degli altri Stati membri dell’Ue: «Siamo solidali, vogliamo aiutare, per questo abbiamo approvato il piano di aiuti della Commissione europea da 500 miliardi di euro». Il governo austriaco chiede all’Ue di non versare ulteriori fondi agli Stati membri senza che questi si impegnino a riforme di ampia portata. Non manca la retorica anti italiana di stampo populista: in particolare, il bonus per le vacanze da 500 euro previsto dal governo del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, è considerato dall’Austria «un esempio negativo». 86

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che entrambe le parti dovrebbero fare di più per portare a termine l’accordo. «Dovrebbero essere create condizioni e un ambiente favorevoli, e dovrebbero essere eliminate le interferenze per attuare congiuntamente l’accordo commerciale di Fase uno fra i due Paesi», ha detto Liu. La Camera di commercio degli Stati Uniti ha dichiarato che i legami funzionali tra Usa e Cina sono «nell’interesse fondamentale degli americani e di pace e stabilità nel mondo». In risposta, il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Zhao Lijian, ha dichiarato oggi che le aziende statunitensi che scelgono di migliorare i collegamenti commerciali ed economici con la Cina si schierano con opportunità e futuro.

a domanda globale di petrolio potrebbe richiedere dai due ai tre anni per raggiungere i livelli visti prima della pandemia di Coronavirus. Lo ha affermato il ministro russo dell’Energia, Alexander Novak, in un’intervista al quotidiano “Handelsblatt”. «Certo, non accadrà quest’anno. Speriamo che ciò accada nel 2021. Ma forse ci vorranno due o tre anni», ha detto Novak. Secondo il ministro russo dell’Energia le economie mondiali cresceranno ma le persone rimarranno caute nei viaggi, specialmente nei viaggi aerei, a causa della pandemia di Covid-19. Il governo, ha proseguito il ministro, prevede inoltre che il benchmark del petrolio russo raggiungerà una media di 35 dollari nel corso del 2020. Novak ha anche affermato che non è necessario ridurre ulteriormente la produzione di petrolio nell’ambito dell’accordo Oprc +, dal momento che tutti i suoi firmatari si sono in gran parte impegnati nel rispetto dell’accordo. «Tuttavia, abbiamo concordato di discutere la situazione ogni mese», ha precisato Novak. «Per ora, tutti stanno aderendo abbastanza strettamente all’accordo», ha aggiunto. Lo scorso 12 aprile i paesi Opec + hanno concordato di ridurre la produzione di petrolio di 9,7 milioni di barili al giorno nei mesi di maggio e giugno, di 7,7 milioni al giorno nella seconda metà dell’anno e di 5,8 milioni al giorno fino all’aprile 2022. All’inizio di giugno le parti hanno concordato di prorogare l’accordo fino alla fine PUTIN COL MINISTRO NOVACK di luglio.


IL GIRO DEL MONDO IN 30 GIORNI

I LLOYD’S SONO PENTITI PER LO SCHIAVISMO

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opo che il loro ruolo nel commercio degli schiavi è emerso dalla banca dati dello University College di Londra, Greene King e i Lloyd’s di Londra, due delle aziende più importanti del Regno Unito, hanno deciso di fare investimenti importanti a favore delle comunità di colore e delle minoranze etniche. Greene King è una delle più grandi catene di pub del Regno Unito, mentre Lloyd’s è una delle maggiori società di assicurazioni al mondo. È la prima volta che la controversia riguardante il ruolo del Regno Unito nella storia dello schiavismo ha un impatto sul settore privato. Greene King è stata fondata all’inizio del diciannovesimo secolo da Benjamin Greene, che ottenne dal governo britannico l’equivalente di 500 mila sterline odierne (556 mila euro) come compenso per l’abolizione della schiavitù nel 1833. Anche Simon Fraser, uno dei fondatori dei Lloyd’s, ricevette circa 400 mila sterline odierne (445 mila euro) dal governo del Regno Unito. Queste informazioni sono emerse da una banca dati dell’University College di Londra. L’amministratore delegato di Greene King, Nick Mackenzie, ha detto al “Telegraph” che la società inserirà le informazioni relative al suo collegamento con il commercio degli schiavi sul proprio sito web. «Il fatto che uno dei nostri fondatori abbia tratto profitti dalla schiavitù e si sia opposto alla sua abolizione nel diciannovesimo secolo non è scusabile», ha detto Mackenzie. Un portavoce dei Lloyd’s ha commentato che la società di assicurazioni «condanna le indifendibili ingiustizie avvenute durante quel periodo».

LA CARITÀ PELOSA DI XI VERSO L’AFRICA

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l presidente cinese Xi Jinping ha affermato nel suo intervento al summit straordinario Cina-Africa, organizzato in videoconferenza a causa dell’emergenza coronavirus, che la Cina esonererà alcuni Paesi africani dal rimborso di prestiti a tasso zero dovuti alla fine del 2020. «Dobbiamo impegnarci a combattere insieme la pan- XI JINPING, LEADER CINESE demia di Covid-19. La Cina lavorerà con l’Africa per sostenere il sistema di governance globale incentrato sulle Nazioni Unite e sosterrà l’Organizzazione mondiale della sanità per dare un contributo maggiore alla risposta globale al Covid-19», ha detto Xi, annunciando che Pechino darà la priorità ai Paesi africani una volta che i vaccini contro il Covid-19 saranno pronti per l’uso. «La Cina inizierà prima del previsto la costruzione della sede dell’Africa Cdc (Centro africano per il controllo e la prevenzione delle malattie) quest’anno», ha detto il presidente cinese, riaffermando l’impegno a rafforzare la cooperazione Cina-Africa. Le conseguenze della pandemia sull’economia africana saranno estremamente pesanti. Secondo un rapporto di Uneca (la Commissione economica per l’Africa dell’Onu) la crisi da Covid-19 rischia di spingere tra i 5 e i 29 milioni di persone in Africa al di sotto della soglia di povertà estrema di 1,9 dollari al giorno. Pechino detiene infatti la quota di gran lunga maggiore del debito dei paesi africani: secondo l’Overseas development institute i prestiti dalla Cina costituiscono circa il 33% del debito estero del Kenya, il 17% di quello dell’Etiopia e il 10% di quello della Nigeria.

LA SPAGNA INSISTE SULLA WEB TAX E VA ALLO SCONTRO CON L’AMMINISTRAZIONE TRUMP

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onostante le forti pressioni che l’amministrazione Trump sta facendo su tutti i Paesi europei, il governo spagnolo non farà marcia indietro sul disegno di legge per la tassazione di alcuni servizi digitali offerti da grandi aziende informatiche, attualmente in discussione in parlamento. Grazie al provvedimento, lo Stato potrebbe ottenere circa 968 milioni di ero all’anno. Lo hanno riferito fonti del ministero della Finanze spagnolo al quotidiano “Cinco Dias”, spiegando che il disegno di legge sulla web tax seguirà il normale iter parlamentare. Per le fonti inoltre la tassa sui servizi digitali «non guarda alle bandiere né va contro alcun

Paese». Si tratta, invece, di un’iniziativa che segue il lavoro avviato dalla Commissione europea. Le stesse fonti hanno confermato che il ministro delle Finanze, María Jesus Montero, ha ricevuto con gli omologhi di Francia (Bruno Le

IL PREMIER SPAGNOLO SANCHEZ

Maire), Regno Unito (Rishi Sunak) e Italia (Roberto Gualtieri), una lettera del segretario del Tesoro degli Stati Uniti, Steve Mnuchin. Nella missiva, Mnuchin afferma che i negoziati sulla web tax in corso all’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) sono giunti ad un punto morto. Il segretario al Tesoro degli Usa si dice quindi contrario a concordare modifiche alla normativa tributaria internazionale che interesserebbero le aziende digitali statunitensi. «Questo è un momento in cui i governi del mondo dovrebbero concentrare la loro attenzione sulla gestione dei problemi economici generati dal Covid-19», ha scritto Mnuchin.

Il giro del mondo in 30 giorni è a cura di Riccardo Venturi luglio - agosto 2020

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COSMOPOLITICA Andrea Margelletti Presidente del Centro Studi Internazionali, docente presso la Facoltà di Scienze delle Investigazioni e della Sicurezza dell’Università di Perugia e Narni. Unico membro onorario delle Forze Speciali

USA, DOVE PROTESTA SOCIALE E RAZZIALE SI FONDONO

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ra 50 anni, forse gli storici definiranno il 2020 come l’”anno breve”, mutuando la celebre espressione di Eric Hobsbawm riferita al 1900. Infatti il grande saggista britannico definì il ‘900 come il “secolo breve”, sottolineandone la velocità degli sconvolgimenti e il fatto di aver prodotto più storia di quanto potesse contenerne. Il 2020 sembra perfettamente adattarsi a quella definizione, se pensiamo che in appena 6 mesi ha ospitato la più grande pandemia della storia mondiale recente, la conseguente più aspra recessione dai tempi del 1929, le più ampie proteste sociali e razziali negli Stati Uniti dal 1968 e l’uccisione di Khassem Suleimani, capo delle guardie della rivoluzione iraniane. Se questo è il “primo tempo”, non oso immaginare come sarà il secondo. Se si esclude la neutralizzazione di Suleimani, il resto degli avvenimenti risulta inevitabilmente connesso e consequenziale sia in un’ottica di breve periodo che di lungo. La brutale uccisione dell’afro-americano George Floyd ha innescato una protesta sociale e politica le cui radici sono profonde all’interno del mosaico multi-culturale statunitense. Basti pensare che le due frasi di denuncia che hanno caratterizzato le manifestazioni, ossia “I cant’ breath” e “black lives matter” non sono nate con il tragico avvenimento del 25 maggio, ma ben 6 anni prima, quando altri cittadini Usa erano caduti vittima della brutalità della polizia. Per essere chiari, la polizia locale americana è tristemente famosa per i suoi metodi troppo frequentemente violenti e la comunità afro-americana è troppo frequentemente bersaglio di questa violenza. I numeri parlano chiaro: gli afro-americani rappresentano il 14% della popolazione ma costituiscono il 24% delle uccisioni della polizia. Tuttavia, è anche vero che il 53% degli arresti per omicidio, furto e violenza vede protagonista un rappresentante della comunità afro-americana e che nel 90% dei casi questi crimini sono intra-razziali. I dati ci dicono due cose: la comunità afro-americana commette più reati violenti contro la persona e la proprietà e lo fa soprattutto al proprio interno. Scientificamente è dimostrato che i tassi di violenza e criminalità sono collegati alla situazione sociale ed economica di una comunità: alla crescita della vulnerabilità, cresce il livello di violenza e criminalità. Inoltre non si può ignorare che negli Usa continui a esistere un pesante problema di convivenza tra diverse comunità etnico-culturali e di razzismo, spesso alimentato dal pregiudizio. La polizia locale americana è portata ad avere “attenzioni” particolari verso gli afro-americani perché la comunità bianca li identifica spesso come pericolosi e violenti. Un pregiudizio costruito sull’iniquità e sulla disuguaglianza. Un pregiudizio che anche noi europei abbiamo cominciato a sperimentare negli ultimi 5 anni, 88

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con la crescita sistemica del fenomeno migratorio dall’Africa. In questo senso la protesta della comunità afro-americana si collega direttamente al 1968 e alla stagione delle lotte di Martin Luther King e di Malcom X, delle Pantere Nere e del Black Power. Si tratta di una protesta contro il pregiudizio razziale e sugli effetti economici e sociali che quel pregiudizio porta con sé. Domandiamoci quanti cittadini afro-americani non vengono assunti in determinati posti di lavoro per il colore della loro pelle o per la loro provenienza cittadina. Appare evidente la viziosità di questo circolo. Il pregiudizio genera violenza che agisce come blocco dell’ascensore sociale che a sua volta genera frustrazione, altro pregiudizio e altra violenza. Per quanto fermamente ingiustificabile, questo ci spiega il senso dell’assalto ai negozi negli Usa. Assalire i negozi serve a rubare quei costosi oggetti che denotano uno status economico e sociale chimerico e irraggiungibile. La Tv al plasma, l’orologio d’oro o l’ultimo Iphone sono i feticci con cui si esorcizza la frustrazione e il senso di smarrimento. Un discorso simile riguarda la furia iconoclasta che ha colpito le statue di grandi del passato e che non ha risparmiato neppure l’Italia (Montanelli ci scuserà ovunque si trovi adesso). Abbattere le statue è un’azione che abbiamo visto nella Russia post-sovietica, nell’Iraq del dopo-Saddam e in tutti quei Paesi dove una rivoluzione violenta spodestava un tiranno. Tuttavia mi chiedo chi sia il tiranno in questo caso. Churchill che ha vinto la Seconda Guerra Mondiale ed è stato un alfiere della libertà e della democrazia? Gandhi apostolo della non violenza? Montanelli padre del giornalismo italiano? In quanto furia, l’iconoclastia non risponde a piena razionalità e finisce per assumere tratti caricaturali poiché cerca di livellare tutto con l’arroganza di chi, citando Guccini, “sta sempre con la ragione e mai col torto”. Se la benzina sul fuoco della protesta è socio-economica, allora l’impoverimento di molti nuovi disoccupati americani a causa della recessione da Covid-19 non può essere ignorato. Senza l’onda lunga dei licenziamenti, delle limitazioni alla libertà di spostamento e della contrazione della produzione la protesta sarebbe stata meno feroce e meno sentita. Però dobbiamo confrontarci con il mondo che abbiamo e non con quello che vorremmo. Quindi protesta sociale e protesta razziale ormai sono indissolubilmente saldate e fuse. Specchio dei nostri tempi, in sintesi. Specchio di un’America che ha eletto democraticamente Trump, sapendo cosa Trump fosse e cosa volesse fare e dire. Un’America che ha scelto e che dovrà scegliere consapevolmente se confermarlo al comando il prossimo novembre. Attenzione però le proteste iniziano e finiscono e gli americani, alla fine, guarderanno la cosa a cui tengono maggiormente, ossia il portafoglio.



IMMOBILIARE ACCORDI STRAGIUDIZIALI

Aste di esproprio bloccate dal Covid? Si può acquistare col “saldo e stralcio” di Giuseppe D’Orta

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e vendite degli immobili in asta sono bloccate per lo più fino al prossimo 30 ottobre, ma gli investitori possono acquistare anche prima che i Tribunali ripartano e le attività giudiziali riprendano. Ciò è possibile tramite accordi “a saldo e stralcio”. Ne parliamo coi titolari dello Studio Legale Iocca-Chiappetta, specializzato in materia. Di che si tratta? Il “saldo e stralcio” - spiega Emma Iocca - è un accordo tra i creditori presenti nel giudizio di espropriazione immobiliare ed i debitori esecutati, in virtù del quale i primi rinunciano a proseguire il giudizio grazie all’intervento di un investitore che acquista l’immobile, saldando i creditori e liberando dai debiti gli esecutati, senza l’intervento del giudice dell’esecuzione o del delegato alle operazioni di vendita. Ai fini della fattibilità dell’operazione è necessario che si incontrino l’interesse dell’investitore ad acquistare il bene prima della data fissata per la vendita all’asta, anche per non concorrere con eventuali altri potenziali acquirenti; l’interesse del debitore esecutato che, nella peggiore delle ipotesi, viene a capo della situazione con i debiti azzerati - il risultato non è garantito se l’immobile viene venduto durante l’asta - o, se il debito è inferiore al prezzo di acquisto, ricevendo parte del prezzo; l’interesse dei creditori che saranno disponibili ad accettare dall’investitore delle somme che, seppur inferiori rispetto ai loro crediti iniziali, potrebbero rivelarsi più consistenti di quelle percepite tramite asta - specie se l’immobile non si vende al primo tentativo -, e comunque incassate con largo anticipo rispetto ai tempi lunghi delle vendite giudiziarie e delle incognite dei programmi di riparto. Ma dal punto di vista operativo, come funziona? Salvo rari casi - illustra l’avvocato Raffaella Chiappetta - gli investitori non hanno né la competenza per svolgere un’accurata analisi economico-giuridica - che necessariamente deve andare oltre il dato nominale - delle posizioni debitorie e creditorie, fondamentale per formulare una proposta meritevole di essere presa in considerazione dai creditori e al tempo stesso sicura per loro stessi, né la dovuta sensibilità personale per trattare con il debitore ottenendo l’iniziale, quanto indispensabile, mandato ad interloquire, per suo conto, con i creditori, né probabilmente il tempo o la voglia di occuparsi delle estenuanti trattative. Esistono però società o professionisti come gli avvocati esperti del settore, che prestano consulenza all’investitore 90

È UN ACCORDO TRA I CREDITORI PRESENTI NEL GIUDIZIO E I DEBITORI “ESECUTATI”, CON CUI I PRIMI RINUNCIANO AL GIUDIZIO PERCHÉ INTERVIENE UN INVESTITORE CHE ACQUISTA

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affiancandolo ed accompagnandolo durante l’intero iter. Gli immobili possono essere acquistati a saldo e stralcio anche durante l’asta? Certo che sì. L’asta è solo l’ultima fase del giudizio di espropriazione, la definizione dell’accordo e dell’acquisto - che si formalizza davanti a un notaio e fuori dalla sede giudiziaria - può intervenire sia nel periodo che intercorre tra la data di notifica del pignoramento e quella di fissazione o celebrazione della vendita all’asta, sia tra un esperimento andato deserto e il tempo necessario per il delegato di mandare in pubblicità un nuovo tentativo d’asta. Ciò che trasforma quest’opportunità in concreto investimento è solo la consapevolezza della sua esistenza da parte dell’investitore e la determinazione e lo sforzo di affidarsi ad un consulente professionista che farà il resto. Ormai anche i Tribunali caldeggiano tale soluzione, al punto che i custodi giudiziari, durante il primo accesso negli immobili pignorati, sono tenuti a informare gli esecutati della convenienza ad attivarsi per vendere autonomamente i beni staggiti - saldando ovviamente i creditori intervenuti -, prima cioè che venga fissata l’asta. Ciò rappresenta un passo in avanti rispetto al passato in quanto l’informativa ricevuta rende i debitori pignorati maggiormente propensi a vendere gli immobili direttamente agli investitori attraverso tali accordi.


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PERSONAGGI IMMOBILIARE INNOVATIVO

Gatti, quando la solidità del mattone viaggia con la velocità del digitale di Angelo Curiosi

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a sua passione è il mattone. La sua ossessione è innovare. Coniugare due obiettivi – investire nel mattone e farlo innovando – richiede a Giuseppe Gatti una dose di temerarietà imprenditoriale non da poco. Sorretta però da una grande concretezza e una parola d’ordine: trasparenza. «Mi sembra un must», osserva lui, 47 anni, elegante, digitale, self-made men. «Oggi credo che il crowdfunding immobiliare sia la strada giusta per coniugare queste due esigenze mie ma anche di una parte del mercato», osserva. E racconta la sua storia di startupper seriale che più di tre anni fa, nel 2017, fu selezionato tra le proposte innovative immobiliari da Ideare – la manifestazione più attrattiva del settore - e inserito nella rosa degli otto finalisti. Obiettivo, democratizzare gli investimenti immobiliari. Abbassare l’asticella dell’accesso al grande business anche a chi abbia 500 euro da investire. Fu selezionato tra i “magnifici otto” ma poi la sua idea restò orfana, in quella fase. «E dovetti andare avanti da solo, insistendo, e riuscendo nel 2018 a fare la raccolta equity crowdfunding immobiliare più grande d’Italia, oltre 1,2 milioni in 10 giorni. La campagna di raccolta si chiamava proprio ‘Investi con me by Giuseppe Gatti’. Chi ci ha creduto ed ha investito», sottolinea oggi lui, con visibilissimo orgoglio, «sta ricevendo proprio in questo giorni una dividendo del 12%: si tratta di oltre 200 investitori. Per riuscirci abbiamo fatto 13 operazioni immobiliari, comprando, ristrutturando, frazionando e vendendo a Torino, Bologna e Roma, contemporanemen92

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«IL CROWDFUNDING IMMOBILIARE È LA STRADA GIUSTA PER CONIUGARE IL REAL ESTATE CON L’INNOVAZIONE IN MODO TRASPARENTE VERSO IL MERCATO E TUTTI GLI INVESTITORI»

Giuseppe Gatti è un operatore innovatore che ha affidato le sue esperienze e le sue idee sull’innovazione nel mattone a tre libri pubblicati con Mondadori

te. Abbiamo generato oltre 400 mila euro di margine operativo lordo al 31 dicembre 2019». Per operare in proprio, senza aspettare angeli azzurri, Gatti ha deciso di mettere on-line tutte le sue idee, e far da sé. Ha puntato su una piattaforma di equity crowdfunding, dove l’investitore diventa socio di chi gli propone l’investimento, che resta così legato al suo buon esito, sempre con la massima trasparenza. «La holding con cui controllo le mie attività, e che porta il mio nome, perché mi piace essere chiaro sin dal logo», spiega Gatti, «dopo un anno solo di attività piena controlla attraverso la partecipata al 100% Neticwork ben sei start-up che fanno investimenti immobiliari specialistici, verticali: dal cambio di destinazione d’uso al trading». Ma l’attività di maggior richiamo pubblico Gatti la gestisce


PERSONAGGI attraverso Sd Capital, acronimo di SpecchioDinamica: «È la community di investitori immobiliari N.1 in Italia», spiega, «ovvero il concetto di operare uniti ma in modo indipendente. Abbiamo costituito infatti questa comunità online con accessi selezionati a pagamento, attraverso la quale a oggi abbiamo già effettuato investimenti immobiliari per oltre 60 milioni di euro, eravamo 8 partecipanti al progetto e ora siamo siamo diverse centinaia, i più bravi e dinamici salgono di un gradino e diventano miei soci nella galassia Neticwork». “Operazioni e denominazioni si moltiplicano, perché ogni singolo investimento è una sfida in sé, e dunque Gatti ha partecipato alla creazione di Noomery, una società 115 T.U.L.P.S. dotata di un veicolo “SPV 130/99 e di una società RE.O.CO 7.1”, insomma società di scopo, che si occupano di cartolarizzazioni di crediti immobiliari e repossess degli asset. Permettendo a sua volta a tanti investitori di acquistare anche un singol name di credito immobiliare (“ma qui la soglia d’accesso all’investimento è alta”, avvisa Gatti). A sentirlo parlare ti viene il sospetto che quella passione per il mattone innovativo sia, come dire, aggravata da un marcato desiderio apostolico: convincere, cioè, il mercato che il suo nuovo approccio possa e debba diventare la norma… «Veda lei: sono le mie idee, ci credo, c’ho scritto tre libri!». Già: “Rivoluzione immobiliare. Guida formativa per investitori immobiliari”, è stato il primo; “Errata corrige: 18 casi di investimenti immobiliari: gli errori che si potevano

«DIAMO A TUTTI GLI INTERESSATI L’OPPORTUNITÀ DI INVESTIRE NELL’IMMOBILIARE RIMANENDO AGGIORNATI SUL PROPRIO INVESTIMENTO, MA SENZA DOVERSI ADDENTRARE NELLA GESTIONE» evitare”, il secondo; sugli errori da evitare, e adesso “Forma mentis. Come sviluppare il giusto mindset per avere successo negli investimenti immobiliari”, tutti con Mondadori. «Anche scrivere e insegnare è per me un modo di democratizzare il mercato», commenta l’autore, «perché di questo si tratta. Pensi che, normalmente, la soglia d’accesso per l’investimento nei fondi immobiliari è tendenzialmente abbastanza alto, con l’equity crowdfunding si riduce a 500 euro. E ho portato questa dimensione orizzontale e aperta alla mia community spiegando via web in audiviodeo, operazione per operazione, quali affari stavo facendo e perché». Un costo, certo: ma anche una strada obbligata se ci si vuole far capire, con tutto il proprio contenuto innovativo: «Ho dimostrato che anche nell’immobiliare con piccole cifre si posso fare operazioni importanti. Certo, è un’attività molecolare che ci assorbe, ma intanto abbiamo una struttura centrale forte e poi abbiamo un team di gestori che raggiunge le 50 unità». Per Gatti, che “durante il lockdown” ha intervistato tante persone del settore, chi doveva comprare ha già comprato il grosso eppure le opportunità in acquisto restano ancora molte. E saranno quindi l’obiettivo di Sd Capital e di “Investi con me”. «Vogliamo dare a tutti gli investitori interessati

l’opportunità di investire nell’immobiliare rimanendo attivamente aggiornati sull’evoluzione del proprio investimento», spiega lui. «Daremo la possibilità di diversificare in maniera notevole gli investimenti in quanto opereremo nell’acquisto, ma anche nella ristrutturazione e vendita di molteplici unità sul territorio italiano - l’obiettivo è fare 60 operazioni in 36 mesi -. Anche qui, per investire, si può iniziare con un ticket minimo di 500 euro». Considerando un’operazione media ad un valore di 100.000 euro ed un utile medio di 16.000, l’esecuzione di 20 operazioni immobiliari all’anno, e la durata di 3 anni della società, è prevedibile un utile complessivo di 978.000 mila euro, cioè ben 326 mila per anno solare, al netto dei costi di gestione di circa euro 180.000 ed al netto delle imposte sul reddito d’impresa, pari ad 264.060 euro. Ed ecco il rendimento lordo annualizzato di circa il 12% cui si arriva. Come previsto dal business plan i soci investitori vengono dotati di quote societarie con soli diritti patrimoniali, esclusi i diritti amministrativi. La società, avendo un obiettivo di durata massimo di 3 anni, una volta ceduti gli appartamenti o gli asset rimasti in proprietà, prevede la liquidazione dei soci rimanenti tramite distribuzione del capitale iniziale e degli utili conseguiti. E’ tutta qui la sostanza “democratica” del mattone secondo Gatti. E il suo “apostolato” culturale, quello affidato anche ai libri. In questo senso il titolo dell’ultimo (per ora) dei tre libri, appunto “Forma Mentis”, è rivelatore: investire bene richieda appunto la giusta “forma mentis”, l’approccio mentale appropriato. Per spiegarlo concretamente e aiutare così i lettori a maturare, Gatti risponde a domande-chiave, alcune semplici altre sofisticate: Qual è l’atteggiamento giusto di fronte a una determinata tecnica immobiliare? Quali sono le risorse personali da attivare? Quali aspettative nutrire e in che misura essere prudenti? E molte altre… Un vademecum indispensabile, che con l’equity crowdfunding diventa opportunità concreta a portata di quasi ogni mano. luglio - agosto 2020

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PERSONAGGI INTERVISTA A FRANCO GIRASOLI

Il turismo di classe si salverà con il ritorno a un passato d’élite di Monica Setta

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Franco Girasoli, il top manager del 2020. Celebrato dalle riviste piu prestigiose del mondo, Girasoli è il fiore all’occhiello del colosso alberghiero che fa capo a Rocco Forte. È un giramondo, eppure questa estate ha scelto di fermarsi in Puglia, a dirigere la Masseria Torre Maizza, cioè nella regione dove si prevede il sold out. A Girasoli Investire ha chiesto di fare il punto sulle prospettive economiche future del settore.

Come riparte la stagione turistica dopo la pandemia del Covid-19? Ormai siamo in piena fase 3... La ripartenza della stagione turistica pugliese del gruppo Rocco Forte Hotels ha visto tutte le azioni che sono state studiate in questo periodo di stop necessario, mirate a far trascorrere ai nostri ospiti un soggiorno in totale sicurezza e tranquillità. Per la stagione 2020 infatti sono stati attivati una serie di accorgimenti che verranno applicati in Masseria Torre Maizza per il benessere dei nostri clienti e del personale. Tra le azioni concrete implementate, che saranno una novità ricordiamo: lo sviluppo di un protocollo che supera quanto richiesto a livello internazionale per garantire la sicurezza di tutti, pulizia e disinfezione profonda di tutte le aree pubbliche e intensificazione della sanificazione delle camere. Non solo:nella tenuta di 9 ettari verranno organizzate attività di fitness all’aperto. Ma c’è anche il ritorno “al passato” nei ristoranti e bar con guanti per il personale di servizio e piatti in tavola coperti da cloche e i menu ad uso singolo ed esclusivo, sostituiti ogni volta. Esiste poi una area dedicata della Masseria, separata dal corpo centrale, che può essere completamente privatizzata 94

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IL TOP-MANAGER DEL GRUPPO FORTE SPIEGA COME LA QUALITÀ SIA LA RISPOSTA ALL’ANSIA CHE LA PANDEMIA HA SEMINATO NEL MONDO

per offrire fino a 9 camere con piscina e giardini privati. Insomma si tratta di nuovi protocolli Spa per garantire il distanziamento tra gli ospiti e il personale, implemento di trattamenti “touch free” per gli ospiti più esigenti. Lei è ottimista, insomma? Per rispondere alla sua domanda vorrei che lei pensasse agli autentici miracoli che gli imprenditori italiani stanno compiendo, non solo ora ma in questi anni con una nazione priva di sufficienti infrastrutture, di un ordinamento giudiziario lento nel prendere decisioni in merito a eventuali dispute, di una mancata digitalizzazione della pubblica amministrazione, del ritardo nello sviluppo dei trasporti nell’alta velocità tra varie parti del Paese, del ritardo nel dotare il Paese di una velocità elevata della rete e di una completa disponibilità di fibra ottica al passo con


PERSONAGGI altre nazioni in tutte le zone del paese, nella mancanza di governi stabili che portino avanti e completino i programmi decisi in partenza, del ritardo della pubblica istruzione a preparare una classe dirigente che possa essere immediatamente pronta ad affrontare le sfide che il mercato pone davanti. Lei dice che malgrado tutto l’economia italiana ha il Dna per riprendersi e bene? Fosse un investitore straniero punterebbe ora sull’Italia? Direi che nonostante queste mancanze e sono tante, abbiamo delle eccellenze mondiali che primeggiano in molti campi e che sono il nostro vanto. Ecco, le dico, se nonostante tutte le difficoltà sopra elencate, riusciamo ad avere riconoscimenti in vari settori, da investitore straniero posso solo pensare che ci sia ancora molto di inespresso, nel nostro Paese, per quanto riguarda le opportunità di sviluppo e di avere un buon ritorno del proprio capitale in caso di investimento nel nostro territorio e nella capacità degli italiani. Mi racconti di questo case history in positivo che è la struttura di Rocco Forte dove lei opera cioè Masseria Torre Maizza... Dalla sua apertura nell’estate 2019, Masseria Torre Maizza ha potuto avvantaggiarsi della dimensione raccolta della struttura e dall’intimità che ne deriva, punti forti che garantiscono ai nostri ospiti di trascorrere il loro soggiorno nella privacy più assoluta. La Masseria infatti è caratterizzata da diversi ampi spazi all’aperto, dove il distanziamento sociale veniva già attuato ancor prima dell’emergenza Covid-19. Sicuramente, la conformazione della Masseria sarà d’aiuto alle norme di sicurezza che abbiamo implementato per questa stagione estiva caratterizzata dall’utilizzo delle mascherine e dalla sanificazione costante di tutti gli spazi della Masseria.

che sicuramente ha guadagnato bene nella sua vita. Che rappresenta il denaro per lei? Il mio rapporto con il denaro è molto semplice. Non ho mai pensato che potesse darmi la felicità anche se può aiutare qualcuno ad esserlo. Ho sempre pensato, fin da ragazzo, che avrei voluto una vita piena di esperienze, di riconoscimento per un operato svolto in maniera corretta dal punto di vista tecnico ma che fosse riconosciuta anche la parte creativa che ha portato a raggiungere quel risultato. Ho quindi previlegiato mentori illuminati pronti a rischiare per un ragazzo che aveva ambizioni e amava raggiungere dei risultati per avere una posizione dove poter mettere in mostra le sue capacità.

Ne ha trovati tanti sul suo cammino? Non ne ho trovati molti ma quei pochi hanno segnato la mia vita e mi hanno dato occasione di mettere in mostra le mie capacità nelle relazioni umane e nella capacità di raggiungere i risultati attraverso anche soluzioni creative. Sono più felice nello scoprire di aver fatto qualcosa nella mia vita che abbia reso felice altri, nel mio campo questi altri sono i miei clienti e loro sono la mia ricchezza. Ho la fortuna di avere incontrato ogni tipo di celebrità e miriadi di persone che pur non essendo famose avevano qualcosa da trasmettere.

«IL MIO MIGLIOR INVESTIMENTO È STATO QUELLO NELLA FORMAZIONE DEI MIEI FIGLI »

Lei crede che gli italiani cerchino standard di sicurezza sanitaria nelle vacanze 2020? Assolutamente si!

Avete cambiato strategie per la stagione che verrà? Per la stagione che verrà non abbiamo cambiato strategie di marketing, abbiamo semplicemente spostato il nostro target da un turismo internazionale al turismo italiano, cercando di venire incontro alle esigenze di tutti pur mantendendo i prezzi in linea con il mercato e garantendo ai nostri ospiti gli standard dei servizi per il quale il gruppo Rocco Forte Hotels si differenzia nel settore. Mi pare di capire che la Puglia con i suoi contagi zero farà da trend setter per il futuro... Sicuramente la stagione 2020 vedrà protagonista un turismo nuovo, e qui in Puglia stiamo facendo il possibile per rendere le esperienze dei nostri clienti come sempre all’altezza degli standard del gruppo Rocco Forte Hotels. Mi permetta una curiosità. Lei è un manager di successo

Che cosa le hanno trasferito queste celebs? Ho attinto da ognuno di loro qualcosa e seppur non ancora giunto - spero - alla fine della mia piccola carriera, mi sento molto ricco da punto di vista spirituale e sono orgoglioso di avere avuto l’onore e il piacere di conoscerle e di avere avuto uno scambio di consigli, aneddoti, racconti di vita e esperienze. Inoltre posso affermare che il denaro mi ha portato ad aiutare i miei figli ad avere una scelta nello studio. Una opzione che io non ho potuto avere non disponendo di una situazione familiare che mi consentisse, nella mia gioventù, di scegliere tra lo studio e il contatto immediato con il mondo del lavoro.

Ha investito molto sui figli... Loro hanno avuto questo privilegio - hanno scelto lo studio - ed è una delle cose che mi rende più felice. Il denaro mi consente di pianificare il futuro oltre il lavoro e di affrontare, tramite la stipula di una assicurazione imprevisti nel campo della salute. Della ricchezza monetaria sarei felice se fosse il traguardo personale di molte delle mie sfide, nel campo del lavoro e non, vinte e portate a termine. Per carattere, della ricchezza avrei paura, se mi facesse perdere quelle impellente voglia di raggiungere un traguardo sempre più alto di cui necessito per sentirmi realizzato. Che tipo di risparmiatore è nella vita? Cicala o formica? Le posso dire che più che risparmiatore sono un eccellente pagatore. Sono quindi una cicala ma non perdendo di vista la capacità di risparmiare per vari piani di accumulo previdenziali che mi possano regalare una vita tranquilla dopo il mio ciclo lavorativo. Sono quindi una persona che come si dice, fa girare l’economia. Cerco quindi di non far mancare niente a me e la famiglia senza esagerare nelle spese superflue. luglio - agosto 2020

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LA BANCARELLA Vittorio Borelli Giornalista di lungo corso, condirettore de Il Mondo, fondatore e direttore di East, già direttore delle relazioni esterne di Unicredito nella gestione Rondelli-Profumo

TI REGALO UN LIBRO, MA STATTENE TANTO IN VACANZA

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he cosa regalerebbero gli italiani ai politici, ai giornalisti e agli opinion leader che li hanno accompagnati nella lunga traversata del Covid-19? Malalingua ha commissionato alla Gallup un sondaggio esclusivo sul tema. Da cui risulta che gli italiani - riconoscenti ma parsimoniosi regalerebbero libri, Cd e Dvd. Ma non solo.

POLITICI

GIORNALISTI

· Alessandro Sallusti, un certificato medico per NON partecipare a due serate consecutive di Otto e mezzo con Lilly Gruber · Marco Travaglio, Il falò delle vanità di Tom Wolfe e un’edizione rara dell’Uomo che ride di Victor Hugo · Federico Rampini, il facsimile di un contratto da direttore di Repubblica · Maurizio Belpietro, il Dvd Quando c’era lui, caro lei per la regia di Giancarlo Santi · Maurizio Molinari, La Divina Commedia, commentata da Carlo De Benedetti (Inferno), Eugenio Scalfari (Purgatorio) e John Elkann (Paradiso) · Vittorio Feltri, il Dvd Forrest Gump, per la regia di Robert Zemechis · Giovanni Floris, Uno, nessuno e centomila di Luigi Pirandello · Bruno Vespa, Da qui all’eternità di James Jones e Via col vento di Margaret Mitchell · Bianca Berlinguer, il Dvd Nel nome del padre di Jim Sheridan · Luciano Fontana, una bussola e un walchie-talkie per parlare direttamente con Urbano Cairo · Enrico Mentana, Un grande avvenire dietro le spalle di Vittorio Gassman · Mario Giordano, il Cd Fai rumore di Diodato

· Sergio Mattarella, Cent’anni di solitudine di Gabriel Garcia Marquez · Giuseppe Conte, L’uomo in bilico di Saul Bellow e una forbice per tagliare il Nodo Gordiano · Luigi Di Maio, Io speriamo che me la cavo di Marcello D’Orta, più una dozzina di cravatte di Marinella Made in Napoli · Nicola Zingaretti, L’Amleto di Shakespeare · Matteo Salvini, Lo Übermensch, ovvero il Superuomo, di Friedrich Nietzsche e il best seller planetario Mojito di Francesca Longo · Roberto Speranza, Il malato immaginario di Moliere · Beppe Grillo, Un passo avanti e OPINION LEADER due indietro di Vladimir Il’ic Ul’janov, detto Leni · Roberto Burioni, dieci flaconi di shampoo Libera e Bella · Alessandro Di Battista, Il saggio · Ernesto Galli della Loggia, L’utilità dell’inutile Futility di Wilfred Owen di Nuccio Iovane · Massimo Cacciari, Le diatribe · Luigi Bersani, Alla ricerca del tempo perduto di Epitteto e Niente di nuovo sul di Marcel Proust fronte occidentale di Erich Maria Remarque · Vito Crimi, Il potere del sonno di Richard Wisema · Mauro Corona, il Cd di Enzo · Giorgia Meloni, un cofanetto con gli Iannacci El purtava i scarp del tennis Stornelli romani cantati da Lando Fiorini · Sandro Veronesi, un cardellino, un TORNIAMO A SORRIDERE e Piccole donne crescono di Luisa May pettirosso e due quaglie Alcott La consueta “Biblioteca”, di Antonio · Vittorio Sgarbi, Dopo di me il diluvio di · Matteo Renzi, Le Illusioni perdute di Quaglio, è in vacanza per un numero. David Forrest Honorè de Balzac Niente paura: tornerà. Intanto,

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sorridiamoci sù. Nelle foto, dall’alto: Sergio Mattarella, Alessandro Di Battista, Giorgia Meloni, Matteo Renzi, Bianca Berlinguer, Mauro Corona.


EDUCAZIONE FINANZIARIA Paolo Zucca Iscritto all’Ordine dei Giornalisti dal 1979, già responsabile del supplemento de II Sole 24 Ore Plus 24. Partecipa a tutorial e iniziative contro l’eccessivo uso del contante. Twitter @pzu551

CORAGGIO, RIESAMINIAMO IL NOSTRO MATTONE DA INVESTIMENTO

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errebbe da chiedersi se chi ha comprato immobili da investimento (non la prima casa, o quella degli stretti congiunti, che ha altre finalità di nucleo) ha fatto una buona scelta. Se passato questo anno orribile le ferite si rimargineranno o se resteranno aperte a lungo. Se l’investimento è in perdita e di quanto. Come è noto il risparmiatore tende a rimuovere le perdite perché riducono l’autostima. Non è questione di poco conto visto che metà della ricchezza delle famiglie italiane è nell’immobiliare, di abitazione, d’impresa e da investimento. Cinque mesi di immobilismo dovuto al Covid hanno spazzato ogni certezza e l’insieme dei cambiamenti improvvisi sta mettendo a dura prova gli innamorati del mattone. Esaminiamo gli investitori individuali. Non dimenticando che dubbi grandi per investimenti grandi sono nati tra i big del real estate; gli stessi che si sono strappati a suon di centinaia di milioni alberghi, residence, grandi impianti e location per eventi di massa. Timori che toccano le banche o i fondi immobiliari che hanno finanziato o accolto i maxi acquisti. Il mercato era già in difficoltà: crescevano Milano, Bologna, le grandi città turistiche e le zone di pregio. Il resto segnava segno meno, pur in presenza di tassi bassissimi e la scarsa concorrenza dei rendimenti finanziari. Per l’ultimo trimestre dello scorso anno Nomisma registrava una crescita solo dello 0,6%, l’evoluzione più bassa degli ultimi cinque anni e frutto di andamenti alterni per settori e zone geografiche. Per il 2020 post-Covid gli stessi analisti di Nomisma stimano una flessione delle compravendite residenziali compresa tra le 40mila e le 110mila unità. Nel 2019 ne erano state concluse 603mila e ne erano attese 613mila. La massima prudenza emerge nelle previsioni di Scenari Immobiliari che non nascondono difficoltà per un paio d’anni anche se alcuni immobili e aree uniche potranno avere recuperi più ravvicinati. Il fatturato del mercato immobiliare sarà in calo del 18% che media comparti e aree diverse. Si abbasseranno i prezzi? Probabilmente. Il mercato dovrebbe favorire gli acquirenti che, con o senza i bassi mutui, potranno spuntare il meglio. Penalizzati i venditori con immobili senza elementi di pregio. Le evoluzioni in corso sono tante e lo sanno bene i professionisti delle reti immobiliari che offrono consulenza tra domanda e offerta. Sono centri di ascolto diffuso. Loro, più che altri, sarebbero da intervistare in sondaggi periodici molto veritieri sullo stato di salute del mattone da abitazione. In apparenza il nuovo scenario indebolisce l’affitto breve cresciuto a dismisura con le piattaforme Airbnb e simili. C’è meno turismo, sono fermi eventi e fiere, i musei restano semichiusi e bisogna rispettare gli obblighi di sanificazione che aggiungono costi alle tasse e le spese condominiali. Per questo gli host sperano di allungare i tempi medi di permanenza e coprire almeno l’investimento iniziale di ristrutturazione. Nell’auspicabile ri-

Il nuovo scenario indebolisce l’affitto breve cresciuto a dismisura con Airbnb e simili presa non tutto tornerà come prima perché sta maturando l’idea di ridurre sfilate e convegni “in presenza” e lo spostamento degli investimenti in rete svuota alberghi e affitti. Non si può per fortuna spostare in virtuale lo splendore di una passeggiata a Capri o Roma e il turismo potrà recuperare un miglior tasso di occupazione delle stanze. Sempre che i trasporti tornino alla normalità. Le stanze per studenti in zone universitarie hanno sempre garantito ritorni ai proprietari di case, comprese le speculazioni e tanto nero. Per le università si profila un minor numero di iscritti, chi cercherà la laurea lo farà in atenei più vicini a casa (lo dice bene una ricerca Svimez) e la maggiore diffusione di lezioni a distanza non spingerà le locazioni. Lo smart working diffuso porterà semmai a cambiare casa aggiungendo una stanza in più, forse ne trarranno vantaggio i proprietari di case lontane dai grandi centri di lavoro. Gli architetti, non a caso, tornano a valorizzare i borghi. Non va meglio per chi ha comprato negozi da riaffittare: in tempi di Covid l’e-commerce ha spinto molto e mette in difficoltà le vetrine di strada. Per appartamenti e negozi è da mettere in conto una maggiore morosità. Tempi e costi per liberare la proprietà e recuperare qualcosa. Un buon investitore individuale, messo alle corde dalle negatività, può decidere di agire o aspettare. Sarà una sua scelta consapevole. Non può permettersi, anche se porta dei mal di pancia, di mettere la testa sotto la sabbia per non vedere. luglio - agosto 2020

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MALALINGUA Vittorio Borelli Giornalista di lungo corso, condirettore de Il Mondo, fondatore e direttore di East, già direttore delle relazioni esterne di Unicredito nella gestione Rondelli-Profumo

TUTTI GLI ORFANI INCONSOLABILI DEL COVID-19

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onti del Copasir, confermate da una gola profonda del Mossad imparentata con un dirigente della Cia, rivelano che il governo italiano assumerà nei prossimi mesi 10 mila psicologi per assistere gli orfani del Covid-19. Non gli orfani in senso stretto, s’intende, ma le persone che hanno sviluppato una particolare dipendenza dal virus GINO CERVI E TOTÒ e che non riescono a tornare a una vita normale. D’altronde le miliardate di aiuti europei che stanno per piovere sull’Italia hanno bisogno di progetti avanzati e di gambe su cui camminare. Altrimenti nisba, come ha spiegato con un sostantivo lettone intraducibile ma equivalente al nostro nisba il burbero Valdis Dombrovskis. Ma chi sarebbero, in concreto, gli orfani psicologici della pandemia? Facciamo un piccolo ma significativo esempio. Qualcuno, al di fuori della Sardegna, aveva mai sentito parlare di Christian Solinas? Certamente no. Ma da quando Solinas ha dichiarato di voler proteggere i sardi dai turisti continentali attraverso un fantomatico passaporto sanitario non c’è stato giornale, televisione o social che non abbia sentito il bisogno di ospitarlo, intervistarlo, coccolarlo. Adesso che il virus ha ridotto quasi a zero la sua carica batterica, Solinas fa le vasche h24 sul molo di Cagliari interrogandosi come Amleto: to be or not to be? Ma, a ben guardare, un po’ tutti i presidenti di Regione devono qualcosa al Covid-19. Luca Zaia è diventato l’alternativa in doppiopetto a Matteo Salvini. Michele Emiliano, lo Zapata del Salento, si è comprato uno stock di cravatte regimental e si fa intervistare da RaiNews24 con l’aria inutilmente pensosa. Giovanni Toti, da sempre oscurato dal ben più famoso Totti della Roma, ha imparato ad alzare la voce come un vero leader. Per ora si esercita contestando Berlusconi, ma tra breve sarà in grado di dirgliene quattro perfino a Vito Crimi.

Salendo un po’ più su nelle gerarchie della politica, chiediamoci dove stava, quanto a consenso popolare, il primo ministro Giuseppe Conte prima del Covid? Nando Pagnoncelli non ha dubbi: almeno dieci punti più in basso. E Giorgia Meloni, quanti punti ha racimolato su Matteo Salvini indossando tailleur moderatamente eleganti e rifuggendo, moderatamente, dal selfismo compulsivo dell’alleato-rivale? Altra categoria allo sbando psicologico è quello degli scienziati. Virologi, immunologi ed epidemiologi sono stati catapultate dall’ombra della ricerca di laboratorio alle luci dello star system. Dove tutti si danno del tu, dove tutti litigano con tutti, dove chi alza la voce ha più ragione degli altri, dove la complessità non ha diritto di cittadinanza perché il Cittadino – la C maiuscola è di rigore - ha diritto alla semplicità. Il caso più grave riscontrato fra gli epidemiologi è quello di un medico genovese candidato al premio Nobel. A fine lockdown, richiesto di un parere scientifico sul significato di carica batterica, ha dichiarato: “Belin, il segreto è mettere la mascherina, stare lontani un metro e lavarsi spesso le mani!”. E che dire infine delle milionate di evasori ed elusori fiscali che, grazie al Covid, hanno potuto beneficiare di bonus, contributi a fondo perduto e prestiti a lungo termine a tassi prossimi alla zero? Qui gli psicologi avranno molto da lavorare perché non sarà facile per questi concittadini – qui va bene anche la c minuscola - rinunciare a un doppio reddito e tornare alla banalità del nero e del sommerso. Memorabile la testimonianza di un Giano bifronte abituato a vivere come un italiano furbesco ma ad autorappresentarsi come uno svizzero naturalizzato svedese: “Bei tempi quando, una settimana dopo la scoperta del Covid, tutte le tv venivano a chiederti come stavi e tu potevi dichiarare di essere stato abbandonato dallo Stato e dalle banche e di non aver ancora ricevuto un euro di risarcimento…”

Un esercito di 10mila psicologi per aiutare i protagonisti mediatici della pandemia: presidenti di Regione, virologi ed epidemiologi assortiti

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