Investire Marzo 2019

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Marzo 2019 Euro 5,00 90003

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Conoscere, rischiare, guadagnare

Dove volano

I BOND

INVESTIRE | ANNO I | N.03 | MENSILE | MARZO | DATA DI USCITA IN EDICOLA: 8 MARZO 2019

Con le incertezze che turbano i mercati l’obbligazionario attrae. Ma non è facile fare centro. Interviste con Monica Defend, Dario Di Muro, Giuseppe Romano. Le analisi di Ugo Bertone e Giordano Lombardo

RISPARMIO GESTITO, LA CONCORRENZA NASCE NELLE AULE DOVE SI FORMANO I CONSULENTI Mifid 2, sfida digitale, un mercato sempre più competitivo spingono le Reti ad affilare le armi delle competenze. Ecco tutte le novità dalle Academy all’e-learning, mentre l’University di Mediolanum compie 10 anni

LUIGI ARTURO BIANCHI: «UN’UNICA AUTHORITY PER VIVIFICARE IL MERCATO FINANZIARIO ITALIANO»

CONSULENZA, È L’ORA DELLE DONNE

• Più Borsa e meno credito, di Francesco Cesarini • Fashion ed emozioni, di Fabiana Giacomotti • Aim vuole crescere e aspetta la legge sui Pir

• Strategas, «un Trump-bis è verosimile» • Fondi pensione, dibattito sui controlli • Talent, la gara di gestione uomini-robot

INVESTIRE SPECIALIST




Mediobanca Certificates, 70 anni di storia. Il mercato finanziario è come il mondo. Per essere esplorato in tutta la sua ricchezza ha bisogno di navigatori esperti. Dal 1946 Mediobanca assiste le imprese e gli investitori con servizi finanziari altamente specializzati dedicati a realtà che evolvono continuamente. I Certificates Mediobanca sono il frutto di competenza, esperienza e affidabilità. Certificates Mediobanca: un punto d’arrivo.

Il presente documento ha esclusivamente scopi di marketing. Esso non costituisce in alcun modo una sollecitazione all’acquisto o alla vendita di qualsiasi strumento finanziario, né attività di consulenza o ricerca in materia di investimenti. Per maggiori informazioni consultare il sito www.mediobanca.com Mediobanca Banca di Credito Finanziario S.p.A. Piazzetta Enrico Cuccia, 1 20121 Milano, Italia • Partita IVA: 10536040966 • Codice fiscale e numero di Iscrizione al Registro delle Imprese di Milano, Monza, Brianza, Lodi: 00714490158 • Mediobanca S.p.A., iscritta all’Albo delle Banche e Capogruppo del Gruppo Bancario Mediobanca, iscritto all’Albo dei Gruppi Bancari al n. 10631. Aderente al Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi e al Fondo Nazionale di Garanzia. • Iscritta al Registro Unico degli Intermediari assicurativi e riassicurativi. Capitale sottoscritto e versato € 443.521.470,00


EDITORIALE

Più fiducia e meno regole di Sergio Luciano

“C’

è uno spettro che si aggira” non solo per l’Europa ma in tutto il mondo del benessere. Lo spettro della sfiducia. La citazione del “manifesto del partito comunista” non evoca utopie politiche o rivoluzionarie, al contrario. Se ne esistessero, alimenterebbero a modo loro una qualche forma di fiducia nell’avvenire, quello destinato ad essere illuminato da sole socialista. Nossignore: mancano. Al contrario: ci sono solo disinganni. Ha deluso la globalizzazione. Ha deluso l’ascensore sociale, troppo spesso bloccato al pianoterra. Ha deluso il sistema previdenziale: un sondaggio appena condotto da Ing sul sentimento di 15 mila occidentali riguardo al loro tenore di vita da pensionati rivela che in media il 60 per cento teme che andrà a star peggio. Questo male oscuro della sfiducia è come sabbia negli ingranaggi del sistema economico. Gli Stati investono meno di quanto dovrebbero perché hanno problemi di strategie prima che di deficit. E anche i privati investono poco. La crescita del risparmio improduttivo registrato in Italia negli ultimi anni è impressionante: l’Abi registra che nel 2018, i depositi della clientela residente sono aumentati di 32 miliardi rispetto al 2017 e che dal 2005 all’anno scorso la liquidità bloccata sui conti (che pure ormai non rendono nulla) degli italiani è salita dal 23 al 32% del totale della ricchezza mobiliare. Idem per le imprese: a fine 2018, tengono immobilizzati in banca 340 miliardi. Anziché investirli. La fiducia non riparte, il denaro non gira, l’economia langue, il lavoro – anche a prescindere dall’impatto della robotizzazione – diminuisce. Bisogna assolutamente uscirne. Ed è chiaro – almeno qui in Italia – che una leva dev’essere una decisa fase di deregulation. In un simile contesto di leggi, leggine e burocrazie si muore. Ci vuole una parola d’ordine vivificante e disinibente, un “arricchitevi!” fiscale che svegli. Vale per tutto, a cominciare dai mercati finanziari, come afferma con forza un osservatore insospettabile e di assoluto prestigio come Luigi Arturo Bianchi, il giurista-economista successore di Guido Rossi alla Bocconi, nell’intervista concessa a Investire. Occorre unificare e semplificare le norme che asfissiano il mercato finanziario e dissuadono le imprese dal quotarsi. La

normativa italiana – aggiunge un altro nome di chiara fama nel diritto dell’economia come Francesco Cesarini, ha nei decenni incoraggiato l’indebitamento, che è un’ipoteca sul futuro, a discapito del capitale di rischio, che è una scommessa, una sfida sul futuro. Il legislatore iperprotettivo e iper-pervasivo preferisce le ipoteche alle sfide? Se allargassimo il discorso all’ordinamento giudiziario sull’economia andremmo di male in peggio. Il codice degli appalti, ispirato dalla velleità di prevenire all’origine i comportamenti corruttivi, si è risolto in una camicia di forza per i lavori pubblici, e il sistema è passato dalla padella degli imbrogli alla brace dell’inazione. L’inefficienza dell’apparato giudiziario – con lo stock di cause civili arretrate a 3,5 milioni e con più nuove cause civili ogni anno in Italia di quante se ne aprano in Francia, Spagna e Gran Bretagna messe insieme – è paralizzante. Nei fatti, la giustizia oltre a essere imprecisa è casuale, come una lotteria al contrario, e non a caso il rapporto Doing Business della Banca Mondiale, ci colloca in materia al penultimo posto nella classifica Ocse. Bisogna deregolare, snellire, incentivare. Non è pensabile che la politica nazionale – nel marasma in cui oggettivamente versa – se ne occupi oggi. Semmai c’è da sperare che un rinsavimento arrivi prima o poi dall’Europa, che però a oggi è a sua volta un monumento alla burocrazia. E dunque che fare? Oltre alla protesta civile e al voto consapevole – a capire quale possa essere! - non rimane che il fai-da-te. Uno snellimento procedurale e una sburocratizzazione rivendicati e ottenuti dal basso, come quella che chiedono le Casse previdenziali autonome e che, speriamo, sia compresa e costruita dal Parlamento (leggere le interviste a Sergio Puglia e Walter Anedda). C’è da investire sulle competenze, senza stancarsi di farlo e senza sfiducia nella possibilità di accrescerle con successo: e la categoria dei consulenti finanziari lo ha capito, come racconta il nostro mensile nella sua inchiesta. E c’è da investire su chi troppo spesso è tenuto ai margini del sistema, a cominciare dalle donne, e qualcosa di buono avviene nell’industria del risparmio gestito, come pure raccontiamo nelle prossime pagine. Insomma rimboccarsi le maniche e avere fiducia: nel nostro interesse e in quello del futuro di chi amiamo.

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Registrazione Tribunale di Milano N. 126 del 27/3/1982

Direttore responsabile Sergio Luciano Caporedattore Marco Muffato Newsroom Marina Marinetti, Marco Scotti, Riccardo Venturi, Raffaela Jada Gobbi, Liliana Nori

Hanno collaborato Antonio Quaglio (Consulente del direttore), Rosaria Barrile, Ugo Bertone, Giacomo Damian, Monica Setta, Gloria Valdonio, Paolo Zucca

Giulio Sapelli, Franco Tatò Partnership Editoriali Confedilizia, Scenari Immobiliari Redazione redazione@investiremag.it

Contributors Vittorio Borelli, Enrico Cisnetto, Giuseppe Corsertino, Anna Gervasoni, Glauco Maggi, Giordano Lombardo, Andrea Margelletti, Marco Onado, Francesco Priore,

Segreteria di redazione Monia Manzoni Presidente e A.D. Giuseppe Caroccia Editore incaricato Domenico Marasco

Responsabile commerciale Luca Ronzoni Casa editrice Economy s.r.l. Piazza Borromeo 1, 20123 MilanoTel. 02/89767777 Distribuzione Pressdi - Via Mondadori, 1 Segrate - 02 7542097 Stampa Stampa Rotolito. S.p.a

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WATCHDOG Marco Onado È professore senior di Economia degli intermediari finanziari nella Università Bocconi di Milano. È stato Commissario Consob. Collabora con “Il Sole - 24 Ore”, “Lavoce.info” e “voxeu.org”.

È URGENTE: QUALCUNO RACCOLGA L’EREDITÀ DI JACK BOGLE

U

no dei tanti a puntare su strumenti a gemotivi per cui stione attiva dal rendimento la Gran Brepiù alto, che però comportatagna è un no rischi superiori e dunque grande paese possono tradursi in cocenti è che riesce a coniugare cridelusioni. La ricerca esaspesi finanziarie che provocano rata del rendimento (search perdite sanguinose ai rifor yield) è una delle distorsparmiatori con analisi rafsioni più gravi della gestiofinate e rigorose. Nel campo ne del risparmio, non solo del collocamento di fondi e perché quasi sempre frutto polizze assicurative abbiadi un sostanziale conflitto di mo visto fallimenti bancari interesse (quello di diluire a catena (a partire da giganti commissioni alte in rendicome Rbs), titoli il cui valore menti attesi altrettanto alti) si squagliava come un cono ma perché è l’ingrediente a Ferragosto e milioni di JACK BOGLE, IL FONDATORE DI VANGUARD SCOMPARSO LO SCORSO GENNAIO principale di ogni bolla ficasi definiti di mis-selling, nanziaria. con l’understatement tipico Nel gennaio scorso è morto dei cittadini di Sua Maestà, Jack Bogle: un pionere del ma che in realtà hanno prosettore che aveva ben chiavocato danni notevoli e che ro che l’interesse del cliente invece hanno portato ricè assolutamente prevalente che commissioni a gestori e e che fin dagli anni Settancollocatori. Ma le inchieste ta aveva capito che troppi sono state rigorose e le anagestori non creavano riclisi molto accurate: come è chezza nei propri portafogli, facile predicare bene e razma si arricchivano a spese zolare male. L’autorità nata dei loro clienti. Si inventò dalla riforma (anche questa quindi la gestione passiva un’usanza britannica come (e a basso costo) con i fondi il tè delle 5: dopo ogni crisi, si cambia l’assetto della rego- Vanguard che dopo inizi alquanto incerti, diventò a poco a lamentazione) e che ha l’obiettivo primario di vigilare sulla poco il colosso di oggi, trovando molti imitatori. correttezza dei comportamenti (insomma: hanno inventato Il guaio è che i fondi passivi non solo non rispondono più la Consob) ha preso varie iniziative, tra cui avviare un’indagi- all’obiettivo iniziale di offrire un prodotto low cost rispetto ne approfondita sul settore del risparmio gestito, compresa al rendimento atteso, ma sono divenuti dei colossi che ponuna segnalazione all’Antitrust, e ha recentemente pubblicato gono problemi molto delicati sullo strapotere delle finanza un Policy statement che offre molti spunti di riflessione agli oggi. Vanguard, Fidelity, Blackrock e State Street hanno attioperatori del settore. vità per 9 trilioni di dollari e amministrano il 17,6 per cento Al di là dei molti aspetti tecnici, il punto principale è che – delle 1662 imprese quotate negli Usa. E il novantenne Bogle nonostante i continui affinamenti della regolamentazione (che fino all’ultimo ha continuato a pensare all’interesse dei come la Mifid2 che nella sostanza è accolta nella disciplina clienti) ha fatto a tempo a dire che «non va nell’interesse del britannica, Brexit o no – il settore non ha ancora risolto il suo paese se un pugno di giganti controlla i diritti di voto pratiproblema fondamentale degli ultimi decenni: quello di ade- camente di ogni grande impresa americana». guare le commissioni percepite a un livello di tassi di interes- Abbiamo urgente bisogno che qualcuno raccolga l’eredità di se che non è mai stato così basso e che rimarrà tale ancora Jack: un settore capace di una sola vera innovazione a vanper molto. Il peso delle commissioni, ora del tutto trasparen- taggio del cliente in mezzo secolo ha seri problemi e non può te, rischia così di essere inadeguato rispetto al rendimento certo limitarsi a pensare che ci sono cose che è meglio non atteso. Il che può indurre chi guida le scelte dei risparmiatori fare e che per tutto il resto c’è la Mifid.

La ricerca esasperata del rendimento è una delle distorsioni più gravi della gestione del risparmio: serve a giustificare commissioni più alte e fa assumere più rischi

6

marzo 2019



SOMMARIO Marzo 2019

05 EDITORIALE

DI SERGIO LUCIANO

32 BANKITALIA-CONSOB

06 WATCHDOG

DI MARCO ONADO

36 FASHION&FINANZA

Deregulation per uscire dall’impasse

E’ il momento di creare l’authority unica

Chi raccoglierà il testimone da Jack Bogle?

12 IL SISMOGRAFO

La moda si compra se trasmette emozioni

DI GIULIO SAPELLI

Una sana informazione contro i luoghi comuni

14 IL GERMANISTA

DI FRANCO TATÒ

Il ministro in guerra con la burocrazia tedesca

16 FINANZA REALE

DI A.GERVASONI

Venture capital, un piccolo mercato in crescita

18 TERZA REPUBBLICA

DI E.CISNETTO

Quel dirigismo in economia è anacronistico

COVERSTORY

20

Copertina di Mirco Tangherlini

L’obbligazionario torna nel mirino dei risparmiatori italiani. Le opportunità ci sono ma vanno scovate

40 ENERGIA

La lunga marcia del greggio verso quota 60$

44 HI-TECH

I fondi (e gli Etf) sull’AI promettono bene

46 MERCATO AZIONARIO&PMI Cesarini: il ruolo della borsa va rafforzato

50 AIM ITALIA

STORIE

FONDI COMUNI

La favola del nostro Btp che ha conquistato l’Eurozona. Le ragioni di un successo

Soluzioni e strategie di sette case di asset management per vincere con i bond

STOCK PICKING

RETI

20 26

marzo 2019

22 28

Il capo delle strategie di Amundi spiega come trovare i migliori corporate bond

Il dg di IW Bank consiglia di puntare sui fondi per diversificare bene

ADVISOR

BOND KING

Il direttore dell’ufficio studi di Consultique suggerisce la via degli Etf obbligazionari

Il dopo Bill Gross: il reddito fisso deve essere un gioco di squadra

29

8

Le speranze sono legate alla nuova legge sui Pir

30


IL FUTURO È UN UOVO DA COVARE

Con l’ingresso di Banca Albertini, il Gruppo Ersel arricchisce l’offerta e rinnova la propria immagine. Specialista nella gestione, anticipatrice attenta ai cambiamenti del mercato, dal 1936 Ersel continua a puntare sulla vicinanza e sull’ascolto diretto del cliente. La scelta più sicura per chi cerca un servizio di investimento realmente personalizzato. Per proteggere e far crescere il vostro patrimonio, per covare le vostre ambizioni.


SOMMARIO Marzo 2019

INVESTIRE SPECIALIST 62 FONDI PENSIONE 1 Parla il presidente della commissione parlamentare sugli enti di previdenza: niente condoni contributivi, ok alle rateazioni per aiutare i debitori

64 66 68 71

FONDI PENSIONE 2/ Anedda: la categoria dei

commercialisti ha i conti previdenziali in ordine

FORMATORI 1/ I primi dieci anni di vita della Mediolanum Corporate University

FORMATORI 2/ Academy e business school per qualificare la professione di financial advisor

FORMATORI 3/ All’Università di Teramo ora ci si laurea in consulenza finanziaria

72

CONSULENTI DONNE/ Cresce la presenza delle donne nella professione di cf. Ecco le loro storie

78

SEDIE&POLTRONE/ I colpi nel recruiting di Allianz GI, Gamma CM, IW Bank e WisdomTree

79

PROFESSIONE CONSULENTE/ Perchè le pmi italiane sono un cliente scomodo da assistere

80

POLE POSITION/ Jp Morgan si fa il suo bitcoin, Azimut balla da sola contro tutti, l’araba fenice Facebook

82

TALENT SHOW/ La seconda sfida sui portafogli tra un fai da te, un consulente e un roboadvisor

86

STRATEGAS/ L’incredibile andamento dell’indice “Lobbies oriented” che ha superato lo S&P 500

MONDO

55 COSMOPOLITICA 56 IL GIRO DEL MONDO IN 30 GIORNI 60 QUI PARIGI

DI ANDREA MARGELLETTI

Ottocento europei combattenti dello Stato Islamico. Che farne?

La Grecia riparte con una maxi-emissione di bond da 2,5 miliardi

DI GIUSEPPE CORSENTINO

Trentatre superaziende del Cac40 pagano dividendi dal 2006

61 QUI NEW YORK

DI GLAUCO MAGGI

Quella strana coppia (che funziona) tra Etf e patriottismo

92 L’INTERVISTA M S 98 MALALINGUA 94 IMMOBILIARE 97 EDUCAZIONE FINANZIARIA 96 BIBLIOTECA DI

ONICA

ETTA

Paola Ferrari, i soldi sono un mezzo per aiutare

Anche il negazionismo è diventato 4.0

La Toscana si tira fuori dalla crisi del mattone

Paolo Zucca spiega il ruolo delle donne cf

DI ANTONIO QUAGLIO

Uno studio svela tutti i vantaggi del bail-in

10 marzo 2019

Direttore: Vittorio Feltri Direttore responsabile: Pietro Senaldi Reg. trib. di Bolzano num. 8/64 del 21/12/1964 Distribuzione: Press-di Sito internet: www.liberoquotidiano.it

La gerenza del quotidiano Libero viene qui riportata per le copie di Investire in vendita abbinata


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IL SISMOGRAFO Giulio Sapelli È Ordinario di Storia Economica presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Milano e direttore scientifico della Fondazione Enrico Mattei.

FAKE NEWS SU BREXIT E CINA, TRUMP IN CRISI PER LE BIG CORP

L

Il presidente Usa non teme grane internazionali ma deve fare i conti con le difficoltà dei colossi

a confusione regna sovrana, di questi tempi. E circolano molte notizie infondate. Un giovane amico italiano che vive e lavora a Londra in una grande società di consulenza nell’oil and gas mi diceva che abita in affitto in una casa nei sobborghi londinesi, con una moglie manager che lavora a sua volta in una società di ingegneria. Ebbene, questo mio amico ha appena ricevuto una lettera dal locale Home Office che gli scrive: “Caro dottore, le scriviamo per invitarla a star tranquillo e non ascoltare XI JINPING CON JACQUES DELORS i rumors sulla Brexit: lei non perderà alcuno dei suoi diritti come cittadino comunitario, e tra sei mesi – quando decorreranno i 5 anni dalla sua residenza, diventerà automaticamente cittadino britannico. A questo fine le inviamo fin d’ora una password con cui potrà entrare nei sistemi anagrafici al decorrere del quinto anno”. Chiaro? Non c’è nessun pericolo per gli europei in Gran Bretagna: semmai è l’Unione Europea che non ha ancora deciso quale sorte avranno le migliaia di cittadini britannici che vivono in altri paesi europei. E non basta. Leggiamo quotidianamente della via della seta, il ciclopico progetto infrastrutturale lanciato da Pechino. Ebbene: si sta arenando. I cinesi stanno ritirando i capitali. Attuando quel che Xi Jiping ha detto al Congresso del partito: “Basta investire all’estero i nostri capitali, ne abbiamo bisogno in patria”. Sono già presenti ovunque, ma adesso si stanno ritirando dovunque, compresa l’Africa. Il che peraltro rappresenta un problema non secondario. In Africa, dopo la disavventura cinese nello Zimbabwe, in cui per la prima volta Pechino è intervenuto nelle vicende interne di uno Stato – e il nuovo presidente prima dell’insediamento ha fatto un viaggio in Cina – si è creato un clima di diffidenza, quest’ingerenza diretta cinese non è piaciuta per niente agli altri capi di Stato africani. Intanto le notizie su un rallentamento dell’economia cinese sono sempre più consistenti e circostanziate. E dunque: ecco due storie, due luoghi comuni, uno tutto europeo, l’altro asiatico-internazionale, che dimostrano come l’informarsi sia sempre indispensabile e sempre insufficiente. Se ci informassimo eviteremmo di incorrere in credenze 12 marzo 2019

sbagliate. E invece la cosa straordinaria è che di queste cose qui in Italia non parla nessuno. Mentre in tutte le altre parti del mondo si parla solo di questo. Io leggo regolarmente molti report anche di grandi banche e istituzioni economiche … e non ci trovo niente del genere. Semmai si parla del caso Francia perché è vissuto come un caso italiano. Con simili premesse, come potremo ricostituire da noi una classe dirigente economico-politica? Per la stessa ragione è giusto, anche questo mese, fare un punto sulla crisi americana. La mia tesi è che ormai l’amministrazione Trump abbia di fatto concluso un accordo con la Russia. È inevitabile per lui decidere questi ritiri tattici perché si è alleggerito sul fronte mediorientale, in una strategia di sganciamento; secondo me lo fa anche per prendere un po’ di voti che altrimenti andrebbero ai democratici. Le prossime elezioni Usa vedranno il partito democratico schierato su posizione isolazionista, verso una sinistra che non è quella di Bernie Sanders, ma una sinistra newyorkese, tra Carlos Ordonez e Bill De Blasio. Trump sta negoziando con i russi – tramite Pompeo, accettando di correre il connesso, rilevante rischio politico - nella speranza che accettino di riempire loro il vuoto che lasciano gli Usa. Del resto, e non a caso, nel vertice Iran-Russia-Turchia non è emersa una sola critica agli americani. La garanzia che Trump ha chiesto ai russi è di tutelare Israele e i russi hanno detto agli Hezbollah del Libano che gli iraniani non devono essere lasciati stare né in Siria né in Libano. Quindi penso che nell’insieme Trump si stia orientando ad una sempre più stretta cooperazione con la Russia. Per lui i dolori potrebbero venire dall’economia, vista la crisi in cui versano le grandi corporation. Penso alla Generale Electric come alla General Motors, penso alla pessima reputazione di Amazon. Questa è la vera criticità di Trump, anche se una crisi del genere non è deflattiva. Infine una notazione sulla crisi Renault-Nissan che sta dividendo Francia e Giappone. Il sistema giudiziario giapponese si basa sulla presunzione di colpevolezza. In questo sfondo è divampata la lotta di potere tra Nissan e Renault, perché la Nissan ha detto: stiamo facendo più valore ma non comandiamo noi. E c’è andato di mezzo Ghosn.



IL GERMANISTA Franco Tatò Manager eclettico e innovatico, è tra i pochissimi italiani ad aver diretto aziende in Germania, paese (e cultura) che ama ed è l’unico ad essere stato amministratore delegato sia di Rizzoli che di Mondadori

LA LOTTA DI SPAHN ALL’IMPASSE DELLA BUROCRAZIA TEDESCA

J

ens Spahn, trentanovenne deputato della Westfalia per la Cdu, è dal marzo 2018 Ministro della Sanità nel quarto Governo Merkel. Spahn è il più giovane ministro di questo Governo, con alle spalle però una lunga gavetta con molteplici incarichi a livello locale e una notevole popolarità, tale da portarlo a candidarsi per la guida del partito al congresso di Amburgo nel dicembre scorso, dove venne sconfitto prima di entrare nel ballottaggio finale. Ora sta facendo parlare di sé perché una delle prime disposizioni approvate dal Consiglio dei Ministri prevedeva, su sua proposta, che le casse malattia, oltre a riformare l’organizzazione delle visite mediche, realizzassero la cartella clinica elettronica per tutti i pazienti assistiti. Constatando a distanza di pochi mesi che i ritardi accumulati avrebbero impedito la realizzazione del programma, ha preso un provvedimento inusuale non solo in Germania: ha esautorato, con una decisione “notte e nebbia”, il management delle casse malattia e si è intestato personalmente l’implementazione di un più rapido programma di digitalizzazione del sistema sanitario nazionale. Questa decisione è la declinazione personale di un indirizzo del governo federale per far fronte alla profonda preoccupazione suscitata dal rapporto del Comitato di Controllo Normativo, che ha denunciato impietosamente l’arretratezza informatica della burocrazia statale, tale da offuscare la fama di eccellenza di cui la pubblica amministrazione tedesca ha goduto dai tempi di Bismark. La cosa più preoccupante è che questo non capita per carenza di investimenti specifici: infatti lo Stato in alcuni settori ha risparmiato fino all’osso negli ultimi 15 anni, tanto da renderne problematica la funzionalità. Il caso è nato dallo scandalo, con ampie ricadute mediatiche per le spese eccessive in consulenze assegnate senza gara dal Ministro della difesa Ursula von der Leyen. Da qui è nata un’inchiesta della Corte dei Conti sulle spese di consulenza di tutti i Ministeri. Dall’inchiesta è emerso che il governo federale ha speso nell’ultimo anno circa 3 miliardi in consulenze. I maggiori beneficiari sono stati la McKinsey e la Roland Berger e la cosa ha suscitato le solite polemiche sul perché l’amministrazione non si munisca di sue strutture, diminuendo l’evidente dipendenza da società esterne per la realizzazione di progetti innovativi e l’introduzione di tecnologie avanzate. Se da un lato è assurdo pensare che lo Stato debba dotarsi di strutture permanenti per realizzare progetti temporalmente definiti, dall’altro le prestigiose aziende che hanno ottenuto la maggioranza degli incarichi, non stanno facendo una bella figura, visto il modesto livello di automazione della pubblica amministrazione tedesca. Il fatto è che allo Stato, e non solo a quello tedesco, manca la motivazione per l’innovazione, 14 marzo 2019

JENS SPAHN, MINISTRO DELLA SANITÀ NEL QUARTO GOVERNO MERKEL

L’arretratezza informatica della macchina statale è un duro colpo al mito dell’efficienza renana la quale non è proprio nelle sue corde. Gli incarichi a indiscutibili società di consulenza sono comprensibili, perché nessuno possa accusare l’amministrazione se qualcosa non funziona. Ma si dimentica troppo facilmente che la responsabilità del tipo di cambiamento che si vuole realizzare rimane in capo all’amministrazione e che la collaborazione con chi è incaricato della parte progettuale è tanto necessaria che, se uno dei componenti determinanti frena, diventa impossibile realizzare qualcosa di veramente nuovo e perfettamente funzionante. Viene da pensare che un giretto in Estonia da parte dei direttori generali dei ministeri avrebbe aiutato. Ovviamente non mancano esempi di eccellenza, come la radicale ristrutturazione informatica dell’Agenzia federale per il Lavoro di Norimberga a opera di Frank-Juergen Weise. A questo eccezionale lavoro si contrappone la costruzione dell’aeroporto di Berlino, durata quanto i cinesi hanno impiegato a costruire 80 aeroporti. Il tema della digitalizzazione della funzione pubblica è ora all’attenzione diretta della Cancelleria, la quale ha costituito un comitato di 10 esperti per aiutare il Governo a portare avanti la digitalizzazione del paese. Di questo comitato fanno parte esperti di nuove tecnologie come Chris Boos, imprenditore fin’ora sconosciuto, fondatore di Arago, un’azienda di successo che aiuta le imprese nell’automazione dei processi operativi con l’uso dell’intelligenza artificiale. Probabilmente nei prossimi due anni in Germania si muoverà qualcosa e assisteremo a qualche grande cambiamento.


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FINANZA REALE Anna Gervasoni Professore Ordinario di Economia e Gestione delle Imprese alla Liuc di Castellanza. È anche direttore generale dell’Aifi (Associazione italiana del private equity, venture capital e private debt)

VENTURE CAPITAL, UN MERCATO PICCOLO CHE CRESCERÀ

N

ella legge di bilancio si è data grande enfasi al venture capital, l’attività di investimento in capitale di rischio realizzata da operatori professionali e finalizzata alla realizzazione di avvio di nuove imprese. I cosiddetti fondi di venture capital raccolgono solitamente capitali da investitori istituzionali (fondi pensione, fondazioni, assicurazioni) per poi far confluire queste risorse verso imprese innovative spesso ad alto contenuto tecnologico. Non è inconsueto che anche privati partecipino come investitori a tali iniziative. Si tratta di un pubblico benestante che decide di diversificare una piccola parte del proprio patrimonio per scommettere sul nuovo. Può avvenire o con investimenti diretti, parliamo dei business angels, dei club deal o di investimenti che vengono effettuati attraverso la sottoscrizione di un fondo dedicato a tale attività. In questo caso si fruisce della competenza dei gestori che sanno selezionare e amministrare le imprese o i progetti d’impresa e che consentono, grazie alla diversificazione che un fondo effettua mettendo più “gettoni” in diverse operazioni, di abbattere il rischio. Ora si prevede che chi sottoscrive un Pir (il Piano individuale di risparmio) lanciato quest’anno, per avere i benefici fiscali che prevede tale prodotto, partecipi in piccola parte a questo mondo, come diremo meglio dopo, un mondo che mediamente ha dato anche ottimi rendimenti. Il potenziale nel nostro Paese c’è: abbiamo più competenze tecnologiche e imprenditoriali di quanto pensiamo, tant’è vero che esportiamo in tutto il mondo scienziati, manager e imprenditori, e abbiamo risparmi, che spesso sono investiti in fondi che portano le risorse fuori dai confini o nazionali per finanziare imprese sui mercati internazionali, che crescono all’estero anche grazie ai capitali degli italiani. Possiamo trattenere nel Paese questa ricchezza e aiutare la nostra economia reale a fare un salto di qualità. Il nostro mercato del venture capital è molto piccolo a differenza di quanto riscontriamo in altri Paesi, che da tempo hanno fatto una politica a favore dello sviluppo di tale settore. Ma è arrivato un segnale importante, grazie alla legge di bilancio, che prevede misure molto interessanti. Per il settore si tratta di una grande opportunità e per le startup una grande occasione. Come dicevamo prima, si prevede che i nuovi Pir, - nati come strumento di investimento incentivato fiscalmente per far confluire, secondo le intenzioni del legislatore, il risparmio degli italiani verso la nostra economia reale - destinino il 3,5% al venture capital. Inoltre, sempre nella legge di bilancio, si prevede che si possano creare uno o più fondi di fondi focalizzati 16 marzo 2019

La nuova legge di bilancio offre alle nostre pmi, non necessariamente start up, nuove opportunità di raccolta di capitali per il loro sviluppo sul venture capital, quindi investitori dedicati a sottoscrivere quote di nuovi fondi appunto di venture capital. Da una prima sommaria analisi l’insieme di queste misure porterebbe circa un miliardo di risorse fresche a questo mercato, facendolo decollare. Ma torniamo ai privati; per chi sottoscriverà i nuovi Pir si tratterà di partecipare a una opportunità alternativa di rendimento ma anche di contribuire in piccola parte all’avvio di una nuova economia, spesso animata da giovani brillanti imprenditori. La percentuale di investimento è correttamente piccola, perché tali attività sono caratterizzate da una elevata relazione rischio-rendimento, ma consentono a chi non ha grandi capitali di avere questa opportunità. Se sottoscrivo un Pir per 30mila euro, si tratta di allocare poco più di mille euro, cifra troppo piccola per essere investita individualmente in una startup, e soprattutto in un paniere di imprese in fase di sviluppo. D’altronde i grandi fondi pensione internazionali che investono i risparmi dei propri lavoratori veicolano parte delle risorse in attività illiquide come queste, bilanciando così tra operazioni di differenti gradi di rischio. Il cosiddetto investimento alternativo, all’interno del quale si classifica tale asset class, rappresenta solitamente il 10% del totale degli attivi. Sempre nella legge di bilancio si prevede per i fondi pensione l’incremento dal 5% al 10% della percentuale di attivo oggetto di inventivo fiscale (aliquota zero) se investita in quello che viene definita economia reale, che include anche la sottoscrizione di fondi di investimento in capitale di rischio quindi private equity e venture capital. Tale disposizione completa il disegno che finalmente offre alle nostre piccole e media imprese, non necessariamente startup, nuove opportunità di raccolta di capitali per il loro sviluppo, e questo avverrà attraverso una maggiore articolazione del mercato e degli operatori. Ci troviamo di fronte a un’opportunità che il nostro Paese deve cogliere, avendo ancora tanto potenziale inespresso.


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TERZA REPUBBLICA Enrico Cisnetto È un editorialista, economista e conduttore televisivo italiano, ideatore della trasmissione televisiva Roma InConTra. È conferenziere, consulente politico-strategico e tifoso della Sampdoria

NON È VERA GLORIA IL RITORNO DEL DIRIGISMO NELL’ECONOMIA

A

Gli interventi pubblici, invocati da gran parte della politica, purtroppo sono solo terapia del dolore per aziende ormai allo stato terminale

litalia, Tim, Paschi, Carige, il sistema idrico, l’onnipresenza di Cdp: lo Stato padrone sta tornando. Ma non è neo-keynesismo – magari – né vetero dirigismo. È resa incondizionata del mercato di fronte alle complessità imposte dall’economia globale. È interventismo di risulta. Al di là dell’eterno scontro filosofico tra i sostenitori dell’intervento pubblico e i liberisti fautori dello Stato minimo, l’attuale ritorno di fiamma dello Stato padrone ha un risvolto concreto e preoccupante. Alla prova della realtà infatti la rinata voglia di dirigismo non ha nessuna finalità strategica, non è basata su nessuna pianificazione, non contempla il futuro, lo svilup- cui coinvolgimento potrebbe essere concreto nel turnaround po, la crescita. Salvo rare eccezioni, si tratta solo di disperati di Trussardi, nel salvataggio di Astaldi attraverso l’entrata tentativi di salvataggio di aziende decotte e relativi posti di nel capitale di Salini, nel dossier per favorire l’aggregaziolavoro a fini elettorali. ne delle reti Open Fiber e Tim (società nella quale è pronta Dal 2012 le partecipazioni del Tesoro nelle quotate di Piazza a raddoppiare la quota, portandola al 10%). Il nuovo piano Affari hanno ripreso a salire in numero e valore, e nel 2018 industriale della Cdp non prevede certo che la Cassa diventi sono tornati ai livelli pre crisi del 2007. In molti casi si trat- un bancomat da cui prelevare risorse per soddisfare obiettita di imprese strategiche, che generano utili e dividendi, che vi politici, giusti o sbagliati che siano. Ed è bene che sia così. investono in tecnologia e innovazione, che fanno filiera in- Ma la politica tira vistosamente la giacca di Cdp, tra l’altro dustriale, che contribuiscono a un miglioramento dell’offer- facendo correre il pericolo al paese che Eurostat decida un ta del sistema produttivo giorno o l’altro di obblinazionale. Ma non sempre garci e farla rientrare nel è così. Gli interventi pubperimetro dei conti del blici ultimamente invocaTesoro. Ma il caso più clati da gran parte della pomoroso è quello dell’aclitica purtroppo sono solo qua. Le società di gestione terapia del dolore per chi del servizio idrico oggi è in stato terminale. Prensono al 98% totalmente o dete Alitalia, sui cui noa maggioranza pubbliche, nostante siano stati spesi producono utili indispenquasi 11 miliardi, di cui sabili per gli enti locali più della metà dal 2008 e, grazie a una gestione in poi, non c’è stato alcun di tipo industriale e non miglioramento e a oggi la politico, negli ultimi anni compagnia di bandiera si GIOVANNI TRIA, MINISTRO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE hanno permesso un corritrova al (tragico) punto poso ritorno agli investidi partenza. Così, se da una parte si profila una soluzione di menti verso una rete che deve smettere di essere un colamercato in cui gli eventuali acquirenti prospettano ristruttu- brodo. Purtroppo una proposta di legge dei 5stelle, che sta razioni e tagli, dall’altra c’è la politica che, timorosa di scio- andando avanti in Parlamento e che vorrebbe eliminare il peri e contraccolpi mediatico-elettorali, è pronta a metterci controllo da parte di un’autorità indipendente riportando il altri soldi senza colpo ferire. Il salvataggio del Montepaschi sistema agli ordini del governo, suggerisce di cancellare i criè costato 6,9 miliardi tra conversione di obbligazioni e au- teri geografici per reintrodurre quelli amministrativi degli mento di capitale. Un’operazione che avrà avuto efficacia enti locali, ma soprattutto di abolire le tariffe per far pagare solo se sarà capace di aiutare la ristrutturazione del sistema tutto alla fiscalità pubblica. Vorrebbe insomma boicottare del credito, considerato che ci sono diverse altre crisi anco- ogni criterio di copertura dei costi con i ricavi, abolire il prora da risolvere. E non ci sono solo le banche. Su concessioni fitto e tornare ad un sistema di 30 anni fa. Qui non si tratta autostradali, Telecom, infrastrutture e molte altre situazioni della disputa tra keynesiani e liberisti, ma di solo di un’anaviene continuamente invocata la Cassa Depositi e Prestiti, il cronistica ideologia antindustriale. (twitter @ecisnetto) 18 marzo 2019


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IL MIO NOME È BOND

QUEL BTP CHE HA CONQUISTATO GLI INVESTITORI DELL’EUROZONA di Ugo Bertone

“I

l mercato italiano dei bond? Una minestra non troppo calda nè troppo fredda” con cui non si corre il rischio di scottarsi la lingua o di fare indigestione, a meno che non si esageri. È l’immagine scelta dal Financial Times, che ricorre a queste metafore per spiegare ai suoi lettori le prospettive prossime future di Bot e Btp, cioè l’offerta del terzo mercato mondiale del debito pubblico, quello italiano, cui gli operatori guardano con grande attenzione, con un sentimento tra la trepidazione e l’interesse per l’appeal speculativo: economia in frenata, impegni della finanza pubblica in aumento, situazione politica turbolenta, elezioni europee alle porte. Insomma non mancano gli ingredienti per una zuppa piccante, a partire dal maggior costo (9 miliardi secondo i calcoli della Banca d’Italia) che quest’anno comporterà il finanziamento del debito. Un bel salasso dal punto di vista del Tesoro che, tanto per limitarci al titolo a 30 anni collocato di recente con grande successo presso gli investitori (prenotazioni per oltre 41 miliardi, un record storico) ha dovuto garantire un rendimento del 3,85 per cento (per la cronaca 35 punti in più dell’obbligazione emessa dalla Juventus a fronte dell’acquisto di Ronaldo) con un’extra spesa annua di 148 milioni per tutta la durata dell’e20 marzo 2019

LE NUOVE EMISSIONI ITALIANE GIUDICATE INTERESSANTI DA TEDESCHI E FRANCESI missione rispetto ai valori di mercato della primavera 2018. La situazione, a giudicare dalle ultime aste è per ora tornata sotto controllo ma il livello dello spread, tra 260 e il picco di 300 punti base nei momenti di maggior turbolenza, resta assai al di sopra dei valori (non più di 140-150 punti) giustificati dalla minor solidità rispetto ai conti della Germania, il mercato del debito più sicuro. Difficile peraltro che la forbice possa ridursi in questi mesi, visto lo slalom che attende la finanza del Bel Paese, a partire dai pronunciamenti delle agenzie di rating alla revisione degli impegni di bilancio (quasi inevitabile visto il calo dell’economia che incide sulle entrate fiscali) fino alle tante incognite legate all’ipoteca politica ed elettorale che inevitabilmente si tradurrà in una maggior turbolenza di qui alla metà dell’anno. Che fare? I gestori internazionali finora sono stati i più lesti a muoversi con successo sulle montagne russe dello spread nella convinzione che, salvo l’eventuale e improvvida scelta di mettere in discussione l’appartenenza all’Unione Europea e all’area euro, le turbolenze italiane siano soprattutto un’opportunità. Dice Frédéric Dodard, di State Street: «Per chi ha il sangue freddo per affrontare il rischio politico dello Stivale, è conveniente investire nei Btp visto che l’attuale rendimento va oltre di circa un punto percentuale rispetto al valore del rendimento ‘ripulito’ dai rischi politici e considerati i fondamentali del Paese, calcolato intorno all’1,8%». Un po’ di Italia (senza esagerare) insomma


COVERSTORY è un ingrediente assai di moda di questi tempi per dare un po’di pepe al portafoglio. Una scelta quasi obbligata peraltro per la finanza europea che in questi anni ha ampiamente sfruttato la “generosità” del Tesoro italiano: nel 2018, secondo la recente ricerca del centro Baffi Carefin della Bocconi, solo il 23% delle nuove emissioni è stato sottoscritto da investitori italiani, poco sopra l’importo collocato presso quelli tedeschi (il 22% , in forte crescita rispetto al 14% dell’anno prima) e i francesi (il 18% in salita rispetto al precedente 16%). Numeri da cui emerge il nodo a filo doppio che lega la finanza dell’Eurozona. In sintesi occhio alla riunione Bce del 7 marzo: l’annuncio di una nuova Tltro potrebbe favore un calo dello spread in area 200/220 assecondato dal forte flusso di domanda dei gestori mondiali. Un po’ di Italia, dunque. Ma non troppa. E lo stesso vale per l’Europa, vista la forte incertezza politica ed economica che si respira nel Vecchio Continente, a partire dalle inevitabili turbolenze che accompagneranno, comunque vada a finire, la saga della Brexit: se non ci saranno accordi, ammonisce la Bank of England, saranno inevitabili i tassi in calo. E nei prossimi mesi andrà messa in conto, a proposito dell’Eurozona, l’offensiva Usa nei confronti dell’auto tedesca, seconda tappa della guerra commerciale di Donald Trump dopo il duello con Pechino che metterà a dura prova la locomotiva industriale europea. È una situazione in costante evoluzione che impone agli addetti ai lavori di operare con grande flessibilità, tenendo in conto la possibilità di effettuare cambi di rotta repentini. Solo pochi mesi fa si dava per scontato la tendenza al rialzo dei tassi, come auspicato dalla Federal Reserve e come previsto dalla fine del programma di acquisti di titoli da parte della Banca Centrale Europea. Le cose sono andate in maniera ben diversa. La ripresa dell’economia non c’è stata e si è diffusa al contrario, la paura, esagerata, di una nuova recessione. E così è sfumata la rivincita dei falchi: la risposta negativa dei mercati, per l’occasione aiutati da Donald Trump, ha costretto la Fed a rivedere l’intenzione di alzare la leva dei tassi, nella convinzione che le Borse, dopo dieci anni di attenzioni speciali, fossero in grado di sostenere un costo del

denaro più alto a vantaggio tra l’altro dei portatori di obbligazioni. Di qui la svolta repentina della Fed cui si sono accodate le altre banche centrali, Bce compresa. A fine gennaio il presidente della Fed Jerome Powell ha corretto il tiro sia sui tassi che, ancor più importante, rallentando l’assorbimento della liquidità: dalla regola del “pilota automatico (cioè il drenaggio di 50miliardi di dollari al mese) alla “flessibilità”, cioè assai meno come chiedeva la Borsa. Il messaggio, complice il deterioramento della congiuntura tedesca che ha spuntato le unghie ai falchi del Nord Europa, ha presto raggiunto l’altra sponda dell’Atlantico. E così, a un solo trimestre dalla fine del Qe, Mario Draghi ha di nuovo la possibilità di allargare i cordoni della borsa. L’onore di far volare di nuovo le colombe nei cieli dei mercati europei nel giorno di San Valentino è stato affidato a Benoit Coeuré, uno dei due francesi che siedono nel direttivo della Bce. Parlando a New York, il banchiere (in piena sintonia con Mario Draghi) ha anticipato che, in occasione della prossima riunione di Francoforte, potrebbe attivare il via libera a misure che devono “servire a uno scopo”, cioè far risalire l’inflazione. Di qui a far ripartire il Quantitative easing, secondo quanto previsto dall’agenzia di rating Fitch (la prima a pronunciare sul rating Italia), il passo potrebbe essere breve. I grandi operatori mondiali si mantengono liquidi, in attesa di capire fin dove arriverà l’intervento delle banche centrali. Secondo quanto emerge dal sondaggio Bank of America Merrill Lynch il sovrappeso di contante nei fondi è al massimo da gennaio 2009, allo stesso tempo l’esposizione sulle Borse è al minimo da settembre 2016. Su questa premessa è lecito considerare probabile la ripresa della propensione al rischio, che invoglierà a uscire dai porti sicuri per far rotta sui mercati azionari, prima Wall Street e poi - nel caso di un accordo sui dazi - Shanghai, che si tirerà dietro tutta l’Asia per qualche mese. L’ultima fase, a conclusione delle trattative sulle auto tedesche, vedrà finalmente un recupero delle borse europee e dell’euro. Pronti ad alzare le vele dunque ma senza trascurare una saggia provvista in cambusa di emissioni a basso rischio: le tempeste non mancheranno.

I GRANDI INVESTITORI MONDIALI RESTANO LIQUIDI IN ATTESA DEGLI EVENTI

JEROME POWELL, PRESIDENTE DELLA FED

MARIO DRAGHI, PRESIDENTE DELLA BCE

BENOIT COEURÈ, DIRETTIVO BCE

marzo 2019 21


MERCATO

FONDI OBBLIGAZIONARI, IL PEGGIO (FORSE) È PASSATO

I

di Rosaria Barrile

n un anno, il 2018, caratterizzato da condizioni di incertezza, l’industria in Italia ha registrato una raccolta netta negativa sul mercato obbligazionario. I dati infatti mettono in evidenza riscatti pari a circa 25 miliardi di euro, in parte confluiti verso attivi “flessibili”. Se i fondi obbligazionari sono stati quindi la peggior asset class dell’anno apparrebbe scontato il proseguimento del trend, ormai consolidato, di ricerca di soluzioni alternative all’obbligazionario tradizionale per la parte difensiva di portafoglio. Ma è corretto parlare di una sorta di disaffezione degli investitori nei confronti di questa asset class? E non invece pensare a prodotti che permetteranno di cogliere gli eventuali spunti positivi per il 2019? Lo abbiamo chiesto ad alcuni dei principali player presenti nel nostro Paese. Eurizon, come altre case di gestione, ha avuto una raccolta negativa su questa asset class (per circa 1,7 miliardi di euro) ma nel contempo ha registrato una ricomposizione dei portafogli sui fondi flessibili e nel mercato obbligazionario con una prefe-

LE CASE D’INVESTIMENTO PUNTERANNO FORTE SULL’ASSET CLASS NEL 2019. ECCO SOLUZIONI E STRATEGIE PER VINCERE CON I BOND

renza per gli emerging markets. Secondo Massimo Mazzini, responsabile marketing e sviluppo commerciale di Eurizon, il trend obbligazionario del 2019 vedrà una maggiore ricerca di rendimento nel mercato Usa e in quello emergente con particolare focus sulla Cina. «A confermarlo è il fatto che si inizi a manifestare l’inclusione delle obbligazioni cinesi onshore all’interno degli indici principali di mercato. I due prodotti su cui Eurizon punterà nel 2019 sono l’Eurizon Fund Bond Aggregate Rmb e l’Eurizon Fund Absolute Green Bonds. Il primo rappresenta una nuova opportunità di investimento che permette di investire in obbligazioni denominate in renmimbi commercializzate sul China Interbank Bond Market e in altri mercati della Repubblica Popolare Cinese e Honk Kong. Il mercato cinese, diventato finalmente accessibile agli investitori stranieri, rappresenta un’opportunità di 22 marzo 2019

MASSIMO MAZZINI

GIULIANO D’ACUNTI

MATTEO ASTOLFI


COVERSTORY investimento attraente. L’Eurizon Fund Absolute Green Bonds rappresenta invece una nuova opportunità di investimento sui mercati obbligazionari internazionali che permette di finanziare progetti legati all’ambiente con una diversificazione sia per emittente che per area geografica. Il gestore seleziona i titoli obbligazionari, principalmente investment grade, utilizzando i criteri definiti dai Gbp (Green bonds principles, ndr) al fine di sostenere la crescita di investimenti con tematiche ambientali Green». Per Giuliano D’Acunti, responsabile commerciale Italia di Invesco, nel 2019 il suggerimento è quello di tenere gli occhi puntati sull’evoluzione delle politiche monetarie. «Nel 2018 si era formato un consenso per una normalizzazione diffusa con rialzi dei tassi in Usa e anche in Europa nel 2019. Già oggi si vede come non sia più così. Le implicazioni sugli investimenti obbligazionari, soprattutto governativi, di uno scenario di possibile rallentamento della crescita e di politiche monetarie ancora accomodanti saranno significative. In un contesto che presenta incertezze, ma offre ancora molte opportunità, crediamo che sia una buona idea inserire nei portafogli temi strutturali, di lungo periodo, che permettano di guardare con serenità oltre le eventuali incertezze di breve. Tra i nostri prodotti di punta per l’anno in corso c’è sicuramente l’Invesco Belt and Road Fund che permette di prendere esposizione al tema emergente investendo nelle emissioni obbligazionarie dei protagonisti della costruzione delle infrastrutture della nuova Via della Seta, in qualunque Paese si trovino». «La “Belt & Road” Initiative (Bri, ndr) è un’iniziativa a lungo termine e un’importante strategia di sviluppo lanciata dal governo cinese per promuovere la connettività via terra e via mare tra Asia, Europa, Medio Oriente e Africa, istituendo e rafforzando partnership economiche e la collaborazione tra queste regioni. Si tratta di un piano che durerà decenni fino a diventare un autentico pilastro del pianeta. Un piano che, per un investitore, poggia su numeri importanti: il commercio della Cina con i paesi della nuova Via della Seta vale da qualche anno più del doppio del commercio estero con gli Usa. Quindi un buon modo per diversificare i rischi – e diluire le preoccupazioni – legati ad esempio alla guerra commerciale Usa-Cina». Secondo Matteo Astolfi, country head of Italy&Greece di M&G Investments, Contrariamente all’opinione diffusa per cui investire nel reddito fisso comporta oggi un livello di rischio

PAOLO PASCHETTA

ALESSANDRO GANDOLFI

maggiore rispetto al passato, «il 2019 offrirà opportunità per generare rendimenti corretti per il rischio interessanti. Un approccio attivo permetterà di individuare meglio queste opportunità e di comprendere la direzione impressa ai mercati dalle politiche monetarie e dai cicli di credito. Il fondo M&G Optimal Income rappresenta secondo noi la strategia di investimento ottimale per questo 2019. Si tratta di un fondo obbligazionario flessibile e dinamico. Con un solido track record, bassa volatilità e un’esposizione valutaria coperta in euro, il fondo è in grado di muoversi attivamente tra titoli di Stato, obbligazioni societarie high yield e investment grade a seconda dell’opportunità, intervenendo sulla duration per eliminare il rischio tassi e utilizzando la spread duration per gestire il rischio di credito. Contrariamente ai fondi “long-only” tradizionali Optimal Income non è costretto a investire in un segmento specifico del mercato, in cui le performance possono essere correlate con l’evoluzione del ciclo, ma può spaziare in un ampio ventaglio di attivi obbligazionari in base alle opportunità di valore individuate». A caratterizzare il 2019 sarà inoltre la maggior diffusione del tema della sostenibilità, intesa come l’integrazione dei fattori di screening Esg nella selezione titoli, secondo la visione di Paolo Paschetta, country head per l’Italia di Pictet Asset Management. «Le manovre di politica monetaria, ma anche di politica fiscale negli Usa, hanno “corrotto” il naturale funzionamento dei mercati finanziari. E gli investitori obbligazionari sono stati incredibilmente compressi tra il processi di normalizzazione delle banche centrali in corso nell’anno e, paradossalmente, il timori di recessione negli ultimi mesi del 2018». «Tutto questo non ha però portato alla tempesta perfetta sul fronte obbligazionario», continua Paschetta. «Riteniamo infatti che anche nel 2019 la flessibilità e il dinamismo delle soluzioni a maggior delega tattica al gestore possano costituire la soluzione ideale per i portafogli, riuscendo a cogliere i possibili cambi di regime di volatilità che prevediamo si alterneranno nel corso dell’anno. La sostenibilità è uno dei grandi temi di quest’anno e siamo convinti che l’integrazione dei fattori di screening Esg nella selezione titoli dei prodotti di risparmio gestito sia un trend destinato a continuare nel futuro. Pictet ha già integrato la valutazioni dei fattori Esg in tutte le strategie di gestione attiva azionaria e obbligazionaria. Sul fronte obbligazionario siamo costruttivi sugli attivi di debito dei paesi emergenti, particolar-

LUCA TENANI

marzo 2019 23


mente in valuta locale. Il prodotto di punta in questo senso è certamente il comparto Pictet Emerging Local Currency Debt, che investe in emissioni governative dei paesi emergenti di tutto il mondo in valuta locale. Da un punto di vista tattico vediamo valore anche in America latina, dove una crescita economica robusta unita a una maggiore stabilità politica potrebbero rappresentare le giuste condizioni per recuperare il terreno perduto nel corso del 2018. A cogliere queste opportunità sarà il nostro comparto Pictet Latin American Local currency debt». L’obbligazione “core” invece dovrebbe tornare da protagonista tuttavia nel 2019 secondo Alessandro Gandolfi, country head per l’Italia di Pimco. «Nel 2019 ci aspettiamo una riscoperta dell’obbligazionario “core” come decorrelatore degli attivi rischiosi; in particolare le obbligazioni statunitensi corporate che hanno poco rischio, spread e godono di una minore influenza dell’azione della Fed, che è comunque più avanti nel ciclo di normalizzazione rispetto a la Bce o alla BoJ. Per anni la nostra offerta di soluzioni d’investimento si è evoluta attorno a un approccio di ampia delega al gestore. Questo è ancora più vero in un contesto di politiche monetarie divergenti e un potenziale rallentamento economico generalizzato. In questo contesto, il fondo Pimco Gis Income Fund Tale è stato pensato per offrire uno stacco cedolare costante e sostenibile, offrendo al contempo un apprezzamento del capitale su un orizzonte temporale di 3-5 anni. Il posizionamento ruota attorno alla diversificazione in vari segmenti del mercato obbligazionario e dei settori, a livello globale. A una parte investita su titoli di alta qualità e liquidità, quali le obbligazioni governative di specifici paesi, fanno da

contrappeso titoli a spread quali il corporate investment grade, l’high yield, il debito emergente e i mutui ipotecari statunitensi. Tale soluzione esiste anche con un focus sul mercato europeo». A dispetto delle previsioni, secondo Luca Tenani, country head Italy di Schroders, l’elemento invece che avrebbe inciso maggiormente sui mercati nel 2018 è stato l’allargamento degli spread e non l’aumento dei tassi. «Alla luce di ciò ci saremmo aspettati nella raccolta netta obbligazionaria un alleggerimento più importante di quello che si è invece realmente verificato. Quello a cui abbiamo assistito è stato più che altro un “allontanamento” dai prodotti più tradizionali e benchmark-oriented, a favore di strategie outcome-oriented. Guardando al 2019 non escludiamo il verificarsi di qualche picco di volatilità, ma riteniamo che l’incertezza abbia già raggiunto il suo massimo. In particolare a supporto del mercato corporate vediamo due ordini di fattori: le politiche monetarie delle principali banche centrali che sono meno aggressive del previsto e flussi significativi in ingresso sul mercato obbligazionario europeo da parte di investitori globali». «Vediamo opportunità di acquisto nella componente euro», conclude Tenani, «che abbiamo aggregato nel fondo Schroder Isf Euro Bond, e ravvisiamo ancora del valore in alcune strategie inglobate nello Schroder Isf Euro Credit Absolute Return, soluzione svincolata da benchmark che ha la flessibilità di investire nell’intero spettro del credito europeo, e nello Schroder Isf Global Credit Income, fondo corporate globale, che combina in modo attivo segmenti che offrono interessanti livelli di reddito con un adeguato livello di rischio e che si posiziona attivamente sulla duration, fino a un massimo di 5 anni».

FOCUS SUL DEBITO USA E DEI PAESI EMERGENTI

NATIXIS GUARDA AGLI EMERGING MARKETS

N

el 2018 le rilevazioni effettuate dal Natixis Portfolio Research & Consulting Group sui portafogli hanno mostrato –rispetto agli investitori internazionali - un ritorno importante degli investitori italiani sugli investimenti obbligazionari, principalmente europei e in qualche caso sugli Usa. L’esposizione media al mondo obbligazionario dei portafogli moderati è stata pari al 48% contro il 29% nel 2017. «Questo movimento è andato a scapito dei cosiddetti investimenti multi-asset, che solo nel 2018 sono scesi al 14% da un’esposizione che nel 2017 era pari al 30%», precisa Antonio Bottillo, country head per l’Italia di Natixis Investment Managers. «A nostro avviso è stata una mossa intelligente se pensiamo alla forte volatilità che ha colpito i mercati alla fine dello scorso anno e che ha visto forti vendite soprattutto sul segmento azionario. Nell’ambito del portafoglio ideale che abbiamo approntato per questa prima fase dell’anno, la componente obbligazionaria è presente con un’esposizione pari al 35%. Per andare ulteriormente incontro alle esigenze

24 marzo 2019

di diversificazione dei clienti, nell’ambito dell’obbligazionario abbiamo selezionato tra le strategie più adatte a fronteggiare i mercati tra quelle proposte da due tra le nostre affiliate di punta, H2O Asset Management e Loomis Sayles & Co. In particolare, la componente obbligazionaria del nostro portafoglio in questa prima parte dell’anno verrà declinata principalmente attraverso due fondi: H2O Euro Aggregate, fondo obbligazionario flessibile che investe in diverse asset class all’interno del comparto obbligazionario impiegando diverse strategie su diversi orizzonti temporali, e Loomis Sayles Short Term Emerging Market Bonds, un fondo orientato al valore che investe principalmente in titoli obbligazionari di emittenti societari dei mercati emergenti».



INTERVISTA CON MONICA DEFEND

IN QUESTA FASE DI INCERTEZZA L’UNICA È SCEGLIERE IL MEGLIO

«L

di Sergio Luciano

ei mi chiede ragionamenti top-down, lo capisco: tutti vorremmo poterci esprimere con argomentazioni valide per intere asset-class, ma devo dirle che è difficile trovarne, in questa fase. Anche nel segmento delle obbligazioni corporate. Quel che è indispensabile oggi, più che mai, è il lavoro certosino del gestore che fa stock picking sulle emittenti e sceglie il meglio»: Monica Defend, capo della strategia e vicecapo delle ricerche in Amundi, è realista e prudente. Non si unisce al coro pro-bond, ma nemmeno lo smentisce. Ha un approccio differente.

Ok, bisogna valutare sempre caso per caso: ma con quali criteri, dottoressa Defend? Due essenzialmente: quello della qualità, cioè degli utili sostenibili nel tempo e in generale della qualità dei bilanci; e poi il criterio delle valutazioni, cioè bisogna orientarsi sui valori non ancora prezzati dal mercato. Quindi non basta neanche misurare la congruità dei valori medi di un settore, per sceglierlo in blocco. Veda il caso del settore bancario e finanziario, oggi è indubbiamente molto cheap, sottovalutato, ma i nomi interessanti non sono tutti, ma sono solo quelli dove i criteri della qualità e del valore trovano riscontro e fungono da criteri di selezione. In un contesto così incerto, diventa importante procedere con questo approccio.

E allora parliamo della grande incertezza del momento… Sul piano macroeconomico noi pensiamo che sia in corso un generale rallentamento dell’economia che rimane sostanzialmente appena un po’ meno accentuato negli Stati Uniti che in Europa. Assodato questo riteniamo giusto concentrarci nell’esaminare il ciclo degli utili.

MONICA DEFEND

E dunque? Ogni tre mesi dalle relazioni societarie ricaviamo indicatori importanti, e se guardiamo agli utili americani constatiamo che stanno scendendo non solo perché è terminato l’impulso fiscale estremo impresso dall’amministrazione Trump ma proprio perché stanno scendendo i fatturati. E se esaminiamo il dato diviso per comparti – da un lato il manifatturiero e dall’altro il wholesale – vediamo che il risultato non cambia: stanno scendendo tutti.

IL CAPO DELLE STRATEGIE DI AMUNDI SUI BOND CORPORATE: «È FONDAMENTALE IL LAVORO CERTOSINO DELL’ASSET MANAGER CHE FA STOCK PICKING SULLE EMITTENTI» 26 marzo 2019

Dipende dalle guerre commerciali? Anche, ma la stessa Cina sta rallentando. Il tutto si traduce, già nelle nostre previsioni di fine 2018, in un calo degli utili operativi sul 2019 al 6,7% per i titoli S&P500. E questa stima ci risulta confermata dagli ultimi dati. È vero che molte aziende hanno avuto un ultimo trimetre 2018 forte, ma ora stanno rivedendo al ribasso i fatturati futuri.


COVERSTORY Per noi questo è significativo. La revisione delle attese di utili era negativa per tutte aree salvo gli Stati Uniti già da qualche mese, oggi lo è anche per l’America. Questo potrebbe essere il vero problema, secondo noi. Non recessione, o non ancora, ma drastica frenata degli utili. Per questo siamo particolarmente cauti. Parliamo di come i bond riflettono questo stato di cose? Da novembre i Treasury bond sono scesi di 50 basis point (quest’intervista è stata rilasciata il 5 febbraio, ndr) il che significa resettare prezzi, valutazioni, prospettive. Di conseguenza all’inizio dell’anno ci siamo riposizionati sugli attivi rischiosi, principalmente emergenti e credito, che avevamo progressivamente alleggerito dall’estate scorsa. In pratica abbiamo rafforzato l’impegno su Cina e India, e addirittura riaperto l’investimento obbligazionario o valutario in queste aree o anche in altre ancor meno consuete, come il real brasiliano o il rublo, e siamo anche rientrati nel settore del credito investment grade europeo e statunitense.

Se parliamo di bond, però, sappiamo che molto se non tutto dipende dalle banche centrali… Certo, a questo punto entrano in gioco loro. Avevamo previsto un rialzo della Fed, perché statutariamente la Fed deve guardare anche alla stabilità dei prezzi e non solo alla crescita. Ma devo ammettere che oggi, in realtà, qualsiasi cosa una banca centrale faccia è una sorpresa per i mercati. Quanto alle prossime mosse della Bce, avendo iniziato a rivedere al ribasso le previsioni di crescita sull’Europa non ci aspettiamo più un rialzo tassi quest’anno. L’importante è che facciano un Ltro, a beneficio della stabilità delle banche. Si sa che hanno fatto la due diligence del sistema ed hanno riconosciuto i generali miglioramenti sul fronte degli npl (non profit loan, crediti inesigibili, ndr) ma i livelli complessivi degli npl di settembre-ottobre continuavano a essere un problema e avevamo già visto trasferire il costo del funding sul cliente da parte delle banche medio-piccole.

era: raccontateci cosa sta succedendo in Italia! Nelle ultime settimane ho fatto riunioni di due ore con tutti interlocutori internazionali senza una sola domanda politica su di noi. E quando la proponevo io, per sentire l’analisi altrui, mi sentivo rispondere: è normale in Italia che ci sia turn-over politico frenetico, è nella vostra storia, a noi basta che si sia placata la volatilità sui Btp!

Ma c’è alle viste qualcosa di più grande: lo scoglio delle elezioni europee! Guardi, da alcuni anni quando facciamo le scelte di asset allocation procediamo individuando dei temi-chiave e facendo riferimento a essi. Per esempio per decidere se andare lunghi di US e corti di Europa, bisogna aver individuato temi sostanziali. Nel caso della situazione europea, abbiamo individuato due temi geopolitici chiave: le elezioni, certo, ma anche la Brexit. Che tra l’altro pone il problema di come la Gran Bretagna verrà rappresentata alle elezioni… E cosa prevedete, politicamente? Abbiamo visto un po’ di proiezioni e non prevediamo che ci siano stravolgimenti. Una certa crescita della corrente populista sì, un ribaltamento delle proporzioni no. Questo scenario potrebbe, nell’ipotesi estrema, condurre a politiche fiscali più espansive, che potrebbero avere ripercussioni anche positive sulla crescita. Per esempio attraverso un incremento degli investimenti in infrastrutture. Altro tema è invece come i mercati interpreteranno il rallentamento dell’economia europea. Per esempio, cosa accadrà al Btp? Si può prevedere che siccome la Germania rallenta ci sarà una convergenza tra Bund e Btp? O invece, rallentando più che proporzionalmente anche l’Italia, lo spread si allargherà? La nostra idea è che probabilmente, e per fortuna, il rallentamento tedesco si tradurrà in una minor pressione della Bundesbank sulla Bce per ottenere la riduzione delle politiche di stimolo, il che è solo un bene. L’idea che ci stiamo facendo è che ci dovrebbe essere un corridoio di stabilità tra Btp e Bund, ma non ancora è detto. La domanda resta aperta.

«L’ORIZZONTE DELLE PREVISIONI? ORMAI È DI UNA SETTIMANA...»

E in questo contesto, l’Italia e il Btp? È stato importante che la volatilità si sia ridotta, e che siano rientrati gli investitori internazionali svizzeri e tedeschi: di fatto, con gennaio, il Tesoro ha collocato l’8 per cento di tutta la necessità annua e in asta abbiamo visto una domanda quasi doppia rispetto all’offerta, magari con qualche minimo cedimento sul prezzo. Quindi l’Italia non è più un’emittente appestata! L’Italia è un mercato molto grande, la Spagna e Portogallo potranno anche essere più performanti ma il nostro è un mercato molto importante. Poi se si considera quanto debito italiano hanno in cassa gli investitori di Francia o Spagna, be’…non possiamo che essere confortati… Confrontandosi con i colleghi internazionali che domande si sente fare sull’Italia? A settembre quel che ci preoccupava era la modalità con cui il governo si interfacciava con l’Europa sulla legge di bilancio. In quel momento la domanda martellante che tutti ci rivolgevano

Certo che l’aleatorietà delle previsioni si è fatta marcata, e si è anche ridotta la durata del loro valore prospettico… Assolutamente sì! Nel ’97 facevamo previsioni di lungo termine, nell’asset allocation avevamo stime a 1 anno e a 3 mesi. Progressivamente abbiamo dovuto accorciare l’orizzonte delle nostre previsioni, siamo scesi su cadenza settimanale. Del resto, quanto più la situazione economica è fragile, tanto più i flussi sono determinanti. Dal 2013 siamo scesi addirittura a previsioni giornalierie, con risk-on e risk-off per le strategie sull’asset allocation. Abbiamo addirittura dati ad alta frequenza, emessi e riclassificati più volte al giorno, e anche le valute sono un’asset class che risponde bene a questo mutato scenario, sia per le esigenze della copertura del rischio sia per la necessità di rispondere tempestivamente alle ripercussioni delle scelte politiche… È proprio cambiato il modo di fare asset allocation… Ma anche nel senso di riqualificare l’attività: nel momento in cui lavori con dati ad alta frequenza deve essere più disciplinato… marzo 2019 27


INTERVISTA CON DARIO DI MURO

FONDI, IL MODO MIGLIORE PER VINCERE CON I BOND

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di Marco Muffato

l quadro generale è molto complicato, il mercato azionario è stato disastroso per tutto il 2018 mentre l’obbligazionario ha prospettive di livelli di tassi d’interesse comunque ridotti. Partiamo proprio dai bond: tutto il mondo delle obbligazioni singole, siano esse titoli governativi o corporate, ha perso d’interesse per i risparmiatori a causa del Quantitative easing, l’enorme liquidità iniettata dalle banche centrali, che ha determinato il crollo dei tassi e lo spostamento dell’interesse della clientela su altre forme d’investimento». Un quadro poco rassicurante sul presente degli investimenti quello presentato da Dario Di Muro, direttore generale di IW Bank Private Investments, ma che può essere affrontato con possibilità di successo dalla rete dei consulenti finanziari. «Che indicazioni stiamo dando ai clienti? Di non investire sul singolo bond ma di puntare su prodotti del risparmio gestito come fondi obbligazionari, affidandosi a un gestore: così non si prendono i rischi del singolo strumento ma si attua una efficace diversificazione. Detto questo ci sono anche altre alternative per chi cerca rendimento e che il mercato sta valutando come i bond in valuta estera, per esempio in dollari. Chi si orienta in questa direzione va incontro a un cambiamento del profilo di rischio perché il rischio cambio va ad aggiungersi a quello di credito tipico del bond tradizionale. Questo aspetto all’investitore deve essere chiaro per non avere brutte sorprese». Un altro strumento interessante per Di Muro è quello dei certificati, che come i bond garantiscono cedole. «Il certificato è però collegato all’andamento di un’altra asset class, per esempio un indice azionario o a un singolo titolo azionario, e quindi stiamo parlando di una natura diversa dell’investimento», precisa Di Muro. Altre alternative ai bond tradizionali? «Direi la polizza multi-ramo, che ha il vantag-

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28 marzo 2019

DARIO DI MURO

I CF PUNTANO SUGLI STRUMENTI ATTIVI PER COGLIERE LE OPPORTUNITÀ gio di avere una gestione separata obbligazionaria gestita dalla compagnia assicurativa che può dare rendimenti rilevanti ma su orizzonti temporali più lunghi, 3-5 anni. Segnalo anche delle interessanti possibilità in alcuni corporate bond ben selezionati che però presentano soglie d’ingresso minime di 100mila euro, il che taglia fuori molti risparmiatori da questo investimento» afferma il dg di IW Bank. Ma la caccia al rendimento può perseguire anche finalità nobili: «il nostro gruppo, Ubi Banca, è molto attivo nell’emissione di social bond, cioè di prestiti obbligazionari emessi dalla banca e finalizzati al sostegno di iniziative di elevato interesse sociale. Questo tipo di obbligazione sta ottenendo un sempre maggiore successo: come gruppo abbiamo superato il miliardo di raccolta negli ultimi anni e come IW Bank ci apprestiamo a offrire questi prodotti anche ai nostri clienti». Ma è giusto fuggire in questo modo dall’azionario. L’investitore avveduto dovrebbe entrare non uscire quando il mercato è ai minimi? «Sono d’accordo. L’indicazione che diamo è di farsi seguire da un consulente soprattutto in periodi movimentati e incerti come l’attuale, il rischio è proprio quello di farsi prendere dall’emotività e di vendere nel momento sbagliato. Il nostro suggerimento per l’azionario è di attivare un piano di accumulo perché così si entra gradualmente nel mercato e si fissa un orizzonte di lungo termine all’investimento».


COVERSTORY INTERVISTA CON GIUSEPPE ROMANO

PORTAFOGLIO PIÙ STABILE CON GLI ETF OBBLIGAZIONARI

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di Marco Muffato

na pianificazione finanziaria come si deve non può prescindere da una importante componente obbligazionaria. Quanto accade nelle scelte dei clienti dei consulenti finanziari in forza alle reti trova riscontro anche negli assistiti dei consulenti finanziari autonomi, gli ex consulenti indipendenti. Anche se gli strumenti scelti differiscono, fondi nel caso dei professionisti in forza alle reti, Etf per gli ex consulenti indipendenti. Come spiega a Investire Giuseppe Romano, direttore dell’Ufficio studi di Consultique Scf.

Dopo un 2018 disastroso per tutte le asset class, nel 2019 le attenzione delle reti dei consulenti finanziari abilitati fuori sede si dirigono in particolare verso il mercato obbligazionario. Anche per i consulenti autonomi i bond avranno la priorità nelle pianificazioni dei clienti nel 2019? La buona pianificazione non può limitarsi a una sola asset class. I ‘motori’ di rendimento infatti spaziano dall’obbligazionario all’azionario - in tutte le diverse declinazioni geografiche e settoriali -, soprattutto per quei clienti che hanno obiettivi di medio lungo termine. L’elemento importante è sapere come affrontare i diversi scenari di mercato, prescindendo dalle previsioni economiche, sempre difficili. Un anno difficile per l’equity per esempio si può trasformare in una opportunità per investire bene per obiettivi più lontani nel tempo. La parte obbligazionaria resta imprescindibile, essendo normalmente la componente di portafoglio più stabile e soggetta a minore volatilità.

GIUSEPPE ROMANO

Con quale tipologia di prodotto? Singolo titolo, Etf o fondo obbligazionario? La preferenza va sempre verso strumenti diversificati, tanto più se la fase attuale del ciclo economico è quella di una piena maturità, motivo per cui il rischio specifico può impattare maggiormente. Tra gli strumenti diversificati, ormai negli Etf si copre quasi ogni mattoncino delle micro asset class obbligazionarie e sono tra gli strumenti da preferire. A meno ovviamente di non trovare fondi attivi e di qualità capaci di battere, con persistenza, il mercato.

L’INSERIMENTO DEI TITOLI GOVERNATIVI FUNGE DA ELEMENTO DI DECORRELAZIONE

Verso quale mercato obbligazionario conviene rivolgersi? Quello dei titoli di stato o il corporate? A quello più ampio possibile. Ogni componente obbligazionaria ha il suo identikit: se il corporate ad alto rendimento è più affine alle esposizioni di rischio, quello dei titoli governativi può tornare a fungere da contrappeso e da elemento di decorrelazione. E’ vero che nel 2018 c’è stata una certa convergenza delle asset class, ma dettata anche da elementi eccezionali, come la fase di rallentamento economico e banche centrali ‘in ritardo’ nel processo di rialzo tassi, che dovrebbero normalizzarsi. Sul fronte high yield le occasioni non mancano, esposizioni diversificate possono rappresentare un buon picking dopo i pesanti segno meno del 2018. Tra i governativi da segnalare la netta ripresa dei mercati emergenti, che beneficiano dei toni più accomodanti della Fed.

Come comportarsi invece con l’azionario? L’atteggiamento per il momento rimane costruttivo, in attesa di capire l’indirizzo economico soprattutto negli Stati Uniti. La sensazione è che, dopo anni di performance molto buone, il mercato abbia bisogno di una verifica sulla sostenibilità degli utili. L’approccio è quindi prudente, ma anche attento per approfittare, come avvenuto a fine 2018, di fasi di drawdown marcate. In termini di esposizioni, da preferire anche in questo caso quelle diversificate e globali, evitando scommesse specifiche. L’asset class che sorprenderà nel 2019? Probabilmente dire ‘volatilità’ non rappresenta una sorpresa, ma è probabile che ci saranno fasi da montagne russe. Delle sorprese in positivo potrebbero essere il governativo americano, specie in uno scenario economico poco felice, o l’azionario emergente asiatico, troppo penalizzato nel 2018. marzo 2019 29


RIFLESSIONI SU BILL GROSS

“BOND KING” VA IN PENSIONE SI TORNA AL GIOCO DI SQUADRA di Giordano Lombardo

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uale modo migliore per riflettere sul futuro della gestione dei portafogli a reddito fisso, se non a partire dalla notizia del ritiro dalle scene del “bond king” Bill Gross, la rinuncia da parte sua a gestire asset di clienti esterni per concentrarsi, dopo quasi cinque decadi di carriera, sulla gestione del proprio (non piccolo) patrimonio personale. Per decenni è stato considerato una vera e propria “rock star”, non solo per un eccezionale track record in termini di performance, ma anche per la sua personalità effervescente e “abrasiva” e per le colorite notazioni dei suoi commenti scritti sui mercati, che spaziavano dalle citazioni di personaggi dello spettacolo folk Usa a riflessioni sulla … morte del suo gatto. La domanda che oggi molti si pongono è se la straordinaria carriera di Gross, fondatore di uno dei maggiori asset manager sulla scena mondiale, Pimco, non sia stata in gran parte dovuta alla fortunata coincidenza con il più lungo bull market obbligazionario della storia, durato tre decenni e avviato dalla politica anti-inflazionistica della Fed all’inizio degli anni ’80. Questa interpretazione, anche se in parte corretta, non è comunque sufficiente a spiegare l’enorme successo di un portfolio manager che per diversi decenni è stato in cima alla classifica dei gestori bond della sua categoria. Pensando alla lunga carriera di Gross, finita a dire il vero un po’ ingloriosamente dopo la sua uscita da Pimco nel 2014, con un periodo di performance più deludente negli ultimi anni, mi vengono in mente alcune considerazioni, non solo sulla gestione dei portafogli obbligazionari, ma dei portafogli gestiti in modo “attivo” in 30 marzo 2019

Bill Gross, fondatore di Pimco, ha chiuso la sua carriera in Janus Henderson

generale. La prima riflessione parte da una nota di mercato che lo stesso Gross scrisse circa quindici anni fa (i suoi famosi commenti di mercato erano leggibili da chiunque, sul sito internet della sua società). Una nota che ha molto influenzato il mio modo di pensare a come organizzare i team di investimento di gestione “attiva”, ossia di gestione che si prefigge di battere gli indici di mercato. In questa nota Gross affermava che per “battere” i mercati (e i concorrenti) non fosse sufficiente basarsi sull’estro e la bravura del gestore giorno per giorno. Ma che fosse importante introdurre nel portafoglio una “struttura”, ossia delle caratteristiche di portafoglio permanenti e fondamentalmente diverse dall’indice che si voleva battere, in modo da assicurarsi un vantaggio appunto “strutturale”, una componente sempre presente nel fondo. A prescindere dalle capacità di lettura e di analisi dei mercati da parte dell’individuo-gestore, queste sì più volatili e in questo senso meno affidabili come elemento stabile di vantaggio competitivo. Nel caso di Gross questa struttura era in larga parte data dalla sua intuizione di utilizzare, prima di altri e all’interno di portafogli obbligazionari generalisti, alcuni segmenti più rischiosi del mercato del reddito fisso. Per esempio costruendo grosse posizioni esposte al settore high yield o ai mercati emergenti, pur essendo questi assenti dal benchmark che Gross intendeva battere. Questi segmenti a poco a poco sono stati adottati anche dai suoi concorrenti, non solo nei prodotti strettamente specializzati su di essi, ma anche nei cosiddetti prodotti “unconstrained”, ossia senza vincoli, non strettamente legati a investire nei titoli appartenenti al benchmark, ma più liberi di spaziare nei diversi settori del reddito fisso. Trovan-


COVERSTORY do uno spazio, per l’appunto, strutturale, non sporadico, in questi portafogli. Dicevo che questa nota ha molto influenzato il mio modo di pensare a come organizzare dei team di gestione attiva nel tempo, cercando di inserire nei portafogli, sia equity che fixed income, degli elementi di vantaggio “strutturale”, cioè di differenziazione permanente rispetto ai portafogli concorrenti della stessa categoria. Stando bene attenti però a non cadere nel cosiddetto “style drift” cioè in un involontario cambio di categoria del prodotto, in caso questa differenza “strutturale” fosse diventata preponderante a tal punto da snaturare la natura originaria del prodotto. Una differenza strutturale poteva essere costituita per esempio dalla presenza di una componente small cap all’interno di un portafoglio con benchmark large cap, oppure di un’esposizione ai mercanti emergenti all’interno di un portafoglio azionario globale e così via. Tutto questo era prima dell’avvento della costruzione di portafoglio per “fattori di rischio” e degli Etf smart beta. Da quando è possibile scomporre il rischio di un portafoglio nelle sue componenti di base (i “fattori”) e soprattutto da quando esistono prodotti che consentono di investire direttamente nei singoli fattori, cioè gli Etf smart beta, è diventato molto più difficile acquisire un vantaggio di natura “strutturale” rispetto alla concorrenza. Questo perché, per converso, è diventato molto più facile inserire in un portafoglio una componente di rischio diversa da quella di base del benchmark, grazie all’esposizione a un determinato fattore. Inserendo per esempio una componente di small cap, grazie a un Etf che investe in small cap, senza passare attraverso il faticoso processo di selezionare i singoli titoli da aggiungere al portafoglio. In un famoso studio pubblicato dalla casa di gestione quantitativa Aqr qualche anno fa, gli analisti di quella società hanno cercato di “decomporre” in fattori di rischio il track record di alcune leggende della storia degli investimenti, come Warren Buffett, George Soros, Peter Lynch e per l’appunto Bill Gross (per i bond). Hanno cercato cioè di determinare quanto della performance di questi famosissimi gestori fosse spiegabile in base a tre-quattro fattori di rischio che costituivano la “struttura” fondamentale dei loro portafogli. E quanto fosse invece riconducibile alla loro vera capacità di produrre “alpha” cioè un valore aggiunto non riconducibile ex ante a nessun particolare fattore, e che fosse, come si dice in gergo tecnico, “idiosincratico”, cioè legato alla capacità unica e individuale del gestore di creare valore. Ebbene in tutti i casi analizzati gli analisti di Aqr hanno trovato che le straordinarie performance di questi gestori (compreso Gross) erano in larghissima parte spiegate dalla struttura dei “fattori” alla base della loro filosofia di investimento, e che questi coincidevano proprio con quelli che i gestori stessi avevano indicato ex ante come le componenti di tale filosofia. Anche se ovviamente non li chiamavano “fattori” e non li avevano espressi matematicamente, come ha fatto Aqr. Insomma, di puro alpha

GESTIRE IL REDDITO FISSO NON È PIÙ UNO “SPORT” INDIVIDUALE MA COLLETIVO

Warren Buffett, leggenda del settore degli investimenti

“idiosincratico” c’era in realtà ben poco. Ovviamente questo nulla toglie alla straordinaria bravura di questi gestori, dovuta all’abilità di identificare in anticipo i “fattori” di vantaggio strutturale alla base della propria filosofia di investimento e alla loro capacità di metterli in pratica in maniera fedele e senza deviazioni di approccio per un periodo molto lungo. L’altra considerazione che viene in mente pensando all’incredibile carriera di Bill Gross riguarda il forte salto tra il persistente successo di gran parte della sua carriera e l’altrettanto rimarchevole sotto-performance dell’ultimo periodo. Il che la dice lunga sull’importanza dell’ecosistema che circonda anche grandi personalità di gestori come Gross. Cioè l’importanza di creare un ambiente adatto alla generazione delle idee, alla discussione dei rischi di mercato e di portafoglio e all’emergere di diversi punti di vista, anche se poi sembra che il merito del risultato finale vada a una o poche persone. E l’importanza, per le singole individualità di successo, di riconoscere il contributo collettivo alla creazione di questo ecosistema. Ci ricorda, in altri termini, che creare la giusta “cultura” all’interno di un’organizzazione di investimento è importante tanto quanto avere a bordo delle persone di talento, se non di più. Cioè che è importante creare quel set di comportamenti e interazioni, formali e non, che fa sì che la discussione venga promossa e non scoraggiata, che anche i membri più junior di un team siano spinti a dire la propria, che creare “diversità” cognitiva, di genere e formazione culturale è fondamentale per avere una pluralità di punti di vista, e così via. Insomma ci ricorda che investire alla fine è uno sport di squadra, e non tanto uno sport individuale. Anche se fa notizia sempre e solo chi fa gol, come per tanti anni ha fatto Bill Gross.

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DIBATTITI INTERVISTA CON LUIGI ARTURO BIANCHI

«Un’unica autorithy per vivificare il mercato finanziario italiano»

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di Sergio Luciano

aolo Savona come presidente della Consob non ha bisogno di consigli, e quindi – scusi – ma non ci sto alla sua richiesta di dargliene. Se lei mi invece chiede quali criticità e quali emergenze io possa vedere nel mercato finanziario italiano connesso a quello globale, dall’osservatorio del nostro studio le dico che c’è una evidente esigenza di migliorare la qualità della struttura regolatoria»: Luigi Arturo Bianchi è ordinario di diritto commerciale all’Università Bocconi, essendo succeduto in cattedra a Guido Rossi, che della Consob fu il primo presidente rimanendone poi autorevolissimo analista. Ed è tra i tre name partner di uno degli studi legali societari italiani più autorevoli, lo studio Gatti Pavesi Bianchi (vedi box). Parla di qualità professionale, professore? A mio avviso sarebbe necessario potenziare la struttura degli uffici sul piano qualitativo, con l’inserimento di professionalità e competenze specifiche, non solo nelle materie della regolamentazione ma anche in quelle generali dei mercati. Oggi in quella struttura grava tanta attività di back-office e si contano tanti ruoli di controllo, ma ci vuole anche altro. Un’organizzazione più flessibile, più orientata alle funzioni di mercato. Aumentare gli organici? Non mi addentro sul come, peraltro la Consob è un’autorithy, un’istituzione pubblica che non può licenziare nessuno, ma per esempio potrebbe esternalizzare alcune attività tecnologiche che assorbono molte risorse e investire quelle liberate in nuove funzioni a maggiore valore aggiunto come ricerca e analisi, magari con contratti privatistici, come accaduto in passato. Ma quali problemi rileva, nell’assetto attuale? Oggi la frontiera dell’impegno degli uffici, e anche del peso degli adempimenti che si scaricano sui soggetti del mercato, si evidenzia soprattutto nei prospetti informativi. A volte è veramente complicatissimo venirne a capo. Ci si confronta con uffici comprensibilmente ossessionati dai forti rischi a loro carico, che finiscono per retrocedere ai consulenti questa complessità, senza sconti. Veda, c’è un problema di fondo, che deriva dalla legislazione vigente. La Consob ancora oggi dal punto di vista regolamentare è l’autorità che deve garantire la trasparenza dell’informazione finanziaria. Ma perseguire questa finalità non è più sufficiente per tutelare il risparmio. Vuol dire che occorrerebbe più controllo di merito? Ma non sarebbe troppo potere? Il controllo di merito sulla sostenibilità dei piani e dei progetti non solo non è previsto dalla legge ma rischierebbe di portare l’azione dell’autorithy molto, troppo al di là della mera azione amministrativa. Ma di fatto come agisce la Consob? Non potendo esercitare controlli di merito ricorre a un percorso alterna-

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32 marzo 2019

LUIGI ARTURO BIANCHI, ORDINARIO DI DIRITTO COMMERCIALE ALLA BOCCONI

IL GIURISTA: «UNIRE I COMPITI DI CONSOB E BANKITALIA SU STABILITÀ E TRASPARENZA» tivo ma parallelo, cioè nell’ambito del controllo sull’informazione finisce col chiederti di precisare una lunga serie di dettagli, contesta la validità di numerose clausole degli statuti o dei regolamenti, ti chiede di formalizzare i particolari i più minuti. Accusata di non aver saputo tutelare adeguatamente i risparmi, interviene per esempio in profondità sulla governance. Si è avvicinata all’approccio tipico di Bankitalia senza averne la stessa cornice legale e poi senza un chiarimento politico a monte. E che si dovrebbe fare per migliorare questa situazione? Guardi, io la direi così. C’è un problema di law in action, di legalità nella vita quotidiana del diritto. Nei fatti la Consob ha cercato di ampliare nel corso degli anni la sua sfera dalla mera trasparenza alla gestione nel merito. Questa tendenza di fatto andrebbe superata, chiarita, il nodo andrebbe sciolto. Oggi abbiamo ancora la classica distinzione tra il controllo sulla stabilità degli intermediari che appartiene alla Banca d’Italia e quello sulla


DIBATTITI trasparenza, anche degli stessi intermediari vigilati da Banca d’Italia - e dalla Bce… -, affidato alla Consob. Ebbene: è venuto il momento di pensare a un’unica autorità che eserciti il controllo complessivo su intermediari e su emittenti. Se ne discute da anni, ci sono tanti progetti, ma è ora di agire, non riesce più a trovare una giustificazione a questa ripartizione di funzioni. Un’unica autorità, insomma! Ma sì, è arrivato il momento di creare un’unica autorità di controllo sui mercati che comprenda anche l’Ivass e che tuteli il risparmio senza trasformarsi in una nuova magistratura. Ma…e come dovrebbe funzionare in concreto? Ecco, l’altro problema è il metodo di lavoro. Quest’autorità, ma in generale tutte, dovrebbe svolgere un’intesa attività di ruling, cioè di orientamento del comportamento degli operatori vigilati. Come fa l’Agenzia delle Entrate? I contribuenti chiedono prima di agire se quel che vogliono fare è corretto? Più o meno! Le Entrate lo fanno, Consob e Bankitalia no. Una proposta alternativa di marca anglosassone potrebbe essere quella della creazione di una sorta di “panel” composto da operatori ed esponenti delle professioni e del mercato che verrebbe chiamato a dirimere le questioni che si pongono su questo terreno, cioè appunto a fare attività di orientamento e ruling per il mercato e per gli operatori, sarebbe un elemento prezioso per ridurre incertezze e conflittualità. Prima di procedere chiedi se puoi collocare sul mercato un determinato prodotto, se puoi fare in un certo modo l’operazione che stai progettando… Certo, è un modello che si basa sulla soft law, cioè sull’autoregolamentazione. Ma sono convinto che qualcosa del genere vada fatto. Pur non escludendo la possibilità dell’autorità di sanzionare poi le operazioni fatte in apparente accoglimento degli indirizzi ricevuti e dei sanzionati di ricorrere contro la sanzione… E’ verosimile una riforma in questo senso nel Paese che con la legge 231 ha ritenuto che tutte le società modellizzassero esasperatamente i processi interni di controllo? Guardi, anche le regole prescritte dalla 231 potrebbero essere rese più sostenibili dalla certificazione preventiva dei modelli, come si è tentato con risultati parziali di fare attraverso le attestazioni Soa nel settore dei lavori pubblici. Invece oggi, con gli obblighi delle funzioni di prevenzione estesi anche ai collegi sindacali il sistema è pervasivo e oppressivo. Tra 231, comitati vari – rischi, parti correlate, dirigenti preposti, internal audit –

Il neopresidente della Consob Paolo Savona, economista, ministro dei Rapporti con le istituzioni europee nel governo Conte

IN 75 PER GESTIRE LE OPERAZIONI FINANZIARIE PIÙ COMPLESSE

Gatti Pavesi Bianchi è un prestigioso studio legale riconosciuto a livello mondiale, con sedi a Milano e Roma. Specializzato in diritto societario, bancario e finanziario, normativo e dei mercati finanziari, si colloca tra le principali organizzazioni in Italia per operazioni di

finanza straordinaria particolarmente complesse in materia di M&A (coinvolgendo anche importanti società di private equity), mercato dei capitali, bancario e finanziario, equity e ristrutturazione del debito. Da oltre 30 anni lo studio struttura e porta a termine operazioni complesse,

nazionali e internazionali, che hanno cambiato radicalmente lo scenario economico italiano. In questo ruolo, lo studio ha assunto un ruolo cruciale nella trasformazione del mercato imprenditoriale, finanziario e legale in Italia. Oggi conta 75 avvocati, 17 soci, uffici a Milano e Roma.

Per maggiori informazioni: http://www.gpblex.it/it/

siamo a un sistema a rischio di autoreferenzialità e di burocratizzazione. Quindi lei pensa alla necessità di ripensare la politica della regolazione… Una regolazione solo nazionale oggi non ha più tanto senso. C’è una quota molto rilevante delle società quotate in Italia o che emettono titoli acquistati in Italia che sono guidate da investitori stranieri. E c’è anche da riconsiderare i pesi dei ruoli di Consob e Borsa Italiana Spa. A cosa si riferisce? Guido Rossi parlava di un conflitto d’interessi endemico del capitalismo finanziario. Lo si potrebbe riferire anche a proposito della Borsa, che è una società profit oriented che guadagna anche sui margini delle quotazioni e sul numero di società quotate. Ciò non aiuta a risolvere alcuni nodi critici oggettivi. Per esempio lo scarso flottante medio delle società quotate all’Mta, con la quota minima del 10% richiesta per restare quotati, che è troppo bassa e sono numerose le società che si trovano in questa situazione. D’altra parte è difficile delistare una società quotata perché ha poco flottante: capisco che il tema sia delicato, ma resta il fatto che gran parte del listino è composto da titoli sottili o ultra sottili il che influisce sull’attendibilità dei prezzi di Borsa, già spesso modesta per altre ragioni, si pensi alle banche… E quindi? Quindi spesso investitori molto liquidi preferiscono altri canali d’investimenti alla Borsa. Club-deal, Spac, private equity…Anche gli imprenditori preferiscono sempre più questi canali di raccolta in alternativa alla quotazione, anche per il timore dei vincoli, dei costi e per il rischio di sanzioni a carico dei manager e consiglieri. Cioè? marzo 2019 33


DIBATTITI

LA CONSOB È DIVENTATA UN’AUTORITÀ SANZIONATORIA, PARA-GIURISDIZIONALE La numerosità delle sanzioni Consob è rilevante. I comportamenti di azzardo morale vanno certamente perseguiti e colpiti ma… selettivamente. Per carità, il rigore è necessario, ma è un fenomeno che andrebbe bilanciato da una più efficace tutela dei sanzionati, che invece manca. La Consob è diventata un’autorità che essenzialmente sanziona, ha un ruolo para-giurisdizionale. Se è vero che le sanzioni sono l’esito di una istruttoria che svolgono uffici distinti dalla Commissione che le determina, resta il fatto che nonostante le controdeduzioni dei “sanzionandi” le sanzioni vengono “comminate”, in base a criteri non sempre rigorosi e, soprattutto, non sufficientemente motivati. E’ vero che le sanzioni sono impugnabili davanti al giudice di Appello, ma la statistica dimostra che le percentuali di annullamento sono basse, circa il 10%. Quando vieni sanzionato è battaglia persa. Anche le banche si sono spesso lamentate dell’approccio regolatorio invasivo delle autorità, centrali e nazionali… Indubbiamente la regolazione bancaria è in buona parte eterodiretta a livello europeo, e può avere un impatto fortissimo e in certi ambiti distorsivo. Molte crisi bancarie sono state determinate anche, sottolineo “anche”, dai cambiamenti di contabilizzazioni di crediti e rischi in corso d’opera. Per esempio la stessa Popolare Vicentina ha dovuto procedere un write-off di circa un miliardo in più alla vigilia della chiusura dell’ultimo esercizio in bonis, un impatto che fu diretto e fortissimo. E questo accade per esempio anche nella regolazione sui ratio e sull’assorbimento di capitale per gli investimenti in equity. Ma lei se l’aspetta una riforma dal governo, in queste materie? Qui lei mi chiede di toccare un altro tema spinoso. Le dico che in generale questo governo non mi pare stia aiutando il business, gli investitori in questo quadro non possono che starsene alla finestra. A parte la quotazione Nexi, una pipeline significativa di iniziative di mercato non c’è. Non riesco a vedere uno sviluppo chiaro, è cresciuto solo l’Aim. I segnali di politica economica e industriale sono tutti dissuasivi. Sulla gestione delle concessioni per esempio: lo Stato può anche rivendicarla, ma dovrebbe poi avere le persone capaci di farla e adeguate risorse. Ma lei che consiglierebbe al legislatore per aiutare il mercato finanziario e la Borsa? Il discorso sarebbe lungo, ma in sintesi: bisognerebbe alleggerire gli obblighi e in particolare togliere quel vero spauracchio per chi va in Borsa che è l’idea di avere minoranze in consiglio d’amministrazione che interferiscono nella gestione senza necessariamente portare valore aggiunto all’azienda. A cosa si riferisce? Facciamo l’esempio dei fondi attivisti: con soglie basse o bassissime per la presentazione delle liste per i consigli, soglie che nelle grandi società sono dell’1 o del 2,5% al massimo, hanno troppo spazio. Quella di permetterlo fu una scelta fatta nel 2006 sull’onda emotiva del caso Tanzi/Parmalat, si pensò che fosse giusto dare così più potere alle minoranze. Ciò ha però determinato casi anche fenomeni di sistematico filibustering in consiglio, dalla stessa Parmalat all’Ansaldo Sts, dove ci fu lo scontro Elliot-Amber-Hitachi, ma anche a tanti altri casi, come la stessa inchiesta sui vertici Ubi. 34 marzo 2019

Guido Rossi, predecessore di Bianchi e primo presidente della Consob

Be’, ma le minoranze vanno tutelate perché portano una visione terza sulla gestione, no? Visione terza non vuol dire sempre visione qualificata, spesso la minoranza ha interessi… di minoranza, cioè per esempio punta a una liquidazione dell’investimento a breve termine con adeguato mark up, come usa dire. Altri freni da togliere al mercato, se il governo volesse? Un tema molto critico è il grave rischio di sanzioni che corrono i consiglieri delle quotate, anche in dipendenza della normativa sul market abuse, che condiziona molte scelte. Essere in Borsa significa anche sobbarcarsi questo tipo di incognite e di impegno, prendersi dei rischi, oltre al carico dei costi diretti della quotazione. D’altra parte i titoli che sono effettivamente scambiati e ben seguiti da case e analisti sono pochi. La maggior parte ha pochi scambi perché è fuori dai radar dei grandi investitori, nessuno li segue e li consiglia. Per cui andare in Borsa in una situazione di mercato del genere comporta, soprattutto per una impresa media, rischi e costi sicuri, condizionamenti sulla governance aziendale, burocratizzazione dei processi ai fini prescritti dalla prospettazione di tutto – dalle operazioni con parti correlate alle comunicazioni al mercato - che non sempre sono direttamente controbilanciati da vantaggi misurabili in senso oggettivo e imprenditoriale. Un quadro bruttino… Sì, lo so, e devo dire che lo hanno anche peggiorato alcune Opv fatte essenzialmente per fare cassa, ossia vendere una quota di equity senza perdere il controllo e senza dirottare le risorse alle società. Un modo per lasciare il mercato da parte dell’imprenditore, più che per finanziare l’impresa. Qualcosa di buono? Alcune cose buone per il mercato vanno riconosciute al governo Renzi. Per esempio l’introduzione del voto maggiorato a favore del cosiddetto socio fedele (con più di 24 mesi di possesso continuativo delle azioni, ndr): una difesa contro lo spauracchio della contendibilità delle società quotate, che può venir introdotto in statuto in sede di Ipo e che è stato recepito già da oltre una ventina di imprese. Non da banche né da imprese pubbliche però si tratta infatti, per le più, di aziende private quasi sempre controllate da una famiglia che vuole mettersi al sicuro rispetto al controllo della società - anche in chiave successoria -, porsi nella condizione di poter fare aumenti di capitale anche diluitivi, per fare spazio a investitori qualificati. Prima di quotarsi si può invece introdurre il voto plurimo, fino a 3 voti per azione.



FASHION&FINANZA UN MERCATO CHE CAMBIA

Non basta più un buon prodotto La moda si compra solo se emoziona di Fabiana Giacomotti

M

ai meno di oggi fare moda significa vendere vestiti. Mai più di oggi per venderli devi identificarti con un pensiero e un universo semantico preciso, definito e in grado di influenzare società e cultura. Pensi Gucci e, benché ne sia stato venduto qualche milione, non ti vengono in mente le loafer col pelo: il brand evoca ormai il rispetto della diversità di genere e la progressiva affermazione di una società fluida e liquida (si è definito tale perfino il Salone del Mobile che quest’anno presenta gli arredi per ufficio, vedete voi). Moncler non è più da tempo l’equivalente del piumino, tanto meno di quello indossato dai paninari negli Anni Ottanta: se il suo nome corrispondesse ancora all’immagine di quella giacchetta imbottita effetto Bibendum che pure tanti di noi hanno indossato con orgoglio negli anni dell’adolescenza, probabilmente ci saremmo dimenticati di Moncler da un pezzo, così come abbiamo fatto con tanti altri marchi coevi. Moncler continua a vendere piumini, si intende, ma ha spostato l’asse della comunicazione e del marketing sulla loro costante rivisitazione, e sulle collaborazioni inattese e prestigiosissime. Moncler è diventato un happening e infatti la “casa temporanea” allestita in via Ferrante Aporti durante la settimana della moda milanese per mostrare la nuova compagine di stilisti invitati a prestare temporaneamente il proprio “Genius” al brand, tra cui Matthew Williams e Richard Quinn, è stata presa d’assalto dalla città intera, invitata previa registrazione su un sito aperto per l’occasione, tre giorni dopo la serata d’apertura del 20 febbraio riservata a stampa e ospiti inter36 marzo 2019

Una immagine della campagna primavera/ estate 2019 di Gucci ispirata al musical americano

UNA GRIFFE PER VENDERE DEVE IDENTIFICARSI CON UN UNIVERSO SEMANTICO PRECISO CHE INFLUENZI SIA LA SOCIETÀ CHE LA CULTURA nazionali. Qualcuno potrebbe dire esattamente quale sia il prodotto-faro di Brunello Cucinelli? Nessuno, nemmeno gli specialisti, ricorda più che abbia iniziato la propria ascesa fino all’attuale valore di 34,10 euro per azione tingendo i maglioncini di cashmere in colori diversi dal greige che, per decenni, ne era stata l’unica declinazione cromatica. Il “sire di Solomeo” (copyright The New Yorker) che affastella una citazione dopo l’altra tratta dai suoi “dilettissimi” sant’Agostino e san Benedetto, e ai quali aggiunge non di rado l’imperatore Adriano e Kant in un vertiginoso mix, incanta ormai le platee popolari, che programmano una visita al borgo e alla valle umbra che ha portato a uno splendore probabilmente mai conosciuto ma ora plasmato dalla


FASHION&FINANZA sua mano come, un tempo, sognavano di visitare il Mulino Bianco (nel cambio ci hanno guadagnato, si intende). Togliete pure Ferragamo e Tod’s che, come dicono diplomaticamente da PwC, “vivono una fase di transizione manageriale” e sono parzialmente scomparsi dai radar dei grandi creatori di tendenze, forse in attesa di decisioni di carattere societario che ne cambieranno i destini per sempre e prendete invece Missoni, che vive una nuova stagione inaugurata dall’ingresso del Fondo Strategico Italiano a giugno 2018 con una quota del 41,2 per cento e una prospettiva di quotazione a medio termine. Per la griffe, i giochi e il posizionamento si sono fatti più chiari di sempre, e l’associazione mentale del potenziale cliente immediata: la maglieria bohochic, nell’ambito di un impegno vagamente politico ma comunque persistente a favore, ancora una volta, della parità di genere e dei diritti femminili. Di Prada, che vanta il “genius loci” e se vogliamo pure nominis di Miuccia Prada, donna in grado di tenere desta l’attenzione del sistema della moda da quasi trent’anni e che per altrettanti ha vestito l’intellettuale con sapienza di affari di letto, al momento non si sa bene che cosa evocare in una sola immagine: le ultime due collezioni hanno parzialmente riportato le linee del marchio alla classicità dissacrante delle origini, i cerchietti-acconciatura effetto 3D della collezione attualmente nei negozi sono già un gadget molto ricercato (hanno, cioè, dato vita a una fittissima schiera di imitazioni) e

Anna Foglietta per il Dopofestival di Sanremo ha indossato un total look bianco della collezione di Alberto Ferretti

PER I MARCHI DI NICCHIA LE OPPORTUNITÀ DI ESSERE CERCATI DAI GRANDI PLAYER SONO PIÙ ALTE RISPETTO A UN TEMPO

LA LADY DELLA SCIENZA DEL FASHION

Giornalista, scrittrice, specialista di letteratura francese, Fabiana Giacomotti - che con quest’articolo inizia la sua collaborazione con Investire - è docente presso il corso di Scienze della moda e del costume dell’università “La Sapienza”​, dove dal 2011 è anche curatore scientifico di un ciclo di seminari. Nel 1997 è stata in Rcs come inviato speciale de “Il Mondo”,

“Capital”​e “Io Donna”​. Dal Duemila al 2002 vicedirettore di “Amica”. Dal 2003 è stata direttore del mensile “Luna”​e del quotidiano “MfFashion”, che ha lasciato nel 2007 per la docenza. Dal 2007 scrive per “Il Foglio” del sabato. Ha scritto libri e saggi, fra cui “La moda è un romanzo”​(2010), “La tv alla moda. Stile e star nella storia della Rai”​(2014) e il vademecum “La milanese chic. Guida alla città dello stile”.

il modello di borsa “Sidonie” è entrata nell’elenco delle “it bag” dell’anno come non accadeva da tempo a un prodotto del marchio. Appaiono però sempre più lontani i tempi in cui Prada forniva il titolo a romanzi e film e incideva sui comportamenti collettivi (trasformare la goffaggine borghese-cittadina in raffinata sensualità e invertire le reazioni nei confronti della bellezza e della bruttezza sono state le due rivoluzioni per le quali Miuccia Prada è entrata nei libri di storia), tanto che il processo di recupero delle posizioni non sembra affatto concluso. Dall’ultima grande crisi in poi, cioè negli ultimi dieci anni, i sentimenti e le valutazioni che il pubblico mondiale esprime nei confronti della moda sono talmente cambiati da aver ribaltato i canoni di acquisto: per spiccare tra le migliaia di griffe che affollano il mercato mondiale, e che sono talvolta più forti e ben posizionate rispetto alla percezione che ne ha il mercato e gli stessi consumatori (basti pensare a Michael Kors: in Italia, la maggior parte della gente non si sarebbe aspettata che potesse permettersi di acquisire la maggioranza di Versace, in realtà infinitamente più piccolo di lui), non basta avere un buon prodotto. Non basta nemmeno che sia “made in Italy”, concetto abbastanza vago marzo 2019 37


FASHION&FINANZA

IL RISPETTO PER IL PIANETA E L’INCLUSIVITÀ ETNICA E SOCIALE SONO I DRIVER CHE REGOLERANNO LE TENDENZE presso le nuove generazioni e non più determinante. Deve rispondere ad altre caratteristiche, muovendo emozioni diverse e nuove. Per dirla con la sintesi di Luisa Beccaria, incontrata pochi giorni fa a una cena milanese, la gente, nel caso specifico gli europei e parzialmente l’America del nord, è uscita dalla crisi e si è resa conto di poter vivere benissimo senza un nuovo vestito ogni mese. Nell’Asia Pacific che, a dispetto dei periodici stop congiunturali della Cina, continua a crescere a doppia cifra, anzi “double digit” secondo il vezzo anglofono degli esperti di finanza nostrani che, per enfatizzarne il suono tondo e “ricco”, forzano l’occlusiva velare GGG, il desiderio di moda occidentale è ancora molto alto. Ma, anche qui, sono cambiate le regole e le modalità di consumo: se le sfilate di Byblos, di Alberta Ferretti che vive una nuova stagione presso il pubblico dei giovanissimi con la sua maglieria “settimanale” o ancora di Gucci vi sembrano il frutto di un meticciato culturale che non vi è sempre chiaro, è perché è esattamente così: insieme con il rispetto per il pianeta, l’inclusività etnica e sociale sono i due grandi temi, i due drive che regolano la moda adesso, e ancora più lo saranno nei prossimi anni. Chi non sposa queste due istanze, queste due “issues” per dirla sempre con l’italiese della finanza, chi pretende di imporre unicamente i propri valori rischia di rimanere al palo o di essere boicottato, il caso Dolce&Gabbana insegna. Nel cosiddetto mondo globale, dove l’Occidente si è trovato nella posizione obliqua di produttore di beni ancora desiderabili ma non più di egemone culturale, anzi sempre più spesso associato al Male Assoluto, ogni manifestazione, ogni immagine, ogni sospiro sono potenzialmente a rischio di boicottaggio economico e di shaming a mezzo social network. 38 marzo 2019

Sotto Miuccia Prada, la stilista entrata nei libri di storia

È anche per questo che Gucci ha attivato un programma di borse di studio internazionali e Prada ha istituito un Diversity and Inclusion Advisory Council attribuendone la presidenza a Theaster Gates e dalla regista di Selma, Ava DuVernay: nessuna comunità, nessuna cultura, in particolare quella afro-americana, intende più sentirsi esclusa dal gioco. Allo stesso modo, e come si accennava nelle righe precedenti, la sostenibilità, ecologica e sociale, cioè il non sfruttamento delle risorse della terra e umane, sono diventati argomenti e motori fondamentali di crescita, al punto che Emanuela Pettenò, partner transactionservices consumer deals and markets leader di PwC ritiene che il progressivo e sempre più veloce rallentamento dei marchi del fast fashion, a partire da H&M, sia dovuto in gran parte alla nuova sensibilità del consumatore nei riguardi della moda usa-e-getta oltre che, diciamo noi, all’evidenza che le capacità di stoccaggio di un guardaroba sono limitate e che un capo di buona qualità può vivere una seconda esistenza nel mercato vintage (non a caso un settore in grande crescita, insieme con il sistema di affitto temporaneo di abiti inaugurato negli Usa dal progetto imprenditoriale Rent the Runway), mentre l’ennesima gonna malamente plissettata no. Nella progressiva e sempre più evidente polarizzazione del mercato tra l’alto di gamma e lo sportswear tecnico e sofisticato (Puma, Adidas), e al


FASHION&FINANZA

capo opposto un universo di piccolissime imprese che lottano per emergere, il futuro è mutevole e tricky, disseminato di trappole, ma al tempo stesso estremamente interessante per chi abbia un’idea forte e sia magari disposto a cederla a uno dei grandi conglomerati della moda, che ne è il risvolto un po’ inquietante. «Per i marchi di nicchia, per le piccole imprese da pochi milioni di fatturato ma con un posizionamento preciso e, magari, un pubblico di follower ben profilato, le opportunità di essere ricercati dai grandi player del mercato sono decisamente più alte rispetto a un tempo», dice ancora Pettenò. Insieme con l’integrazione di filiera, che va portando sempre più marchi globali, vedi Chanel e Gucci, ad acquisire le proprie aziende fornitrici, come fece negli Anni Novanta con grande lungimiranza Giorgio Armani, le prospettive del mercato della moda vanno insomma facendosi al tempo stesso più intangibili e, non sembri un paradosso, più concrete. Valori condivisi e globali sui quali costruire una comunicazione inclusiva, produzione e filiera controllate, sempre più spesso in modalità reshoring, cioè di ritorno dai paesi dell’estremo oriente in Italia, in

IL MADE IN ITALY SARÀ FORSE UN’ETICHETTA ABUSATA MA LA QUALITÀ RITORNA A CONTARE NELLE SCELTE Nella pagina prima e sopra, altre due immagini della campagna primavera/ estate 2019 di Gucci Di fianco Brunello Cucinelli stilista e imprenditore fondatore dell’omonima azienda

Francia o in Spagna. Il made in Italy sarà forse un’etichetta troppo abusata, e mai davvero definita, per potervi scommettere il futuro, ma la qualità è invece un aspetto che torna a essere percepito in modo chiaro. E questo, senza alcun dubbio, si continua a fare in Italia. marzo 2019 39


ENERGIA

PETROLIO & ALTRE STORIE

Per tutti il barile è in marcia verso il target dei 60 dollari di Gloria Valdonio

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onostante la transizione energetica in corso e la crisi del commercio globale innescata da una sequenza di dazi ed embarghi, il funerale del combustibile fossile è ancora lontano. Non solo: un sostanziale accordo sui tagli alla produzione da parte dei Paesi Opec+ (che include la Russia) dovrebbe spingere verso l’alto le quotazioni del petrolio nei prossimi mesi. I target formulati dagli uffici studi sono tutti intonati verso un moderato rialzo, e l’obiettivo in assoluto più gettonato tra gli analisti è 60 dollari al barile per fine anno, con una banda di oscillazione tra 50 e 80 dollari nel corso dell’anno. La convinzione degli strategist infatti è che al prossimo meeting di aprile l’Opec troverà un’intesa sui tagli alla produzione che possa ottenere il consenso degli Usa, che di fatto ha sfilato il controllo sul prezzo del petrolio al cartello attraverso l’arma delle sanzioni, e soprattutto della crescente produzione di shale oil. «Gli Stati Uniti sembrano avere in mente un intervallo tra 50 e 80 dollari, che va bene sia ai produttori sia ai consumatori, e mette d’accordo anche sauditi e russi», conferma Alessandro Fugnoli, strategist di Kairos Partners. Amundi conferma il target per il greggio in un intervallo di 55-65 dollari per il West Texas 40 marzo 2019

NESSUN TAGLIO ALLA PRODUZIONE DELL’OPEC. GLI ANALISTI PREVEDONO UN EQUILIBRIO TRA DOMANDA E OFFERTA. OCCASIONI TRA LE OIL COMPANY, IN LUCE ENI E BENE LE ENERGIE ALTERNATIVE e di 60-70 per il Brent, ma nel lungo termine prevede maggiori pressioni al ribasso con un aggiustamento dell’intervallo di 5 dollari in meno, «dovuto alla decelerazione della domanda e a un aumento della produzione Usa trainata dal segmento shale oil», spiega Lorenzo Portelli, senior strategist di Amundi Sgr.

Variabile cinese Un prezzo, per quanto governato, non può infatti escludere alcune variabili a partire dal ciclo economico. E ovviamente, in caso di recessione, il petrolio prenderebbe la sua strada. «Una delle poche minacce concrete al prezzo del petrolio sarebbe un rallentamento della domanda da parte della Cina», conferma Pierre Melki, equity analyst advisory services di Union Bancaire Privée (UBP). In ogni caso, come sottolinea Portelli, la variabile cinese non dovrebbe condizionare le quotazioni per tutto il primo semestre, quando sarà l’offerta a trainare le quotazioni, mentre sarà l’economia - prevista in decelerazione nel 2020 che porterà i mercati a focalizzarsi più sul lato della domanda, con possibili pressioni al ribasso sui prezzi nell’ultima parte dell’anno. Nessuna pressione sui prezzi nel corso dell’anno invece dal Venezuela, il Paese con le più grandi riserve al mondo: «L’imposizione di nuove sanzioni da parte degli Stati Uniti sulla compagnia petrolifera statale Pdvsa taglierà ulteriormente l’offerta di petrolio, sia strutturalmente per mancanza di investi-


ENERGIA

Transizione energetica Di ben altro spessore la transizione energetica, che sembra però sopravvalutata in quanto molto lenta, al punto che secondo gli analisti richiederà 30-40 anni per dispiegare i suoi effetti, e non solo sul petrolio. Inoltre l’elettrificazione della società viene erroneamente percepita come un abbandono del petrolio, ma non lo è affatto: pochi considerano, per esempio, che anche l’auto elettrica consuma combustibile e forse più di quello necessario per il motore a scoppio. A quando quindi il declino del carburante fossile? Difficile dirlo. Vengono in soccorso le indicazioni dell’International energy agency (Iea), secondo la quale la domanda mondiale di petrolio per i prossimi 25 anni crescerà leggermente, attestandosi attorno ai 4.700 milioni di tonnellate all’anno. La crescita delle economie mondiali sarà invece accompagnata da un aumento consistente della domanda di gas naturale e di fonti rinnovabili. Con riferimento agli impieghi del petrolio, nello scenario dell’Iea, rimane importante la domanda del settore trasporti, alimentata dalle nuove coorti di primi utilizzatori che si affacciano sul mercato indiano, cinese e dei principali Paesi in via di sviluppo. «E’ vero che parte della domanda del petrolio potrà trovare sostituti nelle energie alternative, ma il consumo di petrolio in molte parti del mondo ha ancora ampi spazi di crescita: il consumo pro capite in India è 1,2 barili al giorno, in Cina 3,2, mentre negli Usa di

Obiettivo 2040: l’oro nero crescerà, il gas naturale e le rinnovabili di più 20.000

Storico

15.000

Altre rinnovabili

Mtoe

menti, sia nel breve termine, in quanto le esportazioni di greggio verso gli Stati Uniti, attualmente a circa 500mila barili al giorno, si ridurranno e saranno solo parzialmente deviate verso altri Paesi» sostiene Koen Straetmans, senior strategist di NN Investment Partners.

Idroelettrica Nucleare

10.000

Bioenergia Gas Naturale 5.000

Carbone Petrolio

0 2000

2010

2020

2030

2040

FONTE: ICA/ WORLD ENERGY OUTLOOK 2018

circa 22», commenta Alberto Albertini, amministratore delegato di Albertini Bank. Che aggiunge: «Questi fattori fanno sì che la crescita del consumo di petrolio possa durare ancora una generazione come minimo, e che avremo bisogno di combustibile fossile ancora per molto tempo».

Nella foto a sinistra Lorenzo Portelli, senior strategist di Amundi Sgr

Rarefazione dell’offerta Va detto che quand’anche si riuscisse a predire correttamente l’andamento dei prezzi del petrolio, non sarebbe automatico riuscire a trarne un profitto, in quanto la modalità di accesso tramite contratti future condiziona il successo delle operazioni alla forma della curva dei prezzi a termine. «Negli ultimi dieci anni (inizio 2009 - fine 2018, ndr) il prezzo spot del petrolio (WTI, ndr) è aumentato del 13% circa, ma un investitore, con una strategia di normale rinnovo delle posizioni sulla curva future avrebbe perso oltre il 50%», rammenta Albertini. La transizione energetica, benché nella fase iniziale, potrebbe invece rendere appetibili proprio ora le società petrolifere nel caso venisse applicato uno sconto da “fine del petrolio” come avvenuto per i produttori di tabacco nel decennio passato. «Se il petrolio entrasse nel novero dei settori maledetti, i titoli del petrolio potrebbero garantire buoni ritorni», dice Albertini. «Inoltre le società petrolifere, spinte dalla transizione energetica, potrebbero decidere di investire meno in nuova capacità produttiva e restituire capitale agli azionisti». Quest’ultimo aspetto potrebbe, oltre a rendere le oil company un ottimo investimento, far aumentare il prezzo del petrolio. Trend che sarebbe bilanciato dalle nuove forme di energia alternativa, sempre più competitive. «Ma anche in questo caso emergerebbero buone occasioni», spiega Albertini. «L’abbassamento dei prezzi indurrebbe comunque l’estromissione dal mercato dei produttori meno efficienti e, per i sopravvissuti in equilibrio di profittabilità, rimarrebbe l’opportunità di sfruttare un eventuale successivo rimbalzo dei prezzi dovuto alla rarefazione dell’offerta». Titoli sotto la lente Ma quali sono in questo momento le oil company meglio impostate? Il recente report di Ersel assegna target interressanti a parecchi protagonisti del settore con incrementi significativi delle quotazioni nei prossimi mesi. A partire da Royal Dutch, marzo 2019 41


ENERGIA del settore». Tra i catalizzatori del cambiamento nei prossimi mesi, spiccano le nuove regole dell’Imo sul trasporto, con il gasolio e il gas naturale liquefatto che saranno i principali beneficiari di tali misure. «Il quadro per il clima e l’energia 2030 dell’Unione europea mira a ridurre le emissioni del 43% rispetto al 2005 – spiega Nitesh Shah, director research di WisdomTree - Per soddisfare la crescente domanda di energia e soddisfare questi obiettivi, dovrà verificarsi un passaggio verso un nuovo mix di fonti». che si aggiudica un target 31,74 (+23,5% sul prezzo a fine gennaio) grazie a generazione di cassa e progetti di crescita; Chevron (target 135,21, +20,5%); Eog (122,82 , +25,2%); Conoco Philips (76,33, +16,8% ); e Schlumberger, principale fornitore mondiale di servizi petroliferi e attrezzature, il cui target è fissato a 53,01% (+19,8%) grazie alla ripresa degli investimenti delle major e al recupero dei margini. Quanto a Total, la più piccola delle cinque major petrolifere, il target è a 59,04 (+26,6%). Buy secco anche per Eni con un target a 18,01 euro, in crescita del 23% grazie a valutazioni interessanti, multipli a sconto rispetto ai competitor, break even tra i più bassi del settore e crescita organica della produzione (+3%) nei prossimi anni: «Negli ultimi anni Eni si è mostrata una delle migliori, se non la migliore, società di esplorazione e ricerca di nuovi giacimenti – è scritto nel report di Ersel – il livello di indebitamento è tra i più bassi del settore e i multipli scontato, forse anche troppo, il rischio mercato in Italia». Anche secondo Ubp Eni è ben posizionata nell’attuale contesto del mercato petrolifero per continuare a fornire risultati superiori alle aspettative, a patto che l’azienda eviti qualsiasi errore di esecuzione di rilievo. Quanto a Tenaris, leader nella produzione di tubi di acciaio e servizi destinati all’industria energetica il target è a 16,03 con un importante incremento del 47,7 per cento. Energie alternative. Nel 2018 il comparto solare, l’energia rinnovabile per antonomasia, ha sofferto a causa di cambiamenti repentini nella politica energetica in Usa e in Cina. Questa incertezza politica non ha sicuramente aiutato la performance dell’intero comparto delle energie alternative. Tuttavia, secondo Amundi, il quadro per il 2019 è più incoraggiante e l’investimento quindi più interessante. Come conferma Ubp le fonti alternative di energia assumeranno una quota sempre maggiore del mix energetico complessivo. «Tuttavia, per via della volatilità delle energie rinnovabili “pure”, causata dalla fluttuazione dei prezzi dell’energia, dall’evoluzione delle normative e dall’evoluzione della tecnologia, conviene puntare sulle aziende che hanno già un business stabile e regolamentato e che stanno sfruttando la loro posizione per diventare campioni 42 marzo 2019

Nella foto in alto, da sinistra a destra: Pierre Melki, equity analyst advisory services di Union Bancaire Privéé e Koen Straetmans, senior strategist di NN Investment Partners. In basso, da sinistra a destra: Alberto Albertini, amministratore delegato di Albertini Bank e Nitesh Shah, director research di Wisdom Tree

Nuove fonti. Ma quali? Per gli strategist continua a essere interessante il settore dell’energia eolica, la cui quota di partecipazione al fabbisogno energetico di alcune economie avanzate è in vertiginoso aumento. Tra i beneficiari di questo trend c’è certamente la danese Vestas. «La società è interessante nel lungo periodo, anche se le quotazioni raggiunte nelle ultime settimane suggeriscono invece cautela». Secondo Albertini tra le energie alternative più interessanti andrebbe aggiunto l’uranio, che registra consumi in aumento soprattutto per effetto della domanda dei Paesi emergenti. «La canadese Cameco è uno dei più grandi produttori mondiali di uranio: il prezzo è in recupero e il consenso degli analisti vede una consistente ripresa del prezzo e un ritorno all’utile della società», dice Albertini. E allora, che cosa mettere in un portafoglio energetico? «Sarebbe interessante giocare su entrambi i lati del settore energetico per bilanciare il proprio portafoglio nel 2019. Gli investitori potrebbero scegliere titoli difensivi di alta qualità, con una visione più tattica sulle scorte di combustibili fossili e una visione tematica a più lungo termine sul settore delle energie rinnovabili», è la conclusione di Melki.


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Pochi mesi di vita, ma grandi prospettive per i fondi AI di Gloria Valdonio

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pesso si legge che i Big Data sono il nuovo petrolio. Ma perché? La risposta migliore è quella data da Demis Hassabis, fondatore della controllata di Google DeepMind: «I big data sono il problema, l’Intelligenza artificiale (Ia, ndr) è la risposta». In altre parole, i dati sono il nutrimento digitale che permette all’Ia di diventare sempre più veloce, intelligente, preveggente e “cosciente”. Con flusso e stoccaggio di dati in crescita esponenziale, la spesa per l’intelligenza artificiale dovrebbe così passare dall’attuale livello di 1,6 miliardi di dollari a 31,2 miliardi nel 2025 senza grandi ostacoli. Le applicazioni dell’Ia nell’industria sono illimitate, perché Ia è a tutti gli effetti una general purpose technology, ossia una tecnologia che può potenzialmente essere applicata in ogni campo. «In quanto investitori quality growth di lungo periodo riteniamo che il settore tecnologico, e l’Ia in particolare, abbia incredibili potenzialità in termini di portata e durata della crescita, derivanti dalla capacità ad ampio spettro che il fattore tecnologico può esercitare nel rimodulare l’attività umana», è il commento di Sébastien Thevoux-Chabuel, analista Esg di Comgest.

LE SOCIETÀ SPECIALIZZATE NELLO SVILUPPO DELLE INTELLIGENZE ARTIFICIALI SONO SPESSO PICCOLE ED È PRESTO PER INDIVIDUARE I CAMPIONI I mille volti dell’IA Attualmente l’Ia trova applicazioni pratiche in diversi ambiti della nostra vita quotidiana, dal riconoscimento facciale presente sui nostri smartphone alla guida autonoma, dai suggerimenti commerciali sui siti di e-commerce ai droni, ma negli ultimi cinque anni i progressi sono stati velocissimi e oggi la ricerca si concentra sullo sviluppo e l’applicazione dell’apprendimento automatico, delle reti neurali, dell’elaborazione del linguaggio e una serie di altri sottocampi per innovare l’industria e la società. In altre parole l’Ia ha davanti a sé un’immensa prateria di ambiti e applicazioni. Come approfittarne? In generale, a beneficiare maggiormente dello sviluppo dell’Intelligenza artificiale saranno le società che producono una gran mole di dati, che è la materia prima di cui necessità l’Ia come per esempio il settore bancario o quello dell’healthcare. Inoltre, come spiega dice Jared Franz, analista degli investimenti di Capital Group, un ruolo di primo piano verrà ricoperto dai colossi tecnologici, che hanno la possibilità di fare grandi investimenti in ricerca acquisendo società specializzate e reclutando i massimi esperti del settore. «Ci sono poi molte società più piccole, leader nei rispettivi settori, che stanno sviluppando applicazioni specifiche per l’Intelligenza artificiale. Le più interessanti operano nei settori dell’agricoltura e della sanità», aggiunge Franz.

I dieci migliori fondi ed etf che investono nell’Artificial intelligence Nome

ISIN

Categoria Morningstar

Global X Robotics & Artfcl Intllgnc ETF US37954Y7159 US Fund Miscellaneous Sector Allianz Global Artfcl Intlgc W EUR

LU1548499471 EAA Fund Sector Equity Technology

AMOne AI Applied Type World Equity Fund

JP90C000FB37 Japan Fund World ex-Japan Equity Polar Cptl Atmtn & Artfcl Intllgnc I Acc IE00BF0GL329 EAA Fund Sector Equity Technology

Smith & Williamson Artfcl Intllgnc X USD IE00BYPF3207 EAA Fund Global Flex-Cap Equity Amundi Stoxx Global Artificial Intlgc

LU1861132840 EAA Fund Global Large-Cap Blend Equity

Patrimonio in Data di Annual ret 2018 Annual ret 2017 gestione (EUR) partenza base currency base currency 1197689766,11 12/09/2016

-27,79

1158196506,00 31/03/2017

0,36

334339364,11

29/09/2017

-17.12

300144665,36

06/10/2017

-11,04

150170104,00

27/06/2017

-0,49

124459516,00

04/09/2018

Cathay Nasdaq CTA Artfcl Intlgc&Rbtc ETF TW0000073709 EAA Fund Sector Equity Technology

46866818,76

29/05/2018

Tyndaris Artificial Intl Trd I USD Acc

LU1561140655 EAA Fund Alt - Systematic Futures

37090343,06

09/11/2017

-4,12

FIM Artificial Intelligence A

FI0008803887

30710445,00

21/05/2001

-9,96

27820970,30

21/02/2018

EAA Fund Global Large-Cap Blend Equity

FT Nasdaq Artfcl Intllgnc and Rbtc ETF US33738R7200 US Fund Technology FONTE: MORNINGSTAR

44 marzo 2019

58,54

-9,19


HI-TECH

Titoli in primo piano Ma su quali aziende puntare? Chi volesse scommettere sul settore non può prescindere da titoli con una storia di successo (anche se spesso sopravvalutati) come Intel, Nvidia (semiconduttori), Alphabet (Google), Twilio (cloud software), Amazon (impegnata nelle consegne con droni), Micron Technology (machine learning), Microsoft (che diventerà una cloud company), e le cinesi Tencent (l’azienda di Wechat, primo social media cinese) e Baidu (focalizzata sull’apprendimento automatico). L’interesse per le due società cinesi viene esaltato dal fatto che il governo di Pechino si è dato l’obiettivo di diventare leader mondiale nell’Ia dal 2030 e per centrare il target non lesinerà sovvenzioni. Beta alto Secondo gli analisti l’Ia può essere un investimento interessante, ma è bene usare cautela: entrare direttamente può essere infatti molto rischioso. «Non dimentichiamo che le azioni tecnologiche che hanno un beta più alto della media, quando i mercati attraversano fasi di turbolenza, vengono colpite duramente e crollano bruscamente», conferma di Mark Hawtin, investment director del settore azionario tecnologico di Gam Investments. Inoltre, come sottolinea Massimo Siano, co-head Southern Europe Distribution di WisdomTree, è difficile dire oggi quali saranno i campioni del settore e molti dei brevetti più brillanti appartengono ad aziende piccole e non quotate. Va detto inoltre che spesso le nuove tecnologie espongono a un rischio nelle loro prime fasi di sviluppo in quanto il ritmo di adozione, gli eventuali vincitori e gli utili che ne deriveranno sono molto incerti.

Tra fondi ed Etf, meglio i secondi Meglio, come sostiene Francesco Paganelli, analista di Morningstar, entrare con prodotti ad hoc come fondi ed Etf. E la scelta non è ampia. I fondi Ia sono 26 nel mondo e 15 in Europa. Quasi tutti sono stati lanciati nell’ultimo anno. Il più vecchio è il Global X Robotics & Artificial Intelligence, distribuito negli Stati Uniti dal 2016, con una massa di circa 1,197 miliardi di dollari a inzio febbraio. In Europa il più grande è Allianz Global Artificial Intelligence (lanciato nel 2017) con una massa di 1,158 miliardi di euro. Questi ultimi sono gli unici fondi che superano la soglia del miliardo di euro, tutti gli altri non vanno oltre il mezzo miliardo. Il benchmark di questi prodotti è il Global Robotics & Tematics o Nasdaq CTA AI & Robotics e negli ultimi tre mesi quasi tutti hanno risentito della flessione del mercato, con l’eccezione del fondo Allianz - che ha un’esposizione di ben il 90% in nord America - che ha chiuso il 2018 con un modesto +0,36% (a fine gennaio), mentre il fondo americano Global X Robotics (che ha

In alto da sinistra a destra: Jared Franz, analista degli investimenti di Capital Group e Mark Hawtin, investment director del settore azionario tecnologico di Gam Investments. In basso Massimo Siano, co-head Southern Europe Distribution di WisdowTree

esposizione del 32% in nord America, del 48% in Giappone, il resto in Europa) ha chiuso il 2018 -27,8%, mentre nel 2017 aveva segnato un incremento del 58 per cento. «Non bisogna farsi prendere da troppo entusiasmo per questi prodotti. Nel fondo Allianz, per esempio, ci sono diversi titoli che riteniamo sopravvalutati, come Netflix, Paypall e Tesla», è il commento di Paganelli. Che aggiunge: «Si tratta di fondi tematici, fortemente sbilanciati verso il settore tecnologico, almeno il 60%, con una media di 40 titoli azionari tech in portafoglio, e quindi con un beta elevato». In ogni caso, tra fondo ed Etf è meglio preferire il secondo. «Il vantaggio dell’Etf è che seleziona tutte le società del settore che entrano in Borsa e non si affida alla scelta di un singolo o di un team di gestione”, spiega Paganelli. E questo è un elemento importante in un settore che non ha ancora individuato i propri campioni: chi avrebbe scommesso negli anni ‘90 su Google avendo a disposizione i più popolari motori di ricerca dell’epoca, come Altavista, Yahoo, InfoSeek e Lycos? Le matricole In Italia il mercato è agli albori e sono disponibili solo tre prodotti dedicati all’Ia: gli Etf di Amundi e WisdomTree e il fondo Echiquier Artificial Intelligence, tutti lanciati da metà 2018. L’ultimo in ordine di tempo è il WisdomTree Artificial Intelligence Ucits Etf, quotato a dicembre, e – come spiega Siano – si tratta di un prodotto di accumulazione del capitale. «E’ un prodotto da tenere nel cassetto, non certo adatto a trading, ma che può dare soddisfazioni nel lungo periodo», spiega Siano. Che conclude: «Crediamo che l’approccio del fondo sia in grado di combinare il meglio dei settori attivo e passivo nell’accedere al megatrend dell’Ia».

marzo 2019 45


DIBATTITI

CAPITALE E CREDITO

Se la Borsa è poco gettonata è perchè il debito è stato incentivato di Francesco Cesarini * * Francesco Cesarini è Professore emerito di Economia degli intermediari finanziari all’Universita Cattolica del Sacro Cuore. È stato presidente di Banca Popolare di Milano, Banco Ambrosiano Veneto, UniCredit, Borsa Italiana ed e-Mid e vicepresidente di Mediobanca.

N

on si può non condividere l’auspicio espresso dal Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco all’ultimo convegno Forex circa la necessità di ampliare il ruolo del mercato azionario nel finanziamento delle imprese, naturalmente soprattutto quelle di grande o media dimensione. Ritengo invece che, almeno sotto il profilo istituzionale, il sistema finanziario italiano sia già sufficientemente articolato, tenuto conto del peso non molto grande della nostra economia nel mercato mondiale. E lo è stato anche nei decenni passati, ancorchè alcune istituzioni e alcuni strumenti - in primis, come viene spesso ricordato, i fondi comuni di investimento - siano stati introdotti nel nostro paese con molto ritardo e dopo interminabili e defatiganti discussioni giuridiche e politiche. Non mi sento perciò di sostenere che il circuito finanziario italiano abbia difettato o difetti di strumenti e intermediari utili a collegare la formazione di risparmio con le esigenze di investimento e di spesa. Potrei spingermi ad affermare che ne sono stati creati persino in eccesso e che alcuni di essi sono rimasti lettera morta o hanno avuto vita effimera e incidenza globalmente trascurabile, come per esempio nel caso dei minibond e di alcuni tipi di fondi di investimento immobiliare. Sul piano sostanziale, sono convinto - e per il vero non da oggi - che le alternative di finanziamento autenticamente indipendenti ed effettivamente disponibili alla generalità delle famiglie e delle imprese siano meno numerose e meno differenziate di quanto non appaia. Su questo versante ho trovato 46 marzo 2019

HA RAGIONE IL GOVERNATORE, VA AMPLIATO IL RUOLO DEL MERCATO AZIONARIO NEL FINANZIARE LE IMPRESE significativo il richiamo del Governatore. La banca - unico tipo di intermediario che disponeva e dispone di una rete di vendita estesa, capillare e affidabile - si é introdotta di volta in volta con forza nei nuovi settori di intermediazione, utilizzandoli per le proprie strategie di mantenimento o di incremento delle quote di mercato, ma altresì pronta a sterilizzarli o abbandonarli ove si fossero rivelati meno idonei a realizzare risultati adeguati nel breve periodo. È questa la ragione fondamentale, a mio parere, per cui il sistema finanziario italiano è stato e rimane tuttora “bancocen-


DIBATTITI

DELLA «BANCO-CENTRICITÀ» DEL SISTEMA HANNO FATTO LE SPESE GLI STRUMENTI E GLI INTERMEDIARI DI BORSA trico”. Nella misura in cui ciò è accaduto, il sistema ha mostrato di muoversi con una “veduta corta” - come avrebbe detto Tommaso Padoa Schioppa - perchè non ha consentito alle singole e numerose innovazioni finanziarie di radicarsi e quindi di contribuire ad ampliare stabilmente il “menù” di strumenti offerti ai risparmiatori e alle imprese. In questo contesto forse non è casuale che, almeno da vent’anni a questa parte, nel gergo bancario i “servizi” finanziari siano stati ribattezzati, anche nei lavori scientifici, come “prodotti”. Ma i due termini comportano differenze sostanziali di atteggiamento degli operatori: i “prodotti” si comprano, si vendono, si rivendono, vengono messi a budget, generano ricavi costituiti prevalentemente da differenziali di prezzo; i “servizi”

Nella pagina a sinistra l’autore dell’articolo Francesco Cesarini. In alto Ignazio Visco; in basso Tommaso Padoa Schioppa

invece si prestano e si accettano in una relazione bilaterale tendenzialmente di lungo periodo, basata sulla mutua fiducia e sull’attenta e continuativa valutazione dei comportamenti, e generano ricavi esclusivamente sotto forma di differenziali tra tassi di impiego e tassi di raccolta. Di queste caratteristiche del processo di sviluppo del nostro mercato finanziario, accentuate dall’abnorme sviluppo delle cartolarizzazioni, hanno fatto le spese gli strumenti e gli intermediari che direttamente o indirettamente si richiamano al capitale di rischio e che presentano di per sè maggiore incertezza e minore attrattiva per la generalità dei risparmiatori e che proprio per questo avrebbero richiesto, per la loro diffusione, una particolare attenzione da parte di chi controlla la rete di vendita e quindi può in linea di principio orientare l’accesso all’una o all’altra sezione del mercato finanziario. Vorrei aggiungere che l’auspicio del Governatore sulla necessità di rafforzare il mercato dei titoli corporate lo si trova ripetuto, in termini non molto diversi, nella maggior parte dei documenti e dei discorsi dei maggiori esponenti della Banca d’Italia negli ultimi decenni. Con effetti purtroppo tutt’altro che brillanti se è vero, come ho potuto recentemente rilevare in un saggio scritto insieme a Giorgio Gobbi - attuale capo del servizio stabilità finanziaria della Banca d’Italia - che il numero delle società quotate è inferiore a quello di quindici anni fa e che anche l’innovazione legata ai minibond si è presto rivelata un fuoco di paglia. Le ragioni di ciò sono molteplici e di diverso peso. Mi limiterei a indicarne due che ritengo particolarmente importanti. In primo luogo è stata sempre largamente diffusa - nella legislazione fiscale, negli atteggiamenti politici e nel comportamento concreto degli operatori - una rilevante propensione a favorire l’indebitamento in tutte le sue forme con scelte che sono state per così dire premiate per molto tempo da tassi di interesse reali (cioè al netto dell’inflazione, anche a due cifre), molto bassi o negativi. In secondo luogo anche su questo aspetto le banche non possono considerarsi esenti da responsabilità. Non solo e non tanto perchè hanno acquisito nel 1997 e mantenuto per alcuni anni la piena proprietà di Borsa Valori Italiana, dopo che era stata radicalmente ristrutturata dal Consiglio di Borsa, potendo quindi influenzarne le politiche di promozione, ma soprattutto perchè, nei confronti delle imprese grandi e medie, hanno nel loro insieme trascurato di esigere il mantenimarzo 2019 47


DIBATTITI mento di un rapporto tra equity e debito sufficientemente equilibrato in modo da contenere ex ante il proprio rischio e di salvaguardare la stabilità e la continuità delle imprese stesse anche nelle fasi congiunturali difficili. In altri termini credo di non dire nulla di nuovo affermando che per lunghi periodi di tempo e sino all’inizio di questa lunga crisi sia prevalsa una politica di concessione di credito abbondante e a buon mercato. Essa da un lato ha consentito alle banche di aumentare ricavi e profitti, dall’altro ha permesso soprattutto ai maggiori imprenditori e ai grandi gruppi di espandere gli investimenti senza perdere uno stretto controllo delle proprie aziende, lesinando gli apporti di nuovo capitale di rischio ed evitando quel diretto e trasparente confronto con gli investitori che nelle economie avanzate si ritiene necessario perchè una società possa accedere con successo al mercato azionario di borsa. Sia le banche sia molti grandi imprenditori pensavano forse di poter indefinitamente trarre vantaggio da una situazione del genere. Ma l’equilibrio di sottocapitalizzazione non poteva reggere a una situazione macroeconomica ripetutamente colpita da crisi e il sovraindebitamento delle imprese, specie delle grandi, si è rivelato pertanto importante concausa - quando non causa determinante - di crisi di impresa. La rottura di tale precario equilibrio ha talora spinto gli imprenditori a cedere il controllo delle imprese ad altri gruppi e in qualche caso a spostare all’estero i centri decisionali e i poli di ricerca e sviluppo. Inoltre a mio parere - un po’ alla stregua di quanto avviene per effetto del nostro enorme debito pubblico - l’eccesso di indebitamento e il timore che esso possa diventare del tutto insostenibile tendono a frenare nuovi investimenti produttivi e a paralizzare in certo modo la capacità di sviluppo di singole imprese o di specifici settori industriali e fors’anche l’affermarsi di nuove imprenditorialità. Non vorrei peccare di pessimismo ma personalmente rilevo che molte conseguenze dell’iperindebitamento delle imprese sono ormai diventate un fatto compiuto o comunque difficilmente reversibili. La propensione dei risparmiatori per l’investimento azionario come parte integrante della gestione della 48 marzo 2019

Giorgio Gobbi, capo del servizio stabilità finanziaria della Banca d’Italia

propria ricchezza finanziaria è piuttosto bassa e difficilmente potrà essere ricostruita anche mediante i programmi di educazione finanziaria oggi in fase di avvio. Tuttavia a mio modo di vedere - che differisce da quello della vulgata corrente - il problema maggiore da affrontare nel nostro Paese non è tanto la carenza di domanda di titoli corporate da parte dei risparmiatori, quanto la carenza di offerta di strumenti di mercato appetibili trasparenti e affidabili da parte delle imprese. Rebus sic stantibus, se si manifestasse una ripresa della domanda di strumenti di capitale di rischio essa paradossalmente finirebbe con l’avvantaggiare emittenti esteri, come già oggi accade attraverso le scelte dei fondi comuni. Se si perseguisse seriamente un rafforzamento del mercato azionario occorrerebbe affrontare coraggiosamente il problema di ridurre gli accennati diffusi incentivi all’indebitamento: occorre però una riduzione durevole perchè incentivi occasionali e temporanei, come mostrano varie esperienze del passato, darebbero semplicemente luogo soltanto a comportamen-

IL PROBLEMA MAGGIORE PER L’ITALIA NON È TANTO LA CARENZA DI DOMANDA DI TITOLI CORPORATE QUANTO LA CARENZA DI OFFERTA DI STRUMENTI DI MERCATO ti palesemente opportunistici e alimenterebbero dannose escursioni delle quotazioni. In un tale contesto potrebbe risultare utile un certo consolidamento delle imprese medio-piccole omogenee per settore, nonché l’incoraggiamento allo sviluppo di efficienti filiere produttive e all’irrobustimento dei gruppi industriali minori. Occorre comunque prendere atto che il nostro mercato azionario può realisticamente perseguire obiettivi di crescita del proprio ruolo, anche se limitati soltanto all’interno del mercato europeo e internazionale.


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LISTINI

FOCUS

I Pir arretrano e l’Aim attende: dove trovare i capitali per le pmi? di Marco Scotti

P

rovocazione (ma poi neanche tanto): l’Aim è il mercato dinamico, brillante, capace di perdite inferiori del 40% rispetto al più quotato e strutturato Ftse Mib anche in un 2018 da incubo? O è invece un segmento affetto da una tendenza al nanismo che rischia di renderlo sostanzialmente marginale? La risposta deve essere come sempre affidata ai numeri. Partendo per esempio dal confronto tra il 2017 (salutato come un anno trionfale complice l’avvento dei Pir) e il 2018. Ebbene, se due anni fa le Ipo sono state 24 per una raccolta di 1,26 miliardi di euro, nel 2018 la situazione è rimasta sostanzialmente identica, con 26 quotazioni che hanno prodotto un controvalore di 1,32 miliardi. Vero è che nello stesso 2018, sull’Mta le Ipo sono state solo 4. Chi parla quindi di un Aim molto dinamico non sta decisamente dicendo il falso. Le dolenti note però ci sono: per esempio se si considera che il valore medio delle azioni è calato del 12%. Anche in questo caso però la visione si presta al bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto: meglio guardare in positivo, confrontando con il segmento Ftse 50 marzo 2019

I DATI SUL SEGMENTO PIÙ DINAMICO DI BORSA ITALIANA SONO RIMASTI INVARIATI TRA IL 2017 E IL 2018. I PIR SONO PASSATI DA 11 A 4 MILIARDI IN 12 MESI. MA LE IMPRESE HANNO BISOGNO DI CRESCERE Mib che ha perso il 16% e il Ftse Small Cap che ha addirittura lasciato sul campo un quarto della propria capitalizzazione, o in negativo, concentrandosi sul fatto che il 2018 sia stato a tutti gli effetti un annus horribilis, il primo del quinquennio? Veniamo alle dimensioni di Aim, che in questo caso non possono essere oggetto di particolari discettazioni: in un giorno qualunque (in questo caso abbiamo preso il 13 febbraio scorso) il Ftse Mib ha scambiato azioni per un controvalore di 2,05 miliardi di euro. Nello stesso giorno, l’Aim è arrivato a 9,11 milioni. Il numero di aziende quotate sul segmento principale è 242, contro le 114 del segmento più “giovane”. Ultimo dato la capitalizzazione del Ftse Mib è di oltre 550 miliardi di euro, mentre quella dell’Aim è 6,88 miliardi. Forse chi parla di un segmento “nano” non ha poi tutti i torti. Il problema però non è certo dell’Aim o delle sue regole d’ingaggio. Piuttosto di un mercato dei capitali che in Italia è comunque di difficile soluzione. Perché se l’Aim non può ridere, i Pir hanno poco da stare allegri. Dopo un innamoramento iniziale da parte della comunità finanziaria infatti oggi vivono un momento di “stanca” che era sicuramente preventivabile, ma che lascia


LISTINI comunque perplessi. I Piani individuali di risparmio infatti hanno raccolto nel 2017 11 miliardi, a cui hanno fatto seguito altri 4 miliardi lo scorso anno. Anche in questo caso bisogna cercare di intendersi: tanti soldi (specialmente nel 2017) o una piccola goccia nel mare dei 2.000 miliardi di euro di patrimonio gestito in Italia? Sicuramente un passaggio importante, uno strumento nuovo capace di attrarre capitali oltretutto imponendo pochi vincoli e che ha “ingolosito” circa 800.000 italiani. Ma ora si rischia di ingolfare l’intero sistema. Precisazione d’obbligo: il governo ha annunciato la riforma dei Pir ma mancano ancora i decreti attuativi che dovrebbero fornire la chiave di lettura all’intero processo normativo. Quello che sembra assodato è che almeno il 3,5% del portafoglio Pir dovrà essere destinato all’Aim, mentre ora siamo intorno al 2%. Un’iniezione di liquidità stimata in circa 400 milioni di euro che potrebbe essere un’autentica manna per le società quotate (o “quotande”) sul segmento più dinamico. Ma anche qui c’è un rovescio della medaglia non di poco conto. Secondo un report realizzato da Deloitte, Ntcm e JeMe Bocconi Studenti «qualora questa crescita di volumi e nelle liquidità degli indici non fosse

supportata da una corrispondente quotazione di un numero adeguato di Pmi, e dato che l’attuale bacino è limitato, vi sarebbe il rischio concreto che si formi una bolla speculativa delle mid e small cap». Non solo: la riforma dei Pir potrebbe portare a due altri problemi non di poco conto per il risparmiatore medio. In primo luogo un aumento della rischiosità dovuta al fatto che una parte degli investimenti dovrà confluire in strumenti più illiquidi (ovvero non negoziabili sui mercati regolamentati) come il venture capital. E poi non si può dimenticare che i Pir possono investire solo in Italia. Ma se la situazione non migliora si rischia

IL RISPARMIO GESTITO DEGLI ITALIANI HA SUPERATO I 2MILA MILIARDI. I PIR NEL 2018 HANNO RAPPRESENTATO LO 0.2% DEL TOTALE. E ORA LA NUOVA NORMA...

di aumentare ulteriormente la rischiosità, creando i presupposti per la tempesta perfetta. Un ultimo strumento che potrebbe venire incontro alle esigenze di risparmiatori e mercati sono gli Eltif (European Long Term Investments) che cerca di avvicinare la clientela retail a strumenti più illiquidi. Per farlo sono stati messi a punto questi strumenti che sono chiusi, ovvero non possono essere liquidati prima della naturale scadenza. Reperire capitali per le Pmi sembra essere diventato un po’ più semplice. A patto di non fare la fine dell’asino di Buridano.

LA FINANZA ETICA DIVENTA UN TEMA FONDAMENTALE ANCHE PER IL MERCATO DEI PICCOLI La finanza sostenibile è sempre più protagonista degli investimenti di borsa. Temi come il rispetto dell’ambiente, la Csr, il rifiuto dello sfruttamento del lavoro minorile sono diventati asset fondamentali per le aziende che si quotano sui mercati. Tanto che Larry Fink, numero uno del fondo BlackRock (un gigante da 1,25 trilioni di dollari gestiti) ha dichiarato recentemente che “la società chiede a gran voce che le aziende abbiano uno scopo sociale. Per prosperare nel tempo ogni impresa deve dimostrare di aver fornito un contributo positivo alla società, a beneficio di tutti i suoi portatori di interesse”. Secondo uno studio condotto da Assogestioni, il 24% degli Etf e il 15% dei fondi comuni sono, a diverso titolo, sostenibili. Il tema dell’Esg (Environmental, social e governance) è sbarcato anche in un segmento più

piccolo e dinamico come l’Aim. Secondo la survey condotta da Ir Top Consulting in collaborazione con Vedrogreen Finance, gli asset gestiti a livello globale attraverso strategie Esg confermano il trend positivo, evidenziando un Cagr nel triennio 2015-2017 del +27%. Sempre secondo la survey il 36% delle aziende dell’Aim forniscono informativa – per di più su base volontaria – sugli aspetti Esg all’interno del proprio bilancio. Le imprese che sono disposte a condividere informazioni non direttamente pertinenti con il bilancio, per il 31% provengono dal settore industria, per il 17% da quello dell’energia e per l’11% dalla tecnologia. Inoltre se si considerano le dimensioni, il 51% presenta un fatturato inferiore ai 50 milioni di euro, il 23% tra i 50 e i 100 milioni, il 17% tra i 100 e i 200 e il 9% superiore ai

200 milioni di euro. Ancora: l’86% di queste aziende è presente all’estero e il 74% è fornitore di grandi imprese. Infine: se si considera l’Informativa in materia di rischi ambientali e sociali, il 21% delle società quotate sull’Aim fornisce un dettaglio specifico su rischi non finanziari come sicurezza sul luogo di lavoro, fenomeni di corruzione, potenziali danni ambientali derivanti dall’attività d’impresa, supply chain, protezione dei dati personali, qualità del prodotto o del servizio. «Negli ultimi anni – commenta Anna Lambiase, amministratore delegato di IR Top Consulting e VedoGreen Finance - le tematiche di Enviromental, social e governance hanno costituito sempre di più un elemento caratterizzante le scelte di investimento degli investitori istituzionali, specie a livello internazionale». marzo 2019 51


LISTINI

Finint Investment Sgr: «No alla retorica del piccolo è bello»

«N

on chiediamoci perché i Pir hanno perso 7 miliardi in un anno. Chiediamoci invece perché quei soldi hanno totalmente abbandonato il risparmio gestito». Mauro Sbroggiò, amministratore delegato di Finint Investment Sgr, commenta la possibilità di reperire capitali che hanno le piccole e medie imprese italiane, strette tra nuovi venti di crisi e la necessità di aumentare la propria dimensione. Sbroggiò, l’Aim è il mercato dei “nani” o semplicemente un segmento molto dinamico in cui le Pmi trovano terreno fertile per crescere? Io penso che prima di tutto è giunto il momento di smetterla con l’epica della microimpresa italiana. Servono imprese di maggiori dimensioni con maggiore capacità di fare innovazione. Il sistema produttivo italiano ha bisogno di medie imprese. È chiaro che l’Aim è ancora un mercato di dimensioni contenute, con 114 azioni quotate contro le 242 del listino principale, è un riflesso del tessuto industriale che è ancora esiguo in termini di capitalizzazione. Come se ne esce? Serve un cambio di mentalità. Il contraltare del nanismo è che chi si quota mette in gioco una piccola fetta, in genere non più del 25%. Va anche detto che l’Aim mantiene una buona vitalità, visto che l’anno scorso ci sono state 26 Ipo su questo segmento sulle 32 ammissioni totali. Voi quanta parte del vostro portafoglio allocate sull’Aim? Fin dal 2017 abbiamo scelto di destinare il 10% del nostro portafoglio azionario in questo segmento e l’anno scorso abbiamo cercato di partecipare a più quotazioni possibili, per dare il nostro contributo. Aspettative per quest’anno? Partiamo dal presupposto che lo scorso anno le richieste di ammissione all’Aim erano ben più delle 26 che sono andate in porto. La nostra previsione è che si mantenga il controvalore dello scorso anno (1,3 miliardi, ndr) ma con un numero minore di aziende che si quotano. E dei Pir che cosa possiamo dire? A un 2017 entusiasmante ha fatto seguito un 2018 poco dinamico… Sull’esplosione del 2017 ha pesato l’effetto novità, con un boom che è andato al di là delle attese. Considero abbastanza fisiologico il calo del 2018, specialmente se si considera il generale rallentamento. È indubbio che il contributo dei Pir debba essere maggiore. Va anche detto però che il segmento dei Pir ha tenuto rispetto a tutto il resto: se è vero infatti che la raccolta è passata da 11 a 4 miliardi, bisogna tenere conto che i 7 “mancanti” non sono finiti in altri settori, ma hanno proprio abbandonato il risparmio gestito. La nuova normativa aiuterà la ripresa dei Pir? Lo scopo è sicuramente nobile e positivo, ovvero aiutare anche 52 marzo 2019

MAURO SBROGGIÒ, AD FININT INVESTMENT SGR

le nuove imprese agevolando l’acquisto di asset illiquidi. È chiaro però che i Pir hanno già un antagonista naturale che sono gli Eltif. Si spieghi meglio... In questo momento gli strumenti chiusi sono quelli che offrono una soluzione migliore per risollevare un venture capital che al momento in Italia è praticamente inesistente. Il fatto che con i Pir si possa “scappare” in qualsiasi momento può fare dei danni al mercato che invece gli Eltif, che si rivolgono a investitori che si focalizzano sul medio periodo, non possono provocare. Rimane però il problema di dove andare a reperire i capitali: i Pir vacillano, l’Aim è dinamico ma “nano”… un povero imprenditore che deve fare? A mio parere una soluzione molto efficace è quella dei minibond, che sono strumenti di debito e non di equity. Si tratta del primo contatto con il mercato dei capitali, spesso con fondi comuni di investimento. È una sorta di passaggio intermedio che permette di ottenere la liquidità finalizzata ai progetti di sviluppo prima di fare la quotazione. E consente all’imprenditore di prendere dimestichezza con il modo di ragionare del mercato. Appunto, per concludere: in che periodo ci troviamo? Siamo in un momento in cui abbiamo una significativa crisi di fiducia che si traduce in una riduzione degli investimenti. Però io non sono troppo pessimista: è facile che assisteremo a un rallentamento dell’economia italiana, ma non vedo – almeno nell’immediato – una recessione.


LISTINI

Intermonte Sim: «Quotazione cruciale per le pmi che vogliono rafforzarsi e crescere»

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l mercato dell’Aim ha retto bene anche in un anno difficile come il 2018. E i Pir torneranno a crescere nel 2019». Andrea Randone, head of mid and small caps research di Intermonte Sim, ha le idee chiare sulla raccolta di Pir e Aim: i numeri non sono così drammatici. Randone, partiamo dall’Aim: lo scorso anno 26 debutti e 1,3 miliardi di euro di raccolta. Che lettura dà di questi dati? L’Aim fu creato per offrire ad aziende di più ridotte dimensioni la possibilità di quotarsi a condizioni agevolate e meno stringenti, nella convinzione che la quotazione potesse rappresentare per queste aziende un importante fattore di accelerazione della crescita. A nostro avviso questo paradigma è valido ancora oggi. Il buon numero di Ipo in un anno difficile come il 2018 è un dato incoraggiante. Guardando al futuro, ci auguriamo che il mercato Aim possa dimostrare una dinamica favorevole, ossia non solo nuove Ipo ma anche aziende che migrano da Aim al listino principale dopo un percorso di crescita e di strutturazione interna. Gli strumenti di reperimento di capitali per le piccole e medie imprese, al di fuori dei circuiti tradizionali delle banche, sono ormai numerosi. Ma quali sono quelli davvero validi? Per crescere le imprese hanno bisogno di capitali e in questo senso la quotazione è un passo cruciale per rafforzare l’assetto patrimoniale ma allo stesso anche per far fare tanti altri passi in avanti: strutturare la governance, aumentare la credibilità e la trasparenza nei confronti di tutti gli stakeholder, dare la possibilità di istituire incentivi azionari per il management. Una società quotata può inoltre accedere più facilmente a diverse forme di finanziamento del debito, ottenendo generalmente migliori condizioni grazie alla sua maggiore trasparenza. Passiamo ai Pir: dopo un esordio trionfale stanno progressivamente riducendo il loro peso specifico. Era una dinamica prevista e, soprattutto, è questa la dimensione dei Pir a cui dobbiamo abituarci? La raccolta dei Pir nel 2018 è stata decisamente inferiore rispetto alle aspettative di un anno fa ma era prevedibile che la volatilità dei mercati, che si è registrata nel corso dell’anno, pesasse sulla raccolta, come sempre avviene per l’industria del risparmio gestito. La raccolta del 2019 soffrirà nella prima parte dall’anno rispetto al primo semestre 2018 anche per via che i nuovi fondi non possono partire finché la pubblicazione dei decreti attuativi non permetteranno di recepire la nuova legge. Che cosa dobbiamo aspettarci dalla nuova legge sui Pir?

ANDREA RANDONE, INTERMONTE SIM

La nuova legge sui Pir ha l’intento di rivitalizzare il mercato in alcuni segmenti che oggi soffrono di una liquidità non adeguata. Il rischio è che il vincolo a maggiore esposizione a asset poco liquidi renda meno attraente la sottoscrizione di fondi Pir. Un giudizio più preciso potrà essere tracciato solo dopo la pubblicazione dei decreti attuativi. Ci possiamo aspettare che i fondi dovranno approfondire l’analisi su titoli al momento non inclusi nel loro radar di investimento. Alla luce della recente ricerca realizzato insieme con il Politecnico, voi oggi consigliate ancora i Piani individuali di risparmio? In che modo e misura? Noi rimaniamo convinti che i Pir rappresentino un attraente piano di investimento. Da un lato il focus sulle mid small caps è sinergico al fatto che in questo segmento sono racchiuse le migliori eccellenze del nostro listino, dall’altro il pianificare un orizzonte temporale di medio periodo (il beneficio fiscale dei Pir si può ottenere dopo 5 anni, ndr) ci sembra il miglior modo per limitare il rischio di riscatti prematuri nei fondi che a loro volta alimentino fenomeni di volatilità nei mercati. Crediamo che possano esserci interventi sulla regolamentazione per affinare lo strumento dei Pir ma pensiamo che le modifiche andrebbero introdotte solo a valle di un’analisi condotta raccogliendo il contributo di tutti i principali attori di mercato coinvolti. marzo 2019 53



COSMOPOLITICA Andrea Margelletti Presidente del Centro Studi Internazionali, docente presso la Facoltà di Scienze delle Investigazioni e della Sicurezza dell’Università di Perugia e Narni. Unico membro onorario delle Forze Speciali Italiane.

LA GRANA DEI FOREIGN FIGHTERS EUROPEI

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Con il ritiro degli Usa dalla Siria cosa succederà agli 800 ex combattenti dello Stato Islamico nelle mani delle forze curde?

te, Trump ha fatto sapere che sarà bbiamo dovuto costretto a rimettere in libertà i aspettare un tweet foreign fighters. Azione o inaziodi Donald Trump ne, per l’Europa resta comunque per ricordarci che la un problema. Basta dare un’ocguerra in Siria ci richiata ai numeri. Stiamo parlando guarda eccome, che resta ancora di circa 800 ex combattenti dello oggi un conflitto di una magniStato Islamico con cittadinanza di tudo tale da squassare il Medio qualche Paese del Vecchio ContiOriente e far sentire le sue rinente. I tedeschi sono 270, quasi percussioni a Washington come a Mosca, passando per Teheran, il doppio dei francesi. Quelli con Ankara, e pure molte capitali europee. Con piglio arrembante passaporto belga addirittura 400, di cui circa 160 minori. e linguaggio tassativo, il cinguettio del presidente americano Gli italiani molti di meno, appena 25. Di questi, quattro sono ha annunciato urbi et orbi che quello dei foreign fighters non morti in battaglia e otto hanno già fatto ritorno (monitorati è un problema soltanto suo. Anzi, tra poco non lo sarà più. È con estrema attenzione dall’apparato di sicurezza nazionatempo – ha ricordato (o intimato) Trump – che siano i Paesi le). Dei restanti 13, solo per due combattenti abbiamo la cerdi origine di questi combattenti a farsi carico del loro futuro. tezza che siano nelle mani dei curdi. Gli altri 11, almeno ufLa campagna militare contro Daesh è agli sgoccioli, gli Stati ficialmente, risultano irreperibili. Numeri bassi, i nostri, che Uniti si stanno per ritirare dalla Siria, e così il dossier viene però possono sembrare rassicuranti solo a chi si ostina a non scaraventato con malagrazia sulle scrivanie dei Paesi euro- vedere che il fenomeno del terrorismo di matrice jihadista è pei (ma anche nordafricani, centrasiatici e del Golfo). per sua natura transnazionale. Ricordiamoci che Anis Amri, L’inquilino della Casa Bianca si riferisce a quelle centinaia l’attentatore dei mercatini di Natale di Berlino, era fuggito in di foreign fighters che sono sotto custodia delle forze curde Italia perché probabilmente da noi aveva chi gli poteva fornel nord-est della Siria, catturati nel corso di quattro anni nire supporto e copertura. Insomma chi in Europa pensa di di combattimenti contro lo Stato Islamico e lasciati dietro poter continuare a lavarsene le mani, sbaglia di grosso. Ma le sbarre in attesa di giudizio. È un problema di non poco sbaglia anche chi spera che una soluzione stabile e duratuconto, anzi. Prima di tutto perché non è affatto chiaro chi li ra possa venire a breve dall’evoluzione del conflitto in Siria. possa legittimamente sottoporre a giudizio. L’amministra- Il destino dell’autonomia curda, nel nord-est, è da mesi il zione curda, che non ha alcun riconoscimento internaziona- punto del contendere. Turchia, Russia e Iran vedono nell’ile? Le autorità siriane di Bashar al-Assad, la cui giurisdizione naspettato ritiro delle truppe americane una possibilità per si estende solo nominalmente sul quel pezzo di Siria, perso far avanzare le proprie agende. Ankara vuole sbarazzarsi di dalle truppe lealiste ormai otto anni fa? Non meno intrica- un’entità curda a ridosso dei suoi confini, e questo è il timota l’ipotesi che siano i Paesi di origine a istruire i processi, re più grande per i curdi che stanno per restare senza “l’omvisto che non è per nulla pacibrello” americano. Mosca vuofico che le diverse legislazioni le chiudere definitivamente la possano davvero colpire chi partita siriana, e certo non ha ha commesso dei reati, certo bisogno di una nuova offensiva gravissimi, ma all’estero. E in turca oltre confine. Dal canto un tribunale europeo, per gli suo Teheran cerca di mantenestandard investigativi in vigore, re un basso profilo e mettere le prove raccolte in Siria e Iraq radici sul territorio, ma resta potrebbero non reggere. Col nel mirino di Israele e di buona rischio di dover rimettere in parte dell’entourage di Trump, libertà decine di ex combattena partire dal Consigliere per la ti. È comprensibile perché, in sicurezza nazionale John Bolquesto vuoto giuridico, finora ton. Possiamo star certi che per tutti abbiano recitato la parte nessuno di questi Paesi la pridi Ponzio Pilato. Se non arriorità è decidere cosa fare dei verà una risposta soddisfacen- BERLUSCONI E IL PRESIDENTE SIRIANO BASHAR AL-ASSAD foreign fighters europei. marzo 2019 55


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LA BILANCIA COMMERCIALE USA VERSO LA CINA MIGLIORA

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e importazioni degli Stati una serie di dazi a carico di acciaio e alUniti dalla Cina diminuiscono luminio, e a un gran numero di merci imdi oltre il 6% per effetto dei portate dalla Cina. Tra le altre priorità un dazi, e nonostante anche le ruolo di crescente rilievo è quello della liesportazioni verso il Dragone beralizzazione finanziaria. A oggi infatti le segnino il passo a causa dei contro-dazi, società finanziarie e assicurative straniere la bilancia commerciale americana verso che intendono operare nel mercato cinePechino ha segnato un miglioramento a se possono farlo soltanto istituendo joint novembre per la prima volta dopo sette venture con partner locali. Ma la presenza mesi, con una contrazione del deficit a ai colloqui di Washington del governatore 35,36 miliardi di dollari. Lo certificano della della Banca popolare cinese, Yi Gang, i dati del dipartimento del Commercio indica che il tema è più che mai sul tavolo. Usa. Il segnale è inequivocabile, anche se In occasione dell’incontro tra le delegail motivo è in parte tecnico: le aziende Usa zioni, guidate dal vicepremier cinese Liu avevano affrettato le importazioni prima He e dal rappresentante del Commercio dell’introduzione di Usa, Robert LighthiGLI EFFETTI DEI DAZI E DEI dazi del 10% a carizer, che si è tenuto CONTRO-DAZI SI FANNO co di 200 miliardi di presso l’Eisenhower dollari di merci cineSENTIRE NELL’IMPORT-EXPORT Executive Office Busi, lo scorso settemilding, a fianco della TRA I DUE PAESI bre; le importazioni Casa Bianca, Yi era hanno subito un conseguente calo nei l’unico membro chiave del Gabinetto cimesi successivi. Le esportazioni Usa verso nese nella delegazione. La sua presenza la Cina sono calate a loro volta dell’1,5%. è molto significativa: la Banca popolare Il dato mensile positivo non cambia quel- cinese è responsabile della supervisione lo annuale: il deficit di gennaio-novembre delle istituzioni finanziarie, e Washington 2018 è ancora in aumento del 9% rispet- intende esercitare pressioni affinché Peto all’anno precedente. Proprio il riequili- chino acceleri l’apertura dei suoi mercati brio della bilancia commerciale Usa è uno finanziari. Stando a indiscrezioni di stamdei principali obiettivi dell’amministra- pa, la delegazione ministeriale cinese si è zione Trump, che l’anno scorso ha varato presentata al tavolo delle trattative con un

calendario di riforme strutturali. Gli ultimi colloqui commerciali di alto livello tra i due paesi risalivano allo scorso mese di giugno, quando una delegazione statunitense guidata dal segretario del Commercio estero Wilbur Ross si recò nella capitale cinese.

VENEZUELA, LA RUSSA ROSNEFT COLPITA DALLE SANZIONI USA A PDVSA Anche la compagnia petrolifera russa Rosneft è indirettamente colpita dalle sanzioni degli Stati Uniti contro la società petrolifera statale venezuelana Pdvsa. Lo afferma l’agenzia di rating Moody’s, secondo la quale saranno significativamente limitate la flessibilità finanziaria e operativa delle cinque joint venture russo-venezuelane. Per gli analisti di Moody’s, in particolare, la fideiussione di Rosneft relativa alla partecipazione in Citgo, azienda dedita alla raffinazione di base negli Stati Uniti di proprietà di Pdvsa, è temporaneamente invalida. Secondo un’altra agenzia di rating, Fitch, le sanzioni statunitensi esacerberanno a breve termine la crisi economica in Venezuela. «La produzione di petrolio è destinata a diminuire ulteriormente, il che inciderà sempre più sui volumi di produzione e di esportazione, così come sul reddito del paese» affermano gli analisti di Fitch. Rosneft nel 2018 ha erogato a Pdvsa un prestito di 6,5 miliardi di dollari, che la compagnia petrolifera sta ripagando attraverso forniture di petrolio.

56 marzo 2019


IL GIRO DEL MONDO IN 30 GIORNI

LA GRECIA RIPARTE: EMESSI BOND PER 2,5 MLD DI EURO

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uone notizie in vista, final- dopo la fine del piano di salvataggio inmente, per la Grecia: in una ternazionale nell’agosto 2018. Secondo riunione in programma a Moody, l’esito di tale operazione rifletmarzo, infatti, l’Eurogruppo te «il miglioramento nella fiducia degli deciderà se Atene ha soddi- investitori» e apre la strada per Atene sfatto i requisiti per ricevere la prima alla piena possibilità di tornare a finantranche di profitti dalla Banca centrale ziarsi attraverso i mercati. Il ministro delle Finanze greco, europea sulle parLE OFFERTE PER Euclid Tsakalotos, tecipazioni obbliLE OBBLIGAZIONI ELLENICHE ha dichiarato che il gazionarie greche. rendimento dei priLe premesse sono HANNO SUPERATO mi bond quinquenbuone: Moody’s ha I 10 MILIARDI DI EURO nali dalla fine dei sottolineato in un rapporto che il ritorno della Grecia sul programmi di salvataggio internazionamercato dei capitali, con un’emissione li del paese ha «superato ogni aspettadi titoli a scadenza quinquennale del va- tiva». Tsakalotos ha definito «estremalore di 2,5 miliardi di euro, rappresenta mente positivo» il fatto che che diversi un fattore positivo per il rating del pa- investitori a lungo termine siano stati ese. Il rapporto è arrivato a commento tra quelli che hanno fatto offerte per acdella prima emissione di titoli in Grecia quistare i titoli di Stato, riducendo così notevolmente il numero di fondi speculativi. Le offerte per le obbligazioni greche hanno superato i 10 miliardi di ALBANIA, TIRANA BANK CEDUTA euro, con lo Stato greco che ha raccolto ALL’ASSE BALFIN-KOMERCIJALNA BANKA 2,5 miliardi di euro a un rendimento del 3,6% e una cedola fissa annuale per gli La Banca centrale d’Albania ha approvato la vendita del 98,83 per cento investitori del 3,45%. Parlando in pardel pacchetto delle azioni di Tirana Bank, filiale albanese di Pireaus Bank lamento, Tsakalotos si è detto convinto Group, al consorzio albanese-macedone composto dal gruppo Balfin e dalla banca che questo sia l’inizio di un passaggio macedone Komercijalna Banka. Tirana Bank è il sesto istituto di credito operante in dai fondi speculativi ai normali investiAlbania con un totale di asset, alla fine del 2017, pari a circa 80 miliardi di lek (637 tori. «La cosa più importante è che la milioni di euro), il 5,3 per cento del totale del sistema bancario albanese. Alla fine partecipazione degli investitori ha model 2017 Tirana Bank aveva 439 dipendenti, con 39 succursali in tutto il paese. strato un passaggio molto significativo Il gruppo albanese Balfin controllerà l’88,95 per cento del pacchetto delle azioni, dai fondi speculativi ai normali investitori, indicando che da questo punto, la il socio macedone il 9,88 per cento. L’ammontare dell’intera transazione è pari Grecia sta cambiando campionato». La a 57,3 milioni di euro. Balfin è il maggiore gruppo imprenditoriale albanese, con Bce e le altre banche centrali dell’area attività in vari settori, dall’edilizia al commercio, dall’industria mineraria al turismo e dell’euro detengono circa 4,8 miliardi di all’agricoltura e con una presenza in quasi tutti i paesi dei Balcani occidentali, oltre euro di profitti da obbligazioni greche, che in Austria, Paesi Bassi e Gran Bretagna, con un fatturato medio di almeno 600 che dovrebbero tornare ad Atene entro milioni di euro. giugno del 2022 in tranche semestrali. marzo 2019 57


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STATI UNITI, I GRANDI MAGAZZINI SEARS SOPRAVVIVONO IN FORMATO RIDOTTO

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li storici grandi magazzini americani Sears sopravvivono, anche se ridimensionati. Resteranno aperti 425 punti vendita e saranno preservati 45.000 posti di lavoro. Il giudice per la bancarotta Robert Drain ha infatti dato il via libera all’offerta da 5,2 miliardi di dollari del presiden-

te della società, Eddie Lampert. All’a- ficoltà di Sears sono emerse negli anni pice della sua storia Sears contava 1970 e 1980, con l’ascesa di Walmart su 355.000 dipendenti e 3.500 punti e Costco dai quali non è riuscita difenvendita. Ma la concorrenza e l’avvento dersi. Poi è arrivato il ciclone Amazon, dell’e-commerce hanno colpito dura- e la crisi è stata inevitabile. Sears già mente: dall’inizio del decennio la so- nel 1880 vendeva un gran numero di cietà ha accumulato perdite per più di articoli tramite i suoi cataloghi recapitati nelle case degli 10 miliardi di dolDEI 3.500 PUNTI VENDITA DEGLI americani. Libri da lari. Nei suoi 125 anni di storia Sears ANNI D’ORO, NE RIMARRANNO IN mille pagine in cui è stata pioniera nel VITA APPENA 425, CON 45.000 si poteva trovare di lancio di marchi DIPENDENTI INVECE DI 355.000 tutto, anche l’oppio e la cocaina per un ancora oggi protagonisti del mercato e dopo la Seconda certo periodo. Nei suoi 125 anni di stoGuerra Mondiale ha aperto la strada al ria è stata pioniera nel lancio di marchi boom dei centri commerciali, è stata la ancora oggi protagonisti del mercato, prima catena a introdurre parcheggi e dopo la Seconda Guerra Mondiale nei suoi punti vendita e la prima a re- ha aperto la strada al boom dei centri stare aperta la domenica. Le prime dif- commerciali.

EGITTO, TRANCHE DA 2 MILIARDI DI $ DAL FMI

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rima la promozione, lo scorso 25 gennaio, da parte del direttore del Fondo monetario internazionale, Christine Lagarde, che ha elogiato i progressi «sostanziali fatti dall’Egitto, come dimostrato dal successo ottenuto nella stabilizzazione macroeconomica». Poi il via libera da parte del Fmi per l’erogazione di una nuova tranche da 2 miliardi di dollari del prestito sottoscritto con l’Egitto nel novembre del 2016, per un valore totale di 12 miliardi, annunciata dal ministro delle Finanze egiziano, Mohamed Maait, in un comunicato stampa. «La quinta tranche sarà probabilmente consegnata al Tesoro egiziano nei prossimi giorni, portando l’erogazione avvenuta finora a circa 10 miliardi dollari», ha dichiarato Maait. La numero uno dell’Fmi aveva sottolineato che il tasso di crescita del paese «è ora tra i più alti della regione, il deficit di bilancio è in declino e l’inflazione è sulla buona strada per raggiungere l’obiettivo della Banca centrale d’Egitto entro la fine del 2019». Secondo il rapporto World Economic Outlook, pubblicato lo scorso 9 ottobre dal Fondo monetario internazionale, la crescita economica in Egitto sarà pari al 5,3% nel 2018 e al 5,5% nel 2019, in aumento rispetto al 4,2% nel 2017, riflettendo una ripresa del turismo, l’aumento della produzione di gas naturale e un generale miglioramento della fiducia dovuti all’attuazione di un ambizioso programma di riforma sostenuto dal Fondo monetario internazionale. 58 marzo 2019

RIAD, COME CRESCONO I CINESI DEL FOTOVOLTAICO

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a cinese Longi, quarto produttore mondiale di pannelli fotovoltaici, sta pianificando la realizzazione di un impianto di produzione in Arabia Saudita in collaborazione con l’azienda sudcoreana Oci. Come sottolineato alla stampa internazionale dal vicepresidente del Programma saudita per i distretti industriali del settore chimico e delle rinnovabili, Tariq Baks, lo studio di fattibilità per il progetto sarà completato entro la metà del 2019. Anche un’altra importante azienda cinese del settore, Hanergy, principale produttore di celle solari a film sottile, ha annunciato di recente l’intenzione di investire oltre 1 miliardo di dollari per la costruzione di un centro di produzione per soddisfare la domanda di energia solare in Arabia Saudita. L’investimento, che include una collaborazione con il produttore locale di abbigliamento maschile Ajlan & Bros, vedrebbe in Arabia Saudita l’unico impianto per la produzione di celle a film sottile su larga scala in Medio Oriente. L’Arabia Saudita prevede di raggiungere una produzione di energia solare pari a 41 gigawatt entro il 2030 e ha recentemente annunciato un primo round di gare per la produzione di impianti solari per un totale di 1,5 gigawatt. L’obiettivo di Riad è avviare impianti rinnovabili per produrre fino a 27 gigawatt di energia elettrica entro il 2024 e la maggior parte di questa capacità sarà erogata da impianti fotovoltaici, settore dominato dalle aziende cinesi (ne vanta sette tra le prime dieci al mondo).


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«PER I TEDESCHI LA MINACCIA È TRUMP»

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er i tedeschi vi è un unico fattore centrale di incertezza: gli Stati Uniti del presidente Donald Trump». Lo ha affermato il fondatore del Centro per la strategia e l’alto comando di Colonia, Klaus Schweinsberg, che ha realizzato il sondaggio “Rapporto sulla sicurezza 2019” insieme all’Istituto demoscopico Allensbach. Secondo il rapporto gli Stati Uniti sono ritenuti la principale minaccia alla pace dal 56% dei tedeschi. Il dato è in aumento rispetto al rapporto dello scorso anno, quando era al 40% degli intervistati. Gli Stati Uniti battono la Corea del Nord, ferma al 45%, la Turchia con il 42% e la Russia con il 41. Il sondaggio ha anche mostrato che i tedeschi sono più preoccupati di quanto non fossero in passato per le loro esigenze di assistenza a lungo termine, e per il rischio povertà in età avanzata. Nel complesso tuttavia le preoccupazioni economiche sono in declino: secondo gli autori dello studio le preoccupazioni per lo sviluppo della società e le tensioni globali sono più pronunciate delle preoccupazioni sul futuro personale. «I cittadini stanno attualmente giudicando la loro situazione personale molto più positivamente rispetto allo sviluppo della società nel suo complesso e della situazione mondiale», ha affermato Renate Köcher dell’Istituto per la demoscopia di Allensbach. “Questo divario sta diventando più evidente.” In controtendenza la paura del terrorismo, che cala al minimo degli ultimi tre anni: il 61% degli intervistati in Germania si sente sicuro e solo uno su cinque si sente insicuro.

« KAZAKHSTAN, IN SALVO LA SECONDA BANCA

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opo un’affannosa ricerca di un compratore per evitare il fallimento, il Kazakhstan ha completato un piano di salvataggio da 3,4 miliardi di dollari per la banca Tsesnabank, secondo istituto di credito del paese. Ad acquistare una partecipazione di controllo in Tsesnabank per una somma non specificata è stato il gruppo d’intermediazione kazakho First Heartland Securities, secondo quanto riferito dalla Banca centrale kazaka. Il governo ha erogato fondi per ulteriori 1,6 miliardi di dollari a Tsesnabank, oltre al pacchetto iniziale di 1,8 miliardi di dollari di aiuti. «Il pacchetto di misure messe in atto dalla Banca centrale e dal governo e l’ingresso di un nuovo investitore hanno permesso di ripristinare la stabilità di Tsesnabank» ha riferito l’istituto centrale. L’authority ha dichiarato che l’aiuto di Stato si è reso necessario perché alcune società agricole, che erano tra i principali mutuatari di Tsesnabank, non sono state in grado di rimborsare prestiti denominati in dollari dopo che la valuta locale ha perso metà del suo valore nel passaggio al flottante avvenuto nel 2015. First Heartland Securities fa parte di un gruppo finanziario controllato dall’università statale Nazarbayev e comprende un altro istituto di credito, First Heartland Bank.

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REGNO UNITO, CAMPAGNA GIORNALISTICA CONTRO FACEBOOK E GOOGLE

uai in vista per Facebook pubblicità online. Secondo le accuse in e Google nel Regno Unito. particolare la loro posizione dominante Si sta infatti intensifican- danneggerebbe pesantemente l’indudo la campagna, condotta stria giornalistica. Parlando alla Camesoprattutto dai media tra- ra dei Comuni il ministro della Cultura, dizionali, contro i giganti Usa del web. Jeremy Wright, ha annunciato di aver In particolare, i due colossi americani chiesto all’Autorità indipendente per la potrebbero essere concorrenza e i merNEL MIRINO I LORO MODELLI cati di effettuare uno obbligati a rivelare DI PUBBLICITÀ CHE studio approfondito tutti i loro segreti e DANNEGGIANO L’INDUSTRIA su quello che ha defia condividere i detnito il «mondo molto tagli di come funzioDEI MEDIA TRADIZIONALI opaco ed estremanano i loro modelli di pubblicità. Lo ha scritto il quotidiano mente complesso» della pubblicità onlibritannico “The Guardian”, spiegando ne. Questo studio, spiega il “Guardian”, che il governo britannico ha deciso di av- potrebbe portare a una vera e propria viare un’inchiesta sul dominio dei gigan- inchiesta che consentirebbe all’Autorità ti statunitensi del web nel settore della per la concorrenza di usare il suo potere

legale al fine di ottenere tutte le informazioni delle compagnie tecnologiche. Un’iniziativa quantomai opportuna anche a livello di Unione Europea: peccato che il Regno Unito ne stia per uscire.

Il giro del mondo in 30 giorni è a cura di Riccardo Venturi marzo 2019 59


QUI PARIGI di Giuseppe Corsentino

PARIGI VAL BENE UN DIVIDENDO

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i bastano 350miliardi di euro per convincervi a investire (o a restare investiti) nelle Borse europee e in quella francese, in particolare? Di questi tempi, tassi bassi su tutti i mercati obbligazionari (titoli di Stato e corporate bond), e prospettive di crescita al minimo (uno degli indicatori più sensibili come “l’utile per azione” atteso al +9% è sceso a febbraio a +6,5%, quando i grandi protagonisti del Cac 40, l’indice della Borsa parigina, da BnpParibas a Lvmh, hanno cominciato a pubblicare i bilanci 2018), bisogna accontentarsi di quello che passa il convento. E 350miliardi di dividendi che le 439 aziende europee dell’indice Msci Europe (l’indice creato nel 1969 da Morgan Stanley Capital International che copre 1.612 titoli azionari in 23 paesi del mondo) si preparano a “sganciare” nel 2019 - i dati sono stati anticipati da uno studio di Allianz GI (Global Investor) a metà febbraio - sono certamente una buona ragione per non farsi scoraggiare e precipitare nel pessimismo. Perché non si vive solo di capital gain e i dividendi, come scrivono gli analisti di Allianz, sono “un buon airbag in grado di proteggere l’investitore medio” visto che “ils atténuent l’impact des corrections et génèrent un revenu disponible”, riducono l’impatto negativo delle correzioni del corso dei titoli e generano un certo reddito aggiuntivo” Che di questi tempi non è proprio una brutta cosa. Al punto che perfino il primo settimanale francese di finanza, Investir (gruppo Les Echos) ha dedicato a questa ondata di dividendi in arrivo una storia di copertina dal titolo rassicurante (i francesi non sono grandi amanti del rischio e preferiscono tenere 400 miliardi di euro di risparmio sul conto corrente o sul sicurissimo Livret A) “Les dividendes, coussins de sécurité en période boursière agitée”. E ha pubblicato anche l’elenco delle 33 aziende quotate al Cac40 che hanno sempre pagato un dividendo dal 2006 a oggi (in ordine alfabetico, da Air Liquide a Vinci, il colosso delle costruzioni e gran concessionario autostradale) estrapolando, pensate, “le six aristocrates”, le aziende supertop, le più generose che sempre nel periodo 2006-2018 hanno avuto politiche di pay-out in crescita (anche a fronte di andamenti non brillantissimi). Al primo posto c’è Hermès (lusso) con un dividendo 2018 di 4,5 60 marzo 2019

euro (basso il rendimento, va detto: 0,8%); seguono L’Oreal, la multinazionale francese della cosmetica (3,8 euro, 1,8% di rendimento), Sanofi (farmaceutica, 3,17 euro e un 4,1% di rendimento), Seb (leader mondiale dei piccoli elettrodomestici, tipo Moulinex, con 2,10 euro per azione e un rendimento dell’1,5%), Essilor (colosso degli occhiali, appena alleatasi con l’italiana Luxottica, 1,55 euro e 1,4% di rendimento) e infine Interparfums (il più grande produttore di profumi, licenziatario di grandi marche, 0,65 euro per azione e 1,5% di rendimento). Ma è guardando il fenomeno dividendi da un punto di vista macro, di sistema, che la funzione di airbag o di cuscino paracolpi appare in tutta la sua efficienza. Sono ancora i dati dello studio di Allianz GI a confermarlo. Dal 1973 a oggi i dividendi hanno contribuito nella misura del 40,6% al rendimento delle azioni europee dell’indice MSCI. Annualizzando, l’indice MSCI è cresciuto in media del 9,1%, ma se non ci fossero stati i dividendi il tasso di crescita si sarebbe fermato al 5,26%. Focalizzandosi sull’indice CaC40, il contributo del pay out appare ancora più decisivo: l’anno scorso l’indice del mercato francese ha perso quasi l’11% ; solo i dividendi distribuiti agli azionisti hanno consentito di ridurre la perdita media all’8%. Un bell’air-bag anticrisi o, per dirla con un’espressione francese “la poire pour la soif”, una scorta di viveri o di fieno in cascina “compte tenu des conditions de marché hostile observées récemment en Europe”, tenuto conto della pessima aria che si respira oggi sui mercati europei, come spiega a Investire Hans-Jörg Naumer, uno degli economisti autore dello studio di Allianz GI. Ma oltre all’effetto-salvataggio (o messa in sicurezza dell’investimento) c’è un altro aspetto non secondario delle politiche di pay-out che gli analisti di Allianz GI mettono in luce: le aziende che pagano regolarmente un dividendo sono quelle che di più e meglio resistono alla volatilità (indice beta) dei mercati. Detto in altro modo il pay out è anche un indicatore di efficienza finanziaria di cui l’investitore non può non tenere conto. Soprattutto quando sono attese “mauvaises nouvelles dans les cours” e l’anno (2018) finito male non sembra avviarsi a un radicale turn-around. Meglio accontentarsi: Parigi val bene un dividendo.


di Glauco Maggi

QUI NEW YORK

ETF E PATRIOTTISMO, LA STRANA COPPIA CHE FUNZIONA

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i sono un paio di Etf che conquistano clienti cavalcando il patriottismo diffuso in un paese che, non va dimenticato, ha un dicastero dedicato ai reduci del servizio militare (Veteran Affairs Department) oltre al normale ministero della Difesa. E ce n’è un altro, per restare in un’area concettualmente vicina al Pentagono, che permette di investire nel business dei droni. È esagerato però credere che l’industria degli Etf si stia mettendo la divisa per allinearsi al presidente con una dichiarata (e ricambiata) passione per le forze armate. Semplicemente, essendo alla costante ricerca di temi accattivanti da offrire al pubblico degli investitori, le società di gestione hanno costruito prodotti con il “sapore” del tempo, ma non militaristi in senso proprio. Non sono insomma l’opposto dei fondi e degli Etf etici che evitano di investire in ditte che producono armi. InsightShares Patriotic Employers (sigla Honr) è stato lanciato nel gennaio di un anno fa, seguito nell’aprile scorso da Pacer Military Times Best Employers (sigla Vets). A inizio febbraio 2019 (dati WSJ) l’Etf Honr aveva raccolto 1,19 milioni di dollari e fatto una performance del 10,4% in 12 mesi, mentre Vets, con 2,64 milioni, ha reso l’8,09% in 10 mesi. I due prodotti a gestione passiva replicano panieri diversi, entrambi comprendenti società“amiche” dei veterani. Il Military Veterans Index, cui è agganciato l’Etf Honr, è un indice di Ubs Ag, calcolato e distribuito da Solactive Ag, con lo scopo di riflettere i movimenti delle quotazioni delle società americane che hanno politiche concrete nel favorire l’impiego di veterani. Per comporre l’indice i promotori si basano sui rating assegnati da Victory Media che analizza i comportamenti dei datori di lavoro sotto questo aspetto. Vets replica il Military Times Best for Vets index, indice curato dalla rivista Military Times che seleziona la compagnie che meglio sostengono i reduci nel reinserimento nella società civile. Dei primi 10 titoli in portafoglio a fine 2018 la quasi totalità sono corporation dei settori dell’energia, dell’industria e della grande distribuzione (General Electric, Exelon Corp, Merck, Dominion Energy, Walmart, Home Depot, Hilton Worlwide, Waste Management, Hormel Foods, Xcel

Energy). Il 10% delle commissioni viene passato a enti di carità che aiutano le famiglie dei reduci. Honr ha tra i suoi titoli principali Hilton Worldwide e Boeing. Che gli Etf pro-forze armate finiscano con l’investire prevalentemente in compagnie di grosse dimensioni è naturale, ha spiegato il responsabile di Pacer Etf Sean O’Hara al Wall Street Journal, in quanto servono enormi risorse di bilancio per sviluppare una pratica di reclutamento e di risorse specificamente rivolta ai veterani. E secondo Rich Cea, responsabile di InsightShares, i buoni risultati del paniere hanno una spiegazione di business reale, al di là del fattore socialmente responsabile costituito dalla gratitudine verso chi è stato al servizio della patria. “C’è un sano argomento manageriale”, dice. I veterani portano in ditta, con la loro esperienza, qualità e abilità professionali, e il ricercare personale con il migliore talento è un segnale di forte cultura aziendale. L’ EtfMg Drone Economy Strategy (Ifly) replica le imprese legate al mondo dei droni, che è destinato ad allargarsi ben oltre il campo di utilizzo bellico della prima ora, quello per cui si sono fatti la fama. Anche se le forze armate restano tra gli utenti ovvi, giganti ‘civili’ come Amazon e FedEx stanno pianificando l’impiego di droni per le loro consegne, una rivoluzione logistica di proporzioni oggi incalcolabili. L’indice Ifly conta società del settore specifico, come AeroVironment, Parrot Sa e Boeing, ma è pronto ad accogliere anche le startup che si stanno specializzando nell’attività di neutralizzazione dei droni, obiettivo urgente dopo l’incidente del dicembre scorso all’aeroporto di Gatwick in Gran Bretagna (quando droni “sospetti” cancellarono molti voli). L’EtfMg (39,3 milioni di dollari di patrimonio) è partito bene quest’anno, con +11,4% in gennaio, ma l’Etf-Ifly viene da una “picchiata” del 20% tra settembre e dicembre 2018 e da un andamento peggiore rispetto al mercato generale e al comparto high tech dalla nascita nel 2016. Secondo Robert Saffer, capo globale delle vendite a ETFMG, la cattiva performance riflette la composizione del paniere, sbilanciato sulle piccole compagnie che sono state le più penalizzate dall’Orso di fine 2018, ma non rispecchia la prospettiva di crescita del comparto dei droni. marzo 2019 61


INTERVISTA CON SERGIO PUGLIA

Debiti previdenziali eccessivi? Condono no, linea morbida sì

«I

di Sergio Luciano

l Parlamento deve iniziare a dare regole nuove al mercato della previdenza privata, anche per consentire a quelle Casse di investire seriamente sull’Azienda Italia. Bisogna creare le condizioni normative affinchè si trovino meglio a investire nel loro Paese». Sergio Puglia, senatore dei Cinquestelle, è appena stato nominato presidente della “Commissione parlamentare per il controllo sull’attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale”. Sono diciotto enti con ben 73 miliardi di patrimonio col quale contano di pagarsi la pensione circa 1,5 milioni di iscritti mentre altri 380 mila già la percepiscono. E sono enti in riforma pressochè costante, visto che ben due ministeri – Economia e Lavoro - controllano l’attività di gestione dei patrimoni immobiliari e mobiliari di loro proprietà che viene (o dovrebbe venire) affidata per gare a specialisti del settore. Puglia, consulente del lavoro, 46 anni, parlamentare dal 2013, è uno che studia molto, si aggiorna e da semplice membro della stessa commissione nella passata legislatura si è distinto tra i più attivi e attenti. Puglia, da dove inizierà? Da dove continuerò, vorrà dire. Nella precedente legislatura la presidenza ha fatto già ben lavorare la Commissione, e su una piattaforma nuova rispetto alle sue competenze storiche. Non si è fermata solo sull’analisi dei bilanci ma ha fatto indagini conoscitive proprio sugli investimenti, tipologie e dinamiche… non era mai stato fatto. In questo senso agiremo in continuità e accenderemo fari ovunque sia necessario fare chiarezza su questioni o comportamenti opachi. C’è polemica sulla possibilità di un condono previdenziale a vantaggio dei professionisti in ritardo con i pa62 marzo 2019

SERGIO PUGLIA

PER IL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE PARLAMENTARE DI CONTROLLO SUGLI ENTI DI PREVIDENZA, OCCORRONO RATEAZIONI PER CHI È IN RITARDO SUI CONTRIBUTI gamenti. Ma le Casse protestano dicendo che in questo modo si svuotano i bilanci e si manda un segnale diseducativo alle categorie… Dimenticano però che c’è un problema grave e concreto da fronteggiare. Oggi ci sono tantissimi professionisti che hanno debiti troppo elevati. Fossero debiti da 2-3 mila euro, 5 mila… ma non è così. Ci sono tanti, tantissimi iscritti alle casse che hanno accumulato debiti eccessivi, insostenibili. Cosa si vuole fare con queste persone? La scelta è drammatica: o li soffoca completamente, imponendo loro di pagare tutto, ma si rischia in questo modo di perdere sia il contribuente che il professionista attivo e contributore futuro; se invece, come si fa anche in altri ambiti, nell’ambito fiscale e contributivo obbligatorio dell’Inps per esempio, a un certo punto si fanno rateazioni che consentono al debitore di


INVESTIRE SPECIALIST

rientrare in maniera blanda e morbida dei suoi debiti…si riesce ad andare avanti. Non considera la cosa diseducativa? Io dico che se continuiamo la linea dura e pura da un lato ci salviamo l’anima sulla carta, sul piano dei principi però, dall’altro lato se pure è vero che a livello contabile gli enti si mettono tranquilli perché da oggi a 40-50 anni confermano la sostenibilità attuariale sulla carta, nella realtà probabilmente non recupereranno mai più quei crediti che tra un po’ di anni risulteranno del tutto inesigibili. Col bel risultato di scaricare quelle posizioni debitorie sulle generazioni future. Dunque quel bilancio tranquillizzante, scritto senza alcun saldo e stralcio sulle posizioni in sofferenza, fotograferebbe un quadro diverso da quello sostanziale. Non crede però che in questo modo la politica lede l’autonomia gestionale delle Casse? Il tema dell’autonomia gestionale è cruciale, è e sarà sempre molto dibattuto. Se vogliamo continuare ad avere un sistema privatistico obbligatorio va bene, eppure vogliamo anche che rientri nell’alveo dei servizi garantiti a controllo pubblico… Cioè? Cioè se una Cassa di previdenza privata salta, i suoi contribuenti si vedono proteggere dalla previdenza sociale pubblica, finanziata dalla fiscalità generale: e questo rappresenta la garanzia estrema di cui sono ben lieti. Ma a fronte di questa garanzia quindi devono consentire allo Stato di avere un controllo su di essi che riporti in qualche modo alla Corte dei conti. Diversamente non si potrebbe parlare più di obbligatorietà della contribuzione. Veda, ricordiamoci com’è nato il sistema delle Casse com’è oggi. E’ nato da una struttura che era comunque pubblica, quella delle vecchie Casse previdenziali: pian piano, ogni ordine ha cercato di gestire in maniera privatistica la propria cassa e pian piano ci è riuscito. Bene, nessuno lo contesta, ma da qui a non garantire un affidabile controllo pubblico…non è possibile. Anche perchè – ripeto - le eventuali problematiche negative si riflettono in maniera forte su tutto lo Stato, e quindi va da sé che lo Stato non può disinteressarsi dal controllo di gestione. E dunque come procederà in concreto nella sua azione di presidenza? Riuniremo a breve un ufficio di presidenza in cui ciascun gruppo farà la sua proposta, ma c’è già un’idea di base. Quale? In generale lavorare in continuità con l’azione svolta dalla Commissione nella precedente legislatura; poi svolgere un’indagine approfondita sui processi organizzativi delle Casse di previdenza e di assistenza; infine individuati eventuali procedimenti lacunosi o sistematicamente erronei, capire perché lo sono e in che misura si risolvano in disservizi per l’utenza. Per esempio? Per esempio non è possibile – per fare un caso – che ci siano contribuenti che quando vanno in pensione aspettano il primo assegno per oltre due mesi. Che ci siano imprese che per poter capire l’entità del proprio debito previdenziale devono prima ricevere cartelle esattoriali o note di rettifica. Ecco, disguidi del genere non sono ammissibili e si devono sempre a cattiva organizzazione. Così come non è possibile che ci sia un coacervo eterogeneo di normative per consentire alle imprese di rateizzare i propri debi-

ti, che ci siano enti con un certo genere di regole e altri con altre, diversissime. Questo problema riguarda peraltro anche i grandi enti pubblici come l’Inps e l’Inail, o le casse edili… E le casse assistenziali? Saranno l’altro fronte di impegno: cercheremo di conoscere meglio il loro approccio al sistema sanitario integrativo. L’altro pilastro della nostra azione futura… La Commissione è composta da 18 membri: competenti? Direi di sì: sono tutte persone notevolmente specializzate nelle tematiche di nostra competenza. Contabilità generale e specificamente previdenziale. C’è chi ha già lavorato dentro strutture previdenziali, abbiamo vari avvocati… E lei è consulente del lavoro. Dica la verità: è un interventista o è per il lasciar correre? Avrà capito che sono per agire con buon senso: riconoscere autonomia ma pretendere trasparenza, e quando non la si constatano – peggio – si constatano opacità o comportamenti errati, sospetti, incongrui…si deve intervenire. Vogliamo però imposta un

«NON È POSSIBILE CHE CI SIANO CONTRIBUENTI CHE VANNO IN PENSIONE E ASPETTANO IL PRIMO ASSEGNO PER OLTRE 2 MESI. QUESTA È CATTIVA ORGANIZZAZIONE»

lavoro sereno e collaborativo, con tante audizioni per conoscere tutto meglio. Ma la Commissione ha poteri reali di intervento? Questo è l’altro punto dolente. Nella scorsa legislatura rilevammo – anche per merito della collega Roberta Lombardi – che oggi diverse autorità controllano ma nessuna ha il potere di modificare le cose. E non è normale! Che senso ha? Perché moltiplicare i controllori se non si dà poi a nessuno di essi il potere di agire per evitare per esempio che una cassa vada in default? Quando abbiamo segnalato al ministero del Lavoro qualche problema ci siamo sentiti rispondere che non era loro competenza intervenire; allora ci rivolgevamo al ministero del Tesoro e ci sentivamo rispondere la stessa cosa. Bisogna creare sistemi nuovi che consentono l’intervento nei casi di emergenza. E’ giusto avere negli organi amministrativi delle casse persone dei ministeri, però non devono essere figure meramente ornamentali… Qualcuno potrebbe eccepire che non avete la competenza per porvi in quest’ottica…Questa delle competenze è materia incandescente, in questa legislatura… Come le dicevo non credo sia un problema che riguardi noi, né le commissioni parlamentari in genere dove vedo che siedono quasi sempre persone con i curricula appropriati. Da noi, alla Sanità, all’Ambiente… Quindi non è vero che non teniamo in considerazione le competenze… Certo, so che questo è un leitmotiv che ci è stato appioppato nella scorsa legislatura e si tenta di riappiopparcelo anche in questa, ma non è corretto… Non voglio vilipendere nessuno, ma è proprio sicuro che la sua affermazione valga anche per alcuni esponenti della maggioranza che occupano posti di governo di grande visibilità? In alcuni casi credo ci siano stati più che altro…problemi di comunicazione… marzo 2019 63


INTERVISTA CON WALTER ANEDDA

«Dai controllori arrivano anche degli input incoerenti» di Sergio Luciano

WALTER ANEDDA

«L

ascia perplessi fare determinate scelte di investimento finalizzate a ottimizzare il rendimento del patrimonio, pur nella sicurezza di fondo, e poi ogni anno trovarsi le note degli organi di controllo che ci sollecitano a fare investimenti ‘a basso rischio’: cosa si intende con quest’espressione?»: Walter Anedda, presidente della Cassa previdenziale dei dottori commercialisti, è membro del consiglio direttivo dell’Adepp – l’associazione che riunisce e rappresenta tutte le casse previdenziali private italiane – ed è un vero esperto in materia, per le competenze specifiche che ha. E illustra a Investire il suo punto di vista sul rapporto con gli organi di controllo e in definitiva con il legislatore, all’indomani del cambio al vertice della Commissione parlamentare di controllo (vedi intervista a Sergio Puglia a pagina 70 e 71, ndr). Presidente, la critica indirizzata alle Casse è di non saper investire al meglio i propri patrimoni. Come risponde? La scelta dei gestori dipende totalmente dalle procedure di selezione adottate per le quali è fondamentale la sinergia, la distinzione di ruoli, le responsabilità della struttura interna, degli advisor e della governance. Siamo convinti che la scelta degli advisor sia cruciale e vada fatta, come noi dottori commercialisti facciamo da sempre, con la massima attenzione e trasparenza. Siamo anche sicuri però che nel momento in cui si fanno scelte di investimento che vanno oltre l’obbligazionario governativo bisogna essere strutturati anche internamente al fine di poter valutare, anche criticamente, i suggerimenti degli stessi consulenti. Ma per riuscirci bisogna avere, o far crescere, una struttura interna adeguata. Vi accusano di puntare eccessivamente sugli immobili… Ho sempre detto chiaramente che a nostro avviso ragionare su “pochi o molti immobili” e non in termini relativi non ha senso. Rileggendo il decreto ministeriale sugli investimenti delle Casse rimasto nel cassetto del Mef (era alla firma dell’ex ministro Pa64 marzo 2019

IL PRESIDENTE DELLA CASSA DEI COMMERCIALISTI: «L’AUTONOMIA VA RISPETTATA PUR CONTROLLANDO I METODI CHE SEGUIAMO PER FARE LE NOSTRE SCELTE» doan ma non è mai stato firmato, ndr) constato che si basa molto sugli aspetti quantitativi. Allora proviamo a fare un semplice ragionamento: quanto possiamo investire negli asset alternativi tradizionalmente illiquidi? Qualsiasi percentuale vincolante può essere troppo piccola o troppo ampia, dipende dai casi. La nostra cassa avendo un orizzonte temporale lungo ed essendo in una fase di forte accumulo, non teme di fare investimenti inizialmente poco liquidi. Ma una cassa che invece ha necessità di gestire la propria liquidità, come potrebbe? Nessun regolamento può dettare regole di tipo quantitativo uniche per tutti. Non le sembra di dire ai controllori: fatevi più in là? Nient’affatto, la sfida è sui metodi; è giusto verificare le procedure mediante le quali si arriva a determinate scelte. Per esempio può essere rilevante evitare che l’advisor che supporta l’ente nella definizione delle strategie di investimento sia lo stesso che coadiuva la struttura nella selezione dei gestori. Noi per esempio facciamo gare per scegliere i nostri gestori servendoci di due advisor, distinti da quello che ci supporta nella definizione dell’asset allocation strategica: uno per gli investimenti alternativi e l’altro per gli investimenti tradizionali. È importante la fase di preanalisi e di selezione degli investimenti, con massima attenzione agli elementi di rischio, nell’ottica che è preferibile rischiare di perdere un ottimo affare piuttosto che quello di incamerare una perdita… Cosa ne pensa e come vi regolate rispetto alla Borsa? La nostra cassa negli anni ha attivato sull’azionario un impegno notevole. Applicando percentuali corrette di ripartizione tra i vari asset, riusciamo a garantire livelli di decorrelazione che riducono nel complessivo la rischiosità del patrimonio investito. Tengo a sottolineare, sicuramente per quanto riguarda la nostra Cassa ma non solo, che abbiamo tutta la disponibilità a investire non solo nell’azionario puro ma anche nell’economia reale: infrastrutture, private equity, private debt. In generale le Casse di maggiori dimensioni sono già fortemente impegnate in tal senso,


INVESTIRE SPECIALIST

prova ne sia che quando con la legge di bilancio del 2017 furono introdotti incentivi fiscali all’investimento in economia reale, molte di esse non poterono utilizzarli avendo già precedentemente raggiunto le soglie limite di investimento agevolato. E veniamo a oggi. Siete impegnati in un braccio di ferro sulla norma cosiddetta del “saldo e stralcio”, che condona contribuenti morosi… che ne pensa? Abbiamo forti dubbi sulla costituzionalità della norma che si sostanzia nell’ennesimo intervento del legislatore contro l’autonomia finanziaria e gestionale delle Casse: principio non vago, più volte ribadito dalla Corte Costituzionale, in ultimo con la importante sentenza 7/2017. Una volta che il legislatore ha deciso di privatizzare non può poi ledere l’autonomia che presuppone la responsabilità. Ma cos’è, nel merito, che non vi piace? Molti elementi. Per esempio la norma prevede la possibilità di versare percentuali minime dei contributi iscritti a ruolo, senza sanzioni e interessi, nel momento stesso in cui il professionista si trova in difficoltà economica secondo i parametri dell’Isee: in concreto sotto i 20 mila euro di reddito sei considerato in difficoltà. Mi chiedo se gli estensori abbiamo idea di quanti giovani professionisti abbiano un Isee di 20.000 euro! La Ragioneria ha sottopesato il fenomeno quantificando il danno per le Casse in misura assolutamente minimalista. E poi sul piano dell’equità perché dovrei avere la possibilità di condonare 18 anni di contribuzione, dal 2000 al 2017, sulla base di un Isee del 2018? In questo modo si è data la possibilità, anche a coloro che non hanno versato in anni pregressi pur dichiarando in allora redditi importanti, di approfittare di questo istituto. Inoltre la norma non distingue tra le diverse tipologie di contribuzione. Per esempio i contributi integrativi che i professionisti hanno riscosso dai propri clienti per riversarli alle Casse, con una simile norma avrebbero la possibilità di non versarli. La norma dice anche che le somme comunque versate producono gli effetti previsti dai rispettivi regolamenti: ma nel nostro caso il versamento parziale del contributo comporta l’annullamento dell’anno contributivo, con il risultato che l’iscritto si vede ridurre la sua anzianità contributiva. Non vi piace nulla! E ancora: non possono essere oggetto di saldo e stralcio le cartelle provenienti da accertamenti. Se questo criterio è chiaro in

CASSE DI PREVIDENZA PRIVATE: ISCRITTI, CONTRIBUTI E PRESTAZIONI ANNO

ISCRITTI

CONTRIBUTI INCASSATI PRESTAZIONI EROGATE (dati in miliardi di euro)

2005

1.200.000

5,4

3,5

2010

1.360.000

7,4

4,5

2017

1.600.000

9,8

6,2

Patrimonio complessivo delle 20 Casse: 85,3 miliardi di euro

ambito fiscale, in ambito previdenziale a che tipologia di accertamento dobbiamo fare riferimento? Ogni cassa ha le proprie procedure di accertamento, diverse da quelle fiscali. Per questo insieme di ragioni, noi e altre Casse abbiamo mandato una diffida alla Agenzia delle Entrate Riscossione intimandogli di non procedere all’annullamento saldo e stralcio se non previa verifica del fatto che le somme iscritte a ruolo non siano derivanti da accertamento. Ma a oggi non ci risulta che la procedura preveda tale verifica. Ma con i politici ne avete parlato? Certo abbiamo spiegato in commissione lavoro al Senato tutte le nostre perplessità sulle norme e messo all’attenzione della commissione due emendamenti. Si potrebbe credere che non facendo pagare contributi ai giovani li si aiuti, ma in realtà li si danneggia, perché il mancato versamento oltre a incidere sulla anzianità contributiva e sull’ammontare del trattamento pensionistico, comporta anche un danno patrimoniale per gli enti e il danno lo pagheranno le generazioni future. Lo sforzo solidale della Cassa è un altro e può sintetizzarsi nella capacità mutuali-

«LA CATEGORIA DEI COMMERCIALISTI HA I CONTI PREVIDENZIALI IN ORDINE»

stica di sostituirci agli iscritti nel pagamento di altri oneri che devono sostenere. Per esempio abbiamo modificato il regolamento di assistenza prevedendo la possibilità di sottoscrivere polizze professionali - l’idea è di farci carico del costo assicurativo per i neo iscritti, possibilmente per i primi tre anni di attività - il cui onere per il singolo difficilmente è in media inferiore ai 400 euro. Ma cosa avete proposto in Commissione? Che la norma sul saldo e stralcio si applichi previa delibera di recepimento e adattamento degli enti di previdenza: insomma, preservando la nostra autonomia. Devono essere le Casse a decidere se e come rendere possibile condonare contribuzioni pregresse. Nell’insieme, così com’è stata impostata, è evidente che la norma nasce da una scarsa conoscenza della nostra realtà. E peraltro nessuno ci ha consultati, prima. Per concludere: come vanno i vostri conti? I commercialisti non guadagnano sempre meno? No! I dati pubblicati dal Consiglio Nazionale tengono conto del sommarsi di due categorie, la nostra e quella dei ragionieri. La nostra redditualmente tiene. Anzi, lo scorso anno abbiamo avuto un lieve incremento, del 2% circa. E’ un trend che manteniamo ogni anno da anni, a differenza di altre categorie, compresa quella dei ragionieri, la cui cassa è però distinta e autonoma. Certo in futuro ci aspettiamo una riduzione delle iscrizioni, sta nell’ordine naturale delle cose, ma non a caso le valutazioni del nostro bilancio tecnico le facciamo con criteri molto prudenziali. marzo 2019 65


ANNIVERSARI

Mediolanum, l’Academy compie 10 anni di Sergio Luciano

U

n decennale può significare tanto per chi lo vive e molto meno per il contesto, ma quello di Mediolanum Corporate University – che appunto ai primi di marzo taglia il traguardo dei dieci anni dall’avvio dell’attività – scandisce un momento storico in cui l’importanza cruciale della formazione degli operatori specializzati nel risparmio gestito è diventato un mantra per tutti. Dieci anni fa lo era solo per qualche visionario. Le cifre parlano chiaro. Nel corso del 2018 Mediolanum Corporate University ha registrato un totale di ore di formazione erogate pari a 508.374, in aumento rispetto al 2017. Le ore d’aula sono state più di 350 mila, mentre le attività formative on-line sono cresciute del 6%. Per quanto riguarda la formazione manageriale, nel 2018

le ore di lezione erogate sono state 50.468, anch’esse in crescita rispetto al dato dell’anno precedente. Sul piano qualitativo Banca Mediolanum punta molto, quindi, sulla massima qualificazione professionale dei propri family banker, e non a caso offre loro, la possibilità di partecipare a specifici percorsi formativi finalizzati al sostenimento dell’esame di certificazione Efpa, a tutt’oggi il massimo livello istituzionale di certificazione tecnico-professionale riconosciuto in Europa per queste professioni. Alla fine del 2018, i family banker di Banca Mediolanum certificati Efpa sono 682, oltre il 12% del totale italiano. La strada che ha portato a tutto questo in dieci anni è associata fin dal primo passo al nome di Oscar di Montigny,

L’ACADEMY DI BASIGLIO È UNA ECCELLENZA NELLA FORMAZIONE DEI FAMILY BANKER CON 500MILA ORE DI LEZIONE EROGATE NEL 2018 E dunque, di Montigny: com’ebbe inizio, tutto questo? Ricevetti l’incarico di guidare la formazione nel 2007. In precedenza avevo già lavorato nell’area, mi ero occupato in particolare di un progetto per lo sviluppo del capitale umano, si chiamava Rainbow, per esprimere con l’icona dell’arcobaleno l’idea dell’unità nella diversità, secondo principi pedagogici che dal 1999 studio con un punto di riferimento importante come Patrizio Paoletti. E dunque mi ero misurato con un progetto triennale di formazione della rete che coinvolse quasi 750 persone, da Ennio Doris a 360 consulenti e a oltre 300 altre risorse del management, individuate con criteri precisi e rappresentativi della nostra realtà di allora. Per me, che pure ero già da sette anni 66 marzo 2019

oggi Chief Innovation, Sustainability & Value Strategy Officer di Banca Mediolanum. Che in quest’intervista torna con la narrazione a quella fase pionieristica e punta i riflettori verso le nuove prospettive.

in Banca Mediolanum, fu un’esperienza importante con incredibili risultati commerciali. Quell’approccio educativo, e non solo semplicemente formativo o addestrativo, era inedito. Lo volle lei? La nostra rete, anche per la cultura dell’industria in quel momento storico, si fondava su percorsi formativi, ma quando ricevetti l’incarico di guidare la formazione puntai decisamente sulla componente educativa, che mi interessava moltissimo. Io sono sempre attratto dalle novità, e dunque mi sono subito chiesto cosa fare per rendere più bella questa attività, che non riuscivo a immaginare meramente formativa. Volevo fosse la celebrazione del momento educativo all’interno di un mondo corporate. Così mi sono immerso nel mondo delle corporate university, che negli Usa erano già una grande realtà. Partii per un viaggio esplorativo e andai a studiare la più importante di tutte, la grande università manageriale della General Electric, voluta da Jack Welch. Visitai inoltre la McDonald’s University e il Disney Institute. Cosa apprese? Studiai come selezionavano le faculty, quali strumenti utilizzavano, come funzionava la formula blended – un misto di lezioni frontali in aula e e-learning –. Volevo capire la dimensione logistica organizzativa, le aule e gli strumenti utilizzati, quale fosse il coefficiente di return on training investment e con quali metodi


INVESTIRE SPECIALIST

si misurasse l’efficacia formativa. Nel frattempo avviai un assessment interno con l’analisi dei bisogni del cliente, costruendo un triangolo virtuoso, di cui un vertice era l’esito dell’indagine interna, un altro lo studio delle best practice internazionali e il terzo… le mie idee! Cosa ne scaturì? Da tutto ciò nacque la formula della nostra corporate university, distinta in4 pilastri: I know, I am, I work e il cosiddetto I project. Cioè l’arricchimmo con una solida componente di project management. Analizzammo il profilo di tutte le funzioni aziendali e costruimmo tutta l’offerta formativa. Il differenziale determinante fu da subito l’inserimento di una funzione valoriale molto rilevante. Quando ci fu da costruire la parte fisica dell’academy, travasammo nel layout tutti questi principi. Pensando sia a chi avesse già vissuto esperienze formative, sia a chi fosse in inserimento. Con tante zone dedicate all’intrattenimento e al networking. Ricordiamoci che stiamo parlando di 10 anni fa, in piena crisi economica. Consapevole dei tempi difficili, proposi tre versioni del progetto: una standard, una superior e una deluxe, dove i costi aumentavano in proporzione con il livello della qualità formativa offerta. Nonostante la spesa prevista di 35 milioni di euro nell’anno del fallimento di Lehman Brothers, Ennio Doris dimostrò ancora una volta di saper guardare lontano e scelse la versione deluxe. Lungimirante…. Inaugurammo Mediolanum Corporate University nel 2008, alla presenza di Maria Stella Gelmini, allora ministro dell’Istruzione, e Lech Walesa, per sottolineare che l’educazione è l’arma più importante del mondo per la promozione umana. Partì così quest’avventura e dopo una fase di test, nel marzo 2009, la inaugurammo ufficialmente. Quando capì che l’esperimento stava funzionando? Quando vidi i primi family banker iniziare a portare ripetutamente i loro clienti in visita. In una banca di cui bisognava spiegare perché non avevamo i classici sportelli bancari come le altre, era bello mostrare otto building come i nostri, di cui uno dedicato a un’università interna. Nel marzo del 2013, 4 anni dopo, il Global Council of Corporate Universities premiò Mediolanum Corporate University come seconda miglior corporate university del mondo, dopo quella del ministero della difesa americano, per la capacità di fare

OSCAR DI MONTIGNY È A CAPO DELLA MEDIOLANUM CORPORATE UNIVERSITY SIN DALLA FONDAZIONE

L’UNIVERSITÀ INTERNA, IDEATA NEL 2007, INAUGURATA NEL 2008 DA LECH WALESA E PARTITA UFFICIALMENTE NEL 2009, È OGGI IL FIORE ALL’OCCHIELLO DEL GRUPPO dell’educazione valoriale un punto di forza. E poi? Tante, tantissime iniziative di assoluto rilievo. Voglio ricordarne due. Il Banking & Innovation Management Executive Master, un percorso di formazione manageriale della durata di 29 mesi, svolto in collaborazione con l’Università Cattolica del Sacro Cuore, che ha coinvolto 275 manager della struttura commerciale della banca. E il Master in Family Banking, un percorso formativo biennale giunto ormai alla terza edizione che ha l’obiettivo di valorizzare e rafforzare le competenze utili a svolgere al meglio la professione del family banker. E oggi? Oggi e domani, vorrà dire! Siamo un’eccellenza riconosciuta nella parte più canonica che è la formazione aziendale e poi abbiamo questo vero e proprio fenomeno che è Centodieci, il magazine online della nostra Corporate University, che ha raggiunto una qualità elevatissima, con oltre 2 milioni di lettori, con moltissimi eventi organizzati sul territorio per legare la nostra missione anche a incontri con personaggi dal calibro valoriale indiscusso: da Simona Atzori a Tara Gandhi, da Patch Adams a Lech Walesa, e tanti, tantissimi altri. Abbiamo preso parte a numerosi eventi nell’ambito di Palermo Capitale Italiana della Cultura 2018, saremo una presenza importante nel programma di Matera capitale europea della cultura 2019 e faremo la nostra parte anche in vista di Parma Capitale Italiana della Cultura 2020. L’obiettivo di tutto? L’obiettivo di fondo di Mediolanum Corporate University resta la massima qualificazione dei nostri collaboratori, sia professionale che valoriale. marzo 2019 67


FORMAZIONE

Consulenti a gara nelle scuole dei talenti di Rosaria Barrile

M

ifid2, le tecnologie digitali e un contesto di mercato sempre più complicato spingono le reti ad affilare le “armi”, tra cui quella dalla formazione dedicata ai consulenti in prima linea. Diverse le strategie adottate che hanno come comun denominatore la preparazione su tematiche ben più estese rispetto a quelle meramente finanziarie. A variare è la forma prescelta: dall’organizzazione di corsi al proprio interno alle partnership con enti terzi, dall’allestimento di percorsi su più livelli che prevedono il rilascio di certificazioni da parte delle università partner fino a proprie academy, business school e corporate university.

Scuole interne, le ultime nate Tra le ultime iniziative lanciate, si segnala l’Allianz Bank Business School, avviata solo quattro mesi fa. Il centro di formazione allestito da Allianz Bank Financial Advisors trae ispirazione dal modello costituito dall’Allianz Business School, l’università commerciale lanciata nel 2016 dall’ad e dg di Allianz Giacomo Campora, e dal dg Maurizio Devescovi, e realizzata in collaborazione con gli agenti assicurativi, sul modello delle grandi università commerciali a livello internazionale. In questo modello il punto di forza è rappresentato dall’interazione continua tra tutti i professionisti, docenti e allievi. Tutti sono invitati a condividere in aula la propria esperienza: proprio per questo motivo i 15 docenti della business school sono stati scelti tra i professionisti più esperti della rete dei financial advisor, tra cui grandi portafoglisti e giovani consulenti ad alto potenziale. «Da sempre la formazione costituisce un elemento di posizionamento competitivo cui la direzione dedica, in modo costante e sistematico, risorse e investimenti», precisa Paola Pietrafesa, amministratore delegato di Allianz Bank Financial Advisors. «L’obiettivo principale della società è quello di poter offrire alla rete di financial advisor un ulteriore strumento per misurare i propri risultati nel corso dell’anno, aumentare la produttività, la crescita professionale, migliorare le performance di business e infine rafforzare il senso di appartenenza alla banca». L’apertura di un’Academy su misura rappresenta invece il primo passo in vista dell’ingresso nel settore della consulenza da parte del gruppo Ing in Italia. «Il progetto della rete di financial advisor nasce con l’obiettivo di seguire al meglio l’evoluzione dei bisogni dei nostri clienti», ag-

giunge Giovanni Rossi, head of sales & customer service di Ing in Italia. «Con il supporto della tecnologia, vogliamo accompagnarli nelle scelte riguardanti tutto il ciclo di vita delle famiglie, con una gamma di prodotti dedicati a ogni specifica esigenza: finanziamenti, protezione, previdenza e investimenti. Per supportare i clienti nel loro percorso di crescita da risparmiatori a investitori, abbiamo scelto di rivolgerci a giovani ambiziosi, “nativi digitali”, capaci di parlare con un pubblico trasversale, che include sia clienti di età avanzata sia i millennial». Coordinata in qualità di partner da Sda Bocconi, l’Academy dura circa quattro mesi. Alla base teorica viene affiancato un percorso pratico di avviamento alla professione. «Al momento abbiamo 115 “studenti”, suddivisi in 5 aule. 70 di questi hanno superato l’esame Ocf e saranno attivi entro marzo. L’obiettivo è avere 150 consulenti operativi entro il 2019». Dal Campus all’esperienza all’estero Tra le iniziative invece già avviate, ma che hanno subito un po-

LE RETI DI CONSULENTI FINANZIARI DANNO SEMPRE PIÙ VALORE ALLA QUALIFICAZIONE DEL MESTIERE COSTITUENDO INEDITE ACADEMY E BUSINESS SCHOOL

68 marzo 2019


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Nella pagina accanto Paola Pietrafesa, amministratore delegato di Allianz Bank Financial Advisors. A sinistra Giovanni Rossi, head of sales & customer service di Ing. In basso a sinistra Stefano Gallizioli, responsabile sviluppo rete e recruiting di Fideuram; in basso a destra il Campus Fideuram di Peschiera Borromeo

modulo “Verso la Consulenza Patrimoniale” per i consulenti finanziari che intendono incrementare le loro competenze per arrivare infine a un modulo di formazione avanzata, organizzato in sinergia con l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano che provvede alla certificazione delle competenze». I primi consulenti che hanno affrontato l’intero percorso formativo l’hanno ultimato tra giugno e luglio dello scorso anno. «Con il primo gruppo siamo andati all’Emmanuel College di Boston per affiancare la certificazione a un corso specifico sui mercati internazionali. Stiamo proseguendo l’iniziativa con un secondo gruppo di 150 colleghi presso la Regent’s University di Londra. Nel corso del prossimo anno certificheremo altri 500 consulenti finanziari. L’obiettivo che ci siamo posti nei prossimi due anni è di arrivare alla certificazione di circa metà della rete».

NEI PROSSIMI DUE ANNI FIDEURAM INTENDE FAR CONSEGUIRE LA CERTIFICAZIONE DELLE COMPETENZE A METÀ DEI PROFESSIONISTI IN ORGANICO tenziamento nel corso dell’ultimo anno, c’è il Campus Fideuram, un format nato nel 2013 per promuovere corsi di aggiornamento rivolti ai consulenti finanziari delle reti Fideuram e Sanpaolo Invest. Per garantire i più elevati standard didattici, il Campus opera in partnership con l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano che ha costituito una commissione con il compito di validare i percorsi di formazione e di certificare le competenze acquisite dai consulenti. «Campus Fideuram non è solo un centro didattico alla formazione, bensì un aggregatore di professionalità, un incubatore di idee e talenti», sottolinea Stefano Gallizioli, responsabile sviluppo rete e recruiting di Fideuram. «I moduli formativi erogati al Campus sono stati progettati secondo una logica di crescente complessità, in funzione della seniority aziendale e dei livelli di competenza: si va da un primo percorso dedicato ai consulenti che arrivano da altre reti e da altre esperienze o dall’università, passando al

Chi fa leva sulle sinergie con il gruppo Il concetto di Academy viene enfatizzato e ampliato con Bnl Bnp Paribas Life Banker il cui approccio al tema della formazione comprende sia le attività rivolte ai consulenti, sia quelle che possono interessare la più ampia platea costituita dalla clientela. «Nel 2018 abbiamo offerto ai nostri life banker interventi tesi a fornire l’aggiornamento normativo, fino alla formazione di natura tecnico-specialistica su prodotti e servizi offerti, spiega Luca Romano, deputy head della rete. C’è inoltre una costante attività informativa realizzata dal nostro Investment center volta a garantire una continua condivisione delle view di mercato del gruppo in Italia e a livello globale. A questi strumenti si affianca il percorso di formazione comportamentale, avviato proprio nel 2018, che abbiamo chiamato “Consulenza Evolutiva”, mirato a sostenere mediante un coaching esperto lo sviluppo della consapevolezza della nuova identità professionale». In questo contesto la Life Banker Academy non va intesa come

marzo 2019 69


IN CASA BNL BNP PARIBAS IN ARRIVO NEL 2019 IL PRIMO MASTER LIFE BANKER PER CONSULENTI PATRIMONIALI per le altre reti come un programma di formazione esclusivamente dedicato ai consulenti, ma rappresenta un’innovativa forma di roadshow, aperta durante l’anno anche ai clienti in tutta la Penisola. Tra i progetti in cantiere per il 2019, c’è il lancio del primo Master Life Banker per consulenti patrimoniali, che sarà articolato in più moduli e comprenderà una certificazione finale. Dopo un 2018 che ha visto la rete dei consulenti finanziari di IW Bank Private Investments usufruire complessivamente di 5.021 giorni di formazione, l’anno in corso vede la banca del gruppo Ubi Banca fortemente impegnata nell’offerta di percorsi formativi dedicati all’evoluzione delle nuove normative europee, all’utilizzo di nuovi strumenti tecnologici e alla crescita professionale dei consulenti finanziari. I moduli vengono progettati in coordinamento con Ubi Academy, la corporate university del gruppo. L’offerta formativa può anche avvalersi di partnership accademiche di alto profilo, come avvenuto nel 2018 con il progetto “Leading the future” erogato presso l’Insead, la business school francese di Fontainebleau. Training e stile della casa Accanto alle iniziative più strutturate del tipo Academy o Business School, che prevedono la collaborazione continuativa con enti universitari, ci sono anche numerosi programmi di formazione molto personalizzati sviluppati quasi interamente in casa e con il supporto dell’e-learning. Il biennio 2019-2020 vede impegnata Deutsche Bank Financial Advisors in un percorso che coprirà tutta la rete (oltre 1200 persone) con formazione specifica per ruolo: manager, consulenti finanziari e private advisor. Sarà erogata sia presso il Centro Formazione di Milano Bicocca, sia nelle sette aree territoriali in cui è articolata la rete.

70 marzo 2019

Sopra Luca Romano, deputy head di Bnl Bnp Paribas Life Banker In basso Silvio Ruggiu, head of advisory clients Italy di Deutsche Bank

«L’obiettivo è quello di offrire percorsi formativi pensati per la rete e con la rete, a supporto dell’attività consulenziale evoluta, rivolta sia al cliente privato che al cliente imprenditore. Tra i principali temi infatti tratteremo le tematiche relative all’azienda e al passaggio generazionale per il quale il mercato manifesta molto interesse», precisa Silvio Ruggiu, head of advisory clients Italy di Deutsche Bank Financial Advisors. «A tal fine abbiamo strutturato il catalogo formativo 20192020 Mifid 2 oriented con programmi di formazione erogati da docenti esterni e dal pool di formatori interno, dedicati a tutti i ruoli, dal manager al consulente». I programmi rivolti ai consulenti sono articolati in 25 percorsi differenziati volti a tradurre in un’esperienza concreta “lo stile della casa”. A questo si aggiunge la formazione obbligatoria sugli aspetti normativi che dal 2018 prevede anche un percorso personalizzato relativo a Mifid 2. La centralità della consulenza finanziaria nel modello di business di Fineco trova riscontro in un catalogo corsi estremamente ampio, in grado tener conto di tutti gli aspetti legati all’attività consulenziale. Nel 2018 sono state erogate in totale 160mila ore di formazione, di cui 100mila ore di formazione su temi obbligatori; 47mila ore di formazione su temi di business, 5mila ore di formazione specifica sul segmento private; 8mila ore di formazione per i neo consulenti finanziari. Nel dettaglio il programma di formazione offre ai consulenti finanziari decine di video, supporti, webconference, webinar e sessioni dedicate, sfruttando anche la ricca piattaforma di e-learning dedicata all’approfondimento con la disponibilità dei materiali d’aula.


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L’ateneo che preparerà i financial advisor del futuro

I

l sogno di una categoria è diventato realtà da qualche mese. La professione di consulente finanziario approda in un vero ateneo con tanto di percorso strutturato. Come spiega Luigi Conte, vice presidente vicario di Anasf e regista dell’accordo sul primo corso di laurea finalizzato all’attività di cf. “Abbiamo studiato con l’Università di Teramo un corso di laurea in economia con indirizzo consulente finanziario di durata triennale che servirà ai giovani per progettare un loro futuro da cf”, afferma Conte. «È l’inizio di un processo articolato che vede già in essere l’esistenza di un master di primo livello con la Bologna Business School e vedrà a seguire una laurea magistrale di due anni che andrà ad aggiungersi al corso triennale ed eventualmente un master di secondo livello che completerà il ciclo di studi del cf del futuro». Ma come è organizzato il percorso? «Il corso di laurea in Economia si compone di tre curriculum: l’indirizzo di consulente finanziario, l’indirizzo economico gestionale, l’indirizzo di turismo e territorio,» spiega Fabrizio Antolini, professore di statistica economica dell’Università di Teramo. «La scelta del curriculum di specializzazione avverrà al terzo anno per gli indirizzi economico gestionale e turismo e territorio, mentre per quello di consulente finanziario, che è il primo curriculum di questo tipo in Italia, avverrà all’inizio del secondo anno». «Questo indirizzo», continua

di Marco Muffato

L’UNIVERSITÀ DI TERAMO, IN COLLABORAZIONE CON L’ANASF, HA LANCIATO IL PRIMO CORSO DI LAUREA IN ECONOMIA CON INDIRIZZO CONSULENTE FINANZIARIO

Da sinistra Fabrizio Antolini dell’Università di Teramo, Luigi Conte, presidente vicario di Anasf e Marco Deroma, presidente di Efpa Italia

Antolini, «è stato individuato con il supporto e in collaborazione con Anasf, partner del progetto, con il quale è stata siglata una convenzione che ribadisce il forte collegamento tra il corso di studi e il mercato del lavoro. Alla prima edizione del nuovo corso di laurea abbiamo registrato 115 iscritti, che rappresenta sicuramente un ottimo inizio». Altro tassello importante è il collegamento tra il percorso universitario, una volta concluso, e il sistema di certificazione Efpa, come spiega il presidente della Fondazione Marco Deroma. «Nel corso dell’ultimo consiglio di amministrazione abbiamo approvato in via definitiva la possibilità offerta ai laureati in consulenza finanziaria presso l’Università di Teramo di ottenere la certificazione Efpa livello Eip. Poiché si tratta di una certificazione onerosa abbiamo scelto di evitare automatismi che potrebbero mettere in difficoltà gli studenti privi di risorse economiche e di una proposta lavorativa». «Più precisamente», continua Deroma, «i laureati che avranno superato anche l’esame Ocf, potranno chiedere a Efpa la certificazione livello Eip (l’ex Defs), direttamente e senza sostenere l’esame, beneficiando del dimezzamento del periodo necessario per soddisfare il requisito di esperienza (da 12 a 6 mesi) previsto dal Regolamento Intermediari della Consob per il personale addetto al servizio di consulenza finanziaria. Si tratta del primo caso di riconoscimento di una laurea da parte della Fondazione Efpa Italia ai fini dell’attribuzione della certificazione, e la nostra decisione è un’ulteriore conferma della validità del percorso di laurea inaugurato dall’Università di Teramo».

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PIANIFICAZIONE

La consulenza è femmina il consulente... lo è al 21%

C

onsulente: sostantivo femmini... ah, no. Non c’è nessuna declinazione di genere per “consulente”. E allora perché mai, ogni volta che tocca intervistare un consulente - e qui notate la forma garbata per non tradire l’eccesso di protagonismo - immancabilmente si tratta di un uomo? Eppure le consulenti finanziarie (donne, appunto) non sono creature mitologiche: esistono davvero. Ne abbiamo la prova almeno dalla fine del 2014, quando Teresa Calabrese, che appunto è una consulente finanziaria, e team manager a Catania per Bnl Bnp Paribas Life Banker ci ha messo la faccia (per la loro campagna pubblicitaria) sotto lo slogan «Non è un lavoro, è una passione. Unisciti a noi, diventa un Life Banker». Devono averla seguita in tante, dato che

di Marina Marinetti A destra Teresa Calabrese, team manager a Catania, nella campagna pubblicitaria di Bnl Bnp Paribas Life Banker. Nella pagina seguente Sabrina Silvestrini, wealth advisor di Fideuram

«LA SERIETÀ DI APPROCCIO SI SPOSA CON L’INTUITO E LA DETERMINAZIONE CHE ABBIAMO NOI DONNE» oggi (o meglio, ieri, visto che i dati dell’Ocf, l’Organismo di vigilanza e tenuta dell’albo unico dei consulenti finanziari, fotografano la situazione all’inizio del 2018) sono 11.736, ovvero il 21% degli iscritti all’albo unico dei consulenti finanziari è appunto donna. Uno su cinque. Anche nel 2018 è confermato l’interesse delle donne verso la professione, tenuto conto che il 32,5% (ben 485) delle domande di iscrizione alle prime due sessioni di prove valutative è pervenuto da candidate donne. E donna è anche il (la) presidente dell’Ocf, Carla Rabitti Bedogni. La prima donna anche a ricoprire il ruolo di Commissario della Con72 marzo 2019

“NON È UN LAVORO. È UNA PASSIONE.” Unisciti a noi, diventa un Life Banker.

Teresa Calabrese Manager Life Banker

Siamo Life Banker, una rete di professionisti della gestione del risparmio e dei servizi finanziari guidati da una grande attenzione per l’individuo. Per questo dedichiamo a ogni cliente tutta la cura che merita, con una gamma completa di prodotti e servizi tra cui scegliere, risultato dell’offerta globale del Gruppo BNP Paribas. La nostra rete cresce di continuo e si arricchisce ogni giorno di persone di grande talento. Uniche, proprio come te. Unisciti a noi su lifebanker.bnl.it

Life Banker. Quello che sei ci rende unici.

Messaggio pubblicitario con finalità promozionale.

sob e far parte dell’Antritrust, per dire. Segno inequivocabile del fatto che i tempi sono cambiati. «Trent’anni fa, quando iniziai, le donne consulenti finanziarie erano soltanto l’8%», sottolinea Teresa Calabrese, che oggi è (anche) recruiting manager della rete di Bnl Bnp Paribas. Una che, va detto, non solo ha una laurea specialistica in Economia aziendale, ma ha pure un master in Intermediazione finanziaria e assicurativa, è membro del comitato del corso di laurea magistrale in Finanza aziendale del dipartimento di Economia e impresa dell’Università di Catania, ha coordinato anche aree da 70 consulenti finanziari, è stata componente della Commissione Pari Opportunità dell’associazione di categoria dei consulenti finanziari come responsabile per il Sud Italia. Non proprio l’ultima arrivata. «Non so quanti uomini vantino un curriculum paragonabile al mio», scherza (ma non troppo). Che poi, pezzi di carta a parte, Teresa Calabrese è pure


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«L’INNATA CAPACITÀ DI ESSERE MULTITASKING AGEVOLA L’ORGANIZZAZIONE E LA PIANIFICAZIONE» un’educatrice finanziaria, è responsabile del coordinamento di Donne al quadrato per Sicilia e Sardegna per la quale organizza convegni, momenti di incontro, formazione anche nelle università. «Le donne sono molto determinate, non improvvisano, ma si preparano senza lasciare nulla al caso. È una serietà di approccio al cliente che si sposa con quell’intuito che abbiamo noi donne: abbiamo quella sensibilità per cogliere i momenti giusti in una selezione e, in genere, nell’interazione con i clienti. E poi siamo grandi osservatrici». No, non si tratta di decimi e visus.

LA PRESENZA DELLE DONNE NELLA PROFESSIONE LE DONNE AL 31 DICEMBRE 2017 COSTITUISCONO:

21% (N. 11.736)

DEI CONSULENTI FINANZIARI ABILITATI ALL’OFFERTA FUORI SEDE ISCRITTI ALL’ALBO

28,8% (N. 888)

DEI PROVVEDIMENTI DI ISCRIZIONE ALL’ALBO

37,1% (N. 2087)

DELLE ISCRIZIONI ALLE PROVE VALUTATIVE

36,1% (N. 411)

DEI MANDATI SOTTOSCRITTI CON I NEO-ISCRITTI NEL 2017* *IL 71,8% DEI MANDATI A CONSULENTI FINANZIARIE ISCRITTE NEL 2017 SI RIFERISCE A CFF DIPENDENTI

FONTE: DATI OCF

Celo, celo, manca Quindi: cos’ha di diverso, a parte il genere, s’intende, il consulente (uomo) rispetto alla consulente (donna)? Vediamo: l’attenzione alle esigenze del cliente? Ce l’ha anche l’uomo. La pianificazione finanziaria? Celo. La protezione del patrimonio? Celo. La soft skill? Manca. Anzi: mancano. In ordine sparso: la sensibilità, l’empatia, il coinvolgimento, le capacità relazionali, l’intuito. E il multitasking, che non è un luogo comune, ma un valore aggiunto di non poco conto. «La consulenza al femminile beneficia di un naturale pragmatismo», conferma Sabrina Silvestrini, wealth advisor di Fideuram sulla piazza di Padova e Rovigo: «La donna organizza, se ha famiglia organizza i figli, la scuola, la spesa, la casa, la cucina, il lavoro - potremmo firmarla col sangue questa cosa, ndr - Questa innata capacità di essere multitasking e di saper pianificare agevola nell’organizzazione quotidiana del lavoro, dove gli impegni sono numerosi su più fronti». Ecco, appunto. Ciò non toglie che scegliere questo tipo di professione non sia propriamente una prerogativa femminile. La genesi della scelta di Sabrina Silvestrini parte da lontano: «Poco più che diciassettenne tornavo da una vacanza studio a Londra», ricorda. «Mio padre, recuperandomi all’aeroporto, mi confidò senza tanti preamboli che a causa di speculazioni finanziarie in derivati con sottostanti titoli azionari in un anno di mercato particolarmente nefasto aveva depauperato buona parte della ricchezza familiare. Di lì a poco avrei dovuto intraprendere gli studi universitari e se ci tenevo avrei dovuto provvedere a libri, rette e a ogni altra necessità». Una doccia gelata: «Lo choc al momento fu pesante, ma fu anche una straordinaria molla per chiarirmi le idee di cosa avrei voluto fare da grande. Non ebbi alcun dubbio: la mia mission sarebbe diventata tutelare il risparmio e per farlo dovevo impegnarmi, studiare e diventare brava». Se oggi, oltre a seguire posizioni a molti zeri, è addirittura group manager in Fideuram, brava lo è diventata davvero. «Tutela, etica, competenza, fiducia. Sono questi i principi ispiratori che da sempre governano la mia attività», sottolinea. E aggiunge: «La consulenza al femminile ha un sapore autentico, una particolare sensibilità che agevola nel cogliere con immediatezza dettagli, sfumature a volte anche il non detto». L’altro lato della medaglia? Indovinate un po’? La diffidenza: «All’inizio c’è sempre la sensazione di non essere ritenute sufficientemente credibili». Ma per fortuna che ci sono

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le donne: «L’anno scorso un mio cliente, un professionista grande conoscitore dei mercati finanziari, quindi particolarmente esigente nei confronti del risultato di gestione e impaziente rispetto a certi orizzonti temporali, si è presentato con la moglie. La scena: lei, manager, elegante, laureata in Economia, ascolta, chiede. Dopo un’ora e mezza intensa c’era piena sintonia, parlavamo la stessa lingua: conoscenza, metodo, coerenza. Le linee guida erano state condivise. Ora, con una mail di aggiornamento periodica, l’operatività procede in modo fluido. Ma inseriamo sempre per conoscenza anche il marito».

Sopra Paola Angelini, private banker di Sanpaolo Invest. A destra e in alto: Rossana Russi, consulente finanziario di Copernico Sim. A destra e in basso: Marina Magni, area manager Toscana e Marche di Widiba

«avendo bruciato tutte le tappe e nell’impossibilità di avanzare oltre il ruolo di capoufficio, unica donna in mezzo a 35 uomini», racconta. Così, dopo altri sette anni senza alcuna prospettiva di carriera, «negli anni in cui le donne in banca erano mosche bianche», racconta, «a ottobre 1990 mi sono licenziata e a gennaio 1991 ho iniziato il nuovo percorso professionale che allora era definito “financial planner”, una definizione splendida». E a proposito di cose che piacciono: a Paola Angelini piace molto il rapporto con i propri clienti: «È il motivo principale per il quale ho scelto questa professione. Col cliente si instaura un rapporto molto profondo, che va oltre la fiducia. Secondo me la donna in generale ha una sensibilità maggiore rispetto all’uomo. È l’empatia che ti fa capire chi hai davanti, di cosa il cliente ha paura, le sue aspettative, le sue esigenze e quelle della sua famiglia. Dico sempre che la cosa importante è la cura delle persone, l’attenzione anche ai piccoli dettagli: sono sfumature che ritengo importantissime. Per i miei clienti a fare la differenza non è solo il rendimento, ma la confidenza, il reciproco rispetto e la stima. Questa sintonia però non la trovi con tutti. Il cliente deve sposare me, ma anch’io devo sposare il cliente: dobbiamo piacerci». La metafora è suggestiva, ma non di matrimonio si tratta, quanto di adozione. «Ho clienti che mi seguono da 28 anni, siamo già alla seconda generazione. Sono cresciuta insieme a loro e alle loro famiglie: è meraviglioso vedere i figli diventare grandi e riuscire parlare con loro un linguaggio diverso con strumenti diversi, ma sempre in modo chiaro, come con il padre o con il nonno. Con i clienti c’è sempre un rapporto personale, quasi di amicizia. Certo, devi avere la predisposizione per la socialità e per la comprensione anche in situazioni delicate e complesse». Qualità che a noi donne non mancano di certo. «Quello della consulenza finanziaria è un lavoro tagliato su misura per noi donne», le fa eco Rossana Russi, consulente patrimoniale e finanziaria di Copernico Sim. «L’aspetto umano è fondamentale e penso che le donne abbiano una marcia in più: siamo empatiche - aridaje, ndr - ascoltiamo di più. E poi siamo più concentrate, sappiamo fare molte cose contemporaneamente, mentre un uomo normalmente si concentra su un punto solo». Il multitasking di cui sopra, appunto. La Russi (e passateci quel “La”) è una col pallino dell’analisi già in tempi non sospetti. Un’osservatrice seriale, potremmo dire: «Quando c’è stata la crisi bancaria mi si è illuminata una lampadina: è arrivato il mio momento, mi sono detta. Facevo analisi da una vita e ho iniziato a fare convegni spiegando come bisognava “vedere dentro” le cose». Ovvero in modalità wēijī, che in cinese significa sia “crisi” che “opportunità”. Che appunto Rossana Russi ha saputo cogliere al volo. Dopo l’esperienza del consiglio di amministrazione in Copernico, oggi si occupa di consulenza sull’intero patrimonio del cliente, con particolare attenzione al passaggio generazionale, e in tal senso sta costruendo un progetto di consulenza patrimoniale per la sua Sim. La differenza di genere? Per lei sta anche nella leadership: «Noi donne coinvogliamo anche l’immancabile anti-leader, facendolo emergere come parte del gruppo attivo. La leadership femminile è partecipativa, mai imposta in maniera autoritaria», sottolinea.

«LA LEADERSHIP FEMMINILE NON È MAI IMPOSTA IN MANIERA AUTORITARIA, MA È PARTECIPATIVA. E COINVOLGE SEMPRE ANCHE L’ANTI-LEADER»

Quel quid in più Segnatevi questa parola: empatia. La leggerete spesso in queste pagine. A partire dalla prossima frase (quote, se vogliamo chiamarla come si usa oggidì): «La tecnica e la preparazione sono importanti e indispensabili per la mia professione di consulente patrimoniale, ma la caratteristica principale è l’empatia». Eccallà. Paola Angelini, private banker della rete di Sanpaolo Invest, s’è data alla consulenza finanziaria quasi per disperazione, 74 marzo 2019


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Il preconcetto è nell’occhio di chi guarda «Noi donne dobbiamo sempre dimostrare qualcosa - anche a noi stesse, a dire la verità, ndr – Le donne devono fare meglio degli uomini. Per fortuna questo non è difficile, quindi poi ci riusciamo sempre», spiega Marina Magni, unica area manager donna della rete di Widiba Toscana e Marche, con 58 consulenti finanziari che riportano a lei, tra cui 12 donne. «Ma le migliori ricette culinarie le ho avute dai colleghi uomini», sottolinea. A proposito di dimostrare: lei è una che questo mestiere l’ha iniziato per scommessa: «Volevano inserire in Fideuram mio marito, che faceva l’informatore scientifico. E un amico mi disse: “Perché non lo fai te, così fai vedere che si può fare?” Era il 1982, il primo approccio non è stato facilissimo, ma le diffidenze iniziali sono sempre state superate. Comunque il preconcetto è tanto nei clienti quanto nei colleghi», dice. Per fortuna ci sono le famose soft skills: «In ogni donna c’è una componente materna di protezione, di supporto, di condivisione, di capacità di emozionarsi. Sono doti fondamentali anche in termini di leadership, perché ti consentono di creare relazioni professionali e personali molto forti, per cui le persone si affidano, si fidano, perché non c’è la competizione, almeno per noi donne. Perché per l’uomo la competizione c’è sempre: deve sempre dimostrare di essere il più forte. Ma anche senza testosterone si riesce a collaborare benissimo e a creare un team efficiente. E poi – che ve lo diciamo a fare? ndr – la componente femminile dà un valore aggiunto a un approccio che è un po’ ingessato e stereotipato: quello della comunicazione. Le donne sono empatiche – et voilà, ndr – e hanno una grandissima capacità di modificare comportamento e atteggiamenti in funzione della persona che hanno di fronte». Siamo un po’ Zelig, insomma.

«SAPPIAMO CREARE RELAZIONI PERSONALI E PROFESSIONALI FORTI, PERCHÉ SIAMO MENO COMPETITIVE DELL’UOMO» Pink is the new black Qualche rete si è già accorta che il passaggio generazionale (e non solo quello) sta mettendo in mano alle donne un bel po’ di soldi da gestire. E che quindi la clientela femminile è destinata ad aumentare. E che spesso le donne preferiscono relazionarsi con altre donne. Così sono partiti i primi percorsi ad hoc. Come Consulenza in rosa, il progetto lanciato da Banca Generali Private per dare il giusto spazio alle donne che svolgono questa professione, integrando i modelli al femminile dalle best practice italiane ed estere attraverso giornate di formazione, workshop dedicati e spingendo sulle leve che rendono le donne competitivamente avvantaggiate in un settore così particolare. Anche perché cresce il numero di consulenti donna con portafogli superiori ai 100 milioni di euro. «In Banca Generali c’è la netta consapevolezza del fatto che donne hanno delle carte da giocare non necessariamente migliori, ma sicuramente diverse, che possono dare esiti interessanti», spiega Barbara Nova, colei che all’Investor Day di Londra, all’inizio di dicembre 2018, ha presentato alla comunità finanziaria, al fianco dell’ad Gian Maria Mossa, il piano industriale per il triennio 2019-2021. Le carte da giocare? «La donna osserva di più il non verbale: i movimenti, le tonalità della voce. Riconosce meglio dell’uomo gli stati emotivi della persona con cui parla. E con la cliente donna c’è una sorta di riconoscimento primordiale, che permette di percepire la nostra onestà immediatamente: c’è quella connessione empatica – ecco, appunto, ndr - in cui ci si riconosce reciprocamente e che fa compiere in modo più veloce lo step fondamentale: quello della fiducia, del riconoscere marzo 2019 75


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A sinistra, nella campagna di Banca Mediolanum, Giorgia Bruschi accanto all’ad Massimo Doris. In basso a sinistra Giorgia Bruschi e a destra Barbara Nova, consulente finanziario di Banca Generali

chi legge, anche se probabilmente per ragioni diverse) si sogna: alta, magra, grandi occhi azzurri, sorriso Durban’s, capello impeccabile. Una da spot televisivo. E infatti Giorgia Bruschi è un’altra che, come Teresa Calabrese che ha aperto la nostra carrellata, ci ha messo la faccia: potete ammirarla negli spot della campagna #ConsulentiDaSempre di Banca Mediolanum (non sono attori, sono family banker veri). E se la prima impressione è quella che conta, figuriamoci quanto deve faticare una donna così bella per farsi prendere sul serio. Sia dagli uomini che dalle altre donne. «Certamente per me è più facile il primo approccio, ma poi faccio più fatica a dimostrare la mia competenza e la mia affidabilità, come tutte le donne». Non vogliamo immaginare cosa possa accadere se insieme al cliente c’è una moglie gelosa: «Anche a me darebbe fastidio vedere mio marito insieme a una bella donna, ma io sono una family banker e ogni volta che acquisisco una nuova famiglia cliente, va a finire che il legame più forte lo instauro proprio con le mogli. Scatta la solidarietà di genere ed è una doppia soddisfazione, perché oltre alle mie capacità, quello che viene colto è anche il mio carattere». Ovvero

davanti a sé un alleato e non un nemico. Per sette dei miei primi venti gruppi familiari clienti, a gestire la relazione sono donne». Ma non questione solo di empatia (pardòn): «Le donne tendono essere un po’ più concrete e riescono ad avere una visione a lungo termine, quello che a fatica cerchiamo di far capire all’uomo, che anche per un discorso fisico – altrimenti detto testosterone, ndr - ha un orientamento legato alla prestazione, che oltretutto nel nostro lavoro è un approccio sbagliato e pericoloso, dev’essere orientato alla relazione e alla protezione. Non è la performance che costruisce la fiducia, ma la fiducia che costruisce la relazione». E poi, ciliegina sulla torta (o buccia di banana), «l’uomo è più propenso ad assumere dei rischi. Non è necessariamente una cosa negativa, ma spessissimo l’uomo sopravvaluta le proprie capacità: quello che in finanza comportamentale si chiama over confidence è un peccato maschile». La prima impressione... A volte il patrimonio è un’arma a doppio taglio. Soprattutto se è genetico, di quelli che chi scrive (e probabilmente anche 76 marzo 2019

«NOI DONNE SIAMO PORTATE A PENSARE AL FUTURO, PER NOI LA PIANIFICAZIONE CONTA PIÙ DELLA PERFORMANCE»

una bella persona, non solo fuori. «Noi donne siamo empatiche – eh già, ndr – e abbiamo un’attitudine naturale a conquistare la fiducia delle famiglie. Siamo portate a pensare alla famiglia, al domani, a instaurare progetti e percorsi di risparmio per il futuro dei figli. Insomma, pensiamo più al futuro che al presente, più alla pianificazione che alla performance».



SEDIE & POLTRONE di Marco Muffato Casacche che si scambiano, volti noti che passano da un ruolo all’altro: il valzer delle poltrone è intenso nella finanza, dove vige ancora il merito e dove chi rende bene viene promosso o ricoperto di offerte allettanti. Agli HR il compito di attrarre i talenti, a noi quello di raccontare il risiko, oltre a notizie e indiscrezioni su un mondo ricco di costanti novità.

JUPITER AM, PORRO CAMBIA RUOLO

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upiter Asset Management ha annunciato la nomina di Andrea Porro (nella foto) a head of discretionary business per il mercato italiano, effettiva a partire dallo scorso 14 febbraio. Nel nuovo ruolo Porro riporterà direttamente ad Andrea Boggio, country head per l’Italia e sarà responsabile della gestione e della crescita della clientela discretionary di Jupiter con particolare riferimento a fund selector, fund buyer, inclusi discretionary portfolio manager

e fondi di fondi. Porro è entrato in Jupiter nel 2016 come sales director. In precedenza ha lavorato in Credit Suisse in qualità di vice president, sales wholesale e retail clients asset management. Ha iniziato la sua carriera in Deutsche Bank lavorando al desk equity drivatives trading. Jupiter conta oggi su 7 professionisti dedicati al mercato locale. A novembre 2018, la società ha annunciato l’apertura dei nuovi uffici in Piazza Liberty, nel cuore di Milano.

TRIS DI ADVISOR PER GAMMA CM

G

amma Capital Markets Ltd Succursale Italiana, società di gestione del risparmio specializzata nella consulenza fee-only e nelle gestioni patrimoniali, ha inserito Paolo Manara (nella foto), Giovanna Matarese e Marco Riccaboni all’interno del proprio team di consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede. I tre consulenti finanziari vantano una lunga esperienza sviluppatasi soprattutto sul territorio ligure e lombardo con specifiche competenze maturate sull’asset allocation, la tutela patrimoniale e il passaggio generazionale.

IW BANK, I SEI COLPI DI LENTI

L

a rete di IW Bank Private Investments guidata dal direttore commerciale Stefano Lenti (nella foto) si rafforza a Milano, Piacenza Firenze, Arezzo e Bari. Entrano a Milano Mauro Runza in qualità di branch manager (già life banker in Bnl-Bnp Paribas dal 2014 e manager in Banca Euromobiliare) e Vincenzo Iorio che arriva da Südtirol Bank. Da segnalare poi l’ingresso di Paolo Veneziani, proveniente da Azimut, che opererà nell’area piacentina; di Gianluca Smarrelli e di Gianni Pipparelli, provenienti rispettivamente da FinecoBank e Banca Widiba, che svilupperanno l’attività nelle aree di Firenze e Arezzo. Infine da San Paolo Invest ha fatto il suo ingresso Gianfranco Campanile, che sarà attivo su Bari.

SAPONARO LASCIA GAM PER ALLIANZGI

S

tefano Saponaro (nella foto) è un nuovo componente del team business development retail wholesale Italy di AllianzGI guidato da Filippo Battistini. Il manager ha un’esperienza di oltre sette anni nel mondo dell’asset management maturata in Gam dove

si è occupato con successo dello sviluppo del business third party nel Nord Italia, sezione in cui Battistini è passato con il ruolo di responsabile. Precedentemente Saponaro ha lavorato come senior consultant in Ernst&Young e presso Lyxor Asset Management.

WISDOMTREE, LA TREIBER CAPO RICERCA SUI BOND

L

idia Treiber (nella foto) è il nuovo responsabile della ricerca obbligazionaria in Europa di WisdomTree. La Treiber ha maturato oltre undici anni di esperienza nel settore della gestione patrimoniale, dei quali gli ultimi quattro in Invesco. In precedenza ha lavorato per Wellington Manage-

78 marzo 2019

ment occupandosi dei principali clienti istituzionali della società, e per BlackRock nel ruolo di research analyst and fixed income product strategist. La Treiber riporterà a Christopher Gannatti, head of research in Europa, e collaborerà con il team di analisti, basato a Londra oltre che negli Usa.


INVESTIRE SPECIALIST

PROFESSIONE CONSULENTE Risponde Francesco Priore all’indirizzo priore.studio@virgilio.it Startupper e decano della consulenza finanziaria, Priore ha fondato l’Anasf e contribuito alla fondazione dell’Albo. Docente Universitario, autore e consulente di comunicazione e marketing finanziario. È stato direttore marketing della rete di Banca Fineco e membro del CdA di Consultinvest Sim.

TROPPE CARTE E POCHE GARANZIE

LE IMPRESE, UN CLIENTE SCOMODO

Conosco da anni una cf attraverso

A Consulentia 2019 è stata prospettata

cui ho sottoscritto una polizza

una nuova attività per noi consulenti

assicurativa unit linked. Mi sono

finanziari ovvero lo sviluppo del

sorti dei dubbi, quando ho dovuto

cliente/imprenditore. L’ipotesi ha

leggere e sottoscrivere documenti,

suscitato tanti dubbi in molti colleghi.

relazioni, proposte, 2 comunicazioni,

È davvero la nuova frontiera della

un “kiid” e un prospetto informativo,

nostra professione o un obiettivo poco

con innumerevoli firme. Tutte queste

realistico?

“carte” mi hanno creato insicurezza. A che servono tutti questi documenti? P. G., via email

G

entile lettore, ho cercato di sintetizzare la sua missiva accuratamente dettagliata. Io posso affermare che la quantità di documenti, cartacei o meno, sono inversamente proporzionali alle garanzie di cui gode il cliente. Lo stesso si può dire per quanto concerne la sua cf, se il consiglio che le ha fornito si dovesse rivelare inadeguato, indipendentemente dai risultati, anche se tutta la documentazione è stata redatta perfettamente, lei non vorrebbe più aver a che fare con un professionista corretto ma non all’altezza. Questa mole di documenti che la burocrazia europea e nazionale impongono agli operatori di dover compilare, servirebbe solo a dimostrare che lei ha fornito “il consenso informato” e le autorità sono al sicuro. Vorrei girare questa sua a una associazione di difesa dei consumatori, perché impongano alle autorità europee e nazionali l’obbligo di redigere degli schemi di documenti, pochissime pagine, semplici, chiare e comprensibili. Se mai con l’uso di segnali facili come i semafori o altro. Alla fine al cliente interessa capire il rischio, la durata o orizzonte temporale, i costi e i rendimenti solo se sono previsti come per le obbligazioni, altrimenti il cliente deve sapere che non c’è un rendimento variabile. Non si tratta di banalizzare ma di farsi capire. Gli intermediari, i cf ed i clienti sono le vittime inermi, nulla possono. Per fortuna cf e clienti riescono a comunicare nonostante la burocrazia.

G.M., via mail

S

arebbe la nuova frontiera se si volessero indirizzare verso il cliente/ imprenditore tutti i cf. L’idea non è nuova, è una rivisitazione. Già negli anni ’80 Fideuram costituì la rete degli Ari, cf che promuovevano i servizi di finanziamento dell’Imi. La “promozione” richiedeva un’accurata formazione, Fideuram aveva selezionato 50 cf già acculturati in materia di finanza aziendale, li trasferì a Milano per sei mesi presso la Bocconi dove fu loro erogato un Master. Gli altri cf non Ari, potevano solo segnalare i propri clienti all’Ari del gruppo, gli eventuali ritorni economici venivano splittati. L’attività si rivelò un eccezionale successo, gli Ari rappresentavano il 5% della rete e producevano il 15% del fatturato Fideuram. La struttura fu messa in liquidazione quando Fideuram divenuta banca e Sgr decise di dedicarsi solo al cliente/famiglie. Nel 2013 Azimut ripartì con il progetto Libera Impresa centrato sulle imprese, poi sono entrate nel settore altre reti, il settore è interessante ma resta marginale. Perché per svolgere questa attività da professionisti è necessario superare un Master in economia e finanza aziendale, acquisire conoscenze approfondite in materia tributaria, gestione di tesoreria dell’impresa e tanto altro ancora, perché ci si deve confrontare con i professionisti abituali dell’impresa, commercialisti, notai, legali e banche. Perché investire tante risorse in formazione per conquistare una nuova frontiera, con tempi incerti per i ritorni? Per sviluppare i clienti nuovi e acquisiti occorrono meno investimenti per dotarsi di nuovi strumenti professionali e di promozione personale, il ritorno è più veloce e proficuo. Sembra quasi una fuga in avanti sotto la spinta dei timori generati da Mifid 2. A Consulentia è stato detto che i cf intermediano solo il 15% della ricchezza finanziaria degli italiani il residuo 85%, di cui 1.230 miliardi di euro di liquidità, forse sono un obiettivo più a portata di mano. In quell’85% c’è anche la ricchezza finanziaria degli imprenditori, che notoriamente accantonano gli utili e non ricapitalizzano le aziende. marzo 2019 79


POLE POSITION

a cura di Buddy Fox

IL BITCOIN? UNA TRUFFA, PAROLA DI JP MORGAN. CHE ORA FA IL SUO

D

al tono e dalla qualità delle affermazioni sembrava quasi di essere ritornati alla Torino operaia, in una qualsiasi sala mensa a seguire la proiezione serale dell’immortale capolavoro del maestro Sergej M. Ejzenstejn “La corazzata Potemkin”. Con annesso il profondo giudizio estetico del ragionier Ugo Fantozzi. Invece, eravamo da tutt’altra parte, non in una sala mensa, bensì ad una conferenza bancaria (probabilmente in un palazzo centralissimo di Manhattan), a disquisire e criticare ben altri temi: il bitcoin. Ma è proprio il tono del giudizio che è il minimo comune denominatore dei due eventi, perché se per Fantozzi la “corazzata Potiomkin” era una cavolata pazzesca, non molto diverso era il giudizio di Jamie Dimon sulla criptovaluta più amata da trader e sovversivi del sistema monetario tradizionale. Dimon non è solo il capo di JP Morgan e uno dei più stimati banchieri di Wall Street, ma più volte è stato anche candidato alla poltrona di Segretario al Tesoro, quindi il suo giudizio è pesante. Ed è per questo che tanto clamore fece il suo definire il Bitcoin “una truffa, destinata inevitabilmente a fare una brutta

fine”. Giudizi a cui si aggiunsero ammonimenti, “se scoprissi i nostri trader a scambiare bitcoin, li licenzierei in un secondo. E per due ragioni: perché è contrario alle nostre regole, e perché sono stupidi”. Non ha senso un sistema dove le persone creano una moneta con il vento. Un vento che se per mesi è stato favorevole, a inizio 2018, forse anche influenzato dalle dichiarazioni di Dimon ha iniziato ad essere contrario. Il Bitcoin subì un tracollo colossale, da 19.000$ a 6.000$. Oggi, a più di un anno di distanza, Jp Morgan ha ideato il Jpm Coin, la prima valuta per i pagamenti interbancari. Curioso atteggiamento, se la criptomoneta è di matrice sconosciuta non è valida, se invece la produce Wall Street allora è buona. Probabilmente la spiegazione, a differenza del Bitcoin, è che il Jpm Coin sarà ancorato al dollaro, dà maggiore lustro. Sarà, ma a me questo atteggiamento ricorda molto quello di giganti come Amazon, che prima spingono le librerie e i giornali a chiudere e poi li aprono con il loro marchio. Riccardo Ruggeri l’ha soprannominato “Ceo Capitalism”, un fenomeno non più circoscritto alla Silicon Valley.

AZIMUT BALLA DA SOLA (CONTRO TUTTI)

“S

ette in un colpo”, fiaba dei fratelli Grimm, narra di un piccolo sarto che in un sol colpo riuscì a stendere 7 mosche. Un gesto che volle far conoscere a tutti, ricamandolo sulla sua cintura. Una prova molto simile a quella che sta affrontando Pietro Giuliani e la sua creatura Azimut, da tempo in lotta con ben 6 fondi (Blackrock, Engadine Partners, Merian, Otus Capital, SFM Uk e Wellington Management) che dopo aver costruito altrettante posizioni al ribasso, cercano di spingere il titolo sempre più giù, su nuovi minimi per guadagnare e ovviamente mettere in difficoltà la compagnia, rendendola facile preda di qualche squalo del mercato. Operazione non facile per i fondi, per quando in 6 contro 1, perchè - complice anche un mercato azionario in fase di crescita - sembrano aver trovato in Giuliani un guerriero molto tenace e combattivo. La seduta di giovedì 24 gennaio, quando il titolo ormai vicino a nuovi minimi ha reagito con un rialzo di oltre il 7%, è stato per i ribassisti un duro colpo. Un rialzo attribuito alla nuova metodologia di calcolo delle performance fee sui fondi lussemburghesi. Un rialzo (+4%) che si è replicato lunedì 11 febbraio quando lo stesso patron 80 marzo 2019

dalle colonne di di A&F (la Repubblica) ha dichiarato di non temere i ribassisti e di rispondere con la crescita del gruppo. In effetti il gruppo cresce, apre sedi all’estero, ha un ottimo pay-out ed in più il 75% delle azioni sono flottante sul mercato. Dal giorno della ripartenza, il 24 gennaio, dei 30 milioni di azioni al ribasso non una è stata girata, ma al tempo stesso sul mercato sono passati 50 milioni di pezzi. Con una mano si costruisce una posizione al ribasso, e con l’altra si compra sul mercato e si sale silenziosamente? Attenti però, perché quel piccolo sarto dopo le 7 mosche ha sconfitto i giganti, e Giuliani…


INVESTIRE SPECIALIST

NPL, SE NASCE UN MERCATO SECONDARIO COME NEGLI USA

A

fine anno scorso le banche italiane hanno registrato una drastica riduzione del fardello degli Npl: 206 miliardi rispetto ai 259 miliardi del 2017. Un 20% tondo tondo in meno. Con tutta questa zavorra in meno le nostre banche prendono quota come mongolfiere, anche se l’emorragia delle difficoltà del credito non è finita. Per quanti crediti deteriorati vengano scaricati, ce ne sono altri (fortunatamente oggi in misura minore che in passato) che ricominciano ad accumularsi. Debolezza e recessione tecnica italiana non saranno certo d’aiuto. Dunque il “saccheggio” sembra aver dato soddisfazione a tutti, a chi vende e a chi compra. Davvero? Più volte ho criticato l’atteggiamento vessatorio nei confronti delle banche italiane, lasciate indifese sia dalle istituzioni sia dalla politica, quello che però oggi si scopre è che nemmeno agli “avvoltoi” è andata poi così bene. I risultati in ter-

mini di rendimento sugli Npl, non sembrano rispettare le attese iniziali. Anzi pare essere in fase di creazione un mercato sugli Npl per i fondi, dove poter negoziare i crediti deteriorati che non hanno dato gli esiti desiderati, e che qui saranno venduti strappando l’offerta migliore. Chi la fa l’aspetti? Dieci anni dopo lo scoppio della bolla sui mutui subprime e il successivo spargimento dei titoli tossici, qui in Italia si cerca di creare un mercato di transazioni per gli strumenti Npl. In Usa, anche dopo la crisi sono riusciti a guadagnarci: le banche vendendo i titoli tossici al Tesoro, e lo Stato rivendendoli sul mercato una volta che, anche grazie all’intervento della Fed, è ritornata la ripresa economica. Qui invece sembra un mercato al ribasso. Il grande difetto dell’Europa è che pur provando a copiare gli Usa non ne è mai capace.

BALTIC INDEX, INDICATORE DELLA PREISTORIA

L

e navi si svuotano. L’allarme è scattato a inizio anno, e a darne nota è il Baltic Dry Index, considerato uno dei principali leading indicator per predire l’evoluzione del ciclo economico: perché è la lente di ingrandimento che monitora ogni giorno i costi dei noli e dei trasporti via mare di tutte le principali rotte mondiali. I motivi di questa debolezza? I soliti: l’incertezza sui dazi, il capodanno cinese e ora, anche il preoccupante quadro economico dell’Unione Europea. Motivazioni legittime, però mi chiedo, si può nel 2019 fare ancora affidamento su questo indicatore? Prima cosa. La seconda è che il Baltic è in fase di ribasso dal 2008, anno in cui toccò un massimo epocale, seguito da una caduta talmente fragorosa da avere un suono simile a quello dello scoppio di una bolla. A guardare quest’indice sembra che nei 10 anni successivi alla grande crisi non ci sia mai stato un

recupero economico, quando invece stiamo vivendo nella più grande espansione (per lunghezza temporale) di tutti i tempi. A meno che, l’attuale espansione, non sia fittizia e semplicemente dovuta al pompaggio e alla droga del denaro gratis. Leggi “Hotel California”, lascio a voi il giudizio. Resta il fatto che quella sul Baltic, nel 2008 è stata una bolla creata dalla montagna di denaro che ha travolto quest’indice e in contemporanea anche il petrolio. Ricordo il picco di 150$ a un secondo dall’esplosione della crisi finanziaria che successivamente avrebbe creato un cratere profondo nell’economia, poi ricoperto dalle tonnellate di banconote. Resta il dubbio che l’arnese, più che anticipatore, in un’economia digitale sia ormai obsoleto: vogliamo misurare una gara di velocità usando la clessidra?

FACEBOOK UN’ARABA FENICE

N

on sono passati ancora nemmeno tre mesi da che Facebook è stata definita “affossata” per via delle vendite che il titolo ha subito (-7%) in seguito alla causa che Washington DC le ha intentato per violazione della privacy e all’inchiesta relativa del New York Times, che già oggi si appresta a diventare dominus del mercato della blockchain avendo appena comprato Chainspace, la start up specializzata in smart contract che permetterà a Zuckerberg di aumentare i ricavi di WhatsApp introducendo un sistema di pagamento con criptomoneta. Nel mezzo si aggiunga che il colosso dei social media ha, nel

quarto trimestre del 2018, registrato ricavi per 16,9 miliardi di dollari, ben oltre i 16,39 attesi dai consensus degli analisti. L’utile netto è stato di 6,9 miliardi di dollari, pari a un balzo del 61% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. È davvero una società ritenuta e che si ritiene in crisi? marzo 2019 81


TALENT

LA SECONDA COMPETIZIONE TRA UN “FAI DA TE”, UN CF E UN ROBOADVISOR

Che gara sui portafogli, sempre più appassionante

“U

na poltrona per tre” è una competizione tra tre portafogli realizzati da un “fai date”, un consulente finanziario e un roboadvisor. Ha la durata di un anno e prevede la possibilità di rotazione del portafoglio, con un cambio di massimo due strumenti, al termine del primo semestre. Ogni mese partirà una nuova gara. Aggiornamento e confronti L’aggiornamento sull’andamento di cia-

LE SCELTE DEL “FAI DA TE”

scuna di esse avrà cadenza trimestrale. Tre concorrenti che non copiano La composizione dei portafogli è elaborata in completa autonomia dai partecipanti al talent e oltre ad avere lo scopo della competizione vuole offrire spunti meramente informativi inerenti l’impiego di strumenti finanziari quotati sul mercato regolamentato italiano. Le informazioni e le analisi esposte pertanto non costituiscono sollecitazione al pubblico risparmio qualunque decisione di investimento e il relativo rischio

IL PROFILO DEL MATCH

Il secondo portafoglio è dedicato al seguente profilo: uomo, 35 anni con partita Iva. Profilo di rischio aggressivo con una propensione a investire in pac. Come benchmark è stato utilizzato l’indice azionario MSCI World.

A TUTTA TECNOLOGIA, SUI TITOLI “CORAGGIOSI”

di Giacomo Damian

ISIN

Per contrastare la recessione, cioè la debolezza economica, l’unica ricetta è IT0001479523 investire. Meglio se l’investimento è in innovazione. Per questo motivo in una fase FI0009000681 come questa attuale, in cui da ogni angolo suonano trombe d’allarmi, provenienti IT0003198790 dai media o dalla pubblicazione di dati economici, di nuova crisi o rallentamento IT0004900160 o recessione economica (tecnica o produttiva), il miglior metodo è quello di US912810RB61 puntare su titoli “coraggiosi”, che non temono i venti contrari dell’economia, US037833CD08 poiché li esorcizzano potendo contare soprattutto su idee e progetti innovativi che US369604BF92 svilupperanno tutti quei settori che stanno attestandosi quali leader e market mover del prossimo futuro. Pensando a un giovanissimo professionista a partita iva, interessato a investire in modo aggressivo e in una dimensione di lungo termine, consapevolmente orientato al rischio finalizzato al raggiungimento di un ragguardevole rendimento, ho ideato un portafoglio composto da titoli “giovani”, appartenenti a settori che ogni millennial conosce bene visto che fanno parte della sua quotidianità e del suo know-how esperienziale. La tecnologia in ogni sua applicazione è il tema dominante. Nella finanza digitale, con BE, società che investe in ogni ambito dell’information technology; Nokia, ex “regina dei cellulari” oggi, dopo la sua ennesima ma vincente trasformazione, proiettata nelle reti con il 5G e nella protezione dei dati; Digital Magics, azienda di giovani per i giovani che

82 marzo 2019

rimane a carico dell’investitore. Investire non si assume alcuna responsabilità per l’eventuale utilizzo che il lettore potrà fare dei contenuti esposti.

FONDO

MIX

BE – BET.MI

20%

NOKIA

20%

FALCK RENEWABLES – FKR.MI

20%

DIGITAL MAGICS – DM.MI

10%

Usa -T-Bond 2.875% 15mg43

10%

Apple 3.85% Call 04ag46

10%

General Electric 4.125% Call 09ot42

10%

investe in società giovani come le start-up. Ovviamente non poteva mancare la tecnologia applicata alla green energy, con Falck Renewables, un’italiana che può diventare leader nel mondo. Per la piccola parte riservata all’obbligazionario, volutamente ho scelto società Usa, anche per una piccola diversificazione nell’area dollaro. L’eccezionalità della scelta di General Electric, nobile che molti ritengono decaduta, dipende dal fatto che invece potrebbe rivelarsi una grande occasione. A questa aggiungo il principe degli strumenti, il T-Bond a lunga scadenza e anche il bond Apple. Ho scelto dei bond che se trattati sulla piattaforma Tlx possono essere comprati con piccole pezzature, volutamente per venire incontro alle esigenze e alle disponibilità che questa categoria, ahimè, impone.


INVESTIRE SPECIALIST

LE SCELTE DEL CONSULENTE FINANZIARIO TANTO AZIONARIO MA RISCHIANDO IL MENO POSSIBILE NOME

GRIDLISTISIN

PESO%

Franklin U.S. Opportunities Fund A(acc)EUR

LU0260869739

25,00%

Vontobel Fund - Global Equity B USD

LU0218910536

15,00%

Nordea 1 - Global Stable Equity Fund BP EUR

LU0112467450

20,00%

Comgest Growth Asia Pac ex Japan USD Acc

IE00B16C1G93

20,00%

AcomeA Breve Termine A1

IT0000390002

10,00%

Investec Global Strategy Fund - Global Gold Fund A Acc USD

LU0345780281

10,00%

Francesco Bellocchi* Il portafoglio è composto da 5 fondi azionari e uno obbligazionario. Nonostante l’approccio molto aggressivo (la componente azionaria sfiora l’87%) la volatilità del portafoglio a 3 anni è del 7,9% e quella a 5 del 9,9%, grazie alla funzione decorrelante del fondo obbligazionario e del settoriale (legato all’andamento dell’oro) presenti. Il rendimento annualizzato del portafoglio è stato pari al 2% a un anno, del 9,6% a 3 anni e del 11,3% a 5 anni, con un indice di Sharpe di 1,24 a 3 anni. La componente azionaria è investita principalmente in America con il 52,8 % (Usa 44,7%), segue l’Asia con il 24% ( 21,5% su Asia Emergente), poi Europa con il 9,9%. Il portafoglio è fortemente esposto a valute diverse dall’euro; statisticamente i tassi di cambio si compensano nel lungo termine, ovvero il lasso temporale per cui è stato ideato questo portafoglio. LU0112467450 Nordea 1 - Global Stable Equity Fund BP Azionari Internazionali Large Cap Value Il comparto investe a livello globale almeno 3/4 del patrimonio in titoli collegati ad azioni che possano generare rendimenti stabili nell’arco di diversi anni, privilegiando società di provata stabilità finanziaria sottovalutate dal mercato. Il comparto sarà esposto a valute diverse dalla valuta di base attraverso investimenti e/o posizioni liquide LU0260869739 Franklin U.S. Opportunities Fund- Azionari USA Mid Cap Il fondo investe principalmente in azioni emesse da società di qualunque dimensione situate in Usa o che qui conducono attività significative; in primis su società di alta qualità che hanno un eccezionale potenziale di crescita rapida e sostenibile.

LU0218910536 Vontobel Global Equity - Azionari Internazionali Large Cap Growth Il comparto investe prevalentemente in azioni e titoli simili su scala mondiale di società con una crescita degli utili e una redditività elevate. IE00B16C1G93 COMGEST GROWTH ASIA PAC EX JAPAN Azionari Asia-Pacifico ex Giappone Il fondo investirà almeno due terzi del proprio patrimonio in titoli emessi da società aventi sede legale od operanti prevalentemente in Asia, Giappone escluso ma compreso il sub-continente indiano, Australia e Nuova Zelanda. Può investire anche in titoli obbligazionari investment grade emessi o garantiti dal governo di un paese dell’Asia (escluso il Giappone), degli Usa o di qualsivoglia Stato membro dell’Unione europea. LU0345780281 Investec Global Gold Fund - Azionari Settore Metalli Preziosi Il fondo investe in tutto il mondo principalmente nelle azioni di società operanti nell’estrazione di oro. Il fondo può investire anche fino a un terzo del proprio valore nelle azioni di società operanti nell’estrazione di altri metalli preziosi, minerali e metalli non preziosi. IT0004718638 AcomeA BREVE TERMINE- Obbligazionari Flessibili EUR Il fondo è investito principalmente in strumenti finanziari di natura obbligazionaria e/o monetaria di emittenti sovrani, sovranazionali, agenzie e di emittenti societari appartenenti a paesi sviluppati ed emergenti con rating anche inferiore ad investment grade o privi di rating. La durata finanziaria del fondo è tendenzialmente non superiore a 36 mesi. Gli investimenti denominati in valute diverse dall’euro sono coperti dal rischio di cambio. *iscritto all’albo Ocf, sezione dei consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede

marzo 2019 83


TALENT

LE SCELTE DEL ROBOT (elaborazioni di Investire sui dati Deus Technology) Le stesse parole chiave “giovane partita iva”, “profilo aggressivo”, “pac”, “lungo termine”, e come benchmark di riferimento l’Msci World, cioè l’indice di mercato azionario composto da 1612 titoli a livello globale che viene usato come metro di misura dei fondi d’investimento in tutto il mondo, sono state trasferite anche al robo advisor. La sua risposta è stata inevitabilmente la proposta di un portafoglio che per i 4/5 è orientato al rischio, e per rischio intendiamo l’investimento nel settore azionario in tutte le sue manifestazioni. A parte “l’azionario globale” a cui dedica il 30% del portafoglio, balza subito all’occhio che pur seguendo le ovvie regole di diversificazione raggruppando un investimento in tutte le aree del mondo, manca di farlo in Europa. Evidentemente gli algoritmi stanno dando particolare attenzione alle notizie sui dati economici particolarmente deboli e a rischio recessione che negli ultimi giorni stanno circolando con

impressionante frequenza. Se da un lato la parte Europa difetta, quello che sicuramente non manca è la quota dedicata ai mercati Emergenti, su cui è indirizzata la parte preponderante del portafoglio. Probabilmente si pensa alla riscossa del gigante cinese e alla risoluzione nel migliore dei modi della diatriba sui dazi. Anche la minima parte dedicata alle obbligazioni e quella “flessibile” strizzano l’occhio a un investimento piuttosto audace. Infatti per la prima sono stati scelti i bond societari, sempre di matrice mercati emergenti. Mentre per la parte “flessibile” l’orientamento è l’investimento in azioni Usa ma con possibilità da cogliere sia su mercati in salita e sia su eventuali cadute e correzione. In pratica la direzione presa dalla macchina è quella di attaccare seguendo la filosofia di Zeman: l’importante è fare un goal in più dell’avversario.

INVESTIMENTO AZIONARIO PER I 4/5, FOCUS SUGLI EMERGENTI ISIN

NOME

1/12/2018

IE00B60SX394

Invesco MSCI World ETF A Acc EUR

15,00%

LU0340285161

UBS ETF MSCI World UCITS A Dis EUR

15,00%

IE00B3DWVS88

Invesco MSCI Emerging Markets ETF A Acc USD

15,00%

IE00BKM4GZ66

iShares Core MSCI Emerging Markets IMI UCITS ETF Acc EUR

10,00%

LU0140420323

FTIFS Templeton Global Balanced Fund N Acc EUR

10,00%

US92189F4789

VanEck Emerging Markets Aggregate Bond ETF Dis USD

15,00%

LU1116430247

Fidelity Global Multi Asset Income Fund A Acc EUR

5,00%

LU1297691815

JPMF US Opportunistic Long-Short Equity A Acc USD

15,00%

LE MACROAEREE DEL PORTAFOGLIO ROBOTICO PESO

MACRO

AZIONARIO

65%

Obbligazionario FLESSIBILE

84 marzo 2019

20%

MICRO

PESO

Azionario Globale

30,00%

Azionario Emergenti

25,00%

Bilanciati azionari

10,00%

Obbligazionario Corporate

15,00%

Flessibile

20,00%


INVESTIRE SPECIALIST

Senza la rete Tim diventa scalabile

LUIGI GUBITOSI, AMMINISTRATORE DELEGATO TELECOM ITALIA

PURE STORAGE: titolo quotato al Nyse (ticker: PSTG) e sconosciu- potenziale di discesa piuttosto che di salita. Teoricamente apto ai più, potrebbe diventare in un futuro non troppo lontano un punto perché nell’ultimo mese, dopo il minimo di inizio 2019 gigante nel settore dello storage, che semplificato e in italiano, a quota 9,30€ circa, il titolo ha inanellato una serie di sedute al si traduce come i dispositivi hardware dedicati alla memorizza- rialzo (folgorante il +7,60% nella seduta del 24 gennaio) che dezione di grandi quantità di informazioni e dati. Pure Storage na- vono aver fatto tremare i polsi dei ribassisti, che però ancora non sce nel 2009 e riesce in poco tempo a imporsi mollano la presa. La motivazione (apparente) sul mercato, scommettendo fin dalle origini di questo recupero è attribuita alla nuova mesu un prodotto che 8 anni fa era di nicchia “la todologia di calcolo delle performance fee sui tecnologia all-flash”, e che oggi risulta essere fondi lussemburghesi. E’ vero che il titolo era una scommessa vincente, poiché tutti i printroppo sacrificato, ma che sia stata questa la cipali concorrenti la utilizzano. Pure Storage vera motivazione per il recupero, lascia più si quota in borsa alla fine del 2015 al prezzo di una perplessità. Che abbia ragione Pietro di 16$ circa e in pochi mesi quasi raddoppia Giuliani nel temere ipotesi di scalata? A pensar fino a 30$. Nell’ultimo periodo, causa anche male si fa peccato, ma… la recente correzione di Wall Street, il titolo ha avuto una flessione fino a quasi il prezzo di TAMBURI INVESTMENT: se non sei in grado di Ipo, ma le prospettive rimangono positive. La GIOVANNI TAMBURI, TAMBURI INVESTMENT scegliere su cosa investire, perché non comsocietà ha grandi ambizioni, diventare leader prare chi della scelta degli investimenti ne nello storage, un settore che fin da ora è strateha fatto una professione? Attenzione, scelta e gicamente importante. Ibm trema. È l’ennesiselezione, non diversificazione, per Giovanni ma dimostrazione che anche in finanza Davide Tamburi (presidente, ad e fondatore di Tampuò battere Golia. buri Inv.) la distinzione è doverosa, dice lui “la diversificazione mortifica l’investimento”, ben TIM: è di questi giorni la notizia che la Cdp si è diverso è selezionare. E lui questo mestiere lo resa disponibile a comprare e raddoppiare la sa fare molto bene, le aziende su cui ha investisua quota su Telecom Italia. Una bella garanzia to e i risultati conseguiti (total return di oltre il per i piccoli investitori che continuano a soffri300% negli ultimi 5 anni) sono un certificato re nel vedere questo titolo battere su minimi di assoluta qualità. Il menù di quest’anno in storici. Qualcosa sta cambiando, nella potencasa Tamburi prevede la quotazione in borsa zialità del titolo e nelle prospettive societarie: REED HASTINGS, CEO NETFLIX di Eataly. Di recente c’è stato l’acquisto (quasi la rete che fino a oggi è stata l’ipoteca e la garanzia sull’enorme regalato) di una quota in Ovs e molto probabilmente, in pentola, debito della compagnia telefonica, ora con l’ipotesi di vendita, bolle molto altro. In attesa di good news, la specialità della casa. può diventare un’opportunità di rendimento e di incasso, liberando anche le più fervide fantasie speculative sul campione na- NETFLIX: è vero che il gruppo brucia ancora molta cassa, è vero zionale. Infatti senza il peso politico della rete Tim diventa sca- che sta diventando uno di quei giganti che grazie ai privilegi dellabile e possibile a matrimoni transnazionali. E la Rete? Finirà la globalizzazione selvaggia cancella i piccoli concorrenti, ed è al sicuro in Open Fiber o c’è il rischio che finisca in mani poco vero che con le sue produzioni sta facendo tramontare la vecsicure? Per gli investitori si aprono scenari molto prosperosi, per chia e tradizionale produzione e visione cinematografica. Ma è noi cittadini e per lo Stato un po’ preoccupanti. altrettanto vero che Netflix sta diventando un campione in un business, quello della distribuzione in streaming di serie Tv, che AZIMUT: in testa alle hit parade delle vendite da parecchi mesi. ha un grande potenziale di crescita, e che fa molto gola. Perché Purtroppo, a differenza dei dischi, per le azioni questa non è una seppur grande, Netflix è il più piccolo tra i giganti della Silicon bella notizia, perché Azimut da molto tempo è la numero uno Valley, e questi giganti hanno molta liquidità da spendere ed nella classifica della Consob tra i titoli con più posizioni short. hanno grande desiderio (leggi necessità) di diversificare, per soQuesto teoricamente vorrebbe dire che il titolo ha un maggiore pravvivere. (g.d.) marzo 2019 85


IL CASO STRATEGAS

Saper fare lobbing? Vale una «asset class» di Glauco Maggi

“L

a rabbia del popolo americano contro la classe politica è così forte che sarebbe sbagliato pensare che Trump non possa vincere”. Jason “Giasone” Trennert (nelle foto a pagina 87) scrisse questo commento il 3 marzo del 2016, sul Corriere della Sera niente meno, quando le prospettive dell’immobiliarista miliardario di New York di vincere le elezioni 8 mesi dopo erano nulle, secondo i media del mainstream. Ecco perchè sentire come la pensi oggi su Trump, a metà mandato e con i sondaggi che anche stavolta lo condannano, è d’obbligo. Anche se Trennert non è un politologo di professione ma un esperto di Wall Street, lo studio dell’intreccio tra le dinamiche del Palazzo della politica e l’andamento dei business e della Borsa è parte integrante della consulenza che offre ai suoi clienti, asset manager e ceo di banche, hedge fund, fondi pensione. Forse, quella più originale e ricercata. Strategas ha creato infatti un indice tenendo conto della intensità e dell’impegno con cui le aziende quotate fanno pressione politica sul Palazzo (The Strategas Policy Opportunities Portfolio), partendo dal concetto che il lobbismo è diventato un importante strumento manageriale in un contesto di sempre crescente espansione della burocrazia governativa. La prova della validità del portafoglio? Il rendimento dell’indice di società “lobbies oriented” ha superato quello dello S&P 500 di oltre un punto percentuale negli ultimi otto trimestri. Tra le attività di Strategas dedicate ai suoi clienti istituzionali spiccano le macro conferenze annuali organizzate a New York, in cui personaggi di prestigio della comunità degli affari e della finanza offrono letture “insider” della situazione economico-finanziaria, sfruttando il proprio punto d’osservazione privilegiato. Alla prossima riunione, che si svolgerà il 4 e il 5 marzo, parleranno tra gli altri Ken Langone, fondatore del colosso del retail Home Depot; Mary Ellen Stanek, chief investment officer di Baird Investors; Justin Aldrich Rockefeller, venture capitalist specializzato in aziende con positivo impatto sociale e ambientale; Jeff Korzenik, gestore del Fifth Third’s Investment Management Group; Brad Katsuyama, ceo e fondatore di IEX, Investor Exchange in Canada; Mark E. Donovan, co-ceo di Robeco Boston Partners.

Strategas ha 800 clienti, tutti investitori istituzionali, in 44 dei 50 Stati negli Usa e in 20 altri paesi nel mondo. Con orgoglio, l’analista mi mostra la lista delle sgr italiane che utilizzano i suoi report (Investitori Sgr, Mediolanum, Azimut, Kairos, Unicredit-Cordusio, e Mangart a Lugano). L’intervista a tutto tondo tra politica, economia e finanza si svolge nella sede centrale in Vanderbilt Avenue di fianco alla Grand Central Station a Manhattan a metà febbraio. Da frequentatore dell’Italia, (“L’ultima volta che ci sono stato, in novembre, ho anche partecipato al gala milanese del pensatoio ‘Istituto Bruno Leoni’ “, confida) Giasone non può sottrarsi alla prima domanda sul governo di Roma.

L’ANDAMENTO DELL’INDICE “LOBBIES ORIENTED” HA SUPERATO LO S&P 500 ADDIRITTURA DI UN PUNTO PERCENTUALE NEGLI ULTIMI OTTO TRIMESTRI

86 marzo 2019

Come guardate da Wall Street all’Italia della politica? La coalizione è un’interessante alleanza. (Lo dice con un sorriso ironico, ndr). Vedremo che cosa succederà in futuro, dopo il voto europeo, ma per me è ovvio che il populismo del duo Di Maio-Salvini è il risultato d’un elettorato che non ne può più del sistema (“fed up with the sistem”, le sue esatte parole, ndr). C’è un indubbio parallelo da fare quindi con ciò che è successo negli Usa. Forse anche in Italia il sistema va bene per le persone che hanno le connessioni giuste, ma non per tutti. E negli Stati Uniti, che aria si respira adesso?


INVESTIRE SPECIALIST

La risposta dell’opposizione Democratica alla salita al potere di Trump è stata ‘raddoppiamo’ la resistenza. Lei non mi sembra convinto che questa sia la strategia giusta, o sbaglio? Vincerà ancora Trump, allora? Il successo nel 2020 del presidente in carica, capita sempre così, dipenderà dalla performance economica del paese. Nessun capo della Casa Bianca è stato bocciato dopo 4 anni di governo in assenza di una recessione. E io non ne vedo l’arrivo imminente. Su quali elementi basa il suo ottimismo? Ci sono tre cause che possono portare a una recessione. La prima è un forte rialzo dell’inflazione, che induce la Federal Reserve a una forte stretta monetaria e strozza la crescita. La seconda è un errore politico in campo fiscale o regolamentare o commerciale. La terza è di natura esogena, di geo-politica internazionale. E lei non le vede all’orizzonte? Lasciamo perdere la terza causa, che è imprevedibile per definizione. Per quanto concerne l’inflazione, a fine gennaio il chairman Jerome Powell ha fatto capire di aver frenato le intenzioni che aveva espresso nei mesi precedenti di imprimere una stretta più seria. Quindi, anche se la Banca Centrale alzasse i tassi di 25 punti base quest’anno il costo del dollaro non deprimerebbe l’economia che ha un’inflazione ‘core’ al 2,2%. La politica fiscale,

UN TRUMP BIS NEL 2020? LA RIELEZIONE DEL PRESIDENTE DIPENDERÀ DALLA PERFORMANCE ECONOMICA DEL PAESE. SENZA RECESSIONE RIMARRÀ IN CARICA

BUON AMICO DELL’ITALIA

Jason Trennert de Sena, 50 anni, è il presidente e ceo di Strategas Research Partners, società di consulenza finanziaria strategica di New York per banche e fondi, da lui fondata nel 2006 con cinque soci e che oggi conta 50 analisti negli uffici di New York, Washington e Columbus (Ohio). Italo-americano per parte di madre, ha studiato la nostra lingua da adulto

e ha mandato un figlio alla scuola italiana Guglielmo Marconi di Manhattan. Amico dell’Italia, nel 2017 è stato nominato Cavaliere al Merito della Repubblica. Laureato in economia internazionale alla Georgetown University, ha un Master in Business alla Wharton School della University of Pennsylvania. Ha firmato decine di oped sul WSJ e sul Financial Times ed è autore di tre libri finanziari. I rapporti di Strategas sono letti da migliaia di gestori e ceo.Tra i suoi clienti ci sono investitori istituzionali di 21 nazioni.

dopo i tagli di fine 2017, rimarrà di sicuro invariata almeno fino almeno alle elezioni del 2020. E pure le deregolamentazioni che hanno aiutato gli affari nei due settori più importanti in cui sono state realizzate, l’energia e le banche, non saranno toccate. Resta l’errore nel commercio, e qui arriviamo agli accordi ridiscussi con i partner mondiali e al rischio tariffe... Con il Messico e il Canada la riscrittura della Nafta voluta da Trump ha portato a un’intesa con i due leader Pena Nieto e Justin Trudeau, non proprio suoi amici, in cui pochi credevano. Ora questo modello sarà più o meno seguito nelle discussioni con l’Unione Europea. A Trump basterà un minimo di migliorie, poter dire che ha avuto ragione e cantar vittoria. Ma con la Cina è tutt’altra musica… Beh, l’economia cinese è in rallentamento, e ha quindi più incentivi a trovare un’intesa, perchè rischia un’inquietudine sociale se si ribella la classe media. Certo l’aspetto delle tariffe resta un’incognita, ma più sulla crescita cinese che su quella negli Stati Uniti. In attesa di conoscere chi vincerà la nomination dei Dem, qual è il giudizio di un uomo di Wall Street sulla discesa in campo di altri due miliardari, l’ex sindaco di New York Mike Bloomberg e l’ex ceo di Starbucks Howard Schultz, come reazione alla deriva a sinistra nel partito di Obama? Mai dire mai, dopo il 2016. Il successo del terzo partito di Schultz, se si presenta da indipendente, è molto improbabile, ma la gente è talmente arrabbiata con l’establishment che può stare a lungo in gara, se non vincere”. marzo 2019 87


L’ANALISI TECNICA DICE CHE L’AMERICA RESTA IL MIGLIOR MERCATO SU CUI PUNTARE. A GENNAIO GLI INDICI DI BORSA SONO CRESCIUTI TRA IL 7 E IL 9% Torniamo al tema centrale dell’economia. Come vedete a Strategas la crescita del Pil Usa nel corso del 2019? Sarà più lenta nel primo semestre, attorno al 2%, e più sostenuta nel secondo, attorno al 2,5%. Bisogna considerare che l’economia americana si basa per il 70% circa sui consumi interni, sulle spese dei consumatori. Mentre il picco della crescita del Pil è stato a metà dell’anno scorso, verso la fine un certo rallentamento e la Federal Reserve che aveva prospettato frequenti aumenti dei tassi nel 2019 avevano intensificato i timori di una imminente recessione. Poi la Fed ha preso tempo, il rimbalzo dell’indice del business delle piccole medie imprese e il robusto report governativo sull’occupazione di fine gennaio hanno alleggerito le tensioni. Gli indicatori macroeconomici stanno mostrando che è rimasto ancora un ampio margine di tempo per la crescita e che non siamo a ‘fine ciclo’. Ma quanto potrebbe durare l’espansione del Pil americano, secondo le vostre analisi? Lo scenario economico Usa appare ancora solido e favorevole, e se la crescita può passare dall’essere guidata dai consumi delle famiglie come è stata l’anno passato a essere trainata dagli investimenti delle imprese nel corso del 2019, allora il ciclo del business può essere prolungato in una maniera sostenibile. Tradotto in prospettive borsistiche, mi sta dicendo che l’America resta oggi il miglior mercato su cui puntare? L’analisi tecnica ci dice di sì. Attualmente, dopo il brillante gennaio in cui gli indici sono cresciuti tra il 7 e il 9%, l’86% delle 500 azioni dello Standard & Poors’ sono scambiate a prezzi che sono sopra la media dei 50 giorni precedenti. E’ il dato più elevato dal luglio del 2016. Tatticamente, ciò riflette un mercato sovra-comprato nel breve termine, ma sul lungo periodo non è una cosa negativa. Storicamente, più elevata è la percentuale delle azioni superiori alla media sui 50 giorni precedenti, più forti sono stati i ritorni nei mesi successivi. Se diamo un’occhiata ai settori, qual è lo scenario rispetto al 2018? In generale le aziende quotate a Wall Street avevano avuto profitti oltre il 20%, e i titoli difensivi, consumi di base e società dei servizi di utilità erano andati bene. Ora molte azioni sono a prezzi ragionevoli. I comparti con le migliori prospettive per noi sono quelli ciclici: nei modelli di portafoglio privilegiamo i titoli finanziari, gli industriali, gli energetici e i tecnologici. Ma quelli della tecnologia hard, non quelli social racchiusi nella sigla Fang (Facebook, Amazon, Netflix, Google, ndr) che non sono certo a buon mercato. Tra le categorie di asset qual è la vostra classifica di convenienza attualmente? Siamo bullish (ottimisti, ndr) sulle azioni, che avranno la miglior performance. La novità è il cash, ossia gli impieghi in liquidità, 88 marzo 2019

che sono diventati una asset class di per sè per noi destinata a battere la performance delle obbligazioni. Sui bond del Tesoro americano siamo molto prudenti. Se l’anno sarà positivo per le azioni in generale, quali target di crescita avete per fine 2019? E su euro-dollaro? Le nostre previsioni sono di aumento per tutti gli indici azionari che monitoriamo: il Dow Jones finirà a quota 27.750 punti, lo S&P 500 a 3000, il Russell 2000 (medie e piccole società, ndr) a 1575. Il prezzo del petrolio dovrebbe stabilizzarsi sui 60 dollari, e il cambio con l’euro attorno a 1,10 dollari per euro. Ci sono segnali di una ripresa delle Ipo, initial public offerings, finite in letargo nell’ultimo decennio ma che sono apprezzate dai piccoli investitori per i guadagni che possono dare? In effetti molte compagnie sono ancora private, come Uber, Lyft, Airbnb, Palantir, Slack. Ed è vero che investitori istituzionali e individui straordinariamente ricchi hanno realizzato enormi profitti, almeno sulla carta, dalla crescita nelle valutazioni di mercato private di queste compagnie, lasciando fuori la gente comune. La buona notizia è che i risparmiatori possono attendersi prossimamente varie Ipo di alto profilo, i cosiddetti ‘unicorni’ valutati oltre un miliardo di dollari. Renaissance Capital stima che tra le 125 e le 200 società andranno in borsa quest’anno raccogliendo molto di più dei 47 miliardi del 2018. Come vede la situazione borsistica in Europa? Non ho un forte feeling per i mercati europei. Sono a buon prezzo ma io starei sottopesato sulle azioni europee finchè non si vedono piani concreti per aiutare l’economia. C’è qualche avvisaglia ma non sono segnali uniformi. Con Germania, Francia e Italia tutte rallentate o in recessione e nessun progetto reale per stimolare la formazione di capitali è difficile essere più bullish sulle azioni europee che su quelle americane. Nel classico ‘derby’ dell’asset management, per chi tifate? Gestione attiva o gestione passiva? Dipende dalle fasi di mercato. Quando i tassi di interesse sono a zero o molto vicini a zero la gestione attiva è meno importante, perchè anche tra le società deboli nessuna tende ad andare in fallimento a causa degli interessi contenutissimi. Viceversa, via via che si alzano i tassi di interesse fa premio la capacità di saper selezionare le aziende da mettere nei portafogli.


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IL DENARO DEI VIP PARLA PAOLA FERRARI

«La libertà è il mio vero lusso, spendo per aiutare il prossimo» di Monica Setta

L

ei è una delle giornaliste più famose e belle della Tv, suo marito è invece uno degli uomini più ricchi d’Italia, al vertice del colosso editoriale Gedi, che pubblica i quotidiani la Repubblica, La Stampa, Il Secolo XIX e molti altri. Volto di punta dello sport del servizio pubblico Paola Ferrari è sposata infatti da oltre venti anni con Marco De Benedetti ma a essere lady finanza-nuora dell’Ingegnere per antonomasia, cioè Carlo De Benedetti, con tutto il suo miliardario patrimonio, non ci tiene affatto. Il suo rapporto con il denaro - come confessa lei stessa in questa intervista esclusiva a Investire - è caratterizzato da un fondamentale senso di libertà. Paola non è affatto attaccata ai soldi anzi ne spende molti anche per aiutare amici o conoscenti che hanno bisogno. Lo fa con quella generosità visibile e soave che è la cifra del suo essere donna di potere ma anche e forse soprattutto di cuore. Paola raccontami meglio: che relazione hai con i soldi? Non è facile rispondere a questa tua domanda senza correre il rischio di passare per la qualunquista che non sono mai stata. Dall’esterno io sono vista come una donna molto ricca ma in realtà ho con il denaro un rapporto particolare: non sono una risparmiatrice, credo che il denaro debba girare. Amo usare i soldi per comprare quanto mi piace – soprattutto viaggi o quadri - scopro il bello attraverso i soldi. Ma non ne sono schiava,

«SCOPRO IL BELLO ATTRAVERSO I SOLDI MA NON NE SONO SCHIAVA E NON MI RENDONO PIÙ SICURA. LE CERTEZZE NELLA VITA SONO BEN ALTRE» uso il denaro per aiutare chi ha bisogno, amici e conoscenti in difficoltà; forse lo faccio troppo spesso però non me ne pento mai, diciamo che tendo a utilizzare il denaro ma non sono quella che mette via i soldi per fare gruzzolo. I soldi non mi rendono più sicura. Le mie sicurezze sono legate al mio lavoro o ai miei valori esistenziali. Infatti hai continuato a fare la giornalista pur essendo la signora de Benedetti... Assolutamente si, spesso sono stata criticata perché continuo a lavorare dopo ventidue anni di matrimonio. Guadagno veramente poco in Rai e se fossi stata da sola probabilmente non 92 marzo 2019

avrei potuto vivere con il mio modesto stipendio. Sono una donna fortunata perché mio marito e la mia famiglia sono alle mie spalle; insomma posso permettermi di fare la giornalista anche portando a casa poco denaro. Sono sempre stata una donna autonoma, fin da ragazza facevo i fotoromanzi per mantenermi agli studi del corso di giornalismo, non ho mai mollato perché l’autonomia è la base della mia vita.

Curiosamente lei è una di quelle donne che in Rai guadagnano meno dei colleghi maschi... Certamente e questo è un dato assai negativo. La parità salariale tra uomo e donne è un obiettivo di civiltà che dobbiamo perseguire con forza. Ma anche se io guadagno poco per un accordo particolare


IL DENARO DEI VIP Paola Ferrari è sposata con Marco De Benedetti, top manager al vertice del colosso editoriale Gedi. Marco è figlio di Carlo De Benedetti. Nella foto in basso la Ferrari è insieme ad Antonio Marano, presidente e ad di Rai

che ho con la Rai e posso permettermelo, credo fermamente al lavoro come mezzo per essere liberi. L’indipendenza economica è la base fondativa per me; puoi avere sposato la persona più ricca del mondo ma il tuo lavoro, quello che facevi prima, è importante. Comunque ci tengo a dirti che non demonizzo il denaro anzi ritengo che sia giusto che i guadagni siano proporzionali ai traguardi che si raggiungono nella propria attività.

Che rapporto hanno i tuoi figli con il denaro? Alessandro è un ragazzo attentissimo mentre Virginia è una spendacciona. Il fratello è assai tirchio e la sorella al contrario una che adora fare shopping o spendere per quello che le piace. Curioso che due fratelli con una differenza di età di solo un anno cresciuti nella stessa famiglia e con gli identici valori abbiano reazioni così diverse nei confronti dei soldi! Adesso mio figlio sta un po’ mollando le redini perché è fidanzato e ogni tanto vuole fare un regalo alla sua ragazza ma fino a ieri era veramente molto “tirato” sul piano dei soldi... Come risparmi? Il solo modo che ho per risparmiare è avere un obiettivo concreto. Lo facevo

«IL SOLO MODO CHE HO PER RISPARMIARE È AVERE UN OBIETTIVO CONCRETO. È STATO COSÌ PER LA PRIMA CASA E L’AUTO” quando dovevo comprare la prima casa, lavoravo dal lunedì alla domenica senza vacanze. Risparmiavo per acquistare la macchina o un viaggio ma per il resto spendo. Non dipendo dal denaro; lo scorso anno sono stata in Ghana e ci sono stata bene. Io mi adatto a tutto. Dormo in un albergo a cinque stelle ma anche in una capanna senza mai avere necessità di sentirmi ricca. Sai che prima di sposarmi sono stata una donna che faceva i salti mortali per far quadrare il bilancio? Mi hanno anche tagliato le utenze! Ogni tanto ci penso quando mio figlio mi mette in guardia dall’essere troppo spendacciona. Mi dice: mamma attenta, se continui a spendere non ci resterà davvero nulla. Il denaro è davvero il solo potere per la libertà ? Credo che sia sostanzialmente vero. Ma non condivido l’atteggiamento delle persone che fondano le proprie certezze sul denaro che hanno in banca. Le passioni e la vita interiore sono la sola autentica ricchezza. Se non hai valori, puoi avere tutti i soldi del mondo ma resterai sempre povera dentro. Per una donna, indipendenza vuol dire ragionare con la propria testa, trovare un equilibrio, non vuol dire avere un ricco conto in banca. Non c’è denaro che tenga davanti alla libertà. É la libertà il vero lusso. marzo 2019 93


IMMOBILIARE OSSERVATORIO

La Toscana guida l’Italia fuori dalla crisi del mattone Elaborazione dati, proiezioni e analisi a cura di Scenari Immobiliari

Compravendite in crescita

Andamento del numero di compravendite del settore residenziale in Toscana e in Italia (2007=100)

Nel mercato immobiliare residenziale la To120 scana rappresenta la sesta regione italiana 100 per numero di compravendite sul totale nazionale. Con 35.500 compravendite di case, 80 nel 2017 la regione rappresenta il 6,3% del60 le compravendite complessive e mantiene lo stesso peso anche nel 2018. 40 Le compravendite, con 39.500 unità nel 20 2018, continueranno il trend di crescita, che registrerà l’11,3% in più sul 2017, poco al di 0 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017 2018° 2019* 2020* sotto della crescita media italiana del 12,5% attesa per la fine dell’anno. Il peso del capo°stima *previsione toscana Italia luogo rimane sempre prioritario rispetto al resto delle province, realizzando in media il doppio delle transazioni degli altri capoluoghi. L’andamento regionale dal 2008 mostra un allineamento costante con l’andamento nazionale, eccetto un lieve aggiustamento verso il basso nel 2017. Lo scorso anno la variazione si è mantenuta con il segno positivo al 2,9 per cento in più sul 2016, a un livello più moderato rispetto al 16,2 per cento in più registrato nel 2016.

Valori al metro quadro stabili

Andamento dei prezzi medi del settore residenziale (2007=100) 105,0

In generale il trend di crescita del numero complessivo di compravendite nel com95,0 parto residenziale che sta interessando il Paese continua a manifestarsi anche in To90,0 scana. In dieci anni infatti le compravendite 85,0 della regione sono aumentate del 9,1 per 80,0 cento e del 10,3 per cento in Italia. 75,0 Ma il fattore di maggior interesse nell’e70,0 same dell’andamento del mercato immo2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017 2018° 2019* 2020* biliare della regione riguarda il valore delle case. A livello di prezzi medi nominali infatti °stima *previsione Toscana Italia la Toscana ha mantenuto stabili i valori al metro quadro, con lo 0,5 per cento in meno nel 2017, mentre l’Italia ha perso lo 0,2 per cento nello stesso periodo. Nel 2018 la regione invertirà il trend negativo, con un aumento dello 0,5 per cento sui valori dello scorso anno. Secondo le stime, anche l’Italia continuerà a registrare prezzi con un lieve rialzo, con lo 0,3 per cento in più sul 2017. 100,0

Firenze si riqualifica

INDICATORI

2014

2015

2016

2017

2018*

Offerta (unità) 6.100 6.750 7.350 6.870 7.100 Il mercato residenziale di Firenze è ormai fuori dalla crisi e prosegue sulla scia posiCompravendite (unità) 4.050 4.400 4.850 5.300 6.000 tiva iniziata già da qualche anno. Si stimaFatturato (mln di euro) 1165,0 1246,0 1327,0 1408,4 1570,0 no 5.300 compravendite per il 2017, con un aumento del 13,3% previsti per il 2018. Assorbimento totale (%) 66,4 65,2 66,0 77,1 84,5 L’andamento complessivo dei volumi nel *STIMA mercato residenziale della città è in una fase di progressiva crescita e si stima un proseguimento del trend per il prossimo anno. L’offerta si aggira attorno a settemila unità. Nel comparto residenziale a Firenze stanno aumentando le opere di rinnovamento e rivalutazione dell’esistente attraverso investimenti privati, pertanto i volumi saranno mossi da un’offerta dominata dall’usato e dalle scorte di invenduto, ma in prevalenza riqualificato. 94 marzo 2019


IMMOBILIARE MATTONE (TAR)TASSATO

Da Confedilizia allarme rosso sul giallo della patrimoniale

A

ll’inizio di febbraio un brivido gelato è corso lungo la schiena degli italiani: la prospettiva di una patrimoniale sugli immobili compresa in una forbice tra il 5% e il 7%. Era stato il cosiddetto “manager del potere nascosto”, Luigi Bisignani, ad averla ventilata con qualche giornalista. La notizia era stata ripresa dal quotidiano Il Tempo, poi da Il Giornale. Peccato (o meglio, per fortuna) che si trattasse di una bufala. Peccato veniale, c’è da aggiungere, perché la notizia, in un Paese ormai ufficialmente in recessione tecnica, cronicamente impaludato nell’impossibilità (o incapacità?) di tagliare i costi del vorace apparato pubblico, è parsa a chiunque assolutamente verosimile. Il primo ad alzare la voce – e gli scudi – era stato il presidente di Confedilizia, Giorgio Spaziani Testa: «In Italia l’urgenza è esattamente quella opposta: per tornare a crescere, occorre ridurre la mega-patrimoniale sugli immobili che c’è già: fra Imu e Tasi, pesa per 21 miliardi di euro l’anno e dal 2012 sta causando danni immensi all’economia». Così il presidente di Confedilizia aveva invitato il governo a dare un segnale, con una «riduzione della mega patrimoniale sugli immobili», per ottenere «effetti positivi sull’economia, a cominciare da quelli sulle piccole imprese». Smentita, proprio dietro esplicita richiesta di Spaziani Testa a Palazzo Chigi, la notizia della patrimoniale – ma il sospetto che la fuga di informazioni sia stata un mezzo per “sondare il terreno” resta: «Prendiamo volentieri atto della mentita», commenta il presidente di Confedilizia, «ribadiamo tuttavia il nostro appello a ridurre la patrimoniale che gli immobili sopportano già. Si tratta di 21 miliardi di euro l’anno tra Imu e Tasi, che stanno devastando il comparto immobiliare e tutto il suo immenso indotto. Se vogliamo favorire la crescita, è questa è una delle strade da seguire». Anche perché, sottolinea Confedilizia, dal 2012 in poi si è scelto, con un’operazione che ha del masochistico, di impedire al settore immobiliare di contribuire alla crescita del nostro Paese. La

GIORGIO SPAZIANI TESTA, PRESIDENTE DI CONFEDILIZIA

mega-patrimoniale introdotta dal Governo Monti e confermata dai Governi successivi (finora centocinquanta miliardi di euro tra Imu e Tasi) non ha “solo” ridotto di oltre duemila miliardi il valore di risparmi e investimenti di famiglie e imprese ma, combinata con la crisi più generale, ha determinato mille altri effetti negativi. Ha provocato una contrazione dei consumi, ha causato la chiusura di decina di migliaia di imprese, ha comportato la perdita di centinaia di migliaia di posti di lavoro, ha portato a una svalutazione delle garanzie delle banche. «È ora di invertire la rotta», insiste, a ragione, Confedilizia. Come se non bastasse, a gettare benzina sul fuoco, arrivano le statistiche europee: l’ultimo rilievo Eurosta certifica prezzi delle case nell’area euro in crescita ovunque, mediamente del 4,1%, con punte record in Repubblica ceca (+12,3%), Irlanda (+12%) e Portogallo (+10,4%). Mentre in Italia calano dello 0,9%. «Puntuale, arriva da Eurostat il comunicato sull’anomalia del mercato immobiliare italiano. I prezzi delle case (e cioè il risparmio delle persone) calano ancora nel nostro Paese e crescono nel resto d’Europa. Che cosa pensano di fare i partiti?» si chiede il presidente di Confedilizia. La cui posizione non è di critica a prescindere, anzi: è lo stesso Spaziani Testa, per primo, a congratularsi col governo gialloverde quando è il caso. La dimostrazione? Il cosiddetto Sismabonus: «L’impegno del Governo per un sempre maggiore sviluppo del Sismabonus, manifestato oggi dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio Vito Crimi, è molto positivo», dice. «Come Confedilizia ha sempre sostenuto, l’obiettivo del miglioramento della sicurezza del nostro patrimonio edilizio si può raggiungere solo attraverso una decisa politica di incentivi alla realizzazione di interventi sugli immobili. Per altro verso, occorre apportare alcune migliorie alla normativa vigente – che da parte nostra stiamo già sottoponendo ai Ministeri competenti – affinché di essa possano avvalersi tutti i potenziali beneficiari, con particolare riferimento alle famiglie meno ambienti».

PONTE MORANDI, UN AIUTO CONCRETO AI GENOVESI

Il 18 febbraio i vertici di Confedilizia hanno consegnato un assegno da 30 mila nelle mani del Comune di Genova il quale si occuperà di distribuire quei fondi ai familiari delle vittime di ponte Morandi. I soldi serviranno per

finanziare borse di studio per i bambini e ragazzi che nella tragedia del 14 agosto hanno perso il capofamiglia. «L’idea di una sottoscrizione tra i nostri associati è nata all’indomani del disastro», spiega il presidente naziona-

le di Confedilizia Giorgio Spaziani, «e in tanti hanno contribuito, con piccole o grandi somme, abbiamo scelto la strada della borsa di studio per lanciare uno sguardo al futuro, attraverso la formazione dei giovani». marzo 2019 95


BIBLIOTECA Antonio Quaglio Laureato in Economia aziendale all’Università di Venezia, è stato inviato e caporedattore a Il Sole 24 Ore. Collabora a www.ilsussidiario.net.

CONTRO IL RISCHIO SISTEMICO IL BAIL-IN FUNZIONA

A

tre anni dall’entrata in vigore del bail-in (Bank recovery and resolution directive) il confronto tra studiosi e regulator è ancora aperto: sotto i riflettori incandescenti di opinioni pubbliche ripetutamente colpite dagli effetti economico-finanziari di una lunga crisi bancaria sia da quelli politico-mediatici. Il caso italiano è emblematico: per l’estensione e gravità dei dissesti (maturati a cavallo dell’entrata in vigore della regolamentazione europea) e per gli impatti nel dibattito pubblico e negli stessi equilibri politici. Non è quindi una coincidenza che siano stati due ricercatori italiani a volersi misurarsi sulla validità del bail-in, ancora a caldo ma già su un primo terreno di dati statistici. Il paper “Bail-in or bail-out? Correlation networks to measure the systemic implications of bank resolution” - pubblicato dalla testata digitale Risks nel gennaio scorso - è strettamente per addetti ai lavori, com’è lecito attendersi anzitutto dal curriculum dei due autori: Paolo Giudici, ordinario di statistica all’università di Pavia è da tempo un data scientist affermato nelle ricerche orientate ai mercati finanziari; Laura Parisi, laureata in fisica teorica a Pavia, lavora oggi come research analyst alla Direzione vigilanza microprudenziale della Bce, a Francoforte. Il loro punto d’osservazione è principalmente quello dell’authority di vigilanza: il cui obiettivo è minimizzare le perdite di un dissesto bancario emergente, anzitutto limitando la diffusione di rischi sistemici. Gli scenari alternativi studiati sono tre: la messa in sicurezza di una banca distressed attraverso ricapitalizzazione sul mercato; il bail-in (quindi l’utilizzo di procedura di riassetto pilotato in vigore dal 2016 nell’Eurozona, con la partecipazione alle perdite per azionisti e obbligazionisti e tutela parziale per i depositanti); oppure l’abbandono della banca alla liquidazione. Il PAOLO GIUDICI 96 marzo 2019

Paolo Giudici (Università di Pavia) e Laura Parisi (Bce) hanno costruito un modello per misurare l’effetto-contagio durante una crisi bancaria Credit default swap (Cds) è il principale strumento di ricerca posto al centro di un sofisticato modello econometrico che ricostruisce e simula l’effetto-contagio di un focolaio di crisi. Nelle “reti di correlazione” Mps è stato collocato come banca distressed mentre UniCredit, Intesa Sanpaolo, Mediobanca, Banco Popolare, Bpm e Ubi hanno ricomposto il sistema bancario soggetto a rischio. II valori di bilancio sono stati assunti a fine 2015 mentre l’andamento dei Cds è stato quello rilevato sui mercati nei primi nove mesi del 2016. Per Giudici e Parisi i risultati di un complesso esercizio statistico sono ben leggibili: “Dal punto di vista del sistema bancario, un intervento privato di salvataggio e una risoluzione bail-in emergono sempre come in grado di ridurre le perdite potenziali del settore bancario rispetto all’opzione liquidatoria. In particolare: l’utilizzo del bail-in produce una leggera riduzione ulteriore dell’effetto contagio rispetto alla ricapitalizzazione sul mercato. Gli esiti dell’analisi mostrano che nel caso in cui una banca distressed non si salvi dopo il bail-in o la ricapitalizzazione le perdite attese a livello di sistema crescono: in misura più pronunciata dopo un intervento privato”.


EDUCAZIONE FINANZIARIA Paolo Zucca Iscritto all’Ordine dei Giornalisti dal 1979, già responsabile del supplemento de II Sole 24 Ore Plus 24. Partecipa a tutorial e iniziative contro l’eccessivo uso del contante. Twitter @pzu551

DELLE RISPARMIATRICI SI SA MOLTO, NON TUTTO

P

rovate ad affiancare le rilevazioni sui comportamenti dei risparmiatori italiani e cercate delle spiegazioni convincenti ai tanti comportamenti apparentemente illogici. Perché tanto denaro rimane liquido e quindi in perdita, perché l’impressionante numero di cellulari non si trasforma in pagamenti digitali, perché la casa piace nonostante l’investimento immobiliare sia quasi ovunque poco remunerativo e comunque più faticoso da seguire. Perché le banche siano generalmente criticate salvo la propria da cui non ci si stacca anche se il trasferimento dei conti, dei dossier titoli e dei mutui è diventato molto più facile. Perché si ha sfiducia nella tenuta della pensione pubblica ma ci si muove poco verso la complementare. Si potrebbe continuare. Non è ancora stato trovato - così almeno appare - un giusto atteggiamento verso il denaro, milioni di italiani ondeggiano tra l’ansia che vira in angoscia o l’allegra disattenzione con punte di fatalismo. O troppo o troppo poco interesse. Sarà d’aiuto la rilevazione che verrà presentata al Salone del Risparmio 2019 (dal 2 al 4 aprile al MiCo-Milano Congressi) per capire meglio il rapporto tra risparmiatori e consulenti. Assogestioni ha affidato a Demia il compito di sondare un campione rappresentativo degli italiani alle prese con intenzioni, dubbi, scelte e comportamenti nell’investimento di 30mila euro. Nello stesso tempo verrà riportata l’opinione di un campione di consulenti bancari e finanziari che diranno la loro sugli atteggiamenti e le richieste dei clienti. Sono risparmiatori affascinati dal “fai da te” con le tante informazioni e proposte disponibili sulla rete, cercano la consulenza ma non si affidano completamente e tanto meno a un solo interlocutore. Ne esce una descrizione incompleta del patrimonio, in parte curato direttamente e in parte gestito in delega da uno o più professionisti. E’ un altro comportamento apparentemente inefficiente e che va indagato. Anche in questo caso trapela uno strano mix di fiducia per simpatia e sospetti o piccoli segreti da non rivelare, emerge un risparmiatore che non ha ancora preso le misure con il proprio consulente. È una fotografia mossa, quella realizzata da Doxa nel settembre scorso per il Forum della finanza sostenibile ed è particolarmente interessante dove mira a indagare i comportamenti e le attese delle risparmiatrici e la percezione delle consulenti donne. Quello delle scelte di genere, nella domanda e nell’offerta di consigli di denaro, è uno dei capitoli promettenti da scrivere nei prossimi anni. Donne sempre più autonome nelle scelte di investimento, con sensibilità diverse, formazione scolastica molto alta ma lontana dagli indirizzi matematico-statistici, più attente alla

Il ruolo delle donne consulenti sta crescendo e aiuterà l’universo femminile a investire consapevolmente casa, all’ambiente e alla vecchiaia e comunque non abbastanza per la copertura di una longevità superiore di quasi 5 anni ai maschi. Quando si chiedono, a un campione rappresentativo di italiani, le finalità dell’investimento la voce “per non lasciare troppa liquidità sul conto corrente” raccoglie il 38% fra gli uomini e il 33% fra le donne. Nel “far fruttare dei rendimenti sul capitale investito” si riconosce il 48% dei maschi contro il 40% delle risparmiatrici. Gli obiettivi sembrano diversi o forse l’interesse a conoscere i criteri basi dell’investimento sono diversi. In controluce si legge una preferenza complessiva per il rischio contenuto e la maggior disponibilità delle donne ad accogliere i consigli del consulente forse perché consapevoli di non saperne abbastanza (il 37% si dichiara poco informata e il 3% per nulla sui prodotti finanziari) contro il 32% e 1% degli uomini, più esposti al rischio di overconfidence, cioè la presunzione di sapere tutto. Viceversa è più ampia la disponibilità all’investimento nei settori più responsabili a conferma dell’attenzione, all’ambiente, alla salute, al superamento dei gender gap nella gestione della società e degli investimenti. Piacciono molto i prodotti dedicati alle donne e piace la donna consulente, sebbene tutti gli interpellati mettano al primo posto la professionalità e non il genere. Ma i numeri sono tanti altri e le rilevazioni future permetteranno letture più di dettaglio dei comportamenti. Si può ragionevolmente prevedere che nei prossimi anni l’investimento delle italiane e l’offerta di professioniste della consulenza, sulla spinta dell’industria del risparmio che tenderà a confezionare prodotti più segmentati, porterà a una maggiore consapevolezza delle potenzialità del denaro investito. I numeri da cui si parte sono le circa 8mila consulenti finanziarie attive (su 12mila ufficialmente iscritte) e le 84mila dipendenti bancarie in buona misura impegnate nel rapporto con la clientela. Scende la presenza femminile nelle investment bank ed è invece significativa (il 47%) nelle assicurazioni e negli agenti immobiliari (32%) senza contare il franchising finanziario con tutte le attività di credito specializzato. marzo 2019 97


MALALINGUA Vittorio Borelli Giornalista di lungo corso, condirettore de Il Mondo, fondatore e direttore di East, già direttore delle relazioni esterne di Unicredito nella gestione Rondelli-Profumo

BASTA COL NEGAZIONISMO STORICO, ORA C’È QUELLO 4.0

U

n certo giorno della preistoria Neanderthal III, figlio di Neanderthal II, decise di riempire di graffiti erotici la grotta in cui viveva. Non si sa perché lo fece, forse per noia, forse perché gli era scaduto l’abbonamento a Netflix, forse per rimorchiare una vicina che aveva vinto l’ultima edizione di Miss Caverna. Sia come sia, quando Neanderthal II vide che il figlio aveva rappresentato un uomo che rincorreva una donna con il pistolino eretto non la prese affatto bene. Gli rifilò un colpo di clava sull’orecchio urlandogli: “Che cosa L’UOMO DI NEANDERTHAL penseranno di noi, nei millenni a venire, i Tucidide e i Plutarco, per non dire dei Galimberti e dei Galli della Loggia? Penseranno che eravamo degli stalker, dei violentatori seriali. Noi che dobbiamo subire ogni genere di molestie e di abusi da parte del MFM, il Movimento Femminista per il Matriarcato!”. Convinto più dalla clava che dal discorso paterno, Neanderthal III raschiò via il graffito e lo rifece stilizzando una donna arrapata che inseguiva un uomo. Fu così che nacque il negazionismo storico. Nel Medioevo qualcuno ipotizzava che la Terra non fosse piatta? Rischiava di essere impalato seduta stante. Qualcun’altro sosteneva che Colombo avesse scoperto l’America? Macché, ha soltanto trovato le Indie, ribattevano i negazionisti geografici. Fino a Bacone, Cartesio, Copernico, Galileo e compagnia il vizietto negazionista dilagò per la storia indisturbato. Fu l’avvento della scienza a metterlo in crisi. Ma non a estirparlo. Quando Isaac Newton fece il famoso esperimento della mela, per esempio, Nando Pagnoncelli rilevò nei suoi sondaggi un consenso quasi unanime. Soltanto la moglie dello scienziato si dichiarò scettica. Intervistata da un cronista d’assalto del Daily fact, la buona donna dichiarò: “Quella mela non è caduta per la forza della gravità, è caduta perché sull’albero Isaac aveva spruzzato dello scadentissimo Ddt cinese d’im-

portazione”. Il cronista avrebbe voluto approfondire le ragioni della clamorosa presa di distanza. Da rumors raccolti presso la Procura della Monarchia sospettava che lo scienziato inglese se la facesse con Maria Elena Boschi, ma non ebbe il coraggio di chiederne conferma a Lady Newton. Nel Novecento il negazionismo divenne una vera e propria mania. Hitler stermina milioni di ebrei con il gas? Sciocchezze, sono stati loro stessi a chiedere di potersi riscaldare con lo zyclon. Stalin scatena pogrom contro i kulaki? Poco credibile, l’Indomabile è stato visto piangere mentre tirava il collo a un Galletto Vallespluga, figuriamoci un kulako! Gli americani mandano Neil Armstrong sulla Luna? Una sceneggiata televisiva ben recitata da Tito Stagno. I vaccini salvano milioni di persone dal morbillo, dalla tubercolosi e dalla poliomelite? Fake news di Big Farma che non ha più margini di guadagno adeguati con l’Aspirina e con l’Hatù. Nel nuovo Millennio il negazionismo si è come atomizzato, investendo direttamente la sfera privata. Sei ignorante in fatto di storia? Una App sino-coreana ti fornisce un dottorato di laurea falso e ti trova una cattedra nella prestigiosa università di Beccacivetta. Non ci azzecchi coi congiuntivi? La App ti fa intervistare dalla Annunziata che te li convalida tutti aggiungendoci anche qualche participio passato che non c’entra un tubo. Sei brutto da far spavento? La App ti procura uno specchio magico in cui appari insieme a Pier Carlo Padoan e Ornella Vanoni. Lo spread rialza la testa? La App ti dà due possibilità: la più classica consiste nel dichiarare alla Salvini che te ne freghi, quella più maliziosa nell’insinuare che la responsabilità sia di Mario Draghi. Perché? Ma perché la sessione 2019 del Forum Ambrosetti si avvicina e SuperMario ha già annunciato che vuole occuparsi proprio di spread.

Dalla preistoria ai giorni nostri, negare l’evidenza è sempre più uno sport nazionale che investe anche la nostra sfera privata

98 marzo 2019




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