Investire Maggio 2019

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Maggio 2019 Euro 5,00 90005

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INVESTIRE | ANNO I | N.05 | MENSILE | MAGGIO | DATA DI USCITA IN EDICOLA: 2 MAGGIO 2019 | POSTE ITALIANE S.P.A. - SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - D.L. 353/2003 (CONVERTITO IN LEGGE 27/02/2004 N° 46) ART. 1, COMMA 1, LO/MI

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Ti assicuro la pensione La raccolta delle polizze vita cresce. Quota 100 ha fatto capire che chi più versa più incassa. Ma reti e compagnie possono fare molto di più. La visione di Ania, consulenti e gestori. Minali (Cattolica): «Per noi una grande opportunità»

IL PIANETA RISPARMIO «PROMUOVE» LA RIVOLUZIONE ESG: «NON È UNA MODA PASSEGGERA» Il confronto tra reti e gestori al centro del Salone del Risparmio. Pictet «blinda» i criteri nei suoi Megatrend: «Chi li rispetta rende e vale di più». La classifica di RobecoSam sui paesi più sostenibili: vincono gli Scandinavi

INTERVISTA CON GIOVANNI SABATINI (ABI): «L’EUROPA RISCRIVA, DOPO TERCAS, LE REGOLE BANCARIE»

CARLUCCIO (EFPA): «DALL’ITALIA NEL MONDO»

• Debito pubblico senza limiti, di Ugo Bertone • Sulla via della seta viaggia il web, di G.Valdonio • La lotta per il litio, petrolio verde, di G.M.Litrico

• Gentili (Nextam): «Autonomi, non soli» • Compliance, sfida pesante per le reti • Consulenza indipendente, il rilancio

INVESTIRE SPECIALIST





EDITORIALE

Kit di sopravvivenza hi-tech di Sergio Luciano

L’

avidità, non trovo una parola migliore, è buona, l’avidità è giusta, l’avidità funziona, l’avidità chiarifica, penetra e cattura l’essenza dello spirito evolutivo»: ve l’immaginate il mitico discorso di Gordon Gekko, giusto o sbagliato che sia certamente affascinante, pronunciato dal sintetizzatore vocale di Siri o di Alexa? Fa ridere, vero? E vi ricordate Hal 9000, l’”algoritmo euristico” di 2001 Odissea nello Spazio? Quello che canta la ninna nanna e che, leggendo il labiale degli astronauti, capisce che intendono disinserirlo e decide di ucciderli? Come avrebbe ragionato se avesse dovuto decidere un investimento? Riflettiamo su questi interrogativi, se è vero che il cinema può insegnarci molto sulla finanza e sulla vita, come acutamente postula un programma formativo di Binck Bank che insegna la Borsa attraverso i film. Fermi lì: non fate spallucce. La discontinuità tecnologica in atto è pazzesca. E riguarda ciascuno di noi. Quelli che la pilotano ce la raccontano tutta rosa, ma non lo sarà. Chiedete alle decine di migliaia di ex impiegati delle agenzie di viaggio che hanno dovuto cambiare mestiere, a trovarlo. L’hi-tech porterà vantaggi, ma farà anche danni. Farà vincitori, ma mieterà vittime. Da che parte vogliamo trovarci? La cosiddetta società civile – soprattutto negli Stati Uniti, il motore del mondo digitale – di queste cose discute poco o niente. Fa, va avanti, e non si chiede né come né dove. L’Europa ha messo un freno al vilipendio della proprietà intellettuale perpetrato finora da Silicon Valley. Ma è solo un inizio, un vagito, rispetto al necessario. È l’uomo a dover governare l’intelligenza artificiale, non il contrario. È questa la scomessa per il futuro prossimo, anche nel mondo della finanza, degli investimenti e del risparmio. Che voi siate consulenti finanziari o gestori di patrimoni o che invece siate grandi investitori o piccoli risparmiatori o anche day-traders per hobby, è del vostro – del nostro – futuro che si parla, quando si parla di intelligenza artificiale. Di algoritmi. Anche perché le ragioni del business sono talmente prepotenti – non si diceva prima “l’avidità è buona”? – da oscurare qualsiasi logica prudenza.

«

Se i robot sostituiranno l’uomo in fabbrica, e sta accadendo, chi percepirà i salari con cui comprare i prodotti di quei robot? Se i gestori di tutto il mondo, un domani, utilizzando sistemi di intelligenza artificiale tra loro ovviamente simili, trarranno conclusioni assai simili sulla rispettiva asset-allocation, basate sugli stessi dati, come potrà sopravvivere il mercato, almeno per quel che è stato finora? Cioè un mercato basato sulle diverse scelte di chi compra e vende? Sono le domande cui i nerd di Silicon Valley non rispondono, su cui anzi ironizzano. Ma il mercato si nutre di differenze, mentre gli algoritmi le tritano, per sintetizzare tutti la stessa soluzione ottimale secondo un pensiero unico, senza quei “clinamen”, quelle deviazioni apparentemente casuali dalle linee rette dell’ovvietà, proprie dell’intelletto umano, che è un misto di ragione, sentimento, opinioni, intuito, capriccio. In una parola: di vita. Per scongiurare lo scenario “distopico” di un mercato finanziario futuro livellato dall’intelligenza artificiale e desertificato da quella umana, chiunque abbia a che fare con il risparmio, gli investimenti e la Borsa deve darsi da fare. Studiare di più. Investire sulle relazioni, perché nelle relazioni si annida ciò che l’intelligenza artificiale non può avere: lo scambio, l’emozione che permettono di superare il calcolo con il propulsore più veloce che c’è, l’intuito. Questa necessità investe in pieno le professioni della finanza. Lo stanno comprendendo tutti, non ancora facendolo. Davvero: occorre studiare; come si usano i nuovi strumenti della tecnologia, ma anche come li si possa superare, reinvestendo nella consulenza profonda, quella che diventa gestione patrimoniale globale. Studiare per esempio andando il 23 maggio prossimo a Milano dove di fintech si discuterà ai massimi livelli nel “Finance and banking summit” organizzato dalla 24Ore Business School in partnership con Bcg, Kpmg, Kyocera e Investire (http://eventi.ilsole24ore.com/financebanking-summit2019?utm_source=INVESTIRE&utm_medium=banner). Apprendere, confrontarsi e progettare su questi temi non è mai troppo: anzi è sempre poco. Perchè l’avidità sarà pur buona: ma quella degli altri ai nostri danni, anche no.

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Registrazione Tribunale di Milano N. 126 del 27/3/1982 Direttore responsabile Sergio Luciano Caporedattore Marco Muffato Newsroom Marina Marinetti, Marco Scotti, Riccardo Venturi, Raffaela Jada Gobbi, Liliana Nori Hanno collaborato Antonio Quaglio (Consulente del

direttore), Rosaria Barrile, Ugo Bertone, Annalisa Caccavale, Giacomo Damian, Giuseppe D’Orta, Fabiana Giacomotti, Gian Marco Litrico, Davide Passoni, Monica Setta, Gloria Valdonio, Paolo Zucca Contributors Vittorio Borelli, Matteo Bosco, Andrea Carbone, Enrico Cisnetto, Giuseppe Corsentino, Anna Gervasoni, Glauco Maggi, Andrea Margelletti, Marco Onado,

Francesco Priore, Giulio Sapelli, Franco Tatò

Responsabile commerciale Luca Ronzoni

Partnership Editoriali Confedilizia, Scenari Immobiliari Redazione redazione@investiremag.it Segreteria di redazione Monia Manzoni Presidente e A.D. Giuseppe Caroccia Editore incaricato Domenico Marasco

Casa editrice Economy s.r.l. Piazza Borromeo 1, 20123 MilanoTel. 02/89767777 Distribuzione Pressdi - Via Mondadori, 1 Segrate - 02 7542097 Stampa Stampa Rotolito. S.p.a 20063 - Cernusco S.N. (MI)

maggio 2019 5


SOMMARIO Maggio 2019

05 EDITORIALE

di sergio luciano

14 IL GERMANISTA

10 WATCHDOG

di marco onado

16 FINANZA REALE

Kit di sopravvivenza hi-tech

Il consigliere indipendente dev’essere un watchdog

18 TERZA REPUBBLICA

di g.sapelli

Netanyahu e il legame di ferro con gli Usa

Il pericolo vero è che la maggioranza regga

IL TERZO PILASTRO

COVERSTORY Quota 100 può essere un volano per l’industria assicurativa, che riporta l’enfasi sulla necessità di previdenza integrativa

20

Le polizze vita tornano di moda, complici la paura del futuro e l’incertezza dei mercati. Cosa dicono gli addetti ai lavori

MINALI (CATTOLICA)

BAGELLA (FIDEURAM)

La misura voluta dal Governo Conte rappresenta una opportunità per gli operatori

Il ruolo dei consulenti è cruciale per ridurre il gap pensionistico degli italiani

PARLA BRAMBILLA

CARBONE (PROGETICA)

Il desiderio di ottenere una buona pensione è ostacolato dai salari fermi da vent’anni

La previdenza bis va spinta perchè i risparmiatori devono tornare ad accantonare

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88 QUI PARIGI

di giuseppe corsentino

Ora la Francia vuole copiare i nostri Pir

89 QUI NEW YORK 90 COSMOPOLITICA 92 IL GIRO DEL MONDO IN 30 GIORNI di glauco maggi

La Cannabis, un asset class da sballo

di andrea margelletti

Generale Haftar, faccia un passo indietro in Libia

Povera India, cresce appena del 7,2% su base annua

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di a.gervasoni

Più qualità nell’informazione al cliente

28 32

MONDO

12 SISMOGRAFICO

di franco tatò

I cittadini tedeschi e la lezione degli ‘20 e ‘30


© Getty Images

Essere un partner di fiducia significa essere un partner responsabile.

Impegnarsi per il futuro significa conciliare criteri finanziari e responsabilità sociale in un’ottica di rendimento sostenibile. Fin dalla sua costituzione Amundi ha adottato criteri ESG – ambientali, sociali e di governance – ed è all’avanguardia nell’investimento socialmente responsabile. Oggi Amundi, leader europeo(1) dell’asset management, si impegna a spingersi ancora oltre, per diventare entro il 2021 un’azienda 100% ESG, in materia di rating, gestione e politica di voto. _ amundi.it #ResponsiblePartner #Ambition2021 Messaggio pubblicitario. (1) Fonte: IPE “Top 400 Asset Managers” pubblicato nel giugno 2018, dati di AUM al 31 dicembre 2017. L’investimento comporta un sostanziale grado di rischio. Prima di qualunque investimento, prendere attenta visione della documentazione relativa allo strumento finanziario oggetto dell’operazione, la cui sussistenza è disposta dalla applicabile normativa di legge e regolamentare tempo per tempo vigente. Si declina qualsiasi responsabilità in caso di qualsivoglia perdita, diretta o indiretta, derivante dall’affidamento alle opinioni o dall’uso delle informazioni ivi contenute. Il presente documento non è diretto a investitori al dettaglio né alle “US Person” così come definite nel U.S. “Regulation S” della Securities and Exchange Commission. Amundi Asset Management, “Société par Actions Simplifiée” di diritto francese con capitale sociale di € 1.086.262.605 - Società di gestione del risparmio autorizzata da AMF con il numero GP 04000036 - Sede legale: 90, boulevard Pasteur, 75015 Parigi, Francia - 437 574 452 RCS Paris - amundi.com - Responsible Partner: Partner Responsabile - Ambition: Ambizione. Aprile 2019. |


INVESTIRE SPECIALIST

SOMMARIO 34 COMPLIANCE IN ASCESA Questa funzione nelle reti di consulenti finanziari rappresenta oggi la cinghia di trasmissione tra le regole e il business

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PIANETA SCF/ Il presidente di AssoScf Carboni

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IL DOPO SALONE/1 L’Esg non è una moda ma

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IL DOPO SALONE/2 Bosco (Conser): c’è troppa

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IL DOPO SALONE/3 Missione sostenibilità per

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IL DOPO SALONE/4 RobecoSam: Esg, ecco

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spiega perchè le società di advice hanno un futuro un trend di lungo periodo. Parola di asset manager

confusione sotto il cielo della finanza sostenibile Pictet Am:i vantaggi per chi adotta i principi Esg

chi vince e chi perde nel ranking per nazioni

EFPA EUROPE/ L’italiano Carluccio guida l’espansione globale del player della certificazione

70 SABATINI (ABI) 72 DIBATTITO 74 FINANZA LOCALE 76 BUSINESS LITIO 78 FCA 80 FAKE NEWS 84 LA NUOVA VIA DELLA SETA 96 LA VITA DI UNA GRIFFE 100 IL DENARO DEI VIP L’Europa deve riscrivere le norme bancarie

La Modern monetary theory fa sempre discutere

Arrivano i basket bond per le Pmi pugliesi

Lotta senza quartiere tra Buffet, Gates e Musk

Come la Sora Camilla, tutti la vogliono e...

Quei buchi neri che hanno radici profonde

Pechino detterà l’agenda della trasformazione

Per i big della moda i 30 anni sono un’impresa

Collovati ama il mattone, meno la Borsa

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maggio 2019

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NEWXTAM/ L’ ad Gentili spiega il futuro della boutique gestionale dopo l’accordo con Banca Generali B. MEDIOLANUM/ Il consulente globale di ieri oggi è diventato un capitano di lungo corso

REPLY/ Blockchain e intelligenza artificiale. La fase di studio è alla conclusione, ora si faccia sul serio

CORPORATE VENTURE CAPITAL/ Quali imprese e capitali per l’innovazione nel libro di Romans

POLE POSITION/ Milano, l’occasione olimpica sarebbe un vantaggio per tutto il sistema Italia

TALENT SHOW/ Tecnologia in primo piano nella competizione tra fai da te, cf e roboadvisor

SEDIE&POLTRONE/ Paolo Langè è il nuovo presidente che guiderà lo sviluppo di Aipb

PROFESSIONE CONSULENTE/ Ecco perchè il gestore più caro è anche quello più bravo

102 IMMOBILIARE 104 BIBLIOTECA 105 EDUCAZIONE FINANZIARIA 106 COLLEZIONISMO 110 ARTE 112 AUTOAPPASIONATI 114 MALALINGUA Milano, stella d’Europa per gli investimenti

“Uomini e soldi”, il libro del gestore Basilico

Micropolizze, leggiamo bene le clausole

I sigari cubani possono rendere bene

Il private ha bisogno di questa asset class

Il software Bosch che salva dal contromano

L’italiano vero in tre profili-tipo

Direttore: Vittorio Feltri Direttore responsabile: Pietro Senaldi Reg. trib. di Bolzano num. 8/64 del 21/12/1964 Distribuzione: Press-di Sito internet: www.liberoquotidiano.it La gerenza del quotidiano Libero viene qui riportata per le copie di Investire in vendita abbinata



WATCHDOG Marco Onado È professore senior di Economia degli intermediari finanziari nella Università Bocconi di Milano. È stato Commissario Consob. Collabora con “Il Sole - 24 Ore”, “Lavoce.info” e “voxeu.org”.

IL CONSIGLIERE INDIPENDENTE DEV’ESSERE UN WATCHDOG

U

na delle regole schi, che risulta essere stafondamentali ta approvata all’unanimità della protedopo un brevissimo esame zione degli indella documentazione che vestitori è che non prevedeva neanche una la prima linea di difesa pasparvenza di due diligence. sa per le regole di corporate Il fatto è che i watchdog non governance sul funzionasono ben accetti nei consigli mento degli organi societadi amministrazione: sempre ri. E invece a ogni scandalo guardati come pericolosi societario, piccolo o grande, rompiscatole e spesso acle autorità di vigilanza sono cusati di agire per conto di le prime a essere incolpate. occulti e ovviamente loschi Spesso, come nel caso delinteressi. le recenti polemiche sulla Si capisce allora come procommissione di inchiesta prio per quanto riguarda gli sulle banche, si rischia di amministratori indipendenti processare i carabinieri pri- LA SEDE DI MPS: I CONSIGLIERI NON DISCUSSERO L’OPA SU ANTONVENETA il rapporto Assonime trovi ma dei presunti colpevoli. sempre un’area grigia che L’Italia non ha nulla da innon può non preoccupare: vidiare agli altri paesi che quest’anno si indicavano 123 hanno scoperto per primi amministratori “a rischio” l’importanza della corpoperché definiti indipendenti rate governance: dal Testo con criteri estensivi rispetto unico della finanza al codia quelli del codice di autodice di autodisciplina delle sciplina. società quotate di Borsa Può sembrare un numero italiana, la qualità delle retutto sommato ridotto, ma gole riflette le best practice internazionali. Inoltre Assonime bisogna ricordare che stiamo parlando del rispetto formale delpubblica un interessante rapporto in materia. Come sempre, le caratteristiche di indipendenza, mentre quello che conta è la anche dall’edizione di quest’anno emergono luci e ombre. sostanza. Le prime si riferiscono all’ampiezza dell’adesione non solo Che fare? Come assicurare che nei consigli di amministrazioformale alle regole del codice; le seconde ad alcune criticità ne operino più amministratori indipendenti “veri”? Purtropin materia per esempio di amministratori indipendenti. po non ci sono soluzioni facili: non si possono immaginare Questa categoria è cruciale ai fini del funzionamento di un organi pubblici o privati che attribuiscano una sorta di paconsiglio di amministrazione, cioè dell’organo attraverso cui tente: Assogestioni svolge un’opera egregia ma non ha mai passano tutte le decisioni di un’impresa. Nei testi anglosas- preteso di essere altro che una delle voci istituzionali in grasoni si dice che gli amministratori indipendenti devono es- do di formulare candidature autorevoli. sere watchdog (vedi il titolo di questa rubrica) e non lapdog: Il problema infatti sta nel manico: la mancanza di indipencioè cani da guardia e non festosi cagnolini da salotto. Devo- denza di tanti amministratori (a prescindere dai requisiti no cioè essere in grado di esercitare una funzione critica sul- formali) è figlia del sistema di relazioni che è una delle tare le principali scelte societarie, soprattutto quelle di carattere ereditarie del capitalismo italiano, sia nei salotti che un temstrategico più delicato e metterle in discussione (challenge) po si definivano buoni, sia in quelli di provincia. Se riusciper valutarne l’effettiva aderenza agli interessi di lungo pe- remo a superarlo, anche gli amministratori indipendenti di riodo di tutti gli azionisti. Il problema di molte imprese, e si- buona volontà potranno svolgere meglio il loro lavoro. Nel curamente di quelle che hanno subito crisi profonde, è infatti frattempo gli investitori faranno bene a tener conto nelle l’eccesso di potere del vertice aziendale che è in grado di im- loro scelte anche della corporate governance e del come i porre scelte che poi si rivelano catastrofiche. Un esempio per consigli di amministrazione funzionano effettivamente. Gli tutti: l’acquisizione di Antonveneta da parte di Monte dei Pa- amici degli amici non sono loro amici.

Le recenti polemiche sulla scarsa indipendenza di alcuni amministratori rimettono sotto accusa il capitalismo di relazione

10 maggio 2019



IL SISMOGRAFO Giulio Sapelli È Ordinario di Storia Economica presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Milano e direttore scientifico della Fondazione Enrico Mattei.

LA REGIA USA SUL MEDIO ORIENTE ESALTA IL RUOLO DI ISRAELE

I

l successo di Benjamin Netanyahu alle ultime elezioni in Israele conferma che molto spesso la politica interna degli Stati dipende dalle loro relazioni internazionali. Nel momento in cui gli Usa dimostrano concreto appoggio a un governo o a un leader, questi riprende a vincere o continua a farlo, come appunto ha fatto Netanyahu. Per converso quest’evento ribadisce il grande potere di cui gode oggi Donald Trump, grazie alla sua grande intuizione di essersi tenuto avvinto il Pentagono, cosa che per Obama non era mai accaduta del tutto. L’ex presidente aveva dovuto fare i conti con lotte intestine tra superburocrati, spaccature verticali tra Cia e Fbi. Invece per Trump è scattato quel meccanismo che Samuel Huntington, l’autore di “Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale”, definisce “Pretorian of democracy”, cioè il ruolo di tutela dei militari nordamericani, plasticamente rappresentati da Eisenhower, il presidente che in qualsiasi altro paese avrebbe creato un pericolo per la democrazia e che invece negli Usa quando vince dice: attenzione, non diamo troppo potere al complesso militare industriale. Huntington definiva i militari “custodi della tradizione nordamericana”. E anche Wilson la pensava così. In fondo un ritorno idealista nell’alta politica. E insieme anche il realismo delle relazioni internazionali, improntate alla filosofia di Henry Kissinger: farsi degli alleati, non si può più BENJAMIN NETANYAHU governare il mondo da soli. Gli alleati che gli Usa hanno scelto in Medio Oriente sono Israele e l’Egitto, coinvolgendoli e quasi costringendoli. Dall’assassinio di Sadat in poi questa è stata la gravitazione d’influenza spontanea per gli americani in Medio Oriente. Ebbene Trump e i suoi consiglieri sono determinatissimi a confermare la tenuta di questo asse e l’hanno dimostrato sdoganando finalmente le vecchie promesse fatte da anni e mai mantenute, come quella di portare l’ambasciata a Gerusalemme…o il riconoscimento politico del fatto che il problema dei due Stati vada rivisto, cioè che i coloni israeliani vadano appoggiati contro le pretese dei palestinesi… è un’altra discontinuità che Trump ha deciso di imprimere. Peraltro in questo momento anche i sauditi

sono alleati di Israele, grazie a Trump. A suggello della centralità di quest’asse c’è stata anche la grande scoperta del giacimento di gas sotto il mare davanti a Israele, che promette di far raggiungere a Tel Aviv l’autonomia energetica. Il punto debole di quest’impostazione trumpiana è che Netanyahu governa da troppi anni e questo pesa anche se sta interpretando bene il cambiamento di Israele che, piaccia o meno, è un paese avviato a diventare sempre più uno Stato ebraico: attuando il sogno del sionismo di Zabotinsky, non di quello dei socialisti di Ben Gurion. Ebbene con l’avallo di Trump quel sogno è ritornato e l’alleanza di Netanyahu con la destra religiosa lo conferma. Naturalmente ciò apre contraddizioni immense e ripropone il problema della lotta per la terra. Quando sono arrivati in Terra Santa, gli ebrei la terra la compravano, adesso la occupano. Questo sistema sarebbe sostenibile se sussistesse una premessa che invece manca: un riequilibrio dello sbilancio demografico, ma quelli che potrebbero aiutare Israele a riempiersi di bambini sono per lo più gli haredim, ebrei rigidamente osservanti che non fanno servizio militare e non pagano le tasse. Nonostante rischi e contraddizioni però tutto questo dimostra che la potenza americana è ancora imbattibile. Naturalmente ci sono punti deboli in questa visione. Per esempio alla Turchia che rispetta sempre meno il patto militare con Israele, essendo sempre meno paese Nato, hanno fatto fare una virata verso l’Arabia, appoggiandone la ripresa delle riforme di Bin Salman, che vuole con lungimiranza uscire dal monopetrolio e poi diventare una potenza combattente con la Nato del Golfo. Ma su quest’ultimo punto la domanda s’impone: è possibile fare la Nato del Golfo senza Israele, per dirigerla contro l’Iran? Se lo è la vittoria di Netanhyau prefigura un rapporto molto più stretto che in passato tra Israele e la Nato del Golfo. La verità è che Trump ha rimesso in moto il Medio Oriente, bilanciando così la supremazia dei russi in Siria. Questo dato di fatto spiega anche la questione del Golan. Quando hai un caso come quello, con gli antimissimili schierati in funzione anti-iraniana, sei in una posizione cruciale. Netanhyau potrà essere simpatico o meno ma guida l’unico gruppo leader in Europa che passa il convento.

Netanyahu governa da troppi anni ma sta interpretando bene il cambiamento interno

12 maggio 2019


critEri EsG aziEndE sostEnibili

azioni intErnazionali

diVErsificazionE

pErformancE sEmprE più GrEEn, pEr una crEscita sostEnibilE. Eurizon Fund Sustainable Global Equity (lu1529957687) Le aziende non generano profitti tutte allo stesso modo: i profitti generati con l’attenzione al benessere delle comunità e all’ambiente sono più sostenibili nel tempo, rispetto ai profitti ottenuti con strategie opportunistiche di breve periodo. Per questo Eurizon Fund Sustainable Global Equity investe sui mercati azionari internazionali e si distingue per: l’utilizzo di una strategia che integra l’analisi EsG (di impatto ambientale, sociale e di governo aziendale) e l’analisi fondamEntalE per individuare aziende con vantaggi competitivi sostenibili nel tempo; ricercare Extra-pErformancE nel lungo termine rispetto al benchmark 100% MSCI World Hedged in Euro. Eurizon fund sustainablE Global Equity è un Comparto del fondo lussemburghese Eurizon Fund, istituito da Eurizon Capital S.A. e gestito da Eurizon Capital SGR S.p.A..

Società del gruppo

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IL GERMANISTA Franco Tatò Manager eclettico e innovativo, è tra i pochissimi italiani ad aver diretto aziende in Germania, paese (e cultura) che ama ed è l’unico ad essere stato amministratore delegato sia di Rizzoli che di Mondadori

L’ELETTORE NON DIMENTICHI LA LEZIONE DEGLI ANNI ‘20 E ‘30

A

lla fine degli anni 70, andando al lavoro, passavo in macchina tutte le mattine davanti al liceo di Bad Homburg alle 7,30 e vedevo una grande Mercedes nera parcheggiata in attesa che Joseph Aps, novantenne presidente della Deutsche Bank, bevesse i suoi due bicchieri d’acqua dalla fonte termale pubblica. Bad Homburg, cittadina vicina a Francoforte, è un luogo fatidico per la più grande banca tedesca. In una villa poco lontana viveva il Dr. Ehrard, figlio del Cancelliere succeduto ad Adenauer e autore della riforma monetaria del 1949, successore di Aps, grande gentiluomo che ricordo bene in quanto mi confermò personalmente l’apertura di credito alla Olivetti tedesca, in gravi difficoltà perché la Dresdner Bank, principale creditore, aveva tolto il credito a causa dei bilanci zoppicanti e del rischio Italia. Proprio davanti a quel liceo, nel novembre del 1989, venne ucciso da una bomba della Raf, Alfred Herrhausen, ceo della Deutsche Bank. Fine dell’idillio di quegli anni. Ma per quanto gravi, gli atti di terrorismo della Rote Armee Fraktion, erano considerati seri problemi di ordine pubblico, ma non espressione di un movimento politico capace di mettere in pericolo le istituzioni, la democrazia, l’Unione Europea. Questi pericoli rendono oggi il quadro politico incerto e tormentato in Italia come in Germania. Sembra che una parte dell’elettorato abbia dimenticato la lezione degli anni venti e trenta e con questo fardello ci avviciniamo alle elezioni europee, la grande conta pro o contro l’Europa, quasi un referendum. Nei partiti tedeschi sono cominciate le grandi manovre. Nella Cdu l’accordo tra Annegret Kramp-Karrenbauer e Friedrich Merz, con la promessa di affidare a Merz il ministero dell’economia in un nuovo governo a guida AKK ha mandato Angela Merkel su tutte le furie, in quanto è apparso come un invito a dimettersi anzitempo e lasciare spazio ai giovani. Il partito è ovviamente inquieto all’idea di affrontare le elezioni europee con una Cancelliera azzoppata. Nel partito socialista le cose non vanno meglio. Pur essendo negli ultimi sondaggi in via di ripresa è ancora ben lontano all’aver trovato il giusto linguaggio per parlare al suo elettorato tradizionale e interessare nuovi elettori. L’ex cancelliere Schroeder ha compiuto 75 anni, sta benissimo di salute, ha imparato a giocare a golf e ha sposato la sua quinta moglie. Forse perché si sente in gran forma, è uscito allo scoperto in un certo senso rivendicando gli allori che a suo tempo non gli vennero riconosciuti proprio dal suo partito, la Spd, ora spossato da dodici anni di sofferta alleanza con la Cdu/Csu. Schroeder ha sparato alcune micidiali bordate all’indirizzo dell’attuale segretaria della Spd, la simpatica, felicemente formosa signora Andrea Nahles, definendola digiuna di economia e inadeguata alla guida del partito. La Nahles ha incassato dignitosamente le critiche del suo ex mentore, un autorevole invito alle dimissioni, che ha destabilizzato la base del partito. Il seguito alla prossima puntata. 14 maggio 2019

SEDE DEUTSCHE BANK

In grande spolvero sono i Verdi, dati dei sondaggi Al 20% e in crescita, guidati da un giovane segretario, Robert Habeck, nelle graduatorie più recenti il politico più popolare della Germania. La sua ricetta: europeismo ed ecologismo con attenzione al territorio e alle persone. I tedeschi si preparano a un governo nero verde, che tranquillizza l’economia. Resta incognito il futuro del partito liberale, che tiene nei sondaggi, ma fatica ad accordarsi con i Verdi per ritrovare una vocazione governativa. L’AfD, la vera minaccia di queste elezioni, sembra concentrata su se stessa, zittita dalle accuse di corruzione e finanziamenti russi ad alcuni alti dirigenti, con lo stesso presidente Gauland in difficoltà. I sondaggi continuano a darli al 20%. La verità la sapremo alle elezioni regionali di autunno. A livello europeo saranno solo un fastidio. Sul fronte economico non sembra esserci grande preoccupazione per il modesto rallentamento dell’economia, ma una allarmata attenzione più per gli aspetti qualitativi che per quelli quantitativi, concentrata principalmente su due macrofenomeni. Il primo è la (sempre meno) possibile fusione tra Deutsche Bank e CommerzBank, pur voluta dal governo federale, nella quale non si capisce bene chi aiuta chi. La creazione di un gigante europeo non è un obiettivo serio perché rischia di costruire un colosso forse più malgestito della Deutsche Bank, da qualche tempo in difficoltà non avendo, per eccesso di sicurezza, colto la sfida della tecnologia e avendo perso la cultura del cliente per inseguire aggressivi sogni di merchant banking, dolorosamente frustrati: una fusione per nascondere i costi di una megaristrutturazione. L’altro grande problema è l’automobile. Sembra che il management delle grandi case automobilistiche, distratto dalla gestione delle conseguenze della truffa delle emissioni, sia la causa principale del pericoloso ritardo nelle macchine elettriche, settore nel quale tutti sono impegnati in una faticosa rincorsa. Anche qui non è credibile un ritardo tecnico, ma un forse più grave ritardo strategico e organizzativo. Un orizzonte inquieto e impegnativo che invoca un ricambio a tutti i livelli.


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FINANZA REALE Anna Gervasoni Professore Ordinario di Economia e Gestione delle Imprese alla Liuc di Castellanza. È anche direttore generale dell’Aifi (Associazione italiana del private equity, venture capital e private debt)

L’INFORMAZIONE AL CLIENTE DEVE ESSERE DI QUALITÀ

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uando investiamo i nostri risparmi abbiamo diversi interlocutori: la banca tradizionale, la banca private (se abbiamo più di 500mila euro) e la rete di consulenti. Oggi ci viene incontro anche la tecnologia attraverso il possibile utilizzo delle piattaforme di trading online, che ti consentono di fare da solo gli investimenti. Lasciamo per un attimo a parte quest’ultimo mondo, quello dell’interfaccia tecnologica e concentriamoci sulle prime tre opzioni. Sono realtà molto differenti che svolgono attività con logiche e ottiche diverse e modelli di business in continua evoluzione. Con il definitivo ingresso della Mifid2 si darà trasparenza totale ai costi ed emergeranno le differenti commissioni e soprattutto le multiple e complesse strutture di ciascun operatore. La legge europea che disciplina i servizi di investimento ha come obiettivo quello di offrire una maggiore protezione agli investitori. Sulla base della recente normativa, i prodotti dovranno d’ora in poi essere disegnati sulla base delle capacità, delle competenze finanziaria e della propensione al rischio di chi li sottoscriverà; non si potranno più spingere, attraverso meccanismi di incentivo i prodotti non consoni alla clientela e ai risparmiatori si dovrà comunicare se chi fornirà le informazioni sui prodotti sarà un soggetto indipendente o meno. Questo nuovo processo porterà, inoltre, a comprendere meglio i margini che sottostanno alle diverse tipologie di prodotto, di canale di distribuzione e quindi sarà più chiaro come si compongono i diversi tasselli dell’attività di asset management. Ciò comporta una revisione anche in logica di realizzazione e vendita dei prodotti. Oggi abbiamo grandi catene di distribuzione che si interfacciano direttamente col pubblico e poi abbiamo le cosiddette fabbriche prodotto. Queste ultime sono complesse e articolate in funzione di quanto sono sofisticati i prodotti e comportano costi differenti. Se da un lato sarà più comprensibile come si forma il costo totale di gestione, dall’altro si dovrà capire che prodotti con differenti opportunità di rendimento, diversificazione, rischio e liquidità, hanno costi diversi. Per esempio i costi dei gestori di private capital hanno natura 16 maggio 2019

La rivoluzione Mifid 2 mette al centro la tutela del risparmio e questo richiederà un approccio sempre più professionale di banker e reti completamente differente rispetto a quelli dei gestori che investono sui public market, e questo dipende dalla natura dell’attività. Non solo, le economie di scala sono molto importanti, e quindi anche la dimensione dell’operatore ha un impatto; piccolo, in questo caso, potrebbe significare più oneroso in termini relativi. Nei prossimi anni assisteremo per questo motivo a operazioni di consolidamento e aggregazione e vedremo come si muoveranno gli operatori italiani. Il nostro paese è caratterizzato da un importante dote di risparmio che sicuramente fa gola ai player internazionali. In generale bisogna dotarsi di una struttura qualificata e in grado di interfacciarsi con i risparmiatori per offrire nella maniera più esaustiva possibile, informazioni e conoscenza approfondita di ogni singolo prodotto che si andrà a offrire. Auspichiamo che i bravi intermediari italiani possano ben posizionarsi anche grazie al rapporto di fiducia costruito in tanti anni con i clienti. Tornando alle interfacce dei risparmiatori, probabilmente vedremo banche private e reti sempre più professionali nel proporre ai risparmiatori alternative di investimento, prodotti propri e prodotti di terzi, che contribuiscano alla diversificazione di portafoglio. Gli istituti bancari tradizionali dovranno capire come rapportarsi a tali evoluzioni segmentando la clientela e articolandosi al proprio interno. Vedremo alleanze. Ma qualsiasi scelta si faccia è necessario mettere al centro la buona informazione al cliente, perché non si tradisca quel bene prezioso che è il risparmio.


Mediobanca Certificates, 70 anni di storia. Il mercato finanziario è come il mondo. Per essere esplorato in tutta la sua ricchezza ha bisogno di navigatori esperti. Dal 1946 Mediobanca assiste le imprese e gli investitori con servizi finanziari altamente specializzati dedicati a realtà che evolvono continuamente. I Certificates Mediobanca sono il frutto di competenza, esperienza e affidabilità. Certificates Mediobanca: un punto d’arrivo.

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TERZA REPUBBLICA Enrico Cisnetto È un editorialista, economista e conduttore televisivo italiano, ideatore della trasmissione televisiva Roma InConTra. È conferenziere, consulente politico-strategico e tifoso della Sampdoria

IL PERICOLO CHE LA MAGGIORANZA REGGA È CONCRETO

L

a simbiosi – dal greco da σύν, “insieme”, e βίωσις, “vivere” – è quell’interazione biologica per cui due organismi anche di specie assai diverse ricavano profitto reciproco dallo stare insieme, legati, uniti, dipendendo l’uno dall’altro. È così per Salvini e Di Maio, tanto che prima di chiedersi “quando” salterà l’alleanza gialloverde, è più opportuno chiedersi “se” questo avverrà. Almeno nel breve termine infatti c’è il “pericolo” che la maggioranza regga e il governo pure. Perché è vero che su infrastrutture, politica estera, economia e ogni altro tema, Lega e 5stelle sono ai ferri corti, ma questo potrebbe non essere sufficiente per arrivare a un divorzio. Salvini, come scritto in questa sede nello scorso numero, avrebbe la possibilità di far saltare tutto e passare all’incasso delle urne, oltre che il dovere di farlo nell’interesse del paese, ma probabilmente punterà più sui suoi, di interessi. Di Maio invece ha proprio l’assoluta necessità che il rapporto continui. Anche prima di mettere a bilancio i risultati delle europee infatti è del tutto evidente che i grillini sono in crisi di consenso e rischiano di ritrovarsi come terzo partito dopo essere arrivati primi “per distacco” appena un anno fa. E non è certo questo il momento migliore per rompere l’alleanza e ripresentarsi agli italiani anticipatamente: impossibile fare meglio o ottenere lo stesso risultato del 2018, ma improbabile anche evitare la débâcle. D’altra parte questa per i grillini è una “congiunzione astrale irripetibile, da sfruttare al massimo”, come dice uno di loro durante un’intercettazione giudiziaria. Anche perché, nella loro voglia di sprofessionalizzare la politica, i pentastellati hanno imposto il vincolo dei due mandati per cui tutti i loro “big” non potrebbero candidarsi salvo dietrofront che gli farebbero perdere ancor di più la faccia. Senza contare che tutti i parlamentari desiderano fortemente non perdere stipendio e facility. Così più perdono consenso più devono fare di tutto per non tornare a votare. Uno scenario che favorisce Salvini. Sfruttando questa situazione, sebbene arrivata in Parlamento con circa la metà dei parlamentari dei grillini, la Lega ha sempre stabilito l’agenda e definito le priorità, rosicchiando quotidianamente voti 18 maggio 2019

È vero che su infrastrutture, politica estera ed economia, Lega e 5stelle sono in lite, ma questo non basta al divorzio all’alleato. Così Salvini non ha alcuna intenzione di guardare oltre l’attuale maggioranza perché sa che il suo consenso deriva anche dal guidare un partito di protesta che nell’immaginario si trova a grande distanza da Forza Italia. Se invece gli ex coalizzati dovessero ripresentarsi insieme alle elezioni politiche, i 5stelle avrebbero gioco facile nel sostenere che un voto dato a Salvini sarebbe un voto dato a Silvio Berlusconi. Un disastro, considerato che molto del consenso conquistato dal Carroccio in quest’ultimo anno proviene da grillini delusi e comunque antisistema, e dunque avversi al vecchio centro-destra. E non c’è dubbio che questo elemento, nei calcoli del ministro dell’Interno, sia assai più rilevante dell’insofferenza mostrata da qualche pezzo di elettorato nordico. Per questo Salvini vuole aspettare che la fine (politica, of course) di Berlusconi, tante volte annunciata, diventi ufficiale. Anche perché nel 2020 ci saranno da rinnovare i vertici delle più importanti società pubbliche (Eni, Enel, Leonardo, Poste), che in termini di potere pesano molto di più della nomina di qualche ministro. Ma siamo proprio sicuri che i conti di Salvini tornino? Naturalmente nessuno lo sa con certezza. Diciamo che fin quando agli italiani starà bene la versione di Salvini contemporaneamente uomo di lotta e di governo, tenere in piedi l’accordo con Di Maio converrà, ma quando il binomio “molto potere, poche responsabilità” non piacerà più, come io penso stia già succedendo, a quel punto non gli rimarrà che chiudere con i 5stelle. E dovrà sbrigarsi a farlo, perché come insegna la parabola di Renzi, il consenso fa presto a evaporare. (twitter @ecisnetto)


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POLIZZE VITA

FINALMENTE IL DIESEL HA INGRANATO LA MARCIA

Q

di Gloria Valdonio

uota 100 ha rispolverato il tema della previdenza. E questo per il momento è il suo (non piccolo) contributo al mercato assicurativo. Alla base del successo registrato dalle polizze vita nel 2018 in termini di raccolta (+3,5%) e di rendimenti (+3,2% lordo) ci sarebbe più la paura del futuro e l’incertezza dei mercati che non il decreto che ha introdotto l’abbassamento dell’età pensionistica (in via sperimentale per il triennio 2019-2021) a 62 anni e 38 di contributi minimi e che ha ripristinato il requisito contributivo a 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne. Una misura che - secondo le stime del Governo - potrebbe interessare una platea di 300mila lavoratori. Per la maggioranza degli operatori interpellati da Investire quindi è troppo presto per fare bilanci. Per alcuni Quota 100 è poco influente. Per altri ancora non avrebbe determinato affatto l’orientamento dei risparmiatori verso le gestioni separate a scapito di fondi e altri prodotti di riparmio non garantiti. Uno per tutti Luigi Di Falco, Responsabile servizio vita, welfare e danni di Ania (l’associazione nazionale delle imprese assicurative): «E’ troppo presto per sapere se Quota

LUIGI DI FALCO, ANIA

100 avrà un impatto sull’andamento della raccolta del comparto assicurativo: nei primi due mesi dell’anno le forme di previdenza complementare e la raccolta nel suo complesso hanno registrato un andamento sostanzialmente analogo a quello del 2018. Inoltre il decreto riguarda solo alcune fasce ben precise di persone» spiega Di Falco. «quindi non c’è un effetto immediatamente misurabile. D’altra parte, come dimostra il ritorno di attenzione riscontrato negli ultimi mesi per i nostri prodotti di risparmio assicurativo garantito, la finalità principale dei nostri clienti è quella di una allocazione efficiente del risparmio». La conservazione del valore, che è l’elemento distintivo di questo prodotto, sarebbe ancora il fattore chiave delle scelte fatte dai risparmiatori nel 2018. «Quello che si ricerca nel prodotto vita è la garanzia del capitale e la stabilità dei rendimenti, senza tralasciare che i vantaggi civilistici e fiscali rendono il ramo primo un ottimo strumento di pianificazione successoria e fiscale», sottolinea Alberto Tosti, direttore generale di Sara. La variabile della Quota 100. Eppure gli elementi per individuare in Quota 100 un piccolo volano assicurativo ci sarebbero. Permetterà infatti ai lavoratori dipendenti di uscire in anticipo dal mondo del lavoro, ma con un assegno pensionistico un po’ più magro a causa di due fattori. Il primo è un numero inferiore di anni di contribuzione, con la riduzione del cosiddetto “montante” su cui calcolare la pensione. Il secondo fattore è rappresentato dai coefficienti di calcolo che agiscono su quel montante, che si riducono proporzionalmente all’età del pensionamento. Per conservare un tenore di vita in linea con quello del periodo lavorativo occorrerebbe ricorrere

LA POLIZZA VITA RISPONDE IN PARTE AI BISOGNI DI WELFARE, NON SOLO PREVIDENZIALE. QUOTA 100 POTREBBE DARE UNA ULTERIORE SPINTA AL RISPARMIO ASSICURATIVO 20 maggio 2019


COVERSTORY alla previdenza integrativa tenendo presente che l’entità della rendita complementare dipende dal numero dei premi e dalla loro entità. Le forme pensionistiche complementari disponibili in Italia sono i fondi pensione negoziali, i fondi aperti e i piani individuali pensionistici (Pip), che sono le classiche polizze vita istituite dalle compagnie assicurative e sottoscritte su base individuale. L’impressione di alcuni addetti ai lavori è che Quota 100 abbia alimentato il desiderio di uscita dal lavoro, e che questo piccolo incentivo all’esodo potrebbe indurre a essere più previdenti. «Per quanto riguarda i prodotti vita è vero che quel piccolo incentivo potrebbe essere investito, ma è altrettanto vero che questa categoria di persone non è in genere quella che ha molto risparmio di cui disporre», è il commento di Tosti. «Infatti la raccolta vita è più spesso legata alle esigenze di chi ha un capitale da proteggere e può permettersi di impegnarlo nel medio-lungo termine». Eventuali riscatti anticipati hanno

ALBERTO TOSTI, SARA

ALLA BASE DEL SUCCESSO DEL COMPARTO VITA C’È ANCHE LA PAURA DEL FUTURO E L’INCERTEZZA DEI MERCATI infatti un costo e il prodotto stesso, per le sue caratteristiche di garanzia del capitale, è certamente più caro di altri strumenti di risparmio privi di questa caratteristica. «Guardando alla diffusione dei prodotti vita presso le famiglie italiane, la finalità di integrazione pensionistica non è quella prevalente, mentre è senz’altro molto apprezzata la protezione dalla volatilità dei mercati e dal rischio di perdite finanziarie, che si traduce in una domanda rilevante di assicurarsi rendimenti contenuti, ma stabili e sicuri», conferma Di Falco. Il successo è nell’età del portafoglio. Perché allora le gestioni separate hanno riscosso tanto successo negli ultimi mesi? «Il momento storico, caratterizzato da tassi prossimi allo zero, talvolta negativi, ha determinato analoghi rendimenti sulla maggior parte dei prodotti di risparmio. Di contro le gestioni separate, oltre a garantire copertura assicurativa, hanno espresso

LUIGI CONTE, ANASF

rendimenti positivi in virtù del fatto che i titoli sottostanti hanno tendenzialmente cedole alte e scadenze lunghe e sono valorizzati al costo storico: questo evita contraccolpi derivanti da eventuali incrementi dei tassi di interesse», spiega Luigi Conte, vicepresidente vicario di Anasf (l’associazione nazionale dei consulenti finanziari). «Guardando al futuro, se la situazione dei tassi dovesse rimanere prossima a quella attuale, a mano a mano che i titoli con cedole cospicue andranno a scadenza anche il rendimento ne risentirà». «Oltretutto», aggiunge Conte, «l’attività di pianificazione patrimoniale, che i consulenti finanziari sviluppano costantemente con i loro clienti, identifica nelle polizze assicurative la soluzione a specifiche richieste di protezione e tutela anche in ambito successorio, potendo individuare in sede di stipula e modificare in costanza di rapporto i beneficiari in maniera univoca». L’analisi è confermata dal fatto che l’anno scorso il mercato è stato trianato in particolare dal ramo primo, che pesa per il 65%, da una crescita molto significativa (+49%) del ramo quinto, che prevede polizze di investimento senza evidenza dell’assicurato utilizzate soprattutto da aziende per gestire la loro liquidità, mentre si è manifestata una decrescita del ramo terzo (-4,6%), ovvero della componente più finanziaria della polizze vita. Facile concludere che i risparmiatori hanno premiato la sicurezza al rendimento, potenzialmente offerto delle polizze unit linked. Questo trend sta proseguendo nel 2019 con dati a fine febbraio che indicano una raccolta per le imprese italiane di 14,2 miliardi di euro con le polizze di ramo primo che hanno coperto più di due quarti della raccolta. «A causa della situazione di mercato è maggio 2019 21


MICHELE CRISTIANO, CFA

PIERGIORGIO COSTANTINI, EUROVITA

stata premiata la maggiore stabilità di rendimento offerta dalle gestioni separate, che investono prevalentmente in titoli di Stato», spiega Michele Cristiano, amministratore delegato di Cfa assicurazioni (azionista di riferimento, Tecnocasa). «In un mercato come quello del 2018, con tassi bassi e forte volatalità dello spread, la gestione separata da una parte ha rappresentato un ammortizzatore e dall’altra, poiché ha in pancia vecchi titoli di Stato con rendimenti alti, ha offerto risultati competitivi rispetto a quelli di altri prodotti sul mercato». Entrare ora quindi potrebbe non garantire gli stessi rendimenti dello scorso anno, che sono stati del 3,2% in media (con punte del 4% per alcuni big del settore), che scende al 2-2,5% al netto di costi e commissioni. «A fronte di rendimenti positivi ma non esaltanti, le polizze assicurative hanno consentito ai clienti di soddisfare le proprie aspettative in termini di stabilità e sicurezza», commenta Conte, di fatto paragonando le polizze vita a un motore diesel. «Chi entra adesso», aggiunge Tosti, «avrà un rendimento mediamente basso perché i titoli con grandi cedole si sono ormai esauriti». Il futuro è ibrido. Proprio a causa del rinnovo dei portafogli delle gestioni separate che includeranno titoli di Stato con rendimenti risicati se non prossimi allo zero, l’ibrido potrebbe essere la tendenza 2019 anche nel campo assicurativo. Tendenza stimolata anche dall’offerta. Il mercato assicurativo infatti spinge e scommette molto sul ramo terzo che necessita di un minore fabbisogno di capitale, ma spinge ancora di più sui più sofisticati prodotti “multiramo” (che mettono insieme i rami I

e III), che permettono switch tra un ramo e l’altro adattandosi così alle esigenze del sottoscrittore, che sono di natura finanziaria quanto più è giovane e prevalentemente previdenziali a mano a mano che l’età aumenta e il prodotto arriva a scadenza. Già il 2018 ha confermato il forte sviluppo di queste formule, che sono il risultato della combinazione di una componente assicurativa tradizionale a rendimento minimo garantito e di più opzioni di investimento di tipo unit-linked: i premi raccolti a fronte della vendita di tali prodotti (che ormai rappresentano un terzo del totale dei premi per 31,3 miliardi) sono aumentati nel 2018 del 12,1%. Come spiega Pier Giorgio Costantini, direttore commerciale e marketing di Eurovita, «le polizze multiramo offrono una mobilità tra fondi e gestioni separate che aiuta a cogliere i principali trend di mercato». Un’altra compagnia che si è specializzata nell’offerta ibrida è Generali Italia, che già realizza il 65% della raccolta complessiva con questi prodotti, «Che riteniamo essere il migliore mix tra continuità e rendimenti», dice Giancarlo Bosser, chief Life&employee benefits officer di Generali Italia. E l’aspetto previdenziale? «Chi cerca il prodotto assicurativo ha obiettivi di medio-lungo periodo - per qualcuno è la pensione, per altri l’acquisto della casa, o un’altra spesa importante che dovrà fare - non per forza legati al tema del pensionamento», dice Bosser. Infine come evidenzia Dario Moltrasio, ceo di Zurich Investments Life, si delinea un’altra tendenza: «C’è una clientela retail che cerca protezione nei prodotti di ramo primo e multiramo, ma c’è anche una clientela più sofisticata che cerca nel prodotto assicurativo soprattutto

GIANCARLO BOSSER, GENERALI ITALIA

DARIO MOLTRASIO, ZURICH

22 maggio 2019


COVERSTORY eventuali guadagni realizzati all’interno di una polizza vengano tassati tutti insieme alla risoluzione del contratto. «Questo differimento fiscale offre enormi vantaggi sotto il profilo finanziario ed economico», spiega Loconte. «Ma un altro aspetto fiscale non meno interessante è che la polizza può fare da stanza di compensazione dell’intera posizione fiscale del cliente: in altre parole se un risparmiatore ha rapporti su due banche - una in guadagno e l’altra in perdita - la polizza permette di eseguire la compensazione tra i due istituti nello stesso anno. E questa è una caratteristica unica nell’intero panorama dei prodotti di risparmio». Outlook positivo. Ma quanto crescerà il mercato nell’anno di esordio di Quota 100? Presto per dirlo ma ci sono alcuni dati che possono orientare. La quota del risparmio finanziario delle famiglie italiane impiegato nelle polizze vita negli ultimi dieci anni è progressivamente cresciuto. Nel 2008 le riserve relative alle polizze vita rappresentavano infatti il 10% del totale dello stock finanziario detenuto, mentre nel 2018 sono salite al 16% rispetto al 15,4% registrato nel 2017 (fonte Ania). Anche l’incidenza della raccolta vita totale sul Prodotto interno lordo è risultata in lieve aumento, pari al 5,8% nel 2018 rispetto al 5,7% del 2017. «Il risparmio assicurativo è arrivato a essere quasi un sesto del risparmio degli italiani, e questa quota importante è in crescita» ha detto il direttore generale dell’Ania, Dario Focarelli, al Salone del risparmio di Milano. Non solo. Si calcola che nei prossimi dieci anni ben il 65% della ricchezza - tra asset immobiliari e mobiliari - passerà di mano, e una recente ricerca condotta da Prometeia e Ipsos per Wealth Insights ha rivelato che in Italia la crescita dello stock di prodotti di risparmio e assicurativi sarà pari a 250 miliardi di euro nel prossimo triennio fino a raggiungere la quota complessiva di 1.750 miliardi di euro. Per il momento partiamo dalla ricerca realizzata da Eurovita, dalla quale si evince che il patrimonio gestito complessivo (che ammonta a 2.017 miliardi di euro, fonte Assogestioni) è pari al 58% contro il 42% rappresentato dalla liquidità. Intercettare questi 1.400 miliardi privi di rendita e parcheggiati sui conti correnti degli italiani è la grande sfida delle compagnie di assicurazioni per i prossimi anni.

STEFANO LOCONTE, STEFANO LOCONTE & PARTNER

l’ottimizzazione di tematiche successorie e fiscali. E questa fascia è interessante anche per il ramo terzo». Quest’ultimo ramo, rappresentato dalle polizze linked, pur sfiorando i 30 miliardi di raccolta, ha registrato un calo del 4,5% rispetto al 2017, una dinamica che – secondo Ania - avrebbe origine negli andamenti globalmente deludenti dei mercati azionari nel corso del 2018. Ombrello protettivo. La previdenza insomma è un po’ misteriosa: è chiaro a tutti che è necessario integrare la pensione pubblica con prodotti specifici, ma molti vi provvedono con la liquidità o altri strumenti di rendita. Anche perché tutti gli operatori intervistati mettono l’accento sui famosi tre pilastri dei prodotti assicurativi che si esplicano al meglio nei prodotti di ramo primo: la pianificazione finanziaria, l’ottimizzazione fiscale e la pianificazione successoria. Se è chiaro a tutti che si tratta di un veicolo di trasmissione del patrimonio sicuro ed efficace, meno indagati sono i vantaggi fiscali, che consistono soprattutto nella possibilità di differire le imposte, di compensare le minus e le plus valenze e nell’esenzione delle imposte sui dividendi percepiti. Secondo l’avvocato Stefano Loconte, fondatore dello studio legale e tributario Stefano Loconte & Partner, l’elemento più interessante è rappresentato dall’effetto deferred tax, ovvero il differimento della tassazione, che permette che

I PREMI VITA 2018 AI RAGGI X

Imprese Italiane e rappresentanze Extra-UE

Rappresentanze di imprese Imprese in LPS (facenti parte UE (regime di stabilimento) dell’Albo gruppi IVASS)

RAMI DI ATTIVITÀ

Premi 2018

Premi 2018

Ramo I - Vita Umana

66.193

64,9

5,4

1.345

34,8

35,1

-

-

-

67.537

58,8

5,9

Ramo III -Polizze Linked

29.838

29,2

-4,5

2,516

65,1

-27,6

9.052

100,0

-29,5

41.405

36,0

-12,9

109

0,1

22,2

1,8

0,0

34,0

-

-

-

111

0,1

22,4

Ramo V - Capitalizzazione

3.806

3,7

49,3

-

-

-

-

-

-

3.806

3,3

49,3

Ramo VI - Fondi Pensione

2.091

2,0

7,8

-

-

-

-

-

-

2.091

1,8

7,8

102.036

100,0

3,5

3.862

100,0

-13,6

9.052

100,0

-29,5

114.951

100,0

-0,8

2017

2018

5,7

5,8

Valori in milioni di euro

Ramo IV - Malattia

Distrib. Var % % 2018/17

Distrib. Var % % 2018/17

Premi 2018

Distrib. Var % % 2018/17

TOTALE Premi 2018

Distrib. Var % % 2018/17

FONTE: ANIA

TOTALE VITA

Premi/PIL FONTE: ANIA

maggio 2019 23


INTERVISTA CON ALBERTO MINALI

«PER NOI ASSICURATORI UNA GRANDE OPPORTUNITÀ» di Sergio Luciano

«N

on so se, come paese, sia stato valutato fino in fondo l’impatto di ‘Quota 100’, ma so che questa misura ha reso evidente ai più che esiste una relazione diretta tra quanto si è versato di contributi e quanto si porta a casa di pensione. E questa chiarezza, questa consapevolezza, contribuisce ad aprire per il settore assicurativo una grande opportunità di business». Alberto Minali, amministratore delegato del Gruppo Cattolica Assicurazioni da neanche due anni, è reduce da un’assemblea sociale che ha celebrato il più ricco utile netto negli ultimi dieci della storia dell’azienda e avrebbe di che godersi il successo. Ma è un tipo che guarda sempre avanti e non si smentisce all’indomani della riunione con i soci.

Dunque dottor Minali: altre opportunità in arrivo sul Vita? Non solo sul ramo vita. In generale l’arretramento dello Stato dai servizi pensionistici e assistenziali apre grandi opportunità. La Cattolica è già presente sia con prodotti Fip (forme individuali di previdenza, ndr) che con prodotti ad accumulo, ma penso che presto lanceremo nuovi format per intercettare questa nuova domanda. Vedo che c’è molta avversione al rischio da parte dei consumatori italiani e che lo stock di liquidità sui conti correnti sta aumentando. Anche attraverso i nostri partner bancari, che pure vanno bene, constatiamo un certo decumulo dei loro clienti dalle polizze vita e poi una certa difficoltà della banca nel ricatturare queste somme mediante altri prodotti. Ma il mercato nel 2018 è cresciuto del 3,5%... E’ vero, eppure lo stock di liquidità 24 maggio 2019

Alberto Minali, amministratore delegato di Cattolica Assicurazioni

«TRA LA GENTE SI È DIFFUSA LA CONSAPEVOLEZZA DEL NESSO CHE C’È TRA I CONTRIBUTI VERSATI E L’ASSEGNO CHE SI INTASCA» nei conti correnti sta aumentando ed è correlato alla nuova percezione del rischio, forse acuita dall’attesa per le elezioni europee, dal rischio patrimoniale, dalle polemiche sul sovranismo... tutti elementi che spingono a una prudenza forse malintesa ma avvertita come necessaria. Le dirò, me ne rendo conto anche a livello personale, in famiglia: nonostante il mestiere che faccio, sono più attento alla liquidità, di questi tempi. Del resto chi era liquido negli anni peggiori della crisi ha difeso meglio di tutti il suo capitale. A volte anche non investire è una decisione di investimento.

Forse però un po’ di educazione finanziaria in più aiuterebbe gli italiani a non tenere i loro soldi sotto il materasso... Certo manca qualunque educazione finanziaria, è un problema che viene da lontano. Nella scuola italiana tranne pochissimi corsi di qualche liceo economico, i ragazzi si diplomano privi anche dei minimi rudimenti, non sanno cos’è un mutuo né una polizza. Eppure la maggior parte degli scandali finan-


COVERSTORY ziari degli ultimi anni che tanto hanno danneggiato decine di migliaia di risparmiatore, erano legati a questa totale ignoranza finanziaria di chi per esempio si faceva abbindolare da promesse di rendimenti a doppia cifra senza nemmeno considerare che ad esse non poteva che corrispondere un rischio a doppia cifra... io stesso avevo l’intenzione, che non sono poi riuscito ad attuare, di scrivere un manualetto sul risparmio e sul rischio per le scuole. Se chiedi a chiunque quali saranno i suoi impegni di spesa nei prossimi 10 anni, il 90% delle risposte è “non lo so”. Eppure i tedeschi, fortemente avversi al rischio, non hanno problemi ad acquistare polizze caso morte. Mentre gli italiani, da questo punto di vista, sono più fatalisti, basti vedere le bassissime coperture contro i rischi catastrofali. Ci vorrà tempo per cambiare mentalità. E dunque c’è da fare: attraverso gli agenti, gli intermediari più potenti del mercato? Oltre il 60 per cento della nostra distribuzione nel business Danni transita per i nostri agenti, ne abbiamo di bravissimi. Però...

Però? Però la figura tradizionale dell’agente assicurativo accusa due limiti: uno sbilanciamento verso il ramo auto e tra la parte commerciale e quella amministrativa dell’agenzia, che è troppo gravosa. Abbiamo per questo lanciato la nostra nuova agenzia digitale per ridurre di due ore al giorno, dalle attuali su 8-9, la quantità di lavoro amministrativo necessaria: un agente libero dalle scartoffie può dedicare più tempo ai clienti e proporre loro prodotti. Lo si sente dire da tanti tanti anni... Ma le cose stanno cambiando. Anche grazie alla nuova direttiva europea Idd, non sempre ben accolta nel settore, che prescrive appunto per le attività di vendita di partire dal rapporto con i clienti, dalla valutazione del target, dall’analisi delle migliori soluzioni assicurative. E’ evidente che l’agente che ha meno attività amministrativa e più tempo per attività commerciale può parlare di più con i clienti e spiegargli prodotti. E quindi un agente confinatosi a vendere solo auto non sa fare azioni educative sui clienti, ma vede da un lato la pressione dell’innovazione tecnologica, dall’altro quella delle nuove normative. Anche l’inevitabile calo che il business auto vivrà con il cambiare delle abitudini di mobilità è una discontinuità che accentuerà il cambiamento. Inevitabilmente gli agenti dovranno riconfigurare il loro approccio professionale. Secondo me le figure più adeguate ai tempi hanno un portafoglio auto medio, diciamo il 40-45% del totale e non il 60%, vendono rami elementari e hanno iniziato a vendere il Vita. E’ ora che i clienti percepiscano l’agente come un consulente e un gestore di soluzioni ben più varie della sola auto. E le reti bancarie? Che ruolo devono avere? Innanzitutto devo dire che la componente che arriva al conto economico di Cattolica dalle partnership bancarie è decisiva: sia l’alleanza con Ubi che quelle con Banco Bpm e con l’Iccrea ci stanno dando, per il ramo Vita ma anche per quello Danni, ottimi risultati. Ciò detto, abbiamo diverse possibilità nel no-

«GLI AGENTI POTRANNO DEDICARSI DI PIÙ AL RAPPORTO CON I LORO CLIENTI» stro futuro, in merito. Non sappiamo se prima o poi due delle nostre tre banche alleate si fonderanno tra loro: qualora quest’evenienza si verificasse, dovremmo adeguare le nostre strategie...ovviamente, nel caso di un’eventuale fusione tra Ubi e Banco, ci candideremmo a essere il partner unico. Il mondo Iccrea è poi molto interessante perché presidia tanti piccoli centri dove l’unica banca è la vecchia cassa rurale, e ci sono anche molti nostri agenti che lavorano molto bene con le Bcc. Riuscite a gestire bene questo menage a trois? A quattro, vorrà dire: be’, sì. Ci stiamo domandando se incrementare la nostra macchina It per funzionare ancora meglio, ma intanto va. Consideri che quando si parla di Iccrea si parla di un colosso da 2600 sportelli con 140 Bcc sparse in tutta la penisola. Le partnership bancassicurative restano per noi un canale molto importante, che produrrà l’altra metà della nostra distribuzione e del nostro conto economico e bilancerà il ruolo degli altrettanto indispensabili agenti.

Torniamo a parlare della direttiva e dei cambiamenti che apporterà al settore. Allora parliamo di tutti i cambiamenti normativi che dobbiamo gestire. Ne elencherei tre: la direttiva Idd (Insurance distribution directive, ndr), la direttiva Gdpr (General Data Protection Regulation, ndr) e i criteri Irfs (International Financial Reporting Standards Foundation, ndr). Dal 2022 i nuovi criteri contabili che le compagnie dovranno adottare cambieranno le modalità di rappresentazione del business assicurativo e ci sarà un problema di intellegibilità dei dati. Ci stiamo attrezzando ma, mi creda, è uno sforzo titanico. Gli esperti stimano maggio 2019 25


COVERSTORY che questi nuovi principi contabili avranno sull’industria lo stesso impatto della direttiva Solvency 2, perché riscrivono le regole di rappresentazione delle grandezze economiche. E la Gdrp? Vi impedirà di utilizzare i dati dei clienti? Finora è sempre stata considerata figlia di un dio minore, invece la disponibilità dei dati dei clienti per le compagnie passa da capacità e volontà dei clienti di metterli a disposizione. Tutta la forza dei programmi analitici sui big data si perde se non abbiano l’autorizzazione dei clienti a gestire i loro dati. Quindi abbiamo inserito nella nostra modulistica domande

«ENTREREMO NEL RAMO SALUTE E MALATTIE. E RIVEDREMO GLI ASSET IN TERMINI DI ESG» LE (BELLE) CIFRE DI CATTOLICA Risultato netto di gruppo nel 2018: 107 milioni Risultato operativo: +42,2% a €292 milioni Dividendo: €0,40 per azione (+14,3%) Raccolta premi: 5,8 miliardi (+15,7%) Crescita nel danni: +4,4% Crescita nel vita: 23,2%

specifiche per avere questo via libera. Il problema è complesso perché i portafogli, con i dati dei clienti, sono “degli agenti”. Nel nostro nuovo accordo di sistema abbiamo previsto una forma di contitolarità dei dati. Perché è vero che l’agente gode di un rapporto privilegiato con il cliente ma è anche vero che il cliente compra una polizza Cattolica. Infine la direttiva Idd... Anch’essa avrà impatti tentacolari, tocca la costruzione dei prodotti, la loro gestione, influisce sull’attività di marketing e della rete. Però penso che la capacità delle compagnie di assicurazioni dev’essere quella di trasformare il peso di queste direttive in un’opportunità. Come Cattolica per esempio sulla direttiva Idd abbiamo messo mano a una nuova struttura organizzativa del marketing che accolga le nuove norme e le risolva in una spinta di sviluppo. Intervenire sui prodotti del resto sta diventando un elemento cardine per innovare meglio. Occorre più lavoro di squadra perché ci sono più attori coinvolti. Ricordo che nel ’91 il capo del ramo Vita della compagnia dove lavoravo mi diede da studiare la tariffa mista a capitale rivalutabile di un prodotto che veniva pensato e gestito dal solo ruolo attuariale di quella compagnia. Oggi su un prodotto del genere ci sono nove funzioni aziendali coinvolte! 26 maggio 2019

Un’immagine dell’ultima campagna istituzionale della compagnia

Senta, per concludere: ci dice quali sono le tre novità in arrivo per Cattolica? La prima cosa su cui stiamo lavorando è l’entrata di Cattolica nel business salute e malattie. Abbiamo approfondito varie opzioni strategiche, credo che siamo vicini ad una sintesi con una bella partneship nel mercato che ci permetterà di servire meglio i nostri clienti. La seconda sfida è quella di rivisitare tutti i nostri investimenti in termini Esg (Enviromental, social e governance,ndr) perché gli asset che riflettono i principi Esg si dimostrano storicamente migliori, in termini di rendimenti, rispetto ai non-Esg e sono caratterizzati da una minor volatilità. Stiamo pensando di riorientare in senso coerente il nostro mix di investimenti.

E il terzo punto? Riguarda la formazione e riqualificazione del capitale umano che fatalmente e progressivamente dovesse essere reso obsoleto dalla continua digitalizzazione dei processi aziendali. Abbiamo lanciato un progetto ancora embrionale con cui robotizzeremo piccole parti dei nostri processi produttivi per aumentarne l’efficienza: con la formazione riconvertiremo il personale in esubero da certe funzioni per ricollocarlo con soddisfazione sia degli interessati che dell’azienda.



INTERVISTA AD ANNA BAGELLA

CON PIÙ EDUCAZIONE E ADVICE IL GAP PENSIONISTICO SVANIRÀ di Marco Muffato

I

l tema del gap pensionistico, ovvero la differenza tra l’ultimo stipendio e la pensione, è una vera e propria emergenza nazionale. Per fare un esempio a fine 2017 erano solo 8,3 milioni gli italiani iscritti a una forma di previdenza complementare, per un totale di 161 miliardi di somme accantonate, meno del 5% rispetto al totale delle attività finanziarie delle famiglie. Che soluzioni si possono dare a un problema così drammatico? Investire lo ha chiesto ad Anna Bagella, responsabile sviluppo offerta di Fideuram, la rete di consulenti finanziari leader del mercato.

Dottoressa Bagella, quale può essere il ruolo delle reti di consulenza finanziaria sul tema della scopertura pensionistica? La previdenza complementare dovrebbe affiancare la previdenza obbligatoria sempre meno generosa consentendo di ridurre il gap tra l’ultimo stipendio e quanto verrà erogato dal sistema pensionistico nazionale consentendo ai cittadini il mantenimento del tenore di vita. I dati però ancora non confermano questo assunto. Nel corso del 2018 la previdenza complementare è cresciuta del 3% 167 miliardi di euro - con circa 500mila nuovi iscritti, un segnale di crescita a ritmi ancora piuttosto contenuti rispetto al bacino potenziale degli oltre 25 milioni di occupati del settore privato. La ragione ritengo sia legata sia a una naturale minore percezione di esigenze che si posizionano nel lungo termine, sia alla scarsa consapevolezza del proprio gap pensionistico. In questo quadro i consulenti finanziari giocano un ruolo chiave perché grazie alla loro vicinanza ai clienti possono costruire percorsi educativi, possono far emergere l’esigenza latente e aiutare i clienti a indirizzare il risparmio verso forme di investimento di lungo periodo. 28 maggio 2019

A destra Anna Bagella, responsabile sviluppo prodotti di Fideuram

PER L’ESPONENTE DI FIDEURAM QUOTA 100 HA IL MERITO DI METTERE IN CIMA ALL’AGENDA DEI RISPARMIATORI ITALIANI IL TEMA DRAMMATICO DELLA SCOPERTURA PREVIDENZIALE E con quale perimetro di operatività? Quello di secondo (fondi pensione, tradizionalmente di poco interesse da parte delle reti) o di terzo pilastro previdenziale (polizze vita in primis)? Ci muoviamo in un perimetro regolamentare articolato che ammette effettivamente varie forme di previdenza complementare. Quando parliamo di forme di previdenza complementare di secondo pilastro, sostanzialmente ci riferiamo a fondi pensione di categoria ai quali i lavoratori aderiscono in forma collettiva, normalmente nell’ambito della propria azienda stimolati dall’eventuale contributo datoriale, ma


COVERSTORY senza spesso essere supportati da una consulenza previdenziale dedicata. Come anticipato, la consapevolezza e l’informazione è il principale fattore abilitante e in questo senso può essere più efficace non solo per stimolare l’adesione, ma soprattutto per dimensionare correttamente il programma previdenziale e manutenerlo nel tempo, il ruolo del consulente. In un rapporto uno a uno con il cliente il consulente tende a preferire soluzioni ad adesione individuale. Nell’ambito delle soluzioni di terzo pilastro sicuramente un ruolo importante è stato giocato dalle polizze vita, a nostro avviso prevalentemente legato a scelte commerciali dei distributori che si sono dimostrati più attivi su questo segmento di mercato. La raccolta che osserviamo a livello di sistema Italia sulle polizze vita direi che è ancora poco legata alla previdenza e più a logiche di passaggio generazionale o finalizzate all’accesso a soluzioni con capitale garantito per la gestione del patrimonio nel medio periodo Nel 2018 le polizze vita, in un anno nero per molti segmenti a reddito fisso, hanno realizzato un rendimento lordo medio del 3,2% con punte del 4%. Sarà la vostra soluzione di riferimento nell’assicurativo nel 2019? Il 2018 si è chiuso con un bilancio negativo su tutte le principali asset class ed è stato naturale osservare un trend di raccolta positiva sulle alcune polizze vita in particolare sulle Ramo I e le multi-ramo che propongono forme di protezione utili soprattutto per i clienti strutturalmente avversi al rischio. Il punto è quanto siano sostenibili nel tempo per le compagnie queste forme di investimento e a cosa rinunciano i clienti. Se mettiamo insieme le considerazioni fatte prima, il ruolo del consulente è accompagnare i clienti nel definire le esigenze e ridefinire l’orizzonte temporale di riferimento, quando si punta al lungo termine costruire una allocazione su più asset class, dalle più liquide a quelle sui mercati privati, per diversificare il correttamente il portafoglio senza rinunce. Fideuram sta seguendo questo percorso avendo a disposizione tutte le soluzioni. A suo avviso Quota 100, la recente misura che permette ai lavoratori di andare in pensione con 5 anni di anticipo ma con una penalizzazione nel trattamento pensionistico dovuto ai minori contributi versati e che coinvolge circa 300mila italiani, può nei prossimi mesi contribuire in maniera diretta o anche indiretta a sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema della previdenza integrativa? La novità prevista dal decreto legge di inizio anno ha avuto evidentemente un forte eco mediatico e ha generato giustamente l’interesse di molti lavoratori potenzialmente coinvolti. La proposta di anticipare l’età pensionabile tuttavia tende ad amplificare il gap previdenziale e a far emergere la necessità di integrazione della pensione pubblica. Sicuramente si tratta di una buona occasione per far sorgere l’interesse, ma la soluzione non può che passare dalla conoscenza e da una adeguata e dedicata consulenza previdenziale. Si parla tanto di educazione finanziaria ma probabilmente è altrettanto urgente l’educazione previdenziale ai clienti. Come li informate su una tematica così cruciale? L’educazione finanziaria abbraccia anche l’educazione previdenziale. Fideuram è molto sensibile al tema e nell’ambito dei suoi programmi di formazione rivolti ai consulenti

finanziari sono previsti moduli specifici ciclicamente rieditati con gli aggiornamenti che il contesto sociale ma anche normativo richiede. Abbiamo da tempo avviato anche dei salotti dedicati ai clienti nei quali sono trattati da specialisti del settore varie delle tematiche menzionate. Un’altra parola chiave che si è affermata nel mondo delle reti è quella della pianificazione previdenziale. Nell’universo Fideuram cosa vuol dire? La pianificazione previdenziale è una parte integrante nel nostro modello di consulenza base ed evoluta che è strutturato per aree di bisogno tra cui l’area della previdenza. Inoltre abbiamo reso disponibile ai nostri consulenti e ai nostri clienti vari supporti tra cui anche quello per valutare il gap previdenziale.

«LA RACCOLTA NEL VITA È LEGATA AL PASSAGGIO GENERAZIONALE» Si parla molto di architettura aperta negli investimenti finanziari. In materia previdenziale puntate sull’offerta del gruppo, o siete aperti all’offerta di case terze? È parte della storia di Fideuram lo sviluppo di soluzioni in architettura aperta ricercando eccellenza e valore senza preclusioni; crediamo che il modo migliore di cogliere le expertise terze, sia di convogliarle su piattaforme di servizio, le nostre soluzioni wrapper o contenitore, normalmente sviluppate con le società del gruppo, che assicurino qualità di prodotto e continuità contrattuale nel lungo termine ai nostri clienti. In ambito previdenziale il fondo Pensione Fideuram, un prodotto storico della nostra gamma offerto dalla nostra compagnia Fideuram Vita, offre la possibilità di accedere a una soluzione di previdenza complementare su base individuale con un approccio modulare e multilinea. maggio 2019 29


INTERVISTA CON ALBERTO BRAMBILLA

IL TERZO PILASTRO NON C’È PIÙ CHI FA FORMAZIONE PREVIDENZIALE? di Sergio Luciano

«È

ovvio che se uno Stato cambia le regole della previdenza ogni ogni due anni, non spiega ai cittadini quando e quanto prenderanno di pensione, gli aumenta le tasse sulla previdenza complementare e non gli fa cultura finanziaria, nonostante gli impegni teorici di Bankitalia, Consob, Covip e di questa strana società per azioni pubblica, il Mefop, che dovrebbe per l’appunto occuparsi di fare cultura e sviluppo dei fondi pensione, be’... è ovvio che i cittadini siano come minimo disorientati in materia previdenziale in genere di previdenza integrativa in particolare»: è affilato come sa esserlo Alberto Brambilla, unanimemente considerato uno dei maggiori economisti previdenziali a livello europeo, presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, docente universitario e già sottosegretario di Stato e presidente del “Nucleo di Valutazione della Spesa Previdenziale” presso il Ministero del Lavoro. “Constato e affermo, semplicemente, che la politica non fa nulla per l’educazione previdenziale, i corpi intermedi poco e nelle scuole non si parla di previdenza integrativa, le assicurazioni sembrano disinteressate all’argomento e le reti di consulenti non hanno capito l’enorme opportunità che hanno davanti: se facessero, nei prossimi due o tre anni, dei contratti di previdenza integrativa aziendale nelle aziende da 10 dipendenti si troverebbero un’enorme massa di clienti fidelizzati da gestire in futuro. E invece niente...”. Quindi c’è un mercato da conquistare? Sì, e nell’interesse del sistema! Qualcosa si muove: Mediolanum, Intesa Vita nei fondi aperti, le stesse Poste Vita, un pezzettino di Generali, Allianz si sta muovendo, Arca lavora bene, che è il più grosso e competente produttore di fondi pensione aperti. 30 maggio 2019

«OTTENERE UNA BUONA PENSIONE SAREBBE POSSIBILE MA SALARI E REDDITI SONO BLOCCATI DA 20 ANNI»

A destra Alberto Brambilla

Ma nell’insieme si fa poco. Il fattore negativo di fondo è che il governo è totalmente assente e quando è stato presente ha fatto danni. Quindi lei è critico sul futuro del sistema previdenziale? La risposta è complessa. Nel suo insieme il sistema previdenziale pubblico è sostenibile, poi le dirò perchè. Ma i cittadini non sono stati mai aiutati a capire e a gestire quella componente fondamentale che è la previdenza integrativa. Non a caso oggi il confronto tra il nostro paese e quelli di area Ocse, ma addirittura quelli africani e latino-americani, è disastroso. Nella media Ocse il rapporto tra patrimonio dei fondi pensione e Pil è 110. In Italia è 10. Si rende conto? Quindi abbiamo un grande bisogno di fondi pensione e pre-


COVERSTORY videnza integrativa... E anche di assistenza integrativa. Col tasso di invecchiamento della popolazione che abbiamo noi, con il nostro indebitamento pubblico, se non responsabilizziamo da un lato lo Stato, che deve accentuare la fiscalità di vantaggio a favore di previdenza e assistenza integrativa, e dall’altro la popolazione che deve capire la necessità di proteggersi, e se non variamo un piano serio a 5-10 anni, continueremo a brancolare nel buio. Quindi sul fronte fiscale c’è tanto da fare? Be’, già il governo Letta aveva ritoccato al rialzo dall’11 all’11,5% il prelievo sui fondi pensioni, con Renzi siamo arrivati al 20%. L’ultimo decreto fiscale sfiora l’argomento, poco e male, rivelando un pregiudizio negativo contro la previdenza integrativa e anche contro i fondi sanitari. Ci spieghi meglio... Gli italiani iscritti ai fondi sanitari, soprattutto grazie al fatto che in molti casi sono istituiti dai contratti di lavoro, sono dieci milioni. Peccato che non esiste una normativa di controllo. E l’attuale governo cosa fa? Addirittura la Commissione Salute della Camera ha avviato una indagine conoscitiva per indagare se è logico o meno dare sgravi fiscali ai fondi sanitari o se non è meglio – ammesso che sia giusto darli - utilizzarli nella sanità pubblica. E vuol verificare anche se non sia addirittura meglio che tutti i dipendenti pubblici abbiamo divieto di dotarsi di assistenza sanitaria integrativa. Una situazione kafkiana... E Quota 100? Anche qui devo darle una risposta articolata. Cos’è accaduto, in concreto, con Quota 100? Che c’è stata una partenza di richieste fulminea, con 10-15 mila richieste alla settimana, calmatasi dopo sei-sette settimane. Perché quota 100 presenta dei vantaggi oggettivi ma anche delle criticità. Vediamo i lati positivi... Quota 100 ha consentito ai molti “bloccati” dalla eccessivamente rigida riforma Fornero che non riuscivano a raggiungere i due parametri previsti, 67 anni di età anagrafica e 43 anni e 3 mesi di anzianità contributiva, di andare in pensione; la mediana delle richieste infatti si situa intorno a quota 104. Quota 100 li ha liberati ed è stato positivo per tutti coloro che lo desideravano: anche se, per semplificare la normativa e risparmiare molti soldi pubblici, si sarebbe potuto ottenere lo stesso risultato utilizzando i fondi esubero soprattutto per quelli con 62 anni di età. E i lati negativi? Be’, innanzitutto questo è un regime che dura al massimo tre anni. Poi... sviluppiamo il ragionamento. Questa prima ondata di richiedenti è composta da lavoratori con all’attivo una storia pensionistica ancora totalmente retributiva, perché al 31 dicembre del ’95, data dell’entrata in vigore della riforma Dini, avevano già oltre 18 anni di contributi versati. E si sa che per questo gruppo sociale, prima si va in pensione meglio è, più si guadagna. Il loro ragionamento è semplice: se avessi lavorato ancora, e quindi avessi versato ancora contributi, per 5 anni avrei preso circa il 9% di pensione in più; invece, anticipando il pensionamento di 5 anni è vero che prendo una pensione del 9% più bassa ma per 5 anni prendo in anticipo il 91% della pensione; con una aspettativa di vita di altri, supponiamo 20 anni, in pratica perdo un 9% per 20 anni ma prendo un 91% con 5 anni di anticipo, 20 contro 45, un bel vantaggio. E che farà chi aveva meno di 18 anni di contributi a fine 1995?

A partire dalla metà del 2020, si affacceranno sulla soglia della pensionabilità con Quota 100 quelli che appunto sono stati toccati dalla riforma Dini. Questo numerosissimo gruppo sociale ha oltre il 60% di contributi versati con il metodo contributivo. Per loro vale in pieno la regola per cui prima si va in pensione, meno si prende. E il taglio degli assegni pensionistici, per le loro tasche, sarà molto più pesante. Ma cosa pensano gli italiani della pensione? Si oscilla dalla disinformazione al disfattismo di chi dice: io la pensione non la prenderò mai. E, come dicevamo prima, nessuno fa formazione previdenziale: né lo Stato né, salvo poche eccezioni, i settori bancario e assicurativo. Quindi: vacche magre per fondi pensione e polizze vita? L’afflusso ai fondi negoziati è altissimo nelle grandi imprese dove è presente il sindacato, modestissimo nelle Pmi poco sindacalizzate, eppure i dati dimostrano che – salvo il 2018, anno terribile per tutte le asset class – mediamente hanno sempre guadagnato più del tasso di inflazione e meglio della media quinquennale del Pil, cioè del parametro che costituisce la base del calcolo della pensione obbligatoria. Un po’ meglio sono andati i Pip, spinti dagli agenti assicurativi, che però non sono, come si pensa, il terzo pilastro previdenziale! Cioè? Cioè in Italia il terzo pilastro non c’è più. C’era prima dell’ultima riforma Visco, perché le polizze vita individuali (il terzo pilastro, ndr) godevano comunque di uno sgravio fiscale di 2,5 milioni all’anno e così pure il secondo pilastro dei fondi pensione. Oggi il secondo pilastro è composto da fondi negoziali, aperti e Pip; ogni lavoratore può aderire anche a due o più forme integrative ma sempre di secondo pilastro si tratta e lo sgravio fiscale è al massimo di 5.164 euro complessivamente. Possiamo sperare che il primo pilastro, l’Inps, regga? Sulla sostenibilità e sulla tenuta dei conti pensionistici, non vedo problemi: la previdenza pubblica italiana, pur dopo tante riforme anche contraddittorie, nell’insieme tiene. E può permettersi di fare un po’ di flessibilità, anche all’indomani di quota 100. Che è stata anzi l’occasione per capire che è possibile anche a regime stabilire un sistema meno rigido, dove magari sia sempre possibile scegliere se andar in pensione in modo flessibile come avevamo previsto con la riforma Dini tra i 64 anni con 37 anni di contributi, e i 70 anni; chi va prima avrà un po’ di meno perché prenderà la pensione per più anni, chi va dopo un poco di più perché la prenderà “statisticamente” per meno tempo. Ma queste pensioni saranno sufficienti a dar da vivere? Se la domanda è: la nostra pensione sarà buona? La risposta si sdoppia. Tecnicamente sì, perché il cosiddetto tasso di sostituzione, ovvero la percentuale dell’ultimo stipendio che il pensionato si ritrova nell’assegno pensionistico mensile, in Italia è del 72-73% per i lavoratori dipendenti e del 64-65% per gli autonomi. Ma sul piano sostanziale dipende tutto dalla consistenza della retribuzione che si percepiva quando si lavorava. E in Italia, a differenza di altri Paesi europei, a fronte di questo tasso di sostituzione elevato si parte da medie salariali basse. E’ chiaro che se ho il 70% di tasso di sostituzione di uno stipendio da 1200 euro, percepirò di pensione appena 800 euro, mentre se ho un tasso di sostituzione del 50% di un ultimo stipendio di 2500, intascherò 1250 euro. Quindi: il nostro sistema previdenziale pubblico è uno dei migliori d’Europa, ma si confronta con una dinamica salariale e reddituale che in Italia è bloccata da vent’anni. maggio 2019 31


COVERSTORY INTERVENTO

BENE QUOTA 100, MA VA SPINTA LA PREVIDENZA BIS di Andrea Carbone*

M

eglio riscattare la laurea o versare in un fondo pensione? E se si va in pensione prima grazie a quota 100, cosa bisogna fare? Versare di più o smobilizzare parte del capitale? Queste sono le nuove domande sulle quali cittadini e operatori sono chiamati a confrontarsi dopo l’entrata in vigore definitiva delle novità previdenziali 2019. La scelta se versare in un fondo pensione o usare quella somma per guadagnare anzianità contributiva riguarda tutti coloro che hanno iniziato a lavorare dopo il 1996. La riforma infatti incentiva il riscatto di laurea agevolato, che prevede il pagamento in cifra fissa, pari a 5.240 euro per ogni anno di studio, invece del tradizionale meccanismo proporzionale al reddito: una misura che favorisce soprattutto i dipendenti e chi ha redditi alti. La cosiddetta “pace contributiva” offre invece la possibilità di colmare dei buchi pregressi, in periodi non coperti da contribuzioni obbligatorie. In questo caso il beneficio è una detrazione del 50% della spesa, suddivisa in cinque quote annuali. Tutto molto invitante e incentivato: ma conviene? Dipende dal proprio obiettivo. Se il desiderio è quello di andare in pensione prima, non sempre il riscatto di laurea o l’aumento della propria storia contributiva possono aiutare. Tutto dipende da quando si è iniziato a lavorare, e con quale continuità. Chi per esempio avesse iniziato a contribuire stabilmente dai 30 anni in poi, con grande probabilità non trarrà alcun beneficio dal riscatto di quattro anni di laurea, perché continuerebbe ad accedere alla pensione secondo il requisito legato all’età. In questi casi il riscatto servirebbe solo ad aumentare il valore dei contributi versati. Contributi che l’Inps rivaluta in funzione del Pil: se l’economia non brilla, la nostra pensione futura sarà un po’ più bassa. In questi casi per diversificare il proprio portafoglio pensionistico, la previdenza integrativa o in generale gli accantonamenti con finalità previdenziali possono essere un’alternativa. Molto è invece già stato detto sulle novità per chi, grazie a quota 100 o opzione donna, può andare in pensione prima. I soggetti coinvolti sono tutti sopra i 60 anni, con la possibilità di anticipare fino a 5 o 7 anni con quota 100 o opzione don-

na. Al maggior anticipo corrisponde la maggior diminuzione dell’assegno pensionistico, compresa tra il 15% ed il 33%. Qui le necessità di pianificazione si devono concentrare sulla gestione del patrimonio più che sull’accumulo di risorse, visto il diverso orizzonte temporale. Aiutare un cliente a capire come comportarsi, se e come smobilizzare o mantenere il proprio patrimonio diventa un tema chiave. Tratto comune della riforma è offrire possibilità per andare in pensione prima: sarebbe auspicabile se ora si ricominciasse a porre enfasi sulla necessità di accantonare e gestire risorse per noi stessi nel futuro, attraverso un’opportuna pianificazione: l’ultima iniziativa a favore della previ-

DEVE TORNARE L’ENFASI SULLA NECESSITÀ DI ACCANTONARE RISORSE PER IL NOSTRO FUTURO

32 maggio 2019

denza integrativa è stata la Rita, che dal 2017 consente di riscuotere in parte o completamente quanto versato in una forma pensionistica quando mancano 5 anni all’età della pensione – 10 se inoccupato -, senza perdere le agevolazioni fiscali. Quando mi piacerebbe smettere di lavorare? Fino a quando dovrò lavorare? Con chi e dove vivrò in pensione e quanto mi costerà? Quanto mi darà l’Inps? Cosa posso fare concretamente con il mio risparmio e il mio patrimonio per vivere con serenità quegli anni? Ecco alcune delle domande che, riforma a parte, cienti e operatori dovranno affrontare.

*partner di Progetica


In collaborazione con

FINANCE & BANKING SUMMIT I SERVIZI BANCARI E FINANZIARI NELL'ERA FINTECH

Milano, 23 Maggio 2019 - Sede Gruppo 24 Ore - Via Monte Rosa, 91 MAIN SPONSOR

CON IL CONTRIBUTO DI

TEMI La sfida della digital transformation attraversa il settore finanziario nel suo complesso. Riduzione del time to market, ottimizzazione nella gestione del capitale circolante e definizione dell’architettura necessaria per la trasformazione fintech sono alcuni degli obiettivi del futuro dei servizi finanziari. Capire il ruolo di bigtech e fintech risulta cruciale per il futuro degli intermediari bancari e finanziari.

CON LA PARTECIPAZIONE DI

Jean Ergas - Chief Economist Tigress Financial Partner

SPEAKERS Rita Camporeale, Responsabile Ufficio Sistemi di Pagamento ABI Gennaro Casale, Senior Partner & Managing Director The Boston Consulting Group Giuliano Cicioni, Partner KPMG Alberto Dalmasso, Co-Founder e CEO Satispay Marco Giorgino, Professore di Istituzioni e Mercati Finanziari Politecnico di Milano Carlo Gualandri, Fondatore Soldo Sergio Luciano, Direttore Responsabile Economy e Investire Salvatore Maccarone, Presidente Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi e Presidente Consorzio CBI

Mario Nava, Direttore DG Stabilità finanziaria dei servizi finanziari, dell’Unione dei mercati dei capitali Commissione Europea Pasquale Orlando, CEO & Co-Founder Deus Technology Alessandro Plateroti, Vice Direttore Il Sole 24 ORE Claudia Vassena, Head of Buddybank Marianna Vintiadis, Managing Director and Head of Southern Europe Kroll Paolo Zaccardi, CEO Fabric - Gruppo Sella Marco Zaffaroni, Chief Operating Officer Che Banca! - Gruppo Mediobanca Sergio Zocchi, Presidente Italia Fintech

eventi.ilsole24ore.com/financebanking-summit2019


ORGANIZZAZIONI CHE CAMBIANO

Quella cinghia di trasmissione tra regole e business di Rosaria Barrile

CON MIFID 2 LA FUNZIONE DELLA COMPLIANCE ALL’INTERNO DELLE GRANDI RETI DI CONSULENTI FINANZIARI STA ASSUMENDO UNA IMPORTANZA CRUCIALE PER DIVERSE RAGIONI. LEGGIAMO QUALI

C

on l’avvio della Mifid 2 la funzione di controllo di conformità, detta anche in gergo tecnico funzione di compliance, è chiamata ad assumere un ruolo sempre più da protagonista all’interno delle imprese di investimento per la corretta implementazione e verifica delle nuove norme che richiedono un grado di disclosure sia ex ante sia ex post più elevato rispetto a quello già previsto dalla normativa previgente, la Mifid 1. Non a caso, nel mese di marzo la Consob, in un’apposita nota, ha richiamato gli intermediari sulla trasparenza dei costi al fine di “assicurare che gli investitori siano consapevoli di tutti i costi e degli oneri per la valutazione degli investimenti, anche in un’ottica di confronto fra servizi e strumenti finanziari”. Nel dettaglio gli intermediari nell’ambito delle comunicazioni periodiche sono infatti già tenuti a informare la Consob sia sulle modalità adottate per conformarsi alla normativa, sia sugli esiti dei controlli svolti dalla funzione di compliance. Per questo la funzione di conformità ha assunto in sintesi un ruolo sempre di maggior rilievo nel controllo del modus operandi dell’impresa di investimento. Le nuove regole in tema di governance degli strumenti finanziari, nonché i requisiti sempre più stringenti nella commercializzazione dei prodotti relativi ai diversi servizi di investimento, collocano già oggi tale funzione come una sorta di anello di congiunzione e di comu34 maggio 2019

Sotto Silvio Puchar, responsabile compliance di FinecoBank

nicazione tra le esigenze del business e quelle di controllo interno ed esterno da parte delle autorità di vigilanza. A confermarlo sono addetti ai lavori del calibro di Silvio Puchar, responsabile compliance di FinecoBank, Carlo Liguori, chief compliance officer presso Fideuram Intesa Sanpaolo Private Banking e Matteo Canali, responsabile compliance di Banca Generali, a cui abbiamo chiesto come è organizzata la funzione, quali sono le sfide più attuali e gli skill necessari per farvi fronte.


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Ruolo indipendente di riporto all’ad. In Fideuram Intesa Sanpaolo Private Banking, le responsabilità e i compiti della funzione di conformità sono attribuiti al chief compliance officer (cco) che, in linea con quanto previsto dal quadro normativo in vigore, riporta direttamente all’amministratore delegato di Fideuram ed è indipendente e autonomo rispetto alle altre strutture operative della banca. «Al cco riportano cinque strutture allo scopo di presidiare ogni normativa applicabile, dai servizi finanziari e bancari all’antiriciclaggio, compresa una struttura dedicata al coordinamento delle società controllate al fine di supportare anche il progetto di sviluppo del private banking internazionale, previsto dal piano di impresa del gruppo Ispb», precisa il cco di Fideuram Ispb Liguori. «La normativa primaria e secondaria nazionale e quella comunitaria è in costante evoluzione: la direttiva Ue 2014/65, meglio conosciuta come Mifid 2, la quarta direttiva antiriciclaggio Ue 2015/849, la direttiva in materia di market abuse nonché tutto il panorama della normativa in materia di distribuzione assicurativa sono fonti fondamentali per la compliance e richiedono i maggiori sforzi in termini di adeguamenti organizzativi e tecnologici. Tutte le tematiche connesse all’investor protection trattate dalle prospettive regolamentari sono essenziali e hanno condotto ad affrontare significativi investimenti proprio al fine di garantire in primo luogo la tutela degli investitori». «Un altro tema», continua Liguori, «di cui molto si parla è l’Esg, acronimo di Environmental, social e governance, che avrà sempre più ricadute in termini di analisi di conformità anche per gli impatti regolamentari riferibili all’intermediazione finanziaria. L’attuale scenario macroeconomico e l’elevato livello di volatilità dei

TRAIT D’UNION TRA LE ESIGENZE COMMERCIALI E DI CONTROLLO INTERNO ED ESTERNO DA PARTE DELLE AUTORITÀ DI VIGILANZA

mercati finanziari rendono essenziale per gli intermediari, sempre ai fini delle tematiche di investor protection, fornire alla clientela un’informativa precontrattuale e contrattuale sempre più chiara, trasparente ed esaustiva, senza tuttavia sconfinare in un eccesso informativo che rischia al contrario di produrre effetti negativi. La crescente articolazione del quadro normativo di riferimento ha aumentato di pari passo le complessità che ogni giorno un compliance officer deve affrontare. A mio avviso quindi le principali soft skill che un compliance officer deve possedere consistono nel verificare le opportunità di sintesi tra best practice, rispetto della normativa e supporto alle unità di business, confrontarsi con le diverse realtà aziendali pur mantenendo un approccio terzo ed oggettivo, adattarsi ad un contesto regolamentare e di business sempre mutevole». Funzione multi-team. In Finecobank il sistema dei controlli prevede tre livelli: i controlli di linea applicati nello

Sopra Carlo Liguori, chief compliance officer di Fideuram Ispb

svolgimento delle operazioni la cui responsabilità è assegnata alle strutture operative; i controlli sui rischi e la conformità assegnati a strutture distinte e indipendenti, il risk management e la compliance; la revisione interna che valuta periodicamente l’adeguatezza del sistema complessivo. «La funzione compliance è una delle componenti del sistema di controllo interno finalizzato a contenere i rischi, perseguire l’efficacia ed efficienza dei processi aziendali e la conformità delle operazioni con le normative applicabili, esterne e interne», risponde il responsabile compliance di FinecoBank Puchar. «La compliance deve poter agire con piena indipendenza dalle altre funzioni, per questo in Fineco operiamo a diretto riporto dell’amministratore delegato. Siamo inoltre strutturati in tre team: uno per le attività di supporto consultivo per i controlli ex ante, uno per le attività di risk assessment e i controlli ex-post e uno dedicato all’antiriciclaggio. Il presidio di compliance si realizza infatti sia con valutazioni preventive di conformità alle norme delle policy, dei processi e delle caratteristiche dei prodotti e servizi che la banca intende offrire, che consiste nell’insieme di scelte strategiche e organizzative che definisce il “modello di business”, sia maggio 2019 35


attraverso controlli successivi sull’operatività svolta, per accertare che il modello assicuri il rispetto dei requisiti normativi e, ove necessario, proporre gli opportuni adeguamenti». La continua evoluzione del quadro regolamentare e la necessità di sviluppare costantemente l’offerta di prodotti e servizi e di efficientare i processi operativi per competere al meglio in un mercato caratterizzato da margini in contrazione, hanno posto sfide importanti anche alla funzione compliance. «Gli ultimi anni ci hanno visto impegnati a studiare nuove normative, in primis Mifid 2 e il regolamento sulla protezione dei dati personali, il Gdpr, valutare i gap esistenti nel modello e supportare le funzioni di business, organizzazione e Ict nella definizione e realizzazione degli adeguamenti necessari», conclude Puchar. «Gli ultimi temi affrontati sono quelli della product governance, estesa anche all’ambito dei prodotti assicurativi e bancari, della rendicontazione ai clienti dei costi di prodotti e servizi offerti e della considerazione dei fattori Esg ai fini della composizione del catalogo prodotti e delle valutazioni di adeguatezza delle proposte d’investimento. Considerata le peculiarità del nostro modello di business, basato sull’integrazione tra banca diretta e rete di consulenti finanziari, si è trattato di un lavoro articolato e complesso che siamo riusciti a portare a termine solo grazie alle competenze sviluppate nel tempo, allo spirito di collaborazione tra le risorse delle diverse funzioni e alla condivisione di valori comuni che da sempre caratterizzano il nostro modus operandi».

I COMPLIANCE OFFICER DEVONO CONFRONTARSI CON LE DIVERSE UNITÀ AZIENDALI CON UN APPROCCIO TERZO E OGGETTIVO Tre aree d’azione. La direzione compliance e anti money laundering di Banca Generali è articolata in due distinti servizi volti a garantire da un lato l’osservanza e il rispetto degli obblighi in materia di prestazione dei servizi prevenendo e gestendo, secondo un approccio risk–based, il rischio di non conformità alla normativa, verificando l’attività della rete distributiva dei consulenti finanziari, e dall’altro la prevenzione e contrasto alla realizzazione di operazioni di riciclaggio e di finanziamento al terrorismo. La direzione riporta gerarchicamente all’ad e funzionalmente al cda con il quale comunica senza intermediazioni. «Nel corso dell’ultimo biennio si è assistito a una crescente complessità del contesto operativo unita a un sempre più ampio e articolato assetto regolamentare», racconta Canali, il responsabile compliance di Banca Generali. «Le organizzazioni aziendali sono state coinvolte in macro ambiti di novità normativa tra i quali principalmente la direttiva Mifid 2, la quarta direttiva antiriciclaggio e il regolamento Gdpr in materia di privacy. Questi cambiamenti hanno richiesto una forte interazione con gli organi di supervisione strategica, alta direzione e coordinamento con molteplici funzioni aziendali determinando la necessità di intervenire 36 maggio 2019

Sotto Matteo Canali, responsabile compliance di Banca Generali

su processi, policy, sistemi informatici, organizzazione aziendale». In tale contesto di forte cambiamento, la funzione di compliance è stata chiamata a un contributo crescente in termini di identificazione, valutazione e gestione dei rischi di pertinenza nonché a una sempre maggior interazione con le altre funzioni di controllo su tematiche comuni. «Il complesso scenario macroeconomico e i rischi che ne conseguono richiedono sia l’adozione di livelli più elevati di protezione del cliente, da realizzarsi non solo attraverso le misure previste dalla normativa di riferimento ma anche rafforzando attivamente la conoscenza dei prodotti e la consapevolezza dei relativi rischi, sia una maggior comprensione delle sue reali esigenze tra cui la protezione e la valorizzazione del patrimonio complessivo, l’approccio sostenibile agli investimenti e la qualità del servizio offerto e della rete distributiva». «Nel corso degli ultimi cinque anni ma più in generale dall’istituzione della funzione di compliance all’interno delle banche, avvenuta nel 2007, si è assistito ad un crescente coinvolgimento della funzione e del suo responsabile nei processi decisionali», afferma Canali. «Tale elemento, unitamente al progressivo rafforzamento del quadro normativo di riferimento ed alla maggior complessità del contesto economico ed operativo ha richiesto lo sviluppo di competenze trasversali necessarie adassicurare la corretta applicazione delle norme nonché l’attivazione di soft skill ulteriori rispetto a quelle tipiche del ruolo quali capacità negoziali, comunicative e di problem solving”.



INTERVISTA AD ANDREA CARBONI

Società di consulenza finanziaria? Hanno un futuro e vi spiego perchè

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di Marco Muffato

ssoScf è giovane, giovanissima, avendo compiuto appena un anno di vita. Ma non è “l’ultima arrivata”: l’associazione delle società di consulenza finanziaria può infatti contare sull’esperienza di Nafop, l’associazione dei consulenti fee only (ufficialmente oggi denominati in Italia consulenti autonomi) che è operativa da quasi 15 anni. AssoScf si propone al mercato anche in un modo fresco a giudicare dal profilo Instagram dove i follower potranno conoscere le iniziative dell’associazione e guardare le “Instagram stories”, piccoli video disponibili solamente per 24 ore a tutti gli utenti che seguiranno il profilo, con immagini relative ad eventi a cui direttamente partecipa l’associazione o che sono dalla stessa organizzati. Ma politiche social a parte, AssoScf è un’associazione dai contenuti e obiettivi chiari. Come spiega a Investire Andrea Carboni, il presidente della associazione delle società di consulenza finanziaria, che da poco com’è noto hanno una sezione dedicata all’interno dell’Albo gestito da Ocf, l’Organismo dei consulti finanziari presieduto da Carla Rabitti Bedogni. Dottor Carboni, meglio fare il consulente autonomo in proprio o lavorare per una Scf? Ci potranno essere consulenti autonomi che sicuramente saranno in grado di lavorare da soli che però è molto più gravoso per gli adempimenti oggi in capo al singolo. Com’è noto per l’iscrizione all’Ocf sono stati chiesti requisiti stringenti: in questo contesto il modello che può avere più possibilità di sviluppo è a nostro avviso è proprio la Scf che associ al proprio interno più consulenti. L’aggregazione tra i vari vantaggi permette appunto di sostenere meglio il peso degli adempimenti. Quali sono le problematiche più in genere di chi è iscritto alle due nuove sezioni dell’Albo Ocf? Consulenti autonomi e Scf devono affrontare un processo culturale che porti a far conoscere un modello alternativo di servizio a chi investe e ciò richiede i suoi tempi. C’è poi un altro tema “culturale” relativo alla parcella, che il cliente potrebbe interpretare come una duplicazione di costi. La risposta a oggi è no e sarà un no ancora più deciso il giorno in cui le sgr emetteranno classi di fondi destinate alla consulenza autonoma “in execution only”, con costi più bassi perché collegati alla mancanza di retrocessioni per la distribuzione. Però in attesa delle classi di fondi a costi più bassi per gli operatori della consulenza autonoma, comunque continuate a lavorare bene con gli Etf che in fatto di costi sono estremamente competitivi… Assolutamente sì, però mi permetta di dire una cosa: trovo riduttivo mettere a raffronto la consulenza offerta dagli operatori tradizionali e dal mondo della consulenza autonoma solo sul piano dei costi. Per quanto le banche propongano piattaforme aperte, 38 maggio 2019

ANDREA CARBONI

«SIAMO CONCORRENZIALI NON SOLO PER I COSTI PIÙ BASSI MA PER LE NOSTRE CAPACITÀ» questa architettura aperta non sempre è tale. I prodotti contenitore che vanno tanto di moda di fatto rappresentano soprattutto uno stabilizzatore di costi per gli intermediari bancari più che una opportunità per i clienti. Il consulente autonomo può spaziare invece in un universo di prodotti e soluzioni praticamente infinito. Cosa deve succedere perché si affermi il vostro movimento e in quanti anni? Non sarei sorpreso di vedere una accelerazione della nostra crescita in tempi ragionevolmente brevi. Perché ciò accada, ripeto, occorre la creazione di classi di fondi realizzate per il fee only, con uno schema di costi simile agli Etf. Anche la presenza di agevolazioni fiscali ci aiuterebbe, visto che il cliente oggi paga la parcella più l’Iva al 22%. Un terzo effetto positivo per noi potrebbe essere legato a un deflusso – che ci aspettiamo - di consulenti finanziari delle reti verso il nostro modello. Ambite, come costola di Nafop, a entrare anche voi in Ocf? Il discorso è prematuro perché non abbiamo i tre anni di vita richiesti per entrare in Ocf. Disponiamo di sei associate su diciannove Scf iscritte all’Albo, quindi un terzo del totale, e per il momento il nostro obiettivo è di aiutare nuovi soggetti ad entrare in questo mercato. Con l’aiuto di Nafop proponiamo a queste realtà una piattaforma di servizi per metterle in condizioni di organizzarsi e di iniziare ad operare.



IL DOPO SALONE DEL RISPARMIO/1

Esg, moda o trend di lungo periodo? di Marco Muffato

APPROCCIO OLISTICO, LA SOSTENIBILITÀ NON È DI PASSAGGIO Luca Tenani, country head di Schroders Italy Sim. “Schroders non è nuova ai temi della sostenibilità, da oltre 20 anni ce ne occupiamo con una divisione di ricerca specializzata. Il nostro approccio è olistico cioè trasversale a tutte le asset class e a tutti i paesi. Stiamo ultimando l’implementazione dell’Esg all’interno della intera nostra gamma prodotti, lo facciamo evitando di investire nei settori ritenuti critici, o viceversa investiamo pesantemente nelle aziende che sono molto attente alla tutela dell’ambiente o alle condizioni di lavoro. E infine partecipiamo in maniera molto attiva alle assemblee degli azionisti e incontriamo il top management affinché adottino sempre più principi sostenibili nella loro attività. L’Esg non è una moda, è un cambiamento di cultura e solo investendo in aziende che adottano questi principi faremo del bene agli investitori finali e alla collettività».

BISOGNA ANDARE OLTRE L’ETICHETTA Giancarlo Fonseca, head of distribution di Lombard Odier Im. «Negli ultimi 10 anni abbiamo lavorato molto per costruire un nostro modello proprietario capace di analizzare il comportamento delle aziende dal punto di vista dell’impatto che le loro azioni hanno sul sociale, sul clima e che ci consentisse di valutare le azioni di governance che intraprendono. Lo abbiamo migliorato nel tempo e quindi abbiamo elaborato un criterio aggiuntivo a Esg denominato Car (Consciousness, actions, results, n.d.r.) per verificare che le azioni sull’Esg dichiarate ottengano risultati nella realtà. Così evitiamo che un gestore compri sul mercato un’azienda che sulla carta abbia un parametro Esg alto ma senza risultati effettivi nel concreto. Il lavoro sulla sostenibilità non è solo sull’etichetta ma va in profondità».

40 maggio 2019

IDEA D’INVESTIMENTO CHE HA FUTURO Natale Borra, head of distribution Italy di Fidelity International. “Noi come asset manager vogliamo ragionare sulla sostenibilità come idea d’investimento. Da questo punto di vista in un mercato che è molto avanti nella sua fase di ciclo economico l’idea è quella di identificare temi che siano essi stessi sostenibili sul lungo periodo, per dare la possibilità al risparmiatore di investire in temi decorrelati rispetto a un mercato che ha molto corso in questa prima parte del 2019. Fidelity

International ha quindi identificato in una serie di temi di lungo periodo - dalla demografia ai consumi nei paesi sviluppati e soprattutto in quelli emergenti, fino alla gestione del ciclo integrato dei rifiuti e dell’acqua - alcune opportunità d’investimento sostenibili sul lungo periodo che possono aiutare i nostri clienti ad affrontare razionalmente il mercato senza compiere quelle scelte emotive che molto spesso incidono negativamente sulle performance del portafoglio».


INVESTIRE SPECIALIST

U

n fenomeno di moda oppure una tendenza di lungo periodo che cambierà per sempre (e in meglio) il mondo degli investimenti finanziari? L’interrogativo rimane aperto anche dopo il Salone del Risparmio organizzato da Assogestioni a Milano, dal 2 al 4 aprile, che al mondo Esg e Sri ha dedicato l’edizione 2019. Investire ha ascoltato le opinioni di tutti i principali addetti ai lavori in oltre quaranta videointerviste effettuate nella tre giorni della manifestazione ottenendo la sensazione di un movimento effettivamente magmatico collegato all’universo Esg, ma che va disciplinato con criteri e rego-

le uniformi (vi suggeriamo di leggere a questo proposito l’intervento di Matteo Bosco, partner di Conser pubblicato a pagina…) che sembrano in predicato di arrivare. In queste due pagine abbiamo raccolto le opinioni sul presente e il futuro della sostenibilità negli investimenti finanziari da parte di primarie case d’investimento internazionali come Fidelity International, La Financière de l’Echiquier , Lombard Odier Im, M&G Investments, Schroders, Ubs Wm. Che il fenomeno Esg non sia una bolla di sapone lo dimostrano prove già oggi prove indirette, ultima delle quali in ordine di tempo la decisione S&P Dow Jones Indices di lanciare un nuovo indice dedicato alla fi-

nanza sostenibile: lo S&P 500 Esg è infatti un indice allineato alle linee guida di selezione di Environmental, social and governance (Esg) e progettato per replicare il profilo di rischio e il rendimento del suo benchmark più iconico. L’indice S&P 500 Esg prende spunto dal benchmark più noto di S&P DJI e fornisce uno schema di selezione dei criteri di finanza sostenibile. L’indice è sviluppato non solo come strumento di monitoraggio delle prestazioni, ma come elemento fondamentale per creare nuovi prodotti di investimento basati sull’indice Esg e su soluzioni di investimento passive come i fondi negoziati in borsa (Etf).

SRI SINONIMO DI PERFORMANCE

UN TERZO DEGLI ASSET È GIÀ SOSTENIBILE

Alessandro Arrighi,country head Italy di Lfde. «Il nostro team Sri composto da 5 persone ha realizzato uno studio di 56 pagine per evidenziare che Esg ed Sri possono essere sinonimi di performance. Abbiamo stabilito dei portafogli modello basandoci sulle notazioni Esg e creando un top 40 titoli a livello europeo, un gruppo intermedio e un gruppo di titoli con le peggiori notazioni Esg. La prima è che si trova una differenza di rendimento di 6,5% tra il gruppo migliore e il peggiore Esg. Inoltre tutti i portafogli Esg battono i benchmark tradizionali su un arco di 9 anni. Oggi il fenomeno è di moda ma serve che l’investitore italiano sia consapevole di come viene calcolato, quali sono i criteri e i modelli applicati, non esiste ancora una standardizzazione sul tema. La qualità delle performance è un primo passo importante».

Paolo Federici, wealth management market head of Italy di Ubs. «Siamo il più grande wealth manager del mondo con circa tre trilioni di asset in gestione di cui un terzo già oggi investiti in temi sostenibili. Abbiamo effettuato una ricerca su un panorama di oltre 5000 investitori in tutto il mondo. Il confronto è molto interessante perché si può pensare che gli italiani siano i fanalini di coda su questo tema. Non è così: Il 50% degli investitori italiani dichiara di avere investimenti sostenibili in portafoglio contro una media del 39%. Siamo arrivati un po’ più tardi agli Esg: vantiamo una media del 31% rispetto al 36% di quota del portafoglio del resto del mondo. L’aspetto più importante è che l’84% degli italiani pensa che questi temi gli faranno massimizzare la performance del portafoglio su un orizzonte dei 10 anni».

REALE POSSIBILITÀ DI ABBINARE OTTIMI RISULTATI A UN CONTROLLO DEL RISCHIO EFFICACE Andrea Orsi, deputy head of Italy di M&G Investments. «Come industria del risparmio e come M&G, quale asset manager attivo, possiamo svolgere un ruolo assolutamente determinante nell’orientare quelle che possono essere le scel-

te di sviluppo coerenti a principi Esg. Rappresenta una grande opportunità per noi e per l’investitore finale il poter cercare di sviluppare processi d’investimento che siano coerenti a politiche di rispetto dell’ambiente e con focus alla corporate

governance. L’abbinamento di scelte e principi d’investimento Esg possono andare di pari passo con la possibilità di consegnare ai clienti finali ottime performance con un efficace controllo del rischio». maggio 2019 41


IL DOPO SALONE DEL RISPARMIO/2

Ma c’è ancora troppa confusione sotto il cielo della finanza sostenibile di Matteo Bosco*

VALUTAZIONI SOGGETTIVE, MANCANZA DI STANDARD RICONOSCIUTI, MOLTIPLICAZIONE DEI RATING. È URGENTE FARE ORDINE PERCHÉ L’ESG DIVENTI UNA COSA SERIA

L’

MATTEO BOSCO

ultima edizione del Salone del Risparmio dedi- la tassonomia, ovvero il chiarimento di cosa sia sostenibile. La cato alla sostenibilità ha finalmente dimostrato seconda riguarda l’obbligo di divulgazione e di trasparenza da l’interesse evidente tra gli operatori per il tema. parte degli operatori in merito all’integrazione dei criteri Esg. Per evitare che tutto svanisca nel compiaci- La terza è per razionalizzare i benchmark creando le categorie a mento della mera operazione commerciale basso contenuto e a impatto positivo di CO2. La quarta è relativa sarebbe opportuno che ci impegnassimo tutti nel coniugare i alla possibile integrazione dei criteri di sostenibilità nella Mifid proclami con le azioni. Non a caso la ricerca pubblicata in mar- 2, attualmente in consultazione. Comunque, al di là del dibattito zo da Pri – Principles for responsible investments, organismo sull’estensione del dovere fiduciario del gestore attualmente in indipendente promosso da ambienti finanziari e sostenuto discussione, molti specialisti ritengono che dobbiamo ancora dall’Organizzazione delle Nazioni Unite, evidenzia la mancanza percorrere una lunga strada per affinare un processo di raccolta di dati sufficientemente comparabili forniti dalle aziende quale ed elaborazione dei dati di qualità. E sono preoccupati che parte rilevante barriera all’integrazione dei requisiti Esg – Environ- della crescente offerta di prodotti qualificati Esg possa essere mental, social and governance nelle decisioni di investimento. ascritta a politiche commerciali e di marketing. Anche in questo Una delle criticità di questo fenomeno è nella natura qualitati- contesto sarà importante una buona disciplina nella selezione va, difficilmente quantificabile in termini monetari, e raramente dei portafogli e soprattuto che tutti noi ci attiviamo per passare verificata indipendentemente dei dati. La relativa valutazione dalle parole ai fatti. *Partner di Conser soggettiva e la mancanza di standard riconosciuti hanno provocato l’aumento delle fonti di valutazione. Una nota società di rating nel CONSER, L’ADVISOR ELVETICO A TUTTO ESG settore della sostenibilità definisce l’universo dei rating e ranking superiore al centinaio di unità e la Global Initiative for Sustainabisviluppo di soluzioni ondata nel 2007, Conser lity Ratings ha identificato più di 600 rating è una società svizzera di tecnologiche. Conser Esg. Tanto che le società quotate che si sot- consulenza indipendente in è attiva anche in topongono alle regole della divulgazione si materia di investimenti dedicata diversi think tank lamentano del costo, della complessità e la agli investimenti responsabili. Ha legati alla finanza difficoltà nel reperire le società di rating affi- sviluppato uno strumento digitale sostenibile, tra cui dabili. Addirittura in uno studio condotto da Esg per misurare e migliorare Sustainable Finance Geneva, e organismi indipendenti le società apparte- l’impatto e la sostenibilità dei Swiss Sustainable Finance. E’ un nenti all’indice Sfb120 dell’Euronext defini- portafogli che si basa su una attore chiave riconosciuto per il scono di qualità appena sufficiente il servi- meta-analisi di dati Esg quantitativi suo ruolo di leader nello sviluppo di zio fornito dalle principali società di rating e qualitativi, oltre che su una questo settore. A capo della società non finanziario. E forniscono delle racco- conoscenza approfondita degli è Angela De Wolff, managing mandazioni per migliorare la situazione. La investimenti tradizionali e sostenibili. partner, che è anche vice presidente di Swiss Sustainable Finance. Commissione Europea ha deliberato in mar- I membri del team di Conser hanno Matteo Bosco è invece il partner di zo 2018 un action plan per il finanziamento in media 20 anni di esperienza Conser che si occupa dello sviluppo sostenibile della crescita. In maggio dello nel campo degli investimenti della società nel Sud Europa. stesso anno ha proposto un pacchetto di sostenibili e sono specializzati nello quattro proposte di legge. La prima riguarda

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42 maggio 2019



IL DOPO SALONE DEL RISPARMIO/3

Missione sostenibilità, Pictet Am indica la strada di Antonio Quaglio

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ll’inizio di marzo un nuovo regolamento europeo ha sancito l’obbligo per tutti gli strumenti finanziari proposti al mercato di indicare la propria sostenibilità ambientale e sociale. La riforma, che ha messo d’accordo Parlamento, Consiglio e Commissione, si applica a fondi comuni, polizze, schemi pensionistici, gestioni di portafogli individuali e contratti di consulenza: viene sancito il divieto di greenwashing e si prevede un sistema di monitoraggio che sarà garantito dalle tre autorità di vigilanza europee. Svolta epocale. «È una novità che riteniamo epocale», dice a Investire Paolo Paschetta, country manager per l’Italia di Pictet Asset management. È una svolta che ha consentito a Paschetta una partecipazione da protagonista al recente Salone del Risparmio di Milano: un evento ancorato all’esperienza global leading maturata da Pictet sulla frontiera Esg. «È stata Pictet Asset Management», sottolinea Paschetta, «a farsi promotrice di un’iniziativa-pilota 44 maggio 2019

«INVESTIRE IN MANIERA SOSTENIBILE NON È SOLO UNA SCELTA ETICA MA HA IMPATTI MOLTO POSITIVI ANCHE SULLE PERFORMANCE DI IMPRESE E PORTAFOGLI» attraverso la Swiss Sustainable Finance. All’inizio del 2019 abbiano inviato una lettera ai rappresentanti di Ftse Russel, Morningstar, Msci, S&P Dow Jones Indices e Stoxx, affinché siano rimossi da tutti gli indici – usati come base per la costruzione di prodotti di investimento attivi e passivi - i produttori di armi controverse. L’appello è stato firmato da oltre 140 tra asset manager, investitori istituzionali, wealth manager rappresentanti un asset under management di 6,8 trilioni di dollari: una presa di posizione netta contro munizioni a grappolo, mine antipersona, armi biologiche e chimiche, armi nucleari che possono ferire in modo indiscriminato o sproporzionato e il cui utilizzo è vietato o limitato dalle convenzioni internazionali». Qual è lo stato dell’arte dell’investimento responsabile nell’industria globale del risparmio gestito? Secondo l’ultimo report di Global Sustainable Investment Alliance la massa di investimenti responsabili ha raggiunto il ragguardevole valore di 23mila miliardi di dollari con


INVESTIRE SPECIALIST

l’Europa in testa a 10,7 trilioni di dollari e gli Usa secondi a 6,5 trilioni. Un boom dovuto soprattutto all’avanzata dei Millenial: secondo una ricerca della US Trust Bank of America tra i Millenial Hnwi il 77% detiene nei propri portafogli di investimento titoli sostenibili, contro una quota del 40% di tutti gli Hnwi. Ultimo, ma non meno importante, investire in maniera sostenibile non è solo una scelta etica, ma ha impatti benefici anche sulle performance di imprese e portafogli.

Quali sono le prime evidenze di impatto sulla redditività delle masse gestite? Da una analisi recente di Pictet Am emerge che le società che rispettano i principi Esg registrano performance migliori e più stabili nel tempo, beneficiano di un costo del capitale inferiore e di rating creditizi più elevati. Le società che non sono in grado di gestire i rischi ambientali, invece, hanno costi di indebitamento in media superiori del 20%. Esiste inoltre una correlazione positiva tra la performance finanziaria e le credenziali di sostenibilità. Secondo lo studio The Impact

«CHI RISPETTA IN PIENO I PRINCIPI ESG BENEFICIA ANCHE DI UN COSTO DEL CAPITALE INFERIORE E DI RATING CREDITIZI MOLTO PIÙ ELEVATI» of Corporate Sustainability on Organizational Processes and Performance, ogni dollaro investito in società altamente sostenibili nel 1993, nel 2010 valeva 22,6 dollari, contro i 15,4 dollari delle concorrenti meno attente ai criteri Esg. Infine più è elevato il rating Esg di una società, meno è volatile l’andamento del corso azionario, soprattutto in periodi di turbolenza sui mercati. Ancora le società che rispettano i principi Esg sono meno esposte ai rischi aziendali derivanti da problemi ambientali, ad esempio, o di cattiva governance. Il

crollo dei titoli della società petrolifera BP dopo il disastro Deepwater Horizon nel 2010 o quello di Volkswagen, nel 2015 in scia al dieselgate, sono emblematici. Pictet vanta un track record ormai ventennale in questo campo... Abbiamo mostrato già nel 1999 una consapevolezza piena quando abbiamo lanciato il primo fondo mondiale sull’acqua: la sostenibilità non può essere né una moda né un approccio di marketing. Forte di un track record ormai ventennale a fine 2018 abbiamo integrato i criteri di selezione Esg in tutti i fondi e le strategie long-only e puntiamo a fare lo stesso per tutte le rima-

CHI È PICTET ASSET MANAGEMENT Pictet Asset management è una società di asset management altamente specializzata che offre soluzioni e servizi di investimento a livello globale. La società gestisce attualmente un patrimonio di 166 miliardi di euro distribuiti su un’ampia gamma di azioni, titoli a reddito fisso, investimenti alternativi e strategie multi-asset. Pictet Asset management vanta una presenza globale con 896 dipendenti in 17 sedi, di cui 7 in importanti piazze finanziarie (Ginevra,

Londra, Zurigo, Milano, Tokyo, Hong Kong e Singapore). Tra i principali clienti si annoverano alcuni dei maggiori fondi pensione, fondi sovrani e istituti finanziari a livello mondiale. Pictet Asset management appartiene al gruppo Pictet, fondato a Ginevra nel 1805 e specializzato in gestione patrimoniale e servizi di investimento. Il gruppo privato, gestito da sette soci, conta circa 451 miliardi di Euro di patrimonio gestito e amministrato, oltre a 4.200 dipendenti su 27 uffici in tutto il mondo. I dati sono aggiornati al 30 settembre 2018. maggio 2019 45


L’andamento del Pictet Global Megatrend Selection I Usd vs. Msci World e Azionari internazionali Flex Cup Pictet-Global Megatrend Sel I USD: 13.968,33 MSCI World NR USD: 13.681,79

Azionari Internazionali Flex Cap: 12.421,10 14.OK

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nenti strategie long-short e multi-asset. L’obiettivo è assicurare, attraverso i criteri Esg, una visione di rischio e opportunità dell’investimento di più lungo termine che vada aldilà della mera valutazione dei dati finanziari delle

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diale per sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema della sostenibilità. Più operativamente, la nostra strategia principale è quella di selezionare titoli di società che offrono soluzioni a problemi ambientali come il cambiamento climatico e che favoriscano il passaggio a una economia a bassa intensità di carbone: energia pulita, gestione dello spreco, controllo delle emissioni dell’aria sono temi per noi classici. Inoltre sviluppiamo o gestiamo portafogli che investono nell’intera filiera economica ma che puntano soltanto in quelle società che sono all’avanguardia per quanto riguarda la sostenibilità nel loro settore nei confronti dei loro competitor, per esempio preferiamo le compagnie che sono maggiormente esposte nel gas naturale rispetto al petrolio per il minore inquinamento.

«A FINE 2018 ABBIAMO INTEGRATO I FATTORI ESG IN TUTTI I FONDI LONG-ONLY E ORA FAREMO LO STESSO CON LE ALTRE STRATEGIE» aziende, del profitto e delle perdite, e del bilancio – perché crediamo che una società sia qualcosa di più di una somma di transazioni finanziarie.

Su quali direttrici di sviluppo vi state orientando? Pictet Am interpreta il concetto di sostenibilità a 360 gradi: per questo di recente ha avviato un ambizioso progetto per rendere tutti gli uffici dei vari Paesi plastic-free, raddoppiando il programma avviato nel 2007 di riduzione delle emissioni di carbonio per dipendente del 40% entro il 2020. Inoltre il quartier generale di Ginevra ha ospitato per anni il più grande impianto fotovoltaico privato della Svizzera. Infine da dieci anni Pictet organizza il Prix Pictet, il più importante concorso fotografico mon46 maggio 2019

Un wealth manager deve tradurre queste sensibilità in prodotti. Come sta evolvendo la vostra gamma? L’offerta di fondi tematici di Pictet Am negli anni si è ampliata fino a comprendere, insieme al Fondo Water, anche i Fondi Nutrition, Timber, Clean Energy, Global Environmental Opportunities e Smart City. In particolare, riteniamo cruciale il tema che segue il Pictet-Global Environmental Opportunities, un comparto azionario che investe principalmente in azioni globali di società che operano nella catena di valore dell’energia pulita, dell’acqua, dell’agricoltura, delle attività forestali cavalca il tema secolare del passaggio a una società sempre più carbon-free. Un cambiamento molto importante inoltre è quello che sta segnando le nostre città e che cerchiamo di cogliere nel portafoglio Smart City (vedi articolo nella pagina accanto, ndr), lanciato lo scorso settembre.


INVESTIRE SPECIALIST

La città del futuro? Sempre più smart per migliorare la vita dei cittadini Oggi oltre il 50% della popolazione mondiale vive in aree urbane, ed entro il 2050 questa percentuale è destinata a raggiungere il 70%: all’aumentare della popolazione, le città dovranno essere sempre più “smart” per migliorare la vita dei propri cittadini, rispondere alle loro esigenze e, al tempo stesso, essere sostenibili.

Le sfide dell’urbanizzazione. «La sostenibilità, soprattutto se declinata allo sviluppo delle città del futuro, è diventata oggi anche una delle più interessanti opportunità di investimento», osserva Paolo Paschetta, country manager di Pictet Asset management per l’Italia. L’investment house, tramite il suo comparto Pictet-SmartCity, lanciato in Italia a settembre 2018 e ultimo nato nella famiglia delle soluzioni tematiche della casa, mira a catturare l’enorme potenziale di crescita delle imprese capaci di trovare soluzioni più intelligenti alle sfide poste dall’urbanizzazione, megatrend che vede da anni una costante crescita e ingenti investimenti a livello mondiale per uno sviluppo di città sempre più efficienti, sicure e sostenibili. L’ora delle città intelligenti. Una “smart city”, nella visione Pictet, è una città in grado di raccogliere, aggregare e analizzare dati al fine di risolvere le sfide da essa generate (inquinamento, crimini, malattie). La città del futuro

mira anche a migliorare il benessere generale (mentale, fisico ed economico) dei suoi abitanti, mettendo al centro del proprio sviluppo elementi fondamentali come l’innovazione, la tecnologia, la crescita economica, la prosperità e l’impronta ambientale. L’attenzione è dunque volta verso l’intera catena del valore delle “città intelligenti”: la costruzione e lo sviluppo delle città (società coinvolte nel design, nella pianificazione e nella costruzione delle città del domani, con un focus su efficienza e sostenibilità); la gestione delle città (società che forniscono infrastrutture e servizi essenziali per il funzionamento giornaliero); il vivere urbano (società che offrono servizi e soluzioni adeguate per il futuro, tra cui l’abitazione, l’alimentazione e le attività ricreative).

Infrastrutture necessarie. «Le città in tutto il mondo», sottolinea ancora Paschetta, «riconoscono la necessità di investire nell’ammodernamento delle infrastrutture e di adottare soluzioni e tecnologie più intelligenti per migliorare la qualità della vita di una popolazione che cresce in maniera esponenziale. Il nostro obiettivo è rafforzare l’esposizione alle società che offrono soluzioni alle sfide poste dall’urbanizzazione e dal cambiamento nello stile di vita dei consumatori». Diventa essenziale la ricerca di aziende operanti in diversi settori che promuovono lo sviluppo di città più intelligenti, cioè più efficienti, sicure e sostenibili e che si adattano meglio alle esigenze dei cittadini. Esemplare tra tante Bright Horizons Family Solution, azienda statunitense attiva nel campo dei servizi per l’infanzia, con oltre 300 nurseries nella sola Gran Bretagna. Pari significatività ha Ecolab, 13 miliardi di dollari di fatturato e focus sulla fornitura di tecnologie e servizi per garantire acqua pulita, cibo sicuro e ambienti salubri a industrie del food, dell’hospitality, dell’healthcare, manifatturiere e oil & gas in 170 paesi in tutto il mondo. «A Pictet siamo convinti che le aziende che offriranno soluzioni efficienti ai problemi degli abitanti delle metropoli del futuro, contribuendo dunque al miglioramento delle loro condizioni di vita, saranno le vincitrici nel lungo termine”. maggio 2019 47


IL DOPO SALONE DEL RISPARMIO/4

Esg, chi vince e chi perde nel ranking delle nazioni A cura di RobecoSam

I

l Country sustainability ranking (Csr) di RobecoSam è il risultato di un’indagine sulle credenziali Esg di 65 nazioni - 22 dei mercati sviluppati e 43 dei mercati emergenti - che viene pubblicata due volte l’anno. La Scandinavia ha fornito più̀ pesi nelle prime posizioni rispetto a qualsiasi altra regione, mentre i paesi in fondo alla lista sono – come è facile immaginare – i mercati emergenti in difficoltà. La logica alla base è che l’analisi di sostenibilità

I PUNTEGGI DI SOSTENIBILITÀ PAESE PER PAESE. LA SCANDINAVIA DOMINA LA CLASSIFICA, MENTRE I PAESI EMERGENTI SONO NELLE ULTIME POSIZIONI del paese offra una visione alternativa dei fattori trainanti del cambiamento per un’economia e fornisca agli investitori informazioni sui punti di forza e di debolezza di una nazione per un’ampia selezione di indicatori Esg. Si concentra sui fattori a medio-lungo termine che hanno un impatto indiretto (o talvolta anche diretto) sulla capacità di 48 maggio 2019

un governo di mettere in atto politiche economiche ragionevoli e generare entrate sufficienti a garantire la capacità di fare fronte al debito. Di solito, questi fattori sono presi in considerazione nelle tradizionali valutazioni del debito sovrano. Una delle migliori applicazioni del Csr coincide con la ricerca di informazioni che non siano coperte nel rating di credito standard di un paese. Se un paese si colloca più in alto nel Csr di quanto suggerirebbe il suo rating, potrebbe rappresentare un’opportunità di acquisto per quanto riguarda le sue obbligazioni sovrane.

Gli indicatori e la ponderazione. Il Csr fornisce un punteggio Esg per i Paesi sulla base di 17 indicatori, che ottengono una ponderazione del 15% per i fattori ambientali, il 25% per i fattori sociali e il 60% per la governance. Le ponderazioni assegnate a ciascun elemento sono mostrate in figura 2,


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SE UN PAESE SI COLLOCA NEL CSR PIÙ IN ALTO DI QUANTO SUGGERIREBBE IL RATING, LE SUE OBBLIGAZIONI SOVRANE ANDREBBERO ACQUISTATE insieme ai “migliori e i peggiori” di un normale sondaggio. Gli indicatori sono stati selezionati in base alla loro disponibilità̀, rilevanza, plausibilità̀ e rilevanza finanziaria, e sono aggiornati regolarmente. I punteggi per questi parametri si basano su oltre 200 serie di dati sottostanti provenienti da tutto il mondo. Le fonti includono organizzazioni internazionali come la Banca Mondiale, le Nazioni Unite o l’Organizzazione internazionale del lavoro, oltre a una varietà̀ di rispettabili agenzie governative, istituzioni private e Ong. Coprono tematiche che un investitore potrebbe aspettarsi, quali il rischio ambientale, il consumo energetico, le tensioni sociali o il rischio politico, insieme a questioni più delicate come lo sviluppo umano (per esempio l’accesso all’istruzione) e la stabilità delle istituzioni. Tutti hanno in qualche modo un

Le ponderazioni utilizzate per gli indicatori Esg e un esempio di classifica finale per paese Ranking paese

Indicatori e pesi Esg

Envir. 15%

Social 25%

Gov. 60%

Stato ambientale

2,5%

Norvegia

1

Energia

2,5%

Svezia

2

Rischio ambientale

2,5%

Finlandia

3

Indicatori sociali

10%

Svizzera

4

Sviluppo umano

10%

Nuova Zelanda

5

Disordini sociali

5%

Olanda

6

Cina

57

Libertà e disuguaglianza

10%

El Salvador

58

Competitività

10%

Rischio politico

10%

India

59

Invecchiamento

10%

Egitto

60

Istituzioni Sei altri fattori

5%

Venezuela

61

15%

Nigeria

62

FONTE: ROBECOSAM

maggio 2019 49


impatto sulla capacità di una nazione di sostenere sé stessa e la sua popolazione sul lungo termine. La governance ha sempre avuto un peso molto maggiore, dal momento che il modo in cui un paese è governato e quali sistemi adotta esercitano un’influenza enorme sul successo che avrà̀ nel mondo moderno. Il rischio politico vale da solo il 10%, e non si limita ai mercati emergenti con scarse tradizioni democratiche; l’esempio della Brexit e le ultime esperienze con il populismo hanno dimostrato che persino economie altamente sviluppate possono subire instabilità̀. Le questioni sociali e ambientali hanno un peso inferiore, poiché́ in fin dei conti sono controllate dal governo, il che rimanda alla governance. Essenzialmente tutto si riduce a cosa potrebbe influenzare la capacità di una nazione di prendere in prestito nuovi capitali, o di fare fronte al debito esistente. La presenza di uno scarso mix energetico (2,5%) può̀ essere risolta con una maggiore attenzione alle fonti rinnovabili, ma è più probabile che il disagio sociale (5%) e la risposta del governo a quest’ultimo spingano gli investitori verso l’uscita. Governance più debole nei Pigs. Negli ultimi anni vari eventi – dalla crisi del debito sovrano in Europa alla pri-

LA GOVERNANCE HA UN PESO SUPERIORE RISPETTO ALLE QUESTIONI SOCIALI E AMBIENTALI. IL RISCHIO POLITICO VALE DA SOLO IL 10% E OGGI NON ESISTE PAESE (ANCHE EUROPEO) CHE NE SIA ESENTE

I cambiamenti nei punteggi Esg da aprile a ottobre 2018: ecco i paesi leader e quelli sconfitti Lussemburgo Polonia Corea del Sud Turchia Germania Slovenia Marocco Malaysia Russia Norvegia Perù Kazakhstan Emirati Arabi Uniti Sud Africa Filippine Messico Danimarca Belgio Colombia Indonesia

Peggioramento del punteggio

Miglioramento del punteggio

-0.25 -0.20 -0.15 -0.10 -0.05

0

0.05 0.10 0.15 0.20

Cambiamenti nei punteggi Esg paese FONTE: ROBECOSAM

50 maggio 2019

mavera araba e la crisi in Ucraina – hanno chiarito la rilevanza di questo tipo di informazioni per gli investitori. Per esempio, gli indicatori della Banca Mondiale per la governance, incorporati nello strumento di valutazione Csr, hanno mostrato che i Paesi periferici dell’Europa meridionale, piuttosto spiacevolmente noti come PIGS (Portogallo, Italia, Grecia e Spagna), avevano strutture di governance molto più deboli rispetto ai loro omologhi nordeuropei. Questo ha portato a maggiori sofferenze durante la crisi rispetto alla Germania, e alcuni hanno richiesto il bailout della Bce. L’Irlanda ha iniziato a deteriorarsi prima rispetto ai rating del mercato dei capitali e il punteggio Esg pre-crisi della Spagna (6,19 a marzo 2007) era ben al di sotto di quello della Germania (7,34), anche se all’epoca godeva dello status di tripla AAA. Ma i tempi cambiano - i paesi spesso salgono e scendono le classifiche in base alle tematiche Esg da essi affrontate, e i risultati a volte possono essere sorprendenti. La Grecia si è in larga misura ripresa dal piano di salvataggio originario, mentre ora è la Germania a fare i conti con disordini politici. Il Paese è infatti scivolato in classifica nel novembre 2018 a causa dell’incertezza sulla stabilità del governo dopo che Angela Merkel aveva dichiarato che avrebbe lasciato la cancelleria in seguito alle elezioni, viste le difficoltà incontrate nel processo di costituzione di una coalizione. E il Lussemburgo è sceso in classifica a causa della bomba a orologeria di natura demografica legata al tema del pagamento delle pensioni. Al contrario, l’Indonesia è salita in classifica dopo aver alzato l’età pensionabile da 55 a 65 anni, come pure la Colombia in seguito all’ottenimento di un accordo di pace con il gruppo ribelle Farc (questo fenomeno è evidenziato nella tabella affianco).


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INTERVISTA A EMANUELE CARLUCCIO

Efpa, la tua certificazione non ha più confini di Marco Muffato

EMANUELE CARLUCCIO, PRESIDENTE DI EFPA EUROPE

C’

è un italiano alla guida del sistema Efpa, la più grande realtà della certificazione dei professionale del settore bancario e finanziario in Europa. Si chiama Emanuele Carluccio ha le idee molto chiare sul futuro del movimento, che svela in esclusiva a noi di Investire. Professor Carluccio, se la sente di fare un primo bilancio della sua attività di presidente di Efpa Europe? Questi primi 12 mesi sono stati molto intensi. L’ambizioso piano strategico che ho portato in approvazione e che abbraccia l’intero periodo del mandato, fino a giugno 2021, prevede il perseguimento di una serie di obiettivi ambiziosi, tra cui: l’apertura di nuove affiliate; l’offerta dei nostri standard di certificazione al di fuori dell’Europa; l’irrobustimento della governance; il rafforzamento del brand di Efpa Europe e, quindi delle singole Efpa locali, presso tutti gli stakeholder; l’aggiornamento dei programmi e dei contenuti dei nostri certificati. In questo ambito mi fa piacere annunciare ad Investire la recentissima apertura di Efpa Israele e l’avvio di un progetto di progressiva offerta delle nostre certificazioni nei principali paesi dell’America Latina. Per quanto attiene l’attività di dialogo con le autorità, mi preme evidenziare come il position paper da noi predisposto sullo stato di avanzamento del recepimento delle linee guida Esma in materia di conoscenze e competenze abbia avviato, anche all’interno dell’Esma, una serie di riflessioni che potrebbero portare, presto, ad un nuovo momento di confronto tra i diversi interlocutori interessati a questa tematica. Cosa rappresenta oggi il sistema Efpa in Europa? Dove si sta affermando di più il sistema della certificazione professionale? 52 maggio 2019

IL PRESIDENTE ITALIANO GUIDA L’ESPANSIONE DEL PLAYER EUROPEO DELLA CERTIFICAZIONE DI CONSULENTI E BANCARI. DOPO L’APERTURA IN ISRAELE PARTE L’OFFENSIVA SUL SUDAMERICA. IL NOSTRO PAESE E LA SPAGNA LEADER DEL MOVIMENTO Alla fine del 2018 Efpa risulta presente in 12 paesi europei, con poco meno di 63.000 certificati; questo ci rende di gran lunga il più importante ente di certificazione professionale in Europa nel settore della consulenza e della pianificazione finanziaria. Alcune autorità locali europee hanno poi formalmente riconosciuto i nostri certificati come validi ai fini del soddisfacimento dei requisiti richiesti dalla Linee guida Esma in materia di conoscenze e competenze e questo ha comportato l’automatico riconoscimento di Efpa quale standard di qualità per i financial advisor e financial planner attivi in Europa. Ci riempie di orgoglio poi che nel Regno Unito, complice anche l’incertezza indotta da Brexit, negli ultimi 15 mesi più di 24.000 professionisti abbiano deciso di affiancare alla loro certificazione nazionale uno dei nostri certificati più prestigiosi, ovvero l’Efa (European financial advisor, ndr) o l’Efp (European financial planner, ndr). L’Italia, con la Spagna, manterrà nei prossimi anni la leadership nella certificazione dei consulenti finanziari? Certamente. Sia Efpa Spagna, ancora oggi principale contributore con poco più di 27.000 certificati, sia Efpa Italia, che ha superato la soglia dei 6.000 certificati, sono i due paesi che dall’inizio hanno consentito a Efpa di affermarsi e consolidarsi a livello europeo. Il gap dell’Italia rispetto alla Spagna è legato alla minore risposta che sinora ha dato il nostro sistema bancario alla certificazione professionale. In Spagna infatti sono state soprattutto le banche ad avere voluto e saputo cogliere il tema della certificazione indipendente delle competenze professionali dei loro dipendenti quale prova evidente dell’intenzione di voler affrontare con più elevati standard di qualità il delicato servizio della consulenza in materia di investimenti. In Italia invece tale risposta è arriva-


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ta soprattutto, se non esclusivamente, dal mondo dei consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede, anche grazie al sostegno dato da Anasf a questo progetto. La possibile apertura a breve, da me tanto auspicata, della governance di Efpa Italia anche alle associazioni rappresentative di banche e reti di consulenti potrebbe invertire tale trend e riavvicinare velocemente agli altri paesi. A suo giudizio Mifid2 e regole Esma stanno giocando a favore dello sviluppo della certificazione? È indubbio riconoscere che un forte richiamo all’importanza della certificazione professionale delle competenze sia arrivato da normative e regolamentazioni. Se però da un lato è vero che le Linee guida Esma di fine 2015 hanno indicato in modo inequivocabile l’importanza che dovrebbe avere per le banche una certificazione esterna e indipendente, dall’altro lato va sottolineato come la “messa a terra” in termini regolamentari di tali Linee guida a livello di singolo paese sia stata nei fatti molto più blanda e quindi meno incisiva. Per l’Italia basta confrontare la prima bozza emanata da Consob nel dicembre 2016 e il testo finale del regolamento intermediari del febbraio 2018 per intuire la portata delle pressioni ricevute dalle associazioni degli intermediari finanziari, estremamente preoccupate delle ricadute, in termini organizzativi e di costi, di disposizioni e criteri eccessivamente demanding. Ma forse il tema è solo stato rinviato di qualche tempo. Se le banche riconoscessero apertamente l’importanza che assume, nell’ambito del loro conto economico, il margine da servizi derivante dall’attività di consulenza in materia di investimenti, dovrebbero facilmente concludere che ciò è il risultato di una rete di consulenti davvero in grado di cogliere i bisogni della clientela e quindi di individuare soluzioni più articolate e adeguate. La certificazione esterna e indipendente costituisce la risposta più semplice e più logica da offrire a quella parte del personale che è desideroso di investire nelle proprie competenze tecniche e che, proprio per questo, gradisce vengano misurate e verificate. Secondo lei attraverso quali tipologie di professionisti il sistema Efpa può crescere ancora in Italia e in Europa? In un settore finanziario europeo ancora fortemente banco-centrico è inevitabile dover parlare di dipendenti bancari. L’auspicio è che casi come quello del gruppo spagnolo BBVA - con più 12.000 certificati Eip ed Efa solo in Spagna - o come quello del gruppo francese Bnp Paribas - che ha adottato la nostra certificazione Efp per tutti i suoi private banker - possano diventare la

norma e non l’eccezione. Per farlo dobbiamo metterci al servizio dei grandi gruppi bancari e laddove questi abbiano sinora privilegiato la certificazione interna, caratterizzata dall’inevitabile rischio di una certa autoreferenzialità, dobbiamo offrire una mappatura delle loro certificazioni rispetto alle nostre per agevolare, per quei dipendenti che vorranno cogliere questa opportunità, il passaggio alle certificazioni Efpa. Al tempo stesso Efpa continuerà ovviamente a guardare con grande interesse all’articolato mondo dei consulenti non dipendenti bancari che sin dall’inizio hanno seguito, in tutti i paesi europei, con molta attenzione le nostre proposte. L’obiettivo è molto chiaro: cosi come la certificazione Cfa è uno standard di riferimento per tutti coloro che operano nel mondo dell’asset management, i diversi livelli di certificazione Efpa devono diventare lo standard di riferimento per coloro che, con modelli di servizio più o meno articolati, operano nel mondo della consulenza e della pianificazione finanziaria e patrimoniale. Novità nei livelli di certificazione e nei programmi? Lo Standard qualification committee (Sqc, ndr) - che è il comitato scientifico di Efpa Europe, indipendente e autonomo rispetto al board - ha il compito di rivedere continuamente le nostre certificazioni per garantire che gli standard siano sempre aggiornati sia rispetto alle novità di carattere normativo e regolamentare sia soprattutto alle esigenze del mercato. Come esempio si vedano le novità introdotte negli ultimi mesi del 2018, con la creazione dei programmi relativi alle direttive Idd e Mcd che possono essere, a seconda delle esigenze del singolo paese, proposti come addendum alle certificazioni già in essere, utilizzando le ore di formazione obbligatoria richieste per il mantenimento delle certificazioni, o come certificato a sé stante. Pensate ad alleanze con altri enti di certificazione? In passato era stato aperto un dialogo con il Financial planner standard board (l’ente di certificazione statunitense che offre, anche in Europa, la certificazione Cfp, ndr). La loro diversità di approccio e la loro eccessiva focalizzazione su modelli regolamentari e di business più vicini al mercato statunitense non hanno favorito una progettualità comune. Per ora quindi l’unico spazio aperto è quello del possibile mutuo riconoscimento tra le nostre certificazioni e quelle offerte da altri enti e associazioni attivi nel settore della gestione e della consulenza finanziaria, come ad esempio il Cfa.

COME GLI ITALIANI GIUDICANO I CONSULENTI. DIBATTITO AL MEETING EFPA DI TORINO

L’Efpa Italia meeting 2019, “Partecipa al futuro della Consul€nza - La competenza per essere competitivi” è ormai alle porte. L’appuntamento è fissato a Torino giovedì 6 e venerdì 7 giugno presso il Centro Congressi Lingotto. Quest’anno il tradizionale appuntamento targato Efpa Italia, la fondazione guidata dal presidente Marco Deroma, si focalizzerà sulle sfide che aspettano il consulente finanziario del futuro. Due le conferenze curate dalla Fondazione: nella prima giornata la parola andrà a Massimo Arrighi, partner AT Kearney, che illustrerà quella che è stata l’evoluzione delle

tendenze di mercato, per poi lasciare il palco a Duccio Martelli e Giuseppe Meli, membri del comitato scientifico di Efpa Italia, che cercheranno di offrire uno strumento di orientamento per raggiungere una migliore consapevolezza della loro identità professionale, ovvero delle forme e dimensioni che la loro figura professionale deve assumere a seconda del tipo di clientela alla quale si rivolgono. La seconda giornata prevede tra gli eventi principali la presentazione della seconda edizione della ricerca sul ruolo ed evoluzione della figura del consulente e del financial planner in Europa. A illustrarne

i risultati sarà Nicola Ronchetti, ceo di Finer, che ha collaborato all’esecuzione dell’indagine. A seguire il commento, a livello europeo, di Emanuele Carluccio, chairman di Efpa Europe. I lavori del pomeriggio avranno come evento clou “Come gli italiani giudicano i consulenti finanziari. Ritratto di una professione nel percepito dei risparmiatori”, la presentazione della ricerca Makno-Rsm commissionata da Investire. Il nostro giornale organizzerà, in collaborazione con Efpa Italia, la tavola rotonda di commento ai risultati della ricerca a cui parteciperanno esponenti di primo piano delle reti. maggio 2019 53


INTERVISTA CON CARLO GENTILI

«La vera sfida di noi gestori? Restare se stessi, ma non soli»

«N

di Sergio Luciano

ella nostra industria le dimensioni minime sono cresciute. E’ una tendenza irreversibile. La taglia piccola non è più sostenibile, per quanto una Sgr possa essere performante. Da qui la nostra decisione di vendere, a qualcuno che però fosse in grado di apprezzare e rispettare la nostra autonomia: e con Banca Generali riteniamo di averlo trovato»: Carlo Gentili, fondatore e amministratore delegato di Nextam, è un fiorentino amabile – affettivamente legatissimo alla sua Fiesole, dove fa sempre ritorno volentieri – considerato da ormai molto tempo tra i più bravi gestori patrimoniali italiani. In 18 anni ha creato un’azienda capace di crescere da zero a quasi 7 miliardi di masse, di cui 1,3 in gestione e 5,5 in advisory. La sua scelta, seguita a poca disanza da quella di Julius Baer che ha messo in vendita Kairos, ha colpito il mercato: se anche i primi della classe vendono, pur restando del tutto impegnato nell’operatività, vorrà dire che stanno davvero cambiando i fondamentali del business, hanno considerato in molti. Gentili, ci dica la verità: non è che intelligenza artificiale e robo-advisory stanno riducendo lo spazio d’azione per i gestori in carne ed ossa e dunque chi può vende? “No, non credo. Io penso al contrario che per noi gestori professionali artigianali, capaci di una visione autonoma sulla gestione dei patrimoni, che lavorano come amiamo fare noi – esaminando da vicino le società prima di investirvi, andando a visitarle, a parlare con il management – ci sarà sempre molto spazio, proprio perché altrove ci sarà una standardizzazione del mercato. Quindi, tutto il contrario di una inesorabile massificazione. Da un lato la grande industria si omologherà, forse anche a causa della robotizzazione. Dall’altro lato per chi sa ragionare in proprio lo spazio resterà. E dunque, perché vendere? Come dicevo: questioni dimensionali. Le nostre, in termini assoluti e tanto più se riferite all’Italia, erano buone, ma erano nulla in confronto con quelle dei colossi mondiali come BlackRock. Con i nostri numeri e con la lievitazione dei costi che c’è stata è difficile restare autonomi e floridi. Quali costi? Essenzialmente quelli legati alla compliance: le authority chiedono sempre maggiori prestazioni sul fronte della trasparenza e delle procedure, inducendo nuove attività di controllo che ovviamente non producono reddito e costano. Da Bruxelles la Mifid 2 ha introdotto nel sistema ulteriori impegni… è il business, insieme alla sanità, più regolamentato che c’è. E dunque fare l’imprenditore in quest’industria è il mestiere più difficile che 54 maggio 2019

CARLO GENTILI

«OGGI LA PICCOLA DIMENSIONE NON È PIÙ SOSTENIBILE, PER QUANTO UNA SGR POSSA ESSERE PERFORMANTE» esiste. Con un simile pressing sui costi o hai masse molto grandi o rischi. Da queste considerazioni è nata la scelta di aprirci a una partnership e credo che Banca Generali abbia la strategia giusta per valorizzarci al meglio, quella cioè di avere delle boutique autonome come la nostra ma sotto il grande ombrello del gruppo. Una logica che vedo ormai diffondersi sul mercato. Penso a Wells Fargo ma anche a Lloyd’s Bank…avere una struttura centrale potente e capace di gestire con buone economie di scala i costi generali. E attorno a essa e al suo core business uno o più satelliti qualificati e fortemente caratterizzati sul wealth management, a condizione di lasciar loro l’autonomia che avevano quando erano indipendenti sul piano della proprietà. E dunque nella nuova configurazione che futuro vede per


INVESTIRE SPECIALIST

Nextam, visto che continuerà a occuparsene full-time? Mah, sono molto ottimista perché conto di poter continuare a occuparmene nel modo che amo di più, concentrandomi cioè sulla gestione. Basta patemi d’animo commerciali? Diciamo che sicuramente la competizione sulla parte commerciale ha nuociuto al clima del mercato. Se si ha la capacità di raggiungere il cliente per linee dirette, i margini sono ancora interessanti. Ma in quanti casi può riuscire? Viceversa il lavoro che arriva dalle reti commerciali costa tre quarti delle fee, quindi riduce molti i margini dei gestori. Altro sarà domani, quando verosimilmente una buona parte dei volumi ci arriverà dal grande bacino di Banca Generali. Dunque Nextam non cambierà? Il piano è lasciare Nextam com’è oggi: un team di circa 40 persone tra Sgr, Sim e Ltd a Londra. Siamo un multi-family-office per soggetti che investono in media decine di milioni di euro con noi. Al di sotto dei 25 milioni tendenzialmente non prendiamo mandati di advisory. Anche perché le feessu questi mandati sono basse, dovendo poi i clienti pagare ad altri le fee di gestione. Invece il valore medio dei conti in gestione presso di noi è tra i 2 e i 3 milioni. Sono clienti cui offriamo la nostra gestione, che è assolutamente specifica e proprietaria, ma non diversificata sul singolo. In altre parole chi ama telefonare quotidianamente al suo gestore per segnalare un titolo da vendere o da comprare e discutere sulle performance di una società be’...non è il nostro cliente tipo. E l’origination di questa clientela come l’avete impostata? Finora pochi banker fidati e competenti. E il team di vertice. D’ora in avanti la rete di Banca Generali. Com’è nato l’incontro con Banca Generali? Avevamo dato a Mediobanca un mandato molto ampio per la ricerca di un partner. L’obiettivo era aumentare la massa critica: anche acquisendo se fosse capitato. Abbiamo anche fatto nel 2017 una piccola acquisizione a Londra, la Pactum,di Andrea Brignone, finchè da Banca Generali è arrivata una proposta diversa. Lei pensa che il carattere indipendente di Nextam e in generale dei gestori che puntano su questa prerogativa sarà premiato dal mercato? I numeri dimostrano che negli anni della crisi chi era cliente di gestori indipendenti competenti se l’è cavata meglio degli altri investitori. Ma so anche che questo non basta a spostare grandi masse di clientela. Sta di fatto che noi, comunque, nel 2008 non avendo derivati non ci siamo fatto male. Teme la concorrenza di robo-advisory e intelligenza artificiale? No, credo anzi che siano strumenti utili per noi artigiani della gestione che abbiamo bisogno di strumenti per monitorare le aziende. Oggi ci sono hedge fund che pagano hacker per capire come stanno andando veramente le aziende spiandole dal fronte informatico, c’è chi usa i droni-spia per controllare i pallet e i veicoli sui piazzali delle imprese su cui investire… o per controllare come sta andando il magazzino… Ben vengano invece strumenti intelligenti e leciti che aiutino a fare le valutazioni giuste. Ma l’intelligenza artificiale, applicando criteri valutativi analoghi a dati identici per tutti, non appiattirà le scelte dei gestori? Tutti

sanno le stesse cose, tutti le analizzano con lo stesso metro. Un appiattimento delle differenze tra i servizi offerti dai colossi mondiali del risparmio gestito non può che andar bene a noi boutique, perché valorizza la nostra capacità differenziale. Più magazzini Zara aprono in un mercato, più spazio c’è per i bravi sarti. Certo l’Ai sarà utilizzata sempre di più ma chi ha competenze proprietarie sarà premiato, non punito. Continueremo ad adottare il nostro stile d’investimento. Scegliere verificando, conoscendo, andando sul posto. Ho seguito per tanti anni, ancora ai tempi del fax, tutte le Borse asiatiche e con buoni ottimi risultati, ma quando ho pensato di investire in una società di tabacco indonesiano ci sono andato di persona. E soltanto dopo ho investito. Come vede l’economia italiana a breve-medio termine? Inevitabilmente con preoccupazione. I capitali sono quelli che sono, la classe politica rispecchia il Paese, l’abbiamo votata noi. Del resto anche l’Europa è su una china discendente: eppure resto ottimista, perché quest’Unione ha comunque messo alla stessa tavola re e regine con i diseredati dell’est post sovietico.

«NEXTAM NON CAMBIA: SIAMO E RESTIAMO UN MULTI-FAMILY-OFFICE PER SOGGETTI CHE INVESTONO MOLTE DECINE DI MILIONI E CI CONCENTREREMO ANCORA DI PIÙ»

Abbiamo recuperato al consesso civile paesi un tempo esterni, penso alla Slovenia o alla Polonia e altri ancora. Li abbiamo sottratti ai postumi della cortina di ferro, rilanciati, risanati. Certo in Europa c’è tanto da migliorare ma è solo una questione di regole. Ha ancora senso parlare di un mercato finanziario su scala nazionale? Non ha mai avuto senso, oggi meno che mai, l’orizzonte del mercato degli investimenti è il mondo. La convince davvero il boom delle nuove tecnologie digitali? E’ il fenomeno da seguire, non privo di forti rischi. La convince la Cina? Come se lo immagina il colosso tra dieci anni? Più forte di oggi, ma non al punto da autorizzare a fare a meno degli Usa. Secondo me in questo mestiere il 50% di un investimento sano va fatto negli Usa, un’altra grande fetta in Europa e col resto si deve coprire il resto del mondo. Perché fino ad oggi, e da sempre, tutte le grandi innovazioni nascono negli Usa, il grande denaro nasce lì, il grande consumo e il grande sapere vive lì. Un’ultima curiosità: perché il nome di Nextam? Quando cominciammo a lavorare al progetto ci rivolgemmo a una società di naming e le chiedemmo di verificare l’anteriorità di alcuni nomi che avevano in mente. Ricordo Cartesio, Galileo… Ogni volta risultava che erano nomi già presi e ogni volta c’era da pagare una fee, circo 500 mila vecchie lire. Finchè, al quarto tentativo fallito, qualcuno di loro si impietosì e ci disse: ‘Guardate che i dizionari italiano, inglese, francese e anche latino, sui temi dell’auto, della finanza e dei telefoni, sono tutti già presi. Inventatevi qualcosa di diverso. Nacque così un semplicissimo: Next asset management. Nextam. maggio 2019 55


WEALTH MANAGEMENT

Il “consulente globale” di ieri oggi è un capitano di lungo corso di Marina Marinetti

LA FILOSOFIA DEL PROGETTO MEDIOLANUM SI RISPECCHIA NELLA CARRIERA DEL WEALTH ADVISOR DANIELE GALLO

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e li ricordate, gli anni Ottanta? E Programma Italia, che ai suoi clienti offriva piani di risparmio? Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti e il progetto di Ennio Doris è diventato un fiume in piena. Daniele Gallo, romano, classe 1960, in questo fiume ha navigato sin dall’inizio. Da quando, dopo gli studi giuridici, ha scelto di diventare Consulente Globale. «Programma Italia nasceva come organizzazione di vendita. Allora ero un libero professionista, rappresentavo alcune aziende del nord Italia nel settore della moda. Amavo il mio lavoro e il rapporto con i clienti, ma la filiera presentava troppe variabili indipendenti da me che potevano pregiudicare i miei sforzi. Intuii immediatamente che quello proposto da Doris era un mercato destinato a svilupparsi, con un potenziale enorme. E Roma era una città strategica, per ruolo e per collocazione. Così, con un pizzico di audacia, intrapresi la carriera di Consulente Globale. Guardandomi alle spalle, posso dire di essere stato fortunato: la strada è stata sempre in salita, ma la carriera mi ha premiato». Oggi Daniele Gallo è quello che potremmo definire “un capitano di lungo corso”: non solo è uno dei wealth advisor di punta di Banca Mediolanum, con un portafoglio di un centinaio di clienti, 270 milioni di euro di asset e, soprattutto, ricopre il ruolo chiave di responsabile del Centro Sud Italia per il private dell’istituto. Ha anche partecipato in prima persona a tutte le fasi di crescita del gruppo: il passaggio a Sim nel 1991, così come quello che definisce «il vero salto», quello del 1997, con la trasformazione in banca, la prima a sfruttare le possibilità di interconnessione tra il telefono e il teletext del televisore di casa. «Tutta l’evoluzione comporta un cambiamento di atteggiamento mentale continuo», dice: «Se hai la mente dinamica, allenata, pronta ai cambiamenti, è naturale seguire un progetto inarrestabile come quello avviato da Doris. Essere pionieri sul mercato non è solo una questione di visione, ma di capacità a far sì che il mercato stesso capisca i concetti e si evolva. È una sorta di forgiatura utile alla società». Così nel 2005 Daniele Gallo, con un ristretto gruppo di colleghi, ha dato il via al private banking di Banca Mediolanum: «Eravamo in cinque ad avviare il progetto. Io ho gestito come regional manager private banker lo sviluppo commerciale dalla Toscana fino alla Sicilia con base operativa a Roma e Milano, dedicando molto impegno alla selezione e alla cultura delle masse sotto gestione: in una rete che era cresciu56 maggio 2019

A destra, Daniele Gallo, romano, classe 1960. Ha iniziato la carriera in Programma Italia negli anni ‘80 e oggi è uno dei wealth advisor di punta di Banca Mediolanum

ta con l’indicazione dei margini derivanti dall’acquisizione dei contratti, occorreva spostare l’attenzione sul tema del management fee. Non era semplice. Un concetto fondante oggi nelle grandi realtà bancarie». Il contesto era sfidante: occorreva determinazione, ma anche lungimiranza. «Nell’arco di una decina d’anni abbiamo costruito una base importante nel mondo del private. Oggi possiamo dire che su 74 miliardi di masse sotto gestione in Banca Mediolanum, il private ne amministra una fetta consistente». L’ultimo tassello che ha visto, ancora una volta, Daniele Gallo in prima linea, è l’avvento nell’organizzazione del wealth management, un paio di anni fa: «Con la rivisitazione dell’organizzazione del private, il mio ruolo è continuato come executive manager private banker e wealth advisor, quella figura professionale che porta benessere alle famiglie con esigenze complesse e che ha l’obiettivo di risolvere a 360 gradi, anche utilizzando la consulenza non finanziaria, tutti i bisogni del cliente, grazie a strumenti e servizi di elevatissimo standing. In Italia siamo circa 40 e siamo un punto di riferimento per l’organizzazione commerciale della banca con i suoi family banker. Grazie al wealth advisor l’imprenditore oggi ha un riferimento preciso anche nel mondo dell’investiment banking: riusciamo a dare ai nostri clienti imprenditori quegli strumenti e quei servizi che possono consentire loro di sviluppare l’attività delle loro aziende anche tramite investimenti, emissione di bond, fino ad arrivare alla quotazione in Borsa». La prima persona plurale per Daniele Gallo è tutto: «Sono le persone che permettono ai clienti di avere sempre in tempi rapidi le soluzioni migliori nel mondo del private e del wealth. Mi riferisco ai colleghi che ogni giorno lavorano dietro le quinte: penso in primis alle strutture specializzate di supporto ai consulenti. Anche sotto questo punto vista Banca Mediolanum si distingue per l’unicità del suo modello».


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HI-TECH

Blockchain e intelligenza artificiale Studi alla fine, ora si fa sul serio di Paolo Zucca

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olti gruppi finanziari stanno partecipando a consorzi per valutare i benefici economici, organizzativi e tecnologici della blockchain. È una fase di ultima verifica per capire se il vantaggio sarà prevalentemente sui costi, pur sempre importante, o su una ancora più interessante rivisitazione generale di molti business bancari e non solo. Le applicazioni sono molto vicine e l’utilizzo del libro mastro condiviso, non modificabile, trasparente ed efficiente, potrà esprimere tutto il suo potenziale economico. Con le Fintech, che normalmente partono da singole aree di interesse, alcuni scenari sono invece già chiari: l’ago della bilancia tra collaborazione e contrapposizione con le istituzioni finanziarie più tradizionali punta decisamente al primo scenario. Collaborazioni e integrazioni saranno normalità per le specializzazioni di business. Ancora più stimolante e per certi aspetti inesplorato è il contributo che potrà dare l’Intelligenza artificiale (Ai) sicuramente il campo di ricerca e applicazione che potrà fare la differenza nella competizione di mercato. In che settori e con che tempi? C’è una certa fretta. Le economie in frenata e i tassi stabili spingono i grandi gruppi (e a seguire quelli di medie o piccole dimensioni) ad affrontare da subito una svolta che può ridare spunto ai conti economici. Le “tecnologie emergenti” sono diventate priorità nelle agende dei top manager che vogliono guardare lontano e cercano le soluzio58 maggio 2019

IL REPLY FINANCIAL SERVICE OUTLOOK 2019 FOTOGRAFA UN SETTORE IN CRESCITA ESPONENZIALE. CHE STA CAMBIANDO IL MODO DI FARE BUSINESS FINANZIARI ni giuste per aggiungere ricavi e margini crescenti. Proviamo a fotografare questo passaggio per capire dove verranno raccolti i primi frutti del gran lavoro di semina degli “sherpa digitali”. «Gli istituti finanziari», spiega Maurizio Sironi, associate partner di Blockchain Reply, «sono in prima linea per raffinare il paradigma blockchain e declinarlo sugli ambiti di maggior interesse, concentrandosi principalmente su applicazioni in ambito pagamenti, Capital Markets – con la possibilità di emettere strumenti finanziari digitali più liquidi ed efficienti, o Security Token – e servizi di credito, sperimentando nuove modalità di prestito finalizzato, servizi di P2P Lending e Trade Finance. Anche sul

I robo-advisor oggi attivi nel modo La classifica dei gestori per patrimoni gestiti dai robot (dati in mld di $) Vanguard Schwab intelligent Portfolios Betterment Wealthfront Personal Capital Future Advisor (Blackrock) Nutmeg AssetBuilder Wealthsimple Financial Guard Rebalance IRA Scalabre Capital

47 10,2 7,3 5 3,6 808 751 671 574 454 403 125


INVESTIRE SPECIALIST

mercato italiano, come Reply abbiamo avviato diversi progetti su tali ambiti, ad esempio applicando la tecnologia blockchain ai processi di cartolarizzazione oppure a supporto dei servizi di leasing in accordo con Assilea». Sono i primi passaggi concreti di un processo in corso anche in Italia e Sironi valuta come «estremamente significative anche le potenzialità della tecnologia nel mondo assicurativo, per questo con Cetif, Ivass e Ania abbiamo lanciato nel 2018 l’Insurance Blockchain Sandbox, un ambiente in cui portare in produzione nuovi prodotti e processi assicurativi che sfruttano il paradigma blockchain. Dopo aver realizzato una piattaforma per gestire un processo di Alternative dispute resolution (Adr), siamo ora impegnati a progettare nuovi prodotti assicurativi parametrici basati su smart contract che garantiscano il rimborso automatico della polizza. Il coinvolgimento allargato di tutti i player di filiera e delle authority di riferimento si è rivelato un fattore critico di successo per tutte queste iniziative». Il gruppo tecnologico italiano, quotato in Borsa, ha raccolto in più capitoli del suo recente Reply Financial Service Outlook 2019 i contesti e le applicazioni di una accelerazione in corso e che porterà con il moltiplicatore dell’AI e del Machine learning (Ml) a un utilizzo sempre più preciso dei dati, a una maggiore conoscenza del cliente (Clm) evitando incomprensioni tra sistemi e ridondanze. In estrema

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L’OUTLOOK FOTOGRAFA ANCHE LE TENDENZE DEI REGOLATORI INTERNAZIONALI DEI MERCATI sintesi, l’idea che la qualità e progressiva precisione dei dati disponibili diventino il motore per nuove proposte di business, nella gestione del credito e del rischio, nel mercato dei capitali e riferimento per il continuo perfezionamento degli algoritmi. L’Outlook, inquadra il processo tecnologico nelle tendenze internazionali in atto (inclusa Brexit, rischi informatici, ruolo delle banche centrali) e registra uno scenario certo di grande attenzione dei regolatori ma non chiusure ai processi di innovazione che stanno cambiando la pelle delle istituzioni finanziarie. «Un’opportunità che le aziende dovrebbero cogliere per accelerare la loro trasformazione digitale».

E per imparare la finanza e il trading prendiamo spunto dal grande cinema

e il cinema è la fabbrica dei sogni, anche la finanza ha sempre alimentato i sogni più vividi: da quelli di chi ha sperato, a volte riuscendoci, di guadagnare in Borsa tanto e in fretta a quelli di chi, grazie alla finanza, è riuscito a trasformare in oro le sue idee, e la Silicon Valley è piena di questi esempi. Il connubio cinema-finanza, realtà-fantasia, intuizione-metodo è l’anima di un’iniziativa che Binck Bank ha promosso qualche tempo fa e che sta procedendo con crescente successo, articolandosi in un road show ed in una serie di webinar: una serie di corsi gratuiti che iniziano ai segreti della Borsa divertendo. Un dream-team a gestirli: Gabriele Bellelli, formatore; Fabrizio Guidoni, esperto di cinema e analista tecnico. Entrambi sono esterni alla Binck, come lo è Andrea Fiorini, coordinatore dei contenuti. In ogni giornata, un 60% del tempo è dedicato all’illustrazione dei principali strumenti di investing e di trading, il 20% agli aspetti più specificamente collegati al cinema e un ulteriore 20% riservato agli interventi di testimonial provenienti dal mondo delle società emittenti. Un’attività originale promossa da una banca originale come Binck Bank, che sta affermandosi sempre di più anche in Italia come un punto di riferimento centrale nel mondo del trading on line. Cinefinanza vive dunque sia analogicamente – con gli incontri fisici – sia sul web, con i webinar e i contenuti che restano a disposizione di chi voglia fruirne. In media circa 100 persone hanno partecipato agli eventi sul territorio – richamate dal passaparola e in prevalenza non-clienti di Binck Bank – mentre sono ovviamente numerosissimi i contatti on-line. Nella narrazione cinematografica, inutile dire che la fanno da

Vincenzo Tedeschi, a capo di Binck Bank in Italia

padrone le due pellicole-cult con Michael Douglas: Wall Street e Wall Street 2. Molto interessante per i suoi riferimento possibili al mercato finanziario è anche Una poltrona per due, tra i film italiani Il capitale umano e La ricerca della felicità. Ma dagli anni '80 ai nostri sono anche molte altre le pellicole di riferimento: Dick&Jane operazione furto Una donna in carriera, con Melanie Griffith; Pi greco – Il Teorema del delirio con Maximillian Cohen; Rogue trading, con Ewan McGregor. E non potevano mancare il celeberrimo The Wolf of Wall Street con Leonardo Di Caprio e La grande scommessa, sulla crisi del 2008. maggio 2019 59


IL LIBRO DI ANDREW ROMANS

Corporate venture capital, il carburante migliore per innovare di Annalisa Caccavale

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on c’è dubbio alcuno su chi sia il più grande innovatore di tutti i tempi che quest’anno viene celebrato a distanza di 500 anni dalla sua morte avvenuta il 2 maggio 1519: è Leonardo da Vinci, colui che riuscì a essere il “primo” in tutto ciò che studiò e a cui si appassionò. Fu un antesignano in botanica, dove capì per primo che la disposizione delle foglie sui rami non era causale, lo fu in astronomia, dove intuì la forza di gravitazione tra pianeti e anche in ingegneria dove disegnò le macchine volanti che oggi permettono a tutti noi di arrivare ovunque nel mondo. Guardando alle sue intuizioni geniali e confrontandoci con i tempi odierni, possiamo dire di vivere in un nuovo Rinascimento dove l’innovazione è un motore che spinge verso la realizzazione di ciò che fino a oggi sembrava impossibile e la tecnologia ne è uno strumento indispensabile. I mecenati di oggi sono le aziende e le nuove officine, sono il venture capital e il corporate venture capital. È qui che le intelligenze universitarie dei centri di ricerca, delle menti libere e innovative, trovano un luogo in cui sviluppare innovazione e imprenditorialità. In Italia il fenomeno è piuttosto recente se paragonato al mondo americano, però guardando i dati che l’Aifi, l’associazione del private equity, venture capital e private debt, ha pubblicato a marzo, il settore è in forte crescita, con un aumento degli investimenti sia in termini di ammontare, con un +143% rispetto al 2017, sia in termini di numero, con una crescita del 29% sui dodici mesi precedenti. L’Italia inizia così a credere fortemente che l’innovazione possa essere un tassello importante che ha ricadute positive anche sull’economia reale e sulla crescita del Paese. Nel mondo del ven60 maggio 2019

ECCO COME LE GRANDI IMPRESE HANNO INVESTITO E CONTINUANO A FARLO PER ATTUARE IL CAMBIAMENTO INTERNO ture capital troviamo poi il Corporate venture capital, dove grandi imprese hanno investito e continuano a farlo sempre più pesantemente, per sviluppare percorsi di innovazione all’interno dell’impresa stessa. I modelli con cui le diverse società hanno aperto ai Cvc sono diversi e strutturati anche in base alla grandezza dell’azienda che li fa nascere. Un libro ne parla approfonditamente, uscito per Guerini Next e scritto dall’investitore della Silicon Valley Andrew Romans, “Corporate Venture Capital. Imprese e capitali per l’innovazione”, è uno strumento indispensabile per conoscere come investire in innovazione anche in Italia. Il volume, arricchito da una parte introduttiva e una conclusiva a cura di Aifi, racconta di alcuni importanti casi italiani come Stet (Telecom Italia), Finivest, Immobiliare.it, Healthware International, Enel. L’intento è quello di “dare un contributo d’informazione alla trasformazione dell’impresa e dell’economia” del nostro paese, come sottolineato dalla prefazione firmata da


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Anna Gervasoni (dg Aifi) e Mauro Pretolani (senior partner del Fondo italiano d’investimento). Ricco di esempi concreti e testimonianze dirette, il manuale è una guida per gli imprenditori, gli investitori, i professionisti e tutti coloro che fanno parte dell’ecosistema delle imprese, che si tratti di startup o di aziende di medio-grandi dimensioni. Romans, tra i massimi esperti mondiali sul tema, raccoglie e racconta i successi (e anche gli insuccessi) del Cvc attraverso alcune importanti case history di imprese che hanno investito in tecnologia e innovazione creando autonomamente i propri fondi e coinvolgendo nascenti startup, incubatori e acceleratori d’impresa. Un processo importante e sempre più attuale: come scrive la Gervasoni, il Cvc e in generale “il Corporate Venturing si sta diffondendo in Italia e rappresenta un importante investimento in ricerca e sviluppo del nostro sistema paese”. L’edizione italiana, a cura di Davide Cecchini, oltre ad essere ampliata con l’aggiunta delle storie di importanti imprese italiane tra cui Enel, ha in appendice la “Guida al Corporate Venture Capital” redatta da Aifi. L’attività che le aziende svolgono innovandosi e trasmettendo tali nuove conoscenze e competenze al sistema produttivo, aiuta anche i Cvc a crescere. Tutto ciò lo vediamo attraverso il technology transfer che permette a una nuova tecnologia di passare da

UNA GUIDA PREZIOSA PER IMPRENDITORI, INVESTITORI E PROFESSIONISTI CHE FANNO PARTE DELL’ECOSISTEMA AZIENDALE

una azienda all’altra creando così nuovi modelli, connessioni e nuove dinamiche che accrescono il progetto iniziale e lo rendono fruibile anche a società con modelli di business differenti. In Italia, paese che conta più di 2.300 aziende e circa 10mila startup, l’incontro tra queste due realtà che viaggiano a velocità differenti, può portare a incroci dirompenti. Così facendo lo strumento del Corporate venture capital può divenire utile non solo alle imprese grandi, che possono permettersi enormi investimenti in ricerca, ma anche alle medie imprese, con percorsi differenti. Il nostro paese, per supportare queste ultime ha introdotto incentivi anche superiori di quelli pensati dai governi di altri paesi; questo accade perché in Italia il numero delle medie aziende è superiore a quello delle grandi imprese e ciò potrebbe portare, tra qualche anno, a parlare di un modello Italia, dove il Cvc è incentrato su società di media grandezza portando a particolarità di struttura e gestione peculiari, non solo dell’innovazione ma anche della tradizione. Si potrebbe infatti arrivare a pensare alla crescita aziendale con un modello do sviluppo “veloce” attraverso nuove linee di business come accade nelle startup dove si hanno piani di crescita annui del 50% o anche del 100% per diversi anni. Per fare questo occorre un cambiamento della propria ottica imprenditoriale, una nuova visione manageriale e gestionale e di attrazione dei talenti. L’azienda di medie dimensioni può infatti prendere dal modello del venture capital anche a modello i processi di assunzione e di remunerazione delle risorse umane sfruttando la possibilità di farli partecipare al capitale dell’azienda e accompagnandoli così anche al futuro passaggio generazionale aiutando, indirettamente, anche la longe-

vità dell’impresa. Sfruttare l’esperienza della media impresa e la spinta acceleratrice delle nuove società innovative può portare al nuovo rinascimento tecnologico perché come disse lo stesso Leonardo da Vinci “Io credo che invece che definire che cosa sia l’anima, che è una cosa che non si può vedere, molto meglio è studiare quelle cose che si possono conoscere con l’esperienza, poiché solo l’esperienza non falla” e come lui, per cavalcare l’innovazione possiamo metter a fattor comune l’esperienza della tradizione e la conoscenza dell’innovazione. Parlare di Corporate venture capital forse può essere utile perché può aiutare a mettere in pratica tutto quello che si conosce sul mondo del venture capital, applicandolo all’esperienza delle medie e grandi imprese a volte ancora scettiche rispetto la Corporate venture capital come se fosse un gioco per estrosi imprenditori che vogliono imitare i grandi inventori del passato, dimenticandosi invece che i numeri dimostrano come i Cvc partecipino sempre più allo sviluppo delle nuove imprese generando ritorni sia strategici sia finanziari, per la capogruppo. Come da Vinci seppe guardare la realtà da prospettive diverse, diventando l’innovatore per eccellenza, anche startup, aziende e Cvc, possono incrociare i rispettivi modi di vedere per crearne uno nuovo, ancora più innovativo. maggio 2019 61


POLE POSITION

a cura di Buddy Fox

MILANO, OCCASIONE OLIMPICA CHE AVVANTAGGIA IL SISTEMA PAESE

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Italia ancora divisa. Siamo alle solite, e non mi riferisco alle storiche divisioni tra Nord e Sud, o a quelle ancor più antiche e ancestrali tra guelfi e ghibellini, monarchici e repubblicani o comunisti e fascisti, ma più prosaicamente alla divisione economica tra l’Italia che vive un’economia immobilizzata e l’Italia estremamente mobile e attiva. Perché se c’è gran parte del paese che attende il decreto “sblocca cantieri”, c’è un’altra parte che vede cantieri spuntare come funghi ed è in grande fermento. Questo luogo è Milano, dove da ogni angolo e quartiere spuntano novità ed iniziative. Non solo il Salone del Risparmio che recentemente ha fatto il record con più di 15.000 visitatori, o il grande must delle passerelle della moda, o il celebratissimo

salone del mobile, ma la più attesa candidatura a ospitare le olimpiadi invernali del 2026. Una candidatura cresciuta in sordina e ora diventata una corsa nazionale, tanto da aver convinto un governo, prima riluttante, ad allargare il portafoglio. Dopo il successo dell’Expo, questa sarebbe una vittoria che cancellerebbe le ingiustizie e le delusioni per la perdita dell’Ema. Un successo di cui si avvantaggerebbe anche tutto il Paese, perlomeno tutto il nord visto che la candidatura è in compartecipazione con Cortina. E per la Borsa? Molti i titoli che potrebbero giovarne, dagli immobiliari Risanamento, Brioschi, Aedes, ai titoli dei servizi FNM e Fiera Milano, fino a tutte le società del turismo. Una vittoria più utile di una spesa in deficit, sicuramente meno dispendiosa.

IL PROBLEMA DEL DEBITO E IL NODO DEL BILANCIO COMUNE EUROPEO

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a manovra Salva Italia (per non fare saltare Italia) di Mario Monti fu di 37 miliardi. Il governo degli incompetenti (cerco di edulcorare i termini usati) ha creato un buco di 40/50 miliardi da qui a fine 2020. CONTE/DI MAIO/SALVINI/TRIA lasceranno il conto più alto della storia da pagare! 100% SOLO COLPA LORO”. E’ il messaggio (maiuscole comprese) su Twitter di Davide Serra, front man delle élite nel comparto finanziario che torna a inveire contro la gestione di bilancio dell’attuale governo. La prima cosa che mi stupisce è l’inserimento nel reparto “incompetenti” anche del ministro Tria, un atteggiamento populista, solo guarnito di caviale e champagne. Non mi piace fare l’avvocato difensore dell’attuale governo, ma prima di criticarlo dovremmo chiederci come mai la maggioranza dei cittadini l’ha votato, forse perché i precedenti avevano fallito? Il problema che ritorna è sempre lo stesso, le risorse sono poche e per stimolare l’espansione bisogna spendere. 62 maggio 2019

Ma per spendere, in questa fase, bisogna fare deficit, deficit che fa aumentare un debito già elevato. Dunque, cosa è meglio fare? Rigorismo o espansionismo? Ci sono paesi, come Francia e Usa, che sul rigorismo fanno spallucce, ciò che più conta è crescere e creare i posti di lavoro, al debito penseremo poi, quando la crescita sarà a pieni giri le entrate fiscali copriranno il buco. Ma se l’Italia ci prova, subito da Bruxelles scatta l’allarme. In verità ci sarebbe una soluzione di mezzo, ed è quella proposta da Carlo Cottarelli, e cioè un bilancio comune europeo che possa nelle fasi di debolezza, avere capacità di spesa per stimolare l’economia in stile keynesiano. Perché non farlo? Perché per avere un bilancio comune, ogni paese deve cedere sovranità. E quanti paesi sono disposti a fare questo passo? L’Italia, con questo governo, sicuramente no. Ma anche gli altri paesi, con governi meno populisti e molto più europeisti, difficilmente saranno pronti ad accettare.


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RISIKO BANCARIO, UNICREDIT CI RIPROVA

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ra i due litiganti il terzo gode. Non sembra questo il proverbio più appropriato, perché qui ci sono due banche che cercano di mettersi d’accordo per coprire buchi neri paurosi, e poi c’è il terzo, che secondo le rivelazioni del Financial Times, sembra pronto a entrare nella partita, ma che in caso di successo non farebbe salti di gioia. Non li sta facendo la borsa, che penalizzando la banca italiana, sembra già aver bocciato l’operazione. Un’operazione di difficile realizzazione, principalmente per quattro motivi: politico, l’Italia ai populisti tedeschi non piace (e siamo a una vigilia elettorale); di bilancio, la capitalizzazione di Commerz sembra essere proibitiva per Unicredit; strategico, quest’operazione pare non rientrare nei piani di Mustier. Piani avvolti nel mistero, visto che l’ad di Unicredit rivela le sue mosse solo a una cerchia strettissima e impermeabile di collaboratori. Il quarto

motivo riguarda Deutsche Bank, che deve assolutamente trovare marito, a cui rifilare la divisione americana colma di derivati radioattivi. Le attuali illazioni su Unicredit fanno tornare alla mente la conquista di HVB nel 2005, momenti di gloria che valsero all’allora condottiero Alessandro Profumo, l’appellativo di “Alessandro il Grande”, merito che gli fu riconosciuto dalla Frankfurter Allgemeine Zeitung, un onore! In quel tempo, Profumo azzardò a prevedere che entro 10 anni l’Europa avrebbe visto crescere grandi istituzioni finanziarie multipaese. In effetti, con ritardo, queste operazioni sembrano essere in gestazione, ma mentre prima della grande crisi 2008 le fusioni avvenivano per espandersi e crescere, oggi si cerca marito per non fare la fame o peggio fallire. Da grandi matrimoni reali, ora in banca si fanno le nozze con i fichi secchi.

BILL GROSS E LA BOLLA DEL BUND FARF

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l rendimento dei Bund 10y torna nuovamente in negativo. La notizia è eclatante, non solo perché questo strumento è considerato il bene rifugio per eccellenza dei grandi investitori di tutto il mondo, ma perché nonostante l’economia stia, pur lentamente, continuando a espandersi, il segnale di questo indicatore è al contrario quello di una potenziale recessione all’orizzonte. Ma la notizia ancor più sconvolgente è che in termini di rendimento negativo, il Bund 10Y ha superato (al ribasso) anche il corrispondente titolo giapponese, uno strumento che in termini di scarsità di rendimento ha ben pochi rivali in tutto il mondo. La motivazione? E’ sempre la stessa, anzi sono due: quando non sai dove parcheggiare il denaro, e sei insicuro, il Bund non ha rivali, anche se non da rendimento (anzi lo toglie) ma è un marchio di garanzia; il secondo è dovuto all’ipotesi di un nuovo round di stimoli monetari. Qe all’orizzonte? Trump ci spera, e lo chiede a gran voce. Quella degli stimoli monetari, anche con un’economia positiva, è un vizio a cui difficilmente si riuscirà a rinunciare, e probabilmente sarà la prossima

grande bolla. Bill Gross, l’ex guru dell’obbligazionario (lo chiamavano “The King of Bond”) l’aveva capito, tanto che nell’aprile del 2015 contro il Bund si era lanciato dichiarando: “non perdetevi la puntata short di una vita”. L’aveva definita come solo una questione di tempo, ma ahimè il Bund ha continuato a scendere, e quella puntata gli è costata la sua di vita, fortunatamente solo quella professionale, perdendo ogni credibilità. E’ la regola di Keynes “il mercato può restare irrazionale più a lungo di quanto voi possiate restare solvibili”. Non basta trovare la bolla, bisogna capire anche quando scoppierà.

ANNIVERSARI: DIECI ANNI DAL MINIMO DELLE BORSE

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iamo in utile nei primi due mesi e il primo trimestre si mostra come il migliore dal terzo trimestre del 2007… i nostri depositi sono relativamente stabili, le nostre attività sui mercati funzionano bene e continuiamo a offrire credito a privati e imprese” sono le parole Vikram Pandit, ceo storico di Citigroup, in uno dei momenti peggiori della banca e delle istituti finanziari di tutto il mondo. Sembra che siano state queste poche parole a rassicurare il mercato e ad accendere i razzi della Borsa per dare il via al più grande rally rialzista di tutta la storia dei mercati finanziari. Pochi lo ricorderanno ma era il 10 marzo del 2009. Il giorno prima, il 9, le borse toccavano

il minimo storico, il giorno successivo, grazie a Citigroup che eccezionalmente dava un anticipo dei conti trimestrali, Piazza Affari chiudeva a +5,98% trascinando tutte le banche al rialzo poco sopra o poco sotto la doppia cifra. Furono proprio le banche, definite demoniache, a trascinare l’economia e borse agli inferi, e proprio dalle banche cominciò la risalita verso il cielo. Da quel momento in poi, e per tutti questi 10 anni, abbiamo sentito a cadenza periodica, elencare nuovi e gravi problemi (superfluo ricordarli) che avrebbero dovuto riportare l’economia in recessione e le borse in territorio “orso”. Non è mai successo. Uno dei motivi più assurdi è che il rally era durato troppo, dimenticando che nessun rialzo “muore mai di vecchiaia”. Ricorda Ben Bernanke, uno che è meglio ascoltare attentamente, che i cicli al rialzo terminano solo per due motivi: un grave errore di politica monetaria o un crack finanziario. Almeno il primo, per ora, l’abbiamo evitato giusto in tempo, o così sembra. maggio 2019 63


TALENT

LA COMPETIZIONE TRA UN “FAI DA TE”, UN CF E UN ROBOADVISOR

La tecnologia va a mille ma le scottature bruciano “Una poltrona per tre” è una competizione tra tre portafogli realizzati da un “fai date”, un consulente finanziario e un roboadvisor. Ha la durata di un anno e prevede la possibilità di rotazione del portafoglio, con un cambio di massimo due strumenti, al termine del primo semestre. Ogni mese partirà una nuova gara. Aggiornamenti e confronti L’aggiornamento sull’andamento di ciascuna di esse avrà cadenza semestrale. Tre concorrenti che non copiano La composizione dei portafogli è elaborata

LE SCELTE DEL “FAI DA TE”

di Giacomo Damian

in completa autonomia dai partecipanti al talent e oltre ad avere lo scopo della competizione vuole offrire spunti meramente informativi inerenti l’impiego di strumenti finanziari quotati sul mercato regolamentato italiano. Le informazioni e le analisi esposte pertanto non costituiscono sollecitazione al pubblico risparmio qualunque decisione di investimento e il relativo rischio rimane a carico dell’investitore. Investire non si assume alcuna responsabilità per l’eventuale utilizzo che il lettore potrà fare dei contenuti esposti.

Giovane bancario, single, con propensione al rischio alta, che investe con piani di accumulo ma solo su settori che riguardano il futuro, Green, Tech, Biotech, Intelligenza Artificiale etc etc. Benchmark: Nasdaq Comp.

DIVIDENDI E CEDOLE PER INTEGRARE IL REDDITO

ISIN

“La tecnologia ha aperto enormi prospettive, c’è FI0009000681 tutto un nuovo mondo da costruire, bisogna puntare US037833CD08 sul lungo termine”, sarà che ormai sono più di GB00BSM98843 20 anni che frequento il floor di borsa, ma ogni volta che sento frasi di questo tipo, o IT0004900160 vedo atteggiamenti euforici, anche senza guardare i grafici, mi si accappona la pelle. A IT0001479523 pronunciare quelle frasi è un amico che dopo molti anni ho ritrovato in occasione del Salone DE000A1TNV91 del Risparmio, una persona che fa il gestore da molti anni e che ne ha viste di ogni tipo, IT0005332595 forse anche più del sottoscritto, eppure anche dopo le batoste del 2000, che in un modo o nell’altro abbiamo pagato tutti, si fa travolgere dal fascino di questa nuova incipiente euforia tecnologica. Ha ragione lui e sono troppo diffidente io? L’esperienza a qualcosa deve servire, e le cicatrici sono ancora lì a ricordarti gli errori che hai fatto e che è meglio non ripetere. Però in borsa non tutto si ripete allo stesso modo, e se è vero che nel 2000 abbiamo aperto il portone verso un nuovo mondo in cui hanno cercato di entrare tutti,vè altrettanto vero che si deve passare alla seconda fase dell’opera: ora dopo aver preparato il terreno, su questo si deve iniziare a costruire. La borsa, come si dice in gergo, anticipa sempre e le aziende che sono uscite vincitrici sui mercati, sono le stesse i cui marchi fanno parte della nostra quotidianità. Proprio per questo, per affrontare la nuova fase evolutiva, attraverso il consolidamento della tecnologia esistente e l’esplorazione di nuovi campi, dalle quali potrebbero emergere

64 maggio 2019

IL PROFILO DEL MATCH

FONDO

MIX

NOKIA

20%

Apple 3.85% Call 04ag46

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DIRECTA PLUS

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DIGITAL MAGICS

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BE

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BITCOIN GROUP

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GRIFAL

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le invenzioni che possono veramente essere utili all’uomo e al pianeta, ho scelto per il nostro portafoglio sia titoli di società che sono diventate leader di mercati, sia società ancora di nicchia che stanno esplorando settori ad alto potenziale di crescita e che potrebbero diventare le leader del futuro. E’ vero che c’è un nuovo mondo, quello virtuale, ancora da costruire, ma è altrettanto vero che anche il “vecchio mondo” quello reale, ha bisogno di nuove strutture e invenzioni che potrebbero provenire dalla “green economy”, ripulire e disintossicare il mondo sono ormai necessità primarie. Scelti i prodotti e gli strumenti su cui puntare, in borsa bisogna anche saper trovare il momento e soprattutto il prezzo più vantaggioso. In questo il piano d’accumulo offre molti comfort operativi che diluiscono eventuali di rischi. Uno di questi è comprare troppo caro, perché quando è tutto caro, la festa è finita, fortunatamente quel momento ancora non è arrivato.


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LE SCELTE DEL CONSULENTE FINANZIARIO SALUTE, DIGITALE E SOSTENIBILITÀ DENOMINAZIONE

ISIN

VALUTA

PESO%

COSTI

FF - SUSTAINABLE WATER & WASTE

LU1915587072

EUR

10%

0,32%

NORDEA 1 GBL CLIMATE & ENVIR BP

LU0348926287

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PICTET DIGITAL P EUR

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0,26%

POLAR CAPITAL BIOTECHNOLOGY I

IE00B3WVRB16

EUR

12%

0,12%

ISHARES GLOBAL WATER ETF USD DIS

IE00B1TXK627

USD

15%

0,13%

VARIOPARTNER MIV GBL MEDTECH FD

LU0329630130

EUR

14%

0,14%

IE00BM67HT60

USD

12%

0,04%

X-TRACKERS MSCI WD INF TECH

TOTALE Marco Mattei* Questo portafoglio nasce da un principio di fondo che mi ha sempre ispirato, ovvero quello secondo cui un vero investitore non ragiona mai con lo “specchietto retrovisore”. Un investitore guarda avanti, molto avanti, cerca di capire dove sta andando il mondo piuttosto che il singolo titolo. Così nasce questo portafoglio, adattato e “tarato” su un profilo ben specifico. Il nostro investitore infatti è un impiegato di banca, giovane, ha un profilo di rischio dinamico e crede fortemente in quelli che saranno i temi del futuro. Ne sentiamo già parlare oggi in realtà. L’ultimo Salone del Risparmio mi ha dato proprio questa sensazione: mentre girovagavo tra le varie case prodotto, si percepiva la volontà di poter utilizzare la finanza come catalizzatore per un mondo più “green”, pulito, automatico e tecnologico. Pensate ai vecchi telefoni portatili con i tasti e guardate dove siamo arrivati oggi, dove non possiamo fare a meno del nostro smartphone, nonostante sia passato relativamente poco tempo. Torniamo al nostro portafoglio. La miglior strategia per il nostro investitore è sicuramente il piano d’accumulo, per sfruttare proprio la volatilità del mercato e soprattutto la volatilità di un investimento semi-settoriale. Ho dato per scontato che questo portafoglio sia inteso come parte “satellite” più che come parte “core” e che quindi debba avere determinate caratteristiche. In primis il costo: questo portafoglio multiasset è infatti composto da 2 Etf e da 5 Sicav, il tutto in stile azionario settoriale e ha un totale di costi ricorrenti pari a 1,39%. In questo modo potremo sfruttare sia l’eventuale alpha che i gestori cercheranno di fare sui settori prescelti, sia i minori costi dati dagli Etf, in qualità di fondi passivi. Per essere

1,39%

un investimento in stile azionario puro, considero il costo decisamente contenuto. Il secondo principio a cui si ispira questo portafoglio è quello di tentare comunque una bassa correlazione tra prodotti, nonostante la settorialità. Infine è giunto il momento di scegliere i “cavalli vincenti”, intesi come temi e aziende del futuro. Sun Tzu nell’arte della guerra afferma che ogni battaglia è vinta prima di essere combattuta. In questo caso spero che i settori scelti siano davvero vincenti. • Ambiente/green technology; • Acqua e energie rinnovabili; • Biotecnologia; • Farmaceutico tecnologico. Le scelte tattiche sono state principalmente quelle di sovrappesare i fondi che investono su tutto ciò che riguarda l’ambiente, dalle fonti rinnovabili alle nuove tecnologie per abbattere l’inquinamento e di sottopesare per il momento il settore tecnologico, sono dovute alle tensioni commerciali ancora presenti tra Cina e Stati Uniti. Il portafoglio così formato è stato provato in back test e i risultati sono stati davvero soddisfacenti, in quanto le performance a 3 anni sono state del 56,49%, con una volatilità del 12,49%, max drawdown di -14,7% e VaR al 95% è pari a 20,46%. Un aspetto importante che ho considerato riguarda la diversificazione valutaria. Due prodotti infatti hanno NAV espresso in Dollari. La scelta di mantenere il NAV in dollari per due prodotti (IE00B1TXK627 e IE00BM67HT60) ha un motivo ben specifico: ad oggi il cosiddetto hedging (la copertura dal rischio di cambio), costa circa il 3%. Questo valore è più probabile che diminuisca nel tempo (tassi invariati o al ribasso per Fed e tassi invariati o al rialzo per Bce nel futuro), ma non ho voluto comunque appesantire il rendimento con una copertura. Ecco così il portafoglio che potete leggere in tabella. *iscritto all’Albo Ocf, sezione dei consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede

maggio 2019 65


TALENT

LE SCELTE DEL ROBOT (elaborazioni di Investire sui dati Deus Technology) La grande bolla internet. Per gli investitori della mia generazione, è stata un’esperienza che rimarrà indelebile nella vita. Siamo in molti a essere saliti in giostra, alcuni con grande anticipo già a metà anni ’90 quando in Italia eravamo fermi a Mediobanca, Generali, Comit e Fiat, altri, molti altri ci hanno costruito sogni, si sono lasciati trasportare da un’ebrezza irresistibile che ha coinvolto il mondo perché, anche se pochi se ne accorgevano tanto erano frastornati dagli enormi guadagni, stava nascendo una nuova era. Il trading online, ovvero l’operatività diretta da casa del piccolo risparmiatore, era solo un piccolo simbolo, per alcuni addirittura il mezzo per cambiare vita. Basta posto fisso sotto padrone, d’ora in poi grazie alla borsa sarò il capo di me stesso. Purtroppo, come dopo ogni bel sogno, c’è un brusco risveglio, a volte traumatico, perché come si erano create in poco tempo, in ancor meno tempo quelle ricchezze e molti patrimoni sono stati bruciati, inceneriti e sepolti sotto le macerie di una caduta fragorosa di tutto quello che avesse anche solo un suffisso legato alla tecnologia. Dal nulla era venuto e nel nulla tornava. Questo era il pensiero della maggior parte dei risparmiatori, che dopo aver smaltito la rabbia e digerito la delusione, era ritornata ai meno emozionanti ma più stabili titoli obbligazionari. Invece no, perché quella era stata solo la prima battaglia di una grande rivoluzione, e come ogni battaglia aveva dei caduti (titoli tecnologici scomparsi e falliti) e dei superstiti, titoli cresciuti e divenuti oggi leader. Pochi avrebbero scommesso che il Nasdaq, da molti superficialmente

paragonato alla “Bolla dei tulipani”, sarebbe divenuto un indice di importanza mondiale tanto quanto il Dow Jones. Eppure un segnale che quella di 17 anni fa non era una favola ma una storia vera c’era, perché dopo lo scoppio della bolla, a San Josè (il centro della Silicon Valley), il valore degli immobili invece che crollare, rimase stabile. Mentre il popolo scappava dalle case, i futuri re costruivano i propri castelli. In questi 17 anni molte cose sono cambiate, se all’inizio i settori importanti erano i provider internet, le reti e la telefonia, oggi il potenziamento delle tecnologie è riuscito a creare un numero infinito di settori sui quali investire, perché il web è ormai un modo parallelo. Per questo abbiamo chiesto a Deus il nostro roboadvisor di scegliere quelle che potenzialmente possono essere i settori più interessanti su cui puntare. 70% azioni e 30% obbligazioni, questo è il primo risultato, i settori preferiti sono il Green, Salute e Sicurezza intesa come protezione informatica. Sembra lontanissima la prima lettura del “Genoma Umano” di Celera Genomics, ben 19 anni fa, in campo scientifico un evento paragonabile alla scoperta dell’America. Oggi siamo oltre, e si può fare molto di più. Per non parlare del Green dove Greta avrebbe molto da dire, c’è un intero mondo da pulire e bisogna inventare gli strumenti per farlo, strumenti che porteranno benessere al mondo e guadagni agli investitori. Sono passati 20 anni dalla grande bolla, ma siamo solo all’inizio di una nuova era, i giovani hanno una prateria davanti dove correre verso grandi guadagni, bisogna solo saper scegliere la direzione giusta.

COME PRENDERSI (SOLTANTO) IL BUONO DELL’HI-TECH ISIN

NOME

01/12/2018

LU0230911603

CS IF 13 Credit Suisse (Lux) Green Bond B Acc Hdg EUR

18,00%

LU0914734966

Mirova Euro Green and Sustainable Bond RE Acc EUR

12,00%

IE00BYPLS672

L&G Cyber Security UCITS ETF Acc EUR

16,00%

LU0171307068

BGF World Healthscience A2 Acc EUR

13,00%

US92204A5048

Vanguard World Funds Health Care ETF Dis USD

14,00%

US4642872919

iShares Global Tech ETF Dis USD

14,00%

US46137V7872

Invesco Dynamic Biotechnology & Genome ETF Dis USD

13,00%

UN PO’ DI CYBER-SECURITY MIGLIORA IL MIX PESO

MACRO

AZIONARIO

Obbligazionario

66 maggio 2019

70%

30%

MICRO

PESO

Azionario Health Care

27,00%

Azionario Cyber-security

16,00%

Azionario Tech

14,00%

Azionario Bio-Tech

13,00%

Obbligazionario Green Bond

30,00%


INVESTIRE SPECIALIST

La “Golden cross” avvia il rialzo? WALL STREET: “Golden Cross” ovvero la Croce dorata, un segnale tecnico che per i rialzisti equivale a una visione divina. Nel calcio equivale all’immagine di Cristiano Ronaldo per gli juventini, di Maradona per i napoletani, di Van Basten per i milanisti, di Totti per i romanisti e di Mourinho per quelli dell’Inter. Così abbiamo rispettato la par condicio e abbiamo reso l’idea. Quando appare “Golden Cross”, ovvero l’incrocio delle medie mobili più importanti che si intersecano al rialzo, si ha un segnale rialzista magico che apre a praterie dove i tori possono sgroppare liberamente. È un segnale rialzista, ma non di breve, non significa che deve realizzarsi nell’immediato, ma apre a una prospettiva. Attenzione dunque, perché prima potrebbe avere la precedenza l’altro importante segnale “sell in May e go away”, che oggi in presenza della Brexit rischia di portare a molti equivoci, tutti favorevoli a una correzione di breve.

TECHNOGYM: “abb” ovvero “accelerated bookbuild”, partiamo con un termine difficile, non spaventatevi si tratta semplicemente del passaggio fuori mercato di un consistente pacchetto di azioni da un investitore a un altro a un prezzo prestabilito e che di PAOLO D’AMICO, AD DIS norma è inferiore alle quotazioni ufficiali di borsa. Ed è quello che è avvenuto ad aprile quando Neri Alessandri fondatore di Technogym, attraverso la Wellness Holding (socio di maggioranza con il 51,74%) ha collocato attraverso un “abb” riservato a investitori qualificati italiani e istituzionali esteri, 14 ml di azioni ordinarie pari al 6,96% al prezzo unitario di €10,30. Questo tipo di operazioni non devono essere viste con sospetto, non sono dismissioni, ma semplici alleggerimenti che possono avere diverse motivazioni. Il vantaggio di questo tipo di operazione è nella velocità di dismissione senza intasare il mercato. Ben diverso è il “private placement” che spesso porta a confondere, quest’ultimo è un collocamento di titoli di nuova emissione ed è spesso una spia che si accende. Ricordiamo il caso Mediaset, fece un “pp” su prezzi che sono tutt’ora lontani anni luce. L’ultima ad aver fatto un “abb” è Reply, titolo ottimo come Technogym, a un’iniziale debolezza è seguito un lento ma costante recupero. D’AMICO: un piano coraggioso per un rilancio ambizioso.

NERIO ALESSANDRI FONDATORE DI TECHNOGYM

Queste sono le qualità e le intenzioni della famiglia D’Amico per riportare in auge la società e soprattutto il titolo in borsa. Ricordo che a Piazza Affari è quotata la Dis la divisione tanker e non la holding. I numeri annunciati da Paolo D’Amico (ad di Dis) sono questi: 22 navi nuove, tutte classe Ecoship, cioè attrezzate per viaggiare con un consumo del 25/30% inferiore rispetto alle altre navi, un piano di 750 milioni di dollari già avviato nel 2012. Perché la grande novità è nella “Imo 2020”, la normativa internazionale che impone un tetto massimo del contenuto di zolfo nel carburante che passerà dall’attuale quota del 3,5% a 0,5% massimo. Questo cambiamento porterà a un aumento della richiesta di carburante a basso contenuto di zolfo, e di carburante tradizionale miscelato al distillato. Perché sono i “carichi liquidi” la merce di cui D’Amico è uno dei principali trasportatori, e una potenziale maggiore richiesta troverà la società pronta grazie agli investimenti fatti preventivamente e all’aumento della flotta. Il rilancio parte da qui, le basi sono solide e promettenti. Il 2018 nel settore carico liquidi è andato molto male e di riflesso il titolo in borsa è precipitato ai minimi, ora però la curva, anche nel settore noli, è pronta a invertirsi. Se il trasporto tra l’Asia (il più grande produttore) ed Europa e Usa (i maggiori richiedenti) tornerà in piena attività, avendo anticipato i concorrenti, D’Amico sarà di sicuro nuovamente protagonista. Prezzi da saldo.

BITCOIN GROUP SE: in finanza non esistono “pasti gratis”, e questo lo sappiamo già, ma forse non tutti sono a conoscenza del fatto che la finanza non è democratica, mai. Non esiste un socialismo finanziario, il guadagno non è per tutti, ma solo per chi se lo “merita”. Così è accaduto con il Bitcoin, salito vorticosamente per mesi, una volta che sono stati creati gli strumenti per renderlo disponibile al grande pubblico, la criptovaluta, d’improvviso è crollata. Ora, se pensate che la moneta virtuale abbia un futuro, e se pensate che il prezzo sia tornato conveniente e volete investire, questa società che investe proprio sul Bitcoin potrebbe essere il veicolo giusto per puntare sul rialzo. Proprio ora che più nessuno ci crede. Quale migliore occasione? maggio 2019 67


SEDIE & POLTRONE di Marco Muffato Casacche che si scambiano, volti noti che passano da un ruolo all’altro: il valzer delle poltrone è intenso nella finanza, dove vige ancora il merito e dove chi rende bene viene promosso o ricoperto di offerte allettanti. Agli HR il compito di attrarre i talenti, a noi quello di raccontare il risiko, oltre a notizie e indiscrezioni su un mondo ricco di costanti novità.

LANGÈ È IL DOPO INNOCENZI ALLA PRESIDENZA AIPB

P

aolo Langé (nella foto) già membro del consiglio di amministrazione e del comitato direttivo di Aipb e rappresentante nell’Associazione di Cordusio sim (gruppo UniCredit), è il nuovo presidente di Aipb, l’associazione italiana private banking, che dal 2004 riunisce i principali operatori nazionali e internazionali del private Banking. Langé è stato eletto all’unanimità dal cda nominato il 12 aprile dall’assemblea ordinaria dell’associazione, che ha altresì ringraziato il

presidente uscente, Fabio Innocenzi, per l’impegno profuso nel corso dei suoi tre anni di mandato. L’assemblea ordinaria ha confermato Antonella Massari nella carica di segretario generale. Per il prossimo triennio (2019-2022), Langé ha sottolineato che Aipb dovrà puntare a: comunicare con continuità gli aspetti distintivi del private, consolidare la sostenibilità dell’industria e contribuire all’ulteriore miglioramento della reputazione del private.

DI MURO PRENDE AMATO NEL TEAM

PISANI LASCIA LYXOR PER AMUNDI SGR

L

I

laria Pisani (nella foto) è da oggi la head of asset management clients della business unit Etf, indexing & smart beta per l’Italia di Amundi Sgr. La manager risponderà direttamente a Vincenzo Sagone, head of Etf, indexing & smart beta business unit di Amundi in Italia. Prima di entrare in Amundi Pisani ha ricoperto il ruolo di head of institutional sales per la divisione italiana di Lyxor Etf (gruppo Société Générale) dal 2014, dove si è occupata dello sviluppo del business Etf nel mercato istituzionale italiano.

a rete di IWBank Private Investments inserisce un consulente di esperienza nell’area di Napoli. Il professionista abilitato all’offerta fuori sede, Paolo Amato, proviene da Banca Patrimoni Sella & C. e opererà nella struttura dell’area manager Carmine Fiordellisi, entrando a far parte dell’area centro-sud di IWBank Private Investments guidata da Paolo Isidoro. Per IWBank, la banca del gruppo Ubi Banca specializzata nella gestione degli investimenti di individui e famiglie, questo nuovo ingresso rappresenta un ulteriore importante tassello nel percorso di potenziamento della rete già in atto sull’intero territorio nazionale, così come delineato dal dg Dario Di Muro (nella foto).

IL POKERISSIMO DEI PARENTINI

A

zimut Global Advisory, l divisione di Azimut Capital Management focalizzata sui servizi di consulenza evoluta guidata da Alberto e Alessandro Parentini (nella foto) inserisce 5 cf nella struttura. A roma entra Pietro Anellino, ex Banca Consulia dove seguiva la clientela sia private sia istituzionale; Fabrizio Spirito che lascia

Widiba dove faceva parte del Top Club; Emiliano Dentico che conta esperienze maturate in Xelion (poi Fineco) e nella consulenza indipendente; Massimo Arzilla, già direttore del private banking di Roma per Banca del Fucino. Consolida la presenza della divisione a La Spezia Ylenia Bertonati che proviene da Banca Mps dove era gestore premium.

ANSELMI PRESIDENTE DELLA SGR DI CONSULTINVEST

L

’assemblea ordinaria dei soci di Consultinvest Asset Management sgr ha nominato Luca Anselmi (nella foto) presidente del consiglio di amministrazione. Professore di Economia aiendale all’Università di Pisa, Anselmi ha ricoperto diversi incarichi di consigliere e sindaco in importanti enti

68 maggio 2019

e società ed in organismi accademici e di ricerca scientifica. Anselmi succede a Mario Salerno, in carica dal 2008. L’assemblea ha confermato gli altri sette componenti del cda tra cui Alberto Pastorali (vice presidente) e Maurizio Vitolo, amministratore delegato e direttore investimenti


INVESTIRE SPECIALIST

PROFESSIONE CONSULENTE Risponde Francesco Priore all’indirizzo priore.studio@virgilio.it Startupper e decano della consulenza finanziaria, Priore ha fondato l’Anasf e contribuito alla fondazione dell’Albo. Docente Universitario, autore e consulente di comunicazione e marketing finanziario. È stato direttore marketing della rete di Banca Fineco e membro del CdA di Consultinvest Sim.

ACCANTONARE PER UN FUTURO SERENO

IL GESTORE PIÙ CARO È IL PIÙ BRAVO

Ho 25 anni, sono un ingegnere

Nell’ aggiornare la posizione

informatico, un ottimo lavoro che per

di un mio cliente ho analizzato i fondi

il momento mi porta in giro per il mondo,

in portafoglio ce ne sono due analoghi

mi consente di guadagnare bene ma non

di Sgr diverse, nell’ ultimo anno hanno

di mettere su famiglia. Ho la sensazione

ottenuto lo stesso rendimento, ma uno

che ammesso che riesca ad andare

ha un costo doppio rispetto all’altro,

in pensione questa non mi consentirà

“switcho” su quello col costo più basso

di mantenere un tenore di vita dignitoso.

o…?

C.A. via mail

I

ngegnere, complimenti, lei è uno dei pochi giovani che non si nasconde il problema più importante del futuro: il ridimensionamento dello stato sociale cioè pensioni, sanità, ecc. L’allungamento della vita media e la denatalità sembrano fenomeni irreversibili, tali da far prevedere che pur lavorando e versando i contributi per 50 anni, nel 2070 quando lei prevedibilmente andrà in pensione riceverà un assegno pari al 40% dell’ultimo stipendio. La previsione è aritmeticamente semplice due terzi della popolazione in quiescenza ed un terzo che paga i contributi per erogare le pensioni. Oggi deve decidere se a 75 anni vorrà essere un povero vecchio o un vecchio signore, dipenderà da quanto vorrà accantonare nei prossimi anni. Se accantonasse per esempio 250 euro al mese in piani di investimento finanziario e/o assicurativo per i prossimi 50 anni, accantonerebbe 150.000 euro ben investiti dovrebbero generare un capitale sufficiente a fornirle una rendita integrativa. Tutto questo non è sufficiente, ogni anno dovrebbe investire quello che è riuscito a risparmiare, con il criterio “contrarian” e facendosi assistere da un buon consulente finanziario. Per i primi 30 anni entrando in qualunque momento nel mercato finanziario, comprando fondi o titoli azionari solidi che sono in una fase di ribasso per rivenderli al rialzo e proseguire così, senza aspettare che il mercato tocchi i massimi o i minimi. E’un concetto semplice, comprare la merce buona, s’intende diversificando, quando tutti vendono e vendere quando tutti comprano. L’analisi comportamentale dimostra il contrario, al ribasso la maggioranza vende “per contenere le perdite”, dimenticandosi che ai ribassi seguono i rialzi, solo chi ha la forza di entrare e rimanere attivo nel mercato guadagna di sicuro. Un investimento sistematico diversificato, accompagnato da investimenti secchi e l’assistenza di un consulente potranno consentirle di vivere senza troppe ansie economiche. Per abbatterle del tutto oggi sottoscriva una polizza infortuni invalidità e inabilità quando, come presumo, metterà su famiglia e anche una polizza vita, la speranza di vita sta aumentando e i premi diminuiranno.

R.S. via mail

C

arissimo, stando a quello che dicono i media da anni si dovrebbe a prescindere scegliere quello che costa di meno, ritenendo che l’obiettivo del cliente è spendere meno e non ottenere il risultato migliore. Tu puoi dimostrare che scegliendo il fondo più caro stai facendo l’interesse del cliente, perché il gestore più caro che è riuscito ad avere lo stesso rendimento del meno caro è più capace, il meno caro se fosse stato più bravo avrebbe dovuto dare un risultato maggiore almeno pari alla differenza dei costi. Se entrambi hanno performato al 10%, il primo ha costi 4% e il secondo 2%, il secondo avrebbe dovuto performare al 12%. Il più caro è il più bravo. I costi per i servizi finanziari vengono demonizzati dai media, normalmente invece sono anche un mezzo per aiutare i clienti a riflettere. L’esempio più eclatante sono stati i costi per i piani di accumulo in fondi comuni, i famosi Pac, già alla fine degli anni ‘60. L’Ios importò la prassi Usa, un Pac veniva sottoscritto con almeno i primi 13 versamenti versati in un’unica soluzione, dai primi 13 versamenti venivano prelevate come spese, sino a 150.000 lire di versamento unitario, il 50% cioè 975.000 lire.Al completamento del piano a 10 o 15 anni il costo totale si riduceva al 5%. Il vantaggio dell’elevato costo iniziale consisteva nell’obbligare il sottoscrittore a proseguire nei versamenti sino a raggiungere il pareggio per poi andare in utile. Ci volevano degli anni e nel frattempo il sottoscrittore si era abituato agli alti e bassi del mercato e normalmente non liquidava in anticipo. Quei costi erano giustificati da un mercato che doveva decollare, ma anche con costi più adeguati il metodo del pesante prelievo iniziale era ed è valido. Purtroppo poi sono entrate sul mercato le banche che pensavano di potersi permettere di non far pagare le spese e di smerciare i 4-7 anni come medio e lungo termine. Questa scelta non è stata utile alle banche, ma la conseguenza più grave è che gli investitori si sono abituati a non tener conto della variabile tempo, che in un investimento di risparmio ben gestito è il fattore vincente. Un costo elevato è giusto se dà un servizio migliore. maggio 2019 69


POLITICA INTERVISTA CON GIOVANNI SABATINI (ABI)

«L’Europa riscriva le norme bancarie quelle di oggi frenano la crescita»

L

a sentenza del Tribunale Ue che ha dato ragione all’Italia sulle regole bancarie e la vigilia dell’elezione del Parlamento Europeo col vento di novità che spira sull’Unione del futuro, incoraggia certamente le nostre istituzioni. Giovanni Sabatini, da dieci anni direttore dell’Abi (Associazione bancaria italiana), intervistato da Investire, chiede esplicitamente alle istituzioni europee una rivisitazione delle regole per la gestione delle crisi bancarie: per Sabatini, che è anche presidente del Comitato esecutivo della Federazione bancaria europea, ”normative e indicazioni eccessivamente restrittive impediscono alle banche di operare al meglio per accompagnare la crescita dell’economia’’. La sfida della crescita, riconosce Sabatini, coinvolge tutti gli operatori economici e le banche sono in tal senso impegnate per concorrere allo sforzo comune, ma perché ciò avvenga al meglio molto anche in questo settore deve cambiare a livello europeo. Dopo la sentenza del Tribunale Ue che ha accettato il ricorso dell’Italia sul caso Tercas, la maggioranza giallo-verde ha depositato in Senato una mozione con cui si impegna il Governo a chiedere i danni alla Commissione europea per il suo no all’uso del fondo interbancario per il salvataggio della Tercas e anche delle quattro banche in risoluzione. Anche l’Abi intende assumere qualche iniziativa? Al momento dobbiamo attendere che la sentenza passi in giudicato. Dalla data della pubblicazione debbono trascorrere sessanta giorni, durante i quali la Commissione potrà valutare se fare ricorso. Il quadro giuridico comunitario individua, pur nella sua complessità, responsabilità per i danni cagionati dalla Commissione o da altri istituzioni dell’Unione. Occor70 maggio 2019

di Claudio Sonzogno

Giovanni Sabatini, direttore generale dell’Abi

rerà studiare, cosa che stiamo già facendo, chi sono i soggetti legittimati ad agire per ottenere il rimborso e quali le strade da percorrere per meglio instradare le richieste di risarcimento. Prima della sentenza Ue, l’Abi e la Banca d’Italia hanno espresso l’opportunità di rivedere o ritardare l’introduzione del cosiddetto bail-in. Ora ritiene che ci siano più possibilità di vedere accolte queste richieste? La sentenza del Tribunale dell’Unione Europea dello scorso 19 marzo ha segnato, per certi versi, un punto di svolta, confermando che dai trattati in vigore - anche in assenza di una vera e propria Costituzione comunitaria - discende un impianto istituzionale di garanzie che consentono l’annullamento di atti assunti da Istituzioni comunitarie che dovessero risultare contrari al diritto della stessa Unione. Con specifico riguardo alla direttiva Brrd e allo strumento del bail-in utilizzabile in caso di risoluzione occorre chiaramente distinguere tra passività che rappresentano un investiment - per esempio le azioni, le obbligazioni subordinate - e passività che rappresentano risparmio - i depositi in tutte le loro forme -. I depositi in quanto risparmio sono tutelati dalla costituzione italiana e debbono essere tenuti indenni dalla procedura di “bail-in”. La possibilità che i depositi possano essere intaccati in caso di una procedura di risoluzione mina la fiducia nel settore bancario e dunque un elemento essenziale per il buon funzionamento del circuito del credito, questa è la ragione per cui la norma deve essere modificata.


POLITICA Quanto pesano i nuovi regolamenti europei sulla capacità di far credito alle imprese, soprattutto le Pmi? Come detto, il meccanismo del bail-in mina la fiducia nel settore bancario e per questo può avere effetti destabilizzanti. Più in generale sull’operatività quotidiana delle banche italiane e europee pesa senz’altro l’incessante susseguirsi di norme non sempre coordinate tra loro, che non sempre rispettano i principi della proporzionalità e non adeguatamente supportate da accurate analisi di impatto. Norme sempre più stringenti quali le nuove definizioni per il passaggio a crediti deteriorati delle esposizioni delle famiglie o delle imprese, le nuove regole sugli accantonamenti automatici sui crediti deteriorati (“calendar provisioning”), le nuove regole contabili introdotte con il principio Ifrs) renderanno più onerosa l’erogazione del credito specie alle piccole e piccolissime imprese. Normative e indicazioni eccessivamente restrittive in campo bancario impediscono alle banche di operare al meglio per accompagnare la crescita dell’economia. Non a caso negli Stati Uniti è stato avviato un processo di ricalibrazione delle regole sulle banche proprio per eliminare possibili effetti negativi di quelle regole sull’economia e la crescita. Le istituzioni europee debbono domandarsi quali modelli di banca sono funzionali alla struttura economica dei paesi dell’Unione e rimodulare le regole bancarie in maniera coerente.

la gestione delle crisi bancarie. Occorre un nuovo approccio, valorizzando il ruolo di prevenzione e di gestione anticipata che potrebbero svolgere i fondi di garanzia dei depositi. Occorre anche ripensare le regole europee sugli aiuti di stato al settore finanziario contenute nella comunicazione della Commissione del 2013. Senza voler ritornare a meccanismi che prevedano i salvataggi pubblici e che determinerebbero rischi di “azzardo morale” (moral hazard”) occorre però tenere presente che la stabilità è un interesse generale e quando questo rischia di essere compromesso occorre un intervento di ultima istanza (“back stop”). Passiamo all’economia reale. A gennaio, come emerso da dati della Bce, le imprese italiane hanno ritirato più di 20 miliardi dai depositi overnight presso le banche. Secondo i dati e le previsioni in suo possesso, quale potrebbero essere le ripercussioni sul sistema creditizio del rallentamento della crescita, da noi maggiore che nel resto d’Europa? Le variazioni mensili dei depositi sono influenzate da diversi fattori, anche di ordine strettamente statistico. Fisiologicamente nei mesi di gennaio, luglio e ottobre si registrano ogni anno dei deflussi, anche a motivo di riversamenti fiscali, mentre i mesi di marzo, giugno, settembre e dicembre sono mesi di forte aumento dei depositi. Quindi non occorre focalizzare l’attenzione su un solo dato mensile. È comunque indubbio che le prospettive dell’andamento del Pil, come pure degli investimenti, rivestano un ruolo cruciale. L’economia si sviluppa se cresce la domanda aggregata, di consumi e di investimenti. La sfida della crescita coinvolge tutti gli operatori economici, il governo, le istituzioni e le autorità di vigilanza: le banche sono in tal senso convintamente impegnate per concorrere allo sforzo comune. Sul fronte macroeconomico occorre mantenere un approccio costruttivo, assieme agli altri operatori economici, per non lasciar affievolire la ripresa. Il settore bancario fa i conti con una drastica riforma strutturale che negli ultimi dieci anni ha determinato la riduzione di ben 7000 sportelli. Quali sono i traguardi nei prossimi anni della mutazione digitale? Il calo degli sportelli è uno degli aspetti della rivoluzione digitale in atto da anni. Attualmente il totale degli sportelli bancari è sceso sotto le 26mila unità, rispetto ai quasi 33mila del 2012: tale tendenza riflette i cambiamenti nelle esigenze della clientela, che apprezza la possibilità di svolgere velocemente e in mobilità le operazioni bancarie, con conseguente costante crescita dei canali a distanza. Infine, quale è il livello di sicurezza su cui cittadini e imprese possono oggi contare utilizzando la ‘banca digitale’? Ogni anno le banche investono centinaia di milioni nello sviluppo di sistemi e soluzioni di difesa atti a contrastare le frodi informatiche: questi investimenti, uniti a una attenta e continua attività di monitoraggio, alle iniziative di formazione del personale e alle campagne di sensibilizzazione dei clienti, si traducono nella messa a disposizione di servizi e soluzioni che assicurano protezione, riservatezza e sicurezza e al contempo consentono alla clientela di gestire operazioni in mobilità in modo facile, veloce e sicuro.

OCCORRE UN APPROCCIO CHE VALORIZZI IL RUOLO DI PREVENZIONE E DI GESTIONE ANTICIPATA CHE POTREBBERO SVOLGERE I FONDI DI GARANZIA DEI DEPOSITI Sempre in tema di bail-in, a che punto è la soluzione tampone del network di fondi nazionali con accordi di finanziamento obbligatorio da parte della Bce al Fondo che lo richieda? Il tema è tuttora oggetto di dibattito. Il nodo prioritario da sciogliere, anche alla luce dell’importante sentenza della corte di giustizia europea è quello di individuare misure europee che consentano di gestire la crisi delle banche che non abbiano rilevanza sistemica in modo rapido, efficiente e non traumatico sul modello di quanto avviene negli Stati Uniti con la Federal depository insurance company (Fdic). Una volta risolto questo tema si potrà adottare un approccio pragmatico anche alla realizzazione della fondo europeo di garanzia dei depositi attraverso la creazione di un network dei sistemi di garanzia nazionali sui depositi basato su accordi di rifinanziamento pronti a essere attivati tempestivamente in caso di esaurimento delle risorse di un singolo sistema di garanzia. Che cosa risponde a chi critica la proposta del cosiddetto bail-out, una soluzione per le banche in crisi che si fonderebbe sull’utilizzo del debito sovrano? Il debito pubblico è un fardello che appesantisce i bilanci degli Stati e mina le prospettive di crescita. Questo vale a maggior ragione per l’Italia il cui livello di indebitamento è particolarmente elevato. La riduzione del debito pubblico, tema economico prima che politico, è una priorità assoluta e ineludibile. Ma un tema importante è una completa rivisitazione delle regole per

maggio 2019 71


TREND DIBATTITO SENZA CONFINI

Quella teoria economica tentatrice che «assolve» il debito pubblico

P

di Ugo Bertone

er Larry Fink, ceo di BlackRock si tratta di «una sciocchezza». L’ex segretario al Tesoro Lawrence Summers, che a suo tempo coniò il termine, parla di «illusione pericolosa». E l’economista Shanik Dhar, non si pone neanche la questione: la Mmt, acronimo che sta per Modern monetary theory, non è una teoria, non è moderna e non è monetaria. Eppure, a dieci anni dalla crisi di Lehman Brothers e a un anno dalle elezioni, la teoria è già al centro del dibattito politico Usa, dopo aver innescato polemiche e una diatriba che, secondo un finanziere del calibro di Mark Haefele, chief investment officer global wealth management di Ubs, «può condizionare le decisioni di portafoglio». Anche per questo merita capire l’ultima onda lunga che sta investendo i mercati. In estrema sintesi la Mmt dice che il disavanzo pubblico è una scrittura contabile. Tutto il denaro è creato dal governo che quindi non rimarrà mai senza poiché lo stampa e lo mette in circolazione. La moneta è dunque una “creatura dello Stato”, il che comporta diverse conseguenze: non esiste per esempio alcuna ragione perché la spesa pubblica debba essere coperta da un corrispettivo prelievo fiscale. Perciò lo Stato può spendere senza prima avere incamerato il gettito fiscale e così impiegare tutte le risorse necessarie a incrementare l’attività economica e l’occupazione. L’unico vero vincolo è rappresentato dall’inflazione. Me finché le risorse disponibili dell’economia non vengono esaurite, non si corre il rischio di un’impennata dei prezzi per penuria di beni a disposizione, come sta accadendo per esempio in Venezuela o nello Zimbabwe, impoverito dalla cacciata degli agricoltori per far posto ai partigiani di Mugabe. Un deficit più elevato finanziato mediante la stampa di moneta non rappresenta perciò necessariamente un problema, come dimostra il Giappone, vera sfida all’ortodossia economica. Il debito pubblico giapponese è pari al 240% del Pil nazionale e si attesta sopra il 200% già da dieci anni, mentre il bilancio della BoJ è superiore al Pil del paese. Invece l’inflazione è ferma ad appena lo 0,2% su base annualizzata. La politica macroeconomica giapponese nell’era dell’Abenomics presenDONALD TRUMP ta molti elementi tipici 72 maggio 2019

ALEXANDRIA OCASIO-CORTEZ

PER LA MODERN MONETARY THEORY GLI STATI POSSONO INDEBITARSI SENZA LIMITI della Mmt, tra cui una forte espansione del bilancio della banca centrale e un aumento della spesa pubblica. Anche i detrattori della Mmt sperano che l’esperimento giapponese serva a scongiurare una spirale deflazionistica. Per i sostenitori della Mmt però il vero fallimento è quello dell’Eurozona, dove è vietato il finanziamento monetario: nonostante la combinazione di cinque anni di tassi negativi e di Quantitative easing (Qe), la crescita della Germania, paese modello sul fronte della disciplina di bilancio, ha toccato un minimo quinquennale nel 2018 e l’economia tedesca si è trovata sull’orlo della recessione. «Di questo passo», argomenta Paul Diggle, senior economist di Aberdeen Standard, «non ci vorrà molto perché i mercati tornino a considerare un nuovo Qe. Anche se esiste la possibilità che la Cina possa venire in soccorso grazie all’accordo sui commerci che rilanci i grandi esportatori europei. Ma non è certo l’approccio ottimale della politica monetaria». Tutto questo spiega il revival della Mmt, teoria in realtà non nuovissima ma che per decenni è rimasta patrimonio di un piccolo manipolo di economisti eretici ma che, dopo la crisi del 2008, si è imposta come una moda culturale della sinistra ma che a destra influenza anche l’azione di Donald Trump, uno che non si fa troppi scrupoli sul debito e che teme assai di più la deflazione che non l’aumento dei prezzi. A sinistra a guidare la sfida è l’astro nascente Alexandria Ocasio Cortez, così giovane che non potrà presentarsi alle presidenziali prima del 2024. In occasione della sua prima intervista al


TREND New York Times, Alexandria, già vincitrice di un prestigioso premio al liceo (poi cameriera per pagarsi gli studi), mise le mani avanti: «Ho intenzione di parlare soprattutto di Mmt». Nel giro di pochi mesi la più giovane deputata americana, approdata al Congresso dopo aver battuto alle primarie uno dei deputati più vicini a Hillary Clinton ha in pratica rivoluzionato l’agenda del partito: basta con l’approccio morbido e moderato, via libera a un programma basato sull’aumento della spesa pubblica che deve salire fino a garantire a tutti un lavoro ben retribuito (o una sorta di reddito di cittadinanza per chi vuol stare a casa). Via libera anche al Green New Deal, dovrà favorire la transizione rapida all’economia verde grazie a forti investimenti nelle energie alternative. E ancora: istruzione di qualità aperta anche ai più poveri, sanità gratuita e casa per tutti. Facile che il partito democratico non adotti un programma così estremo, ma non mancano altri segnali di cambiamento: il socialismo non è più un tabù per la generazione Z, stressata dal calo del reddito. Basti citare il caso Amazon. Il sindaco di New York Bill de Blasio aveva fatto ponti d’oro per convincere Jeff Bezos a scegliere la metropoli quale secondo quartier generale del gigante dell’e-commerce, allettato dalla creazione di 50 mila posto di lavoro. Ma le proteste popolari guidate proprio dalla terribile Alexandria contro gli sgravi fiscali concessi all’azienda del miliardario in cambio di impieghi mal retribuiti, hanno costretto l’uomo più ricco del mondo a desistere, nonostante Bezos sia il nemico dichiarato di Trump. Anche il presidente però non disdegna il richiamo del populismo targato Mmt. Trump è senz’altro un paladino della crescita senza troppo badare ai vincoli di bilancio. E la sua ossessione principale è la recessione. «Vuol farmi fare la fine di Hoover», è l’accusa che ha sillabato contro il numero uno della Fed Jerome Powell citando il presidente “colpevole” del crack del ’29. Per questo Trump ha mandato all’avanscoperta Larry Kudlow, il suo consigliere economico, che ha spiegato in tv che i tassi devono scendere ancora di almeno mezzo punto e va abbandonata l’idea di ridurre il bilancio della Banca Centrale, già gonfiato dagli acquisti per fronteggiare la recessione passata. Ma il presidente non è uomo da accontentarsi di mezze misure. Trump è passato all’azione con la nomina di nuovi banchieri centrali per coprire le posizioni vacanti alla banca centrale, snobbando accademici e banchieri in odore di ortodossia. E lo ha fatto con la delicatezza di un elefante in cristalleria. Prima scandalizzando le teste d’uovo di destra e di sinistra ha nominato Stephen Moore, già suo consulente elettorale, suscitando le proteste degli economisti che “non lo ritengono all’altezza”. Non pago ha rincarato la dose nominando nel board Hermann Mc Cain, cioè il proprietario della catena “Godfather Pizza”, abile uomo d’affari peraltro costretto a rinunciare alla politica perché implicato in alcuni scandali sessuali, convinto assertore che la deflazione, e non l’inflazione, sia il pericolo principale da contrastare a ogni costo. Insomma più passa il tempo più s’impone la voglia di soluzioni radicali. Presto, non solo in America, potremmo dover scegliere tra la “Pizza del Padrino” e il ballo di Alexandria, l’unica che ha registrato più tweet di Trump. Andrà così? Difficile dirlo. Ma in ogni caso il dibattito sulla Mmt è destinato a proseguire. E, nota Haefele, «i disavanzi nazionali continueranno a crescere, dato che numerosi politici dagli orientamenti più diversi – come Alexandria Ocasio-Cortez e Larry Kudlow – sono convinti che non ostacolino la prosperità». Potremmo trovarci perciò in un contesto di politica di bilancio più

SHINZO ABE

L’INQUIETANTE ESEMPIO DI TOKIO, AL 240% DI DEBITO/PIL espansiva e di politica monetaria ancora accomodante, un binomio in grado di prolungare ulteriormente la durata del ciclo e sostenere il rally degli strumenti rischiosi. «La storia recente», conferma Haefele, «ha dimostrato che la spesa in deficit può avere un impatto concreto sui portafogli d’investimento». L’Abenomics è stata introdotta all’inizio del 2013 e a metà del 2015 il valore del Nikkei era raddoppiato, i rendimenti obbligazionari erano scesi fino a 20 punti base (pb) e il cambio dollaro-yen era passato da 86 a 125. Più di recente i tagli alle imposte sulle imprese varati da Donald Trump nel 2017 hanno dato un forte impulso agli utili aziendali, contribuendo a spingere l’S&P 500 sui massimi storici a settembre 2018. Ancora la breve impennata registrata lo scorso anno dai rendimenti dei Btp a due anni a seguito dei timori di un possibile declassamento del rating sovrano dell’Italia ha fornito l’opportunità di trarre profitto dalle paure legate ai deficit. Ma attenzione, avverte il gestore. «In un’ottica di più lungo periodo tuttavia dobbiamo costruire portafogli abbastanza robusti da riuscire a sopravvivere pure se le cose andassero come sempre. Anche questa volta. In ultima analisi un elevato disavanzo potrebbe ancora generare un aumento dell’inflazione e dei tassi d’interesse e una svalutazione del cambio. Senza dimenticare che le politiche monetarie e di bilancio dei paesi principali non avranno tutte gli stessi esiti: alcune avranno successo e altre falliranno». Per l’Italia in particolare non è il caso di scherzare con il debito. maggio 2019 73


AFFARI INTERNI INTERVENTO

Credito bancario avaro? Arrivano i “basket bond” per le Pmi pugliesi di Federico Pirro

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a tradizionale elevata dipendenza delle imprese italiane e pugliesi dal credito bancario e la loro conseguente esposizione ai contraccolpi derivanti dalle strategie praticate dagli istituti creditizi nel ridurne l’erogazione, hanno reso sempre più evidente la necessità di promuovere interventi mirati per mitigare tali effetti e rendere disponibili adeguate risorse per le imprese in possesso di apprezzabili margini di crescita e di sviluppo. Tra queste misure risultano di primaria importanza gli strumenti di finanza innovativa rivolti alle imprese di piccola e media dimensione che - interessate a usufruire di finanziamenti diversi da quelli ordinari delle banche - potreb-

Michele Emiliano, presidente della Regione Puglia

COME AIUTARE LE IMPRESE A EMETTERE MINIBOND CON GARANZIE PUBBLICHE bero invece utilizzare quelli previsti nella forma di minibond, ovvero di obbligazioni finanziarie rivolte a investitori professionali e istituzionali, emessi da imprese non quotate che in tal modo ampliano la disponibilità di mezzi da destinare a investimenti a breve, medio e lungo termine. Al fine di attuare le suddette finalità la Regione Puglia è stata la prima tra quelle italiane a istituire un “ Fondo minibond” individuandone la sua società in house Puglia Sviluppo come soggetto gestore che ha pubblicato l’avviso per la selezione di operatori finanziari per lo svolgimento del servizio di arranger in relazione alla strutturazione di operazioni di un portafoglio di minibond. Si tratta di uno strumento innovativo finalizzato a sostenere 74 maggio 2019

piani di sviluppo delle Pmi che presentino potenzialità di emissione di minibond supportati da garanzie pubbliche, favorendo in tal modo la disintermediazione del credito bancario attraverso l’utilizzo di un canale alternativo costituito dal ricorso al mercato dei capitali. Lo strumento - attuato attraverso la logica di portafoglio, i cosiddetti basket bond con i quali si cartolarizzano i minibond - ha la finalità di rendere disponibili per le Pmi pugliesi risorse finanziarie destinate all’emissione degli stessi. Se da un lato la Regione interviene con una garanzia sulle prime perdite del portafoglio di minibond costituito dall’arranger - la garanzia è di tipo pignoratizio costituita nella forma di junior cash collateral - dall’altro lato gli investitori istituzionali avranno a disposizione una dotazione di risorse, con le quali la Regione partecipa all’investimento attraverso lo strumento finanziario. Inoltre la stessa Regione porrà a disposizione delle Pmi sovvenzioni dirette per abbattere i costi di emissione dei minibond e di certificazione dei rating e dei bilanci. La dotazione del fondo di finanziamento del rischio ammonta a complessivi 40 milioni di euro e potrà generare un significativo effetto leva in quanto consentirà di sviluppare fino a 100 milioni di euro di nuovi minibond emessi dalle Pmi. Il portafoglio dei minibond dovrà essere costituito da un insieme di prestiti obbligazionari di nuova emissione aventi una durata massima di 7 anni; il taglio dei singoli minibond è compreso fra 2 e 10 milioni di euro. Tali prestiti obbligazionari dovranno essere destinati a investimenti in attività materiali e immateriali localizzati in Puglia e per spese in capitale circolante legato ad attività di sviluppo ed espansione. Gli operatori finanziari interessati a candidarsi in qualità di arranger, hanno partecipato inviando la propria offerta telematica entro e non oltre le ore 12 dell’8 marzo 2019, tramite il portale EmPulia. Tale misura rappresenta per la Regione Puglia un ulteriore passo in avanti nel campo dell’innovazione finanziaria che conferma il posizionamento dell’ente fra quelli più efficienti in Italia nel sostegno al tessuto produttivo, grazie all’utilizzo di strumenti finanziari altamente innovativi.



COMMODITY INDUSTRIA IN ASCESA

Tra Elon, Warren e Bill, che lotta per il controllo del litio di Gian Marco Litrico

OGNI AUMENTO DI UN PUNTO DEL MERCATO DELL’AUTO ELETTRICA RICHIEDE 70MILA TONNELLATE DEL METALLO

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ono passati solo due anni dalla standing ovation mediatica tributata al litio come elemento-chiave nello sviluppo dell’auto elettrica. L’effetto Tesla aveva colpito nel mucchio: da Goldman Sachs che fantasticava di un “Petrolio bianco”, all’Economist che definiva il litio come “la commodity più eccitante al mondo”, sino ad arrivare a Bloomberg che suonava la carica perchè “è ora di prepararsi a una vita senza petrolio”. Questo nonostante il colosso petrolifero Exxon, i 30 miliardi di dollari all’anno di tutta l’industria estrattiva del litio, li fatturi in un mese. Le tre aziende più importanti, che capitalizzavano a Wall Street tra i 13 e i 10 miliardi di dollari, Albemarle (Nyse:Alb), Sociedad quimica y minera de Chile (Nyse:Sqm) e Fmc (Nyse:Fmc) venivano da un 2017 di vento sotto le ali, con rendimenti annuali compresi tra il 50% e il 114%, contro il + 20,5% dello S&P. Tutte e tre operative nel Triangolo del Litio, una enclave di terra tra Bolivia, Argentina e Cile, un nuovo iperbolico Medio Oriente con la metà dei giacimenti mondiali (anche se una volta era l’85%). Nel 2018 ecco invece la tempesta perfetta. Sqm e il Corfo, l’ente cileno per lo sviluppo economico, si accordano sui diritti per i giacimenti di litio nel Salar de Atacama. Sqm potrà produrre sino a 216 mila tonnellate all’anno dal 2025. Un miliardo di investimenti permettendo, inclusi i 15 milioni di dollari all’anno per le comunità locali per mitigare l’impatto ambientale dell’attività estrattiva, e con meccanismi di calmieramento dei prezzi. L’esperto, Joe Lowry, si sbilancia: «Produttori di batterie e di auto possono dormire sonni tranquilli, visto che la materia prima ci sarà per anni». Il Financial Times mette la ciliegina sulla torta e proietta 500 mila tonnellate di carbonato di litio sul mercato entro il 2025. Fantastico, si direbbe. Aumenta la domanda, la produzione si adegua e fa da traino al prezzo. E invece l’inevitabile non succede mai e l’inaspettato succede sempre, come da classico adagio keynesiano: Morgan Stanley prevede un surplus di 190mila tonnellate per fine 2020 e un calo del 45% del prezzo del carbonato di litio. Risultato: nel 2018 l’industria perde a Wall Street tra il 20 e 40%, incluso l’Etf Global X Lithium and Battery, sceso del 26%. Vero, i prezzi delle commodity fluttuano di anno in anno per le più svariate ragioni, e questo vale anche 76 maggio 2019

per il litio, in parte commodity soggetta alla meccanica della domanda-offerta, in parte prodotto chimico, variabile per qualità e processi di lavorazione. Per capirci, ci sono produttori “hard rock”, che estraggono il litio tritando una roccia che si chiama spodumene, con un procedimento più rapido e più costoso di quello usato, per esempio in Sud America, dove l’acqua salata sotterranea contenente il litio viene pompata in superficie e fatta evaporare per 18 mesi. Senza trascurare la crescente popolarità dell’idrossido di litio, che costa di più del carbonato, ma è anche più versatile. Le previsioni per il 2019 risentono ancora della “maledizione” di Morgan Stanley, ma lo tsunami di prodotto pronosticato non c’è stato. Per Andrew Miller di Benchmark Mineral Intelligence anzi non c’è un rischio di sovrapproduzione perchè gli impianti per estrarre il litio da batterie sono relativamente pochi. In passato l’industria ha sovrastimato la velocità di incremento della produzione: durante il boom del 2010-2012, un miliardo di investimenti permise di aggiungere solo 22mila tonnellate al totale mondiale, rimasto fermo a 35-40mila tonnellate all’anno per quasi un decennio. Nel 2017 si è arrivati a 69mila tonnellate e a 85mila nel 2018, escludendo dal computo gli Usa che considerano top secret i dati sulla produzione di litio (a parte un giacimento in Nevada, ne hanno comunque poco, anche se i cervelloni di Stanford stanno pensando di estrarlo dai supervulcani). Per contro la domanda di litio cresce più velocemente di qualsiasi altra commodity del secolo scorso e potrebbe quadruplicare entro il 2025, per arrivare a 900 mila tonnellate, secondo Forest Hills Lithium, con investimenti per 8 miliardi entro la stessa data. Per Goldman Sachs per ogni punto percentuale di incremento del mercato mondiale dell’auto elettrica servono 70 mila tonnellate di litio in più. A ottobre dell’anno scorso c’erano 50 nuove mega e giga factory pianificate o in costruzione nel mon-


COMMODITY do. Erano 3 nel 2015. Negli Stati Uniti c’è un parco circolante di 280 milioni di auto, con un mercato di sostituzione annuale di 17 milioni di auto. In teoria, se tutte le nuove auto acquistate negli Usa fossero elettriche, ci vorrebbe più di un milione di tonnellate di litio all’anno. E vent’anni per sostituire l’intero parco automobilistico. Toyota, General Motors, Nissan, Volvo, Volkswagen hanno annunciato 90 miliardi di dollari di investimenti per convertire l’auto all’elettrico. I governi non sono da meno: la Norvegia, che ha il petrolio, ha deciso di vietare le auto a benzina dal 2025, l’India dal 2030, la Francia dal 2040 e il Regno Unito dal 2050. La Merkel non ha preso un impegno preciso, ma sostiene con convinzione che l’Europa debba dotarsi di svariate gigafactory. Insomma, a una domanda esplosiva corrisponde una produzione che fatica a tenere il passo. Tra le aziende da tenere d’occhio restano le 3 grandi, Albemarle (Alb), Sociedad quimica y minera (Sqm) e Livent (Lthm.n), lo spin off del business del litio di Fmc, che proprio grazie, o a causa, del 2018 sottotono, sono diventate dei possibili “entry point”. Albemarle, che nel frattempo ha tolto a Sqm lo scettro del più grande produttore mondiale, quotava a poco più di 80 dollari a metà aprile, dopo un picco di 108 e un minimo di 71 nel corso delle ultime 52 settimane. Sqm è a sua volta sotto i 38 dollari, essendosi mossa tra 36 e 58 dollari nell’ultimo anno, ma è salita del 12% dall’inizio del 2019. Le azioni di Livent sono intorno ai 12 dollari, contro i 17 dollari del prezzo di collocamento, nell’ottobre del 2018. Come sempre bisogna fare i conti la Cina che, secondo Benchmarch Mineral Intelligence, ha il 40% del litio mondiale, più del 90% della capacità di raffinazione del cobalto (che serve per il catodo) e il 50% della produzione delle batterie per i prossimi 10 anni. Tutto come da 13mo piano quinquennale per il paese del Dragone, dove l’inquinamento fa 4000 morti al giorno, Pechino e Shangai sono avvolte in una nube di smog e le targhe per le nuove auto a benzina sono assegnate attraverso un’asta o una lotteria (una possibilità su duemila). Da tenere sotto osservazione Tianqi (Szse:002466), che controlla al 51% le miniere Greenbushes in Australia e ha comprato l’anno scorso il 24% di Sqm per poco più di 4 miliardi di dollari, nonostante la resistenza di Julio Ponce Lerou, ex uomo-chiave di Sqm sin dalla sua privatizzazione negli anni ’80, voluta dal suocero di Lerou, tale Augusto Pinochet. Ma anche Ganfeng Lithium (Szse:002460) che è tra i fornitori di Tesla e di LG, e ha lanciato un Ipo da un miliardo di dollari alla Borsa di Honk Kong. Il terzo nome è obbligato: l’azienda rivale di Tesla, Byd (01211), quotata a Hong Kong e Shenzen, di cui detiene il 10% Warren Buffet e che l’anno scorso ha venduto 520 mila macchine (+27% in un anno). Cresciuta in Borsa del 162% negli ultimi 5 anni, ad aprile era vicino ai massimi dell’anno, a 54 yuan, lontana però dai 73 yuan del picco del 2017. A marzo ha perso il 3% dopo il taglio dei sussidi governativi, ma ha anche annunciato che quoterà lo spin-off della sua Divisione Batterie. Tra le aziende più giovani, e più rischiose, i nomi da seguire sono quelli di Lithium Americas, società canadese che ha una WARREN BUFFET

joint venture con Ganfeng in Argentina, e l’australiana Galaxy Resources (Galxf), una penny stock di poco sopra i 2 dollari, che ha perso il 50% nel 2018, ma che ha progetti in Argentina, Australia e Canada. Del sistema-litio, oltre alle aziende minerarie estrattrici, con cui le case automobilistiche negoziano le loro forniture, fanno parte anche le aziende che producono le batterie, un mercato che dovrebbe crescere del 16% all’anno, dai 37 miliardi del 2018 ai 92 miliardi del 2024. Da seguire nomi come Panasonic (Otcmkts:Pcrfy), legata a doppio filo a Tesla (-36% nel 2018) o Toshiba (Otcmkts:Tosbf), che invece è riuscita a crescere in Borsa di un 5%, grazie anche ad un portafolio prodotti variegato che ha contenuto gli effetti della volatilità del settore. Per chi non vuole prendere troppi rischi, ma crede alle potenzialità di tutta la industry, l’Etf Global X Lithium and Battery, nonostante il ridimensionamento del 2018, è ancora una possibilità. Un modo di guardare “out of the box” all’industria del litio è allargare lo sguardo alle aziende che nascono per risolvere i problemi creati dalla sua produzione e dallo smaltimento delle batterie. Anche se Obama non è più alla Casa Bianca, le aziende Clean Tech hanno un mercato previsto da 21 miliardi di dollari nel 2025. Un esempio è American Manganese (Tsxv:Amy), un’azienda canadese che ha sviluppato un processo idrometallurgico per riciclare i materiali contenuti nella batterie, cobalto e litio inclusi. Un ultimo punto, diciamo così prospettico: c’è una ventina di tecnologie che puntano a sostituire le batterie al litio, che però sono in auge da 25 anni e tali resteranno per i prossimi 5. Pensieri e parole di Paul Lee, analista di Deloitte. Le celle a idrogeno, inventate a metà del 19esimo secolo per esempio sono ancora lontane dall’essere uno standard di mercato. Tra Elon Musk e Warren Buffet, impegnati in una sorta di braccio di ferro per il controllo delle risorse mondiali di litio, c’è anche un terzo incomodo, Bill Gates. Con un gruppetto di amici, inclusi Jeff Bezos, Jack Ma, Richard Branson e Mark Zuckerberg, ha investito un miliardo di dollari nel litio. Nel dubbio però finanzia anche altre tecnologie e ha soprattutto indicato nel nucleare di quarta generazione una delle dieci tecnologie vincenti per il 2019. Un modo come un altro per rispondere alla domanda: oltre che col solare e l’eolico, come si caricheranno le batterie al litio di auto e aerei nei prossimi dieci anni?

ELON MUSK

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MOTORI IN CERCA DI ALLEANZE

La Fca della sora Camilla sposarsi, vendersi, far da sé

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di Franco Oppedisano

er sposarsi bisogna essere in due. E in questo caso la faccenda è complicata perché la sposa (Fca, o meglio il suo presidente John Elkann, il dominus assoluto dell’azienda dopo la scomparsa di Sergio Marchionne) vuole soldi in contanti o avere un peso importante nella nuova società, mentre i possibili sposi (gli altri grandi costruttori di automobili) non sono disposti a darle né una cosa né l’altra. Tutti la vogliono e nessuno la piglia come la “sora Camilla” del proverbio. La storia dei frequenti e fugaci fidanzamenti di Fiat Chrysler si riassume, a grandi linee, in questo modo e l’articolo che state leggendo potrebbe finire qui. Ma c’è un problema: nonostante tutto quello che raccontano Elkann e il ceo Mike Manley, un matrimonio, un accordo, una cessione sono fondamentali per il futuro di Fca. Non solo per ridurre i costi fissi degli investimenti e fare economie di scala, anche se già questi risparmi sarebbero sufficienti a giustificare un merger. Ma anche perché, al contrario delle donne del secolo scorso che, gravide, dovevano sposarsi a ogni costo per non finire sulla bocca di tutti, Fca ha

IL TRILEMMA DI ELKANN: NOZZE (MA LO SPOSO NON SI TROVA), VENDERE A PEZZI O CONTINUARE A BALLARE DA SOLI i cassetti vuoti. È senza progetti da sfoderare e senza i soldi per fare gli investimenti che i concorrenti stanno mettendo in campo. A parte lo stellone italico e il genio di alcuni dei suoi collaboratori che sono riusciti a sfornare una low-car come la Centoventi, ha in mano poco o nulla in cantiere. Intanto i tempi stringono e i problemi da affrontare si moltiplicano. A complicare la faccenda si aggiunge poi il fatto che Fca è composta di tre realtà molto diverse tra loro: Jeep e Ram che, specie negli Usa, vanno come treni, Alfa Romeo e Maserati che stanno combattendo ad armi impari contro gli altri marchi premium, e i brand mass market, come Fiat e Chrysler, che perdono terreno rispetto ai competitor. Sposarsi è difficile e indispensabile. E a tutti farebbe piacere convolare a nozze, entrare da protagonisti nel mercato americano e avere nel carniere un marchio come Jeep. Il problema sono le condizioni da mettere nero su bianco nel contratto di matrimonio. I coreani finora non si sono messi d’accordo sul prezzo. Sembra che il gruppo Hyundai (che comprende oltre al marchio omonimo anche Kia) abbia offerto 20 miliardi di euro. E che 78 maggio 2019

Elkann abbia considerato insufficiente la cifra. Le trattative si sono interrotte, ma potrebbero riprendere in qualsiasi momento. La presenza tra i principali azionisti di Hyundai, del fondo attivista Elliott, che ha nella sua squadra Alfredo Altavilla, il manager che ha lasciato Fca dopo che Elkann gli ha preferito Mike Manley per il ruolo di ceo, può aiutare o complicare a dismisura le trattative. Dal punto di vista tecnologico l’acquisizione farebbe un gran bene a Fca, mentre i coreani potrebbero sfoggiare dei marchi premium da sfoggiare a livello mondiale. I cinesi invece si sono fatti avanti a più riprese e si hanno notizie certe di un interessamento di Great Wall, il più internazionale dei costruttori locali, e di Geely, che, dopo aver già comprato Volvo, ha deciso di prendere una partecipazione consistente in Daimler e qualche settimana fa ha annunciato di aver un accordo con Mercedes per rilevare il 50% di Smart e produrla in Cina. I soldi e la disponibilità dunque ci sono ma manca l’agibilità geopolitica. Più chiaramente: è difficile


MOTORI immaginare il presidente americano Donald Trump che approva la vendita di Chrysler, Dodge, Ram e, soprattutto di Jeep agli “odiati” cinesi. Sarebbe come se la chiesa cattolica vendesse la basilica di San Pietro ai buddisti. Al massimo l’opzione cinese potrebbe rientrare se prende piede l’ipotesi di una vendita dei soli marchi italiani: solo la vecchia Fiat, insomma, prima del merger negli Usa. Ford e Gm invece sono i partner di Fca che sogna Trump, ma entrambi non sono minimamente interessati a ritornare o aumentare la propria presenza in Europa mettendosi sul groppone i marchi italiani. Lo hanno dimostrato con i fatti sia General Motors, vendendo Opel a Peugeot-Citroen (Psa) per un pezzo di pane (1,3 miliardi di euro), sia Ford, annunciando tagli draconiani di personale in Europa. Gm e Ford poi hanno un proprietà diffusa e, con uno scambio carta contro carta, la Exor di Elkann diventerebbe in entrambi i casi il primo azionista. Cosa che farebbe molto piacere al presidente di Fca, ma non piacerebbe affatto agli americani. I francesi sono entrati prepotentemente in partita solo di recente, ma i contatti durano da anni. Il ceo di Psa Carlos Tavares ne ha parlato senza remore ed è stato confermato anche dalla famiglia Peugeot che, insieme alla Stato francese e ai cinesi di Dongfen, controllano la società con il 14,1% delle azioni ciascuno. Di acquisto cash non se parla. La società vale in Borsa più o meno quanto Fca e non è semplice immaginare uno scambio di titoli che metta sullo stesso piano Exor e gli attuali maggiori azionisti.

Nella pagina accanto John Elkann e Mike Manley, presidente e ad di Fca. A destra Carlos Tavares, ceo di Psa. Sotto Alfredo Altavilla, ex responsabile delle attività europee di Fca

Ci sarebbe molto lavoro per gli studi legali, ammesso e non concesso che Elkann sia interessato a un manage a quattro e che Trump dia il via libera a un’operazione che vede coinvolti, anche se non protagonisti, i cinesi. Con Renault, alle prese con una vera e propria rivoluzione dopo l’incarcerazione del leader degli ultimi vent’anni Carlos Ghosn, la faccenda - se possibile - è ancora più complicata. I maggiori azionisti sono, con il 15% ciascuno, lo Stato francese e Nissan, di cui Renault detiene a sua volta il 43%. L’interesse per Fca è subordinato a un difficile merger tra la marca della Megane e i giapponesi e sembra più un’azione di disturbo a mezzo stampa nei confronti dei cugini di Psa che altro. L’obiettivi di entrambi i costruttori sono le economie di scala e come è accaduto per Opel non ci sarebbero in vista buone notizie per gli stabilimenti in Italia. I giapponesi sembrerebbero fuori dalla partita, almeno all’apparenza. Toyota non ha mai fatto shopping all’estero. Per Honda, molto più piccola, vale lo stesso discorso, mentre Suzuki ha fatto un tentativo con il gruppo Volkswagen qualche anno fa, terminato con un divorzio litigioso che non induce certo il management a riprovarci. Senza considerare Jaguar Land Rover, che è alle prese con ben altri problemi, restano i tedeschi. Del gruppo Volkswagen si è già detto tutto e il contrario di tutto. Non sbagliamo nel dire che negli anni scorsi si è stati molto vicini dal concludere l’operazione, bloccata solo dalla resistenza granitica dei sindacati, alleati con Land locali, la politica nazionale e una parte della famiglia Porsche, azionista di riferimento. Tanto vicini eravamo allora, tanto lontano lo siamo ora. Wolfsburg ha preso un’altra strada, quella della elettrificazione a tutti i costi, e condurla in porto è fondamentale per la sua esistenza. Bmw, controllata dalla famiglia Qandt che ha in mano poco meno del 50%, dovrebbe spendere alcune decine di miliardi per comprare Fca e non si capisce perché dovrebbe farlo, mentre Elkann non accetterebbe la posizione di azionista con meno del 10%. Il maggiore azionista di Daimler-Mercedes ha invece poco più del 5% ed è, come dicevamo, il cinese Geely, ma il costruttore di Stoccarda sembra indirizzato su altre strade e il management tedesco, forse, non sarebbe d’accordo nel trovarsi tra i piedi un azionista attivo come Exor con più o meno il 10%. In fondo alla lista restano quelle che al momento sono le ipotesi più probabili: lo status quo e la vendita a pezzi. La prima è una strada tutta in salita, quella di un Davide contro una decina di Golia, mentre la seconda è semplice: i marchi americani in America, i mass market ai cinesi e quelli premium ai coreani. maggio 2019 79


MALCOSTUME SISTEMA MEDIATICO

Storia ragionata delle fake news, i buchi neri dell’informazione di Giuseppe D’Orta

C

ontrariamente a ciò che si crede, le fake news non sono un fenomeno che nasce con l’esplosione dei social network nell’ultimo decennio, né tanto meno con internet. Anche i media tradizionali sono stati usati, per meglio dire sfruttati, per motivi tutt’altro che leciti. Ai tempi del boom di borsa degli anni ‘80, per esempio, in numerose reti televisive locali del nord Italia furoreggiava il professor Italo Polimeni, specializzato in azioni del Terzo Mercato, ossia gli scambi informali tra operatori che si tenevano a Piazza Affari, un mondo allora di scambi “alle grida”. Un mercato assai opaco in cui si scambiavano titoli di aziende spesso sconosciute. Al professore era sufficiente nominare un’azione e 80 maggio 2019

LE NOTIZIE FALSE NON SONO NATE CON IL BOOM DEI SOCIAL BENSÌ CON I MEDIA TRADIZIONALI. CAMBIANO I MEZZI MA NON LE FINALITÀ (SPESSO TRUFFALDINE) puntualmente questa vedeva crescere i volumi e il prezzo. Tra gli esperti, molto consistenti erano i sospetti di una pratica di “pump and dump”, ossia comprare titoli per poi spingere altri all’acquisto, vendendo loro i titoli precedentemente comprati a minor prezzo. Il professore continuò la propria attività a mezzo tv, stampa e -adeguandosi ai tempi- newsletter via fax prima e web poi, fino alla morte avvenuta nella primavera del 2000, a seguito della quale si scoprì l’attività abusiva di gestione sul future Mib30 che proponeva ai clienti dell’attività di consulenza.


MALCOSTUME

ALL’ALBA DI INTERNET I FORUM E I NEWSGROUP VEICOLAVANO NOTIZIE DUBBIE CHE SMUOVEVANO I TITOLI Campagne stampa “contro” malevoli. Anche la carta stampata non è stata immune da macchie. Fece scandalo l’episodio, sempre relativo agli anni ottanta, quando il finanziere Orazio Bagnasco cominciò a collocare i certificati di diritto svizzero (definiti atipici proprio perché non regolati dalla normativa italiana) del fondo Europrogramme international serie 69. Uno strumento sino ad allora poco conosciuto in Italia che, oltre a promettere rendimenti allettanti, prospettava agli investitori una parvenza di solidità perché puntava su un settore considerato particolarmente sicuro come quello immobiliare. Purtroppo il limite di questo strumento era quello di essere di tipo aperto: le sue quote, cioè, potevano essere rimborsate in qualunque momento dietro richiesta. Il fondo venne messo in ginocchio da una catena di eventi negativi, in particolare da una campagna stampa molto aggressiva che sfruttò il mancato inquadramento giuridico dei contratti, appunto atipici. Il risultato fu una raffica di richieste di riscatto. Non essendo in grado di farvi fronte, il fondo dovette alzare bandiera bianca. Ma a differenza di numerosi cavalieri dell’atipico (Vincenzo Cultrera, Luciano Sgarlata e altri) che ne seguirono le orme con intenti truffaldini, nel caso di Bagnasco gli immobili erano stati acquistati davvero. E tuttora danno i loro frutti tanto che la liquidazione ha consentito il rientro di importi a volte superiori rispetto al versato. Quando c’erano i forum e i newsgroup. Nell’era di internet, prima dei social, erano i forum ed i newsgroup a catalizzare gli interessati al trading. Non erano infrequenti episodi piccoli e grandi di notizie più o meno credibili, che rimbalzando da un forum all’altro riuscivano a smuovere le quotazioni dei titoli a

Nella foto sopra Vincenzo Cultrera. In basso Orazio Bagnasco

minor flottante del listino italiano e non solo, come i circuiti statunitensi Otcbb e “pink sheets”. Un controverso episodio, che avrebbe di sicuro meritato l’interessamento della Vigilanza, risale al 6 novembre 2001, quando la Banque Populaire du Luxembourg si dichiarò pronta - per conto di terzi - a rilevare per 18 euro per azione la Dmail quotata al Nuovo Mercato, un prezzo circa il doppio rispetto ai 9,98 euro della chiusura precedente, già in forte rialzo. L’offerta sarebbe rimasta valida fino al 20 dicembre, ma il termine trascorse senza che accadesse alcunché. Il titolo Dmail ovviamente precipitò, tornando ai livelli precedenti e anche meno. La Consob avrebbe potuto, e anzi dovuto, pretendere un formale comunicato e soprattutto indagare una volta che la presunta offerta si era risolta in una bolla di sapone. Clamoroso, poi, lo “scherzo” di un adolescente marchigiano che, nel periodo immediatamente successivo agli attentati dell’11 settembre 2001, nel forum di Finanzaonline.com, il principale in Italia, postò la notizia di una bomba esplosa a Piazza San Pietro. Il post fu immediatamente rimosso dagli amministratori, ma costò una denuncia all’autore. Le banche creano denaro dal nulla. Esistono fake news diffuse per motivazioni diverse, che vanno dal voler attirare a sé una notevole quantità di persone, lettori del blog e di account social ad esempio, agli scopi di propaganda elettorale. Sul concetto di riserva frazionaria, semplice ma sconosciuto, in anni recenti sono state costruite fortune anche politiche da parte di blogger che, manovrando sapientemente le notizie e dando addosso alle “banche cattivone” anche le rare volte in cui non lo maggio 2019 81


MALCOSTUME sono, siedono oggi in Parlamento. Un’intramontabile notizia è che “le banche creano danaro dal nulla”. Il meccanismo è invece quello della riserva frazionaria, ossia la quota di depositi che per legge ogni banca deve detenere sotto forma di contanti o di attività facilmente liquidabili. Il resto può essere impiegato in altra maniera, e soprattutto prestandolo. L’ammontare dei prestiti dipende dall’ammontare del conto di tesoreria presso la Banca Centrale (con la riserva a 1%, circa 100 volte tanto). Di conseguenza, un semplice spostamento di deposito da una banca ad un’altra provoca un effetto moltiplicatore, negativo per la prima e positivo per la seconda, di circa 100 volte il suo ammontare. I risparmiatori, che hanno un saldo di conto positivo, sono portati a pensare di “avere dei soldi”. In realtà essi ne hanno solo il possesso temporaneo: i soldi sono della banca, ed esistono solo perché qualcuno è andato alla banca a chiederli in prestito. Quando si legge il bilancio di una banca, pertanto, dobbiamo tenere presente che i soldi dei risparmiatori (i debiti verso la clientela) sono stati emessi prima dalla banca, precisamente dal sistema bancario nel suo complesso. Prima è nato il credito e quindi il debitore della banca, mentre il creditore-risparmiatore è una conseguenza di ciò. Ma il credito bancario non nasce dal nulla ma dalla riserva frazionaria. Una banca con depositi pari a zero non può creare un bel niente.

Vecchie news spacciate per nuove. Sul web occorre anche prestare attenzione a notizie false che in realtà sono vere ma datate. Negli Stati Uniti, dove i trader tengono costantemente monitorati anche i social network e i feed informativi dei giganti del web, è accaduto che delle vecchie notizie riguardanti società quotate a Wall Street finissero in cima alla trendline di Google News, finendo per essere interpretate come delle novità. Ciò può accadere perché tutto è gestito automaticamente da un software, e data ed orario visualizzati accanto agli articoli indicano non la loro pubblicazione originaria, bensì il momento in cui l’articolo è stato aggiunto o aggiornato in Google News. È quindi sufficiente un aggiornamento come anche un ritardo di pubblicazione per porre in cima all’elenco temporale delle informazioni che nuove invece non sono. Con tutto ciò che ne può conseguire in termini di effetto sulle quotazioni. 82 maggio 2019

OCCHIO ALLE NOTIZIE VERE MA DATATE CHE SPESSO FINISCONO IN CIMA A GOOGLE NEWS E SONO LETTE COME NOVITÀ

I 7 MODI DI FARE DISINFORMAZIONE svelati da Claire Wardle, direttrice di First Draft, non-profit dedicata alle sfide che l’era digitale pone in termini di fiducia e veridicità

1

COLLEGAMENTO INGANNEVOLE:

quando titoli, immagini o didascalie differiscono dal contenuto.

CONTENUTO INGANNATORE:

quando il contenuto viene spacciato come proveniente da fonti realmente esistenti.

3

CONTENUTO FALSO AL 100%:

quando il contenuto è completamente falso, costruito per trarre in inganno.

CONTENUTO MANIPOLATO:

quando l’informazione reale, o l’immagine, viene manipolata per trarre in inganno.

5

4

MANIPOLAZIONE DELLA SATIRA:

quando non c’è intenzione di procurare danno, ma il contenuto satirico viene utilizzato per trarre in inganno.

CONTENUTO FUORVIANTE:

quando si fa uso ingannevole dell’informazione per inquadrare un problema o una persona.

7

2

CONTESTO INGANNEVOLE:

6

quando il contenuto reale è accompagnato da informazioni contestuali false.


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SCENARI LA NUOVA VIA DELLA SETA

Pechino detterà l’agenda del sogno euroasiatico di Gloria Valdonio

I

l sogno eurasiatico prende forma grazie alla più grande opera infrastrutturale della storia: “One belt, One road” (detta anche Belt & Road Initiative), il cui investimento è stimato attorno a 2-3 trilioni di dollari tra porti, aeroporti, autostrade, ferrovie, impianti per la produzione di energia e altre infrastrutture. Un’opera faraonica che coinvolgerà 70 nazioni, 4,4 miliardi di persone (il 63% della popolazione mondiale), circa il 75% delle riserve energetiche, un terzo del Pil mondiale (pari a 23mila miliardi di dollari), e progetti di nuove infrastrutture per quasi mille miliardi di investimenti. Lo sviluppo del progetto strutturale - che prevede l’apertura di quattro rotte terrestri e due marittime, alle quali si aggiungerà la Pista artica con la costruzione del più grande rompighiaccio nucleare - è stato relativamente lento nel biennio 2015-2016, principalmente a causa del controllo sui capitali del governo di Pechino e delle preoccupazioni legate alla valuta cinese. Recentemente però Obor ha preso il largo grazie al supporto finanziario dell’Asian Infrastructure Investment Bank (AIIB) - che conta tra i suoi membri anche Francia, Germania e Gran Bretagna - e di altre banche. «Si tratta di

PER LA CINA «ONE BELT, ONE ROAD» È UN VEICOLO DI DIVERSIFICAZIONE DELLE PRODUZIONI E OFFRE SBOCCHI COMMERCIALI AL SURPLUS PRODUTTIVO. PER L’EUROPA I VANTAGGI SONO INCERTI un’importante strategia economica e commerciale che punta a far rinascere lo storico percorso della Via della Seta tra Cina e Europa», spiega Charles Hamieh, portfolio manager di Rare Infrastructure, affiliata del gruppo Legg Mason specializzata nei titoli infrastrutturali. E per la Cina è l’occasione per ridefinire il suo modello di sviluppo da officina manifatturiera a basso costo a protagonista della globalizzazione con prodotti e servizi che competono con quelli europei nei settori ad alta intensità di tecnologia. Terminale Italia. In questo quadro il 23 marzo l’Italia – che è importatore netto dalla Cina con export per 13,169 miliardi di euro contro 30,780 miliardi di import e un trend negativo (-2,4% nell’export a fronte di un aumento dell’8,2% dell’import) nel 2018 - ha siglato (primo Paese del G7 a farlo) il suo accordo con la Cina offrendo l’ultimo porto del Mediterraneo prima del transito delle merci verso il Nord Europa. L’intesa si articola in 29 capitoli, la maggior parte istituzionali (solo una decina quelli tra le aziende) per un totale di 7 miliardi di euro: un investimento tutto sommato contenuto rispetto alle ambizioni cinesi e anche a quelle italiane con il Mise che qualche settimana fa prevedeva un minimo di 50 accordi. Investimento multilivello. Per la Cina si tratta di un investi-

LE NECESSITÀ DI SPESE GLOBALI IN INFRASTRUTTURE - LE SPESE PASSATE IN INFRASTRUTTURE (2000-2015) CONTRO LE SPESE NECESSARIE IN INFRASTRUTTURE (2017-2035) SPESE NECESSARIE SPESE PASSATE IN INFRASTRUTTURE 2000-2015 IN FRASTRUTTURE 2017-2035

DIFFERENZA%

MERCATI SVILUPPATI

15 TRILIONI

25 TRILIONI

+68%

MERCATI EMERGENTI

15 TRILIONI

44 TRILIONI

+198%

TOTALE

30 TRILIONI

69 TRILIONI

+133%

FONTE: MCKINSEY GLOBAL INSTITUTE DISCUSSION PAPER ‘BRIDGING INFRASTRUCTURE GAPS - HAS THE WORLD MADE PROGRESS’ OCTOBER 2017.

84 maggio 2019


SCENARI mento multilivello con dividendi sia economici sia geopolitici. One belt one road garantirà infatti un forte supporto logistico alle esportazioni cinesi (abbattendo i costi di trasporto) e faciliterà l’approvvigionamento di materie prime. Si prevede anche che l’opera avrà l’effetto di accelerare l’internazionalizzazione delle aziende cinesi creando multinazionali e catene di approvvigionamento internazionali, mentre la cooperazione finanziaria rafforzerà il ruolo della valuta cinese a livello globale. «In ogni caso riteniamo che l’obiettivo economico chiave nel medio-lungo termine sia la diversificazione delle esportazioni cinesi e la transizione verso una produzione a maggior valore aggiunto», è il parere di Hamieh. Come spiega uno strategist a Investire, il progetto soddisfa la necessità macroeconomica di Pechino di dare impulso all’offerta interna che soffre di sovracapacità produttiva creando maggiori infrastrutture e quindi nuovi terminali commerciali. L’opera offre anche uno sbocco per l’occupazione delle grandi imprese pubbliche cinesi impegnando le sue enormi riserve valutarie. C’è poi un aspetto militare, il meno indagato dalle analisi pubblicate in questi giorni, che è legato ai porti che la Cina intende costruire o rinnovare sulla Via della seta, che stuzzica le ambizioni della marina cinese. Ma soprattutto Obor permette alla Cina di affermarsi come vero leader

nell’economia digitale. La Via della Seta digitale. La Via della Seta Digitale infatti resta sotto traccia rispetto agli aspetti più tangibili dell’iniziativa, come i collegamenti terrestri e marittimi. «Tuttavia, l’innovazione e gli sviluppi domestici e all’estero renderanno la Cina e i suoi giganti tecnologici leader globali imponendo al cambiamento tecnologico un ritmo che altri dovranno seguire», spiega Kim Catechis, head of emerging markets di Martin Currie (gruppo Legg Mason). Come spiega Catechis, gli avanzamenti dell’economia digitale cinese negli ultimi anni sono stati incredibili: già oggi ammonta a oltre il 30% del Pil e si stima che la percentuale aumenterà parecchio nei prossimi dieci anni. «Pechino ha gettato le fondamenta per creare una delle migliori infrastrutture digitali al mondo, che include un piano triennale per costruire un mercato di applicazione dell’intelligenza artificiale del valore di oltre 15 miliardi di dollari», racconta ancora Catechis. A ciò si aggiunge la competenza raggiunta nelle telecomunicazioni, so-

Ecco il tracciato possibile della nuova Via della Seta, via terra e via mare

GLI INVESTIMENTI DI IERI E QUELLI DI DOMANI (E DOVE)

Spese passate in infrastrutture (2000-2015)

Spese necessarie in infrastrutture (2017-2035)

25

24 20

15

10

8 5

6 1

1

4

1

3

0 Cina

India

America Latina

Medio Oriente

0

1 Africa

1

3

Europa dell’Est

1

4

Altri emergenti Asia

FONTE: MCKINSEY GLOBAL INSTITUTE DISCUSSION PAPER ‘BRIDGING INFRASTRUCTURE GAPS - HAS THE WORLD MADE PROGRESS’ OCTOBER 2017.

maggio 2019 85


SCENARI prattutto nelle infrastrutture 4G e 5G, che si connettono al nuovo sistema di navigazione satellitare BeiDou (Orsa Maggiore), che punta a espandersi fino a coprire un network globale di oltre 30 satelliti, andando a competere con il GPS degli USA. Per inciso è proprio questo il capitolo più controverso e inviso al presidente americano Donald Trump. «Presto la Cina potrebbe diventare la nazione più connessa al mondo e diventare quindi un vettore di connessione lungo la Via della seta», spiega Catechis. «Le aziende cinesi sono già impegnate a migliorare o creare infrastrutture Itnei Paesi in via di sviluppo (le tre grandi telco statali – China Telecom, China Unicom e China Mobile – stanno posando cavi tra l’Asia e l’Europa, ndr), dando vita a smart city in vari punti del percorso». «Obor non è una collezione di progetti infrastrutturali scollegati tra loro, ma un’iniziativa volta a creare connessioni. Per questo motivo le telecomunicazioni sono incluse nella sua prima vasta area di attività”, aggiunge Aneeka Gupta, associate director of research di WisdomTree. I primi risultati della teoria arrivano dal Principato di Monaco, dove il gigante Huawei ha sviluppato la rete 5G, e dalla Malesia, dove Alibaba ha già realizzato una zona di libero scambio digitale, migliorando il commercio grazie alla velocizzazione delle procedure doganali. Fronte occidentale. Secondo gli strategist, escludendo la Cina, sono dieci i mercati – India, Russia, Indonesia, Corea, Turchia, Arabia Saudita, Iran, Tailandia, Taiwan e Polonia - che produrranno il 66% del Pil della Belt & Road Initiative, e che beneficeranno della maggior parte delle opportunità commerciali del progetto. Molte aziende hanno già avviato proficue partnership con le loro controparti cinesi nella regione della Bri e altre ne seguiranno con le banche multilaterali di sviluppo (Mdb), come la Banca mondiale, principali finanziatori delle infrastrutture. «Le imprese cinesi hanno avuto maggiori difficoltà ad aggiudicarsi operazioni sui mercati più maturi e competitivi del Sud-Est asiatico e del Golfo. Ed è proprio qui che le opportunità per le imprese straniere saranno maggiori», spiega Gupta. Secondo Catechis ci sono altri vantaggi per l’Europa: «Alcuni paesi europei si trovano in un momento economico difficile e la Cina è l’unico attore in grado di investire in maniera importante: pensiamo per esempio al porto del Pireo in Grecia» spiega lo strategist. «Tuttavia, è importante capire bene chi sia l’investitore, per evitare soprese sgradevoli, come quella capitata alla Repubblica Ceca quando il presidente di Cefc - il maggior investitore cinese nel Paese - è stato arrestato per corruzione l’anno scorso». Le ricadute sui listini. Secondo Legg Mason poiché gli investimenti dall’estero sono un buon meccanismo per i governi per finanziare i loro deficit, un effetto dell’operazione “One Belt One Road” potrebbe essere il miglioramento della salute macroeconomica di alcuni paesi, che dovrebbe riflettersi nel prezzo dei bond e delle azioni. L’intensificazione dei commerci dovrebbe invece riflettersi nei dati del Pil, mentre esportatori e importatori europei beneficeranno dei minori tempi e costi di trasporto. Analogamente saranno favoriti tutti i settori 86 maggio 2019

A destra Kim Catechis, head of emerging markets di Martin Currie (gruppo Legg Mason). In basso Aneeka Gupta, associate director of research di WisdomTree

coinvolti in attività di esportazione o importazione con la Cina e altri paesi asiatici. Ma, secondo WisdomTree, se l’energia e i trasporti sono stati i settori dominanti a livello globale, «entro il 2025, la Bri si diffonderà in altri settori che beneficiano del miglioramento delle infrastrutture, tra cui la tecnologia, l’industria manifatturiera, il settore immobiliare, la logistica e lo stoccaggio di merci», spiega Gupta. Quanto al rafforzamento del renmimbi, va detto che la Cina ha per ora fallito i suoi sforzi per denominare le importazioni di petrolio e gas in Rmb. Nel petrolio greggio per esempio ha cercato di favorire l’emergere di un petro-yuan nel contesto del Bri e ha lanciato un contratto a termine sul greggio denominato in renminbi. «Ma gli sforzi per promuovere una nuova valuta petrolifera sono stati vanificati dalla posizione di leader degli Stati Uniti come centro di scambio di petrolio, grazie a un forte aumento delle esportazioni di petrolio greggio, prodotti petroliferi e gas di petrolio liquefatto (Gpl, ndr)», spiega Gupta. «E anche gli sforzi per denominare altre importazioni di materie prime in Rmb sono stati deludenti». L’accordo Cina-Usa. In questo contesto, ci sono benefici concreti anche per l’Italia? La risposta di WisdomTree, è positiva: il Bri offre l’opportunità di stimolare l’economia, in ritardo di sviluppo, espandendo gli scambi commerciali e incrementando gli investimenti cinesi grazie al vantaggio offerto dai porti italiani che offrono condizioni commerciali favorevoli e un accesso rapido ai mercati dell’Ue. Ma non è tutto così semplice. Derrick Sun, portfolio manager di Icbc, ritiene che la questione dell’appoggio politico italiano alla Bri possa essere analizzata anche alla luce dello scontro commerciale tra Stati Uniti e Cina. «E’ positivo che il governo italiano supporti l’iniziativa, ma è bene tenere a mente che, una volta concluso l’accordo sino-statunitense probabilmente entro la fine dell’anno, la Cina sicuramente diminuirà i dazi commerciali contro gli Stati Uniti, e ciò farà aumentare le importazioni cinesi dagli Stati Uniti e diminuire le importazioni provenienti da altri paesi, Europa inclusa». Occorre quindi fare in fretta. La normalizzazione dei rapporti tra Cina e Stati Uniti richiederà un po’ di tempo. Tempo che può essere sfruttato da Pechino per rafforzare le relazioni con altri Paesi. «Considerato che anche per l’Italia questo è il momento adatto per ampliare i proprio rapporti internazionali, entrambi i paesi potrebbero trarre beneficio dal rafforzamento del loro legame e dal supporto italiano alla Belt Road Initiative», conclude Sun.



QUI PARIGI di Giuseppe Corsentino

ORA LA FRANCIA VUOLE COPIARE I NOSTRI PIR

L

a materia prima, i denari, non manca. I francesi, risparmio introdotti dalla Legge di Stabilità 2017 con il duplice quasi a sorpresa (ma non senza ragioni: la crisi obiettivo d’incentivare l’investimento a medio lungo-termine mondiale post 2008 qui ha colpito più che altrove in nell’economia reale, a fronte di benefici fiscali per i sottoscrittori Europa) sono diventati un popolo di risparmiatori disposti a restare fermi per almeno cinque anni. Il buon Le Maire com’eravamo noi negli anni ’90 quando il tasso di però farebbe bene a informarsi: i Pir, dopo un exploit d’entusiarisparmio delle famiglie, misurato dall’Abi e dall’Istat, superava smo iniziale, non hanno funzionato. Per una serie di difficoltà il 15%, il più alto dell’Unione, mentre oggi non supera neanche tecniche, per la mancanza di un regolamento d’attuazione mai il 10% (esattamente è a quota 9,7%), ben al di sotto della me- arrivato dagli uffici del Tesoro e - last but not least - per una sedia Ue che è all’11,8% e ancora al di sotto della “risparmiosità” rie di paletti introdotti nell’ultima legge di bilancio 2019 (quella francese arrivata a sfiorare il 14%, testa a testa con la Germania, firmata da Lega e Cinque Stelle) che hanno davvero terremotato altro paese di formiche come si sa. il mercato: i nuovi Pir infatti dovranno investire almeno il 3,5% In più qui in Francia il reddito delle famiglie, contrariamente alla dei propri asset in fondi di venture capital e un ulteriore 3,5% in percezione che si può avere all’estero azioni di Pmi quotate in mercati non reguardando in tv i Gilet gialli che invagolamentati, cioè a dire nel listino Aim di dono le città tutti i santi sabati (e per Borsa Italiana. Un vero disastro, come ha sabato 20 aprile, mentre questo numechiarito bene un esperto come Massimo ro di Investire è in chiusura, si attende Doris, il numero uno di Banca Mediolala manifestazione n.23, nonostante il num, al recente Salone del risparmio di dramma di Notre Dame) per gridare che Milano: “Chi vuole fare oggi nuovo inveloro vivono “dans la misère”, è segnalato stimento nei Pir non può più. La legge FRANCESI POPOLO DI RISPARMIATORI da tutti gli osservatori economici (in primis di bilancio non è compatibile né con i l’Insee, l’Istat francese) in forte crescita: alla fine del quarto tri- regolamenti dei fondi né con il mercato”. Il ministro Le Maire è mestre 2018 già cresceva dell’1,3% rispetto allo stesso periodo convinto che il clima nel Paese è cambiato e che ci sono quindi del 2017 e dello 0,7% rispetto al quadrimestre precedente. E tutte le condizioni per cui “les Français puissent davantage au non erano ancora entrati a regime tutti gli aumenti salariali e financiament de leur économie” come ha dichiarato al Figaro. gli sconti fiscali promessi da Emmanuel Macron - misure per Però alla bisogna ha preferito rivolgersi a un tecnico, a Nicolas circa 10 miliardi di euro - nel tentativo (fallito come s’è visto) di Dufourque, che oltre a essere un grande banchiere pubblico e arginare la “vague jaune”, l’ondata gialla. Considerando l’aumen- ad avere una storia politica tutta all’insegna del “sociale”, ora è to dello Smic, il salario minimo, la cancellazione della “tax d’ha- tra i consiglieri economici più ascoltati di Macron. Il presidente bitation”, l’indicizzazione delle pensioni fino a 2mila euro - un infatti proprio in queste settimane è impegnatissimo a “portare “pacchetto” mai ottenuto da nessuna contrattazione sindacale a casa” come si dice - l’ultimo voto del Senato è di fine marzo - il reddito delle famiglie francesi è stimato in crescita del 3,3% una delle leggi fondamentali del suo quinquennato, la Loi Pacte nel 2018 e arriverà a un rotondo 4% nel 2019. Una cosa mai vi- che già nel nome dichiara le sue ambizioni: “Plan d’action pour sta. Tutto questo oggi autorizza il ministro dell’economia Bruno la croissance et la transformation des éntreprises”. Come a dire Le Maire a lanciare l’idea di un “placement patriotique” per fare la legge-chiave della politica economica macroniana. All’interno affluire una parte del risparmio formatosi all’interno dei bilanci della quale - rieccoci al progetto del ministro Le Maire - l’idea di familiari verso quelle piccole e medie imprese (Pme e Eti) che un “placement financier patriotique” ha un posto importante. A qui come in Italia hanno problemi di sottocapitalizzazione e di patto che non si facciano gli stessi errori fatti in Italia con i Pir. E accesso al credito. Per farla breve Le Maire ha avuto la stessa in- che si convinca Bruxelles che i vantaggi fiscali garantiti ai nuovi tuizione del nostro Pier Carlo Padoan, ministro dell’economia strumenti finanziari non sono “aiuti di Stato”. Bpi France e Cassa nel governo Gentiloni, quando inventò i Pir, i Piani individuali di Depositi e Prestiti ci stanno lavorando. 88 maggio 2019


di Glauco Maggi

QUI NEW YORK

QUANDO SBALLO E PERFOMANCE VANNO A BRACCETTO

D

a Aurora Cannabis a Vivo Cannabis Inc. Anche il solo scorrere l’elenco delle 33 società quotate che compongono The Prime Alternative Harvest Index, l’Indice dei Raccolti Alternativi lanciato il 18 dicembre 2017, dà alla testa. Con l’immaginazione, pensando alla materia prima che contraddistingue il paniere, cioè la crema delle corporation dello “sballo” da fumo. Ma anche con il prosaico metro dell’interesse finanziario: l’Etf che replica la performance dell’indice, l’Mg Alternative Harvest exchange-traded fund, è andato high, anzi very high, altissimo, nel primo trimestre del 2019, con un + 46% (al 5 aprile) che è il quadruplo della crescita dello S&P500 delle maggiori aziende USA nello stesso periodo. L’Etf Managers Group, promotore dell’Etf (il nome commerciale e’ MJ), ha annunciato il 4 febbraio di aver tagliato il traguardo del miliardo di dollari nella raccolta nei 14 mesi dal lancio del prodotto. MJ è il maggior Etf specializzato in marijuana al mondo ed il solo, per ora, Etf quotato al Nyse Arca che “traccia” direttamente l’industria della cannabis a livello globale. Le società del paniere che stanno avendo i risultati più brillanti sono Cronos Group (Cron) che ha un ritorno del +121% quest’anno, Canopy Growth (Cgc, 16 miliardi di dollari di capitalizzazione) con +85%, e Aurora Cannabis (Acb) con + 62%. Lo sprint di Cron è in parte legato però alle voci di una fusione con Altria, colosso del tabacco. Mentre il 75% dei titoli del paniere sono stati inseriti per la prima volta in un indice per prodotti d’investimento passivi – tiene a farlo notare il Ceo e fondatore di Mj Sam Masucci -, nella lista dei “raccolti alternativi” ci sono anche società storiche del vizio del fumo, quello del vecchio tabacco: per esempio British American Tobacco, Philip Morris International, Altria Group (Marlboro) e Japan Tobacco che insieme pesano per circa l’8% del paniere. La prima società per importanza in assoluto dell’indice è la conglomerata Aurora Cannabis, che vale da sola il 9,81%. Il 2018 è stato un anno di progressi sensibili nella legalizzazione della cannabis per il doppio scopo della pura ricreazione e della ricerca farmaceutica, un trend che promette un mercato sempre più florido e che moltiplica di riflesso le iniziative di coltivatori e

imprenditori. Il Canada è diventato il secondo paese al mondo (dopo l’Uruguay) a fare della marijuana un ”piacere” ufficialmente legittimo a livello nazionale, mentre negli USA federali si procede a Stati: il Michigan è ora il decimo Stato ad aver introdotto l’uso ricreativo della cannabis, mentre l’Utah e il Missouri sono il 32esimo e il 33esimo a consentire l’utilizzo a fini medicali. Il Congresso USA ha approvato, sempre l’anno scorso, una legge sull’Agricoltura legalizzando la cannabis e permettendo ai produttori di accedere alle assicurazioni sulla raccolta e a fare domanda per prestiti statali a fini di ricerca. “E’ una pietra miliare che convalida l’interesse degli investitori in questo settore emergente”, ha detto Kris Monaco, manager partner di Level Etf Ventures, fornitore dell’indice all’Etf. “I benefici medicali e agricoli della cannabis sono ora evidenti, e il Prime Alternative Harvest index èun valido benchmark per l’ecosistema del comparto”. Tutto ok, allora? Sballo e performance di Borsa a braccetto in una win win situation? Calma. Anche se tra i vizietti cari agli esseri umani (alcool, tabacco, carne a tavola) la cannabis è la sola politicamente corretta, perchè è una bandiera per la sinistra e una miniera per i governi che ci lucrano con le tasse, la scienza non è certo assolutoria. Ovvio che per scopi medici ogni sostanza del mondo vegetale, animale e minerale che si dimostri efficace per farci guarire, se siamo malati, è benvenuta: vale anche per la mariyuana, presa sotto controllo, nelle emergenze. Ma sul cervello in formazione dei giovani, la cannabis per ricreazione ha effetti materiali più che preoccupanti. Lo dice una ricerca della Northwestern University, pubblicata dal Journal of Neuroscience qualche tempo fa: “Anche il solo uso casuale crea cambiamenti nel cervello in aree che nessuno vorrebbe vedere cambiate”, ha detto il coautore dello studio Hans Breiter, psichiatra matematico presso l’ateneo. Quali aree? Quelle che governano il processo delle decisioni, la condizione emotiva, l’assuefazione e la gratificazione. I ricercatori hanno esaminato il cervello di 20 fumatori di marijuna e di 20 non fumatori, studenti di Boston tra i 18 e i 25 anni, e hanno una rilevato una crescita abnorme di neuroni tra gli “sballati”. Chi è sensibile all’etica negli investimenti è bene lo sappia. maggio 2019 89


COSMOPOLITICA Andrea Margelletti Presidente del Centro Studi Internazionali, docente presso la Facoltà di Scienze delle Investigazioni e della Sicurezza dell’Università di Perugia e Narni. Unico membro onorario delle Forze Speciali

GENERALE, FACCIA IL PIACERE: SI RITIRI

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egli oltre vent’anni con preziose forniture militapassati nell’americari, in barba all’embargo sulle na Langley, Virginia, armi imposto dall’Onu, come a un tiro di schioppo Abu Dhabi e Il Cairo. O capaci dal quartier generale di elevarlo a interlocutore podella Cia e nel paese che ha dato dilitico e portarlo al tavolo negognità mondiale al poker, il generale ziale da una posizione di forza, Khalifa Haftar non ha imparato né come ha fatto Parigi. Certo, ad agire sottobanco né a bluffare. questi aiuti rientrano in un do Nel giro di appena 48 ore, l’attacco ut des molto semplice. Per i sferrato il 4 aprile scorso contro motivi più diversi a tutti i suoi Tripoli e il governo riconosciuto sponsor fa comodo che Haftar dall’Onu di Fayez al-Serraj si è riarrivi al potere. Ma deve per velato per quello che è: un azzardo l’appunto essere capace di arinconsulto che rischia di costare rivarci, o almeno di percorrere carissimo all’ex sodale di Gheddafi da solo l’ultimo miglio che lo poi caduto in disgrazia e rinnegato separa da Tripoli, per poi poter dall’ei fu Rais libico. Un rilancio allgarantire privilegi e tutele agli in senza alcuna idea delle carte in IL GENERALE KHALIFA HAFTAR COL PREMIER CONTE interessi dei suoi benefattori. mano agli avversari. Peccato che più passa il temCon la stessa avventatezza di chi, po, più l’offensiva langue e più a forza di raccontarle, finisce per diventa politicamente difficile credere alle proprie bugie, Haftar si appoggiare il generale. Sta pur era illuso di entrare nella capitale sempre cercando di rovesciare in poche ore, accolto come un libeun governo voluto dall’Onu, ratore da una popolazione festante, anche se cerca di farlo passare cui avrebbe fatto corona il plauso e il per un nido di terroristi senza riconoscimento dei suoi tanti sponsor internazionali. La realtà, scrupoli ed estremisti della peggior specie. come spesso accade, è stata inclemente con le pie illusioni di L’unico spiraglio per Haftar è che qualche milizia a Tripoli ceda quest’uomo d’armi 75enne, assillato dal pensiero di replicare in alle sue promesse, magari adeguatamente oliate da un bel gruzpatria la scalata al potere riuscita pochi anni prima al suo mo- zolo, e gli spalanchi le porte della capitale. Come Haftar potrà dello, l’ex militare al-Sisi, in Egitto. Mezzi pochi e malandati, ma gestire un paese in ebollizione senza un esercito vero e accersoprattutto un esercito scalcinato e inadatto a prendere con la chiato da miriadi di rivali in armi, resta poi tutto da vedere. forza Tripoli difesa da decine di milizie armate: non esattamen- Come che vada a finire la marcia di questa armata Brancaleone, te i presupposti migliori per un successo rapido. Ma sarebbe per la Libia si preannunciano tempi difficilissimi. I negoziati per bastato fermarsi a riflettere con lucidità sui precedenti, sui 4 riunificare il paese, oggi diviso tra due governi e parlamenti rivali, anni serviti ad Haftar per ripulire Bengasi dagli islamisti radica- stavano per approdare a qualche risultato dopo un percorso torli, o i 12 mesi necessari per entrare a Derna. Oppure ragionare tuoso durato ben tre anni. Tre anni in cui le Nazioni Unite e alcuni sull’unica cosa che anche oggi accomuna tutti i gruppi armati paesi (ben pochi, a dir la verità) hanno lentamente costruito un che si disputano litigiosamente il territorio libico dalla caduta di clima di fiducia minima tra le parti. Ora tutto questo capitale è Gheddafi, ovvero la forte opposizione al ritorno di un uomo solo stato dissipato la notte stessa dell’attacco su Tripoli e sarà comal comando, a maggior ragione se dotato di mostrine e stellette. plicato rimettere insieme i cocci. Anche perché il bonapartismo Non stupisca, quindi, che il fronte tripolino si sia ricompattato di Haftar l’ha portato a imporsi come unico, esclusivo punto di riin quattro e quattr’otto e abbia impedito al generale di mettere ferimento per l’Est ai negoziati. Caduto in disgrazia lui, o comunpiede dentro la capitale. que delegittimato di fronte alla comunità internazionale e ai suoi Ma l’offensiva è un azzardo soprattutto perché rischia di costa- interlocutori libici, è difficile ipotizzare chi ne possa prendere il re ad Haftar quel po’ di supporto internazionale che si è fatico- posto. È bene iniziare a pensarci per tempo, perché si dialoga solo samente costruito negli ultimi anni. Emirati Arabi Uniti, Egitto, in due. E le soluzioni “punitive” sono la ricetta migliore per conFrancia, in parte anche la Russia. Pronti ad aiutarlo sottobanco dannare un paese al caos e all’instabilità duraturi.

Un azzardo inconsulto, che rischia di costare carissimo all’ex sodale di Gheddafi

90 maggio 2019



IL GIRO DEL MONDO IN 30 GIORNI

LA CINA SOSTIENE CON SUCCESSO LA DOMANDA INTERNA

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aranno compiuti sforzi per cento alla crescita del Pil della Cina lo scoraumentare ulteriormente so anno, rendendoli la principale voce deli redditi delle persone, ga- la crescita economica del paese per il sesto rantire una crescita econo- anno consecutivo. Pechino ha riconfermamica e occupazionale so- to la strategia di tagli alla pressione fiscale stenibile, ridurre gli oneri fiscali e le tasse e su larga scala adottata lo scorso anno, per migliorare i redditi da lavoro di agricoltori, far fronte al brusco rallentamento dell’ecoscienziati e ricercatori». Lo ha detto Ning nomia avvertito già negli ultimi mesi dello Jizhe, vicecapo della Commissione nazio- scorso anno. Pechino intende aggiungere nale per lo sviluppo e la riforma della Cina. ben altri 1.300 miliardi di yuan (170 miliardi di euro) di detrazioIl governo di Pechino È STATO VARATO UN MASSICCIO ni e sgravi a quelli già incoraggerà il consuPROGRAMMA DI SGRAVI FISCALI, adottati nei mesi scormo di alcuni prodotti si. Il premier cinese, Li come le auto nuove e CHE PER IL SOLO 2019 VALE Keqiang, ha dichiaragli elettrodomestiQUASI 200 MILIARDI DI EURO to che la crescita deve ci ecocompatibili, e promuoverà il turismo, l’industria cine- mantenersi entro un margine ragionevole, matografica, l’assistenza sanitaria, la cura senza contrazioni brusche. Il programma di dei bambini e degli anziani. «Il governo sgravi fiscali per il 2019 dovrebbe superare promuoverà inoltre i consumi nelle aree i 1.500 miliardi di yuan, quasi 200 miliardi rurali, consentendo a più persone di ac- di euro. L’economia della Cina è cresciuta cedere agli acquisti online e a prodotti di del 6,6 per cento nel corso del 2018, il tasso alta qualità», ha aggiunto Ning. I consumi più basso da 28 anni a questa parte, in un interni hanno contribuito per il 76,2 per contesto segnato dalle tensioni commer-

ciali e strategiche con gli Stati Uniti. Il dato è superiore di un decimo di punto all’obiettivo ufficiale del governo per il 2018, ma inferiore alla crescita del 6,8 per cento conseguita l’anno precedente. Il dato relativo al 2018 è il più debole dal 1990, anno successivo alle proteste culminate nella repressione militare a Piazza Tienanmen.

AMERICA LATINA, FITCH PESSIMISTA SULLE PROSPETTIVE: PESA LA RECESSIONE IN ARGENTINA «Vediamo tre tipi di rischio principali: esterni, politici e legati al consolidamento fiscale». Lo afferma Fitch in un rapporto che rivede al ribasso le prospettive di crescita per l’America Latina nel 2019. Per l’agenzia di rating le principali economie della regione si manterranno in un percorso di crescita lenta o peggio, come nel caso dell’Argentina, in recessione. Secondo il rapporto il rallentamento della crescita cinese provocherà «tensioni nel commercio internazionale e un irrigidimento delle condizioni di finanziamento» per i mercati più esposti. Dal punto di vista politico Fitch sottolinea la sfida dall’esito incerto del programma di riforme intrapreso da Jair Bolsonaro in Brasile, l’avversione dei mercati al governo di Lopez Obrador in Messico e le elezioni in Argentina dal risultato imprevedibile. «Vari paesi con deficit pronunciato, come Brasile, Argentina, Costa Rica ed Ecuador attraversano un processo di consolidamento fiscale che comporta rischi nel medio termine a causa di una crescita debole», aggiunge l’agenzia di rating.

92 maggio 2019


IL GIRO DEL MONDO IN 30 GIORNI

GERMANIA, RIDIMENSIONATE LE PREVISIONI DI CRESCITA

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e previsioni di crescita del- sull’espansione economica della Germala Germania per il 2019 nia nel 2019. A trascinare in ribasso la continuano ad arretrare. crescita del paese è il declino delle esporDall’1,9% stimato nel settem- tazioni, settore trainante dell’economia bre dell’anno scorso i cinque tedesca, dovuto in gran parte alla guerra commerciale tra Staprincipali istituti di DALL’1,9% PREVISTO A ti Uniti e Cina e alle ricerca sull’econoSETTEMBRE DELL’ANNO SCORSO dispute sul commermia tedeschi (Ifo, cio tra Usa e Ue. «La Iwh, Diw, Ifw e Rwi) SI È PASSATI PRIMA ALL’1%, nel loro rapporto QUINDI A UNO STRIMINZITO 0,5 lunga ripresa dell’economia tedesca congiunto hanno corretto la stima al ribasso allo 0,8 per è finita», ha dichiarato il vicepresidente cento. Ma lo stesso governo guidato da An- dell’Istituto per la ricerca economica di gela Merkel ha poi dimezzato le previsioni Halle (Iwh), Oliver Holtemoeller, che però di crescita 2019 allo 0,5% dall’1 per cento ha aggiunto di considerare basso il rischio stimato in precedenza, che a gennaio ave- di una recessione prolungata in Germava preso il posto dell’1,8 per cento origi- nia, e di attendersi nel 2020 un tasso di nariamente previsto. Si tratta del dato più crescita dell’1,8%. Tra i fattori principali basso tra tutte le stime finora pubblicate del declino dell’economia tedesca Holtemoeller aggiunge il rallentamento della congiuntura globale e l’incertezza che BANCHE, DUBAI ISLAMIC PUNTA circonda la Brexit. Ma non sono soltanto AD ACQUISIRE NOOR BANK fattori esterni a influire sull’andamento dell’economia tedesca. Tra quelli interni La Dubai Islamic Bank, primo istituto dell’area degli Emirati Arabi Uniti, figurano la carenza di lavoratori qualificastarebbe valutando l’acquisizione della più piccola Noor Bank, per dare vita ti, le difficoltà del settore automobilistico a un colosso da 75 miliardi di dollari di asset. Lo riferisce l’agenzia Bloomberg, e gli aumenti delle imposte resi necessari citando fonti vicine al dossier. La banca avrebbe avuto discussioni preliminari dalle politiche sociali del governo federale, con gli azionisti di Noor Bank, ma le trattative sono a uno stadio preliminare e che rendono la Germania “meno attraente potrebbero anche non portare ad alcun accordo. Pochi mesi fa l’amministratore per gli investimenti”. Per quanto riguarda delegato della Dubai Islamic, Adnan Chilwan, aveva affermato: «c’è sempre il mercato del lavoro le previsioni sono un’opportunità di un mega-affare nel settore bancario convenzionale o in quello solo parzialmente positive. In particolare gli occupati dovrebbero aumentare a 45,5 islamico (la Dubai Islamic è stata la prima banca a incorporare i principi dell’Islam milioni entro il 2020, con un incremento di nelle proprie pratiche), è solo necessario che abbia un senso commerciale. Siamo 700 mila unità rispetto al 2018. Allo stesso sempre alla finestra come acquirenti per vedere se possiamo individuare un tempo il numero di disoccupati dovrebbe potenziale target». Il sistema economico degli Emirati Arabi Uniti vive un periodo di scendere a 2,1 milioni. A febbraio scorso in fermento anche in vista dell’Esposizione internazionale, il grande evento globale in Germania gli ordini sono diminuiti del 4,2 programma a Dubai dall’ottobre del 2020 all’aprile 2021. per cento su base mensile. maggio 2019 93


IL GIRO DEL MONDO IN 30 GIORNI

L’INDIA CRESCE “SOLO” DEL 7,2%, IL TASSO PIÙ ALTO AL MONDO. SOSTEGNI PER IL REDDITO

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l tasso di crescita prevista per l’economia dell’India è stato corretto lievemente al ribasso, ma rimane il più alto del mondo: il 7,2%. La Banca asiatica di sviluppo (Adb) ha corretto le stime per il 2019-20 dal precedente 7,6% a causa del rallentamento degli investimenti. Anche la Re-

serve Bank of India (Rbi), la banca cen- costituiscono motivi di ottimismo. «Il trale indiana, prevede un tasso del 7,2 per recente slancio nella crescita degli invecento nel 2019-20, 6,8-7,1 per cento nel stimenti dovrebbe proseguire, ma a un primo semestre e 7,3-7,4 nel secondo. A ritmo più lento. La crescita degli investifebbraio era stata prevista un’espansio- menti pubblici sarà probabilmente mone annua del 7,4 per cento (7,2-7,4 per desta a causa della mancanza di fondi. Il cento nel primo semestre e 7,5 nel terzo reddito rurale e i consumi beneficeranno di una spinta polititrimestre). Nei due BUON AFFLUSSO FINANZIARIO, ca per il sostegno al mesi trascorsi sono RESILIENZA DEI CONSUMI reddito degli agricolstati evidenziati segnali di indeboliE AUMENTO DEL REDDITO SONO tori e gli aumenti dei prezzi negli approvmento degli investiTRE MOTIVI DI OTTIMISMO vigionamenti di gramenti interni e un rallentamento nella produzione e nelle naglie, mentre i tagli sui tassi di interesse importazioni di beni capitali. Tuttavia il e i prezzi moderati dei generi alimentamaggiore afflusso finanziario al settore ri e dei carburanti faranno aumentare i commerciale, la resilienza dei consumi consumi nelle aree urbane», spiega l’Adb privati e l’aumento del reddito disponibi- nell’ultimo rapporto “Asian Development le delle famiglie dovuto ai benefici fiscali Outlook”.

SANTANDER, 20 MILIARDI IN DIGITALIZZAZIONE

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a banca spagnola Santander, prima della zona euro per capitalizzazione, investirà 20 miliardi di euro nei prossimi quattro anni nei settori della digitalizzazione e della tecnologia, con l’obiettivo di aumentare la redditività, la crescita e l’efficienza e ottenere un risparmio dei costi operativi pari a 1,2 miliardi l’anno, di cui un miliardo in Europa. È quanto stabilito nel nuovo piano strategico 2019-2021 presentato dalla banca a Londra. Nessun riferimento invece alla temuta possibilità che l’istituto di credito chiudesse uffici o riducesse il personale in Spagna. L’obiettivo della digitalizzazione è “migliorare l’esperienza del cliente e aumentare il grado di connessione, oltre a ridurre i costi”, afferma la banca. Tra le misure che saranno adottate dalla banca presieduta da Ana Botín figurano il lancio di un servizio internazionale di pagamenti digitali e una piattaforma di commercio globale per le Pmi. Il gruppo mira ad avere 50 milioni di clienti digitali e 26 milioni di utenti collegati. La banca afferma che aumenterà la percentuale degli utili destinati ai dividendi tra il 40% e il 50% rispetto a una media attuale del 30% - 40%. «“La tecnologia sta cambiando il sistema bancario che conosciamo, ecco perché stiamo preparando Santander a sfruttare gli enormi punti di forza del gruppo», ha affermato Botín. «Questo ci aiuterà a sfruttare al massimo le opportunità e a essere i leader digitali del settore finanziario nel prossimo decennio», ha aggiunto il presidente. 94 maggio 2019

BCE: 45 BANCHE HANNO CARENZE DI LIQUIDITÀ

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olo una banca dell’Ue su 119 non ha superato il processo di revisione e valutazione prudenziale (Srep), gli stress test condotti ogni anno dalla Banca centrale europea (Bce) dal 2014. Ma in 45 banche sono state riscontrate debolezze di liquidità, mentre a 83 sono state richieste misure qualitative per porre rimedio alle carenze, come nel trattamento dei crediti problematici, nel settore della tecnologia dell’informazione o in relazione alla gestione del rischio. Lo ha reso noto l’Eurotower, senza peraltro di quale istituto di credito si tratti. Complessivamente i requisiti patrimoniali delle banche europee hanno registrato un lieve aumento, salendo dal 10,1 per cento del 2017 al 10,6 per cento del 2018. Per la Bce la ragione di tale crescita è nell’introduzione del buffer di conservazione del capitale prevista dall’accordo Basilea 3. Secondo l’Eurotower, la capitalizzazione della maggior parte delle principali banche europee è dunque già al di sopra dei coefficienti patrimoniali fondamentali e dei buffer di capitale richiesti dalla Bce e dalle autorità nazionali di vigilanza finanziaria. Tuttavia i risultati dello Srep hanno anche mostrato che le questioni relative al governo societario e alla gestione dei rischi degli istituti di credito sono peggiorate.


IL GIRO DEL MONDO IN 30 GIORNI

LA FED VUOLE ALLEVIARE LE REGOLE BANCARIE

U LONDRA INDAGA SUL FALLIMENTO DI LC & F

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l governo britannico ha ordinato un’inchiesta indipendente su come l’Autorità di vigilanza sulla condotta nei mercati finanziari (Fca) abbia affrontato lo scandalo del fallimento della società di investimenti London Capital & Finance, che ha rovinato migliaia di risparmiatori. Poco prima di fallire, la società aveva venduto mini-bond speculativi per 237 milioni di sterline (277 milioni di euro) a oltre 11.500 piccoli risparmiatori, promettendo rendimenti dal 6,5% all’8% all’anno. Molte di queste persone avevano investito i risparmi di una vita e ora rischiano di perdere l’80% del loro capitale. Il consiglio di amministrazione della Financial Conduct Authority ha accettato di sottoporsi a un’indagine indipendente, che esaminerà la sua supervisione su London Capital & Finance, e la regolamentazione dei “mini-bond” al centro dello scandalo. La figura indipendente che guiderà il processo non è stata ancora nominata. Confermando che il governo ha ordinato un’indagine, il segretario economico del Tesoro John Glen, ha dichiarato: «Le storie recenti di coloro che sono stati colpiti dal crollo di LC & F sono incredibilmente preoccupanti. Voglio assicurarmi che il nostro sistema finanziario sia il più forte e sicuro possibile. Con questa indagine comprenderemo meglio le circostanze del collasso e ci assicureremo di proteggere adeguatamente coloro che investono i loro soldi in futuro». L’indagine governativa potrebbe anche gettare un’ancora di salvezza alle vittime del collasso, che attualmente non hanno alcun ricorso al Piano di compensazione dei servizi finanziari.

n nuovo regime normativo decisamente meno restrittivo per 23 banche straniere operanti negli Stati Uniti. Lo ha proposto il consiglio della Federal Reserve (Fed), la Banca centrale statunitense, che vuole allentare i principali regolamenti post-crisi per le maggiori banche del paese. Secondo il piano, grandi istituti di credito come JPMorgan Chase e Bank of America dovranno sottoporre i loro “testamenti biologici” – ovvero i piani per la loro chiusura in caso di una nuova crisi economica - ogni quattro anni invece di ogni anno: una bella differenza. Banche leggermente più piccole, come Capital One e Deutsche Bank, dovranno presentare i loro piani addirittura una volta ogni sei anni. La proposta arriva mentre l’amministrazione Trump continua a cercare soluzioni per ridurre il carico normativo che deve affrontare il settore bancario, un decennio dopo la crisi finanziaria globale. Le banche si sono infatti spesso lamentate del fatto che molte delle regole più severe sono troppo macchinose e costose. Tra le modifiche proposte, che sono soggette al feedback del settore, anche regole che renderebbero meno stringenti i i requisiti di capitali e stress testing per le sussidiarie delle banche estere. La proposta, che interesserebbe le principali banche come Ubs, Credit Suisse, Deutsche Bank e Hsbc, fa parte di un piano più ampio da parte della Fed per adattare maggiormente le regole bancarie ai profili di rischio delle imprese.

LAND SASSONIA-ANHALT, 198 MILIONI PER SALVARE LA BANCA NORDDEUTSCHE LANDESBANK

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entonovantotto milioni lunghi negoziati all’interno della coalidi euro per il salvataggio zione al governo della Sassonia-Anhalt, della banca Norddeutsche formata da Unione cristiano-democraLandesbank (Nord/Lb), di tica (Cdu), Partito socialdemocratico cui detiene il 5,6 per cento tedesco (SpD) e Verdi. Il ministro delle del capitale. Li ha stanziati il Land te- Finanze della Sassonia-Anhalt, l’espodesco della Sassonente della Cdu AnMAGDEBURGO DETIENE IL 5,6% dre Schroeder, aveva nia-Anhalt, come ha DEL CAPITALE DELL’ISTITUTO in passato affermato reso noto il governo di Magdeburgo. DI CREDITO, IN CRISI DA TEMPO che Nord/Lb non avrebbe ottenuto fiL’obiettivo è «ottenere un credito e sospendere il rimbor- nanziamenti pubblici. Attualmente il so del debito annuale» di Nord/Lb, ha capitale necessario per risanare l’istiscritto il quotidiano tedesco “Handel- tuto di credito è stimato a circa 3,5 misblatt”. Il finanziamento pubblico all’i- liardi di euro. Con la Sassonia-Anhalt, stituto di credito da tempo in crisi giun- l’altro azionista principale di Nord/Lb ge con una decisione non facile dopo è il Land della Bassa Sassonia, con il 59

per cento del capitale. I due Stati, scrive “Handelsblatt”, dovrebbero spendere circa 2,4 miliardi di euro per il salvataggio dell’istituto di credito, cui si aggiungono i quasi 1,1 miliardi di euro che dovrebbero stanziare le casse di risparmio e le banche locali azioniste.

Il giro del mondo in 30 giorni è a cura di Riccardo Venturi maggio 2019 95


SETTORI IL LIFEPLAN DELLA MODA

Ma quanto può vivere una griffe? La scommessa è arrivare ai 30 anni di Fabiana Giacomotti

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L’ANAFFETTIVITÀ CHE SAREBBE GIUSTA NEI PASSAGGI GENERAZIONALI SCARSEGGIA IN REALTÀ ANCHE TRA I FONDI SPECIALIZZATI CHE SPESSO AGISCONO CON EMOTIVITÀ

l collasso della Roberto Cavalli e il taglio di un centinaio di dipendenti previsto negli uffici de La Perla a Bologna, anticipato dal Foglio di qualche settimana fa, oltre alla chiusura della sede di Diesel a New York e alla sostanziale cancellazione dei dipendenti di Calvin Klein in Italia, pone l’attenzione su un tema molto rilevante in questi anni di competizione globale, e cioè l’aspettativa di vita dei marchi della moda a fronte di una sollecitazione costante da parte dei mercati e, per le società quotate, degli investitori. Se guardiamo al fiorire di imprese della moda nei primi decenni del novecento, o anche alla moltiplicazione dei marchi dopo la Seconda Guerra Mondiale come risposta (o come guida) alla massificazione del mercato e alla sua diversa focalizzazione, dalla borghesia adulta che ne aveva caratterizzato l’ascesa dagli anni trenta dell’ottocento ai giovani che, almeno ufficialmente ed esteticamente, la dominano tuttora, possiamo valutare in venti, trent’anni al massimo il lifespan delle maison che pure sembravano aver caratterizzato un’epoca, espandendosi ben oltre i confini del paese dove erano state fondate. Gli esempi sono infiniti e non del tutto dimenticati se si considera che, nei primi anni di questo millennio un abile avvocato francese ne rilevò molti, ormai estinti e ridotti al solo deposito, per rivenderli agli imprenditori di prima generazione ma desiderosi di vantare quarti di nobiltà estetica: prima tra tutte la maison Worth, che pure ha coniato il termine e le caratteristiche della haute couture; quindi la maison Lucile di lady Duff Gordon che era sopravvissuta al naufragio del Titanic (1894-1922); ancora la maison Schiaparelli, (1934 – 1954), acquisita da Diego Della Valle, mai davvero ri-decollata nonostante il forte impegno finanziario, e che ha recentemente concluso la sua collaborazione con Bertrand Guyon. La durata quasi o pluricentenaria, vedi Chanel, Hermès, Louis Vuitton, Goyard o, in Italia, Zegna e Prada, pare segnata da due condizioni che difficilmente si trovano nel panorama imprenditoriale italiano o, in parte, anche straniero: una valutazione serena e oggettiva della famiglia nella gestione, in particolare delle generazioni successive alla prima, cioè a quella del fondatore, e una percezione chiara del mercato, cioè delle capacità di un marchio di reggere all’evoluzione dello stesso, rendendosi disponibili anche a scarnificarlo, a ricondurlo all’esoscheletro, pur di adeguarlo alle nuove richieste. Pensate a Moncler: che cosa è rimasto dei piumini dei paninari o delle forme delle origini? Zero, ormai quasi solo la memoria tra chi ha superato i cinquant’anni. Eppure nelle sue infinite declinazioni, 96 maggio 2019

una al mese, è uno dei marchi più amati dai giovani e non ha perso un briciolo della propria allure. Che cosa è rimasto invece di un altro dei marchi simbolo degli anni ‘80, Naj Oleari? Niente in senso proprio. Solo i frequentatori della catena di alimentari bio Orto Botanico, vedendo i cartellini dei prezzi con la palmetta iconica, possono immaginare che vi sia un vago collegamento tra il brand di accessori di un tempo e i ciuffi di radicchio in vendita (e come in effetti è). Per chiunque altro quella stampa non ha alcun significato. Per vincere, per mantenere in vita un brand carico di valori e di emozione come quelli della moda, l’anaffettività sem-


SETTORI

DIEGO DELLA VALLE

bra dunque essere la chiave di volta, come nei film di Hollywood Anni Ottanta: “don’t take it personally, i’ts just business”, non prenderla sul personale, sono solo affari. Ma se il primo passo, la prima mossa, può sembrare legata alla sola imprenditoria familiare, che come noto è il tallone d’Achille del sistema industriale italiano, il secondo è invece ascrivibile anche ai fondi, anzi soprattutto a loro e alla logica del roe che li domina, mandandoli non di rado nel panico. Il caso clamoroso di Clessidra con Roberto Cavalli, da pochi giorni in concordato preventivo dopo la dichiarata indisponibilità del veicolo di investire un solo euro in più oltre i 400 milioni spesi per l’acquisizione nel 2015 e i 110 investiti in un rilancio molto discutibile fino a oggi, o di La Perla, che il tribunale di Bologna cedette nel 2013 al fondo guidato da Silvio Scaglia e alla guida delle persone a lui più vicine per una differenza di soli 2 milioni di euro rispetto all’offerta presentata dal tycoon dell’intimo Sandro Veronesi (Intimissimi), che certamente avrebbe saputo trarne il meglio, dimostrano come gli stessi fondi rispondano a logiche diverse da quelle della pura competenza che, insieme con una strategia a medio-lungo termine, sarebbero necessarie per garantire la lunga durata di un marchio in vita e in grazia. L’anaffettività totale, assoluta, che guida le scelte dei grandi imprenditori e delle famiglie in grado di trasmettere davvero la propria eredità di brand da una generazione all’altra, escludendo dall’asse ereditario chi non merita o chi non mostra le capacità necessarie (basta guardare alla famiglia Wertheimer che governa Chanel o di Dumas-Hermès: per scalarne i ranghi si superano selezioni del personale come un qualunque candidato esterno), sembra un non dato persino tra i fondi che invece, nell’ottica del ritorno a breve, o di altre dinamiche non sempre comprensibili, spostano il senso della gestione e della pianificazione a scelte affettive, emotive, prepotentemente umane. Nessuno lo confermerà mai, ma la decisione del ceo di Roberto Cavalli, Gian Giacomo Ferraris, che pure aveva fatto benissimo in Versace, di affidare a ogni costo e contro il parere di molti la direzione creativa e lo sviluppo del marchio a Paul Surridge, pagato una cifra superiore ai centomila euro al mese e affiancato da una corte di addetti e famigli, palesemente inadatto a riaggiornare lo stile hippy chic tipico del marchio, è stata una delle cause del suo fallimento. REMO RUFFINI

Le ultime due sfilate, fin troppo fast fashion, per nulla incisive, erano state difficili perfino da capire per chi ricordava la ricchezza stravagante del brand. Una sorte molto simile è toccata a La Perla, e dunque non pare affatto un caso che il Fondo 4r, da un mese proprietario del 60 per cento della maison Trussardi, si sia ben guardato dal rilasciare dichiarazioni sul suo futuro. “La differenza, come sempre, è data dalle persone”, osserva il life and job coach Roberto D’Incau di Lang&Partners, che è certamente vero quando, come fa lui, si cita il caso-simbolo degli ultimi anni, l’ineffabile coppia Marco Bizzarri-Alessandro Michele di Gucci, ai quali si potrebbe presto affiancarsene un’altra nell’ambito dello stesso conglomerato Kering, quella composta dalla ceo di Yves Saint Laurent Francesca Bellettini e dal direttore creativo pop Anthony Vaccarello per i quali, dopo molto silenzio e understatement, si inizia a vedere una chiara strategia di valorizzazione sui media e nelle accademie più prestigiose da parte della direzione comunicazione del gruppo. Ma anche il decisionismo può non rivelarsi sufficiente se, come aggiunge Alessandro Maria Ferreri, grande manager della moda che a 45 anni, continuando a vivere fra Milano e New York, ha deciso di fondare una sua società di consulenza “su misura”, The Style Gate, non si ha una chiarezza di visione tale da ricercare e osare la ristrutturazione completa di marchio e non la sua

COSA INSEGNA IL CASO LA PERLA E IL CONCORDATO DI CAVALLI

“estensione all’infinito” che è, spiega, un altro dei grandi errori dell’industria della moda italiana. «Molti tra i nostri imprenditori pensano che innovare significhi aggiungere o approcciare posizionamenti di mercato lontani dal loro core business, vedi il produttore di calzature di lusso che si da alle sneaker e poi si stupisce di non venderne nemmeno una, o il façonista di abiti sartoriali maschili che approccia lo sportswear. Stravolgere i propri codici per cercare di inseguire mercati in cui non si ha alcuna riconoscibilità non ha mai senso». Piuttosto di rischiare l’integrità e il valore del marchio con scelte eccentriche e azzardate, suggerisce, «meglio agire come Zegna, che ha approcciato un segmento per lui relativamente sconosciuto, come quello della moda di tendenza, acquistando il marchio Thom Browne».

SILVIO SCAGLIA

maggio 2019 97


Leader Europeo nelle


M. Di Lorenzo

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IL DENARO DEI VIP PARLA FULVIO COLLOVATI

«Il mattone è sempre una certezza. E il lusso è viaggiare con Caterina» di Monica Setta

È

tornato di stretta attualità per la presunta battuta sessista pronunciata in Rai a proposito delle donne che non conoscerebbero tutti i segreti delle tattiche del calcio ma Fulvio Collovati campione del mondo 1982 e grandissimo difensore è nel cuore degli italiani da sempre. L’ad Rai Fabrizio Salini lo ha sospeso per 2 puntate però lui, chiarita la sua posizione mai anti femminista (a casa ha una meravigliosa moglie Caterina e 2 figlie amatissime) è tornato al suo commento del calcio in Tv su Rai 2. A chi gli chiede il motivo di quella bolla mediatica sorride sornione e pacato dicendo una cosa sostanziale: «Io le donne le rispetto in ogni momento della vita. Le battute ci possono stare vengono bene o male ma il comportamento dice davvero ciò che siamo». Con Collovati parliamo di soldi in questa intervista a Investire tutta da leggere. Lei è stato un campione del mondo... sarà ricchissimo.... Su questo l’immaginario collettivo si sbaglia, ahimè: ho fatto parte di un’epoca in cui i calciatori non guadagnavano le cifre che circolano oggi. Che cosa ha comprato con i primi guadagni? Ho acquistato nell’ordine una Bmw 3.20, un appartamento a Milano tre e uno sul Lago di Garda.

«STO ALLA LARGA DALLA BORSA. SPESE FOLLI? ADORO LE SCIARPE DI HERMES E LE CAMICIE DI SETA DI LORO PIANA» Lei è più cicala o formica? Investe in azioni o in case? Sono una classica via di mezzo. Ma investo preferibilmente in immobili: sempre e solo mattone, nel tempo non delude mai la casa! Per che cosa ha speso di più nella vita e per cosa ama spendere? Ho speso comprando una volta un diamante per mia moglie e amo spendere in viaggi con le mie figlie. Quanti soldi servono per definirsi una persona ricca? lo ho sempre pensato ad avere il necessario per vivere bene. Non faccio caso alle etichette. 100 maggio 2019

Apra per noi il suo portafogli… Che cosa ci troviamo? Porto nel portafogli non più di 250- 300 euro, il massimo consentito dal bancomat e poi 4 o 5 carte di credito. Spese folli? Adoro le sciarpe di Hermes e le camicie di seta di Loro Piana.

La attira la Borsa? Assolutamente no, mi attirano solo gli investimenti sicuri e tradizionali.

Che cosa ha insegnato alle sue figlie a proposito del denaro? Alle mie figlie ho insegnato a non sprecare il denaro, a rispettarlo e devo dire che hanno ben recepito la lezione non amano eccedere nelle spese, guadagna-


IL DENARO DEI VIP no e lavorano sodo. Una è avvocato l’altra si è laureata da poco alla Bocconi e lavora in una azienda. Posso dire di essere un padre soddisfatto.

In famiglia come siete organizzati? Fate la spesa una volta al mese in un super per cercare di risparmiare oppure invece comprate nei negozi sotto casa o vi fate portare da Glovo prelibatezze a domicilio? In famiglia siamo grandi consumatori e dunque frequentatori di supermarket. Da me il frigorifero va rifornito ogni giorno perché finisce tutto sempre velocemente. Andiamo a fare la spesa io e Caterina ma non siamo habitue di cibo portato a casa perché mia moglie, da buona napoletana, adora cucinare. Le piace stare ai fornelli e si diletta spesso in cenette partenopee per i nostri amici. Abitate a San Babila nel cuore di Milano in una zona abbastanza costosa. Quali sono i riti a cui né lei né Caterina o figlie rinunciano? Tipo l’Aperitivo da Cova o la colazione al Baretto, consumi lussuosi... Il fatto che abitiamo a San Babila è una vera rovina... Lo dico scherzosamente! Scendiamo da casa nostra e andiamo da Cova per l’aperitivo o a cena al Baretto. Devo dire che siamo clienti abituali del Baretto da tanti anni, sappiamo che non si spende poco ma sono consumi che ci concediamo. Negli ultimi tempi però c’è un altro posto dove andiamo. Anche per colazione si tratta di Bastianello. Cappuccino delizioso e aperitivo fantastico. Non ci rinunciamo certo! Capitolo viaggi: andate sempre nei

A destra Caterina Collovati. In basso Fulvio Collovati in maglia azzurra e con i compagni di squadra dell’Italia campione del mondo 1982

«IO E MIA MOGLIE SIAMO FORTUNATI, ABBIAMO DUE FIGLIE SPARTANE CHE SONO DIVENTATE PRESTO AUTONOME. LAVORANO E PENSANO A METTERE DA PARTE IL DENARO PIÙ CHE A SPENDERE» 5 stelle o qualche volta siete stati in camping? Parlando di viaggi devo ammettere che se si tratta di percorsi artistico culturali non badiamo a spese se poi si tratta di andare in America gli alberghi devono essere a 5 stelle perché i 3 stelle non sono praticabili... Ma i soldi spesi nei viaggi sono i migliori. Confesso che a volte mia moglie fa ricerche su internet per trovare alberghi più piccoli e meno cari ma non in America dove è impossibile se si vuole stare bene non andare negli alberghi più belli. Caterina è bravissima. Spende ma sa anche attuare la spending review!

A proposito di figlie le avete educate a spendere con limiti? Davate loro la fatidica paghetta? Io e mia moglie siamo fortunati perché abbiamo due figlie stupende sobrie spartane che sono diventate presto autonome. E adesso che lavorano hanno la testa a posto e pensano a mettere da parte più che a spendere. In realtà quando erano adolescenti si lamentavano della paghetta perchè le loro amiche prendevano di più ma poi con gli anni si sono abituate a spendere senza eccessi. Lo devo dire? Sono uno prudente mentre la spendacciona di casa è solo una: mia moglie! maggio 2019 101


IMMOBILIARE OSSERVATORIO

Milano brilla in Europa e ora guarda anche oltre il centro Elaborazione dati, proiezioni e analisi a cura di Scenari Immobiliari

Attrattività alle stelle

Previsione degli investimenti immobiliari in progetti di realizzazione nel periodo 2019-2029 (settore residenziale-commerciale-terziario)*

Nel prossimo decennio (2019-2029) Milano sarà la metropoli che brillerà più delle altre Milano capitali europee per capacità di attrarre 10.800 Monaco nuovi capitali nel settore immobiliare, posi10.200 Amsterdam zionandosi al primo posto per investimenti Stoccolma 9.500 (13,1 miliardi di euro previsti), con un signiDublino 9.100 ficativo distacco da Monaco (10,8 miliardi), Madrid 8.700 Amsterdam (10,2 miliardi), Stoccolma (9,5), 8.200 Barcellona Dublino (9,1) e Madrid (8,7). Il capoluogo meneghino nel 2018 si è posizionato al priBruxelles 7.500 mo posto tra le capitali europee anche per Vienna 5.800 capacità di attrarre investimenti immobiliari Lisbona 3.800 dall’estero: con circa il 48 per cento dei caMarsiglia 1.600 pitali complessivi concentrati nelle opera* Valore in milioni di euro - Fonte: Scenari Immobiliari sulla base delle informazioni a oggi note zioni real estate di player internazionali, Milano ha dimostrato di essere più attrattiva di Monaco e Barcellona (40%), e ben distanziata da Madrid (30%), Amsterdam (27%), Bruxelles e Vienna (20%).

13.100

Le periferie diventano il nuovo fulcro dello sviluppo

102 maggio 2019

fatturato, milioni di euro

offerta e compravendite, unità

Complessivamente, nei prossimi anni, i più rilevanti interventi di trasformazione urbana ed edilizia attualmente in corso o previsti, interesseranno una superficie territoriale di circa 12,5 milioni di metri quadrati che potrebbe generare una superficie sviluppata di 6,3 milioni di metri quadrati, concentrata prevalentemente nel settore residenziale (2,7 milioni di metri quadrati), terziario (1,3 milioni di metri quadrati), commerciale (1 milione di metri quadrati) e funzioni pubbliche di interesse sociale-collettivo (quasi 650 mila metri quadrati). In un arco temporale relativamente breve, ipotizzabile in 15 anni, le più rilevanti trasformazioni in atto o previste sull’intero territorio metropolitano, interesseranno prevalentemente superfici sviluppabili rivolte alla realizzazione una rinnovata offerta residenziale (43% della Slp), trophy asset direzionali (20%), commercio (16%) e sviluppi immobiliari di interesse sociale-collettivo quali strutture ospedaliere, campus universitari, centri di ricerca scientifica, tempo libero e sport. Un cambiamento che determinerà un impatto sul mercato immobiliare stimabile nell’ordine di grandezza di almeno 21 miliardi di euro di valore aggiunto concentrato per oltre la metà (60%) nel comparto residenziale. Solo nel prossimo quinquennio (2019-2024), le principali trasformazioni urbane già avviate riverseranno sul mercato immobiliare una superficie complessiva di 730 mila metri quadrati con un impatto di valore aggiunto di circa 2,9 miliardi. Le superfici oggetto di sviluppo Andamento delle transazioni e del fatturato sono concentrate prevalentemente nel comparto residenziale (30% della Slp) e commerciale (29%). Il settore terziario 40.000 12.000 e dei servizi di interesse pubblico occu35.000 peranno una quota di nuova superficie 10.000 30.000 sviluppata rispettivamente del 23 e 18 8.000 per cento. Le trasformazioni nelle aree 25.000 semicentrali, periferiche e periurbane 20.000 5.000 interesseranno una superficie sviluppa15.000 bile di circa 5,8 milioni di metri quadrati 4.000 10.000 con un peso sull’intero territorio del 92 2.000 5.000 per cento e un valore di mercato poten0 ziale al termine del loro sviluppo di circa 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017 2018 2019 18 miliardi di euro (pari all’85 per cento del valore potenziale dell’intera area offerta (unità) compravendite fatturato (milioni di euro) milanese).


IMMOBILIARE CONFEDILIZIA CONTRO L’INVITO DEL FMI

Barricate contro l’ennesimo spauracchio patrimoniale

C

i mancava anche il Fondo monetario internazionale a invocare la patrimoniale sulla prima casa. Nel suo Fiscal monitor di aprile, non ha perso occasione di puntare il dito contro l’Italia, dove « spread sovrani alti a lungo potrebbero pesare sulla crescita e sulle prospettive fiscali e bancarie mentre nuovo stress esercitato da un balzo dei costi per finanziarsi potrebbe intaccare altri Paesi nella regione». Le stime del Fondo sul rapporto tra deficit e Pil 2019 sono peggiorate: nel World Economic Outlook pubblicato in aprile si parla del 2,7% e non più dell’1,7% calcolato dall’Fmi in autunno. Peggio della Grecia, per la quale il Fondo stima un deficit dello 0,2% nel 2019 e che nel 2020 celebrerà addirittura il pareggio di bilancio. E così, via al suggerimento del secolo: «i patrimoni potrebbero essere tassati attraverso una tassa moderna sulle residenze primarie». Come questo si possa conciliare con l’invocato (sempre dal Fondo monetario) «aggiustamento fiscale che favorisca la crescita» è da capire. Tra gli altrianche Maurizio Landini recentemente si è espresso a favore di una patrimoniale. «Il segretario della Cgil vuole la patrimoniale, anche se dice che bisogna chiamarla con un altro nome, per non farsi notare», esordisce il presidente di Confedilizia, Giorgio Spaziani Testa: «Lo informiamo che molti dei suoi iscritti la patrimoniale la pagano già, si chiama Imu-Tasi e pesa 21 miliardi di euro l’anno». Quanto alla boutade del Fondi monetario internazionale, Spaziani Testa chiosa: «Una nuova tassa sulla casa come soluzione ai problemi dell’I-

GIORGIO SPAZIANI TESTA, PRESIDENTE DI CONFEDILIZIA

talia. Se queste sono le intuizioni degli economisti del Fondo monetario internazionale, stiamo freschi». «Perché vi sia davvero un cambiamento, un documento di analisi e programmazione economica come il Def dovrebbe fare due cose che nessuno degli ultimi governi ha fatto: riconoscere la situazione di crisi del comparto immobiliare e programmare politiche per il suo rilancio», continua il presidente di Confedilizia. «Pochi giorni fa l’Istat ha confermato che i prezzi delle case, e quindi i risparmi delle famiglie, continuano a diminuire. Rispetto al 2010, penultimo anno prima dell’arrivo dell’Imu, il calo medio è stato del 23,2%, ma la cifra è persino ottimistica visto che naturalmente non considera tutte le abitazioni che non si riescono a vendere, e il cui valore è quindi prossimo allo zero. Questa situazione, che caratterizza l’Italia in negativo rispetto a tutti gli altri paesi europei, sta deprimendo i consumi, oltre ad aver causato chiusura di imprese, perdita di posti di lavoro, svalutazione delle garanzie delle banche. Di fronte a tutto ciò, un Def del cambiamento programmerebbe la riduzione della patrimoniale Imu-Tasi da 21 miliardi di euro l’anno, il rafforzamento della cedolare secca sugli affitti, la rimozione delle storture fiscali che danneggiano le società immobiliari, la stabilizzazione e il miglioramento degli incentivi per gli interventi sugli immobili. Solo così si getterebbero le basi per una crescita che tutti auspicano, che troppi annunciano, ma che in realtà finora non si riesce nemmeno a intravedere».

L’ISTAT CERTIFICA I VALORI IN DISCESA. MA NON È UN DESTINO INELUTTABILE

«L’Istat certifica, per l’ennesima volta, che i prezzi delle case continuano inesorabilmente a scendere. Sono risparmi delle famiglie che vanno in fumo, investimenti che evaporano, anni di lavoro che vengono resi vani». Giorgio Spaziani Testa, il presidente di Confedilizia, lancia un appello alla politica: «Non è un destino ineluttabile, tanto è vero che tutto ciò accade solo in Italia, mentre nel resto d’Europa il mercato immobiliare è florido. La politica potrebbe fare qualcosa, per esempio iniziando a correggere gli errori

compiuti negli ultimi anni, a partire dalla masochistica tassazione patrimoniale che dal 2012 opprime il patrimonio immobiliare privato, una risorsa che viene assurdamente trattata come un nemico». Per il presidente di Confediliza occorre comprendere «quanto il settore immobiliare potrebbe tornare ad essere, se liberato dalla morsa fiscale, il compiuto e ineguagliato motore di sviluppo che è sempre stato». Altro che dcreto crescita: «Se fosse coerente con il suo nome, in esso

dovrebbero trovare posto misure di stimolo per il settore immobiliare. Il Ministro dell’economia e delle finanze Giovanni Tria ha più volte manifestato, da professore di economia, convinzioni molto nette sul punto. A proposito della tassazione sugli immobili in essere dal 2012, ad esempio, ha evidenziato gli effetti negativi che ha avuto il suo aumento anche sui consumi, a causa dell’effetto ricchezza negativo sulle decisioni di spesa delle famiglie. Confedilizia ha presentato precise proposte al governo». maggio 2019 103


BIBLIOTECA Antonio Quaglio Laureato in Economia aziendale all’Università di Venezia, è stato inviato e caporedattore a Il Sole 24 Ore. Collabora a www.ilsussidiario.net.

IL GESTORE? UN BUON PSICOLOGO (E UN PÒ GIORNALISTA)

N

elle prime pagine di “Uomini e soldi” (Rizzoli, 2019, pagine 205. 17 euro), Paolo Basilico rivela che “nella prossima vita” gli piacerebbe fare il giornalista. Ricorda anzi che al primo stage a Wall Street - poco più che ventenne - una luccicante trading room gli fece immediatamente pensare alla redazione di un quotidiano, “sempre al centro degli avvenimenti”. E’ una passione - quella per il giornalismo finanziario tra cronaca e storia, tra pensiero e linguaggio - che il fondatore di Kairos ha coltivato anche nella sua prima vita: quella di gestore tra Piazza Affari e i mercati globalizzati, visti nascere, crescere impetuosamente, crollare su se stessi, cercare un faticoso new normal. E anche l’ultima fatica letteraria di Basilico - al passo d’addio dalla sua investment house milanese - è un brillante saggio giornalistico su 35 anni di lezioni ininterrotte sul come conseguire un “benessere finanziario”: quello del gestore non meno del suo cliente. Un reportage esistenziale in cui ci si imbatte in un colloquio di assunzione in Mediobanca con Vincenzo Maranghi: nel quale il delfino di Enrico Cuccia gli riepiloga l’ortodossia bancaria di Via Filodrammatici, che era tuttavia l’esatto contrario delle ragioni che avevano indotto Gerardo Braggiotti a portare in Mediobanca un giovane finanziere di mercato. Ma poche pagine dopo il lettore è attirato con pari curiosità da un appunto sperimentale di psicologia comportamentale, fil rouge del Basilico-pensiero: l’utilità di un’installazione luminescente a forma di bambù (resistentissimo perché estremamente flessibile) per motivare una squadra sotto pressione come quella di Kairos negli ultimi mesi del 2008. “Il racconto di una vita svela i segreti per investire con successo”: il sottotitolo ammicca in modo raffinato a “The intelligent investor”, che Basilico cita come sua bible e che fu scritta da Benjamin Graham, futuro maestro di Warren Buffett, appena dopo il great crash del 1929. Ma non è una madeleineintellettuale di un bocconiano di razza: è invece il memento tramandato fra generazioni di finanzieri a partire dall’esperienza drammatica della madre di Graham, che nel 1907 si era indebitata per investire a Wall Street e aveva perso tutto. Anche Basilico, cent’anni dopo si ritrovò the skin in the game, con la propria pelle in gioco, all’indomani dello tsunami innescato alla borsa newyorchese dal crack 104 maggio 2019

Paolo Basilico lascia la guida di Kairos con un volume sull’investire con successo: cioé con intelligenza di Lehman Brothers. Mentre il sistema bancario globale si paralizzava e inaridiva, i clienti bussavano in massa anche alla porta di Kairos (e in effetti riscattarono fino del 50% delle masse amministrate). E Basilico - non per caso - racconta come la sua strategia difensiva cominciò informativa e convinzione ultima che la finanza sia una rete vasta, profonda e sofisticata di relazioni interpersonali. Il workshop annuale di Kairos è sempre stato un must del Miglio Quadrato meneghino: con ospiti prestigiosi e agende raffinate. Ma nell’autunno 2008 era tutto diverso: la dissoluzione dei mercati finanziari era più che una percezione da parte di investitori attoniti e spaventati. Quel giorno il guest speaker era Basilico stesso e le 700 persone che aveva di fronte al Principe di Savoia di Milano erano più o meno virtualmente tutti suoi clienti: anche chi non lo era voleva da uno dei più riconosciuti di Milano una parola realmente fair su come reagire a quanto stava accadendo. Il patron di Kairos accese una sola slide: la sua asset allocation personale, compresa la componente immobiliare privata. “I miei investimenti finanziari replicavano in modo identico le gestioni dei nostri clienti. Spiegai che ero tranquillo, anche se in quel momento stavo perdendo il 12 per cento. Ma sapevo esattamente quello che avevo in portafoglio e per quanto difficile fosse la situazione - non avevo nessuna intenzione di lasciarmi prendere dal panico e vendere”. L’aver condiviso i rischi finanziari e quelli psicologici con i propri clienti - e più in generale con il mercato - pagò in moneta sonante: l’indipendenza di giudizio - nel caso di Kairos radicata nell’indipendenza della proprietà e delle condizioni di gestione - arrestò l’emorragia e le masse in gestione triplicarono nel giro di pochi anni.


EDUCAZIONE FINANZIARIA Paolo Zucca Iscritto all’Ordine dei Giornalisti dal 1979, già responsabile del supplemento de II Sole 24 Ore Plus 24. Partecipa a tutorial e iniziative contro l’eccessivo uso del contante. Twitter @pzu551

MICROPOLIZZE COMODE MA DA LEGGERE BENE

C

he bello. Poter assicurare la famiglia per l’improvvisa gita in montagna del giorno dopo o il pattinaggio del pomeriggio deciso all’istante con i figli. Qualche click, pochi euro e la copertura è scattata. Sono in tanti a scommettere che il mondo delle polizze sarà sempre più a consumo, fatti salvi i contratti più strutturati su salute, ricoveri, lavoro, casa e mezzi di proprietà. Nel mondo delle micropolizze, quelle che possono essere richieste, approvate e sottoscritte tramite App, fioriranno le proposte di ogni tipo e per ogni passione. In pochi minuti per ogni evenienza improvvisa si potrà fare di tutto, riguarderà persone, cose, animali. E se non ci ricorderemo, saranno le offerte online a ricordarci di assicurare il gatto durante il trasferimento al mare. O l’attrezzatura per l’immersione subacquea del week end. La geolocalizzazione e i motori di ricerca dicono molto della nostra vita. Il tutto si potrà fare da smartphone, tanto facile e pratico da far dimenticare le clausole e anche i costi. Chi - per pochi euro - avrà voglia di leggere condizioni e franchigia per un accordo di basso costo e di immediato utilizzo? Proprio per cogliere il meglio della grande opportunità che sta nascendo nell’insurtech (insurance innovata dalle tecnologie digitali e dei pagamenti) sarà invece utile dedicare qualche minuto alla lettura delle clausole. Non tanto il premio, che moltiplicato per i giorni dell’anno apparirebbe stratosferico (ma in questo caso le compagnie coprono un evento/rischio concentrato e certo), quanto per il perimetro di copertura e il proprio profilo di assicurato. E come si dovrà agire qualora - purtroppo - l’evento temuto si dovesse verificarsi. In Italia stanno muovendosi delle nuove entità più o meno collegate ai gruppi maggiori. Da Yolo a Poleecy, ad altri che sono attivi e tanti si stanno preparando. La confrontabilità dei costi delle micropolizze – si spera - verrà sviluppata con l’affermarsi di questo promettente mercato. In questo momento è forse opportuno che il risparmiatore faccia attenzione a un meccanismo della mente che suona più o meno così: “Costa poco, non ha funzionato come immaginavo ma ho perso il costo di due caffè o una birra. Non avevo tempo e voglia di leggere tutto”. Se l’esborso è piccolo - in sostanza -

Per cogliere le migliori opportunità offerte dall’insurtech sarà utile fare attenzione alle clausole vada come vada. Non è corretto, non è quello che vogliono le compagnie serie. E forse ci si espone a tentativi di frode che non mancheranno. Prendiamo un’offerta tra le tante e lasciamo da parte quelle che riguardano le persone e gli animali dove l’attenzione dovrebbe essere più alta. Soffermiamoci su un contratto che protegge un oggetto, quindi con una sfera emotiva nettamente inferiore e quindi più esposta alla sottovalutazione. Per esempio per coprirsi dall’indisponibilità di un dispositivo mobile bisogna sapere che il danno può essere coperto solo per uno smartphone giovane, massimo due anni. Preso e riparato per sole due volte in 12 mesi. Gli accessori devono essere quelli della marca, non ci deve essere ovviamente dolo e valgono altre condizioni fissate nelle “Norme che regolano l’utilizzo”. Dove si trovano anche i canoni del contratto assicurativo, in genere bassi, e il contributo previsto per prestazioni successive. E dove si ricorda il diritto di recesso. Meglio leggere. Tutti hanno convenienza a un pieno funzionamento dell’instant insurance per evitare i contenziosi più costosi degli importi. Sapere che i propri comportamenti possono determinare un aumento o una diminuzione dei costi è importante anche per le micropolizze. Gran parte dei contratti è governata da algoritmi e da link fortemente automatizzati. L’assicurato ha una sua storia che può giocare a favore o contro. E’ così da tempo, ora diventerà più precisa. Lo sanno bene gli automobilisti e i conducenti professionali valutati con le scatole nere: gli algoritmi penalizzano o premiano lo stile di guida, velocità, curve, capacità previsiva. I parametri diventano sempre più mirati e la progressiva connessione delle auto non potrà che ampliare il monitoraggio. Piaccia o non piaccia. maggio 2019 105


COLLEZIONISMO IL MERCATO DEI SIGARI

Soldi andati in fumo? Macchè, un investimento redditizio di Davide Passoni

L’

incubo di ogni investitore è vedere i propri soldi andare in fumo. Eppure, c’è una forma di investimento pensata proprio perché i risparmi facciano quella fine. Paradosso? No, se si parla di investire in sigari. Una nicchia che in Italia non è ancora sviluppata come in altri Paesi ma che, seguendo i consigli giusti e mescolando razionalità e passione, può rivelarsi un’interessante forma di investimento alternativo, inconsueta ma anche redditizia. Ne ha parlato a Investire Nicola Di Nunzio, 37 anni, appassionato e collezionista di sigari e memorabilia cubana dagli anni 2000, coordinatore della rivista Sigari e referente italiano per Cigar Journal. I sigari sono sinonimi di Cuba anche per chi sceglie di investire in essi? Sì, i sigari da investimento sono principalmente i cubani. C’è anche chi colleziona i dominicani, ma secondo il mio punto di vista, pur essendo ottimi prodotti non hanno un ritorno in termini di investimento. Chiarito questo, diciamo che il mercato del collezionismo di sigari è esploso negli anni 2000, con le prime aste di Christie’s e Sotheby’s a Londra. Pian piano poi, con il crescere del numero di novità rilasciate nel mondo dei sigari cubani da Habanos s.a. - l’unica società che a Cuba produce e distribuisce sigari -, gli appassionati hanno iniziato ad accumulare pezzi. Negli anni 2000, Habanos s.a. ha cominciato a rilasciare le proprie edizioni limitate, mediamente tre all’anno, immesse sul mercato in quantità appunto limitate ma non numerate: non viene dichiarato quanti pezzi se ne producono e perciò può accadere che, di punto in bianco, non se ne trovino più. 106 maggio 2019

Nella foto Nicola Di Nunzio, grande collezionista e coordinatore della rivista Sigari

Quali sono le tendenze degli ultimi decenni? Verso il 2008-2009 sono iniziate le prime aste online nel Regno Unito, organizzate da Mitchell Orchant, che poi replicava gli appuntamenti dal vivo, con lotti che raggiungevano prezzi importanti. Il boom vero si è avuto però dopo il 2010, con l’aumento di appassionati e collezionisti e con l’esplosione dei mercati cinese e di Hong Kong, dove si trovano molti investitori e club privati. Nel Regno Unito rimangono grandi collezioni, legate specialmente ai mercanti che, soprattutto durante la Seconda Guerra Mondiale, conservavano i sigari per personaggi importanti, come ministri, generali, attori. Costoro, anziché tenerli a casa propria, li lasciavano in negozi come J.J. Fox o Dunhill a Londra, dove erano conservati all’interno di locker umidificati. Un aneddoto che ben dipinge quest’epoca racconta che Winston Churchill, dopo un bombardamento nazista su Londra, fece la sua prima telefonata a Dunhill per sapere se i suoi sigari erano salvi. Londra, Hong Kong, Cina… e a Cuba? Aste importanti si tengono durante il Festival del Habano, il più importante al mondo, che si svolge a Cuba a febbraio. Nei giorni del festival si presentano le novità, c’è una fiera commerciale e al venerdì sera si tiene una cena di gala con un’asta in cui vengono battuti alcuni humidor realizzati in pezzi unici: il ricavato dell’asta va completamente alla sanità cubana. È un momento importante per collezionisti e investitori,


COLLEZIONISMO perché vi sono humidor battuti a diverse decine di migliaia di euro. Il numero 1 dell’humidor creato per il 50° anniversario di Cohiba, realizzato in 50 esemplari, è stato battuto nel 2016 a 310.000 euro. Quest’anno è stato realizzato l’humidor per il 50° anniversario di Trinidad in 100 pezzi numerati: il numero 1 ha toccato i 300.000 euro. Altre appuntamenti per collezionisti e investitori? Attualmente l’asta più visibile è nel Regno Unito, organizzata da Mitchell Orchant, ed è pubblica. Ci sono anche aste private, organizzate da collezionisti che si contattano tra loro, come in Irlanda, in Kuwait o a Hong Kong. Non cito l’Italia perché da noi la legge vieta di vendere sigari a chi non ha la licenza del Monopolio: aste di sigari, virtuali o fisiche, nel nostro Paese sono fuorilegge. Qualche consiglio per investire in sigari: che cosa fare, dove andare, a chi rivolgersi? È fondamentale informarsi, sempre, consultando libri attuali ma soprattutto antichi, per conoscere le collezioni del passato. La cultura e l’aggiornamento costante sono molto importanti e si possono sviluppare con le pubblicazioni ufficiali di Habanos s.a. o seguendo le comunità di appassionati. In Italia abbiamo la rivista Sigari che è totalmente dedicata a questo universo, mentre nel mondo ci sono Cigar Journal, Cigar Aficionado e altre. In Italia, io faccio parte della Cigar Club Association, che raggruppa oltre 100 cigar club italiani e stranieri, al cui interno ci sono momenti di aggiornamento e cultura e in cui teniamo corsi tra i quali il corso Catadores, per diventare “sommelier” del sigaro. Al termine rilasciamo un attestato che a qualcuno ha aperto anche possibilità di lavoro nei cigar service all’interno degli hotel. Quali sono i principali brand da investimento, che possono garantire maggiore valore? Se guardiamo al passato, i Dunhill e i Davidoff prodotti a Cuba. Nel 1991, questi due brand hanno lasciato l’isola per dissidi con lo stato cubano e i sigari prodotti prima di quell’anno sono molto ricercati dai collezionisti, con scatole da 25 pezzi che possono superare anche gli 8.000 euro. Poi ci sono i brand discontinuati, ossia quelli che sono scomparsi per un periodo dalla produzione e poi riapparsi. Tra questi La Escepción, ritornato dopo quasi 20 anni di silenzio con due edizioni regionali dedicate al mercato italiano. Anche edizioni di brand non discontinuati come Cohiba sono preziose, se risalenti agli Anni ‘70 e ’80, perché contengono sigari che poi non sono stati più prodotti. Altri marchi da investimento sono Ramon Allones, Partagas, Romeo y Julieta, San Luis Rey, per citarne alcuni. Altri nomi di rilievo? Di certo conviene investire nei Reserva, una particolare edizione creata in soli 5.000 box numerati da 20 sigari. Ottime

A LONDRA, HONG KONG E L’AVANA SI SVOLGONO LE ASTE PIÙ IMPORTANTI DEL SETTORE. NON È RARO CHE UN HUMIDOR VENGA BATTUTO ANCHE A 300MILA EURO

Nella foto sopra, il Cohiba Majestuosos 1966. Creato in 1966 esemplari nel 2016. Messo sul mercato a 3.400 euro, ne vale oggi 10.000

anche le Gran Reserva, box da 15 sigari prodotti in 5.000 pezzi. Poi ci sono gli humidor rilasciati annualmente da Habanos s.a., come le Replica Antigua, che riproducono gli humidor degli anni precastristi sulla base di esemplari trovati da collezionisti di memorabilia: Habanos studia un sigaro da mettere all’interno e lo lancia sul mercato. Il primo Replica Antigua è nato nel 2006, prodotto in 200 esemplari. Ci sono poi gli humidor commemorativi; quest’anno, per esempio, si festeggiano i 500 anni della città de L’Avana ed è stato creato un humidor per celebrare la ricorrenza. Non colleziono invece i book habanos, box a forma di libro nati nel 2000 con 10 sigari, creati nella prima edizione in soli 300 pezzi. Da 300 sono poi passati a 500, a 1000 per arrivare oggi a una produzione di 2000 pezzi. Sono prodotti che invece acquisto per poter fumare i sigari all’interno, visto che contengono vitole (il formato, ndr) uniche, create appositamente per ogni release. Mi pare di capire che, oltre al sigaro in sé, anche l’oggettistica può dare soddisfazioni. Sì, penso che il collezionismo di memorabilia legata al sigaro sia promettente. Si va da humidor centenari, a produzioni personalizzate con impresso il nome maggio 2019 107


COLLEZIONISMO

del proprietario, agli humidor che Fidel Castro regalava come omaggio diplomatico. Un humidor da tavola vuoto può valere fino a 5.000 euro. Per non parlare delle giare in ceramica e in vetro, ottime come investimento perché sono tutte numerate. Il metodo di conservazione del sigaro è lo stesso del vino: sono sigillate e ciò crea al loro interno un microclima di cui beneficia il sigaro. La prima giara in ceramica prodotta è di Partagás, è datata 1920 ed è nota come La Talavera Azul. Fu creata in 1000 esemplari numerati sia sul corpo sia nel tappo. A oggi è molto difficile trovare un esemplare con la numerazione sul tappo che corrisponde a quella sul corpo. Il mondo dei memorabilia non è ancora esploso del tutto: io ci credo tanto, è un settore che va tenuto d’occhio e che può diventare un ottimo filone di investimento per gli appassionati. Buy, sell, hold: ha qualche dritta da darci? Buy: un humidor, il Cohiba 1966 Majestuosos, creato in 1966 esemplari per il 50° anniversario di Cohiba nel 2016: uscito sul mercato italiano a 3.400 euro, oggi ha un valore minimo di 10.000, ma ha raggiunto anche punte da 15.000 euro. Sell: difficile dire che cosa vendere. I sigari cubani, più invecchiano più acquisiscono valore, specialmente nelle edizioni limitate. Suggerirei i Dunhill e i Davidoff pre 1991, che a grandi linee hanno raggiunto il loro massimale e più di tanto non si rivaluteranno. Hold: qualche edizione regionale, come ad esempio le produzioni di Habanos riservate a determinati mercati nazionali. Sta poi al collezionista individuare il confezionamento interessante o il brand particolare con sigari in formati che non si trovano più in commercio. Un esempio è La Escepción Selectos Finos, prodotta per l’Italia nel 2011 in sole 2000 scatole da 25 sigari l’una. È uscita a un prezzo di circa 330 euro a scatola, in un momento in cui in pochi erano interessati a questo sigaro; dopo il 2010 si preferivano infatti sigari corti e tozzi, da ostentare, mentre questi erano sottili ed eleganti. Pian piano, specialmente dall’estero, è aumentata la richiesta e ora queste scatole valgono da 1.000 a 1.500 euro, con possibilità di ulteriore rivalutazione. 108 maggio 2019

Nella foto la casa del Habano di Milano

Chi investe in sigari deve essere per forza un fumatore? Sì. Se tutto ciò che è limitato e numerato può diventare un ottimo investimento per un collezionista, questi può anche puntare a produzioni ordinarie, ma prima di acquistarne diverse scatole le deve fumare. È comunque un mondo molto soggettivo, che richiede pazienza nell’evoluzione del gusto e della capacità di scegliere. Qualche consiglio per conservare correttamente un sigaro e renderlo prezioso? Habanos inserisce in ogni sua scatola una carta con i consigli di conservazione, che sono un po’ la Bibbia del fumatore: la regola dice che la temperatura di conservazione deve essere tra i 16 e i 18 gradi, con una percentuale di umidità tra il 65 e il 70%. Poi c’è il tocco personale di ogni collezionista. Partiamo con il dire che i sigari vanno conservati all’interno degli humidor, che possono essere statici o dinamici; nei primi viene regolata solo l’umidità, nei secondi sia l’umidità sia la temperatura. A detta di tutti, il secondo è il migliore sistema di conservazione. Io invece, facendo prove da quasi 15 anni, non ho humidor con controllo della temperatura ma

VA FORTE LA COLLEZIONE DI MEMORABILIA: UN HUMIDOR DA TAVOLA VUOTO PUÒ VALERE 5.000 EURO. CHE INTERESSE PER LE GIARE IN CERAMICA

regolo solo l’umidità: d’estate, quando la temperatura sale, la abbasso - tra 25 e 27 gradi porto l’umidità al 62-63% -, d’inverno faccio il contrario e porto l’umidità al 68-69% con la temperatura della casa intorno ai 18-19 gradi. È importante controllare periodicamente i sigari; una scatola può conservarsi in modo perfetto, un’altra meno. Con un’umidità troppo alta, il sigaro va in fermentazione e forma una piccola muffa che va spazzolata con un pennellino. Se non lo si fa, il sigaro assorbe l’odore della muffa, che ne altera l’aroma: la muffa in sé è benefica perché è indice del fatto che il sigaro è vivo, ma va trattata ed eliminata.


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PASSIONI ASSET CLASS

Il private banking senz’arte? Si perde il meglio di Angelo Curiosi

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CASTEJON: «CHI OGGI NEL MONDO DEL WEALTH MANAGEMENT NON PARLA DI OPERE D’ARTE, DI QUOTAZIONI, DI MUSEI E DI ASTE È UN IGNORANTE... NEL SENSO CHE IGNORA CIÒ CHE CONTA DI PIÙ»

l mondo della finanza in questi ultimi anni ha compreso che un nuovo prodotto, proprio una nuova asset class, poteva essere l’arte. Ma non ha ancora compreso come mettere a sistema quest’intuizione”: Marco Davide Castejon, fino a qualche mese fa commissario liquidatore delle holding dell’immobiliarista Luigi Zunino - Risanamento Spa ha sempre coltivato l’arte moderna come passione più che come business, anche se il suo track-record in materia è già oggi ben più solido di quello di un semplice appassionato. Ma ora che è più libero da altri impegni sta cambiando marcia: “Chi oggi nel mondo del private banking e del wealth management non parla di opere d’arte, di quotazioni, di musei, di aste… è un ignorante, cioè proprio ignora ciò che invece conta di più”. Ma Castejon, provocazioni a parte, cosa può e deve cambiare nel rapporto tra private banking e arte? Capire l’arte come asset è diventato fondamentale per questo mondo ma credo anche che non si debba lasciare ai soli esperti d’arte la conduzione del rapporto con la finanza. I tanti family office che oggi si occupano della gestione dei grandi patrimoni sono forse una ottima soluzione per investire nell’arte anche perché chi li possiede quasi sempre ha già diversificato il suo portafoglio nell’arte. Noi, attraverso la Poincaré e chi con la stessa collabora, vogliamo aiutare questi gruppi nel comprendere che alcune volte il futuro di un artista non è in quello che dice il gallerista ma nell’opera e nella filosofia che lo stesso vuole esprimere. Scusi, Castejon, cos’è Poincaré? È una società svizzera attraverso la quale con un gruppo di soci opero in questo settore e in quello dello sport, in un’iniziativa in cui voglio investire le competenze e la visione che abbiamo messo a punto. E l’abbiamo MARCO DAVIDE CASTEJON chiamata non a caso 110 maggio 2019

col nome di Jules Henri Poincaré, un matematico francese vissuto a cavallo tra ‘800 e ‘900, forse l’ultimo degli enciclopedisti e, in matematica, l’ultimo universalista. La scelta è anche caduta su di lui per una sua celebre frase che riprende benissimo il mio modo di operare “ Creatività è unire elementi esistenti con connessioni nuove che siano utili ” Tornando alla sua visione: come scegliere gli artisti su cui puntare? Non aspettiamo che un artista sia morto per diventare famoso, nè che lo stesso lasci la sua passione per dedicarsi ad altro. Tutti possono essere o meglio cercare di essere artisti, ma pochi, veramente pochi, lo sono. Penso che i veri artisti devono fare ciò che amano e non pensare ad altro. Il compito di quello che viene un minuto dopo la loro opera, ma anche prima in certi casi, non deve essere nulla che possa distrarli e offuscargli la creatività. Questo vale anche per tutti i siti che accolgono le opere d’arte, siano essi musei, spazi espositivi, fiere o altro. Senza però dimenticare che per lavorare bene con tutti occorre quella vena creativa, quella visione di insieme ma che quella malizia commerciale, che pochi hanno. Un attimo, Castejon: ma cos’ha sperimentato lei, in materia, intanto che si occupa di questioni finanziarie diverse e molto complesse? Nel corso degli anni mi sono occupato, in collaborazione con persone altamente professionali, di mettere a disposizione di alcuni artisti e anche di un museo, la mia esperienza manageriale e le mie conoscenze, quelle non strettamente legate al mondo dell’arte, ma che potevano, così come è poi stato, portare dei benefici. L’organizzazione, la gestione, il marketing, gli sponsor e quanto loro possono portare ma anche giustamente chiedono in cambio, insomma: tutta la parte invisibile da fuori di una mostra o di un museo, sono il frutto della capacità di creare dei team di manager. A queste persone tu devi fare comprendere il sogno, la visione, la mission che il museo o l’artista si è dato perché solo così si può raggiungere un alto risultato e tutti si sentano parte di una opera. Esempi? Uno dei più bravi nella gestione globale dell’arte e degli eventi


PASSIONI artistici è Alfredo Cramerotti, direttore del Mostyn, il principale centro d’arti visive del Galles, uno dei principali nel Regno Unito, con cui ho avuto il piacere di collaborare per una mostra dell’artista Marinella Senatore. Oggi con lui abbiamo in corso dei progetti di art management sia su scala museale che personale e finanziaria. E ho assistito e coudiuvato, sempre in quella parte oscura ma fondamentale atta alla realizzazione di eventi, l’artista Ciriaca+Erre. Alcuni di questi sono stati grandissimi successi, alcuni anche in collaborazione con Alfredo Cramerotti, mentre altri con istituzioni quali il Museo della Permanente, Palazzo Bagatti Valsecchi. Ma il progetto che ritengo sia la sintesi di quanto un artista può e vuole trasmettere, penso sia quello che Ciriaca+Erre ha ideato e con il mio aiuto realizzato in occasione di Expo 2015 a Milano. Collabora con altri musei, oltre al Mostyn? Ho collaborato con il Museo delle Culture di Lugano, oggi Musec, ed è stato molto istruttiva dal punto di vista personale. Un museo è una società a tutti gli effetti e deve tutti giorni produrre quanto la sua mission e i suoi azionisti hanno pensato. L’esperienza mi ha fatto capire e conoscere che anche nel mondo dei musei i manager bravi scarseggiano. Ci sono sì, secondo me, dei bravissimi direttori di strutture museali o espositive, ma troppo spesso pensano che la loro creatività debba venire anteposta all’opera dell’artista. Che sia un perfetto sconosciuto o un famoso pittore del Rinascimento. Abbiamo visto tutti delle mostre dove la spettacolarità della stessa era maggiore rispetto alle opere esposte. Forse, e lo dice uno che crede che l’arte è un business con una potenzialità maggiore rispetto allo sport, occorre far si che ognuno faccia la sua parte e il suo mestiere. Ma come, vorrà mica contrastare la crescita dei musei? Al contrario, non sono per niente contrario alle mostre, al mondo dei musei “spettacolo“, alla creazione di momenti d’arte che siano entertainment, ne sono anzi un fautore, ma secondo me bisogna che tutto questo mondo di iniziative nasca da figure manageriali che non siano concorrenti di quanto espongono e quindi dell’opera e dell’artista. Autocandidatura? Ma neanche per sogno, non ho sicuramente la cultura e l’esperienza di tanti direttori di musei o uomini che lavorano nel mondo dell’arte. Quello che vedo e che sto portando nel sistema è una visione di come con l’arte si possa fare business sano, corretto e prospettico. Con una prima regola d’oro: non buttar via i soldi, perché soldi risparmiati sono soldi guadagnati. Ci spieghi allora cos’è, per lei, la creatività applicata al business dell’arte… Penso che Creatività – con la maiuscola - sia unire elementi esistenti con connessioni nuove che siano utili. Peraltro, questa è l’esatta definizione che ne dà il mio ispiratore Poincaré. Ci sono molti modi di essere manager, anche nel mondo dell’arte, dello sport, dell’industria, dei servizi o della finanza, ma essere un elemento di unione tra questi mondi con un forte valore aggiunto di creatività ritengo sia fon-

Sopra: l’arte è anche entertainment. In basso un’opera di Ciriaca+Erre

damentale per affrontare e risolvere le sfide continue e creare nuove opportunità. Il mio approccio nel mondo dell’arte è quello di portare quanto ho imparato, sia professionalmente, sia in termini di relazioni. Il mio sapere come manager con esperienze quali liquidatore o di professionista a cui veniva chiesta la creazione di valore, oggi è a disposizione del mondo dell’arte. Artista tutti possono cercare di diventarlo, anche se pochi veramente lo sono, ma anche di manager multidisciplinari non ce ne sono poi tanti… Un’ultima domanda: finora, nelle sue incursioni professionali nel mondo dell’arte, si è occupato spesso di donne, citava due artiste. Perchè? Potrei risponderle che il futuro è delle donne ma, battute a parte, ritengo che la visione e quindi la capacità espressiva che le donne hanno sia molto più avanti di quella della maggior parte degli uomini. Qualche anno or sono, insieme ad un gruppo di amici, avevamo pensato di aprire una galleria in Engadina che rappresentasse solo artiste donne. Il progetto è stato messo in un cassetto perché erano troppe le brave artiste donne che avremmo dovuto rappresentare e la nostra idea di investimento non era alla loro altezza. Art Basel Honk Kong che si è appena conclusa ha visto vendite di artiste donne in misura nettamente maggiore rispetto a quelle degli uomini, basti pensare che la galleria Hauser & Wirth ha venduto tutte le opere di Louise Bourgeois in una sola giornata. Ma qui ritorno a quanto dicevo poc’anzi, non aspettiamo che l’artista sia morto per dargli valore. E invece generalmente sulle donne accade più di frequente. maggio 2019 111


MOTORI

NASCE IL SOFTWARE BOSCH CHE TI SALVA DAL CONTROMANO Bosch ha inventato il wrong-way driver warning, un sistema informatico tanto semplice quanto utile a proteggere la sicurezza degli automobilisti. Si tratta di un servizio salvavita basato su cloud, disponibile in molti paesi europei, che non solo avverte il conducente che sta procedendo nel senso di marcia sbagliato, ma allerta anche gli altri guidatori che si trovano nell’area di pericolo, inviando notifiche immediate. Integrato dapprima nelle app radio tedesche delle trasmittenti tedesche, oggi questo software lo si trova già in molte app di navigazione, streaming e radio, raggiungendo diversi milioni di persone. Bosch utilizzerà un nuovo modulo software per integrare il wrong-way driver warning direttamente nei sistemi di infotainment dei veicoli futuri. Il display di bordo potrà quindi avvisare il conducente in pochissimi secondi. L’azienda tedesca sta dialogando con molte case automobilistiche che desiderano integrare il wrong-way driver warning come dotazione di serie.

FCA WHAT’S BEHIND: IL GRANDE DOCUMENTARIO DEL GRUPPO FCA Dietro ogni grande gruppo automobilistico si nasconde un mondo, molto spesso nascosto. Così FCA ha voluto aprire le porte del suo universo, per raccontare a tutti gli elevati standard di qualità, sicurezza, affidabilità e comfort che caratterizzano ogni automobile prodotta nei suoi stabilimenti. Questi, e tanti altri, sono obiettivi che richiedono un incessante lavoro dietro le quinte: FCA What’s Behind è il videoprogetto che ne svela i dettagli. Per la prima volta vengono raccontate le molteplici attività che contribuiscono

112 maggio 2019

allo sviluppo e alle verifiche qualitative delle vetture, in una docuserie senza precedenti. Gli episodi spaziano infatti dai ghiacci di Arjeplog ai deserti sudafricani, dove i prodotti vengono testati nelle condizioni più estreme, passando per i centri d’eccellenza FCA come il Proving Ground di Balocco (VC), il Safety Center di Orbassano (TO), il Centro Ricerche di Torino. Luoghi emblematici e riferimenti mondiali in termini di ricerca e sviluppo, il tutto per un eccezionale e appassionante reportage.

NUOVA Z4: LA ROADSTER SECONDO BMW

Giunta alla terza generazione, è arrivata la nuova BMW Z4. Lunga 4,32 metri, propone un design tutto nuovo, con una calandra a doppio rene “reticolata”, i fari a LED, che si sviluppano in verticale, e la capote, che torna a essere in tessuto e si apre in 10 secondi. Al posteriore spiccano lo spoiler integrato nella coda e le luci a forma di L slanciata, che riprendono il family feeling del marchio. La strumentazione è rivolta verso la postazione del guidatore e tutto è focalizzato sul suo piacere di guida. Due i display, con il Live Cockpit Professional da 12,3

pollici e il Control Display dell’infotainment da 10,25 pollici, mentre il bagagliaio aumenta la sua capienza di 100 litri, arrivando a 281 litri, sia con la capote chiusa, sia aperta. I motori infine sono tutti turbo ed Euro 6d-Temp. Si parte dalla sDrive 20i, dotata del 2.0 TwinPower turbo da 197 CV, disponibile sia manuale (da luglio), sia automatica a 8 rapporti, si sale alla sDrive 30i da 258 CV, sempre 2.0 turbo, e si arriva il 6 cilindri in linea 3.0 da 340 CV della Z4 M40i. Le ultime due sono disponibili solamente con cambio automatico a 8 rapporti.

in collaborazione con Autoappassionati.it


Crema

Crema


MALALINGUA Vittorio Borelli Giornalista di lungo corso, condirettore de Il Mondo, fondatore e direttore di East, già direttore delle relazioni esterne di Unicredito nella gestione Rondelli-Profumo

ECCOMI, SONO UN ITALIANO VERO

B

uongiorno, sono l’italiano medio-alto mira- miare potrei diventare vegano, ma mi piacciono troppo bilmente descritto da Nando Pagnoncelli e le costate con l’osso. Come tutti gli italiani medi racconGiuseppe De Rita. Sono nordista, benestan- tati dal professor Aldo Bonomi sono rancoroso, incazzate, europeista, ambientalista, sposato con to e politicamente volatile. Una volta votavo soprattutto un maschio e una femmina per non far tor- i partiti di centro, adesso mi astengo per esprimere tutto to né a un genere né all’altro. Leggo, frequento, vado il mio disagio. Quando non mi astengo, voto per chi ria teatro e con il mio reddito spingo Pil e consumi. Ho esce a farmi sognare, tipo la Greta Thunberg, però mi due case, una barca a vela vintage, un Dalmata bianco e accontento anche di Alessandro Di Battista. Ma sempre nero che va bene con qualunque vestito salvo l’eskimo, con un fondo di disincanto ironico e scettico, simile a che si accompagnerebbe di più con un Golden Retriver. quello di Enrico Mentana. Sono abbonato al Sole 24 Buonasera, sono l’iOre, ma non lo porto mai in taliano medio-basso. taxi per evitare sgradevoSono cassintegrato, li discussioni con i tassisti sposato con tre figli leghisti. Su suggerimento maschi, di cui due didi un amico terapeuta, ho soccupati, uno chef e smesso di deprimermi con un rider di Foodora. i talk show e ho cominciaSe non fosse per mia to a comprare libri di nudo suocera, che prende artistico su Amazon, dove una pensione d’onon ti vede nessuno. Ho anro da 2.000 euro al che le tessere dell’Arcigay e mese, e per gli aiutini di Eataly, che fanno molto sottobanco del figlio trendy. Alle ultime elezioni cuoco non riuscirei a ho votato Pd. Ma, per dirsfangarla. In azienda la con Angelo Panebianco, TOTO COTUGNO, AUTORE DE “L’ITALIANO” mi hanno detto che sono un ex renziano critico e l’anno prossimo sareautonomo. In passato sono mo tutti esodati. Non stato un craxiano critico e mi restano dunque autonomo, poi un prodiano che San Gennaro, il critico e autonomo. HoneReddito di cittadinanstly speacking, io, come gli za e Quota 100 (tanaltri italiani, sono sopratto, quando lo Stato tutto mio. farà default, io non ci Buon pomeriggio, sono l’isarò più). Come insetaliano medio. Sono sepagna il maestro Marco rato con una figlia etero ma disoccupata. Non leggo li- Travaglio, non posso votare Pd, partito delle élite e delle bri né giornali, mi basta lo smartphone. In Tv mi piace lobby, specie bancarie. Quindi voto Lega e M5S toccandoTgCom per la sua brevità e l’Arena del signor Massimo mi i co…... In omaggio al mio passato di sinistra, continuo Giletti per la sua ruspante chiassosità. Sono molto attivo a leggere il Manifesto e partecipo a tutte le manifestasu Facebook e Instagram, che mi lasciano dire democra- zioni No Tav, No Tap, No Vax, No Tax Area, No Muos, più ticamente tutto quello che mi passa per la testa. Mi pia- quelle antieuropee, antigovernative, antiregionali e ancerebbe vivere in provincia, dove tutti si conoscono e si ticomunali. Le televisioni generaliste mi invitano spesso stanno sui coglioni, invece mi tocca vivere nelle aree più per raccontare la mia triste storia, ma lì c’è troppo da anonime delle città dove, come dice la dottoressa Ales- sgomitare con l’italiano medio, che ha studiato di più e sandra Ghisleri, non sei nessuno e non sai per chi vota- che sa esprimere meglio il proprio disagio. Così preferire. Dal punto di vista economico non me la passo tanto sco fare il plauditore a Di Martedi, dove mi rimborsano bene: tra la play station, il mutuo casa e il car sharing le spese e non rischio di fare brutte figure: devo soltanto faccio fatica ad arrivare alla fine del mese. Per rispar- applaudire quando s’accende l’apposito cartello.

Sono il cittadino medio-alto mirabilmente descritto da De Rita e Pagnoncelli. Leggo, frequento, vado a teatro e spingo il Pil

114 maggio 2019


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