Novembre 2019 Euro 5,00 90010
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Conoscere, rischiare, guadagnare
INVESTIRE | ANNO I | N.10 | MENSILE | NOVEMBREE | DATA DI USCITA IN EDICOLA: 12 NOVEMBRE 2019 | POSTE ITALIANE S.P.A. - SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - D.L. 353/2003 (CONVERTITO IN LEGGE 27/02/2004 N° 46) ART. 1, COMMA 1, LO/MI
CONTI DEPOSITO CHI
tanto, CHI niente
L’era dei tassi negativi suona la sveglia agli italiani che hanno in parcheggio 1,4 miliardi di euro sui conti bancari. Per chi non vuol rischiare in Borsa, l’alternativa è il caro, vecchio, deposito vincolato. Che può dare soddisfazioni
«ECCO PERCHÈ I LISTINI MERITANO FIDUCIA» STEFANO VOLPATO (BANCA MEDIOLANUM) «A LUNGO TERMINE NON HANNO MAI DELUSO» Intervista con il direttore commerciale del gruppo guidato da Massimo Doris: «L’economia reale è la vera alternativa al crollo dei rendimenti dei Btp»
IN REGALO LA STORIA VINCENTE DELLE BORSE Un secolo di crescita dei mercati conferma la forza imbattibile del Pil
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EDITORIALE
Enasarco, Brebemi e altre storie di Sergio Luciano
C
i sono in Italia 87 miliardi di euro di risparmi intermediati dalle Casse private di previdenza che cercano ansiosamente investimenti di lungo termine e redditività sicura, con una fatica crescente legata alla stasi del mercato immobiliare e all’inedita epoca di tassi negativi che si è aperta nel mondo. Gli iscritti a queste Casse sono oltre 1,5 milioni di lavoratori, nella maggior parte dei casi liberi professionisti. Che si augurano che eventuali rovesci del destino, già in passato occorsi ad alcune di queste casse, per ragioni di mercato e/o di cattiva gestione, possano essere ammortizzati dall’intervento dello Stato. In altre parole: che se una Cassa previdenziale rischia di fallire, intervenga Pantalone. È già accaduto. Perché è questa la peculiarità delle Casse previdenziali private: vigilate come sono da due ministeri – Lavoro ed Economia – dalla Corte dei conti, da un’authority dedicata (la Covip) e da una commissione bicamerale, sono private ma hanno rilevanza pubblica. È chiaro a tutti, quanto sono importanti? Si spera di sì. Ebbene: una di esse, tra le più grandi, è l’Enasarco. Racchiude il 9% di quegli 87 miliardi e ha 230 mila iscritti, tutti agenti e rappresentanti di commercio. In primavera voteranno per rinnovare i vertici gestionali. E per la prima volta l’assetto tradizionale viene messo in discussione da un fronte di associazioni che rappresentano le forze dissidenti dalla gestione del passato. Tra esse, risalta l’Anasf, l’Associazione dei consulenti finanziaria presieduta da Maurizio Bufi, che già oggi esprime un consigliere nel cda nella persona di Alfonsino Mei. Alleandosi con Federagenti Cisal e Fiarc l’Anasf sta seriamente ipotecando il successo. E Investire, in questa sfida, la sosterrà. Per una ragione evidente. I consulenti finanziari attivi sono circa 25 mila e per professione assistono i loro clienti nell’allocazione dei loro risparmi. Sono professionisti del ramo. È assurdo che la Cassa non si avvalga del contributo specialistico che può provenire da una delle componenti della sua base associativa. È accaduto finora per una delle tante anomalie storiche dell’ente. È ora che quest’anomalia sia sanata. Oltretutto della necessaria evoluzione gestionale delle Casse si sta occupando attivamente la Commissione bicamerale presie-
duta dall’onorevole Sergio Puglia, un esperto della materia. Se i titoli di Stato rendono poco e niente, potrebbe essere il momento anche per le Casse, pur con tutte le prudenze (e magari con una garanzia statale di ultima istanza), di affrontare almeno in parte anche investimenti alternativi, come il private equity (che ormai un colosso del risparmio gestito come Azimut offre anche ai comuni investitori) o le grandi infrastrutture dai rendimenti sicuri. A questo riguardo va segnalato un caso finanziario che avrebbe meritato le prime pagine dei quotidiani e la prima serata dei Tg. È quello della Brebemi, l’Autostrada A35 Brescia-Milano presieduta da Franco Bettoni. Ebbene nei giorni scorsi la Brebemi – zitta zitta – ha emesso e collocato sul circuito Euronext Dublin, organizzato e gestito dalla Borsa irlandese, un prestito obbligazionario da 1,6 miliardi di euro, che è stato interamente sottoscritto da investitori internazionali tra cui importanti fondi sovrani, e un finanziamento da 307 milioni erogati da un pool di banche primarie come Unicredit, Banco Bpm, Unione di Banche Italiane, Monte dei Paschi di Siena e Intesa Sanpaolo. Ecco un tipico investimento in infrastrutture redditizie che anche le Casse potrebbero e forse presto dovranno iniziare a fare. Purchè ben guidate da vertici competenti. Infine una nota sull’iniziativa speciale che Investire ha lanciato con questo numero grazie alla collaborazione di Banca Mediolanum. Il grafico che alleghiamo in omaggio dimostra a colpo d’occhio, ma poi motiva numericamente, una confortante certezza: che cioè le Borse mondiali, nel loro insieme, non hanno mai deluso il risparmiatore che abbia puntato su di esse negli ultimi novant’anni, salvo per brevissime parentesi. Ne parla diffusamente Stefano Volpato nell’intervista all’interno: oggi l’economia reale va meglio di quanto sia percepito ed è su di essa, tramite le Borse, che ha senso scommettere. Quindi ritornare a investire nell’azionario è sacrosanto, come non a caso l’istituto fondato da Ennio Doris propugna. Sostenendo però, contemporaneamente, quella riforma dei Pir – i piani individuali di risparmio – che potrebbero ricollegare al risparmio degli italiani le migliaia di migliaia di aziende private non quotate che meritano però fiducia.
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Registrazione Tribunale di Milano N. 126 del 27/3/1982 Direttore responsabile Sergio Luciano Caporedattore Marco Muffato Newsroom Marina Marinetti, Marco Scotti, Riccardo Venturi, Raffaela Jada Gobbi, Liliana Nori Hanno collaborato Antonio Quaglio (Consulente
del direttore), Francesco Bellizzi, Ugo Bertone, Annalisa Caccavale, Angelo Curiosi, Giacomo Damian, Giuseppe De Lucia, Francesco Di Ciommo, Giuseppe D’Orta, Fabiana Giacomotti, Giannmarco Litrico, Davide Passoni, Federico Pirro Matteo Ramenghi, Claudio Riva, Mario Romano, Nicola Ronchetti, Monica Setta, Gloria Valdonio, Paolo Zucca Contributors Vittorio Borelli, Enrico Cisnetto,
Giuseppe Corsentino, Anna Gervasoni, Glauco Maggi, Andrea Margelletti, Marco Onado, Francesco Priore, Matteo Ramenghi, Giulio Sapelli, Franco Tatò Partnership Editoriali Assoimmobiliare Redazione info@economymag.it Segreteria di redazione Monia Manzoni Presidente e A.D. Giuseppe Caroccia
Editore incaricato Domenico Marasco Responsabile commerciale Luca Ronzoni Casa editrice Economy Group s.r.l. Piazza Borromeo 1, 20123 Milano Tel. 02/89767777 Distribuzione Pressdi - Via Mondadori, 1 Segrate - 02 7542097 Stampa Stampa Rotolito. S.p.a 20063 - Cernusco S.N. (MI)
novembre 2019
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SOMMARIO Novembre 2019
05 EDITORIALE
di sergio luciano
15 IL GERMANISTA
11 WATCHDOG
di marco onado
16 FINANZA REALE
Enasarco, Brebemi e altre storie
Chi fa la valutazione fondamentale con i robot?
12 IL SISMOGRAFO
di g.sapelli
Peugeot è il partner migliore possibile di Fca
di franco tatò
La grana Est e la fine della socialdemocrazia
di a.gervasoni
Il mondo dell’illiquido è l’antidoto ai tassi zero
18 III REPUBBLICA
di e.cisnetto
Preparatevi, si voterà a giugno 2020
L’era dei tassi negativi tra i diversi svantaggi presenta anche un pregio: costringerà gli italiani a trovare alternative per i propri risparmi al tradizionale conto corrente. Che siano la Borsa o il deposito vincolato
COVERSTORY 20 CONTI DEPOSITO
La caccia al rendimento passa per un evergreen: il conto deposito. Che rappresenta un buon modo per sostituire l’asset obbligazionario nel portafoglio. Ecco le migliori proposte a 12 e 24 mesi
96 IMMOBILIARE
106 WHISKY
97 ASTE IMMOBILIARI
108 AUTOAPPASSIONATI
98 MODA & FINANZA
110 BIBLIOTECA
Nasce REinnovation lab
Acquistare online dagli uffici di Giustizia
Il cambiamento climatico incide sul fashion
Cresce la distillazione artigianale
Honda E, la piccola elettrica giapponese
Draghi, la colomba che ha salvato l’euro
102 DENARO DEI VIP
112 EDUCAZIONE FINANZIARIA
104 ARTE
114 MALALINGUA
Lo chef Sinisgalli racconta dove investe
Un algoritmo per acquistare i “passion asset”
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novembre 2019
La Lagarde non farà paura agli investitori
L’uomo di Neanderthal scrisse a Caravaggio
N.° 1 europeo nel risparmio gestito*
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Amundi Funds Multi-Asset Sustainable Future Costruire un mondo migliore è una decisione che premia.
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Investire oggi per un domani migliore: creare valore dal punto di vista finanziario e al tempo stesso sostenere un futuro responsabile attraverso scelte convinte in ambito ESG; forti di un’esperienza sviluppata in oltre 32 anni**; *** ; un investimento multi-asset bilanciato e conservativo per un profilo di rischio contenuto****.
amundi.it
MESSAGGIO PUBBLICITARIO CON FINALITÀ PROMOZIONALI. * Fonte: IPE “Top 400 Asset Managers” pubblicato nel giugno 2019, dati di AUM al 31 dicembre 2018. ** 32 anni di esperienza nell’investimento responsabile. *** Morningstar rating Classe G al 31 agosto 2019 © 2019 Morningstar. Tutti i diritti riservati. L’informazione qui contenuta: 1) è di proprietà di Morningstar e/o dei suoi fornitori di contenuti 2) non può essere copiata o distribuita; 3) non costituisce consulenza agli investimenti; 4) è fornita unicamente a scopo informativo; 5) non è garantito che sia accurata, completa e tempestiva. Né Morningstar né i suoi fornitori di contenuti sono responsabili per qualsiasi decisione di investimento, danno o altra perdita derivante dall’utilizzo di questa informazione. **** SRRI pari a 3. Per ulteriori dettagli sui rischi del comparto si rimanda al Prospetto e al KIID pubblicati sul sito www.amundi.it. Amundi Funds Multi-Asset Sustainable Future (di seguito “OICVM”) ha nominato Amundi Luxembourg SA, appartenente al gruppo Amundi, quale propria Società di gestione. Le informazioni contenute nel presente documento non costituiscono offerta al pubblico di strumenti finanziari né una raccomandazione riguardante strumenti finanziari. L’investimento comporta dei rischi. Prima di qualunque investimento, i potenziali investitori devono esaminare se i rischi annessi all’investimento siano appropriati alla propria situazione. In caso di dubbi, si raccomanda di consultare un consulente finanziario al fine di determinare se l’investimento sia appropriato. Prima dell’adesione leggere il KIID, che il proponente l’investimento deve consegnare all’investitore prima della sottoscrizione, ed il Prospetto, pubblicati sul sito www.amundi.it e disponibili gratuitamente presso i soggetti collocatori. L’OICVM non off re una garanzia di rendimento positivo o di restituzione del capitale iniziale. I rendimenti passati non sono indicativi di quelli futuri e non vi è garanzia di ottenere uguali rendimenti per il futuro. Il presente documento non è rivolto ai cittadini o residenti degli Stati Uniti d’America o a qualsiasi “U.S. Person” come definita nel SEC Regulation S ai sensi del US Securities Act of 1933 e nel Prospetto. Ottobre 2019. |
COSMOPOLITICA di andrea margelletti L’offensiva turca in Siria che imbarazza l’Europa
QUI PARIGI di giuseppe corsentino
La grande fuga dalla Borsa della capitale francese
QUI NEW YORK di glauco maggi
Gli Etf con gli indici generalisti hanno le ore contate
IL GIRO DEL MONDO IN 30 GIORNI
INVESTIRE SPECIALIST
Putin, le mani sull’Africa. In concorrenza con la Cina
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EDUCAZIONE FINANZIARIA/1 Annamaria Lusardi fa il punto sull’attività del Comitato
EDUCAZIONE FINANZIARIA/2 Una ricerca sul talento delle donne nella gestione del denaro EDUCAZIONE FINANZIARIA/3 Vincenzo Bafunno: serve se c’è equità fiscale tra i prodotti EDUCAZIONE FINANZIARIA/4 Giuseppe De Lucia spiega le iniziative di Assopopolari
EDUCAZIONE FINANZIARIA/5 Stefano Volpato esorta ad accettare la sfida del lungo termine
COMMERCIO GLOBALE/ Per Matteo Ramenghi i dazi pesano meno dei robot nel calo degli scambi
SGR/ Nicola Ronchetti racconta come è cambiato il mercato dell’asset management in Italia
SCENARI/ Il guru Jean Ergas traccia le previsioni macro dell’economia italiana e mondiale
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DOPO VOTO CANADA/ Con il Trudeau bis
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GESTIONI/ Con i tassi a zero il mantra dei gestori
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è di scommettere sull’azionario. Ma occhio ai rischi
DIAMANTI/1 Il migliore amico delle donne può esserlo anche di chi investe, a patto che...
DIAMANTI/2 Quelle pietre collocate a caro prezzo dagli sportelli bancari. Una brutta storia novembre 2019
FOOD/ Avanzano proteine vegetali e carne di sintesi. Un nuovo business per vecchi e nuovi attori MERCATI & DITTATURE/ Il grande fratello
IL CASO STRATEGAS/ Come si fanno profitti puntando sulla sola (ma vera) ricerca
FINANZA ETICA/ Raccolta e numero dei prodotti sostenibili sono in forte crescita. Ecco perchè
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ROBO-ADVICE/ Francesco Di Ciommo analizza la crescita della consulenza finanziaria robotizzata
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MONDO
SOMMARIO
80 82
cinese che ora dà il rating a tutti i cittadini
i petrolieri tremano e solo l’immobiliare vede rosa
PRIVATE EQUITY/ Bregal Milestone sbarca nel Belpaese. Il primo investimento è su Epipoli
SEDIE&POLTRONE/ L’italiana Monica Defend cresce di ruolo nel colosso Amundi
PROFESSIONE CONSULENTE/ Consigli per
l’advisor che vuole incrementare il suo portafoglio
CONSULTINVEST/ Si presenta la squadra degli stretti collaboratori del ceo Maurizio Vitolo
MINIBOT/ Ben fatti servirebbero ancora per fornire liquidità alle imprese creditrici della P.A. TECNOLOGIA & SERVIZI FINANZIARI/
Anna Gervasoni, un libro su banche e fintech
FARE IMPRESA AL SUD/ La Borsa e il private equity fanno meno paura agli imprenditori
POLE POSITION/ Netflix, quella preda appetitosa circondata da squali affamati
TALENT/ Dove mettere la liquidità è l’obiettivo della gara di novembre tra cf, fai da te e roboadvisor
II
II BANOR ESG
Il tuo patrimonio gestito sotto una buona stella ORIENTATI A GENERARE VALORE SOSTENIBILE, NEL TEMPO
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TORINO | MILANO | BOLZANO
WATCHDOG Marco Onado È professore senior di Economia degli intermediari finanziari nella Università Bocconi di Milano. È stato Commissario Consob. Collabora con “Il Sole - 24 Ore”, “Lavoce.info” e “voxeu.org”.
CHI FA LA VALUTAZIONE FONDAMENTALE NEL MONDO DEI ROBOT?
«Q
ualche volta guadagno di più quando starnutisco che quando sono attivo», diceva scherzando Warren Buffett, che ha sbagliato ben pochi investimenti nella sua vita. La realtà è che il guru di Omaha appartiene ormai a una minoranza: quella dei gestori che scelgono titolo per titolo in base ai fondamentali. Da qualche mese, più della metà degli scambi che si svolgono sui mercati mondiali è alimentata da gestori passivi che si affidano a tecnologie sempre più raffinate capaci di scegliere i titoli ed eseguire gli ordini a una velocità ormai largamente superiore a quella di un battito di ciglia. Il tutto mentre la funzione primaria dei mercati, cioè quella di fornire capitali alle imprese, rimane sostanzialmente invariata: la capitalizzazione di borsa in percentuale del pil non si è modificata significativamente negli ultimi decenni, neppure negli Stati Uniti. La prima grande rivoluzione degli scambi è segnata dall’avvento dell’High frequency trading, che mira ad ottenere profitti da variazioni dei prezzi in un intervallo temporale sempre più ristretto, grazie allo straordinario accorciamento dei tempi di esecuzione degli ordini. All’inizio di questo secolo si è scesi sotto la barriera del secondo, poi sotto i 400 millisecondi (un battito di ciglia); da tempo l’unità sono i microsecondi (milionesimi di secondo). Come ha detto un regolatore inglese, se si potessero fare acquisti al supermarket con questo ritmo, una famiglia media potrebbe fare la spesa di una vita in meno di un secondo. Ovviamente operazioni di tale rapidità non possono essere dominate neppure da Lewis Hamilton e quindi sono oggi affidate ad algoritmi sempre più sofisticati e capaci di dare indicazioni di investimento alla velocità della luce. Il che significa che le cosiddette strategie passive hanno gradatamente preso il posto delle scelte attive che guardano ai fondamentali dell’economia e delle singole società. Non c’è nulla di male nelle strategie passive: anzi, la loro diffusione grazie a Vanguard negli anni ‘70 è stata un grande passo avanti perché ha reso disponibile un prodotto a basso costo e rendimento allineato a quello del mercato. Il fatto è che la coesistenza tra gestione attiva e gestione passiva durata per qualche decennio è oggi minacciata dal fatto che la seconda riceve un vantaggio competitivo crescente dalla tecnologia. Ma un mercato dominato dalla gestione passi-
va è una contraddizione in termini: chi si occupa della valutazione fondamentale, cioè della funzione essenziale dei mercati? Si badi che non stiamo parlando di un pericolo potenziale: il Rubicone è stato già varcato. Oggi sul mercato americano, il 60 per cento degli scambi degli investitori istituzionali è frutto di programmi scritti dall’uomo ed eseguiti dai computer. L’effetto netto è che il mercato e gli scambi sono sempre più dominati dalla nuova stirpe di hedge fund, i cosiddetti quant fund, creati proprio per sfruttare un vantaggio dato dagli algoritmi e dalla loro velocità. L’intelligenza artificiale apre poi orizzonti tanto affascinanti quanto inquietanti. Abbiamo da tempo computer che battono i campioni mondiali a scacchi, ma è stato l’uomo a disegnare i programmi per impostare regole e strategie. Oggi invece Google ha messo a punto un computer che ha avuto bisogno solo che gli si spiegassero le regole, poi ha fatto tutto da solo. E ha vinto, aprendo un nuovo capitolo nella millenaria disputa filosofica sul libero arbitrio. Non stupisce che il mondo dei nuovi fondi si divida in due partiti: quello che usa computer che eseguono le istruzioni dell’uomo e quelli che invece lasciano gradatamente maggior spazio alla macchina e alla sua capacità di apprendere. Come Hal, il computer di 2001 Odissea nello spazio, le macchine possono però incepparsi e creare disastri: è stato così nel 1987 e nel cosiddetto flash crash del 2010 in cui a Wall Street 200 titoli persero più del 50 per cento in meno di mezz’ora. Ma il problema è molto più generale e riguarda il progressivo dominio della visione corta, cioè dello short-termism, rispetto a quella di lungo termine che rimane la funzione economica fondamentale dei mercati e che è l’unica bussola per chi vuole fare gli interessi dei risparmiatori. Per chi deve compiere scelte di investimento nell’interesse dei clienti, il problema è ancora più immediato: si scelgono infatti gestori in base a due criteri fondamentali: le performance passate e la strategia di investimento. Ma se la seconda è avvolta nel mistero degli algoritmi, rimane solo il primo criterio, che notoriamente è quello meno affidabile perché decenni di storia dei mercati dimostrano che le performance sistematicamente superiori alla media sono evento rarissimo, forse sospetto. Sarà il progresso, ma la vita degli operatori professionali diviene sempre più complicata. novembre 2019
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IL SISMOGRAFO Giulio Sapelli È Ordinario di Storia Economica presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Milano e direttore scientifico della Fondazione Enrico Mattei.
ECCO PERCHÈ LA PEUGEOT È IL PARTNER IDEALE DI FCA
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a fusione Fca-Psa era scritta nella storia. Molti hanno dimenticato che un accordo con quel gruppo, Torino l’aveva già tentato con Umberto Agnelli. Agli occhi della famiglia, da sempre, se c’era un interlocutore ideale per una possibile alleanza strategica quello era la Peugeot. E questo nonostante i forti legami atlantici degli Agnelli, forti ma mai costruttivi: non dimentichiamo le lunghe e improduttive trattative con la Ford per un accordo globale mai concretizzatosi che fu tra le ragioni per le quali Vittorio Ghidella dovette andarsene. E perché il gruppo francese è da sempre stato guardato da Torino come il partner ideale? Ma perché sono loro, i francesi, ad aver inventato l’auto. La potenza, la creatività ingegneristica dell’ingegner Citroen è negli annali. La business history dell’auto non lascia spazio a dubbi, su questo, per chi la conosce. Henry Ford ha inventato il modello T, l’utilitaria, e il nuovo processo produttivo su vasta scala, ma intanto i francesi inventavano ogni genere di modelli, utilitarie comprese, basti pensare alla 2 Cavalli, e a tante altre vetture straordinarie. Dunque con quest’accordo Fca si è seduta allo stesso tavolo dell’eccellenza automobilistica europea. La Germania è la potenza, la Francia l’eccellenza. Ma quali sono le ragioni della fusione? La si fa, in sostanza, perché nell’industria dell’auto il break-even point si è drammaticamente alzato: oggi per guadagnare non bastano più 6 milioni CARLOS TAVARES, CEO DI PSA di auto ma ce ne vogliono oltre 8. La supply-chain costa moltissimo, nonostante tutti gli sforzi di razionalizzazione compiuti. I costi delle componenti sono diminuiti nella componente logistica ma aumentati a livello industriale. Per i francesi l’accordo è una svolta dopo il sostanziale naufragio del triangolo Renault-Nissan-Mitsubishi, a seguito dello scandalo Ghosn. Probabilmente i francesi hanno capito che mettere insieme la loro cultura con quella giapponese è difficilissimo, a cominciare dal sistema giuridico. Assimilare la cultura italiana sarà molto più facile. Anche per Fca l’accordo è un approdo essenziale. Bloccata negli Usa dal naufragio di ogni trattativa con General Motors, Fca era chiusa anche in Cina e in generale sul mercato asiatico dove è di una debolezza drammatica, pur in un contesto problematico per tutti, francesi e tedeschi inclusi. Insieme, e sotto la guida di questo Carlos Tavares - che è con12
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siderato bravissimo e che Elkann ha avuto l’intelligenza di non mettere in discussione - i due gruppi unificati dovranno misurarsi con la questione di fondo dei prossimi anni: in che misura cioè lo sviluppo dell’auto elettrica sarà possibile, con quali impatti, modalità e tempi. Il problema principale non deriva tanto da complessità o controindicazioni tecnologiche ma dall’impatto sulla filiera. Per tutto l’indotto sarebbe il crollo, un’auto elettrica ha un’infinità di componenti in meno, è…come un frigorifero, vuoto dentro. Questa prospettiva fa tremare i polsi. Ma io vedo ancora molta incertezza sull’ipotesi di uno sviluppo inarrestabile dell’auto elettrica. L’avvento e il trionfo dell’auto nella vita dell’uomo contemporaneo è legato all’affermarsi della libertà di movimenti applicata alla volontà dell’individuo. In qualunque momento voglia l’automobilista accende il motore e parte, una pompa di benzina la trova ovunque e in un attimo fa il pieno. Prima che questa modalità d’impiego possa riprodursi anche nel mondo dell’auto elettrica occorrerà che si affermino nuove tecnologie di conservazione dell’energia e di ricarica rapida. E rinnovare la rete delle stazioni di servizio abilitandola alle ricariche elettriche non può essere né rapido ne facile, perché implica un efficiente rapporto pubblico-privato. Non temo invece che per l’Italia da quest’accordo derivi un elevato rischio sociale. Anzi, sarà meno grave di quanto si pensi. A Mirafiori le linee sono moderne, dedicate all’auto elettrica e all’ibrido. A quel che si sa, i nostri stabilimenti non dovrebbero essere a rischio. Semmai per il settore la nuova sfida nascerà dall’accordo sindacale firmato dalla General Motors. E’ un accordo storico perché ha salvato due stabilimenti dalla chiusura e ha ottenuto per i lavoratori un aumento da 38 a 40 dollari all’ora, ma soprattutto ha imposto all’azienda di retribuire i nuovi assunti quanto i vecchi. Le Unions hanno tenuto duro, respingendo l’idea di avere operai di serie B. Ora quest’impostazione verrà mutuata in altri accordi, in Ford e in Chrysler - quindi in Fca - con i relativi aumenti di costo: i sindacati l’hanno già annunciato. Dunque se i due partner dell’accordo dimostreranno intenzioni cattive non gli sarà facile fare macelleria sociale né negli Usa, né in Italia e tanto meno in Francia, dove le rivolte dei gilet gialli non rendono certo consigliabili provocazioni su questi terreni.
IL GERMANISTA Franco Tatò Manager eclettico e innovativo, è tra i pochissimi italiani ad aver diretto aziende in Germania, paese (e cultura) che ama ed è l’unico ad essere stato amministratore delegato sia di Rizzoli che di Mondadori
LA GRANA DELL’EST E LA FINE DELLA SOCIALDEMOCRAZIA
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e recenti elezioni in Turingia, Stato regione della Germania est, offrono almeno tante occasioni di riflessione quanto le quasi contemporanee elezioni in Umbria. La differenza di base che rende le due elezioni difficilmente confrontabili, consiste nel fatto che mentre l’Umbria, pur essendo una regione prevalentemente agricola, può essere considerata un test significativo di quanto potrà accadere a livello nazionale, la Turingia, anch’essa regione prevalentemente agricola, rappresenta soltanto quanto può accadere nelle regioni dell’est, sorprendentemente ancora culturalmente non integrate, dopo trent’anni, nel corpo della Germania unita, pur valendo in questi territori la stessa Costituzione e le stesse leggi della Germania Federale. La cosa è sorprendente in quanto, alla caduta del muro, tutti i tedeschi dell’est parevano desiderare una totale integrazione nell’ovest, affascinati dal tenore di vita e dalla diffusa ricchezza della Germania occidentale, fino a quel momento conosciuta solo dalla televisione e dai racconti dei transfughi. Presto si sono resi conto che quel benessere doveva essere guadagnato con duro lavoro e un evidente aumento dei rischi individuali. L’unificazione della Germania è stata il capolavoro politico di Helmut Kohl, che rivelando inaspettatamente una eccezionale statura di uomo di Stato, in soli 11 mesi risolse tutti i problemi giuridici e politici di una situazione completamente nuova, riuscendo a imporre un’unica Costituzione e il modello dell’economia sociale di mercato. Un’altra grande realizzazione fu l’istituzione di un organismo, la Treuhandanstalt, con l’inca- HELMUT KOHL rico di privatizzare le aziende dell’est di totale proprietà dello Stato. A questa decisione si opponeva una parte della Spd, il cui segretario Oscar La Fontaine sognava una specie di mega Iri, espressamente citata come se fosse un esemplare modello di gestione. La Treuhandanstalt privatizzò in breve tempo 12.000 imprese e mise mano al suo ordinato autoscioglimento. Nei trent’anni successivi il governo federale ha investito all’est enormi quantità di denaro rinnovando tutte le infrastrutture del paese, in particolare autostrade e ferrovie, ma anche le telecomunicazioni e il sistema industriale. Numerosi manager dell’ovest si sono trasferiti all’est per gestire le aziende privatizzate o i nuovi investimenti, con il risultato che oggi l’est della Germania ha infrastrutture e industrie più moderne dell’ovest. Il reddito pro capite dei cittadini della Germania est ha superato quello del meridione d’Italia, e questo con spese che non raggiungono la metà di quanto speso dall’Italia per sostenere
il sud. Analogamente a quanto avvenuto in Italia, anche in Germania si sono avute grandi difficoltà nella creazione di un indotto locale, motivo per cui essendo le condizioni di carriera e di miglioramento personale ancora drammaticamente superiori all’ovest rispetto all’est, il drenaggio della popolazione è continuato anche dopo l’unificazione e queste regioni si trovano ora spopolate, avendo perso negli ultimi anni circa 1 milione di cittadini. Il fatto che siano emigrati soprattutto i giovani spiega la forza della Sed, cioè del vecchio Partito Comunista, ma rende ancora più sorprendenti risultati elettorali che premiano quasi dappertutto l’AfD, partito xenofobo e sovranista. Francamente, i risultati delle elezioni in Turingia suscitano più tristezza che preoccupazione. Va detto che la Regione era già guidata dalla Linke, partito dei nostalgici della Ddr, in coalizione con i Verdi, grazie alla personalità di Bodo Ramelow, presidente uscente accettato anche dalle opposizioni. La Cdu, artefice della riunificazione, perde il 10% diventando il terzo partito del Land, dopo l’AfD che raddoppia i consensi e si colloca, con il 23,4% al secondo posto. Essendo la Spd ridotta all’8,2%. L’infelice Grande Coalizione che forma il governo federale non è riproducibile a livello locale, neppure se lo si volesse. Sarebbe invece possibile una coalizione tra comunisti e nazisti, con il 55% dei voti, una situazione analoga a quella dell’Italia di qualche tempo fa. La perdita dello 0,8% dei Verdi rende impossibile una riproduzione della coalizione oggi al governo: un bel problema di non facile soluzione. L’unica cosa veramente certa è l’ indebolimento di Angela Merkel, indebolimento che può avere qualche effetto positivo a livello nazionale. Questa situazione costringe infatti la Cdu a riconsiderare tutte le più importanti questioni ancora aperte. L’inerzia dimostrata dal partito nella campagna per le elezioni in Turingia rende urgente una revisione radicale degli schemi operativi, non tanto per le prossime elezioni ancora distanti, ma per l’imminente profonda crisi del mercato automobilistico in conseguenza dell’esplosivo emergere delle macchine elettriche, con o senza guidatore. Alle conseguenze sociali di questo profondo cambiamento, non sembra essere impreparata solo l’industria automobilistica, ma soprattutto la politica che sarà chiamata a un energico intervento perché non scompaia il superstite 0,5% di crescita stimato. Ora diviene chiaro perché si è stati costretti alla grande coalizione, non solo per la debolezza della Cdu, ma per la incomprensibile quasi scomparsa della socialdemocrazia. È questa è la vera preoccupazione di tutti noi. novembre 2019
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FINANZA REALE Anna Gervasoni Professore Ordinario di Economia e Gestione delle Imprese alla Liuc di Castellanza. È anche direttore generale dell’Aifi (Associazione italiana del private equity, venture capital e private debt)
L’ANTIDOTO AI TASSI ZERO? IL MONDO DELL’ILLIQUIDO
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n un mercato di tassi a zero o negativi, con un prodotto interno lordo che non cresce né in Italia né in Europa, come faccio a mettere a frutto i capitali? Guardo alle imprese, uno scenario composito con - purtroppo molte realtà in crisi ma anche tante aziende a potenziale, che danno o possono dare ottimi risultati e spesso non sono quotate. Come faccio a catturare il loro valore? Come posso investire capitali per lo sviluppo nelle imprese che ne hanno bisogno così da farli fruttare? In finanza si deve sempre partire dall’economia reale. Quali sono le imprese che performano meglio? Quelle guidate da imprenditori e manager che attuano piani industriali sfidanti, cogliendo le opportunità del contesto non solo locale. Una leva fondamentale per le imprese italiane è infatti l’internazionalizzazione. Ma servono capitali. Una ricerca presentata in questi giorni dalla Liuc - Università Cattaneo, dimostra come l’attività di private equity aiuti l’internazionalizzazione aziendale: infatti nell’82% delle operazioni di investimento il private equity ha contribuito a migliorare i processi di espansione delle società che ne sono oggetto. Sebbene la grande maggioranza di queste era già operante fuori dai confini nazionali prima dell’ingresso da parte dei fondi, l’espansione sul mercato estero è cresciuto ulteriormente, in oltre il 90% dei casi. Le aziende in fase non ancora così avanzata, durante il periodo di permanenza del fondo, il cosiddetto holding period, hanno avviato, nella metà dei casi, il processo di ingresso per aggredire nuovi mercati oltre a quello italiano. La ricerca mostra anche la presenza di tali società in diverse aree geografiche ed è interessante vedere come le imprese scelgono il mercato europeo, americano e asiatico, ma Gran Bretagna e Francia restano le mete favorite nel vecchio continente dalle società che intraprendono i percorsi di internazionalizzazione. Per quanto concerne la crescita oltre confine le imprese hanno incrementato il fatturato estero in un caso su tre attraverso l’apertura di una nuova sede nel Paese in cui hanno deciso di operare. La seconda modalità preferita è la ricerca e la contrattua16
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Investire capitali sulle imprese che ne hanno bisogno così da farli fruttare. Già ma quali? Le aziende nel mirino del private equity e che cercano di imporsi all’estero lizzazione di agenti o distributori. Altro elemento interessante riguarda le attività di M&A svolte dalle società oggetto di analisi; le aziende che vogliono internazionalizzarsi realizzano in media quasi due operazioni di acquisizione, privilegiando l’acquisto di competitor per consolidarsi sul mercato. Contrariamente a molti preconcetti, le più attive in questo processo sono le Pmi che operano nei settori industriali e dei beni di consumo e il 59% di queste ha un fatturato inferiore ai 50 milioni di euro. Si crea valore e si creano opportunità di profitto, ben oltre i trend di mercato. Questi dati dimostrano come le opportunità ci sono per chi le vuole cogliere, ma saper intercettare imprese che sanno progettare e portare avanti piani ambiziosi di sviluppo non è banale. E’ il complesso mestiere di chi fa private capital, che analizza dossier di numerose e variegate aziende che chiedono finanza per lo sviluppo, le seleziona, decide di investire, condivide una forte disciplina aziendale e governance e le affianca nel percorso di internazionalizzazione per diversi anni, secondo l’orizzonte temporale previsto nel piano industriale. Fare questo lavoro richiede professionalità, competenza aziendale e grande capacità di interfacciarsi con il mondo dell’impresa. Dietro a rendimenti mediamente molto elevati, ci sono singole operazioni diverse per profilo di rischio e anche per rendimento. Quindi: grande cautela nella scelta del gestore e soprattutto consapevolezza del fatto che mi sposto su orizzonti temporali di lungo periodo e entro nel mondo dell’illiquido.
critEri EsG aziEndE sostEnibili
azioni intErnazionali
diVErsificazionE
pErformancE sEmprE più GrEEn, pEr una crEscita sostEnibilE. Eurizon Fund Sustainable Global Equity (lu1529957687) Le aziende non generano profitti tutte allo stesso modo: i profitti generati con l’attenzione al benessere delle comunità e all’ambiente sono più sostenibili nel tempo, rispetto ai profitti ottenuti con strategie opportunistiche di breve periodo. Per questo Eurizon Fund Sustainable Global Equity investe sui mercati azionari internazionali e si distingue per: l’utilizzo di una strategia che integra l’analisi EsG (di impatto ambientale, sociale e di governo aziendale) e l’analisi fondamEntalE per individuare aziende con vantaggi competitivi sostenibili nel tempo; ricercare Extra-pErformancE nel lungo termine rispetto al benchmark 100% MSCI World Hedged in Euro. Eurizon fund sustainablE Global Equity è un Comparto del fondo lussemburghese Eurizon Fund, istituito da Eurizon Capital S.A. e gestito da Eurizon Capital SGR S.p.A..
Società del gruppo
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TERZA REPUBBLICA Enrico Cisnetto È un editorialista, economista e conduttore televisivo italiano, ideatore della trasmissione televisiva Roma InConTra. È conferenziere, consulente politico-strategico e tifoso della Sampdoria
PREPARATEVI, SI VOTERÀ A GIUGNO 2020
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reparatevi, si vota a giugno dell’anno prossimo. Dopo aver varato, in sede di governo ma non ancora in Parlamento, la nuova legge di Bilancio, il governo Conte2 potrà ragionevolmente durare ancora qualche mese al massimo, resistendo alle continue e fortissime fibrillazioni che l’attraversano, ma poi finirà per capitolare. E il punto di caduta, non fosse altro per la ferma intenzione del Quirinale di non avventurarsi in altri tentativi di trovare nuove maggioranze (che non ci sono) o anche nuovi equilibri dentro questa (ci sarebbero, se fosse “sacrificato” il presidente Conte), non potrà che essere rappresentato dalle elezioni anticipate. Vedrete, l’esecutivo giallorosso e la maggioranza composita che lo sostiene resisteranno fino a primavera, essendo prioritario per tutte le sue componenti il sedersi al “tavolo nomine”, cioè quello che tra marzo e aprile sceglierà decine di manager da mettere a capo delle maggiori società del nostro capitalismo. Ma andare oltre sarà difficile, per non dire impossibile, perchè il traguardo successivo, quello della scelta del successore di Mattarella, è troppo lontano per consentire a “Giuseppi” di resistere fino a febbraio 2022. Così è logico attendersi il voto tra maggio e più probabilmente giugno prossimi. Anche perchè una tale eventualità consentirebbe a tutti – senza assumersene la diretta responsabilità politica – di evitare l’entrata in vigore della norma che riduce il numero dei parlamentari. Nessuno lo dirà mai, ma non c’è forza politica che non manterrebbe volentieri le attuali composizioni di Camera e Senato. Compresi i pentastellati, che tra l’altro hanno già potuto lucrare il vantaggio di essersi intestata la sua approvazione (non portando a casa niente, come si è visto in Umbria), Inoltre il Pd zingarettiano avrà interesse a non concedere altro tempo a Renzi di organizzarsi, e i 5stelle alla fine vedranno nelle elezioni l’occasione per regolare i conti interni e avviarsi verso scissioni che ormai incombono sulla loro testa, visto che un pezzo (Di Maio) è destinato ad andare con Salvini e Meloni, un altro (Grillo, Fico) con il Pd o gli altri soggetti più piccoli della sinistra, e un terzo pezzo aiutare Conte se tenterà, come è sempre più probabile, di “mettersi in proprio”. Ma, oltre che inevitabile, è bene o è male che tutto questo accada? I lettori più attenti di questa rubrica ricorderanno come io salutai col pollice alzato la nascita dell’attuale governo. Non perchè confidassi minimamente nelle capacità sue e tantomeno della nuova maggioranza, di mettere mano ai problemi del Paese. Ma perchè lo giudicai un male minore rispetto a quello rappresentato dalle altre ipotesi di soluzione della crisi aperta da Salvini. Resto convinto che quella valutazione fosse corretta, ma certo il combinato disposto 18
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GIUSEPPE CONTE
L’esecutivo giallorosso e la maggioranza resisteranno fino a primavera, così da scegliere le decine di manager da mettere a capo delle maggiori società del nostro capitalismo della deprimente qualità della manovra di bilancio appena varata e delle altre (pochissime) scelte di programma del nuovo esecutivo, con il tasso di conflittualità che alberga nella maggioranza, mi induce a pensare che il tempo comprato come “male minore” sia ormai esaurito. Certo la fine della litigiosità con l’Europa e la scomparsa dalla scena politica delle suggestioni sovraniste dei 14 mesi gialloverdi, rimangono vantaggi di non poco conto per l’Italia. Ma lo spettacolo che la politica continua ad offrire è talmente imbarazzante che è difficile non farsi prendere dal desiderio di mettere la parola fine a questa brutta esperienza. La ragione per cui Pd e 5stelle si sono messi insieme, cioè evitare il voto anticipato e arginare Salvini, non regge più. E, anzi, l’anti-salvinismo favorisce solo Salvini. Meglio smettere. (twitter@ecisnetto)
OPERAZIONE LIQUIDITÀ
INFRANTO IL TABÙ DEI TASSI NEGATIVI CONTO DEPOSITO ÀNCORA DI SALVEZZA di Gloria Valdonio
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l Terzo Millennio infrange un altro tabù. Per la prima volta nella storia il denaro, anziché generare una rendita, potrebbe essere oggetto di imposta. E la tassazione della liquidità depositata nei conti correnti potrebbe propagarsi in tutta Europa. A settembre alcune banche francesi hanno annunciato l’applicazione di un tasso negativo sui conti correnti di persone con patrimoni elevati. In Germania la Sparkasse di Monaco (quinta cassa di risparmio nazionale) ha applicato un tasso negativo a tutti i depositi superiori a 100mila euro. In Italia l’apripista è stata Unicredit, con l’amministratore delegato Jean Pierre Mustier – che è anche presidente dell’Ebf, la Federazione bancaria europea - che ha annunciato di trasferire i tassi negativi sui conti correnti superiori a 100mila euro, soglia successivamente innalzata a un milione, a partire dal 2020. Cambiano gli importi, ma il concetto rimane fermo e inquietante: se il tasso è espressione del valore della moneta nel tempo, quest’ultimo non ha più valore. Con la conseguenza che il denaro conviene scambiarlo in fretta per evitare che si deprezzi. «Ci sono stati tassi reali negativi durante e dopo le guerre, ma che questi siano sistematicamente negativi ormai su un terzo del debito governativo dei Paesi industrializzati è una novità assoluta in cinquemila anni di storia», è il commento di Alessandro Fugnoli, strategist di Kairos Partners, che ricorda come tutti i testi sacri delle religioni monoteiste condannino la ben nota usura, mentre non c’è traccia di volumi che abbiano preso posizione sull’inedita formula “tassi negativi”. 20
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CON I TASSI BASSI O COL SEGNO MENO CRESCE L’INCERTEZZA NEGLI INVESTIMENTI. MA C’È LA SOLUZIONE CHE NON TI ASPETTI Nella foto a destra Jean Pierre Mustier, amministratore delegato di Unicredit e presidente di Ebf, la Federazione bancaria europea. Nella foto di pagina 21 Alessandro Fugnoli, strategist di Kairos Partners
Le radici del problema Ma come si è giunti a un ambiente di tassi bassi (o negativi) che coinvolge la maggior parte delle economie mondiali? Come spiega ancora Fugnoli la prima ragione è un eccesso di risparmio: «C’è molta gente che vuole impegnare denaro ma ce n’è poca che vuole investire, e questo accade perché da un lato la popolazione invecchia e ha meno denaro da spendere, dall’altro emerge una carenza di idee o voglia di rischiare, dovuta fondamentalmente al basso ritorno del capitale». La seconda ragione, secondo lo strategist, è un eccesso di offerta: dal presidente americano Reagan in avanti è infatti prevalsa l’idea che tutte le politiche economiche debbano andare verso un aumento dell’offerta per poi accorgersi nel tempo, e
COVERSTORY con la deglobalizzazione in corso ancora di più, che essa è sovrabbondante. Eccesso di risparmio e offerta sovrabbondante sarebbe quindi la prima combinazione di elementi depressivi sui tassi. Ma non è l’unica. Ai fattori strutturali si è aggiunta la “novità” della grande recessione di dieci anni fa e con essa l’idea di tenere in vita il maggior numero di debitori a scapito del dinamismo dei tassi e di redistribuire ricchezza dai debitori verso i creditori. E infatti l’ultima crisi non ha trascinato con sé ondate di default come è avvenuto invece in tutte le passate crisi recessive. «Negli anni ‘30 della Grande Depressione le società che erano troppo indebitate venivano fatte fallire nella convinzione che ciò avrebbe rafforzato il sistema. Permettere di tenere i tassi reali negativi non solo in fasi recessive, ma anche in fasi normali come l’attuale, deriva anche dalla scelta di salvare tutti i debitori», conferma Fugnoli. Ricordiamo che il debito globale ha raggiunto il record di 3,5 volte il Pil. E se in passato le guerre, e l’inflazione che le accompagnava, azzeravano di fatto le posizioni in una sorta di Giubileo del debito con l’economia libera di ripartire a pieno regime, oggi per la ripresa bisogna esplorare nuove strade.
Le grandi manovre delle banche centrali Le cause di un decennio caratterizzato da bassi tassi di interessi possono essere ricondotte quindi anche alla crisi finanziaria del 2008-2009 con le Banche centrali costrette a reagire negli anni successivi utilizzando misure non ortodosse, il cui obiettivo, come spiega Olivier de Berranger, chief investment officer di La Financière de l’Echiquier, «consiste chiaramente nel differire il rischio di una recessione». «Per reagire alla crisi le Banche centrali hanno deciso di tagliare i tassi di interesse, che hanno toccato i minimi storici, e poi hanno iniettato una quantità di capitale senza precedenti all’interno del sistema finanziario, con l’obiettivo di mantenere le economie a galla”, aggiunge Stephane Monier, CIO private bank di Lombard Odier. In particolare il quantitative easing è diventato lo strumento più utilizzato dalle autorità monetarie mondiali, che lo hanno introdotto con un intervallo di tre-quattro anni rispetto alla Federal Reserve raggiungendo l’obiettivo di evitare una nuova crisi economica. «Tuttavia nel 2015 la Fed è riuscita a invertire la rotta e avviare un ciclo triennale di inasprimento monetario - il primo nel 2006 - grazie alla forte attività economica negli Stati Uniti con l’ultimo incremento che risale al 2018», racconta ancora Monier. Che aggiunge: «Quando la guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina ha iniziato ad avere un impatto sull’economia mondiale, la Fed si è riallineata alla politica dei tagli, nonostante quello americano non sia un sistema deflazionista, come lo è invece l’Europa, con un allentamento a luglio volto a controbilanciare parte dell’effetto negativo della riduzione degli scambi commerciali». E il programma non si ferma. In Europa la Bce ha infatti confermato che i tassi resteranno bassi a lungo e che da questo mese ripartirà il secondo round del Qe con acquisti di titoli di Stato, Abs (obbligazioni bancarie garantite da un portafoglio di attivi generalmente poco liquidi), corporate e covered bond per un controvalore nominale complessivo di 20 miliardi di euro al mese senza termini precisi su quando finirà questo doping che ha l’obiettivo di tenere bassi, o fare scendere, i tassi d’interesse.
IN ITALIA L’APRIPISTA DELL’APPLICAZIONE DEI TASSI NEGATIVI SUI CONTI CORRENTI BANCARI È UNICREDIT Trilioni di debito Se è vero che le autorità monetarie sono riuscite a prevenire la recessione dopo la crisi finanziaria, i loro programmi di Qe hanno avuto anche un importante effetto secondario, non esattamente positivo. «Il programma di acquisti ha ampliato il debito delle imprese, in quanto le istituzioni finanziarie hanno beneficiato di condizioni finanziarie a un prezzo minore gonfiando i prezzi degli asset finanziari», spiega Monier. Attualmente i livelli del debito mondiale sono molto più elevati rispetto al 2008: secondo gli ultimi dati del Fondo monetario internazionale il debito mondiale è passato da 115,9 trilioni di dollari nel 2007 a una cifra record di 184 trilioni di dollari nel 2017, pari al 225% del Pil. «Questi fenomeni hanno esacerbato le disuguaglianze e contribuito all’aumento della spinta populista», è il commento dello strategist. «Ripetute fasi di quantitative novembre 2019
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easing con volumi ingenti di acquisto di strumenti anche a lungo termine hanno ulteriormente schiacciato i rendimenti obbligazionari verso il basso», spiega Pierluigi Ansunelli, portfolio manager di Franklin Templeton. Che aggiunge: «Tutta questa offerta di liquidità in realtà ha avuto un impatto forte su mercati finanziari e propensione al rischio, ma debole sulla crescita economica e sta iniziando a generare criticità al settore finanziario, come banche e assicurazioni, che trovano sempre più difficile fare profitti o garantire rendimenti accettabili».
Punto di non ritorno Cio nonostante, come spiega Bert Flossbach, gestore del fondo Flossbach von Storch multiple opportunities, dovremmo essere all’inizio piuttosto che alla fine della politica dei tassi di interesse bassi, che quindi rimarranno tali ancora a lungo, soprattutto all’interno della zona euro. «Alla luce degli enormi debiti e delle modeste prospettive economiche, una normalizzazione della politica monetaria è a nostro avviso semplicemente impensabile», spiega Flossbach. In altre parole le banche centrali avrebbero da tempo superato il “punto di non ritorno” e nessuna (inclusa la Fed), secondo lo strategist, potrà perseguire una politica monetaria autosufficiente. «Le banche centrali devono infatti anche orientarsi seguendo quanto sta accadendo in altre aree valutarie. Se la politica monetaria in Giappone e nell’area dell’euro rimane accomodante nel lungo periodo, la Fed avrà difficoltà ad andare controcorrente aumentando significativamente i tassi di interesse», conferma Flossbach. «L’attuale dipendenza dei governi dalle loro banche centrali suggerisce che potremmo essere a poco più della metà del nostro programma di Qe», aggiunge Neil Williams, senior economic adviser di Hermes Im. Ma con quali conseguenze? Secondo Fugnoli l’esperimento giapponese non è catastrofico: in Giappone vanno avanti da 30 anni con i tassi a zero, hanno un’inflazione molto bassa, una popolazione che invecchia e la loro banca centrale che compra il debito. «Ci possiamo però domandare», aggiunge Fugnoli, «se il Giappone ha funazionato fino a oggi solo perché era l’unico Paese ad adottare questo sistema appoggiandosi al resto del mondo per galleggiare». Inflazione ferma Avvitati nella spirale ultraespansiva le banche centrali hanno evitato la recessione, ma non sono però riuscite a raggiungere i loro target di inflazione. E sarà difficile per loro uscire dal cerchio prima di riuscire a generarla. La maggior parte degli istituti punta a un target a lungo termine del 2%, ma dal 2016 qualcosa non ha funzionato. Nell’area euro l’inflazione core (cioè al netto degli elementi ciclici) è aumentata di circa l’1% all’anno nel periodo. Negli Stati Uniti le cose sembrano più incoraggianti. L’inflazione core si è attestata intorno al 2%, ma quando si elaborano bene i dati la situazione diventa simile a quella del resto del mondo: gran par22
novembre 2019
te dell’attuale tasso di inflazione core statunitense (pari al 2,4%) deriva infatti dal costo dell’assistenza sanitaria e dall’inclusione della sua copertura. Al netto di entrambi i fattori, negli Usa l’inflazione core scende al 2,1%: una percentuale insufficiente secondo gli analisti, poiché ci troviamo a fine ciclo. Un discorso analogo si può fare per Canada, Svezia, Norvegia, Svizzera e naturalmente Giappone. Alla fine del ciclo 2006-2007, queste cifre erano molto più alte. E allora che cosa manca oggi?
Nella foto sopra Pierluigi Ansunelli, portfolio manager di Franklin Templeton
Nella foto a destra Bert Flossbach, gestore del fondo Flossbach von Storch multiple opportunities
Salari e domanda al palo Come si evince da un report del team Cross Asset Solutions (CAS) di Unigestion, manca in primo luogo la dinamica salariale, perché il tasso di crescita a lungo termine dei prezzi dovrebbe in teoria essere collegato a quello dei salari. Ma nell’eurozona l’incremento dei salari dal 2011 al 2018 è stato di circa l’1,5% ed è difficile vedere l’inflazione raggiungere valori più alti. Questo dato, va detto, è aumentato di recente e ha raggiunto il 2,7% a giugno ma - secondo gli analisti - indica solo la possibilità di una stabilizzazione dell’inflazione. Negli Stati Uniti invece la crescita salariale si attesta oggi intorno al 3,5% secondo la Fed di Atlanta. Questo incremento non è basso, ma è ancora inferiore a quello del 2006-2007, quando era superiore al 4 per cento. Quanto al Canada i salari sono cresciuti del 4,5% dal 2017, al di sotto del 6% osservato nel biennio 2006-2007. La situazione salariale – è scritto nel report - è quin-
COVERSTORY LE POLITICHE DEL TASSO ZERO O PEGGIO AVRANNO UN IMPATTO NEGATIVO SUI BOND di ancora favorevole a un’inflazione superiore all’1% nei paesi del G10, ma inferiore a quella del ciclo precedente. La fiacca dinamica dei salari però spiega solo in parte la situazione attuale. Il pezzo mancante, secondo Unigestion, deve probabilmente essere individuato nella domanda. Dalla crisi del 2008 quest’ultima è cresciuta a un ritmo più lento del solito. Secondo i dati del Fondo monetario internazionale, tra il 2006-2007 il Pil mondiale è cresciuto in media del 5,5% e gli investimenti del 10%. Nell’ultimo periodo queste cifre sono scese rispettivamente al 3,5% e al 7% dimostrando come investimenti e consumi abbiano subito un netto rallentamento. «Ciò ha avuto due conseguenze fondamentali: in primo luogo, ha determinato un rallentamento della crescita dei prezzi delle materie prime. Inoltre, con una domanda più debole, è diventato sempre più difficile per le imprese trasferire al consumatore l’aumento dei costi di produzione - è scritto nel report - Tuttavia, dovrebbero essere elencate altre fonti strutturali di bassa inflazione, come l’impatto dell’invecchiamento della popolazione, la combinazione di globalizzazione e deindustrializzazione che grava sui salari e sul pricing power». Nel frattempo, secondo Williams, la sfida non è rappresentata dalla diminuzione del tenore di vita, «ma dal passaggio a una psicologia deflazionistica in cui celebriamo i nostri tagli salariali se si rivelano inferiori alla caduta dei prezzi delle vacanze, dell’auto, o della casa che desideriamo. E personalmente dubito che Londra, New York, Francoforte, Parigi, Roma, siano pronti per questo!”. Vie di fuga Un lungo inverno economico senza
Nella foto Neil Williams, senior economic adviser di Hermes Im
crescita come è successo al Giappone a partire dagli anni ’90 con l’economia e l’immobiliare a passo di gambero per diversi lustri è lo scenario di alcuni strategist. A meno che, come spiega Salvatore Gaziano, responsabile strategie di investimento SoldiExpert SCF, non si azioni la “mano pubblica”. «La ripresa economica», dice, «è destinata a languire per lungo tempo come peraltro mostrano chiaramente i tassi di interesse estremamente negativi che sembrano scontare una vera e propria “japanification” del Vecchio Continente». La stessa esperienza giapponese dimostra che uscire dalla deflazione può essere un sentiero lunghissimo e dove i mezzi per intervenire possono anche essere non convenzionali se si considera che dal 2017 in poi la Banca centrale giapponese si è impegnata a acquistare fino a 50 miliardi di euro di Etf azionari (ovvero azioni quotate sulla Borsa giapponese) per circa 4 miliardi di euro al mese per sostenerne le quotazioni. «Quando si parla di rendimenti dell’obbligazionario che non possono scendere oltre è bene ricordarsi del Giappone e del fatto che, se dovesse partire una forte crisi economica e finanziaria, le Banche centrali potrebbero solo inondare ancora i mercati di liquidità portando i tassi ancora più in basso e in territorio negativo, perchè certamente non potrebbero fare il contrario», spiega Gaziano. Il carry trade Certamente le politiche del tasso zero, o addirittura negativo, avranno un impatto rilevante e di lungo termine sugli asset manager, poiché le obbligazioni non offriranno alcuna performance significativa nei prossimi anni. Come spiega de Berranger, molti settori già ne risentono: le banche, le assicurazioni o i titoli ciclici sono poco presenti nei portafogli degli investitori, che preferiscono i titoli growth con un incremento visibile degli utili a prescindere dal ciclo economico. «La diversificazione e le competenze saranno fondamentali», aggiunge de Berranger, che ritiene che i portafogli degli investitori europei siano ancora troppo Europa-centrici e concentrati. «Dovrebbero diventare invece più globali per catturare la crescita ed essere più diversificati al fine di limitare i drawdown», dice lo strategist. Che aggiunge: «Bisognerebbe inoltre selezionare alcuni trend di lungo termine come novembre 2019 9
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grado di offrire guadagni soddisfacenti. «Basta guardare al dividend yield che, di per sé, è sufficiente a rendere l’investimento azionario imbattibile nel lungo periodo rispetto a molte altre forme di investimento», dice lo strategist. Che aggiunge: «Le azioni sono indispensabili per la crescita del capitale, ma è fondamentale in questa fase concentrarsi sulla qualità, e cioè sul livello e sulla sicurezza del potenziale di guadagno delle imprese e sulla solidità dei loro bilanci». Per Ansunelli di Franklin Templeton se lo scenario non è quello di una recessione imminente ma di una maggiore cautela, allora il consiglio è aggiungere una componente ulteriore al portafoglio, come quella delle obbligazioni “corporate” sia investment grade che high yield. «Inoltre l’obbligazionario mercati emergenti nel complesso è quello che ha scontato di più le brutte notizie ed è quello che offre ancora rendimenti piuttosto elevati a fronte del rischio assunto, con alcune eccezioni ormai ben note quali Turchia, Sud Africa, Venezuela, Argentina», spiega Ansunelli.
l’intelligenza artificiale o le Midcap che sovraperformano nel lungo termine e sono fonte di opportunità per quelli, come noi, che hanno lo stock-picking nel dna». Tenendo conto che le banche centrali sono preoccupate per la “giapponizzazione” delle rispettive economie e lottano contro di essa utilizzando tutti gli strumenti disponibili, e che l’inflazione dovrebbe rimanere in gran parte sotto controllo (pur continuando a mancare in certi periodi), la scelta migliore, secondo Unigestion, è quella di rafforzare il sentiment verso le strategie di carry, soprattutto verso quelle a carry più elevato. «Essere dinamici è essenziale in questo momento», spiegano gli analisti. «Perciò attualmente sovrappesiamo l’investment grade, l’high yield, il bond e il dividend carry”. Anche secondo Lombard Odier gli investitori devono focalizzarsi sulla strategie carry – che si basano su prestiti a bassi tassi di interesse e investimenti in asset con rendimenti più elevati - per ottenere un certo grado di rendimento. «In queste segmento preferiamo il debito hard currency dei mercati emergenti e il settore del real estate piuttosto che i titoli di Stato», spiega Monier. «Inoltre è importante assicurarsi che i portafogli multi-asset degli investitori siano resilienti, attraverso un’esposizione al rischio bilanciata, preferendo gli asset finanziari liquidi di alta qualità, oltre a utilizzare un’adeguata protezione per il portafoglio, come gli investimenti in oro o nelle opzioni long put sugli indici azionari». L’equity Secondo Flossbach invece solo l’investimento azionario è in
CONTI DEPOSITO A CONFRONTO: INVESTIRE A 12 MESI BANCA
TASSO LORDO
BOLLO A CARICO DEL CLIENTE
Gbm Banca
1.30%
No
Illimity bank (non svincolabile) 12 mesi
Illimity Bank
1.50%
Si
Bcc Arborea (conto deposito a distanza 12 mesi) interessi posticipati
Bcc Arborea
1.45%
Si
Banca Farmafactoring
1,10%
No
Extrabanca
1.05%
No
CONTO
Gbm Banca 12 mesi
Conto Facto 12 mesi Extraclick
CONTI DEPOSITO A CONFRONTO: INVESTIRE A 24 MESI BANCA
TASSO LORDO
BOLLO A CARICO DEL CLIENTE
Illimity Bank
2.25%
Si
Gbm Banca
1.90%
No
Rendimax Top (interessi posticipati) 2 anni
Banca Ifis
2.00%
Si
Rendimax First (interessi anticipati) 2 anni
Banca Ifis
1.80%
Si
Conto deposito time Contoforte.it 730 giorni
Mediocredito del Friuli
1.80%
Si
CONTO
Illimity bank (non svincolabile) 24 mesi Gbm Banca 24 mesi
FONTE: ALTROCONSUMO
24
novembre 2019
COVERSTORY
Nella foto Corrado Passera, fondatore e ceo di Illimity Bank, che secondo Altroconsumo ha varato la migliore offerta nei conti di deposito a due anni
IL CONTO DEPOSITO RAPPRESENTA UN BUON MODO PER SOSTITUIRE L’ASSET OBBLIGAZIONARIO I conti deposito Andare a caccia di rendimenti negli ultimi anni è stato un piccolo incubo e molti risparmiatori hanno deciso di restare liquidi. Ma la prospettiva di pagare una percentuale alla banca rende sempre più attraenti i conti deposito, che assegnano un rendimento a condizione di tenere fermi (alcuni conti sono vincolati), o parzialmente fermi, i risparmi per un lasso di tempo che in media va da uno a due anni. Il conto deposito rappresenta un buon modo per sostituire un investimento obbligazionario con l’ultima asta che ha assegnato un rendimento negativo (-0,219%) ai Bot a dodici mesi e il Btp a dieci anni che solo all’asta di metà ottobre ha superato la soglia dell’1% lordo. Il vero obiettivo di questi conti è però quello di “parcheggiare” la liquidità in un luogo sicuro: le somme depositate nel conto deposito – vincolato o meno - sono infatti tutelate dal Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi (FITD), che garantisce fino a 100mila euro per ciascun depositante e il rimborso deve essere effettuato entro e non oltre 20 giorni lavorativi. Come avverte Gaziano non è poi così vero che il prodotto è esente da rischi: in primo luogo il Fondo di tutela non ha risorse illimitate e non può far fronte a qualsiasi richiesta di intervento. Inoltre il maggior rendimento offerto spesso corrisponde a una minore solidità della banca. Da ciò consegue che esiste anche per questo prodotto un rischio di credito, ovvero che la banca non possa restituire i soldi depositati e gli interessi maturati. «Il nostro consiglio è valutare il conto deposito per quello che dovrebbe essere, ovvero un impiego tattico della liquidità, e destinare a questo impiego lo stretto indispensabile valutando per la parte investimenti gli strumenti più adatti con il giusto orizzonte temporale e la giusta consulenza», è l’opinione di Gaziano.
L’offerta In ogni caso, anche in funzione tattica, il rendimento ha il suo appeal. Come spiega l’ufficio studi di Altroconsumo, gli interessi sui conti di deposito vincolati possono essere liquidati all’attivazione del vincolo o a scadenza e, nel caso in cui esistano le due versioni, quella con l’accredito degli interessi posticipati rende in genere di più. Questi ultimi sono tassati con un’aliquota del 26%, oltre l’imposta di bollo, pari allo 0,2% calcolato sull’importo della giacenza sul conto deposito al momento dell’invio dell’estratto conto. Allo stesso modo gli esperti consigliano di optare per un deposito vincolato, così da mantenere congelate le condizioni fino al termine del vincolo e scongiurare il rischio di revisioni unilaterali del rendimento. Ma come scegliere? L’offerta è ampia perché per le banche, soprattutto quelle online o medio-piccole, rappresenta un ottimo strumento di battaglia commerciale contro la concorrenza tradizionale. La rete è piena di siti che offrono comparatori di conti deposito in base all’importo e alla durata del vincolo. L’associazione Altroconsumo, per esempio, ne monitora quasi 400 e su questa base stila una classifica dei più generosi (vedi tabella). Attualmente la migliore offerta a due anni (che si chiude però a metà mese) è quella di Illimity bank (che ha varato anche un conto deposito con un tasso lordo che arriva addirittura al 3,25%, ma con il vincolo per i richiedenti dei 60 mesi. Anche in questo caso la richiesta va effettuata entro il 15 novembre, n.d.r.) la nuova banca di Corrado Passera dedicata a imprese e professionisti, che ha scelto di rinunciare a un po’ di marketing e offrire così tassi migliori, seguita da Banca Ifis e da Banca GBM, che offre anche la migliore remunerazione per il conto deposito a dodici mesi. Come fanno queste banche a sostenere questi rendimenti? Investono in attività abbastanza remunerative e sicure, come i prestiti, i mutui o la cessione del quinto dello stipendio, oppure in attività ancora più remunerative come l’acquisto di Npl (attività che se si acquista al 10% del valore nominale), attività che permettono di assegnare un premio alla nuova liquidità che affluisce nei conti deposito. novembre 2019
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L’INTERVENTO
Robo-advice, la crescita continuerà (ma meno impetuosa) di Francesco Di Ciommo*
1.
LA CONSULENZA FINANZIARIA ROBOTIZZATA SFONDA IN USA E CINA, GUADAGNA TERRENO NEL REGNO UNITO, GERMANIA E CANADA. A TENDERE PERÒ È PREVEDIBILE UNA CONTRAZIONE PERCHÈ...
La robot-advice alla conquista del mercato. O forse no. Secondo una recente analisi di mercato (fonte “Statista”, https://www.statista.com/outlook/337/100/robo-advisors/worldwide), a livello globale le attività finanziarie gestite attraverso sistemi di robo advice, a settembre 2019, ammonterebbero a circa 980 miliardi di dollari americani. In particolare, negli Stati Uniti - dove è nato, nel 2008, il concetto di consulenza finanziaria automatizzata (convenzionalmente si ritiene che il primo servizio di questo tipo, per quanto rudimentale, fu offerto da Bettermint)- il totale di Asset under management gestito dai consulenti robotizzati ammonterebbe a quasi 750 miliardi di dollari (circa il 2% del mercato) e gli investitori coinvolti sarebbero poco più di 8 milioni (circa 8.230mila), con un ammontare medio di patrimonio per utente pari a circa 90.000 dollari. Negli ultimi anni in Asia il settore ha visto un’enorme crescita grazie alla sua diffusione tra numerosissimi utenti della categoria mass market. Tuttavia, a settembre 2019 si stima esso esprima in Cina un valore complessivo pari a poco più di 179 miliardi di dollari, e dunque ancora molto lontano dal dato a stelle e strisce. Nella speciale classifica degli Stati, stilata in funzione degli Aum gestiti da robot, dopo Stati Uniti e Cina ci sarebbero, nell’ordine, Regno Unito (con quasi 15 miliardi di dollari, per la precisione 14,803), Germania (8,460) e Canada (5,448). Il dato italiano appare molto più modesto, attestandosi sui 413 milioni di dollari. Si tratta in ogni caso di dati nettamen26
novembre 2019
te positivi, che segnano a livello mondiale la progressiva acquisizione di sempre maggiori spazi di mercato per la consulenza finanziaria automatizzata, la quale – come noto – promette agli utenti (e agli operatori) bassi costi, efficienza e azzeramento del rischio di comportamenti impropri da parte dei consulenti. Sennonché, per gli stessi analisti, il trend di crescita della consulenza finanziaria robotizzata di qui al 2023 subirà una forte contrazione, avendo fatto segnare un +124,5% nel 2018 (sul 2017) ma solo un +76,1% nel 2019 (sul 2018), con (soprattutto) previsioni per gli anni a venire nell’ordine di +39,9% nel 2020, +20,8% nel 2022 e +5,8% nel 2023.
2.
Alta complessità dei mercati e automazione della consulenza: qualche perplessità. Le ragioni di questa contrazione, o meglio di questa (attesa) frenata della crescita di un fenomeno spesso guardato con grande sospetto dai regolatori e con grande timore dai consulenti finanziari, sono molteplici. Tra queste un ruolo particolarmente significativo spetta probabilmente ai limiti intrinseci che l’intelligenza artificiale (almeno ancora oggi) mostra
INVESTIRE SPECIALIST
allorquando viene applicata per supportare gli investitori nel compimento di scelte operative che necessitano di alta personalizzazione, e cioè che devono essere calibrate non solo sul patrimonio e sugli obiettivi di investimento espressi dal singolo, ma anche sulla sua cultura, sulla sua personalità e sulla sua intima propensione sincronica al rischio. Non a caso Patrizia Pia, in un agile e-book pubblicato nel 2017 (“La consulenza finanziaria automatizzata”, editore Franco Angeli), dopo aver valutato i servizi offerti da 44 operatori attivi nel nord-America e in Europa, osservava come la robo-advise, pur comportando un elevato contenuto relazionale e tecnico, venisse ancora tendenzialmente considerata dagli investitori come elitaria e esclusiva, in quanto la perseguita semplificazione (attraverso la riduzione ad algoritmi) di un’attività complessa qual è la consulenza finanziaria non viene percepita esattamente come tale dall’utente medio. In estrema sintesi, si può affermare che il consumatore se non ritiene un servizio o un prodotto sicuri (e cioè idonei a non esporlo a rischi superiori a quelli che egli accetta di volta in volta di correre), tende a non utilizzare quel servizio o a non comprare quel prodotto. E ciò, a maggior ragione, in un contesto sempre più complesso quale sono attualmente i mercati finanziari. La complessità infatti viene percepita come rischio, oltre che come opportunità. E di fronte a un rischio che si assume crescente, la semplificazione del processo decisionale di investimento può indurre il cliente a rifuggire dal servizio online per rifugiarsi nel porto sicuro della relazione umana consolidata con il proprio consulente finanziario. Del resto Jerry Kaplan - uno dei massimi esperti mondiali di intelligenza artificiale - nel suo “Artificial Intelligence. What Everyone Need to Know” (Oxford University Press, 2016), tra le attività professionali che meglio resisteranno all’automazione nel prossimo futuro, inserisce quella dei consulenti delle vendite.
3.
Consulenza automatizzata e tutela dell’investitore. Più recentemente, in una diversa prospettiva, Wolf-George Ringe e Christopher Ruof (nel working paper n. 26 del 2018 dell’European Banking Institute di Francoforte) hanno affermano che la robo-advise rappresenta una fonte di nuovi rischi sistemici per i mercati finanziari. Ciò in quanto la consulenza automatizzata, laddove basata su classificazioni generiche, predeterminate e di ampia portata, potrebbe non tenere conto delle preferenze individuali e delle reali esigenze dell’investitore. Partendo da tale assunto, e considerando l’assenza nell’attuale quadro normativo europeo di norme pensate ad hoc, i due autori propongono la creazione di un “sandbox regolatorio”. E cioè uno spazio di sperimentazione, guidato e vigilato dagli Stati membri e dalle istituzioni europee, in cui le aziende interessate possano sperimentare l’utilizzazione dei sistemi di consulenza robotizzata con investitori reali e su operazioni concrete, ma in modo protetto, e cioè sotto il controllo attento delle istituzioni e dunque con rischi limitati per gli investitori. L’esperimento dovrebbe inoltre consentire ai regolatori di comprendere meglio il fenomeno e di intervenire per regolarne gli aspetti più critici e così tutelare al meglio i soggetti più deboli. Il che deve necessariamente passare anche attraverso un inquadramento delle diverse tipologie di servizi di robo-advice presenti sul mercato, in quanto ognuno di questi servizi evidenzia caratteristiche e problematiche, che richiedono risposte specifiche ed eterogenee sul piano giuridico.
4.
Le diverse tipologie di robo-advice alle prese con la Mifid 2. L’esigenza di inquadrare correttamente le tipologie di servizi attualmente prestati nel mercato sotto locuzione robot advice ha determinato la dottrina ha individuare le tre seguenti categorie: il robo-advice cosiddetto puro, nel quale il servizio è effettivamente automatizzato in tutte le sue fasi; il robo-advice ibrido, in cui è previsto l’intervento umano a completamento di alcune attività svolte dal sistema informatico; e infine il robo4advisor, che può essere utilizzato solo da consulenti professionali e non dagli investitori. Come evidente, con riguardo al servizio robo-advice puro un primo problema è costituito dalla necessaria acquisizione delle informazioni personali dell’utente in applicazione della know your customer rule. L’attività in questione, se realizzata in automatico, presenta infatti considerevoli profili di rischio, poiché si basa necessariamente su questionari compilati online dal cliente. Come ha bene osservato Raffaele Lener (La digitalizzazione della consulenza finanziaria. I robo advise e le regole Mifid, in FCHub, https://fchub.it/la-digitalizzazione-della-consulenza-finanziaria-i-robo-advice-e-le-regole-mifid/), in tal caso il rischio dell’acquisizione di informazioni insufficienti, non veritiere o dell’uso parziale o scorretto delle stesse sembra imporre una doppia verifica. Non solo su quali informazioni vengono raccolte e come, ma anche su come queste sono “autonomamente” valutate ai fini dell’individuazione del prodotto adatto al cliente. La circostanza è resa ancora più rilevante dal fatto che la Mifid 2 ha imposto di utilizzare un tipo di questionario che cerca di guardare al “financial behaviour” per catturare le reali attitudini e conoscenze finanziarie del cliente. Il che ovviamente non toglie che un algoritmo ben costruito e un questionario ben predisposto possano funzionare. Il problema dunque è la costruzione dell’algoritmo. Tema questo rispetto al quale necessita che le autorità di regolazione e vigilanza si dotino degli strumenti idonei per poter sindacare la conformità del sistema informatico rispetto ai principi Mifid. Tra gli ulteriori profili da considerare e tenere sotto controllo c’è la cosiddetta cyber security giacché strutture prive di un sistema di trattamento dei dati e di disaster recovery adeguato, potrebbero porre a serio rischio tanto i dati personali del cliente, quanto la funzionalità e la fruibilità del servizio. E anche l’indipendenza, in quanto spesso i servizi di robo-advice sono spesso funzionalmente collegati con altri servizi offerti dall’intermediario o da società collegate, il che ab esterno può minare la sussistenza del requisito in parola. Senza dimenticare la trasparenza, visto che il sistema automatizzato, per rispettare la Mifid, deve comunicare al cliente la tipologia di servizio che offre (precisando tra l’altro se offre una consulenza di base, generica o generale) e le regole di condotta che è tenuto a rispettare, oltre a chiarire: i) se la consulenza è fornita su base indipendente; ii) se la consulenza è basata su un’analisi di mercato ampia, e in particolare se è limitata agli strumenti finanziari emessi o collocati da soggetti che hanno stretti legami con l’impresa di investimento o altro significativo rapporto legale o economico, come un rapporto contrattuale, tale da comportare il rischio di comprometterne l’indipendenza; e infine iii) se l’impresa di investimento fornirà ai clienti la valutazione periodica dell’adeguatezza degli strumenti finanziari raccomandati. *Avvocato Studio Di Ciommo & Partners/Professore Ordinario Università Luiss Guido Carli novembre 2019
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INTERVISTA AD ANNAMARIA LUSARDI
Educazione finanziaria, la lotta è dura ma non fa paura di Marco Muffato
L’
educazione finanziaria è diventata una cosa seria. In tempi di tassi zero o negativi, di rendimenti sempre più incerti, emerge con sempre maggiore evidenza che la mancanza diffusa di cultura finanziaria tra gli italiani non è più sostenibile se si vuole davvero tutelare il risparmio. L’articolo 24 bis del decreto-legge 23 dicembre 2016, n. 237 (convertito in legge con modificazioni dalla Legge 17 febbraio 2017, n. 15, recante “Disposizioni urgenti per la tutela del risparmio nel settore creditizio”) ha avuto il merito di realizzare la cabina di regia dell’educazione finanziaria nel nostro Paese, assegnata al “Comitato per la programmazione e il coordinamento delle attività di educazione finanziaria”. Del Comitato, che ha compiuto i due anni di vita, fanno parte il direttore Annamaria Lusardi (nella foto), professore di economia a The George Washington University School of Business; Roberto Basso, in rappresentanza del Ministero dell’economia e delle finanze; Alvaro Fuk, per il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca; Mario Fiorentino, in rappresentanza del Ministero dello sviluppo economico; Concetta Ferrari, per il Ministero del lavoro e delle politiche sociali; Magda Bianco, per la Banca d’Italia; Giuseppe D’Agostino per la Consob; Elena Bellizzi di Ivass; Elisabetta Giacomel per la Covip; Antonio Tanza per il Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti (Cncu) e Carla Rabitti Bedogni in rappresentanza dell’Ocf. Investire ha intervistato il direttore del Comitato Lusardi, nel corso del Mese dell’educazione finanziaria svolto a ottobre, con tante iniziative in tutta Italia. Professoressa Lusardi, a quasi due anni dall’entrata in funzione del Comitato vede passi in avanti nel processo di educazione finanziaria degli italiani? Vedo miglioramenti nella percezione del tema. Quando abbiamo iniziato il nostro lavoro c’era indifferenza o addirittura una malcelata ostilità verso questo argomento. Tuttavia, così come ci occupiamo della nostra salute, cerchiamo di mangiare sano e di non fumare, di fare esercizio fisico e camminare il più possibile, allo stesso modo dobbiamo anche occuparci dei nostri soldi; si sta iniziando a comprendere che è opportuno impegnarsi perché i nostri soldi siano gestiti nel miglior modo possibile. Inoltre abbiamo visto miglioramenti anche sul fronte delle iniziative che vengono portate avanti. Pensiamo proprio al Mese dell’educazione finanziaria: l’anno scorso questo appuntamento registrò 350 eventi, quest’anno l‘offerta formativa è salita a oltre 600 eventi, con esperienze di finanza a teatro, giochi, iniziative nelle scuole e sul posto di lavoro, per le donne, per i piccoli imprenditori. Si è sviluppato una sorta di ecosistema formativo che permette al 28
novembre 2019
OBIETTIVI E AZIONI DEL COMITATO CHE DEVE SVILUPPARE LE INIZIATIVE PER LA DIFFUSIONE DELLA CULTURA FINANZIARIA, PREVIDENZIALE E ASSICURATIVA NEL NOSTRO PAESE seme dell’educazione finanziaria di diffondersi tra i risparmiatori italiani. Anche i media generalisti e la stampa specializzata hanno dato più spazio al tema. Abbiamo avviato una collaborazione con Il Sole 24 Ore e Radio 24, con Donna Moderna per inserti dedicati alle donne sui temi finanziari e su Oggi. Per riassumere: le statistiche negative relative alla conoscenza finanziaria in Italia non sono il nostro destino e non devono esserlo. Il nostro impegno continuerà e crescerà. Secondo lei perchè in Italia c’è ancora un gap forte in questa materia rispetto ad altri Paesi? Ci siamo classificati ultimi del G7, fanalino di coda del G20 e siamo generalmente nel gradino più basso in tutte le principali indagini, compresa quella di Allianz su dieci Paesi europei. Il mondo si sta evolvendo molto velocemente e noi non teniamo il passo con il cambiamento, fino a poco tempo fa fermi sulle due certezze di sempre: gli italiani hanno sempre investito nei titoli di Stato e
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nel mattone. Ma, com’è noto, stiamo vivendo un periodo di rendimenti bassissimi sui titoli di Stato e la casa non è necessariamente un investimento adatto per tutti i tempi e tutti i momenti. Quindi in un contesto complesso dove i rendimenti sono azzerati - se non addirittura negativi - occorre essere ancora più informati e attenti a come conservare il nostro capitale. Ci sono differenze per gruppi demografici o per territorio? Quando si parla di educazione finanziaria emergono più somiglianze che differenze tra i vari Paesi. I gruppi vulnerabili per esempio sono sempre gli stessi: le donne, i giovani, gli anziani, chi ha bassa scolarità e basso reddito. Ci sono anche profonde differenze regionali; in Italia c’è una differenza tra Est e Ovest, a favore del primo dove c’è un reticolo di Pmi e una conoscenza finanziaria più diffusa. La differenza più grande è tra le Regioni più ricche del Nord e le più povere del Sud. Anche nelle rilevazioni Pisa dell’Ocse, che guardano alle conoscenze finanziarie dei 15enni, emerge in Italia una profonda differenza, ancora una volta, tra Nord e Sud. Iniziative come il Mese per l’educazione finanziaria che contributo danno alla diffusione delle conoscenze? Il Mese è l’occasione per mobilitare tutte le risorse verso questi temi. Da soli non possiamo cambiare le conoscenze finanziarie dei cittadini italiani e quindi dobbiamo coinvolgere il maggior numero possibile di stakeholder. Del nostro Comitato fanno parte 4 ministeri (Economia e Finanza; Istruzione, Università e Ricerca; Sviluppo economico; Lavoro e Politiche sociali, n.d.r.) e a ragione. L’obiettivo finale della politica è fare vivere bene i propri cittadini e, nel concetto di vivere bene, rientra anche l’aspetto finanziario. L’aver sbagliato un investimento o il non aver risparmiato soldi per gli imprevisti che possono presentarsi nella vita può ostacolare questo obiettivo. Lo abbiamo osservato anche negli Usa lo scorso gennaio in occasione del blocco di tutte le attività amministrative seguito alla mancata approvazione da parte del Congresso della legge di bilancio, e la spiacevole conseguenza del mancato pagamento dello stipendio ai dipendenti pubblici per varie settimane. Un evento che ha evidenziato l’incapacità di milioni di persone di accumulare risparmio e far fronte ai problemi di sussistenza anche per periodi brevi. Ecco perché educare al risparmio è un dovere della politica e solleva le persone dall’ansia finanziaria. Il Comitato verso quali target sta lavorando di più: i ragazzi delle scuole medie e superiori, o i risparmiatori adulti? Siamo partiti con progetti generalisti: il portale che abbiamo creato, www.Quellocheconta.gov.it, è destinato a tutti. Ma siamo consapevoli che bisogna porre particolare attenzione alla realizzazione di iniziative per i gruppi vulnerabili e stiamo lavorando anche in questa direzione. Vogliamo inoltre lavorare molto nelle scuole, investendo nei giovani, che hanno una risorsa da mettere a frutto: il tempo. Se un giovane inizia a investire a 20 anni ha davanti a sé almeno 40-45 per accumulare il proprio capitale. Tra i compiti che ci sono stati assegnati, oltre all’educazione finanziaria, c’è anche lo sviluppo e la diffusione delle informazioni in materia previdenziale e assicurativa. E quest’anno, il 9 ottobre, abbiamo lanciato il Giorno dell’educazione assicurativa. Dobbiamo lavorare per trasferire al pubblico più ampio possibile i concetti base sui vantaggi della stipula di un’assicurazione, sulla diversificazione del rischio e sul tasso d’interesse composto. Concetti che la gente prima imparerà a conoscere e prima potrà utilizzare a proprio favore.
«SE AGIAMO SOLO SULL’EDUCAZIONE FINANZIARIA, E I PRODOTTI RIMARRANNO COSTOSI E POCO TRASPARENTI, FAREMO BEN POCO» In un Paese come il nostro dove le conoscenze in materia finanziaria non sono così diffuse c’è un problema docenti? Chi sono e che caratteristiche devono avere i docenti in materia di educazione finanziaria? Credo che al momento sia saggio lasciare l’educazione finanziaria alle istituzioni accademiche; i mercati finanziari sono sofisticati e complessi e vanno capiti e spiegati bene, dobbiamo quindi elevare la qualità dell’insegnamento. In finanza l’ignoranza non è mai una fortuna e ci si può fare male: conosce una persona che non occupandosi di denaro è diventata ricca? Tutti dobbiamo occuparci dei nostri soldi e per questo credo che la materia finanziaria debba essere insegnata a scuola, ed essere obbligatoria già a partire dalle elementari. Le abitudini sul denaro iniziano molto presto, i bambini sono interessati ai soldi e quindi prima si abituano a gestirli in modo corretto, meglio è. L’educazione finanziaria a scuola potrebbe avere un effetto positivo anche sui genitori. Mi vengono in mente quei papà e quelle mamme che hanno appreso l’importanza del riciclo grazie alle lezioni e alle attività sul tema seguite dai figli piccoli. Tutta questa premessa è fatta per dirle che sul tema dei docenti non vogliamo diventare dei certificatori dell’educazione finanziaria, dei notai, prima di regolarla dobbiamo farla crescere. Per il Mese dell’Educazione finanziaria certo abbiamo dato delle regole, non è materia che possono insegnare tutti e comunque deve essere sempre gratuita. Come vede il ruolo dei professionisti del settore finanziario, quali bancari e consulenti finanziari, come docenti di corsi d’educazione finanziaria? Non c’è un rischio di conflitto d’interesse nella loro scelta? Il rischio c’è, anche per questo siamo cauti ma riconosciamo agli intermediari comunque una funzione di supporto che può rivelarsi utile. Di cosa ha bisogno a suo giudizio il Comitato per essere ancora più efficace? Sicuramente servono più soldi e più risorse umane, con le poche che abbiamo, sia sul versante economico e che su quello dell’organico, non possiamo certo risolvere i nodi strutturali della scarsa educazione finanziaria nel Paese. Ci riuniamo una volta al mese e dobbiamo muoverci per costruire un ecosistema che funzioni bene. Per questo sarebbe necessario davvero lavorare tutti assieme: abbiamo bisogno di erogare una buona educazione finanziaria ai risparmiatori, che presuppone una regolamentazione adeguata; servono buoni prodotti finanziari che soddisfino le necessità delle persone assistite, così come una struttura di intermediari finanziari che offra il necessario sostegno. Una struttura in cui le figure indipendenti potrebbero rivelarsi un ulteriore aiuto, in vista di questo obiettivo. Se agiamo solo sulla leva dell’educazione finanziaria, mentre gli operatori continuano a proporre ai risparmiatori prodotti costosi e poco trasparenti potremo fare ben poco. Quindi il primo tassello è che istituzioni e operatori lavorino assieme affinché il sistema finanziario funzioni bene nell’interesse dei cittadini. novembre 2019
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REPORT AGOS-EUMETRA MR
Il talento (nascosto) delle donne di denari di Marco Muffato
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L’ORIENTAMENTO AL LUNGO TERMINE E LA PREDISPOSIZIONE AL CONTROLLO DEL DENARO RENDE IL MONDO FEMMINILE IDONEO A PERCORSI SULLA PIANIFICAZIONE FINANZIARIA
omo batte donna 1-0 in cultura finanziaria. Anche se in realtà nel sesso femminile alberga un talento per gli investimenti che deve essere semplicemente allenato per superare le cognizioni maschili in materia e soprattutto conquistare la leadership nella pianificazione finanziaria della famiglia. È questa in estrema sintesi una delle conclusioni più interessanti che emergono dal report “Agos Monitor” voluto dalla società di credito al consumo Agos e realizzato insieme alla società di ricerche Eumetra MR. Report che è intitolato appunto “Donne di denari: la partita dell’educazione finan- dizio». Però stiamo entrando nel mondo dei tassi negativi e ziaria” e che è stato presentato nel corso del “Mese dell’Edu- questo richiede un salto cognitivo in materia di educazione cazione Finanziaria” appena concluso. finanziaria. «Se è vero che le donne hanno il potenziale per Sulla questione della superiorità maschile in materia di costruire una pianificazione finanziaria di successo in realtà competenze finanziarie il parere di Fabrizio Fornezza, dimostrano in concreto molta più paura degli uomini nel ripresidente di Eumetra MR, è meno netto. Anche perché in correre alla soluzione tecnica dell’investimento per la scarsa educazione finanziaria, «Per alcuni versi sono messo peg- confidenza con il concetto di rischio», continua Salvischiani gio gli uomini e per altri le donne» afferma Fornezza. «Dal di Agos. «Le donne sono dei talenti naturali ma che vanno punto di vista della cultura finanziaria gli uomini sono più necessariamente allenati nell’interesse del proprio nucleo preparati e hanno accesso a fonti più professionali e diret- familiare». «Contro inflazione e tassi negativi», ammonisce te, come consulenti bancari e finanziari. Di contro le donne Fornezza, «l’errore peggiore che si può commettere è rimahanno un punto di debolezza, il loro processo di formazione nere invischiati nella trappola della liquidità andando così è più interno alla famiglia, è come si appoggiassero di più agli verso un futuro che sarà sicuramente più povero». E in fauomini in questa materia». «Però il target femminile», con- miglia chi forma i figli al risparmio? «Entrambi», spiega tinua Flavio Salvischiani, vice direttore generale di Agos Salvischiani. «La donna forma i figli a gestire il denaro con «emerge come dotato di alcune risorse e capacità che, se oculatezza, attraverso lo strumento della paghetta. L’uomo fa adeguatamente valorizzate, possono essere molto utili per sperimentare ai figli la socializzazione finanziaria, portandouna cultura finanziaria moderna. Le donne cioè sono da un li con sé in banca ad aprire il conto corrente». lato più orientate dell’uomo al controllo del denaro, dall’altro sono più orientate al futuro rispetto agli uomini che Come ci si informa sulla gestione del denaro? hanno un orizzonte di breve periodo. Per tutti: internet pesa, nel bene e nel male Questo tipo di capacità rappresentano potenzialmente degli ottimi requisiti per intraprendere con successo un I PRINCIPALI CANALI percorso di apprendimento sulla pianileggo su internet o sui social le notizie 47 51 ficazione finanziaria della famiglia sul ascolto i miei famigliari più competenti di me lungo periodo». Dobbiamo insegnare +16 41 25 alla persona, uomo o donna che sia, ad in banca/ascolto il mio consulente 26 34 +8 organizzare le proprie finanze famileggo sui quotidiani 23 32 +9 liari sul lungo periodo, è il messaggio ascolto la tv/radio nella bottiglia che lancia Fornezza. «La 19 25 +6 famiglia italiana è oculata, continua ascolto i miei amici più competenti di me 15 18 a risparmiare, magari meno di prima altro 2 2 ma si capisce che ha cromosomi sani, BASE CASI: TOTALE ITALIA, 1063: 557 UOMINI E 506 DONNE VALORI%. FONTE AGOS MONITOR 2019 l’indebitamento è sempre fatto con giu30
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L’INTERVENTO
Educare i risparmiatori serve a poco se non c’è equità fiscale tra i prodotti di Vincenzo Bafunno*
L’EDUCAZIONE FINANZIARIA È INDISPENSABILE MA, PER RENDERE CREDIBILE QUANTO SI INSEGNA, BISOGNA PARIFICARE LA FISCALITÀ DEI DIVERSI STRUMENTI FINANZIARI
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hi sa fa, chi non sa insegna!” recita un popolare, irriverente quanto ingeneroso adagio. Di sicuro i comportamenti quotidiani e il buon esempio valgono almeno quanto tante lezioni teoriche. I comportamenti macro di investimento/disinvestimento, le analisi su composizione e rendimenti medi dei portafogli e le statistiche sui livelli di soddisfazione dei risparmiatori italiani suggeriscono una forte urgenza di intervenire sul livello medio di educazione finanziaria nel nostro Paese. Pertanto le iniziative di educazione finanziaria promosse da Mef, authority, associazioni e ordini professionali sono sicuramente encomiabili e condivisibili: vanno promosse, incoraggiate e finanziariamente sostenute. Ma, come le regole pedagogiche di base insegnano, sarebbe anche auspicabile che, aldilà delle lezioni teoriche, tutti nei propri ambiti di azione e responsabilità si impegnassero per favorire comportamenti concreti delle Istituzioni più in linea con i principi teorici della finanza personale e comportamentale. La credibilità e l’efficacia delle iniziative in corso si scontrano per esempio con alcune criticità determinate dall’incoerenza di alcune impostazioni di sistema (logiche e soprattutto fiscali) che alimentano e amplificano distorsioni nei comportamenti effettivi di intermediari, consulenti e risparmiatori da quelli finanziariamente corretti. Alcuni esempi possono rendere chiarezza. L’home bias (eccesso di peso relativo di strumenti del Paese di residenza) è uno degli errori più frequenti e dannosi dei risparmiatori “male-educati”, ma il regime attuale di tassazione delle rendite finanziarie (con trattamento a favore dei titoli di stato) contribuisce a rafforzarlo in barba al principio di una corretta diversificazione geografica e settoriale di portafoglio. Sono state tollerate forme pubblicitarie che reclamizzano come “privi di rischio” strumenti emessi da Enti di emanazione governativa inducendo confusione tra il concetto di impossibilità e quello di bassa probabilità (in finanza, come in molte altre cose della vita, nessun pasto è gratis) in un sistema già fortemente af-
flitto da ripetuti e dolorosi casi di mala rappresentazione e gestione dei rischi finanziari. Si concepiscono forme di risparmio agevolato come i Pir (con alcuni gradi di inefficienza già al lancio perché relativamente più cari a “bilanciamento” di vantaggi fiscali futuri) VINCENZO BAFUNNO che poi di colpo vengono “bloccati” da interventi legislativi improvvidi penalizzando proprio i primi pionieri sottoscrittori aldilà dell’andamento dei mercati. Ancora, l’investimento diretto in fondi comuni o Etf (le forme più democratiche ed efficienti di investimento) è fiscalmente penalizzate in quanto non è consentita la piena compensazione tra minus e plus come per altre forme tecniche meno efficienti (come i singoli titoli) o più complesse (come le gestioni patrimoniali o le unit linked). In linea di principio la fiscalità dovrebbe invece essere totalmente neutra rispetto alle diverse forme tecniche e colpire in egual misura il rendimento netto prodotto indipendentemente dalla tipologia, dalla geografia e dalla natura dell’emittente degli strumenti d’investimento autorizzati dai quali è generato. Troppo spesso invece le implicazioni fiscali possono distorcere i comportamenti finanziariamente corretti di diversificazione o di acquisto e di vendita di singoli strumenti. E che dire dell’articolato e complesso processo di gestazione e applicazione della Mifid 2 (già di per sé di impostazione “gattopardesca”) che ha tollerato ritardi eccessivi e pratiche a volte elusive proprio sulle rendicontazioni, vessillo di trasparenza e correttezza? E’ del tutto evidente che contemperare interessi ed esigenze (pienamente legittimi) dei diversi stakeholder comporti una complessa opera di equilibrio, gradualità e piani di azioni a più livelli. D’altro canto un più incisivo e coordinato impegno di Mef, authority, associazioni e ordini professionali nelle opportune sedi per l’eliminazione di alcune evidenti storture del sistema di gestione del risparmio italiano rappresenterebbero un apprezzabile esempio di comportamento virtuoso e renderebbero lo sforzo per il miglioramento del livello di educazione finanziaria ancor più credibile, concreto e utile. Educare è indispensabile. Per rendere più credibili gli insegnamenti occorre anche fare, e nella giusta direzione. * Consulente di direzione
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CREDITO POPOLARE
La missione education non conosce frontiere di Giuseppe De Lucia Lumeno (*)
ASSOPOPOLARI HA PRESENTATO A EDUFIN 2019 I PRIMI STUDI SULLA MORFOLOGIA DEL SISTEMA BANCARIO NEL MONDO. IL PRIMO REPORT È SULLE BANCHE ASIATICHE, CON FOCUS SU CINA E GIAPPONE
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ttobre, per il secondo anno in Italia, è stato il “Mese dell’Educazione Finanziaria”. Una campagna informativa e formativa finalizzata a migliorare la conoscenza del sistema finanziario così da garantire un accesso più consapevole a servizi e prodotti finanziari per tutti, operatori del settore e fruitori. L’Associazione fra le Banche Popolari, negli scorsi anni, si è molto adoperata affinché l’Italia seguisse l’esempio degli Stati Uniti dove il National Financial Literacy Month (che lì è aprile) è una consuetudine radicata. Oggi l’obiettivo di sensibilizzazione è stato raggiunto e anche nel nostro Paese si fa strada la convinzione che investire sull’educazione finanziaria non sia più un lusso ma una evidente necessità. La rivoluzione tecnologica, con l’accelerazione registrata negli ultimi dieci anni, sta producendo uno sconvolgimento dell’ordine sociale ed economico tanto profondo quanto, in tempi decisamente più lunghi, fu la rivoluzione industriale. Ai delicati e complessi problemi aperti non sono state trovate soluzioni adeguate ma al contrario vengono spesso subiti passivamente, così le diverse crisi economiche e finanziarie facilitano la strada a rapidi e pericolosi percorsi di accentuazione degli squilibri economici e sociali. 32
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La stessa sostituzione del denaro contante con l’utilizzo della moneta elettronica può produrre grandi difficoltà e un profondo senso di smarrimento nei consumatori. Educare ai cambiamenti nei diversi settori, dal mondo del lavoro a quello delle comunicazioni, dalla produzione agli scambi commerciali e anche monetari e finanziari - il cosiddetto “fintech” - è un passaggio obbligato per uscire da questa condizione di subalternità e riprendere un percorso di crescita complessiva consapevole. Nella convinzione che insegnare gli elementi fondamentali dell’economia e della finanza rappresenti dunque un investimento per il futuro e che vada fatto ogni giorno e in ogni realtà, Assopopolari da oltre un decennio è impegnata in un articolato progetto di educazione finanziaria che si articola in pubblicazioni integrate da convegni, seminari, workshop e corsi specifici. L’insieme di queste iniziative hanno la particolare caratteristica di essere sistematicamente inserite negli ambiti territoriali delle proprie associate con lo scopo di raggiungere, in modo capillare, soci e clienti con un’attività di supporto, di sollecitudine e di coordinamento delle decine di iniziative rivolte alle comunità locali. Un tempo era denominata “Educazione al risparmio” e ha sempre rappresentato un fattore costitutivo del credito popolare. Basterebbe rileggere le pubblicazioni dedicate ai bambini e ai loro genitori, i fumetti del “Tamburino lombardo” dell’allora Banca Popolare di Milano, le storie del Signor Bonaventura o le iniziative sulla giornata del risparmio organizzate dalle Banche Popolari nelle scuole elementari.
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Oggi la formazione e l’informazione, realizzata dall’associazione insieme a tutta la categoria, continua a essere un impegno costante affinché i bisogni presenti e futuri dei risparmiatori si integrino nella quotidianità delle scelte e dei problemi da affrontare attraverso interventi e strumenti elaborati e calibrati per classi di età e tasso di scolarizzazione del pubblico e della clientela. La serie di lavori pubblicati nel corso degli anni è numerosa: “Esperienze di Educazione Finanziaria a confronto: Italia, Europa, Mondo”, uno strumento di analisi del livello di conoscenza dei concetti elementari dell’economia e della finanza, pubblicato e aggiornato più volte nel corso degli anni; “Cosa cambia per i risparmiatori con le nuove regole di gestione delle crisi delle banche” del 2015; “L’economia è un gioco da ragazzi?” dedicato ai più piccoli, del 2014; “Educazione Finanziaria, Banche Popolari e Pmi” del 2011; “I giovani e l’educazione finanziaria” del 2010; “Il linguaggio dell’economia, del credito e delle assicurazioni” del 2009; “Internet ed educazione finanziaria” del 2009; “Il Glossario dei termini economici” del 2008 ripubblicato nel 2014; “Schemi di Educazione Finanziaria” con una serie di suggerimenti pratici, una guida di riferimento rapido; “L’Abc dell’antiriciclaggio” nel 2015 e aggiornato quest’anno dopo l’entrata in vigore della nuova regolamentazione. Assopopolari si è anche resa protagonista di una collaborazione internazionale con le principali organizzazioni delle Credit Unions statunitensi e con la Nazional Credit Union Foundation - tra le maggiori organizzazioni di tutto il sistema delle Credit Unions - che concentra la propria attività sulla “capacità e alfabetizzazione finanziaria”; nel 2017 è stata ospite a Washington proprio delle Credit Unions, per confrontarsi sul tema dell’alfabetizzazione della propria clientela in relazione agli sviluppi della banca digitale e di prodotti di risparmio e investimento sempre più sofisticati. Continuano gli scambi con organizzazioni di credito quali Filene Research Institute (su ricerca e innovazione), la World Council of Credit Unions (su questioni internazionali di sviluppo normativo e l’unione di credito) e la Credit Union Executive Society (sullo sviluppo professionale e capitale umano). Quest’anno il contributo di Assopopolari al mese dell’educazione finanziaria è stato su un diverso e originale piano formativo. L’Associazione ha infatti colto l’occasione dell’appuntamento per realizzare una serie di studi sulla morfologia e sul funzionamento del sistema bancario nel mondo, con particolare riguardo, naturalmente, alla cooperazione bancaria. I primi lavori sono stati pubblicati proprio nel mese di ottobre sull’Asia con singoli approfondimenti su Cina e
Giappone, India e Corea del Sud. Altri ne seguiranno ancora sull’Asia e poi sull’Africa, in particolare Kenya e Sud Africa, e ancora Brasile e Australia. Da un lato dunque si continua nell’attività classica fornendo ai cittadini, singoli o famiglie, e agli operatori del sistema bancario tutti gli strumenti cognitivi aggiornati per operare e lavorare con la necessaria competenza, dall’altro in un mondo fortemente globalizzato si è deciso di allargare lo sguardo oltre i confini dell’Europa, per conoscere l’evoluzione del sistema bancario e per avere consapevolezza del ruolo primario che in queste economie ha assunto la cooperazione bancaria. La necessità di accompagnare soci e clienti nelle proprie scelte di investimento e formare i propri operatori per il credito popolare è indispensabile per consolidare un rapporto di fiducia frutto di un lungo percorso di conoscenza reciproca. Un valore etico e un elemento strategico per l’intero sistema bancario che necessitano, oggi più che in passato, anche di uno sguardo dalle dimensioni internazionali. Proprio lo stretto rapporto con i territori e il farsi prossimità determina il bisogno formazione finanziaria dei clienti, premesse essenziali per uno sviluppo sano delle comunità e per una sostanziale ripresa dell’economia reale. Così come conoscere ciò che accade in zone geograficamente e culturalmente lontane ma che, inaspettatamente, propongono soluzioni più vicine di quello che potrebbe apparire. Educazione e formazione possono contribuire a garantire un benessere economico etico e consapevole. Attraverso un utilizzo appropriato e cosciente dei complessi strumenti finanziari, assicurativi e previdenziali è possibile consentire a chiunque di contribuire a costruire un futuro sicuro per sé stessi, per le proprie famiglie e per la propria comunità. *Segretario Generale Associazione Nazionale fra le Banche Popolari novembre 2019
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INTERVISTA A STEFANO VOLPATO
«Le famiglie non sanno come investire? Ma oggi le Borse meritano fiducia» di Sergio Luciano
«È
IL DIRETTORE COMMERCIALE DI BANCA MEDIOLANUM ESORTA I RISPARMIATORI ITALIANI A NON FARSI TRAVOLGERE DAL CLIMA D’INCERTEZZA. «NEL LUNGO TERMINE IL MONDO SICURAMENTE PROGREDIRÀ E CON L’ECONOMIA CRESCERANNO I LISTINI MONDIALI»
vero, il mondo attraversa un’epoca di incertezze. Ma c’è una certezza granitica: a lungo termine, l’economia è sempre cresciuta. E crescerà ancora moltissimo nei prossimi anni, rapidamente. E con l’economia cresceranno le Borse»: Stefano Volpato parla con il fervore che ben gli conoscono i 4.200 family banker di Banca Mediolanum, l’istituto fondato da Ennio Doris di cui è direttore commerciale. Ma sarebbe sbagliato definirlo “ottimista”, per quanto convinto e trascinante sia nel declinare il pensiero dell’azienda agli interlocutori (tutti: dal più competente al meno attrezzato) con termini, paragoni, immagini di grande incisività. «Non mi considero né ottimista né pessimista», spiega. «Però non faccio l’errore di guardare soltanto all’oggi. Guardo anche al domani. Analizzare le situazioni sul breve termine è fuorviante. Focalizzarsi sull’oggi ti porta via il domani».
Viene in mente il titolo del libro di Doris: “C’è anche domani”. Secondo lei cosa accadrà, nel domani dell’economia? Nel lungo termine il mondo progredirà. Questa è la nostra certezza. Dobbiamo, sì, aver chiari i temi dell’oggi e del contingente, ma non dimenticare il medio-lungo termine. Per esempio la popolazione mondiale, oggi di circa 7 miliardi, nel 2050 arriverà a 10. Inoltre il reddito procapite si svilupperà nettamente, che unitamente all’incremento della popolazione, produrrà una massa enorme di denaro in circolazione che genererà benessere e consumi, che sono il motore di tutto. Ecco: la grandissima differenza tra ottimista e pessimista dipende da dove volgi lo sguardo. Se guardi all’oggi vedi tanti focolai di problemi, diventi per forza pessimista. Però i risparmiatori si trovano di fronte a scenari del tutto inediti e preoccupanti. Basti pensare al clima, alla demografia… Sono i grandi, nuovi temi d’incertezza: il confronto intergenerazionale, che a 30 anni di distanza pone i ventenni di oggi davanti a uno scenario del tutto diverso. Dal baby boom alle nascite piatte. Questo impatta drammaticamente sui conti delle famiglie. I genitori contavano sul fatto che dal giorno dopo il diploma o la laurea, il futuro lavorativo dei 34
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Nella foto Stefano Volpato, direttore commerciale di Banca Mediolanum
figli era sicuro. Oggi no: i figli spesso raggiungono l’autonomia finanziaria dopo il 40° anno di età. Il che significa che i bisogni finanziari dei genitori aumentano. Anche perché i figli sono abituati a un alto tenore di vita. Se non fanno i precari… Appunto: un altro tema rilevante è la mobilità del mondo del lavoro. Dai 55 ai 65 anni un lavoratore su due è disoccupato a intermittenza: su dieci anni è in panchina per tre, e quindi deve far fronte alle sue necessità attingendo ai
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risparmi, se ne ha. Questa generazione è stretta tra figli che tardano a rendersi autonomi e genitori più longevi che hanno bisogno di assistenza e cure costose. Oggi un anziano in casa di cura costa 3000 euro al mese. L’allungamento della vita media è infatti l’altro tema cruciale: bellissimo da un lato, ma carico di implicazioni finanziarie. Oggi un 45 enne che abbia 70 mila euro di reddito lordo potrà contare su una pensione pari al 37% del suo stipendio. Da 3000 euro al mese si ritroverà con 1000.
Sono problemi nuovi… La struttura sociale è cambiata, l’antica famiglia patriarcale era la compagnia assicurativa di se stessa, c’era una forma di solidarietà interna che attivava dinamiche di sussidiarietà inconcepibili nei nuclei familiari frammentati di oggi… il concetto di grande famiglia intergenerazionale è saltato.
E che dire della gelata dei tassi d’interesse? Che è un cambiamento epocale, mai visto negli ultimi 200 anni. In almeno 7 Paesi dell’eurozona i tassi a 10 anni sono negativi. Significa che un risparmiatore compra un titolo di Stato di quel Paese e dopo 10 anni gli restituiscono meno soldi di quanti ne abbia dati. Un autentico paradosso. A 10 anni il Btp rende lo 0,8% lordo: un niente. Questo è molto grave per noi italiani, perché il risparmiatore italiano aveva sempre visto nell’investimento in titoli di Stato la soluzione più semplice e immediata. Oggi gli manca ed è disorientato. Be’, chi non lo sarebbe dopo una simile sfilza di elementi di apprensione… Eppure la scarsa educazione finanziaria conduce a non accorgersi dell’evidenza, a non capire che l’alternativa è l’economia reale. Che si riflette nell’ottimo andamento delle Borse mondiali sul medio e lungo termine. Come ben dimostra questo nostro grafico. E qui Volpato squaderna un grande istogramma che rappresenta la performance media annua delle borse mondiali dal 1926 ad oggi. Un triangolo dove i quadratini colorati di azzurro o di blu indicano gli anni in cui il rendimento è stato positivo, quelli bianchi, gialli, arancioni o rossi negativo. E sono pochissimi, come piccole boe in un mare azzurro-blu.
mano i risparmiatori a fare un’analisi dinamica della loro vita e non statica, prevedendo i temi e i problemi che dovranno fronteggiare nel medio-lungo termine e individuare soluzioni semplici.
Più psicologi che family banker! Un bravo family banker ha anche sensibilità psicologica, certo. Spesso noi italiani siamo malati di presentismo, ci concentriamo sulla realtà di oggi e non riusciamo più ad alzare la testa e allungare lo sguardo verso il domani. Abbiamo bisogno di qualcuno che sia in grado di aiutarci in questo percorso, realizzando per noi un ponte tra il mondo vecchio e il mondo nuovo. Esprimendosi con semplicità e chiarezza. Ma quali sono le esigenze primarie di un risparmiatore-tipo, secondo lei? Innanzitutto eliminare i rischi dalla sua vita, pianificando il futuro del patrimonio e del capitale umano. Poi accrescere le risorse a sua disposizione, imparando a risparmiare di più, comprendendo quali abitudini siano inutili, quali sprechi si possano tagliare, tenendo fermo il proprio progetto di vita. E, terza cosa, dare efficienza al risparmio che ciascuno è riuscito ad accantonare. Facile a dirsi. Per rendere efficiente il nostro risparmio dobbiamo allearci con l’unica macchina oggi in grado di produrre in modo efficiente ricchezza futura: l’economia globale.
Ma chi ci assiste dev’essere bravo. Certo: bravissimo. Deve portarti veramente la soluzione giusta per te. Farti salire sulla macchina dell’economia mondiale e insegnarti a governare le emozioni che ti portano puntualmente fuori strada. Seguendo strategie di investimento che rendano l’andamento dei mercati il nostro più prezioso alleato nel raggiungimento dei nostri obiettivi.
«I RISPARMIATORI SONO DISORIENTATI PER I RENDIMENTI NEGATIVI DEI TITOLI DI STATO PERCHÈ LA SCARSA EDUCAZIONE FINANZIARIA NON FA VEDERE LORO L’ALTERNATIVA: L’ECONOMIA REALE»
«I dati esposti da questo grafico illustrano molto bene che distanza c’è tra la realtà dei mercati che sono sempre cresciuti tantissimo e la percezione di insicurezza e rischiosità che si attribuisce loro». Però navigare in questo mare di azzurro non è da tutti. Quale comune risparmiatore sarebbe per esempio in grado di investire sulle Borse mondiali? Infatti: che cosa serve alle persone in questo contesto così nuovo e difficile? Servono specialisti capaci di condurre per
E adesso veniamo a lei, anzi a voi family banker…siete all’altezza? Quella che le ho appena descritto è la vera sfida di chi fa il nostro mestiere: fornire un benessere diffuso attraverso la valorizzazione del risparmio e incentivando un sistema che favorisca una sempre maggiore partecipazione delle persone ai mercati finanziari, così da rendere più sicuro il loro futuro. Io ho sempre fatto questo mestiere con l’idea di entrare in una famiglia, aiutarla, e pensare che dopo 40 anni quelle stesse persone, ritrovandosi con figli adulti, nipotini, nonni, potessero ricordare l’incontro con me dicendo: però che fortuna abbiamo avuto ad incontrare Stefano, quel giorno. È la ricompensa più bella per chi fa la mia professione: aver generato benessere per chi si è affidato a noi. Io punto a questo, da 33 anni. E penso che il nostro ruolo sia sempre stato importante ma oggi è diventato addirittura imprescindibile. novembre 2019
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SCENARI
Commercio globale al palo? Trump c’entra meno dell’evoluzione digitale di Matteo Ramenghi*
ROBOTICA E DIGITALIZZAZIONE STANNO FACENDO PERDERE PESO AL COMMERCIO INTERNAZIONALE PIÙ DI QUANTO STIA FACENDO IL PRESIDENTE USA CON LA POLITICA PROTEZIONISTICA DEI DAZI
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er i mercati finanziari gli ultimi due anni sono stati caratterizzati dal rischio politico nel mondo occidentale; in questo quadro il protezionismo e lo scontro tra le due super potenze economiche, Stati Uniti e Cina, rappresentano certamente il rischio più rilevante per l’economia globale. Occorre chiarire due aspetti, da una parte il commercio globale era già in stallo prima che Trump inasprisse le relazioni con la Cina (gli scambi internazionali arrancano dal 2011), dall’altra la stessa Cina ha più volte dichiarato che la prossima fase di crescita sarà rivolta alla domanda interna, con l’effetto probabile di ridurre gli squilibri commerciali. In effetti la Cina rappresenta sempre di più un mercato di sbocco per le società occidentali. La ragione dello stallo del commercio internazionale è soprattutto da ricercarsi nell’evoluzione tecnologica. A partire dagli anni ‘90, la globalizzazione ha portato a catene produttive molto lunghe e estremamente efficienti. Tuttavia la robotica riduce i costi di produzione anche nelle economie avanzate rendendole nuovamente competitive. In aggiunta il commercio di alcuni beni e servizi talvolta viene stravolto dalla digitalizzazione, pensiamo al caso della musica che ormai viene prevalentemente scaricata da internet. Questo ci fa ritenere che probabilmente il commercio globale, almeno come viene inteso oggi, perderà peso nel futuro. Il Fondo monetario internazionale (Fmi) ha pubblicato il suo rapporto semestrale sulle prospettive economiche. La parte a nostro avviso più interessante riguarda l’analisi sull’impatto del protezionismo e sugli effetti della delocalizzazione della capacità produttiva delle multinazionali che cercano di contenere l’impatto del crescente protezionismo degli Stati Uniti. Evidentemente la conclusione è che l’impatto dei dazi è negativo sia per i paesi emergenti, che perdono tessuto industriale, che per i paesi importatori, in primis gli Stati Uniti. Non è una sorpresa ma una ulteriore conferma che il protezionismo non è “gioco a somma zero”, come sembrano ritenere alcuni politici. Il Fmi ha simulato gli impatti sul Pil, consumi, investimenti e bilancia commerciale di una ipotetica rilocalizzazione di molte produzioni negli Stati Uniti, la zona euro e il Giappone per ridurre le importazioni soggette a dazi. I Paesi importatori risulterebbero soffrire una forte perdita di efficienza e un aumento di costi, che comporterebbe un aumento dell’inflazione e una riduzione dei margini delle azien36
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de. Ciò creerebbe più danni che vantaggi e la simulazione del Fmi mostra una perdita di consumi, investimenti e Pil vicina al 2% in cinque anni nelle economie sviluppate. Evidentemente l’impatto sarebbe ancora maggiore nei Paesi esportatori che vedrebbero una forte perdita di occupazione e di investimenti esteri, il che farebbe scendere i consumi, deteriorare la posizione fiscale potenzialmente spingendo le valute interessate verso la svalutazione. Ciò che lo studio non prende in considerazione sono le conseguenze sociopolitiche. Quante persone deciderebbero di emigrare per sfuggire alla povertà? Quanti regimi autocratici diverrebbero insostenibili in assenza della promessa di un rapido sviluppo economico? Quali sarebbero le conseguenze di medio termine di una possibile guerra valutaria? Seppur con alcuni effetti collaterali e in particolare le crescenti disparità, la globalizzazione e l’integrazione delle catene produttive hanno prodotto effetti complessivamente positivi per l’economia mondiale. Invertire la rotta e fare un tuffo nel passato produrrà esiti negativi. In ogni caso, la rivoluzione tecnologia e la strategia cinese di sviluppare la domanda interna nel tempo ridurranno gli sbilanci commerciali anche in assenza di dazi. *Chief investment officer di Ubs Wm Italy
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RISPARMIO GESTITO
Sgr: le nuove sfide tra illiquidi, passivi e distributori che fanno da sé
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di Nicola Ronchetti*
orreva il 2004 e fu amore a prima vista quello tra reti dei cf e i big dell’asset management esteri, JP Morgan Asset Management, Morgan Stanley, Fidelity Investments, Pictet, Merril Lynch (allora BlacKRock non esisteva ancora), Schroders e Franklin Templeton, nomi iconici per i quali il solo nominarli significava per i cf raccolta netta portando nel nostro immaginario collettivo, diciamocelo un po’ provinciale, le blasonate piazze di Londra, Parigi, New York e Ginevra. Allora come oggi non è che mancassero le case di investimento nostrane di qualità ma tanto è che, salvo qualche eccezione, due su tutte Anima ed Eurizon (allora si chiamava Nextra), noi italiani profondamente esterofili, cediamo volentieri al fascino della straniera. Dimenticando molto spesso che le banche le abbiamo inventate noi: Banco San Giorgio fu la prima banca a vedere la luce nel 1407 a Genova, e la via più finanziariamente cool di Londra si chiama Lombard Street perché Re Edoardo I
nisti tra consulenti finanziari, private banker e gestori bancari (Finer® CF Explorer, Finer® PB Explorer, Finer® Bank Manager Explorer), che chiedono a gran voce alle case di investimento rendimenti, capacità di differenziare la propria offerta, valore aggiunto e consulenza in un mercato che rischia di diventare un NICOLA RONCHETTI mercato di commodities dove l’unica cosa che conta, in assenza di valore aggiunto, è naturalmente il prezzo o il costo. Risultato: nel 2005 i cf che proponevano le selezioni di prodotto della mandante erano il 24% contro il 76% che proponeva il prodotto di una casa terza, nel 2019 i rapporti si sono invertiti, il 69% segue i consigli della mandante e solo il 31% cerca di fare – con alterne fortune - il “piccolo chimico” proponendo il singolo prodotto di una Sgr. Come se non bastasse a invadere le praterie, una volta inesplorate del risparmio degli italiani (i 1.400 miliardi di euro sui conti correnti fanno appetito a molti), ci si sono messi pure i big degli Etf, i tanto dileggiati passivi o, per dirla alla Blade Runner, “replicanti”, che sempre più spesso ultimamente però bagnano il naso ai tanto blasonati gestori attivi, due su tutti: iShares leader indiscusso in Italia e il nuovo (big) entrante Vanguard. Sono finite qua le sfide per le tante società di investimento approdate in Italia in cerca di gloria? Assolutamente no! Troppo bello se si dovessero contrastare solo gli illiquidi e gli Etf, ora ci si mettono pure i partner della distribuzione che dopo anni di dilemmi shakespeariani del tipo “to be or not to be”, tradotti più prosaicamente nel classico “make or buy” sembrano tornare alle origini scegliendo un più razionale “I make it”. Ai più attenti osservatori non sarà infatti sfuggita una bellissima pubblicità apparsa su Il Sole24Ore di FAM, Fineco Asset Management che testualmente recita “I mega trend che stanno rivoluzionando il pianeta in un unico fondo, Fineco Asset Management lancia FAM mega trends il primo fondo tematico distribuito da Finecobank per investire su 6 grandi trend con un unico portafoglio diversificato e sempre aggiornato”. Pochi forse sanno che sotto questo bellissimo prodotto ci sono diverse case di investimento “terze” che non appaiono essendo forse diventate commodities. Complimenti a chi stravolge le regole del mercato, in bocca al lupo a chi ne viene travolto.
SONO OLTRE 100 LE CASE D’INVESTIMENTO ESTERE PRESENTI IN ITALIA. CHE DEVONO FARE I CONTI CON CONCORRENZA E TENDENZE INEDITE
d’Inghilterra concesse il terreno lungo la strada ai prestatori su pegno originari dell’Italia settentrionale che allora veniva chiamata “Lombardia”. All’amore a prima vista è seguito un rapporto totalizzante, complice l’enorme quantità di denaro che gli italiani da brave formichine hanno saputo accumulare, le case di investimento terze, attratte dal suolo natio come le mosche al miele, si sono azzuffate per arrivare a conquistare una fetta di questo enorme tesoretto: oggi sono oltre 100 le case di investimento estere presenti in Italia. Come ogni relazione molto passionale, superata la crisi del settimo anno (nel 2012) oggi dopo quindici anni, dobbiamo prendere atto che qualcosa da rivedere nella relazione probabilmente ci sia. “Nel 2019 la raccolta netta del risparmio gestito in Italia, se togliamo le operazioni istituzionali, non supera i 200 milioni di euro”, a dirlo è Pietro Giuliani, presidente di Azimut, unico distributore e gestore italiano con presenza all’estero, che apre ufficialmente la crisi del settore dell’asset management proponendo investimenti illiquidi e democratizzandone l’accesso a tutti con Demos, il primo fondo chiuso di private equity retail al mondo, con importo minimo di sottoscrizione pari a 5 mila euro. E a metterlo ancora più in evidenza sono i risultati dei monitoraggi di Finer che ogni anno coinvolgono oltre 7.000 professio-
*Founder e ceo di Finer
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INTERVISTA CON JEAN ERGAS
«L’Italia è rientrata nei ranghi di un’Ue che sta uscendo dai suoi» di Sergio Luciano
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l nuovo governo italiano è armato di buona volontà, sta cercando di far qualcosa garantendo la permanenza dei saldi di bilancio entro i limiti dei Trattati. Ma non so se riusciranno, non perché siano in malafede o siano brocchi ma perché se c’è l’economia che rallenta, tutto si complica»: Jean Ergas, capo economista della boutique finanziaria di Wall Street Tigress Financial Partners, tra i più quotati analisti macro del sistema, autore di una newsletter economica quotidiana assai ambita, guarda all’Italia con gli occhi del mondo e il cuore di chi nel nostro Paese ha vissuto e studiato, affezionandosi ed abituandosi a riconoscerne ed appreezzarne le numerose virtù nascoste, al di là dei visibilissimi difetti. Dunque Ergas lei è preoccupato nonostante la Lega, con il suo carico di promesse fiscali, non sia più nella maggioranza che sostiene il governo. È vero che non c’è più la Lega ma la politica delle promesse fiscali, sia pure con titoli diversi, è finora confermata. Peraltro va detto che il vostro Paese è stato molto criticato per le sue velleità neo-keynesiane, ma ora questi criteri stanno vastamente ritornando, basti pensare alla linea Lagarde che oggi s’impone alla Bce. In un certo senso l’Italia è stata antesignana. Lei che ne pensa: vinceranno i neo-keynesiani? Credo che bisogna trovare un saggio compromesso tra rigore e lassismo. Peraltro l’Italia è aiutata dal ribasso dei tassi indotto dalla retrocessione mondiale che le permetterà di rifinanziare il proprio debito a costi minori. Però il rischio di recessione da noi resta grave… Purtroppo sì, l’economia italiana risente della congiuntura mondiale, il rischio c’è 38
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L’ECONOMISTA «GURU» DELLA TIGRESS FINANCIAL PARTNERS TRACCIA L’ANALISI, E LE PREVISIONI MACRO, DELL’ECONOMIA ITALIANA E MONDIALE
Jean Ergas è capo economista della boutique finanziaria di Wall Street Tigress Financial Partners
ed è forte. Gli investitori sono prudentissimi. Sembra che non si muove più nulla. Se qualche tempo fa costoro non investivano perché non si capiva la politica del governo e non ci si fidava, oggi non si investe perché il problema non è più interno ma generale, almeno europeo. Paradossale… Siete rientrati nei ranghi di un’Europa che intanto sta uscendo dai suoi. Draghi e Lagarde l’hanno detto chiaramente. Peraltro l’Italia non è la Corea del Sud che vive di export. L’Italia e gli altri Stati dell’Unione non diventeranno mai altrettanti Singapore, non possono essere, è l’economia interna che deve ripartire. La domanda interna in specie e gli investimenti in conto capitale. Ma perché gli italiani non consumano di più e non investono, tenendo fermi sui conti correnti 1,4 miliardi di euro, a rendere zero? In Italia i singoli cittadini non hanno debiti, eppure non spendono. Si fanno i conti e constatano che da molto tempo gli stipendi, e dunque il loro potere d’acquisto, non aumentano più. I prezzi delle case, che per l’80% hanno in proprietà, non aumentano
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più, e ciò gli dà la sensazione che il loro capitale non cresce. Hanno paura del futuro. La vecchia equiparazione automatica tra crescita economica e lavoro per tutti è saltata. I cittadini temono per il loro lavoro e a maggior ragione per quello dei figli. E dunque si tengono strette le riserve finanziarie che hanno. Questa è una delle caratteristiche italiane molto diverse da quelle degli Stati Uniti e di molti altri Paesi sviluppati dove a diciotto anni i giovani escono di casa e iniziano a badare a se stessi. Aggiungiamo a tutto questo che il crollo dei rendimenti obbligazionari ha distrutto la generazione bot-people, quelli che integravano bene il loro reddito con le cedole dei titoli di Stato. Chiaro? Un Paese prosperato sulla redditività dei titoli di Stato e sulla rivalutazione degli immobili si trova privo di entrambe queste prospettive. Che fare? Il problema Italia va affrontato nel contesto delle politiche europee, ed è un problema sociale condiviso da tanti altri Paesi dell’Unione, non è il problema dei tassi al -0,4%. Va affrontato il problema delle disuguaglianze e quello della disoccupazione, per mitigarli se non per risolverli, e ripristinare un clima di fiducia. E gli Stati Uniti? Cosa faranno per la loro economia e per quella mondiale? Negli Usa c’è un’economia che va piuttosto bene ma poggia completamente sul consumatore, sta quindi in equilibrio su una gamba sola, perché non si investe o non abbastanza. Sarà pure una gamba robusta, quella dei consumi, ma… se la caviglia si storce, tutto viene meno, crolla. I consumatori non fanno investimenti in conto capitale, eppure beneficiano ancora di sgravi fiscali e non s’indebitano. Per quel che riguarda i rapporti con gli altri Paesi, la politica di Trump è tutta imperniata sullo slogan “America first”, prima l’America e gli americani. Non c’è più quell’antico pensare globale di porsi come leader mondiali, la tendenza a lavorare tutti insieme, ora si dice: “Abbiamo fatto le nostre riforme, adesso voi fatevi le vostre”. Poi in generale gli americani guardano all’Unione europea come a una struttura fatiscente, fossilizzata. Per questo a Trump piace tanto Boris Johnson e punta a sostituire l’Unione europea nel ruolo di partner con la Gran Bretagna postBrexit. Escludo che l’America si veda ancora come una locomotiva che traina
l’economia estera. Non vuole minimamente fare favori a Paesi che fanno politiche protezioniste… io direi che la buona fase economica americana può ancora durare, ci sono fattori ancora interessanti, ma io comincio a non fidarmi più dei soli consumatori e delle loro spese correnti, mi fiderei di più se i grandi gruppi americani investissero in conto capitale. Teme una frenata economica? Siamo già in una situazione in cui il debito pubblico sta aumentando, le imprese anche a Wall Street cominciano a incontrare qualche difficoltà a trovare denaro fresco, a fare raccolta. L’economia americana resta forte, soprattutto nel confronto internazionale. Ma siamo come e dove vorremmo essere? Io dico: non più. Trump dice invece che l’economia è fortissima. Ma allora perché vuole che i tassi scendano? Ancora una cosa su Wall Street: che ne pensa del buonismo dei magnati della Business Roundtable? Considero la dichiarazione della Business Roundtable estremamente importante. Oltretutto può avere un grande effetto-Borsa. La Borsa è la vera ricchezza. Quindi credo che sì, cambiare l’approccio mentale del capitalismo nella chiave dell’utile collettivo è utile, funziona sul lungo termine ma anche sul brevissimo. Parliamo ancora di un altro Paese protagonista dell’economia: la Germania. Coma la vede? La prima volta che ci andai rimasi colpito dalla sua colossale ricchezza. È un Paese che sta attraversando diverse crisi tutte insieme. Dal punto di vista strutturale soffre la manifattura: -12% le vendite, -14% l’export. Deve fronteggiare due problemi: la frenata dell’export verso i Paesi in via di sviluppo e poi la transizione verso l’auto elettrica. Servirebbe più cash flow per investimenti proprio quando viene meno il cash flow. Paradossalmente, l’industria ha bisogno di successo per investire. Ma il 50% dell’economia tedesca dipende dai Paesi in via di sviluppo. Dove i tedeschi esportavano macchinari capaci di promuoverne lo sviluppo! Ora questa fase è finita, quei Paesi sono autonomi, a chi verranno vendute quelle macchine? E’ vero che la disoccupazione è bassa, ma ci sono tantissimi poveri in Germania: lavorano, è vero, ma guadagnano poco. Il grande miracolo tedesco dov’è? Infine: Cina e India? La Cina cresce meno di prima. È una fortissima potenza industriale, ha straordinarie infrastrutture. Ha avuto l’accortezza di costruire prima le infrastrutture e poi le industrie. Oggi dicono: siamo talmente grandi che non riusciamo più a fare il 6% all’anno di crescita, proprio per motivi di massa critica… Quindi ci avvisano: non sarà più la cuccagna di prima, ma anche se facciamo solo il 4% di crescita c’è sempre potenzialmente molta domanda dei vostri beni. Ma se così è, dov’è il problema? Il problema è che quella cinese è un’economia internalizzata, si sta focalizzando su prodotti e servizi creati e usati sul mercato interno, con un limitato effetto moltiplicatore per l’estero. L’India è un Paese interessantissimo ma non ha infrastrutture. Ha ancora tantissima strada da fare, ha il 54% di analfabetismo, in molte aree non c’è elettricità… Da un lato ha una forte industria hi-tech, dall’altro una povertà gravissima, e l’hi tech non crea lavoro. C’è un gettito fiscale bassissimo rispetto al Pil e stanno avendo un’industrializzazione completamente scissa da assunzioni, salari e dalla creazione di classe media. novembre 2019
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IL CASO STRATEGAS
Così si fanno profitti con la sola (ma vera) ricerca di Glauco Maggi
LA SOCIETÀ DI RICERCHE FINANZIARIE, SCELTA DA INVESTIRE PER PARLARE DI CONGIUNTURA, FA RECORD NEGLI USA
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nvestire” aveva ospitato nel numero di marzo una lunga intervista a Giasone Trennert (nella foto), fondatore e ceo di Strategas, società di ricerche finanziarie al servizio degli investitori istituzionali. Avevamo individuato questa boutique di analisti per una caratteristica importante, non comunissima a Wall Street: l’essere un’azienda di ricerca indipendente, relativamente piccola e sicuramente giovane (è nata nel 2006), ma che vanta una buona credibilità nel mondo finanziario Usa. Non siamo noi a dirlo, ma l’“Institutional Investor All-America Poll”, che ogni anno compila le classifiche di merito tra le ditte e i singoli analisti americani sulla base di un sondaggio tra migliaia di operatori (banche, assicurazioni, mutual fund, hedge fund, broker) che usano la consulenza delle società di ricerca per decidere i portafogli d’investimento per la clientela retail. Della ventina di società che compongono la hit parade dei migliori, Strategas si è confermata prima (per il terzo anno di fila) nella categoria complessiva della “Ricerca macroeconomica”, grazie al primo posto nella sottocategoria “Washington research” (monitoraggio del ‘palazzo della politica e dell’influenza del governo sui mercati’), al secondo nell’“Analisi dei conti di bilancio e delle politiche fiscali”, e al terzo nell’“Analisi tecnica”. In altre due maxi-categorie, “Strategia di portafoglio” ed “Economia”, la squadra di Trennert si è piazzata seconda. Qual è la ricetta per eccellere in questa attività? «Secondo il sondaggio abbiamo la migliore squadra a Wall Street nella ricerca Macro, il che è rimarchevole perchè siamo soltanto in poco più di 50 in Strategas», dice Trennert. «Ma trarre profitti facendo il mestiere della ricerca è la vera soddisfazione che nessun riconoscimento esterno soggettivo può pareggiare», puntualizza da businessman che bada al sodo. Perchè sarebbe meglio per un cliente istituzionale servirsi della ricerca “indipendente”, invece che rivolgersi a banche e finanziarie che sono anche attive nel mercato a 360 gradi e non lo scrutano solo da fuori? «La domanda sul valore della indipendenza è complicata e aperta alla discussione. Come società indipendente per 40
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esempio non dobbiamo preoccuparci di offendere qualcuno in un diverso comparto della nostra compagnia che magari ha affari con il governo o con una azienda che sta facendo lobbismo sul governo. Il nostro analista nella Capitale Dan Clifton così ha sviluppato il suo “Portafoglio delle opportunità politiche” come espressione della sua comprensione di quanto sia importante la spesa in lob-bismo per orientare le politiche in Congresso». Questo portafoglio ha costantemente battuto lo S&P500. «In ultima analisi», continua Trennert con modestia inattesa, «credo però che la risposta reale sia che le grandi banche non pensano di fare molti soldi con la ricerca pura. Sono più interessate all’investment banking e al trading. Come risultato non si focalizzano tanto sulla ricerca come facevano un tempo. E l’introduzione del Mifid2 ha solo reso questo trend più marcato. Non solo le grandi banche hanno meno analisti, ma questi ultimi fanno meno viaggi per visitare la clientela. All’opposto più del 90% del nostro fatturato è generato dalla ricerca e noi viaggiamo per visitare i nostri clienti in 44 Stati americani e in 20 Paesi esteri, Italia compresa. Ciò ci permette una buona comprensione non solo dei nostri clienti ma anche dell’economia in generale. Altre ditte di ricerca possono non sapere che cosa sta avvenendo al di fuori delle due coste», dice Trennert alludendo al fatto che l’establishment finanziario e politico tende a vivere e a pensare all’interno delle due “bolle” costituite da New York-Washington-Boston da una parte e da San Francisco-Los Angeles dall’altra. La graduatoria generale 2019 tra le società di ricerca, comprese le banche che operano in tutti i settori di attività, anche investendo in proprio, vede Strategas davanti a colossi come Deutsche Bank e Goldman Sachs.
Mediobanca Certificates, 70 anni di storia. Il mercato finanziario è come il mondo. Per essere esplorato in tutta la sua ricchezza ha bisogno di navigatori esperti. Dal 1946 Mediobanca assiste le imprese e gli investitori con servizi finanziari altamente specializzati dedicati a realtà che evolvono continuamente. I Certificates Mediobanca sono il frutto di competenza, esperienza e affidabilità. Certificates Mediobanca: un punto d’arrivo.
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GESTIONI & NUOVI TREND
Come e dove cercare rendimenti nell’inedita era dei tassi negativi di Mauro Del Corno
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empi non duri ma durissimi per chi cerca rendimenti. Nel mondo i bond sovrani e societari con interessi negativi valgono ormai 15 mila miliardi di dollari e sono in buona parte obbligazioni emesse in Europa. I titoli sovrani di Germania, Olanda e Svizzera hanno rendimenti sotto lo zero su tutte le scadenze. In Italia per ora,ci fermiamo a Btp a 3 anni. Le aziende più solide iniziano, a loro volta, a farsi pagare per indebitarsi. Le banche europee hanno già pagato 21 miliardi di euro in interessi per i loro depositi presso la Banca centrale europea. Così dopo Germania e Svezia, ora anche in Italia si parla della possibilità di applicare tassi negativi ai clienti con grandi somme sul conto corrente (non però di concedere mutui alle medesime condizioni come già accade altrove). Peraltro, considerati costi e balzelli, già da tempo il conto corrente costa più di quel che offre. La situazione non dovrebbe cambiare a breve. Anzi, secondo gli analisti di JP Morgan, in Europa i tassi resteranno in territorio negativo per almeno 8 anni. Il 42
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IL «MANTRA» DEI GESTORI DICE UNANIME: «È L’ORA DI SPOSTARSI SULL’AZIONARIO». MA BISOGNA SAPERE CHE IN BORSA SI RISCHIA DI PIÙ E SAPERSI DESTREGGIARE TRA P/E, TITOLI «VALUE» E UNICORNI risparmiatore si trova così tra l’incudine e il martello. Tenendo i soldi sul conto ci rimette sempre di più ma sul mercato i prodotti che rendono sono solo quelli con un livello di rischio elevato. Il vero guaio è che questo problema riguarda tutti, dal singolo risparmiatore ai mastodontici fondi pensione. Di conseguenza tutti si stanno spostando verso prodotti più rischiosi, alzandone i prezzi e riducendone i ritorni. Prodotti che una volta avrebbero pagato interessi a due cifre oggi si fermano a qualche punto percentuale. Chi deve investire oggi ha solo un piccolo vantaggio: l’inflazione bassa (+ 0,3%, il dato italiano di settembre). Per ottenere guadagni in termini reali non servono dunque chissà quali ritorni nominali. Obbligazioni. Tolto il caso dell’assoluta necessità di tenere i soldi quasi totalmente sicuro, meglio dimenticarsi Bot e Btp a breve scadenza e gran parte dei titoli di Stato dell’area euro. Si perdono soldi, a meno che non si scelga di investire in bond come si investirebbe in azioni, ossia scommettendo sull’ aumento del valore dei titoli piuttosto che sulle cedole. I Btp italiani sopra i 3 anni
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possono rappresentare un discreto compromesso. Accantonate le velleità verbali di uscita dall’euro, con uno spread stabilizzato sotto i 150 punti, la tenuta finanziaria del paese non corre rischi immediati. Un Btp a 10 anni paga poco meno dell’1% l’anno, circa il doppio dell’inflazione e più di un equivalente titolo spagnolo o portoghese. Spingendo sul pedale del rischio si può guardare ai titoli dei paesi emergenti (l’ultimissima moda pare essere l’Egitto, mentre le dilaganti tensioni politico sociali suggeriscono cautela sull’America Latina) oppure sui bond high yield (hy), ossia obbligazioni con rendimenti elevati poiché emesse da aziende che, per varie ragioni, non garantiscono un’elevata solidità finanziaria. Da questo punto di vista, i bond hy europei sembrano un po’ meno “spinti” rispetto a quelli Usa, con qualche grado di sicurezza in più. Attenzione però perchè in caso di prolungata frenata dell’economia questi bond sono i primi a saltare. Non ingannino cedole non elevatissime. Ricordiamo: i prodotti rischiosi e quindi più redditizi sono più ricercati che in passato, questo ne comprime gli interessi, distorcendo i segnali di rischio. Azioni. “Spostarsi sull’azionario” è il mantra dei gestori. Va bene, purché si abbia la consapevolezza che si rischia di più. Il gap tra i dividendi pagati dalle azioni e le cedole dei bond, è ai massimi storici. Inoltre i valori dei titoli non sembrano “tirati” come qualche tempo fa. Nell’ultimo anno i ricavi sono cresciuti in media del 4% mentre, a livello globale, i listini non hanno vissuto rialzi paragonabili. Questo ha ridotto il rapporto prezzo/utili, indicatore che cerca di valutare se un’azione è sopravvalutata oppure no. I gestori la fanno però un po’ troppo facile quando risolvono la questione del maggiori rischio spiegando che “bisogna allungare l’orizzonte temporale”. Certo nel tempo i fisiologici alti e bassi dei listini tendono a compensarsi ma un’azione può impiegare veramente tanto tempo prima di recuperare valori persi in precedenza. La congiuntura economica globale non favorisce le prospettive dei risultati aziendali. Questa valutazione è però largamente già incorporata nei prezzi: ricordiamo che titoli e indici salgono o scendono non se le cose vanno bene o male ma se migliorano o peggiorano. In tal senso eventuali sorprese su Brexit e dazi potrebbero provocare contraccolpi. Così come nuovi “aiu-
tini” delle banche centrali, Federal Reserve in primis, potrebbero spingere i listini ancora più su. Conti deposito. Con tasso netto in media dell’1% i conti deposito costituiscono un’alternativa interessante (vedi la coverstory di questo stesso numero). Tenendo presente due considerazioni. La prima è che i conti deposito che oggi pagano gli interessi più alti, non permettono di ritirare il capitale prima della scadenza. La seconda è che, a differenza delle obbligazioni, il rendimento è quello e solo quello. Non c’è insomma la possibilità di guadagnare qualcosa dall’apprezzamento del titolo. Il vantaggio principale è la sicurezza. Molto elevata, soprattutto se si scelgono conti di banche solide e che aderiscono al fondo interbancario che tutela i depositi fino a 100 mila euro. Su questi depositi si paga un bollo annuale pari allo 0,2% della somma, oltre al consueto 26% sugli interessi. Contante. Se si cerca sicurezza perché no? Alcune grandi aziende ci hanno pensato. Ma non è così facile come sembra, il “materasso” è più costoso di quanto si creda. Soprattutto se le somme da custodire sono di una certa entità. In tal caso bisogna mettere in conto il costo dello stoccaggio in luogo sicuro con relativa copertura assicurativa. Di fatto quindi, anche in questo caso, si finisce per pagare un interesse negativo che si somma alla modesta erosione del potere d’acquisto legato all’inflazione. Cambi. Quello valutario è uno dei mercati più difficili da “leggere” e prevedere per l’infinità di fattori che entrano nella determinare il valore di una moneta. Il dollaro è relativamente forte più per la debolezza delle altre valute che per meriti propri. Tuttavia il biglietto verde dovrebbe beneficiare ancora per qualche tempo dei tassi d’interesse superiori a quelli europei e delle migliori prospettive di crescita economica per gli Usa. La sterlina in questa fase è un investimento solo per cuori in perfetta forma. La roulette Brexit può portare a grandi vincite o a grandi perdite. Commodities. Più oro che petrolio. L’attacco di settembre alla raffineria saudita ha provocato un brusco rialzo del greggio rapidamente riassorbito nei giorni seguenti. Questo dimostra come il mercato sia consapevole che i grandi produttori hanno capacità di supplire a eventuali carenze temporanee. In generale inoltre il rallentamento economico riduce la pressione sui prezzi.
L’INSOSTENIBILE LEGGEREZZA DEI TWEET DEL PRESIDENTE TRUMP Ah…saperlo cosa passa per la testa di Donald Trump quando afferra lo smartphone. Tra stilettate alla Federal Reserve, guerre e/o armistizi commerciali, diktat ai petrolieri, chi conoscesse in anticipo il contenuto dei 280 caratteri, di soldi potrebbe farsene un bel po’. I tweet del Presidente provocano scossoni, più o meno bruschi, sui mercati. Un effetto percepibile da chiunque osservi abitualmente i listini ma che ora due studi (Nber e Goldman Sachs) provano a quantificare con maggior precisione. Le due analisi valutano il peso del “fattore Twitter” in termini di movimenti dei futures sui Fed funds (il tasso applicato alle banche quando si prestano tra di
loro, a brevissimo termine, le riserve che tengono presso la Fed). I movimenti dei Fed funds si riflettono, a cascata, su tutti gli altri rendimenti. Vengono prese in considerazione le variazioni che si verificano nei 30 minuti che seguono i tweet di Trump sui vari tipi di futures. Le diverse durate sono infatti influenzate al numero di riunioni del Fomc (il comitato del Fed che decide i tassi) prima della scadenza. Nel complesso i tweet critici verso la Fed (il primo fu del 18 aprile 2018), hanno sinora provocato una riduzione dello 0,1% delle attese sui tassi. L’impatto è più forte (- 0,3%) sui futures a più lunga scadenza. Un segnale piuttosto preoccupante poiché fotografa la convinzione del mercato
che le politiche della banca centrale possano essere influenzate dalla Casa Bianca in modo persistente. Ogni tweet è in pratica una piccola picconata all’indipendenza e alla credibilità della Federal Reserve. La reazione dei futures si manifesta soprattutto nei 5 minuti immediatamente successivi alla pubblicazione sul social. Gli scossoni sono ancora più forti in caso di tweet sui dazi. Quando Trump minaccia un’escalation delle guerre commerciali (quindi il mercato teme un rallentamento dell’economia e quindi politiche monetarie più espansive) l’immediato impatto sui futures sui Fed funds è di –0,6% punti. (m.d.c.) novembre 2019
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DIAMANTI
Il migliore amico delle donne può ancora esserlo di chi investe di Ugo Bertone
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o, non è un momento facile per il mercato dei diamanti. Da qualunque parte lo si voglia giudicare. Sul fronte italiano non si è ancora spenta l’eco dello scandalo che ha coinvolto come vittime centinaia di risparmiatori che, improvvisamente, si erano fidati di intermediari avidi e disinvolti alla ricerca - come ha dichiarato a verbale la segretaria di Vasco Rossi, una delle vittime più note - di “un investimento sicuro, non soggetto a oscillazione di valore e anzi in grado di garantire un rendimento molto elevato nel tempo”. Ma non al riparo, ha scoperto il Blasco, dal “rischio” di prezzi fuori mercato che, magra consolazione, non sono comunque un’esclusiva italiana. In India, uno dei mercati più importan44
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NON È UN MOMENTO FACILE PER IL MERCATO DELLA PIETRA PIÙ PREZIOSA DEL MONDO. PERÒ I PREZZI SONO CALATI DI MOLTO E, CON LA GIUSTA GUIDA, OGGI SI POSSONO FARE BUONI AFFARI ti, perfino il governo ha vacillato per la truffa ai danni delle banche (complici i dirigenti, of course) perpetrata da Nirav Modi, solo omonimo del premier Narendra Modi: 40 milioni di dollari andati in fumo per aver finanziato il rampante gioielliere di Mumbai, nato ad Anversa ma erede di una dinastia indiana del settore, famoso per aver disegnato il collier da 100 carati indossati da Kate Winslet nella cerimonia degli Oscar. Lasciamo perdere le truffe. A complicare la sorte dei “migliori amici di una ragazza”, come Marilyn Monroe ebbe a definire le pietre preziose, ha provveduto quest’anno una lunga serie di calamità, dalla caduta della domanda, già in calo dopo
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la corsa spettacolare della Cina dal 2008 in poi, e bruscamente fermata dalla crisi di Hong Kong che ha momentaneamente azzerato l’attività di una delle cattedrali del lusso, alle difficoltà incontrate dalle grandi miniere, costrette a rallentare la produzione per evitare una caduta dei prezzi. Sia De Beers che la concorrente russa Alros hanno, metaforicamente parlando, i magazzini pieni. Basta citare l’esempio della miniera di Argyle, nell’estremo ovest d’Australia, che l’anno scorso, sui 150 milioni di carati estratti nel mondo, ha fornito 10-15 milioni di carati di pietre preziose in tonalità rosa, rosso e porpora. Pochi giorni fa il proprietario, il colosso minerario Rio Tinto, ha annunciato che nel 2020 la miniera resterà chiusa per smaltire le giacenze. Non vanno meglio le cose per Petra Diamonds, altro gigante del settore quotato alla City di Londra, cui fa capo la leggendaria miniera Cullinan in sud Africa da cui provengono le pietre più grandi e costose del pianeta. La società ha appena chiuso i conti a metà 2019 in perdita per 203 milioni di dollari su un fatturato in calo a 463,7 milioni (-6%). Un dato influenzato dall’operazione pulizia decisa dal ceo Richard Duffy che ha tagliato il valore delle pietre in magazzino a poco più della metà a 247 milioni, rilevando nella relazione di bilancio che «ci vorranno tra i 12 e i 18 mesi per rivedere i prezzi di un anno fa». Concordano gli analisti di Berenberg: “I diamanti”, si legge, “vanno a mille quando funzionano tutti gli otto cilindri dell’economia mondiale. Se qualcosa s’inceppa, sono i primi a pagare il conto”. La conferma arriva da De Beers: l’asta del 3 ottobre scorso in Botswana (lo Stato africano che è oggi il secondo azionista del gruppo) ha registrato vendite del 44% inferiori a quelle di dodici mesi prima per un totale di 280 milioni di dollari nonostante le condizioni eccezionali offerte ai “sightholders”, i commercianti che hanno il privilegio di poter partecipare alle aste. Eppure stavolta i compratori, che in genere sono tenuti ritirare e in blocco il lotto offerto, hanno potuto rifiutare fino a metà delle gemme offerte da De Beers che per giunta si è impegnata a ricomprare un 20% del quantitativo. Un flop prevedibile anche perché, a complicare i destini del settore, ha lar-
SECONDO RICHARD DUFFY (PETRA DIAMONDS) «TRA 12-18 MESI, I PREZZI RIPRENDERANNO LA CORSA CHE È STATA INTERROTTA NEL 2017»
La sede di De Beers, il colosso mondiale del settore di cui è secondo azionista lo Stato africano del Botswana
gamente contribuito la novità che ha messo in crisi il celebre slogan, cioè “un diamante è per sempre” che dal 1948 ha accompagnato l’attività di De Beers. Non più, si potrebbe obiettare, dopo l’avvio dell’attività di Lightbox, la società creata dalla stessa De Beers per produrre e commercializzare i diamanti sintetici sfornati dai laboratori inglesi del colosso che promettono di non sfigurare al collo di una star. Per ora il costo s’aggira sui 4 mila dollari al carato ma l’obiettivo della multinazionale sudafricana è di comprimere il prezzo a soli 800 dollari. Una scelta, almeno all’apparenza, da kamikaze che ha comunque scoraggiato la concorrenza di altri produttori e creato uno spazio per nuove attività. Ma che lascia aperto più di un quesito. “Vedremo a Natale”, commenta un report di Morgan Stanley, “sarà un test decisivo. Non è un mistero che la domanda è debole, perciò tutti attendono le festività come l’occasione per rilanciare i prezzi e così strappare in banca le condizioni per rinnovare i prestiti sugli stock”. Insomma non mancano le ragioni per spiegare la crisi e convincere i dubbiosi a star lontani dalle pietre. A torto, probabilmente. Almeno questa è l’opinione di mister Duffy che, basandosi sull’esperienza del passato, la vede così: «E’ un mercato tosto, che stenta a cambiare tendenza. Ma quando lo fa, l’inversione di rotta è rapidissima. Io prevedo che per i prossimi 12-18 mesi i prezzi resteranno bassi, poco sopra i tassi di inflazione Usa. Poi riprenderanno la corsa interrotta nel 2017», quando la domanda globale diamanti aveva toccato, secondo il report annuale di De Beers, il record assoluto di 82 miliardi di dollari. All’epoca l’indice del lusso, l’americano Knight Frank, aveva messo i diamanti in testa alla classifica
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dei beni rifugio per rendimento nell’ultimo decennio davanti all’oro, all’immobiliare di lusso e al mercato azionario Usa. Da allora l’indice dei diamanti è sceso del 5% mentre, segnala il Financial Times, il giro d’affari complessivo del settore è sceso sotto un miliardo a 922 milioni di sterline. Per chi ha pazienza (e capitali) può essere il momento giusto per acquistare sfruttando, tra l’altro, le qualità di un investimento fisico che consente di diversificare il resto e di creare valore nel tempo senza correre il rischio di deterioramento o di altri svantaggi perché: a) i diamanti garantiscono l’anonimato; b) non hanno praticamente costi di manutenzione; c) non prevedono carichi fiscali (una volta pagata l’Iva). Ma è necessario evitare alcuni rischi, a partire dalla scarsa trasparenza dei prezzi. Non è facile muoversi tra le 16mila varietà catalogate da De Beers, peraltro trattate in 28 Borse sparse per il pianeta anche perché non esistono due diamanti eguali identici, bensì tante pietre classificate con il criterio delle quattro 4C: carat (peso); cut (taglio); clarity (purezza) e colour (colore). È perciò d’obbligo appoggiarsi al parere di esperti affidabili acquistando diamanti che dispongano di un certificato rilasciato da un laboratorio di gemmologia riconosciuto che, dopo aver identificato la pietra, enumerato le sue caratteristiche prendendo in considerazione le 4 C (che determinano anche il prezzo stesso del diamante) e descritto le qualità e gli eventuali difetti per garantirne la tracciabilità, utilizzerà 46
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un laser per incidere il numero di certificato. Per avere un’indicazione affidabile sui prezzi occorre affidarsi all’indice messo a punto nel 1970 da Martin Rapaport, che viene aggiornato ogni giovedì pomeriggio, ora di New York, sulla base delle transazioni sulle varie piazze. Si tratta di un listino riservato agli addetti ai lavori, ma è possibile seguire le quotazioni pubblicate sui vari siti specializzati. In realtà non è semplice orientarsi tra le molte voci presenti nel listino. Per avere la garanzia di acquistare una pietra dal taglio “excellent” o “very good” è senz’altro utile far riferimento ad or-
NON È FACILE MUOVERSI TRA LE 16MILA VARIETÀ CATALOGATE DA DE BEERS, PERALTRO TRATTATE IN 28 BORSE SPARSE PER TUTTO IL PIANETA
ganizzazioni come il Gia (Istituto gemmologico americano), l’Igi (Istituto gemmologico italiano) o l’Igi di Anversa (Istituto gemmologico internazionale), magari avvalendosi delle opportunità in materia di trasparenza rese possibili dal web. Ibm, per esempio, ha messo a punto una blockchain che garantisce la provenienza dei prodotti. E non mancano iniziative sulla Rete, come il sistema B Forever messo a punto dalla Investment Diamonds di Anversa (guidata da Marcello Manna, figlio d’arte e grande appassionato del settore) che consentono di vendere le pietre secondo il meccanismo d’asta, tipo eBay. Non mancano dunque le opportunità per sfuggire alle truffe investendo in un settore dall’appeal irresistibile, che ci riporta alle origini del tempo. Come ha rivelato una straordinaria scoperta di un geologo italiano dell’università di Padova, Fabrizio Nestola, pubblicata su Nature: la fabbrica dei diamanti, naturali, mica sintetici, individuata nelle viscere della miniera Cullinan a 780 chilometri sotto la crosta terrestre: da lì arriva un piccolo cristallo inglobato all’interno di un diamante 40 volte più grande. È il Casio 3, che emerge dal mantello inferiore della Terra, un composto cristallino con enormi potenzialità tecnologiche, quasi una risposta di Madre Natura ai laboratori di De Beers: il diamante è davvero per sempre.
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UN’EPOPEA DA DIMENTICARE
Ma il tandem diamanti-banche ha ruote sgonfie e clienti furiosi di Giuseppe D’Orta
PROCEDONO I RIMBORSI DA PARTE DEGLI ISTITUTI DI CREDITO CHE AVEVANO COLLOCATO AI LORO SPORTELLI LE PIETRE DI IDB E DPI A CARO PREZZO
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ebbene alcune testate giornalistiche ne avessero parlato due anni prima e oltre, il merito di aver evidenziato al grande pubblico, e in particolare agli interessati, l’assurda storia dei “diamanti finanziari”, termine improprio usato per descrivere i diamanti venduti in banca come investimento è della trasmissione Report della Rai, che la sera del 17 ottobre 2016 ha dato il via a una corsa agli sportelli da parte dei clienti. Il servizio mostrava situazioni assurde, come quella di una cliente Intesa Sanpaolo cui era stato venduto per 7.016 euro (i 16 euro sono la marca da bollo che avevano la faccia tosta di addebitare al cliente) un diamante del valore di 1.700 euro. Quella sera è partita una valanga i cui effetti sono oggi visibili nelle filiali degli istituti interessati, nei loro bilanci e nei loro uffici legali: una valanga che ha scoperchiato un meccanismo di vendita piramidale condotto dalla Intermarket Diamond Business (Idb), oggi fallita, e della Diamond Private Investment (Dpi), ancora attiva ma in situazione di stallo. Le due società vendevano pietre a prezzi elevatissimi, giustificando la maggiorazione sul prezzo di mercato coi servizi forniti al cliente come la consulenza e l’assistenza nella fase di vendita. Ed è qui che la piramide si palesava: a comprare era un nuovo cliente, con la società che incassava nuove provvigioni. Capostipite della vendita di diamanti in agenzia è stata Unicredit, attiva da fine anni ‘90 con la Idb. Dal 2013 in poi, altri grandi istituti come Intesa Sanpaolo, Ubi Banca, Banco Popolare e Bpm, oggi unite, si sono aggiunti collocando prodotti Idb oppure Dpi. Si sono poi accodati altri istituti come Unipol Banca e altri minori, incluse alcune banche di credito cooperativo. Le provvigioni per l’attività di “segnalazione” dei clienti erano stratosferiche, spesso raggiungendo il 20%-25% del prezzo finale. Il motivo che ha portato le banche a vendere diamanti è stato questo: la redditività, unita ai tassi di interesse molto bassi. Nel dicembre 2015, (come poi riportato da Plus - Il Sole 24 Ore del 29 ottobre 2016. N.d.r.) infatti durante un incontro con tutte le sigle sindacali nell’area di Firenze, in risposta alle perplessità riguardo la vendita di un prodotto particolare e anche rischioso come i diamanti, il responsabile delle risorse umane del gruppo 48
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Il procuratore aggiunto di Milano Riccardo Targetti e la pm Grazia Colacicco hanno contestato i reati di truffa e autoriciclaggio a 87 indagati e 7 persone giuridiche
Intesa Sanpaolo rispondeva che “si tratta di una forma alternativa di ricavo necessaria in un lungo momento di tassi di interesse bassissimi”. Nel novembre 2017, l’Autorità Garante per la Concorrenza ed il Mercato (Agcm) ha considerato le modalità a mezzo delle quali veniva prospettato l’acquisto di diamanti in violazione del Codice del Consumo. Il tutto con l’aggravante che il canale bancario ha indotto in errore i consumatori relativamente a plurimi elementi tra cui: 1. Il prezzo di questi diamanti e il modo con cui veniva calcolato; 2. L’andamento di mercato dei diamanti che veniva rappresentato come “ufficiale” dando o meglio trasmettendo la sensazione al cliente della banca, anche con l’utilizzo di materiale documentale, che si trattasse di riferimenti a indici simili a quelli di Borsa Valori quindi praticamente tipici dell’andamento di altri beni, spesso richiamati per assimilazione, come l’oro. 3. La vantaggiosità e la redditività dell’acquisto che l’avrebbero reso un prodotto ad hoc per realizzare la diversificazione dei propri risparmi venendo spesso prospettato in comparazione con l’inflazione e altri investimenti quali i “beni rifugio”; 4. La certezza del rapido e certo disinvestimento in termini di facile liquida-
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bilità del bene; 5. Le esatte qualifiche del professionista venditore, cioè la società, la cui eccessiva sponsorizzazione o, addirittura, in alcuni casi di esaltazione del ruolo trasmetteva al cliente la sensazione di avere a che fare con un leader indiscusso di mercato in grado di interagire con estrema facilità su di una segmento fortemente liquido e come tale pronto a rispondere a eventuali necessità proprio di liquidità da parte del cliente. Anche la Procura di Milano, col procuratore aggiunto Riccardo Targetti e la pm Grazia Colacicco, si è interessata alla vicenda, e lo scorso 8 ottobre ha notificato la chiusura delle indagini con ben 87 persone fisiche e sette giuridiche indagate. I reati contestati sono truffa aggravata e continuata, auto riciclaggio con omessa sorveglianza e corruzione tra privati. Sono stati contestati anche reati amministrativi come l’ostacolo alla vigilanza. Particolarmente significativa la corruzione tra privati: le due società infatti erano solite “omaggiare” i dirigenti delle banche di oggetti d’arte, viaggi e altre utilità. Tutto ciò è stato possibile sfruttando le maglie della normativa. La nozione di offerta al pubblico di prodotti finanziari prevede infatti la compresenza di un impiego di capitale, dell’assunzione di un rischio e di un’aspettativa di rendimento. E’ su quest’ultimo punto che i soggetti implicati sono riusciti a sviare: in nessun documento rilasciato alla clientela, infatti, si prospettano rendimenti. I diamanti quindi non sono prodotti finanziari e non sono quindi soggetti alle norme del Testo Unico della Finanza, ma in non pochi casi si è assistito all’acquisto di diamanti effettuato col ricavato del disinvestimento di fondi comuni o altro posseduti presso la banca. Queste operazioni ricadono in pieno nella normativa sui prodotti e strumenti finanziari, specie se si è sotto regime di consulenza. Non solo. La sistematica attività di disinvestimento dei prodotti è sanzionabile dalla Consob. Più in generale la tesi che vorrebbe le banche aver agito solo da collocatori non regge, perché esse dispongono di tutti gli strumenti per accorgersi che stanno vendendo a prezzo anche triplo e quadruplo rispetto a quello di mercato. La loro presunta ignoranza quindi non è scusabile. Dopo l’esplosione del caso le banche hanno reagito in ordine sparso. Intesa Sanpa-
Quasi tutti i grandi istituti di credito sono stati a vario titolo coprotagonisti della moda e oggi sia pure in maniera diversa stanno correndo ai ripari
olo e poco dopo anche Banca Mps hanno capito che sarebbe stato opportuno togliersi dagli impicci e rimborsare tutti i clienti che reclamano. Unicredit, anche se non lo dichiara apertamente, sta rimborsando. Il Banco Bpm è rimasto l’unico tra i grandi istituti a decidere di non rimborsare tutti bensì di offrire soluzioni parziali, col diamante che resta al cliente. Le cifre offerte sono nel tempo cresciute, ma ancora non sono risolutive come dovrebbero. Banco Bpm ha due grosse problematiche. La prima è di natura quantitativa, poiché nasce dall’unione di due gruppi in cui tutte le banche vendevano diamanti alla clientela. La seconda discende dalla prima: se rilevasse i diamanti, sarebbe poi costretto a valorizzarli al giusto prezzo di mercato, con la conseguente emersione di una notevole minusvalenza. Anche stavolta, dietro iniziativa di Idb (ancora non fallita), si erano ipotizzati dei “tavoli di conciliazione ove le istanze dei consumatori possano essere esaminate, discusse e, se possibile, definite in via conciliativa”. Il modello è oramai consolidato: le associazioni di consumatori vengono cercate nel tentativo di rifarsi una verginità e risparmiare sui risarcimenti. Le decisioni di Mps e Intesa hanno però fatto naufragare l’idea in partenza. Meno male: specie in questa storia non c’è bisogno di “tavoli” perché non c’è un bel niente da “conciliare”. Bisogna invece rimborsare l’intero importo investito e farlo a tutti, non solo ai coloro i quali si presentano a reclamare. La prima cosa, come sempre, è la prevenzione. Occorre capire che in banca, come alle Poste e altrove, i suggerimenti non sono quasi mai disinteressati. Peggio ancora se si offrono strumenti “innovativi”, “alternativi”, molto allettanti specie in quest’epoca di tassi a zero e sottozero. novembre 2019
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FINANZA ETICA & RESPONSABILE
Chi fa del bene, investe meglio di Rosaria Barrile
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hi fa del bene al pianeta o migliora la qualità della vita altrui, assicurandone il godimento dei diritti fondamentali, vive meglio e ci guadagna. Anche in senso materiale. Come dimostrato da diversi studi,le scelte socialmente responsabili si traducono in performance finanziarie positive. Ma tale evidenza stenta ancora a tradursi in decisioni di investimento precise e conformi ai criteri Esg (acronimo che sta per “Environmental, social, governance” e indica i versanti ambientali, sociali e di «buon governo»). A confermarlo è una recente indagine di Vontobel Asset Management condotta su oltre 4.600 persone in 14 paesi. A livello globale solo il 29% degli intervistati ha preso decisioni di risparmio e di investimento secondo i principi Esg. In Italia tuttavia la percentuale è una delle più alte con il 41%. In media il 59% degli intervistati non sa nemmeno che un approccio Esg al risparmio e all’investimento sia possibile. In Italia, questa percentuale scende al 47%. L’ indagine rivela altri risultati incoraggianti: gli investitori italiani sarebbero disposti a destinare il 49% di un ipotetico portafoglio di 100 mila euro adinvestimenti in linea con questi principi. Ma non solo: il 23% degli intervistati italiani ritiene che le aziende che si comportano in modo etico saranno più redditizie nel lungo termine. Nonostante queste preferenze, la loro traduzione in scelte socialmente responsabili si sta rivelando molto complessa: lo studio dimostra che gli investitori interessati ad adottare un approccio Esg hanno bisogno di sostegno e consulenza per trasformarlo in un processo decisionale finanziario. In particolare il 47% dei partecipanti 50
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CRESCE LA RACCOLTA E IL NUMERO DEI PRODOTTI FINANZIARI CHE TENGONO CONTO DI CRITERI DI SOSTENIBILITÀ AMBIENTALE, SOCIALE E DI GOVERNANCE. MA SIAMO SOLO ALL’INIZIO DI UN CAMBIAMENTO RADICALE
Nella foto Luca Testoni, fondatore ed editore di ETicaNews
allo studio afferma di volere maggiori informazioni dai propri intermediari. Solo il 17% dei partecipanti all’indagine ha ricevuto una proposta dal proprio consulente in merito alle opportunità Esg (la percentuale si ferma al 18% in Italia). Per i fornitori di prodotti Sri e per i distributori tale gap rappresenta un bacino di opportunità, a patto di saperle cogliere in modo corretto. Tanto più che in un futuro ormai alle porte la disponibilità di tali prodotti e la capacità di fornire consulenza adeguata rappresenterà un fattore competitivo, come ha confermato a Investire, Luca Testoni, fondatore e direttore di ETicaNews, la prima testata in Italia ad occuparsi di finanza SRI dal 2011. «Siamo ancora alle tappe iniziali del processo di diffusione dei prodotti Sri e c’è ancora molto bisogno di lavorare sulla cultura non solo degli investitori, ma anche dei distributori. Mi aspetto tuttavia un ritmo di crescita più rapido delle attese perché le spinte sono molti forti. L’Italia ha iniziato solo due anni fa a parlare seriamente di investimenti Sri. L’evoluzione tuttavia non sarà solo quantitativa, ma qualitativa. I risparmiatori stanno iniziando a porsi domande sempre più profonde sui criteri Esg. Occorre però poi tradurre questa maggiore consapevolezza in una presa d’atto concreta, in una scelta di investimento precisa. Il passaggio è complicato. Dall’inizio di quest’anno sono tante per esempio le reti di consulenza tradizionali che si stanno chiedendo come affrontare questo tema. Alcune reti si stanno concentrando in questo momento più sull’etichetta, e in particolare sulla ricerca della “label” vincente, più che sulla qualità e sul funzionamento del prodotto. Si tratta di un approccio semplificato-
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rio, diciamo una porta d’entrata, che ha il merito di affrontare la tematica. ma è chiaro che occorrerà presto andare oltre la label per rispondere al bisogno di qualità manifestato dagli investitori soprattutto da quelli più sofisticati». «Il margine su cui lavorare», continua Testoni, «è ancora molto ampio: basti pensare che in questo momento il collocamento di prodotti Sri effettuato attraverso le reti è fermo al 4% del totale. La capacità di consulenza sugli investimenti Sri, che dovrà essere acquisita per far fronte ai nuovi obblighi di legge basati anche sulle indicazioni di Esma, rappresenta un elemento distintivo in grado di alzare l’asticella della qualità nel rapporto con il cliente e di tradursi
sul mercato in un fattore competitivo».
«LE RETI DI CONSULENTI FINANZIARI SI STANNO INTERROGANDO COME AFFRONTARE IL TEMA ESG. MA DEVONO SPOSARE LA QUALITÀ E NON L’ETICHETTA»
100 MILIARDI GESTITI SECONDO CRITERI SRI Al 28 giugno 2019, l’Atlante Sri realizzato da ETicaNews, che si appresta a illustrare gli ultimi dati aggiornati in occasione del Salone Sri del 20 novembre, conta 369 fondi per un totale di 1272 classi, emessi da 79 diverse case di gestione. Il patrimonio in gestione alla fine del primo semestre del 2019 è di circa 87,5 miliardi di euro. Si tratta di una cifra a cui occorre aggiungere i quasi 13 miliardi di euro
Boom di fondi e di Etf Sri Nonostante la domanda di prodotti Sri debba ancora dispiegarsi appieno, nel primo semestre dell’anno la raccolta realizzata ha registrato una crescita a due cifre rispetto all’inizio dell’anno. A fornire il polso del mercato, è l’Atlante Sri, l’unica mappa degli investimenti socialmente responsabili in Italia, realizzata e costantemente aggiornata dall’ufficio studi di ETicaNews analizzando l’offerta di tutte le case di gestione operative in Italia.
di patrimonio degli Etf Sri scambiati su Borsa Italiana. Complessivamente si tratta quindi di ben 100 miliardi di euro gestiti con approccio Sri. Non si tratta tuttavia di patrimonio unicamente italiano. Questo valore è calcolato aggregando il patrimonio delle singole share class autorizzate in Italia ma si tratta di asset under management che, salvo rari casi, comprendono anche masse internazionali.
Le opzioni disponibili in Italia sono cresciute anno su anno fino a registrare un’impennata di Etf e di fondi. Gli Etf Sri quotati su EtfPlus di Borsa Italiana a fine giugno 2019 erano 79 su un totale di oltre mille prodotti (Etf, Etf attivi e Etf strutturati).Il vero boom degli Etf Sri si è registrato nel 2018, quando ne sono stati lanciati ben 28. Per quanto riguarda invece la negoziazione sul segmento EtfPlus, la cui data non coincide necessariamente con quella di lancio del prodotto, solo nel primo semestre del 2019 sono approdati sul mercato di Borsa Italiana ben 29 Etf Sri, il 37% dell’attuale catalogo di Etf Sri presente nell’Atlante. Il patrimonio gestito ammonta a quasi 13 miliardi di euro (dati aggiornati al 28 giugno 2019). La società che predomina per asset under management ha in gestione oltre 4 miliardi di euro. Borsa Italiana conta 20 diverse case di gestione operanti sugli Etf. Tra queste, più della metà (12 per l’esattezza) ha emesso almeno un Etf Sri. Seppur inferiore all’exploit degli Etf, la crescita dei fondi resta importante sia in termini di nuovi prodotti, sia di numero di classi. Del resto le case di gestione con grande frequenza novembre 2019
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I NUMERI DELL’ATLANTE SRI: IL PATRIMONIO GESTITO AMMONTA A CIRCA 87,5 MILIARDI DI EURO. LE SOCIETÀ DI GESTIONE COINVOLTE SONO PASSATE DA 50 A 79 NEL GIRO DI UN ANNO. I FONDI SRI CENSITI SONO 369 PER UN TOTALE DI 1.272 CLASSI
lanciano nuovi fondi sostenibili, anche cambiando la strategia di investimento di fondi già esistenti per dargli un mandato che risponda ai criteri Esg. L’ultima edizione dell’Atlante Sri conta 369 fondi Sri per un totale di 1.272 classi (retail e istituzionali). Il patrimonio Sri gestito ammonta a circa 87,5 miliardi di euro (dati al 28 giugno 2019). Le società di gestione coinvolte sono 79: il numero degli operatori è cresciuto vertiginosamente, basti pensare che nel 2010 se ne contavano 50. La categoria degli azionari Sri si è confermata la più numerosa: al suo interno ci sono tutti quei fondi Sri che investono in una determinata area geografica e rappresentano il 43% dell’offerta Sri italiana. A livello geografico il 52% delle classi analizzate investe in titoli globali, il 18% in Europa, il 12% nei mercati emergenti e il 9% nell’area euro. Meno rappresentati i fondi che investono negli Stati Uniti (il 5%) e in Asia (4%). I fondi obbligazionari Sri rappresentano il 22% dei fondi Sri autorizzati in Italia. Gli obbligazionari corporate rappresentano il 67,5% della categoria. I fondi che investono in green bond, strumenti di debito emessi da società che finanziano progetti con impatto positivo sull’ambiente e sul clima, sono 14 (rappresentano circa il 18% dell’attuale offerta obbligazionari Sri), per un totale di 40 classi, emessi da 12 società. I criteri Esg entrano nel questionario Mifid Sulla mancanza di informazioni reperibili da parte di chi intende investire in prodotti Sri, sottolineata dalla ricerca curata da Vontobel Asset Management, si è soffermata anche l’Esma. Da tempo nell’Unione Europea è in atto un processo normativo volto
a promuovere e disciplinare il tema degli investimenti sostenibili. Nel gennaio 2019, con l’emanazione di nuove bozze di integrazione dei regolamenti delegati di Mifid 2 e di Idd, è stata rilasciata la proposta di modifica del regolamento delegato n. 565/2017: le preferenze Esg sono così entrate a pieno titolo nelle informazioni da richiedere al cliente ai fini della profilazione, nella definizione degli obiettivi di investimento, che gli intermediari devono effettuare nell’allocazione dei prodotti finanziari al cliente, nella valutazione e nel report di adeguatezza. Ma non solo. Ai fini della product governance, l’insieme di quelle norme che sovrintendono la creazione e la gestione dei prodotti finanziari, i fattori Esg contribuiscono alla definizione del target market positivo e ciò sia in sede di definizione delle caratteristiche dei prodotti, sia in quella di individuazione della tipologia di clienti possibili destinatari. In sintesi, Esma obbliga di fatto produttori e distributori di essere molto più dettagliati nelle informazioni Esg da fornire ai risparmiatori. Non bisognerà limitarsi, quindi a chiedere se il cliente è interessato ai temi ambientali, sociali e di governance, ma occorrerà specificare con più precisione quali preferenze Esg soddisfa il prodotto.
DA SEGNARE IN AGENDA: IL SALONE SRI L’appuntamento per approfondire i temi della finanza sostenibile è per mercoledì 20 novembre 2019 presso il Palazzo delle Stelline, a Milano dove si terrà la quarta edizione del Salone SRI, un’iniziativa unica nel nostro Paese per confrontarsi sui prodotti e sulle strategie Esg. Organizzato da EticaNews, l’evento è rivolta a consulenti e investitori retail e da quest’anno anche agli investitori istituzionali e agli operatori del private banking. Nel corso della giornata sarà presentato l’aggiornamento dell’Atlante SRI su player e prodotti Esg in Italia mentre Anasf illustrerà la quarta ricerca sui consulenti e sulla finanza sostenibile. L’evento
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ospiterà anche la terza edizione degli SRI Awards, premi assegnati ai migliori prodotti di questo tipo distribuiti in Italia. Il Salone SRI è parte integrante dell’ottava edizione della Settimana dell’Investimento Sostenibile e Responsabile (o Settimana SRI) che si svolgerà dal 12 al 21 novembre 2019 tra Milano, Roma e Napoli. L’iniziativa, promossa e coordinata dal Forum per la Finanza Sostenibile, comprende 13 convegni tutti aperti al pubblico. Sabato 16 novembre l’intera giornata sarà dedicata a una rassegna di eventi culturali volti ad avvicinare adulti e bambini ai temi della sostenibilità e della finanza attraverso cinema, musica e laboratori.
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TRASPARENZA
«Così noi di Etica spingiamo i manager a gestioni sostenibili»
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di Rosaria Barrile
ostenibilità è partecipazione. Anzi “engagement”, inteso tecnicamente come azionariato attivo. Ad aver adottato in maniera convinta questa impostazione è Etica Sgr, che si è storicamente distinta per aver portato tra le prime in Italia una delle strategie più evolute di investimento responsabile. A raccontarne le ragioni è Luca Mattiazzi, direttore generale della società. «L’obiettivo principe dell’engagement è condurre le imprese verso comportamenti più sostenibili e responsabili, portandole ad assumere decisioni che prendono in considerazione anche tematiche sociali, ambientali e di buon governo nelle proprie politiche aziendali. Questa scelta può portare benefici anche in termini finanziari. Alcuni studi dimostrano che esiste una correlazione positiva tra le risposte delle aziende all’engagement degli investitori su temi ambientali, sociali e di governance e le loro performance. L’attività di engagement può contribuire a ridurre il profilo di rischio-rendimento di un portafoglio azionario». L’investimento sostenibile e responsabile richiede anche la misurazione e rendicontazione della propria attività in ottica di trasparenza nei confronti dei propri clienti e stakeholders. Per questo Etica Sgr ogni anno realizza l’Engagement Report, una pubblicazione che sintetizza i risultati raggiunti l’anno precedente. «Nel 2018 abbiamo rivolto ai manager di 125 società internazionali complessivamente più di 500 domande su tematiche di responsabilità socio-ambientale e politiche aziendali», prosegue Mattiazzi. «L’attività di dialogo è stata portata avanti attraverso l’invio di richieste scritte di informazioni, l’organizzazione di conference call, momenti di incontro o workshop con le imprese. L’attività di engagement ha toccato diversi ambiti strategici: il cambiamento climatico che comprende a sua volta le politiche ambientali e di rendicontazione delle emissioni, il rispetto dei diritti umani, sia in relazione alla dignità del lavoro, sia al rispetto lungo la catena di fornitura, e la fiscalità, intesa come trasparenza nella pubblicazione di dati sul tema». Se si guarda in senso stretto all’attività di voto in assemblea, Etica Sgr ha partecipato alle assemblee di 21 società votando più di 150 punti all’ordine del giorno. Il voto in assemblea, il cosiddetto azionariato attivo, è avvenuto con la diretta partecipazione alle assemblea degli azionisti delle imprese per le società italiane e con il voto tramite piattaforma elettronica per le società straniere. Le votazioni non in linea con le raccomandazioni del management della società in cui si è votato (voto contrario o astensione) hanno riguardato in particolare la composizione del Consiglio di amministrazione, i piani di remunerazione del top management, la nomina della società di revisione, la distribuzione dei dividendi, l’approvazione del bilancio di esercizio e il riacquisto di
TRA I PRIMI A PORTARE IN ITALIA LA STRATEGIA DELL’AZIONARIATO ATTIVO, ETICA SGR HA DIALOGATO CON 125 MANAGER E VOTATO IN 21 ASSEMBLEE SOCIETARIE SU 150 TEMI Nella foto Luca Mattiazzi, direttore generale di Etica Sgr
azioni proprie. «Abbiamo scelto di legare le tematiche affrontate con le aziende agli Obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite (SDGs, n.d.r.) al fine di stimolare la condivisione di un’ottica più ampia e globale, quella dello sviluppo sostenibile», spiega Mattiazzi. «Tali obiettivi comprendono tra gli altri anche la garanzia di una buona governance intesa anche come l’indipendenza e la diversità di genere nel Consiglio di amministrazione. Abbiamo votato per esempio contro la conferma della stessa società di revisione in tutte le imprese degli Stati Uniti in cui abbiamo votato. Ciò a causa dell’eccessiva durata in carica, che ne può inficiare l’indipendenza di giudizio. Inoltre, sempre in relazione al voto, abbiamo votato in un caso contro l’elezione dei consiglieri di una società Usa a causa della presenza insufficiente di candidati di genere femminile». novembre 2019
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SCELTE DI PORTAFOGLIO
Investitori istituzionali, arriva l’onda Esg nell’asset allocation di Rosaria Barrile
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BANCA D’ITALIA PRIVILEGIA I TITOLI DELLE IMPRESE SOSTENIBILI MENTRE LE CASSE PREVIDENZIALI SCELGONO L’IMPACT INVESTING PER GARANTIRE IL PAGAMENTO DELLE PRESTAZIONI AGLI ISCRITTI
l tema della sostenibilità guadagna terreno tra gli investitori istituzionali europei, in primis italiani. Secondo l’indagine Mercer European Asset Allocation survey 2019, che ha coinvolto 12 Paesi europei e quasi 900 portafogli istituzionali per un totale attività di oltre 1000 miliardi di euro, il 55% degli investitori istituzionali del Vecchio Continente sono propensi a prendere in considerazione i rischi ambientali, sociali e di governance (Esg) quando si tratta di allocare le proprie risorse contro il 40% rilevato nel 2018. A spingere in questa direzione, nel 56% dei casi (contro il 34% del 2018) è la necessità di adeguarsi al contesto normativo che stimola questo tipo di investimenti. Il confronto tra il campione europeo e quello italiano evidenzia tuttavia la peculiarità del mercato nazionale: l’85% del campione nazionale dichiara di tener conto dei temi Esg nell’attività di investimento contro un dato medio europeo che si ferma al 55%. Il balzo in avanti è evidente rispetto ai dati del 2018 che si attestavano su valori pari rispettivamente al 56% e 40 per cento. Se da un lato quindi nel nostro Paese gli investitori privati sono ancora lontani dall’avere quote consistenti di portafoglio investite secondo un approccio sostenibile, dall’altro invece gli operatori istituzionali sembravano aver già familiarizzato con queste strategie. Si inserisce in questo contesto la decisione presa a maggio dalla Banca d’Italia di modificare le modalità di gestione dei propri investimenti azionari attribuendo un maggior peso ai fattori cha aumentano la sostenibilità. L’adozione di criteri di investimento Esg ha riguardato gli investimenti finanziari dei fondi propri della banca e in particolare in un primo momento i portafogli di azioni emesse da società dell’area dell’euro (inclusa l’Italia) che ammontano a circa 8 miliardi di euro, pari al 6 per cento degli investimenti finanziari in euro. In pratica nelle scelte di investimento sono state privilegiate le imprese caratterizzate dall’impiego di metodi produttivi rispettosi dell’ambiente, dalla garanzia di condizioni di lavoro inclusive e dall’adozione dei migliori standard di governo d’impresa. Anche le operazioni finanziarie delle casse previdenziali stanno virando sempre più verso scelte sostenibili, come è emerso dal IV rapporto sugli investimenti dell’Adepp (l’Associazione cui aderiscono 20 enti pensionistici e assistenziali privati, i cui patrimoni sono passati dai 65,6 miliardi di euro del 2013 agli 87 del 2018). L’attenzione di questa categoria di investitori si è prevalentemente focalizzata nell’ambito del “social impact investing”, ossia su tutte quelle iniziative finanziarie che generano un 54
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I fattori Esg che contano di più Supporto all’interno del Board Corporate Social Responsibility
Rischi reputazionali
Impatti finanziari
Interventi regolatori
Campione Italiano
14% 9% 17% 45% 29% 55% 29% 45% 56% 45% dato medio europeo
impatto sociale misurabile (e compatibile) con un rendimento economico, un elemento indispensabile per preservare la continuità dei pagamenti delle prestazioni agli iscritti. Inarcassa, l’ente previdenziale degli ingegneri e degli architetti, al 2017 ha sostenuto investimenti in titoli classificabili Esg per circa 472 milioni di euro mentre l’Enpam, la cassa dei medici e degli odontoiatri, ha destinato alla finanza Sri una quota fino al 5% della sua asset allocation (circa un miliardo di euro). Altro esempi virtuosi sono quelli dell’Enpap e della Cassa Forense: il 46% del patrimonio totale della cassa degli psicologi, pari a un controvalore di oltre 576 milioni di euro, è investito in fondi che tengono conto della effettiva implementazione dei criteri Esg mentre la cassa degli avvocati a giugno 2018 vantava una quota di asset under management valutati sotto il profilo della sostenibilità del 58% sugli oltre 4 miliardi di euro in gestione.
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Comunicazione di Marketing. Il presente materiale, pubblicato da Capital International Management Company Sàrl (“CIMC”), 37A avenue J.F. Kennedy, L-1855 Lussemburgo, è distribuito a scopo puramente informativo. CIMC è soggetta alla regolamentazione della Commission de Surveillance du Secteur Financier (“CSSF”, l’autorità di vigilanza finanziaria in Lussemburgo) ed è una controllata di Capital Group Companies, Inc. (Capital Group) e regolamentata anche in Italia attraverso la sua filiale dalla Commissione Nazionale per le Società e la Borsa (CONSOB). La presente comunicazione non ha pretesa di essere esaustiva né di fornire consulenza sugli investimenti, di carattere fiscale o di altra natura. © 2019 Capital Group. Tutti i diritti riservati.
FOOD
La rivoluzione del cibo Ecco chi ci guadagnerà di Gloria Valdonio
T
utto è in rivisitazione. E la tradizione, incluso quella culinaria, è sotto attacco. Non sarà sfuggito a nessuno infatti che l’alimentazione è oggetto di un crescendo di accuse, embarghi (grassi e zuccheri in testa) e penalizzazioni (vedi la sugar tax), vuoi per combattere obesità, tumori e malattie cardiache, vuoi per limitare l’utilizzo di risorse nel ciclo produttivo agroalimentare. Le due istanze, la salubrità del cibo e quella del pianeta, si mescolano nonostante siano spesso poco conciliabili e danno vita al tentativo di cambiare il regime alimentare soprattutto nei Paesi occidentali. «Siamo nel bel mezzo di un cambiamento generazionale nel comportamento dei consumatori e nel modo in cui le aziende alimentari presentano i loro prodotti sul mercato», conferma Alice De Lamaze, gestore del fondo Pictet-Nutrition. Per il gestore si possono identificare tre fattori che sostengono oggi il tema della nutrizione. Il primo è la domanda di alimenti più sani con i consumatori che chiedono la 56
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NUOVE TECNICHE PRODUTTIVE A BASSO IMPATTO AMBIENTALE SI FANNO LARGO INSIEME A INEDITI STILI ALIMENTARI. AVANZANO PROTEINE VEGETALI E CARNE DI SINTESI. TUTTE LE AZIENDE CHE NE BENEFICERANNO riformulazione di alimenti e bevande per ridurre i livelli di zucchero, sale e grassi saturi («con una crescente divergenza tra alimenti sani e nutrienti e alimenti confezionati»). Il secondo fattore è una nuova distribuzione del cibo e della ristorazione che prevede un più facile accesso a prodotti nutrienti e sani, sia a casa sia fuori casa. L’ultimo, che è il vero pilastro della trasformazione del sistema della nutrizione, è rappresentato dai nuovi sistemi di produzione alimentare più efficienti e sostenibili. «Le attrezzature e le tecnologie che migliorano l’efficienza dell’intera catena di valore alimentare, dalla fattoria alla tavola, sono in forte crescita», conferma De Lamaze.
Allarme Onu. Da questa e da molte altre analisi sembra inevitabile che l’agricoltura, e con essa le nostre abitudini alimentari, debba cambiare e neanche tra molto tempo. Secon-
INVESTIRE SPECIALIST
do le Nazioni Unite la produzione di cibo è responsabile oggi del 70% del consumo di acqua, del 40% del consumo di terreno, ed è la principale fonte di produzione di gas (30%). Ma – si domanda Matteo Ramenghi, chief investment officer di Ubs WM Italy, in un suo allarmante report - che cosa succederà quando la popolazione mondiale aumenterà di altri 3 miliardi di persone entro il 2050, come prevede la stessa Onu? «Le stime suggeriscono che già nel 2030 ci potrebbe essere uno sbilancio del 40% tra produzione e richiesta di acqua potabile» spiega Ramenghi. Come fare fronte quindi alla nuova domanda? «Innanzitutto c’è un tema di sprechi: si stima che un terzo della produzione di cibo mondiale venga perduto e buttato», risponde Ramenghi. «Poi ci sono aspetti legati alle abitudini alimentari e alle metodologie di produzione: fino a poco tempo fa l’agricoltura non era stata coinvolta dalla rivoluzione tecnologica quanto altri settori e si valuta che la penetrazione digitale fosse solo dello 0,3% a livello mondiale, rispetto al 12% della distribuzione retail (fonte AgFunder, n.d.r.)».
Agrotech. L’utilizzo di tecnologie - come robot, droni, sensori, controllo della produzione via satellite, ma anche catene distributive più efficienti - sta prendendo sempre più piede nelll’industria agroalimentare e si prevede che tutto il settore sia destinato a investire pesantemente in tecnologia nei prossimi anni, quintuplicando gli investimenti attuali. In questo contesto, le economie di scala potrebbero divenire sempre più determinanti. «Alcune tecnologie potranno rendere più sostenibile l’agricoltura: soluzioni biologiche che consentono di migliorare le produzioni rispettando l’ambiente, innovazioni come l’agricoltura verticale per sfruttare meglio i terreni, tecniche di irrigazione che consentono di risparmiare acqua, impiego di alghe, maggiore utilizzo di proteine vegetali, fino a sperimentazioni sulla carne creata in laboratorio»,
SECONDO L’ONU LA PRODUZIONE DI CIBO È RESPONSABILE DEL CONSUMO DEL 70% DI ACQUA E DEL 40% DI TERRENO
Sopra Alice De Lamaze, gestore del fondo PictetNutrition. In basso Alexander Roose, head of international equity di Dpam
spiega Ramenghi. «In generale le previsioni di crescita della popolazione mondiale, a eccezione dei Paesi occidentali, sposta il focus del settore verso soluzioni volte a migliorare la produttività alimentare, ad aumentare l’efficienza nel trasporto e nella lavorazione e a massimizzare il contenuto nutrizionale degli alimenti che mangiamo», conferma Alexander Roose, head of international equity di Dpam. Le novità. Ma quali sono, più nel dettaglio, le principali novità? «Alcuni dei settori in cui abbiamo recentemente assistito a molte innovazioni sono l’agricoltura di precisione e i prodotti biologici agricoli, che valgono tre miliardi di euro» , spiega Roose. «Il primo si basa sull’utilizzo dei big data e sull’osservazione meticolosa delle condizioni agricole per ottimizzare la produzione, e allo stesso tempo preservare le risorse. Il secondo abbraccia una gamma di prodotti composti da microrganismi, estratti vegetali o altri materiali organici e offre un’alternativa verde ai pesticidi convenzionali». Come spiega Roose, a monte della catena del valore, la crescente diffusione dell’agricoltura di precisione consente di “personalizzare” i prodotti agricoli biologici secondo le condizioni specifiche del suolo. «I primi prodotti a essere commercializzati in questo senso sono i componenti biologici, seguiti dai cosiddetti inoculanti, i biopesticidi», spiega lo strategist. E ancora: «Se si prosegue lungo la catena del valore, notiamo che il settore agroalimentare si sta allontanando sempre più dalla produzione convenzionale di carne a favore di alternative più ecocompatibili», dice Roose. «In questo campo si possono individuare tre tendenze principali: un consumo di carne più limitato, il passaggio alla sostituzione della carne con alternative vegetali e infine il progresso di sostituti della carne a base cellulare. Restano da capire le più ampie ramificazioni di quest’ultima tendenza, in quanto la sua adozione generale potrebbe forse incontrare qualche forma di avversione da parte dei consumatori».
Doppio regime alimentare. Non è solo avversione quella verso il cibo di sintesi. Il rischio è che si possa generare un doppio regime alimentare: una sorta di cibo “bio e sano” di serie A, e un cibo “sintetico a buon mercato” di serie B. «Spero proprio di no», dice Daniele Cat Berro, investment associate di MainStreet Partners. «È auspicabile che il cibo sintetico possa seguire la dinamica dei prezzi dei prodotti biologici, che era decisamente superiore negli anni ‘90, ma che ora – grazie all’aumento della domanda – non si discosta più di tanto dal cibo non biologico». Produrre cibo biologico, secondo Cat Berro, consente di abbattere novembre 2019
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un aumento dei multipli. Un’altra realtà all’avanguardia nella catena del valore agroalimentare per Dpam è l’inglese Genus, che sta sviluppando un cambiamento genetico che sta portando a suini resistenti alla sindrome respiratoria e riproduttiva, una malattia che si stima costi agli allevatori circa 3 miliardi di euro all’anno. Nel portafoglio di Pictet ha fatto il suo ingresso anche Nomad Foods, leader europeo nel settore dei surgelati, alla luce del costante ampliamento della quota di mercato e delle innovazioni nell’area delle proteine vegetali. Sul fronte nutrizionale i titoli più interessanti, secondo MainStreet Partners, sono la multinazionale olandese Wessanen, che negli ultimi anni si è evoluta con successo in una holding quotata di produttori di cibo biologico e naturale, diventando leader in Europa in questo segmento specifico. Tra i marchi di Wessanen c’è anche l’italiana IsolaBio, operante nel settore dei succhi naturali. “Quasi la totalità dei prodotti offerti rispetta i criteri del commercio equo-solidale, utilizza energia verde al 100% e adotta un sistema idrico a ciclo completo che azzera gli sprechi. Tutto ciò le ha permesso di diventare una delle principali “B Corporation®” in Europa”, spiega Cat Berro. Che segnala anche l’irlandese Kerry Group, che supporta le aziende produttrici di cibo nel processo di riduzione del-
QUANTE OPPORTUNITÀ PER GLI INVESTITORI: ANCHE L’IRRIGAZIONE SOSTENIBILE E I TRATTAMENTI BIOLOGICI TRAINERANNO IL BUSINESS significativamente l’inquinamento: «Le emissioni di CO2 per ettaro di cibo biologico sono più basse di quelle dei sistemi di coltivazione tradizionale in una percentuale compresa tra il 48% e il 66%», dice l’analista. «Con queste premesse, è quasi inevitabile che il comparto dell’organic cresca a vista d’occhio: le vendite globali hanno infatti superato i 100 miliardi di dollari nel 2018». I campioni del cambiamento. Per gli investitori si aprono quindi molte opportunità: per esempio le proteine vegetali fanno parte di un segmento dove la crescita potrebbe avvicinarsi al 28% l’anno, e anche altri settori come l’irrigazione sostenibile e i trattamenti biologici dovrebbero crescere rapidamente. Secondo Dpam un buon investimento nel settore è rappresentato dalla multinazionale olandese Dsm, che ha recentemente sviluppato un additivo per ridurre significativamente le emissioni di gas metano del bestiame. Secondo Pictet la società ha attuato una transizione dal settore chimico a quello dell’alimentazione che dovrebbe comportare 58
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Nella foto Daniele Cat Berro, investment associate di MainStreet Partners
le calorie, degli zuccheri e dei grassi saturi presenti nei loro prodotti, cercando di aggiungere valori nutrizionali positivi, e la Chr Hansen, società di bioscienza danese che tramite l’utilizzo di enzimi e batteri cerca di aumentare i valori nutrizionali dei prodotti e la loro qualità. Giocare d’anticipo. Ci sono poi le multinazionali tradizionali che hanno deciso di agire in maniera attiva e con anticipo al fine di limitare i danni derivanti dall’aumento inesorabile degli interventi legislativi e regolamentari volti a limitare il consumo di sale, zucchero e grassi. Tra queste Danone, che è oggi il primo player globale nei prodotti a base vegetale grazie all’acquisizione nel 2016 dell’americana WhiteWave, produttrice di organic food. Attualmente il 7% dei ricavi della multinazionale francese proviene dal business legato a prodotti di origine vegetale, ma ci si aspetta che arrivi al 25% entro il 2025. Infine gli strategist segnalano Unilever, che ha sviluppato la sua strategia attraverso due linee guida: migliorare i prodotti dei brand proprietari e lanciarne nuovi sani. «Il gruppo ha come target una riduzione entro il 2020 del 25% degli zuccheri sulle sue linee di tè freddi, a partire dai valori del 2010, e punta ad acquisire brand sani, biologici o vegetali, come il portfolio di drink e cibo sano di GlaxoSmithKline», spiega Cat Berro. Che conclude: «Le aziende che contribuiscono positivamente agli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Onu tendono a essere premiate dal mercato nel medio-lungo termine, poiché cercano di risolvere delle sfide ambientali e sociali che attireranno capitali sempre più ingenti», conclude Cat Berro.
MERCATI & DITTATURE
Il Grande Fratello cinese ora dà il rating a tutti i cittadini di Gianmarco Litrico
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econdo un proverbio cinese, “l’uccellino che si sveglia presto si fa impallinare”. L’Harward Business Review, indagando nel 2015 sulla differenza di approccio nel mondo degli affari tra cinesi e occidentali, ha interpretato questa opinabile perla di saggezza orientale come un profondo desiderio innato, che si trova al centro della mentalità cinese: quello di evitare ogni “rischio sociale”. Ora applicate a questa mentalità e a questi meccanismi di controllo sociale l’Intelligenza artificiale. Quello che ne ricavate si chiama, in inglese, “social credit ranking system”, dove “social credit” va tradotto con “fiducia pubblica”. È l’ultima frontiera del totalitarismo cinese. Appena diventata realtà. Di che si tratta? Nel 2014, il Consiglio di Stato cinese aveva annunciato un progetto per la creazione di un sistema unificato nazionale con l’obiettivo di aumentare la “fiducia pubblica” e lottare contro la corruzione e le frodi economiche dei “pianzi”, ovvero dei “truffatori”. Per migliorare questa “fiducia pubblica”, la leadership cinese ha deciso di aggiungere il valore dell’indirizzamento dei comportamenti. Il ragionamento, in stile Minority Report, è che non serve aspettare che un individuo danneggi la sua reputazione finanziaria non pagando una rata del mutuo. È probabile che molti indizi nella sua vita quotidiana dimostrino come quell’individuo non ami seguire le regole. Come a dire, se tizio non fa la raccolta differenziata è probabile che pagherà in ritardo un debito. La fiducia, ancora una volta, si conquista, e non si dà per scontata. A regime il sistema funzionerà come una specie di anagrafe universale etica: a un miliardo e 500 milioni di cittadini verrà assegnato un identico punteggio di partenza, con la possibilità di aumentare o diminuire la dotazione iniziale attraverso i propri comportamenti. Il sistema entrerà in vigore l’anno prossimo, ma diverse sperimentazioni pilota sono in corso a livello locale, alcune gestite da
operatori privati. Le idee su quali siano i comportamenti rilevanti ai fini della determinazione dello “punteggio” personale sono, come dire, discontinue: si va dalle maldicenze su Internet al barare nei giochi online, dal non visitare con regolarità i genitori al dimenticarsi della raccolta differenziata, dall’attraversare la strada fuori dalle strisce pedonali al non raccogliere la pupù del cane sul marciapiede. Un caso comune è quello del giudice che stabilisce che le pubbliche scuse, disposte come risarcimento in un caso di diffamazione, non sono state sincere. Le azioni commendevoli, che incrementano i punti della dotazione iniziale, possono essere l’aiutare i poveri, donare il sangue o postare commenti positivi sull’azione del governo. Sembra un gioco di ruolo, ma chi non tradisce la fiducia ha un sacco di benefit, mentre chi la delude, come dice esplicitamente il progetto del 2014, “incontrerà difficoltà a ogni passo”. Ai cittadini modello vengono garantiti sgravi fiscali, un accesso facilitato a mutui bancari e corsie preferenziali per le promozioni sul lavoro. Alle pecore nere invece niente prenotazione di viaggi aerei o in treno, l’esclusione da certe occupazioni, l’accesso limitato ai servizi di stato, la riduzione della velocità di accesso a Internet e le umiliazioni pubbliche in TV o sui social media. Passi col rosso? Una telecamera riprende la tua targa e la sera sei sui tg locali. Il sistema, per quanto sperimentale, ha già dimostrato la sua efficienza: nel 2018, a 128 persone è stato negato il permesso di espatrio perchè non avevano pagate le tasse, 290 mila persone non hanno potuto accedere a posizioni manageriali o avere la rappresentanza legale delle aziende in cui lavorano, mentre 17 milioni e mezzo di biglietti aerei e 5,5 milioni di biglietti ferroviari sono stati rifiutati a persone che non avevano il credit scoring richiesto. Senza dimenticare i 1400 proprietari di cani che sono stati multati o hanno subito la confisca di Fido per non
SI CHIAMA «SOCIAL CREDIT RANKING» ED È L’ULTIMA FRONTIERA DEL TOTALITARISMO DEL REGIME DI XI. A OGNI CITTADINO SARÀ ASSEGNATO UN IDENTICO PUNTEGGIO DI PARTENZA
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averne raccolto le deiezioni sul marciapiede. Sembra un episodio di Black Mirror, la serie di Netflix sul futuro distopico di un’umanità asservita dai social media. O magari una realizzazione del Panopticon, l’edificio immaginato dal filosofo inglese dell’utilitarismo, Jeremy Bentham, dove un controllore osserva gli abitanti della struttura-carcere senza che questi possano sapere se sono sorvegliati o no. Col risultato di creare efficientissimi meccanismi di autocensura. Nel nuovo sistema centralizzato che hanno in mente i governanti cinesi, le informazioni sul singolo verranno dalla Banca del Popolo, da due anni la più ricca banca centrale al mondo, ma anche dal ministero delle Finanze, da quello dei Trasporti, dell’Industria, della Casa e dello Sviluppo Agricolo. La Banca del Popolo è anche responsabile per lo sviluppo di una moneta digitale con l’obiettivo di creare una società completamente cashless, dove non circola contante, ma ogni transazione lascia una scia elettronica. Ai politici italiani, impegnati in questi giorni a determinare la soglia massima dei pagamenti in contanti, fischieranno le orecchie, ma per chi immagina una società in cui tutto viene pagato in moneta digitale, il problema di garantire la privacy di chi compra online o col cellulare è tutt’altro che secondario. Nelle ricostruzioni più futuristiche messe a punto dai media occidentali, le informazioni sul comportamento dei cittadini verranno raccolte attraverso occhiali a realtà aumentata indossati dalle forze dell’ordine, con l’utilizzo massivo di droni civili e di 200 milioni di telecamere capaci di riconoscimento facciale. C’è persino un’app che ti fa vedere chi intorno a te ha un debito non ancora ripagato. La realtà è invece ancora basata su una componente “analogica”: migliaia di “controllori” in carne ed ossa, dipendenti pubblici con uno stipendio mensile, registrano su un block notes i comportamenti antisociali, incluso il linguaggio volgare o il fumare dove non è consentito. Un elemento centrale nei piani del governo cinese è stato nel 2015, il coinvolgimento dei colossi dell’high-tech cinese, come Tencent, che controlla WeChat, il più grande social media del Paese, Alibaba, che la più grande azienda al mondo di ecommerce, e Pengyuan, l’agenzia che analizza il credito al consumo. Chi prova a smontare la tesi del Grande
Xi Jinping, presidente della Repubblica “a vita” con pieni poteri: un caso unico nella storia di nomina imperiale non dinastica ma politica
I GIOVANI CINESI SONO CONVINTI CHE «SE NON HAI FATTO NULLA, NON PUÒ SUCCEDERTI NIENTE» E CHI HA IL «CREDIT SCORE» MASSIMO NE GODE I VANTAGGI, COME IL BIKE SHARING SENZA CAUZIONE Fratello governativo, parla della popolarità dei sistemi di pagamento mobile, mettendo a confronto i 5500 miliardi di dollari in pagamenti via cellulare effettuati in Cina con i 112 miliardi degli Stati Uniti. Servizi come Alipay e WeChat Pay sono considerati più customer friendly delle banche e hanno slogan come “la fiducia ci rende più semplici.” Per accedere ai servizi, il cittadino fornisce il numero di cellulare, la patente, la targa, la carta d’identità. E può permettersi di lasciare il portafoglio a casa perchè può fare tutto col cellulare. Zhima Credit non guarda solo se paghi le rate in tempo, ma anche cosa acquisti (occhio, perchè se compri troppi pannolini ti stai inguaiando perchè stai violando la policy dei 2 figli), i tuoi voti a scuola e quelli dei tuoi amici. La partecipazione è volontaria e queste società dicono di non fornire i dati degli utenti al governo. Convinti che “se non hai fatto nulla di male, non ti può succedere niente”e non avendo letto il Processo di Kafka, i giovani cinesi sembrano pensare che le loro libertà non siano in pericolo e intanto si godono il bike sharing senza dover pagare il deposito cauzionale se il loro “credit score” lo consente. C’è chi lo derubrica a male minore perchè Internet è già sottoposta a pesante censura, mentre ogni numero di cellulare e tutte le attività online sono collegate a un numero di identificazione univoco, a sua volta registrato sotto l’anagrafica reale dell’utente. Insomma, niente anonimato. Nello stesso modo il riconoscimento facciale è usato nello Xinjiang per tenere sotto controllo la minoranza musulmana degli Uiguri. novembre 2019
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IL DOPO VOTO IN CANADA
Trudeau-2, i petrolieri tremano e solo l’immobiliare vede rosa di Gianmarco Litrico
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lla fine, dopo una campagna elettorale “sporca” quanto incerta, Justin Trudeau è riuscito a conservare la sua poltrona di primo ministro a Ottawa. Nonostante gli scandali, le gaffe di comunicazione e le promesse mancate (tra tutte, la riforma elettorale in senso proporzionale), la paura di un ritorno al grande freddo dell’era Harper, il tre volte premier conservatore, tutto rigore di bilancio e negazionismo ambientale, che Trudeau aveva battuto nel 2015, ha avuto la meglio sulla proposta politica “trumpiana” di Andrew Scheer, l’erede di Harper alla guida dei Conservatori. Il Canada continua a pendere a sinistra, anche se non in modo completamente visibile, tenuto conto che i Conservatori hanno vinto il voto popolare, ma l’elettorato progressista, che si divide tra 3 partiti, costituisce ancora una solida maggioranza nel Paese. Trudeau ha vinto, senza suscitare gli entusiasmi di 4 anni fa, perchè quella canadese è l’economia che è andata meglio nel G7 durante il suo quadriennio. Justin, come lo chiama Trump, che gli ha fatto complimenti tanto calorosi quanto insinceri dopo la sua rielezione, se ne è preso i meriti in campagna elettorale: “Coi Conservatori il Pil cresceva dell’1% mentre con noi è cresciuto del 2-3%. Abbiamo creato quasi 800 mila posti di lavoro negli ultimi 3 anni e abbiamo il più basso tasso di disoccupazione della storia canadese”. Un impulso al Pil che è venuto in parte dal raddoppio degli investimenti in infrastrutture, e in parte dal Canada Child Benefit, un sistema di robusti assegni famigliari che hanno portato fuori dalla povertà 900 mila canadesi. Il problema è ora quello di capire se con 62
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Justin Trudeau è riuscito a conservare la guida del Paese ma deve accettare il sostegno pragmatico del New Democratic Party di Jagmeet Singh
A OTTAWA SI È INSEDIATO UN GOVERNO DI MINORANZA COSTRETTO A MEDIARE SU TUTTI I DOSSIER CHE FA DELLA TUTELA DELL’AMBIENTE UNA DELLE POCHE BANDIERE COMUNI un governo di minoranza, sostenuto provvedimento per provvedimento dal New Democratic Party di Jagmeet Singh, Trudeau avrà ancora sotto le ali il vento della crescita economica. Nel caleidoscopio post-elettorale è rimasto stabile il dollaro canadese, spesso visto come una petro-valuta che beneficia delle massicce esportazioni di idrocarburi e che quest’anno ha avuto il miglior andamento nel gruppo delle principali 10 valute mondiali (+4% rispetto al dollaro americano). Ma se una “coalizione” Liberali-Ndp dovesse tenere per almeno un biennio, con una significativa crescita della spesa pubblica (i Liberali hanno tutta l’intenzione di raddoppiare il deficit, solo nel primo anno, a 28 miliardi, mentre l’Ndp vuole investire
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altri 15 miliardi tra sanità e ambiente), è legittimo aspettarsi una valuta canadese più debole nel medio termine. Un motivo in più per la banca centrale di Ottawa per mantenere la barra dritta nella riluttanza a tagliare i tassi di interesse, mentre i bond a 10 anni pagavano l’1,6 per cento di interessi il 21 ottobre, giorno delle elezioni, leggermente inferiori ai corrispondenti buoni del tesoro americani, ma di gran lunga preferibili ai rendimenti negativi dei titoli giapponesi, tedeschi e francesi. Per Brian Belski, che si occupa di strategie di investimento per Bank of Montreal, la vittoria a metà di Trudeau è una buona notizia per il mercato azionario canadese, visto che dal 1935 la Borsa del Paese della foglia d’acero ha ritorni annui del 12% nei 12 mesi successivi a un’elezione federale in caso di governo di minoranza, contro l’8% registrato da un governo di maggioranza. Liberali e Conservatori si sono trovati d’accordo sulla riduzione delle tasse personali per 6 miliardi di dollari all’anno, ma i toni della campagna elettorale non lasciano presagire nulla di buono sulla possibilità di lavorare assieme almeno su questo punto. Liberali e Ndp andranno invece a braccetto nel tassare al 10% automobili, barche e aerei con un cartellino del prezzo superiore ai 100 mila dollari, ma anche (al 3%) i guadagni dei giganti high-tech, che pure stanno trasferendo attività importanti a Toronto, il terzo hub high-tech del Nord America, dopo la Baia e la Grande Mela, oltre a essere quello che cresce di più. Per l’industria energetica il risultato elettorale è il peggiore tra quelli possibili perchè senza un governo di maggioranza Trudeau dovrà fare i conti con l’Ndp, contrario agli oleodotti e favorevole a eliminare tutti i sussidi al settore petrolifero. Per Micheal Hsueh, analista di Deutsche Bank, il potenziamento della Trans Mountain Pipeline, l’oleodotto che porta il petrolio dal Nord dell’Alberta alle coste della British Columbia attraverso le Montagne Rocciose, e che Trudeau ha nazionalizzato al non modico prezzo di 4,5 miliardi di dollari, è a rischio e questo non piacerà agli investitori. Di certo non semplificherà la vita ai Liberali, che già nella passata legislatura si sono ritrovati di fronte al compito impari di trovare un
equilibrio tra lo sviluppo delle risorse petrolifere dell’Alberta, il Texas canadese, e la volontà di fare del Canada un leader nella battaglia sul cambiamento climatico. Una scelta politica in cui si è riconosciuto quel 65% di elettorato complessivo che ha supportato la carbon tax voluta da Trudeau. Anche Big Pharma potrebbe pagare dazio al ritorno di Justin nel suo ufficio a Ottawa e al suo rapporto speciale con l’Ndp: il Canada è l’unico Paese avanzato con un servizio sanitario universale che non copre le medicine per tutti, elemento che invece è stato un punto qualificante della piattaforma elettorale di entrambi i partiti. Una promessa che darà uno scossone a un mercato da 40 miliardi di dollari, dove le assicurazioni sanitarie fornite dai datori di lavoro dirottano i pazienti che costano di più verso il sistema provinciale e dove le case
UNA BUONA NOTIZIA PER TRUDEAU DOVREBBE VENIRE DALLA PROBABILE RATIFICA DA PARTE DEL CONGRESSO AMERICANO DEL NUOVO NAFTA
farmaceutiche si troveranno di fronte un soggetto federale con un potere contrattuale molto maggiore rispetto a quello delle province e che dovrebbe ridurre di 5 miliardi di dollari i loro ricavi al 2027. L’industria delle telecomunicazioni ha il fiato sospeso in attesa di vedere se Singh riuscirà a coinvolgere i Liberali in un altro dei “selling-point” della sua piattaforma elettorale, ovvero l’imposizione di un tetto massimo alla bolletta dei cellulari. Il settore immobiliare in generale dovrebbe invece ricevere un impulso attraverso gli incentivi promessi a chi acquista la prima casa per la prima volta, mentre tra i maggiori “sconfitti” delle elezioni del 21 ottobre potrebbero trovarsi i proprietari immobiliari stranieri non residenti in Canada, visto che Trudeau si è impegnato a limitare, attraverso una tassa nazionale, la speculazione estera che fa lievitare i prezzi delle case. Una buona notizia per il primo ministro liberale dovrebbe venire dalla probabile ratifica da parte del Congresso americano del nuovo Nafta entro fine novembre, mentre un incremento di Pil procapite perfino superiore (+4%) potrebbe scaturire, secondo il Fondo Monetario Internazionale, dall’abolizione dei dazi commerciali tra le province. Un’impresa complicata vista la spaccatura in atto nel Paese, dove Alberta e Saskatchewan non hanno eletto nemmeno un parlamentare nelle fila dei Liberali, e dove le spinte centrifughe del Quebec, dove il Bloc Quebecois ha triplicato i suoi seggi, tenderanno ad aumentare. Resta anche da vedere in che direzione si muoverà l’interscambio commerciale con l’Europa, in attesa della completa ratifica del Ceta, che ha abolito il 95% dei dazi tra l’Unione e il Canada, fermo restando che le fortune di Trudeau saranno ancora una volta legate a come andrà l’economia dei cugini del sud. L’integrazione tra i due paesi (il 70% delle esportazioni canadesi va negli Stati Uniti) è un bene per il Canada quando l’economia americana tira. Può essere un male quando rallenta. Con un deficit pubblico americano vicino ai mille miliardi nel 2019 e un debito di 21 mila miliardi, l’abbraccio con gli Usa rischia di essere pericoloso. novembre 2019
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PRIVATE EQUITY
Bregal Milestone sbarca in Italia Il primo investimento è su Epipoli di Angelo Curiosi
«P
erché abbiamo scelto Epipoli? Perché vi abbiamo visto una grandissima opportunità di crescita e di redditività»: è semplice e diretta la risposta che Phil Lautenberg, managing director di Bregal Milestone, dà alla domanda del cronista. Il fondo, che fa parte del colosso Bregal Investments – gruppo globale fondato nel 2002 che a oggi ha investito in totale più di 13 miliardi di euro – è un private equity a forte vocazione imprenditoriale, che agisce quindi con criteri un po’ diversi da quelli standard. In Italia ha fatto il primo investimento per acquisire il 30% di Epipoli, condividendo con l’imprenditore-fondatore Gaetano Giannetto un poderoso piano di sviluppo del business che si può dire già pienamente in atto. Ma cos’è Epipoli e perché ha saputo attrarre tanti capitali, per di più a fronte della cessione di una partecipazione di minoranza? È un’azienda pioniera, in Italia, nel settore dei servizi fintech avanzati per il marketing che prende il nome dal quartiere siracusano dove nacque Archimede, il supremo matematico greco celebre per il suo “Eureka!”, e dov’è nato anche l’imprenditore, Giannetto. Epipoli è stata la prima società, a lungo l’unica in Italia, ed è tuttora tra i pochissimi ad aver importato nel nostro Paese quel potente prodotto-servizio del marketing che sono le gift card, che negli Usa muovono un mercato del valore di 600 miliardi di dollari all’anno, e stanno anche da noi crescendo a ritmi ormai galoppanti a tutto appannaggio appunto di Epipoli e dei suoi clienti. «Abbiamo visto grandissime opportunità di crescita», ripete Phil Lautenberg, «perché è un’azienda che ha un business solido, un’ottima capacità di sviluppo, è ben gestita e col nostro supporto può 64
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IL GRUPPO GLOBALE HA ACQUISITO IL 30% DELL’AZIENDA PIONIERA NEI SERVIZI FINTECH PER IL MARKETING CHE PRENDE IL NOME DAL QUARTIERE DI SIRACUSA DOVE NACQUE ARCHIMEDE
Nella foto Gaetano Giannetto, imprenditore e fondatore di Epipoli
accentuare il ritmo della sua attività puntando anche all’espansione per linee esterne ed alla conquista di nuovi mercati. Abbiamo già iniziato a valutare ben tre imprese da acquisire per sviluppare Epipoli sia in Italia, sia al di là delle frontiere nazionali». Bregal rappresenta una formula meno frequente ma – si direbbe – più redditizia di quella classica di fare private equity. «Noi siamo convinti che la risorsa chiave di un’impresa sia l’imprenditore, con il suo team», spiegano nello staff del fondo. «Se questa risorsa c’è, la affianchiamo con il nostro know how e le nostre forze, ma preferiamo limitarci a partecipazioni di minoranza proprio perché per noi è vitale che un’azienda abbia già al suo interno in chi la guida e magari, come in questo caso, l’ha fondata, il motore della sua crescita, sul quale noi stessi possiamo contare per far fruttare il nostro investimento». Naturalmente tutto ciò transita attraverso una buona armonia che deve crearsi tra l’imprenditore che accoglie
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l’investimento del fondo e il fondo stesso. È appunto il caso di Epipoli, che da Bregal sta assorbendo relazioni internazionali, consulenza strategica, supporto gestionale su tutte le aree nelle quali un punto di vista internazionale può aggiungere valore. «Mentre un fondo di private equity classico, di solito, entra in società dove può acquisire il controllo e cambiare management e strategie, noi spesso restiamo minoranza perché scegliamo l’imprenditore e la sua sfida, apportando valore aggiunto su temi specifici. Teniamo molto al fatto che le imprese in cui entriamo siano già ben gestite e aggiungiamo valore e competenze sulla corporate governance, sedendo per questo nel consiglio d’amministrazione e sostenendo le strategie di sviluppo dell’impresa». Un altro elemento cruciale è la logica che Bregal segue nel pensare all’exit dall’investimento fatto: a medio termine, di regola non prima dei cinque anni, il fondo esce, individuando il modo migliore per rivendere le sue partecipazioni sul mercato dei capitali: «Dunque il nostro intervento», aggiunge Phil Lautenberg, «è necessariamente, per l’azienda in cui siamo entrati, una fase intermedia per creare valore, rinforzare il management team, e porsi in grado - tra qualche anno, quando sarà opportuno – di avere un’impresa strutturata e con risultati finanziari migliori che consenta a noi investitori di ottenere un’ottima exit». Quest’approccio permette a Bregal di puntare anche su un mercato come l’Italia, certo affascinante per le opportunità che offre ma anche – a detta di molti investitori – dissuasivo per i suoi famigerati handicap, soprattutto la burocrazia e la regolamentazione: «L’Italia ci interessa perché ci sono tantissimi imprenditori di grandissima qualità, con una visione e un’ambizione molto forti, cui manca, semmai, soltanto il capitale ma che costituiscono un tessuto economico molto interessante. Epipoli è un caso eclatante, in questo senso. Visto che cerchiamo imprese con grandi potenzialità di crescita, non avremmo potuto scegliere meglio. Tutto il settore tecnologico, del fintech e dei servizi It è per noi un obiettivo costante perché è un mercato con grandi opportunità di crescita: il mercato di Epipoli, azienda con un imprenditore e un management ambiziosi, visionari e già profondamente internazionali nella mentalità. Per concludere, per noi è questa la cosa più importante: affiancarci ad imprenditori che abbiano i nostri stessi valori da condividere, gente con cui trovarci bene a lavorare in partnership per tanti anni, con cui intraprendere anche un’avventura umana». Se non un matrimonio, certamente un sodalizio forte. Ma come lo vive l’imprenditore? «Posso dire che Bregal sta dando ad Epipoli un supporto strutturale essenziale», risponde Gaetano Giannetto. «Sentivamo ormai la necessità di evolvere verso un’organizzazione di stampo internazionale in grado di reggere volumi di fatturato in forte crescita e di non centralizzare eccessivamente le funzioni, limitando la competitività aziendale. Uno dei principali fronti di impegno per strutturarci meglio è quello delle operation, che ci stanno dando una macchina poderosa, capace di moltiplicare le transazioni per tre o per quattro nei prossimi mesi. L’altro traguardo che condividiamo con Bregal è l’internazionalizzazione. A medio termine, l’Italia rappresenterà per il nostro business una frazione sempre importante ma non più maggioritaria». E cedere sovranità a un partner forte e autorevole, ancorché minoritario? Che effetto fa a un imprenditore fondatore, abituato a rispondere sostanzialmente solo a se stesso? «È una domanda che mi sono po-
«ABBIAMO PUNTATO SU EPIPOLI PERCHÈ È UN’AZIENDA SOLIDA, BEN GESTITA, CHE COL NOSTRO AIUTO SI ESPANDERÀ PER LINEE ESTERNE E CONQUISTERÀ NUOVI MERCATI» sto prima ancora di intavolare una trattativa con alcuni possibili partner tra i quali poi abbiamo scelto Bregal», spiega Giannetto. «Ho risposto a me stesso - e rispondo a chi me la pone - attingendo alla mia cultura agreste siciliana: ci sono due mondi, c’è quello di chi costruisce un muro a secco e dice “è la mia terra, anche se non è bella…”; e poi c’è la visione un po’ fenicia, da navigatori ed esploratori quali siamo sempre stati, nei millenni, noi siciliani, che porta a pensare che sia meglio essere coda di tonno che testa di sarda… Insomma, è bene saper condividere la forza e la competenza di chi ne ha più di noi. Tanto più se questo, come nel nostro caso, non pregiudica l’indipendenza, laddove l’indipendenza sia meritata. Il valore aggiunto che vedo nella relazione con Bregal è la vista globale, come da un elicottero, sul mercato che ho acquistato grazie a loro, scevra dalla passione totalizzante che connota me come ogni imprenditore fondatore. Guardandoci dall’alto, possono offrirmi un’altra visuale utilissima, preziosa. Sto riducendo il mio ruolo storico di imprenditore padronale da “testa di sarda” e sto trasformandomi, con Epipoli, in una parte forte, vitale ed espansiva di un tonno, pesce nobile e potente. Ascoltare i consigli del nostro socio Bregal è quindi interesse mio e di Epipoli». Peraltro, per essere un imprenditore vecchio stampo, Giannetto partiva in realtà agevolato da vent’anni di esperienze in multinazionali americane come P&G, Pernod e poi Nielsen: «Mondi in cui per eccellere bisogna imparare ad ascoltare, a relazionarsi e a crescere insieme agli altri. Abbiamo avuto corteggiamenti da varie aziende finanziare che volevano farci quotare, ma di fronte a certe offerte ho voluto rinviare, per rafforzarmi e crescere da solo. Ho deciso invece di perseguire l’alleanza con Bregal perché ho finalmente trovato in loro il partner adatto a noi». novembre 2019
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INVESTIRE SPECIALIST
INTERVISTA A NICOLA SCAMBIA
«Il futuro è dei consulenti finanziari» di Mario Romano
BOTTA E RISPOSTA CON L’AUTORE DI “JACKFLY” SUI DESTINI DELLA PROFESSIONE E DELLA RELAZIONE CON I RISPARMIATORI
I
l punto di vista sul presente e futuro della professione di consulente finanziario e sulla relazione con i risparmiatori da un osservatorio privilegiato: quello di Nicola Scambia, consulente finanziario e autore di un romanzo di culto tra i professionisti degli investimenti finanziari, “JackFly”. Il libro del 2005 ed edito da Foschi, racconta la storia di Jack La Mosca, un promotore finanziario di successo che opera a Milano e la cui banca lo incastra in una trappola legale e lo licenzia. Jack non ci sta e vuole farla pagare all’amministratore delegato della banca e all’avvocato complice dell’intrigo. Il resto non lo sveliamo per non privare della sorpresa quanti decideranno di leggere il romanzo di Scambia, che non ha perso d’attualità. Scambia, come il suo personaggio Jack La Mosca, ha mantenuto idealismo e profondità di visione nell’attività di consulente finanziario che svolge con passione quotidiana per una importante banca. Investire ha posto alcune domande a Nicola che attestano la sua chiarezza di idee sui destini della professione e sul rapporto con i clienti ai tempi della Mifid 2.
Scambia, si va verso un mondo di rendimenti prossimi allo zero in molte asset class. Non temi che i clienti possano perdere fiducia in chi svolge la vostra professione? Nei prossimi anni il gioco si farà davvero duro e il fattore distintivo sarà costituito dalla professionalità dei consulenti finanziari e dalle piattaforme informatiche che le banche dovranno dare ai cf. Per quanto riguarda i clienti, i loro sudati risparmi sono una materia troppo delicata per essere lasciata al fai-da-te e ai consigli di conoscenti e parenti pseudo-esperti. Ci sono clienti molto più informati di qualche anno fa e anche consapevoli che oggi per avere rendimenti più alti bisogna prendere qualche rischio in più, senza esagerare. E per farlo avere accanto un consulente finanziario è indispensabile. Il futuro dei cf che lavorano per le reti sarà la consulenza a parcella? La consulenza finanziaria a pagamento sarà davvero una grande evoluzione del lavoro di consulente finanziario ma il cliente sarà ben disposto a pagare una parcella solo a patto di ricevere un servizio di valore. Per riuscirci i consulenti finanziari dovranno avere piattaforme finanziarie performanti. La Mifid 2 si sta rivelando quella panacea del settore che
A destra Nicola Scambia. Sotto il suo romanzo “JackFly”
prometteva di essere? Ha sicuramente grandi meriti e spinge gli operatori a una maggiore trasparenza e formazione per offrire un miglior servizio ai clienti. La vera rivoluzione me l’aspetto con la Mifid 3, per ora in negativo rilevo troppa burocrazia che ha rallentato l’operatività e soprattutto la tempestività delle operazioni. A proposito di educazione finanziaria, Scambia come la metti in pratica con i tuoi clienti? Li informo periodicamente e li rendo consapevoli delle scelte d’investimento, inoltre organizzo convegni su temi di attualità a cui possono partecipare addetti ai lavori e investitori che desiderino aumentare la propria conoscenza in materia di investimenti finanziari. Per esempio a fine mese dedicherò due incontri ai temi delle strategie d’investimento nel trading azionario con il metodo Can Slim e sull’investire nei trend e nelle tecnologie che definiranno i prossimi decenni. Chi voglia partecipare può scrivermi a: ns@nicolascambia.net . Tra le tante asset class in quale credi più? Negli ultimi due anni ho raccomandato investimenti sui mercati finanziari statunitensi con benchmark S&P 500 e alcuni settoriali che investono nelle seguenti asset class: electro mobility, fintech, video games, social e carte di pagamento on line. Raccomando la borsa americana per i tassi di mercato bassi che stanno stimolando la crescita futura e per la politica della Fed di sostegno all’economia. Ci sono ottime probabilità di vedere l’indice americano SPX a 3350 basis point entro marzo 2020. Siamo alla fine di un ciclo economico, pertanto avere liquidità sul conto corrente e delle coperture è d’obbligo. novembre 2019
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PRODOTTI
a cura di Francesco Bellizzi
NASCE UN OSSERVATORIO
CREDIT AGRICOLE ASSICURAZIONI
ASSISTENZA IN PRIMO PIANO, UNA POLIZZA “TOTALE” CONTRO GLI INFORTUNI PER GLI OVER 65
C
rédit Agricole Assicurazioni ha lanciato di recente una nuova linea di assistenza, la Over 65, per il prodotto Protezione Infortuni, dedicata a clienti con età dai 65 agli 80 anni. Il pacchetto consente l’accesso ad una serie di prestazioni richiedibili tramite un call-center dedicato disponibile 24 ore su 24, 365 giorni l’anno. I servizi pervisti dalla nuova offerta sono personalizzabili e sono elaborati per seguire la persona prima, durante e dopo un’eventuale infortunio. Una scelta in linea con i risultati di una recente indagine svolta da Bnp Paribas Cardif e Ipsos secondo cui accendere una polizza assicurativa è ritenuto un passo fondamentale per il 22% degli italiani. Molto più che accedere a un prestito bancario (14%), ricevere un’eredità/donazione (20%) o ricevere aiuto economico da amici e parenti (20%). Dati accompagnati da un senso diffuso di insicurezza (solo il 5% degli italiani si definisce molto ben protetto) che lascia ampio spazio alle compagnie assicurative per il lancio di nuovi prodotti. Un terreno ancora vergine visto che il 38% degli intervistati afferma di non avere alcuna polizza assicurativa se non quelle obbligatorie. I servizi della linea di Ca Assicurazioni sono molti. Un esempio di intervento post-incidente è quello dell’invio di un medico o di un’ambulanza in caso di urgenza. La copertura preventiva è rappresentata invece dall’assistenza infermieristica privata presso la struttura di ricovero. Il post-infortunio è invece rappresentato, al rientro a casa, con prestazioni che vanno dall’ambito sanitario (come l’invio di un fisioterapista, le prescrizioni mediche da remoto con relativo invio all’assicurato delle stesse e l’assistenza psicologica) a quello di ordinaria gestione della vita quotidiana (come spesa a domicilio, invio badante e dog-sitter, assistenza digitale). Il servizio si completa con un indennizzo monetario riconosciuto in base alla tipologia di infortunio subìto, e da una copertura di tutela legale per eventuali controversie inerenti il sinistro. «Le assicurazioni sono chiamate a confrontarsi con nuove sfide e a soddisfare nuovi bisogni», afferma Marco Di Guida, amministratore delegato di Ca Assicurazioni, «tra cui quelli legati all’allungamento delle aspettative di vita, che richiedono un sistema di welfare integrato tra pubblico e privato. In questo senso, esse possono svolgere un importante ruolo sociale, che ha come obiettivo quello di migliorare la qualità della vita e di contribuire al benessere dei cittadini». La linea va a coprire un target molto importante per l’industria dell’insurance italiano, quella dei cittadini “senior”, fascia sempre più consistente della popolazione, come dimostrano i trend demografici. 68
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SOCIETE GENERALE E SIAT INSIEME PER COSTRUIRE CERTIFICATI “BLINDATI” Un osservatorio periodico sull’andamento del mercato azionario italiano, indici, valute e materie prime, che fornirà analisi tecniche su cui basare la costruzione di certificates con barriere di controllo sui livelli dei sottostanti. È il succo dell’accordo raggiunto tra Societe Generale e Società italiana analisi tecnica (Siat) per offrire ai broker strumenti con maggiori garanzie nella gestione delle leve finanziarie. L’organizzazione dell’osservatorio (il Sg Siat Certificates Radar) è stata descritta dal presidente dell’associazione no-profit nata nel 1986, Davide Bulgarelli (in foto), dal docente universitario Duccio Martelli, socio ordinario professional, e Costanza Mannocchi, head of exchange traded products in Italia di Sciete Generale. «L’obiettivo non è quello di fare improbabili previsioni di mercato ma di identificare un livello minimo o massimo della leva; lo faremo attraverso un sondaggio periodico sull’andamento degli asset tra i nostri 300 associati», ha spiegato Bulgarelli. Societe Generale procederà alla costruzione di un prodotto per ogni sottostante analizzato. L’analisi da cui partirà sarà il frutto di una media di tutti i contributi (volontari) arrivati dai soci di Siat. I prodotti che verranno emessi dalla banca saranno i certificati stay up e stay down e quelli che prevedono bonus con “barriere profonde”. AMUNDI
L’ULTIMO ETF È ANCHE SU BORSA ITALIANA
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opo il lancio a marzo della gamma Amundi Prime Etf, che ha già raggiunto oltre 500 milioni di euro di masse in gestione, la società di asset management annuncia la quotazione su Borsa Italiana di un nuovo Etf che si aggiunge ai nove già esistenti: Amundi Prime Us Corporates - Ucits Etf Dr, a spese correnti dello 0,05%. «Quest’anno la ricerca di rendimento da parte degli investitori ha portato le obbligazioni societarie a essere la categoria più richiesta sul mercato europeo degli Etf», commenta Fannie Wurtz (in foto), head of Amundi Etf, indexing and Smart Beta. “Nella gamma Prime offriamo già obbligazioni societarie denominate in euro a spese correnti di 0,05%, ma la domanda dei nostri clienti è evoluta ulteriormente, richiedendo anche un’esposizione al credito statunitense, sempre a basso costo. Per rispondere alle esigenze degli investitori abbiamo lanciato questo nuovo Etf sulle obbligazioni corporate statunitensi, il più conveniente in Europa”, aggiunge. La gamma Amundi Prime Etf propone agli investitori le esposizioni essenziali per comporre un portafoglio diversificato al minor costo possibile. I 10 Etf che la compongono coprono i mercati obbligazionari e azionari in Europa, Stati Uniti, Giappone e Mondo. I fondi sono tutti offerti a spese correnti pari allo 0,05%, sono a replica fisica e replicano indici Solactive, un fornitore di indici consolidato ed efficiente in termini di costi. Inoltre, come con tutti gli Etf di Amundi, la gamma Prime esclude i fornitori di armi controverse.
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FINANZA SOSTENIBILE
BNP PARIBAS LANCIA I PRIMI CERTIFICATI ESG E AFFIDA IL RATING A VIGEO
È
la prima volta che in Italia vengono emessi certificati su sottostanti Esg. Ci ha pensato Bnp Paribas con una serie di prodotti Memory Cash Collect lanciati sul segmento Sedex di Borsa Italiana. Per la valutazione della compatibilità con i principi della finanza sostenibile, l’emittente francese ha deciso di avvalersi dei rating forniti da Vigeo Eiris con cui procederà alla selezione delle società italiane e europee con elevati standard ambientali, sociali e di governance (Esg). Partendo dall’universo investibile rappresentato dalle aziende appartenenti all’indice Eurostoxx600, le società sottostanti la nuova gamma di certificate sono selezionate secondo un processo fondato su tre principi: filtro Esg; filtro fi-
DEBITO CORPORATE
I MERCATI EMERGENTI NEL MIRINO DI MIRABAUD ASSET MANAGEMENT
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irabaud Asset Management ha lanciato a inizio novembre un nuovo fondo a scadenza fissa sul debito dei mercati emergenti per gli investitori in euro. Questa nuova soluzione segue la strategia Emerging Market 2024 Fixed Maturity con aum per 100 milioni di dollari, avviata con successo a maggio. L’obiettivo del fondo è cogliere i rendimenti interessanti attualmente offerti dagli emittenti dei mercati emergenti, con un profilo simile a quello di una singola obbligazione e con la diversificazione tipica di un portafoglio di strumenti di debito emessi in euro o con copertura in euro. La strategia consente un’esposizione al debito dei mercati emergenti in valuta forte con un orizzonte temporale con scadenza al 2025 con un approccio “buy and hold”. La selezione, nell’universo del debito corporate, sovrano e quasi sovrano, punta alle opportunità migliori con il più alto profilo rischio/ rendimento nei mercati emergenti a livello globale. Il nuovo veicolo d’investimento è gestito da Daniel Moreno (in foto), head of emerging markets fixed income, e Puneet Singh, senior fixed income portfolio manager.
nanziario, ossia esclusione delle società che presentano una bassa liquidità sui mercati dei capitali in cui sono quotate; filtro best-in-class, per selezione delle società che nel loro settore si distinguono per un miglior posizionamento Esg, oppure che risultano tra le prime 10 del settore in termini Esg da Vigeo Eiris. La gamma di Memory Cash Collect su sottostanti Esg ha durata biennale, offre premi potenziali con effetto memoria con cadenza trimestrale dall’1,25% (5% annuo) al 3,4% (13,6% annuo) e barriere poste al 70%. I certificati consentono di ottenere premi con effetto memoria, nelle date di valutazione trimestrali, anche nel caso in cui le azioni abbiano perso terreno, ma la quotazione del sottostante sia superiore o pari al livello barriera.
OBIETTIVO ALPHA
LA STRATEGIA OBBLIGAZIONARIA DI PRAMERICA SGR Gestione dinamica, strategia con elevata expertise, lungo e solido track record. Questi gli ingredienti della nuova soluzione distribuita da Pramerica Sgr che, con il comparto Pramerica Sicav Dynamic Bond Euro Hedged, mette a disposizione degli investitori italiani un’altra strategia obbligazionaria globale di Pgim Fixed Income, asset manager appartenente al network globale di Pramerica Financial, con masse in gestione per 809 miliardi di dollari. «È necessario guardare al mercato obbligazionario con occhi diversi: per cercare opportunità di rendimento bisogna considerare i mercati globali e affidarsi a gestori estremamente specializzati», ha commentato Andrea Ghidoni (in foto), a.d. e direttore generale della casa di investimento. La strategia mira a massimizzare le opportunità di extra rendimento derivanti da fonti diversificate di alpha, attraverso l’ampio spettro di scadenze obbligazionarie anche grazie alla possibilità di investire fino a un massimo del 50% del suo patrimonio netto in titoli di debito garantiti da attività, tra cui obbligazioni collateralizzate (cdo) investment grade. Il prodotto ha l’obiettivo di sovraperformare il benchmark Bloomberg Barclays U.S. Aggregate Index.
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SEDIE & POLTRONE di Marco Muffato Casacche che si scambiano, volti noti che passano da un ruolo all’altro: il valzer delle poltrone è intenso nella finanza, dove vige ancora il merito e dove chi rende bene viene promosso o ricoperto di offerte allettanti. Agli HR il compito di attrarre i talenti, a noi quello di raccontare il risiko, oltre a notizie e indiscrezioni su un mondo ricco di costanti novità.
SALVATORI PRESIDENTE DI AVIVA ITALIA HOLDING
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viva Italia Holding ha nominato Carlo Salvatori (nella foto) nuovo presidente. Il manager italiano ha assunto ufficialmente l’incarico a partire dal 26 settembre, succedendo a John Russell T. Walls. Nel corso della sua carriera Salvatori ha messo la sua esperienza al servizio delle principali realtà assicurative e bancarie del Paese, ricoprendo ruoli chiave come quello di amministratore delegato di Banca Intesa, presidente del gruppo UniCredito
Italiano, presidente di Allianz e dal 2010 è anche presidente di Lazard Italia.“Siamo onorati di poter celebrare l’ingresso in Aviva Italia Holding di Carlo Salvatori, persona di consolidata esperienza e figura di spicco nel panorama finanziario internazionale” sottolinea Ignacio Izquierdo, Ceo di Aviva in Italia – Sono sicuro che il suo arrivo ci consentirà di cogliere con successo nuove opportunità di sviluppo e dare continuità al trend di crescita che abbiamo mostrato negli ultimi anni”.
QUINTO GUIDA FRANKLIN TEMPLETON
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ichele Quinto (nella foto) è il nuovo country head e branch manager per l’Italia di Franklin Templeton, con effetto dallo scorso 1 ottobre 2019. In questo nuovo ruolo (precedentemente era co-branch manager e retail business director per l’Italia), Michele ha la responsabilità di guidare lo sviluppo del business globale dell’azienda in Italia. In particolare ha la supervisione di tutte le linee di business e dei canali di distribuzione per aumentare ulteriormente l’efficienza del gruppo in Italia supportandone i piani di crescita, offrendo una gamma diversificata di soluzioni di investimento ai distributori partner di Franklin Templeton. In qualità di country head e branch manager riporterà a Michel Tulle, senior director, Southern Europe e Benelux e lavorerà a stretto contatto con i team di gestione europei e globali
LA DEFEND SALE IN AMUNDI
L’
italiana Monica Defend (nella foto) è stata nominata global head of research di Amundi. Defend succede a Philippe Ithurbide, che andrà a ricoprire il ruolo di senior economic advisor del general management di Amundi. Già deputy head of group research, Monica è membro del global investment committee di Amundi dal 2017 e nel suo ruolo contribuisce alla definizione della strategia di investimento di Amundi nei mercati finanziari globali. In precedenza la Defend ha ricoperto il ruolo di global head of asset allocation research e head of quantitative research di Pioneer Investments.
GOITINI A CAPO DI PRIVATE E WEALTH DI BNL-BNP PARIBAS
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lena Goitini (nella foto) è la responsabile della nuova divisione private banking e wealth management di Bnl-Bnp Paribas. Con oltre 25 anni di esperienza internazionale nel settore finanziario, la Goitini ha iniziato a lavorare a Milano come consulente Pwc per poi passare al gruppo Unicredit dove ha ricoperto numerosi
ruoli chiave in Italia e in Europa. La manager ha maturato, nel corso della sua carriera, un’esperienza diversificata con competenze di gestione finanziaria, di business e di management. È volontaria presso la “Casa del Niño” e sostiene diverse importanti organizzazioni non-profit tra cui Maisha Marefu Onlus e Villaggi Sos.
GIGLIOLI AL MARKETING STRATEGICO DI CREDEM
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aurizio Giglioli (nella foto) è stato nominato direttore marketing strategico di Credem. L’area, dove operano 100 persone si occupa delle strategie commerciali e dei modelli di servizio Credem sulla clientela corporate e retail, oltre al presidio e allo sviluppo di servizi e prodotti bancari. Giglioli avrà
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l’obiettivo di sostenere la crescita del gruppo rafforzando il modello di banca assicurazione e la cura dei bisogni di famiglie ed imprese. Entrato in Credem nel 1988, Giglioli dal 2011 al settembre 2019 ha ricoperto il doppio ruolo di direttore generale e di amministratore delegato in Credemleasing.
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PROFESSIONE CONSULENTE Risponde Francesco Priore all’indirizzo priore.studio@virgilio.it Startupper e decano della consulenza finanziaria, Priore ha fondato l’Anasf e contribuito alla fondazione dell’Albo. Docente Universitario, autore e consulente di comunicazione e marketing finanziario. È stato direttore marketing della rete di Banca Fineco e membro del CdA di Consultinvest Sim.
COME SI CREA FIDUCIA CON IL CLIENTE
PAURA DEI TASSI NEGATIVI? FAI COSÌ...
Carissimo Francesco,
Professor Priore,
visto che hai accumulato tanta
sono uno di quelli che hanno depositato
esperienza sul campo, ti chiedo un
in banca capitali liquidi e risparmi,
consiglio. Ho maturato un buon
sentendomi così al sicuro. Ho anche
portafoglio e vorrei svilupparlo
titoli e fondi, ma la cifra cospicua è lì. Le
ulteriormente. Oggi i consigli di come
disavventure delle banche non mi hanno
promuoversi abbondano ma una volta
toccato ma solo preoccupato. Leggo che
quando questi non c’erano, i brand
probabilmente dovrò pagare – i tassi
erano sconosciuti, i fondi un oggetto
negativi non vogliono dire questo? – per
misterioso, quali strumenti avevate?
lasciare i soldi in banca. Non sono uno sprovveduto, però di sicuro disorientato...
Dario, via email
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ario, potevamo contare solo su noi stessi. Premesso che se non ci fosse stata empatia non avremmo mai acquisito il cliente, tuttavia il resto dipendeva dalla relazione che si sviluppava in funzione solo del comportamento. L’obiettivo era raggiunto quando si stabiliva un clima di fiducia: la parola fiducia deriva da fede, cioè il cliente doveva poter avere fede in te. Se la fiducia, nel tempo, fosse risultata ben riposta allora sarebbe cresciuta la reputazione. La fiducia si crea usando le cosiddette virtù civili. L’elenco è vasto, ne elencherò solo un piccolo esempio: saper ascoltare, mantenere la parola e gli impegni, sempre; non promettere quello che non si può mantenere; non illudere; spiegare con chiarezza tutto; ammettere di non sapere, promettere d’informarsi, informarsi e riferire; non sparlare dei competitor, non si è più credibili se gli altri lo sono meno; non mentire, piuttosto tacere; saper mantenere una confidenza riservata, ancor più un segreto; non assordare il cliente con i fatti propri. Essere: preparati, competenti, aggiornati, puntuali, precisi, solerti, rispettosi, efficaci, efficienti, disponibili e così via. Come ha affermato, basandosi sulle ricerche, il professor Marzo a Consulentia «il risparmiatore sceglie il consulente che ispira maggiore fiducia, a prescindere dal livello dei costi». Ricordarsi soprattutto che il cliente, anche se è amico o parente, vuole essere trattato da cliente. Raggiunta la reputazione, basta modificare i comportamenti dannosi e si apre una prateria di nuovi investimenti e nuove referenze attive. I costi non c’entrano: all’inizio si partiva dall’8,50% di prelievo sul versato.
Ermanno, via email
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entile Ermanno, la nostra tradizione ci ha portato a considerare le banche come un fortino per il nostro denaro. E’ corretto e così dovrebbe essere, infatti le banche sono regolamentate vigilate e protette perché i soldi che usano sono i nostri. Quando depositiamo in banca i soldi, questi diventano di proprietà della banca che li usa per la sua attività creditizia. Il depositante diventa creditore della banca, può esigere il credito a richiesta ma la figura giuridica è quella del creditore, privilegiato ma creditore. I piccoli creditori, sino a 100mila euro, sono un po’ più privilegiati in caso di difficoltà: queste insorgono se c’è una grossa crisi economica. Ci si deve abituare a non considerare le banche tutte uguali, siamo scrupolosissimi nello scegliere un’auto, dobbiamo esserlo di più quando scegliamo un istituto. Tante riviste trattano le caratteristiche delle auto e tutte vendono, poche le riviste che pubblicano le “classifiche” delle banche e vendono poco. Non è la classifica che conta, ma l’informazione che è scarsa anche perché non c’è domanda da parte dei clienti delle banche. Un po’di domande come la sua alla carta stampata o ai media on line, non ai social, stimolerà l’offerta di informazioni. Informandosi, i milioni di famiglie che hanno solo in banca 1.500 miliardi di euro depositati potrebbero scoprire che ci sono altre attività finanziarie, se mai con un po’ di rischio in più, però! novembre 2019
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CONSULTINVEST RILANCIA LA SFIDA
«Squadra che vince, cresce» di Luigi Orescano
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è un gruppo finanziario italiano che tra il 2006 e il 2019 ha effettuato sette operazioni di acquisizione e fusione, conservando la propria autonomia e il controllo in capo ai soci fondatori: tutte acquisizioni nel settore delle gestioni patrimoniali e delle reti di vendita, aziende o rami d’azienda di una certa notorietà: Millennium, Igm, Banca Network, Genesi Unl, Simgenia, Alpenbank. «Sì, siamo cresciuti così, non per linee interne ma attraverso aggregazioni condivise di elementi funzionali alla nostra strategia», riassume con semplicità Maurizio Vitolo, fondatore, ceo e principale azionista di Consultinvest, il gruppo di cui si parla, che unisce in se stesso una Sgr e una Sim ed è fresco reduce dall’aver acquisito appunto da Alpenbank una rete di consulenti finanziari costruendo però con il gruppo venditore un’alleanza grazie alla quale l’istituto austriaco è entrato nel capitale della holding di Vitolo. Che nel frattempo sta allargando ma soprattutto ridefinendo gradatamente il proprio azionariato: «La nostra convinzione è che quest’azienda stia crescendo costantemente e consolidandosi sul mercato grazie al fatto di lavorare in squadra. Ed era quindi logico che quest’assetto si riflettesse nell’azionariato», spiega Vitolo: «La prima linea dirigenziale è entrata nel capitale della holding, e circa 100 consulenti sono presenti nel capitale della Sim, grazie ad un processo di attribuzione periodica di quote, che determina una partecipazione assembleare a quelli che sono i doveri di un azionista ma anche alla massima visibilità su tutti i risultati. Il nostro consulente non legge di noi sui giornali: sa tutto prima, come ogni socio». «Questo significa indipendenza!», chiosa Alessia Santecchia, direttore generale della Sim (una delle poche di genere femminile in questo mercato): «Indi72
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DA SINISTRA CARLO GRAZIOLI, MAURIZIO VITOLO, ALESSIA SANTECCHIA E DOMENICO LOIZZI
LA FILOSOFIA DELLA BOUTIQUE FINANZIARIA DI MAURIZIO VITOLO È QUELLA DI AFFIDARE A UN TEAM AFFIATATO E GIOVANE LA MASSIMA CURA DI GESTIONI E CLIENTI pendenza come società sul mercato, e piena consapevolezza professionale e di tutti noi che ci lavoriamo su ciò che facciamo ogni giorno e sulle strategie». «Per me», aggiunge, «il discorso dell’indipendenza è particolare: professionalmente sono nata in quest’azienda, sono qui da quasi 15 anni e ho trovato un clima più unico che raro di autonomia di giudizio. E devo dire che oggi per me quest’indipendenza è un must». Ma non solo indipendenza: la dimensione compatta e la possibilità di prendere le decisioni in una sede ristretta e agile conferisce velocità di esecuzione all’insieme: «Prima di entrare in Consultinvest», racconta Carlo Grazioli, direttore operations della Sim, «ero stato in altre aziende più grandi, e avevo constatato che in strutture grandi il singolo professionista riesce a vedere direttamente e capire ben poche delle
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attività aziendali. Qui in Consultinvest – dove peraltro sono entrato dall’esterno, grazie all’acquisizione di Banca Network Investimenti, e mi sono visto accogliere a braccia aperte - ho potuto e posso vedere tanto. Anche a livello quotidiano, mi sono accorto che nelle aziende più grandi portare un’esigenza o un’idea del singolo all’attenzione del vertice è subordinato a una serie di passaggi che creano inefficienza, mentre in Consultinvest le cose si portano immediatamente sul tavolo decisionale, se un’idea nuova piace viene realizzata in tempo reale, cosa impensabile per un’azienda grande. Poco tempo fa, per esempio, una grandissima azienda finanziaria è venuta qui da noi per farsi illustrare il nostro sistema informatico di ticketing, che hanno poi deciso di adottare nel giro di due anni! Non dico qual è, ma se lo dicessi sembrerebbe assurdo. Eppure è così: riusciamo ad essere più che competitivi e i grandi ci copiano». «In questo percorso di crescita che prosegue da sette anni e andrà avanti», osserva Domenico Loizzi responsabile dello sviluppo prodotti, «abbiamo portato tanto entusiasmo in tutti. L’entusiasmo di partecipare a un progetto ambizioso, stimolante, in continuo divenire. Qui si sta costruendo un progetto in cui consulenti possono vivere in una bella realtà, una realtà di famiglia, di persone. Sappiamo dove vogliamo arrivare, con obiettivi ben precisi, vogliamo diventare la prima realtà indipendente sul mercato. Un obiettivo che è nel nostro dna. Quest’azienda è nata a Modena, tanti anni fa, sulla base di una relazione molto speciale con i suoi clienti e con il passaparola dei clienti soddisfatti che ci presentavano, raccomandandoci, ai loro amici. E tuttora è così». Insomma, crescere in autonomia è elettrizzante: «Sì, lo è», conferma Grazioli, «ma lo è soprattutto perchè la crescita attrae sempre maggior considerazione per Consultinvest e porta sempre nuove opportunità. Diventa un forte argomento di prestigio e quindi di incremento della vendita e delle offerte. Vuol dire che siamo scelti, e ci scelgono perché vedono in noi efficienza, voglia di fare, serietà e professionalità. In tutte queste acquisizioni abbiamo pagato il prezzo giusto, forse perfino una sfumatura di meno di quanto sarebbe stato chiesto ad altri, perché siamo stati considerati,
nelle nostre proposte, anche per gli aspetti qualitativi e progettuali, che i concorrenti non potevano vantare». «Crediamo di essere quel che abbiamo sempre desiderato essere», commenta Vitolo, «cioè una società dove le persone che lavorano stanno bene, nella qualità, ricche di stimoli, con il cliente al centro. Vogliamo dare un servizio di alto livello professionale, trasparente e ineccepibile sotto tutti gli aspetti». «Una crescita costante e serrata, con sette operazioni in poco più di sette anni, comporta molto impegno gestionale», riprende Santecchia. «Guardando alle esperienza passate, l’operazione di aggregazione con Banca Network, molto impegnativa perché era di grandi dimensioni, con circa 200 persone, ha anche avuto il valore di un vero e proprio salto di qualità e dimensioni. Era il luglio del 2012. Essendo molto complessa, ha richiesto un significativo periodo di adeguamento. Abbiamo imparato da quest’esperienza e in vista del processo di crescita ci
«LA NOSTRA AZIENDA CONTINUA A CRESCERE E STA CONSOLIDANDOSI SUL MERCATO GRAZIE AL FATTO DI LAVORARE IN SQUADRA»
siamo attrezzati sempre meglio. Abbiamo rafforzato la struttura operativa e dei controlli, e in generale di tutta la prima linea di livello dirigenziale. Abbiamo fatto, negli ultimi 6 anni, moltissime assuzioni, acquisendo professionisti provenienti da primarie società con background professionali qualificati, utili alla crescita organica della società. Del resto, ogni operazione ha sue proprie particolarità e difficoltà. Per questo bisogna avere professionalità, competenze, ma anche tanta flessibilità e un approccio problem solving. Siamo una realtà piccola e indipendente, in grado di valorizzare anche le caratteristiche umane e questo riscontra il generale apprezzamento, tanto che anche rapporti iniziati con maggior distacco, sono poi stati contagiati dal nostro entusiasmo». «La mia convinzione è che, entrando nel nostro sistema, chiunque constati un modo autentico di vivere il principio – sbandierato ovunque e praticato poco – della centralità del cliente», conclude Loizzi. «Per noi, questa centralità significa proporre un modello comportamentale etico, con l’obiettivo di fondo di puntare a soluzioni di sostanza e non di forza. Il consulente ha bisogno di avere clienti soddisfatti, per crescere. E da noi trova, pur nella nostra piccola dimensione, prodotti di eccellenza. Non c’è solo mass-market. A chi ci obietta che i prodotti finanziari si somigliano tutti, noi replichiamo con i fatti: il ruolo di un consulente davvero indipendente consiste nel saper costruire tra prodotti simili il mix giusto, diverso da tutti, per le esigenze del cliente. Come possiamo riuscirci? Grazie alla nostra attenzione costante e quasi ossessiva per la formazione. A fianco dei gestori c’è una fabbrica prodotti con specialisti che pensano le strategie e le spiegano ai consulenti affinchè essi le spieghino ai clienti, in modo da affrontare le dinamiche di mercato con la massima rapidità, anche negli scenari apparentemente più stabili e prevedibili. La parola d’ordine è molto semplice: dobbiamo essere i migliori». novembre 2019
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L’INTERVENTO
C’erano una volta i minibot e, ben fatti, servirebbero ancora di Roberto Tieghi *
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na polemica che recentemente è andata divampando è quella sui cosiddetti “minibot”, strumento che, nell’intenzione dei proponenti, dovrebbe radicalmente risolvere l’annoso e grave problema dei crediti delle imprese verso la pubblica amministrazione. Tali strumenti, almeno secondo le prime notizie, sarebbero il risultato di un’ibridazione di alcune caratteristiche specifiche dei titoli del debito pubblico, dei titoli di credito e della carta-moneta. In particolare tali strumenti sarebbero emessi e garantiti dallo Stato; dovrebbero essere accettati in pagamento da taluni enti pubblici ovvero a controllo pubblico,“circolando” all’interno dello Stato, ovvero essere utilizzati per il pagamento di debiti tributari e contributivi. Sarebbero emessi in diversi “tagli” cartacei, e pur non avendo “corso forzoso” nei confronti dei creditori della pubblica amministrazione, non dovendo cioè essere accettati obbligatoriamente dai creditori dello Stato - benché, su un piano di fatto, l’alternativa possa essere quella di passare “in coda” nei pagamenti - dovrebbero però necessariamente, successivamente alla loro emissione, essere accettati in pagamento dagli enti pubblici e a controllo pubblico. La Bce ha avuto modo di affermarne la contrarietà ai trattati Ue, e dunque l’illegittimità, se da considerarsi moneta; quanto alla riconduzione nell’alveo del “ debito pubblico” sembra utile tener presente che, in termini di bilancio dello Stato, i debiti per forniture in adempimento dei quali verrebbero emessi (circa 57 miliardi di euro, secondo talune stime) sono (o avrebbero dovuto essere) già compresi nei dati del bilancio di competenza, mentre ai fini dei flussi – ovvero nel bilancio di cassa – essi sarebbero rilevati in sede di pagamento. Dunque, tecnicamente, essi non sarebbero da considerarsi “nuovo debito”. In realtà, per chi si è occupato di “vecchie” questioni tributarie, è fin troppo noto come già in passato, a fronte dei problemi di liquidità e dei ritardi nei trasferimenti di fondi, i legislatore italiano sia intervenuto promuovendo l’erogazione di rimborsi d’imposta tramite titoli del debito pubblico. Per esempio la legge n. 457/1994 introdusse disposizioni concernenti l’estinzione di crediti d’imposta tramite titoli di Stato; in particolare, l’articolo 5, stabilì che all’estinzione dei crediti risultanti dalla liquidazione delle dichiarazioni fiscali attinenti ai periodi d’imposta chiusi entro il 31 dicembre 1989, si provvedesse mediante assegnazione ai creditori di titoli di Stato; per l’effetto fu emanato un decreto ministeriale 74
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ANDREBBERO CONSIDERATI PER QUELLO CHE EFFETTIVAMENTE SONO, VALE A DIRE UN MERO STRUMENTO PER FORNIRE LIQUIDITÀ ALLE IMPRESE CREDITRICI DELLA P.A. 19 dicembre 1996 con il quale fu disposta l’emissione di una prima tranche di certificati di credito del tesoro al portatore. Dunque,la proposta non sarebbe assolutamente “nuova” (se non probabilmente per la “forma” e destinazione dei titoli); in ogni caso, giacché si vocifera di emissione di minibot in misura uguale alla quantità di euro circolanti nel territorio dello Stato, è fin troppo evidente come il dibattito si stia incentrando da un lato sulla questione politica “sovranista” di porre le basi per un abbandono dell’euro, con conseguente possibile tensione sullo spread dei nostri titoli di debito, e d’altro lato sulle ricadute pratiche di uno strumento “fisico” particolarmente scomodo nelle transazioni (giacché non vi è dubbio che, al contrario, la direzione di fondo dell’economia sia per l’utilizzo di moneta elettronica). In ogni caso, i minibot andrebbero considerati per quello che effettivamente sono, vale a dire un mero strumento per fornire liquidità alle imprese creditrici. Da ciò la mia personale convinzione che la questione del pagamento dei crediti per forniture alla pubblica amministrazione e agli enti locali andrebbe risolta con strumenti di analoga natura, senza esporsi al rischio di una contestazione di illegittimità, tanto più se di provenienza europea. In altri termini, se lo Stato creasse dei Certificati fiscali di credito (Ccf), sulla base di apposite procedure che molto rapidamente certificassero l’ammontare vantato dalle imprese (magari a seguito di un’autocertificazione qualificata, ovvero visto di conformità, già in uso), tali certificati – ovviamente cedibili a terzi mediante apposita segnalazione telematica all’agenzia delle entrate – potrebbero essere utilizzati interamente in sede di modello F24 per compensare tributi e contributi, sì da riconoscere immediatamente il pagamento dei crediti vantati, ovvero anche destinati ad altri usi , quali “pagamenti qualificati” alle pubbliche amministrazioni. Sul piano macroeconomico si avrebbe immediatamente la conseguente creazione di liquidità, con i positivi effetti sui bilanci dei cre-
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ditori, che potrebbero altresì avvalersi della caratteristica di cedibilità per fare cassa ove necessario nei confronti del sistema bancario. Si formerebbe conseguentemente un mercato secondario in cui poter trasferire tali certificati, che per definizione e natura sarebbero atti ad assolvere qualunque debito di carattere tributario o contributivo da parte del soggetto originariamente assegnatario ovvero acquirente. Corrispondentemente si avrebbe certo una riduzione delle entrate fiscali e contributive, ma questo sarebbe un effetto ineliminabile o al più “rateizzabile” (magari su due esercizi) se l’esigenza di pagamento delle imprese non fosse così forte da giustificare un
utilizzo immediato e totale dei certificati stessi, a fronte dei crediti vantati. Del resto l’alto numero dei fallimenti, come alcuni casi limite dimostrano, a causa di debiti non assolvibili per effetto di crediti “incagliati” verso la pubblica amministrazione, in ragione dei lunghissimi tempi di pagamento, giustificherebbe concretamente il riconoscimento immediato della “spendibilità” degli importi vantati come crediti per forniture di beni e servizi. Mi auguro che nelle opportune sedi governative possa condursi una serena riflessione in tal senso. * Studio Fantozzi & Associati
Settimana responsabile e sostenibile
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al 12 al 21 novembre a Milano, Roma e Napoli il Forum per la Finanza Sostenibile organizza l’ottava edizione della Settimana Sri, una delle principali iniziative in Italia dedicate all’investimento sostenibile e responsabile (o Sri, da Sustainable and responsible investment). Gli eventi in programma metteranno a fuoco diversi ambiti nei quali la finanza potrà e dovrà rafforzare il proprio ruolo in vista di un mondo più verde e equo. Tredici i convegni in calendario, con presentazioni di ricerche e pubblicazioni, tavole rotonde e dibattiti che coinvolgeranno professionisti della finanza e delle imprese, accademici e rappresentanti di istituzioni nazionali e internazionali. Gli eventi, aperti al pubblico, sono promossi e coordinati dal Forum in collaborazione con prestigiosi partner e con il sostegno di importanti organizzazioni finanziarie. Roma ospiterà l’evento di apertura e la giornata conclusiva, che saranno dedicati rispettivamente al cambiamento climatico e alla previdenza in Italia. Quest’anno per la prima volta la Settimana Sri farà tappa a Napoli in occasione del convegno organizzato in collaborazione con il mondo accademico. A Milano si svolgeranno gli altri eventi, che approfondiranno temi in primo piano nell’ambito della finanza sostenibile, come il programma di riforme della Commissione Europea e la collaborazione con il Terzo Settore. Ecco gli eventi promossi dal Forum questo anno a cui Economy Group partecipa come media partner: Roma, 12 novembre, 10:00 – 13:00: “Clima e finanza sostenibile”. La Settimana Sri si aprirà in Senato con una riflessione sulla relazione tra cambiamento climatico e finanza sostenibile. Con l’occasione sarà presentata un’indagine condotta dal Forum e da Doxa con il supporto di Allianz Global Investors, Etica Sgr e State Street Global Advisors; obiettivo della ricerca è analizzare se e come il cambiamento climatico influenza le scelte d’investimento dei risparmiatori.
Milano, 13 novembre, 10:00 – 13:00: “Cantieri ViceVersa: finanza sostenibile e Terzo Settore”. Il convegno è dedicato alla presentazione di un manuale che raccoglie la sintesi e i risultati di “Cantieri ViceVersa”, un progetto promosso dal Forum Nazionale del Terzo Settore in collaborazione con il Forum per la Finanza Sostenibile allo scopo di costruire una solida rete relazionale tra Enti di Terzo Settore e operatori finanziari. Milano, 13 novembre, 17:30 – 19:00: “Greening the Financial Regulation”. Il Forum e la Frankfurt School illustreranno un’analisi sul grado di allineamento della normativa finanziaria italiana all’Accordo di Parigi sul clima. La ricerca si è svolta nell’ambito di Finance fit for Paris-Tracker, un progetto sostenuto dalla European Climate Foundation e sviluppato da Frankfurt School-Unep e da Wwf Germania con l’obiettivo di studiare l’evoluzione della regolamentazione finanziaria sui temi ambientali nei mercati europei e internazionali. Milano, 19 novembre, 10:00 – 13:00: “L’Unione Europea e la finanza sostenibile”. Il convegno si svolgerà all’Università Cattolica con il patrocinio della Commissione Europea e approfondirà gli sviluppi del Piano d’azione Ue sulla finanza sostenibile, concentrandosi su implicazioni finanziarie e impatti per il mercato italiano.L’occasione sarà la presentazione di un manuale elaborato dal Forum a partire da un gruppo di lavoro multi-stakeholder promosso in collaborazione con Abi e Assogestioni e con il supporto di Anasf, Etica Sgr, Intesa Sanpaolo e Morningstar Italy. Roma, 21 novembre, 10:00 – 13:00: “Operatori previdenziali e investimento sostenibile”. L’evento conclusivo della Settimana Sri sarà ospitato da Cisl presso l’Auditorium Donat Cattin. Rivolto al settore della previdenza, il convegno vedrà la presentazione della quinta edizione dell’indagine sulle politiche d’investimento sostenibile dei piani previdenziali italiani, condotta dal Forum in collaborazione con Mefop e MondoInstitutional e con il supporto di Axa Investment Managers, NN Investment Partners e Vigeo Eiris. novembre 2019
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TECNOLOGIA & SERVIZI FINANZIARI
Col fintech la banca cambia pelle ma il digitale deve aiutare i clienti di Annalisa Caccavale
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imentichiamo la vecchia banca, quella di Mr Banks in Mary Poppins, fatta di persone che prendono in mano soldi di altre persone e li portano nel grande caveau sotterraneo. L’istituto di oggi e di domani si muove sul filo dell’innovazione che sta dematerializzando, scomponendo e quindi rivoluzionando l’intero settore. La finanza tecnologica, ormai definita più brevemente Fintech, pone nuovi scenari e necessità di aggiornamento non solo nell’attività ordinaria ma anche nell’impianto regolatorio. La gestione delle nuove tematiche implica grande conoscenza e cultura così da essere capaci di competere nel sistema finanziario e bancario contemporaneo non solo nazionale perché un’altra dimensione rilevante riguarda la facilità 76
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«BANCA UP» È IL SAGGIO DI ANNA GERVASONI SULLA SFIDA CHE IL SISTEMA CREDITIZIO DEVE GIOCARE PER RIAFFERMARE IL PROPRIO RUOLO E NON SOCCOMBERE SUL MERCATO di valicare i confini territoriali che l’innovazione consente. Oggi i mercati finanziari e le tecnologie sono di fatto “senza confini”. Una traccia sulla direzione che le banche e tutto ciò che vi gravita intorno, stanno prendendo, viene trattato approfonditamente in “Banca Up” libro uscito in questi giorni a cura di Anna Gervasoni ed edito da gueriniNEXT. Oggi viviamo un momento in cui le tecnologie abilitanti, ovvero Intelligenza artificiale, Blockchain, Big Data e Cloud, sono entrate a far parte dei sistemi bancari in modo permanente, dopo una veloce crescita esponenziale degli ultimi anni, rendendole più facilmente fruibili. Grazie a ciò anche l’esperienza sui processi digitali online è stata efficacemente
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implementata nelle aziende, e queste ora vogliono ottenere lo stesso tipo di semplicità e immediatezza in tutte le aree funzionali. Al contempo è importante ricordare che l’innovazione tecnologica è in grado di alimentare all’interno delle imprese stesse fenomeni di imprenditorialità interna, da cui nascono spinoff fintech, senza però dimenticare le risorse umane; tale componente continuerà a rappresentare un elemento importante. Stiamo assistendo, e lo sarà sempre di più, a un ricorso all’intelligenza artificiale nella determinazione di alcuni elementi del banking, come il rischio di credito, ma sarà impossibile prescindere dalla componente umana. Le persone saranno sempre importanti e diventano rilevanti inoltre i temi legati alla garanzia dei livelli uniformi di sicurezza per la clientela e di una normativa omogenea, che dia tranquillità e trasparenza. In tema Fintech le norme devono essere ad hoc e vanno studiate insieme al mercato; occorre che siano armonizzate, senza dimenticare che si affacciano operatori che non arrivano dal mondo finanziario, come le Big tech. La tecnologia digitale richiede sempre più grandi conoscenze e capacità di adattamento da parte di tutti gli attori in gioco. Alle istituzioni spetta il compito di salvaguardare un sistema di valori proprio di un’economia aperta. Sul lato delle regole occorre trovare un punto di incontro tra tradizione e innovazione per normare le attività fintech che si adattano con rapidità alle richieste del mercato ma che non evitano l’esposizione a rischi sia operativi sia reputazionali. Per questo, Banca d’Italia ha attivato il “canale Fintech”, un innovation hub di confronto diretto con gli operatori. Le autorità di vigilanza devono essere rapide nell’intervenire e pronte nel dare risposte esaustive, compito spesso non facile nel momento in cui il web consente l’immediato contatto tra domanda e offerta di servizi, prescindendo dalla territorialità. L’ottica delle banche deve essere quella di riprogettare i modelli di business adattandosi ai nuovi contesti di mercato in un’ottica di stabile e sostenibile profittabilità; queste, a differenza delle fintech startup, devono innovare nel rispetto
Anna Gervasoni, docente di economia degli Intermediari finanziari alla Liuc di Castellanza e direttore generale dell’Aifi
LA BANCA D’ITALIA HA ATTIVATO IL “CANALE FINTECH”, UN INNOVATION HUB DI CONFRONTO DIRETTO CON GLI OPERATORI ALLA PRESE CON FENOMENI NUOVI E REGOLE INCERTE della clientela e della stabilità del sistema. Le banche hanno un’arma importante rispetto ai concorrenti: le proprie risorse umane. Nel settore, le persone sono fondamentali, il rapporto umano con la clientela risulta e risulterà sempre centrale. Perché anche i clienti sono “risorse umane”. Dunque le persone saranno sempre elemento essenziale, esattamente come il ricorso agli investimenti in tecnologia rappresenta la chiave di volta per affrontare il futuro. Si può quindi sviluppare un nuovo modello di banca, non per forza facendone nascere una nuova ma partendo da quella tradizionale. La tecnologia ci sta aiutando moltissimo in questo senso e ci deve essere ambizione da parte del sistema. Non solo le banche, o meglio le “imprese che svolgono attività bancaria” devono essere sulla frontiera dell’innovazione, ma la loro conversione comporterà una trasformazione importante non solo della comunità finanziaria ma anche della società. Nell’implementare il rinnovamento tecnologico bisogna rimettere al centro l’uomo. Bisognerà ripensare ai rapporti col personale e con la clientela in maniera originale, rivisitando gli schemi ai quali siamo abituati, reinventando i “luoghi” abituali di lavoro e di incontro. Nella dematerializzazione, anche i luoghi fisici tornano ad avere un ruolo, anche se nuovo. Forse la parola nuova è “inclusione”, sia delle tecnologie che delle persone. Per questo, “Banca Up” vuole essere un auspicio al sistema bancario innanzitutto italiano, perché si faccia promotore di un nuovo ciclo e un nuovo sviluppo del mercato finanziario al servizio della clientela e degli stakeholder. novembre 2019
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FARE IMPRESA AL SUD
Aziende meridionali, la Borsa fa ancora paura ma sempre di meno di Federico Pirro*
GLI IMPRENDITORI DEL MEZZOGIORNO DIFFIDANO DI PIAZZA AFFARI PER TIMORE “DI DOVER LAVORARE SOLO PER IL FISCO” O TERRORIZZATI CHE UNA CRESCITA VELOCE ATTIRI LA MALAVITA ORGANIZZATA
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erché nel Meridione le società quotate in Borsa sono così poche da potersi contare sulle dita di una sola mano? Ci riferiamo a La Doria, azienda conserviera del Salernitano che ha chiuso il 2018 con un fatturato di 688 milioni, a Exprivia, impresa dell’Ict di Molfetta, grande centro della Città metropolitana di Bari, che era già quotata prima dell’acquisto dell’Italtel, un’operazione che le ha consentito con un fatturato di 623 milioni nel 2018 di essere tra le prime cinque società del suo comparto in Italia; e alla Natuzzi quotata sin dal 1993, ma alla Borsa di New York. Il Mezzogiorno poi ospita numerosi grandi stabilimenti di società - ma non di imprenditoria locale - presenti a Piazza Affari, dai siti della FCA di Pomigliano d’Arco e S.Nicola di Melfi, a quelli della Cnh di Foggia e Lecce, dalla raffineria della Saras a Sarroch (Cagliari) in Sardegna a quella dell’Eni a Taranto, dalle centrali dell’Enel all’imponente complesso della STMicroelectronics di Catania nel cuore dell’Etna Valley. Poi con il programma Elite altre società meridionali hanno avviato percorsi di preparazione alla quotazione di Borsa in cui entreranno una volta completati gli adempimenti necessari, e quando le condizioni del mercato finanziario lo renderanno conveniente. Ma anche in questo percorso strutturato di avvicinamento alla quotazione, le aziende meridionali restano ancora molto limitate di numero, rispetto a quelle che apparirebbero potenzialmente collocabili a Piazza Affari. Perché? Perché, com’è facilmente intuibile, soprattutto in tante piccole e medie imprese ad elevata redditività - e dove pure ci sono già stati o sono in corso cambi generazionali nella loro proprietà e/o gestione aziendale - permangono retaggi culturali all’ingresso di nuovi soci, siano essi fondi di private equity, o azionisti anonimi che operano in Borsa, per ragioni su cui torneremo tra breve. Ciò che si può rilevare è che tali resistenze culturali rimandano alla storia del capitalismo italiano, imperniato soprattutto su Pmi e che è, com’è noto, quello di un Paese second comer, giunto in una fase successiva rispetto ai first comer alle soglie dell’industrializzazione moderna, e in cui la cultura di impresa si è sviluppata in ritardo rispetto a quella di Paesi più avanzati: un ritardo tuttavia che non gli ha impedito, grazie anche a un massiccio intervento dello Stato nella promozione del decollo industriale, di entrare poi nella top ten delle economie più sviluppate al mondo. Diceva78
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Nella foto Pasquale Natuzzi, patron dell’omonimo gruppo quotato dal 1993 alla Borsa di New York
mo dei retaggi culturali diffusi tra gli imprenditori del Sud anche se poi - a ben vedere - non appartengono soltanto a loro, ma si manifestano anche nei comportamenti di operatori di altre aree italiane, anche se in esse in forme (forse) meno accentuate. L’imprenditore del Meridione abitualmente è poco propenso a condividere la governance della propria azienda con soggetti esterni - delegando ancora poco anche ai loro manager, quando decidono di assumerne qualcuno - temendo invadenze e possibili disaccordi sulle strategie societarie e pertanto,rischi di paralisi operative. Tali resistenze sono evidenti soprattutto in imprenditori di prima e seconda generazione che hanno fondato le loro aziende spesso in contesti ambientali che per varie ragioni non ne favorivano la nascita e che pertanto sono portati anche per inerzia a diffidare di qualunque apertura a portatori di risorse per far crescere le loro società. Certo, nel corso degli anni le società di capitali - Srl e Spa - sono aumentate nel
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Mezzogiorno, rafforzando con l’apporto di nuove risorse finanziarie compagini molte volte nate come ditte individuali di piccole dimensioni, cresciute però nel tempo: ma è altrettanto vero che le trasformazioni in società di capitali o sono avvenute per separare i patrimoni personali degli imprenditori da quelli aziendali, o con apporti di familiari, amici o conoscenti, ai quali, o a loro fiduciari, raramente però è stato dato accesso alla conduzione operativa dell’impresa, garantendosi soltanto la partecipazione alla divisione degli utili, se e quando fossero maturati e dichiarati con visibilità bilancistica, al netto delle imposte e senza escamotage civilistici elusivi per sottrarli al prelievo del fisco. Quando un numero peraltro sempre più elevato di imprese ha puntato sulla propria crescita dimensionale - e sono tante ormai nell’Italia meridionale quelle che nell’ultimo decennio hanno conseguito brillanti risultati in tale direzione - ciò è avvenuto facendo più ricorso a onerosi affidamenti di istituti di credito, che non comportano però loro presenze negli organi amministrativi delle società o in assemblea, piuttosto che su quotazioni in Borsa o apertura a fondi di private equity. Questi ultimi in particolare sono stati evitati perché l’aprirsi a essi comporta - come è giusto che sia a garanzia degli investitori - alcuni vincoli quali la certificazione di bilancio, la selezione qualificata di manager da impiegare nel-
Nella foto sopra Raffaele Jerusalmi, amministratore delegato di Borsa Italiana. Nella foto in basso Luca Peyrano, amministratore delegato di Elite
TANTE AZIENDE PERÒ HANNO CAPITO CHE È ARRIVATO IL MOMENTO DI APRIRSI ALLE SFIDE DEL FUTURO, FACENDOSI AIUTARE
la gestione aziendale, il superamento della commistione tra fiscalità di impresa e quella familiare, presenza in consigli di amministrazione e soprattutto il raggiungimento di un Roi elevato che molte imprese nell’Italia del Sud non sono in grado di garantire. Un altro nodo da sciogliere allora - sia per l’accesso in Borsa e sia per l’apertura a fondi di equity - non è solo riferito a quante aziende potrebbero assicurare livelli elevati di rendimento, ma anche a quanti imprenditori vorrebbero effettivamente garantirlo, perché spesso è accaduto, e tuttora avviene, che molti di essi non intendono crescere ai ritmi richiesti da aperture a capitali ‘anonimi’. Perché ciò si verifica? Masochismo? In realtà le ragioni sono molteplici: tra queste ‘il timore di dover lavorare solo per il fisco’ come spesso si sente dire tra piccoli e medi operatori - o ancora la preoccupazione di dover poi gestire relazioni industriali potenzialmente conflittuali in società nelle quali diverrebbe difficile impedire l’ingresso di sindacalisti, dato il numero crescente di dipendenti. In talune aree del Sud poi è vivo il timore che una crescita troppo rapida possa attirare su aziende che ne fossero interessate attenzioni della malavita organizzata con tutte le conseguenze facilmente intuibili. Altre volte si teme in aziende con incrementi esponenziali del proprio fatturato - ma non sempre dei loro utili - di non riuscire più a gestire con le risorse umane disponibili nell’impresa la sua crescita accelerata, non volendosene aumentare l’organico, in particolare per costose figure manageriali che peraltro non sempre, almeno in certi contesti territoriali, sono facilmente reperibili con consolidate esperienze al loro attivo. Allora, alla luce di tutto quanto detto in precedenza, bisognerebbe giungere alla conclusione che oggi e per i prossimi anni non vi sia volontà alcuna tra la maggioranza delle imprese meridionali di quotarsi in Borsa, o di aprirsi a conferimenti di capitali di soggetti finanziatori professionali? No, almeno in parte questa opinione sarebbe infondata, in quanto gli scenari competitivi ormai globalizzati - al netto certamente dei risorgenti protezionismi - in cui tutte le società anche meridionali sono inseriti impongono loro di crescere sotto il profilo quantitativo e qualitativo, non solo per rafforzare la loro presenza sui mercati esteri, ma anche per difendersi su quello interno che è comunque una grande area di consumi da conquistare per la concorrenza estera. E allora in tale durissimo ‘ring’ competitivo diviene sempre più impellente la necessità di irrobustire il capitale di rischio delle aziende, anche in quelle di minori dimensioni, e pertanto si apre un fronte dialettico interno alle loro compagini proprietarie che si rendono conto di non poter reggere solo con mezzi propri agli ormai ineludibili aumenti di capitale. E pertanto, come si sottolineava all’inizio, si stanno infittendo al riguardo i contatti con società di private equity, è aumentato il numero delle aziende che accettano di farsi accompagnare da Elite verso la Borsa, si studiano forme di investimento attivate da merchant bank. E’ questo un percorso non lineare tra retaggi del passato e audacia del presente, ma la strada verso il futuro è ormai tracciata. *Docente di Storia Economica all’Università statale di Bari novembre 2019
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POLE POSITION
a cura di Buddy Fox
INTERESSI E NON DIRITTI UMANI AL CENTRO DEL MONDO
R
icordate la strage di San Bernardino? Era il 2 dicembre del 2015, era il periodo dell’Isis, la matrice islamica, il solito abuso di armi, ma il protagonista principale questa volta è un oggetto di culto occidentale. Sul luogo viene ritrovato un cellulare iPhone, la prova attraverso il quale possono essere ricostruiti tutti i fatti antecedenti alla tragedia. Il giudice ordina alla Apple che il cellulare venga decriptato affinché si eviti il rischio che i 10 tentativi di sblocco siano vani, e che accada l’inevitabile cancellazione della memoria. Apple si rifiuta, motivi di privacy, i dati dei clienti (che loro conoscono) devono essere tutelati. Cook blocca l’Fbi, un oltraggio che spinge sulla scena McAfee, genio della tecnologia e nemico della “mela morsicata”, il quale promette di decriptare lui il cellulare pena mangiarsi una scarpa. Resta il fatto unico nel suo genere, e cioè che una società privata si rifiuta di obbedire alla legge anche in un caso di sicurezza nazionale per tutelare il suo cliente. Mario Sconcerti dice che nel calcio di oggi le squadre di club sono più ricche e potenti delle nazionali, una realtà che sembra accomunare calcio ed economia, dove le grandi società private sembrano avere più potere degli stati a cui
appartengono. Non di tutti gli stati, e non in ogni momento. La prova l’abbiamo avuta alla vigilia della trattativa sui dazi, dove la stessa Apple, quella del diniego di San Bernardino, decide di rimuovere dal suo store l’applicazione “HKmap.live”. L’app si dice fosse utilizzata dai giovani della protesta a Hong Kong per monitorare gli spostamenti della polizia in modo da eludere i posti di blocco. È un caso che la rimozione sia stata fatta poche ore prima dell’incontro tra Trump e la delegazione cinese? Questa sequenza di eventi in cui l’unica logica sembra essere il caos e l’incoerenza, delinea un rapporto di forze ben preciso dove la politica locale conta poco o nulla, la legge civile conta meno della legge del commercio, e dove lo Stato Usa ha meno potere dello Stato Apple che però a sua volta deve sottostare all’impero Cina. La politica nazionale conta? Dipende dalla nazione, e soprattutto dal suo esercito: la Cina, oltre alle tecnologie e alle armi di nuova generazione, dispone oggi di un esercito di un miliardo di potenziali consumatori, 4 volte la popolazione totale degli Usa. Ecco svelate le gerarchie del mondo dove l’interesse ad accaparrarsi il consumatore è al centro e il lavoratore ruota, una teoria tolemaica che prima o poi dovrà essere sconfessata.
I TASSI NEGATIVI, AGGHIACCIANTE!
“A
gghiacciante, participio presente, usato anche come aggettivo soprattutto in senso figurato, che raggela, che procura un senso di spavento, di orrore: le sue parole mi fecero un effetto agghiacciante; una visione, un particolare agghiacciante; film di un realismo agghiacciante” così recita il vocabolario Treccani. Divenne un vocabolo famoso oggetto di sketch e parodie grazie all’uso (e all’abuso) che ne fece Antonio Conte alla guida della Juventus. Un uso retorico, di manifesto eccesso iperbolico che puntualmente ebbe fine quando il fumantino allenatore inaspettatamente abbandonò Torino. Ma se l’allenatore più famoso d’Italia recitava una parte, non è insensato pensare che i correntisti Unicredit siano rimasti davvero di ghiaccio leggendo la dichiarazione dell’ineffabile amministratore delegato Jean Pierre Mustier. In qualità di presidente dell’Ebf (l’Abi delle banche europee) ha affermato che il costo dei tassi negativi fissati dalla Bce non possono gravare solo sulle banche e che quindi dovrebbero essere trasferiti anche ai semplici conti correnti. Una proposta avanzata per garantire “la massima efficienza” del sistema. Il mondo è bello perché è agghiacciante: i clienti europei dovranno 80
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davvero pagare le banche che custodiscono i loro denari? In attesa di saperlo, limitiamoci ai fatti: per la prima volta nella storia degli Stati Uniti gli ultra-miliardari hanno pagato un’aliquota fiscale inferiore a quella dei lavoratori; per la prima volta il costo del denaro è talmente basso che sono i creditori a pagare i debitori. Dopo 10 anni di crescita economica l’inflazione rimane ridicolmente bassa, le banche centrali hanno ancorato i tassi a zero e continuano a stampare moneta. Benvenuti nel global cooling… “Agghiacciante!” un urlo che viene da lontano. Nel 2000 a gridarlo era un ristretto gruppo di operatori e opinionisti, per lo più gente con l’argento nei capelli ma che aveva in dote l’esperienza di una vita sui mercati, gridavano a una valle desolata, erano tutti nel campo dei miracoli impegnati a seminare gli zecchini. E a pompare azioni come Tiscali che in quel momento avevano superato per capitalizzazione le Fiat. “Agghiacciante!” urlarono i canuti, ma erano tutti sordi, nessuno voleva sentire ragione, avanzavano al motto “questa volta è diverso”. Si compra correndo ciechi verso un nuovo paradigma economico, d’altronde è proprio così che si creano le bolle.
INVESTIRE SPECIALIST
DE BENEDETTI RITORNA AL VECCHIO AMORE. ANZI NO
L
a vicenda del contrasto tra l’ingegner De Benedetti e i figli per il controllo del quotidiano La Repubblica potrebbe essere letta da un marziano ignaro dei fatti come una riedizione shakespeariana del vecchio Re Lear che perduto il trono perde pure il senno. Ma la vicenda per quanto aspra accade nel Belpaese, sicché non di tragedia si tratta quanto di farsa. Dopo averla donata ai figli qualche anno fa attraverso la cessione della Cir, ora il vecchio ingegnere, carico d’anni e di scorribande finanziarie, temendo che il giornale possa essere ceduto (si vocifera di una cordata Montezemolo-Cattaneo, i due hanno le tasche gonfie dalla vendita di Italo) e in aperto e livoroso dissenso dai figli, dei quali ha deprecato la gestione, attraverso la sua finanziaria Romed, ha presentato un’offerta d’acquisto del 29,9% dei titoli al valore più basso registrato in Borsa. La durissima risposta dei figli – “offerta
manifestamente irricevibile” – non lascia adito a dubbi: stiamo assistendo a una delle più classiche pochade italiche. E infatti, l’Ingegnere -pago, evidentemente dello sfogo - ha rinunciato anche alla presidenza onoraria di Gedi. Come direbbe il grande Ennio Flaiano (nella foto in basso), anche questa storia per quanto grave non è poi così seria.
NETFLIX LA PREDA CIRCONDATA DA SQUALI
“O
h capitan, c’è un uomo in mezzo al mare / oh capitan, venitelo a salvare/ non sa remar neppure sa nuotar/ e finirà per affogar… Quel poverin per rimanere a galla / da un’ora sta seduto su una palla / e sopra l’onda glu glu glu glu glu comincia a far / o capitan venitelo a salvar…” Le cronache finanziarie ci informano che come l’omino della filastrocca anche Netflix sta passando guai seri. Gli squali circondano Netflix e sentono l’odore del sangue nell’acqua. Partita a razzo nel 2013, ha conquistato fette significative di mercato perché ha goduto del vantaggio della prima mossa: le reti e gli studi tradizionali mancavano infatti dell’esperienza necessaria per costruire le proprie piattaforme di streaming. Ma il clima è decisamente cambiato quando Disney, Warner Media e Nbc Universal, non proprio bruscolini, hanno deciso di ritirare i loro contributi dal catalogo Netflix per lanciare i propri servizi di streaming. Non solo: Amazon sta facendo crescere in modo consistente la propria offerta e Apple sta per lanciare la sua TV (gratuita per il primo anno). Insomma, la povera Netflix se ne sta in mezzo al mar “seduta su una palla” e
intorno a lei incrociano a cerchi concentrici gli squali famelici dell’entertainment Usa. Non solo: in uno spazio sempre più affollato il “prodotto” Netflix è tra i più costosi. La perdita di contenuti concessi in licenza fa sì che l’iniziale vantaggio competitivo sia azzerato. Ora i competitor offrono gamma di opzioni – film di qualità, classici per famiglie, sport dal vivo - che Netflix non può eguagliare. Di conseguenza la crescita degli abbonati sta rallentando. Cosa non ha funzionato? Da circa un decennio è in atto il fenomeno “uberization”. Riguarda le imprese che, grazie al vantaggio competitivo derivante dall’essere le prime a offrire un nuovo servizio, e grazie ai continui finanziamenti privati e alla creazione di debito, possono permettersi di operare sotto costo. Giusto il tempo necessario per smantellare la concorrenza, imporre il proprio prezzo, e come Zio Paperone, nuotare nell’utile. Una strategia che con Netflix (e forse anche con Uber) ha finalmente trovato il suo limite. novembre 2019
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TALENT
LA COMPETIZIONE TRA UN “FAI DA TE”, UN CF E UN ROBOADVISOR
La gara di novembre «Dove metto la liquidità?»
“U
na poltrona per tre” è una competizione tra tre portafogli realizzati da un “fai da te”, un consulente finanziario e un roboadvisor. Ha la durata di un anno e prevede la possibilità di rotazione del portafoglio, con un cambio di massimo due strumenti, al termine del primo semestre. Ogni mese partirà una nuova gara. Aggiornamenti e confronti L’aggiornamento sull’andamento di ciascuna di esse avrà cadenza semestrale. Tre concorrenti che non copiano La composizione dei portafogli è elaborata
LE SCELTE DEL “FAI DA TE”
di Giacomo Damian
in completa autonomia dai partecipanti al talent e oltre ad avere lo scopo della competizione vuole offrire spunti meramente informativi inerenti l’impiego di strumenti finanziari quotati sul mercato regolamentato italiano. Le informazioni e le analisi esposte pertanto non costituiscono sollecitazione al pubblico risparmio qualunque decisione di investimento e il relativo rischio rimane a carico dell’investitore. Investire non si assume alcuna responsabilità per l’eventuale utilizzo che il lettore potrà fare dei contenuti esposti.
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Dove mettere l’abbondante liquidità? Trovare i rendimenti è prova per supereroi. Come trovare rendimenti con basso rischio che è l’obiettivo dei tre portafogli.
PORTAFOGLIO CHE RENDE (RISCHIANDO POCO)
ISIN “La liquidità infinita” così i commentatori hanno IT0005332835 definito l’ultima mossa di Draghi, l’eredità che alla US912810QZ49 fine del suo mandato il super presidente lascia IE00B579F325 al mercato. Un regalo d’addio? Secondo i dogmatici e austeri tedeschi l’ultimo Qe di LU0076315455 Draghi con annesso i tassi negativi, è l’ultima di una lunga serie di follia.Divisioni che non LU0106235533 sono confinate solo ai vertici del consiglio della Bce, ma anche tra gli operatori del mercato. IT0003132476 Secondo Carmignac siamo in presenza di politiche monetarie inefficaci, con una Bce IT0000062072 ormai senza più armi, una Fed riluttante ad accogliere le istanze di Trump per una politica monetaria più accomodante e infine un’economia cinese che arranca. Panorama desolante, con una pioggia di liquidità che non crea più terreni fertili su cui investire. Potrà sembrare un paradosso, ci hanno messo a disposizione così tante risorse e il problema è che non sappiamo come spenderle. Non ci sono più rendimenti, e quei pochi, sono minati da grandi rischi. E’ come se ci avessero regalato una Ferrari, ma sulle strade il limite è di 50km/h. Che te ne fai della Ferrari?La liquidità, dove allocarla, con un minimo di rendimento e basso rischio, questo è il tema del mese. Per il portafoglio “Fai da te” la prima misura presa per cercare di sterilizzare il rischio, è stata quella di ridurre l’esposizione sui cambi, solo il Dollaro Usa e in minima parte. La seconda mossa è stata quella di ridurre l’esposizione azionaria, una buona parte, ma minoranza in portafoglio. E’ vero le azioni sono l’unico strumento oggi a fornire rendimento, ma sono pur sempre che ha il rischio tra le caratteristiche. Ho scelto due azioni del mercato italiano che
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IL PROFILO DEL MATCH
FONDO
MIX
BTP ITALIA 2026
20%
Usa -T-Bond 3.125% 15fb43
20%
INVESCO PHYSICAL GOLD ETC
20%
NORDEA 1 EUROPEAN COVERED BOND EUR ACC
10%
SCHRODER ISF EURO BOND EUR ACC A
10%
ENI
10%
ASSICURAZIONI GENERALI
10%
sono simbolo di eccellenza e solidità. Eni è il titolo più importante e più “pesante” di Piazza Affari, Generali per tradizione è il titolo che i nonni lasciavano in eredità ai nipoti. Entrambi i titoli hanno un ottimo e costante flusso cedolare. Il TBond è il titolo principe dei mercati mondiali, per ottenere un rendimento di una certa consistenza ho dovuto privilegiare la scadenza trentennale, considerando che gli Usa, tra i paesi sviluppati ha in questo momento i tassi più elevati, oltre al rendimento c’è anche la possibilità di una rivalutazione in conto capitale. Ho scelto due fondi, entrambi quotati in euro, che investono su obbligazioni, un misto tra corporate e titoli di Stato che hanno un track record storico di tutto rispetto. Per finire, grande peso alla solidità, l’Oro come bene rifugio, ma anche come alternativa a tutta questa carta priva di valore, e il Btp Italia che punta sul recupero dell’inflazione, ma che anche in mancanza della ritorno dei prezzi al consumo, fornisce un rendimento minimo garantito. Super corazzati per affrontare le terrene incognite.
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LE SCELTE DEL CONSULENTE FINANZIARIO ASIMMETRIA NELLA SCELTA DEGLI STRUMENTI, STRATEGIA CHIAVE PER VINCERE DENOMINAZIONE
ISIN
PESO
ETF UBS MSCI EMU VALUE DIS
LU0446734369
15%
CERT AKROS EUR SELECT DIV 30
IT0005203069
20%
CERT LEONTEQ AIRBAG W/O ITA
CH0470804656
15%
BOND DOUGLAS 01/22 6.25%
XS1251078009
15%
BOND JAGUAR LR 01/24 2.2%
XS1551347393
15%
JPM GLOBAL CONVERTIBLE BOND
LU0129412341
15%
MUZINICH ST ENHANCED YIELD
IE0033758917
5%
Dario Notarangelo Trovare una risposta alla domanda: dove investire i 4.100 miliardi che gli italiani stanno lasciando in conto corrente? Non è una cosa banale. Le obbligazioni non rendono più nulla e le azioni sono care (e rischiose). Che fare, quindi? La mia proposta offre una soluzione per l’investitore che non vuole rischiare: minima volatilità e garanzia del capitale a scadenza (4 dei 7 strumenti sono a capitale protetto), alto flusso cedolare (3.91% annuo), zero rischi valutari e duration complessiva poco oltre i tre anni. Se è vero – come è vero – che la liquidità ha rendimenti negativi e che le obbligazioni non offrono più rendimenti pesati per il rischio interessanti, è quindi vero che il comparto azionario rimane il solo luogo dove trovare valore, anche se a caro prezzo. Le azioni non sono però tutte uguali e nella fase del ciclo economico in cui ci troviamo (bassa crescita globale e numerosi elementi di incertezza) saranno i titoli Value a essere favoriti: business stabili e flusso cedolare costante ed elevato. Paniere perfettamente rappresentato dal primo Etf di Ubs. Due titoli obbligazionari corporate, Douglas e Jaguar, uno ad
alto rendimento e breve scadenza, l’altro con cedola inferiore ma molto conveniente in termini di prezzo, oltre ad un buffer del 5% in liquidità (Muzinich bond euro con duration media di 18 mesi) completano l’asset allocation tradizionale. Ora l’investitore dovrà superare la classica distinzione tra azioni ed obbligazioni e aggiungere un nuovo elemento al suo portafoglio: l’asimmetria. Questo concetto descrive il comportamento di strumenti che beneficiano del movimento positivo dei mercati azionari, ma allo stesso tempo proteggono dalle perdite. Sono asimmetria, appunto. È questa la caratteristica dei certificates proposti, emessi da Akros e Leonteq: scadenza 2023 e 2024, protezione del capitale a scadenza e cedole del 3% e del 7.2% (massimo) all’anno (netti, se ci fossero minusvalenze pregresse). Esposizione ai mercati azionari (Europa e Italia) ma protezione del capitale offerta dalle cedole e dalla garanzia di rimborso a scadenza. Un altro elemento di asimmetria è inserito dal Jp Morgan Convertible Bond: i bond convertibili offrono cedole interessanti e rimborso capitale a scadenza ma aggiungono la facoltà di essere convertiti in azioni. Per questo motivo seguono i movimenti positivi dei mercati azionari proteggendo al tempo stesso dalle correzioni. Protezione del capitale, breve scadenza, bassa volatilità e rendimento? Si può!
LE SCELTE DEL ROBOT (elaborazioni di Investire sui dati Deus Technology) Uno dei più affascinanti quesiti dell’umanità riguarda il futuro dell’universo. Grazie al lavoro degli astrofisici oggi possiamo ragionevolmente ipotizzare che l’universo sia omogeneo, dotato delle stesse proprietà in ogni direzione e soprattutto in espansione. Impossibile non pensare al denaro e al fenomeno - omogeneo ed isotropo - dell’espansione della liquidità. La
domanda che turba i sonni degli scienziati e degli economisti è dunque la stessa: l’universo e la liquidità monetaria si espanderanno all’infinito? Sull’universo non abbiamo certezze, sulla liquidità monetaria ne siamo sicuri, almeno qui sul Pianeta Terra. L’hanno soprannominato “Goldilocks”, il migliore dei mondi, dove regna
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la moderazione, la crescita sì, ma lenta e costante, i rialzi dei prezzi sì, ma controllati, rialzi di borsa sì, ma senza euforia. Tutto molto bello, sembrava il paradiso, dove regna la noia, invece si sta trasformando nell’inferno pieno di tormenti. Una situazione di mercato che Dante avrebbe definito come una “legge del contrappasso”, se fino a qualche anno fa gli strumenti con rendimenti elevati proliferavano, azioni e bond su tutti, ma si raccomandava la prudenza, oggi che si spinge al rischio, e si ha un abbondanza di liquidità da allocare, il rendimento scarseggia, ed è in via di estinzione. Crudeltà. Per risolvere queste contorsioni finanziarie, e per rispondere alle esigenze del profilo di questo mese, e cioè dove mettere la liquidità con un minimo di rendimento garantito e un basso rischio, abbiamo chiesto l’aiuto ai nostri amici di Deus Technology, che attraverso i loro mezzi hanno dimostrato in
questi mesi affidabilità e grandi capacità selettive. La scelta è caduta su un’ampia offerta di strumenti obbligazionari, dagli Etf che puntano su questo comparto di mercato, a obbligazioni vere e proprie nel comparto dei titoli di stato. La duration privilegiata è quella del “breve termine”, particolarmente adatta a chi vuole poco, ma che sia sicuro. Il comparto corporate è ridotto al minimo, questo perché è uno dei più soggetti alla volatilità, e avendo un rendimento maggiore rispetto ai cugini governativi, è ovviamente anche più rischioso. Immancabile il tricolore, il Btp, strumento per molto tempo maltrattato e snobbato, oggi è diventato un oggetto del contendere, ambito da tutti perché unico a fornire ancora un rendimento degno di questo nome. Quello di Deus è un portafoglio equilibrato e dotato di solidità. In sintesi, blindiamo il rendimento.
L’OTTICA DI BREVE TERMINE DI UN PORTAFOGLIO EQUILIBRATO ISIN
NOME
13/09/2019
FR0010754135
Amundi ETF Govt Bond Euromts Broad Invest Grade 1-3 ETF Acc EUR
28,1%
LU0468897110
Xtrackers II Germany Government Bond 1-3 UCITS 1 Dis EUR
12,7%
FR0010754143
Amundi ETF Govt Bond Euromts Broad Invest Grade 10-15 ETF EUR
24,2%
LU0478205379
Xtrackers II EUR Corporate Bond UCITS ETF 1 Acc EUR
IT0005024234
Italy-3.5 Btp-1Mz30-01/03/2030 CF EUR
DE0001135085
Germany-4.75 BRD 28-04/07/2028 CF EUR
10% 17,2% 7,8%
L’ASSET MIX DEL MESE PESO
MACRO
OBBLIGAZIONARIO
100%
PESO
MICRO
ETF Obbligazionari Governativi Breve termine ETF Obbligazionari Governativi Lungo Termine ETF Obbligazionari Corporate Obbligazioni governative
The winner is... 14,35% “FAI DA TE”
4,04%
GIACOMO DAMIAN
CF ALESSANDRO PAZZAGLIA LA CLASSIFICA È SEMESTRALE ED È RELATIVA ALLA GARA INIZIATA CON IL NUMERO DI APRILE DI INVESTIRE
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6,68%
ROBO ADVISOR
40,8% 24,2% 10% 25,00%
INVESTIRE SPECIALIST
Amazon, comprare ai massimi rende A
MAZON: psicodramma a Wall Street! Per un’azienda che fin dalla sua nascita ha vissuto in Borsa sempre al di sopra delle proprie possibilità (leggi sopravvalutazione) perché considerata a “crescita infinita”, vedere un segno più, ma con le cifre inferiori, crea spavento. Chissà cosa avrà pensato Warren Buffett, che già si era definito uno stupido per aver capito troppo tardi le qualità di Amazon e soprattutto per aver cominciato a comprare il titolo intorno a 2.000$, i massimi assoluti, che rispetto ai minimi del 2003 corrispondono a una rivalutazione del 33.000%. Vertigini? Paura eh. Probabilmente Buffett avrà reagito con una scrollata di spalle, perché ben consapevole del fatto che il settore “consegna pacchi” (la voce che più pesa sul calo di redditività) è solo la vetrina del grande negozio Amazon, all’interno c’è molto altro, ben più importante e dal potenziale enorme. C’è il business delle “dark kitchen” e della consegna del cibo; c’è l’acquisto di catene di supermercati falliti per la creazione di store fisici, perché Bezos ha capito che c’è ancora un settore di clientela che ha bisogno di toccare i prodotti e interfacciarsi con un rivenditore, e poi c’è il web services, quest’ultimo importantissimo futuro perno. Forse Buffett anche questa volta non ha fatto poi un così cattivo affare, perché anche a questi prezzi, Amazon ha ancora un forte upside.
B
TP: torna sul mercato il Btp in dollari. Un ritorno dopo 10 anni di assenza, un ritorno in grande stile con un’offerta complessiva di 7 miliardi che non soddisfa una richiesta di 20 miliardi. Sette miliardi che si spalmano in 3 scadenze: 2,5 miliardi a 5 anni, 2 a 10 anni e 2,5 a 30 anni, con rendimenti rispettivamente del 2,43%, 2,9% e 4,022%. Che significa tutto questo? In parole semplici avremo a disposizione dei Btp a 5/10/30 anni non più denominati solo in euro ma anche in dollari. Uno degli scopi dell’iniziativa penso sia quello di incentivare l’acquisto del nostro debito sempre più da investitori esteri. Ma non erano già abbastanza? Anche perché è un’arma a doppio taglio, corrono a frotte quando tutto va bene, ti mollano all’istante in balia della tempesta quando la situazione si fa brutta. L’altro scopo è offrire una chiave di guadagno in più. Con i tassi a zero, o quasi, dai rendimenti si ricava ben poco (con i tassi sotto zero spesso si perde!), i prezzi delle obbligazioni sempre più alti, offrono più rischi che opportunità, non resta dunque che forzare la leva del cambio. Infatti chi sottoscriverà i titoli di nuova emissione in valuta estera, dovrà porre, oltre a quelle descritte sopra, un attenzione in più, quella ai livelli del cross euro/dollaro: in questo caso se sarà il dollaro a rivalutarsi ci sarà un guadagno, se a farlo sarà l’euro invece una perdita. Di solito queste grandi iniziative anticipano le inversioni cicliche, dunque la domanda è lecita: con tassi a zero o sotto zero, con i prezzi delle obbligazioni in bolla, e con un dollaro ormai
JEFF BEZOS, PATRON DI AMAZON
sempre più vicino alla parità con l’euro, chi me lo fa fare di sottoscrivere queste obbligazioni e imbarcarmi il rischio? Nessuno, ma sicuramente qualcuno lo farà. Auguri.
G
EDI: «Siamo molto meglio di come veniamo dipinti. Non siamo un gruppo sconquassato, non siamo un gruppo da risanare, non siamo una barca senza timoniere. Siamo un gruppo leader». I figli di De Benedetti prendono carta e penna, e rispediscono l’offerta al mittente. L’ultimo bilancio però non è molto rassicurante: una perdita consolidata che nei primi 9 mesi del 2019 si è attestata a 18,3 milioni di euro, contro gli utili di 7,8 nello stesso periodo dell’anno scorso, ma che per quest’anno è stato penalizzato da svalutazioni e oneri di ristrutturazione, e in assenza di tali il risultato sarebbe stato positivo per 2,2 milioni. La società punta a chiudere il 2019 in utile, ma la situazione non è comunque rosa, lo dimostrano i ricavi scesi a 441,5 milioni, un calo del 6% annuo, dovuto principalmente alla riduzione di pubblicità e vendita diretta. Non è certo un buono stato di salute. La reazione dei figli è comprensibile, li spinge l’orgoglio e una gran voglia di emancipazione, ma siamo sicuri che gli eredi possono davvero fare a meno del talento e dell’esperienza del padre? Nonostante i numeri e un business definito vecchio, sorpassato e decadente, sembra rifiorire in tutto il mondo l’amore per la stampa. Non solo Bezos con l’acquisto del Washington Post, c’è John Elkan che attraverso Exor ha speso 405 milioni per il 43% dell’Economist, c’è Warren Buffett che ha pagato 142 milioni per accaparrarsi 63 quotidiani locali e infine c’è Rupert Murdoch che ha venduto tutto il suo impero, tranne i suoi amati Wsj e il Times di Londra. Siamo nel pieno della trasformazione digitale, ma c’è chi crede ancora nel vecchio caro business della carta stampata. E chi meglio di Carlo De Benedetti in Italia può guidare questo settore alla rinascita? Resta il dubbio sul personaggio, non come editore ma come finanziere, perché i risultati sono alternati da cime e tenebre. Che fare, seguirlo o rimanere a guardare? L’Ingegnere, per i piccoli risparmiatori, è una figura controversa, un po’ come Conte (l’Antonio e non il Giuseppi), sono in molti che si butterebbero nel fuoco per lui, altri invece non vogliono sentire nemmeno pronunciarne il nome. Emblematica fu l’operazione Buitoni, un’opera d’arte dell’ingegneria finanziaria, diversamente Olivetti fu una ferita che provocò molti e forti dolori. Ma credo che nella memoria di molti resti impressa la vicenda CDB Web Tech, un gratta e vinci (davvero vincente) che ha reso felici solo chi è passato subito all’incasso. E’ stato come un cerino acceso che De Benedetti ha passato al mercato, molti si sono scottati. E si sa, quando ti scotti con l’acqua calda, poi hai paura anche di quella fredda, ma l’avventura come minimo merita una riflessione. novembre 2019
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COSMOPOLITICA Andrea Margelletti Presidente del Centro Studi Internazionali, docente presso la Facoltà di Scienze delle Investigazioni e della Sicurezza dell’Università di Perugia e Narni. Unico membro onorario delle Forze Speciali
L’OFFENSIVA TURCA IN SIRIA CHE IMBARAZZA L’EUROPA
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al 9 ottobre scorso, giorno in cui le Forze Armate turche hanno lanciato l’offensiva nel nord-est della Siria, la già complicata crisi che investe Damasco dal 2011 si è arricchita di una nuova e imprevedibile variabile. L’operazione “Sorgente di Pace”, ordinata da Erdogan, ha sulla carta molteplici obiettivi: sconfiggere i presunti terroristi curdi che attentano alla stabilità e alla sicurezza turca, stabilire una zona cuscinetto che isoli, per quanto possibile, il confine meridionale di Ankara dalla turbolenze siriane e, più di ogni altra cosa, offrire un contributo concreto al farraginoso processo di normalizzazione in Siria. L’avventura militare turca, avallata indirettamente dal ritiro delle truppe statunitensi dal nord della Siria, mette a nudo, qualora ce ne fosse stato bisogno, i sogni di gloria del presidente turco, il disimpegno di Washington dal Medio Oriente e l’immobilismo diplomatico dell’Unione Europea. In questo contesto fluido e magmatico, a fregarsi le mani è il vecchio (ormai dobbiamo cominciare a usare questo epiteto anche per lui) Vladimir Putin che, a fronte di un investimento limitato e di risorse risibili rispetto alle altre potenze globali di cui rivendica il grado ma non la forza, si ritrova quasi inaspettatamente a fare il croupier del tavolo mediorientale. Un tavolo dove, è bene sottolinearlo, si gioca il poker alla francese costruito sui bluff e non quello alla texana basato su sofisticati calcoli aritmetici e probabilistici. L’intervento militare serve disperatamente a Erdogan e non alla Turchia nel suo insieme. Ma ormai, nell’era dei populismi e degli uomini forti, è difficile scindere i sovrani dai regni, per quanto democratici essi siano. Si tratta del prezzo da pagare quando a prevalere sono le pance della nazione e non le teste. Erdogan, in crisi di consensi e scottato dalle elezioni municipali nella vetrina internazionale di Istanbul, sente il fiato sul collo dei tanti Bruto, Cassio e Caio dell’Akp e, per scacciare il fantasma di novelle idi di marzo alla Sublime Porta, punta tutto non sulla politica estera ma sul
sentimento anti-curdo della popolazione. Un vecchio trucco, quello del nazionalismo, a cui analisti e storici sono ben avvezzi e a cui uomini politici con ego spropositati e poche idee di policy si aggrappano come gli ubriachi ai lampioni. Infatti, l’economia turca galleggia e non veleggia, i partner Nato guardano con sospetto alla nuova classe di ufficiali educati nel mito dell’Impero ottomano e di una nuova identità religiosa (Ataturk perdonali perché non sanno quello che fanno) e infine i vicini europei fanno buon viso a cattivo gioco. Tuttavia, all’Erdogan Furioso tutto questo non importa, perché lui pensa di poter fare tutto da solo. La Nato lo striglia? Lui continua a flirtare pericolosamente con il Drago Cinese e l’Orso Russo. L’Europa chiede moderazione e buonsenso? Lui, come il peggiore dei bulli di periferia, gonfia il petto, stringe il pugno e, agitandosi minaccia Bruxelles e tutte le cancellerie europee di aprire i cancelli dei campi profughi e mandare 3 milioni di migranti nel Vecchio Continente. Uomini usati come bombe. Pratica non nuova per i Turchi che, all’epoca dell’assedio di Bisanzio, usavano lanciare i cadaveri degli appestati e dei lebbrosi dento le mura della città come arma biologica. Oggi i profughi siriani sono armi politiche. Semplicemente indegno. Peggio di lui però l’Europa. Di fronte a un’invasione bella e buona e alla carneficina annunciata dei curdi, Bruxelles esprime “seria preoccupazione” e “vivo rammarico” per gli avvenimenti, invitando al buonsenso e al dialogo. Parole nobilissime e sincere, ma destinate a perdersi nel vento, come cantava Bob Dylan, senza azioni concrete a supportarle. Poveri curdi, illusi e traditi per l’ennesima volta dal quel mondo occidentale che aveva promesso di liberarli e offrirgli uno Stato come premio per il sangue versato in guerra. Poveri curdi, costretti ad allearsi nuovamente ad Assad, costretti a stringere un nuovo patto col Diavolo pur di sfuggire alle scimitarre del novello Solimano. Senza “il Magnifico”, perché questo ad Erdogan proprio non gli si può dire.
Erdogan si è comportato come un bullo di periferia. Peggio di lui però Bruxelles: belle parole non seguite da azioni concrete
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HA I M AI P EN S A TO D I R A GGI UNG ER E PI Ù CL I EN T I CO N I L SO C IAL A D VER T I SI NG ?
PI AN O S OC IAL GEST I SCE P ER T E I P ROF I L I L I N KE D IN , F ACEBO O K E IN ST A GRA M - Or i e n t at i al r is ul t a t o - R e p o r t Se t ti m ana l i - P i an o E d it o r ia le s u m is ur a R ic h i e d i un p re v e nti v o: i n fo @pi a n o so c i al . c o m / 0 2 8 4 2 5 8 5 3 0 w ww . p i ano so c i al . c o m
QUI PARIGI di Giuseppe Corsentino
LA GRANDE FUGA DALLA BORSA DI PARIGI
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francesi non amano la Borsa. Né gli imuna settantina. prenditori né i risparmiatori. I primi Il guaio è che non c’è rimpiazzo. Nel primo preferiscono i miliardi facili dei fondi trimestre di quest’anno, per dire, non c’è di private equity, salvo lamentarsi poi stata nessuna Ipo e l’unica grande aziendell’ingordigia degli “attivisti” angloda che pensava di quotarsi - Verallia, terzo sassoni - i fondi avvoltoio come li chiamano produttore mondiale di bottiglie con 2,4 al punto da chiedere allo Stato di intervenire miliardi di fatturato e 544milioni di Ebit(ne abbiamo parlato in questa rubrica nel nuda, una storia industriale che comincia con mero di luglio di Investire) perché «un conto è una vetreria artigianale a Vauxrot, a nord creare valore, un altro depredare le aziende» di Parigi, nel 1827 - alla fine ha deciso di ricome ha detto, applauditissimo, in un recente nunciare nonostante le buone performandibattito alla Camera, lo stesso ministro dell’ece dell’azienda. conomia Bruno Le Maire, che passa per essere L’ANCIENNE BOURSE DI PARIGI Ora le banche d’affari sperano nella privail più liberista della cordata macroniana. tizzazione della Française des Jeux, la società pubblica che geI secondi preferiscono tenere un tesoro di 50 miliardi di euro stisce tutti i giochi pronostici, dal Lotto alle corse dei cavalli, e “sur des supports bancaires sans risque”, libretti al portatore o che ogni anno gira sostanziosi dividendi allo Stato, ma anche in conti correnti, come ha dovuto ammettere in un report appe- questo caso è probabile non se ne faccia niente perché qui in na pubblicato l’Amf, Autorité des marches financiers, la Consob Francia, a differenza che in Italia, le privatizzazioni non piacciofrancese. no a nessuno, neanche ai liberali, e Macron fa una grande fatica Aggiungendo, non senza disappunto, che se i francesi avesse- a realizzarle. ro investito in Borsa anche solo una parte dei loro risparmi e Nel 2018 altre quattro società (Novares che produce composolo nel primo semestre di quest’anno avrebbero potuto rea- nenti in plastica per l’industria dell’auto; Autodis che fa pezzi lizzare un capital gain medio del 18% oppure un rendimento di ricambio e gestisce un network europeo di officine meccanimedio del 3,4% nel caso si fossero limitati ad acquistare titoli che; Consolis, produttore di cemento armato precompresso per del Cac40, le blue chips del listino parigino. l’edilizia; e Delachaux, impiantistica industrale) hanno sospeso Invece la Borsa sembra non piacere a nessuno e per un grande le procedure di quotazione “au dernier moment”, all’ultimo moPaese industriale come la Francia con un tessuto di medie im- mento, senza dare spiegazioni. prese importanti (spesso con una lunga storia e una taglia supe- Per parlare di nuovi arrivi bisogna risalire al 2017: la quotazioriore alle “small company” italiane) questo rischia di diventare ne al listino Euronext di Neoen, energie rinnovabili, eolico e foun problema. tovoltaico, 1280 megawatt installati; e quella di Ald, la controlDieci anni fa le società quotate erano 818, oggi sono 696 e quel lata di Société Générale specializzata nel noleggio auto a lungo che è peggio il trend continua a peggiorare. Ci sono più addii termine. La prima ha raccolto 700milioni di euro, la seconda 1,3 che benvenuti. E spesso si tratta di addii importanti. Grandi miliardi. imprese come Areva (il colosso ingegneristico specializzato in Segno che, alla fine, le risorse finanziarie non mancano. Manca centrali nucleari), come EuroDisney, come Radiall (elettronica l’appétit, per dirla con l’ironia di Anthony Attia, il giovane ingeindustriale), come Fimalac (holding che opera nei servizi finan- gnere che dagli uffici della Defense guida Euronext, il listino paziari e nell’immobiliare), come Euler-Hermes (assicurazioni, neuropeo (Parigi, Amsterdam, Bruxelles, Dublino, Lisbona e ora branch del colosso tedesco Allianz) sono uscite dal mercato, si anche Oslo) con 1.300 aziende quotate e 5mila miliardi di euro sono delistate come si dice. E’ un processo di lungo periodo e di capitalizzazione. Solo che l’appetito vien mangiando, come per questo non ci si fa caso, anche se negli ultimi anni - il conto dice il proverbio. E per ora i francesi non si mettono neanche l’ha fatto la filiale francese di Ernst&Young - le uscite sono state a tavola. 88
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QUI NEW YORK
di Glauco Maggi
GLI ETF DEGLI INDICI GENERALISTI HANNO LE ORE CONTATE
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li Etf sono il prodotto d’investimento di maggiore hanno catturato l’83% di questo flusso, secondo un rapporto successo tra il pubblico americano, avendo am- Cfra (azienda indipendente di ricerca sugli investimenti). massato in un quarto di secolo un volume gestito La necessità vitale del break-even condiziona le mosse opeche supera i 4mila miliardi di dollari. Il loro nu- rative delle società minori, che hanno enormi ostacoli nel rimero, 2100 circa, è però ancora soltanto poco più tagliarsi lo spazio di mercato minimo necessario proponendo di un quarto degli oltre 8000 fondi comuni, che amministra- solo Etf sugli indici classici e noti, sui quali prosperano da anni no oltre 15.400 miliardi di dollari, quasi quattro volte tanto i player maggiori del comparto. il portafoglio degli Exchange traded funds. Caratterizzati da Tra i promotori di Etf che quest’anno hanno deciso di tagliacommissioni ridotte al minimo (a volte fino a zero), gli Etf han- re il numero delle proprie offerte, per non perderci, ci sono no un problema esistenziale, quello di raggiungere una mas- WisdomTree Investments, Global X Etf, VanEck Vectors, Invesa di investimenti di almeno 50 milioni di dollari ognuno per sco e Pro Shares, il cui amministratore delegato Michael Sapir poter andare al pareggio e sopravvivere. Di qui, l’alto livello di ha spiegato al Wall Street Journal le difficoltà di farsi strada mortalità che accompagna la crescita del nel mercato attuale dei prodotti passivi. settore. «La sfida che ha davanti il settore è che Il Wall Street Journal, su dati FactSet e è sempre più dura espandersi a causa Morningstar, ha pubblicato il 29 ottobre della folla crescente di partecipanti», ha un’inchiesta sui lanci dei nuovi prodotdetto Sapir, secondo cui lanciare prodotti ti, e sulle chiusure, dal 2010 a oggi (fine classici su panieri di azioni a larga capiottobre 2019), da cui emerge una acceletalizzazione, tipo S&P500 o altri indici razione nelle ‘morti’ degli Etf più piccoli generalisti utilizzati già da molti altri, è a partire dal 2015. In quell’anno le elimiuna strada “che porta al cimitero”. nazioni dal mercato avevano per la priL’alternativa che stanno perseguendo ma volta superato quota 100 (101), e da MICHAEL SAPIR (NELLA FOTO È AL CENTRO) società di seconda e terza fascia è quindi allora sono sempre aumentate: 124 nel quella di avventurarsi in comparti ine2016, 133 nel 2017, 139 nel 2018. Quest’anno (all’11 ottobre) splorati, ma promettenti. le ‘morti’ sono state finora 92. Da un anno per esempio Pro Shares ha lanciato un Etf che Le nascite di nuovi Etf sono invece relativamente costanti dal è agganciato a un indice, il FactSet Pet Care IndexTM Pawz, 2015, dopo il picco toccato nel 2011 con 303 e i cali dei tre costruito su aziende quotate che si occupano della cura degli anni successivi (l’anno meno prolifico è stato il 2013 con 159): animali domestici. nel 2015 i nuovi nati sono stati 284, nel 2016 243, nel 2017 La scommessa è che la passione della gente per cani e gatti, 276, nel 2018 269. Nell’anno in corso sono entrare sul merca- che attualmente sta alimentando negli Stati Uniti un busito, finora, 191 matricole. ness da 70 miliardi di dollari, possa convincere le famiglie Il mercato degli Etf è sempre più concentrato in un oligopolio anche a investire sul primo Etf di questa nicchia. Peraltro, è di tre colossi, che sono ormai marchi globali: BlackRock (con una nicchia per modo di dire: sette famiglie su dieci in Amel’acquisizione di iShares) gestisce 1.580 miliardi di dollari; rica hanno un pet (animale domestico), più di quante abbiaVanguard (che è presente in Italia da inizio anno) ne ha 1.050 no figli. Ed è noto il consumo, da parte degli amanti di cani, miliardi; State Street 659 miliardi. I sette operatori (Invesco, gatti, uccelli eccetera, di prodotti sempre più sofisticati, dal Schwab, First Trust, VanEck, WisdomTree, Pro Shares e JP- cibo organico alle assicurazioni e al ‘vestiario’ ad hoc. SeconMorgan) dietro il terzetto di testa pesano, insieme, per 573 do un’analisi sui trend commerciali legati ai gusti futuri della miliardi. Gli asset degli Etf in generale sono cresciuti del 90%, gente, i 70 miliardi attuali di prodotti legati al benessere denel periodo di 5 anni fino al recente mese di agosto, ma 100 Etf gli amici dell’uomo potranno triplicare entro il 2025. novembre 2019
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IL GIRO DEL MONDO IN 30 GIORNI
HONG KONG TERZA SU 190 NELLA CLASSIFICA DOING BUSINESS
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l governo della Regione ammi- di riforma volte a migliorare la facilità di nistrativa speciale di Hong Kong fare affari. Hong Kong ha mantenuto le sue cerca di uscire dalla lunga stagio- prime posizioni nel rapporto dell’ultimo ne delle proteste, che sembra aver decennio, riaffermando il nostro favoreottenuto il ritiro della contestata vole contesto economico per le società legge sull’estradizione dei cittadini dell’ex d’oltremare al fine di creare le loro sedi e colonia. E sfoggia l’ottimo risultato otte- uffici regionali», ha gonfiato il petto il pornuto nel Rapporto Doing Business 2020 tavoce del governo della Regione amminipubblicato dalla Banca mondiale, che mi- strativa speciale di Hong Kong. «Il governo sura la facilità di fare impresa: Hong Kong studierà attentamente il rapporto e contisi è classificata al terzo posto tra le 190 nuerà a lavorare a stretto contatto con il settore delle imprese economie a livello LA REGIONE AMMINISTRATIVA e altre parti interesglobale, salendo di TENTA DI RILANCIARE LA sate per riformare un posto rispetto allo scorso anno. È PROPRIA IMMAGINE OFFUSCATA i regimi normativi esistenti, migliorare prima in “gestione DALLE MANIFESTAZIONI dei permessi di col’efficienza normativa struzione”, seconda in “pagamento delle e ridurre i costi di conformità delle impretasse”, terza in “acquisizione dell’elettrici- se, in modo da migliorare ulteriormente tà”. «Il punteggio di Hong Kong è aumenta- l’ambiente imprenditoriale a Hong Kong», to a 85,3 quest’anno, riflettendo continui ha aggiunto il portavoce. Anche la Cina si è miglioramenti nelle misure di facilitazione ben posizionata nella classifica della Bandelle imprese. La Banca mondiale ci elo- ca mondiale, al numero 31 rispetto al 46 gia per la riuscita attuazione di iniziative dell’anno scorso; quella cinese è dunque
tra le 10 economie in cui il clima imprenditoriale è migliorato di più. «Continua lo slancio delle riforme nella regione dell’Asia orientale e del Pacifico, con significativi miglioramenti apportati da alcune economie, come la Cina», ha detto Rita Ramalho, manager del Global Indicators Group della Banca mondiale.
L’INCERTEZZA LEGATA ALLA BREXIT FA CALARE LA FIDUCIA DEI CONSUMATORI BRITANNICI A ottobre la fiducia dei consumatori britannici è calata di un intero punto percentuale, da 103,8 a 102,8. È quanto emerge da uno studio realizzato dalla società di rilevazioni statistiche YouGov, i cui risultati sono stati pubblicati dal quotidiano “The Times”. Secondo la ricerca, le preoccupazioni per lo stato dell’economia del Regno Unito, nutrite da tempo da imprenditori ed economisti, stanno raggiungendo anche i consumatori. Questo calo di fiducia sarebbe provocato principalmente dall’incertezza politica legata alla Brexit. I britannici cominciano ora a essere in ansia per la sicurezza del loro posto di lavoro e per il valore delle abitazioni di loro proprietà. La soglia dei 100 punti, spiega il “Times”, separa un livello di fiducia positivo da quello negativo. Si tratta del terzo calo mensile delle aspettative dei cittadini britannici rispetto alle ricadute dell’economia sulla loro situazione finanziaria e del peggiore livello registrato da sei anni a questa parte. Sinistri scricchiolii di cui Downing Street farà bene a tener conto.
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IL GIRO DEL MONDO IN 30 GIORNI
PUTIN, LE MANI SULL’AFRICA. IN CONCORRENZA CON LA CINA
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ladimir Putin convoca a Sochi 47 leader africani oltre che i rappresentanti delle principali associazioni e organizzazioni regionali per il primo summit Russia-Africa, seguendo l’esempio del Forum sulla cooperazione Cina-Africa (Focac). E in un’intervista rilasciata all’agenzia di stampa statale “Tass” definisce le linee strategiche che il Cremlino intende adottare nel continente africano nei prossimi anni. Per il presidente
USA-GHANA, SCONTRO SUI FINANZIAMENTI L’ambasciata degli Stati Uniti ad Accra ha reso noto che l’amministrazione guidata da Donald Trump ha deciso di annullare la sovvenzione di 190 milioni di dollari al Ghana concordata nell’ambito dell’iniziativa “Power Africa”. Si tratta di una ritorsione in seguito alla decisione del governo ghanese di risolvere il contratto con la Millennium Challenge Corporation (Mcc), agenzia di consulenza estera del governo Usa che nel 2014 aveva concordato di fornire 498 milioni di dollari in finanziamenti al settore energetico del Ghana al fine di stimolare ulteriori investimenti privati. Il ministero delle Finanze del Ghana ha infatti informato i funzionari degli Stati Uniti dell’intenzione da parte del governo di annullare la concessione ventennale che aveva firmato con la compagnia di distribuzione dell’energia elettrica del Ghana (Ecg), decisione considerata “immotivata” dalle autorità di Washington. Il finanziamento è stato il più grande mai erogato dagli Stati Uniti nell’ambito dell’iniziativa “Power Africa”, lanciata nel 2013 dall’allora presidente Barack Obama con l’obiettivo di portare l’elettricità a decine di milioni di famiglie in Africa.
russo una serie di paesi occidentali stanno ricorrendo a «pressioni, intimidazioni e ricatti» nei confronti di governi sovrani africani per cercare di riconquistare l’influenza e il dominio perduti nelle loro ex colonie, allo scopo di ottenere il massimo dei profitti e di sfruttare il continente.
47 LEADER AFRICANI A SOCHI. IL PRESIDENTE RUSSO: OFFRIAMO AIUTO SENZA CONDIZIONI POLITICHE O DI ALTRO TIPO
Putin ha ribadito che la Russia è pronta a offrire aiuto «senza condizioni politiche o di altro tipo» e ad abbracciare il principio delle soluzioni africane ai problemi africani. «Prendiamo atto di questi fattori e traiamo le nostre conclusioni. Non parteciperemo a una nuova ripartizione della ricchezza del continente; piuttosto siamo pronti a impegnarci in una competizione per la cooperazione con l’Africa, a condizione che questa sia civile e si sviluppi in conformità con la legge. Abbiamo molto da offrire ai nostri amici africani», ha affermato Putin. Il presidente russo ha quindi riaffermato l’intenzione di »proteggere gli interessi economici comuni» e di «difenderli da sanzioni unilaterali, anche riducendo la nostra dipendenza dal dollaro». L’obiettivo è dunque quello di una cooperazione «efficiente e reciprocamente vantaggiosa». novembre 2019
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SPAGNA, BANKIA SOFFRE I BASSI TASSI D’INTERESSE E SI FERMA A 575 MLN NEI PRIMI 9 MESI
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n utile netto di 575 milioni di euro, il 22,6% in meno rispetto allo stesso periodo del 2018, a causa di maggiori accantonamenti per perdite su prestiti. È il risultato dei primi nove mesi dell’anno della spagnola Bankia, inferiore alle previsioni degli analisti che si aspettavano un guadagno di 645 milioni. Il gruppo ha attribuito la non esaltante performance “al minor risultato della cessione di portafogli a reddito fisso e alla ripresa degli accantonamenti connessi all’accelerazione del ritmo di riduzione delle attività in sofferenza”. Bankia ha dichiarato a luglio, prima che la Banca centrale europea tagliasse ulteriormente i tassi a settembre, che non sarebbe stato in grado di raggiungere l’obiettivo di profitto
netto di 1,3 miliardi di euro nel 2020. Gli accantonamenti accumulati nei primi nove mesi dell’anno sono pari a 384 milioni di euro, il 14,5% in più rispetto all’anno precedente. Si sono resi necessari a causa del “costo della vendita dei portafogli crediti e alla svalutazione di attività non finanziarie”. Il margine di interesse è sceso dell’1,4% a 1.520 milioni di euro, situazione che il gruppo attribuisce alle cessioni e alla rotazione dei portafogli a reddito fisso nel 2018 e nel 2019, ai maggiori
INDIA, SI ABBASSANO LE STIME DI CRESCITA
oneri finanziari derivanti dall’applicazione dell’Ifrs 16 e all’aumento della liquidità a tassi negativi. Nonostante il calo, Bankia ha sottolineato che “sta progredendo nella stabilizzazione del margine”.
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nche l’economia indiana risente del rallentamento globale: l’agenzia Fitch ha corretto al ribasso le previsioni di crescita per l’anno fiscale in corso, 2019-20 (iniziato ad aprile): l’India dovrebbe crescere del 5,5%, contro il 6,6 stimato a giugno. La correzione al ribasso, dopo che nel trimestre aprile-giugno la crescita è stata pari al 5%, è stata attribuita da Fitch alla debolezza della spesa domestica e alla perdita di slancio della domanda esterna; il calo della spesa interna è collegato, a sua volta, a una stretta creditizia da parte delle compagnie finanziarie non bancarie. Migliori le previsioni per i prossimi due anni: per l’esercizio 2020-21, Fitch si aspetta un’espansione del 6,2% e per quello successivo, il 2021-22, del 6,7%. La nuova previsione di Fitch per l’anno in corso è inferiore a quella, pari al 6,1%, della Reserve Bank of India (Rbi), la banca centrale, e a quella del Fondo monetario internazionale (Fmi), entrambe pubblicate questo mese. Tra le agenzie di rating, Moody’s Investors Service, sempre a ottobre, ha rivisto al ribasso la crescita del prodotto interno lordo per il 2019-20 dal 6,2% al 5,8, mentre Standard & Poor’s è passata da una stima del 7,1 al 6,3%. Il mese scorso la Banca asiatica di sviluppo ha abbassato la stima per il 2019 di mezzo punto percentuale, al 6,5%, e l’Organizzazione per la cooperazione economica e lo sviluppo dell’1,3%, al 5,9. Un calo con cui si dovrà misurare il governo presieduto da Narandra Modi. 92
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L’AUTO ELETTRICA DI TESLA PARLA CINESE
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esla punta sul mercato cinese. Il produttore statunitense di veicoli elettrici ha un nuovo grande stabilimento a Shanghai, dove sta già sperimentando la produzione di veicoli completi, dalla carrozzeria alla vernice all’assemblaggio generale. La catena di produzione vera e propria dovrebbe partire alla fine del 2019, con una quota settimanale iniziale di circa tremila veicoli elettrici Modello 3. L’azienda fondata da Elon Musk considera la Cina il più grande mercato per le berline premium di medie dimensioni e ritiene che il paese possa diventare il più grande mercato per il Modello 3, i cui costi di produzione saranno inferiori del 65% rispetto allo stesso modello realizzato negli Stati Uniti. Tesla ha dichiarato di aspettarsi che il volume totale delle vendite del Modello 3 cresca di circa il 50% entro la fine di quest’anno, con le massime priorità focalizzate sul controllo dei costi e sui preparativi per la prossima fase di espansione in il 2020. Le aspettative del mercato di un reddito netto di 143 milioni di dollari nel terzo trimestre del 2019 sono state battute: la società ha generato 6,3 miliardi di dollari di entrate totali per il periodo luglio-settembre, contro i 6,8 miliardi di dollari nel trimestre dell’anno precedente.
IL GIRO DEL MONDO IN 30 GIORNI
LA COREA DEL SUD NON È IN VIA DI SVILUPPO
E A UN ANNO DA EXPO 2020 ICE PUNTA SU DUBAI
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interscambio commerciale tra Emirati Arabi Uniti e Italia ammonta a 5,7 miliardi euro; e gli Emirati sono al centro dell’impegno dell’Agenzia-Ice per accompagnare le imprese italiane nel loro sviluppo internazionale. Lo ha detto il presidente di Agenzia-Ice, Carlo Ferro, alla presentazione “One year to go: il sistema d’impresa a Expo 2020” alla sede Ice di Roma, a un anno esatto dall’inizio dell’Esposizione Internazionale che si terrà a Dubai. La dinamica positiva ha portato oltre 200 imprese italiane a stabilirsi a Dubai, ha ricordato Ferro, che tra gli elementi di forza del partner emiratino ha evidenziato il dinamismo e il tentativo di spingere la crescita del paese tenendo conto della necessaria diversificazione economica dagli idrocarburi, con ricerche sulle energie rinnovabili. In questo contesto Roma si propone di essere un attore di sistema e partner del ministero dell’Economia emiratino, ha proseguito Ferro, sottolineando la volontà di Ice di essere “più vicina al territorio e alle imprese”. A questo proposito il presidente ha citato la prossima apertura di sedi regionali di Ice, con 79 uffici che saranno coordinati con la sede “centrale e logistica” romana, come nel caso del desk per gli investimenti recentemente aperto a Dubai, e la firma di un accordo di collaborazione tra start-up concluso fra i due ministeri dell’Economia.
ra un po’ difficile considerare la patria di un gigante tecnologico come Samsung come un paese in via di sviluppo. Ora non lo sarà più nemmeno da un punto di vista formale: la Corea del Sud infatti rinuncerà ai privilegi concessi dallo status di paese in via di sviluppo presso l’Organizzazione mondiale del commercio. Si tratta di una vittoria per il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che sta esercitando pressioni sulla Cina affinché faccia altrettanto. A luglio Trump aveva menzionato la Corea del Sud tra i paesi e i territori che abusano dello status di paese in via di sviluppo, pur essendosi affermati negli scorsi anni tra le economie più ricche del pianeta. Seul si serviva dello status soprattutto per proteggere il proprio settore agricolo, imponendo per esempio dazi di oltre il 500 per cento alle importazioni di riso. Trump ha scritto sul suo profilo Twitter che alcuni dei paesi più ricchi al mondo sostengono di essere economie in via di sviluppo “per eludere le regole dell’Omc e ottenere un trattamento preferenziale”. Il presidente ha aggiunto di aver ordinato al rappresentante del Commercio Usa di “assumere iniziative” affinché quei paesi smettano di abusare del sistema a spese degli Usa. La principale destinataria delle critiche di Trump è, con tutta evidenza, la Cina.
BARCELLONA, LE PROTESTE INDIPENDENTISTE FANNO I CONTI CON LE DIFFICOLTÀ ECONOMICHE
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rasferimento di affari e attività, perdita di competitività, caduta del turismo. La crisi catalana, riesplosa dopo le sentenze della Corte suprema contro i leader indipendentisti, con manifestazioni di piazza perlopiù pacifiche ma anche con scontri violenti tra frange estreme e polizia, ha anche un risvolto economico di fondamentale importanza. A partire dal 2017 infatti gli indicatori demografici, economici e quelli inerenti al reddito, che fino ad allora seguivano una tendenza positiva e in costante crescita, hanno subito una brusca frenata, scontando il peso della crisi politica. La Catalogna si è indebolita, e al contempo la comunità di Madrid si è
rafforzata. Secondo un recente rapporto Eurofound, che analizza i cambiamenti nell’occupazione in Europa tra il 2002 e il 2017, Madrid genera il doppio dell’occupazione meglio retribuita. Il mercato del lavoro spagnolo ha tre grandi poli: Catalogna, Madrid e l’Andalusia. Ma secondo il
quotidiano spagnolo “La Vanguardia”, pur con livelli simili di aumento dei posti di lavoro, la capitale dello stato si distingue per i lavori con i salari più alti (circa 300.000), quasi il doppio della Catalogna. Allo stesso tempo il mercato del lavoro della regione di Barcellona, che molti catalani vorrebbero fosse uno stato, nel 2017 ha fatto registrare un aumento dei lavori a basso salario superiore a quello della capitale spagnola. La Comunità di Madrid si distingue anche per la percentuale di occupati di colletti bianchi altamente qualificati: oltre il 48%. Lo scontro tra indipendentisti e stato spagnolo, insomma non si gioca solo su un terreno squisitamente politico, ma anche su quello economico.
Il giro del mondo in 30 giorni è a cura di Riccardo Venturi novembre 2019
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IMMOBILIARE L’IMPEGNO DI ASSOIMMOBILIARE PER LA FORMAZIONE
Ore 9, lezione di mattone un master per i futuri superesperti di Riccardo Venturi
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accogliere dati sul mercato immobiliare in modo omogeneo e sistematico e trasformarli in strumenti operativi per le aziende, così da creare una piattaforma indipendente di condivisione delle esperienze e delle conoscenze grazie al confronto tra i diversi operatori. È la mission di REInnovation Lab, laboratorio permanente di ricerca e formazione nato da una iniziativa di Assoimmobiliare, l’associazione dell’industria immobiliare aderente a Confindustria che rappresenta gli operatori e gli investitori dell’industria immobiliare, e Sda Bocconi School of Management, leader nella formazione manageriale da oltre 40 anni. REInnovation Lab si occuperà di innovazione applicata all’industria immobiliare, anche mediante l’utilizzo delle nuove tecnologie. Il progetto intende fornire un contributo sostanziale per migliorare la trasparenza e la professionalità nell’industry immobiliare, stimolando comportamenti virtuosi da parte di tutti gli operatori e lavorando d’intesa con i regolatori. Primi partner dell’iniziativa sono Bnp Paribas Real Estate, Cbre Group, Colliers
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DALL’ASSOCIAZIONE ADERENTE A CONFINDUSTRIA E DA SDA BOCCONI NASCE REINNOVATION LAB. FARÀ CRESCERE LE COMPETENZE NEL SETTORE
Silvia Rovere, presidente di Assoimmobiliare
International, Cushman & Wakefield, Deloitte, Duff & Phelps, Generali Real Estate, Gva Redilco, JLL, PwC e Sigest. Parte integrante del progetto è la REInnovation Academy, programma di formazione manageriale destinato a neolaureati, sia triennali che magistrali, interessati a una carriera professionale nel mondo immobiliare. L’attività di formazione utilizzerà anche i risultati dell’analisi del Lab, garantendo una piena integrazione e uno scambio continuo tra ricerca e formazione. «L’industria immobiliare è in una fase cruciale di trasformazione che porta con sé nuove sfide e opportunità, ma necessita di capitale umano con un’alta professionalità» dice Silvia Rovere, presidente di Assoimmobiliare. «Una trasformazione a tutti i livelli: dei processi, dei modelli di business e del prodotto immobiliare, realizzato con progetti di rigenerazione urbana in chiave eco-sostenibile». È in questo quadro che si inserisce la volontà di Assoimmobiliare di promuovere un laboratorio permanente di analisi e di education con un partner accademico d’eccellenza, «mettendo al centro l’innovazione e l’utilizzo delle nuove tecnologie digitali, come i Big Data Analytics, di cui potranno beneficare gli operatori del settore e l’intero sistema, di pari passo con l’evoluzione regolamentare» aggiunge Rovere. REInnovation Academy è il braccio formativo dell’iniziativa: «un programma di formazione manageriale ed economico-finanziaria per creare professionisti junior in grado di essere direttamente inseriti dalle aziende partner», spiegano Andrea Beltratti e Alessia Bezzecchi di Sda Bocconi School Management, «Valore, Innovazione e Business Transformation in Real Estate sono le parole chiave che identificano il progetto REInnovation Lab il cui obiettivo è condividere, rielaborare e interpretare i dati di tutta la catena del valore del settore immobiliare abbracciando quattro dimensioni: umana (Social, n.d.r.), ambientale (Green, n.d.r.), innovazione (Innovation & Technology, n.d.r.) ed economica (Value Added, n.d.r.)». Il programma dell’Academy partirà a gennaio 2020 e durerà 22 settimane (10 settimane d’aula, con impegno di 4 giorni a settimana full time, e 12 di stage nelle aziende partner, che sono Avalon Real Estate, Cbre, Credit Suisse, Duff & Phelps Reag, Prelios, Remax, Risanamento). Aperte fino a metà gennaio le iscrizioni per i 25 posti disponibili.
IMMOBILIARE I CONSIGLI DI DUE AVVOCATI SPECIALIZZATI
Aste giudiziarie, istruzioni per l’uso di una procedura pubblica...efficiente
Q
di Giuseppe D’Orta
uasi a voler contraddire il sistema-giustizia, lento e tradizionalista, gli immobili delle aste giudiziarie si vendono e soprattutto si acquistano sul web. Vediamo cosa deve fare il potenziale acquirente, con l’aiuto degli avvocati cosentini Emma Iocca e Raffaella Chiappetta dell’omonimo studio legale.
Prima di tutto, dove si cercano i cespiti in vendita? Nei siti autorizzati per effettuare la pubblicità delle vendite giudiziarie, il cui elenco è reperibile presso il Ministero della Giustizia (https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_18. wp). Una volta individuato l’immobile, occorre andare sul sito del gestore della specifica vendita telematica, compilare digitalmente un modulo ed inviarlo all’indirizzo offertapvp.dgsia@giustiziacert.it. La trasmissione avviene tramite un’apposita “casella di posta elettronica certificata per la vendita telematica” che occorre richiedere sul sito del gestore indicato nell’avviso di vendita. Cosa cambia rispetto all’offerta cartacea? Anche l’offerta telematica deve contenere tutti i dati previsti dall’avviso di vendita. Differenze si riscontrano invece riguardo la cauzione. Se nell’offerta cartacea è sufficiente allegare un assegno circolare intestato alla procedura e che viene immediatamente restituito se non ci si aggiudica il bene, nella telematica occorre versare l’importo sul conto corrente del gestore, allegando il Cro del bonifico e l’Iban del conto sul quale è stato addebitato. Occorre fare attenzione ai tempi, perché alcune banche on line forniscono la ricevuta solo dopo alcuni giorni. Se l’offerente non risulta aggiudicatario, il delegato provvede a riversare la cauzione sul suo conto, con tempi che possono richiedere anche alcuni giorni. Sostanzialmente invariata rimane l’allegazione degli altri documenti, eppure molte offerte sono dichiarate inammissibili proprio perché irregolari sotto tale aspetto. Occorre fare attenzione a tutti i documenti richiesti nell’avviso di vendita e di prepararli per tempo. In caso di dubbi, depositare anche se l’obbligo non risulta chiaro. Il vero punto negativo dell’offerta telematica rispetto alla cartacea è il maggior costo nel caso in cui venga presentata da più offerenti, giacché solo per essa è prevista la procura notarile rilasciata da ogni offerente a chi tra loro è titolare della casella di posta elettronica da cui viene inviata. Ma come concretamente si sottoscrive l’offerta telematica? Premesso che l’immobile viene sempre e solo trasferito a chi firma l’offerta, il sottoscrittore dell’offerta telematica è il titolare della “casella di posta elettronica certificata per la vendita telematica”.
EMMA IOCCA
RAFFAELLA CHIAPPETTA
CHIUNQUE PUÒ AVANZARE UNA SUA OFFERTA PER ACQUISTARE IMMOBILI DAGLI UFFICI DI GIUSTIZIA L’offerta telematica è l’unico modo con cui si può partecipare ad un’asta immobiliare? La possibilità di presentare l’offerta anche in maniera tradizionale è prevista solo nella vendita sincrona mista (con rilanci immediati in sala o telematici. N.d.r.), il sistema ancora più adottato nei Tribunali. Nel caso di offerta telematica, si partecipa alla gara telematicamente? Se si opta per l’offerta telematica, si può partecipare alla gara solo accedendo alla piattaforma del gestore che previamente comunica le credenziali di accesso. E cosa succede se durante la gara, l’offerente perde la connessione? L’interruzione va a discapito dell’offerente virtuale che se però, al termine della gara, risulta essere l’unico offerente o il miglior offerente, può essere comunque dichiarato aggiudicatario. Se l’offerta telematica è più macchinosa, in alcuni casi più onerosa ed anche più rischiosa, qual è la sua convenienza? La possibilità di aggiudicarsi immobili in altre regioni restando comodamente seduti alla propria scrivania, o a quella di partecipare contemporaneamente a più gare o di risultare presente anche quando si è da tutt’altra parte. In questo momento storico infine i migliori investimenti immobiliari si fanno nei tribunali dove è prevista la sola vendita sincrona, e dove l’investitore astuto acquista a prezzi di molto scontati per l’assenza di concorrenti. novembre 2019
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FASHION CLIMATE CHANGE
Ma quanto deve durare una moda per piacere anche a Greta Thunberg? di Fabiana Giacomotti
L’
economia circolare applicata è una cosa bellissima. Allungare la durata, il lifespan dei prodotti, “treasure them forever”, conservarli per sempre come dice la pubblicità, anzi custodirli fino alla prossima generazione come puntualizza la narrativa di Patek Philippe sotto l’immagine di un padre e un bambino bellissimi, biondissimi, elegantissimi. Far durare molto le cose, apprezzarne il valore, è dunque attività chic, eppure alla portata di tutti, vedi la multinazionale dei mattoncini, Lego, che sta pensando di varare un servizio di riuso, “Lego as a service” che sarebbe fantastico se noi della generazione precedente non conservassimo gelosamente i nostri kit nelle bellissime scatole di legno dove un tempo si conservavano e non ci abbiamo fatto giocare neanche i nostri figli. Guai se avessero perso il cipressetto di plastica che tanto ci piaceva, ma d’altronde si sa che l’economia circolare è frame of mind, struttura mentale della nuova generazione, noi siamo ancora impastati di Moplen.
LE NUOVE GENERAZIONI GUIDANO LA CRESCITA VORTICOSA DELLE APP DI RIUSO E RIUTILIZZO DI ABITI GRIFFATI USATI, ANZI “PRELOVED”
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Queste nuove generazioni guideranno il cambiamento, ci viene detto e siamo dispostissimi a crederci, soprattutto a credere all’impegno degli adolescenti che forse crederanno solo a Greta Thunberg, però hanno l’aria di crederci davvero e hanno miracolosamente iniziato a sciacquare il vasetto dello yogurt prima di metterlo nella differenziata della plastica. Essendo anche parecchio benestanti, grazie a noi delle generazione Moplen e ai nuovi ricchi dell’Asia, questi giovani hanno una discreta disponibilità economica pur frequentando ancora il liceo. E, almeno in tema di vestiti, iniziano a spendere assennatamente, cioè circolarmente. Sono loro a guidare la crescita vorticosa delle App di riuso e riutilizzo di abiti griffati usati, anzi “preloved”, pre-amati come vengono definiti lungo la stessa epica di Patek Philippe, un settore che vale ormai 25 miliardi di dollari, con crescita annuale a doppia cifra, e sono loro ad aver dato il “pollice verso” a una serie di marchi del fast fashion come Forever 21 (in fallimento), Gap, Victoria’s Secret, Abercrombie&Fitch. Dunque anche la moda deve essere fatta per durare; ce lo diceva da un decennio anche una signora che pure dovrebbe venderne parecchio come Vivienne Westwood. “Buy less”, scriveva sui cartelloni. Comprate di meno e aveva, anzi ha certamente ragione. Lei però non è quotata. Vedete il problema che noi analisti di moda ci siamo subito posti quando abbiamo iniziato a sentir parlare di abbigliamento durevole come quello che era contenuto nei cassoni di Bona di Savoia nel Quattrocento è come se la sarebbero cavata i grandi gruppi del lusso che ogni trimestre vengono giudicati sulle performance di vendita. La loro missione è vendere di più, sempre di più. Ecologicamente, magari, ma co-
FASHION Nella pagina accanto Greta Thunberg. A sinistra Vivienne Westwood
VIVIENNE WESTWOOD LO RIPETE DA DIECI ANNI, ANCHE LA MODA DEVE ESSERE FATTA PER DURARE: «BUY LESS», SCRIVEVA SUI SUOI CARTELLONI PUBBLICITARI munque di più, che è come far ballare un orso sulla corda. La salvaguardia del pianeta, la difesa del lavoro, gli alberi ripiantati dopo ogni sfilata per riequilibrare il Co2 emesso dalle auto e dagli ospiti come ha fatto Gucci; dunque non inquinare, non sovraccaricare, eppure e al contempo riempire ancora e sempre gli armadi mondiali. Alzare i prezzi non è risposta unica o sufficiente, così come non lo è eliminare i saldi, “caposaldo” dell’economia della moda americana, e vedete come sta andando a finire proprio con quei marchi Usa che del “cut price” a un mese dalla messa in vendita a prezzo pieno avevano costruito le proprie fortune. Dunque? Una possibile soluzione arriva da uno dei manager di vertice della più grande banca d’affari mondiale che, come capirete dalle prossime righe, può parlare solo in totale anonimato. La risposta alla contraddizione in cui inizia a dibattersi il settore della moda è di scardinare il sistema di calcolo dei multipli di Borsa. Se si allunga la vita media di un prodotto devono allungarsi anche i criteri di valutazione dell’azienda che li produce. Che cosa diranno gli analisti? Il banchiere sorride beffardo: «Gli analisti sono gente sopravvalutata, che incontra i cfo delle aziende al massimo due volte all’anno e per il resto si basa su quello che diciamo loro lei e io. Poi, di certo, ci sono dei cfo gradassi che garantiscono risultati impossibili, ma di solito accade il contrario, e cioè che si puniscono aziende sanissime e con grandi opportunità di crescita perché per un trimestre hanno investito invece di ripagare gli azionisti con crescite a doppia cifra». Brunello Cucinelli sfoderò la migliore del-
le sue arie ispirate quando, durante il road show pre-quotazione, all’inizio di questo decennio disse agli analisti di non aver alcuna intenzione di spremere azienda, valore di marchio e dipendenti per soddisfare l’avidità dei mercati, e che avrebbe rispettato ritmi di crescita compatibili con la felicità di tutti, sarte comprese. Guardava lontano. Quello che è necessario ora, concordiamo sempre con questo banchiere che viaggia moltissimo tra Milano e Londra, è che le aziende stabiliscano innanzitutto un nuovo patto con il cliente costruito sulla conoscenza reciproca, cioè sulla trasparenza e la responsabilità. Questa è la prima risposta alla domanda che si pongono i mercati e lo stesso sistema capitalistico della produzione continua. Il modello del “valore d’uso” marxista in cui si sono formate le ultime sette generazioni, inizia infatti a mostrare i propri limiti, e chiede di essere rivisto per rispondere alle nuove, pressanti richieste degli investitori e dei clienti in termini di sostenibilità, diversificazione sociale e culturale, etica, rispetto dell’ambiente. Nell’ambito di un mercato mondiale dell’abbigliamento moda pari a un triliardo di dollari e in cui la dimensione “esperienziale”, cioè il contatto diretto con la marca e il prodotto, rappresentano il 60 per cento, mentre l’usato o “second hand” a cui si accennava nelle prime righe registra ritmi di crescita del 12 per cento all’anno grazie a nuove iniziative online e ad app che si rivolgono al nuovo (in realtà, antichissimo), mercato PtoP, da pari a pari, che va affiancando il BtoB. In parte, sostituendolo: grazie ai social media, c’è sempre meno bisogno di agenti e mediatori. Gli stilisti possono fare da soli, approcciare direttamente il cliente, sia esso una boutique o direttamente chi indosserà il capo. In questo contesto, la proposta del nostro banchiere è tutt’altro che modesta: «E’ ora di cambiare l’orizzonte temporaneo di riferimento nella valutazione del valore di un’azienda. Mi spiego: se oggi aumenta la richiesta di prodotti di alta qualità e lunga durata, che rispondano cioè alle condizioni del riuso, e al contempo, grazie ai social media e al nuovo marketing digitale, io posso conoscere personalmente i miei clienti e le loro abitudini d’acquisto, valutare un’azienda in base ai vecchi parametri, quelli cioè dell’aumento della novembre 2019
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FASHION Nella foto Brunello Cucinelli
CUCINELLI SORPRESE LE PLATEE DEL ROAD SHOW ANNUNCIANDO RITMI DI CRESCITA COMPATIBILI CON LA FELICITÀ DI TUTTI, SARTE COMPRESE produzione, avrà sempre meno senso». Un’idea, appunto, rivoluzionaria: «Fino a oggi, faccio un esempio, per calcolare il valore di un’azienda prendevo il suo fatturato annuale moltiplicato dieci a seconda delle prospettive di crescita, dopodiché la pagavo di più se cresceva di più. La sharing economy sta cambiando questi rapporti: da una parte il prodotto durerà di più; dall’altra, il digital mi porterà a conoscere e servire i miei clienti non per due stagioni, ma per due, quattro anni, ipoteticamente per la vita se saprò coinvolgerli o, come si dice adesso, in derivato dall’inglese, “ingaggiarli”. Il futuro dell’economia produttiva è in quello che, pur nel rispetto della privacy, definirei “the ultimate one-to-one”, il rapporto personale definitivo, ultimativo». In questi termini, dice il professionista, il valore dell’azienda risulterebbe addirittura aumentato: chi infatti non vorrebbe investire in una impresa che conoscesse i propri clienti a uno a uno e sapesse mantenerne la fiducia, l’interesse e l’affezione? «L’equazione capitalistica si basa sull’aumento di valore progressivo nel tempo. Il punto è che non possiamo essere più di dieci miliardi su questa Terra, e oltre alle istanze giuste e corrette dei mercati sulla sostenibilità, c’è un limite fisico, oggettivo alla moltiplicazione dei beni. Dunque i valori andranno calcolati in maniera diversa. Cinquant’anni fa si produceva in magazzino», aggiunge: «Se il prodotto era bello, si vendeva. Oggi prodotti belli se ne fanno tanti, la competizione è sfrenata. Però c’è un vantaggio: quello di conoscere il nome e cognome di chi compra». E in questo c’è tecnica e filosofia: «Il legame è proprio qui, su questa conoscenza. Se so chi sia il mio cliente, e se continuerò a farlo, allora il mio multiplo non potrà più essere sette. Dovrà essere 14. Diventeremo tutti Ferrari. La Ferrari ha un multiplo 35, che pare una cifra stellare, ma che ha invece ragioni precise e coerenti, perché risponde a nomi e volti di persone che 100
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vogliono, acquistano, collezionano Ferrari e che hanno un determinato stile di vita. Se uno si vuole comprare una Ferrari mica scappa o cambia idea». Questo significherà far cambiare modelli di riferimento, e anche di comportamento, a interi settori del business, analisti compresi e appunto. «I mercati vivono sulla fiducia. Il nuovo modello, che peraltro è ineluttabile e già in atto, permetterà in realtà alle aziende di rafforzarla presso gli investitori». Oltre a Ferrari, peraltro, ci sono aziende di grande successo che già operano secondo modelli di produzione sostenibile: oltre a Cucinelli, Chanel, che «blocca la crescita nel momento in cui potrebbe superare il 10 per cento all’anno, modulando lo sviluppo del marchio su un arco temporale più lungo». In questo ambito, l’Italia sconta, secondo il banchiere un ulteriore handicap, e cioè la mancata adesione al sistema e alle opportunità del venture capital: «Si tratta di una questione culturale», osserva, «perché noi italiani siamo più che capaci di proporre idee all’estero: siamo bravi, intelligenti. Quando ci troviamo sul nostro territorio però stentiamo ad applicare modelli innovativi nello sviluppo del business e delle operazioni finanziarie utili a sostenerlo, sia per una questione di sistema, sia di barriere di ingresso molto alte, che forse dovrebbero essere riviste». Non è un caso, appunto, che molte giovani imprese guardino all’estero per trovare supporto allo sviluppo: «Il capitale richiesto per avere successo con una nuova impresa, o svilupparne una già esistente, sta portando in realtà a una polarizzazione del mercato, dove lo spazio per le medie imprese è sempre più limitato». Una soluzione a questo stato di cose, difficilmente modificabile, potrebbe essere il rafforzamento della cosiddetta “esperienza” del prodotto rispetto al suo solo e unico acquisto, grazie all’ausilio del digital marketing e dei social media, disponibili anche alle imprese più giovani e di limitate opportunità finanziarie. «Tutte le innovazioni a cui assistiamo in questi anni nascono soprattutto dal pubblico più giovane, dalla generazione dei Millennial e dai nuovi adolescenti connessi ventiquattr’ore su ventiquattro: la Generazione Z. Quella che rimprovera i genitori quando non chiudono l’acqua mentre si lavano i denti».
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IL DENARO DEI VIP IL CUOCO SINISGALLI SI RACCONTA
Niko e Rosita, la squadra vincente della food economy di Monica Setta
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iko Sinisgalli è una star nella food community internazionale. Giovane, capace, talentuoso fin dalla sua adolescenza vissuta in Lucania con un padre imprenditore alberghiero e una favolosa nonna cuoca, Niko è oggi ambasciatore della Basilicata nel mondo ed è uno degli chef stellati più amati dalle celebs. Nel suo Tazio, la champagneria di Palazzo Naiadi a Roma, mette a tavola ogni giorno divi, calciatori, politici e manager che amano la sua cucina fatta di sapori tradizionali e sperimentazioni 3.0. Sposato con l’ex modella Maria Rosito, 38 anni, curatrice della sua immagine e mamma dei figli Mario e Isabel, Niko ha molti progetti futuri che anticipa a Investire in questa intervista.
Che rapporto hai con i tuoi soldi? I soldi vanno e vengono, non mi sono mai risparmiato sul lavoro per cui dentro di me c’è sempre stato il pensiero che ognuno possa guadagnare quanto vuole in base all impegno che ci mette. È un concetto un po’ astratto, me ne rendo conto. In realtà bisognerebbe mettere da parte dei soldi, come facevano le nostre nonne ‘sotto al mattone’ ma a me piace essere positivo e avere fede sempre.
Ricordi che cosa hai comprato con i primi guadagni? Sono nato nel lavoro. A 8 anni sostituivo già mio padre alla cassa per divertimento o stavo dietro al banco a fare i caffè. Mi impegnavo perché questo mi giustificava a mettere le mani nel contenitore degli spiccioli che mio padre utilizzava per i clienti dei videogiochi. Ho comprato la macchina con i primi guadagni, un 102
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LO CHEF DI TAZIO, LOCALE AMATO DA DIVI E CALCIATORI, INVESTE NELLA SUA FORMAZIONE E NELL’ISTRUZIONE DEI FIGLI
Bmw Z3 usato con il quale ho girato tutta l’Europa con mia moglie.
Secondo te ricchi si nasce o si può diventare? Se si nasce ricchi è una gran fortuna perché quando dicono che i soldi non fanno la felicità non è vero, è tutto più semplice se si hanno a disposizione somme da poter utilizzare. Sono fortemente convinto però che ci si può diventare. Crescere e avere successo nella professione equivale all’impegno che ci si mette e alla volontà soprattutto. Sono sempre i valori a guidare la nostra vita. L’umiltà, il coraggio e l’educazione ti fanno arrivare dove vuoi, come diceva Nelson Mandela.
IL DENARO DEI VIP Lei ha preso una attività al Tazio al livello di start up e l’ha portata a moltiplicare i profitti con grossi utili. Quale è stata la ricetta del successo? Crederci. Quando si parla di ‘rischio d’impresa’ è esattamente ciò che intendo per imprenditoria. Per crescere bisogna credere completamente in qualcosa senza alcun dubbio e non risparmiarsi sugli investimenti. Se credi in un posto, più investi, più ottieni. Io non ci credo nelle attività che offrono troppo poco, hanno percorso corto. Invece questo è il concetto che mi porta ogni anno a crescere di più. Fare in grande. Al Tazio offro un’altissima qualità da 10 anni, cioè dal primo giorno e questo mi ha portato a grandi soddisfazioni. Siamo sempre più in crescita e ho uno staff che mi segue che ha proprio la mia mentalità.
Come investe il suo denaro? Nell’istruzione per i miei figli, nella mia formazione e nella crescita personale. Nello sport e poi nei viaggi. E nel mio bilancio mensile c’è sempre una parte per la beneficienza, non potrei farne a meno. A favore dei poveri, della ricerca. In questo momento per esempio sono impegnato in una raccolta a favore del “Sos Villagio dei Bambini”. È una realtà che ho scoperto da poco e che voglio assolutamente sostenere.
In famiglia lei e sua moglie siete più formiche o cicale? Per noi il lavoro è sacro ma la scelta di farlo ad altissimo livello è voluta proprio perché viviamo il presente e ce lo godiamo. Abbiamo sempre un piano B nella mente che ci dà sicurezza e tranquillità ma cerchiamo di vivere al massimo ogni piccola emozione di ciò che abbiamo creato. Siamo molto squadra io e lei. E se io ho un grande istinto imprenditoriale, Maria è dotata di grande intuizione. Lei è di Matera come me e da 25 anni segue l’azienda sotto l’aspetto amministrativo. Lei è imbattibile nel vedere le potenzialità o meno di una struttura ricettiva e nel decidere strategie economiche. Non si sbaglia mai.
Ci tengo molto a stabilire un valore. Non mi piace vedere bambini viziati economicamente perché fa parte della crescita comprendere che i soldi si guadagnano con tanto lavoro e sacrifici ed è fondamentale il rispetto per chi lavora, la riconoscenza ed è importante stabilire regole e limiti chiari. Se vincesse al Totocalcio cosa farebbe della vincita? Andrei a vivere in un posto meraviglioso in riva al mare con la mia famiglia, di questo ne sono certo.
Che cosa insegna ai suoi figli in tema di denaro? Quello che ho detto prima. I soldi si guadagnano con il lavoro ed il sacrificio. È bene godersi ogni cosa ma bisogna avere sempre qualcosa da parte che permetta di vivere alcuni anni con lo stesso standard del presente. Questo è vincente.
Qual è la spesa più folle che ha mai fatto in vita sua? Ho aiutato mio padre e miei fratelli a ricomprare l’albergo che lui aveva costruito e poi perso perché costretto a svenderlo. Non è stato un grande affare in realtà ma abbiamo regalato un sogno a mio padre. L’abbiamo fatto per amore. Per che cosa ama spendere a parte il lavoro? Donare alla mia famiglia, è ciò che mi appaga più di tutto.
Che insegnamenti da ai suoi figli Mario e Isabel a proposito di soldi. Lei dà la paghetta ai bambini? novembre 2019
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NEW BUSINESS FINTECH & ARTE
L’algoritmo che aiuta a investire con successo nei “passion asset” di Davide Passoni
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reare una user experience è solo la punta dell’iceberg: siamo partiti dal fornire agli utenti uno strumento che fosse utile come “problem solving” per portare trasparenza e affidabilità in un mercato ostico come quello dell’arte». Francesco Magagnini ha 32 anni e nel 2017, insieme a Fabrizio Malfanti, ha fondato Kellify una fintech che accorcia le distanze tra le persone e la finanza grazie all’intelligenza artificiale, portando trasparenza in settori d’elite come quelli dell’arte, delle auto d’epoca, dei vini pregiati, e nei mercati tradizionali dell’equity e del real estate. Attraverso l’applicazione di un algoritmo proprietario di apprendimento automatico, Kellify ha esteso il campo di applicazione dell’intelligenza artificiale al settore degli investimenti in arte, tradizionalmente profittevoli nel lungo periodo e che richiedono una quota di ingresso solitamente non inferiore a 100mila euro, trasformandoli in asset class alla portata del grande pubblico e profittevoli nel breve periodo. Kellify ha anche curato il capitolo “L’ingresso dell’Intelligenza Artificiale nel mercato dell’arte e dei beni da collezione” del Report 2019 di Deloitte “Il mercato dell’arte e dei beni da collezione”. In due parole, che cosa è Kellify? Partiamo con il dire che siamo una fintech, perché utilizziamo un’intelligenza artificiale proprietaria, sviluppiamo algoritmi basati su machine learning i quali ci consentono di trasformare e valutare i “passion asset” - chiamati così perché non sono solamente opere d’arte, ma anche beni da collezione, auto d’epoca, sneaker, memorabilia sportive, vino - e di andare oltre l’imponderabilità che li caratterizza, rendendola misurabile e razionalizzabile. Questo ci permette non solo di individua104
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ARRIVA KELLIFY, L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE CHE CONSENTE DI VALUTARE E RENDERE LIQUIDI GLI INVESTIMENTI IN OPERE D’ARTE, MA ANCHE IN AUTO D’EPOCA, MEMORABILIA, SNEAKER E VINO L’obiettivo di Kellify è di portare il proprio sistema d’investimento alla portata del grande pubblico
re valori presenti e tendenze, ma di concentrarci anche sulla liquidità. Per esempio con l’output del nostro algoritmo possiamo valutare non tanto un quadro che tra sei anni decuplicherà il proprio valore, ma l’opera che sarà cresciuta del 50% tra 12-18 mesi. Applicare il nostro sistema ai grandi patrimoni e ai wealth manager è il primo passo, perché sono i soggetti più facili da coinvolgere; la nostra vision è quella di portare questo approccio verso i “passion asset” al grande pubblico. Che cosa tiene lontano questo pubblico da un certo tipo di investimenti? A parte la passione necessaria che non sempre c’è, è principalmente l’orizzonte temporale entro il quale operare: riducendolo, si riesce da una parte ad allargare la base di chi vuole investire in arte e dall’altra a essere appetibili per chi desidera farlo in maniera sistematica e qualitativa. Quando ci rivolgiamo a un wealth manager non proponiamo né pretendiamo che i grandi patrimoni investano tutto o quasi, perché sarebbe una follia. Il nostro approccio è diverso. A chi investe per esempio 5 milioni all’anno
NEW BUSINESS in arte, proponiamo di investirne 4 secondo i suoi gusti e 1 in maniera sistematica e alternativa, magari con la prospettiva di rientrare da eventuali perdite dovute agli altri investimenti. Come operate? Grazie ai nostri algoritmi, siamo in grado di estrarre una sorta di “digital ID” dell’opera, che è un insieme delle sue caratteristiche visibili - colore, pigmenti, anno di realizzazione, autore… - e una serie di dati imponderabili. È la stessa operazione che fa il critico d’arte, solo abbiamo molta più potenza di calcolo e riusciamo a vedere più cose. Abbinando questa “impronta digitale” a trend di mercato, razionalizzati tramite i risultati delle aste e delle altre transazioni, otteniamo il codice genetico dell’opera con la sua capacità di essere rivenduta, comprata, conoscendo anche il mercato migliore dove farlo. In quali campi vi muovete? Il nostro output viene utilizzato su diversi assi. Il primo è l’art insurance; chi opera in questo campo, è in grado di effettuare una valutazione in tempo reale dell’opera: a noi basta una foto in alta risoluzione, non serve spostare opere o critici, perché offriamo un business attuariale completo. Il secondo segmento è quello dell’art lending, il terzo quello dell’art investing. In tutti questi segmenti, il primo passaggio avviene offline, quindi collaborando con chi i professionisti di art lending, art insurance o art investing, wealth manager o private banker che siano. La vision 2021 è quella di portare tutto questo nel segmento retail, grazie ai contatti che abbiamo con alcune mobile bank. In sostanza vogliamo portare gli utenti a investire dal proprio conto online in maniera quantitativa e sistematica nei “passion asset”, mettendoci qualsiasi cifra. Per loro è molto più bello investire in qualcosa che sanno che esiste, anziché nel fondo di un fondo di un fondo. Avere un portfolio che contiene un pezzettino di una Bugatti d’epoca, uno di un quadro, uno di un vino e anche azioni, è diverso dall’avere un portafogli classico. Tra i vari campi dei beni collezionabili, quale pesa di più sul vostro business? Il maggiore, in termini di grandezza è quello dell’arte pittorica; è molto interessante anche quello delle auto d’epoca, più piccolo ma molto liquido, e sta crescendo tanto - ma rimane di nicchia come market share - quello delle sneaker in edizione limitata. Lavoriamo con una start up americana che fa proprio questo: con loro si può creare un piano di accumulo in scarpe Nike invece che in dollari. Ogni mese, la multinazionale americana produce edizioni molto limitate che costano 2-300 dollari e che nel giro di un anno raddoppiano o triplicano il valore; sul sito della start up si può creare un portfolio di Nike che, se spedite a casa dell’acquirente costano meno del prezzo di listino, mentre pagando un po’ di più vengono conservate dalla start up stessa, lasciando all’acquirente il valore investito. Qual è il profilo tipo di chi si rivolge a voi? In questo momento sono le grosse assicurazioni e i wealth manager. Sono anche moltissimi i privati che ci contattano, ma con loro non possiamo fare nulla perché non vogliamo diventare una banca. Per questo motivo collaboriamo con le mobile bank o con le cosiddette “banks of the future”, realtà che si ritiene faranno da banca tra pochi anni come Amazon, WeChat, Alibaba: c’è voglia da parte del pubblico retail di intraprendere operazioni del genere. Che margini di sviluppo avrà questo tipo di business da qui a tre anni?
A destra Francesco Magagnini, co-fondatore di Kellify. Nella foto in basso la sede della società Fintech
La forza di quello che facciamo è che, rispetto alle altre fintech la nostra scalabilità non è dettata tanto da una piattaforma, quanto dalla tecnologia in sé. Fin dal giorno zero ci siamo posizionati come una deeptech e la potenza della nostra tecnologia sta nel fatto che ciò che applichiamo all’arte può essere applicato a tutti gli illiquidi, al secondary private equity, al real estate o agli alternativi come le commodities. Ora siamo in chiusura del secondo round da cinque milioni, che porterà il nostro staff da circa 25 a 40-45 persone e saremo sufficienti per far crescere la nostra tecnologia in questi mercati. Tra tre anni il posizionamento di Kellify sarà quello di una piattaforma, non necessariamente proprietaria, dove poter valutare, assicurare, fare lending o investire negli illiquidi, trattando ogni prodotto allo stesso modo: che sia un pezzo di un’auto, un pacchetto di npl o una quota in una property all’estero. Lavorare in determinati ambiti per l’algoritmo è più facile, come quando si trova a valutare pacchetti nel private equity che hanno milioni di bilanci e milioni di opinion, dopo aver magari valutato un Van Gogh.
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COLLEZIONISMO
INVESTIRE IN WHISKY
Il grande ritorno di fiamma per la distillazione artigianale di Claudio Riva*
L’
arte della distillazione era patrimonio della cultura popolare, ma oggi possiamo dire con certezza che il Proibizionismo (19201933) così come il bisogno dello Stato di controllare l’incasso delle accise hanno decretato la fine di oltre 500 anni di produzione contadina. Da qualche decennio la gran parte del distillato si produce in distillerie industriali, spesso inglobate nel portfolio di enormi multinazionali. Questa tendenza non è il male assoluto, se le tecniche di produzione rimangono ancorate a tradizioni ancestrali e se il territorio viene rispettato, le capacità finanziarie di una grande azienda possono essere veicolo per una distribuzione globale dei distillati. È sufficiente visitare una qualsiasi delle distillerie di single
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É ESPLOSO NEGLI USA IL FENOMENO DELLE DISTILLERIE ARTIGIANALI CHE IN 14 ANNI SONO PASSATE DA 49 A 2.000. E IN ITALIA CI PENSANO... malt scotch whisky, soprattutto quelle delle isole, per capire come i volumi annuali di produzione di milioni o decine di milioni di litri di alcol puro non abbiano ancora piegato una magia che si trasmette da generazione in generazione. Si perde sicuramente in varietà. Come accade nel mondo del vino, appena un’area diventa commercialmente appetibile inizia a essere popolata da decine di nuove cantine tutte che tentano di replicare il prodotto maggiormente rappresentativo, nello stile e nella comunicazione. Questo ha creato spazio per il vino sincero, quello contadino, quello che ama aderire a disciplinari imposti dai grandi, quello naturale. Il mondo della birra ha potuto percorrere questa strada già qualche decennio fa. Quando tutta la birra si era uniformata nel gusto ed era passata sotto il controllo di pochissime multinazionali, in quel momento il consumatore ha sentito il bisogno di tornare al passato, alimentando così l’espansione dell’artigianalità. Il fenomeno nacque negli Stati Uniti negli anni ’80 e da lì si è espanso a macchia d’olio in tutto il mondo, arrivando anche in Italia con un decennio di ritardo e dando vita in poco tempo a 1400 nuovi microbirrifici italiani di cui circa 800-900 fermentano realmente. Se aprire un birrificio è arte apparentemente semplice, per investimento e per normativa, pur soffrendo dello stesso male la distillazione è rimasta al palo. Le
COLLEZIONISMO
prime due distillerie artigianali sono nate in California nel 1982, ma possiamo dire che sino al 2005-2006 la microdistillazione non ha preso piede. Tanti problemi ne hanno impedito il boom: costi di startup sicuramente più importanti, lo stress finanziario di chi voleva produrre distillato in botte (tutti i costi devono essere anticipati a fronte della prima bottiglia venduta dopo magari 5 anni), normative doganali che rendevano impossibile il rilascio di nuove licenze di distillazione. Negli Stati Uniti, a fine 2005, le distillerie artigianali sono solo 49, la crescita non è nemmeno confrontabile con quella dei birrifici. Ma poi qualcosa accade. Il mondo si appassiona sempre di più del distillato di qualità, lo scotch whisky macina un record dopo l’altro, le condizioni cambiano e quella che era un’arte coltivata da pochi pionieri riesce finalmente a contagiare l’intera confederazione dei 50 stati. A distanza di solo 9 anni le distillerie erano più di mille e oggi hanno ampiamento superato le 2000 unità, senza aver ancora conosciuto periodi di flessione. Questo ha portato alla nascita di tantissimi nuovi prodotti e ha permesso ai neo distillatori di intraprendere strade illuminate portando alla luce prodotti di nicchia che erano semplicemente antieconomici per la grande industria. Il fenomeno dagli States è giunto nel Regno Unito circa 4 anni fa ed ha portato nel
Immagini dal mondo delle distillerie artigianali, cresciute di numero anche nel Regno Unito, da 20 a 165 in 9 anni
2018 nella sola Inghilterra ben 51 nuove distillerie, una alla settimana. L’Inghilterra, che partiva nel 2010 con solo 20 distillerie attive, ha per la prima volta potuto superare la cugina Scozia – che da buon leader è un mercato molto più conservatore – arrivando a toccare il numero di 165 distillerie attive. Nessuno, né in America, né in Europa, ha saputo stimare con successo quello che è poi successo e che sta ancora accadendo. Da circa un anno questo fenomeno ha preso forma anche in Italia ed ha già portato alla nascita di una decina di nuove micro-distillerie, tutte con genesi e obiettivi decisamente differenti. Riuscirà l’Italia ad innamorarsi della distillazione, così come ha fatto con la birra? Il 2018 è stato il primo anno in cui il numero di microbirrifici non è cresciuto e questo potrà portare a un cambio di rotta del mercato e – magari – per le realtà più consolidate all’installazione di un alambicco al posto di un nuovo fermentatore. Zitto, zitto il fenomeno artigianale americano ha ormai superato la quota del 5% delle vendite totali di distillato, e quando ti trovi a confrontarti con colossi che in poche ore fanno la tua intera produzione di un anno non puoi che esultare leggendo questi numeri. Non solo, la fantasia un po’ punk del distillatore artigianale sta contagiando il consumatore e creando mode e stili che semplicemente non erano pensabili. Potremmo stare a discutere per anni sul significato effettivo del termine artigianale, la legge italiana ha saputo definire la birra artigianale, così come quella americana dice cosa devi fare se vuoi essere chiamato distillatore artigianale. Ma in tutto questo c’è poco fascino. Quando vedi distillerie che mettono musica nei magazzini, dei potenti subwoofer che fanno vibrare il liquido nelle botti allo scopo di ottenere una maturazione diversa ed accelerata, allora pensi bello però lo potrebbe fare chiunque, anche l’industria. Ma quando vedi delle botti con appoggiate sopra delle cuffie, cento cuffie per cento botti, ogni cuffia collegata ad un diverso iPod che riproduce musica diversa, allora ti si accende una lampadina ed inizi a pensare a qualcosa di geniale. Il risultato è scoprire quanto un affinamento di 4 anni in “Beethoven” possa essere diverso da quello in “AC/DC” e questo è quello che vuole l’appassionato, che si mette in coda alle 4 di mattina per potersi assicurare la bottiglia in serie limitata. Storie da ascoltare, qualità di produzione, sperimentazione, l’arte della distillazione libera di esprimersi e non più relegata in laboratori di pochissime multinazionali. Ogni città americana ospita nella downtown decine di distillerie. È impensabile che anche da noi si possano raggiungere risultati simili, il consumo di distillato negli Stati Uniti ha una marcia decisamente superiore rispetto alla nostra. Ma noi abbiamo qualità, abbiamo materie prime, abbiamo estro, abbiamo tradizioni legate a territori, comunità e villaggi, e - cosa di non poco conto - possiamo godere del valore del brand “Made in Italy”. Il 2019 verrà considerato l’anno zero della rinascita della distillazione in Italia, il tragitto deve ancora prendere forma, sicuramente non passerà attraverso le cantine dove i nostri nonni producevano grappa per uso personale, ma la luce negli occhi del distillatore, quella, sarà esattamente la stessa. *Whisky Club Italia
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MOTORI
LAND ROVER DEFENDER: IL RITORNO DELL’ICONA
HONDA E: LA PICCOLA ELETTRICA GIAPPONESE La sua storia, iniziata nel lontano 1948, sembrava essersi fermata nel 2016, dopo oltre 68 anni di carriera e 4 generazioni. Allo scorso Salone di Francoforte è, invece, ricominciata con la nuova Land Rover Defender, un’auto tecnologica che si discosta dal suo passato, dove le forme rigorosamente squadrate hanno sempre
rappresentato il tratto caratteristico di questa vettura. La nuova Defender è disponibile nella versione “90”, lunga 4,32 metri, o nella versione “110”, pari a 4,76 metri, fino a 7 posti. Alta 29,1 centimetri da terra, propone la trazione integrale permanente con sistema Terrain Response 2, capace di leggere le condizioni del fondo. Molto utili le telecamere ad alta
definizione del sistema ClearSight Ground View, così da proiettare ogni ostacolo sullo schermo centrale dell’infotainment da 10 pollici. I primi motori per la nuova Defender sono i Diesel 2.0 SD4 in potenze di 200 e 240 CV. Non mancheranno i 2.0 benzina Si4 quattro cilindri da 300 CV e sei cilindri, 3.0 i6 mild hybrid da 400 CV.
VOLKSWAGEN ID.3: UN NUOVO CAPITOLO ELETTRICO
Volkswagen entra nella nuova era di mobilità ecologica con la nuova ID.3, la prima a nascere dalla piattaforma MEB, la base sulla quale verranno realizzate tutte le elettriche del gruppo, e 420 km di autonomia promessi nel ciclo WLTP. Al debutto la ID.3 1ST, dotata di serie della batteria con la capacità maggiore (58 kWh), mentre arriverà in futuro anche una versione con una batteria più piccola (45 kWh – 330 chilometri di autonomia) e una ancora più grande (77 kWh – 550 chilometri). 108
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La Honda e si presenta nella sua veste definitiva e si contraddistingue per linee morbide e pulite, impreziosite dalle maniglie a scomparsa delle portiere, per un design che richiama le piccole Honda del passato, ma è innovativo al tempo stesso. L’essenzialità delle sue linee esterne è esaltata dal sistema di retrovisori laterali digitali che utilizzano videocamere compatte per proiettare immagini sui due schermi posti ai lati dell’abitacolo. All’interno la plancia digitale è composta dai cinque display HD del sistema di Infotainment, per un abitacolo futuristico. La Honda e è dotata di un motore elettrico – da 136 CV oppure da 154 CV – che sviluppa una potente coppia di 315 Nm. Su strada, la trazione posteriore garantisce un’accelerazione da 0 a 100 km/h in circa 8 secondi, mentre la batteria da 35.5 kWh permette un’autonomia fino a 220 km con una singola ricarica.
Il veicolo, garantito otto anni o 160.000 km, novità assoluta per la Casa tedesca, adotta un motore sincrono da 150 kW e 310 Nm di coppia ed è integrato nell’assale posteriore con cambio monomarcia. La ID.3 si può paragonare a una Golf a livello di ingombri (lunga 4,26 metri), mentre l’abitacolo è un “open space”, dove trovano posto due display touch da dieci pollici, con la possibilità di avere un futuristico display head-up Augmented Reality (AR).
in collaborazione con Autoappassionati.it
BIBLIOTECA Antonio Quaglio Laureato in Economia aziendale all’Università di Venezia, è stato inviato e caporedattore a Il Sole 24 Ore. Collabora a www.ilsussidiario.net.
DRAGHI: QUELLA “COLOMBA RIGOROSA” CHE HA SALVATO L’EURO
È
possibile giudicare la performance di Mario Draghi allo scadere del suo mandato di otto anni alla presidenza della Bce? E’ possibile farlo tenendosi a distanza di braccio dall’autopromozione che Draghi ha affermato sul Financial Times e ribadito accogliendo una laurea honoris causa dalla Cattolica di Milano? Ed è possibile altresì depurare dai mediatismi tattici il fuoco incrociato di critiche da parte dei banchieri centrali del Nord Europa, che ha accompagnato il suo congedo dall’Eurotower? Ci ha provato Donato Masciandaro - economista bocconiano, direttore del Baffi Carefin Center for Applied Reserch on International Markets, Banking, Finance and Regulation - cogliendo l’occasione di un volume suggerito a Il Sole 24 Ore dal cambio della guardia tra Draghi e Christine Lagarde, per rammentare anzitutto al grande pubblico i basic del central banking. Che resta la difficile arte-scienza-missione di essere - secondo una celebre definizione di Guido Carli - “pilota automatico” di sistemi complessi (oggi più grandi degli stati nazionali) che funzionano con meccanismi tecnico-istituzionali su rotte indicate di volta in volta dal confronto continuo tra politica e mercati. “L’indipendenza della banca centrale non significa discrezionalità della tecnocrazia. La governance della banca centrale è una medaglia a due facce: da un lato autonomia dal potere esecutivo, dall’altro rendiconto - accountability - rispetto al potere legislativo e in generale rispetto ai cittadini”: Masciandaro lo scrive nel saggio conclusivo a “Draghi, falchi e colombe” curato a quattro mani con Alberto Orioli, vicedirettore del Sole 24 Ore. Nessun dubbio che Draghi sia stato - su questo piano - un banchiere centrale da manuale: talmente indipendente da condurre la politica monetaria dell’euro in una fase eccezionalmente critica. L’ormai celebre Whatever it takes pronunciato nell’estate 2012 è considerato ormai il vero esame di maturità dell’euro. Ma siamo nell’ambito squisito del signalling (versante singolarmente approfondito dal bel saggio di Orioli su “Come comunica il Comandante”). Se oggi Draghi si trova sul banco degli imputati in quanto “colomba” irriducibile (e secondi i critici imperdonabile) è possibile stabilire se è un’accusa fondata oppure un fake? Masciandaro costruisce una vera e propria bussola. “Oggi le frecce da scoccare sono tre”, osserva l’economista, segnalando come il quantitative easing (cioé l’intervento diretto sul segmento a lungo termine dei mercati finanziari) e la forward 110
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Da Donato Masciandaro e Alberto Orioli un bilancio “instant” degli otto anni del banchiere italiano al vertice della Bce guidance (cioé gli annunci vincolanti sui tassi futuri) abbiano moltiplicato in modo significativo i canali di trasmissione della politica monetaria. È così che al tradizionale tasso a breve, nella posizione di ago nel tester subentra un “tasso-ombra”, la cui struttura può essere più o meno complessa (al lettore il divertimento delle varianti), a partire comunque - per l’Europa - dal riferimento naturale ai Bund decennali. Applicando il “misuratore di scostamento” i risultati sono in parte attesi. Anzitutto: Draghi è stato in effetti - in senso tecnico - la colomba in volo che ha sempre dichiarato di voler essere, mentre Duisenberg, primo presidente dell’Eurotower, è stato il falco moderato che ci si attendeva fosse al debutto dell’euro. Il francese Trichet è stato sia falco che colomba (soprattutto nell’ultima e più controversa fase del mandato, con un nervoso slalom nel difficile post-Lehman). Se tuttavia Draghi è stato l’”espansionista” dichiarato in tante conferenze stampa - ma non sempre: nel 2015-16 è stato tecnicamente “da manuale” - ne ha sempre avuto due ragioni: l’inflazione rimasta costantemente al di sotto del target istituzionale e la crescita debole che tuttavia nei suoi otto anni Draghi ha tenuto quasi sui livelli medi dei 20 anni dell’euro. È invece non scontata e molto significativa - nell’”algoritmo Masciandaro” - l’evidenza che la “colomba” Draghi è stata particolarmente rigorosa nel rispetto del cosiddetto “quoziente di età”: cioé il rischio che la politica monetaria comporti “redistribuzione occulta” alimentando l’inflazione o frenando la crescita. La performance di Draghi - in otto anni difficilissimi - è stato confrontabile con quello dei quattro anni meno problematici del falco Duisenberg, entrambi al di sotto della media euro ventennale.
EDUCAZIONE FINANZIARIA Paolo Zucca Iscritto all’Ordine dei Giornalisti dal 1979, già responsabile del supplemento de II Sole 24 Ore Plus 24. Partecipa a tutorial e iniziative contro l’eccessivo uso del contante. Twitter @pzu551
CHRISTINE NON È UN PERICOLO PER I NOSTRI INVESTIMENTI
S
e davvero Mario Draghi fosse quel Dracula descritto dai giornali del Nord Europa (lo chiamano Draghila, chi succhia il sangue dai risparmiatori virtuosi per riversarlo sui Paesi spendaccioni dell’Europa Meridionale) allora il mandato appena iniziato di Christine Lagarde, nuovo presidente della Bce (nella foto con Mario Draghi), potrebbe lasciare intendere svolte negative. Magari qualche vibrazione più sensibile sui titoli pubblici italiani, spagnoli, portoghesi, greci, tassi di interesse in leggera ripresa e minori acquisti di Francoforte sul mercato obbligazionario. Per i risparmiatori dei Paesi costieri la nuova gestione dell’ex direttrice del Fondo Monetario Internazionale sarà veramente un pericolo? Vediamo. I tassi rispondono innanzitutto a esigenze dell’economia e, almeno in teoria, livelli minimi come gli attuali dovrebbero favorire investimenti e consumi, avviare nuove attività, comprare o ristrutturare la casa, acquistare nuovi terreni coltivabili prendendo a prestito denaro a condizioni compatibili. Bassi tassi di interesse permettono di ricontrattare mutui migliori, gestire con meno ansia quelli esistenti. Si prevede che ripartirà il mercato delle surroghe (quando si migliorano i contratti passando da una banca all’altra) e delle rinegoziazioni (si resta con la stessa banca ma si trattano condizioni più favorevoli). Da più di dieci anni è stato spezzato il vincolo di costi e tempi che scoraggiavano la ricerca di alternative migliori. Il costo del denaro così basso è un’opportunità da sfruttare. Da settembre, e ancor più a ottobre, i finanziamenti all’acquisto della casa o le ricontrattazioni hanno ripreso vigore. Si attendono ulteriori dati degli operatori, un riscontro dell’Osservatorio Crif e l’andamento delle consultazioni online nei portali di confronto. Tutto lascia intendere che gli italiani abbiano imparato a muoversi tempestivamente e altri si stiano informando in queste settimane. Per gli imprenditori che hanno progettualità e spazio di nuovo indebitamento, la liquidità in circolazione è tanta, a buon mercato, e non necessariamente arriverà dalle banche che hanno stringenti vincoli patrimoniali da rispettare. Possono chiudere finanziamenti più onerosi per aprirne altri meno cari (esattamente come le surroghe e le rine112
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goziazioni dei mutui), possono chiederli a soci attuali e nuovi, possono trovare flussi di denaro da fondi specializzati che devono gestire i patrimoni raccolti. Non ci sono le condizioni perché la gestione Lagarde della Bce, che è comunque frutto di collegialità, inverta la direzione di marcia. Almeno fino a quando l’economia dell’Eurozona risulterà debole. Gli Stati Uniti stanno tagliando i tassi, altre aree del mondo abbassano il costo del denaro sapendo di indebolire le loro valute a vantaggio delle esportazioni. Quindi la prima fase Lagarde non dovrebbe riservare sorprese. Resteranno condizioni “accomodanti”, come si dice nel lessico delle banche centrali quando il costo del denaro resta basso. Non sarà sempre così, i grandi centri di analisi economica e gli economisti, sanno leggere le sfumature di ogni dato e di ogni comunicazione delle banche centrali. Le stesse Bce, Fed e le altre big lasciano trapelare indicazioni per orientare i mercati verso soluzioni ritenute più appropriate per l’economia e per la difesa del valore della moneta. Non è speculazione, la comunicazione è parte della politica monetaria. Per i risparmiatori è materia troppo difficile da seguire. Cercando di dare un calendario – ma sono valutazioni dei grandi centri di ricerca economica – nella prima uscita del nuovo presidente (12 dicembre) non sono previste novità. Decisioni, o almeno indirizzi, sono attesi nella prima parte del 2020. Il Consiglio direttivo si riunisce due volte al mese e le decisioni vengono assunte – e allora sono spesso accompagnate da una attesissima conferenza stampa per spiegarli – ogni sei settimane. Insomma qualcosa potrebbe vedersi a fine inverno. Il calendario della Bce è pubblico e qualsiasi risparmiatore lo può trovare su Internet. E Draghi? Tanto amato dai Paesi indebitati (le “cicale”, secondo la solita definizione) e meno dai virtuosi (le “formiche”), l’ex presidente della Bce torna più italiano. Una buona notizia per i risparmiatori prima che per la politica che – soprattutto da sinistra - lo sta corteggiando. I rischi di default Italia – in questa fase già poco avvertiti – si riducono ulteriormente nella convinzione che SuperMario saprebbe bloccare la speculazione internazionale alimentata da qualche avventurosa iniziativa interna. Ne dovrebbero beneficiare i titoli di Stato già in circolazione e indirettamente – per la forte presenza nei loro portafogli - le banche.
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Data
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MALALINGUA Vittorio Borelli Giornalista di lungo corso, condirettore de Il Mondo, fondatore e direttore di East, già direttore delle relazioni esterne di Unicredito nella gestione Rondelli-Profumo
QUANDO L’UOMO DI NEANDERTHAL SCRISSE AL CARAVAGGIO
M
ancano circa 10mila anni alla fine del Paleolitico. L’uomo di Neanderthal, ignaro dell’estinzione a cui sta andando incontro, va a fare la spesa alla Esselunga e incontra Matteo Salvini. L’uomo di Neanderthal, che nonostante le apparenze (naso schiacciato, attaccatura dei capelli a due millimetri dalle sopracciglia ecc.) conosce la buona educazione, saluta il capo leghista con un benaugurale “Ecce homo”. Salvini scambia la sottile allusione per un’offesa e replica da par suo: “Ominide di m…, ma chi ti credi di essere? Se mi fai girare i c… ti fermo subito lo sviluppo impedendoti di diventare sapiens”. Perplesso, l’uomo di Neanderthal chiama la Tim del futuro e si fa passare il Caravaggio: “Hello Berghem de huta, come te la passi? Hai già finito di dipingere il quadro della Giuditta che taglia la testa a Oloferne? No? Ottimo, perché volevo chiederti se per caso non ti fosse possibile sostituire Oloferne con un tuo conterraneo del XXI secolo. Dì pure alla Giuditta che il movente glielo fornisco io: tentativo reiterato di far regredire antropologicamente la specie umana al Mesolitico”. Caravaggio lo rassicura, spiegandogli che per Giuditta una testa vale l’altra e che il problema, se mai, è l’espressività degli occhi di Oloferne rispetto a quelli di Salvini al rientro dal Papeete. Di fronte all’autorevole perplessità tecnica, l’uomo di Neanderthal azzarda un timido suggerimento: “Bravo come sei, potresti sempre compensare la mancanza di drammaticità della faccia di Salvini dipingendo sulle labbra della Giuditta un sorrisetto sprezzante alla Travaglio…” Sentendo nominare Travaglio, Caravaggio s’incazza di
brutto: “Ma per chi mi hai preso, per quel baciapile istituzionale del Leonardo? V’è… saremo mica arrivati fin qua per fare il pissipissibaobao alla Gioconda! E poi che cosa direbbero Beppe Grillo e il Dibba che stanno posando per me nella Cena in Emmaus?”. Il ragionamento non fa una grinza. Che fare, si chiede l’uomo di Neanderthal, rassegnarsi all’estinzione prematura dell’intelligenza o lottare per dare una prospettiva evolutiva ai 10mila anni che restano da vivere? Il solo che possa dargli una mano è Darwin, che però sta sempre in giro per il mondo. L’ultima volta è stato visto a Harvard mentre teneva una lezione a Di Maio (con traduzione simultanea, s’intende). Al termine di complesse ricerche, il famoso antropologo viene rintracciato mentre sta per imbarcarsi alla chetichella non per le Galapagos ma per le Maldive. Dove spera di prendersi un mesetto sabbatico senza incontrare iguana o altre strane creature. Sbuffando, ma consapevole delle proprie responsabilità, Darwin si mette a studiare il problema. Alla fine manda una chat all’uomo di Neanderthal: nessun problema, la selezione migliorativa della specie prevede anche qualche breve interruzione, specialmente in America all’inizio del Terzo Millennio, quando verrà eletto presidente Donald, un bambino di 11 anni con il parrucchino, ma l’Europa occidentale riuscirà a non deragliare dal processo evolutivo. La chat è riservata e proprio per questo viene subito divulgata da Assange, dagli hacker russi e dal Fatto quotidiano. L’uomo di Neanderthal non se la prende. Anzi, preso da una gioia incontenibile si arma di una clava e si mette a spaccare noci come facevano le scimmie di Kubrick in 2001, Odissea nella spazio.
«Hai già dipinto il quadro della Giuditta che taglia la testa? Puoi sostituire Oloferne con Salvini, che ci farà regredire al Mesolitico?»
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Consumi ciclo combinato NEDC derivato da 5,4 a 5,7 l/100 km. Emissioni CO2 da 142 a 149 g/km.