Investire Settembre 2019

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Settembre 2019 Euro 5,00 90008

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Conoscere, rischiare, guadagnare

INVESTIRE | ANNO I | N.08 | MENSILE | SETTEMBRE | DATA DI USCITA IN EDICOLA: 17 SETTEMBRE 2019 | POSTE ITALIANE S.P.A. - SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - D.L. 353/2003 (CONVERTITO IN LEGGE 27/02/2004 N° 46) ART. 1, COMMA 1, LO/MI

Borse, tassi, valute COME VINCERE IN UN AUTUNNO DI INCOGNITE

FINECO, PARLA FOTI

CATTOLICA INNOVA

L’ALTRA COPERTINA

Vent’anni di successi e i piani per il futuro

Passafiume: «Cultura del rischio e sviluppo»

Nuovi certificati di IG, parla Fabio de Cillis, country head del gruppo per l’Italia: «Rischi controllati senza pregiudicare le possibilità di guadagno».

INVESTIRE SPECIALIST

L’OSCAR DI MEDIOLANUM

NUOVO CREDITO

di Montigny: «L’etica è premiata dal mercato»

Cassa centrale banca, la sostenibilità nel dna


«Ora i certificati IG limitano il rischio» Intervista con Fabio de Cillis, country head per l’Italia di IG: «Abbiamo messo a punto un’evoluzione del nostro prodotto storico che permette di contenere eventuali perdite al capitale investito senza frenare le possibilità di guadagno nel caso di crescita del mercato» L’INTERVISTA VIDEO SI SCARICA APRENDO IL CODICE QR A DESTRA >


EDITORIALE

Ripartiamo dal (breve) sollievo di Sergio Luciano

D

iceva il grande Eduardo De Filippo: “Essere superstiziosi è da ignoranti, non esserlo porta male”. Lo ha citato il presidente della Confindustria Enzo Boccia, quest’estate al Meeting di Rimini, parlando di crisi e ripresa. Per dire che alcune importanti premesse per ripartire l’Italia le ha, ma per coglierle deve fare in fretta e, appunto, avere un pizzico di fortuna. Comunque la si pensi in materia di fortuna – e la nostra copertina vuole essere una strizzata d’occhio al tema, mai tanto attuale per il risparmio, stretto tra mille incognite globali – il governo Conte 2 sembra essere nato sotto una buona stella. Una stella che si chiama innanzitutto sollievo. Sollievo per lo scampato pericolo di rompere con l’Europa e diventare la Grecia 2. “La felicità è soltanto la prima ora successiva al sollievo”, scriveva Francis Scott Fitzgerald. Il pericolo, nel nostro caso, era che l’Italia, con i conti pubblici fuori regola, per colpa di 2.300 miliardi di debito pubblico accumulati anche a opera della Lega bossiana col suo sostegno al declino berlusconiano, pagasse lo stesso scotto altissimo (e iniquo: parlarne con la signora Merkel) di Atene. Lo pagasse a Bruxelles, ma soprattutto ai mercati, spaventati da una parte (e contenti dall’altra dell’opportunità speculativa) del vaniloquio dei vari Borghi lasciati senza guinzaglio da Salvini su un’inverosimile Italexit. Perfino Trump, il padre di tutti i sovranisti, ha “endorsato” il Conte 2, irritato dall’incertezza leghista tra Washington o su Mosca, ottenendo come primissimo atto formale del nuovo governo quel golden power sulle le reti 5G in cui, secondo lui, il “nemico” cinese potrebbe infiltrare il proprio potere occulto. Chi avrebbe mai pensato che il Quirinale scendesse in campo con un messaggio così autorevole nella sua pacatezza sull’inderogabilità di una riscrittura del patto di stabilità, quello che – per dettato tedesco – ha fin qui anteposto in Europa la stabilità alla crescita? E che la nuova presidente della Commissione europea, Ursula von der Layen (votata inopinatamente anche dai grillini di Strasburgo), esordisse promettendo la revisione del vergognoso trattato di Dublino sull’immigrazione (altro dettato tedesco) dando tra l’altro ragione “in memoriam”

a Salvini? E ancora: chi avrebbe sperato che alla Bce venisse designata per il dopo Draghi una come Christine Lagarde, decisa a perseverare nel Quantitative Easing, contro un “nein” dei tedeschi, che sembra peraltro magicamente tramontato? Forse proprio l’avvitarsi del modello tedesco in un fallimento storico e la paura del successo dei sovranismi ha indotto a miti consigli i talebani dell’austerità. Sta di fatto che attorno al nuovo corso italiano e ad alcune delle stesse istanze già espresse, sia pur maldestramente, dal Conte 1 – a dispetto del trasformismo opportunista e quindi precario da cui nasce il nuovo esecutivo - si respira un’aria di imprevedibile consenso. Be’, sfruttiamola, prima che sfumi. La felicità del sollievo – insegna Scott Fitzgerald – è breve. La gente è ancora impaurita e sfiduciata. Non compra: a luglio le vendite al dettaglio sono calate dello 0,5% in valore. Non valorizza i risparmi: i miliardi di euro parcheggiati nei conti correnti a rendimento zero dagli italiani sono 1400 miliardi e continuano ad aumentare. Ci vuole una trasfusione di fiducia. Farla è difficile, ma c’è un contesto nuovo. Occorre tenere a freno gli animali spiriti anti-crescita dei Cinquestelle. Le infrastrutture giuste servono e vanno fatte, i cantieri riaperti. La produzione va sostenuta senza assistenzialismi ma senza lacci. Il lavoro va favorito fiscalmente. I redditi, per lo meno, non tartassati ulteriormente. E alcuni strumenti sono chiari: lotta al contante per battere l’evasione fiscale dei cittadini; tasse su quei super-evasori che sono i big del web (Quirinale docet). E poi riformare la pubblica amministrazione e la giustizia: la prima, talmente inefficiente che, se riportata agli standard europei, genererebbe (dati Ambrosetti) 146 miliardi di Pil in più; la seconda, afflitta da un vergognoso 156° posto su 181 Paesi nel Mondo, secondo la Banca mondiale. Certo, appare impensabile che il Conte 2 faccia tutte queste cose. Ci vorrebbe un miracolo. Peraltro, il premier è devoto di Padre Pio. E il grande ospedale fondato dal Santo, a San Giovanni Rotondo, si chiama “Casa sollievo”. Appunto. Forse un miracolo non si può avere. Ma si può cominciare a lavorare per far rinascere la fiducia negli italiani. Quando ci ricapiteranno, condizioni favorevoli come quelle di oggi?

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Registrazione Tribunale di Milano N. 126 del 27/3/1982 Direttore responsabile Sergio Luciano Caporedattore Marco Muffato Newsroom Marina Marinetti, Marco Scotti, Riccardo Venturi, Raffaela Jada Gobbi, Liliana Nori Hanno collaborato Antonio Quaglio (Consulente del

direttore), Francesco Bellizzi, Ugo Bertone, Annalisa Caccavale, Angelo Curiosi, Giacomo Damian, Giuseppe D’Orta, Fabiana Giacomotti, Luigi Orescano, Matteo Ramenghi, Claudio Riva, Mario Romano, Nicola Ronchetti, Massimo Scolari, Monica Setta, Gloria Valdonio, Fabrizio Vettosi, Paolo Zucca Contributors Vittorio Borelli, Enrico Cisnetto, Giuseppe Corsentino, Anna Gervasoni, Glauco Maggi, Andrea

Margelletti, Marco Onado, Francesco Priore, Giulio Sapelli, Franco Tatò Partnership Editoriali Assoimmobiliare Redazione info@economymag.it Segreteria di redazione Monia Manzoni Presidente e A.D. Giuseppe Caroccia

Editore incaricato Domenico Marasco Responsabile commerciale Luca Ronzoni Casa editrice Economy s.r.l. Piazza Borromeo 1, 20123 Milano Tel. 02/89767777 Distribuzione Pressdi - Via Mondadori, 1 Segrate - 02 7542097 Stampa Stampa Rotolito. S.p.a 20063 - Cernusco S.N. (MI)

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SOMMARIO Settembre 2019

03 EDITORIALE

di sergio luciano

13 IL GERMANISTA

09 WATCHDOG

di marco onado

14 FINANZA REALE

Ripartiamo dal (breve) sollievo

Servono regole serie per rilanciare l’Aim

10 IL SISMOGRAFO

di g.sapelli

di a.gervasoni

Eltif: arrivano i benefici fiscali per gli investitori

Conte bis, un governo tra tecnocrazia e magia

Le asset class favorite nell’ultimo quadrimestre del 2019? Bond, real asset e liquidità. Buone prospettive per l’equity se la Fed...

di franco tatò

La Germania fa i conti con lo spettro della crisi

16 III REPUBBLICA

di e.cisnetto

Governo 5Stelle-Pd, ecco perchè è legittimo

COVERSTORY OUTLOOK III QUARTER

18

Dopo il forte rally del primo semestre il mercato continua ad avere pochissime certezze. Ci vorranno nervi saldi, competenza e fortuna per uscire vincitori. Ecco le principali previsioni dei gestori

FINECO

CATTOLICA

L’a.d. e d.g. Alessandro Foti racconta i primi 20 anni della società di Piazza Durante

Le prospettive (rosee) nella bancassurance. Parla il direttore Marco Passafiume Alfieri

COSMOPOLITICA di andrea margelletti Il lento crepuscolo dello zar Vladimir Putin

QUI PARIGI di giuseppe corsentino

Il sogno de la Ville Lumiere: diventare capitale della finanza verde

QUI NEW YORK di glauco maggi

Tweet arma letale di Donald Trump contro il governatore Powell

IL GIRO DEL MONDO IN 30 GIORNI

Una certezza: la Brexit ha abbattuto i prezzi delle case a Londra

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MONDO

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L’agilità di oggi crea la stabilità di domani

Una strategia obbligazionaria flessibile che si adatta ai cicli di mercato AXA WF Global Strategic Bonds è una strategia che punta a un ritorno stabile e prevedibile in condizioni difficili di mercato. La nostra strategia, diversificata in tutto lo spettro del reddito fisso, è pensata per avere più flessibilità sul mercato puntando a una minore volatilità. Un processo rafforzato dalle conoscenze che AXA IM ha sul fixed income e da un approccio al rischio a più livelli. Gli investimenti comportano rischi, inclusa la perdita del capitale investito. Scopri di più su AXA WF Global Strategic Bonds: AXA-IM.IT/GSB

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SOMMARIO 36 38

BANCA MEDIOLANUM/ Perchè conviene essere un’impresa sostenibile, secondo Oscar Di Montigny

MERCATI/ Italia al bivio tra tassi bassi e crescita lenta, nell’articolo di Ugo Bertone

60 62

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CONSULENTIA/ La manifestazione dedicata ai

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ANASF/ Le proposte del presidente Maurizio Bufi:

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ENASARCO/ Un’alleanza per trasformare

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consulenti finanziari fa tappa a Bologna contratto e persona giuridica per i cf in meglio l’attività della fondazione

OCF/ La fotografia della professione di consulente finanziario da parte dell’authority NAFOP/ Il presidente Cesare Armellini spiega perchè è arrivata l’ora della riscossa per i fee only

CONSULENTI INDIPENDENTI/ La mappa mondiale degli advisor di Massimo Scolari

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CASSA CENTRALE BANCA/ Tanta solidità

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SCENARI MONDIALI/ Lo strategist di Kairos

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BANCHE POPOLARI/ L’intervista a Giuseppe

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al servizio di famiglie e di piccole e medie imprese

Alessandro Fugnoli ritiene possibile una ripresa

De Lucia Lumeno sul futuro del Credito popolare

CONSULTINVEST/ Il fondatore Maurizio Vitolo racconta l’acquisizione della rete cf di Alpenbank

BIOTECNOLOGIE/ Gloria Valdonio spiega nel suo

articolo perchè il settore equity è il più promettente

IG TRADING/ Il country head per l’Italia Fabio De Cillis descrive le nuove strategie nei certificati PRIVATE EQUITY/1 L’importanza del premio di liquidità nell’articolo di Matteo Ramenghi

PRIVATE EQUITY/2 Esg, come le buone prassi diventano linee guida per l’Aifi

ASSICURAZIONI/ Il bisogno di protezione e la sindrome di Peter Pan. Ne scrive Nicola Ronchetti PRODOTTI/ La linea azionaria personalizzata

basata su Etf, la scommessa di Euclidea e Vanguard

SEDIE&POLTRONE/ Roberto Coletta al comando del wealth management in Deutsche Bank

PROFESSIONE CONSULENTE/ Francesco Priore risponde alle domande dei lettori

POLE POSITION/ Elon Musk, genio o pazzoide

pericoloso?

TALENT/ Questo mese la gara tra fai da te, cf e robo advisor è orientata al massimo rischio

82 PALLONE & LISTINI

106 IMMOBILIARE

86 TRUFFE FINANZIARIE

108 AUTOAPPASSIONATI

Comprare azioni di società di calcio

I millantatori si evolvono, ora usano i social

Parla la presidente di Assoimmobiliare

Peugeot 2008, un crossover che cambia tutto

100 MODA & FINANZA

110 BIBLIOTECA

102 DENARO DEI VIP

112 EDUCAZIONE FINANZIARIA

104 WHISKY

114 MALALINGUA

Anche nel fashion è emergenza ambientale

Rossella Brescia investe nella pensione

Tra il single malt e gli italiani è vera passione

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Recensione de “Gli stangati” di Stefano Elli

Chi ha soldi e istruzione s’informa di più

Nel Wahlalla c’è posto per la politica italiana?


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WATCHDOG Marco Onado È professore senior di Economia degli intermediari finanziari nella Università Bocconi di Milano. È stato Commissario Consob. Collabora con “Il Sole - 24 Ore”, “Lavoce.info” e “voxeu.org”.

REGOLE SERIE PER RILANCIARE L’AIM

A

gli investitori i mercati piacciono poco regolati e Londra si è sempre premurata di esaudire questo desiderio. L’Alternative Investment Market (AIM), una costola del London Stock Exchange, è da sempre considerata una piattaforma di successo (nonostante qualche incidente di percorso) per la quotazione di imprese giovani (non necessariamente piccole) e con buone prospettive di crescita. Negli ultimi tempi si sono però inasprite le critiche sulla corret- LA BORSA DI LONDRA tezza di molte società quotate in quel mercato. L’ultimo caso, scoppiato in piena estate è interessante perché un fondo speculativo che si vanta fin dal nome di pescare nel torbido (Muddy waters, cioè acque fangose) ha attaccato duramente una società vendendo allo scoperto e accusandola di pratiche contabili illecite e di adottare regole di corporate governance «ridicole». Ovviamente, la società interessata ha contrattaccato e il tempo deciderà chi ha ragione. Ma basta la notizia per capire che sono fondate le critiche da tempo ricorrenti secondo cui l’Aim è diventato una specie di West, in cui si è costretti a farsi giustizia da soli e a ricorrere a qualche pistolero per tenere l’ordine in città (sperando di sceglierne uno onesto come John Wayne). Esattamente in questi termini il Financial Times alla fine del 2017 aveva criticato le pratiche di governance del mercato londinese, puntando in particolare il dito sulla figura dei Nomads, cioè sugli intermediari che accompagnano le giovani imprese al mercato e si fanno in qualche modo garanti delle loro buone probabilità di successo. Ma – esattamente come succede alle società di rating – il conflitto di interessi è molto forte e spesso la due diligence necessaria è troppo blanda, mentre – sempre secondo il giornale – il London Stock Exchange sembra accettare passivamente questo stato di cose. A distanza di un anno e mezzo l’ultimo scandalo è un ulteriore conferma delle critiche di allora. E’ una brutta notizia per i responsabili di scelte di investimento, soprattutto in questo periodo. Siamo infatti alla fine di un lungo periodo favorevole, i tassi di interesse continuano a rimanere molto bassi e l’area dei tassi negativi addirittura si estende. Viviamo un periodo di transizione, ma per gli investitori vale la

chiosa di Flaiano: “Come sempre”. Il problema di oggi è che l’area delle buone opportunità di investimento si va facendo sempre più ristretta soprattutto per motivi ciclici. In queste condizioni, le azioni di imprese di successo (che esistono anche nelle recessioni più cupe) sono una vera àncora di salvezza. Ma se i mercati in cui queste sono quotate sono considerati abitati da un numero elevato di aziende non sufficientemente controllate nei loro comportamenti, fatalmente l’alone del sospetto colpisce anche i “buoni” e, nel dubbio, l’investitore prudente cerca lidi migliori. Troppe società di gestione dei mercati e anche troppi regolatori sono ancora convinti che il “tocco leggero” sia un incentivo alla quotazione di borsa e allo sviluppo dei mercati. Invece il problema è molto più complesso, come è dimostrato dal fatto che anche prima della crisi e nonostante gli sforzi delle società di gestione dei mercati, i nuovi ingressi in borsa si andavano rarefacendo in modo preoccupante. Per di più, una ricerca accademica sul mercato americano conferma ad abundantiam l’esperienza degli investitori: negli ultimi venticinque anni le Ipo hanno offerto rendimenti molto interessanti nel primo giorno di negoziazione (quasi sempre a due cifre!), ma il rendimento a tre anni è inferiore a quello medio del mercato. In altre parole, l’eventuale successo delle imprese di nuova quotazione si traduce in rendimenti positivi per l’investitore solo se questo stacca il biglietto vincente della lotteria al primo giorno di quotazione. E questo underpricing, per usare un termine molto soft, è un’altra componente del costo di quotazione, che con il “tocco” leggero o pesante del regolatore non ha nulla da spartire. In questi giorni i responsabili delle grandi imprese si battono il petto e dichiarano la loro intenzione di superare i difetti del capitalismo che hanno accentuato la sete per i guadagni a breve termine e fatto perdere di vista la crescita di lungo termine delle imprese. Vasto programma, come disse De Gaulle: bene, riportare le imprese al mercato di borsa e fare in modo che le imprese di quotazione siano un investimento conveniente non solo per una giornata, come un delicato virgulto di serra, può essere un ottimo punto di partenza.

La piattaforma è diventata un far west, dove è necessario il pistolero onesto

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IL SISMOGRAFO Giulio Sapelli È Ordinario di Storia Economica presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Milano e direttore scientifico della Fondazione Enrico Mattei.

CONTE 2, UN GOVERNO TRA TECNOCRAZIA E MAGIA

È

un governo tra magia e tecnocrazia, il Conte 2. E forte capacità di azione in Medioriente, con la Siria in mano loro, viene da chiedersi come possano un uomo serio e grazie agli aiuti che Mosca gli dà, e con la ferma intenzione di competente come Roberto Gualtieri o una politica pilotare la ricostruzione della Mesopotamia. Di questo i francesi di buon senso come la De Micheli pensare di coabi- sono molto preoccupati. tare con un movimento e dei personaggi mossi da Il presidente Trump, senza avvisare la sua diplomazia né tanun furore ideologico collettivo profondamente anti-industriale. tomeno concordare la cosa, si mostra d’accordo con Macron Questa ideologia antindustrialista dei Cinquestelle - perché tale nell’appoggio alla soluzione della crisi italiana, e lo manifesta è – non riconosce i passi avanti fatti dalle industrie energetica con il suo tweet di plauso a “Giuseppi” Conte. e chimica italiane, che sono tra le più avanzate del mondo. Nei Io non credo che questa scelta sia stata frutto spontaneo del punti consacrati dai Cinquestelle si dice chiaramente che non si pressing francese, la considero piuttosto un’astuzia da negoziatore faranno più inceneritori in Italia, per esempio, caricando sulle quale lui è, immobiliarista navigato nel vendere e comprare, abituato casse pubbliche le enormi spese necessarie per smaltire all’e- alle trattative con bluff, per dare un contentino ai franco-tedeschi. stero i nostri rifiuti. Si dice un no apodittico e definitivo alle tri- Non dimentichiamo che Trump agisce in un contesto già detervelle e questo vuol dire che il petrolchimico di Ravenna rischia minato storicamente che vede nell’Italia una pedina manovrabidi chiudere. le dall’estero. E anche questo governo doveva nascere così, e così L’Italia ha saputo realizzare quella cosa eccezionale che è il ter- è nato. Trump si è limitato a mettere il cappello su un qualcosa movalorizzatore di Brescia che con che non gli piaceva veramente ma i rifiuti riscalda il 70% della città. E che vuole controllare. Salvini lo avetutto questo dovrebbe essere canva profondamente deluso, sia per cellato? E i nostri industriali non la relazione con Mosca che per le sparano a zero contro quest’apaperture alla Cina. Aveva fatto il graproccio? vissimo errore di nominare Geraci, Per questo dico che il nuovo goun personaggio che aveva lavorato verno, a dispetto dell’apparente da anni con i cinesi, della cui fiducia aplomb, mi sembra in preda a un loro godeva. Ha esasperato il conflitto furore collettivo. con un Vaticano nuovamente cesaDi nuovo mi chiedo come Gualtieri ro-papista, contrapponendoglisi con potrà convivere con queste persoun opposto cesaropapismo, quello ne, ascoltandole: come potrà fare le dei crocifissi baciati e dei santi invonomine… Le basi del consenso per cati. E poi ha fatto l’errore capitale di i Cinquestelle sono tanto anti-indu- LA SQUADRA DEI MINISTRI DEL GOVERNO CONTE BIS collocare in ruoli chiave per la politistrialiste da sconfinare nell’esoterica economica personaggi, soprattutsmo. Sono gli stessi che non credono ai vaccini e governano. Mi to Borghi, che hanno accreditato un’inverosimile Italexit… per la vien da dire che questo esecutivo sarà studiato dagli antropologi quale non c’è mai stata in realtà alcuna vera strategia, ma si è dato del futuro per aver riproposto un incrocio inedito tra magia e modo alle diplomazie europee di affermare che vi fosse. tecnocrazia… Come quando in Corea del Sud scattò l’impeach- Ora però il patronage franco-tedesco sul Conte 2 esigerà i suoi ment contro la presidente perché si scoprì che governava se- prezzi. Quel che interessa alla Francia è avere a disposizione in guendo l’oroscopo. Italia una piattaforma per l’Africa. Il che si può ottenere neutraE’ chiaro che da questo nuovo assetto italiano Francia e Germa- lizzando la forza o l’autonomia o entrambe le cose della nostra nia contano di poter trarre i maggiori vantaggi. Per porre la que- industria militare e condizionando fortemente la politica enerstione nella giusta prospettiva, dobbiamo considerare che è in getica italiana. Il terzo strumento da usare è la penetrazione nel corso il più lungo conflitto politico della storia tra Germania e tessuto industriale delle regioni trainanti, Lombardia, Emilia Stati Uniti, che cresce di mese in mese: basti pensare alla recente Romagna e Veneto. Avremo quindi un Paese che si segmenterà visita della Merkel in Cina, fatta nel momento diplomaticamente per aree d’influenza diverse. Ai francesi le banche e la grande meno adatto. La Francia non demorde dalla pretesa di ergersi distribuzione, ancor più di oggi; ai tedeschi l’industria. come leader europeo in proprio nel contesto della debolezza te- Tutto ciò minaccia di mettere in ginocchio la nostra economica. desca e dunque dalla volontà neogollista di guidare quel che si Che mestieri faremo? Agriturismi biologici ed economia biodipuò dell’integrazione europea. E intanto i russi confermano una namica? Bene. Il resto sarà franco-tedesco. 10

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IL GERMANISTA Franco Tatò Manager eclettico e innovativo, è tra i pochissimi italiani ad aver diretto aziende in Germania, paese (e cultura) che ama ed è l’unico ad essere stato amministratore delegato sia di Rizzoli che di Mondadori

LA GERMANIA FA I CONTI CON LO SPETTRO DELLA CRISI ECONOMICA

I

l caldo afoso di questa estate sorprendente che percorre orientali, sulla critica della politica della Merkel sull’immigraziotutto il paese dal mare del Nord alle Alpi bavaresi attraverso ne, sulle continue dichiarazioni del ministro dell’interno Seehofer, le pianure del Brandeburgo e la Lueneburgerheide, sembra i cui atteggiamenti anti immigranti hanno prodotto rovinosi riavere l’effetto di un silenziatore, che attutisce tutti i rumori sultati per la Csu alle ultime elezioni in Baviera. Concentrandosi di una società percorsa da presentimenti inquietanti. Infatti su questo scenario politico Angela Merkel ha realizzato un vero non passa giorno senza qualche notizia dall’interno o dall’estero, capolavoro: spedire Ursula Von Der Leyen a Bruxelles alla testa atta a suscitare perplessità o preoccupazione. In realtà tutto sem- della Commissione non ha soltanto assicurato la difesa degli inbra scorrere normalmente, ma sui boccali di birra ci si chiede che teressi tedeschi attraverso una suddita fedele, ha anche liberato cosa succederà, ora che quella che sembrava una inarrestabile lo- il Ministero della difesa da un ministro inefficace e permesso di comotiva di sviluppo per tutta l’Europa pare essersi arrestata per posizionare qui Annegret Kramp-Karrenbauer, in pole position un momento di riflessione in una stazione, in attesa della posa di per succedere ad Angela Merkel quando, come da molti auspicanuovi binari in una diversa direzione. Non è semplice e ci vuole to, lascerà la Cancelleria. La classe dirigente, perché la Germania tempo, risorsa che non sembra facilmente disponibile. La sorpre- ne ha ancora una, auspicava invece una mobilitazione generale sa e lo sconcerto sono comprensibili. L’anno 2018 si era chiuso per difendersi dalle conseguenze rovinose della guerra commercon tutti gli indicatori dell’attività economica ai massimi, con la ciale tra la Cina e gli Stati Uniti, come difendersi dai dazi illiberali piena occupazione,con i redditi delle famiglie in continua crescita del presidente Trump, con quali mezzi straordinari affrontare le e però una inspiegabile esplosione di xenofobia come se il paese, sfide tecnologiche del futuro e recuperare sul ritardo accumulacome non mai a corto di risorse umane, non fosse in grado di as- to: temi tutti che richiedono una risposta chiara e credibile. Per sorbire nuove forze lavoro peraltro indispensabila Spd le cose non vanno molto bene. Il partito, li. La parallela esplosione di antisemitismo spiega erede della grande tradizione socialdemocratiche non siamo di fronte a un fenomeno economica, che ha dato al paese durante tutta la seconda co, ma a un disagio più profondo , non spiegabile metà del secolo scorso alcuni grandi Cancellieri e neppure con la mobilitazione dei perdenti della promosso alcune delle riforme fondamentali delglobalizzazione. Con il nuovo anno ci si accorge lo stato sociale, è stato costretto negli ultimi dieci improvvisamente che si è drammaticamente anni dall’associazione con la Cdu/Csu nel governo sottovalutato il significato del cosiddetto diesela non esprimere neppure le idee che non aveva, gate, che l’industria automobilistica è in forte riè stato ridotto dalle elezioni europee a partito di tardo nello sviluppo delle automobili elettriche, minoranza almeno per il prossimo decennio. Le ma soprattutto non sembra disporre di piani e URSULA VON DER LEYEN conseguenti dimissioni della segretaria del partito strategie per affrontare le modifiche strutturali Andrea Nahles hanno dato inizio a una lunga stadel mercato. Che la produzione industriale improvvisamente si è gione di dibattiti sulla successione alla ricerca di un programma fermata, che il Pil del secondo trimestre è diminuito dello 0,1%, elettoralmente spendibile. Tramontata la velleitaria candidatura che il paese è in ritardo con la digitalizzazione, che la Deutsche di Kevin Kuehnert, capo dei giovani socialisti e rappresentante Bank deve affrontare la crisi più profonda della sua storia, che gli delle posizioni estremiste sempre presenti, come una sotterranea ordini per la costruzione di macchine sono precipitati e che que- inquietudine, nel bacino ideologico dell’utopia sociale, si è aperto sto assieme alla crisi dell’automobile non mancherà di far sentire il dibattito programmatico tra un numero eccessivo di seri aspile sue conseguenze sulle esportazioni. Questo quadro, repentina- ranti, nessuno dei quali ha la statura necessaria per trascinare il mente più affollato di ombre che di luci, non è ancora tale da far paese verso una nuova frontiera. Come sempre la base si prepaprevedere una crisi economica ingovernabile anche perché come ra a eleggere non il candidato migliore, ma il meno fastidioso. Lo in Italia l’occupazione e i consumi inspiegabilmente tengono e scenario politico, in vista delle prossime elezioni regionali e delle come in Italia si cerca di spiegare il fenomeno con arzigogolate più lontane elezioni federali è complicato dalla Brexit, dai tweet di considerazioni demografiche. La finora autorevole Angela Merkel Trump, dagli aggiustamenti ideologici dei Verdi che si preparano ha dichiarato che la situazione è sotto controllo e non richiede in- ad assumere un ruolo da protagonisti nella prossima formazione terventi particolari di sostegno. In realtà ciò che è più assordante governativa, dalla minaccia della Linke, ancora incerta sul proin questa situazione è il silenzio del governo su alcuni temi per- getto di esprimere posizioni di estrema destra con il linguaggio cepiti come urgenti. Sembra che la classe politica abbia perso il dell’estrema sinistra in cambio di qualche ministero regionale in contatto con il paese e si sia concentrata su se stessa, sui proble- Turingia. Sarà molto interessante vedere come il nostro più immi di potere, sui sondaggi, sulla valutazione del voto europeo, sul portante partner industriale affronterà la prossima crisi economipossibile successo dell’AfD nelle prossime elezioni nelle regioni ca. La sola cosa certa è che la crisi arriverà. settembre 2019

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FINANZA REALE Anna Gervasoni Professore Ordinario di Economia e Gestione delle Imprese alla Liuc di Castellanza. È anche direttore generale dell’Aifi (Associazione italiana del private equity, venture capital e private debt)

ELTIF: ARRIVANO I BENEFICI FISCALI PER GLI INVESTITORI

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ualche mese fa, nella fase di avvio di questa rivista, avevo scritto delle potenzialità degli Eltif - European long term investment funds, veicoli voluti dal legislatore comunitario, dedicati sia a investitori professionali che privati, per consentire investimenti con un orizzonte temporale di medio-lungo periodo in grado da un lato di fornire ritorni interessanti e,dall’altro di consentire la canalizzazione di capitali verso l’economia reale, quindi verso imprese non quotate, small cap e progetti infrastrutturali. Secondo quanto stabilito dal regolamento europeo infatti gli Eltif devono investire in strumenti di equity, quasi equity o strumenti di debito di imprese non quotate ovvero, se negoziate sul mercato, con una capitalizzazione inferiore a 500 milioni di euro. Si tratta inoltre di strumenti illiquidi. Infatti non è possibile chiedere il rimborso fino alla scadenza fissata dal regolamento che nei fatti è appunto di medio-lungo termine. Del resto, se si investe in un sottostante illiquido, bisogna che il progetto per il quale l’impresa target cerca capitali arrivi al suo compimento, per essere in grado di rimborsare o disinvestire. Il mese scorso è stato approvato dalle Commissioni Bilancio e Finanze della Camera, nel maxi emendamento presentato dal governo al Decreto Crescita (pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 29 giugno), l’incentivo fiscale a beneficio degli investitori persone fisiche che sottoscrivono Eltif. Si tratta dell’esenzione (dalle imposte sui redditi di capitale e sui redditi diversi) per i redditi derivanti da investimenti, effettuati nel 2020 e mantenuti per almeno cinque anni, per un importo non superiore a 150mila euro all’anno e a 1,5 milioni di euro complessivi. L’incentivo si applica agli Eltif il cui patrimonio raccolto non sia superiore a 200 milioni di euro all’anno, fino a un tetto di 600 milioni. Per accedere all’incentivo inoltre gli Eltif dovranno investire almeno il 70% del patrimonio in imprese italiane o residenti in uno Stato membro, che non operano nel settore finanziario, non quotate o quotate con una capitalizzazione 14

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Lo strumento voluto dal legislatore europeo, dal taglio minimo di 10mila euro, si sposa bene con una clientela di fascia alta, tipica del private banking di mercato inferiore a 500 milioni di euro. Lo strumento, pur avendo un taglio minimo di sottoscrizione di 10mila euro, si sposa bene con una clientela di fascia alta, tipica del private banking. Parliamo infatti di strumenti illiquidi, che possono avere una relazione rischio/rendimento elevata e che quindi ben si collocano all’interno di un portafoglio in cui rappresentano una piccola porzione sul totale del capitale finanziario posseduto. La norma europea prevede correttamente che l’investitore al dettaglio non investa negli Eltif un importo aggregato superiore al 10 % del proprio portafogli, ma è utile ricordare che tali strumenti sono comunque adatti a chi si può “dimenticare per un po’” di una certa cifra, e aspettare che maturino i risultati. Per quanto riguarda gli investimenti l’auspicio è che questi nuovi strumenti, accompagnati agli incentivi fiscali approvati, possano contribuire a generare un nuovo flusso di risorse per le nostre imprese, che hanno bisogno di capitali alternativi - di rischio e di debito - per lo sviluppo. Il potenziale è enorme. Oltre a dare un contributo alla nostra economia, si possono anche ottenere risultati interessanti. Non dimentichiamo che un gestore capace ed efficace può intercettare le eccellenze della nostra industria che, a dispetto dei dati medi, sanno crescere a doppia cifra. Questo è il bello e questa è la difficolta del mestiere. Per tale ragione è importante che i team di gestione sappiano fare il mestiere internazionalmente noto come quello del private equity, venture capital e private debt.



TERZA REPUBBLICA Enrico Cisnetto È un editorialista, economista e conduttore televisivo italiano, ideatore della trasmissione televisiva Roma InConTra. È conferenziere, consulente politico-strategico e tifoso della Sampdoria

IL GOVERNO 5STELLE-PD NON SARÀ DEL POPOLO MA È LEGITTIMO

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lzi la mano chi, da quando si è cominciato a ipotizzare che la crisi di governo voluta inopinatamente da Matteo Salvini potesse risolversi con un accordo tra 5stelle e Pd, non si è ritrovato sul proprio WhatsApp almeno una foto, un filmato o un file audio in cui si ricordavano le parole, spesso scolpite nella pietra, dei leader dell’uno e dell’altro fronte che assicuravano, anzi giuravano solennemente, che mai e poi mai si sarebbero potuti neppure incontrare per un caffè con l’odiato nemico. Così Di Maio (“il Pd è il peggio del peggio”), così Zingaretti e Renzi (“con i grillini mai e poi mai”). E così tanti altri. Ecco, allora, l’evocazione del complotto e le accuse di “ribaltonismo” e di “poltronite” (nel senso di attaccamento alla cadrega). Ma siamo proprio sicuri che sia questo il modo giusto di guardare alla vicenda che si è dipanata sotto i nostri occhi mentre noi eravamo sotto l’ombrellone o su un sentiero di montagna? Se proviamo a scrollarci di dosso il riflesso condizionato della reazione qualunquista, che spesso subdolamente s’intrufola anche nelle menti più aperte, vedrete che la risposta è no. Intanto partiamo dal presupposto che siamo una democrazia parlamentare, e per di più dotata di un sistema elettorale prevalentemente proporzionale: dunque, il governo 5stelle-Pd, così come quello precedente 5stelle-Lega, è perfettamente legittimo, sul piano costituzionale prima di tutto, ma anche sotto il profilo politico, alla luce del fatto che quando, come alle elezioni politiche del marzo 2018, nessun partito o coalizione raggiunge la maggioranza dei seggi, l’incontro tra parti “avverse” si rende necessario se si vuole dare una guida al Paese e non lasciarlo in balia dell’ingovernabilità. Allora perchè scomodare la “coerenza perduta”? Perchè dire che “questo non è un governo voluto dal popolo”, quando i cittadini – preferisco questa definizione a quella di popolo – sono chiamati non a eleggere un esecutivo ma un parlamento? Un anno e mezzo fa risultò primo un partito, i 5stelle, che aveva fatto della sua indisponibilità a qualunque alleanza il suo tratto distintivo, e una coalizione, quella di centro-de16 settembre 2019

La nostra storia politica è costellata di antagonisti che diventano alleati. E il cinismo, insegna Machiavelli, è parte integrante della ragion politica stra, che non era autosufficiente: cosa si sarebbe dovuto fare, tornare a votare subito, e magari votare e rivotare all’infinito? E cosa si sarebbe dovuto fare ora, dopo che Salvini ha fatto saltare il banco? Tornare alle urne in una condizione che quasi certamente non avrebbe designato nessun vincitore assoluto? La verità è che il difetto di questa politica fatta attraverso i social e priva di contenuti e ancoraggi culturali non sta tanto nel cambiare alleanze con disinvoltura, quanto nell’aver fatto della becera denigrazione altrui l’unico contenuto di ciascuno, rendendo impossibile, a patto – appunto – di tradire la coerenza, qualsiasi dialogo, figuriamoci una qualche alleanza. Invece è dai tempi di Camillo Benso conte di Cavour che la nostra storia politica è costellata di antagonisti che diventano alleati e viceversa. E non occorre aver studiato Machiavelli (nel ritratto, n.d.r.) per sapere che il cinismo – che è cosa ben più nobile e alta dell’opportunismo – è una componente fondamentale della ragion politica. La corsa verso il governo? Ma si è mai vista in natura una politica che non punti al potere? E non è il potere, se non ci si vuole limitare alla testimonianza e all’esercizio teorico, lo strumento attraverso il quale si possono realizzare le proprie idee e i propri progetti? Dai finiamola con questa nauseante e diseducativa retorica della politica che per essere buona non deve sporcarsi le mani. Poi, magari (e forse probabilmente), il Conte 2 si rivelerà un disastro. Ma questo è un altro discorso. (twitter @ecisnetto)


Scopri di più: www.eticasgr.com

Messaggio pubblicitario con finalità promozionali. Prima dell’adesione leggere i KIID e il Prospetto disponibili presso i collocatori e sul sito www.eticasgr.com Per il terzo anno consecutivo Etica Sgr ha ricevuto il riconoscimento “TOP GESTORE FONDI” tra le Sgr italiane nella categoria “ITALIA SMALL“ dall’Istituto Tedesco Qualità e Finanza, ente indipendente specializzato in indagini di mercato e comparazione di prodotti finanziari in Europa. Analisi condotta su tutti i fondi (classi retail) vendibili in Italia con una storia di almeno 5 anni e con un volume di almeno 7,5 milioni di euro, confrontando il rendimento medio annuo degli ultimi cinque anni e il rischio, su dati Morningstar (1 novembre 2013- 31 ottobre 2018). La categoria “Italia Small” identifica le Sgr con patrimonio gestito in fondi aperti inferiore a 5 miliardi di euro. Per dettagli si rimanda al sito: www.istituto-qualita.com


OUTLOOK III QUADRIMESTRE

PORTAFOGLI IN MOVIMENTO A CACCIA DI APPRODI SICURI di Gloria Valdonio

LA FASE FINALE DEL CICLO ECONOMICO FORNISCE SOSTEGNO AI BOND, AI REAL ASSET E ALLA LIQUIDITÀ. EQUITY? OK SOLO SE LA FED...

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ersa tra sogni e ricordi e immersa nelle note ipnotiche di Space Oddity, l’estate della ricorrenza dello sbarco sulla Luna ha visto gli investitori posizionarsi nella più prosaica attività di “scelte di portafoglio”. Ma che cosa ci riservano i mercati da qui a fine anno? Su quali asset e aree geografiche puntare? Sono le domande ricorrenti a cui seguiranno investimenti specifici. E se Major Tom era molto calmo mentre fluttuava sul suo barattolo di latta, i money manager lo sono molto meno benché ben piantati sulla Terra, anzi, proprio per questo, visto che il pianeta è sempre più fluido tra rivoluzione tecnologica, dazi, migrazioni, la conclamata crisi sino-americana e la nuova crisi irano-britannica, la hard Brexit del neo ministro Boris Johnson e una sempre più rissosa Unione europea. E così, dopo il forte rally del primo semestre (forse di recupero), il mercato ha pochissime certezze.

Le grandi manovre Ma la grande novità con la quale gli analisti devono fare i conti è rappresentata dalla giravolta nelle scelte di politiche monetarie da parte delle Banche centrali, che si sono messe nella posizione di “guardiani della crescita mondiale” entrando in maniera importante nell’arena dei mercati tra gli inattesi tagli della Fed e il nuovo Qe annunciato dalla Bce. Che cosa fare quindi? «Può essere difficile valutare quanto sia sostenibile questo rally orchestrato dalle Banche centrali, ma è chiaro che gli investitori lo stiano già prezzando molto a giudicare dalla parte breve della curva dei tassi», è il commento di Benjamin Melman, global cio asset management di Edmond de Rothschild. Che aggiunge: «D’altra parte a meno che l’attuale scenario non venga smentito da un’inversione dei flussi nelle prossime settimane, gli investitori rimangono particolarmente prudenti. Meno investitori che 18

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Nella foto accanto Eoin Murray, head of investment of Hermes IM. Nella foto in basso John Stopford, portfolio manager di Investec Am

partecipano al rally significa meno probabilità che il rally stesso possa durare. Di conseguenza, negli ultimi mesi abbiamo adottato una dose maggiore di cautela».

La fase tardiva del ciclo Prima delle iniezioni di liquidità delle banche centrali i mercati si stavano avviando verso una fase definita “più tardiva del ciclo economico” e molti strategist si preparavano alla temuta recessione globale nei prossimi dodici mesi. «Il mondo


COVERSTORY Nella foto Valentino Bidone, team asset allocation di Pramerica Sgr

Il “ciclo lungo” Come spiega Valentino Bidone, team

La Top10 degli asset In altre parole il sostegno in prospettiva delle Banche Centrali genera fiducia tra gli operatori, seppur in un quadro macroeconomico con chiaroscuri. Applicando il metodo statistico possiamo dire che, tra gli strategist e gli analisti intervistati da Investire per un outolook di fine anno sulle classi di investimento più promettenti, spiccano - in ordine - obbligazionario corporate, azionario, valute, commodity e obbligazionario governativo core. Non mancano eccezioni all’insegna dell’ottimismo: “Guardiamo con particolare favore all’azionario, in quanto riteniamo che la crescita si stabilizzerà e non ci sarà una recessione nel breve termine”, è il giudizio di Andrew Harmstone, senior portfolio manager del global multi asset team di Morgan Stanley IM. Che aggiunge: «Dato che una recessione negli Stati Uniti è molto improbabile e che parti dell’Europa e i Mercati Emergenti hanno già sperimentato una crescita molto

Andamento storico dei cicli di rialzo dei tassi statunitensi e delle recessioni 12%

10%

Federal Funds Target Rate

non crollerà: nonostante il rallentamento congiunturale, ci sarà ancora crescita», è il commento di Stefan Kreuzkamp, chief investment officer di DWS. «Ma diversi rischi politici e di mercato potrebbero tuttavia mettere fine a una ripresa da record». A fronte di questo scenario, in una prospettiva a dodici mesi, Kreuzkamp prevede il Dax a 12.300 punti e lo S&P500 a 3.000, con il dollaro a quota 1,15 nei confronti dell’euro. Il fatto di essere immerse nella fase finale del ciclo economico è un elemento che logicamente fornisce sostegno alle obbligazioni rispetto alle azioni, così come ai real asset rispetto al mondo del credito, e alla liquidità rispetto al settore delle materie prime. «Tuttavia, se la Fed ritornerà ad allentare la propria politica monetaria, allora gli asset di rischio saranno potenzialmente in grado di beneficiare di un’ultima spinta», spiega Eoin Murray, head of investment di Hermes IM. «E il biglietto verde sembra ragionevolmente destinato a conservare il proprio supporto, a seconda della portata dei tagli dei tassi statunitensi, da qui fino a fine anno». Per costruire un portafoglio efficiente bisogna quindi tenere conto di questa “intromissione” delle Banche centrali cercando di diversificare il rischio. Secondo Melman, se il mercato azionario comincerà a correre, «i portafogli dovranno avere componenti come titoli governativi americani che fungano da contrappeso, o altre componenti come l’oro».

asset allocation research di Pramerica Sgr, ci troviamo nella fase matura del ciclo economico che, rispetto al passato, si è allungato per effetto sia di cambiamenti strutturali dell’economia a causa della rivoluzione tecnologica, sia dell’azione preventiva delle Banche centrali. «Rispetto al passato quindi la crescita media è inferiore, ma il ciclo ha una durata maggiore», dice Bidone. «In altre parole il significativo “re-rating” degli indici azionari è avvenuto per la presa di coscienza del fatto che non ci troviamo di fronte a una recessione, ma a un rallentamento della crescita economica globale». Il pensiero condiviso è comunque che il rallentamento della crescita mondiale rappresenti un problema per i mercati finanziari e che le eventuali iniziative di natura monetaria e/o fiscale non riusciranno ad avere un impatto immediato. «Pertanto al momento sono da preferire le obbligazioni governative e quelle corporate investment grade dell’Eurozona», afferma Pierluigi Ansuinelli, portfolio manager di Franklin Templeton Multi-Asset Solutions. «Tuttavia non credendo in una recessione imminente giudichiamo opportuno mantenere in portafoglio posizioni azionarie sebbene con un approccio più tattico».

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anemica (Brasile, Messico, Indonesia, Sudafrica e Corea hanno tutti registrato una crescita negativa del Pil nel primo trimestre del 2019), riteniamo che un allentamento coordinato si rivelerà di stimolo per l’economia globale e, di conseguenza, sosterrà le attività più rischiose». In ogni caso è opinione comune che sia necessario proteggere bene i portafogli. Come spiega John Stopford, portfolio manager di Investec AM, le opzioni continuano a essere molto interessanti perché conservano prezzi attrattivi. Questo implica che gli investitori valutino basso il rischio di incertezze future, e che questi strumenti permettano di partecipare al rialzo dei mercati, qualora si verifichi. «Mi sembra che si stia delineando un quadro in cui le azioni possono salire del 20% in un anno o anche crollare del 30-40%: per questo le opzioni sono una soluzione ottimale».

Nella foto Andrew Harmstone, senior portfolio manager del global multi-asset team di Morgan Stanley IM

OBBLIGAZIONARIO

IL MIO NOME È BOND, CORPORATE BOND Prevale la necessità di controllo del rischio, beneficiando del trend di prezzi obbligazionari in aumento per i titoli governativi, e la ricerca di rendimenti elevati sfruttando i titoli corporate

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a andiamo con ordine cominciando dai bond, che sono l’asset preferito in questa fase dalla maggior parte dei money manager. Che cosa mettere nel carrello tra governativi, corporate, high yield, investment grade, eccetera? L’idea centrale è che un contesto di inflazione dimessa come l’attuale e tassi di rendimento di nuovo in discesa forse per un discreto lasso di tempo comportino almeno due precise scelte di portafoglio: il controllo del rischio, beneficiando del trend di prezzi obbligazionari in aumento per i titoli governativi, e la ricerca di rendimenti elevati sfruttando i titoli corporate e quelli dei Paesi emergenti. «ll comparto corporate offre ancora valore se lo scenario è quello, soprattutto in Europa, di una nuova riapertura degli acquisti da parte della Bce», dice Bidone. Secondo Morgan Stanley, dopo il forte calo dei rendimenti obbligazionari nei mercati sviluppati dall’inizio dell’anno, la crescita si annuncia sempre più limitata. Tuttavia con la probabile prosecuzione dell’allentamento monetario e l’aumento della quota di obbligazioni con rendimenti negativi, i money manager sono alla ricerca di opportunità idiosincratiche. Un esempio è rappresentato dalle obbligazioni italiane. “La curva dei rendimenti italiani è l’unica tra i mercati sviluppati a offrire ancora un carry relativamente elevato», dice Harmstone. «Inoltre la curva è molto ripida sul breve termine e questo, di conseguenza, favorisce il rendimento generato dal rollover». Il potenziale di maggiore volatilità del mercato italiano sarebbe poi diminuito, anche in virtù dell’azione del governo italiano, che ha adottato un approccio più costruttivo con la Bce. 20

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Nella foto Olivier Marciot, senior portfolio manager di Unigestion

L’investment grade e il debito EM È inoltre opinione prevalente che, nonostante le preoccupazioni di ampio respiro correlate all’aumento dei livelli di indebitamento e alla flessione in termini di qualità, la maggiore duration del segmento investment grade fornisca un sostegno maggiore in termini di rendimenti totali rispetto all’high yield. «Inoltre, nel caso in cui le preoccupazioni legate a una fase recessiva dovessero aumentare, ci potremmo attendere maggiori ripercussioni proprio sul segmento dell’obbligazionario ad alto rendimento», spiega Murray. A livello geografico poi le preferenze della maggior parte degli investitori intervistati vanno al debito dei Mercati Emergenti. «Nel complesso la nostra esposizione preferita si trova nel debito in valuta locale EM», dice Harmstone. Questa preferenza è sostenuta da una combinazione di rendimenti reali relativi interessanti, un sentiment di supporto e una view che presuppone solidi fondamentali. Inoltre un numero crescente di Banche centrali dei Paesi emergenti dovrebbe tagliare i tassi di interesse nel 2019, tra prospettive d’inflazione favorevoli e crescita debole”.


COVERSTORY Nella foto Massimo Saitta, direttore investimenti di Intermonte Advisory e Gestione

I dissidenti Ovviamente non mancano i dissidenti anche tra gli strategist. Le preferenze vanno all’euro per esempio per il team di DWS: «Preferiamo l’euro al credito in dollari sia investment grade che ad alto rendimento a causa dei fondamentali sottostanti e della riduzione dei differenziali di rendimento, mentre i costi di copertura in dollari rimangono elevati per gli investitori in euro», è il commento di Christian Hille, head of multi asset di DWS. «In questo momento siamo orientati verso il credito high yield con finalità di carry, in quanto l’azione delle Banche centrali posticiperà la fine del ciclo e ridurrà le probabilità di recessione nel breve e medio termine», afferma Olivier Marciot, senior portfolio manager di Unigestion. Per Massimo Saitta, direttore investimenti di Intermonte Advisory e Gestione, infine, non si può lasciare indietro il Treasury, che godrà per primo del ritorno all’espansione di bilancio della Fed, e i titoli governativi periferici europei, «Che sono i favoriti dalla politica accomodante della Bce, visto che quelli core hanno ormai rendimenti negativi salvo che per scadenze molto lunghe».

AZIONARIO

LA CORSA DEI TITOLI CICLICI Hanno accumulato meno performance e nel medio periodo beneficiano della coda di un rialzo degli indici. I preferiti sono i bancari e gli industriali. Buone prospettive anche per lusso ed energia

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on sono la prima scelta, ma vengono subito dopo i bond. Nonostante il rally messo a segno da inizio anno, l’opinione prevalente è che da qui fino alla fine del 2019 le azioni possano stupire in maniera positiva dopo qualche mese estivo più volatile. Secondo DWS, mentre i mercati obbligazionari hanno prezzato il taglio dei tassi a causa di una crescita economica più debole e di

una bassa inflazione, le azioni hanno fatto registrare nuovi massimi storici, dato l’atteso allentamento della politica monetaria e le speranze di una stabilizzazione dei dati sulla crescita economica e degli utili. «Le speranze di due tagli dei tassi d’interesse da parte della Fed continueranno a tenere sostenuto l’equity, con il costo-opportunità di investimenti altrove che sarà troppo alto per gli investitori», è l’opinione di Vincenzo Longo, strategist di IG Market. Anche Harmstone di Morgan Stanley è molto positivo verso l’azionario. «Crediamo che la crescita si stabilizzerà, per l’azione delle Banche Centrali sia nei mercati sviluppati che in quelli emergenti, mentre la Cina continuerà a stimolare la crescita attraverso leve di politica fiscale». E ancora. «Le valutazioni azionarie non sono particolarmente attraenti, ma con tassi d’interesse così bassi per ancora lungo tempo, le alternative sono altrettanto poco seducenti», è il parere del team multi asset di GAM. Meglio i ciclici Ma che cosa scegliere? Secondo Murray in questo universo sono stati i settori growth ad avere messo a segno le performance migliori dall’inizio dell’anno e, di fronte alla politica monetaria accomodante sostenuta dalla Fed, hanno la possibilità di continuare a registrare risultati migliori rispetto al segmento value, nonostante la fine del ciclo sia all’orizzonte. «Può darsi», aggiunge Murray, «che assisteremo a un recupero dei titoli value rispetto ai growth solo dopo la prossima fase recessiva. A questi livelli molti titoli cosiddetti “interest sensitive” hanno già oltrepassato la loro valutazione fondamentale».

Bancari, soprattutto made in Italy Secondo Saitta, tra i ciclici, sono da preferire i titoli che hanno accumulato meno performance pregressa e che nel medio periodo beneficiano della coda di un rialzo degli indici che parte già dalla doppia cifra. In questo contesto spicca il comparto bancario, e quello italiano in particolare. «I titoli italiani trattano ancora molto a sconto rispetto agli istituti europei, hanno avuto benefici dall’apprezzamento del Btp e dalla chiusura dello spread e, nonostante l’attività caratteristica fatichi a causa proprio dei tassi in discesa, possono ugualmente salire» dice Saitta. La preferenza va al settore finanziario ansettembre 2019 9

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Nella foto Vincenzo Longo, strategist di IG Market

che per Pramerica che, pur con prospettive di marginalità non elevate, è a sconto in termini di valutazioni e si è già adeguato a una stringente regolamentazione. Semaforo verde poi per il settore energetico in virtù della generazione di cassa, e quindi di “dividend yield”, che lo contraddistingue. E anche per il lusso, preferito per la crescente domanda proveniente dalle economie emergenti. Secondo Morgan Stanley infine sono i settori più ciclici, come gli industriali, che cominceranno a sovraperformare nella seconda metà del 2019. «Siamo sempre più negativi invece nei confronti dei settori difensivi come utilitiy, real estate e beni di prima necessità, che hanno già beneficiato del calo dei rendimenti obbligazionari e del sentiment risk-off», è infine il commento di Harmastone.

VALUTE

ALLA RICERCA DEL TIMING DELLE BANCHE CENTRALI

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alute deboli in trading range in attesa delle manovre di allentamento monetario. A parte la valuta giapponese, le migliori prospettive di guadagno sono offerte dal carry sulle valute dei Mercati emergenti È il capitolo più insidioso, quello dove gli outlook divergono di più. L’idea prevalente è però quella di DWS, secondo cui la maggior parte delle valute si muoveranano intorno ai livelli attuali, visti gli sforzi convergenti dei policy maker globali di mantenere le valute deboli. «I differenziali di crescita economica uniti a quelli sui tassi d’interesse continueranno ad avere un forte impatto sulle valute e il dollaro si dovrebbe mantenere forte nei confronti dell’euro» è la view di Ansuinelli, «ci aspettiamo in ogni caso una maggiore stabilità nei movimenti valutari a causa del mix di rallentamento economico, Banche centrali in azione e flussi d’investimento». Tuttavia quando tutti gli Istituti centrali adottano politiche accomodanti si tende ad avere un effetto collaterale nella svalutazione delle rispettive valute. Il timing dell’azio22

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ne delle Banche centrali è quindi fondamentale. «Le fluttuazioni delle valute in un mondo in cui tutte le macro-aree economiche adottano politiche espansive sono prevalentemente il frutto degli sfasamenti temporali nell’adozione di tali manovre», spiega Saitta. Che però aggiunge: «In ogni caso ci aspettiamo una progressiva svalutazione del dollaro in corso d’anno proprio in virtù della massa d’urto sia monetaria sia fiscale con la quale la Fed interverrà. E come conseguenza dovremmo anche assistere a una ripresa delle valute dei Paesi emergenti», dice Saitta.

L’incognita dollaro Come emerge dalle interviste sulle valute, e sul dollaro in particolare, i pareri sono spesso divergenti. Murray ritiene che - sostenuta dalla relativa solidità dell’economia nazionale - la valuta Usa debba rimanere forte, in particolare nel confronto con le materie prime e rispetto alle valute dei Mercati emergenti. Al contrario Bidone di Pramerica ritiene che il dollaro abbia ormai esaurito la sua forza per il venir meno del differenziale di crescita con il resto del mondo, per un deciso cambio di atteggiamento nel percorso futuro della politica monetaria e per un peggioramento dei deficit di bilancio e di partite correnti. «La mia preferenza, all’interno dei Mercati sviluppati, va all’euro, alla corona norvegese, al dollaro australiano e al franco svizzero» dice lo strategist. Yen sugli scudi Quanto alle altre valute occidentali, una menzione particolare va allo yen considerato all’unanimità una delle migliori valute a disposizione e che, nonostante il recente rally, resta poco costoso mantenendo intatte le sue caratteristiche difensive. L’euro, che ha mostrato un certo grado di sofferenza rispetto al biglietto verde, per gli strategist ha un potenziale maggiore nel lungo termine. Chiude la sterlina, che ha avuto una delle peggiori performance nei mesi centrali dell’anno a causa dei timori di “hard Brexit” che si sono fatti più consistenti dopo la nomina di Boris Johnson, e nei confronti della quale prevalgono valutazioni di segno opposto rispetto allo yen. «La sterlina soffre di una crisi dal lato dell’offerta, di bassa produttività e di un’inflazione relativamente alta. Crediamo perciò che la Banca d’Inghilterra possa alzare i tassi di interesse più degli sconti di mercato al fine di sostenere la valuta», è il parere di Stopford. Valute emergenti in recupero In questa cornice, secondo gli strategist, una selezione di valute di Paesi emergenti potrà offrire interessanti prospettive di guadagno alla luce del “carry” rispetto ai Paesi sviluppati. Per Longo, queste valute potrebbero approfittare dei tagli dei tassi della Fed per recuperare terreno. «Il debito finanziario subordinato e le obbligazioni dei Paesi emergenti in hard-currency offrono ancora punti di ingresso interessanti», conferma Melman di Edmond de Rothschild.

Valute deboli in trading range in attesa delle manovre di allentamento monetario. A parte lo yen, le migliori prospettive di guadagno sono offerte dal carry sulle valute degli emergenti


COVERSTORY COMMODITY

OGGI IL PLATINO BRILLA PIÙ DELL’ORO

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e un dollaro meno aggressivo e le speranze di una stabilizzazione congiunturale di Paesi chiave, come Cina, India e Brasile potrebbe rappresentare un’opportunità, le commodity potrebbero al contrario soffrire proprio a causa del rallentamento della crescita globale, a eccezione dell’oro nei confronti del quale tutti gli strategist hanno una view moderatamente positiva, e in molti casi molto positiva. Secondo Murray infatti una crescita globale moderata potrebbe minare l’universo delle materie prime nel suo complesso. Ma quali sono nel dettaglio i principali consigli degli strategist? Come detto, buy secco sull’oro («In un contesto di crescente incertezza e tassi d’interesse stabili o in discesa, l’investimento in gold diviene di nuovo interessante come diversificatore del rischio di portafoglio», dice Ansuinelli), e un incerto “hold” sull’oro nero. «Come per lo yen, l’oro sta funzionando abbastanza bene come diversificatore nei portafogli multi asset a causa dei bassi rendimenti, mentre il petrolio dovrebbe rimanere legato al range bound e guidato politicamente», è il commento di Christian Hille.

Le materie prime potrebbero soffrire sensibilmente del rallentamento della crescita. Ma l’oro funzionerà bene come diversificatore nei portafogli multi asset Nella foto in alto Nitesh Shah, directore research di WisdomTree

La gara tra i metalli preziosi negli ultimi otto anni

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FONTE: VAN ECK, BLOOMBERG

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Oro giallo Come spiega Joe Foster, strategist di VanEck, a giugno il prezzo dell’oro è cresciuto in modo significativo, forse storico, sfondando il suo trading range. Ma il trend potrebbe continuare. «Le recessioni non sono necessariamente fattori trainanti per l’oro», spiega Foster. «Tuttavia, le difficoltà finanziarie che spesso accompagnano i periodi di crisi possono dar luogo a una fase rialzista per l’oro e per i titoli auriferi». Non solo. Secondo una ricerca di UBS, nell’ultimo trentennio in quattro casi su cinque l’oro ha guadagnato durante un ciclo di riduzione dei tassi da parte della Fed. Oro nero... Passando dall’oro al petrolio, il target previsto da Longo per il WTI (seppure in un contesto volatile) oscilla nel range 60-65 dollari al barile. «Il prezzo del petrolio tende a fare bene nelle fasi finali di un ciclo economico, ma», come spiega Franklin Templeton, «le prospettive di un rallentamento economico globale maggiore di quanto pronosticato, a causa di una minore domanda, complica anche il controllo dell’offerta da parte di Opec e della Russia, poiché i Paesi produttori devono bilanciare la necessità di incassare i profitti dalla vendita di greggio con la necessità di mantenere elevato il prezsettembre 2019

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FONDI/AREA GEOGRAFICA

zo del petrolio”. Il giudizio di Intermonte è positivo su entrambe le commodity: l’oro perché rappresenta l’ancora “reale” all’inflazionamento di tutti gli asset finanziari e di una prospettica ripresa dell’inflazione (che rimane il target di riferimento delle Banche centrali); il petrolio perché il suo rialzo rappresenta la chiusa finale dei bull market: «Penalizzato dalla recrudescenza della guerra commerciale, dovrebbe progressivamente riapprezzarsi specie se le politiche di espansione fiscale prenderanno il sopravvento», spiega Saitta. Secondo Nitesh Shah, director research di WisdomTree, le ipotesi di chiudere lo Stretto di Hormuz, snodo cruciale attraversato dal 30% del greggio scambiato via mare e dal 30% del commercio mondiale di Gnl (gas liquefatto), sono un rischio geopolitico sottovalutato che potrebbe risultare però vantaggioso per una strategia di investimento long sul greggio Brent.

...e altri metalli Infine anche il palladio potrebbe registrare un rally, nonostante abbia già segnato un incremento del 140% negli ultimi tre anni, mentre il platino, suo metallo gemello, nello stesso periodo ha registrato un piccolo incremento del 35%, principalmente a causa dello scandalo del “dieselgate” del 2016. «Per il platino è cominciata la ripresa dei prezzi e i fondamentali indicano un ulteriore rialzo nel 2019», spiega Aneeka Gupta, associate director research di WisdomTree. «Lo scorso marzo il rapporto tra palladio e platino ha stabilito un record (1,888, n.d.g.) e da allora ha iniziato a scendere poiché i prezzi del platino sono in ripresa e quelli del palladio in declino».

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PAROLA D’ORDINE: AMPIA DELEGA AL GESTORE

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a su quali aree geografiche puntare in questa fase confusa? E quali scegliere tra i fondi dedicati (per esempio, Italia, area euro, America, Paesi emergenti) per catturare valore da qui a fine anno? Non c’è consenso tra gli strategist, ma la premessa espressa da Alberto Brioschi, responsabile Active Advice di Cassa Lombarda, è largamente condivisa: «Sebbene non vi siano rischi di recessione, la volatilità dei mercati dovrebbe continuare a mantenersi elevata», dice. «In tale contesto privilegiamo fondi multi asset e flessibili, con ampia delega al gestore di aggiustare il posizionamento alle mutate condizioni». E’ opinione comune inoltre che il mantenimento di investimenti obbligazionari a breve termine, pur con rendimenti estremamente compressi, possa rivelarsi utile per cogliere opportunità nei prossimi mesi.

Portafogli benchmark In ogni caso i portafogli di Franklin Templeton e di Intermonte sono due modelli che rispecchiano due scuole di pensiero. Per Franklin Templeton ben il 45% dovrebbe essere destinato ad azioni globali con preferenza per il mercato Usa; un altro 45% a titoli obbligazionari in prevalenza governativi dell’area euro (e contratti futures per la parte Usa), seguiti da obbligazioni societarie di Pa-

Con la volatilità alta la preferenza degli strategist va a fondi multi asset e flessibili. Mercati preferiti? Usa per l’azionario e emergenti per l’obbligazionario

Nella foto Joe Foster, strategist di VanEck

esi sviluppati e titoli governativi di Paesi emergenti, che possono beneficiare della “caccia al rendimento” in un mondo di tassi sempre più bassi. Maggiore peso ai bond nel portafoglio di Intermonte (ben il 60% degli investimenti), ripartiti tra Usa, emergenti in valuta locale e obbligazioni dei Paesi periferici europei, seguiti dal 30% di titoli azionari, dal 5% di investimenti in oro e dal 5% di liquidità.

Tra Washington-Pechino Nonostante la guerra tecnologica, paradossalmente c’è molta America e anche Mercati emergenti nei portafogli dei gestori. «Se guardiamo agli attuali driver di performance, alla situazione congiunturale e al trend politico ed economico, la maggioranza dei fattori continua a far preferire i fondi esposti sugli Stati Uniti rispetto alla maggior parte delle altre regioni», spiega Christian Schmitt, senior portfolio manager di Ethenea Independent Investors. Per Murray invece i Mercati Emergenti si trovano adesso in una condizione di minore dipendenza dalle maggiori economie occidentali, minore leva e sono più resistenti ai movimenti negativi dei mercati. «In Cina, poi, la pianificazione delle politiche è ormai consolidata e concentrata esplicitamente sulla riforma dal lato dell’offerta», spiega lo strategist. In altre parole la Cina sembra ora interessarsi seriamente al programma di risettembre 2019


AZIMUT LIBERA IMPRESA EXPO 29-30 OTTOBRE 2019 - MILANO RHO FIERA

CUORE & MOTORE DELL’IMPRENDITORIA ITALIANA L’evento dell’anno, punto di incontro tra Economia Reale e risparmio gestito.

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10.000

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Storie

di

successo


forma, che dovrebbe sostenere le prospettive strutturali per la sua economia e per il suo mercato azionario.

tazioni particolarmente basse sia confrontate con gli altri comparti, sia rapportate al proprio passato. «Al momento lo sconto rispetto alle valutazioni di medio termine dei due settori è quantificabile a livello globale nell’ordine del 10-15%, fino ad arrivare al 20% per le auto europee», spiegano gli strategist di Gam. Che aggiungono: «Nel caso l’economia uscisse dalla fase di rallentamento, questa scelta potrebbe diventare paradossalmente difensiva, anche in virtù di un possibile riposizionamento degli operatori con conseguente rotazione settoriale». Anche per Pramerica la preferenza va al settore finanziario che, pur con prospettive di marginalità non elevate, è fortemente a sconto in termini di valutazioni e si è già adeguato a una stringente regolamentazione. «Sono interessanti poi il settore energetico per la generazione di cassa e quindi di “dividend yield”, e il lusso per la minore sensibilità al ciclo economico e la crescente domanda proveniente dalle economie emergenti», sostiene Bidone .

Europa pronta al rimbalzo Anche i fondi specializzati sull’azionario europeo possono dare soddisfazioni, nonostante in Europa, con l’esclusione del Regno Unito, i fondamentali continuino a essere deboli, e le imprese operanti sia nel mercato domestico sia nell’export siano sotto pressione. “Ci sono, è vero, segnali che la crescita interna possa essere in calo in Europa – dice Stanford – Ma questo fattore, unito a valutazioni depresse e sentiment negativo, offre il potenziale per un rimbalzo a più breve termine”.

FONDI SETTORIALI

FIDUCIA NEI DIFENSIVI

È

certo che siamo entrati nella fase finale del ciclo economico (anche se nessuno sa “quando”, e anche “se” finirà) e per gli strategist le preferenze vanno soprattutto ai fondi che investono in settori difensivi, in particolare healthcare e food&beverage, che dovrebbero garantire minore volatilità. Altri settori caldi sono la tecnologia, ma a condizione che non sia limitata ai titoli del gruppo FANG e ai

Le preferenze degli strategist vanno in particolare a settori come healthcare e food&beverage che dovrebbero garantire una minore volatilità

soli Paesi sviluppati, e i titoli finanziari, ma in questo caso in modo selettivo perché le imminenti politiche monetarie espansive avranno effetti differenti a livello nazionale. Consultique fornisce anche qualche indicazione precisa di titoli vincenti da individuare nei portafogli dei fondi: CHR (enzimi e cibi biologici) e Carl Zeiss (strumenti ottici) in Europa, Humana e UnitedHealth (assistenza sanitaria privata), Intuitive Surgical e Stryker (strumentistica chirurgica) negli Usa. A causa dei numerosi elementi di incertezza economica, specialmente nell’industria manifatturiera, gli analisti consigliano di limitare invece l’esposizione ai fondi che investono in segmenti ciclici anche se, come spiega Schmitt, «in alcuni segmenti con una crescita strutturale più solida, come per esempio la tecnologia e alcuni beni di consumo, si possono trovare opportunità con un’attenta strategia di stock picking: per questo motivo, vanno preferiti fondi value a gestione attiva». Auto e banche La parole d’ordine in ogni caso è quindi “cautela”, poiché tra gli analisti in fondo c’è un’unica certezza: la volatilità in aumento. «La volatilità crescerà, come pure le fasi di debolezza di mercati a cui mancherà la spinta della crescita economica, degli utili societari e dell’efficacia delle politiche monetarie», conferma Paolo Longeri, head of research di Consultinvest AM. Quanto al settore finanziario, secondo il team multiasset di Gam, in Europa, in ottica contrarian/value, le banche – così come le auto - presentano valu26

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Nella foto Christian Hille, head of multi asset di DWS

Small & Mid-Caps Possono riservare buoni rendimenti nell’ipotesi di una stabilizzazione dei fondamentali infine i fondi specializzati nelle Small&Mid Cap, in particolare in Europa, dato il potenziale di crescita più elevato rispetto alle large cap e alla crescente attività di M&A. Quanto ai titoli industriali, secondo DWS, vanno sottopesati a causa della più marcata debolezza dello spazio produttivo per il prevalente conflitto commerciale che pesa sugli utili e sugli investimenti delle imprese. «Il valore delle azioni è a buon mercato, ma non sembra esserci un’inversione di tendenza a breve termine, finché i tassi di interesse non raggiungeranno il minimo storico e la dinamica macroeconomica sarà più positiva», conclude Hille.


Le sfide più importanti sono quelle affrontate insieme. Un partner su cui poter contare è fondamentale. Da 35 anni siamo al fianco di famiglie italiane, grandi gruppi bancari e investitori istituzionali per accompagnarli nella scelta delle migliori soluzioni di investimento. Senza fermarci mai. Ecco come siamo diventati il più grande gruppo indipendente in Italia. Ed ecco perché siamo stati premiati come migliore società di gestione italiana anche nel 2019 *. Ora lo sai: se cerchi un partner per andare lontano, puoi contare su di noi. Contatta il tuo consulente o visita il sito www.animasgr.it

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INTERVISTA AD ALESSANDRO FOTI

IERI, OGGI, DOMANI FOTI RACCONTA FINECO di Marco Muffato

A

rchiviato il miglior semestre di sempre (con utile superiore ai 137 milioni di euro) e con la testa alla campagna autunnale che si annuncia impegnativa, per FinecoBank è tempo di festeggiare i suoi primi 20 anni. Ricchi di sfide e di soddisfazioni, come racconta a Investire il suo amministratore delegato e direttore generale Alessandro Foti, grande protagonista dell’ascesa irresistibile della banca di Piazza Durante. Foti, prima eravate governati da una public company. Dopo l’uscita dell’azionista di riferimento Unicredit adesso la public company siete diventati voi. Con quali vantaggi? La public company è il miglior garante per i nostri tre stakeholder: azionisti, clienti e chi lavora in azienda. Sia chiaro, il mercato è un padrone feroce e spietato però è razionale, una volta che gli dai ciò che vuole – ovvero ritorni importanti, crescenti nel tempo, visibili e sostenibili, che ottieni con un ammontare di rischi gestibile - è contento. La mancanza di un azionista di controllo garantisce il mercato sull’assenza di qualcuno portatore di interessi divergenti e confliggenti. Essere public company è una garanzia anche per i clienti perché il mercato vigila affinché non ci si approfitti dell’asimmetria informativa con i risparmiatori per varare politiche commerciali di breve periodo. Infine è una garanzia per chi ci lavora, dipendenti e cf compresi, perché un’azienda che lavora con l’obiettivo di creare un flusso di utili crescenti nonché robusti e sostenibili nel tempo ha più probabilità di rimanere sul mercato e di assicurare condizioni di lavoro stabili nel tempo. Come ha accolto la rete e in genere la vostra struttura la nuova condizione di banca multicanale indipendente? Non si è quasi accorta della differenza. È avvenuto tutto in assoluta continuità anche perché l’azienda non ha cambiato di una virgola il modo in cui lavora e in ogni caso tengo a sottolineare che non venivamo da una situazione in cui l’azionista di controllo ostacolava il nostro lavoro. Per quanto riguardo la rete crede che l’attività di reclutamento possa giovarsi dell’essere diventati una public company … È sicuramente una leva. Se fossi un consulente finanziario che pensa di fare questo lavoro per un lungo periodo tempo e con successo, aumentando il proprio business e con la garanzia di godere di grande rispetto dai propri clienti, questa è l’azienda ideale dove venire a lavorare e l’essere public company è un

«ESSERE UNA PUBLIC COMPANY È LA MIGLIOR GARANZIA PER I NOSTRI STAKEHOLDER: AZIONISTI, CLIENTI, DIPENDENTI E CONSULENTI FINANZIARI»

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ulteriore garanzia. Aggiungo che il grosso della nostra crescita come raccolta è prevalentemente organico: il reclutamento non è fatto tanto per raccogliere asset ma va soprattutto nella direzione di migliorare la qualità della rete. L’obiettivo è portare a bordo professionisti coerenti con l’evoluzione del mercato, che


COVERSTORY sta aprendo opportunità straordinarie per il mondo della consulenza finanziaria. Facciamo un passo indietro, quali sono gli eventi chiave nei vostri primi vent’anni? Partirei dalla comparsa dei canali digitali. Il primo impatto dirompente fu nel brokerage a fine anni ’90 e a seguire nell banking. Nel biennio 2003-2004, la consulenza finanziaria ha iniziato a prendere confidenza con i canali digitali. Un percorso di avvicinamento complicato, la reazione tipica del cf di fronte ai canali digitali era “mi rubate il lavoro”. La grande svolta avviene nel 2008 con la fusione tra Fineco e Xelion, all’interno del gruppo Unicredit, che coinvolge 3000 cf. Ci ponemmo il problema del modello di business optando per un modello di stretta contiguità tra canali digitali e consulenti finanziari. Non le nascondo che attraversammo momenti difficili, le reazioni furono negative da parte di molti cf, che contestarono il modello e decisero di lasciare la società. Quali erano le ragioni di questa refrattarietà dei consulenti finanziari?

finanziari - agenti monomandatari il cui equivalente in Europa sono i tied agents - sono un punto di forza. Tra l’altro in casi malaugurati di frode, il fatto che si è in presenza di un agente che lavora per una sola società comporta che la mandante risponda in toto di quell’agente esattamente come se fosse un dipendente. La clientela vede il cf come un’estensione del sistema bancario e questo è un punto di forza fortemente voluto dai regulator, a partire dalla Banca d’Italia. Nemici in questi vostri primi 20 anni? Ci siamo sempre confrontati con competitor. Il nemico è qualcuno che scientemente cerca di farti del male. In questo senso non possiamo dire di aver avuto dei nemici. Ora che siete padroni del vostro destino potete pensare a un coinvolgimento azionario importante di consulenti e dipendenti sul modello di Azimut? No. C’è una grandissima differenza tra noi e Azimut, noi siamo una banca e loro no. Sospetto che un modello dove l’azionista di controllo siano i consulenti che lavorano per l’istituto sia difficilmente accettabile dai regulator. L’essere banca comporta raccogliere depositi e prestare soldi, con tutta una serie di obblighi e di vincoli che un’azienda non bancaria non ha. Con questo non voglio dire che Azimut abbia un modello di governance negativo, ma è difficile che venga accettato dai regolatori nel caso sia proposto da una banca. Dopo l’uscita di scena di Unicredit, BlackRock è diventato il vostro primo azionista con una quota di poco superiore al 10%. Timori per la vostra autonomia? BlackRock in un comunicato ha parlato di una partecipazione assunta sulla base della decisione dei loro portfolio manager senza alcuna intenzione di interferire nella gestione dell’azienda, sulle strategie commerciali, eccetera. È una posizione molto sensata, sarebbe inusuale un approccio diverso… Esclude in linea di principio che un asset manager internazionale possa cercare un rapporto più strutturato, esclusivo, con una rete di consulenti finanziari italiani? Se osserviamo in giro per il mondo non mi sembra che ci siano esempi di integrazione così intensi tra asset manager e distributori. Prima di fare un passo di questo genere l’asset manager dovrà valutare con attenzione il problema del conflitto di canale. Se vorrà utilizzare un canale distributivo privilegiato in Italia, che sia o meno già operante in Italia, dovrà essere consapevole che poi gli altri canali concorrenti chiuderanno alla sua offerta. Mi sembra che l’industria dell’asset management non abbia ancora sciolto questo nodo. Esistono dei modelli dove c’è una profonda integrazione tra asset manager e distributori ma riguarda aziende che fin dall’inizio si sono caratterizzate in questa maniera e comunque non si tratta di banche. E quindi se un asset manager vi proponesse di lavorare in esclusiva per loro? Le rispondo così, Fineco non è solo rete cf e risparmio gestito ma è molto di più: è una delle piattaforme di transactional banking più utilizzate in Italia. E poi non possiamo dimenticare che siamo la piattaforma di riferimento del brokerage, abbiamo più del 50% della quota di mercato del retail brokerage e questo vuol dire che un italiano su due quando compra azioni usa la piattaforma Fineco. Il concetto dell’asset manager che si compra la

«LA GRANDE SVOLTA PER NOI RISALE AL 2008, CON LA FUSIONE TRA FINECO E XELION» Asserivano che l’unico vero customer care del cliente fossero loro e non i contact center. Inoltre non accettavano che il cliente potesse agire liberamente sulla piattaforma senza passare per il cf e che la banca potesse contattare direttamente il cliente. La stessa bancarizzazione del cliente era giudicata negativamente dal cf. Per fortuna con il tempo questo modello è stato tranquillamente accettato, al netto di qualche ormai solitario contestatore. Come tutti avete dovuto fare i conti con le grandi crisi finanziarie, in particolare quelle del 2008 e del 2011… Tra i tanti effetti delle due crisi, ne evidenzio uno positivo: sono servite a chiarire ai clienti il perimetro del concetto di rischio. Se ho i miei soldi depositati sui c/c di una banca o compro obbligazioni di istituto io mi sto prendendo il rischio patrimoniale della banca stessa. In tal modo i clienti hanno compreso che le banche non sono tutte uguali e che possono avere problemi. Seguire chi offre il tasso più alto si è rivelata una palestra di educazione finanziaria sul campo perché ha fatto capire ai clienti, dati alla mano, che in finanza non esistono pranzi gratis: alti rendimenti si portano dietro alti rischi e bassi rischi si portano dietro bassi rendimenti, l’equazione di alti rendimenti a bassi rischi non esiste. A seguito di queste crisi è cresciuto tanto anche il mercato della consulenza finanziaria… La crisi del debito sovrano ha reso più consapevole il risparmiatore italiano dei grandi rischi derivanti dalla mancata diversificazione. Questa consapevolezza ha aiutato il nostro mercato a crescere, tanto è vero che abbiamo assistito a uno sviluppo importante della consulenza finanziaria che oggi in Italia vale tra i 400 e i 500 miliardi di euro. Un modello dove i consulenti

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capacità distributiva è quindi molto riduttivo nel nostro caso. Nel risiko delle reti lei si vede più predatore o preda e perché? Non siamo interessati ad alcun ruolo. Noi abbiamo una linea chiara di crescita organica, stiamo raccogliendo più o meno 6 miliardi di euro all’anno che è una crescita molto forte: per capirci, l’anno scorso dei 6,2 miliardi raccolti l’85% sono stati realizzati dalla rete cf in essere e direttamente dalla banca, solo il 15% fa riferimento ai consulenti finanziari reclutati negli ultimi 24 mesi. Onestamente non vediamo per quale motivo dovremmo imbarcarci in operazioni del genere. Come cambieranno i risparmiatori nei prossimi anni? I risparmiatori italiani saranno costretti a cambiare le loro abitudini di comportamento, a causa della grandissima anomalia rappresentata dall’enorme massa di liquidità giacente sui conti correnti. Poniamo che i 1.500 miliardi di euro giacenti sui conti correnti rimangano dove sono per i prossimi 20 anni e ipotizziamo che l’inflazione vada all’1,5%, tenendo conto anche dell’effetto della capitalizzazione composta, quei 1.500 miliardi andranno incontro a un deprezzamento di valore reale superiore al 35%. Se poi l’inflazione dovesse essere del 2% andremmo incontro a un 40-45% di distruzione del potere d’acquisto di questa immensa ricchezza. Gli italiani quindi non possono permettersi di lasciare le cose come stanno e sono convinto che progressivamente guarderanno con più attenzione al nostro mondo. In Fineco nei prossimi dieci anni prevarrà l’aspetto umano o quello tecnologico? Andranno avanti a braccetto, la nostra forza è il rapporto sinergico tra tecnologia e componente umana. Cosa pensa della concorrenza di giganti del Fintech come Amazon e Google per esempio nei sistemi di pagamento? A lei, come banchiere, non dà fastidio. Sui sistemi di pagamento, assolutamente no, anzi lavoriamo in sinergia con questi attori. Prendiamo il caso di Pay Pal, che è molto utilizzata dai nostri clienti pur facendo sempre riferimento ai nostri conti correnti e alle nostre carte. Sono mondi che lavorano in modo complementare e contiguo. Il robo-advisor non è un pericolo? Il cliente fa da sé, senza necessità di consulenti finanziari… Noi abbiamo lanciato il concetto di cyborg-advisory proprio perché non crediamo nel puro robo-advising che funziona bene in un mondo lineare, dove i ritorni e le perdite sono più meno quelle attese. Ma quando ci sono delle discontinuità sui mercati finanziari, come quando ci fu una correzione violentissima nel dicembre dello scorso anno, è difficile che i clienti accettino di interagire esclusivamente con un computer. Anche le situazioni della nostra vita non sono lineari ma continuano a modificarsi, ci si sposa, si hanno dei figli, c’è chi divorzia, si riceve un’eredità. Nel momento in cui il cliente si confronta con le situazioni non lineari della vita deve necessariamente avvalersi di un consulente finanziario che lo aiuta a gestire l’aspetto emotivo e a ridefinire i suoi piani d’investimento. Quello che vediamo è che ci sarà sempre di più una componente tecnologica nel lavoro del cf, che continuerà a costruire un abito su misura per il cliente ma con un approccio altamente tecnologico. Quindi vedo nel nostro settore un progressivo processo di convergenza: con il mondo fisico sempre a più alta intensità tecnologia e con il mondo del puro robo-advicing che, se vorrà sopravvivere, dovrà inevitabilmente immettere persone fisiche nella propria attività. Il suo punto di vista su Libra, la criptovaluta di Facebook 30

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«TROPPA LIQUIDITÀ SUI C/C. VI SPIEGO PERCHÈ I RISPARMIATORI ITALIANI CAMBIERANNO» e che impatto può avere sul sistema bancario “una valuta privata”? Premetto che una valuta è tale nel momento in cui è spendibile e viene utilizzata. Il ben noto Bitcoin non possiamo considerarlo una valuta perché non è spendibile. Il giorno che potrò comprare un’auto con una criptovaluta allora saremo in presenza di una valuta vera e propria. Per quanto riguarda Libra non si ancora come verrà fatta, è quindi difficile esprimere un giudizio in questo momento. Ma il tema è importante e credo che le banche centrali stiano iniziando seriamente a pensare di mettere in circolazione le proprie criptocurrency. Per chiudere, qual è il vostro progetto interno che la sta entusiasmando di più in questo momento? Il lancio della nuova piattaforma che abbiamo preannunciato al mercato alla fine del primo quarter, che permetterà di ampliare molto la capacità di lavoro dei cf. In particolare in quella parte dell’attività che è capire e analizzare esattamente le esigenze dei clienti. La banca grazie alle proprie competenze sarà in grado di mettere a disposizione del cf una serie di attività pre-lavorate così da consentire ai nostri consulenti di concentrarsi in quello che noi definiamo “l’ultimo miglio “della relazione con il cliente e quindi di diventare più efficaci nel proprio lavoro. L’altra piattaforma è collegata al “progetto dei team” e permetterà ai cf, su base volontaria, di condividere tra di loro gruppi di clienti. Questa iniziativa consentirà di mettere assieme cf con diverse skill, diverse seniority. Quello della condivisione dei clienti è un concetto nuovo per l’Italia, ci siamo ispirati alla consulenza finanziaria statunitense dove è pacifico da anni.



L’INTERVISTA

«CON PIÙ CULTURA DEL RISCHIO AVREMO PRATERIE DA CONQUISTARE» di Sergio Luciano

«D

obbiamo superare la logica del ‘non si sa mai’, che è tipicamente italiana ma appartiene al passato, e quando l’avremo superata si apriranno autentiche praterie davanti al nostro business!»: ha il dono della narrazione Marco Passafiume Alfieri, direttore della bancassurance di Cattolica Assicurazioni, società guidata dall’amministratore delegato Alberto Minali, ovvero capo di un’area trainante dell’unica azienda italiana a essere apparsa talmente attrattiva agli occhi di Warren Buffett da indurlo a diventare socio della società cooperativa che controlla la compagnia e a comprare il 9% del capitale tramite la sua finanziaria Berkshire Hathaway.

Dottor Passafiume, praterie ancora più verdi di quelle che hanno attratto Buffett? E cos’è la logica del “non si sa mai”? Quando parlo con un cliente che ha tanti soldi fermi su un conto corrente, a rendere nulla, e gli chiedo ‘come mai lei vuole avere tutti questi soldi immobilizzati’, la risposta è sempre la stessa: ‘Non si sa mai!’. Intendo dire che manca in Italia una moderna cultura del rischio. Si gioca in difesa e basta. Le polizze vita sono arrivate a raccogliere il 15% della ricchezza degli italiani, ma l’85% che resta investito in titoli o, peggio, in liquidità è una fetta grande e preziosa, una prateria di opportunità. Secondo l’ultimo Rapporto Einaudi 2019 la propensione al risparmio è ai massimi storici, il 12,6% del reddito risparmiato, contro il 10% del 2016. Perché riteniamo che risparmiando e non investendo possiamo gestire al meglio i rischi. Non è così! Be’, voi con la vostra cultura della bancassicurazione, dovreste risultare molto convincenti, per i clienti, no? Certamente Cattolica crede da tanto nella bancassurance, già solo gli accordi in essere con Ubi e Iccrea hanno ormai più di 10 anni di storia. Nel ramo vita in particolare la bancassurance ha generato il 60% della raccolta del settore in Italia, è stato quindi il canale preponderante. C’è una ragione tecnica, oltre a quella culturale e di marketing: le polizze unit e multiramo sono inserite all’interno delle proposte di investimento che le banche presentano ai clienti, dunque se vai in banca non puoi non considerarle. E nei rami danni? Be’ lì il mercato è più giovane e la quota più piccola, quindi il dibattito è aperto. Oggi la bancassicurazione danni ha solo il

PARLA MARCO PASSAFIUME ALFIERI «ECCO COSA È PIACIUTO DI NOI AL GURU WARREN BUFFETT»

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Marco Passafiume Alfieri, direttore bancassurance di Cattolica Assicurazioni

7% di quota, non disprezzabile però se si pensa che equivale alla quota dei canali diretti. Alcune banche, come Intesa, stanno accelerando molto sulla bancassurance danni. Del resto dal 2012 a oggi il mercato è cresciuto del 10% all’anno. Io mi spiego il fenomeno molto semplicemente, e positivamente: negli ultimi anni c’è stata una preziosa coincidenza tra domanda e offerta da parte delle banche; da un lato i clienti trovano comodo comprare le polizze in banca per una serie di fattori come la mensilizzazione dei pagamenti sul conto corrente, o la presenza di un consulente che spiega e aiuta. E anche alle banche piace più di prima vendere le polizze perché ne ricavano un buon margine da servizio in tempi in cui i margini da interessi sono magri. Avete rinnovato un ottimo accordo


COVERSTORY con Iccrea, quello con Bpm va bene e state rinegoziando con Ubi: cosa può dirci, al riguardo? Posso dire che siamo soddisfatti della collaborazione con Ubi, siamo partner da più di 10 anni. Ci conosciamo e l’ipotesi di proseguire è interessante per noi. Ma mi fermo qui, perché ci sono ancora molti elementi da valutare. Torniamo all’accordo con Bpm: nel 2018 è nato il nuovo brand Vera: come stanno andando le nuove compagnie Vera Vita, Vera Protezione, Vera Assicurazioni e Vera Financial? Vera ha spento la prima candelina il mese scorso, siamo reciprocamente soddisfatti: facendo il primo bilancio devo dire che in quest’anno abbiamo fatto tantissimo. Era importante ricostruire e rilanciare anche così il business bancassicurativo di Banco

«SUPERANDO LA LOGICA DEL “NON SI SA MAI”, SI APRIRANNO GRANDI SPAZI PER IL BUSINESS» Bpm. Far ripartire la distribuzione bancassicurativa di Banco Bpm ha richiesto investimenti: insieme alla banca abbiamo lavorato per ripartire sul business della bancassicurazione in un modo diverso rispetto al passato, rilanciando la formazione e la comunicazione. Poi c’è stata la costruzione del brand Vera da zero, con la scelta del nome che parla da solo, ovvero una comunicazione basata su parole chiave molto forti e trasparenti, Vicina, Esperta, Responsabile, Affidabile, a formare l’acronimo Vera.. Siamo contenti e sicuri di aver fatto bene, perché siamo certi che se s’investe la bancassicurazione danni può crescere molto e svilupparsi. Anche nella bancassicurazione vita siamo poi cresciuti molto bene e nel 2019 vediamo risultati positivi.… Difficile vendere polizze allo sportello incentivando gli impiegati di filiale su Idd e Mifid? Ogni banca ha il suo sistema incentivante, guidato peraltro da normativa, e quindi gli spazi sono limitati. Quello che si può fare per incentivare i colleghi a una maggiore produzione è aiutarli a formulare proposte coerenti con i profili dei clienti, come previsto dalle direttive. Come conciliate agenzie assicurative e accordi di bancassurance? Non sono canali in conflitto. Per noi le agenzie restano centrali. Hanno un modello di business proprio e sono importanti anche per alcune tipologie di prodotto che in banca non si vende. I due canali sono complementari e centrali entrambi, nel nostro piano industriale. La nostra quota del canale agenti sui danni è intorno al 5%, quindi ci sono molte opportunità da cogliere insieme, almeno il 95% del mercato. Senta, e i canali diretti, in particolare quelli digitali? Come si conciliano con la bancassicurance? Il presupposto è che molti clienti non vanno volentieri in filiale, dunque dobbiamo agire in modalità multicanale. Addirittura dobbiamo trovare, e lo stiamo facendo, un modo per accompagnare le banche nello sviluppo della multicanalità. Oggi offriamo sempre più possibilità di comprare polizze via home

banking, o usando il canale telefonico. Per Banco Bpm e Iccrea abbiamo messo a disposizione della banca la piattaforma Click2go che permette di far tutto dentro la filiale, accedendo dall’home banking in modo integrato, controllando la posizione assicurativa. Le potenzialità ci sono tutte… anche Cattolica ha lanciato di recente una sua app, il progetto è integrarci all’interno delle app della banca, anche per vedere le polizze in essere. Stiamo lavorando sempre di più per offrire questa funzionalità nel 2020… Torniamo a Buffett: averlo come primo singolo azionista non è da tutti. Che effetto vi fa? Siamo l’unica assicurazione italiana in cui Buffet ha investito, avere un investitore come lui, di lungo periodo, chiaramente è motivo di orgoglio per noi e anche per tutti i soci. Punta alla qualità dei risultati e del management. In più da gennaio è anche diventato socio cooperativo. Con Berkshire Hathaway abbiamo anche rapporti di carattere tecnico e riassicurativo. Cattolica si sta trasformando in un’impresa sempre più innovativa. Un altro effetto interessante di questo investimento è stato essere seguiti con più interesse da altri istituzionali, nell’insieme fa capo a fondi Usa il 18% del capitale. È l’effetto-Buffett! E siamo contenti che i risultati diano soddisfazione a chi crede in noi. Per finire: come evolverà in prospettiva il mercato assicurativo italiano, secondo Cattolica? Le opportunità ci sono, le vediamo. Ci sono gli ostacoli culturali che dicevamo, gli italiani sono grandi risparmiatori ma devono essere gradualmente riaccompagnati a essere anche migliori gestori rischi, ci vuole più educazione finanziaria dei cittadini, più formazione del personale bancario. Visto che le opportunità ci sono, dobbiamo attivarle usando queste leve. Dobbiamo lavorare su prodotti semplici ed efficaci, sulla vicinanza al cliente e sul supporto… con una postilla importante, per noi: ci sono tanti modi di collaborare tra banche e assicurazioni, quello che abbiamo scelto sono le joint-venture, danno più stabilità. Vera, per capirci, è una compagnia che lavora per il Banco Bpm, con risorse dedicate. Ha prodotti dedicati per il Banco Bpm, che utilizzano per buona parte le nostre tecnologie… E tutto ciò vale anche la rete Ubi e per Iccrea e dunque per 140 banche di credito cooperativo… settembre 2019

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LA SCELTA DI PCA-CONSULTATIVE BROKER E DI AUGUSTAS RISK SERVICES (GRUPPO GAVIO)

La marcia in più di un broker si chiama indipendenza di Angelo Curiosi

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he credibilità avrebbe un medico che prescrivesse ai suoi pazienti sempre e solo i farmaci di una stessa azienda farmaceutica? E che credibilità può avere un broker assicurativo – e sono tanti! – che pretenda di essere un buon consulente ma poi viva delle sole provvigioni commerciali che gli pagano le compagnie di cui vende le polizze? Ben poca agli occhi del cliente attento e diffidente. C’è però un’azienda assicurativa italiana che ha puntato proprio a superare questa evidente contraddizione, darsi una fisionomia diversa e affermarsi sul mercato, fino a entrare nella top-ten dei broker che operano in Italia. «Sì, abbiamo sempre puntato sull’offerta disgiunta dei servizi di risk consulting, quindi la consulenza pura, e dei servizi di brokeraggio», spiega Roberto Armana, presidente ed amministratore delegato di Pca Consultive Broker che, insieme ad Augustas Spa, rappresenta il Gavio Global Risk Solutions, una nuova realtà in grado di coprire a 360° tutte le esigenze delle aziende in tema di gestione dei rischi. Una squadra che ha appena avviato una fase di ulteriore sviluppo, formalizzando in modo ancora più nitido l’organizzazione nella quale ha articolato la propria offerta. «Effettivamente abbiamo sempre lavorato sui due ambiti distinti, da due anni li abbiamo configurati con due dipartimenti diversi e dalla primavera scorsa appunto con due diverse società: Pca Spa e Augustas Spa, entrambe sotto l’egida del Gruppo Gavio», prosegue il presidente di Pca, Armana. «Quindi oggi proponiamo al mercato due offerte tra loro indipendenti, che offrono servizi e prodotti acquistabili congiuntamente o disgiuntamente. A scelta del cliente. Consulenza sul rischio e gestione del rischio possono essere interessanti sia comprate insieme che distinte. Con noi». Insomma: vendere è una cosa, consigliare un’altra. «La nostra clientela», spiega 34

settembre 2019

COPRIRE TUTTE LE ESIGENZE DELLE AZIENDE CLIENTI SULLA GESTIONE DEI RISCHI PUNTANDO SULL’OFFERTA DISGIUNTA DEI SERVIZI DI RISK CONSULTING E DI BROKERAGGIO ASSICURATIVO Nella foto da sinistra. Federico Bassi, director di Pca Consultative Broker Spa; Giovanni Roncaglia, global business & reinsurance manager di Pca Consultative Broker Spa; Stefano Colondri, cfo di Pca Consultative Broker Spa; Claudio Robbiano, marketing and communication manager di Pca Consultative Broker Spa; Maurizio Castelli, ceo Augustas Risk Services Spa; Fabio Covello, director di Pca Consultative Broker Spa. Al centro, Roberto Armana, president and ceo di Pac Consultative Broker Spa.

Armana, «è fatta di aziende operanti nel mondo corporate, con dimensioni ed esigenze tali per cui devono avere il senso della complessità nella gestione dei rischi. Hanno bisogno di consulenza, addirittura di formazione nell’ambito del risk management». Augustas Risk Services offre consulenza di risk management, proponendo ai propri clienti, la valutazione dei loro rischi basandosi sui più moderni ed efficaci standard internazionali. Si passa dal risk management operativo all’Enterprise Risk Management, a seconda delle esigenze e della modularità che il cliente preferisce adottare. Una volta adottata una adeguata matrice dei rischi, l’azienda si può affidare a Pca che, ai propri clienti offre soluzioni di intermediazione sia in campo nazionale che internazionale. Al centro l’idea che la cultura del rischio sia un valore irrinunciabile oggi per le aziende che vogliano crescere. «Dev’essere considerata anche dal punto di vista strategico come un fattore competitivo per la propria attività», osserva Roberto Armana. «Se gestisco bene i miei rischi aziendali, garantisco continuità e profittabilità all’azienda stessa. Se comprendo che tutto quel che faccio comporta un rischio, se ne misuro correttamente la dimensione e la trasversalità, sono un imprenditore di successo. Se invece mi affido soltanto all’intuizione mi colloco in


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una posizione di rischio patologica». Nascendo nell’ambito di un gruppo leader nelle costruzioni, Pca e Augustas hanno una storica specializzazione nel mondo delle grandi infrastrutture: sono leader a livello nazionale e godono di una straordinaria visibilità internazionale, grazie all’esperienza maturata negli anni assicurando grandi progetti in ogni angolo del mondo. A ciò aggiungono una forte specializzazione in numerosi altri ambiti merceologici, come trasporti, logistica, concessioni, grande distribuzione, alimentare, tessile, ambiente. Inoltre hanno nel dna aziendale la consapevolezza che sottovalutare il fattore-rischio può comportare danni gravissimi: «In sintesi: la cultura del rischio di un’azienda è un fattore competitivo», ripete Armana. «Le aziende che lo hanno capito hanno successo, le altre rischiano molto di più. E in Italia molte medie aziende sono sprovviste della benchè minima cultura del rischio. Noi le aiutiamo a formarsela». Ma in concreto, cosa significa per una media azienda sviluppare una “cultura del rischio” e gestirlo di conseguenza? «Significa», spiega Armana, «fare una mappatura dei propri rischi e un assessment che li definisca con chiarezza, meglio se con l’aiuto di un qualificato advisor esterno che guardi all’azienda con occhi più neutrali. Fatta questa mappatura, si passa alla scelta delle soluzioni migliori per prevenire che quei rischi si concretizzino e, comunque, coprirne il loro eventuale costo». Cultura del rischio – REGIONE

BROKER

% SUL TOTALE BROKER

Valle D’Aosta

12

0,21

Piemonte

416

7,29

Liguria

305

5,34

Lombardia

1.348

23,61

TOTALE Nord-Est

2.081

36,45

Veneto

423

7,41

Trentino Alto Adige

95

1,66

Friuli Venezia Giulia

116

2,03

Emilia Romagna

320

5,60

TOTALE Nord-Est

954

16,71

Toscana

342

5,99

Marche

81

1,42

Umbria

62

1,09

Lazio

929

16,27

1.414

24,76

Abruzzo

69

1,21

Molise

16

0,28

Puglia

192

3,36

Basilicata

33

0,58 9,70

TOTALE Centro

Campania

554

Calabria

60

1,05

TOTALE Sud

924

16,18

Sicilia

281

4,92

Sardegna

56

0,98

TOTALE Isole

337

5,90

5.710

100,00

TOTALE ITALIA

LA NEUTRALITÀ DEL CONSULENTE SPECIALISTICO È UN VALORE CHE FA LA DIFFERENZA PER IL CLIENTE

È

un’antica e mai risolta diatriba quella circa il valore dell’indipendenza, o meglio della neutralità, del consulente rispetto alle scelte che suggerisce al suo cliente: una questione che attiene sicuramente al mondo del brokeraggio assicurativo, che nel caso del sistema del Gruppo Gavio rappresentato in queste pagine è stata brillantemente e innovativamente gestita; ma attiene, a ben vedere, a tanti mondi diversi. Quello del risparmio gestito rispetto alla neutralità delle banche, il cui venir meno è stato clamorosamente nocivo in alcuni recenti casi italiani; ma anche altri ambiti non economici ma ancor più delicati, come la cura della salute: non sono stati pochi, purtroppo, i casi di scelte sanitarie rivelatesi inquinate da interessi privati a suggerire, anzi prescrivere, ai pazienti questa o quella soluzione come se fosse la migliore essendo invece solo vantaggiosa per chi firmava la prescrizione. Ben venga dunque la riaffermazione del valore della neutralità del consulente. E complimenti a chi sa farne la propria bandiera. (s.l.)

per azzardare un paragone – significa revisionare periodicamente i freni dell’auto, e non soltanto assicurarla. Un bravo broker aiuta a scegliere la polizza più vantaggiosa; un consulente assicurativo sa anche capire la potenza frenante dei freni e la loro efficienza rispetto al peso e alla velocità dell’auto, e misurare di conseguenza il rischio di un incidente. «Invece, di regola, almeno in Italia», osserva Armana, «la mappatura e l’assessment dei rischi sono considerati poco interessanti, ci si concentra solo sul trasferimento del rischio, e l’unico driver è il prezzo. Una logica sbagliata». Detto ciò Pca e Augustas sono in grado di offrire il meglio sia nella consulenza che nel brokeraggio. La forza internazionale di Pca Consultive Broker si basa sulle alleanze sancite negli ultimi 10 anni con 2 grandi network: Brokerslink, attivo in 100 Paesi con 20 miliardi di premi e Surety Alliance, network ultraspecialistico operante nel mondo delle fideiussioni assicurative. Grazie a queste due alleanze si azzera il gap che potrebbe patire rispetto ai colossi mondiali del brokeraggio. «Brokerslink copre sia le attività pure di brokeraggio che tutte le specialized resources, cioè il risk consulting, le attività legali, l’assistenza», spiega ancora Roberto Armana. «È un’alleanza che ci pone alla pari con chiunque nel mondo. E poi in realtà le dimensioni in sé e per sé non sono l’unico valore: la flessibilità, la qualità dell’offerta e la forte presenza internazionale si possono trovare anche in broker dalle dimensioni più modeste ma, nel contempo, dotate di tutte le caratteristiche per competere con successo». C’è poi un altro dettaglio: la dimensione globale e la cultura della solidità che distinguono il gruppo Gavio. «Pca e Augustas si ispirano alla stessa scala di valori che hanno contraddistinto il successo del nostro gruppo. Solidità, profittabilità, attenzione al cliente, reputazione. Sia per i nostri clienti che per tutte le compagnie di assicurazione, questi elementi sono estremamente rilevanti per garantirsi rapporti di lungo periodo, alle migliori condizioni». settembre 2019

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INTERVISTA A OSCAR DI MONTIGNY

«Chi sposa la sostenibilità sarà ricompensato dal mercato» di Sergio Luciano

«H

o promesso a Ennio e Massimo Doris di far sì che Banca Mediolanum diventi al più presto un’azienda interamente e istintivamente portata a ragionare sempre e solo in termini di sostenibilità, che insieme all’innovazione sono le due responsabilità strategiche e operative che mi sono state affidate. Il mio sogno è di raggiungere presto un livello tale di consapevolezza diffusa nel nostro gruppo bancario da non avere più nemmeno bisogno di una funzione specifica dedicata alla sostenibilità, così come ritengo che in Tesla non ci sia una funzione dedicata all’innovazione, perché tutta quell’impresa è orientata da sempre all’innovazione»: Oscar di Montigny, chief innovation, sustainability and value strategy officer di Banca Mediolanum, parla di questi temi con il trascinante fervore di sempre al TedXCortina, e li sviluppa poi con Investire in un’intervista con cui fa il punto su un’eccellenza che il mercato già riconosce all’azienda finanziaria creata da Doris 22 anni fa sul ceppo originario di Programma Italia, fondata nell’82. Di Montigny, oggi tutti parlano di sostenibilità. Ha fatto scalpore l’impegno assunto dalla Business Roundtable americana ad adottare i principi della Csr e dunque superare la logica turbocapitalista che identifica nell’utile l’unica finalità dell’impresa. Ma lei che si occupa di questi temi da sempre, considera quest’enunciato di buona lega o una tardiva ipocrisia? Guardi, mi basta ricordare che noi diciamo queste cose da più di dieci anni, ma soprattutto le pratichiamo. E stiamo accelerando al contempo innovando in maniera sostenibile e perseguendo la sostenibilità in maniera innovativa. In che senso? 36

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Nella foto Oscar di Montigny, chief innovation, sustainability and value strategy officer di Banca Mediolanum

«POTER DICHIARARE, COME FA OGGI BANCA MEDIOLANUM, DI ESSERE UN’IMPRESA SOSTENIBILE PRODUCE UN VALORE ENORME SIA DI IMMAGINE CHE DI BUSINESS» Chi ci conosce sa che la storia d’impresa di Banca Mediolanum è scandita da una lunga serie di concretissime dimostrazioni di una responsabilità sociale che oggettivamente non ha confronti sul mercato. Potrei citare il comportamento dell’azienda nel caso Lehman Brothers, ma anche in occasione delle calamità naturali che hanno colpito i nostri clienti e tante altre azioni concrete. Recentemente abbiamo avviato il processo per avere la certificazione da B-Corp. Una nuova società del gruppo è stata costituita come società benefit per svolgere attività imprenditoriali ad altissimo impatto sociale. Siamo stati la prima azienda in Italia ad avere una dichiarazione non finanziaria che gira su blockchain, stiamo lavorando su una matrice di immaterialità, ci stiamo occupando dell’offerta anche di prodotti finanziari rispettosi dei criteri Esg, insomma: siamo talmente già immersi in questo modo di fare impresa, che oggi devo e voglio occuparmi di attualizzare questo patrimonio. Paradossalmente, il nostro rischio è solo quello di sederci, dicendoci che possiamo anche aspettare che gli altri facciano la loro parte! E invece no?


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Assolutamente no. Ma non si rischia troppo, sul piano competitivo, ad adottare davvero la filosofia della sostenibilità? Con dei concorrenti che dovessero fare del dumping etico, non c’è il pericolo di perdere terreno? Capisco cosa intende, c’è chi parla del peso dell’esser buoni per primi. Sicuramente la nostra è un’epoca in cui sul mercato si scontrano come due faglie geologiche due visioni del mondo. Possono generarsi dei terremoti. C’è qualcuno che ignora l’istanza che cresce ovunque nel mondo per la sostenibilità, che dribbla i valori dell’etica d’impresa, come dei noiosi contrattempi, e riesce forse anche a vincere – così – qualche scaramuccia commerciale. Poi c’è chi si impegna ma solo un po’, e non percepisce ancora alcun ritorno positivo da questo parziale investimento. E c’è chi ci crede e s’impegna già a fondo ma teme di essere punito, per questo, dal mercato. Io credo invece che la discriminante sia solo il tempo. E che il tempo premierà tutti coloro che avranno scelto la sostenibiltà. Ma siccome per un imprenditore il fattore tempo è un’incognita determinante, quest’incertezza lo proietta in un’opacità prospettica che lo stressa. E dunque? Ripeto, non si deve dubitare. L’impresa deve, al massimo della sua velocità possibile – che è sempre e comunque una velocità relativa – fare la propria parte al meglio delle proprie capacità nella propria sfera di influenza. Si fa fatica a dimostrare il Roi (Return on investment, n.d.r.) sul bilancio di sostenibilità, sulla Corporate social responsibility aziendale? Possibile, ma non si deve deflettere. Si deve confermare la scelta, perché alla lunga i principi sani applicati integralmente pagano. Si guadagnerà un po’ meno a vantaggio di un competitor sleale? Forse, per qualche tempo, ma presto o tardi il mercato restituirà tutto con gli interessi. Molti interessi. Quindi lei consiglia alle imprese di essere sostenibili e solidali? Assolutamente sì. Mi sento di consigliare a tutti gli imprenditori che puntare sulla sostenibilità, perchè dà un vantaggio competitivo enorme. Se tutti nelle banche avessero già fatto quel che la prescrive la direttiva Mifid II senza aspettarne gli obblighi, solo perché mosse da uno spirito di volontaria trasparenza verso il cliente, all’avvento della Mifid tutto il sistema sarebbe già stato pronto, avrebbe avuto minori costi e migliori risultati. In Mediolanum la trasparenza è sempre stato un diktat dei Doris. A Cortina, davanti alla platea del TedX – una platea giovane e attenta, peraltro – lei ha parlato di etica, flussi demografici, tecnologia, nuovi scenari eonomici e di ambiente, con accenti anche molto alti. I comportamenti dei singoli sono interconnessi con quelli di tutti gli altri e possono determinare giganteschi effetti sistemici. Un battito d’ali d’una farfalla in Messico può scatenare un uragano in Brasile …disse Lorenz. Ed è proprio così! È la teoria del caos! È la teoria della responsabilità. Ho avuto il privilegio di conoscere Tara Gandhi, nipote del Mahatma. Mi raccontò che il nonno le ripeteva: “Non è la velocità dell’agire che fa la differenza ma l’orientamento”. E Martin Luther King diceva: “Può essere che tu non sia responsabile della situazione in cui ti trovi ma lo diventi se non ti riconosci in essa e non fai niente per cambiarla”. Dunque può esserci, secondo lei, un nuovo capitalismo che contemperi il perseguimento dell’utile con il rispet-

to dell’ambiente e della persona, in tutte le sue modalità di relazione con l’impresa? E’ un trend che si è affermato e non tramonterà più e attirerà sempre nuove adesioni. Poter raccontare subito, oggi, di essere un’impresa sostenibile dà già un valore enorme di immagine e di business. Il mercato è esigente. Se lo riconoscono anche quelli della Business Roundtable è proprio segno che i tempi sono maturi. E sugli impegni per la sostenibilità deludere le attese dei clienti determinerà delusioni e disaffezioni irreversibili. Ma queste cose, in Banca Mediolanum, chi le insegna e come? Ovvero: occorre una formazione specifica alla sosteniblità e all’etica d’impresa? Banca Mediolanum nasce sulla tradizione culturale di una famiglia già molto sensibile a questi temi. La genetica quindi c’è, ed è ottimale in questo senso. E quindi c’è un’enorme disponibilità, intenzionalità e capacità di ascolto. A questo si è sempre voluto affiancare molta formazione. Una formazione tecnica, sì, ma anche valoriale. La sostenibilità non è un tecnicismo, ma è un modo di interpretare qualunque tecnicality, uno stile di vita. La sostenibilità è un tema connesso alla sensibilità dell’uomo e alla sua relazione con l’ambiente in cui vive: luoghi, oggetti, persone, il pianeta. Occorre che le aziende adottino percorsi che accelerino il processo di sensibilizzazione delle loro persone su questi temi. E noi lo facciamo da sempre. Un’ultima domanda. Diceva poco fa che ora volete accelerare ulteriormente. Capire che cosa significa oggi – di nuovo e diverso rispetto a ieri - il concetto di impegno dell’impresa per tutti gli stakeholder; capire quanto questa sensibilità che già ieri ci induceva a fare certe cose possa oggi consentirci di farne di nuove, sempre mosse dallo stesso spirito: ecco, queste sono le nostre prospettive. Occuparci del mondo, non solo del nostro proprio ambito. E io ho la fortuna di avere attorno a me, in azienda, una proprietà sensibilissima e tecnici competenti. Ci ripete come ha concluso il suo intervento al Tedx? Il mondo si dimenticherà di quel che hai detto e di quel che hai fatto ma non di come l’avrai fatto sentire. Se puoi, fai della tua vita un dono e di questo dono qualcosa di significativo per l’insieme. settembre 2019

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MERCATI FINANZIARI

Italia al bivio, tra tassi bassi e crescita lenta A cura di Ugo Bertone

S

ette anni fa, pochi giorni dopo la memorabile discesa in campo di Mario Draghi a difesa dell’euro, il Tesoro spagnolo, con grande fatica, riuscì a piazzare i suoi Bono decennali a poco più del 7 per cento. Oggi, scrive il Financial Times, “gli operatori fanno la fila per avere l’onore di vedersi assegnati i titoli a dieci anni un pelo sopra lo zero”. Finché dura, perché alla fine della prima settimana di settembre l’emissione a 50 anni di Madrid, alle prese con una delicata crisi di governo che forse sfocerà in nuove elezioni anticipate, è andata a ruba a un interesse attorno all’1,5 per cento. Nel frattempo, in vista dell’esame dei conti di Bruxelles, si è scoperto che quest’anno la Spagna potrà emettere 20 miliardi di titoli in meno per far fronte alle spese. Il quadro non cambia, anzi colpisce di più se si guarda alla Francia, Paese che sembrava aver compromesso gli equilibri della finanza di casa quando Emmanuel Macron decise, l’inverno scorso, di allargare i cordoni della Borsa per spegnere la protesta dei gilet gialli. Ma da allora i rendimenti degli Oat di Parigi sono scesi sottozero, sia a dieci che addirittura a 15 anni, con un rilevante contributo a contenere il deficit. Blanchard (ex Fmi): il debito spaventa meno «Ma i mercati non perderebbero di sicuro il sonno se venisse sforato il tetto del budget» ha dichiarato Olivier Blanchard, uno dei guru più citati del mondo ma soprattutto ascoltato capo economista del Fondo Monetario assieme a Christine Lagarde, che sta per succedere a Draghi. «I tassi», dice Blanchard, «resteranno bassi a lungo. In questo contesto il costo del debito si abbassa. E visto che la politica monetaria ha in pratica attinto alle sue risorse, ora bisogna affidare un ruolo più importante alla politica fiscale». 38

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CLIMA MIGLIORE INTORNO AL NOSTRO PAESE GRAZIE AI BENEFICI PROVOCATI DALLA DISCESA DEI TASSI E DALLO SPREAD CALATO DI 100 PUNTI In alto Christine Lagarde che dal prossimo 1 novembre succederà a Mario Draghi alla presidenza della Banca Centrale Europea

In altri termini, come ha detto madame Lagarde al Parlamento di Bruxelles, «in Europa non c’è solo la Bce. Chi ne ha possibilità spenda per scongiurare la recessione». Magari, suggerisce Blanchard per tranquillizzare i falchi del Nord contro le tentazioni italiane, si potrebbe prevedere un tecnico per distinguere la spesa corrente (da frenare) dagli investimenti. L’importante è liberarsi dai vincoli, il rapporto deficit/pil in testa, che rappresentano ormai una camicia di forza. Si profila insomma una strategia di continuità con Mario Draghi ma con un piglio più politico, rafforzato dalla force de frappe rappresentata da Emmanuel Macron, il grande elettore favorevole a un atteggiamento più espansivo. Può partire da qui l’esame della congiuntura di casa nostra dopo il ribaltone politico di metà estate che non ha per la verità il carattere della rivoluzione perché i margini di manovra dell’Italia restano comunque molto stretti. E, soprattutto, non possono che essere inquadrati in una dimensione europea: basta con l’ottica conflittuale (aspramente conflittuale) come ha voluto fare più a parole che nei fatti, il governo a trazione leghista.


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Sì a un clima di collaborazione (o di subordinazione, reclama la nuova opposizione) come si accinge a fare il Conte bis contando per giunta al ministero dell’Economia su un veterano di Bruxelles quale Roberto Gualtieri. Al di là delle opinioni, la differenza sta tutta qui, in una congiuntura finanziaria favorevole (specie nel breve) che ha consentito la discesa vertiginosa dei tassi, tanto più rapida quanto più il rendimento dei titoli pubblici e lo spread erano “drogati” dalle minacce di uscita dall’euro, di adozione dei minibot o dalla prospettiva di una manovra finanziaria a debito in aperta sfida ai vertici della Commissione Europea. Anche le difficoltà della locomotiva tedesca, frenata dai problemi dell’export verso la Cina e dell’emergenza Brexit (prima causa del calo del commercio d’oltre Reno, sceso del 20% nel secondo trimestre), sembrano in grado di favorire un atteggiamento nuovo, che potrebbe sfociare nell’emissione di Bund verdi (fino a 10 miliardi) destinati a finanziare investimenti ambientali di cui potrebbero beneficiare anche le imprese di casa nostra.

L’eredità di Tria vale 20 miliardi Il clima, insomma, è senz’altro migliorato anche perché, al di là dei proclami sovranisti, a gestire i numeri (con non poca difficoltà) è stato Giovanni Tria che consegna al suo successore un’ “eredità” (guai a parlare di tesoretto) che può valere fino a 20 miliardi di euro. In parte già inglobati dai tendenziali di finanza pubblica, in parte sotto forma di “semilavorati tecnici” che vanno ad aggiungersi ai benefici provocati dalla discesa dei rendimenti del debito e dello spread che, con lo stop alla procedura di infrazione Ue, si è sgonfiato di quasi 100 punti rispetto agli ultimi picchi di maggio mentre il Btp a 10 anni punta verso numeri “spagnoli” contro il 2,6% di due mesi fa. Ma Cottarelli frena: dobbiamo trovarne altri 25 Tutto bene, forse troppo bene agli occhi di Carlo Cottarelli, il direttore dell’osservatorio sui conti pubblici italiani presso l’università Cattolica che giustamente diffida del debole dei governi italiani per la spesa. «Il debito è alto», ricorda, «e questo ci lascia esposti al rischio che le condizioni sui mercati internazionali cambino. Se i tassi di interesse, che adesso sono bassi, aumenteranno in futuro allora ci troveremo nei guai. La probabilità che questo rischio si materializzi subito si è ridotta, ma l’esposizione al rischio rimane». Ancor più pertinente l’altra obiezione: tassi bassi corrispondono a una stagione di crescita lenta, l’esatto opposto di quel che richiede la congiuntura italiana inchiodata attorno alla crescita zero. Data la situazione, conclude Cottarelli, per evitare l’aumento dell’Iva e coprire un paio di miliardi di spese indifferibili servono 25 miliardi. Dall’effetto delle manovre fatte a giugno per evitare la procedura d’infrazione e tenendo conto anche della riduzione dei tassi di interesse si tirano fuori 10 miliardi. Bisogna trovarne altri quindici. Il fatto che i tassi di interesse siano più bassi un po’ aiuta, fa risparmiare un po’ di soldi ma nell’immediato l’impatto è abbastanza limitato. Non è impossibile evitare l’aumento dell’Iva, ma fare questo e tante altre cose non è possibile. Per il risparmiatore che, a torto, ha diffidato sul recupero della finanza di casa nostra (i Btp hanno largamente contri-

CARLO COTTARELLI

COTTARELLI AMMONISCE SUL DEBITO ITALIANO: «È ALTO, SE I TASSI DI INTERESSE AUMENTERANNO IN FUTURO, CI TROVEREMO NEI GUAI» buito a sistemare il bilancio dei fondi pensione giapponesi e ai profitti di BlackRock) la situazione è tutto sommato tranquilla. I colpi di scena politici non hanno inciso più di tanto sull’andamento dei listini, i cui livelli appaiono molto simili a quelle di un anno fa: perfino la Borsa del Regno Unito, dilaniata dal confronto sulla Brexit, registra un andamento quasi piatto rispetto a 12 mesi fa mentre Francoforte, azzoppata dalla guerra dei dazi, sale di uno striminzito punto percentuale. Anche Milano, dopo un anno di aspre invettive reciproche, viaggia su un modesto + 6%. I veri guadagni li hanno fatti gli investitori all’apparenza meno esperti, quelli che si sono affidati ai titoli di Stato. Oppure che hanno deciso di seguire i consigli della nonna investendo nelle sterline oro (meglio la vecchia Elisabetta che Boris Johnson) sfruttando il forte recupero dell’oro. Per ora la tendenza sembra esaurita ma, concluse le prese di beneficio, probabilmente non è così. Il basso livello dei tassi sembra garantire un futuro davvero dorato al metallo giallo nella prospettiva di un 2020 che si annuncia bello tosto, vista la determinazione con cui Donald Trump insegue la sua rielezione. Il che suona come una sorta di polizza a tutela del Toro. Nel caso l’economia rallenti ancora, i tagli dei tassi e la ripresa del Quantitative easing limiteranno i ribassi delle borse al minimo (si veda la discesa di agosto, il 5 per cento sull’indice globale). Altrimenti? «In caso di sorprese positive», è la previsione di Alessandro Fugnoli di Kairos, «i mercati si ritroverebbero economie che migliorano e tassi che comunque sono preimpostati a scendere. In questo caso il potenziale di rialzo, da qui a metà 2020, potrebbe arrivare al 10 per cento. Certo prima o poi pagheremo cara questa iniezione di denaro che provoca danni (tra cui l’aumento delle diseguaglianze). Ma per ora non esiste una terapia più convincente. settembre 2019

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Consulentia fa tappa al nord di Mario Romano

C

onsulentia si trasferisce al nord. Farà tappa a Bologna il secondo appuntamento annuale con la manifestazione organizzata dall’Anasf e dedicata ai consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede. Da quattro anni infatti accanto all’appuntamento principale nella Capitale (per la cronaca nel 2019, dal 5 al 7 febbraio, si è svolta la sesta edizione all’Auditorium Parco della Musica di Roma con un grande successo di partecipazione, circa 3.000 visitatori unici, 59 partner tra sgr e reti, e il contributo del mondo istituzionale e politico) l’associazione dei cf ha deciso di affiancare una Consulentia bis itinerante che per tradizione si svolge nel periodo autunnale. La prima edizione territoriale si è svolta nel 2016 a Monastier di Treviso, la seconda a Torino nel 2017, la terza a Napoli nel 2018. Quella del prossimo 1e 2 ottobre del 2019 si svolgerà a Bologna, presso il Palazzo della Cultura e dei Congressi, ed è quindi la quarta edizione territoriale della rassegna, un appuntamento atteso dall’intero settore del risparmio gestito, dai singoli consulenti finanziari, dalle stesse reti e dalle società di gestione del risparmio. Al momento in cui Investire va in stampa sono 31 gli sponsor confermati dell’evento bolognese, mentre sono 750 i partecipanti iscritti. Il primo giorno. In primo piano, all’interno del programma di iniziative per la 40

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PASSA A BOLOGNA IL TESTIMONE DELLA MANIFESTAZIONE ORGANIZZATA DA ANASF I PROSSIMI 1 E 2 OTTOBRE E DEDICATA AI CF ABILITATI ALL’OFFERTA FUORI SEDE due giorni bolognese, c’è il ruolo del consulente finanziario nel nuovo contesto della Mifid 2 che sta trasformando giorno per giorno la relazione tra gli attori della consulenza e della gestione finanziaria oltre che il rapporto stesso tra consulente finanziario e investitori privati. Martedì 1ottobre si svolgerà il convegno inaugurale organizzato dai padroni di casa dell’Anasf e dedicato al tema “Il ruolo del consulente finanziario nell’era della trasparenza. Etica, competenze, remunerazione”. Obiettivo del convegno è approfondire l’aspetto dello sviluppo delle competenze professionali, inteso come percorso di crescita continua, è da sempre un elemento caratterizzante l’attività del consulente finanziario e ha acquisito piena legittimazione a livello normativo. Come spiega la presentazione ufficiale “Il ruolo del consulente finanziario, professionista del risparmio e vettore di educazione finanziaria dei cittadini, può e deve altresì collocarsi in una dimensione etica. Competenza ed etica sono un co-requisito a partire dal quale costruire nel tempo la relazione fiduciaria tra risparmiatore e consulente finanziario. Conoscenze, abilità professionali e fiducia rappresentano, a loro volta, le componenti essenziali di una matrice valoriale che deve essere riconosciuta e sviluppata, anche e soprattutto mediante politiche e prassi di remunerazione trasparenti, condivise e capaci sia di riconoscere la professionalità del consulente finanziario sia di rispondere sempre a esigenze e istanze dei risparmiatori”. In apertura del convegno previsti i saluti istituzionali di Stefano Bonaccini, presidente Regione Emilia Romagna, che poi lascerà


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spazio alla relazione introduttiva di Stefano Zamagni, economista e professore di Economia Politica Università di Bologna.

Il secondo giorno. “La consulenza finanziaria: creazione di valore per i singoli e la società” è il titolo del seminario di aggiornamento professionale organizzato dall’Anasf che si svolgerà il secondo giorno di Consulentia. L’evento prenderà lo spunto dalle recenti disposizioni normative hanno posto molta enfasi sul ruolo della formazione del consulente finanziario. Il cf si configura come la vera interfaccia del singolo individuo nei confronti della finanza. La sua formazione è elemento imprescindibile perché egli svolge una funzione nel pieno interesse pubblico, dal momento che il suo ruolo è principalmente incentrato sulla tutela del risparmio. Nella presentazione del seminario infatti si spiega che “La formazione è elemento cruciale per intercettare le esigenze di una clientela sempre più vasta che non può più utilizzare le tutele offerte tradizionalmente dallo Stato, specialmente in materia di sanità e di previdenza: il risparmio è quindi strumento essenziale per il welfare e la redistribuzione del reddito, in un contesto sociale ca-

ratterizzato da disuguaglianze reddituali. Evidentemente, un consulente finanziario ben preparato permette la disseminazione dell’informazione legata agli strumenti finanziari e il miglioramento dell’accesso agli investimenti finanziari da parte di una vasta scala di investitori. L’intervento partirà da un’analisi di scenario sui trend globali legati all’andamento della disuguaglianza globale, del debito e del risparmio per poi concentrarsi sul ruolo del cf come soggetto diffusivo di informazioni, consulenza e formazione”. È prevista l’introduzione di Luigi Conte, vicepresidente vicario e responsabile dell’area Formazione e Rapporti con le Università. E poi la relazione del docente Massimiliano Marzo, professore di economia del Dipartimento Scienze Aziendali dell’Università di Bologna.

UN APPUNTAMENTO CHE MISURA IL VALORE DI UNA PROFESSIONE di Germana Martano* «Ancora una volta la nostra manifestazione vuole essere un momento d’incontro tra coloro che svolgono l’attività di consulente finanziario e l’industria»

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iamo giunti alla quarta edizione sul territorio di Consulentia e, dopo Monastier di Treviso, Napoli e Torino, siamo convinti di portare a Bologna un tema di grande attualità, come il valore della professione di consulente finanziario riferibile da un lato al ruolo della categoria ai fini della gestione efficiente del risparmio degli italiani e all’aspetto sociale nella diffusione di educazione finanziaria tra le famiglie; dall’altro ai temi dell’etica cui anche questa professione si deve ispirare e a quello più strettamente “economico”, ovvero al costo della qualità del servizio offerto e quindi alla rendicontazione degli investimenti, argomento che riguarda operatori e risparmiatori. Ancora una volta la nostra manifestazione vuole essere un momento di incontro e confronto tra coloro che svolgono questa professione e l’industria, che riconferma la sua fiducia con la sua presenza e partecipazione attiva alle tavole rotonde che completano il programma della due giorni. Consulentia è un appuntamento ormai consolidato, un’occasione unica e certa per raccogliere intorno

a un tavolo tutte le parti coinvolte nel processo di evoluzione del mondo della consulenza finanziaria. In soli cinque anni Anasf ha saputo far crescere quella che solo poco tempo fa era un’idea ambiziosa e ora è una realtà. C’è soddisfazione per aver creato un evento che sa dare risposte ai soci consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede, professionisti che si dimostrano giustamente esigenti rispetto al confronto e all’aggiornamento puntuale su tutti gli aspetti dell’attività (da quelli normativi a quelli formativi per esempio) e che al contempo sanno essere proattivi nel richiedere e proporre spunti o interventi istituzionali sui vari ambiti di nostra competenza. Il nostro compito è quello di raccogliere il sentiment dei nostri soci e trasformare ciò che

ci arriva dal territorio in riflessioni condivise e soluzioni, per poi, come nel caso di Bologna, tornare sul territorio. È questo anche il senso del doppio appuntamento di Consulentia, nella sua edizione nazionale a Roma in febbraio e in quella nelle province italiane in autunno. Ciò che ci caratterizza è il fatto di essere sempre molto legati all’attualità, cosa che ci è possibile fare grazie a expertise trasversali sui molteplici contesti in cui operiamo. Anche quest’anno per esempio durante Consulentia dedichiamo uno spazio all’educazione finanziaria, visto che il nostro evento apre il mese dell’educazione finanziaria e la settimana internazionale dell’investitore (Wiw) a cui aderiamo fina delle prime edizioni. Sono due gli appuntamenti in programma: il primo ottobre con “economic@mente” per un incontro riservato agli insegnanti e agli studenti delle classi terze, quarte e quinte delle scuole superiori; il 2 ottobre con la nuova proposta di educazione finanziaria rivolta ai risparmiatori “Pianifica la mente”. *Direttore generale Anasf

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INTERVISTA A MAURIZIO BUFI

È ora di innovare, contratto e persona giuridica per i cf di Marco Muffato

T

orna l’appuntamento con Consulentia, l’edizione autunnale della manifestazione di punta del mondo dei professionisti della consulenza finanziaria che si svolgerà questa volta a Bologna il 1 e il 2 ottobre. L’evento rappresenta l’occasione per scambiare un po’ di idee con il presidente di Anasf Maurizio Bufi, che della rassegna bolognese è organizzatore e ispiratore, e fare il punto su presente e futuro dei consulenti finanziari e su tutti i temi caldi dell’associazione, dai rapporti contrattuali con le mandanti, alle prospettive dell’Ocf, fino all’impegno in Enasarco. Bufi, quali saranno i temi chiave della versione autunnale di Consulentia a suo giudizio? Tutte le ultime edizioni di Consulentia, sia a Roma che sul territorio, hanno avuto un filo conduttore: la valorizzazione del ruolo del consulente finanziario come professionista nella gestione del risparmio delle famiglie, nell’ambito di un’industria finanziaria in grande trasformazione per effetto della pressione normativa, dell’innovazione tecnologica e della concorrenza tra diversi canali distributivi. Anche Bologna non farà eccezione, seppur con un focus specifico sulle tematiche della trasparenza e dell’etica professionale e della giusta remunerazione dei consulenti. Cosa rappresenta oggi Consulentia per Anasf e per la categoria dei cf? E cosa può diventare in futuro? In pochi anni l’Anasf con Consulentia ha creato dal nulla un evento irrinunciabile nel panorama italiano della consulenza finanziaria. Sia dal punto di vista dei contenuti, sia da quello dei partecipanti, sia per il volume d’affari che ha generato. Nato all’interno della nostra associazione per conto degli iscritti ha avuto da subito la prospettiva e l’ambizione di rappresen42

settembre 2019

Nella foto Maurizio Bufi, presidente di Anasf

«I CONSULENTI FINANZIARI HANNO BISOGNO DI UNA CORNICE CONTRATTUALE DIVERSA DA QUELLA DEGLI AGENTI DI COMMERCIO. IL RUOLO DI ANASF RIMARRÀ CENTRALE IN OCF ANCHE IN FUTURO» tare tutta la categoria. Consulentia infatti è una delle occasioni dove si fa maggiormente nuovo associazionismo e in ogni caso essa rappresenta il palcoscenico più importante per affrontare le questioni più sensibili per i consulenti. Per il futuro vedo un’ulteriore accelerazione verso un respiro europeo in quanto a temi trattati e presenza di ospiti qualificati. Parliamo di formazione, secondo lei le società mandanti stanno facendo tutto il possibile per sviluppare le competenze dei consulenti, alla luce degli input della normativa e dell’evoluzione del mercato? Le società sono prevalentemente votate a logiche di business,


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com’è normale che sia anche in un settore particolare come quello del risparmio. Tuttavia le mandanti hanno capito che questa professione, se vuole essere tale anche in futuro, deve poter contare su un elevato livello di competenza degli operatori e quindi occorrono risorse, sicuramente, mai abbastanza. La formazione passa anche attraverso il rapporto con le università, l’investimento sui giovani consulenti e su nuovi modelli e assetti organizzativi.

«CON CONSULENTIA ABBIAMO CREATO DAL NULLA UN EVENTO IRRINUNCIABILE NEL PANORAMA ITALIANO DELLA CONSULENZA FINANZIARIA» A proposito di mandanti e di rapporti contrattuali, lei è fiducioso sulla possibilità di conferire il mandato a una persona giuridica? Quali potrebbero essere i vantaggi per i consulenti? Non verrebbe ridimensionato il ruolo delle società mandanti? Intanto cominciamo con il riaffermare che il settore avrebbe bisogno di una cornice contrattuale, che non può essere più quella degli agenti di commercio degli anni settanta, ma disporre di un proprio quadro di riferimento nazionale, in linea con l’evoluzione normativa e regolamentare del mondo della consulenza finanziaria. In questa evoluzione si inserisce la possibilità di conferire il mandato a una persona giuridica e non più soltanto a una persona fisica. È appena il caso di ribadire, che i due modelli possono coesistere, poiché la scelta della persona giuridica sarebbe facoltativa, fondata sui possibili vantaggi in tema di specializzazione e ricambio generazionale. Non si tratta di ridimensionare il ruolo delle società mandanti, quanto quello di essere viceversa lungimiranti ed innovativi. Lei si avvia alla conclusione del suo secondo mandato da presidente dell’associazione di categoria dei consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede. Cos’è cambiato dal primo giorno della sua presidenza a oggi nella professione di cf? Era il 2011, alla scadenza dell’attuale mandato saranno trascorsi quasi nove anni, un periodo caratterizzato da forti cambiamenti, crisi devastanti, nuovi attori sul mercato, incertezza dei paradigmi economici che hanno caratterizzato i precedenti decenni: diciamo anni vissuti “pericolosamente”, per parafrasare il titolo di un celebre film. Dal canto nostro, come Anasf, abbiamo contributo a rendere l’attività da promotore a consulente sempre più professionale, elevando le competenze in modo generalizzato, facendola conoscere al grande pubblico, combattendo battaglie a tutela dell’immagine e degli interessi economici di un’intera categoria, elevandone significativamente la reputazione presso il mercato e nei rapporti con le autorità. Abbiamo inserito la figura del consulente finanziario nel novero degli stakeholder a livello nazionale ed europeo, attraverso una presenza costante, qualificata e apprezzata su tanti fronti e su altrettanti numerosi tavoli di confronto. Ovviamente c’è ancora tantissimo da fare. Il consiglio nazionale dell’Anasf ha lo scorso 13 giugno appoggiato la sua candidatura alla vice presidenza di Ocf. Come vede il futuro dell’Organismo e il ruolo dell’Anasf all’interno di esso, anche alla luce dell’ingresso di

nuovi membri in rappresentanza di tutte e tre le sezioni come Assonova, Ascofind e Nafop? Non teme che l’associazione possa in futuro vedere ridimensionato il suo ruolo di attuale leadership di rappresentanza dei professionisti iscritti all’Albo? “L’albero potrà preferire la calma, ma non per questo il vento cesserà” recita un antico proverbio cinese. Intendo dire che abbiamo attraversato un periodo molto travagliato, in cui si sono presentati sul mercato nuovi operatori, che dovevano avere loro forme di rappresentanza e tra questi, essere soprattutto normati e censiti sul mercato. Non a caso abbiamo favorito la nascita della “Casa della Consulenza” in cui oggi tutti si riconoscono, in quanto tetto comune di consulenti finanziari che svolgono la loro attività con modalità organizzative diverse, ma tutte rispondenti a regole comuni. Quindi, essendo soci fondatori dell’Albo, oggi Organismo che ha assunto anche la vigilanza sugli iscritti, dovremo esercitare quel ruolo non più da soli, lato consulenti, ma insieme ad altri attori, sviluppando le nostre capacità di leadership e di aggregazione e all’occorrenza facendo pesare anche i nostri numeri. Un’altra partita importante è alle porte, quella di Enasarco. Può fare un bilancio della partecipazione di Anasf agli organi di governo della fondazione? In che modo può contribuire l’Anasf al cambiamento dell’ente e cosa si può fare per rafforzare un istituto di previdenza come Enasarco? Quali saranno le vostre prossime mosse? Ci auguriamo che la nostra presenza in Enasarco sia molto più incisiva in futuro, vista anche la prossima campagna elettorale per il rinnovo degli organi sociali della Fondazione. Siamo entrati in punta di piedi e con umiltà, ma ora ci dobbiamo assumere maggiori responsabilità. Diciamo che in questo primo mandato abbiamo preso le misure, ma siamo veramente solo all’inizio. Le nostre mosse sono già note, in quanto abbiamo stipulato una coalizione insieme a due importanti rappresentanze sindacali del mondo degli agenti di commercio e a una della parte datoriale. Ancora troppa opacità, troppi sprechi e poche competenze nel funzionamento dell’ente, che abbisogna anche di una forte iniezione di trasparenza, affidabilità e reputazione, fortemente indebolita dalle gestioni precedenti. settembre 2019

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INTERVISTA AD ALFONSINO MEI

«Enasarco, punto per punto la nostra ricetta per cambiare» di Sergio Luciano

«L

a Fondazione Enasarco deve cambiare profondamente il suo modo di operare, deve diventare più efficiente e farsi più vicina alle necessità degli iscritti», dice Alfonsino Mei, ed anzi il consigliere d’amministrazione che l’Anasf – l’associazione dei consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede– esprime in Enasarco, scandisce le parole come se stesse dettando un manifesto politico. «Noi di Anasf, insieme con Federagenti, Fiarc e Confesercenti – prosegue – abbiamo condiviso un’analisi radicale sull’attuale situazione di Enasarco ma non solo e concordato che le nuove condizioni economiche, del mercato e della professione impongono l’individuazione di nuovi strumenti di difesa dei circa 230.000 operatori del settore». Un vero e proprio scatto d’orgoglio insomma che soprattutto le 3 associazioni dei professionisti hanno tradotto in una posizione condivisa e unitaria su alcuni punti centrali – al di là di una diversa contrattazione collettiva - per risolvere problemi di ampio respiro per le professioni, come il corretto inquadramento normativo del lavoratore, le modifiche di zona, il cosiddetto monomandato di fatto, l’aggressione da parte del commercio elettronico solo per citarne alcuni. Ma anche e per certi versi soprattutto la gestione di Enasarco. Mei, parliamone in dettaglio, per favore. E’ da mesi che avete annunciato quest’alleanza, in vista del rinnovo dei vertici della Fondazione, fissato per la primavera 2020. Ma qual è il primo obiettivo che vi prefiggete di conseguire, se eletti, anche alla luce del nuovo quadro macroeconomico e politico in cui viviamo? Guardi, partiamo da un’esame della situazione economica generale. Siamo in una 44

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stagnazione alternata a fasi recessive che produce e insieme subisce il reiterarsi di effetti depressivi sui tipici asset strutturali di Enasarco. Non vogliamo creare allarmismi fumosi o strumentali, ma pensiamo che proseguire con la “politica del quotidiano” può determinare un contesto di criticità strutturale, che può rischiare anche di essere irreversibile per la Fondazione.

E quindi? Dobbiamo prendere coscienza che stiamo andando verso una conclamata tendenza demografica dei contribuenti in costante e progressiva flessione dello stock; e poi “riposizionare” gli asset della Fondazione, rivedendone finalmente i principi fondanti mai mutati nel tempo: in primis il Fondo Assistenza e l’approccio metodologico alla gestione finanziaria. Enasarco mostra ormai una chiara distonia con gli iscritti di suo riferimento e un totale senso di estraneità rispetto all’economia reale.

«L’ALLEANZA TRA ANASF, FEDERAGENTI, FIARC E CONFESERCENTI DISPONE DI IDEE E PROGRAMMI CHIARI PER TRASFORMARE LA FONDAZIONE NELL’INTERESSE DEI 230MILA OPERATORI»

Insomma ritenete di capirne di più di chi attualmente guida la Fondazione? Riteniamo di avere idee e programmi chiari, fondati – sì, certo – su competenze specifiche. Da dove inizierete, se vincerete? Occorre innanzitutto una nuova strategia per favorire nuovi ingressi di iscritti, e la permanenza in Enasarco di chi iscritto lo è già. Centrale sarà la strategia di sostegno allo start up. Occorre progettare per i nuovi iscritti una strategia di decontribuzione su più anni parametrata alla redditività annuale e priva di limiti di età, stante il livello di “anzianità” anche delle persone fisiche in ingresso. Allo stesso modo temporanee situazioni di difficoltà degli iscritti dovranno trovare in Enasarco un reale sostegno. Non fine a se stesso ma funzionale al mantenimento in essere dell’attività professionale e con essa a regime della contribuzione. E poi? E poi occorre ovviamente gestire meglio le poste del conto economico della Fondazione. Con la riprogettazione del Fondo As-


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«PRONTA UNA STRATEGIA PER FAVORIRE INGRESSI DI NUOVI ISCRITTI E LA PERMANENZA DEI VECCHI. I FONDI IN GESTIONE DEVONO RENDERE MEGLIO»

sistenza e la politica di governance; e, dal punto di vista finanziario, con l’ottimizzazione della gestione e della riserva. Serve realismo e non autocelebrazione. Per questo abbiamo espresso il voto negativo all’ultimo bilancio: perché nulla dei reali problemi di cui soffre la Fondazione era presente in quel documento. Cosa unisce tre associazioni eterogenee come Anasf, Fiarc e Federagenti, in questa partita? Queste tesi, e molti altri argomenti, anche nuovi. Per esempio la riflessione sulla natura cosiddetta “monomandataria di fatto” trasformare automaticamente il plurimandatario con una sola mandante in monomandatario -, l’incremento volontario della contribuzione oltre il massimale fino a un valore a scelta e comunque non oltre quello delle provvigioni percepite, la formazione come valore aggiunto e strumento di innovazione reale. Enasarco deve incrementare i ricavi attraverso l’economia reale del Paese e non innalzando i contributi.

Ma gli attuali fondi in gestione possono rendere meglio, o no? Assolutamente sì, devono rendere meglio, sarà essenziale ottimizzare la gestione finanziaria e del patrimonio immobiliare, temi che si intrecciano con quelli della governance della Fondazione, della gestione al meglio delle sue risorse umane nonché di quella, anche troppo disinvolta, delle consulenze esterne. Noi pensiamo, su queste basi, di poter ottenere la maggioranza delle preferenze alle prossime elezioni Enasarco e in tal modo cambiare profondamente la gestione dell’ente. Il programma elettorale verrà definito col contributo degli iscritti delle rispettive associazioni che verranno coinvolti con iniziative associative anche congiunte sul territorio nazionale che saranno programmate a brevissimo.

Nella foto Alfonsino Mei, consigliere di amministrazione di Enasarco in quota Anasf

Ok, ma nel merito della gestione patrimoniale come entrerete? Innanzitutto con una grande operazione trasparenza. Veda, qui la responsabilità non è soltanto e tutta delle precedenti gestioni. E’ anche della legge, delle regole. Mentre sui fondi pensione la normativa e il regolatore hanno lavorato bene, sulle casse la normativa di privatizzazione non ha fatto specifico riferimento alla gestione dei patrimoni, mentre ancora oggi nel cassetto del legislatore giace la normativa secondaria, che doveva ispirarsi a quella dei Fondi Pensione. Ne sono scaturiti un virtuoso tentativo di autoregolamentazione promosso da Adepp (l’associazione tra le Casse di previdenza private, n.d.r.) e numerose iniziative a livello di singole Casse, Enasarco compresa. Ma riteniamo si possa e si debba fare di più. L’occasione potrebbe essere costituta dal recente recepimento di un’altra normativa comunitaria, la cosiddetta Iorp II. Di sicuro per l’Anasf, che mi onoro di rappresentare e che associa professionisti attenti alle migliori pratiche ora dettate dalla Direttiva Mifid II, ha la necessità indifferibile di trovare queste pratiche pienamente rispecchiate anche nel proprio Ente di previdenza… Eppure le Casse risultano a oggi gli unici investitori istituzionali affrancati da una regolamentazione unitaria in materia, che investe invece i Fondi pensione. Dunque la forbice regolamentare tra Fondi e Casse tende ad allargarsi ulteriormente. I recenti arresti dei vertici della Cassa di Previdenza degli Infermieri non possono passare inosservati, ferma la presunzione di innocenza. Auspica una stretta di freni normativa? Auspichiamo una normativa, seria e moderna: questo sì. È pacifico che lo Stato è titolare del potere di vigilanza e di controllo. Ma in questo caso è venuto meno a uno specifico obbligo impostogli dalla legge e cioè quello di predisporre per le Casse di previdenza il regolamento investimenti onde consentire alle stesse di operare nella legalità e secondo i criteri di prudenza conseguenti alla gestione del risparmio previdenziale. Non inviare in Gazzetta Ufficiale per la sua pubblicazione il regolamento investimenti può costituire una responsabilità, diretta e indiretta, molto grave perché “vigilantibus non dormientibus iura succurrunt”, come insegna il diritto romano: cioè il diritto viene in soccorso di coloro che restano vigili, non di coloro che dormono. settembre 2019

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L’ALBO CF NUMERO PER NUMERO

Ocf, fotografia di una professione di Marco Muffato

IL PROFILO DEL CONSULENTE FINANZIARIO MEDIO? HA UN’ETÀ TRA I 50 E I 65 ANNI E RISIEDE NEL NORD ITALIA. E LE DONNE ADVISOR? IN CRESCITA, SONO OLTRE IL 21% DEGLI ISCRITTI

L

a relazione annuale dell’Ocf relativa al 2018 offre uno spaccato preciso di quello che è oggi il movimento della consulenza finanziaria alla luce delle due nuove sezioni, quella dei consulenti finanziari autonomi e delle società di consulenza finanziaria, che si sono affiancate alla sezione preesistente (e dominante) dei consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede. Tantissimi numeri che attestano come la massa dei professionisti del risparmio gestito abilitati sia davvero consistente e sia composta da professionisti esperti che occupano prevalentemente la fascia d’età tra i 50 e i 65 anni, che risiedono in maggioranza nelle zone più ricche del paese, ovvero in nord Italia. Fatta la premessa andiamo a vedere nei particolari le caratteristiche dei financial advisor di casa nostra.

Gli abilitati all’offerta fuori sede Al 31 dicembre 2018 il numero degli iscritti alla sezione dell’albo è pari a 55.335, di cui attivi con mandato 35.421 (64%) e non attivi, quindi senza mandato, 19.914 (36%). La popolazione degli iscritti è diminuita rispetto al 2017 dello 0,9%, avuto riguardo delle iscrizioni (2.185) e delle cancellazioni (2.721) deliberate in corso d’anno. Nel nord Italia risiede la maggior parte degli iscritti, con una percentuale pari al 60,1% (33.270). In Lombardia si registra inoltre la più alta presenza di consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede, pari al 22,3% del totale della popolazione. Nel centro-sud e nelle isole risiede il restante 39,9% degli iscritti. Rispetto al 2017 il nord Italia ha registrato un decremento del numero di iscritti dello -0,3% mentre il centro-sud e le isole del -1,8%. Si conferma anche nel 2018 il graduale processo d’invecchiamento della popolazione iniziato nel 2000 e non sufficientemente compensato dagli ingressi di consulenti più giovani. L’incremento dei consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede ha interessato solo la fascia di età compresa tra i 50 ed i 65 anni, la più numerosa a partire già dal 2014. I consulenti under 30 restano fermi sotto il 2% del totale. I consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede hanno quasi raggiunto l’età media di 51 anni. L’88,5% dei consulenti ha un’età superiore ai 40 anni. Il 56,6% supera i 50 anni e il 5,9% ha oltre 65 anni. 46

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I professionisti attivi. Dall’analisi dei dati emerge un sostanziale allineamento tra l’età media della popolazione dei consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede attivi e quella degli iscritti complessivi alla relativa sezione dell’albo: l’83,2% dei consulenti in attività si concentra nelle fasce di età comprese tra i 40 e i 65 anni (1,4 punti percentuali in più rispetto al 2017); più della metà dei consulenti finanziari attivi (il 56,7%) supera i 50 anni (2,6 punti percentuali in più rispetto al 2017). L’età media all’interno delle prime 10 reti presenta un’oscillazione compresa

ISCRITTI ALBO CONSULENTI FINANZIARI AL 31 DICEMBRE 2018

CONSULENTI FINANZIARI ABILITATI ALL’OFFERTA FUORI SEDE

55.335 (DI CUI 35.421 CON

RAPPORTO SOTTOSCRITTO CON UN INTERMEDIARIO AUTORIZZATO, PARI AL 64% DEL TOTALE DEGLI ISCRITTI)

CONSULENTI FINANZIARI AUTONOMI

94 (DI CUI 51OPERANTI PER

CONTO DI SOCIETÀ DI CONSULENZA FINANZIARIA; 42 OPERANTI IN PROPRIO; 1 OPERANTE SIA PER CONTO DI SOCIETÀ DI CONSULENZA FINANZIARIA SIA IN PROPRIO)

SOCIETÀ DI CONSULENZA FINANZIARIA

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CF IN CALO DOPO QUATTRO ANNI Fasce di età

N. CF abilitati all’offerta fuori sede attivi

2000

49.856

2001

59.645

+19,6%

2002

66.749

+11,9%

2003

66.559

-0,3%

2004

64.871

-2,5%

2005

63.124

-2,7%

2006

60.902

-3,5%

2007

61.531

+1,0%

2008

61.429

-0,2%

2009

59.070

-3,8%

2010

56.416

-4,5%

2011

54.581

-3,3%

2012

52.261

-4,3%

2013

51.310

-1,8%

2014*

53.026

+3,3%

2015

54.490

+2,8%

2016

55.111

+1,1%

2017

55.861

+1,4%

2018

55.335

-0,9%

Variazione %

tra i 48 e i 53 anni circa. Nel 2017 l’età media era tra i 47 e i 52 anni. Rispetto all’esperienza lavorativa maturata dai consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede, si evidenzia che il 15% (8.300) degli iscritti all’albo non ha mai avuto un mandato con un intermediario. Inoltre il 51,8% dei consulenti finanziari attivi ha sottoscritto il mandato corrente (cioè opera con la stessa azienda) da almeno 6 anni. Tali risultati esprimono una posizione professionale consolidata, un importante patrimonio di relazioni, esperienza e competenze maturate da parte della maggioranza dei consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede attivi. Al fine di una più visione d’insieme ddell’attività, giova prendere in considerazione anche la distribuzione dei consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede nelle reti. Nelle prime dieci reti opera il 66,7% dei consulenti in attività e l’84,7% nelle prime 20. Il settore è caratterizzato da una forte concentrazione, considerato che gli intermediari autorizzati e attivi (per attivi si intende con almeno un consulente finanziario abilitato all’offerta fuori sede con rapporto aperto) sono 261. I mandati, ovvero i rapporti aperti nel 2018 sono stati 4.933, in aumento del 36,5% rispetto all’anno precedente. Il 33,8% è rappresentato da nuovi mandati e il restante 66,2% dai cambi di casacca. I nuovi mandati sono lievemente diminuiti dello 0,8% rispetto alla fine del 2017. Le donne consulenti Nel 2018 le donne iscritte nella sezione dei consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede dell’albo unico sono 11.822, in lieve

crescita dello 0,7% rispetto al 2017. I provvedimenti di iscrizione sono stati 673, pari al 30,8% del totale, in diminuzione del 24,2% rispetto all’anno precedente, con un saldo positivo a fine anno rispetto alle cancellazioni. Le cf abilitate all’offerta fuori sede costituiscono il 21,4% della popolazione totale degli iscritti (erano il 21% nel 2017). La percentuale è lievemente superiore con riferimento alle donne con mandato rispetto al totale dei consulenti attivi (21,8%). I mandati sottoscritti dalle consulenti finanziarie abilitate all’offerta fuori sede iscritte nell’anno sono stati 401 (pari al 36,1% del totale). Dopo l’incremento registrato nel 2013 e nel 2014, nel successivo quadriennio il dato di crescita risulta in flessione . Rispetto al 2017 (erano 411) la riduzione è limitata al 2,4%. Il 72,6% dei rapporti si riferisce a professioniste dipendenti.

I consulenti autonomi e le Scf Le due nuove sezioni dell’Albo gestito dall’Ocf sono relative ai consulenti autonomi (gli ex consulenti indipendenti, anche definiti fee-only) e alle società di consulenza. I numeri naturalmente non sono paragonabili a quelli dei consulenti abilitati all’offerta fuori sede. Al 31 dicembre 2018 risultano iscritti nella sezione dei consulenti finanziari autonomi 94 soggetti di cui:51 operano per conto di una società di consulenza finanziaria, 42 operano in proprio, uno opera sia per conto di una società di consulenza finanziaria sia in proprio. Il 79,8% degli iscritti risiede nel nord Italia, il 12,8 nel centro ed il restante 7,4% nel sud e nelle isole. L’età media degli iscritti è di circa 49 anni, leggermente più bassa di quella dei consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede. Le donne costituiscono il 7,4% del totale degli iscritti. Al 31 dicembre 2018 risultano iscritte nella sezione delle società di consulenza finanziaria n. 13 persone giuridiche. Rispetto alla distribuzione sul territorio nazionale, n. 9 hanno sede legale al nord e n. 4 in centro Italia. Al sud non risultano risiedere società di consulenza finanziaria. I consulenti finanziari autonomi operanti per conto delle società di consulenza finanziaria iscritte all’albo variano da 1 a 12. Dal 1 gennaio al 16 aprile 2019 risultano pervenute 53 domande di iscrizione, di cui 50 per la sezione dei consulenti finanziari autonomi e 3 per quella delle società di consulenza finanziaria. Ben 37 domande si riferiscono ad aspiranti consulenti finanziari autonomi operanti in proprio e 13 a consulenti finanziari autonomi operanti per conto di società di consulenza finanziaria. I soggetti iscritti all’albo nelle rispettive sezioni sono complessivamente 154 consulenti finanziari autonomi e 21 società di consulenza finanziaria. Infine 81 consulenti finanziari autonomi operano in proprio, 72 operano per conto di scf e uno opera sia in proprio sia per conto di società di consulenza finanziaria.

UN MESTIERE CHE PREMIA L’ESPERIENZA

Fasce di età

% CF abilitati all’offerta fuori sede attivi

<30 anni

1,4%

30 - 39 anni

9,8%

40 - 49 anni

32,1%

50 - 65 anni

51,1%

>65 anni

5,6%

settembre 2019

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INTERVISTA A CESARE ARMELLINI

Con la benedizione di Savona, parte l’offensiva dei fee-only di Marco Muffato

I

ndipendenti, autonomi o fee-only. Comunque li si voglia chiamare i liberi professionisti del settore finanziario, assimilabili per caratteristiche ai dottori commercialisti e agli avvocati, sono una realtà emergente tra gli interlocutori dei risparmiatori italiani. Il pieno riconoscimento della categoria, dopo dieci anni di limbo normativo, e la costituzione di una sezione dedicata ai consulenti autonomi nella cornice dell’Albo unico dei consulenti finanziari gestito da Ocf rappresentano un trampolino di lancio per una professione che vuole crescere e affermarsi in un settore dominato tradizionalmente da consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede e filiali bancarie. Sulle prospettive dell’attività ne parliamo con Cesare Armellini, presidente di Nafop, l’associazione di categoria dei consulenti autonomi o fee-only come amano autodefinirsi. Come presidente Nafop che effetto le ha fatto ascoltare l’elogio dei consulenti finanziari indipendenti da parte nel presidente Consob Savona, nientemeno che nel contesto della Relazione annuale Ocf? Mi ha fatto molto piacere la sensibilità dimostrata dal presidente Savona che ha voluto focalizzarsi sulla nostra figura professionale che è la vera novità dell’Albo unico dei consulenti finanziari. Inoltre ha sottolineato l’aspetto più importante che ci contraddistingue sul mercato che è l’assenza di conflitti di interesse. Il consulente indipendente non deve mediare tra l’interesse del cliente e quello di un altro soggetto, leggi banca. Una vera svolta istituzionale. A seguito delle parole del presidente Savona diversi vostri associati vi chiedono un impegno per riportare alla luce del sole la vecchia denominazione di consulente finanziario in48

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«IL PRESIDENTE CONSOB HA SOTTOLINEATO L’ASPETTO PIÙ IMPORTANTE CHE CI CONTRADDISTINGUE SUL MERCATO OVVERO L’ASSENZA DI CONFLITTI D’INTERESSE»

Nella foto Cesare Armellini, presidente di Nafop

dipendente in luogo di quella recentemente adottata di consulente finanziario autonomo. Pensate di impegnarvi in questa direzione? Siamo nati con il nome di consulenti finanziari indipendenti da sempre. Ben venga che anche il presidente della Consob, con il suo intervento, abbia voluto porre l’attenzione su un aspetto di trasparenza fondamentale agli occhi del risparmiatore. Oggi troppi soggetti stanno abusando del termine indipendente che può essere ingannevole per tutti coloro che si rivolgono ai consulenti finanziari. Ricordo che all’interno dell’albo solo i consulenti autonomi e le Scf formate dagli stessi sono in possesso del requisito di indipendenza soggettiva, che li contraddistingue sul mercato. Secondo la Relazione Ocf i consulenti finanziari autonomi iscritti alla nuova sezione sono appena 154 (dati aggiornati al 16 aprile, n.d.r.). Dopo anni di battaglie per l’affermazione della categoria il risultato non sembra numericamente esaltante. Non trova? Quanto può crescere la vostra sezione dell’Albo nei prossimi anni e a quali condizioni?


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Nel momento che lei mi ha posto la domanda abbiamo già superato i 200. Molte pratiche non sono state ancora evase in quanto la normativa prevede sei mesi entro i quali l’Ocf si deve esprimere. In questi mesi si stanno risolvendo alcune problematiche di snellimento delle iscrizioni, per esempio la possibilità di un consulente abilitato all’offerta fuori sede di inserire contestualmente alla domanda di iscrizione la cancellazione alla propria sezione, con un risparmio di circa due mesi di attesa. Il fattore di accelerazione più importante sarà la possibilità, a breve, per tutti coloro che sono iscritti all’Albo “di diritto” cioè senza aver sostenuto l’esame, di passare alla nuova sezione e sono circa il 50% del totale degli iscritti. In sintesi si può affermare che i numeri emersi dal tavolo di lavoro Consob, cioè tra i 3.000 e i 5.000 in tre anni, e dalla rilevazione dell’Ocf a fine 2016 - dove oltre 1.400 hanno dichiarato di volersi iscrivere sin da subito - sono attendibili, convenuto che il primo anno effettivo di operatività dell’Albo di categoria servirà unicamente a mettere a regime l’intera macchina burocratica. Quali sono i soggetti professionali che a suo giudizio potrebbero essere interessati a intraprendere la professione di consulente autonomo? Il bacino di utenza è sempre stato quello degli ex promotori finanziari, oggi consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede, già abituati a un’attività all’esterno del proprio ufficio, rispetto al dipendente bancario. Nel 2018 gli iscritti all’Albo dei consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede erano 55.335. Ex promotori e bancari conoscono buona parte del mestiere; certamente tra farsi pagare una parcella e vendere un prodotto finanziario la differenza è significativa e quindi è necessario un percorso di apprendimento permanente e focalizzazione sulla pianificazione del patrimonio, servizio principale del professionista fee-only. Mi aspetto comunque una buona risposta dai giovani appassionati di finanza che sono attirati dal poter svolgere un’attività simile a quella del commercialista o dell’avvocato inserita nel contesto finanziario. In Italia l’ondata fee-only non c’è ancora, ma dove il movimento dei consulenti indipendenti è veramente forte nel mondo? Può darci degli ordini di grandezza e spiegare come mai altrove gli indipendent financial advisor sono realtà di punta del mercato? In tutto il mondo anglosassone la figura è molto sviluppata, gli Usa la fanno da padrone in quanto l’attività non è mai stata ostacolata a livello normativo. La Napfa è l’associazione più rappresentativa alla quale ci siamo ispirati ed annovera migliaia di soggetti indipendenti. Se l’attività è libera, come ora è in Italia, l’offerta di consulenza potrà crescere e potrà essere conosciuta da un numero sempre maggiore di risparmiatori. Secondo voi le campagne di comunicazione Ocf, ora che le sezioni sono tre e presentano caratteri distintivi, non dovrebbero essere finalizzate a spiegare ai risparmiatori le differenze tra consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede, consulenti autonomi e Scf? Auspichiamo che vengano resi noti al pubblico i caratteri distintivi delle tre sezioni dell’Albo. Certo spiegare esattamente al risparmiatore la differenza tra i vari modelli di remunerazione e le differenti figure presenti sul mercato contribuirà notevolmente all’evoluzione e allo sviluppo del modello e delle best practice della consulenza indipendente. Da qualche mese siete entrati nel Comitato Consultivo

Nella foto Paolo Savona, presidente di Consob

di Ocf, come procede il dialogo con le altre associazioni dei professionisti e degli intermediari? Quali sono i vostri obiettivi nell’organismo? A oggi i rapporti sono ottimi, anche a livello personale. L’obiettivo a breve è lavorare per snellire la parte burocratica e ridurre il tempo di autorizzazione all’Albo. Sono convinto che tutti stanno lavorando anche per questo. Quali sono i temi di punta che verranno affrontati nel Fee Only Summit di Verona, che si svolgerà il prossimo 29 e 30 ottobre? L’evento veronese che coinvolgerà quest’anno circa duemila persone, rappresenta da dieci anni l’appuntamento imperdibile per tutti gli appassionati di finanza, gli operatori del settore e il mondo delle professioni. L’edizione attuale vedrà l’approfondimento di molti argomenti con speaker autorevoli e soggetti istituzionali. Uno dei temi sarà sicuramente il nuovo Ocf con l’ingresso degli indipendenti: si cercherà di capire come si potrà evolvere il mercato della domanda e dell’offerta di consulenza in un contesto di regulation sempre più orientato ad una maggiore trasparenza verso il cliente. Inoltre, si parlerà di fintech, di tecnologia al servizio della consulenza indipendente, di crypto asset, di feeonly financial planning, di investimenti Esg e degli skill necessari per affrontare la professione. Verrà dedicato ovviamente anche uno spazio ai giovani per spiegare come avvicinarsi alla professione. Infine, visto che ottobre sarà il mese dell’educazione finanziaria, una conferenza sarà dedicata proprio a questo delicato e fondamentale argomento. settembre 2019

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LA MAPPA DEI CONSULENTI INDIPENDENTI

Fee-only leader in Uk e Olanda, a piccoli passi in Italia e Spagna di Massimo Scolari*

I

l 1 dicembre 2018, con l’avvio delle nuove sezioni dell’Albo dei consulenti finanziari dedicate ai consulenti autonomi (persone fisiche) e alle società di consulenza finanziaria (persone giuridiche) ha rappresentato una data importante per il settore della consulenza finanziaria in Italia. L’introduzione della consulenza finanziaria indipendente in Italia si inserisce in un contesto regolamentare in evoluzione nei diversi paesi europei. Le tendenze di fondo Esaminando l’evoluzione della regolamentazione e del mercato in Europa si intravede una tendenza generale di fondo: nel decennio trascorso la normati-

visa verso la regolamentazione e la supervisione dei consulenti finanziari, l’evoluzione nei diversi paesi ha assunto dinamiche e perimetri differenti, soprattutto a causa delle profonde differenze nelle strutture dei sistemi finanziari nazionali.

Norme comunitarie e regole nazionali Ancor prima della Direttiva Mifid, in Francia, con la legge Financial Security del 1 agosto 2003, il ruolo e la missione dei consulenti finanziari (FIA) erano stati disciplinati dal Monetary and Financial Code e dal regolamento generale dell’Autorità di Vigilanza AMF. In Germania dal 1 gennaio 2008 entrarono in vigore nuovi regolamenti, disciplinati dalla legge sul contratto di assicurazione tedesco (Versicherungsvertragsgesetz, VVG) che mettevano l’accento sui diritti dei consumatori e delle informazioni da fornire prima della conclusione del contratto di assicurazione e durante la sua durata. Nel Regno Unito, dal 1 gennaio 2013, entrava in vigore la Retail and Distribution Review, un’importante riforma che introduceva molti cambiamenti nella prestazione del servizio di consulenza agli investimenti, tra i quali il divieto di percepire da parte dei consulenti finanziari incentivi dalle parti terze. Il divieto delle retrocessioni fu applicato dal 2013 anche in Olanda; in Danimarca, Norvegia e Finlandia il divieto di incentivi è invece limitato alla distribuzione dei prodotti assicurativi. Il 1 agosto 2014 in Germania veniva avviata una nuova riforma che prevedeva, per la prima volta in Europa, nuovi requisiti legali per la consulenza sugli investimenti “a pagamento”, ossia remunerata esclusivamente dal cliente. La legge sulla consulenza per gli investimenti a pagamento (Honoraranlageberatungsgesetz) prevedeva la tenuta di un registro presso la Bafin (Autorità di vigilanza tedesca) nella quale venivano inseriti i soggetti che prestavano la consulenza “a pagamento” (fee-based investment advisory). A dicembre 2014, com’è noto, anche l’Italia approvava un provvedimento per la riorganizzazione della consulenza finanziaria, dando vita al nuovo albo unico dei consulenti finanziari, con due ulteriori sezioni dedicate ai consulenti finanziari autonomi e alle società di consulenza finanziaria. Il 1 gennaio 2018 è entrata in vigore la Direttiva Mifidv 2 che disciplina e delinea i requisiti per la prestazione della con-

«A ECCEZIONE DEL REGNO UNITO, DOVE PREVALGONO GLI INDIPENDENT ADVISOR, LA STRAGRANDE MAGGIORANZA DEI CF È REMUNERATA CON COMMISSIONI SU PRODOTTI» va comunitaria, Mifid in primo luogo, e le diverse normative nazionali hanno puntato nella direzione di sottoporre la consulenza agli investimenti a regole di condotta e alla vigilanza dei soggetti autorizzati. In primo luogo, la Direttiva Mifid 1, entrata in vigore nel 2007, partendo dalla considerazione della sempre maggiore complessità dei mercati e degli strumenti finanziari, elevava la consulenza in materia di investimenti a servizio riservato a soggetti autorizzati e vigilati, sottoposti a specifiche regole di condotta al fine di accrescere il grado di protezione degli investitori. Tuttavia, nonostante una tendenza cdi50

settembre 2019


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sulenza su base indipendente nella quale sono precluse ogni forma di incentivo pagato da terzi, di tipo monetario e non monetario. Infine anche in Svizzera, paese nel quale i consulenti finanziari non erano mai stati soggetti ad alcuna regolamentazione, è stata adottata una nuova legge federale che prevede, entro la metà del 2020, la registrazione degli advisor in un registro che sarà tenuto da Finma.

Obblighi di registrazione in un Albo In tutti i paesi europei i consulenti finanziari sono tenuti alla registrazione in un Albo pubblico. Nella maggioranza dei casi l’albo e tenuto dalle Autorità di vigilanza (Fca nel Regno Unito, BaFin in Germania, Cvmv in Spagna e Finma, dal 2020, in Svizzera). In Germania i consulenti che forniscono consulenza finanziaria a pagamento ai sensi della sezione 34h del Codice industriale tedesco (GewO), limitatamente alla consulenza sui fondi di investimento, non sono iscritti nel registro BaFin ma in un registro gestito dalla Camera di commercio e industria. La Francia e l’Italia hanno invece seguito una strada diversa, assegnando la funzione di tenuta dell’Albo, e la conseguente vigilanza sugli iscritti, ad entità non governative; in Francia Orias è l’ente deputato alla tenuta dell’albo all’interno del quale figurano agenti collegati, intermediari bancari e intermediari di servizi di pagamento e intermediari assicurativi. In Italia, la Consob ha demandato la tenuta dell’albo unico dei consulenti finanziari all’Ocf (Organismo associativo vigilato dalla stessa Consob) e, dal dicembre 2018, ha delegato all’Organismo la funzione di vigilanza sugli iscritti.

La vigilanza sugli advisor La vigilanza esercitata sui consulenti finanziari nei diversi paesi risulta particolarmente differenziata. In primo luogo, la numerosità dei soggetti (persone fisiche e giuridiche) e in molti casi la scala dimensionale contenuta rendono assai difficile una efficace vigilanza microprudenziale. Nei diversi paesi sono state così adottate metodologie diverse; nel Regno Unito per esempio delle 14 mila società di consulenza più di 8 mila sono “appointed representative”, ossia soggetti che operano per conto di società di consulenza direttamente autorizzate da Fca (principal); in Francia la normativa nazionale prevede l’obbligo da parte di ciascun soggetto che esercita la consulenza di iscriversi a una associazione professionale, scegliendo tra quelle autorizzate e vigilate dall’authority Amf. In Germania la BaFin vigila sui soggetti iscritti all’Albo, ma la maggior parte degli operatori risultano iscritti solamente al Registro tenuto dalla Camera di Commercio. In Svizzera la nuova normativa FinSa, pur contemplando l’obbligo di registrazione, non prevede la vigilanza sui consulenti finanziari.

Il numero dei consulenti Il panorama dei consulenti finanziari che operano nei diversi paesi europei, se si fa eccezione del Regno Unito dove la percentuale di “independent advisors” è dell’87%, vede una stragrande maggioranza di consulenti finanziari remunerati secondo il modello tradizionale delle commissioni sui prodotti. Il numero dei consulenti fee-based risulta assai limitato in

«È PREVEDIBILE CHE, AL DISPIEGARSI DEGLI EFFETTI DELLA MIFID 2, IL NUMERO DEI CF INDIPENDENTI CRESCERÀ NEI PROSSIMI ANNI» Nella foto Massimo Scolari, presidente di Ascofind

Germania, nonostante la normativa nazionale sia stata avviata già da cinque anni. Tuttavia si segnala che alcune banche, come per esempio la Quirin Privat Bank di Berlino, hanno iniziato a proporre il servizio di consulenza su base indipendente. I numeri dei consulenti indipendenti (o che hanno scelto il modello dell’indipendenza con Mifid 2) risulta contenuto anche in Spagna e in Italia anche se, negli ultimi sei mesi, alcune banche spagnole (BBVA, Caixabank e Bankinter) hanno aperto i loro dipartimenti di consulenza indipendente. In Francia, se si esamina la distribuzione delle attività dei consulenti, si può notare che I soggetti che svolgono solo il servizio di consulenza in materia di investimenti (denominati Cif) sono una minoranza (816 per l’esattezza). Più di settembre 2019

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4.300 soggetti, oltre alla consulenza finanziaria, svolgono anche servizi di tipo assicurativo e servizi di pagamento. Il modello di consulenza finanziaria associato alla consulenza assicurativa è molto frequente anche in Germania e negli altri paesi del Nord Europa. Nel Regno Unito con l’introduzione della Retail and Distribution Review si era manifestata un temporaneo calo del numero dei consulenti finanziari. Negli anni più recenti il numero dei consulenti inglesi e il loro volume d’affari ha ripreso a crescere a ritmi positivi significativi. La tabella in basso riporta i dati relativi alla consistenza del mercato dei consulenti finanziari in ogni paese europeo esaminato.

te, fatto salvo che nei paesi nei quali è stato posto un divieto assoluto alla percezione di incentivi, non hanno per il momento ottenuto i risultati attesi. Il numero dei soggetti indipendenti o che hanno optato per la consulenza su base indipendente, secondo le previsioni di Mifid 2, risulta infatti ancora contenuto. È prevedibile tuttavia che, dopo un avvio su scala limitata, nel contesto di una maggiore trasparenza nei rapporti con i clienti in seguito al dispiegarsi degli effetti della Direttiva Mifid 2, il numero dei soggetti indipendenti possa accrescersi nel corso dei prossimi anni.

L’effetto Mifid 2 si farà sentire Il mercato della consulenza finanziaria, nonostante la convergenza normativa dettata dalla Direttiva Mifid, risulta ancora notevolmente frastagliato. Le riforme e le regolamentazioni nazionali finalizzate allo sviluppo della consulenza finanziaria su base indipenden-

*Presidente di Ascofind

PAESE EUROPEO CHE VAI, CONSULENTE INDIPENDENTE CHE TROVI PAESI UK

NORMATIVA DIVIETO DI ISCRIZIONE VIGILANZA NAZIONALE DENOMINAZIONE INCENTIVI ALBO SI

Independent Financial Advisor (IFA)

SI

SI

SI - FCA

NUMERO CONSULENTI IFAs (Firms) 5.048 (Advisors) 26.311 Independent 87% Restricted 11% Fonte: FCA 2017

Francia

Germania

SI

SI

Financial Investment Advisor (FIA) Conseiller en investissements financiers (CIF) Fee-based investment adviser

NO (SI, se svolgono consulenza indipendente)

SI

SI

SI

SI - AMF

Conseiller en investissements financiers (CIF): 5.232 Tied Agents:

3.385

Fonte: ORIAS 2017 SI - BaFin

BaFin Register: 19 Broker investimenti finanziari (34f): 34.784 Fee based investment advisers (34h): 191 Fonti BaFin Register, IHK Statistik Aprile 2019

Spagna

Italia

NO

SI

Empresa de Asesoramiento financiero (EAF)

Consulenti autonomi, Società di consulenza finanziaria

NO (SI, se svolgono consulenza indipendente)

SI

SI

SI

SI - CNMV

EAF: 190 (12 indipendenti) Tied Agents: 6.000 Fonte: CNMV

SI - OCF

Consulenti abilitati all’offerta fuori sede: 55.073 Consulenti autonomi: 196 Società di consulenza finanziaria: 27 Fonte: OCF 2018

Svizzera

SI (dal 2020)

Financial Advisers

NO

SI (dal 2020)

FONTE: ELABORAZIONI DI MASSIMO SCOLARI SU FONTI BAFIN, CNMV, FCA, IHK STATISTIK, OCF, ORIAS

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NO

N.D.



INTERVISTA A ENRICO SALVETTA

Cassa centrale banca: solidità a servizio del territorio di Angelo Curiosi

«P

ossiamo dire che sui territori in cui operiamo siamo percepiti, sia dalla clientela che dalle nostre persone, come un soggetto solido”, dice Enrico Salvetta, vicedirettore generale vicario di Cassa centrale banca. E pone l’accento su quell’aggettivo, “solido”, in cui è racchiuso in fondo una parte essenziale del senso strategico di un’operazione di riorganizzazione funzionale ma anche finanziaria di valore storico, quella che ha portato il sistema delle banche di credito cooperativo in Italia a ripartirsi in due grandi gruppi capaci di sostenere il presente e il futuro di un mercato creditizio divenuto ormai molto impegnativo. Il primo gruppo a partire e a essere operativo dal gennaio di quest’anno è stato appunto Cassa centrale. Salvetta è un trentino concreto e di poche parole, non vuole trarre bilanci (“sarebbe prematuro, siamo tutti qui a testa bassa a lavorare”) e sobriamente si limita a far capire che il lavoro in corso è impegnativo e complesso ma sta portando tutti i risultati preventivati. Preferisce però che siano i numeri a parlare, riservando per sé – in quest’intervista a Investire – alcune considerazioni e indicazioni sul ruolo sistemico che le Bcc hanno svolto e possono meglio continuare a svolgere in Italia dopo la loro riorganizzazione.

Allora, direttore, vediamo i numeri: 80 banche, dalle 136 inizialmente aderenti grazie alle fusioni in corso, con oltre 1500 sportelli, oltre 11 mila dipendenti, oltre 500 mila soci, 53 miliardi di raccolta diretta, 70 di attivo, 6,3 di patrimonio netto, 44 di impieghi lordi, 308 milioni di utile netto e un Cet1 ratio del 18,9%: una scheda tecnica davvero invidiabile, che oltretutto vi colloca tra il settimo e l’ottavo posto in Italia. Complimenti. 54

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SALVETTA: «IN TERMINI DI COSTI DEL SERVIZIO SIAMO MENO ONEROSI RISPETTO ALLE BANCHE CHE AGISCONO SECONDO MERE LOGICHE ECONOMICHE» Nella foto Enrico Salvetta, vicedirettore generale vicario di Cassa centrale banca

Con simili premesse, quale missione vi siete dati e vi sentiti di svolgere sul mercato? Ci sentiamo attori sicuramenti importanti, se non protagonisti. Abbiamo subìto la crisi come tutte le banche, anche perché quando tante altre si sono ritirate dal mercato, chi per mancanza di capitale chi per necessità di ristrutturazione, noi sul territorio c’eravamo e ci siamo rimasti. Quindi siamo cresciuti tanto, raccogliendo anche le esigenze di chi prima si rivolgeva altrove. Abbiamo sostenuto il tessuto economico delle piccole e medie imprese nei nostri territori, in una congiuntura in cui nessun altro lo faceva. Ne siamo orgogliosi. Anche noi abbiamo riportato le nostre ferite, come tutto il sistema bancario, ma i dati dimostrano che la nostra solidità patrimoniale è migliore (il Cet1 medio delle altre categorie bancarie italiane secondo i dati Bankitalia al 31 dicembre 2018 è di 13,3, ovvero 5,6 punti in meno di quello di Cassa Centrale, n.d.r.). Aver conseguito e voler mantenere questa solidità comporta delle rinunce, però. Non spingete l’acceleratore sull’utile, per esempio. In termini di costi del servizio siamo mediamente meno onerosi rispetto alle banche che agiscono secondo una mera logica eco-


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nomica. Per noi è importantissimo avere i conti in regola, e i dati lo dimostrano, ma applichiamo il concetto del giusto prezzo. Quindi generiamo anche un certo effetto calmiere sul mercato. E non solo nei servizi strettamente creditizi. In quali altri? Per esempio nel comparto bancassicurazione – per quanto riguarda i nostri mercati di riferimento – abbiamo probabilmente contribuito a incidere sulle tariffe praticate dalla concorrenza. Credete nella bancassicurazione? Abbiamo creato una struttura organizzativa e professionale importante che ci sta dando ottimi risultati. Gestire il sinistro vuol dire, per noi, molto di più che calcolare ed erogare un rimborso: vuol dire gestire il disagio del cliente, il fatto che la polizza gli sia stata venduta dalla sua banca di credito cooperativo comporta l’imperativo di risolvergli davvero il problema, dandogli il prodotto migliore possibile. Prima di mettere sul mercato un prodotto lo analizziamo e seguiamo la sua costruzione al meglio. Costruiamo la nostra offerta in partnership con importanti compagnie assicurative. Stiamo puntando molto sul welfare e sulla previdenza, lanceremo presto un prodotto molto avanzato sulla long-term care (assistenza sanitaria a lungo termine, n.d.r.) che è pensato per la soluzione delle situazioni di non-autosufficienza. Nell’ambito della nostra offerta si va dal fondo pensioni per i giovani ai prodotti per gli anziani, sempre all’avanguardia qualitativa. E oggi Assicura, la nostra società specializzata, ha 4 miliardi di euro di masse gestite di cui 400 milioni totali per quanto riguarda le adesioni alla previdenza integrativa.

«ABBIAMO AVUTO FERITE, COME IL SISTEMA BANCARIO, MA LA NOSTRA SOLIDITÀ PATRIMONIALE È MIGLIORE» Ma c’è interesse, attorno a questo approccio che è rinnovato ma non inedito? Il mercato sta dimostrando grande interesse nei nostri confronti. Anche sul fronte cruciale dei servizi finanziari? Assolutamente sì. Noi abbiamo lo spirito della mutualità nel nostro Dna e lo investiamo anche sulla finanza.

«IL FUTURO? IL GRUPPO DARÀ LA PRIORITÀ AL SERVIZIO ALLE FAMIGLIE E ALLE PICCOLE E MEDIE IMPRESE» Cioè? Da sempre il Credito cooperativo è per sua natura impegnato sul territorio. Per noi parlare di bilancio sociale è cosa non nuova, che ci appartiene da sempre come esperienza di tipo economico. Abbiamo una forte attenzione al sociale. Oggi ne parlano tutti, a volte, forse più per moda o per logiche di marketing. Ma in realtà chi meglio di noi può sviluppare realmente questo approccio? Siamo partiti prima, sappiamo come si fa. E dunque abbiamo deciso di riaffermare la nostra identità partendo dalle nostre radici e incrociando le ultime esperienze… Per esempio? Per esempio nell’ambito dei fondi comuni d’investimento. Vi operiamo tramite il fondo Nef che con i suoi comparti offre al risparmiatore la possibilità di costruire un portafoglio molto diversificato in funzione della propria strategia di investimento. Siamo stati tra i primi a inserire nella nostra offerta tre fondi etici, a partire dal 2015. Una delle nostre priorità è spingere sulla logica dell’investimento programmato pluriennale, dunque sui Pac, che smussano le volatilità del mercato, a beneficio del rendimento sul lungo termine. Oggi abbiamo oltre 400 mila piani di accumulo mensili. Sono in arrivo novità, nel settore? In ottobre, verrà lanciato un nuovo fondo – Nef Ethical Global Trend Sdg – che rispetta i valori Esg (Environmental, social e governance, n.d.r.) e i 17 Sustainable developement goals (Sdg). La parola ethical è stata scelta perché diversa da “sostenibile”: siamo sostenibili da sempre… però etica è di più. Se la sostenibilità diventa una moda, noi che veniamo da lontano, vogliamo ricordarci e ricordare al mondo che siamo cooperatori, che hanno iniziato la loro esperienza unendo risorse umane e finanziarie per far crescere il territorio e nei decenni hanno trasferito questi valori anche nelle attività finanziarie. Un’eredità che conta. Le dimensioni di questo vostro business? Nef ha oggi oltre 3,5 miliardi di asset, di cui più di 700 milioni di euro in fondi etici. Poi ci sono altri 7,5 miliardi di gestioni patrimoniali e 3 miliardi su fondi di case terze che distribuiamo con la nostra rete. E ora che evoluzione avete in animo di perseguire? Crediamo molto nel diretto rapporto con i nostri clienti e soci e nella nostra presenza capillare sul territorio. Il rapporto professionale e umano è stato e continuerà ad essere un fattore vincente. Ogni territorio ha esigenze diverse, che vanno conosciute, rispettate e valorizzate. Il gruppo darà sempre priorità al servizio alle famiglie e alle piccole e medie imprese. Siamo più grandi, ma non abbiamo cambiato stile e cultura. La nostra è una storia di rapporto e di condivisione con le comunità e con i territori. È questa la modalità con la quale vogliamo continuare a crescere, coerentemente alla nostra natura cooperativa, finalizzata alla ricerca del bene comune: il nostro pilastro. settembre 2019

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INTERVISTA AD ALESSANDRO FUGNOLI

«Il debito italiano fa meno paura Francia e Usa stanno peggio» di Sergio Luciano

L’

«

ipotesi di una nuova fase di ripresa globale è poco considerata in questo momento, dagli analisti. Ma non è un’ipotesi assurda. Niente di spettacolare ma la considero una possibilità concreta, legata al ciclo delle scorte»: Alessandro Fugnoli, Strategist di Kairos, cioè di una delle Sgr italiane più attente e competenti, ha il tocco lieve dell’osservatore colto e ironico. E, cosa rara nel campo, scrive bene e volentieri. E quando capita, come oggi con Investire, parla anche: sempre con prudenza e con una certa levità (meglio delicatezza?), ma con più disinvoltura, in fondo verba volant...

Allora, dottor Fugnoli: la fine del mondo non è ancora alle porte? C’è stata l’anno scorso, nel clima di boom legato agli Usa, una corsa a riempire i magazzini di scorte pensando che i consumi avrebbero continuato a essere molto brillanti. Invece queste scorte si sono rivelate un po’ eccessive. Per reazione, si è smesso di accumularle e nell’ultima parte dell’anno in corso gli stock potrebbero anche esaurirsi. Finalmente una buona notizia? Insieme al buon andamento delle Borse che dovrebbe aiutare. Ma ce ne sono anche di cattive… Tipo? E’ in corso un enorme shock dell’industria dell’auto europea e globale, ma non di quella americana. Il lancio dell’elettrico avrà un effetto positivo a lungo termine che però si sconta adesso, nel breve, creando un sacco di confusione, attendismo e titubanza. E’ in atto una caduta fortissima di immatricolazioni, e i già bassi margini del settore ne risentiranno. Per non parlare delle stringenti disposizioni ecologiche, delle multe protezionistiche come alcune di quelle americane contro i prodotti eu56

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LO STRATEGIST DI KAIROS È OTTIMISTA: «L’IPOTESI DI UNA NUOVA FASE DI RIPRESA GLOBALE NON È ASSURDA. ANZI È UNA POSSIBILITÀ CONCRETA, LEGATA COM’È AL CICLO DELLE SCORTE» Nella foto Alessandro Fugnoli, Strategist di Kairos Nella pagina accanto da sinistra Christine Lagarde, prossimo presidente Bce e Jerome Powell, presidente Fed

ropei... l’Europa è fortemente autocentrica… Vittima numero uno, la Germania… Ricordo che lo scorso anno in agosto ci fu un dato negativo sulla produzione manifatturiera tedesca che la Bundesbank commentò con un bollettino mensile ottimistico e minimizzatore, dicendo che il mese dopo già sarebbe andato meglio. Invece è passato un anno e restiamo come allora, il settore auto tedesco è in affanno e resterà strutturalmente sotto pressione per molti anni, le case automobilistiche dovranno effettuare giganteschi investimenti a fronte di ritorni tutti da valutare. Il tutto va unito agli effetti della pressione protezionistica che costringe le case a diversificare le filiere produttive. Chi prima aveva un solo impianto in Messico dal quale copriva tutto il mondo, adesso deve crearsi tre filiere produttive. E’ tutto molto complicato… Però vede anche la ripresa da rottura degli stock… Sì, a livello congiunturale è possibile che ci sia un piccolo miglioramento…sia chiaro, ci sono tanti “se”. Se non dovesse esserci da parte degli Usa il tentativo di aprire nuovi fronti di scontro politico-economico si potrebbe verificare, per reazione fisiologica, un ritorno alle scorte.


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Ancora sull’auto: come vede l’Italia? A parte Fca che in Italia ha una presenza ormai ridotta, la nostra industria è parte integrante della filiera dell’auto tedesca, e c’è non a caso una perfetta correlazione tra l’andamento dei due comparti manifatturieri. Condivideremo gli stessi ritmi. Di palo in frasca: che ne è dello spread? È sempre un buon termometro? Insospettisce la sua stabilità in tanto caos… Ci sono tante spiegazioni per questa stabilità. In un contesto di politiche globali e ultra espansive annunciate anche per i prossimi anni, possiamo pensare di essere forse solo all’inizio di un grande esperimento che vedremo svolgersi in un decennio e, chissà, anche oltre. E’ un contesto in cui banche centrali comprano tutto… se la Bce attraverso Bankitalia detiene il 20% di debito pubblico italiano, quindi il debito netto è al 110%… tutti i focolai di crisi sembrano ridimensionati… Ma l’anno scorso pareva che il quadro evolvesse ben diversamente! Sì, non eravamo nel contesto globale ultra espansivo di oggi. La Fed preannunciava il rialzo dei tassi e la Bce, dopo l’elezione di Macron, aveva annunciato una normalizzazione globale in arrivo. Era dunque un contesto restrittivo. Che prometteva semmai di accompagnare la crescita ma senza spingerla. Oggi invece in un contesto così espansivo qualsiasi problema viene accantonato e messo sullo sfondo. E c’è dell’altro. Cosa? Il mercato guarda ai dati macro che fotografano un deficit delle pubbliche amministrazioni più basso di quello di 2 e 3 anni fa… siamo vicini al 2%, contro il 2,5-3 degli anni scorsi. Stiamo quindi parlando del solito problema italiano, la poca crescita, non di scarsa disciplina fiscale. Ormai nel mondo si fa la tara sull’instabilità italiana, che veniva postulata anche quando c’erano altri governi. E’ un discorso forse superficiale ma diffuso, lo sento fare da quando ero ragazzo… è una cosa che c’è sempre stata. Tutta la Prima Repubblica, durata mezzo secolo, è stata guidata da governi brevissimi. Ok, ma tutto questo vive grazie a un contesto di tassi rasoterra. Che però estinguono i rendimenti di qualsiasi titolo. Non è un problema? Altro che. Nel mondo non c’è quasi più niente che renda qualcosa: polizze vita e fondi pensione che hanno bisogno di rendimenti sui 50 anni sono in default, se i tassi restano così bassi, e rischiano di non poter garantire le prestazioni che hanno promesso. C’è sul mercato fame estrema di titoli redditizi… l’emissione austriaca a 100 anni che rende l’1% è andata a ruba. I titoli italiani che rendono ancora di più sono richiestissimi… Eppure il debito mondiale è gigantesco, dovrebbe far paura… E’ enorme, sì. E infatti, quando si parla dell’Italia e del suo eccessivo rapporto debito pubblico/Pil, fa comodo citarlo come elemento di ricattabilità istituzionale, ma guardando metriche diverse siamo messi meglio di altri Paesi. Come debito privato sommato a quello pubblico, siamo messi molto meglio della Francia. Inoltre la velocità di crescita del debito pubblico è molto superiore oggi in Francia, anzi lo è da ormai 20 anni e sta accelerando, mentre da noi è stabile. Lo stock del debito Usa è nominalmente al 78% ma se si aggiunge al calcolo l’ammontare acquistato dalla Fed è già al 110, e sarà superiore a quello italiano tra 15 anni, anzi tra 10, sommando il debito delle amministrazioni locali. Hanno un disavanzo del 5% che ormai è stabile, si

discute se mantenerlo stabile o aumentarlo. E credo che, in prospettiva, se dovesse esserci amministrazione democratica il disavanzo aumenterà. Nel resto del mondo, dopo il QE, si è smesso di considerare il debito lordo come un indicatore significativo… Quindi il debito non è più il mostro che pensavamo. Ma ci sono i derivati finanziari, i famosi titoli tossici! Ci sono ancora eccome. C’è stata però una stretta progressiva per le banche in tutto il mondo, con richiesta di capitale e liquidità e anche una pressione regolatoria per ridurre la massa di derivati manovrata dalle banche, così che, anche le più esposte, anno dopo anno hanno ridotto. Quindi il rischio c’è, ma inferiore al passato. E dunque non credo che la prossima crisi si aprirà su temi già visti. Del resto, anche prima dei derivati, ciò che era instabile nella finanza era dovuto alla leva. Che non è un’invenzione degli ultimi anni, sicuramente con i derivati la leva è attivabile più facilmente, ma le crisi soprattutto immobiliari hanno insegnato qualcosa, hanno deprezzato il mattone e tolto spazi agli eccessi di leva… Proviamo a trarre una sintesi: lei sembra più tranquillo che preoccupato... Insomma, non è che io sia tranquillissimo. Sono affascinato dalle novità che si vedranno nei prossimi anni, anche da quelle non ortodosse, come già ne abbiamo viste nei 10 anni scorsi. Credo che non siano state niente rispetto a quel che vedremo. Al regime di “fiat money” non siamo abituati, dovremo abituarci. Del resto la Modern Monetary Theory ci dice che continuiamo a pensare come se ci fosse ancora un sistema aureo, cioè come se i soldi fossero limitati. Invece i soldi non sono più finiti, sono una risorsa espandibile, e tutto sommato finora se n’è approfittato con cautela, e il prezzo di questa cautela è stato la crescita bassa. Che però socialmente viene sopportata per breve tempo: dopo un po’ la gente comincia a protestare. Suscita sommovimenti politici per cui il primo reflazionista che passa viene votato… l’austerità viene respinta. Ovunque, a parte in Germania. Ma ancora una volta ha vinto il pragmatismo Usa. Qualche anno fa si procedeva con esperimenti poco ortodossi, come i primi Quantitative easing, dicendo: sia chiaro, ne usciremo subito! Adesso al primo starnuto lo si concede. E arriverà anche il Qe azionario, in Giappone lo fanno già, la Bank of Japan possiede diversi punti del Nikkei, la Banca nazionale Svizzera è diventata di fatto un enorme fondo di investimento azionario… Come si concluderà questo esperimento non lo so, il rischio che a un certo punto crolli il castello c’è, però prima di arrivare a quel punto se mai ci si arriverà ci sono ancora parecchi passaggi da fare. Vedremo con quanta saggezza. Se alla prima increspatura ci si precipita ad annunciare politiche ultra espansive viene da dire che si andrà velocemente sulla strada di una reflazione generalizzata… settembre 2019

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E u r o p e


INVESTIRE SPECIALIST

INTERVISTA A GIUSEPPE DE LUCIA LUMENO

Il Credito popolare è già proiettato nel futuro

I

di Luigi Orescano

l sistema bancario è oggetto di attenzione in un mercato che richiede assetti sempre più concorrenziali e tecnologicamente avanzati. C’è ancora spazio per le Banche popolari? Il sistema finanziario italiano, ma soprattutto quello economico, ha bisogno del Credito popolare e ne avrà ancor di più quando il superamento della crisi diventerà reale e non più annunciato. Questa consapevolezza trova conferma nella necessità avvertita dalle Popolari di individuare nuovi assetti di collaborazione e cooperazione che riconfigurino, per rafforzarlo, il rapporto generativo con il proprio corpo sociale e con i propri territori: un progetto di crescita per essere al passo con le nuove sfide. I risultati sono positivi per le Popolari, non trova? La prima parte del 2019 segna impieghi vivi, al netto delle sofferenze, cresciuti mediamente dell’1%, contro il -0,7 fatto registrare dal sistema. È proseguita la riduzione significativa del peso delle partite problematiche sui conti delle banche. Sul lato passivo la crescita della provvista è stata dell’1,5% e del 3% per i depositi. I nuovi impieghi alle Pmi hanno superato l’importo di 6,4 miliardi di euro e quelli relativi ai nuovi mutui alle famiglie 3,2 miliardi. Segnali positivi provengono dalle semestrali di giugno con un passo avanti verso conti in equilibrio e in linea con gli standard prudenziali.

Risolvere il nodo sofferenze è un passaggio ineludibile... Per la gestione integrata degli Npl sono state realizzate importanti operazioni che hanno coinvolto dalle banche interne alla Luzzatti S.p.A. L’obiettivo è assicurare un impatto di medio e lungo periodo sui bilanci. Con l’ausilio di società di standing nazionale e internazionale sono allo studio anche altre operazioni simili. È necessario individuare interventi sulla futura operatività bancaria ed elaborare un piano strategico che preveda tempi e metodi di realizzazione certi. L’operatività efficiente è un altro terreno dove investire. Ne siamo ben consapevoli. Si sta lavorando su strutture di acquisto comuni, sulla formazione, sui servizi fiscali e alle imprese, sulle strutture di advisory. Un primo blocco di interventi operativi è stato portato a termine. Un secondo, con l’individuazione di ipotesi applicative su back-office, sistemi informativi e data pooling comuni per la validazione dei modelli interni di rating, è in fase avanzata di elaborazione con lo scopo di alleggerire le strutture operative e renderle più efficienti.

IL SEGRETARIO GENERALE DELL’ASSOCIAZIONE FRA LE BANCHE POPOLARI TRACCIA L’AVVENIRE DEL COMPARTO

GIUSEPPE DE LUCIA LUMENO

Le Popolari “funzionano” ancora? Il Credito Popolare ha al proprio attivo performance di rilievo nonostante le difficoltà dell’economia reale. Relativamente al Cet1 dell’anno passato, quello delle Popolari è stato pari al 14,5% identico a quello dell’intero sistema. Il Roe, al netto delle componenti straordinarie, negli anni 2016-2018, ha segnato una media del 3%. Infine il cost-income ratio, con riferimento la media degli anni 2016-2018, è stato del 65,8% contro il 71,2 del sistema. Un fiume di liquidità continua a inondare le banche europee ma i prestiti alle imprese si riducono. Il problema principale dell’economia, soprattutto nel Mezzogiorno, è la comprensibile mancanza di ottimismo. La crisi è stata lunga e difficile. Il futuro è ancora grigio e segnato, sia sul piano internazionale sia su quello interno, da incertezze e conflittualità. Una seria politica economica europea con uno sguardo lungo tarda a palesarsi. Ma proprio per questo il Credito Popolare è oggi più che mai necessario. È una presenza insostituibile che ha contribuito ad arginare gli effetti della crisi e che potrà, nei prossimi anni, favorire la ricostruzione di un tessuto economico ora asfittico. Ciò sarà possibile perché la bussola di questa parte del sistema creditizio resta ferma nel finanziare le famiglie e le Piccole e medie imprese. Insomma, come sempre, è l’economia reale l’obiettivo prioritario. settembre 2019

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CONSULTINVEST

«Con Alpenbank cresciamo ancora riuscendo a rimanere noi stessi» di Sergio Luciano

MAURIZIO VITOLO, FONDATORE E CAPO AZIENDA DEL GRUPPO CHE UNISCE UNA SGR E UNA SIM, RACCONTA LA NUOVA ACQUISIZIONE E LE STRATEGIE CHE PERSEGUE: «ACCORDI ISTITUZIONALI E SEMPRE PIÙ SPAZIO AI MANAGER»

«N

on c’è dubbio che l’economia mondiale e i mercati finanziari globali stiano attraversando una fase critica. Ma questo crea opportunità di crescita per chi, come noi, ha scelto il criterio di praticare una gestione molto identitaria senza accodarsi alle mode finanziarie, ragionando con la propria testa e mantenendo sempre al centro della nostra azione unicamente gli interessi dei clienti, garantendo i quali garantiamo anche i nostri»: ha idee chiare come sempre Maurizio Vitolo, fondatore e amministratore delegato di Consultinvest, il gruppo finanziario nato a Modena 35 anni fa e impegnato nel settore del risparmio gestito con una filiera completa di attività, cioè una Sgr e una Sim, nelle gestioni patrimoniali – in modalità anche sartoriale – nella gestione di fondi comuni e nella vendita di questi come dei prodotti finanziari di

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settembre 2019

Maurizio Vitolo nel suo ufficio. Ha fondato da zero Consultinvest e l’ha portata a circa 350 consulenti e a 2,5 miliardi di asset. Nella pagina a destra la sede di Alpenbank

case terze, tutte le migliori. Fedele a questa linea molto autonoma, Vitolo ha dato al suo gruppo una calda estate perché proprio a cavallo tra la fine di luglio e i primi di agosto ha perfezionato un’acquisizione importante. Infatti Consultinvest e Alpenbank hanno raggiunto un accordo valido dal primo agosto scorso, in base al quale quarantasette consulenti finanziari dell’istituto di credito austriaco basato a Innsbruck andranno a rafforzare la rete del gruppo modenese. Alpenbank acquisirà una quota di circa il 5% nel capitale di Consultinvest Holding: un’alleanza dunque, e non una semplice transazione. «La nostra nuova partnership», sottolinea Vitolo, «vuol essere un moderno e celere volano con cui offriremo ai nostri clienti, ai consulenti che lavorano con noi e alle rispettive società nuovi servizi, con la qualità e la professionalità che ci contraddistinguono da sempre. La combinazione tra le due culture non può che essere un ulteriore elemento di distinzione in un mercato che evolve con rapidità e si fa sempre più competitivo». Vitolo e il suo team non sono nuovi a queste mosse, anzi: è proprio grazie al sapiente mix tra crescita per linee interne e acquisizioni che Consultinvest ha saputo superare i 2,5 miliardi di euro di asset in gestione e consulenza restando indipendente in un mercato molto competitivo. «Siamo determinati», aggiunge l’imprenditore-manager, «a diventare sempre di più un polo di aggregazione per quei consulenti finanziari che cercano soluzioni realmente su misura da offrire ai propri clienti e che vogliono lavorare con un intermediario in grado di rispondere alle vere esigenze della clientela». Ma come mai proprio Alpenbank? In realtà, a osservare da vicino i dettagli dell’operazione, la si scopre perfetta per l’integrazione strategica appena avviata. I quarantasette cf della rete conferita


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sono in parte insediati in Alto Adige e in parte in Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna, con una presenza qualificata fino a Roma. Per i vertici dell’istituto austriaco l’accordo ha senso perché gli consente di affidare a mani competenti una rete molto attiva – con circa 500 miioni di asset – per la cui gestione non ritenevano di avere già o di doversi impegnare per acquisire l’opportuno know-how: «Da noi in Consultinvest hanno trovato un’ottima organizzazione», sottolinea ancora Vitolo, «una piattaforma efficiente e una forte fabbrica prodotto. Con un’affidabilità alla tedesca, direi: che non comprime perà la creatività latina!». Non a caso i vertici della banca austriaca hanno comunicato ai clienti della rete trasferita a Consultivest l’avvenuta novità spiegando che con questa operazione sono stati uniti “i vantaggi propri di una banca austriaca radicata da anni nel territorio italiano con la capacità di gestione di Consultinvest e la struttura organizzativa di Consultinvest Sim che da anni opera con centinaia di consulenti finanziari”. «Quel che ci preme sottolineare è in quale logica s’inserisca l’intesa con Alpebank» dice ancora Vitolo. «S’inserisce in una precisa strategia di crescita territoriale, soprattutto nelle regioni dove siamo già presenti e che consideriamo i mercati più interessanti. Abbiamo in passato acquisito reti di Banca Network, Genesi, Millennium: e tutte queste integrazioni hanno sempre funzionato bene, in termini operativi. Abbiamo una lunga esperienza al riguardo». Quando arrivano risorse professionali dall’esterno il team di Consultinvest le accoglie affiancandole e aiutandole ad assimilare i valori aziendali, il modo di lavorare della rete, fermo restando la titolarità che i nuovi entranti conservano sui loro clienti, con in più l’input di lavorare in sinergia con tutta la squadra aziendale, che dell’indipendenza e della completezza delle competenze e dei servizi ha fatto da sempre il proprio punto di forza. «Per noi di Consultinvest questa è una strategia di crescita molto precisa, che continuerà, e stiamo monitorando il mercato in varie altre direzioni proprio per andare avanti». Ma non basta. Vitolo è giovane, ha sessant’anni, ma guarda lontano e sta gradualmente portando avanti una sensibile managerializzazione del gruppo. «Sì,

QUANDO ARRIVANO RISORSE PROFESSIONALI DALL’ESTERNO IL TEAM DI CONSULTINVEST LE ACCOGLIE AFFIANCANDOLE E AIUTANDOLE sono convinto che la forza di un’azienda relativamente piccola rispetto ai concorrenti con cui compete debba risiedere proprio nell’identità e nella qualità, valori che si presidiano coinvolgendo al massimo i top-manager», spiega, «Ecco perché, mentre nella subholding abbiamo perseguito l’ingresso di partner istituzionali importanti come Vittoria Assicurazioni e ora Alpenbank, nella cassaforte stanno diventando soci i manager, ce ne sono già dieci. A regime avranno tutti insieme la maggioranza del capitale”. Vitolo cita con un misto di compiacimento imprenditoriale ma anche di affetto il direttore generale Alessia Santecchia - una executive di estrazione legal, con lui da 15 anni - il capo dell’organizzazione Carlo Grazioli e il responsabile dei prodotti Domenico Loizzi. «La nostra forza, a oggi», conclude l’imprenditore, «è quella di aver raggiunto una dimensione ragguardevole conservando i tratti qualitativi della boutique e costruendo un’articolazione professionale e commerciale in linea con le strutture più grandi. E proseguiremo in questa strategia, con la doppia cura verso l’azionariato istituzionale e con il rafforzamento dell’azionariato manageriale nella holding, dettato da una precisa logica di preparazione a lungo termine del passaggio generazionale». settembre 2019

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TREND

Il sentiero delle biotecnologie è disseminato di preziose start up di Gloria Valdonio

R

ispondendo alla domanda di un giornalista, che chiedeva di che cosa si sarebbe occupato “da grande”, Bill Gates, il re del software, ha risposto: “di biotecnologie, il cui impatto sarà uguale o superiore a quello dell’high tech”. Non solo le Big Pharma - alle prese con una diminuzione delle prescrizioni, una scarsa innovazione e la scadenze dei brevetti dei loro farmaci di punta - ma anche i campioni della Silicon Valley si sono messi sul sentiero della biotecnologia, un sentiero disseminato di pepite d’oro, ovvero di aziende o start up con brevetti innovativi per la cura di malattie ancora mortali e di malattie rare, per le quali non c’è a tutt’oggi rimedio. Con questa prospettiva, e soprattutto con l’invecchiamento della popolazione anche nei sempre più ricchi Mercati Emergenti, anche alcune industrie tradizionali hanno abbandonato il loro core business: è il caso di Philips, che ha rinunciato all’illuminazione per trasformarsi in una delle principali società mondiali di tecnologia per la salute.

Commistioni pharma-tech Ma sono proprio i Faang che, grazie ai loro profitti milionari, all’esperienza maturata nell’intelligenza artificiale e all’inestimabile patrimonio di Big Data in loro possesso, hanno deciso di investire pesantemente nella biomedicina: Facebook, per cominciare, ha aperto centri di ricerca innovativi per la cura del diabete; lo scorso giugno Google ha siglato una collaborazione con la francese Sanofi per realizzare un laboratorio di innovazione che punterà sulle tecnologie basate (ovviamente) sui “data” per offrire soluzioni nel campo dell’assistenza sanitaria. E sempre a giugno anche Amazon ha mosso i primi passi nel settore con lo strumento di riconoscimento vocale Alexa, che ha ottenuto l’accesso agli archivi 62

settembre 2019

È IN ASSOLUTO IL SETTORE PIÙ PROMETTENTE DEL MERCATO AZIONARIO PERCHÉ CAVALCHERÀ I TREND DELL’INVECCHIAMENTO DELLA POPOLAZIONE MONDIALE E DELL’IMPIEGO DELL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE IN AMBITO SANITARIO. VEDIAMO COME

Nella foto in basso a sinistra Christophe Eggman, gestore Healthcare & Biotech di Gam Investments. A destra Anthony Ginsberg, ceo di GinsGlobal Index Funds. Nella pagina accanto Servaas Michielssens, cfa e senior biotechnology analyst di Candriam

dell’NHS (il servizio sanitario nazionale del Regno Unito) per rispondere a domande sulla salute da parte di milioni di potenziali utenti. Quanto a Apple, il Ceo Tim Cook confida che da qui ai prossimi dieci anni la società di Cupertino produrrà tra il 10 e il 20% dei suoi ricavi dall’healthcare. «Complici gli handicap del sistema sanitario statunitense, notiamo un trend per cui varie aziende della Silicon Valley, compresa Apple con i suoi dispositivi indossabili come l’Apple Watch, giocheranno un ruolo sempre più aggressivo nell’area della diagnostica e della gestione dei dati sulla salute», è il commento di Gianpaolo Nodari, amministratore delegato di J. Lamarck, società di consulenza finanziaria per investitori privati e istituzionali specializzata nei settori farmaceutico e biotecnologico.

Le Big Pharma e i loro satelliti Quanto alle protagoniste del settore, ovvero le multinazionali del pharma, stanno abbandonando sempre di più l’idea di finanziare i loro dipartimenti interni di ricerca&sviluppo, così vasti e dispendiosi. «Preferiscono acquistare semplicemente società più piccole che abbiano portato a termine con successo i


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incluse le immunoterapie, che prevedono il potenziamento o la modifica del sistema immunitario anche per distruggere le cellule cancerogene. Inoltre l’uso crescente dell’intelligenza artificiale per effettuare diagnosi ai pazienti sta portando la tecnologia più vicino all’assistenza con diagnosi più rapide e accurate in tutto il mondo. «Chi vive in un Paese povero potrà ricevere la prima analisi diagnostica al mondo via internet grazie all’intelligenza artificiale», commenta Ginsberg.

test sulle molecole e che stiano avendo buoni risultati con nuovi possibili prodotti», spiega Anthony Ginsberg, ceo di GinsGlobal Index Funds e fondatore dell’Han-Gins Indxx Healthcare Innovation Ucits Etf. «Le aziende farmaceutiche vedono questa operazione meno rischiosa: in definitiva un modo più semplice per far crescere la loro gamma prodotti senza esporsi troppo». Non solo: gli analisti osservano anche che le aziende farmaceutiche stanno cercando di diversificare il rischio entrando in nuovi campi dell’innovazione nell’ambito della salute legati a tecnologie all’avanguardia come l’AI, la robotica e il biotech.

Record di brevetti e di approvazioni Come spiega Servaas Michielssens, cfa e senior biotechnology analyst di Candriam, l’innovazione nel settore è particolarmente fiorente, con il 2018 che - con 59 nuovi medicinali - è stato un anno record in termini di farmaci approvati dalla Fda. «Ci sono diversi fattori alla base di questo trend. Grazie all’accesso su larga scala ora disponibile per il sequenziamento del Dna, si sta sviluppando la comprensione dei processi molecolari alla base delle malattie e vengono identificati nuovi farmaci target», dice Michielssens. Un altro elemento di interesse per gli investitori è che il quadro normativo sta migliorando. Se all’inizio degli anni ‘90 meno del 20% di tutte le nuove entità molecolari erano approvate dall’autorità di regolamentazione statunitense, nell’ultimo periodo il tasso è stato superiore al 75%. «È ovvio che il processo di sviluppo dei farmaci stia migliorando, ma la Fda è anche più cooperativa e lavora a più stretto contatto con le aziende per garantire che gli studi clinici necessari per l’approvazione della cura siano finalizzati già nelle prime fasi del processo», dice Michielssens. Domanda in crescita Veniamo ora al punto nodale: i costi sanitari, già molto elevati, sono destinati ad aumentare ulteriormente, a causa della crescita del 3 per cento annuo della fascia degli ultrasessantenni in tutto il mondo. Di conseguenza, si calcola che entro il 2050 la quota di over 60 sulla popolazione totale raddoppierà. Poiché gli anziani hanno bisogno di maggiore assistenza sanitaria, l’invecchiamento globale crea un interessante contesto di domanda per gli investitori del settore sanitario. «Tuttavia, per limitare tale incremento dei costi avremo bisogno di un sistema sanitario più efficiente e a elevato valore aggiunto», è il commento di Dries Dury, International & sustainable equity fund

Percent (Rebased to 100)

Le frontiere della ricerca Per orientarsi in questo settore in piena esplosione è importante sapere che la ricerca farmaceutica più innovativa e complessa si sviluppa nei campi delle neuroscienze e della INDICI A CONFRONTO manipolazione genetica, con le sue applicazioni rappresentate dalle terapie 120 S&P 500 Composite geniche che prevedono l’individuazione S&P 500 Health Care e la modificazione o spegnimento del 115 gene responsabile di una patologia. «Appena cinque anni fa era considerata dagli 110 stessi scienziati più fantascienza che una soluzione terapeutica, ma oggi la terapia 105 genetica vivrà il più grande sviluppo industriale degli ultimi 30 anni e rivoluzio100 nerà l’industria sanitaria come la conosciamo», afferma Christophe Eggmann, 95 gestore del settore Healthcare & Biotech GEN 2019 FEB 2019 MAR 2019 APR 2019 MAG 2019 GIU2019 di Gam Investments. Come spiega NodaFONTE: THOMSON REUTERS DATASTREAM. COPYRIGHT 2019© THOMSON REUTERS. ALL RIGHTS RESERVED ri, tra le applicazioni più avanzate vanno settembre 2019

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Nella foto Taymour Tamaddon, gestore del fondo T.Rowe Price US Large-Cup Growth Equity

manager di Dpam. L’efficienza dei sistemi sanitari rimarrà quindi una delle massime priorità dell’agenda politica delle nazioni. E la tecnologia, o meglio la biotecnologia, unita all’AI fornirà la risposta.

Settore strategico Come spiega Dury un altro tema che rende così interessante il settore è legato alla crescente importanza della Repubblica Popolare Cinese, che mira a diventare uno dei leader mondiali nella ricerca farmaceutica, favorita da una forte crescita della classe media, come sta peraltro avvenendo in altri mercati emergenti. «Si tratta di una tendenza a lungo termine, frutto di una decisione strategica del governo», spiega Dury. «Per raggiungere il suo obiettivo la Cina deve investire molto nei laboratori, e anche in aziende di tecnologia medica che vendono strumenti necessari al funzionamento di tali laboratori».

Performance Gli investimenti in biotecnologia, nonostante il settore si sia rivelato uno dei migliori degli ultimi 20 anni (oltre mille per cento la performance nel periodo), è ancora ritenuto ad alto rischio e le azioni sono intrinsecamente volatili. La diversificazione,

quindi, è d’obbligo. Secondo Nodari la parte dedicata alla biotecnologia non dovrebbe superare il 10-15% di un portafoglio e questa quota dovrebbe essere ben diversificata. La materia prima, come visto, non manca e fioriscono fondi ed Etf dedicati al settore. Ma su quali società è meglio puntare in questa fase per trovare valore? «Al momento il nostro Etf dedicato all’innovazione in ambito sanitario ha un’esposizione del 67% su aziende Usa, seguita dall’Irlanda a circa il 7% e dal Regno Unito al 6,3%. Sono anche rappresentati il Giappone, con il 5,8%, e la Cina, con il 4 per cento», dice Ginsberg. «Quanto ai titoli inseriti, voglio citare Edwards Lifesciences, un’azienda americana di dispositivi medicali specializzata in valvole cardiache artificiali e monitoraggio emodinamico. Le attese per Edwards Lifesciences sono ora di un fatturato di 2,5 miliardi di dollari». Titoli caldi Il consiglio di Taymour Tamaddon, gestore del fondo T. Rowe Price US Large-Cap Growth Equity, è investire nelle società che beneficieranno dei trend secolari di lungo termine. Quali sono? «L’innovazione della strumentazione medica e della tecnologia robotica è una delle aree in focus, poiché viviamo un periodo di grandi cambiamenti e la penetrazione della robotica nell’ecosistema della chirurgia statunitense e non solo sta crescendo rapidamente, portando maggiori ricavi e guadagni per i leader del settore», dice Tamaddon. I target? La Intuitive Surgical, un player dominante nel mercato relativamente nuovo della chirurgia robotica; e Stryker, società innovativa specializzata nella chirurgia dell’anca e del ginocchio che sta rapidamente strappando fette di mercato ai competitor. In Dpam il settore sanitario è il secondo per peso nei portafogli azionari globali e la med-tech, o tecnologia medica, rappresenta la maggior parte di esso. «Si tratta di uno scostamento elevato rispetto al benchmark», dice Dury. Che conclude con qualche consiglio: «Alcune aziende che osserviamo con particolare interesse sono Agilent, Danaher e Thermo-Fisher. La maggior parte delle aziende leader nel settore delle tecnologie medicali sono americane. Tuttavia, anche in Europa sono presenti molte aziende interessanti, come Diasorin e Lonza».

I MIGLIORI FONDI AZIONARI BIOTECH SOCIETÀ DI GESTIONE

CODICE ISIN

REND. A 1 ANNO

REND. A 3 ANNI

COMM. GESTIONE%

Selecta J. Lamarck Biotech C Cap EUR

Selecta Investments Sicav

LU1053929581

7,23%

53,35%

2,5

Candriam Eq. L Biotechnology R Cap EUR

Candriam Equities L Sicav

LU1269736838

4,43%

34,88%

0,8

Erste Sparinvest Kag

AT0000746755

3,93%

37,68%

2,16

Pictet Sicav

LU0255977539

2,32%

22,36%

2,3

ZEUS Capital SICAV

LU1023363721

0,63%

23,27%

2

Pictet-Biotech-HR EUR

Pictet Sicav

LU0190162189

-3,65%

15,93%

2,3

Pharus Biotech A EUR

Pharus Sicav Lux

LU1491986011

-14,48%

-

2

LU1176838347

-15,70%

-26,58%

2,16

NOME FONDO

ESPA Stock Biotec T EUR Pictet-Biotech-R EUR Zeus DNA Biotech A EUR

Variopartner SICAV Sectoral Biotech Opps P Cap EUR VARIOPARTNER SICAV

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settembre 2019



LA NUOVA STRATEGIA DI IG

«Con i nostri certificati una svolta nel controllo del rischio dei trader» di Angelo Curiosi

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efinire un rischio massimo, senza porre limiti ai guadagni: sembra una specie di magia, ma è semplicemente l’effetto di una particolare evoluzione che IG andrà a proporre a breve sui certificati, strumenti finanziari che si caratterizzano per un’ampia varietà di profili di rischio-rendimento. Si chiamano Turbo24 e in sostanza garantiscono che un’eventuale perdita sia limitata al capitale originariamente investito, senza però che questa barriera difensiva contro i danni di un rovescio, comporti come sempre accaduto finora - un limite al guadagno se invece il mercato si muove nella direzione giusta. In sintesi: guadagni potenziali illimitati, perdite potenziali limitate al capitale investito. Nel quartier generale italiano l’apertura a questa tipologia di prodotto sarà ricordata come una svolta. La piazza italiana è infatti molto attiva nell’ambito del gruppo IG. E Fabio de Cillis, country head per l’Italia, è entusiasta delle nuove offerte che andrà a rivolgere ai suoi clienti. «Sì, il mercato dei certificati in Italia è particolarmente interessante, e quello dei certificati turbo ancora di più. Faremo evolvere in modo intelligente ed efficiente la nostra offerta di prodotti introducendo alcune innovazioni radicali che ne esaltano le caratteristiche positive». Allora, per favore, riepiloghi per i lettori di Investire queste caratteristiche innovative dei Turbo24. La prima novità è che i Turbo24 saranno i primi certificati al mondo ad essere quotati 24 ore su 24: permetteranno di operare non solo su mercati a loro volta quotati 24h come le valute, ma anche su quelli che non lo sono, come indici e materie prime. Ma ci spieghi come funziona il limite al rischio. I Turbo24 sono a rischio limitato perché 66

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PARLA FABIO DE CILLIS, COUNTRY HEAD PER L’ITALIA DI IG: «IL NOSTRO MERCATO È PARTICOLARMENTE INTERESSANTE E QUELLO DEI PRODOTTI TURBO LO É ANCORA DI PIÙ»

Fabio de Cillis, country head per l’Italia di IG

garantiranno all’investitore, al trader, di non perdere più del capitale investito. Mentre se la scelta di investimento si rivela vincente, resta l’effetto leva che permetterà di moltiplicare il capitale effettivamente investito. Quanto ci puntate, come IG? Per noi sarà davvero un cambiamento epocale. Siamo in Italia dal 2008 e abbiamo sempre offerto solo CFD, convinti della validità del prodotto e premiati dai risultati. Ora abbiamo deciso di allargare l’offerta di strumenti, con i Certificati turbo, per andare incontro alle sempre crescenti esigenze dei trader. I Turbo24 saranno inoltre quotati su un Mtf, Spectrum, che ha sede a Francoforte. Ok, ma i sottostanti? Su quali mercati potranno investire i Turbo24? Offriremo inizialmente una selezione di 20 mercati sottostanti, i più scambiati all’interno del nostro mondo di trader, tra valute, materie prime e indici. In generale, come vedete l’evoluzione del mercato del trading on-line in Italia?


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Sta crescendo e riteniamo continuerà a crescere, anche grazie a chi magari non osa ancora provarlo. Secondo noi una delle motivazioni alla base di questo sviluppo risiede nella delusione costituita per molti dai prodotti del risparmio gestito. Per cui, se fino a qualche anno fa la scelta di gran lunga prevalente era quella di affidare interamente il proprio patrimonio ai gestori, oggi tende a diffondersi quella di conservarne una parte da gestire direttamente. Siamo molto positivi sul futuro anche perché sappiamo che avremo una serie di ulteriori novità molto attrattive per gli investitori e i trader, di cui i Turbo24 rappresentano il primo esempio… Molta acqua è passata sotto i ponti, dunque, da quando avete iniziato qui in Italia… All’epoca nessuno sapeva cosa fosse un CFD in Italia ed è stato un bellissimo percorso da allora ad oggi, di tipo quasi formativo; organizzavamo dei seminari e quando chiedevo chi conoscesse i CFD nessuno alzava la mano. Qualche anno dopo, le mani alzate erano tante. Da allora, abbiamo sempre confermato quest’approccio: facciamo educazione finanziaria al prodotto in sé e al trading on-line in generale. Per noi la formazione è stata e sarà sempre una chiave di volta essenziale per estendere il nostro pubblico. Dai road-show ai webinar accentueremo la nostra proposta divulgativa. Qual è l’identikit del vostro cliente, del trader? C’è stata una prima fase in cui da noi arrivavano quasi esclusivamente trader già esperti. Consideri che a offrire trading sui CFD siamo stati i primi in Italia. Poi via via si sono aggiunte altre fasce di pubblico, per cui oggi abbiamo un gruppo di clienti sofisticati e molto tecnici, un gruppo che definiamo ‘professional’ e moltissimi trader che si avvicinano ora a questo mondo desiderosi di gestire, anche in proprio, il loro patrimonio. C’è una nuova sensibilità del pubblico verso la possibilità di amministrare almeno in parte da soli i propri soldi… c’è chi dice: visto che finora ho sempre pagato fior di provvigioni per perdere, almeno provo da solo… E dunque torniamo alla gamma prodotti che si allarga! Come sa il gruppo esiste da 45 anni e si è specializzato nei CFD. Ora stiamo allargando la gamma. Nell’insieme, offriamo la possibiltà di negoziare su 15 mila sottostanti! Ad aprile scorso abbiamo lanciato il primo prodotto diverso, le barrier: si tratta di opzioni tecnicamente definite ‘knock out’, un prodotto a rischio limitato, perché dotate di una barriera, appunto, contro le perdite, e hanno già raccolto dal mercato un’ottima risposta… e ora il passo successivo, i Turbo24. I primi quotati, ci diceva… Esatto, e negoziabili H24, i primi al mondo, con un’importante liquidità, per permettere al trader di negoziare lo strumento in qualsiasi frangente. Sarà possibile gestire l’effetto leva scegliendo il livello di knock out che però non viene attivato durante le fasi di chiusura del mercato di riferimento sottostante. Ci spiega meglio? I Turbo24 saranno negoziabili H24 anche quando il sottostante non è a sua volta trattabile H24, come accade spesso con gli indici azionari. Ebbene se il livello di knock-out, a cui scatterebbe lo stop-loss, viene raggiunto durante gli orari di chiusura della borsa di riferimento, prima di perdere si attende la riapertura del mercato per fruire di un eventuale rimbalzo. Se alla riapertura il prezzo è ancora oltre il livello del mercato, la posizione viene chiusa alla peggio a quel valore. Se il mercato è tornato a favore,

la posizione rimane aperta”. Una barriera intelligente, insomma! Chiamiamola così! Lo spread di negoziazione sarà comunque estremamente competitivo rispetto al mercato di riferimento. Ma ancora una domanda su di voi: perché cambiare, e allargare la gamma, proprio ora? Da sempre cerchiamo di apportare innovazioni sul mercato e abbiamo individuato un’interessante opportunità nel mondo dei certificati, in cui a nostro avviso mancava qualcosa. Forti di un’esperienza di oltre 45 anni che ci rende competenti come pochi nell’industria del trading, abbiamo quindi elaborato questa straordinaria proposta. Adesso però si tolga per un attimo il cappello del top-manager e dia un consiglio professionale a un suo amico: qual è per lei la quota ottimale di patrimonio che può essere destinata a un prodotto con queste caratteristiche? Direi che una quota tra il 15 e il 20%, in un regime di asset allocation prudente, ma aperto al nuovo, ci sembra ottimale.

«DESTINARE UNA QUOTA TRA IL 15 E IL 20 PER CENTO DEL PROPRIO PATRIMONIO AI CERTIFICATI CI SEMBRA UNA SCELTA OTTIMALE»

Soglia di accesso ottimale per iniziare? Posso dirle che chi si avvicina a questo prodotto mediamente inizia con un minimo di 5-10 mila euro. Ma spesso si arriva a cifre ben più consistenti.

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SCENARI D’INVESTIMENTO

L’importanza del premio di liquidità dietro la crescita del private equity di Matteo Ramenghi*

UN FATTORE CHE CAMBIA NEL TEMPO A SECONDA DELLA PROPENSIONE AL RISCHIO DEGLI INVESTITORI E DELLE POLITICHE MONETARIE. SI RIDUCE CON SCELTE ESPANSIVE

I

n economia il premio di liquidità è ciò che spiega il differenziale di rendimento e valutazione di due strumenti finanziari che hanno caratteristiche simili tranne la liquidità, vale a dire la possibilità di liquidare rapidamente un investimento a prezzi di mercato. Un investimento illiquido comporta un rischio maggiore e deve quindi offrire rendimenti più elevati o multipli valutativi più contenuti, vale a dire che deve presentare uno sconto rispetto a un investimento liquido. Il premio di liquidità cambia nel tempo a seconda della propensione al rischio degli investitori e delle politiche monetarie. Dopo un decennio caratterizzato dall’attivismo delle banche centrali e da bassi tassi d’interesse, non deve stupire che gli investitori abbiano accettato liquidità via via inferiore su una parte dei propri investimenti in cambio di maggiori rendimenti attesi: il premio di liquidità si è quindi ridotto. Le banche centrali hanno aperto a una nuova stagione di politiche monetarie espansive e quindi non è inverosimile che il premio di liquidità possa ridursi ulteriormente. Tra i principali investimenti illiquidi troviamo il private equity, vale a dire fondi che raccolgono capitali per acquisire partecipazioni in società che normalmente non sono quotate. Nel rapporto “The UBS / Campden Wealth Global Family Office Report” del 2018 è contenuto un sondaggio sui family office che indica un’esposizione a fondi di private equity pari all’8%, un aumento molto significativo rispetto all’anno prima. Questa tendenza è ben visibile anche in Italia, dove questa tipologia di investimento viene offerta sempre più spesso anche a investitori privati. A livello mondiale, a fine 2018, i capitali raccolti da fondi di private equity e ancora inutilizzati (il cosiddetto “dry powder”) ammontavano a 1.677 miliardi di dollari, quasi il doppio rispetto al 2009. Impiegare tutti questi capitali su un arco temporale tutto sommato breve (normalmente il periodo di investimento dei fondi di private equity è di circa tre anni) può creare competizione nell’acquisire aziende e talvolta portare alcuni fondi a pagare valutazioni elevate. In effetti mentre sulle borse prevale una certa prudenza da parte dei gestori, i prezzi pagati dai private equity in operazioni di acquisizione implicano moltiplicatori de68

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gli utili si aggirano su livelli vicini a quelli del 2007 sia in Europa che negli Stati Uniti (fonte S&P LCD). Proprio per questo, di recente gli imprenditori che intendono vendere la propria azienda sembrano orientarsi più spesso verso il private equity che verso la borsa. La vendita a un fondo talvolta può consentire di ottenere prezzi maggiori, la cessione del controllo e minori incombenze amministrative rispetto a una quotazione. Dal punto di vista degli investitori spesso si legge che gli investimenti illiquidi avrebbero il vantaggio di essere meno volatili perché il valore di mercato non è costantemente visibile. Nella realtà non è così, non mostrare in tempo reale il valore di mercato non rende gli investimenti illiquidi meno volatili. A testimoniare ciò, si consideri lo scoppio della bolla del 2000 che ha visto l’indice azionario globale (MSCI ACWI) scendere del 50% mentre l’indice che rappresenta i principali private equity quotati (LPX50) scendere del 73%; analoghe considerazioni valgono per la crisi finanziaria globale del 2008 quando i crolli sono stati rispettivamente del 60% contro l’83%. È vero però che un investimento illiquido spesso non consente di venderlo nei momenti di stress, spesso sui minimi, e questo può rappresentare un vantaggio per contenere l’emotività di alcuni investitori. In conclusione il mondo del private equity è in rapida espansione anche grazie alle politiche monetarie accomodanti degli ultimi anni. Rappresentano una importante controparte per molti imprenditori che vogliono cedere una parte della propria azienda. Per gli investitori che presentano i necessari requisiti regolamentari, all’interno di un portafoglio ben diversificato una componente satellite di private equity può avere senso in presenza di un orizzonte temporale lungo e in particolare se ci si posiziona all’inizio del ciclo economico. Infatti all’inizio di un ciclo economico le valutazioni sono più basse e normalmente, il premio di liquidità è maggiore. * Chief Investment Officer UBS WM Italy


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AMBIENTE, SOCIETÀ & GOVERNANCE

Esg, le buone prassi diventano linee guida per l’Aifi

È

di Annalisa Caccavale

L’ASSOCIAZIONE DEL PRIVATE EQUITY PUBBLICA UN COMPENDIO CHE DÀ INDICAZIONI AGLI INVESTITORI PER ORIENTARE LE SCELTE VERSO QUEI FONDI CHE PUNTANO SULLA SOSTENIBILITÀ

il buono che fa bene agli investimenti. Sembra una stonatura ma proteggere l’ambiente, investire in una società migliore ed essere attenti al buon governo dell’azienda, sono le parole chiave per chi persegue i criteri Esg. Tre lettere che significano Environmental, Social e Governance. Alcuni, forse un po’ Survey 2019” ha esaminato 162 fondi di cinicamente, diranno che si tratta solo di Private Equity (General Partners o GP) e un modo nuovo di vendere un prodotto, investitori (Limited Partners o LP) per per tanti, sempre più, sta diventando un capire meglio come i principi legati ai crinuovo modo di selezionare le aziende teri Esg stanno cambiando e modificando nelle quali investire. Non è una questione sviluppando e approccio all’investimento. di buoni sentimenti ma di ottimi ritorni I risultati dello studio dicono che l’81% sull’investimento e per questo motivo Aifi degli intervistati interviene ai propri l’associazione del private equity, venture consigli di amministrazione trattando arcapital e private debt, dalla firma della gomenti legati agli Esg almeno una volta carta dell’investimento sostenibile, ha all’anno; il 35% dei fondi di private equity continuato a lavorare al tema. hanno un team dedicato agli investimenti Dopo aver elaborato un report nel 2015 responsabili, il 91% ha già adottato o sta insieme al Forum della Finanza Sosteattualmente sviluppando una politica di nibile, l’associazione sta lavorando a un INNOCENZO CIPOLETTA, PRESIDENTE AIFI investimento responsabile. Se diamo uno quaderno che descriva le buone prassi per l’integrazione di tali sguardo alla Global Sustainable Investment Alliance (Gsia) che principi nell’ottica di un investimento remunerativo. Il quader- monitora gli investimenti sostenibili e responsabili mondiali, si no vedrà la luce questo mese grazie anche alla collaborazione vede come gli investimenti Esg compliant stanno crescendo noe al sostegno del tavolo di lavoro che rappresenta tutte le asset tevolmente e sono passati dai 13,3 trilioni di dollari del 2012 ai class dell’associazione. Il compendio può essere utile per indi- 30,7 trilioni di dollari del 2018. Il focus sui criteri utilizzati nella rizzare gli investitori verso scelte più coerenti rispetto alle tema- scelta dei dossier, cambia a seconda degli obiettivi; nel 2018, per tiche Esg. Si può intervenire per creare valore, per far crescere esempio, i dati Gsia hanno rilevato come il 64% degli operatole aziende in portafoglio sia sotto il profilo delle dimensioni sia ri che adotta i criteri Esg, ha utilizzato il “Negative screening” della reputazione, arrivando al disinvestimento con una target ovvero l’esclusione di emittenti in determinati settori a rischio che ha accresciuto il proprio valore sia negli asset tangibili sia o compromettenti, il 57% ha chiesto l’integrazione di elemenin quelli intangibili. Gli stessi investitori si orientano sempre più ti Esg nell’analisi, e il 31% ha portato aventi “l’engagment” un verso quei fondi che hanno nella propria governance tali prati- dialogo con l’emittente sui temi della sostenibilità. Sul fronte deche, e anche l’Europa ribadisce la necessità di cambiare il pro- gli investimenti sostenibili sul totale degli asset gestiti, anche a prio modo di operare, e lo ha esplicitato attraverso Direttiva eu- seconda dell’intervento attraverso campagne di dissemination, si vedono sviluppi diversi a seconda delle aree geografiche: tra ropea sulla rendicontazione delle informazioni non finanziarie. Banca d’Italia si è già mossa in questo senso, dando più peso nel- il 2014 e il 2018, in Europa sono stati realizzati 13,8 trilioni di la gestione dei propri investimenti, a fattori legati ai principi Esg, dollari di investimenti (il 46% del totale investito) il 15% in più il motivo, lo afferma l’ente stesso, è di privilegiare e valorizzare rispetto a quanto fatto negli Stati Uniti che è al secondo posto anla responsabilità sociale delle imprese migliorandone gestione che se la percentuale è diminuita poiché nel 2014 era del 58,8% del rischi finanziario e reputazionale. London Stock Exchange sul totale. Sono invece cresciuti moltissimo, passando dal 16,6% Group e Borsa Italiana, nel 2017 hanno pubblicato una guida del 2014 al 63,2% del 2018, Australia, e Nuova Zelanda. Da incontenente raccomandazioni e best practice destinate alle so- teresse di nicchia a movimento di massa; i criteri Esg possono cietà quotate sui propri mercati. Se diamo uno sguardo ai nu- far bene a tutti: investitori, operatori, aziende, ambiente, società. meri, un report di PwC “Private Equity Responsible Investment Forse questo renderà la finanza un po’ “più buona”. settembre 2019

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SCENARI ASSICURATIVI

Il bisogno di protezione e la sindrome da eterni Peter Pan di Nicola Ronchetti*

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IL RISCHIO DI PERDITA DELL’AUTOSUFFICIENZA LEGATO ALL’ETÀ NON VIENE PERCEPITO DAGLI ITALIANI. SERVE LA SPINTA CONVINTA DI BANCHE E ADVISOR PER COLMARE LA LACUNA

a iniziato Intesa Sanpaolo apponendo sulle vetrine delle filiali la scritta Banca Assicurazione e ora non si contano più le banche che hanno seguito a ruota il suo esempio. Si tratta di un passo decisivo che sancisce una storia iniziata tanto tempo fa con il progetto Bancassurance che ha riguardato la maggior parte delle banche. Sul ramo vita le banche hanno da tempo conquistato una posizione di leadership, la novità è l’ingresso nel ramo danni, dove la maggior parte delle reti di agenti assicurativi, che hanno sfruttato per anni le enormi rendite di posizione relative alla RC Auto, paiono meno reattive di come forse sarebbe auspicabile. Gli italiani si sa sono un popolo cronicamente sotto assicurato e ultimamente anche poco incline agli investimenti. Nel 2001 aveva investito il proprio risparmio NICOLA RONCHETTI un italiano su due oggi solo uno su quattro. Gli italiani mostrano una forte predisposizione al possesso di beni immobili e liquidità, nonostante l’elevato costo e la ridotta redditività e un patrimonio immobiliare che si è svalutato mediamente del 40% negli ultimi dieci anni. Le due passioni degli italiani - mattoni e cash – tradiscono forse le nostre origini contadine e confermano che siamo un popolo molto concentrato sul presente, carpe diem il nostro mantra. Soffriamo infatti della sindrome di Peter Pan: amiamo vivere un’eterna fanciullezza, rifiutandoci di crescere, di assumerci responsabilità e di fare delle scelte per chi verrà dopo di noi. E quando si perde l’autosufficienza cosa facciamo? Spendiamo ogni anno 15 miliardi di euro, di cui 9 miliardi annui per l’assunzione di badanti e 5 miliardi per il pagamento di rette di degenza in strutture di ricovero, senza aver preso in considerazione – al momento giusto - una polizza Long Term Care contro il rischio di perdita dell’autosufficienza. Vi è poi un altro paradosso: nonostante tre italiani su quattro (75%) abbiano una casa di proprietà, questa viene coperta da una polizza assicurativa soltanto nel 25% dei casi. Non parliamo poi di infortuni, assicurazioni vita, RC famiglia e spese mediche. L’Italia è il 4° paese, secondo l’Ocse, per longevità con un’aspettativa media di vita alla nascita di 85 anni. Rischiamo quindi di sopravvivere ai nostri risparmi, rimanendo scoperti di fronte alle eventualità che statisticamente possono capitare.b Certo in parte questo dipende anche dalla mancata fiducia nei confronti del comparto assicurativo, ma 70

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non solo. Basti pensare che anche se “del doman non v’è certezza” in Italia, soltanto il 20% degli individui pensa alla successione, contro il 50% degli europei. E, di questi solo il 5% ha affrontato praticamente il tema. È indubbio che quando parliamo di protezione e investimenti si tratta di mercati guidati dall’offerta. Il settore bancario, finanziario e assicurativo dovrebbero dunque interagire maggiormente per sensibilizzare i propri potenziali clienti a proteggersi dalle incognite del futuro e soprattutto a occuparsi di pianificare la propria successione. Se gli italiani sono più bravi a risparmiare che a investire, in parte la responsabilità è di un’offerta che fino a oggi si è focalizzata ancora troppo sulla vendita del prodotto e non sulla proposta di soluzioni per i progetti di vita dei propri clienti. I consulenti finanziari hanno tutte le caratteristiche (vicinanza e continuità del rapporto con il cliente e la sua famiglia) per colmare questo vuoto. Il passaggio - già in atto - del 65% della ricchezza da una generazione a quella successiva è un’opportunità da non lasciarsi sfuggire soprattutto per il bene del Paese. Ben vengano le banche, dunque, che spinte dalla ricerca di margini perduti su altri fronti, affiancano le compagnie assicurative e gli agenti nella proposizione commerciale di polizze assicurative anche nel ramo danni e infortuni oltre che nel ramo vita, da sempre territorio di conquista. Protezione, pianificazione e personalizzazione sono tre concetti su cui si giocherà sempre più il futuro di molte banche e reti di cf. *Founder e ceo di Finer


critEri EsG aziEndE sostEnibili

azioni intErnazionali

diVErsificazionE

pErformancE sEmprE più GrEEn, pEr una crEscita sostEnibilE. Eurizon Fund Sustainable Global Equity (lu1529957687) Le aziende non generano profitti tutte allo stesso modo: i profitti generati con l’attenzione al benessere delle comunità e all’ambiente sono più sostenibili nel tempo, rispetto ai profitti ottenuti con strategie opportunistiche di breve periodo. Per questo Eurizon Fund Sustainable Global Equity investe sui mercati azionari internazionali e si distingue per: l’utilizzo di una strategia che integra l’analisi EsG (di impatto ambientale, sociale e di governo aziendale) e l’analisi fondamEntalE per individuare aziende con vantaggi competitivi sostenibili nel tempo; ricercare Extra-pErformancE nel lungo termine rispetto al benchmark 100% MSCI World Hedged in Euro. Eurizon fund sustainablE Global Equity è un Comparto del fondo lussemburghese Eurizon Fund, istituito da Eurizon Capital S.A. e gestito da Eurizon Capital SGR S.p.A..

Società del gruppo

www.eurizoncapital.lu

Il Comparto è destinato esclusivamente agli investitori istituzionali. La pagina contiene informazioni relative ad un fondo comune di investimento di diritto lussemburghese gestito e registrato per la distribuzione in alcuni, ma non tutti i Paesi dell’UE. È responsabilità dell’investitore l’osservanza di tutte le leggi e i regolamenti applicabili nella propria giurisdizione. Le informazioni qui contenute non configurano la prestazione del servizio di consulenza in materia di investimenti o un’offerta di vendita o una sollecitazione all’acquisto di qualsivoglia strumento finanziario o servizio di investimento negli Stati Uniti d’America o a beneficio di qualsiasi soggetto statunitense (intendendosi per tale persone fisiche residenti negli Stati Uniti o società costituite ai sensi della normativa statunitense). Il Fondo non è registrato negli Stati Uniti ai sensi dell’ “Investment Company Act” del 1940 e le quote/ azioni del Fondo non sono registrate negli Stati Uniti ai sensi del “Securities Act” del 1933. Il presente documento non è destinato a Investitori residenti in Hong Kong ed il suo contenuto non è stato approvato dalla “Hong Kong Securities and Futures Commission”. Si consiglia agli investitori di considerare i rischi associati al Comparto, come descritto nella sezione “Rischi Specifici” del Prospetto. Nessuna garanzia viene data agli investitori che l’obiettivo del Comparto sarà effettivamente raggiunto. Eurizon Capital S.A., le proprie affiliate, i propri dirigenti o impiegati non saranno responsabili per qualsiasi danno derivante dal fatto che qualcuno abbia fatto affidamento sulle informazioni contenute nel presente documento e non sarà responsabile per qualsiasi errore e/o omissione (quale a titolo meramente esemplificativo errori o omissioni fatte da terze parti) contenuti in tali informazioni. Le informazioni qui contenute sono suscettibili di modifica senza alcun obbligo da parte di Eurizon Capital S.A. di preventiva comunicazione.


PRODOTTI

a cura di Francesco Bellizzi

FONDI&ETF

CERTIFICATI

ARRIVANO I CERTIFICATI ATTIVI DI VONTOBEL, CON I VANTAGGI DEI FONDI COMUNI

I

n un contesto che vede da tempo la crescita parallela dei certificati di investimento quotati in Borsa (+1000% in dieci anni) e dei fondi comuni, Vontobel (nella foto la sede milanese di piazza della Borsa 2) lancia – primo player sul mercato italiano – i certificati attivi, il primo strumento in grado di coniugare i vantaggi di entrambe le tipologie di prodotto. I fondi comuni e i certificati di investimento in Borsa sono i due prodotti tenuti insieme dal primo certiticato attivo tutto italiano della storia. Lo strumento porta la firma della private bank svizzera, Vontobel. Il certificato, quotato dallo scorso giugno sul SeDeX, è dedicato alla Via della Seta, la Belt and Road Initiative, e realizzato con il supporto di China Construction Bank International Asset Management. Soglie di ingresso basse, struttura fiscale favorevole per la compensazione di minusvalenze, trasparenza e liquidabilità tipiche degli strumenti quotati in Borsa, vantaggi tipici dei certificati, saranno accompagnati da quelli della gestione che caratterizza i fondi attivi. I certificati attivi infatti replicano un indice creato sulla base di una strategia di investimento di un investitore professionale come un asset manager. Vontobel presenta i nuovi strumenti come un passo “verso una ulteriore democratizzazione delle strategie di investimento”. In che senso? Gli investitori hanno per la prima volta la possibilità di accedere a strategie di gestione attive attraverso uno strumento fiscalmente efficiente; inoltre possono accedere a strategie di asset manager di piccole dimensioni o non ancora direttamente presenti sul mercato italiano e quindi non in grado di promuovere i propri prodotti. Infine gli asset manager possono contare su un nuovo veicolo per far conoscere le proprie strategie e ampliare il target di investitori ai quali si rivolgono. Per quanto riguarda i target di investitori, rispetto ai fondi comuni i certificati attivi sono adatti per quanti hanno un orizzonte temporale di breve/medio periodo e capitali non necessariamente cospicui (l’investimento minimo è pari al prezzo di un certificato, circa 100 euro). “Coniugare strategie a gestione attiva di qualità con la struttura fiscalmente agevolata dei certificati rappresenta un passo di innovazione importante che abbiamo saputo compiere per primi grazie alle competenze presenti all’interno di Vontobel, dall’investment banking all’asset management, passando per il wealth management”, commenta Francesca Fossatelli, responsabile public distribution Italy di Vontobel Investment Banking. «Il primo passo lo abbiamo compiuto collaborando con uno dei player di primaria grandezza come Ccbiam per lo sviluppo di uno strumento dedicato a uno dei temi che maggiormente guiderà la crescita del mercato nei prossimi anni, la Belt and Road Initiative», ha aggiunto. 72

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UNA LINEA AZIONARIA BASATA SU ETF, SU MISURA DEL CLIENTE. LA SCOMMESSA DI EUCLIDEA E VANGUARD A fine luglio Euclidea ha annunciato il lancio di una nuova linea azionaria esclusivamente investita in fondi indicizzati ed Etf di Vanguard. La prima è una sim di gestione patrimoniale autorizzata da Consob, che offre soluzioni di investimento personalizzate tramite una piattaforma digitale online; la seconda, un’azienda di investimenti internazionale attiva da oltre quarant’anni nell’ambito degli investimenti di qualità a bassi costi, entrata nel mercato italiano con la quotazione di 19 Etf a Piazza Affari. Salgono così a 8 il numero di linee di investimento che Euclidea mette a disposizione dei suoi clienti. La novità principale della linea è l’approccio all’investimento, ispirato al fintech americano e basato non tanto sugli asset da proporre agli investitori, quanto sui servizi di cui il cliente ha realmente bisogno. Di conseguenza l’asset allocation non viene basata sulla capitalizzazione in borsa dei singoli titoli bensì tiene conto del vero peso delle singole economie, a prescindere dagli indici di riferimento. «La qualità dei prodotti e minimizzazione dei costi sono i due cardini di questo investimento azionari e sono i due principi che condividiamo», commentano Luca Valaguzza, founder e chief marketing officer di Euclidea e Simone Rosti (nella foto), responsabile per l’Italia di Vanguard. MUTUI IPOTECARI

FINECOBANK LANCIA IL PRESTITO “GREEN”

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inecoBank lancia un mutuo green sia nel processo di domanda e di erogazione, sia per la sua destinazione. Da inzio luglio infatti i clienti che richiederanno un mutuo per l’acquisto di un immobile in classe energetica A o B, potranno accedere a “un’opportunità che va nella direzione di favorire la sostenibilità e ridurre l’impatto ambientale”, dice la banca privata in una nota ufficiale. Il processo di richiesta del prestito è totalmente digitale e paperless oriented. «Dal 2018 a oggi abbiamo permesso di risparmiare una quantità di carta pari a 11 campi da calcio. Con i mutui green”, commenta Massimo Anastasio, responsabile dei prodotti banking & credit, “Fineco scrive un ulteriore capitolo per favorire e incentivare la sostenibilità ambientale in ogni sua forma». Anche nel 2018 Standard Ethics ha confermato per Fineco il rating EE, un livello assegnato alle società sostenibili con bassi rischi reputazionali e forti prospettive di crescita nel lungo periodo.


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POLIZZE MULTIRAMO

PER INVESTIRE NELL’INSURANCE CI VUOLE INGEGNO

L’

insurance rappresenta oggi il 17% della ricchezza delle famiglie italiane e conta su un risparmio complessivo di 700 miliardi (fonte Ania). Dati che descrivono un settore tra i preferiti dagli investitori italiani, con una domanda in forte crescita e quindi bisognoso di servizi aggiornati e integrati per una consulenza patrimoniale a 360 gradi. In questo senso si sono mosse Bper Banca e Arca Vita con “Ingegno”, una piattaforma intelligente nata con l’obiettivo di adattarsi alle esigenze del singolo cliente in termini sia finanziari, assicurativi e di protezione del patrimonio. “Ingegno” è una polizza multiramo che nasce dal mix tra la stabilità del ramo I (polizze vita), e le soluzioni di investimento di ramo III dedicate a prodotti finanziari.

CESSIONE DEL QUINTO

BANCA SISTEMA, ECCO QUINTOPUOI PER IL RETAIL

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i chiama QuintoPuoi, l’ultimo prodotto destinato alla clientela retail di Banca Sistema. Il prodotto per la cessione del quinto dello stipendio e della pensione si rivolge ai lavoratori e le lavoratrici dipendenti, sia pubblici che privati, e pensionati. La sua distribuzione è gestita da una rete di agenti monomandatari e mediatori specializzati, presenti su tutto il territorio nazionale. Online anche un nuovo sito di QuintoPuoi, attraverso cui è possibile richiedere a un team dedicato un preventivo gratuito per il finanziamento. Lo strumento è una delle prime iniziative messe in campo dall’istituto dalla fusione con Atlantide. L’attività diretta di erogazione di finanziamenti sotto forma di cessione del quinto va ad affiancare quella già avviata dal 2014 attraverso l’acquisto di crediti generati da altri operatori, intermediari finanziari iscritti all’albo (106 TUB). Banca Sistema sta puntando molto sulla cessione del quinto. Lo dimostrano le cifre del segmento: a fine giugno 2019, la banca ha consolidato complessivamente impieghi per oltre 740 milioni (+30% circa rispetto allo stesso periodo del 2018), finanziando circa 30 mila clienti. «Questo ulteriore passo conferma la volontà di crescita della banca in un contesto di redditività a doppia cifra e di forte solidità patrimoniale, che viene ulteriormente rinforzata con la pubblicazione del regolamento EU 876/19 che prevede la riduzione dal 75% al 35% degli assorbimenti patrimoniali richiesti alle banche che erogano la cessione del quinto», afferma Gianluca Garbi (nella foto) amministratore delegato e direttore generale di Banca Sistema.

L’offerta della piattaforma è composta da 22 fondi esterni, 3 portafogli di investimento e 3 fondi interni. I fondi esterni sono prodotto diversificati provenienti da case di investimento leader nei mercati europei; i portafogli di investimento sono soluzioni a profilo di rischio differenziato (profilo medio, medio-elevato, elevato). ll cliente che sceglie questa soluzione accede a un servizio di asset allocation che prevede il ribilanciamento automatico del portafoglio stesso. I fondi interni unit linked sono invece caratterizzati prevalentemente dall’utilizzo di Etf, i fondi a gestione passiva negoziati in Borsa. La proattività e la personalizzazione dei servizi della piattaforma permettono ai clienti di scegliere di riconfigurare il proprio investimento nel corso del tempo e di restare aggiornato non solo sulla soluzione scelta ma anche sulle novità più adatte al proprio profilo.

FONDI COMUNI

IL MERIAN EUROPEAN EQUITY SBARCA IN ITALIA. APPLICA LA STRATEGIA SISTEMATICA ALLE LARGE CAP EUROPEE Il Merian European Equity sbarca sul mercato distributivo italiano. Lo strumento dell’azienda di investimenti Merian GI applica la strategia sistematica, gestita dal team di global equities, all’universo delle large cap Europe e punta alla crescita del capitale tramite l’investimento in titoli paneuropei. Nel processo di costruzione del portafoglio il team valuta i singoli titoli sulla base di una serie di fattori, tra cui l’attrattività delle loro valutazioni, la qualità, i trend dei prezzi, le stabili prospettive di crescita, il sentiment degli investitori e il management della società. «Siamo felici di offrire anche agli investitori italiani il nostro fondo sull’equity europeo», ha commentato Cristiano Busnardo, country head Italy. Il processo prende anche in considerazione altri criteri come le aspettative in termini di rischi, i costi di trading e la liquidità dei titoli. Il desk gestisce diversi fondi focalizzati su singole aree geografiche, nello specifico sull’azionario del Nord America e dell’Asia. L’inclusione del fondo europeo amplia ulteriormente l’offerta regionale di Merian Global Investors.

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SEDIE & POLTRONE di Marco Muffato Casacche che si scambiano, volti noti che passano da un ruolo all’altro: il valzer delle poltrone è intenso nella finanza, dove vige ancora il merito e dove chi rende bene viene promosso o ricoperto di offerte allettanti. Agli HR il compito di attrarre i talenti, a noi quello di raccontare il risiko, oltre a notizie e indiscrezioni su un mondo ricco di costanti novità.

COLETTA AL COMANDO DEL WEALTH DI DEUTSCHE BANK

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eutsche Bank ha ingaggiato Roberto Coletta (nella foto) come market head Italy del wealth management, la divisione della banca tedesca specializzata nella gestione dei grandi patrimoni. Nel suo nuovo ruolo, Coletta opererà a diretto riporto di Roberto Parazzini, che negli ultimi mesi aveva continuato a guidare ad interim le attività del team italiano, dopo la sua recente promozione a head of wealth management Southern & Western Europe.

Nel suo nuovo ruolo Coletta sarà responsabile della clientela Wealth, Hnwi e Uhnwi italiana della banca, nonché della piattaforma di prodotti e servizi dedicata alla gestione dei grandi patrimoni. Come responsabile della divisione, Coletta riporterà anche a Flavio Valeri, Coletta proviene da Credit Suisse, dove negli ultimi 6 anni ha guidato il segmento Uhnwi per market area Italy, comprendente le attività italiane della clientela Uh in Italia, Regno Unito e Lussemburgo.

PAOLO DIRIGE IN BNY MELLON IM

B

ny Mellon Investment Management ha nominato Stefania Paolo (nella foto) country head per l’Italia e risponderà direttamente a Hilary Lopez, head of European intermediary distribution. Nel suo nuovo ruolo Stefania Paolo è responsabile delle strategie di business e di distribuzione in Italia per intermediari finanziari, investitori individuali e istituzionali. La manager si concentrerà sull’offerta delle soluzioni delle società di investimento che includono Insight Investment, Newton Investment Management, Mellon Investments Corporation, Walter Scott & Partners e Alcentra. Paolo è entrata in Bny Mellon Investment Management nel 2011 come head of retail sales and marketing e ha poi ricoperto il ruolo di head of sales per l’Italia. Nell’arco di oltre 20 anni di carriera, ha lavorato per varie aziende multinazionali in ruoli senior nell’ambito delle vendite e del marketing. Ha conseguito una laurea in Discipline Economiche e Sociali presso l’Università Bocconi di Milano.

AZIMUT, ZOLA GUIDA IL NORD EST

U

n pilota collaudato alla guida dell’area che comprende Veneto, Friuli-Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige, tra i territori più importanti per la crescita delle attività di consulenza della rete Azimut in Italia. Il pilota è Paolo Zola (nella foto) che diventa managing director di area di Azimut Capital Management. Zola, 44 anni, è cresciuto professionalmente nel gruppo Azimut dove è entrato nel 2000 come consulente finanziario per ricoprire poi nel tempo ruoli di responsabilità crescenti fino all’attuale carica di managing director di rete. Con il supporto degli area manager Alessandro Azzini, Giuseppe Beltramin e Giuliano Calin e dei responsabili wealth management Luca Bonifazi ed Enrico Canazza, Zola coordina oltre 230 cf che gestiscono i patrimoni di quasi 27 mila famiglie e aziende sul territorio.

LAZZATI RAFFORZA I SALES DI VANGUARD

V

anguard amplia il team italiano con la nomina di Diana Lazzati (nella foto) nel ruolo di senior sales executive. Con un’esperienza di quasi vent’anni (prima nel buy side, poi nel sell side) nel segmento della clientela istituzionale e wholesale del settore del risparmio gestito italiano, Lazzati riporterà a Simone

Rosti, country head Italy di Vanguard, e si occuperà dello sviluppo del business di Vanguard legato agli Etf, ai fondi indicizzati e alle strategie attive tra i clienti professionali italiani. Prima dell’arrivo in Vanguard Lazzati ricopriva il ruolo di director, pan european equity sales presso la branch italiana di Ubs Investment Banking.

DUE MANAGER IN TRIVENETO PER LENTI

A

pprodano due manager in IWBank Private Investment, la rete guidata dal responsabile area consulenti e wealth managers Stefano Lenti. Si tratta di Mario Tancini, che assumerà il ruolo di area manager, e Pierre Turcotte, come branch manager. Tancini e Turcotte, che opereranno nell’area Triveneto,

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settembre 2019

provengono entrambi da Deutsche Bank e possono contare su un’esperienza consolidata e pluridecennale nel settore della consulenza finanziaria. «Questi due nuovi ingressi di peso dimostrano che il nostro focus sulla crescita e il potenziamento della rete stanno dando i risultati attesi», ha commentato Lenti.


INVESTIRE SPECIALIST

PROFESSIONE CONSULENTE Risponde Francesco Priore all’indirizzo priore.studio@virgilio.it Startupper e decano della consulenza finanziaria, Priore ha fondato l’Anasf e contribuito alla fondazione dell’Albo. Docente Universitario, autore e consulente di comunicazione e marketing finanziario. È stato direttore marketing della rete di Banca Fineco e membro del CdA di Consultinvest Sim.

TORNARE ALLA LIRA? ANCHE NO

CHE IL PRESIDENTE SAVONA CI AIUTI

Ho risparmiato, investito e diversificato,

Ho letto che il presidente della Consob,

sino a oggi mi sono sentito tranquillo,

durante il suo intervento alla Relazione

ma che succederebbe se uscissimo

Annuale di Ocf, ha detto di avere anche

dall’euro e ritornassimo alla lira?

lui un consulente finanziario

Il mio patrimonio resterebbe immutato?

ma indipendente, aggiungendo poi,

G.V., via email

mi sembra, che i cf indipendenti non sono in conflitto d’interesse… L.F. via email

S

ignor Giovanni, se uscissimo dall’euro nessuno potrebbe avvertirla prima: sono manovre che si fanno all’improvviso a mercati chiusi, senza alcun preavviso, proprio per evitare di perdere valore prima dell’operazione. Tutto il patrimonio che lei possiede in valute estere - anche in euro non italiani - e in immobili non perderebbe di valore, ci sarebbe solo qualche oscillazione sull’immobiliare. Tutto quello che detiene in euro italiani diventerebbe lire, il cambio potrebbe essere quello di partenza 1936,27 lire per 1 euro. Quelle lire del 1999, a potere d’acquisto costante, oggi varrebbero 2.659 lire; il cambio a 1936,27 costituirebbe una perdita del 17%. Oggi, inoltre, il cambio da euro a lira comporterebbe una svalutazione non inferiore al 10%, sommando saremmo intorno a un 30% di perdita secca. I beni reali invece tenderebbero a mantenere il loro valore e in breve tempo i prezzi si adeguerebbero alla svalutazione, soprattutto per quello che importiamo dall’estero, a partire dal petrolio: teniamo conto che siamo un Paese trasformatore. I tassi sui titoli di stato potrebbero tornare a due cifre, quindi quelli che lei possiede ora subirebbero un calo notevole delle quotazioni, recuperando il valore solo nominale unicamente alla scadenza. Una manovra è simile alle svalutazioni della seconda metà del ‘900: al tempo servirono a rilanciare l’economia ma come conseguenza hanno creato un debito pubblico abnorme. Il debito a due cifre serviva a comprare valuta pregiata, come ora l’euro, per comprare le materie prime. Il debito italiano in mani estere andrà ripagato comprando gli euro a caro prezzo per far fronte agli impegni internazionali. Se la manovra riuscisse a rilanciare l’economia, ci vorrebbero parecchi anni per recuperare e le previsioni di tenuta personale si possono fare in base all’età. I rischi sono così evidenti e così elevati che dubito possa avvenire. Ha mai pensato a un consulente finanziario? Non fanno miracoli, ma di sicuro aiutano.

C

arissimo Luigi, dobbiamo complimentarci con il professor Savona per aver evidenziato che anche lui si rivolge a un cf, sia pure indipendente. Ognuno sceglie il professionista che preferisce, per esempio ci sono molte persone che preferiscono rivolgersi a un medico privato piuttosto che usufruire di un medico dipendente di un ospedale. Ci sono ottimi professionisti privati ed altrettanti dipendenti. L’uso del termine cf indipendente ormai è invalso da anni e difficilmente si modificherà, ma ormai ha poca importanza: siamo un’unica categoria, la differenza tra un cf che fa capo a una rete e un cf autonomo sta solo nella modalità di pagamento. I grandi clienti possono scegliere se pagare il cf a parcella o con retrocessioni dalle fee sui servizi, invece una parcella massima dell’1% sul patrimonio del cliente retail non remunererebbe a sufficienza il cf se non a partire da un patrimonio minimo di 250mila euro. L’Inghilterra ha solo cf a parcella e la consulenza è riservata solamente ai patrimoni cospicui; tutti gli altri devono accontentarsi del “fai da te”. Richiederebbe una riflessione il fatto che in Italia i cf autonomi a oggi siano solo 154, sui 55.000 cf iscritti all’Albo, ma forse è prematura. Ho una grande fiducia nel professor Savona, ho sentito la sua audizione in Parlamento prima della nomina, quando affermava che la quantità di documenti da firmare per una semplice operazione di acquisto titoli era assurda: a lui era capitato in banca un documento di 35 pagine per sottoscrivere un banale titolo. Spero che ci liberi dalla mole di carte che opprime i risparmiatori: sappiamo tutti che la sicurezza del risparmiatore è inversamente proporzionale ai documenti da sottoscrivere. Io continuo a sperare nella determinazione del professor Savona per semplificare e fornire ai risparmiatori pochi documenti, semplici e intellegibili. settembre 2019

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POLE POSITION

a cura di Buddy Fox

“MAVERICK” TRUMP STA GIOCANDO LA PARTITA PIÙ RISCHIOSA

S

impatizzanti o antipatizzanti delle stelle e strisce, se c’è una cosa che bisogna riconoscere agli Usa è la capacità di inventare espressioni linguistiche e poi di imporle al mondo. Una dote che è parte integrante di quel soft power che tanto è mancato al grigio mondo dei Soviet nella battaglia che vide i due imperi competere per la conquista dei cuori e delle menti. Dote di cui pare sia assai carente anche la versione moderna del Celeste Impero. Una delle parole divenuta rapidamente celebre grazie anche a “Top gun”, entusiasmante film di genere aviatorio, è “maverick”. I dizionari riportano i seguenti significati: dissidente, cane sciolto (in politica) anticonformista, chi non rispetta le regole del gioco vitello non (ancora) marchiato. A parta l’ultima, data anche l’età, le prime due si attagliano perfettamente a Donald Trump, il giocatore anticonformista che non rispetta le regole (usuali) e ne inventa di proprie; l’anticonformista “cane sciolto” della politica in guerra con il mondo oltreché con sé stesso vista la velocità con cui spesso si contraddice. Ma su una cosa maverick Trump non ha cambiato idea: l’uso dei dazi a mo’ di clava. In guerra con la Cina, in guerra con la Russia nonostante la simpatia

personale per Putin e in guerra pure con i paesi Ue, Trump ordina alle conglomerate Usa neanche fossero aziende statali di cercare alternative alla Cina. Ma il massimo del rifiuto delle regole (del galateo istituzionale, del semplice buon senso?) è l’attacco che Trump sferra a Powell, il capo della Federal Reserve da lui stesso nominato, accusato di non sostenere la crescita economica mediante la discesa dei tassi. Una guerra tra sovranisti che vede Trump in vantaggio rispetto al rivale XI Jimping in virtù della sproporzione tra i volumi di esportazione, infinitamente più grandi quelli cinesi, è la straordinaria attrattività esercitata dalla moneta e dal sistema americano che continuano a esercitare un assoluto dominio a livello mondiale. L’economia americana vale circa 21mila miliardi di dollari, le esportazioni verso la Cina circa 114 miliardi e le importazioni 522 miliardi, bastano questi numeri per ridurre la questione dazi a un falso problema. E se fosse questa una mossa per costringere Powell a riportare i tassi a zero, così da riportare l’economia Usa a piena velocità e permettere a Trump una rielezione assicurata? Maverick si sta giocando la sua partita più importante, e forse, molto rischiosa, non solo per l’America. Perché ciò che capita in Usa poi si ripercuote su tutti noi.

I TASSI D’INTERESSE E QUEL SORTILEGIO CHIAMATO “HOTEL CALIFORNIA”

Q

uesta è una storia relativistica. Una storia apparentemente folle e controintuitiva come quelle implicate dalla relatività einsteiniana dove nulla è come appare. Come altro definireste il mondo in cui il creditore si trova in debito e il debitore in credito? Benvenuti nell’“Hotel California”, la realtà parallela in cui viviamo da ormai dieci anni, il magico mondo in cui i tassi sono più negativi di una predizione della Pizia. La sapete la storia del Benfica? Anche se si è immuni da superstizioni vale la pena di conoscerla. Tra la fine degli anni ’50 e l’inizio dei ’60 nel calcio europeo c’era una squadra che dominava la scena, aveva un gran gioco e soprattutto vinceva: due Coppe dei Campioni consecutive, il massimo a cui si può aspirare. Questa squadra era il Benfica, società portoghese. Benfica significava allora soprattutto due cose: la prima era la “pantera nera” il soprannome dato a Eusebio, uno dei migliori giocatori di tutti i tempi; la seconda era l’allenatore, quel tal Béla Guttmann, lo stratega, il creatore di quel gioco spettacolare. Il Benfica, una di quelle formazioni che gli almanacchi del calcio identificano come le squadre che hanno segnato un’epoca. Epoca che come tutti i cicli ha avuto una fine e come spesso accade non è un lieto fine. Accade che nel 1962 dopo la vittoria della seconda coppa Campioni l’allenatore Guttmann chiede un aumento di stipendio, un premio meritato visto i successi tuttavia negato dalla proprietà. La leggenda dice che Guttmann prima di andarsene sbattendo la porta lanciò un anatema contro la squadra: “per 100 anni non vincerete più una coppa in campo internazionale”. Di anni ne sono passati ormai 54. Nonostante le 76

settembre 2019

numerosi finali disputate e gli altrettanti pellegrinaggi sulla tomba del defunto allenatore per chiedere clemenza, di vittorie non ne è arrivata nemmeno una. Qualcosa di simile sembra di vedere oggi sui mercati, dove, nonostante le manifestazioni di forza dell’economia Usa, sono ormai 10 anni che i tassi (al netto di miseri e simbolici tentativi di rialzi) non vedono la risalita. Suonano sinistre ma quanto mai vere le parole pronunciate nel dicembre 2012 da Richard Fisher, allora presidente della Fed di Dallas, che paragonando l’attuale situazione alla celebre canzone degli Eagles dichiarò: “Rischiamo di incorrere in quella che chiamo una politica monetaria Hotel California”. Secondo Fisher gli Usa erano intrappolati in una spirale espansiva dalla quale sembra difficile uscire, proprio come nella canzone “Hotel California”, dove nell’ultima strofa sembra essere segnato il destino della politica monetaria di tutti gli ultimi inquilini di Eccles Building “tu puoi fare check-out quando vuoi, ma non andrai mai via”. Parole che a 7 anni di distanza sono ancora vere, perché nonostante la forza economica degli Usa, fino a oggi c’è sempre stato un motivo più o meno ragionevole per rinviare i rialzi dei tassi. Una volta per colpa delle turbolenze della Grecia, una volta per il rischio cinese, un’altra per colpa della paura per la Brexit, altre volte per le normali fluttuazioni del ciclo economico, che anche durante una fase espansiva vedono dei momenti di fisiologica debolezza. Lo stesso Draghi che un anno fa aveva detto stop, è stato costretto dagli eventi a promettere di riutilizzare il bazooka monetario. E pure il suo successore, la signora Christine Lagarde, pare intenzionata a seguirne le orme. Chi sveglierà mago Merlino dal suo sonno millenario? Chi libererà la finanza internazionale dal lungo soggiorno nell’Hotel California? Forse, come nella leggenda, ci libererà dal sortilegio lo sguardo di un bambino che per primo avrà il coraggio di gridare “Il Re è nudo”? Sintetizzando con i numeri, oggi sono 14 trilioni i bond governativi dal rendimento negativo (con l’aggiunta di sempre più numerose obbligazioni societarie) con un’economia che da 10 anni continua a sostenere una lenta, ma costante, crescita economica. Non si era mai visto. Sicuri che va tutto bene?


INVESTIRE SPECIALIST

ELON MUSK, GENIO O PAZZOIDE PERICOLOSO?

R

obert Luis Stevenson scrisse “Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde” nell’ormai lontano 1886 negli anni in cui l’Union Jack, la bandiera del Regno Unito, era il simbolo dell’impero più esteso al mondo e l’emblema del capitalismo trionfante. La vicenda narrata dal racconto gotico, lo sdoppiamento di personalità, ci pare rappresenti in modo esemplare le scelte professionali e umane di Elon Musk: è un genio, un folle o entrambe le cose? Dopo aver innovato con Tesla l’industria automobilistica, Musk ora progetta di conquistare lo spazio. L’ultima sua impresa si chiama Starlink progetto che, dichiara il miliardario sudafricano, ha lo scopo di “fornire una vasta gamma di servizi a banda larga e di comunicazione per gli utenti residenziali, commerciali, istituzionali, governativi e professionali a livello mondiale”. Nello scorso maggio sono stati lanciati i primi 60 satelliti dei 12.000 programmati, oggetti del peso di 227 kg ciascuno che andranno a comporre entro il 2020 la costellazione Starlink. L’obiettivo è fornire accesso a internet anche nelle zone rurali e negli oceani. Secondo Manny Shar di “Bryce Space and Technology” Starlink è una delle missioni più ambiziose e ha lo scopo di supportare Tesla nella trasmissione dei dati da Google Maps all’automobile aiutando in tal modo le decisioni del sistema di assistenza alla guida. La costellazione di satelliti a banda larga diffonderà i dati che i veicoli connessi a Internet possono utilizzare. Con Starlink Tesla potrebbe avere accesso illimitato a Internet ad alta velocità in tutte le regioni del mondo, il che migliorerebbe il sistema di guida in modalità completamente autonoma e offrirebbe anche il potenziale per veicoli autonomi di autotrasporto. Il problema emerso subito è che questi 60 satelliti sono luminosi, troppo luminosi. Ognuno di essi trasporta un pannello solare che non solo raccoglie la luce del

sole ma la riflette sulla Terra. Questo è potenzialmente in grado di cambiare l’aspetto naturale del cielo e ne compromette l’osservazione scientifica. Altre aziende, come Amazon, Telesat e OneWeb, vogliono entrare nel business. L’idea che i satelliti saranno abbondanti quanto le torri del cellulare ha riaperto vecchi contrasti circa il corretto uso della frontiera finale nell’era spaziale. Mentre le aziende private vedono nell’orbita terrestre grandi opportunità di business, molti astronomi temono che lo spazio non sarà più “la provincia di tutta l’umanità”, come è stato dichiarato nel “Trattato sullo spazio extra-atmosferico” ratificato nel 1967.Il clamore dipende dal fatto che ogni volta che un satellite passa in un quadro di osservazione del cielo, provoca una lunga striscia luminosa che rovina l’immagine e costringe gli astronomi a ricominciare. Non solo questi satelliti riflettono la luce, ma emettono anche frequenze radio, altrettanto preoccupanti per la scienza. Le basi di radio astronomia sono spesso costruite in luoghi remoti lontani da torri cellulari e stazioni radio. Ma se Starlink verrà completato, con la capacità di teletrasportare la ricezione verso qualsiasi posizione sul pianeta, quelle cosiddette zone radio silenziose potrebbero diventare una cosa del passato. L’astronomo Alex Parker ha evidenziato che la luminosità di 12.000 satelliti in orbita potrebbe superare quella di tutte le stelle visibili ad occhio nudo. E anche se solo 500 di questi sono osservabili in un dato momento, sarà difficile individuare le costellazioni vere tra quelle luci in movimento. È lecito chiedersi come mai il dibattito sull’impatto di questo progetto non ha avuto luogo prima del lancio? È veramente il mondo che vogliamo quello in cui qualche multimiliardario con la capacità economica di fare cose del genere metta con le spalle al muro intere comunità scientifiche al servizio dell’umanità?

ARGENTINA, IL NUOVO BALLO DEI TANGO BOND

L’

mpossibilità di dimenticare. È il tema di “Funes o della memoria”, il vertiginoso racconto scritto da Jorge Luis Borges nel ’44. Narra la storia del giovane Ireneo Funes la cui condanna è di avere una prodigiosa memoria che gli permette di cogliere e di memorizzare ogni dettaglio di ciò che lo circonda. Ogni foglia di ogni albero, ogni goccia d’acqua piovuta dal cielo, ogni granello di sabbia, ogni nuvola, senza sosta e senza la possibilità di cancellarne il ricordo. Un prodigio (una maledizione) che impedisce a Funes di concepire concetti compiuti e lo condanna all’isolamento, all’incomunicabilità, all’imbecillità autistica. Jorge Luis Borges, il cieco veggente che diresse la Biblioteca Nazionale di Buenos Aires, è forse il più grande inventore di labirinti, perfetta metafora di un paese condannato a dimenticare con inappellabile precisione il proprio passato e la propria storia. E quindi condannato a riviverli all’infinito. La domanda che economisti, analisti finanziari e investitori internazionali si pongono da decenni è sempre la stessa: perché mai un paese ricco di materie prime (oro, rame, argento, zinco, piombo, litio, molibdeno, nichel, argilla, marmo, quarzo, alluminio, magnesio e cobalto. L’Argentina è il terzo produttore mondiale di litio, il quarto di boro, il decimo di argento ed il quattordicesimo di oro. Senza scordare le potenzialità produttive di silicio e grafite, importante nella produzione di batterie ioni-litio utilizzate nei telefoni cellulari e computer portatili) ogni dieci anni rischia sistematicamente il default? Per non parlare del pendolo politico – al tempo stesso causa ed effetto delle

disgrazie economiche – che condanna l’Argentina a passare senza soluzioni di continuità dai rigori dell’iper-liberismo alle follie dell’assistenzialismo para populista. L’Argentina ci somiglia molto più di quanto non vorremmo non solo per ragioni banalmente etnico-demografiche (più del 50% degli argentini è di origine italiana). Come quella italiana l’economia argentina è a crescita zero mentre i tassi d’interesse volano verso le stelle e la moneta locale, il peso, precipita più velocemente di Icaro. Per non parlare della super inflazione che ammazza consumi e consumatori. Come nel famoso gioco della rivista di enigmistica che vanta il maggior numero di imitazioni, si tratta ora di trovare le differenze. Sono due e nient’affatto irrilevanti. La prima si chiama “materie prime”. Loro ne sono ricchi come Creso e noi poveri come Lazzaro. La seconda si chiama euro. La nostra miglior difesa, l’usbergo per dirla in termini cavallereschi che protegge il Belpaese di cui gli argentini sono privi: passiamo sotto silenzio i penosi tentativi di ancorare il peso argentino al dollaro statunitense. L’antibiotico che ci protegge dai contagi strutturali come da quelli di stagione si chiama euro. Il club esclusivo di cui – per nostra fortuna – facciamo parte. È una delle cose che anche il povero Funes non vorrebbe smettere di ricordare. La consolazione, magra, è che in questo nuovo giro di tango, i possessori italiani di bond argentini sono di molto inferiori rispetto al default di 18 anni fa. Lezione imparata? O forse è perché, attirati da rendimenti ancor più allettanti, sono emigrati tutti in Venezuela. Negli investimenti la memoria è sempre troppo corta. settembre 2019

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TALENT

LA COMPETIZIONE TRA UN “FAI DA TE”, UN CF E UN ROBOADVISOR

Settembre, gara a massimo rischio “U

na poltrona per tre” è una competizione tra tre portafogli realizzati da un “fai date”, un consulente finanziario e un roboadvisor. ha la durata di un anno e prevede la possibilità di rotazione del portafoglio, con un cambio di massimo due strumenti, al termine del primo semestre. Ogni mese partirà una nuova gara. Aggiornamenti e confronti L’aggiornamento sull’andamento di ciascuna di esse avrà cadenza semestrale. Tre concorrenti che non copiano La composizione dei portafogli è elaborata

LE SCELTE DEL “FAI DA TE”

di Giacomo Damian

in completa autonomia dai partecipanti al talent e oltre ad avere lo scopo della competizione vuole offrire spunti meramente informativi inerenti l’impiego di strumenti finanziari quotati sul mercato regolamentato italiano. Le informazioni e le analisi esposte pertanto non costituiscono sollecitazione al pubblico risparmio qualunque decisione di investimento e il relativo rischio rimane a carico dell’investitore. Investire non si assume alcuna responsabilità per l’eventuale utilizzo che il lettore potrà fare dei contenuti esposti. ISIN

settembre 2019

Per questo mese il profilo è di massimo rischio ed è dedicato ai giovani. Un portafoglio che punta sulla crescita da poter incrementare attraverso piano di accumulo.

AZIONI E LEVA SUL RIBASSO DEI TITOLI DI STATO

“Ottobre: questo è un mese particolarmente pericoloso NL0010877643 per investire in azioni. Gli altri mesi pericolosi sono luglio, US36467W1099 gennaio, settembre, aprile, novembre, maggio, marzo, IT0004900160 giugno, dicembre, agosto e febbraio”, per Mark Twain non esiste in borsa un mese che sia più US90353T1007 favorevole dell’altro, semplicemente perché sui mercati le certezze sono una chimera, e IT0001402269 la sorpresa una costante. I riferimenti per i guadagni facili non esistono. C’è chi, senza IE00BYNXPH56 l’utilizzo di particolari tecnologie, ha deciso di affidare i propri investimenti alla saggezza FR0011023621 popolare e al buon senso, “compro sui minimi in settembre e vendo sui massimi di maggio”, viene chiamata la strategia del “topo meccanico” che può anche sembrare di una banalità disarmante, ma risultati alla mano, su una serie storica di lungo periodo, realizza risultati brillanti, migliori anche dei sofisticati algoritmi. L’ironia tagliente, ma molto arguta, di Mark Twain ha l’intento di smascherare tutte le certezze e i luoghi comuni, non esiste un mese dell’anno in cui i guadagni siano più facili da ottenere, e lo stesso non esiste un mese in cui si realizzino solo perdite. E anche se per le statistiche è ottobre il mese in cui si concentrano i maggiori ribassi, settembre rimane nella storia uno dei mesi più insidiosi e sorprendenti dell’anno. L’attentato al WTC, il fallimento Lehman, l’attacco a Lira e Sterlina, come il massimo di Wall Street che ha preceduto il “crack del 1929”, sono tutti eventi realizzati nel mese che chiude l’estate. Ed è per questo che nel numero di Investire di settembre abbiamo deciso di puntare su un

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IL PROFILO DEL MATCH

FONDO

MIX

FCA

20%

GAME STOP (GME)

20%

DIGITAL MAGICS

20%

UBER TECH (QUOTAZIONE IN EURO)

10%

RISANAMENTO

10%

BOOST BUND 10Y 5X SHORT DAILY ETP

10%

LYXOR BTP DAILY -2X INV UCITS ETF ACC

10%

portafoglio di massimo rischio, pronti a cogliere le occasioni nelle fasi di debolezza, con l’obiettivo di realizzare una costante crescita nel periodo più favorevole dei mercati. Mark Twain permettendo. Ho deciso di puntare tutto sulle azioni, titoli noti e diffusi, con l’aggiunta di due prodotti a leva che puntano sul ribasso dei titoli di stato. Nello specifico il BOOST BUND 10y 5X SHORT DAILY ETP ha come sottostante il derivato sul Bund (titolo di stato tedesco) amplificando di 5 volte la percentuale di oscillazione. Il LYXOR BTP DAILY -2X INV UCITS ETF ACC ha come obiettivo il ribasso del nostro titolo di stato, amplificando di due volte la percentuale di oscillazione. Ultima nota, il titolo UBER, ho preferito la quotata a Francoforte, quindi in euro, perché considero il dollaro troppo sopravvalutato. “Wake me up when september ends” cantano i Green Day, svegliami quando settembre sarà finito, perché di solito, poi tutto migliora.


INVESTIRE SPECIALIST

LE SCELTE DEL CONSULENTE FINANZIARIO PORTAFOGLIO DINAMICO A (QUASI) TUTTO EQUITY DENOMINAZIONE

ISIN

PESO

FIRST EAGLE AMUNDI INTERNATIONAL FUND CLASS

LU0068578508

24%

ECHIQUIER AGRESSOR

FR0010321802

8%

TEMPLETON ASIAN SMALLER COMPANIES FUND EUR

LU0390135415

12%

GOLDMAN SACHS GLOBAL MILLENNIALS EQUITY PORTFOLIO

LU1341142237

16%

SCHRODER ISF FRONTIER MARKETS EQUITY ACC

LU0562313402

6%

PICTET SECURITY EUR

LU0270905242

22%

ODDO BHF AVENIR EUR

FR0000989899

12%

Pietro Calì L’ultima fase di mercato ha manifestato una cauto ottimismo sulle prospettive dell’equity globale, gli investitori hanno scommesso sul fatto che le banche centrali di tutto il mondo continueranno ad essere accomodanti per arrestare il rallentamento economico. Il recente deterioramento dei dati economici suggerisce che la crescita mondiale quest’anno si assesterà intorno al 2,2%, rispetto al 3% dell’ultimo trimestre 2018. Personalmente non ritengo che le condizioni economiche attuali giustifichino l’intensità dei nuovi stimoli monetari, in particolare l’enorme quantità di liquidità potrebbe aumentare le distorsioni sui prezzi degli asset azionari. Per queste ragioni sarà importante focalizzarsi sui fondamentali delle aziende, privilegiando così un approccio bottom–up nella selezione delle aziende. Queste ragioni presuppongono comunque cautela sulle azioni dei paesi sviluppati, a oggi per creare un asset allocation dinamica ed equilibrata è sensato scegliere strumenti altamente diversificati e soprattutto decorrelati rispetto a un mondo bond difficile

da interpretare. Tutto ciò tenendo ben presente la coerenza degli orizzonti temporali. Attualmente sono 3 le grandi sfide per gli investitori: guerra commerciale Usa–Cina, caso Brexit e conseguenti implicazioni, situazione politica italiana. Con queste premesse il portafoglio dinamico da me selezionato è quasi totalmente equity, proprio per cavalcare questa particolare fase di mercato, l’unica eccezione si riferisce al fondo FirstEagle che mantiene una parziale posizione in bond e etf oro. Per quanto riguarda la composizione valutaria, la scelta e prevalentemente su euro (24,22%) e dollari (36,52%) e in minima parte Gbp per il 4,9%. Da inizio anno l’indice Sharpe si è attestato a 1,13. Tra le soluzioni è presente uno strumento equity tematico (Pictet Security) che può cavalcare il trend attuale della sicurezza informatica, oltre a ciò Echiquier Agressor rappresenta chiaramente la scelta di azionario Europa, prevalentemente azioni francesi, ma con un approccio di stock picking di elevata qualità. Rimane comunque protagonista la percentuale investita in mercati asiatici, la ricerca del rendimento non può escludere contesti ad elevata crescita del Pil, con aziende a basso indebitamento e una compagine di domanda molto elevata grazie al trend demografico di quei paesi. E’ d’obbligo sottolineare l’estrema importanza del rispetto dell’orizzonte temporale per un portafoglio con queste esposizioni.

LE SCELTE DEL ROBOT (elaborazioni di Investire sui dati Deus Technology) “Settembre, andiamo. È tempo di migrare” è uno degli incipit poetici più famosi e più ricordati. A cui fa riscontro, ma solo per le persone di una certa età, il glorioso “Settembre poi verrà ma senza il sole” intonato da Peppino Gagliardi, eccentrico protagonista della canzone italiana anni ’70. Senza scordare i Nomadi e il loro vagabondo: “Poi, una notte di settembre mi svegliai, il vento sulla pelle, sul mio corpo il chiarore delle stelle; chissà dov’era casa mia e quel bambino che giocava in un cortile”. Il mese di settembre, vituperato e negletto da generazioni di scolari costretti a ritornare sui banchi di scuola, è tradizionalmente mal considerato anche nel mondo variopinto degli

investitori di Borsa. Certo è un mese di passaggio che annuncia la trasformazione e il cambiamento, ma personalmente da qualche tempo mi sorprendo a considerare il primo giorno di settembre come il vero inizio d’anno. Quando terminato il periodo d’inattività che tradizionalmente sono le ferie d’agosto (a proposito, lo sapevate che la parola “Ferragosto” risale all’imperatore Ottaviano, I secolo AC? Fu lui che stabilì che il mese fosse dedicato al riposo dopo le fatiche della mietitura) il nostro mondo riprende a girare con i ritmi consueti. Il nuovo anno si annuncia ricco di promesse, di aspettative, di sogni e di desideri. E di buoni, se non buonissimi, propositi:

settembre 2019

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TALENT

cambiare, migliorare, crescere. E, perché no, guadagnare. E alla parola guadagno, l’associazione con Deus Technology è immediata e intuitiva, i nostri amici specializzati nel Fintech, a cui abbiamo chiesto per questo mese di settembre di creare un portafoglio che rispecchiasse un profilo di massimo rischio.Il risultato è ovviamente un portafoglio concentrato principalmente sulla parte azionaria (75%), un 20% di obbligazionario e un 5% affidato alle commodity e specificatamente all’oro, tramite un Etc che investe sul fisico, particolare non di poco conto, perché nei momenti di crisi finanziaria,

possedere un “fisico” rispetto alla carta derivata, ha fatto la differenza, anche in termini di emotività.Per quanto riguarda l’azionario, è l’area geografica dei Mercati Emergenti (in particolare il Brasile) quella preferita, a cui si aggiungono i settori dell’innovazione e delle aziende ad alto dividendo, settore quest’ultimo che regala sempre tranquillità. Mercati Emergenti preferiti anche nell’obbligazionario, a cui si sommano i bond ad alto rendimento, gli ultimi ormai, nell’oceano dei tassi zero, a offrire una cedola rimunerativa. Settembre andiamo, è tempo di investire, è tempo di provare a rischiare.

TANTO EQUITY, UNA PORZIONE DI BOND, UN PIZZICO DI COMMODITY ISIN

NOME

30/08/2019

LU0728926402

Aberdeen Standard Brazil Equity A Acc USD

23,00%

LU0131718073

Pictet Emerging Europe I Acc EUR

20,00%

IE00BYPLS672

L&G Cyber Security UCITS ETF Acc EUR

21,00%

LU0109666478

Fideuram Fonditalia Equity Global High Dividend R Acc EUR

11,00%

LU0238204472

Fidelity Emerging Market Debt Fund A (M) Dis EUR

11,00%

LU0012119789

Candriam BS Euro High Yield C Dis EUR

9,00%

DE000A1E0HR8

DB ETC Physical Gold ETC EUR

5,00%

L’ASSET MIX DEL MESE PESO

MACRO

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Azionario Emergenti Azionario Innovation Azionario High Dividend

43,00% 21,00% 11,00%

20%

Obbligazionario Emerging Markets Obbligazionario High Yield

37,00% 13,00%

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ROBO ADVISOR

9,26%

CF ALESSANDRO GAMBELLI IL PODIO A 6 MESI DELLA GARA PRESENTATA SU INVESTIRE DI FEBBRAIO. LA SPIEGAZIONE DELLA COMPETIZIONE È SU INVESTIREMAG.IT CERCANDO “GARA TALENT”

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INVESTIRE SPECIALIST

Game Stop, il titolo esce dal tunnel? U

BER: passare dall’euforia alla disperazione, in borsa, è un attimo, se non una consuetudine. Specie se come oggi le quotazioni si trovano su livelli stellari, per alcuni assurdi, o come direbbe Vasco Rossi “in equilibrio sopra la follia”. Uber pompata per bene prima della quotazione, ora vive una sorta di ravvedimento, un pentimento dovuto alla delusione sul mancato raggiungimento dell’obiettivo sul bilancio. E’ il classico pianto del coccodrillo che fa sgonfiare le quotazioni da livelli eccessivi. Rispetto al collocamento intorno ai $40, il titolo scivola ora verso quota $30 che in percentuale fa -20%. Improvvisamente il futuro non è più così luminoso come era dipinto prima del trionfale ingresso a Wall Street. Uber non è più un potenziale leader del futuro? Qualcosa di simile l’abbiamo visto anche su Facebook dopo il collocamento nella primavera del 2012, ad un’iniziale euforia, seguì uno sgonfiamento dovuto principalmente a giudizi precipitosi e soprattutto a uno squilibrio emotivo. Il titolo dai circa $40 del collocamento, precipitò sotto $20. Oggi, 7 anni dopo, Facebook tocca quota $200, un livello 10 volte superiore ai minimi, una vetta raggiunta nonostante qualche scandalo gestionale. Se pensate che Uber, come Facebook, possa diventare una delle leader del futuro, allora a questi prezzi si deve osare. Come dice Warren Buffett “siate avidi quando tutti hanno paura, abbiate paura quando tutti sono avidi”. UVENTUS: De Ligt, Ramsey, Rabiot e Demiral, è una Juventus regina anche dell’estate con una sontuosa campagna acquisti e un gravoso aumento del monte ingaggi. E dal lato delle entrate? Ben poca cosa. Certo, un poker di quattro grandi giocatori non fanno un Cr7, infatti la borsa, che forse di calcio giocato non se ne intende, ma ne capisce di numeri, si è accorta che forse questa volta, quella che era un’attenta Signora accorta nelle spese, è diventata invece una spendacciona, e forse senza nemmeno più il gusto e lo stile che la contraddistingueva. La Juventus è una squadra già fortissima, irraggiungibile dentro i confini, temibile oltre le Alpi, era dunque necessario gettare il portafoglio oltre l’ostacolo? Lo scorso febbraio la società Juventus per finanziare l’acquisto di Cr7 ha emesso un bond del valore di 150 milioni e della durata di 5 anni, un prodotto molto rischioso per gli investitori, ma che avendo il nome del grande campione diventa, finchè le cose vanno bene, una grande operazione di marketing. L’altra faccia della medaglia, è l’eccessiva finanziarizzazione della società. Debiti, spese, acquisti, investimenti, la Signora del calcio sta facendo il passo più lungo della gamba? Puntare sulla “coppa dei

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CHRISTIAN BALE NELLA PARTE DI MICHAEL BURRY NEL FILM “LA GRANDE SCOMMESSA”

ricchi” dove su 32 partecipanti alla competizione, alla fine vince solo una squadra ed è solo quella a prendere il grande bottino, sembra un azzardo che potrebbe costare molto caro. “Vincere è l’unica cosa che conta” recita il motto della società, ora diventerà anche un obbligo contabile. AME STOP (GME): “su quel titolo è entrato Warren Buffett, bisogna comprarlo a occhi chiusi”, quante volte abbiamo sentito ripetere frasi di questo tipo, o sollecitazioni d’acquisto simili. Se c’è un luogo dove conta più chi parla rispetto a ciò che deve dire, questo posto è sicuramente la borsa. Per guadagnarsi questo credito di credibilità è necessario azzeccare una previsione, se per di più la previsione azzeccata è in controtendenza rispetto al quadro generale si guadagna un bonus, spendibile per lungo termine, finché di solito questo non evapora a causa dei successivi errori su cui ogni operatore inevitabilmente incorre. E’ impossibile azzeccarci sempre. Ci sono però delle eccezioni, degli highlander che hanno un credito di credibilità inesauribile, come appunto Warren Buffett, ma non è l’unico, nel pantheon possiamo inserire anche Michael Burry. Il Dottor Michael Burry, sconosciuto ai più, assurto agli onori della cronaca per essere stato uno dei pochi a intuire, anticipare e guadagnare nella grande esplosione della bolla dei mutui subprime. Il Dottor Michael Burry, proprietario del fondo Scion Capital, non solo è un attento lettore del mercato ma è anche un fine selezionatore di società molto sottovalutate. L’ultima sua scoperta è Game Stop, ex regina della distribuzione dei videogiochi, caduta in disgrazia negli ultimi anni a causa del cambiamento delle regole di utilizzo di questo mercato: come per film e musica, anche nei videogiochi l’utilizzo è tutto online, sul cellulare. Non si compra più si scarica. Il titolo negli ultimi 5 anni è crollato dal massimo di $60 a $3. La società sta attivando una massiccia opera di buyback, e Michael Burry ha deciso di entrare pesantemente sul titolo. Quest’ultima notizia può valere molto più di un rivoluzionario piano industriale. PS: cambia il calendario di smaltimento degli Npl: gli istituti avranno tre anni di tempo per la copertura integrale dei prestiti non garantiti, nove per quelli assistiti da garanzia immobiliare e sette per crediti con ogni altro tipo di collaterale. (Mf 23/08/2019). La notizia, passata in cavalleria, per le banche è un rivitalizzante, molto più degli stimoli monetari della Bce, che se da un lato schiacciano i tassi e aumentano il prezzo dei Btp, dall’altro corrodono gli attivi patrimoniali.

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SPORT

PALLONE & LISTINI

Comprare azioni di società di calcio, istruzioni per l’uso di Fabrizio Vettosi*

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n linea puramente tecnica e teorica la valenza o meno della quotazione e dell’utilizzo dei capitali reperiti sul mercato per un’azienda di calcio è del tutto paragonabile a quella di altri settori dell’economia. Tuttavia da economista con una buona conoscenza dell’industria del calcio sia dal punto di vista delle dinamiche economico-aziendali che tecniche vale la pena sviluppare qualche riflessione empirica suffragata da elementi teorici di valutazione d’azienda.

La differenza tra valore creato e diffuso Parto da un elemento di natura dottrinaria: ovvero la differenza tra i concetti di valore e prezzo perfettamente commentati dal professor Mauro Bini ne “La valutazione delle aziende” nell’ambito della teoria della behavioural finance. Si tratta di un tema a me caro in quanto da tempo sostengo che i mercati finanziari non sono efficienti e molto spesso non esprimono (in entrambi i sensi, negativo e positivo) il fair value delle aziende quotate; anzi esaltano la differenza tra i concetti di “valore creato” e “valore diffuso”, definizione, la seconda, elegante per definire tecnicamente gli innumerevoli “bidoni” propinati al mercato e, molto spesso, a investitori non adegua82

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I METODI ESISTENTI SONO TROPPO SEMPLICISTICI PER MISURARE IL POTENZIALE DELLE AZIENDE DI FOOTBALL. DAL NUMERO DEI TIFOSI ALLE ARENE PROPRIETARIE, QUANTI ERRORI DI VALUTAZIONE

*Nella foto l’autore, Fabrizio Vettosi, analista finanziario

tamente informati. Il culmine del “distacco” dei concetti tra valore e prezzo (inteso questo un puro accordo di scambio in cui prevalgono forze e attese) si è avuto con la New Economy a inizio del secolo attuale; e purtroppo sappiamo tutti come è finita, ancora oggi assistiamo alla quotazione di un’azienda con “capitalizzazione > di zero” nonostante non abbia nella sua storia generato un solo euro di dividendo per i propri azionisti (Tiscali), eppure quell’azienda ad un certo punto della sua storia è arrivata a capitalizzare più della “vecchia” Fiat. Ricordiamoci che quelle aziende che non esprimevano track record economico venivano valutate con metodi diretti prevalentemente empirici (valore per utente, numero di contatti web, numero di click, numero di contratti) molto spesso sulla base dell’emotività e della irrazionalità. Lo stadio di proprietà non basta Questa premessa sembra il prodomo per meglio intendere l’approccio del mercato alle aziende di calcio e quindi della scarsa significatività dei prezzi di borsa, soprattutto per aziende caratterizzate da size ridotti, con flottante minimo, e semmai quotate su mercati poco attraenti per banche d’affari


SPORT e asset manager internazionali. Sintesi, molto spesso tra capitalizzazione di borsa e gambling in sala scommessa c’è migliore correlazione con la conseguenza che parlare di “valore” espresso dalla capitalizzazione di borsa è davvero un eufemismo. Anche nel calcio molto spesso, in assenza di metriche economiche stabili e dimostrabili, per non parlare dei ben noti “magheggi” contabili che hanno caratterizzato il settore negli ultimi venti anni, e su cui si potrebbe scrivere una lectio (a breve ci proveremo), si è sviluppata l’applicazione, come nella New Economy, di “metodi diretti empirici”. Ed ecco che abbiamo visto club come FC Internazionale, AC Milan, o AS Roma essere valutati sulla base del numero dei tifosi (dato alquanto opinabile, instabile, e poco dimostrabile); oppure assistere alla redazione di piani industriali più o meno vicini al libro dei sogni, o peggio ancora affermare alla stregua di dogmi e paradigmi concetti non declinabili dal punto di vista economico-finanziario; come per esempio “senza lo stadio di proprietà l’azienda non ha valore”, salvo poi dimostrare che i flussi di reddito e di cassa attualizzati di un’azienda con lo stadio di proprietà siano superiori al capitale investito per costruirlo (al momento non mi sembra che ciò sia dimostrato, nemmeno per la FC Juventus); o peggio ancora “con lo stadio di proprietà si vince” (con questa teoria il simpaticissimo Frosinone di Maurizio Stirpe vincerebbe più del Santos di Pelè).

PAUL POGBA, ASSO DEL MANCHESTER UNITED

Come valutare i player del pallone I disastri (AC Milan, ed in parte FC Internazionale) sono sotto i nostri occhi e, si spera, che il comportamento più razionale degli investitori privati (in questo caso parliamo di Private Equity come Elliott, o di Conglomerate Corporate come Suning) diano ragione alle nostre tesi. Finalmente ci

«UNA SOCIETÀ DI CALCIO IN ITALIA VA VALUTATA PER LA CAPACITÀ DI GESTIRE BENE DIRITTI TV, MERCHANDISING E SPONSORSHIP. MEGLIO ANCORA SE SVILUPPA UNA BUONA ACCADEMY»

si è resi conto che un’azienda di calcio va valutata in base al modello di business di ciascun mercato in cui compete. Nel caso dell’Italia, fondandosi essenzialmente sulla passione dello “Stadio virtuale” (gli spettatori in poltrona), basta gestire bene una linea di conto economico (i diritti tv), avere una buona gestione commerciale dell’evento per far si che merchandising e sponsorship colgano il potenziale (soprattutto locale, in quanto il mercato delle nostre aziende, eccetto alcuni casi, non è globale), ed ecco che si è a metà dell’opera. Se poi si è bravi ad organizzare tre o quattro campi in fitto per accogliere

LE SOCIETÀ CALCISTICHE EUROPEE QUOTATE IN BORSA* SQUADRA

AIK AJAX BESIKTAS BORUSSIA D. BROENDBY CELTIC COPENHAGEN FENERBAHCE GALATASARAY JUVENTUS LAZIO LIONE MANCHESTER U. ROMA TRABZONSPOR

INIZIO QUOTAZIONE QUOTAZIONE INIZIALE

31-lug-06 05-nov-11 20-feb-02 30-ott-00 06-apr-90 29-set-95 01-mag-95 20-feb-04 20-feb-02 20-dic-01 06-mag-98 09-feb-07 10-ago-12 23-mag-00 15-apr-05

6.67 9.9 1.14 10.13 10.51 58.90 22.31 10.50 2.16 1.30 192.29 14.57 15.50 3.38 2.26

QUOTAZIONE ATTUALE

PERFORMANCE DA INIZIO QUOTAZIONE

PERFORMANCE DA INIZIO ANNO

CAPITALIZZAZIONE

2.34 18 1.46 9.79 0.73 162.50 109.50 7.63 1.53 1.582 1.212 3.40 17.46 0.513 1.10

-64,92% 81.81% 28.07% -3.36% -93.05% 175.89% 390.81% -27.33% -29.17% 21.69% -99% -76.66% 12.64% -84.82% -51.33%

5.64% 23.29% -8.75% 15.58% -9.88% -1.81% 33.86% 8.07% -24.39% 35.21% -1% 20.99% -6.63% 4.69% -16.67%

45.98 330 348 900.68 228.55 151.67 1080 775.01 810 1540 84.67 197.22 2800 316.96 262.39

FONTE: ELABORAZIONI DI INVESTIRE SUI RISPETTIVI MERCATI DI QUOTAZIONE. DATI AL 23 AGOSTO 2019 E CAPITALIZZAZIONE IN MIL. DI EURO RELATIVI A 15 SOCIETÀ (STOXX EUROPE FOOTBALL INDEX)

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SPORT

«VOI LO COMPRERESTE IL TITOLO FC JUVENTUS A 30 X EBITDA NORMALIZZATO? IO NO. LA VERITÀ È CHE IL PREZZO NON PUÒ RISPECCHIARE ELEMENTI EMOTIVI E IRRAZIONALI» il milione di tesserati che si dilettano a giocare dai 5 anni di età in su, a sviluppare una buona Accademy (per fortuna gli istruttori ed allenatori italiani sono tra i migliori al mondo), possiamo curare bene anche l’”Area tecnica” e avere potenziale sviluppo sugli asset (un paragone con R&D in ambito industriale) con stipendi sotto controllo e tarati sulle dimensioni del conto economico. In questo modo il quadro si completa e le nostre aziende possono generare reddito e cassa e assumere valori positivi e razionali. Il titolo Juve non lo comprerei, ecco perchè Voi oggi comprereste il titolo FC Juventus a più o meno 30 x Ebitda normalizzato? Io no. La verità è che il prezzo non può rispecchiare elementi emotivi ed irrazionali, non può essere legato a un caffè preso all’Hotel Palazzo Parigi da Fabio Paratici con Pep Guardiola. E peggio ancora non può riflettersi in una crescita del valore una scelta gestionale, vedi il caso Ronaldo che pesa 94 milioni di euro sul conto economico e 115 milioni sulle capex (le spese in conto capitale, n.d.r.), e che a mio giudizio a oggi non ha creato valore in termini economico-finanziari, ma ha solo acceso il fuoco della passione nella miriade di tifosi diventati investitori-scommettitori. Vincere non significa creare valore Dobbiamo tutti prendere coscienza che il calcio professionistico è un’industria che deve maturare, sia dal punto di vista manageriale (e lo sta facendo), ma soprattutto dal punto di vista finanziario e dell’approccio degli investitori. Vincere non significa creare sempre valore quando siamo in ambito professionistico; in un contesto non ancora maturo può significare distruggere valore (che non è la capitalizzazione di borsa). Una scelta di gestione osannata dalla curva potrebbe diventare una scelta 84

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CRISTIANO RONALDO (JUVE) DECISIVO ANCHE SUI LISTINI

biasimata da un Pm o da un Giudice fallimentare, e allora tutti ci accorgeremmo che il calcio professionistico non può essere fatto da ultras scommettitori, bensì da seri investitori.

L’industry è chiamata al cambiamento Non è vero che la FC Juventus vale 1,5 miliardi euro, come non è vero che la SSC Napoli con il medesimo parametro ne vale 800. Probabilmente con un approccio razionale arriveremmo a dire che hanno entrambe un fair value molto vicino in quanto la seconda esprime un effettivo valore per effetto di risultati economici consolidati e stabili e prospetticamente replicabili, mentre la prima esprime solo una capitalizzazione che non significa valore. Spero che nei prossimi anni si possa assistere a processi ragionati in termini di valutazione delle aziende di calcio e sono certo che le professionalità che si stanno sviluppando all’interno dell’industry lo renderanno possibile.

EQUITY&FOOTBALL, tre regole da tenere a mente per chi investe Ecco tre consigli utili che il nostro mensile rivolge a quegli appassionati che vogliono acquistare il titolo quotato della propria squadra del cuore o di altri team

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Prima regola, in linea generale, il criterio di non innamorarsi mai delle società di cui si posseggono titoli vale a maggior ragione per le società di calcio: occorre tenere ben separati passione e portafoglio.

2

Seconda regola, ricordare sempre che le società di calcio non sono come una qualsiasi altra azienda, come ben spiega l’analista Fabrizio Vettosi in queste pagine.

3

Terza regola, le azioni delle società di calcio sono spesso più volatili rispetto ai titoli azionari tradizionali. La ragione? Il loro andamento è condizionato dai risultati sportivi che si realizzano nella maggior parte dei casi a borsa chiusa e il contraccolpo, in caso di sconfitta, avverrà sistematicamente in apertura della seduta successiva senza concedere ad alcun investitore la possibilità di evitare l’evento.


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FRODI TRUFFE FINANZIARIE

Virale e social, il millantatore si adegua ai tempi e prospera di Giuseppe D’Orta

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a storia delle truffe finanziarie è uguale da secoli e a dire il vero non si discosta molto dal racconto di Collodi, con il Gatto e la Volpe che ingannano Pinocchio (da notare come la prima trasmissione televisiva dedicata alla materia, su RaiDue alla fine degli anni ‘80, prese proprio il nome di “Il Gatto e la Volpe”). I tempi però cambiano, la società si evolve, e con essa anche i metodi scorretti per ingannare. Sono lontane le epoche in cui, per impressionare veri o potenziali clienti, occorrevano uffici di rappresentanza e abbigliamento trendy, oltre ad un atteggiamento a metà tra il vate e il guru. Fanno ormai sorridere i metodi degli anni ‘80 del secolo scorso, quando per esempio l’agenzia di “Latina Banca” raccoglieva danaro su fantomatici “libretti” dal rendimento molto elevato, e solo voltando l’angolo ci si poteva accorgere che l’insegna di “Latina Banca” proseguiva con la parola “Dati”, svelando l’arcano. Oggi, ai tempi di internet e dei media onnipresenti nella nostra vita, anche i truffatori si sono adeguati e sono diventati anch’essi “social” e “virali”.

I TEMPI CAMBIANO, LA SOCIETÀ SI EVOLVE E CON ESSA ANCHE I METODI SCORRETTI PER INGANNARE I RISPARMIATORI. CHI TRUFFA OGGI NON PUÒ FARE A MENO DEI SOCIAL NETWORK

Il benefattore della finanza internazionale Un truffatore espressione dei nuovi tempi, che ha dimostrato enorme inventiva unita a una faccia tosta senza eguali, è Alex Fodde, sedicente finanziere italo-svizzero di soli 25 anni che si era presentato come amministratore delegato dell’Hedge Fund Godhand di Ginevra, asserendo che in tre anni aveva raccolto ben 850 milioni di dollari da amici della finanza internazionale come pure da sceicchi ed emiri, e che ovunque nel mondo faceva beneficenza. La sua storia è stata allestita talmente bene da aver ingannato tanti media, addirittura anche Il Corriere della Sera (“Ecco l’anti rich kids, il broker 25enne che fa beneficenza”, è il titolo di un articolo pubblicato il 16 settembre 2018 e facilmente rintracciabile on line) a cui Fodde si era presentato come «consapevole di essere un ragazzo fortunato», e di aver deciso di «condividere parte dei miei soldi con chi ha bisogno. Fino a oggi ho agito in silenzio, ma è giunto il momento di fare sapere ad altri giovani che è possibile aiutare persone meno fortunate, secondo le proprie disponibilità». Il ricchissimo benefattore proseguiva affermando: «appartengo al mondo della finanza, che in questo momento è sotto accusa ed è visto dai più come una specie di entità malefica, spero 86

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di suscitare lo spirito di emulazione nei miei colleghi. Sono convinto che molti giovani imprenditori saranno ben contenti di rinunciare ad automobili di lusso e benefit vari pur di vedere il loro nome affiancato ad azioni positive». Alex Fodde si era costruito un curriculum fin troppo consistente, che nessuno si è preso la briga di verificare: a 17 anni raggiunge il padre a Ginevra. Al mattino studia economia, il pomeriggio fa “l’apprendista bancario”. Presunta laurea in economia internazionale a Zurigo, master in tecnologia e scienze delle decisioni alla Bocconi. A vent’anni sarebbe stato assunto dalla JPMorgan di Ginevra, città in cui sarebbe avvenuto l’incontro con un membro di una delle più potenti famiglie della finanza mondiale e che avrebbe portato i due soci ad aprire il


FRODI Fondo Godhand. “Chi pensa che faccia i soldi facili si sbaglia. Dormo 4-5 ore a notte e non vado a letto senza raggiungere gli obiettivi del mattino”, tuonava ai tempi Fodde. Le prime avvisaglie che qualcosa non andava risalgono al marzo 2017, quando la Consob segnalava che Godhand Hedge Fund Management Llc, promuoveva servizi di investimento in Italia, soprattutto via internet, senza le necessarie autorizzazioni. Ma è solo nel maggio scorso che si arriva alle accuse di truffa aggravata, attività finanziaria abusiva e auto riciclaggio, mosse dalla Procura di La Spezia. Le truffe hanno interessato nord Italia, Svizzera e il Principato di Monaco mediante una rete di procacciatori. L’importo sparito è di 3,5 milioni spesi per auto, viaggi, casinò, cene e serate extra lusso tra il nord Italia, la Svizzera e il principato di Monaco. La bella vita che Fodde vantava sui social, facendosi fotografare su supercar, jet privato, in alberghi e ristoranti esclusivi di tutta Italia.

I fanfaroni del contenzioso bancario Quello dei “pentiti” e dei “benefattori” con un passato nel settore bancario e finanziario è un fenomeno anche mediatico di tendenza. Personaggi collegati a “centri studi”, “dipartimenti” e quant’altro che appaiono come Onlus ma che in realtà servono come vetrina per reti di venditori di perizie e cause contro le banche. I pentiti e i benefattori sono ex dipendenti e pre-pensionati delle banche, che guadagnavano bonus ingenti facendo carriera, vendendo ai clienti gestioni patrimoniali, polizze, diamanti, oppure ex manager di rete di promotori finanziari (che dopo il cambio di denominazione sono diventati consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede) che hanno “abbandonato delusi” il settore. Tutte queste persone hanno in comune una cosa: pubblicizzano sul web e sui social la loro attività di consulenza, di redazione di perizie su prodotti bancari e finanziari, di cause contro le banche su qualsiasi tematica, sviluppando in Italia un “business del contenzioso bancario”. Il primo business consiste nel vendere la perizia tecnica di parte che dovrebbe quantificare questi importi. Una perizia che viene proposta a prezzi anche cinque volte superiori rispetto a quello che potrebbe essere un prezzo corretto. Peggio ancora si tratta di perizie voluta-

Ale Fodde, oggi 28enne, ai tempi in cui posava all’interno di un jet privato

ANCHE I PRESUNTI SPECIALISTI DEL CONTENZIOSO BANCARIO FANNO AMPIO RICORSO AL WEB CON L’OBIETTIVO DI SPINGERE CLIENTI A FARE CAUSE (TEMERARIE) CONTRO LE BANCHE mente ottimistiche dalle quali emergono sempre numerose anomalie che darebbero diritto a risarcimenti per importi con molti zeri. Il tutto per invogliare i malcapitati clienti ad accedere al secondo business, che consiste nell’effettuare la vera e propria azione legale. Il tema delle competenze bancarie illegittime è molto complesso, legato com’è a un groviglio giurisprudenziale nel quale non è facile districarsi, ma certe tesi portate avanti con l’aiuto di periti improvvisati e in malafede sono così palesemente infondate o così malamente portate avanti che non sono più così isolati i casi nei quali i giudici condannano il cliente che ha fatto causa alla banca non solo al pagamento di tutte le spese processuali (cioè quelle proprie, ma anche quelle della banca) ma anche a un importo aggiuntivo dovuto alla “lite temeraria” ex articolo 96 del codice di procedura civile. Il tribunale di Padova, nelle sentenza n. 739 del 10 marzo 2015 scrive parole pesanti: “Tale condotta processuale merita di essere opportunamente sanzionata ex art. 96 c.p.c. anche in considerazione del fatto che, tale modo di affrontare la materia bancaria, denota la volontà di creare un contenzioso seriale in questa materia che è invece estremamente tecnica e complessa e che, colpa anche la gravissima congiuntura economica che ha colpito le famiglie e le imprese, meriterebbe di essere trattata con un diverso approccio”. Da queste parole, e dal resto della sentenza, appare chiaro che il bersaglio del giudice non è stato tanto e solo la singola causa, quanto il “business del contenzioso bancario”.

Il paladino dei bondholder Astaldi Un altro episodio sintomatico di come web e social possano contribuire a dare credibilità a chi non la meriterebbe è quello recente che riguarda il sedicente Nicholas Johnson, presidente del Comitato bondholders Astaldi, che lo scorso aprile si è reso irreperibile sparendo con la cassa stimata in trecentomila euro. In realtà il suo vero nome sarebbe il ben più nostrano Andrea Pompei, classe 1978 residente sulla Casilina. settembre 2019

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FRODI Come è stato possibile che un perfetto sconosciuto sia diventato tanto noto, ma soprattutto presidente di un comitato coinvolto in una complessa situazione di risanamento societario quale è Astaldi? Il tutto è partito dai forum web di finanza, dove Johnson-Pompei si era messo in evidenza come punto di riferimento degli obbligazionisti. Il suo interventismo aveva attirato tutte le testate del settore finanziario, ed ecco servito al pubblico il perfetto “paladino” dei bondholder. Johnson-Pompei aveva creato un gruppo su Telegram in cui, per avvalorare la propria di immagine di esperto investi-

L’INCREDIBILE VICENDA DEL PRESIDENTE DEL COMITATO DEI BONDHOLDER ASTALDI SCAPPATO CON LA CASSA, INSEGNA CHE LA PRUDENZA NON È MAI TROPPA tore presso gli sfortunati obbligazionisti Astaldi, affermava di essere figlio di un facoltoso uomo d’affari italo-statunitense, detentore di un conto corrente dal saldo di ben ventiquattro milioni e seicentomila euro e condivideva sulle chat del comitato Astaldi, ma anche di forum finanziari, foto dell’estratto conto del presunto padre Joseph Johnson, come mostrato dall’immagine pubblicata in questa pagina. Da notare come Abi e Cab corrispondano a quella dell’Agenzia Unicredit Casilina B, nella zona cioè in cui abita Johnson-Pompei.

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Nicholas Johnson si vantava pubblicamente della ricchezza familiare. Tanto da condividere in chat estratti conto del presunto padre

Il “paladino” degli obbligazionisti Astaldi è stato arrestato lo scorso 11 luglio a Roma e poi rilasciato dopo essersi recato presso l’Agenzia postale di Via Terme di Diocleziano per prelevare cinquemila euro in contanti. Il suo documento di identità ha però insospettito l’impiegato, che ha fatto partire i controlli da cui è emerso come il numero risultasse appartenere a una senzatetto che ne aveva denunciato lo smarrimento. Johnson-Pompei si è difeso affermando di aver cambiato nome negli Usa dopo un matrimonio, e di essersi affidato a un’agenzia per i documenti. La prossima udienza è stata fissata per il giorno 11 dicembre, mentre l’indagine sull’ammanco al comitato è ancora in corso. Anche in questo caso Nicholas-Andrea si dice pronto a spiegare tutto, ma allora perché non anticipare i tempi e recarsi spontaneamente dai giudici? Se ci sono responsabilità di terzi, conviene anche a lui farle accertare. Restano poi molti interrogativi sul comitato e il suo funzionamento: gli altri membri del consiglio direttivo non si sono mai accorti del doppio nome di Nicholas? Non sono state adottate misure di controllo interno? Perché i membri erano in possesso di potere disgiunto di firma sul conto corrente? Nessuno si è accorto che l’allora Nicholas Johnson stava svuotando il conto? Anche la banca presso cui era stato aperto il conto, la Banca di credito cooperativo del Tuscolo e dei Castelli Romani, dovrà spiegare quali documenti Johnson-Pompei ha presentato, e soprattutto come mai non si sia insospettita nel verificare un ingente deflusso di somme da un conto corrente intestato a un comitato. Il comitato bondholders Astaldi ha raccolto adesioni di centinaia di investitori per oltre sessanta milioni di euro di valore nominale. Eppure sarebbe bastato investire qualche minuto del proprio tempo sui motori di ricerca per accorgersi che già svariati anni fa Nicholas-Andrea, era noto per dei comportamenti poco corretti in relazione a vendite di collezioni di album musicali in vinile sul noto sito di aste Ebay. Aspetti che francamente cozzano con le decine di milioni di euro millantati come patrimonio di famiglia.


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COSMOPOLITICA Andrea Margelletti Presidente del Centro Studi Internazionali, docente presso la Facoltà di Scienze delle Investigazioni e della Sicurezza dell’Università di Perugia e Narni. Unico membro onorario delle Forze Speciali

IL LENTO CREPUSCOLO DELLO ZAR

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na delle virtù più rare per un essere umano è la consapevolezza, soprattutto se acquisita nel momento giusto e non dopo una rovinosa caduta. La storia è piena di grandi esempi di statisti, generali, artisti e sportivi che hanno macchiato le proprie gloriose carriere con tramonti rovinosi, resi meno amari dalla clemenza riservata a essi da un pubblico che ne ricordava i fasti ormai passati e, di conseguenza, tributava un riconoscente commiato. Quando si è stati sulla cresta dell’onda, si è posseduta gloria e riconoscimento o si è gestito un grande potere diventa difficile accettare l’idea del tempo che passa e dei cambiamenti del mondo in cui vive. In breve, è sempre difficile capire quando è il momento di ritirarsi e passare il testimone. La storia dell’Impero zarista, dell’Unione Sovietica e oggi della Russia, ha spesso mostrato il prezzo di questa mancanza di consapevolezza della classe dirigente, spesso così avidamente attaccata al proprio potere e a convinzioni rese presto obsolete dal tumultuoso evolvere dei costumi, delle idee e dei bisogni da dover arrendersi solo alla morte per farsi da parte. Lo Zar Nicola II abdicò quando ormai la Rivoluzione d’Ottobre ruggiva ai cancelli del Palazzo d’Inverno, Leonid Breznev si spense lasciando un Paese nella stagnazione del Socialismo Reale e pronto a esplodere sotto il peso di un malcontento virulento e strisciante e infine a Boris Eltsin non bastarono fiumi di vodka per dimenticare l’anarchia degli anni ‘90. Forse questa è una malattia ereditaria della politica russa, un morbo inciso nel suo genoma di potere. O almeno questo è il pensiero quasi automatico che sorge osservando criticamente quello che vive Mosca oggi. Da oltre tre mesi la capitale è settimanalmente teatro di manifestazioni di protesta popolare, iniziate dapprima in sordina e giunte a cifre oceaniche di oltre 60.000 partecipanti. I moscoviti, con in testa studenti e piccola borghesia, chiedono a gran voce lo svolgimento di elezioni libere e trasparenti per insediare il nuovo sindaco e la nuova giunta municipale, dopo che la commissione elettorale locale ha praticamente escluso tutti i principali leader di opposizione, per discutibili ragioni protocollari legate all’autenticità delle firme raccolte dai candidati per concorrere alle urne. Insomma la Russia dei giovani e di quella che un tempo era definita la maggioranza silenziosa marcia compatta contro l’establishment, per nulla intimorita dalla massiccia

campagna repressiva delle autorità fin troppo disinvolte nell’arrestare centinaia di manifestanti e cercare di silenziare i leader dell’opposizione con le buone e (soprattutto) con le cattive. Dunque il contratto sociale tra il presidente Putin e il popolo russo, un tempo basato sul binomio crescita economica–autoritarismo politico, sembra essersi estinto per violazione di una delle clausole, ossia quella relativa al benessere economico. Infatti dopo quasi due lustri di miglioramento della congiuntura, trainato da irripetibili prezzi del petrolio e del gas, il Cremlino, dopo il 2014, ha dovuto pagare il conto del crollo del barile di greggio, delle sanzioni europee e americane per l’annessione della Crimea e l’ingerenza nei processi elettorali dei Paesi occidentali e soprattutto le conseguenze di una strategia economica scarsamente votata all’innovazione e fin troppo concentrata su un frettoloso e parziale ammodernamento dell’industria militare, molto al di sotto delle aspettative. Quest’ultimo aspetto poi raccoglie una amara ironia se si considera che i maggiori risultati militari ottenuti dai russi negli ultimi 10 anni sono stati frutto di una revisione strategico-operativa più che di una impressionante evoluzione tecnologica. Tutti questi nodi sono venuti al pettine quando Putin ha dovuto firmare le leggi sull’aumento dell’età pensionabile, ultimo prezioso feticcio del passato sovietico, sull’austerity e sulla riduzione della spesa pubblica nei settori della sanità e dell’istruzione. In sintesi, senza benessere, l’autoritarismo è diventata una pillola troppo amara da ingoiare. Mentre Mosca protesta, risulta assordante il silenzio del presidente Putin, apparentemente interessato soltanto alle questioni di politica estera e quasi vittima della sua stessa retorica vetero-bolscevica che attribuiva tutte le responsabilità dei problemi alle potenze straniere e chiedeva sacrificio al fiero popolo russo. Per i russi Putin è stato un grande statista che ha salvato il Paese dalla disgregazione e ne ha rinvigorito l’orgoglio nazionale. Un elemento fondamentale per una nazione come la Russia ossessionata dal timore di essere sottovalutata o umiliata. Tuttavia, oggi Putin sembra fuori dal tempo, intrappolato nella gabbia dorata del suo machismo politico. Il Paese, per la prima volta dai primi anni 2000, chiede un cambiamento profondo e lo chiede rapidamente. Il putinismo sembra al tramonto. Spetta a Putin capire se è arrivato il momento di ritirarsi prima che sia troppo tardi oppure seguire le tristi orme di Nicola II e di Breznev.

Anche per Putin è difficile capire quando è il momento di ritirarsi

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QUI PARIGI di Giuseppe Corsentino

IL SOGNO DI PARIGI CAPITALE DELLA “FINANZA VERDE”

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iciottomila miliardi di dollari di attivi. Tutti attorno al presidente Macron, che da giovane fu anche banker “chez Rotschild” e quindi si sente a proprio agio e si rivolge, sorridente come si vede nella foto dell’agenzia France Presse, ai “signori del risparmio” che siedono alla sua destra nel gran tavolo nel salone delle feste dell’Elise: mister Larry Fink, il boss di BlackRock, il colosso mondiale del risparmio gestito (6.500 miliardi di dollari), il 28° uomo più ricco al mondo nel rating di Forbes, e al suo fianco il patron di Amundi, leader europeo dell’asset management (1.500 miliardi di euro di attivi) e partner del nostro Unicredit, quell’Yves Perrier a cui la Consob francese ha contestato la valutazione troppo generosa dei suoi bonus da parte del Credit Agricole padrona di Amundi. Un giro di tavolo ed ecco i top executive di Goldman Sachs, BnpParibas, Hsbc, Natixis, State Street, Northen Trust, insomma i numeri uno dell’industria globale del risparmio. Accanto a loro, nello stesso tavolo, i rappresentanti dei principali fondi sovrani del pianeta, sei per l’esattezza - Norvegia, Qatar, Arabia Saudita, Kuwait, Emirati arabi uniti, Nuova Zelanda - quegli stessi che l’anno scorso in occasione del One Planet Summit, il Forum mondiale dell’Ambiente promosso da Francia, Onu e Banca Mondiale, si erano impegnati con il presidente francese a dirottare una parte dei loro attivi e dei loro investimenti dal carbone e dalle energie fossili, il passato, in direzione dei settori industriali impegnati nello sviluppo delle energie rinnovabili, il futuro. Quest’anno Macron ha voluto estendere quell’impegno dei fondi sovrani ai protagonisti privati (da BlackRock a scendere) e per questo li ha convocati tutti all’Eliseo il giorno dopo - siamo a metà luglio - il Forum internazionale di Paris Europlace nel corso del quale il primo ministro Edouard Philippe aveva raccomandato agli stessi signori - i gestori dei 18mila miliardi di dollari di cui sopra - di investire nelle aziende europee (e francesi, ça va sans dire) e di rafforzare il mercato finanziario del Vecchio Continente dirottando qui quote crescenti di attivi, cioè del risparmio mondiale in cerca di remunerazione. Certo - ha riconosciuto Philippe rivolgendosi stavolta a Bruxelles - le regole europee sembrano giocare contro (solo Basilea III, è stato calcolato, avrà un impatto negativo di 135miliardi di euro sui bilanci delle banche) e a vantaggio del mercato americano, ma la Francia, diventata il “centro di gravità dello spazio finanziario europeo” farà di tutto in 92

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sede comunitaria per ammorbidire le regole di Basilea III e renderle compatibili con la libertà di movimento di cui hanno bisogno i player della finanza. Questo Philippe il giorno prima. Il giorno dopo Macron ha chiesto agli stessi player di rafforzare l’impegno nella direzione della cosiddetta “finanza verde”, fondi e prodotti finanziari vari destinati a sostenere il settore delle energie rinnovabili ma anche quelle imprese - ed è stata citata Total non a caso - che stanno innovando i processi produttivi per ridurre drasticamente le emissioni di Co2 (che è, ricordiamolo, il grande impegno della Cop21 parigina e, di seguito, del One Planet Summit). Certo la Banca Mondiale, primo grande sponsor del Summit, non finanzia più le energie fossili e, passando al settore privato, il colosso mondiale delle assicurazioni, la francese Axa, si è impegnata a disinvestire 2,4miliardi di attivi dalla filiera carbonifera. Ma si tratta di iniziative singole, senza una strategia di sistema. Mentre Macron vuole che Parigi diventi la piazza di riferimento della finanza verde, la capitale delle emissioni dei “green bond” che però, al momento, rappresentano solo 200 miliardi di dollari (34 in Europa) su un totale-mercato che vale 30.700 miliardi a livello mondiale. Ora senza indulgere alla famosa battuta degli ambientalisti “Se il clima fosse una banca, sarebbe stata già salvata”, che cosa frena lo sviluppo della finanza verde? Non tanto il tasso di rendimento - anche se questo aspetto non è trascurabile quando si tratta, per esempio, di fondi pensioni che investono per assicurare un assegno ai loro iscritti - quanto la mancanza di regole e di standard finanziari accettati e condivisi. Ci sono è vero i Pri, i Principi per l’investimento responsabile, fissati dalle Nazioni Unite nel lontano 2005, ma è evidente che non bastano e che la chiave oggi è la trasparenza dei risultati, anzi degli eco-risultati delle aziende su cui l’asset management globale ha dirottato i suoi attivi. In altre parole si tratta di creare un vero mercato dei “green bond” con regole e standard precisi. Seguendo per dire l’esempio di Amundi che insieme con la Bei, Banca europea per gli investimenti, si prepara a lanciare un fondo verde che investirà in obbligazioni emesse da aziende di media taglia a condizione che abbiano il “bollino” Esg e presentino progetti industriali coerentemente ecologici. Ecco il fondo verde Amundi-Bei può diventare un modello, un benchmark di buone pratiche eco-finanziarie di cui la piazza di Parigi può rivendicare una sorta di primogenitura. In chiave politica un altro “plus” per Macron.


QUI NEW YORK

di Glauco Maggi

I TWEET DI TRUMP E IL NEMICO IN CASA

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oi abbiamo un dollaro veramente molto forte e una Fed davvero debole. Io lavorero’ ’brillantemente’ su entrambi i fronti, e l’America andrà alla grande… la mia sola domanda è: chi è il nostro più grande nemico, Jay Powell o il chairman Xi Jinping?». Solo Donald Trump poteva sparare un tweet così provocatorio, ponendo insieme sul banco degli imputati il governatore della Federal Bank Usa e il capo del governo cinese. Ma si sa tutti hanno ormai imparato a digerire il lessico spregiudicato del presidente americano. L’aver messo sullo stesso piano, da avversari!, il banchiere, repubblicano da una vita, che lui stesso ha voluto come Governatore centrale, e il dittatore comunista con cui ha avviato da tempo la guerra dei dazi per cercare di ridurre lo squilibrio commerciale da 500 miliardi con la Cina, è solo l’ennesima mossa dialettica dell’estenuante braccio di ferro con Pechino. Trump è convinto che la politica dei tassi americani sia un’arma fondamentale nella sua battaglia per ridurre alla ragione Xi, e si è stufato di attendere che il suo “generale” Powell ubbidisca all’ordine di abbassare il costo del dollaro al ritmo desiderato dalla Casa Bianca. «Come al solito, la Fed non ha fatto NIENTE! E’ incredibile che loro possano ‘parlare’ senza sapere o chiedere che cosa io stia facendo, e che sarà annunciato a breve», ha twittato Trump il 23 agosto, con una doppia allusione: all’inasprimento delle tariffe Usa sui prodotti elettronici, che sarebbero poi entrate in vigore a inizio settembre, e al discorso appena fatto da Powell all’annuale convegno agostano dei banchieri centrali a Jackson Hole, in Wyoming. Davanti all’establishment finanziario globale il Governatore ha criticato il presidente Usa, senza citarlo, con un commento trasversale di questo tenore: c’è ben poco che la Fed possa fare per evitare il danno all’economia provocato dalla politica commerciale con la Cina, che è senza precedenti e di enorme disturbo. La linea della Casa Bianca è chiara, e in un certo senso “tradizionale” anche se istituzionalmente scorretta: una

volta che un presidente ha nominato il chairman della banca centrale, e che il Senato l’ha approvato, è il rispetto della sua indipendenza a farne una figura autorevole davanti ai mercati. Tutti i presidenti preferiscono i tassi bassissimi, perchè il denaro che costa poco o niente aiuta le imprese a indebitarsi a costi abbordabili e a produrre di più, e i lavoratori a continuare a consumare. Ciò favorisce la crescita evidenziata dal “numerino” del Pil, a cui Trump tiene particolarmente via via che si avvicina il voto del novembre 2020. Il taglio delle tasse e la deregolamentazione hanno creato la pienissima occupazione, aumentato i profitti aziendali e messo le ali alla Borsa nel 2017 e nel 2018, ma qualche segnale recente di rallentamento (nella fiducia dei consumatori e nella produzione industriale, per esempio) ha iniziato a diffondere la paura della recessione anche negli Usa, dopo le frenate in Germania e Italia. Il presidente sa che un’economia florida è la carta migliore per ottenere il bis, come confermano vari modelli di previsione del voto degli economisti che si occupano di scienze politiche: per esempio Ray Fair, professore a Yale, dava due mesi fa la vittoria di Donald al 56% basandosi solo su macrodati economici. Tra correre il rischio di perdere questo vantaggio, e attentare alla reputazione di indipendenza della Fed, Trump non ha dubbi. Però al di là della pressione che esercita alzando la voce, o meglio il tono dei suoi tweet, il presidente può fare ben poco. Da parte sua, Powell sa che il suo vero potere si identifica nella conservazione di un profilo autonomo nei giudizi e nelle dichiarazioni ai meeting del Comitato che decide mensilmente le mosse. E un presidente che parla troppo, e che parteggia tanto rumorosamente per la politica del taglio dei tassi, lo mette solo in difficoltà. Nel merito del “che fare”, oggi come oggi anche Powell potrebbe infatti arrivare genuinamente, analizzando i trend assieme agli membri della Fed, alla conclusione che è tempo di tagliare i tassi. Proprio come vorrebbe tanto il presidente. Ma lo farà, bollato da nemico più nemico di Xi? settembre 2019

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IL GIRO DEL MONDO IN 30 GIORNI

FINK (BLACKROCK): «PUNTARE SOLO SU AZIENDE SOSTENIBILI»

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n un mondo in cui le emissioni di ce lo chiedono: il 55% di loro sono “MilCO2 sono in aumento, quasi para- lennials” e vogliono che siamo più vigili su dossalmente, le aziende che si con- questi temi della sosteniblità» ha spiegato il centrano sullo sviluppo sostenibile presidente di BlackRock. Che ha anche crisaranno le più efficienti sul lungo ticato la miopia che caratterizza questa fase termine e quindi quelle su cui puntare. politica, in Europa e non solo (Fink, demoLo ha affermato Larry Fink, presidente di cratico, non ha una passione per Trump): BlackRock, la più grande società di investi- «Gli investitori dovrebbero pensare a lungo menti del mondo che gestisce 6.500 miliar- termine, ma l’aumento del populismo e i di di dollari di patrimonio, in un’intervista cambiamenti nel panorama politico rendoal quotidiano francese “Les Echos”. «Le no il comportamento dei governi sempre più a breve termine» aziende più atten«LE AZIENDE DOVRANNO FARE ha messo in evidenza te alla sostenibilità IL CONTRARIO DEI GOVERNI: Fink. «Chiedere alle avranno una magaziende di avere una giore domanda per i PENSARE NON SUL BREVE logica più a lungo terloro prodotti da parMA A LUNGO TERMINE» te dei clienti e saranmine quando i governo le più forti e attrattive per reclutare i mi- ni fanno il contrario è molto difficile. Questo gliori talenti» ha affermato Fink. «La nostra atteggiamento di breve respiro deriva in responsabilità è quella di guidare i nostri parte dai media e dai social network: è comclienti, spiegando loro perché è opportuno plicato dire che dobbiamo concentrarci sui investire in questo tipo di società». «Tutto prossimi 8-10 anni, quando tutto il rumore ci spinge a cambiare: l’azienda ci chiede di dei media è concentrato sul brevissimo pecambiare, gli stessi dipendenti BlackRock riodo, su ciò che accadrà immediatamente.

Il risultato sul piano degli investimenti è che nonostante ci sia molta liquidità, non è facile pianificare a lungo termine. Viviamo in un mondo dominato dall’emozione e dalla paura, sostenuti dall’ecosistema dei media e dei social network».

UNA CERTEZZA: LA BREXIT HA ABBATTUTO I PREZZI DELLE CASE A LONDRA La Brexit si fa sentire anche sui prezzi delle case a Londra, tra i più alti al mondo. Secondo i dati dell’Ufficio nazionale di statistica britannico (Ons), nel mese di maggio i prezzi delle abitazioni nella capitale britannica sono scesi del 4,4% su base annua. Si tratta della flessione maggiore dall’agosto del 2009, e dell’undicesimo mese consecutivo di declino per il mercato immobiliare londinese. La cosa singolare è che, al contrario, nel resto del Regno Unito i valori immobiliari stanno continuando a salire, anche se a un ritmo leggermente rallentato. A maggio i prezzi delle abitazioni sono aumentati in media dell’1,2%, in calo rispetto dell’incremento dell’1,5% registrato ad aprile. Il mercato immobiliare britannico è in difficoltà sin da subito dopo il referendum per la Brexit del giugno 2016. Fino ad allora i prezzi erano aumentati dell’8,2% annuo. Secondo gli analisti gli acquirenti hanno preferito attendere tempi di maggiori certezze politiche. Nel frattempo però i prezzi di Londra calano, quelli delle altre città britanniche crescono.

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IL GIRO DEL MONDO IN 30 GIORNI

BOTTA PER IL TESORO SPAGNOLO, DOVRÀ RIMBORSARE I FONDI

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l Tesoro spagnolo deve restituire decine di milioni di euro ai maggiori gestori di fondi di investimento, piani pensionistici e sicav attivi nel Paese, da BlackRock a Vanguard, da Norges a Schroders, da Scottish Equitable (di proprietà della compagnia di assicurazioni Aegon) ai fondi pensione dei lavoratori della BBC e della rete elettrica britannica (National Grid UK) e ad altre centinaia di investitori istituzionali. Lo hanno deciso la Cor-

COLAZIONE DA TIFFANY. A NUOVA DELHI

La catena di gioiellerie Tiffany & Co., icona del lusso, entrerà presto nel mercato indiano grazie a una joint venture con la multinazionale del miliardario Mukesh Ambani, Reliance Industries. Il primo negozio Tiffany aprirà a Nuova Delhi entro l’anno, mentre il 2020 sarà la volta di Mumbai. «Essendo una gioielleria di lusso di fama mondiale, con punti vendita in molte delle città più importanti del mondo, l’emergere di Tiffany in questi centri del commercio indiani, con la loro crescente clientela di lusso, presenta un’opportunità unica», ha dichiarato Philippe Galtié, vicepresidente esecutivo delle vendite internazionali per Tiffany & Co., «Siamo fieri di lavorare con il leader del commercio del lusso indiano, Rbl, per sviluppare una presenza importante ed espandere il valore del nostro marchio in questo importante mercato». Per l’amministratore delegato di Rbl, Dearshan Mehta, Tiffany non ha bisogno di presentazioni: «Non vediamo l’ora di portare le rinomate collezioni di Tiffany e i suoi meravigliosi diamanti in India», ha dichiarato. A maggio Reliance Industries ha messo a segno un altro colpo, acquistando il colosso dell’industria di giocattoli britannico Hamleys.

te Suprema e l’Alta Corte Nazionale, che hanno emesso una ventina di sentenze dall’inizio dell’anno, tutte contrarie al Tesoro e favorevoli a società e fondi di investimenti che avevano fatto ricorso contro le trattenute applicate alla fonte dall’Agenzia delle Entrate sui dividendi

LA CORTE SUPREMA E L’ALTA CORTE NAZIONALE HANNO DATO RAGIONE AI RICORSI DELLE SOCIETÀ D’INVESTIMENTO

derivanti da investimenti fatti fuori dai confini del Paese. L’Agenzia delle Entrate ha poi rifiutato di restituirle. Le cause su cui si sono espresse la Corte suprema e l’Alta Corte nazionale risalgono al periodo 2002-2010. All’epoca il Tesoro applicava una ritenuta del 15% (che poi salì al 18%) ai dividendi che le società spagnole pagavano ai loro azionisti, quando erano strumenti di investimento stranieri. Tale ritenuta è stata imputata all’imposta sul reddito dei non residenti (Irnr). Dopo anni di battaglie amministrative e giudiziarie, la Corte Suprema e l’Alta Corte Nazionale hanno ora emesso la giurisprudenza. Non ci sono ancora stime precise della cifra che l’Agenzia delle Entrate dovrà restituire, cui vanno aggiunti gli interessi di mora, in quasi tutti i casi per oltre un decennio. settembre 2019

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IL GIRO DEL MONDO IN 30 GIORNI

IL MERCOSUR GUIDATO DA BOLSONARO VUOLE ANCORA PIÙ APERTURA COMMERCIALE

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odernizzare le normative e aprire ulteriormente a nuovi accordi di libero scambio. Sono i punti principali dell’agenda che porterà avanti il Brasile durante la presidenza pro-tempore del Mercosur (Mercato comune dell’America Meridionale) secondo quanto ha dichiarato il presidente Jair Bolsonaro nel corso del 54esimo vertice dei capi di stato dei Paesi che ne fanno parte, a Santa Fe in Argentina. «Approfitto di questa occasione per affermare l’impegno del mio governo per la modernizzazione del blocco, per farne uno strumento di inserimento nel commercio mondiale senza una caratterizzazione ideologica» ha dichiarato Bolsonaro, secondo il quale l’accordo di libero scambio siglato con

l’Unione europea «è il risultato di questo nuovo orientamento» già intrapreso con la precedente presidenza del governo argentino di Mauricio Macri. «Aspiriamo a una ulteriore apertura commerciale e alla revisione delle Tariffe esterne comuni (Tec, n.d.r)» ha aggiunto il presidente brasiliano. Bolsonaro ha parlato della sua intenzione di includere le automobili e lo zucchero nella lista dei prodotti soggetti a Tec. Nel frattempo dall’economia brasiliana arrivano sinistri

GRECIA, ADDIO AI CONTROLLI SUI CAPITALI

IL PRESIDENTE BRASILIANO, NONOSTANTE I ROGHI, CERCA NUOVI ACCORDI DI LIBERO SCAMBIO scricchiolii: il numero di piccole e micro imprese brasiliane con pagamenti in arretrato o incapaci di pagare i debiti ha raggiunto un nuovo massimo storico a maggio 2019. Lo riporta uno studio della Serasa Experian commissionato dalla Confederazione nazionale delle micro e piccole industrie (Conampe). Secondo quanto riportato oltre 5,4 milioni di imprese sarebbero insolventi.

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egnali di riscossa per l’economia greca, reduce da un decennio di crisi durissima. Il Paese non sarà più sottoposto alla misura dei controlli sui capitali stabilita negli anni della crisi per proteggere il sistema bancario nazionale. Lo ha annunciato il primo ministro Kyriakos Mitsotakis durante un intervento in parlamento. Mitsotakis ha definito come “catastrofica” la scelta nel 2015 di introdurre i controlli, sottolineando che «sono ormai un ricordo del passato». Il capo di governo ha poi sottolineato che con il risultato raggiunto dal suo partito, Nuova democrazia, alle ultime elezioni, il centrodestra greco «ha ripristinato la fiducia nell’economia e nel sistema bancario». La completa rimozione dei controlli è prevista per fine settembre, al termine dei negoziati con i creditori in occasione della preparazione del quarto rapporto di sorveglianza post-salvataggi. I controlli sono già diminuiti nettamente nel corso dell’estate: non vi sono state restrizioni ai prelievi di contante sul mercato interno e sono state consentite anche transazioni con entità all’estero fino a 100 mila euro senza l’approvazione della Banca centrale. Il rendimento dei bond decennali greci è sceso di 220 punti base rispetto all’agosto 2018, e le obbligazioni quinquennali e settennali greche sono calate di diversi punti percentuali in seguito all’annuncio di Mitsotakis. Anche i rendimenti obbligazionari a più lungo termine, 15 e 30 anni, hanno raggiunto un livello record. 96

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GIAPPONE-COREA DEL SUD, È SCONTRO

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ra Giappone e Corea del Sud è ormai in corso una vera guerra commerciale, nata dalle acredini legate ancora alla Seconda guerra mondiale. Lo scorso anno la Corte suprema di Seul ha stabilito che Nippon Steel e Mitsubishi Heavy Industries, aziende giapponesi che hanno utilizzato durante la Guerra lavoratori forzati sudcoreani, devono risarcirli, requisendo anche alcuni beni delle due società. Per ritorsione il governo di Shinzo Abe ha bloccato le esportazioni verso Seul di tre materie prime utilizzate dall’industria dei semiconduttori e dei display, colpendo in questo modo il gigante coreano Samsung. L’escalation è proseguita: oggi chi a Seul volesse una pinta di birra giapponese Asahi dovrebbe pagarla un milione di won, 756 euro. Il governo del Giappone ha ulteriormente intensificato la crisi in atto privando la Corea del Sud dello status di partner commerciale privilegiato. Lo scontro si è esteso alla sfera militare: il segretario di Stato Usa Mike Pompeo ha espresso profonda preoccupazione per la decisione della Corea del Sud di porre fine all’accordo per la condivisione dell’intelligence militare con il Giappone, in risposta alle crescenti tensioni diplomatiche e commerciali tra i due paesi.


IL GIRO DEL MONDO IN 30 GIORNI

LA CINA OSTACOLA LA FUGA DI CAPITALI

D CRESCE LA BORSA DELL’ARABIA SAUDITA

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ei primi otto mesi del 2019, l’afflusso di capitali stranieri nell’economia dell’Arabia Saudita ha superato quelli di India e Cina. Lo dice un’analisi dell’Institute of International Finance (Iif). Il completamento dell’inclusione dei maggiori titoli sauditi nell’indice Msci Emerging Markets potrebbe consentire alla Borsa saudita (Tadawul) di attrarre fino a 5 miliardi di dollari in afflussi azionari. «In assenza di gravi shock interni ed esterni e di un ulteriore deterioramento della fiducia nei mercati emergenti, l’Arabia Saudita può contare su ulteriori afflussi azionari da parte di investitori attivi i cui portafogli sono comparati all’indice Msci Em» ha dichiarato Garbis Iradian, capo economista di Iif per la regione Medio Oriente e Nord Africa. Il Tadawul ha guadagnato il 5,9 per cento dal primo gennaio 2019 a tutto agosto secondo Kamco Investment Company. Dall’inizio del 2019 l’Arabia Saudita ha attratto circa 18 miliardi di dollari in afflussi di titoli di portafoglio esteri in vista della seconda fase di inclusione nelll’indice Msci. L’Arabia Saudita, per l’Iif, ha ricevuto più di 4,5 miliardi dollari di afflussi di titoli azionari stranieri a maggio e 2 miliardi di dollari nelle prime tre settimane di agosto, diventando la principale destinazione di investimento azionario tra i mercati emergenti.

opo aver consentito allo yuan di deprezzarsi rispetto al dollaro ai minimi da 11 anni a questa parte, il governo cinese ha approvato nuove regole per ostacolare la fuga di capitali. Tra queste figurano una più rigida supervisione bancaria e limiti all’accesso a bond in valuta straniera per gli operatori immobiliari. Le banche verranno valutate sulla base della quantità di yuan diretta all’estero e del volume di valuta estera venduta alla clientela. Se i valori si discosteranno troppo dalla media nazionale, gli istituti subiranno un declassamento, che comporterà limiti alle attività bancarie. L’andamento dello yuan aumenta le speculazioni in merito alla volontà di Pechino di tollerare un graduale declino della valuta cinese di pari passo con l’intensificazione delle tensioni commerciali con gli Stati Uniti. Lo yuan è sceso sotto la soglia psicologica di 7 a 1 sul dollaro il 5 agosto, dopo l’annuncio di Washington di nuovi dazi a carico delle merci cinesi. La decisione del governo Usa di spostare le ostilità con la Cina sul piano valutario, accusandola di manipolare la sua valuta, rischia di «danneggiare gravemente l’ordine finanziario internazionale e causare caos nei mercati finanziari». È l’avvertimento della Banca popolare cinese, secondo cui la decisione di Washington sarà un freno anche alla «ripresa dell’economia globale e del commercio». Pechino, aggiunge una nota della banca centrale, «non ha utilizzato e non ricorrerà al tasso di cambio come strumento per far fronte alle dispute commerciali».

MAROCCO, 20 ANNI DI REGNO PER MOHAMMED VI. LA CRESCITA DELL’ECONOMIA PROSEGUE

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l Marocco festeggia i vent’anni di regno di Mohammed VI. Tempo di bilanci, anche sul fronte economico. La principale leva dell’economia nazionale, l’agricoltura marocchina, si è sviluppata grazie a una mobilitazione attorno al programma “Green Morocco”, inaugurato nell’aprile 2008. Il progetto mira a rendere l’agricoltura uno dei primi settori dello sviluppo produttivo, a modernizzarla, a promuovere investimenti agricoli, a garantire la sicurezza alimentare, a stimolare le esportazioni di prodotti agricoli e a promuovere prodotti locali. Si lavora a un’agricoltura moderna, ad alto valore aggiunto e ad alta produttività che soddi-

IL PROGRAMMA “GREEN MOROCCO” È STATO LANCIATO 10 ANNI FA. E MIRA A MIGLIORARE L’AGRICOLTURA

sfa le esigenze del mercato incoraggiando gli investimenti privati e adottando nuovi mezzi di assemblaggio dei prodotti agricoli, sviluppando le esportazioni agricole marocchine e le attività industriali legate all’agricoltura. Inoltre si vogliono migliorare le condizioni di vita

dei piccoli agricoltori e a combattere la povertà nelle zone rurali aumentando i redditi agricoli nelle aree più vulnerabili, nonché a promuovere l’agricoltura di solidarietà attraverso il lancio di diverse cooperative di agricoltori in tutto il Marocco. Quanto allo sviluppo industriale, è stato intensificato dall’attuazione di strategie settoriali mirate che hanno avviato una dinamica di crescita consolidata dall’attuazione del piano di emergenza e dalla conclusione, nel 2009, del patto nazionale per l’emergenza industriale.

Il giro del mondo in 30 giorni è a cura di Riccardo Venturi settembre 2019

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FASHION ECONOMIA SOSTENIBILE

Anche nella moda è emergenza ambientale di Fabiana Giacomotti

Q

uando questo articolo verrà pubblicato, sapremo se il Second Hand September promosso da Oxfam in Inghilterra e, più timidamente, nelle capitali della moda Parigi e Milano, abbia avuto successo. “Per tutto il mese di settembre, il mese della moda e dei cambi di guardaroba, non comprate abiti nuovi, ma indossate quelli che già avete nell’armadio o comprate di seconda mano” è stato, in estrema sintesi, il messaggio dell’associazione in cui milita anche la moglie di Colin Firth, Livia, promotrice dei Green Carpet Fashion Awards la cui terza edizione si è tenuta il 22 settembre al Teatro alla Scala, in chiusura della fashion week, con il rilievo mediatico e glamour necessario a promuovere la causa a livello pop ma anche a mostrare l’impegno delle aziende a investire in processi di sostenibilità di cui non si possono scaricare tutte le colpe sui consumatori, additandoli come trogloditi che vorrebbero cambiarsi tutti i giorni d’abito per pochi euro inquinando il pianeta. In contemporanea al lancio della sua campagna, Oxfam ha pubblicato i dati relativi a una ricerca sul consumo di moda in Gran Bretagna, che sono piuttosto allarmanti: ogni minuto, tra Londra e Edimburgo, si acquistano infatti due tonnellate di abiti nuovi, le cui emissioni in un mese equivalgono a quelle di un jet che circumnavigasse il pianeta 900 volte. Se vi risulta difficile crederlo, come pare sia accaduto al 53 per cento degli

IL FASHION È RESPONSABILE PER IL 10% DELLE EMISSIONI DI GAS A EFFETTO SERRA. PIÙ DEI SETTORI AERONAUTICO E MARITTIMO ASSIEME inglesi intervistati, tutti dichiaratamente ignari di contribuire al degrado della Terra con i loro acquisti compulsivi di t-shirt a 9 sterline e 90 e che la moda sia responsabile per il dieci per cento di tutte le emissioni di gas a effetto serra, più delle industrie aeronautiche e marittime messe insieme, provate a sommare i costi della coltivazione di cotone (compresa la desertificazione dei terreni di cui è responsabile), i processi di tintura, fissaggio, taglio, cucitura (metteteci anche le sottopaghe di chi lo fa), la confezione e l’imballaggio (carta, plastica, relativi costi), il trasporto via nave e/o aereo, la distribuzione, il disimballaggio e lo smaltimento del packaging, la carta delle shopper e relativo smaltimento e inizierete a farvi un’idea dei motivi per cui tanti ragazzini comprino ormai solo di seconda mano o facciano riadattare le giacche del nonno e i giubbotti di papà e se ne vantino. 100

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Perché sanno, ancor prima dei molti studi di consulenza e dei proclami del “Fashion Pact” uscito dal G7 di Biarritz e subito sottoscritto dalle due principali aziende del fast fashion colpite nei bilanci e nel valore di brand dalla nuova sensibilità ambientale, e cioé Zara e H&M, che raggiungere gli obiettivi di emissione zero di gas serra entro il 2050 richiesti dalla Ue (e osteggiati dai Paesi dell’est), o anche solo gli standard fissati dallo stesso “patto” (eliminazione progressiva della plastica, difesa della biodiversità, salvaguardia degli oceani) è qualcosa di molto vicino alla pura utopia. Ai ritmi attuali di produzione si stima che le emissioni del settore della moda aumenteranno fino al 60 per cento nel 2030: la coscienza ambientale è ancora un argomento da paesi ricchi, brand del lusso (il protocollo del Fashion Pact


FASHION

è stato guidato da François Henri Pinault, azionista di maggioranza di Kering), gente colta e imprenditori visionari: Vivienne Westwood iniziò a sostenere la bellezza dell’acquisto di pochi abiti bellissimi da indossare per tutta la vita quasi vent’anni fa. Adesso il suo slogan ”buy less”, lungamente incomprensibile per gli addetti ai lavori e le multinazionali quotate, ha colpito gli strati più evoluti della popolazione mondiale, che non significa certo i nuovi ricchi o i paesi che hanno avuto accesso al consumo da pochi decenni e che ancora vogliono godersela. Insomma, anche se nel suo nuovo libro “Il marketing sostenibile: dal dire al fare business, responsabilmente”, ed. Politecnica, il professor Alberto Giacomotti (non è un’omonimia, è mio cognato, faccio responsabilmente endorsement), dedica un capitolo al “ciclo di vita del bene”, indicando i molteplici vantaggi economici derivanti anche dalla rinnovata immagine, gli investimenti necessari a diventare un’industria del riciclo del calibro della trentina Aquafil non sono alla portata di tutti, tanto meno nell’immediato. Gli osservatori più accorti e meno idealisti l’hanno capito subito, tanto che il 28 settembre, a Parigi, nel pieno della fashion week all’ombra della Tour Eiffel, si è tenuto il primo summit del network Azione Collettiva per la moda sostenibile “con obiettivi da raggiungere subito”, e che sono appunto e inevitabilmente quelli della moda circolare. Organizzato da Lablaco, prima piattaforma specializzata, presso Station F, il più grande centro tecnologico del mondo che include aziende come Apple, Google, Facebook, Amazon e più di 200 startup internazionali, si prefigge di coinvolgere quante più persone comuni nell’obiettivo di consumare meno, e meglio. «Non abbiamo bisogno che una manciata di persone facciano zero spreco in modo perfetto», dice Anne Marie Bonneau, guru mondiale della sostenibilità, fiera avversatrice del packaging degli alimenti: «Abbiamo bisogno che milioni di persone lo facciano in modo imperfetto». Dunque, accanto ai partecipanti ai talk come Kering, Adidas, o EcoAge, è stata aperta una piattaforma (join@circularfashion.com) attraverso la quale chiunque potrà chiedere assistenza per imparare a calcolare il proprio footprint, riciclare i propri abiti, usarli meglio e, altro tema di cui si occupa molto l’associazione italiana Marevivo, lavarli di meno. Il più grande retailer asiatico di moda, Lane Crawford

Nella pagina accanto Francois Henri Pinault. Sopra Livia Firth. In basso Vivienne Westwood

Joyce Group, per esempio, ha messo a disposizione insieme con altri operatori della distribuzione moda una App, gestita da Lablaco, attraverso la quale si possono donare i capi dismessi e accumulare nel contatore collettivo globale “footprint points”, da trasformare eventualmente in sconti per capi ecosostenibili o anche nella sola soddisfazione di aver contribuito al processo di riciclo. Un processo similare sarà avviato dalla piattaforma per la plastica, nell’obiettivo di realizzare con Adidas mille sneaker dalla plastica recuperata dal mare da regalare ai bambini di Kabul, per sostenere le loro attività sportive e la loro responsabilità sociale. Poi ci sarebbe qualcosa da dire sul fatto che la trasformazione della plastica, per essere davvero sostenibile, non dovrebbe uscire dalla circolarità assoluta, dal ritorno allo stato originario, tipo bottiglia-bottiglia, ma si tratta comunque di un’azione significativa e anche della dimostrazione che il percorso sarà molto difficile, anche perché implica la trasformazione completa del modello di business, produttivo, da parte delle aziende. Realizzare ex novo inquinando è relativamente semplice: è un modello che il mondo pratica da circa trecento anni. Rendere attraente, sostenibile anche dal punto di vista dei ricavi e responsabile il riciclo e il riuso dei materiali, oppure creare nuovi oggetti danneggiando il pianeta il meno possibile, è decisamente più complesso e costoso. Gli unici che possano davvero spingere le aziende a farlo sono i consumatori, i clienti.

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IL DENARO DEI VIP PARLA ROSSELLA BRESCIA

Ballerina che si sente formichina, i guadagni li investe nella pensione di Monica Setta

È

la ballerina più bella e fascinosa della tv italiana. Classe 1971, Rossella Brescia nata a Martina Franca è apparsa su instagram alla fine dell’estate mostrando un corpo perfetto e “un lato b” da urlo. Vanesia? Affatto, la bruna Rosà (questo è il suo vero nome all’anagrafe) è una donna pragmatica che si allena ogni giorno per realizzare i suoi sogni. Sposata nel 2000 con Roberto Cenci si separa quattro anni dopo e successivamente si lega al coreografo Luciano Cannito, suo attuale compagno con cui ha festeggiato il compleanno il 20 agosto scorso alle Maldive. Il suo rapporto con il denaro è equilibrato. A Martina Franca ha aperto una scuola di ballo dove torna spesso per insegnare malgrado sia ogni giorno in radio a Rds dalle 7 alle 9 per raccontare l’Italia e gli italiani.

La ballerina Rossella Brescia, è legata al coreografo Luciano Cannito

«DOVE INVESTO? MI FACCIO GUIDARE DAL CUORE. HO APPENA COMPRATO UN TRULLO NELLA MIA TERRA, LA PUGLIA» Rossella, sei più cicala o formica? Insomma che valore dai al denaro? Sono nata abbastanza povera e questo mi ha aiutato a capire quanto era importante il denaro. Sono abituata a vivere con poco e il lusso, quando l’ho provato, non mi ha dato alcuna ebbrezza. Diciamo che sto bene in qualsiasi situazione perché in passato ho fatto davvero tanti sacrifici per 102

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realizzare i miei obiettivi rinunciando a tante cose. Quando sono arrivata a Roma dalla Puglia avevo 2 lire in tasca ma mi sono rimboccata le maniche e sono andata avanti...

Dunque formichina... Sicuramente non sono una cicala! Ecco, cerco di sacrificarmi oggi per il bene futuro. Investimenti ne faccio soprattutto a livello pensionistico cioè penso al mio domani. Metto da parte qualcosina dal mio guadagno mensile per accantonare la cosiddetta pensione anche se ogni tanto mi concedo qualche follia. Sono generosa con gli altri. Se devo fare un regalo a qualcuno che amo non bado a spese


IL DENARO DEI VIP Investi nella previdenza e poi? Bot o Borsa? Mi lascio trasportare dal mio cuore! Ho appena comprato un trullo nella mia terra, la Puglia, vorrei consolidare le radici pugliesi e trascorrere molti momenti di relax con la mia famiglia ed il mio compagno.

Ricordi che cosa hai comprato con i primi guadagni? Il mio primo acquisto fu la macchina di quarta mano! Avere una macchina a Roma era comodo e io l’avevo pagata pochissimo, quasi niente: era un catorcio, però la ricordo ancora con molta dolcezza.

Spese folli? Follie? Le faccio solo per i viaggi. Adoro girare il mondo. Se ne ho la possibilità non mi risparmio. La pazzia per me l’ha fatta il mio fidanzato qualche tempo fa:, mi aveva comprato un anello e 2 giorni dopo l’ho perso ma me lo ha riacquistato... ha speso un patrimonio ma è stato un gesto d’amore importante per me e per la nostra unione.

Progetti futuri? Ogni giorno dalle 7 alle 9 do il buongiorno agli italiani con il mio programma “Tutti pazzi per Rds” che amo...pazzamente. Poi sarò in teatro con “Belle ripiene”, una commedia di Massimo Piparo allestita al Sistina di Roma con Samuela Sardo, Roberta Lanfranchi e Tosca D’Aquino. Ma il sogno nel cassetto è ancora un altro. Mi piacerebbe fare cose di qualità: ci vuole talento e intuizione anche per azzeccare un lavoro non badando ai soldi ma alla qualità. Faccio seminari di recitazione, mi diverto a fare ruoli drammatici e un giorno spero di farli al cinema.

Ls Brescia in vari momenti della sua attività: durante il programma radiofonico “Tutti pazzi per Rds” e nella locandina del suo prossimo impegno teatrale, la commedia “Belle ripiene”

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COLLEZIONISMO L’ASCESA DEL WHISKY NEL BELPAESE

Che sorpresa, il single malt è la passione degli italiani di Claudio Riva *

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iamo una nazione di bevitori di vino e ne siamo i più grandi produttori al mondo. Come è possibile che l’Italia sia diventata dimora della più grandi collezioni di whisky e abbia stimolato il successo mondiale del single malt scotch whisky? Lo spiega bene Umberto Angeloni nel suo libro Single Malt Whisky: An Italian Passion. È la dolce vita, è il desiderio di lusso e di benessere, che ha scovato l’eccellenza del distillato nei rari e pregiati imbottigliamenti provenienti dalle remote glen (valli) o dalle isole scozzesi, trasformandoli in bevanda consumata dopo cena negli esclusivi club del Belpaese. Siamo negli anni ’70. Sino ad allora lo scotch whisky era sempre stato consumato come blended, una miscela di malti provenienti da diverse distillerie – la Scozia ne contava più di cento – spesso tagliata con aggiunta di whisky di grano prodotto in modo industriale, un alcol più semplice che aveva l’obiettivo di rendere la bevuta della temibile miscela scozzese più approcciabile ed economica. Siamo al culmine della ripresa economica del dopoguerra, il benessere si diffondeva velocemente e lasciava spazio a vizi e virtù. In questa fase lo Scotch, aiutato dalla cinematografia americana che lo aveva eletto come status symbol insieme alla sigaretta, ha facilmente conquistato il mondo occidentale. In Italia il clima è altrettanto euforico. Le

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GIÀ A PARTIRE DAGLI ANNI ‘70 DEL SECOLO SCORSO LE PIÙ GRANDI COLLEZIONI AL MONDO DEL DISTILLATO SCOZZESE ERANO DI ITALIANI grandi aziende – oggi le chiameremmo multinazionali – avevano da anni intercettato questo trend e lentamente messo le mani su una fetta significativa della produzione dello Scotch, riuscendo a comunicare in modo estremamente efficace l’essenza dello spirito scozzese. Da un lato il selvaggio del paesaggio scozzese, rappresentato dalla natura e dal cervo imperiale. Dall’altro il facile benessere dei ceti medi emergenti italiani, interpretato dalle automobili sportive sempre accompagnate da donne molto affascinanti. In questo contesto l’Italia ha saputo guardare oltre, anticipando di un buon ventennio quella che sarebbe poi diventata una moda internazionale. Mentre tutti apprezzavano Johnnie Walker, Ballantine’s, Chivas, semplici appassionati italiani iniziavano ad accumulare nelle loro cantine imbottigliamenti provenienti dalle singole distillerie scozzesi. Era sparito il desiderio del fascino facile, sostituito dalla ricerca di un carattere dichiarato. Si voleva decomporre quanto abilmente assemblato dai master blender scozzesi beneficiando di ogni singolo minimo contributo. Proporre in quegli anni un dram (bicchierino) di Ardbeg – il whisky più torbato al mondo – era una scelta decisamente coraggiosa. Nascevano così, inconsapevolmente, quelle che sarebbe diventate le più importati collezioni al mondo. Edoardo Giaccone, il «baffo» della famosa enoteca di Salò sul lago di Garda


COLLEZIONISMO – non a caso uno dei luoghi simbolo del crescente benessere modaiolo italiano - entrò nel Guinness dei primati per aver saputo costruire in venticinque anni la più grande collazione di whisky. Durante la stagione turistica si faceva letteralmente la coda per assaggiare una delle oltre 3000 chicche dal nome impronunciabile scovate chissà dove dall’estroverso proprietario. A Milano, parallelamente, Giorgio D’Ambrosio proprietario del Bar Metro di piazza De Angeli – oggi purtroppo chiuso dopo oltre mezzo secolo di attività – chiedeva un prestito in banca per acquistare le sue prime botti di whisky, salvandole dalle vasche di blending e proponendole ai primi timidi bevitori di single malt. Ha adorato da subito la torba di Islay, lo ha fatto in anni in cui il profilo aromatico del whisky era decisamente più morbido, ha contagiato tutti gli amici e clienti del suo bar, offrendo una nuova dimensione alla Milano da bere. Diverse motivazioni, stesso affascinante percorso per Valentino Zagatti. Siamo in Romagna, a Lugo. Qui, sempre negli anni ’60, Valentino – divenuto cieco dall’età di undici anni a causa dell’esplosione di una mina della seconda guerra mondiale – decide di smettere di fumare e di investire quei soldi nell’acquisto di bottiglie di distillato. Ha sempre scelto le bottiglie perché innamorato delle bellissime etichette, raccontate con dovizia di particolari dai cari e dagli amici che lo circondavano. Rapidamente si è focalizzato sul whisky, il visky come lo chiama lui, costituendo quella che è diventata una delle più apprezzate collezioni al mondo. Strada diversa invece quella di Silvano Samaroli, abile selezionatore di whisky e di rum, spesso definito come l’unico non britannico ammesso ai tavoli di discussione dello scotch whisky. Grazie al suo naso e alla sua cultura francese ha saputo innovare, specializzandosi in tecniche di affinamento che raramente venivano applicate in Scozia. Lassù si tendeva a lavorare con grandi numeri, questo sta alla base del mondo del blended, non curandosi troppo dei legni e della qualità degli assemblaggi, cosa in cui invece Silvano ha saputo eccellere. Il suo successo commerciale è passato attraverso la ristorazione – allora il whisky di qualità si beveva prevalentemente in trattoria a fine cena, quando la gran parte degli ospiti se ne era andata l’oste rimaneva con i clienti più fedeli e li premiava con bevute indimenticabili. Purtroppo i tempi sono cambiati. È Silvano ad avere decretato il successo degli imbottigliatori indipendenti, piccole aziende che hanno saputo creare linee di prodotti schietti e molto apprezzati dal mercato senza avere alle spalle gli enormi capitali delle multinazionali. Cosa rimane oggi di tutta questa esperienza in Italia? In vetro abbastanza poco, purtroppo. Col giro del millennio la gran parte delle collezioni sono state vendute e sono finite all’estero. Molte si sono frammentate e le possiamo trovare, aperte o chiuse, nei più ricchi paesi europei o in Estremo Oriente. Poche sono ancora integre, la mostra permanente The Unseen Valentino Zagatti Collection in Olanda ne è sicuramente l’esempio più significativo. Molto è invece rimasto nella cultura del consumatore. Lo Scotch Whisky è andato in profonda crisi a inizio anni ’80, dopo un trentennio di crescita che sembrava inarrestabile. Quando l’in-

La copertina del libro di Umberto Angeloni, “Single Malt Whisky. An Italia Passion”

dustria ha capito dove aveva sbagliato ha preso esperienza dal savoir-faire italiano, cambiando rotta e lanciando le prime serie di single malt scotch whisky. L’attenzione si è spostata progressivamente dai nomi commerciali dei blended a quelli improbabili delle distillerie, e ha portato il consumatore internazionale laddove l’italiano già godeva da un paio di decenni. È del 1988 il lancio della prima edizione dei Classic Malts of Scotland, che includeva distillati del calibro di Talisker, Oban, Lagavulin, tutte espressioni di solo malto che provenivano da una singola distilleria (single malt), che hanno segnato il risorgimento del mondo intero del whisky e che ancora oggi – dopo trent’anni – trasmettono un messaggio fresco e convincente: “armonie dalle sfumature calde e avvolgenti, accordi complessi, gusti naturali” (Silvano Samaroli, Whisky Eretico). * fondatore di Whisky Club Italia

C’È UNA EVOLUZIONE NEI GUSTI DEI CONSUMATORI A PARTIRE DAGLI ANNI ‘80, LO SCOTCH WHISKY PERDE TERRENO IN TUTTO IL MONDO A FAVORE DEI SINGLE MALT WHISKY

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IMMOBILIARE PARLA LA PRESIDENTE DI ASSOIMMOBILIARE

Rovere: «La patrimoniale? C’è già. Al mattone serve una grande riforma» di Sergio Luciano

«M

i piacerebbe che l’investimento in locazione residenziale divenisse davvero, in Italia una ‘asset class’. Perché oggi non lo è, se non in misura molto limitata»: si esprime con lucida incisività Silvia Rovere (nella foto), presidente di Assoimmobiliare e capo in Italia della Morgan Stanley Sgr. «Dal punto di vista degli investitori istituzionali, oggi è una asset class che rende poco, troppo poco per essere davvero appetibile. Se poi questo rendimento, in sé già basso, appare anche minacciato da un profilo di rischio particolarmente elevato, l’interesse di per sé modesto decresce ulteriormente». Perché, presidente? Che genere di rischio? In Italia purtroppo si patisce di una generale incertezza sui tempi di tutta la burocrazia che ruota intorno agli immobili, in particolare sui tempi di sviluppo dei progetti e su quelli della gestione delle morosità. Da cosa dipende? Da una normativa non adeguata e malamente applicata. E

C’È IL PROBLEMA SCHIACCIANTE DELLA FISCALITÀ ECCESSIVA MA ANCHE DELL’INCERTEZZA DEI TEMPI E DELLE REGOLE

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UNA PARTNERSHIP PER UN SETTORE-CHIAVE Con cinquecentomila posti perduti in dieci anni, l’industria edilizia italiana è uscita massacrata dalla crisi. Il comparto immobiliare, nell’accezione più ampia che abbraccia naturalmente anche il patrimonio storico, non ha ancora recuperato i valori ante-crisi. Su di esso grava una patrimoniale da 20 miliardi di gettito (l’Imu) e altre tasse e imposte per ulteriori 20 miliardi. Con simili premesse, la sofferenza di tutto ciò che in Italia ruota attorno al mattone non può risolversi. La partnership sui contenuti che con questo numero Investire e Assoimmobiliare inaugurano cercherà di dare un contributo alla soluzione di questa soffocante ipoteca che frena l’intera economia del Paese.

non dimentichiamoci dell’enorme inefficienza che si crea in vista dell’indetraibilità dell’Iva pagata a monte sulla costruzione o sugli acquisti. Che sarebbe facilmente superabile se venisse recepita la nostra proposta di consentire al proprietario l’opzione di imponibilità sui canoni. Tutte queste difficoltà di mettere a reddito l’asset lo rendono meno attraente. Cosa fare? In passato la politica è intervenuta concendendo la cedolare secca, ma è stato un intervento dalla visione ristretta, perché favorisce solo la locazione da parte dei privati e dunque non agevola in alcun modo lo sviluppo dell’asset class per le nuove residenze in locazione. Se vogliamo che


IMMOBILIARE queste ultime siano sviluppate nei modi e nei numeri necessari per le nuove esigenze dell’abitare, serve un approccio da investitori professionali, da grandi capitali. Che oggi non beneficiano in alcun modo di cedolare secca. Cosa proponete? Serve per esempio una norma che consenta al proprietario di optare per un regime di applicabilità dell’Iva sugli affitti, senza cambiare l’importo totale: La detraibilità dell’Iva renderebbe i ritorni per gli investitori più attraenti. Poi fondamentale - occorrerebbe uno snellimento del percorso amministrativo che porta alla gestione delle morosità. Naturalmente tutelando la morosità incolpevole… negli altri Paesi condizioni di questo genere ci sono tutte e infatti lì gli investitori istituzioni investono… però attenzione: anche la morosità incolpevole, che capita per esempio per una malattia del capofamiglia, non deve andare a carico della proprietà ma del welfare. Non si direbbe che sia questo l’orientamento del legislatore. Già è molto che non arrivi una patrimoniale! Ma guardi che non deve arrivare, c’è già: l’Imu lo è, ed èuna patrimoniale ricorrente Quella che si teme è l’una tantum aggiuntiva, una imposta patrimoniale che - nella visione di alcuni politici - prelevi ricchezza dalla patrimonializzazione privata concentrata negli immobili e la devolva alle classi meno abbienti. In Italia la pressione fiscale sugli immobili, dal governo Monti in poi, ha subito un incremento stratosferico. Questa patrimoniale oggi grava sul Paese per circa 20 miliardi all’anno, più altrettanti che derivano dalle altre imposte sul settore, per un totale di circa 40. Perciò: di quali ulteriori patrimoniali parliamo? Questo inasprimento enorme della patrimoniale su tutto ciò che non è prima casa inoltre ha appesantito i costi di tutte attività economiche - per quanto sia stata poi indirettamente ridotta sui capannoni industriali - e ha determinato un evidente crollo dei valori, basta guardare i prezzi che non si sono ancora ripresi dalla crisi. Questa patrimoniale di fatto schiaccia il valore della casa ai minimi, è pesantissima ed è impensabile aggravarla. Ne abbiamo diffusamente dimostrato la gravità nella nostra audizione di fine luglio presso la Commissione parlamentare di vigilanza sull’Anagrafe tributaria della Camera, presieduta

dall’Onorevole Parolo, che sta conducendo un’indagine finalizzata a riformare la fiscalità immobiliare. In compenso il settore potrebbe giovarsi dei tassi d’interesse, mai così bassi. Eppure non se ne giova! È evidente che i tassi bassi favoriscono gli investimenti. Ma ciò che orienta le loro scelte non è solo e non è tanto la possibilità di finanziarsi a tassi ragionevoli ma la possibilità di ottenere un buon ritorno. Tutto dipende da quanto sia attrattivo l’investimento. Questo vale per le imprese ma anche per i privati: se l’economia non cresce, anche un costo relativamente basso del capitale può non rendere attraente investire in immobili. Inoltre l’investimento immobiliare è…per l’appunto immobile, non può essere trasferito altrove per giovarsi di leggi migliori, e quindi a queste condizioni i capitali non vengono investiti. La prova del contrario è che non a caso i capitali sono attirati dall’area metropolitana milanese, che è nel cuore di un’economia lombarda che cresce a tassi diversi dalla media nazionale, locazioni comprese. Ma a quali condizioni la finanza immobiliare può avere un ruolo più consistente, come accade all’estero? Se mi chiede una valutazione complessiva, le dico che non è solo una questione di fiscalità ma di stabilità in genere. Guardiamo all’investimento immobiliare, che vive di finanziamenti corporate molto legati anche al rischio Pase. Quando recentemente lo spread ha avuto quell’impennata di 100 ba-

I TASSI BASSI NON BASTANO SE NON CI SONO OPPORTUNITÀ DI RENDIMENTO

sis point, tutti i finanziamenti sono diventati più costosi. Poi c’è l’enorme questione della certezza dei tempi di sviluppo, della certezza del diritto, della complessità normativa, della lentezza della giustizia… se vogliamo, il contenzioso Blackstone-Rcs è un caso di scuola. Non c’è dubbio che una vicenda del genere insegna: non è mai successo altrove che qualcuno pretenda un anno dopo di rinegoziare un contratto già chiuso nel presupposto che un professionale - società quotata - possa essere stato costretto a vendere. Fortuna che le ristrutturazioni «tirano»... Fino a un certo punto: a parte le piccole ristrutturazioni da parte delle famiglie, solo a Milano si vede edilizia sostitutiva consistente. Nel mercato residenziale, occorre incentivare la rigenerazione urbana, che è delicata e complessa. Se ne parla nelle campagne elettorali, poi nessun membro del governo. forse anche perchè manca un ministero dedicato, assume la leadership di questo progetto che tutti riconoscono strategico per il Paese. Confidiamo che la nuova squadra di governo ne comprenda l’importanza… Un’ultima questione ma spinosa. Non crede che l’orgia delle svendite immobiliari connesse alla crisi bancaria e all’inflazione di Npl garantiti da immobili abbia contribuito pesantemente ad abbassare i valori di mercato? Le rispondo senza problemi: anche gli Npl non fanno che aggravare il problema della scarsa domanda, perché mettere su un mercato in rallentamento asset a prezzi scontati significa deprimerlo ulteriormente. A Milano però il realizzo degli Npl non ha raffreddato il dinamismo delle compravendite. settembre 2019 107


MOTORI

CLASSE A 45 AMG: LA NUOVA GENERAZIONE ARRIVA A 421 CV Dopo la entry level della gamma AMG di classe A 35, Mercedes ha presentato la nuova AMG A 45. Rispetto ai 381 CV dello scorso modello, la nuova sale a 387 CV e, nella versione S, arriva a 421 CV e 500 Nm, valore più alto mai raggiunto da un 2.0 quattro cilindri, con una potenza specifica di 211 CV/l e un’accelerazione da 0 a 100 km/h in 3,9 secondi. Nuovo è anche il cambio, il doppia frizione 8G SPEEDSHIFT DCT AMG a otto marce con funzione Race Start, mentre di serie viene montata la trazione

4Matic+ che introduce l’AMG Torque Control, con tanto di Drift Mode. Tanta cattiveria a livello estetico, con i 12 listelli verticali di AMG GT R, il caratteristico “Shark Nose”, cerchi da 18 o da 19 pollici e un evidente spoiler posteriore. Completano il pacchetto l’impianto frenante che arriva a 6 pistoncini e due

doppi terminali di scarico. Per quanto riguarda l’assetto, le sospensioni attive Ride Control AMG permettono al guidatore di scegliere tra 3 regolazioni, dal comfort alla sportività.

JEEP GLADIATOR: IL NUOVO PICK-UP BY JEEP

In arrivo in Europa entro la fine del 2020, la Jeep Gladiator segna il ritorno del Marchio ai pick-up che hanno contribuito a farne la storia. Evoluzione della formula Wrangler con 79 cm di lunghezza in più, aggiunge alle capacità all-terrain dell’icona Jeep i pneumatici off-road da 32”. Partendo dalla tipica griglia a sette feritoie, la Gladiator allarga lo spazio tra ciascuna di queste per migliorare le capacità di aspirazione e raffreddamento, conferma fari anteriori, posteriori e fendinebbia a Led. L’ampio portellone posteriore dà il benvenuto al cassone di carico, lungo 152 centimetri. L’abitacolo della Gladiator ricalca 108

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fedelmente quanto già visto sull’ultima Wrangler, mentre il nuovo motore sarà l’EcoDiesel V6 da 3,0 litri, unica motorizzazione per l’Europa, abbinato a un cambio automatico a 8 marce. Capacità di guado di oltre 70 cm, di traino pari a 2.722 kg e di carico massimo pari a 725 kg, si aggiungono ai sistemi di guida integrale con tecnologia Command-Trac e 4x4 Rock-Trac.

PEUGEOT 2008, UN CROSSOVER CHE CAMBIA TUTTO Con una parentela stretta con la 208 di ultima generazione, sia fuori sia dentro, Peugeot presenta la nuova 2008, il crossover compatto della Casa francese il cui arrivo è previsto per il primo trimestre 2020. Esteticamente cambia molto con l’arrivo di un nuovo frontale, composto da una calandra possente, da un cofano scolpito da diverse nervature e da luci diurne a Led che corrono verticali con l’ormai noto artiglio. Con cerchi da 18” di serie, dietro attira l’attenzione la fascia nera brillante ereditata da 3008 e 5008. Dentro il Peugeot i-Cockpit 3D, poi, innalza l’esperienza tecnologica, grazie anche al touchscreen da 10 pollici al centro della plancia e al nuovo head-up display digital 3D. Tre livelli di potenza per il motore benzina PureTech 1.2 (100, 130 e 155 CV) e due per il Diesel BlueHDi (100 e 130 CV). Per la prima volta sarà a listino anche la Peugeot e-2008, una versione completamente elettrica da oltre 300 km di autonomia e una potenza di 136 CV.

in collaborazione con Autoappassionati.it


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BIBLIOTECA Antonio Quaglio Laureato in Economia aziendale all’Università di Venezia, è stato inviato e caporedattore a Il Sole 24 Ore. Collabora a www.ilsussidiario.net.

LA STANGATA DEI PRONIPOTI DI PONZI È SEMPRE IN AGGUATO

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orse non tutti sanno che la madre sempre incinta della truffa finanziaria battezzò il suo parto forse più celebre - lo “Schema Ponzi” - esattamente cent’anni fa: quando il Boston Globe cominciò a denunciare la resistibile ascesa di Carlo “Charles” Ponzi, un immigrato italiano originario di Lugo di Romagna. Dieci anni prima del primo crack di Wall Street, Ponzi aveva raccolto 15 milioni di dollari del tempo (200 milioni attuali) da 50mila risparmiatori oltre Atlantico, grazie a uno storytelling ingegnoso e appetibile. I suoi Irc - emessi dalla Security Eschange Company, stesso acronimo della futura authority statunitense di Borsa - erano buoni postali atipici: potevano essere scambiati in francobolli, ciò che prometteva - nel luccicante Ponzi dream - di speculare sul valore facciale dell’affrancatura nei diversi Paesi. Tutto finì con 86 capi d’imputazione da parte della magistratura del Massachussets: non prima che i giornalisti del Globe finissero nel mirino dei risparmiatori truffati da Ponzi, ma convinti che a far crollare il magico Schema fossero stati i reporter investigativi. Non accadde lo stesso per Bernie Madoff, il più noto epigono di Ponzi, arrestato poche settimane dopo il fallimento di Lehman Brothers e condannato a 150 anni di carcere a New York. Ma un erede ininterrottamente seguito da uno stuolo di “pronipoti di Ponzi”: da Gianfranco Lande, truffatore dei Vip ai Parioli (tra i quali Fabio Calenda, dirigente di banca e padre dell’ex ministro dello Sviluppo) fino ad Allen Stanford, in carcere in Florida per i prossimi 104 anni per un maxi-raggiro offshore. La truffa “assai raramente conquista le prime pagine”, scrive Eugenio Fusco, procuratore aggiunto a Milano, nella prefazione a “Gli Stangati” di Stefano Elli (Il Sole 24 Ore, 2019). Ma raramente le truffe che hanno colpito i risparmatori italiani dopo l’apertura dei mercati finanziari negli anni 80 sono sfuggite al lavoro quotidiano dell’autore: giornalista di lunghissimo corso, giovane firma di Investire prima di approdare tra l’altro a MF-Milano Finanza, Il Mondo e infine a Plus24-IlSole 24Ore. E un volume di educazione finanziaria nell’accezione più informativa e divertente: per casi, per volti e nomi, per risparmio in carne e ossa e spesso in sangue versato: l’esatto contrario della turbofinanza virtuale che pure ha rovinato interi Paesi e milioni di famiglie in tutto il mondo. La malafinanza raccontata da Elli - con il massimo dello scrupolo, della passione e della scrittura regalati da trent’anni di giornalismo - è anzitutto quella del teleimbonitore Giuseppe Man110

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Tra storia mondiale e cronaca italiana: un secolo di truffe finanziarie grandi e piccole in un libro-manuale di un giornalista veterano della materia della e dei suoi concorrenti Cultrera, Sgarlata, Canavesio, Gennari: i primi apprendisti stregoni degli immobili shakerati in fondi e certificati finanziari sventolati porta a porta. Era una “piccola Italia” abituata ancora a tenere le sue lire in banca o al massimo in Bot: anche se di banche ne erano fallite anche nel dopoguerra (anzitutto l’Ambrosiano) e per le strade si erano già aggirati pericolisi santoni come “il banchiere di Dio” Giovan Battista Giuffré. nulla comunque in confronto al proliferare di insospettabili e minacciose sigle con stangata incorporata. Elli segnala soprattutto “quelle con la x”, le “forex” nel gergo giudiziario: quelle finanziarie di provincia (andate in frantumi in Friuli o in Puglia, sulle rive del lago trentino di Molveno o in Maramma) infallibili nel raccattare soldi di chi non si accontenta mai ma fallibilissime quando arriva la Guardia di Finanza e spesso non c’è più un euro da recuperare. Il volume riprende vicende note (spesso per merito dell’autore stesso, sulle pagine settimanali di Plus24): prima tra tutte quella dei vascelli - e soprattutto bond - fantasma della napoletana Deiulemar, un buco nero di 850 milioni creatosi negli stessi anni dei disastri Cirio e Parmalat. Né mancano pagine riservate ai crack ancora fumanti delle Popolari venete (200mila azionisti e obbligazionisti colpiti) o di Banca Etruria. Per non parlare della “cascata di diamanti” un po’ troppo precipitosamente rovesciata nelle tasche dei clienti dei gruppi Intesa sanpaolo, Banco Popolare, UniCredit e Mps. Ma l’autentico valore aggiunto del libro sta nella miriade di microstorie di persone che hanno come denominatore comune la crisi epocale delle dimensioni basilari dei mercati del risparmio: la fiducia tra tutti i player, basata a sua volta sulla cultura e sull’informazione, garanzia di integrità sotto l’ombrello della legalità.



EDUCAZIONE FINANZIARIA Paolo Zucca Iscritto all’Ordine dei Giornalisti dal 1979, già responsabile del supplemento de II Sole 24 Ore Plus 24. Partecipa a tutorial e iniziative contro l’eccessivo uso del contante. Twitter @pzu551

RISPARMIO, CHI HA SOLDI E ISTRUZIONE SI INFORMA DI PIÙ

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disarmante scoprire che dal 2017 al 2019 la percentuale degli italiani che si dicono “poco o per nulla interessati” agli argomenti di informazione e analisi finanziaria è aumentata dal 44,9 al 53,8 percento. L’attenzione era stata molto più alta nel 2013 e 2014, sull’onda lunga delle preoccupazioni per la grande crisi dello spread dell’autunno 2011. La misurazione è stata effettuata dalla Doxa per conto del Centro Einaudi e Intesa Sanpaolo, un campione calibrato di 1032 connazionali (cui si aggiungono 667 ottimisti per un focus sui loro comportamenti) sentiti tra il 25 gennaio e il 15 febbraio di quest’anno. E sembra già suggerire una prima riflessione: ci si occupa maggiormente dei propri soldi quando il rischio è alto, come a dire ci si occupa degli impianti antincendio quando le fiamme sono vicine. Ci si muove più nell’emergenza o nel post evento; prima, quando non c’è l’incentivo della paura, c’è sempre altro a cui pensare. Si può leggere l’intero rapporto, diffuso recentemente, che offre parecchi dati per confrontare la propria salute finanziaria – per patrimonio, scelte, territorio, fasce generazionali - rispetto alla media degli italiani, ancora una volta grandi risparmiatori. (https://www. centroeinaudi.it/images/abook_file/risparmio-19/19_408_ bro_einaudi_2019.pdf ). È abbondante, e sempre molto interessante, il capitolo sull’investimento immobiliare delle famiglie, l’amato mattone che piace sempre e qualche volta tradisce. Intorno a pagina 25 si entra nel merito della consapevolezza dei risparmiatori italiani. I risultati non sono entusiasmanti, a dispetto delle molte iniziative avviate in questi anni per ridurre i ritardi di comprensione dei criteri di gestione del denaro, e forse proprio per questa delusione meritano di essere osservati nel dettaglio. Cosa scrivono gli analisti che monitorano da un decennio le scelte delle famiglie? «Fino ai 24 anni», nota Gabriele Guggiola, «il disinteresse per lʼinformazione economica è quasi generale: nove intervistati su dieci appartenenti a questa fascia di età dichiarano di essere poco o per niente interessati. Va un poʼ meglio tra coloro che hanno un titolo di studio universitario, dove quasi il 70 per cento dichiara di essere interessato, e per lo più si osserva come lʼinteresse sia, come ci si poteva aspettare, direttamente proporzionale anche al reddito, oltre che al livello di istruzione». Quindi chi ha più soldi e più istruzione si avvantaggia ulteriormente riuscendo a posizionare meglio - o almeno a seguire meglio - i propri investimenti. «Il tempo dedicato allʼinformazione finanziaria», continua il rapporto, «è modesto: lʼ85,4% degli intervistati dedica al massimo unʼora alla settimana per acquisire informazioni utili alla gestione dei propri investimenti. Di questi, il 33% dichiara di non dedicarvi tempo per niente. Solo tra i dirigenti e alti funzionari la quota di coloro che dedicano più di unʼora alla settimana è significativa: sono il 47,5 per cento e vi dedicano prevalentemente tra una e due ore». Meno di due ore la settimana è veramente poco per seguire l’an112

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Ma il tempo dedicato ad acquisire notizie per gestire gli investimenti è ancora poco damento dei propri investimenti, non basta per leggere le attese di evoluzione su tassi, dell’azionario e dell’obbligazionario e non bastano per tenere d’occhio l’incidenza delle spese. Anche in caso di utilizzo di un consulente il risparmiatore deve poter colloquiare alla pari con il professionista cui ha conferito mandato. Meno di due ore non bastano per leggere una sintesi di prospetto, forse neanche per interpretare alcuni vocaboli o acronimi che gli interlocutori finanziari, sbagliando, usano eccessivamente. Il rapporto Centro Einaudi - Intesa Sanpaolo porta alcuni esempi: “Alla domanda se lasciando i soldi sul conto corrente, a fronte di un tasso di interesse pari allʼ1% a un tasso di inflazione pari al 2%, la capacità di spesa aumenterebbe o diminuirebbe dopo un anno, solo il 60,2% degli intervistati risponde correttamente indicando che il potere di acquisto risulterebbe eroso”. Mancano infine i fondamentali: rischio/rendimento (“se ti offrono interessi alti forse stai rischiando di più”) e diversificazione del rischio (le famose “uova da non mettere tutte nello stesso paniere”).

Le motivazioni del risparmio

Per ripagare il mutuo 4%

Altro motivo 1%

Per acquistare una casa 7% Per ristrutturare una casa 13%

Per aprire un’attività 1%

Per eventuali imprevisti 43%

Per avere un risparmio in pensione 11%

Per trasferirmi in pensione 1%

Per aiutare i figli nei primi anni 1%

Per l’istruzione dei miei figli 9%

Per pagare l’assistenza medica nella vecchiaia 4% Per lasciare un’eredità ai figli 5%


Crema

Crema


MALALINGUA Vittorio Borelli Giornalista di lungo corso, condirettore de Il Mondo, fondatore e direttore di East, già direttore delle relazioni esterne di Unicredito nella gestione Rondelli-Profumo

NEL WAHLALLA C’È POSTO PER LA POLITICA ITALIANA?

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opravvissuto a una full immersion di 72 ore sugli umori di Salvini e Conte, Di Maio e Tria, Zingaretti e Berlusconi – per non dire di Toninelli e Borghi - di fronte all’elezione di Ursula von der Leyen, mi sentivo come Forrest Gump dopo aver attraversato di corsa l’America: un po’ stanchino. Così ho fatto un sogno: sono entrato nel Walhalla e ho parlato personalmente con Odino. Che cosa ci siamo detti? Bé, all’inizio lui se ne stava un po’ sulle sue e faceva domande del tipo: che cosa ci facevo lì, come ero entrato, se qualcuno mi aveva raccomandato, cose così. Io gli ho risposto onestamente. Gli ho spiegato che avevo sentito parlare di lui e dell’incredibile Stato di Grazia in cui viveva sia da Renzi che da Bersani. E gli ho confessato che a raccomandarmi era stato Massimo D’Alema, che tiene contatti molto stretti con i socialisti islandesi e norvegesi, una specie non ancora estinta per via del freddo boia che fa dalle loro parti. Quando Odino ha capito che non ero stato mandato dalle Jene, né che ero lì per fare propaganda cristiana o jadista, ma per capire come funziona un paradiso di sinistra, la conversazione si è subito spostata sull’Italia. Per prima cosa mi ha chiesto chi fosse il dio Po, di cui non aveva ancora sentito parlare. Poi ha voluto sapere quale fosse la regola costituzionale che permette a una Srl, la Casaleggio e Associati, di possedere un movimento politico e di gestirlo con le regole del diritto privato. Infine, si è detto sorpreso del fatto che in Italia i partiti possano sostenere una tesi o anche la tesi opposta senza che i giornalisti gliene chiedano mai conto. Flat tax ma a cinque scaglioni. Reddito di cittadinanza ma solo per qualcuno. No alle manovre chieste da Bruxelles ma sì agli assestamenti di bilancio. «Perdio», ha concluso Odino «neanche i miei super esperti ci capiscono più un kaiser». Qui il sogno diventa un po’ confuso, anche per via di una strana interferenza di Otto e mezzo. A un certo punto Lilli Gruber, scortata da Paolo Mieli per la proprietà del Corriere e da Marco Travaglio per il M5S, s’inserisce pretendendo di par-

lare direttamente con il dio. Io cerco di resistere, ma lei, che è stata in Iraq, mi minaccia dicendo di avere ottime relazioni con Allah e i suoi epigoni più radicali. Per fortuna a un certo punto l’interferenza scompare e io mi ritrovo faccia a faccia con Odino. «Maestà», gli dico, «c’è un grande interrogativo che pesa sulla sinistra italiana». «Quale?», fa lui. «Se Renzi sia o meno di sinistra», gli spiego io, vergognandomi un po’ per l’ardire. Sennonché Odino scoppia a ridere come Bersani mentre sta per smacchiare il giaguaro. Quando riesce a ricomporsi mi fa: «So di andare contro i miei interessi, ma sarebbe come pretendere di avere la prova provata dell’esistenza di Dio. Per Lenin, Kautzkj era un rinnegato di destra, ma per Trotzkj anche Lenin si era spostato a destra appoggiando Stalin. Bordiga considerava Gramsci di destra, mentre per Togliatti l’autore dei Quaderni dal carcere non lo era abbastanza. Cicchitto era di sinistra come Lombardi, ma poi è diventato prima craxiano e poi berlusconiano». «Per fartela breve», mi ha detto Odino citando il cantautore Ivan Della Mea, «dars etichett è sempre da coglioni / chi ci guadagna poi sono i padroni / a meno che il gioco sia finito / e allora ci guadagna anche il partito». Di fronte a queste parole assennate, da dio mediterraneo più che nordico, mi sono pentito della mia impertinenza e ho cercato di svegliarmi. Ma prima una cosa gliela dovevo chiedere: Maestà, ma perché la chiamano anche Wotan? Non sarà che anche lei, visto l’andazzo in Europa, si è messo a fare il paraculo con la Merkel e con i tedeschi? «Cosa vuoi», m’ha risposto lui, «qui nel Walhalla non mi manca niente, sono io il padrone, ma i miei utenti nordici sono pochi, secolarizzati e con pochi figli. Insomma, a volte mi sento un dio minore e non mi dispiacerebbe fare un po’ di proselitismo anche in Germania, dove c’è un ricco welfare. Lo ammetto, nell’intimo sono anch’io un po’ di destra. Per fortuna ci pensa la sinistra-sinistra italiana a coprirmi le spalle».

(...) Odino scoppia a ridere come Bersani mentre sta per smacchiare il giaguaro

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