Investire Settembre 2020

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Settembre 2020 Euro 5,00

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BIG-TECH, UNA VERTIGINE DAL FUTURO ASSICURATO I titoli tecnologici hanno trainato le Borse del mondo, toccando vette da capogiro. Quali prospettive hanno dopo lo storno? A medio termine, solide a la crescita a medio lungo

INVESTIRE | ANNO II | N.19 | MENSILE | SETTEMBRE 2020 | DATA DI USCITA IN EDICOLA: 24 SETTEMBRE 2020 | POSTE ITALIANE S.P.A. - SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - D.L. 353/2003 (CONVERTITO IN LEGGE 27/02/200 4 N° 46) ART. 1, COMMA 1, LO/MI

Conoscere, rischiare, guadagnare

NATIXIS IM CUP, IL GRANDE CAMPIONATO DEI CONSULENTI IM P O RT F O L I O

CUP

SEDICI CONCORRENTI IN GARA NELLA COMPETIZIONE (LUNGA UN ANNO) IDEATA DA INVESTIRE E SPOSATA DAL GRUPPO FRANCESE, IN PARTNERSHIP CON FIDA

INVESTIRE SPECIALIST

• Smart working, cosa faranno le Reti • Luigi Conte: «Più sinergie per i consulenti» • Enasarco, dal 24/9 un voto per cambiare • Mercati, luci e ombre della ripartenza cinese


ESG SIGNIFICA RIPENSARE IL MONDO E I N V E S T I R E P E R I L F U T U R O. Integrazione criteri ESG | Azionariato Attivo Filtri di esclusione | Strategie orientate all’impatto positivo Da oltre 30 anni il nostro gruppo è in prima linea nell’adozione di un paradigma ESG* che contribuisca al raggiungimento di impatti concreti e misurabili, con le proprie strategie d’investimento, con la capacità di comprendere e adattarsi al contesto evolutivo e col coraggio di rimettere tutto in discussione. Rimodelliamo i portafogli per un mondo che cambia.

Investimenti sostenibili per fare la differenza. | im.natixis.it

*ESG: Environmental, Social and Governance. Il primo fondo SRI è stato creato nel 1984 all’interno di Ostrum AM. PRIMA DELL’ADESIONE LEGGERE IL PROSPETTO E IL KIID DISPONIBILI PRESSO I COLLOCATORI. Le entità di cui sopra sono società del gruppo Natixis Investment Managers, la holding di una gamma diversificata di entità specializzate nella gestione e distribuzione di investimenti in tutto il mondo. Non tutta la gamma é disponibile in tutte le giurisdizioni. Tutti gli investimenti comportano rischi, compreso il rischio di perdita di capitale. • Il presente materiale é fornito da Natixis Investment Managers S.A. società di diritto lussemburghese o dalla propria succursale Natixis Investment Managers S.A. Succursale Italiana (Iscritta nell’elenco allegato all’Albo delle SGR tenuto dalla Banca d’Italia al n. 23458.3) con sede in Via San Clemente, 1 - 20122, Milano (Tel 02 7273 0525). ESG27A-0920


EDITORIALE

L’oscillante certezza dell’hi-tech di Sergio Luciano

“P

rese di beneficio”, si continuano a chiamare nel gergo borsistico italiano (ormai vezzo da scripofili) le vendite che periodicamente investono un comparto, un titolo o un intero listino borsistico che abbia raggiunto valori molto alti. In parole povere: chi ha guadagnato abbastanza e ritiene di non potersi attendere di meglio, vende, e i titoli crollano. Sono state appunto, e ovviamente, “prese di benificio” quelle che nei primi giorni di settembre hanno stangato l’indice Nasdaq, icona delle magnifiche sorti e progressive della tecnologia mondiale, ma anche salvadanaio del sistema americano che vede nella Borsa, e dunque appunto nel suo listino di gran lunga più vitale, un assoluto sancta sanctorum: garanzia di pensioni future, prestatore di prima istanza per chi deve comprar casa o cambiare l’auto, finanziatore di spese mediche. Se si ferma la Borsa, in tutto il mondo, l’economia sta male; se si ferma la Borsa americana l’economia si paralizza. E allora, come mai queste “prese di beneficio”? Significano che quei valori sono ormai, e ancora, troppo alti e vanno ridimensionati? O è una battuta d’arresto ma la corsa continuerà? Non è mai igienico per un mensile focalizzarsi su temi di mercato, che per definizione cambiano quotidianamente: per quello abbiamo il nostro sito investiremag.it. Ma la coverstory di questo numero non pretende di raccontare “come andrà il Nasdaq”: ma più sostanzialmente e ambiziosamente capire se reggono i famosi “fondamentali” - non quelli dei bilanci di oggi ma delle prospettive dell’umanità di domani, rispetto alla tecnologia. Un esempio? Ce n’è uno eloquente. Un rapporto price-earning di 800, come quello raggiunto da Tesla, fa ridere se non piangere, ma questo non significa che l’auto elettrica non sia invece il futuro della mobilità. La digitalizzazione delle nostre relazioni umane, enfatizzata vorticosamente dal lockdown, non continuerà identica anche a virus debellato ma certo resterà profondamente integrata nelle nostre vite. La biotecnologia e la farmaceutica non rallenteranno più la corsa accelerata dall’emergenza, perché altre emergenze – si sa, purtroppo - arriveranno. La corsa allo spazio

non è ripresa solo perché Elon Musk – sempre lui! – ha lanciato il traghetto spaziale privato, ma perché tutte le potenze ne hanno un nuovo bisogno, economico e strategico. Dunque il futuro è più veloce e più vicino e la tecnologia – per inquietante che possa a volte sembrarci, come in tutto ciò che definiamo “intelligenza artificiale” o biomedicina, per citare due ambiti – non potrà che espandersi. Ma c’è di più. Dove pensiamo che abbia senso collocare l’enorme liquidità che le banche centrali e i governi stanno immettendo nel sistema, se non nelle nuove tecnologie? La liquidità nuota veloce come lo squalo bianco e cerca sempre nuove prede, i titoli delle grandi, medie e anche piccole società tecnologiche sono e restano i più appetibili, fanno sognare, o pretendiamo che gli investitori si concentrino a comprare mobili settecenteschi all’asta? Certo, l’economia reale non è ancora ripartita ovunque ma per esempio in Cina e in Germania i primi indicatori positivi si stanno vedendo, e negli stessi Stati Uniti la forza dell’intervento pubblico – vertiginosa, a pensarci – sta dando una mano visibile alla ripresa dell’occupazione. I vaccini anti-Covid che tre mesi fa sembravano una meta del secondo semestre 2021 arriveranno entro l’anno, e ciò aiuterà l’umore collettivo dei consumatori di tutti i paesi colpiti. Gli economisti di Goldman Sachs hanno recentemente rivisto al rialzo le loro previsioni economiche sulla crescita. Il Bear Market Indicator – una specie di termometro di sicurezza che la banca d’affari più potente del mondo adotta per misurare la febbre al mercato e che nel 2019 era a livelli molto elevati - indica oggi un rischio relativamente basso di un mercato “dell’orso”, nonostante le valutazioni molto elevate. Regole economiche secolari come quelle legate all’inflazione si direbbe saltate. La politica dei tassi bassi o negativi prosegue ovunque. La sintesi di tante voci autorevoli riportate sul tema nelle prossime pagine, la tragga ciascun lettore. L’impressione di chi scrive è che sui prossimi tre mesi non v’è certezza, sui prossimi tre anni sì: la tecnologia vedrà ancora accrescere e di molto i suoi valori sui mercati.

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Registrazione Tribunale di Milano N. 126 del 27/3/1982 Numero iscrizione ROC: 29993 Direttore responsabile Sergio Luciano Caporedattore Marco Muffato Newsroom Marina Marinetti, Davide Passoni, Marco Scotti, Riccardo Venturi, Raffaela Jada Gobbi, Liliana Nori

Hanno collaborato Antonio Quaglio (Consulente del direttore), Joe Capobianco, Giacomo Damian, Giuseppe D’Orta, Fabiana Giacomotti, Andrea Granelli, Francesco Priore, Nicola Ronchetti, Gloria Valdonio Contributors Vittorio Borelli, Enrico Cisnetto, Giuseppe Corsentino, Anna Gervasoni, Glauco Maggi, Andrea Margelletti, Marco Onado, Matteo Ramenghi, Giulio Sapelli, Franco Tatò

Partnership Editoriali

Concessionaria esclusiva OYSTER S.r.l

Anasf, Assoimmobiliare Casa editrice Economy Group s.r.l. Piazza Borromeo 1, 20123 Milano Tel. 02/89767777 Presidente e A.D. Giuseppe Caroccia

Amministratore unico Domenico Marasco Distribuzione Pressdi - Via Mondadori, 1 Segrate - 02 7542097

Direttore editoriale

Alfonso Ruffo Segreteria di redazione Monia Manzoni

Stampa Grafiche Letizia 84040 - Capaccio Scalo ( SA )

settembre 2020

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SOMMARIO Settembre 2020

03 EDITORIALE

di sergio luciano

10 IL GERMANISTA

07 WATCHDOG

di marco onado

12 FINANZA REALE

L’oscillante certezza dell’hi-tech

Produzione cala ma Wall Street cresce. Perchè?

08 SISMOGRAFO

di giulio sapelli

I guai delle Tlc ci ricordano chi sono gli italiani

I big player dell’hi-tech sempre più dominatori incontrastati del Nasdaq. Chi getta ombre, sul futuro dei titoli tecnologici, si sbaglia.

di franco tatò

Berlino riparte, Roma celebra Amatrice

di a.gervasoni

Il venture capital ha resistito allo tsunami

14 III REPUBBLICA

di e.cisnetto

Tutte le ragioni per augurarsi che vinca il “No”

COVERSTORY IL CASO NASDAQ/1

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Internet alla sua età dell’oro. Ma c’è chi punta sullo sboom

IL CASO NASDAQ/2

IL CASO NASDAQ/3

Splendori e miserie di un listino. Il sogno americano in altalena

Oltre l’euforia delle borse Usa c’è Euronext Tech che fa +16%

IL CASO NASDAQ/4

IL CASO NASDAQ/5

Vivremo sempre più digitali ma con dubbio e discernimento

Disruptive Technologies, Il valore ora va cercato lì

20 22

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SMART WORKING

Tanta casa, poco ufficio. Le scelte radicali di Schroders Am e di Ing. Cosa intendono fare le banche e le reti italiane

21 24

Il Sindaco di Milano Beppe Sala a Investire: «Cari banchieri, fate ritornare i vostri dipendenti in ufficio»

INVESTIRE sull’ITALIA

34 4

MARTORANA (GENERALI IAM) Addio ai rendimenti a doppia cifra con i tassi a zero? Diversifichiamo sui mercati privati settembre 2020

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RONCHETTI (FINER)

Che voglia di aziende del Belpaese per clienti e consulenti finanziari. Tutti i dati sul gradimento


SOMMARIO

INVESTIRE SPECIALIST 50

ANASF/ Il nuovo presidente Luigi Conte spiega programmi e strategie dell’associazione dei cf

BANCASSICURAZIONE/ Crescono le polizze Intesa Sanpaolo, nei rami danni e vita

66

POPOLARI ZOPPICANTI / Frosinone, Ragusa

70

WEBINAR1/ Cronaca dell’evento digitale di Efpa

WEBINAR2/ La prima di InvestireKnowledge con

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CONGIUNTURA/ Ramenghi (Ubs WM):

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54

ENASARCO/ Agenti di commercio e consulenti

74

56

«Con il Covid che fa paura continueranno i sussidi» finanziari: parte il voto del cambiamento

CONSULTINVEST/ L’ad Vitolo ottimista sui mercati: «Per i gestori tante buone occasioni»

76

58

BANOR SIM/ Il direttore investimenti Riboldi

78

60

USA-CINA/ Il Dragone ha reagito bene alla guerra

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convinto del rimbalzo dell’economia nel post Covid

dei dazi ma adesso teme un calo dell’export

BORSE USA / Ergas (Tigress FP): «Choc lungo ma i mercati navigheranno su liquidità e vaccino»

42 NATIXIS IM CUP

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Torre del Greco e Altamura, quelle Pop. in difficoltà italia su “Il risparmio anti-virus”

i consulenti finanziari a scuola di “relazione digitale”

DELOITTE / Solinas spiega come la ripartenza dell’economia necessiti del private capital

IMMOBILIARE / Cosa sta succedendo all’edilizia residenziale? Ecco come Milano sta ripartendo

SEDIE & POLTRONE/ Che colpo per CheBanca!: Marconi chiama in squadra l’ex Bim Garavaglia

PROFESSIONE CONSULENTE/ Priore risponde su come si valuta un portafoglio d’investimento

POLE POSITION/ Settembre il mese dove bisogna avere coraggio sui mercati - L’Abenomics non c’è più

Parte il campionato dei consulenti finanziari, ideato da Investire e sposato da Natixis Investment Managers, con la collaborazione tecnica di Fida

QUI PARIGI di giuseppe corsentino

La finanza verde francese ha paura del semaforo rosso

QUI NEW YORK di glauco maggi

Attenti agli Etf, più crescono meno convincono

IL GIRO DEL MONDO IN 30 GIORNI L’Argentina ottiene un altro maxi-sconto sul debito

COSMOPOLITICA di andrea margelletti Cosa succede se anche Londra bandisce il 5G di Huawei

MONDO

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86 87 88 92

94 FASHION

97 EDUCAZIONE FINANZIARIA

96 BIBLIOTECA

98 MALALINGUA

L’alta moda riparte (bene) da Milano

Il nuovo libro di Glauco Maggi su Donald Trump

Boom del risparmio, ma non è una buona notizia

Tre uomini a Montecitorio con Jerome K.Jerome settembre 2020

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ACCEDERE ALLE AZIONI CINESI DI CLASSE A

Studiato per investire sulla crescita strutturale cinese, JPMorgan Funds – China A-Share Opportunities Fund è gestito da un team esperto che lavora per individuare le migliori idee senza vincoli di benchmark e concretizzarle scegliendo aziende di qualità con elevato potenziale di crescita nel lungo termine. Per sapere di più www.jpmam.it

Messaggio pubblicitario PRIMA DELL’ADESIONE LEGGERE IL PROSPETTO E IL KIID (Documento contenente le informazioni chiave per gli lnvestitori), disponibili presso i Soggetti Collocatori autorizzati e sul sito internet www.jpmam.it Il valore degli investimenti e i proventi da essi derivanti possono variare e gli investitori potrebbero non recuperare interamente il capitale investito. Messaggio prodotto da JPMorgan Asset Management (Europe) S.à r.l., Via Catena 4, 20121 Milano. LV-JPM52562 | 01/19 | 0903c02a827d6242


WATCHDOG Marco Onado È professore senior di Economia degli intermediari finanziari nella Università Bocconi di Milano. È stato Commissario Consob. Collabora con “Il Sole - 24 Ore”, “Lavoce.info” e “voxeu.org”.

PERCHÈ PRODUZIONE E REDDITO CALANO E WALL STREET CRESCE?

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all Street non si stanca di inanellare record. L’indice S&P500 è al massimo storico dal 1986; nei giorni scorsi si è registrato il balzo giornaliero più elevato di sempre; Apple è diventata la prima impresa a capitalizzare più di due trilioni di dollari, più o meno il pil italiano. Ma prima di stappare champagne e dire che il mercato azionario è più forte della pandemia, cerchiamo di capire i perché di una contraddizione così marcata e controintuitiva, se si pensa che nel frattempo il mondo, a cominciare dall’America, sta PAUL KRUGMAN vivendo la caduta della produzione e del reddito più grave degli ultimi settant’anni. Naturalmente dietro c’è l’ulteriore grande ondata di liquidità con cui le banche centrali hanno contrastato i primi effetti della crisi e che ha certamente evitato guai peggiori all’economia (i prestiti sono cresciuti ovunque e anche in Europa: non c’è stato il credit crunch del 2009), ma la grande massa di questa liquidità si è riversata sul mercato finanziario. I consumi si sono contratti per impossibilità fisica, ma anche per prudenza e dunque è aumentato il risparmio. Il che a livello macro non è mai una buona notizia, come aveva sempre detto Keynes. Dunque questa ripresa appare un po’ come certe performance di atleti russi: tutta farina del loro sacco? Non è proprio così. Prima di tutto la performance generale è determinata dalla consapevolezza che le banche centrali hanno ulteriormente prolungato l’orizzonte temporale entro il quale non ci si devono attendere rialzi dei tassi dai livelli infimi di oggi. Prima si diceva “lower for longer” (è il titolo di un rapporto del Fondo monetario) oggi si arriva a “lower forever”. La prova è data dal contratto future a 10 anni sul titolo governativo Usa a 10 anni, che prevede oggi un misero 1.6 per cento. Quasi sicuramente un impiego con rendimento negativo in termini reali. Dunque il risparmio finanziario non può che contare sul mercato azionario. Inoltre spulciando fra i numeri del rialzo di Wall Street spicca una grande anomalia: le cinque grandi imprese tecnologiche (vedi la coverstory di questo numero, ndr) pesano per una quota crescente e dunque incidono sempre di più

sull’andamento dell’indice (ricordate i polli di Trilussa?). Inoltre la loro valutazione dipende non dall’andamento dell’economia americana (o mondiale se preferite), ma da quello che gli investitori si attendono che Apple guadagnerà in futuro e su questo continuano a essere assolutamente ottimisti. Oggi il price-earnings ratio di Apple è 33: il mercato è disposto a pagare cioè 33 dollari per ogni dollaro di profitto futuro. E la valutazione di Apple è anche meno estrema di quella di Amazon o Netflix. C’è dunque del metodo in quella follia, come dicono del principe Amleto. Gli analisti, sempre pronti a coniare termini immaginifici, parlano di ripresa del mercato azionario a “K”. Prima hanno sperato in una ripresa a “V”, cioè con una forte caduta ed un’altrettanto forte ripresa simmetrica; poi hanno temuto una ripresa a “U”, cioè preceduta da un lungo periodo di stagnazione su bassi livelli. La realtà è invece rappresentata dalla lettera che ha un segmento ascendente e uno discendente. Nel primo ci sono gli happy few grandi e tecnologici, nel secondo c’è il resto del mercato, con i titoli bancari che segnano le performance negative più marcate insieme a utilities, energia, commercio al dettaglio, linee aree. Non solo: c’è un’altra “K” nell’economia del coronavirus, soprattutto negli Stati Uniti. Mentre continua ad aumentare il reddito e la ricchezza della fascia privilegiata (grazie soprattutto ai capital gain azionari), la disoccupazione sembra destinata a crescere dopo una breve pausa e i sussidi erogati finora rischiano di non essere confermati. Crolla il reddito delle classi più povere, aumentano in modo preoccupanti i ritardi nei pagamenti di affitti, mutui, rate dell’auto, prestiti agli studenti (ricordate il 2007-2008?). Come ha detto Paul Krugman sul “New York Times”, anche se l’epidemia si arrestasse (ipotesi peraltro ottimistica) l’America è destinata a un drammatico aumento della povertà. E concludeva polemicamente: «Ma le azioni salgono, perché dovremmo preoccuparci?». Insomma l’immagine della K è suggestiva perché ci aiuta a capire meglio la dinamica dei mercati di oggi, soprattutto quellp americano. Non a caso è anche un’ottima lente per analizzare le attuali tensioni sociali negli Stati Uniti e la campagna elettorale che sta entrando nel vivo.

Sulla contraddizione pesa l’ondata di liquidità delle banche centrali

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IL SISMOGRAFO Giulio Sapelli È Ordinario di Storia Economica presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Milano e direttore scientifico della Fondazione Enrico Mattei.

I GUAI DELLE NOSTRE TLC CI RICORDANO CHI SONO GLI ITALIANI

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a fase concitata che si Non si valutò che le telecomunicaprofila per le reti di tezioni assorbono capitali per poter lecomunicazioni italiaaffrontare i loro cicli tecnologici ne e per la contestata che durano 5-6 anni, perché risenconvergenza tra reti e tono degli sviluppi della ricerca, contenuti induce ad un ragionamene senza in questo senso toccare il to che non può non cominciare dalla tema della convergenza con l’induprivatizzazione di Telecom. stria dei contenuti. L’Italia è stata l’unico Paese al monL’Italia era stata pioniera, nel setdo ad aver fatto, o meglio indotto e tore. Avevamo capito che le reti del dunque consentito, una privatizzafuturo sarebbero servite soprattutzione imperniata sull’alto indebitato per i dati. Personalmente, avevo mento dell’asset privatizzato. Nel studiato a fondo il regolamento resto del mondo, quando si privatizAntitrust italiano ed europeo e caROMANO PRODI, AUTORE DELLA PRIVATIZZAZIONE TELECOM za un asset, lo Stato ottiene denaro pito che se ne prefigurava uno tutdai privati e non lascia che costoro to a favore del consumatore e non, estraggaono denaro dall’asset che come quello Usa, di natura schuacquistano. Da noi accadde il conmpeteriana, e dunque sostenibile trario, un fenomeno su cui riflettere. anche con l’occhio del produttore. Si privatizzò un un asset di pregio, In Europa ci trovavamo di fronte ad tra i migliori al mondo, che inclideAntitrust assolutamente neoclassiva un’impresa di telecomunicazioni co, che sottovalutava la dimensione che aveva addirittura fatto grandi degli investimenti che sarebbero passi avanti nello spazio, poteva stati necessari. Non a caso negli Usa avere satelliti proprietari, disponeva di più di una rete… fissa e operano 4 o 5 imprese telefoniche, in Europa centinaia. mobili. E appunto con Telespazio avrebbe potuto avere anche Le errate scelte pubbliche e private e quest’impostazione antiuna reti totalmente alternativa a quelle comunque basate sulle trust hanno costituito le basi dell’attuale disastro. Intanto abdorsali. A quell’epoca, tra l’altro, esistevano in Italia anche due biamo costruito con mano pubblica un’altra rete, la Open Fiber, importanti reti telefoniche private, nate grazie all’intuizione – di cui non c’era bisogno, continuando a non capire nulla delle gli va riconosciuta – di Carlo De Benedetti: le reti di Omnitel e regole antitrust e dell’approccio della Corte di giustizia eurodi Infostrada. De Benedetti aveva cambiato la vocazione dell’O- pea, a riprova che questo Paese non ha una tecnocrazia adelivetti dall’informatica alla telefonia, ed aveva avuto anche l’ide- guatamente colta. Aver pensato che una sentenza italica potesale geniale di costruire la rete di base di Infostrada utilizzando se fermare Vivendi, vuol dire non conoscere le regole europee. la dorsale delle Ferrovie dello Stato. Dunque avevamo in Italia Potremmo discutere a non finire sulla legittimità della Corte l’inizio di una vivificante competizione pubblico-privato. Poi… europea ma le cose stanno così. poi tanto la mano pubblica che i privati fecero errori e presero Il risultato è che abbiamo una rete che in vario modo fa capo decisioni solo finanziarie. allo Stato, o vi farà capo, ma è anche controllata da soggetti Prodi, nella sua fase Eltsin-Menem - come la definisco io –, non esteri: il che è normale essendo il nostro un capitalismo senza volle privatizzare Telecom con il nocciolo duro, come predicava capitali, banco-centrico, senza fondi previdenziali e di private Giuseppe Guarino, e creò un nocciolino inconsistente di poco equity, cioè senza investitori istituzionali. A questo riguardo superiore al 5%, guidato dalla Fiat con Gianmario Rossignolo saluto con favore che l’Aspen abbia rilanciato l’idea di lanciare presidente e Francesco De Leo direttore generale, ma societa- un grande fondo d’investimento basato sul modello del prestito riamente debolissimo, che rappresentava una perfetta predi- irredimibile… un buon tentativo di uscire dal bancocentrismo. sposizione per un’Opa ostile, d’accordo con gli Agnelli che infat- In definitiva, e per riprendere Gobetti nella sua analisi in base ti si lasciarono detronizzare senza batter ciglio, col Tesoro e con alla quale “il fascismo è stato la rivelazione dell’Italia”, possiamo la Banca d’Italia che non si opposero. Nel frattempo l’italiana concludere che questa querelle sulla rete unica delle telecomuOmnitel vende ceduta alla tedesca Mannesmann, che l’avrebbe nicazioni ci rivela cos’è l’Italia e cos’è la sua classe dirigente. Ci poi venduta a Vodafone. rivela chi sono gli italiani e chi comanda in Italia…

L’Italia era stata pioniera, avevamo capito che le reti sarebbero servite soprattutto per i dati

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IL GERMANISTA

BERLINO RIPARTE, ROMA CELEBRA IL DISASTRO DI AMATRICE

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a Germania sarà forse l’unico Paese che chiuderà il 2020 con un modesto avanzo di bilancio. Questo è quanto possiamo concludere oggi – all’inizi di settembre - sulla base delle previsioni correnti e del miglioramento continuo di tutti gli indicatori economici. I consumi sono in ripresa grazie alle intelligenti modifiche all’Iva, gli investimenti anche, grazie ai fortissimi incentivi. L’apprezzamento per la gestione della crisi da parte del governo è stabile, tanto che probabilmente Angela Merkel non potrà evitare di candidarsi per un altro mandato con una coalizione più adatta. Quello che è in corso con grande energia è la ristrutUN’IMMAGINE DA UNA CASA AUTOMOBILISTICA TEDESCA, ORMAI DI NUOVO A PIENO REGIME turazione del mercato automobilistico, per permettere alle aziende tedesche di recuperare l’evidente ritardo con il quale hanno affrontato il problema delle automobili elettriche. L’intervento mediaticamente più sorprendente è la decisione di erogare un contributo di 9.800 euro per l’acquisto di una nuova macchina elettrica. Questo provvedimento ha provocato ovviamente non solo una violenta crisi del mercato delle automobili usate, ma anche un’ accelerazione evidente del ricambio del parco delle macchine in circolazione, con evidenti vantaggi in termini di inquinamento e di sicurezza. L’industria sta affrontando non senza fatica questa nuova situazione, producendo nuovi modelli che si presentano sul mercato con un prezzo netto estremamente favorevole . Il problema più grande rimane quello dei posti di lavoro, ritengo che dovremmo fare una profonda riflessione anche problema che non si risolverà certo con il già deliberato su questo fatto, perché se le nostre imprese non si portemiglioramento della cassa integrazione, ma che richiederà ranno a un livello di efficienza più alto rispetto al passato, un grande investimento in corsi di riqualificazione per l’ è probabile che sarà molto difficile recuperare le posizioni inserimento dei lavoratori in nuove strutture. Ci vorranno precedenti. Qualunque ritardo offre all’economia tedesca la un paio d’anni per sapere se siamo sulla strada giusta, ma possibilità di modificare in tutto o in parte la catena del supcertamente nel settore della mobilità niente sarà più come ply a favore di imprese locali. Sento parlare troppo poco in prima. Italia di questo problema, come sento parlare troppo poco Ovviamente i problemi del Paese non si esauriscono qui, di produttività e di digitalizzazione. ma l’impressione diffusa è che il governo stia affrontando Credo che l’Italia sia l’unico Paese in cui il Capo dello Stato , uno ad uno i problemi provocati dall’improvviso esplode- il Capo del governo e tutte le autorità possibili si riuniscono re della pandemia, con sollecitudine e competenza. I fondi ad Amatrice per celebrare il quarto anniversario del terremessi a disposizione per aiutare le imprese in difficoltà a moto e quindi confessare, compiangendo i superstiti, la loro causa della pandemia, vengono indirizzati ad una profonda manifesta incapacità a risolvere i problemi. Se ci pensiamo ristrutturazione dell’economia secondo un disegno da tutti è come se il nostro modello per affrontare i disastri natucondiviso: semplificazione e digitalizzazione. È probabile rali che colpiscono i centri urbani fosse Pompei o il Foro quindi che al termine di questo articolato e complesso pro- Romano. Questa sarebbe stata una grande occasione per cesso, nel 2021 o 22, saremo confrontati con una Germania annunciare un vasto progetto di recupero di tutte le zone sicuramente più competitiva, cosa ovviamente interessan- terremotate ancora trascurate in Italia, con un preciso imte anche per noi, grandi fornitori del mercato tedesco. Ma piego dei mezzi che l’Europa ci metterà a disposizione. Que-

La cerimonia per il quarto anniversario del sisma è servita solo a celebrare l’incapacità di risolvere i problemi. Sarà così anche col Recovery Fund?

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Franco Tatò Manager eclettico e innovativo, è tra i pochissimi italiani ad aver diretto aziende in Germania, paese (e cultura) che ama ed è l’unico ad essere stato amministratore delegato sia di Rizzoli che di Mondadori

sto sarebbe uno dei tanti progetti che dovremo presentare proprio all’Europa perché ci vengano messe effettivamente a disposizione le somme previste dal Recovery Fund. In realtà, ci dovremmo veramente porre molte domande e affidare a persone credibili lo sviluppo di progetti specifici, come la riforma del mercato del lavoro con i 27 miliardi messi a disposizione dal Sure, la ristrutturazione del sistema sanitario con i 37 miliardi messi a disposizione dal Mef e poi dichiarare quanti miliardi investiremo e come nell’istruzione dei nostri giovani perché siano preparati ad affrontare il futuro, e appunto in progetti come il recupero delle zone terremotate, con evidenti ricadute sull’edilizia. Non occorre molto tempo per elencare quali siano le infrastrutture di trasporto e di telecomunicazione di cui l’Italia ha bisogno per presentarsi come un paANGELA MERKEL ese moderno ed efficiente. Con celebrazioni come quelle di Amatrice, queste rovine diventeranno soltanto il monumento ai rigatoni all’amatriciana. Questi spettacoli sono quelli che i tedeschi che amano l’Italia e che aspettano di lavorare con le nostre aziende non vorrebbero vedere, come non vorrebbero ancora vedere, quando sono in viaggio per turismo, per esempio in Puglia,

le vecchissime cisterne necessarie per portare l’acqua ai Paesi o alle abitazioni non serviti dagli acquedotti. Scopriranno che i telefoni mobili funzionano solo in alcune città e che ci lasciano isolati nella gran parte del territorio, così come faticheranno a trovare una copertura veloce e continuativa del wifi, essenziale per mantenere i contatti non solo con parenti e amici, ma anche con collaboratori e fornitori. Non vorrebbero sentire che le interruzioni nella fornitura di corrente elettrica sono ancora frequentissime, con gravi danni alle apparecchiature elettroniche che per questo motivo sono in pericolo. Ancora peggio reagirebbero quando verrà loro spiegato che ciò è dovuto al furto dei cavi di rame, un problema annoso che si sarebbe potuto risolvere con l’installazione sui tralicci di semplicissime telecamere, telecamere che potrebbero aiutare anche l’ identificazione dei ladri d’acqua, dalla Basilicata alla Puglia, e si potrebbe continuare con l’incapacità a fermare la xylella che distrugge il prezioso patrimonio di ulivi. Questo accade nella regione più avanzata del meridione d’Italia, dotata di grandi risorse umane e naturali, figuriamoci il resto. Credetemi: il Germanista è molto triste, ma non può perdere la speranza. E quindi, almeno, scrive.

ALTA FORMAZIONE E VIDEOGIORNALISMO DI QUALITÀ, DUE NUOVI SERVIZI DELLA NOSTRA TESTATA Alta formazione e videogiornalismo specialistico: sono le due brandextension che la nostra casa editrice ha proposto ai suoi lettori e follower sul web all’indomani del lockdown e che si preparano ad una stagione autunnale di ripresa ambiziosa e promettente. Sos Investire, il format video lanciato nei giorni durissimi e concitati del crollo borsistico internazionale dovuto all’esplosione della pandemia, riparte con un nome nuovo e una nuova missione: “Investire Now”, perché non è più il caso di parlare di un “sos”

NOW

da parte dei mercati finanziari e perché è sempre il momento di occuparsi dei propri soldi e, appunto, dei modi più appropriati ed efficienti per investirli e farli rendere. Un format quotidiano, dal lunedì al giovedì (salvo edizioni straordinarie) che accompagnerà i nostri utenti nel loro rapporto con i mercati. E poi “Investire Knowledge”, la nostra divisione formativa, che ha esordito in luglio con un corso di 4 moduli per complessive dieci ore sulla “Relazione digitale efficace con i clienti”, quella che migliaia di consulenti finanziari hanno avviato nel lockdown e stanno alimentando, consapevoli di poter trarre da un’emergenza una grande

opportunità: stringere maggiormente il rapporto con i clienti, esprimendone al meglio il valore consulenziale; e risparmiare il tempo e il denaro indissolubilmente connessi con gli appuntamenti in presenza. Ma bisogna conoscere metodi e trucchi: perché un incontro di persona è dispendioso in vari termini, ma può contare su un’empatia che le videocall non hanno. Su questi e molti altri temi, Investire Knowledge tornerà quanto prima con le sue proposte di alta formazione.

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FINANZA REALE Anna Gervasoni Professore Ordinario di Economia e Gestione delle Imprese alla Liuc di Castellanza. È anche direttore generale dell’Aifi (Associazione italiana del private equity, venture capital e private debt)

IL VENTURE CAPITAL HA RESISTITO ALLO TSUNAMI

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innovazione non si ferma, nemmeno in periodo di emergenza sanitaria. Lo dicono i dati del VeM – Venture Capital Monitor, presentati qualche giorno fa, osservatorio di Aifi, Associazione italiana del private equity, venture capital e private debt e Liuc- Università Cattaneo, con il supporto di Intesa Sanpaolo Innovation Center e lo studio legale E. Morace & Co. Certo non ci sono solo buone notizie: il primo semestre 2020 si è chiuso con 57 operazioni rispetto alle 69 nel primo semestre dello scorso anno, registrando un -17%. Ma se si guarda a quanto è stato investito inizialmente dai fondi, al momento dell’ingresso in una startup, notiamo una crescita dell’ammontare che è passato da 178 milioni di euro del primo semestre 2019 ai 197 milioni di euro dei primi sei mesi del 2020. Questo è un segnalo positivo: in un momento di grande incertezza come questo, i fondi di venture capital continuano a sostenere le loro imprese e ad a investire nell’innovazione. In un momento di discontinuità come quello attuale la chiave può essere proprio quella della discontinuità: innovare, cambiare, rigenerare la nostra economia. Per far questo bisogna investire in imprese giovani o in imprese consolidate che vogliono rinnovarsi. La finanza per l’innovazione è il vero tema di questo periodo. Che cosa vuol dire? Significa cercare di catalizzare capitali pubblici e privati attorno a iniziative che possano rappresentare il futuro dell’economia e dell’industria. A svolgere questo importante ruolo non ci sono solo i fondi di venture capital. Da qualche anno l’osservatorio infatti censisce l’attività delle corporate, il cosiddetto corporate venture capital, dei business angels, che spesso lavorano insieme ai fondi e dei nuovi fondi di technology transfer. Secondo i dati appena presentati dal VeM nel suo incontro semestrale, emerge un ruolo molto importante di questi soggetti. Il totale degli investimenti in TT (Technology Transfer) dal 2018 al primo semestre 2020 è stato pari a 174 milioni di euro su 65 operazioni. Dal 2018 è, inoltre, iniziata l’operatività dei fondi della piattaforma ITAtech, avviata da Cdp e Fei, che a oggi hanno raccolto complessivamente 284 milioni di euro realizzando 46 investimenti per un ammontare totale pari a 42 milioni di euro (compresi i co-investitori). Lato corporate venture capital, inizia a notarsi la loro significativa presenza nei round di venture capital. In particolare la partecipazione delle corporate negli investimenti a supporto delle realtà imprenditoriali nascenti o nella fase di primo sviluppo è del 26%, in costante aumento rispetto al 20% del 2018. Tra i vari settori che sono oggetto di attenzione degli investitori abbiamo quello dei servizi finanziari. L’area delle fintech si è fatta ancora più interessante in questi ultimi mesi. Banca d’Italia, nell’ultima relazione del Governatore, ha rimar12

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In un momento di grande incertezza come questo, i fondi specializzati hanno continuato a sostenere le loro imprese e a investire nell’innovazione cato il ruolo centrale dell’innovazione tecnologica tanto che sta lavorando aprire a settembre a Milano un nucleo che prenderà contatto con università e centri di ricerca per dialogare col sistema finanziario e sperimentare soluzioni innovative. Altra nocività è l’impegno del governo in questo campo: il ruolo del settore pubblico sarà veramente importante, purché agisca in sinergia con il mercato. Cassa Depositi e Prestiti, con la sua costola CDP Venture sarà un attore centrale nel mettere le basi per uno sviluppo duraturo del venture capital, rendendo finalmente possibile l’affermazione di un settore stabile di finanza per l’innovazione, con dimensioni adeguate e nel rispetto delle logiche di mercato. Da sottolineare, in questo contesto, che le imprese innovative non sono necessariamente startup: esistono numerose imprese tecnologiche e non solo che appartengono al mondo delle medie e medio piccole imprese italiane. La chiave di volta, proprio in un contesto così complesso, è aiutare ad attrarre i capitali necessari per sostenere i progetti di sviluppo; significa mobilitare i fondi di private capital e svincolare anche i capitali degli imprenditori stessi. Per questo è necessario pensare a incentivi fiscali e favorire gli aumenti di capitale. Anche qui il ruolo pubblico, a fianco dei privati sarà determinante.



TERZA REPUBBLICA Enrico Cisnetto È un editorialista, economista e conduttore televisivo italiano, ideatore della trasmissione televisiva Roma InConTra. È conferenziere, consulente politico-strategico e tifoso della Sampdoria

TUTTE LE RAGIONI PER AUGURARSI CHE VINCA IL «NO»

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ari lettori di Investire, c’è una data, fissata sul calendario di una difficilissima ripresa stretta tra le due fasi del Covid, che potrebbe finalmente cambiare il corso della politica italiana, sconfiggendo un virus non meno terribile, quello della sfiducia. Si tratta dei due giorni, il 20 e 21 settembre, in cui si svolgerà il referendum confermativo (o NO) sulla riforma costituzionale (sic!) denominata “taglio del numero dei parlamentari”. Tutto dipenderà non tanto da quale delle due tesi prevarrà, ma da quale sarà la percentuale dei cittadini che avrà votato NO: quanto più sarà elevata – diciamo dal 15% a salire – tanto più si potrà archiviare la stagione maledetta del populismo. Anche nell’ipotesi malaugurata che prevalessero i Sì. Vi spiego il perché, intanto che vi offro le diverse ragioni per votare NO. Tante meno una: la riduzione del numero dei parlamentari, che in sé non è – o meglio, non sarebbe – né un obbrobrio né un delitto. Ma il confronto con le esperienze degli altri paesi democratici – il numero dei parlamentari rispetto agli abitanti – offre ragioni sia a chi ritiene che sia opportuno ridurre sia a chi vuole mantenere, e persino a chi volesse aumentare la quantità di deputati e senatori italiani. E questo dimostra che in sé il numero è un falso problema: la vera distinzione che fa un sistema politico-istituzionale efficiente è la qualità, sia degli eletti e delle modalità di loro selezione e nomina, sia dei meccanismi di funzionamento delle istituzioni medesime. Dunque, cambiare il numero senza intervenire sul resto è inutile e demagogico. Ne è accettabile il ragionamento – che credo prevalga nell’animo di chi ha intenzione di votare Sì – secondo cui, visto che gli attuali parlamentari sono dei dilettanti allo sbaraglio (vero), inseriti in istituzioni fatiscenti (vero), allora tanto vale togliercene un terzo dai piedi, e pazienza se il risparmio annuale sarebbe soltanto dello 0,007% del bilancio dello Stato, più efficacemente tradotto nel costo di una tazzina di caffè all’anno a testa. Assecondando questa scorciatoia, metteremmo una pietra tombale sopra ogni altro intervento riformatore capace di incidere sulla qualità della nostra democrazia. Lo dimostra il fatto che gli stessi proponenti del “taglio alla casta”, nell’approvarlo in Parlamento, pur avendo solennemente giurato che avrebbero completato l’opera con una riforma del sistema elettorale con tanto di ridefinizione della mappa dei collegi e una dei regolamenti parlamentari, da farsi prima del referendum, non abbiano concluso assolutamente nulla. Con il che aggiungono un altro motivo ai tanti che possono indurre a votare NO: se una riforma di rango costituzionale abbisogna di una legge ordinaria per risultare di senso compiuto, ma ne rimane orfana, contro di essa milita non solo il fatto che non sia stata colpevolmente completata, ma anche e soprattutto che risulti lampante che quella riforma costituzionale sia 14

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L’EMICICLO DELLA CAMERA DEI DEPUTATI

Dietro questa idea banale di voler ridurre il personale politico non c’è alcuna idea di riforma dello Stato squilibrata e velenosa. Insomma è evidente che dietro questa idea banale ma apparentemente innocua di voler ridurre il personale politico non c’è neanche un’idea di riforma dello Stato che sia una, ma soltanto una visione meschina della politica e una volontà punitiva nei confronti della democrazia rappresentativa che si vorrebbe sostituire con qualche piattaforma digitale e una spruzzatina di blockchain, trasformando i parlamentari in soldatini con vincolo di mandato (che la Costituzione nega!) e di obbedienza al volere di chi la piattaforma controlla e manovra, con tanto di contratto e di penali. Ma, come dicevo, non sono (solo) le ragioni tecniche e costituzionali che spiegano perché questa porcata antiparlamentare sia da bocciare. La ragione numero uno è politica: cogliere questa come l’occasione per dare una spallata al populismo, alle forze che tali si sono apertamente dichiarate, e una salutare svegliata a quelle, come il Pd e Forza Italia, che per ragioni di convenienza politica (presunta, peraltro) alle prime si sono supinamente piegate. Se i NO saranno tanti – anche se malauguratamente non dovessero prevalere – segnalerebbero l’esistenza di un’Italia diversa da quella che ha consegnato se stessa, in una delle ore più buie della sua storia, a un manipolo di buoni a nulla. E forse il “partito che non c’è” sarà incoraggiato a trovare il modo esistere.



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INTERNET ALLA SUA ETÀ DELL’ORO MA C’È CHI PUNTA SULLO SBOOM di Gloria Valdonio

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bbiamo assistito in soli due mesi a due anni di trasformazione digitale». La dichiarazione di Satya Nadella, ceo di Microsoft, non è esagerata: la pandemia ha permesso all’economia digitale di fare un salto di qualità in poche settimane e ha costretto i cittadini occidentali ad accettarla e ad aggiornare le proprie abitudini di vita. L’economia dello “stay at home” ha infatti promosso la digitalizzazione a tutti i livelli, celebrando l’ecommerce in prima battuta, ma anche l’home working e l’home schooling che non sarebbero decollati a tal punto senza una motivazione sanitaria. E questo è stato il primo effetto del Covid19. Il secondo effetto è

stata la spinta impressa ai mercati finanziari dall’iniezione di denaro proveniente da stimoli fiscali e monetari senza precedenti di governi e banche centrali. In sintesi un eccezionale afflusso di denaro sui mercati durante questa fase di accelerazione della trasformazione digitale ha spinto le performance di molti titoli tecnologici, così come registra l’indice Nasdaq tech-heavy. Per non parlare del nuovo record di capitalizzazione raggiunto da Apple a fine agosto o del rapporto price/ earning stellare, a quota 800, segnato da Tesla. «L’innovazione procede a ritmi serrati e i trend secolari che creeranno valore nel settore tech restano intatti», è il parere di Alan Tu, gestore del fondo T. Rowe Price Funds Sicav–Global Technology. Che aggiunge: «Sembra che siamo ancora in una fase iniziale di un’età dell’oro dell’innovazione tecnologica, nella quale la straordinaria potenza di internet sta alimentando una creazione di valore senza precedenti per le aziende e gli investitori». Allarme bolla Ma è proprio il caso di declamare le “magnifiche sorti e progressive” del progresso tecnologico? Secondo molti investitori la cautela è d’obbligo, perché ci sono molti fattori che potrebbero fermare la corsa apparentemente inarrestabile dei titoli tech. Secondo David Ross, gestore Echiquier World Equity Growth di Lfde, l’eccessiva creazione di denaro causa sempre inflazione e l’unica domanda da porsi oggi è “quando succederà?”. «In periodi di bassa crescita e produttività come l’attuale, l’economia reale non è un polo di attrazione per il denaro che si orienta, invece, verso gli asset finanziari», dice lo strategist. «Ma grazie alla legge di Stein sappiamo anche che “se qualcosa non può andare avanti in eterno, si fermerà”, ovvero che anche l’enorme creazione di denaro odierna arri-

ALAN TU

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L’ANDAMENTO GALOPPANTE DELLE QUOTAZIONI DEI BIG DEL WEB SUL NASDAQ SUSCITA QUALCHE PREOCCUPAZIONE

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COVERSTORY ALCUNI ANALISTI TEMONO L’ESITO NEGATIVO DELLE INDAGINI ANTITRUST IN CORSO verà al capolinea». Un piccolo assaggio lo abbiamo avuto nella prima ottava di settembre, quella a ridosso dsel Labour Day, con Amazon, Microsoft Alphabet, e Facebook arretrate per la prima volta oltre il 6%, mentre le cinque maggiori aziende tecnologiche (più Netflix) hanno perso quasi 500 miliardi di dollari di valori di mercato. Non solo: una volta che un vaccino sarà sviluppato, o che il virus perderà la sua carica infettiva, lo “stay at home” diventerà “get out of the house” e l’attuale tasso di crescita della trasformazione digitale si dovrà fermare. «Il rallentamento dei fondamentali e l’inasprimento monetario faranno scoppiare una bolla finanziaria. Gli investitori devono fare molta attenzione», è il parere Ross e di molti strategist. Come la new economy? Già nel corso degli ultimi anni, i rendimenti a due cifre delle azioni dei big tech hanno suscitato qualche preoccupazione sull’eventualità di una riedizione della bolla tecnologica, che si verificò tra la fine degli anni ‘90 e l’inizio del 2000 con il crollo (inclusi alcuni delisting) dei campioni di allora e la dissoluzione di molte fortune. Ma, come spiega Philip Rae, investment specialist di Capital Group, a differenza della bolla delle dot. com, la rapida ascesa dei Faamg (Facebook, Amazon, Apple, Microsoft, Google) è stata trainata in gran parte da una forte crescita dei fondamentali: crescita dei ricavi, margini elevati,

DAVID ROSS

Rocco Probo, analista di Consultique, vede molte analogie con l’attuale situazione e quella che condusse alla crisi del 2000 ROCCO PROBO

solidi flussi di cassa e utili in salita. «Nel complesso, la crescita complessiva degli utili di tutte e cinque le società è stata in gran parte sincronizzata con i prezzi delle loro azioni», dice Rae. Secondo Rocco Probo, analista di Consultique, le assonanze con la crisi del 2000 ci sono tutte, anche se questa volta abbiamo un salvagente monetario che prima non c’era. «Venti anni fa era assente la componente di liquidità attuale, che rende decisamente meno costoso rischiare», dice Probo. «La spiegazione del rimbalzo azionario è proprio la liquidità immessa sul mercato (la Fed tra marzo e giugno ha aumentato del 450% la crescita della base monetaria, ndr) che, non potendo riversarsi sui mercati obbligazionari molto cari, sono confluiti sui metalli preziosi e sul mercato azionario, privilegiando proprio la componente tecnologica», dice Probo. Il prezzo è giusto? C’è un altro fattore di allarme che segnalano gli strategist. Le aziende tecnologiche sono cresciute tantissimo. Il Nasdaq100, che ha guadagnato oltre il 50% dai minimi di marzo, è stato alimentato dalle società dei settori internet e software, con i Faamg che hanno concluso il mese di maggio come le prime cinque maggiori società dell’S&P 500 in termini di capitalizzazione di mercato. Se da un lato le grandi società tecnologiche sono cresciute notevolmente in termini di scala e di influenza sull’indice, dall’altro non sono affatto prive di rischi. «La valutazione è un aspetto fondamentale, poiché valutazioni superiori alla media potrebbero contrarsi», afferma Rae. Non solo: un altro rischio concreto per queste aziende è rappresentato dalla possibilità di una maggiore regolamentazione in ambito nazionale. Il fatto che, con l’eccezione di Microsoft, esse debbano comparire davanti alla Commissione giudiziaria della Camera degli Stati Uniti nel quadro di una più ampia indagine per antitrust segnala una crescente pressione normativa, con i legislatori che fanno accertamenti sulla concorrenza. «Tuttavia, per Facebook e Alphabet, che in passato hanno affrontato indagini simili, si potrebbe sostenere che questo rischio è già riflesso nelle valutazioni», aggiunge Rae. Indigestione tecnologica I cambiamenti nella tassazione sono un’ulteriore potenziale settembre 2020

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ANCHE LA TASSAZIONE BASSA POTREBBE FINIRE PRESTO. MA L’OTTIMISMO PREVALE: SI TEME AL MASSIMO UNA CORREZIONE fonte di rischio. Molti Paesi in Europa, per esempio, hanno o sono in procinto di implementare una tassa sui servizi digitali. C’è infine, come sottolinea Probo, il fattore indigestione, ovvero la possibilità che l’innovazione tecnologica non venga accettata dal consumatore alla velocità imposta dalla produzione, o che venga addirittura rifiutata come è accaduto con i google glass, che si sono rivelati, almeno per il momento, un vero flop. Tuttavia, secondo Rae, i fattori appena descritti sono per la maggior parte positivi per le big tech. L’accelerazione della digitalizzazione e i vantaggi dei modelli di business di scala e asset-light per le piattaforme internet sono risultati chiari. I Faamg dispongono, inoltre, di bilanci solidi con riserve di liquidità in eccesso che vengono costantemente reinvestite per costruire nuovi vantaggi competitivi. Sarebbero quindi ben posizionate per resistere a un’economia globale più debole nel breve e nel medio termine. Inoltre, operano in aree con elevate barriere all’ingresso, hanno piani di crescita a lungo termine e opportunità di monetizzare servizi nuovi o esistenti, che potrebbero sostenere i prezzi delle loro azioni e quindi il valore di mercato. «Crediamo che i più grandi potrebbero essere pronti a diventare ancora più grandi», aggiunge Rae. L’outlook del Nasdaq Tirando le somme, dopo aver elencato tutte le criticità, possiamo dire che gli ottimisti sono più numerosi e che negli uffici studi prevale l’ipotesi di una correzione dei titoli tech inserita

HARIS ANWAR

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però in un trend rialzista. «Ci aspettiamo che questo trend positivo possa interrompersi per un breve periodo, forse con una correzione del 10-15%, soprattutto considerato che il rapporto P/E (prezzo/ utile, ndr) del Nasdaq ha raggiunto i massimi degli ultimi venti anni«, dice Haris Anwar, senior analyst di Investing.com. «Tuttavia», aggiunge Anwar, «riteniamo che a questa correzione seguirà una nuova fase rialzista, che continuerà fino a quando la Federal Reserve manterrà bassi i tassi di interesse e sarà disposta a combattere gli effetti del virus sull’economia statunitense». Per Probo la liquidità favorirà ancora il Nasdaq, ma sono da mettere in conto scossoni su singole società a causa di un cambiamento di scenario, che si sta già osservando sulle società di minori dimensioni. Andando a guardare i titoli all’interno del Nasdaq, tra le più elevate performance da inizio anno a fine luglio non c’è solo Tesla (+270%) che ne 2019 ha chiuso il bilancio in utile, ma società come Vaxart (biotech, +4.045%), Novavax (biotech, +3.580%), Co-Diagnostics (biotech, +2.270%), ovvero «piccole società con fondamentali molto incerti, le cui performance sono giustificate solo dalle aspettative». «Comprare oggi questi titoli», spiega Probo, «significa comprare ulteriori aspettative rispetto a quelle che includono una crescita a tre o quattro cifre, e quindi comprare a un prezzo non realistico». Settori sotto la lente Quanto ai settori su cui puntare, per gli strategist un’attenzione particolare va riservata al gaming, che ha guidato la corsa dei titoli tecnologici degli ultimi mesi registrando una crescita di circa il 28% (da inizio anno a fine luglio) contro il 20% del Nasdaq, e che segnala ottimi ricavi con un p/e intorno al 37 per cento. Secondo Tu di T. Rowe Price, la scelta degli investitori deve cadere soprattutto sulle società che vinceranno la corsa per l’intelligenza artificiale, perché sono le aziende che possiedono le migliori capacità computazionali, i migliori specialisti dei dati e i dataset più ampi: tutte caratteristiche tipiche, ancora una volta, delle platform company, che infatti hanno già fatto molti progressi nel settore. «In effetti, ci aspettiamo che i giganti internet finiranno per diventare fornitori di AI ‘on demand’, mettendo a disposizione i propri algoritmi a pagamento a tutte le altre società», conclude Tu.


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SPLENDORI E MISERIE DEL NASDAQ IL SOGNO AMERICANO IN ALTALENA di Glauco Maggi

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l Nasdaq 100 è uno dei due indici più celebri del Nasdaq, e siccome l’altro è il Nasdaq Composite, che comprende tutti i 3300 titoli del listino nato nel 1971 come concorrente dello storico Nyse, si potrebbe pensare a una selezione molto ristretta di “gioielli” della tecnologia. In realtà il numero di 100 che rappresenta la dimensione del paniere doc rischia d’essere fuorviante. È vero che il Nasdaq 100 è una boutique di azioni super, ma la vetrina è in costante, rigoroso aggiornamento. Alla data del giugno 2020 le aziende che sono state componenti dell’indice da quando è stato creato, il 31 gennaio 1985, sono state ben 480. E il turnover è stato tanto vorticoso che soltanto quattro società, tra quelle che entrarono nel primo elenco 35 anni fa, possono vantarsi di aver sempre mantenuto il loro ambìto posto. Apple e Intel non hanno bisogno di presentazioni, mentre Cotsco e Paccar, le altre due aziende di lungo rango, sono forse meno note al pubblico italiano: la prima è una corporation internazionale di catene di distribuzione di prodotti di vario genere, accessibile solo a un pubblico di membri registrati; il secondo è un leader globale tecnologico nel design, nella produzione e nella assistenza al pubblico nel comparto dei camion leggeri, medi e pesanti di alta qualità (sotto i marchi Kenworth, Peterbilt e Daf). Due altre componenti, Kla Corporation e Micron Technology, erano presenti tra i primi 100 all’inizio e lo sono ancora oggi, ma nel frattempo sono usciti e rientrati. Alla fine del 2019, la capitalizzazione del Nasdaq 100 era di circa 9800 migliaia di dollari (9,8 trilioni). La caratteristica del Nasdaq 100 è di essere il termometro della buona salute del suo miglior numero chiuso di imprese, e per garantire questo risultato è stato studiato un sistema di ribilancia-

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IL 57% DELL’INDICE 100 È COMPOSTO DA TITOLI HIGH-TECH, CONTRO IL 23% DELLO S&P500 mento annuale, che mediamente ha comportato l’introduzione di un massimo di una quindicina di new entry, con la conseguente espulsione di uno stesso numero di società. Con regolarità, a inizio dicembre, il Nasdaq annuncia i risultati della sua valutazione annuale delle componenti del Nasdaq 100, che diventa effettiva prima di Natale con le modifiche alla lista. L’anno scorso, il 23 dicembre, sono state aggiunte all’indice le seguenti sei società: Ansys (simbolo Ans), Cdw Corporation (Cdw), Copart (Cprt), CoStar Group (Csgp), Seattle Genetics (Sgen), Splunk (Splk). Le sei tolte dal paniere sono state Hasbro (Has), Henry Schein (Hsic), J.B. Hunt Transport Services (Jbht), Mylan N.V. (Myl), NortonLifeLock (Nlok), Wynn Resorts, Limited (Wynn). Il criterio per il ricambio è totalmente quantitativo, basandosi su una metodologia che, tra gli altri requisiti, richiede, spiega il Nasdaq, “una capitalizzazione aggiustata di mercato uguale o superiore allo 0,10% della capitalizzazione aggiustata di mercato dell’indice alla fine di ogni mese”. L’obiettivo dei creatori del Nasdaq 100 era di competere con lo S&p500 e, almeno per il periodo tra fine dicembre 2007 e marzo del 2020 (quello reperibile sul sito dello stesso Nasdaq), la missione è riuscita. Il ritorno cumulativo totale del Nasdaq 100 è stato del 327%, due volte e mezzo quello dello S&P500 che si è fermato al 128%. Il ritorno annualizzato, sempre da 13 anni a questa parte, è stato del 12,6% per il primo indice contro il 7% del secondo. Il Nasdaq 100, però, ha presentato una volatilità più elevata, il 23% contro il 21% dello S&P500. I due settori con il peso più importante in entrambi gli indici sono la tecnologia e le aziende di servizi per i consumatori, che hanno dato performance tra le più elevate nell’ultimo decennio. E il fatto che il 57% del Nasdaq 100 sia composto di società high tech, contro il 23% dello S&P500, e che le compagnie di servizi al consumo valgano il 22% del Nasdaq 100, contro il 13% dello S&P500, spiega il divario della performance, e la diversa rischiosità.


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LONTANO DALL’EUFORIA DI NEW YORK L’EURONEXT TECH ORA CRESCE di Giuseppe Corsentino

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isto da New York può sembrare un paradosso, da qui, invece, da Parigi, è solo un “découplage”, la solita vecchia differenza (di risorse, di stile, di cultura finanziaria se volete) tra l’arrembante Borsa americana (non solo il Nasdaq ma anche Wall Street) e la Borsa di Parigi (anche qui, considerando il Cac40, il mercato delle blue chips, e il più recente – costituito nel 2000 – Euronext con tutte le sue articolazioni, Growth per le piccole imprese che scoprono la finanza, Tech per le aziende tecnologiche ricche di brevetti ma povere di cash flow e Ebitda ai minimi). Il paradosso è che, a differenza della piazza americana dove negli ultimi sei mesi titoli come Apple sono arrivati a capitalizzare quanto il pil della Corea del Sud, non proprio un Paese emergente, o come Zoom, che ha moltiplicato per dieci la sua valorizzazione dopo il primo annuncio di Ipo; a differenza del Nasdaq, dove a partire da marzo e fino ai primi giorni di settembre (quando ha fatto capolino l’orso) la capitalizzazione delle Big Tech è cresciuta di 1,6 miliardi di dollari l’ora, qui sulla piazza di Parigi le cose sono andate diversamente: senza le frenesie dei “boursicoutières” (come in francese si definiscono i “traders on line”) che fino ai primi di settembre rappresentavano il 20% delle transazioni di Borsa, il doppio rispetto al 2019. E da un certo punto di vista, è un paradosso. E’ vero, i titoli tecnologici quotati al Cac40 sono solo cinque: Dassault Systems che produce sistemi d’arma e computer per i Rafale, i cacciabombardieri; StMicroelectronics, azienda storica di hardware con stabilimenti anche in Italia; CapGemini che si occupa soprattutto di consulenza informatica; Wordline, l’ultima arrivata (a febbraio, prima del Covid), leader nei pagamenti elettronici con il suo sistema (e le macchinette) Ingenico; e infine la storica Atos da cui è nata per gemmazione anche Worldline. È un paradosso perché la Francia è da qualche anno - avendo superato Gran Bretagna e Germania - uno dei paesi tecnologicamente più innovativi d’Europa con centinaia di start-up, con la sua French Tech, l’appuntamento annuale più importante del settore, con la sua rete di incubatori e acceleratori. Proprio nei giorni della correzione del Nasdaq, quando Tesla, Apple, Amazon, Zoom e tutte le altre Big Tech cominciavano a scendere dal picco dei 12mila punti, il Bloomberg Innovation Index piazzava la Francia al 12° posto nel rating mondiale dei Paesi più innovativi, con un balzo di ben 9 po-

IN UN ANNO IL MERCATO DELLE AZIENDE TECNOLOGICHE FA +16% MENTRE IL CAC40 PERDE: -16% sizioni rispetto al 2019, facendole perfino superare la Cina (al 14° posto) e Israele (al 13°), con una “progression spectaculaire mais non inattendu” come ha tenuto a precisare il professor Bruno Lanvin, ricercatore all’Insead di Fontainebleau e coatore di uno studio sull’innovazione tecnologica pubblicato ogni anno dall’Ompi, l’Organizzazione mondiale della proprietà intellettuale, quello che misura e valuta i brevetti. Perché il balzo della French Tech è spettacolare ma non inaspettato? Perché il governo francese, soprattutto con l’arrivo del giovane Macron all’Eliseo, ha messo a punto una strategia di sostegno al settore fatto di risorse finanziarie e di politiche industriali. Insomma, i francesi, che nei giorni del “confinément” hanno accumulato un centinaio di miliardi di euro di risparmi (cash e Livret A), non sono come i “boursicoutières” americani, che per mesi hanno messo i loro soldi sulle piattaforme di trading on line (ce n’è una, Robinhood, che non fa neanche pagare commissioni) creando così un “bolla tecnologica” forse non tanto diversa se non per dimensione dalla “bolla Internet” di inizio millennio; i francesi possono contare su un sistema economico industriale e politico che ha molto a cuore la tecnologia e le sue “jeunes pousses”, start-up che vengono curate, finanziate e allevate da una miriade di fondi di private equity, fondi, e da banche pubbliche come Bpi France, braccio operativo della Cassa Depositi e Prestiti. Solo nei primi mesi di quest’anno, in costanza di Covid, ci sono state ben sei operazioni di finanziamento ad altrettante start-up per un valore superiore a mezzo miliardo di euro. Poi può accadere che riescano ad andare in Borsa e quotarsi all’Euronext Tech che conta 477 società (di tutta Europa, non solo della Francia) e 757miliardi di euro di capitalizzazione. Nel 2017, quando fu aperto, l’Euronext Tech annunciò che il suo obiettivo era diventare un’alternativa al Nasdaq americano. Non ci è riuscito e non è detto che sia un male. In un anno (2020/2019) l’Euronext Tech Index è cresciuto del 16%. Niente rispetto alle follie del Nasdaq, ma sempre il doppio rispetto al Cac40 che nello stesso periodo ha perso il 16%. settembre

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VIVREMO SEMPRE PIÙ DIGITALI MA CON DUBBIO E DISCERNIMENTO di Andrea Granelli

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a tecnologia è sempre più fondamentale e vitale e la pandemia ce ne ha dato un assaggio. Senza il digitale non avemmo potuto gestire il lockdown per un periodo così lungo. Ma il digitale non è solo un insieme di piattaforme applicative o il sistema che fonda le telecomunicazioni e i media: è anche contenuti, informazioni e soprattutto è un insieme di tecnologie ibridanti, che trasformano, potenziano e arricchiscono qualsiasi cosa toccano: pensiamo all’energia, ai materiali, alla genomica e perfino alle automobili. Le quotazioni strabilianti di Tesla non hanno giustificazione economica se non nella dimostrazione della potenza dell’hype legato al digitale. D’altra parte, come riporta l’ultimo rapporto di Bank of America, il settore tech statunitense vale oggi più dell’intero mercato azionario europeo, includendo anche Svizzera e Regno Unito. Ha infatti raggiunto una capitalizzazione di 9.100 miliardi di dollari, rispetto agli 8.900 miliardi di tutte le società quotate in Europa. Nel 2007 i titoli europei valevano quattro volte più dei titoli tech statunitensi. Inoltre Jeff Bezos, grazie all’esplosione dell’e-commerce alimentata dal distanziamento forzato è oggi non solo l’uomo più ricco del mondo ma è il primo a superare i 200 miliardi di dollari patrimonio. Questo aumento della velocità e dell’impatto delle trasformazioni guidate dalla tecnologia – digitale ma non solo – unito alla sempre più sfuggente prevedibilità di fenomeni e comportamenti, sta mettendo sul lettino del paziente il processo decisionale dei manager. E i medici al capezzale di questo paziente importante non concordano su diagnosi e prognosi e si stanno dividendo in due gruppi contrapposti e agguerriti: i tecno fan, che auspicano che tutto venga gestito dalle macchine, capaci – secondo loro – di fare molto meglio dell’uomo; e gli umanisti, invece, che rispettano e usano le macchine ma non abbandonano mai il loro senso critico, convinti che l’uomo – nella sua complessità, finitudine e umanità – sia (e debba essere) sempre superiore alle macchine. Il punto che sottende l’attuale riflessione sui temi tecnologici è saper conciliare il senso del limite con la voglia di superarlo; è un’attitudine necessaria, complessa, e oggi molto richiesta dalle aziende eccellenti perché consente di gestire con efficacia incertezza e ambiguità senza disorientarsi. Di accettare obiettivi “quasi impossibili” senza perdersi d’aniRENATO CARTESIO mo. L’ambiguità è sempre più presente nei 22

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L’INNOVAZIONE È TALE DA RICHIEDERE UNA NUOVA LEADERSHIP contesti lavorativi e il saperla gestire – o meglio saperla abitare – sarà una dote fondamentale dei leader. Che fare dunque? Dobbiamo accettare il limite e la finitudine senza rinunciare a fare il massimo per comprendere e agire, usando al massimo (o forse al meglio) la tecnologia disponibile. Questo è il dilemma che sottende ogni autentico processo decisionale e richiede – per essere gestito – di introdurre una dimensione etica che si affianca alla dimensione prettamente tecnico-economica, che si concentra esclusivamente sulla massimizzazione dell’utilità e sulla remunerazione del capitale. Ogni tecnologia – per esempio la pistola o l’energia nucleare – può essere usata per fare sia del bene (nel nostro esempio difenderci dai criminali o curare il cancro) che del male (uccidere un innocente o costruire una bomba atomica). Ma l’uso di piattaforme digitali non si limita a opzioni binarie ma apre a un ventaglio amplissimo di opzioni e quindi di possibili impatti … E le opzioni sono molto più articolate della polarizzazione “bene o male” (come invece accade con l’uso della pistola o dell’energia atomica). Per questo motivo serve capacità di discernimento, che richiede la capacità di prefigurare i possibili impatti ed effetti collaterali. La conoscenza tecnica o la modellistica economica non è dunque più sufficiente. Roland Barthes ha spiegato questo concetto: «Discernere è distinguere, separare, scartare, limitare, enumerare, valutare, riconoscere la funzione fondatrice della differenza». Bisogna cioè passare dal manager-decisore a due dimensioni (utilità per il mercato e remunerazione del capitale investito) al leader-orientatore che opera su più dimensioni (non solo utilità e redditività, ma anche impatto ambientaleed etico) all’interno di un ecosistema sempre più plasmato dalle tecnologie e in particolare dal digitale. La questione in gioco è che emergano nuovi rischi di tipo sistemico se si consente uno sviluppo non controllato


COVERSTORY della scienza, che punti esclusivamente alla massimizzazione di alcune “utilità”, come nel caso di allungare il più possibile la vita, guidare senza conducente. Il tema è ormai conclamato e incomincia a preoccupare perfino gli scienziati e gli innovatori più visionari e coraggiosi. Non parliamo solo dei rischi di una intelligenza artificiale che assuma un potere tale da diventare un Golem incontrollabile, rischi che sono stati denunciati con una petizione del 2015 lanciata da Stephen Hawking e Elon Musk, sostenuti da Bill Gates e da JEFF BEZOS, FONDATORE DI AMAZON ELON MUSK, FONDATORE DI TESLA molti scienziati. Ma anche, ad esempio, del dibattito sugli algoritmi che guidano la “macchina senza guidatore” a evitare gli incidenti “scegliendo il orici della complessità hanno introdotto il concetto di proprietà male minore. emergente: il comportamento non è deducibile matematicamenTre sono le possibili ricette per passare – nel caso delle tecnologie te ma emerge man mano che il sistema evolve … e quindi risulta digitali – da semplici decisioni a un più maturato ed equilibrato fondamentale il monitoraggio continuo discernimento: Questa evoluzione del decision making aziendale in discerni1. Adottare il “principio di precauzione”. mento si collega naturalmente al tema del social impact – cuore 2. Non spegnere mai il senso critico. di un’autentica long term sustainability e quindi del valore stesso 3. Monitorare sempre l’output delle decisioni legate al digitale. dell’impresa. Con questa espressione si intende, infatti, quel (deInnanzitutto l’adozione del “principio di precauzione”. Elaborato siderabile) impatto positivo che l’azienda deve poter ottenere nel dal filosofo Hans Jonas nel 1979 per inquadrare il tema decisio- proprio ecosistema di riferimento (non solo esterno ma anche innale nei contesti caratterizzati dall’applicazione incessante della terno all’azienda); impatto che si declina lungo tre direttrici: Envitecnologia in tutti gli aspetti della vita – potrebbe essere riassunto ronment, social e governance (Esg)e quindi impatto ambientale, nella frase: «Agisci in modo che le conseguenze della tua azione impatto sociale e trasparenza/integrità nella conduzione della siano compatibili con la sopravvivenza della vita umana sulla ter- stessa azienda, che deve diventare, o meglio rimanere, “a good ra». Queste riflessioni sono alla base del principio legislativo di place to work”. precauzione sancito nella Conferenza delle Nazioni Unite sull’Am- Non è dunque più sufficiente sviluppare prodotti utili e remunebiente e lo Sviluppo di Rio de Janeiro nel 1992 e della formulazio- rare il capitale investito di azionisti e debt holder; bisogna saper ne del Protocollo di Kyoto sulla riduzione dei gas serra. anche creare un impatto positivo all’interno del proprio sistema La proiezione di Hans Jonas è verso le generazioni future, e si di riferimento ed essere un’azienda per la quale ci si sente orgoricollega in modo particolare alla emersione, in tempi recenti, di gliosi di lavorare. un fenomeno sconvolgente, quale è quello dell’ambiente inqui- Il tema è emerso negli ultimi anni: basti pensare alla lettera ai CEO nato, con le sue conseguenze a largo raggio e di lungo periodo. delle grandi corporation scritta dal Ceo di Black Rock Larry Fink L’imperativo fondato sul principio di responsabilità, che nella sua a gennaio 2018 (“A sense of Purpose”) ... vera e propria call to forma semplice presuppone una tendenziale ipotizzabilità delle action al Social impact. Oppure alla dichiarazione dei nuovi “princonseguenze, deve essere pertanto adattato al fatto che questa re- cipi fondativi dell’impresa” firmata ad agosto 2019 dagli ad (180) sponsabilità si estende ora all’ignoto. Il nocciolo della questione è delle più grandi corporation USA (e membri della Business Roundunque la “responsabilità intergenerazionale”: come rappresen- dtable). In ultima istanza la sfida è legata alle risorse umane e sotare gli interessi delle generazioni future, su ciò che condizionerà prattutto ai top manager. È dunque una questione di leadership: il loro presente? non solo di competenze e di strumenti ma anche di capacità, senIn secondo luogo la centralità del pensiero critico. Quello che ser- sibilità e soprattutto mentalità. Ed è per affrontare questo tema ve è il dubbio metodico che Cartesio metteva alla base del suo me- che è nato, a Torino, il progetto Cottino Social Impact Campus. todo scientifico: una “prova del fuoco” per eliminare tutte quelle La sua finalità è diventare un punto di riferimento internazionale credenze e stereotipi – prodotti anche dalle sofisticazioni e ma- sul social impact. nipolazioni dei produttori di soluzioni digitali – e riportare in su- Ma perché una nuova iniziativa formativa, o meglio tras(formatiperficie la vera natura del digitale. Cartesio sosteneva infatti che va)? Perché la capacità di generare social impact richiede diversi il dubbio fosse l’origine della saggezza e che l’errore consistesse ingredienti spesso non presenti nelle Business School tradizionasemplicemente nel fatto che «non sembra esser tale». Ciò implica li. Inoltre è un tema più trasformativo che formativo; va cioè co– nell’era della tecnica – anche di non fidarsi troppo di macchine e struito sul campo, su progetti sfidanti ma reali, con l’affiancamensoftware … e delle promesse fatte dai loro costruttori. to di persone imbevute di questi valori. Trasformare sensibilità, Infine il monitoraggio delle soluzioni digitali adottate, per vede- mentalità e capacità è infatti una delle sfide educative più comre se effettivamente i benefici promessi si sono avverati … o con- plesse, soprattutto quando il mercato e il contesto in cui si opera tinuano a esser validi. Il digitale crea sistemi socio-tecnici, il cui stanno a loro volta trasformandosi in modo radicale, mettendo in comportamento nasce dalla interazione reciproca tra funzionalità luce quando i modelli di business e di governance precedenti fostecnologiche e comportamenti umani … Per questo motivo i te- sero inadeguati. settembre 2020

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COVERSTORY

DISRUPTIVE TECHNOLOGIES IL VALORE ORA VA CERCATO LÌ di Sergio Luciano

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i fa presto a deprecare le mode finanziarie. Ma, per esempio, quella che è passata alla storia come la bolla Internet del 2000, a ben vedere così bolla forse non era, perché oggi, vent’anni dopo, Internet è qualcosa di imprescindibile per il genere umano, nessuno immagina più la vita umana senza Internet”: Giancarlo Sandrin, country head per l’Italia di Legal & General investment Management - un asset manager molto ben reputato e da tempo specializzato negli investimenti sostenibili Esg – ha un pensiero laterale su molti temi di estrema attualità per i mercati, tra cui appunto hi-tech e sostenibilità: “Quel che nel 2000 parve una bolla ed esplose era invece un settore neonato che stava crescendo rapidissimamente creando nuove opportunità di business e di investimento”. D’accordo, ma con questo approccio non si rischia di perdere di vista le valutazioni economiche fondamentali? Tutte le valutazioni sono chiaramente sempre legate a un momento specifico di mercato. Per questo noi, quando parliamo di investimenti tematici, cerchiamo di andare a prendere quei temi che ci sembrano un volano per il futuro dell’economia. Li definisco temi perché non possiamo neanche più chiamarli settori: i settori classici, per esempio i consumer-goods, sono troppo statici e legati al passato. Ci sono invece temi che stanno comportando cambiamenti radicali nelle industrie tradizionali. Li chiamiamo disruptive technologies. Offrono o almeno prospettano un’efficienza nuova, soddisfano delle nuove esigenze dei consumatori, costruiscono appunto il futuro. Cerchiamo di individuare quel24

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INVESTIRE SULLE SOCIETÀ CHE REALIZZANO IL CAMBIAMENTO TECH MEDIANTE GLI ETF. LA SCELTA DI LEGAL&GENERAL IM

Giancarlo Sandrin, country head per l’Italia di Legal & General Investment Management

li più consistenti in quest’ottica. Detto ciò, è ovvio che investire in un paniere di titoli è più sicuro che investire su una singola azienda. Se riprendiamo il paragone con il 2000, Amazon sicuramente è stato un titolo vincente sotto tutti i punti di vista, ma molte altre società sono praticamente scomparse e nemmeno più ci ricordiamo della loro esistenza. Tra le vostre specializzazioni c’è quella degli Etf, ne offrite un’ampia gamma tematica. Quali sono i temi in cui credete di più, sia nel breve che nel lungo periodo) Voglio fare una premessa. Quando costruiamo il paniere dei titoli che compongono un Etf ci avvaliamo quasi sempre di un consulente esterno della massima competenza industriale specifica su quel dato settore.

Qualche esempio? Per la robotica usiamo una società che si chiama Robo Global, ci avvaliamo di Transport Intelligence per la logistica dell’e-commerce, e tanti altri esempi analoghi. Insomma: società che effettivamente sono presenti nell’industria su cui puntiamo. Non perché le nostre conoscenze finanziarie non siano sufficienti a svolgere analisi complete, ma le conoscenze industriali specifiche aiutano. L’altra nostra caratteristica è che nei nostri portafogli Etf tutti i titoli presenti hanno lo stesso peso. A differenza dei classici indici che conosciamo, dall’S&P 500 al Ftse Mib, dove le big-chip spadroneggiano, i nostri Etf danno le stesse opportunità sia alla società small


COVERSTORY cap sia alla società large cap. Questo dà un volano ulteriore alle società più piccole che possono diventare i futuri unicorni, come fu per Amazon. E oggi su cosa puntate? Come Etf tematici ne abbiamo che si occupano della robotica e dell’automazione, due settori di assoluta importanza: da un lato il sistema deve far fronte a un aumento della produttività e, dall’altro, alle esigenze di distanziamento fisico dei lavoratori, e la robotica ci aiuta. Puntiamo poi sulla Cyber Security. Constatiamo che il remote working sembra entrato nell’uso corrente e permanente, questo genera nuove esigenze di sicurezza informatica per tutelare la postazione di lavoro virtuale. Un altro cambiamento permanente è la propensione all’e-commerce, e la complessa macchina logistica che lo rende possibile ci interessa. E ancora, altri temi di investimento attraenti sono quelli della Lifecare, quindi l’innovazione sanitaria, la telemedicina, tutti gli apparecchi diagnostici, la tecnologia legata alla medicina eccetera. E l’ecologia? Con il nostro Climate Impact Pledge, l’impegno per contrastare il cambiamento climatico, ci siamo dati una strategia focalizzata su tutte quelle attività che garantiscono il massimo contrasto alle emissioni di CO2. Questo significa essere attivi nelle assemblee societarie e verificare gli impegni che i board assumono sul piano ecologico. Dal punto di vista dell’investitore, significa tener conto di tutte le nuove opportunità che emergono dalla green economy. Anche qui qualche esempio? Siamo molto attenti al ciclo di produzione delle batterie. Le batterie rappresentano quel sistema che aiuta l’utilizzo delle energie rinnovabili perché ne abilitano l’impiego su vasta scala. Non mi riferisco naturalmente alle piccole batterie di uso corrente ma al grande storage di energia, piuttosto che alle batterie dei veicoli elettrici. E poiché crediamo nel futuro della mobilità elettrica, crediamo nel futuro delle batterie di nuova generazione, che ne sono la vera componente essenziale. Restando sull’ecologia: in Italia si sono avute e continuano forti polemiche sull’impatto ambientale delle grandi opere e delle infrastrutture. Si sa che per far ripartire l’economia ce n’è bisogno, ma molte forze politiche anche di governo sono critiche al riguardo. Qual è il vostro punto di vista sulla possibilità di fare bene investimenti sostenibili in infrastrutture? La possibilità esiste, ed anzi è una necessità. Il rispetto dell’ambiente è un elemento centrale per tutti gli investitori. E dunque molte cose stanno rapidamente cambiando. Un esempio pratico di tutto questo lo vediamo ad esempio con la British Petroleum. Legal & General è stata una tra le prime società a sostenere una risoluzione nei confronti del board di BP per far sì che la società cambiasse quelle che erano le sue strategie di lungo termine in linea con le esigenze della sostenibilità ambientale. Ed oggi BP è una delle società del settore Oil che maggiormente rispecchiano questo nuovo trend. Seppur ancora legata al tema dei combustibili fossili cerca da un lato di ridurne le estrazioni e dall’altro di riorientare il business verso le fonti rinnovabili. Anche in ambito italiano società come Eni ed Enel stanno ponendo un grande accento sul tema della green economy perché sanno che è un’esigen-

za futura cruciale, imposta dalle normative future europee e rappresenterà un’opportunità ulteriore di business. E del resto anche nel quadro del Recovery Fund l’Unione Europea incentiverà in tutti i modi la green economy. Qui in Italia si tende a non credere molto alle dichiarazioni di intenti nobili ed etiche. Ci si chiede se questi enunciati di scrupolosa osservanza dei principi di rispetto ambientale siano sinceri o piuttosto ipocriti. Cosa ne pensa? E’ essenziale che le strategie delle aziende in cui investiamo siano effettivamente green. E’ troppo facile non investire in alcuni settori perché sono inquinanti, è invece qualificante individuare in essi le società che s’impegnano per farli cambiare, migliorare. Ad esempio sappiamo che il settore dell’oil sarà un settore che comunque dovrà essere presente nei portafogli per una equilibrata diversificazione e perché continueremo ancora a lungo ad utilizzare combustibili fossili, però è anche necessario ricordare che gli investitori sono potenti fattori di cambiamento e comportarci di conseguenza. Concludiamo con una domanda di metodo. Una vostra prerogativa, l’abbiamo appena ricordato, è la grande capacità di gestione e impegno negli Etf. Dovesse sintetizzare quali sono le qualità migliori degli Etf, cosa direbbe? Gli Etf sono sostanzialmente dei mattoncini per la costruzione di un buon portafoglio. E sono diventati sempre più competitivi non soltanto da un punto di vista di prezzo, ma anche dal punto di vista di esposizione al mercato, perché se un tempo le esposizioni degli Etf erano principalmente ristrette perché puntavano su pochi indici, negli anni si sono evoluti diversificandosi in prodotti sempre più specifici che magari riescono ad andare su nicchie di mercato, su singoli paesi, su temi verticali: temi value, temi momentum o minimum volatility, e ancora tutti quei nuovi Etf che vanno a cogliere i megatrend come le disruptive technology. L’etf diventa quindi uno strumento che va ad aumentare il ventaglio di possibilità di scelta per ogni investitore, non soltanto retail ma anche istituzionale: perché ricordo che la maggior parte degli investitori europei in Etf sono investitori professionali! settembre 2020

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SMART WORKING

TUTTO CASA, POCO UFFICIO IL LAVORO POST-COVID CAMBIERÀ di Marco Muffato

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osa sarà il centro di Londra senza più colletti bianchi a spasso per la city finanziaria? Sono stati in molti a chiederselo, e tra questi con i toni più allarmati anche il sindaco della capitale del Regno Unito Sadiq Khan all’indomani del lockdown con le strade del cuore finanziario di Londra ancora deserte e gli esercizi commerciali della zona desolatamente vuoti. E la prospettiva di rimanere tali anche in futuro per le scelte dei grandi gruppi bancari e finanziari di snellire e di molto la presenza umana negli uffici e a tempo indeterminato. Oppure di azzerarla del tutto, come attesta il radicale e scioccante annuncio dello scorso agosto di uno dei più grandi

DA LONDRA SCHRODERS AM SORPRENDE: «SARÀ SMART PER SEMPRE». POI SI AGGIUNGE ING. E BANCHE E RETI ITALIANE... operatori mondiale della gestione finanziaria, Schroders Asset Management: “lavorare tutti da casa per sempre”. Un annuncio talmente dirompente e gravido di conseguenze per lo svolgimento del lavoro tradizionale, che nel mondo pre-Covid era centrato sulla piena occupazione degli uffici da parte dei dipendenti, e per il business collegato nel cen-

IL SINDACO BEPPE SALA: «CARI BANCHIERI, FATE RITORNARE I DIPENDENTI NEGLI UFFICI» di Marco Muffato L’allarme del primo cittadino di Milano sulle scelte degli operatori della city finanziaria sul lavoro in presenza che potrebbero compromettere l’economia della metropoli lombarda. «Smart working utile ma lo spopolamento del centro e dei distretti in cui operano i grandi gruppi finanziari e bancari è una delle mie più grandi preoccupazioni»

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l primo cittadino di Milano, Beppe Sala, è davvero preoccupato per le scelte degli operatori della City finanziaria a dir poco prudenti sul rientro dei dipendenti nelle proprie sedi, un tempo brulicanti di vita e oggi desolatamente vuote o quasi. D’accordo il Covid-19, d’accordo l’efficacia dell’operatività in remoto garantita dalla tecnologia, ma la ripresa economica della città passa molto anche dal rientro dei bancari negli uffici che nel momento in cui Investire va in stampa sta sì

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avvenendo ma timidamente. La preoccupazione però non è solo per l’immediato: le politiche massive di smart working adottate da istituti di credito e società finanziarie potrebbero essere di lungo periodo e determinare danni permanenti per le attività economiche del capoluogo lombardo. Ma Sala ha anche altre riserve sullo smart working che spiega in questa intervista a Investire. Sindaco Sala, il primo cittadino di Londra Sadiq Khan ha espresso forte preoccupazione e contrarietà al possibile spopolamento della City londinese a causa del crescente successo dello smart working,


COVERSTORY/2 tro città (la probabile chiusura di uffici e il ridimensionamento delle sedi dei grandi operatori sta angosciando i professionisti del real estate, ma anche i titolari di negozi e attività commerciali della city) che Schroders AM ha cercato di attutire nei giorni successivi con un comunicato in cui l’asset manager ha affermato con decisione tre principi: di restare convinto che il lavoro in ufficio offra molti benefici e tale modalità rimarrà quindi una componente cruciale dell’approccio della società al lavoro flessibile; che la flessibilità lavorativa può assumere diverse forme, ma il punto cruciale sta nella scelta e nel consentire alle persone di lavorare nei modi più produttivi per loro, per il loro team e per la società. E soprattutto: che la flessibilità lavorativa non significa che tutti i dipendenti lavoreranno da remoto a tempo pieno. Ma la parziale retromarcia di Schroders AM sull’annuncio di agosto non ha arrestato il grande movimento d’opinione favorevole allo smart working all’interno di banche e società finanziarie, Anzi, molti intermediarti hanno colto il momento per svelare le proprie intenzioni di creare nuove condizioni di lavoro che consentano a dipendenti e collaboratori di raggiungere i propri obiettivi indipendentemente che il lavoro si svolga in ufficio oppure a casa.

Torre Generali nell’area di CityLife: uno dei simboli della Milano finanziaria che in queste settimane sta ospitando ancora pochi dipendenti

La rivoluzione “super flessibile” di Ing arriva in Italia L’iniziativa apripista di Schroders Asset Management è stata che ha portato giganti dell’asset management espressione del Regno Unito come Schroders ad annunciare la possibilità per i dipendenti di non lavorare più in ufficio e per sempre. Se l’esempio di Schroders fosse seguito in massa da banche e società finanziarie in Italia, l’economia di Milano – il suo centro in particolare – potrebbe ricevere un duro colpo. Cosa ne pensa? Che messaggio ha per il top management di banche e società finanziarie che comunque devono pianificare in modo ragionato il rientro del personale nelle sedi centrali dopo il lockdown e in un contesto dove il Covid rimane un elemento di forte preoccupazione? Lo spopolamento del centro e dei distretti in cui operano i grandi gruppi

finanziari e bancari presenti a Milano è anche una delle mie più grandi preoccupazioni. Per fronteggiare l’emergenza Covid-19, con l’obiettivo di ridurre le occasioni di contagio, è stato doveroso oltre che un segnale di grande responsabilità da parte delle aziende potenziare e incentivare il lavoro a distanza per le professioni che lo consentivano. Ora, però, è arrivato il momento di tornare ai propri posti di lavoro, in presenza, magari anche parzialmente. E questo, sia chiaro, deve comportare sia il rientro negli uffici in totale sicurezza - quindi ridefinendo gli spazi per garantire la distanza interpersonale, stabilire orari di ingressi e uscite scaglionati, mettere a disposizione gel e altri strumenti per la disinfezione personale -, sia la necessità di normare e garantire le giuste tutele per chi è in “smart working” e

seguita in Italia da Ing. Da settembre tutti i mille dipendenti Ing nelle 33 sedi italiane potranno trasferire il proprio ufficio tra le quattro mura di casa con la modalità dello smart working «super-flessibile». Una facoltà quella di lavorare 5 giorni su 5 da casa per una settimana che in tantissimi potrebbero cogliere al volo facendo leva su un modello che assicura la massima libertà di scelta su come organizzare il proprio lavoro in base alle esigenze personali e professionali. Questi i 5 elementi-chiave del modello Ing, come riportati sul sito della società: “1) libertà di scelta e personalizzazione su come alternare lavoro da sede e da casa; 2) diritto alla disconnessione in determinate fasce orarie per un ottimale equilibrio tra vita professionale e personale; 3) contributo economico mensile in welfare e rimborso per lo shopping da smart worker professionista” per chi decide di lavorare da casa; 4) momenti-chiave di socialità sia virtuali che di persona, per coltivare le relazioni tra colleghi ed alimentare la cultura di squadra, stimolare il confronto, lo scambio di idee e mantenere vivo lo spirito Orange, la cultura aziendale che da sempre è punto di forza per Ing; 5) formazione per preparare al meglio tutto lo staff, gestori di risorse e non, puntando sulla “telelavoro”. Un mancato rientro nei luoghi di lavoro rischierebbe di aggravare ulteriormente la situazione di diversi comparti economici, con la perdita di numerosi posti di lavoro. L’assenza dei lavoratori negli uffici nel blocco e poi in questi mesi post lockdown sta costando molto a tutte le realtà economiche. Temo, in particolare, che gli istituti di credito e finanziari o le grandi multinazionali e aziende che pagano l’affitto per palazzi completamente vuoti potrebbero decidere di chiudere alcune sedi. Senza contare quanto bar, ristoranti, negozi di ogni genere stanno già soffrendo, perché per sopravvivere queste imprese hanno bisogno di clienti che varcano di persona, fisicamente, le porte dei negozi. Con il suo passato di altissimo

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fiducia e sul lavoro per obiettivi”. La decisione di Ing di puntare su un modello così personalizzabile, si legge sul sito del gruppo olandese, “nasce, in accordo con le rappresentanze sindacali, dall’esperienza positiva di questi ultimi mesi di lavoro da remoto e dalla richiesta a gran voce dei dipendenti di Ing. Una survey interna, infatti, ha mostrato che il 90% dello staff si sente pronto per lavorare in smart working a super-flessibilità, il 55% si sente più produttivo lavorando da casa” e il 72% concilia meglio vita privata e lavoro. Ma in quanti intendono puntare sull’uso massivo dello smart working come ha fatto Ing. Investire ha chiesto lumi sulle loro intenzioni a sette grandi gruppi bancari e finanziari operanti in Italia e con sedi importanti a Milano, cercando di capire se le politiche di lavoro agile utilizzate in modo pressoché totale per il personale di sede nel periodo del lockdown (e in maniera meno capillare sul personale di filiale e ancor di più sui consulenti finanziari che, quali lavoratori autonomi, sono stati agevolati soprattutto sul piano delle dotazioni tecnologiche per svolgere senza troppi contraccolpi l’attività di relazione con i clienti) sono destinate a diventare misure di generalizzata diffusione quando la vita del business tornerà ai livelli pre-Covid. Il risultato è che in prevalenza i big player bancari e finanziari hanno deciso di far rientrare il personale in sede seppur in misura ridotta (nei diversi casi tra il 25 e il 50% del personale) e previsto invece una prosecuzione del lavoro agile per i restanti dipendenti. Caso diverso per i didirigente di grandi aziende private e pubbliche che idea si è fatto dello smart working? Un uso massiccio di questo strumento quali controindicazioni ha a suo giudizio per il buon andamento delle imprese che lo utilizzano? Lo smart working è una modalità di lavoro che ha dimostrato la sua utilità soprattutto nel corso dell’emergenza e credo che debba rientrare tra i diritti dei lavoratori nella nuova era digitale, in un opportuno ripensamento dello Statuto dei lavoratori. In Comune stavamo già sperimentando questa modalità; per far fronte alla pandemia la abbiamo ulteriormente incentivata e sostenuta. Sono convinto che il lavoro a distanza sia una grande opportunità che comporta un cambio di paradigma decisivo nell’organizzazione del lavoro, per questo necessita di essere

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Antonio Gusmini, capo del personale di Banca Mediolanum. Nella pagina di destra, Marco Bernardi, vicedirettore di Banca Generali

normato e ben governato in questo percorso di transizione. Le performance dei lavoratori a distanza e dell’intera impresa che ne fa uso sistematico vanno analizzate con molta attenzione, tenendo conto di molteplici fattori. Chi ha lavorato a distanza nel periodo del lockdown, per esempio, lo ha fatto al di fuori di un contesto di regole e tutele adeguate, spesso con grande sacrificio e nella difficoltà di conciliare le esigenze familiari - prima tra tutti la gestione dei figli o di cari che non stavano bene - con le incombenze lavorative. In questo, va ammesso, a pagare il prezzo maggiore sono state le donne; situazione non accettabile che va affrontata. Va poi aggiunta la frustrazione e il senso di alienazione derivante dal non avere contatti diretti, di persona, con gli altri che i lavoratori potrebbero

pendenti filiali e i consulenti finanziari che tornano a incontrare i clienti con le abituali consuetudini del vis-a-vis ma forti (in particolare i cf) di accresciute possibilità di incontrare i clienti tramite sistemi di videoconferenza via web e di concludere contratti in remoto con pc portatili e ipad. Per quanto attiene le sorti progressive dello smart working, l’indagine di Investire evidenzia come l’utilizzazione del lavoro agile sia destinata ad aumentare in banche e reti ma nessun intermediario sembra disposto a “pareggiare” per il momento la scelta di Ing sui 5 giorni su 5 in home working, più favorevoli a soluzioni miste, a formula 3 giorni in ufficio più due a casa per i dipendenti di sede e comunque per le figure professionali che possano svolgere in remoto almeno in parte il proprio lavoro. Ma vediamo nel dettaglio cosa rivelano banche e reti sulle loro scelte in materia di smart working. Quei rientri in sede (molto) graduali «Circa l’86% degli oltre duemila collaboratori della sede di Basiglio ha lavorato in smart working nel corso degli ultimi mesi, dal periodo di lockdown, sino a ora», spiega Antonio Gusmini, responsabile del personale di Banca

«Un mancato rientro nei luoghi di lavoro rischierebbe di aggravare ulteriormente la situazione di diversi comparti economici, con la perdita di molti altri posti. L’assenza dei lavoratori dagli uffici sta costando molto a tutti»


COVERSTORY/2 Mediolanum. «Con la ripresa lavorativa, è previsto un piano graduale di rientro al posto di lavoro che prevede, a settembre, il ritorno di circa il 40% della forza lavoro. Tale piano è strutturato seguendo i criteri di massima tutela sanitaria del personale: test sierologici per chi ricomincia, riallocazione di spazi e percorsi all’interno degli edifici lavorativi per evitare assembramenti, svolgimento di riunioni con applicativi ad hoc - Teams e Zoom per esempio -, flussi di ristorazione su più turni, dispositivi per la misurazione della temperatura all’ingresso di tutti i palazzi». «Lo smart working non è stata una novità per Banca Generali», spiega Marco Bernardi, vice direttore generale della banca del leone alato. «Già prima dell’emergenza da Covid 19, infatti, più della metà dei nostri dipendenti nelle sedi di Milano e Trieste poteva usufruire di questa particolare modalità di lavoro con l’obiettivo finale di migliorare il proprio equilibrio vita lavoro. Con la diffusione del virus e il conseguente lockdown, la percentuale di dipendenti di Banca Generali in smart working è salita ad oltre il 90% con la piena operatività nelle sedi limitata solamente alle funzioni fondamentali per l’assistenza alla clientela quali, ad esempio, i

colleghi delle filiali sul territorio». Capitolo rientro al lavoro in ufficio. «Oggi, l’incertezza sul fronte sanitario ci ha portato a rimodulare gli spazi così da garantire ulteriormente il distanziamento sociale, evitare gli assembramenti e igienizzare costantemente gli spazi», sottolinea Bernardi. «Ci siamo inoltre dotati di una app che coinvolge tutti i dipendenti per certificare la propria situazione sanitaria prima dell’ingresso nelle sedi. Queste azioni sono alla base del percorso che stiamo intraprendendo e che nelle prossime settimane, in ottemperanza ai decreti normativi, ci porterà a far tornare in sede una percentuale di lavoratori dipendenti fino al 50% (su 800 totali, ndr)». Dunque nella Torre Generali (che ospita tutte le società del gruppo e dove Banca Generali occupa sette piani compreso lo spazio occupato dalla propria filiale) di Milano torneranno a lavorare a partire dal mese di ottobre circa 200 dei 400 dipendenti di Banca Generali; nello stesso arco di tempo rientreranno negli uffici centrali di Trieste altri 200 dipendenti sui 400 in organico. C’è chi è stato facilitato dal dna tecnologico nella realizzazione di un sistema di smart working su larga scala. «Abbiamo il privilegio di essere “nati digitali”, esordisce Dario Di Muro, direttore generale di IWBank Private Investments. «Questo ci ha senza dubbio favorito nell’adeguare in tempi rapidi il modus operandi alle mutate condizioni. Grazie al nostro Dna digitale, lo smart working non ha rappresentato un ostacolo ma semplicemente un altro modo, ugualmente efficiente, di svolgere le nostre regolari attività: nel periodo di lockdown, infatti, il 95% dei nostri colleghi di sede ha lavorato da remoto senza vivere e che potrebbe incidere sulla resa finale dell’impiegato e dell’azienda, oltre che avere ripercussioni nel quotidiano e sulla sfera personale di ognuno. Una grande città metropolitana come quella che lei guida è anche, in definitiva, una grande società di servizi. Pensa che questo genere di attività di servizi ai cittadini e al vasto pubblico possano un domani avvalersi meno di oggi della relazione fisica con gli uffici grazie ad un maggior sviluppo del digitale? La tecnologia è una risorsa fondamentale, un alleato indispensabile per rendere più efficiente la macchina pubblica e più immediato il dialogo tra i cittadini e le istituzioni. È sulla capacità di offrire sempre più servizi

di pubblica utilità in via telematica che si giocherà il futuro delle città e delle pubbliche amministrazioni. Con questo non intendo dire che il contatto di persona, agli sportelli, verrà meno - quello deve proseguire e adeguarsi alle nuove esigenze, migliorandosi -, ma credo che troverà nella dimensione digitale un valido complemento e facilitatore. A proposito della City finanziaria, il London Stock Exchange ha messo in vendita Borsa Italiana. Non sarebbe il caso che il controllo dei nostri mercati di borsa passi in mani italiane o quantomeno comunitarie? Sì, voglio credere che da parte dell’Italia e dell’UE arrivi una proposta valida e solida, perché Borsa Italiana è un asset strategico che non può essere perso.

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Dario Di Muro, direttore generale di IW Bank Private Investments

alcun impatto sulla produttività». Per la cronaca a settembre è previsto il rientro in ufficio del 25% del personale di sede. «Prima del Covid-19 avevamo 250 contratti in essere relativi al personale di sede e prevedevamo di arrivare in breve tempo a quota 400 contratti in smart working», spiega Carlos Gonzaga, direttore human resources di Deutsche Bank in Italia. “Disponevamo di un processo già oliato e quindi è stato gioco facile estenderlo a tutto il personale da coinvolgere. Durante il lookdown tutti i dipendenti di sede, 1500 persone, hanno lavorato in smart working e a rotazione anche il personale di filiale, per un totale di 3600 persone”. E con la ripresa di settembre cosa succederà? «Monitoriamo l’andamento dei contagi, il rientro sta avvenendo in maniera ordinata, programmato con un sistema di procedure di sicurezza che ci assicurano distanziamento e prevenzione, con scale per salire e scale per scendere giusto per fare un esempio. In questa fase è difficile pensare di riportare in Piazza del Calendario (la sede milanese di Deutsche Bank, ndr) più del 50% del personale. Già oggi siamo intorno alle 300 persone e potremmo arrivare ad averne fino a 750. L’idea comunque è di far rientrare tutti in ufficio seppure a periodi alterni», afferma Gonzaga. Il responsabile delle risorse umane di Finecobank, Marco Longobardi, racconta come grazie al lavoro agile in breve tempo «siamo stati in grado di dotare tutti i colleghi dei necessari strumenti per permettere alla quasi totalità di loro di lavorare tutti i giorni da casa senza particolari difficoltà. Un esempio su tutti, l’intero customer care della banca è stato 30

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Carlos Gonzaga, direttore human resources di Deutsche Bank in Italia

DI MURO: «GRAZIE AL NOSTRO DNA DIGITALE, LO SMART WORKING NON CI HA DISORIENTATI» abilitato all’home working in brevissimo tempo, con ottimi feedback anche da parte dei clienti. In questi mesi abbiamo rafforzato l’attenzione al benessere dei nostri dipendenti a tutto tondo. Qualche esempio: abbiamo attivato un servizio di supporto psicologico, uno spazio di ascolto utile a mitigare gli impatti che l’emergenza può aver generato anche a livello emotivo. Inoltre, abbiamo offerto a tutti i colleghi la possibilità di richiedere il rimborso dell’abbonamento annuale ai servizi di bike sharing. Infine, sarà disponibile per tutti i colleghi un kit di strumenti che comprende sedia ergonomica, monitor, mouse e tastiera con l’obiettivo di ricreare a casa proprio lo stesso comfort della postazione in ufficio». Anche casa Credem si è abbondato con il lavoro agile: «Tutto il personale di sede può usufruire di smart working fino a 5 giorni a settimana», sottolinea Andrea Bassi, direttore del personale di Credem. «Questa situazione permette da un lato di gestire al meglio la sicurezza sanitaria contenendo il più possibile il rischio di esposizione e di contatto sia nel tragitto casa lavoro sia in ufficio e dall’altro consente a ogni persona di organizzare al meglio la propria situazione famigliare avendo per esempio la flessibilità necessaria per gestire i figli». «Abbiamo suggerito, senza costrizioni, alle persone di cominciare un progressivo rientro nelle sedi per un numero massimo di due giornate al fine di non perdere il contatto con azienda e colleghi», aggiunge il capo del personale della banca emiliana. «Il tutto nel rispetto di distanziamento e presenza massima di persone nello stesso ufficio».

Consulenti e filiali, si torna a incontrare i clienti Il primo pensiero delle reti nel periodo del lockdown è stato di dotare di supporti tecnologici adeguati per gestire la relazione a distanza con i clienti, come il dg di IW Bank PI Di Muro «Per fornire un maggiore supporto alla rete, e per migliorare quindi i livelli di servizio alla clientela, abbiamo rilasciato nuove modalità operative tra le quali l’esecuzione di ordini di compravendi-


COVERSTORY/2 MARTINI (AZIMUT): «LAVORARE IN UFFICIO? NON È UN DOGMA, CONTA RAGGIUNGERE GLI OBIETTIVI» di Marco Muffato Quanti cambiamenti profondi nelle grandi reti di cf nel dopo lookdown. Azimut per esempio è a buon punto nella “rivoluzione smart working”. Ne parliamo con Paolo Martini, amministratore delegato e dg di Azimut Holding, vice presidente di Azimut Capital Management e presidente di Azimut Libera Impresa Sgr. Martini, smart working sì o no in casa Azimut? Smartworking sì e spiego la scelta. È ormai superato il concetto che il dipendente debba timbrare ogni giorno il cartellino alle 9 e alle 18. Ormai siamo sempre più interconnessi e quindi il luogo fisico ha meno rilevanza di prima, senza contare che oggi la presenza in ufficio non è un valore in sé mentre quello che è invece premiante è il raggiungere i propri obiettivi indipendentemente da dove si svolga il proprio lavoro e in orari fissi. Siete per lo smart working dei vostri dipendenti 5 giorni su 5?

No, questo no. È sbagliato pensare di lavorare solo nella propria casa davanti a un pc tutto il giorno, nel medio e lungo periodo rischia di diventare una esperienza alienante e insopportabile. Nel mix casa-ufficio a nostro avviso risiede la soluzione ideale. A seconda delle singole necessità e caratteristiche la persona potrà stare per esempio, tre giorni in ufficio e due a casa, ognuno potrà gestire il suo tempo come crede comunicando all’azienda la sua scelta: sarà realizzato un tool informatico che aiuterà a prenotare la propria presenza in sede con un proprio desk. Come sarà rinnovata la vostra sede di via Cusani 4?

ta di titoli di risparmio amministrato tramite firma digitale Otp» e in materia di formazione dei cf «abbiamo organizzato diversi incontri di formazione interna e con i principali asset manager e sviluppato dei webinar in cui viene fatta l’analisi evolutiva dei portafogli-modello, declinati sia per asset-class che per singoli prodotti, aggiornati su base mensile e messi a disposizione della rete» e inoltre «abbiamo predisposto web corner, cioè postazioni da cui poter condividere con i clienti documenti o anche video realizzati in maniera professionale». Una strategia comune ai maggiori operatori. «I family banker hanno mantenuto i contatti con la clientela e con le direzioni societarie centrali avvalendosi, in questi mesi, degli strumenti digitali per svolgere incontri a distanza. Con

Stiamo effettuando una ristrutturazione profonda dell’organizzazione degli spazi che sarà ultimata entro la fine dell’anno. Ci saranno meno persone di prima in sede contemporaneamente: abbiamo investito in tecnologia, potenziato la potenza di connessione e la dotazione di pc, moltiplicato per tre le sale meeting. Si verrà in sede ma in maniera finalizzata e prenotando per tempo il proprio spazio. Naturalmente ci sono alcuni lavori che non possono essere fatti a distanza. Questa rivoluzione interesserà anche i consulenti finanziari? È una rivoluzione che non li riguarda per dna. Il cf lavora in smart working da sempre,

il bravo consulente ha come suo ufficio il mondo: lavora in casa, in macchina, si reca dove indicato dal cliente, aiutato in questo da ipad e pc portatili. Certo la pandemia farà fare ulteriori riflessioni ai consulenti finanziari sull’opportunità di mantenere uffici personali e in condivisione con altri colleghi, che in alcuni casi sono anche molto costosi. Tra qualche anno il concetto di ufficio tradizionale sarà probabilmente sorpassato dagli eventi. Sarà un luogo di incontro con i clienti o per fare eventi, sarà utilizzato on demand in una logica quasi di clubhouse, che consentirà anche di fare networking con professionisti operanti in altri business. Con la conclusione del lockdown i vostri consulenti finanziari sono tornati a incontrare i clienti? Certo, i cf hanno la libertà di incontrare i clienti naturalmente rispettando le regole esistenti, come il distanziamento sociale e indossando la mascherina al chiuso. Tutti siamo diventati più tecnologici e questo permette di risparmiare tempo e denaro.

i clienti inoltre è stato possibile continuare a garantire la normale operatività su tutte le aree di business attraverso la firma digitale», spiega il direttore del personale di Banca Mediolanum. La novità è che i consulenti finanziari della banca della famiglia Doris sono tornati a incontrare i clienti di persona, con l’accortezza di assecondare quei risparmiatori che preferiscono mantenere la relazione sui canali remoti. Di certo che il lavoro di cf in questi mesi è cambiato profondamente. «La pandemia e il conseguente lockdown hanno costretto il mondo delle reti a ripensare il modo di svolgere una professione che, fino a pochi mesi fa, si basa quasi interamente sul rapporto personale», afferma Bernardi di Banca Generali. «Anche su questo punto di vista ci siasettembre 2020

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mo mossi per tempo. Già dai primi casi di contagio in Italia, abbiamo lavorato per rafforzare tutti i processi digitali legati all’execution. Come primo step, abbiamo rilasciato un ulteriore sviluppo della nostra digital collaboration per la gestione degli ordini di investimento. Abbiamo quindi reso possibile la disposizione di ordini anche tramite email, così da mettere a disposizione della nostra rete un ulteriore strumento in favore della clientela. Il tutto senza ovviamente tralasciare il potenziamento delle infrastrutture digitali che, durante il lockdown, hanno rappresentato l’unico strumento di contatto tra i banker e i clienti». Questo nel recente passato, ma ora si torna all’incontro a tu per tu. «Oggi gli uffici dei nostri professionisti su tutto il territorio italiano sono riaperti e consentono ai nostri banker di poter incontrare in totale sicurezza i propri clienti, grazie a spazi perfettamente igienizzati e ripensati ad hoc per garantire il corretto distanziamento sociale», dice il vice dg di Banca Generali. E in filiale? «Si ritorna tutti insieme al lavoro con l’eccezione delle persone con fragilità fin quando perdurerà la fase di emergenza: si tratta di un 3% dei 1200 dipendenti di filiale», spiega il responsabile HR di Deutsche Bank. E sui consulenti finanziari cosa avete previsto? «Parliamo di liberi professionisti che lavorano a provvigione e quindi possono tranquillamente incontrare i clienti con il limite, che vale per tutti, del rispetto delle norme governative in materia di distanziamento e di uso delle mascherine al chiuso. Quello che abbiamo fatto in più è di dotarli di strumenti per lavorare bene in remoto». FinecoBank nel periodo più critici, quello del lockdown, ha messo in campo diverse iniziative per i consulenti finanziari quali, spiega Longobardi “Sostegno economico per i cf ancora in fase di consolidamento dell’attività, proroga delle scadenze degli obiettivi commerciali e attivazione di una polizza a favore dei consulenti che hanno contratto il Covid 19. Sul fronte della formazione, abbiamo reso la fruizione dei corsi completamente online e rafforzato il supporto formativo già in essere per i nostri manager di rete». «Per quanto riguarda i nostri 400 Fineco Center», continua il direttore HR di FinecoBank, «sono stati subito messi in sicurezza applicando tut-

Marco Longobardi, responsabile delle risorse umane di FinecoBank

Andrea Bassi, direttore del personale di Credem

FRANZONI: «I CF SONO SMART PER DNA, LA LORO ATTIVITÀ NON È LEGATA A UN LUOGO FISICO COME LA FILIALE» 32

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te le normative su monitoraggio della salute e distanziamento sociale, ma anche nei momenti di minore accessibilità non abbiamo rilevato difficoltà nel mantenere saldi i rapporti con i clienti, grazie a una gestione efficiente delle modalità di lavoro da remoto». Credem dispone sia di una rete di filiali che di consulenti finanziari. Ai dipendenti di filiale, spiega il capo del personale Bassi, sono state date “Le stesse opportunità offerte al personale di sede ma con alcune limitazioni in termini di giorni massimi a settimana di smart working, che non possono essere superiori a due, per chi ricopre alcuni ruoli che debbono garantire l’apertura delle filiali». Discorso diverso per i cf, afferma Moris Franzoni, responsabile rete consulenti finanziari di Credem.«I consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede sono per definizione autonomi e le modalità di lavoro “smart” sono connaturate all’attività stessa del cf che non è legata ad un luogo fisico come la filiale». «Detto ciò», continua Franzoni «abbiamo fortemente investito negli ultimi anni per garantire ai consulenti finanziari della nostra rete la possibilità di operare da remoto con efficacia: nel periodo emergenziale abbiamo ulteriormente accelerato con l’adozione di protocolli in contingency che coprissero tutto il panorama dei servizi di investimento e di banking tradizionale. Solo per fare qualche esempio, la


COVERSTORY/2 firma digitale o la piattaforma Google, utilizzata da tutto il gruppo Credem, che consente di incontrare i clienti da remoto in totale sicurezza e tramite qualsiasi dispositivo mobile».

Lavoro agile, il futuro è tuo Anche in casa Banca Mediolanum per smart working sembra profilarsi un fulgido futuro: «Lo smart working di questi mesi costituisce una esperienza preziosa per ripensare l’organizzazione del lavoro. Di certo si deve giungere a un mix equilibrato di lavoro in presenza e in remoto: il lavoro, in ultima analisi, si porta con sé anche una dimensione sociale e relazionale che è irrinunciabile», afferma Gusmini. Che fine farà lo smart working in casa DB quando la pandemia sarà solo un brutto ricordo? «L’esperienza odierna ci suggerisce, specialmente con riferimento alle direzioni generali, di incrementare lo smart working che diventerà quindi una modalità lavorativa stabile probabilmente con una normativa che favorirà un uso più estensivo: il contratto del credito parla oggi di 10 giorni al mese massimo e che non può essere utilizzata 5 giorni su 5. Peraltro non riteniamo che sia la cosa giusta da farsi, non torneremo al vecchio ma non si può pensare che gli uffici rimangono deserti. Crediamo che sia più equilibrato un modello misto con 3 giorni in ufficio e 2 a casa», conclude Gonzaga di Deutsche Bank. «Lo smart working assumerà un peso sempre più rilevante nella vita di ciascuno di noi e ci porterà a ripensare i nostri tempi e i nostri spazi», riflette Bernardi di Banca Generali. «Si tratta di cambiamenti che, per quanto riguarda il mondo della consulenza, porteranno ad un ulteriore consolidamento della professione, aiutando i consulenti a liberarsi ulteriormente della parte di execution – che sarà sempre più digitale – e dando loro maggior tempo per far emergere il valore della propria professionalità. In ogni caso, siamo convinti che la relazione personale sarà sempre centrale nella nostra professione e che il digitale rappresenterà un ulteriore supporto per rafforzare la relazione di fiducia che è alla base del rapporto consulente-cliente». «Allo stato attuale oltre il 95% del personale di sede lavora in home working e stiamo ragionando su

GUSMINI: «SI DEVE GIUNGERE A UN MIX EQUILIBRATO DI LAVORO IN REMOTO MA ANCHE, IRRINUNCIABILE, IN PRESENZA»

Moris Franzoni, responsabile della rete dei consulenti finanzari di Credem

un rientro progressivo dei colleghi», sottolinea Marco Longobardi di FinecoBank. «Continueremo a monitorare l’evolversi della situazione e proseguiremo nel percorso tracciato in questi mesi. Il nostro obiettivo rimane quello di favorire un modo di lavorare nuovo e una maggiore fluidità nelle relazioni che metta al centro la persona, la sicurezza e le esigenze di conciliazione vita privata e vita lavorativa». Credem crede e molto nella bontà dello strumento e lo adotterà anche in futuro. «Per noi lo smart working era già una modalità di lavoro attuata a partire dal 2015 e quindi ampiamente consolidata. Per questo manterremo questo modo di lavorare anche per il futuro perché crediamo siano molti i benefici che derivano da questo approccio sia per le persone sia per l’azienda e che il successo per il futuro passerà sempre più da queste nuove modalità di lavoro basate sulla fiducia e sul risultato prodotto dalle persone e non sul tempo trascorso in ufficio», afferma Bassi. Sul destino del lavoro agile l’ultima parola è del dg di IWBank Private Investments Di Muro «La crisi del Covid-19 ha costretto il mondo a compiere un enorme balzo in avanti in termini di digitalizzazione ed implementazione di forme di lavoro alternative e non tradizionali. La nostra anima digitale ci ha permesso di non farci trovare impreparati, e non possiamo quindi che credere e sperare che le modalità operative che hanno caratterizzato questo periodo siano destinate a diventare sempre più presenti insieme a quelli più standard alle quali eravamo abituati. Tutto questo potrà sicuramente avere anche ricadute positive per la società nel suo complesso». settembre 2020

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INVESTIRE sull’ ITALIA PARLA MARTORANA

Addio ai rendimenti a doppia cifra? Diversifichiamo sui mercati privati di Sergio Luciano

«È

illusorio pensare che, a fronte di tassi d’interesse risk-free prossimi allo zero o negativi, il rendimento generale delle asset class possa continuare a collocarsi sui livelli assoluti degli ultimi 10 anni»: Francesco Martorana, amministratore delegato di Generali Insurance Asset Management, si confronta in questa intervista con Investire sul grande interrogativo che attraverso il mondo dei gestori, dove collocare la propria liquidità in un mondo con i listini ai massimi e il reddito fisso ridotto a rendimenti rasoterra. «Del resto, i rendimenti che possono essere offerti dalle azioni quotate, dagli immobili e da qualsiasi asset class hanno comunque a loro volta, tutti, come punto di riferimento i tassi risk-free. A livello globale abbiamo 15 triliardi di dollari di obbligazioni che danno rendimenti negativi. Ormai il fixed income si chiama negative income… È dunque fondamentale che gli asset manager e gli asset owner regolino di conseguenza le loro aspettative. Portare a casa rendimenti a doppia cifra da azioni o obbligazioni da qui ai prossimi 5-10 anni non sembra realistico».

CON TASSI D’INTERESSE RISK-FREE VICINI ALLO ZERO O NEGATIVI SERVONO NUOVE IDEE

Un’apprezzabile lucidità, dottor Martorana, che peraltro sarebbe edificante rilevare con maggior frequenza su un mercato dove invece forse abbonda un po’ troppo un ottimismo a prescindere. Però devono pur esserci strategie di reazione a questo stallo. Tra l’altro, una realtà di grande spessore istituzionale come la vostra, abituata a confrontarsi con le esigenze di lungo termine delle compagnie assicurative del vostro gruppo per le quali gestite i patrimoni, ma anche di clienti terzi autorevoli come il fondo Cometa che vi ha appena affidato il mandato, può in qualche modo fare scuola. In definitiva: come vi state regolando? Per istituzioni come assicurazioni e fondi pensioni che sono liability driven – cioè il cui portafoglio è guidato delle caratteristiche passività – i tassi bassi sono lo scenario che negli ultimi anni si è imparato a gestire meglio, per quanto oggi la problematica abbia assunto proporzioni significative e senza precedenti. Na34

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turalmente la strategia c’è. Ed è chiara: è diventato indispensabile diversificare di più il portafoglio, e farlo sia sui mercati pubblici che sui mercati privati. Non è facile, certo, ma compagnie di assicurazioni e fondi pensione hanno l’indubbio vantaggio rispetto agli altri investitori di poter monetizzare un premio di illiquidità legato all’orizzonte temporale di lungo periodo nel quale si collocano.

Francesco Martorana, amministratore delegato di Generali investments Asset Management

Come valuta questa discrasia che si registra tra un’economia reale che fa ancora molta fatica a riprendersi e i mercati azionari in rally permanente da mesi? Indubbiamente c’è stata finora una forbice, crescente, tra Wall Street e Main Street, per così dire, insomma tra mercati finanziari e economia reale. E secondo noi dovrebbe continuare fino a fine anno. Il futuro dipenderà molto dall’andamento della ripresa economica. Si usano le lettere dell’alfabeto per indicarne la direzione, chi la prevede a V, chi a W…

E voi? Noi non crediamo a una ripresa a V, riteniamo che nel corso dell’autunno-inverno si materializzeranno i cosiddetti “effetti di secondo ordine” in termini di occupazione e consumi che avranno un impatto significativo sulla crescita e anche sulla fiducia. Il mercato brillante di oggi è figlio del sostegno senza precedenti che riceve dagli stimoli monetari e fiscali, senza i quali la situazione sarebbe nettamente


peggiore: abbiamo visto cosa è successo a marzo sui mercati.

Ma l’economia reale dovrebbe pur giovarsi di tanta liquidità, non crede? È certo che gli acquisti di titoli pubblici da parte delle banche centrali, abbinati a deficit di bilancio crescenti, sono sostanzialmente una monetizzazione del debito e che creano una sorta di inflazione negli asset finanziari. Quanto ciò vada a beneficio dell’economia reale è discutibile, e ci sono anche implicazioni di carattere sociale e di instabilità macroeconomica complessiva che vanno valutate con attenzione.

Un’inflazione degli asset finanziari? Sì, un fenomeno nato con la crisi del 2008-2009 che conduce ad un aumento delle disuguaglianze, e porta a un modello da “winner takes it all” (il vincitore prende tutto, ndr), con una forte polarizzazione della ripresa a vantaggio di pochi e a scapito di molti… Le banche centrali del resto rispondono alla crisi con gli strumenti che hanno… E meno male. Questo stimolo però, è una condizione necessaria ma non sufficiente per la ripresa. Le risorse dovrebbero essere veicolate efficacemente a iniziative e progetti produttivi, il che ancora non avviene con la giusta regolarità. Dunque operativamente come state gestendo? Gli asset owner per cui lavoriamo - oltre al gruppo Generali, soprattutto compagnie di assicurazioni e fondi pensione europei - stanno seguendo le tracce di quel che era già successo anni prima, per cui già diversifichiamo al massimo per cercare rendimenti interessanti dove ancora si trovano e abbiamo adottato uno stile di gestione più dinamico..

anche i grandi player istituzionali come i fondi pensione devono imparare ad avere un approccio più dinamico. Comprare e tenere in portafoglio fino a scadenza un bond non porta a casa valore, bisogna riuscire a spostarsi in modo dinamico e opportunistico tra varie geografie e sub-asset-class per generare quell’extra-rendimento che serve.

Senta, ma secondo lei l’inflazione è un fenomeno cancellato per sempre? Indubbiamente stiamo assistendo a fenomeni mai visti. In fondo si potrebbe dire che, per ragioni di forza maggiore, oggi sul mercato l’azione delle banche centrali sta manipolando i prezzi. Sono un acquirente che non è price-sensitive e compra, su criteri prestabiliti a tavolino, enormi quantitativi di obbligazioni - e in alcuni casi, come in Giappone, non solo - a qualunque prezzo. Ne consegue un aumento della massa monetaria che in tutti questi anni non ha causato l’atteso aumento di inflazione, proprio perchè ci sono fattori congiunturali e strutturali inediti che l’hanno tenuta bassa. Gran parte delle riserve create dal quantitative easing sono rimaste intrappolate nel sistema finanziario, causa anche la limitata domanda e offerta di credito. Tra i fattori strutturali ci sono la tecnologia e la demografia, quest’ultima spesso sottovalutata. I trend elaborati dai demografi – che hanno un track-record previsionale migliore di quello degli economisti, dimostrano che Europa, Giappone e perfino la Cina sono paesi in cui il rapporto tra popolazione in età da lavoro e popolazione totale ha una dinamica preoccupante… e si sa che l’andamento demografico è il fattore principale per la crescita a parità di produttività. Quando la popolazione in età da lavoro, come in Italia, tende a diminuire, non ci potrà essere crescita né inflazione.

IL RALLY AZIONARIO? DIFFICILE ATTENDERSI PROFITTI SOPRA IL 5%

Per esempio? Una delle problematiche più complesse nasce dal fatto che il sistema finanziario europeo è ancora troppo dipendente dal credito bancario, tuttora fonte di finanziamento essenziale, nell’ordine dell’80%, per le imprese. Negli Usa è al 20%. Ciò determina una serie di particolari rischiosità. Abbiamo visto che per esempio l’Italia ha impiegato dieci anni a ripulire in buona parte gli attivi delle banche dalle scorie della recessione, e ci siamo immediatamente ritrovati in una nuova recessione. Quindi è importante favorire un maggiore finanziamento diretto dell’economia reale da parte di assicurazioni e fondi: i tassi bassi rappresentano un incentivo ad andare nella giusta direzione. Ci sono anche alcune iniziative legislative e regolamentari, penso alla Capital Markets Union, che sono incompiute e dovrebbero favorire quest’obiettivo. E va attuata una maggior diversificazione geografica. Se guardiamo solo al mondo obbligazionario, per l’asset allocation delle assicurazioni e dei fondi pensione europei il tema dei mercati emergenti è forse sottorappresentato nei portafogli, così come l’investimento in obbligazioni americane, un mercato enorme, con tante opportunità. Tutto questo deve spingere questi investitori dal focus storico europeo all’approccio globale. Un ulteriore elemento da non sottovalutare è che i mercati pubblici quotati continuano e continueranno a giocare un ruolo importante e su quei mercati

Crede a questa miracolosa fioritura di aziende buone, tutte scrupolose osservanti dei criteri Esg? Per gli investitori professionali seri il vero tema è capire insieme alle società emittenti come le loro strategie Esg impatteranno sui rendimenti nel tempo per poter regolare di conseguenza le scelte di portafoglio. I criteri Esg stanno diventanto una terza dimensione della valutazione di ogni investimento. Ieri c’era solo il binomio rischio finanziario /rendimento, ora va aggiunta la prospettiva Esg.

Dove arriverà il rally dell’azionario? Se guardiamo al miglior parametro predittore a lungo termine, il rapporto price/earnings aggiustato per il ciclo, difficile attendersi rendimenti superiori al 5% contro un 14% annualizzato generato negli ultimi 10 anni per gli Usa. Dunque bisogna ragionare su ordini di grandezza diversa, in genere i multipli non sono a buon mercato, perché incorporano gli stimoli monetari. Noi rimaniamo prudenti a 6-12 mesi, in una prospettiva piuttosto tattica. Se in autunno e in inverno gli indicatori economici dovessero far vedere che le cicatrici di questa crisi sono più marcate e magari si aggiungessero turbolenze politiche americane o nei rapporti con la Cina, si potrebbe creare un cocktail pericoloso per i listini. settembre 2020

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INVESTIRE sull’ ITALIA DOPO IL COVID-19

Che voglia di aziende del Belpaese per clienti e consulenti di Nicola Ronchetti*

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urante i 100 giorni in cui l’Italia si è fermata sono apparse sui balconi e sui tetti delle case degli italiani migliaia di bandiere tricolori. Gli italiani sono un popolo notoriamente resiliente che è in grado di riunirsi e fare quadrato soprattutto nei momenti di grande difficoltà. Nei giorni di lockdown i video con la pattuglia acrobatica dell’Aereonautica Militare, le mitiche Frecce Tricolori, l’inno d’Italia e il “Nessun dorma” della Turandot di Puccini hanno contribuito a ridestare il nostro sopito patriottismo. Dopo la salute e prima ancora degli investimenti gli italiani hanno mostrato un’accresciuta sensibilità verso l’economia reale e in particolare verso le imprese italiane. Quanto tutto questo ha influito e influirà sulle scelte di investimento degli italiani? Quanto gli investimenti nella cosiddetta economia reale prenderanno piedi in Italia? Alcune risposte emergono dalla ricerca “Visioni per un mondo a tassi zero, dalla liquidità all’economia reale” condotta per Assogestioni da Finer e che ha coinvolto 1.600 investitori finali e 1.000 loro referenti per gli investimenti (consulenti finanziari, private banker e gestori bancari) intervistati prima e dopo il lockdown. A febbraio 2020 prima dello scoppio della pandemia il 64% degli investitori finali esprimeva un interesse a investire in aziende italiane, dopo la pandemia questa percentuale è cresciuta sensibilmente fino ad arrivare al 77% (maggio 2020). Il dato è alto e si spiega con un trend già in atto da tempo, per la precisone dal 2017, con il lancio dei Pir. La battuta di arresto dei Pir e il loro recente rilancio non hanno intaccato l’innata propensione a investire italiano. Due sono le motivazioni, la prima è la più intuitiva e, forse anche

NICOLA RONCHETTI

L’interesse a investire in aziende italiane già alto prima della pandemia, cresce ancora dopo Covid-19, i professionisti sono più scettici o realisti dei loro clienti? Molto interessati a investire in aziende italiane, che creino posti di lavoro in Italia?

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Professionisti PRE-COVID

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POST-COVID

la più labile, ed è legata all’amor patrio, che sappiamo essere un driver che va un po’ a corrente alternata: forte nelle difficoltà, più lieve quando tutto va bene. La seconda motivazione è più sottile e intrigante e ha a che vedere con un ancestrale bisogno insito nell’essere umano e, negli italiani, in massima misura, di sapere dove e come viene impiegato e investito il proprio denaro, in modo da avere la sensazione di una maggior vicinanza a esso e di tenerlo maggiormente sotto controllo. È quindi naturale attendersi che gli italiani preferiscano investire, per esempio, in azioni Ferrari che non in quelle Aston Martin e non solo per le differenti performance che hanno caratterizzano i due titoli. È interessante anche rilevare come i professionisti degli investimenti, coloro cioè che seguono gli investitori finali nelle loro scelte di allocazione del risparmio, concordino anch’essi sull’aumento della sensibilità dei loro clienti verso gli investimenti in aziende italiane passando dal 41% prima al 58% post Covid. Si tratta di percentuali più basse, rispetto a quelle espresse dai loro clienti, che potrebbero sottendere un maggior scetticismo rispetto a quanto dichiarato da costoro, immaginando che il cliente cerchi solo il rendimento. In realtà la totalità degli investitori finali italiani intervistati si dichiara disponibile a rinunciare a una parte anche piccola dei rendimenti pur di investire in aziende italiane che creino posti di lavoro in Italia. Se a questi proclami patriottici seguiranno azioni concrete dipenderà moltissimo dalla capacità dell’offerta di selezionare aziende italiane con sane prospettive di crescita e dalla disponibilità delle nostre eccellenze ad aprirsi al capitale di terzi. *Founder e ceo di Finer


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PARLA LUIGI CONTE

«Dialogo e sinergie per rendere i consulenti finanziari più forti» di Marco Muffato

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uigi Conte, fresco di elezione alla presidenza di Anasf (l’associazione di categoria dei consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede), è stato ospite lo scorso 6 luglio di una puntata di Sos Investire (il format in videostreaming che da questo mese prenderà il nome di InvestireNow). Una puntata dove Conte è stato sottoposto al fuoco di fila di tante domande sui programmi e gli obiettivi della sua presidenza. Con risposte che delineano idee chiare sul da farsi nell’interesse della categoria dei cf. Conte, lei è il settimo presidente della storia dell’Anasf ed è il primo a essere formalmente eletto con una modalità inedita, la votazione online per causa di forza maggiore, il Covid. Forse la modalità digitale da una parte ha tolto un po’ di piacere e di emozione a quest’evento, dall’altra è una espressione emblematica del fatto che i tempi sono cambiati e che tante cose si possono fare in modo completamente nuovo, come nella vita associativa così nella professione… È proprio così, è quasi come se il destino avesse segnato una strada e alla fine siamo arrivati al compimento di questo percorso attraverso un congresso che peraltro devo dire stato straordinario anzi io colgo l’occasione per ringraziare tutti i colleghi che hanno dato un contributo e reso funzionale questo congresso al progetto che Anasf si pone per i prossimi quattro anni. Organizzare un congresso in modalità digitale rappresenta un’altra esperienza positiva dell’associazione: da questo momento siamo diventati un benchmark perché tutta la filiera di attività, dal voto fino al congresso stesso, è stata gestita molto bene.

Entriamo nel vivo dei tanti che la tua presidenza dovrà affrontare: Anasf come farà valere il proprio ruolo, la propria posizione di azionista di punta dell’Ocf rispetto per esempio ad Abi e Assoreti e come gestire il rapporto con le nuove associazioni che sono entrate a far parte dell’Ocf come Nafop, Ascofind, Assonova? L’organismo è composto da più anime, la diversificazione che si è costituita nel tempo partendo dalla realizzazione dell’Albo Apf con Abi, Assoreti e Anasf fino ad arrivare ai nuovi soci in Ocf, è il compimento di un processo naturale di un progetto partito nel lontano 1991 quando l’Anasf ha partecipato attivamente alla realizzazione dell’Albo pubblico degli allora promotori finanziari e alla definizione del perimetro dell’attività della nuova categoria. In linea di principio non ritengo ci debbano essere contrapposizioni in un organismo, sarebbe un controsenso. Sono dell’idea invece che le istanze di ogni associazione, quindi di ogni socio dell’Ocf, debbano essere portate a fattor comune 38

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ANASF INTENSIFICHERÀ IL DIALOGO CON ASSORETI SU RICAMBIO GENERAZIONALE, ACCESSO DEI GIOVANI E CONTRATTO. SARÀ PERFEZIONATO L’ITER PREPARATORIO Luigi Conte, è il settimo presidente della storia dell’Anasf. È consulente finanziario di FinecoBank

nel rispetto delle esperienze e della storia di ogni componente. Con il contributo di tutti si possono realizzare delle attività sfidanti per il futuro che l’Ocf non potrà che cogliere. La relazione annuale dell’Ocf ha riportato il calo degli iscritti un meno 3,7% e anche soprattutto forse più pericolosamente il meno 32 % di mandati attivati, questi dati sono compatibili secondo il presidente dell’Anasf con la crescita qualitativa e quindi anche dimensionale dei portafogli della categoria oppure c’è da preoccuparsi?


INVESTIRE SPECIALIST

Ogni dato va approfondito per fare le giuste valutazioni, a una prima impressione mi vengono da fare due considerazioni. La prima: è chiaro che siamo in un momento di grande trasformazione del settore, in cui si cerca a un equilibrio anche rivedendo un po’ la mappa dimensionale del settore. La seconda considerazione è questa: non mi preoccupa molto la flessione degli iscritti in quanto ci sono altri dati che secondo me sono confortanti in termini di ricambio generazionale, di nuovi talenti, di giovani che entrano nella professione, parliamo tanto di età troppo elevata dei consulenti finanziari però registriamo un incremento degli under 40 che hanno superato in maniera solida la soglia emotiva del 10%, così come anche le colleghe stanno rafforzando la loro presenza nell’ambito di questa professione. Questi dati vanno accolti con favore, partendo da questi poi bisognerà investire in maniera concreta sui fattori che potrebbero portare a un rilancio della professione, a partire da politiche che favoriscano l’ingresso dei giovani per dare un futuro alla nostra attività. Il suo predecessore, Maurizio Bufi, ha dichiarato proprio alla nostra testata, poco prima del vostro XI congresso, che tra i nodi aperti che avrebbe lasciato in eredità al suo successore c’è proprio quello del ricambio generazionale. un tema serio considerando l’età media degli iscritti all’albo sui 55 anni. Quale può essere la soluzione: proprio in casa Anasf si è ipotizzato a suo tempo di prevedere il conferimento del mandato a una persona giuridica proprio per innestare una sorta di praticantato per i giovani che si trovano a iniziare l’attività. Può essere questa la strada da seguire? Due premesse, la prima: il problema dell’età media che cresce rientra nel grande nodo demografico tutto italiano. Seconda problema: il sistema scolastico rimane scollegato dal mondo del lavoro e questo crea ulteriori problemi nell’inserimento lavorativo dei giovani. Il tema del ricambio generazionale nel nostro caso è particolarmente delicato e va affrontato in sinergia con Assoreti, l’associazione che rappresenta le nostre società mandanti, costituendo un tavolo di lavoro dedicato al tema che veda le due associazioni impegnate al fine di costruire le condizioni interne ed esterne che favoriscano un afflusso di giovani alla professione. Quando parlo di condizioni interne ed esterne intendo un accordo per creare un progetto di ingresso costruttivo. Un esempio di questo lavoro congiunto l’abbiamo avuto nella istituzione dei team tra i cf sono stati un esempio pratico di quanto possa essere utile dialogare tra consulenti e reti, ma anche sul piano dell’azione politica, da parte di Anasf e Assoreti per sensibilizzare su politiche fiscali che agevolino l’ingresso dei giovani. Altra strada da praticare con impegno è quello della collaborazione con le università, per costruire percorsi di studio dedicati ai consulenti finanziari nuovi ma anche già in attività.

Federagenti e Fiarc punta a cambiare il ponte di comando della Fondazione dopo praticamente 40 anni di monocolore di Confcommercio. Qual è il suo auspicio? Per anni siamo stati fuori da Enasarco e abbiamo sostanzialmente subito quelle politiche che oggi fortemente contrastiamo. Da qualche anno siamo riusciti a mettere questo benedetto piede in Enasarco rendendoci conto direttamente dei disastri nella gestione dell’Ente peraltro evidenziati anche dalle cronache. Ora ci prepariamo alle elezioni, determinati a vincerle per dare il contributo delle nostre idee e della nostra esperienza al futuro delle pensioni dei consulenti finanziari e degli agenti di commercio. Faccio una seconda citazione di Maurizio Bufi stavolta presa della sua relazione di commiato al Congresso Anasf, in un passaggio dove afferma di provare fastidio per quella dizione di “fuori sede” accanto a consulenti finanziari per identificare la vostra categoria all’interno dell’albo Ocf. Dà fastidio anche a te? Quale potrebbe essere la denominazione giusta? L’attuale configurazione dell’Ocf dimostra come si può praticare la professione nelle varie modalità con il giusto diritto di tribuna per ognuna delle declinazioni. La definizione che ci è stata assegnata effettivamente mette troppi termini in successione e può determinare un po’ di imbarazzo. L’unica vera distinzione possibile tra le varie categorie è tra la consulenza con mandato e quella senza mandato. La consulenza del primo tipo, offerta dalle reti, è cambiata nel tempo perché le società mandanti hanno nel frattempo aperto le piattaforme, diversificato l’offerta mettendoci nelle condizioni di essere sempre più slegati dal prodotto così da rafforzare il nostro ruolo consulenziale. I contenuti parlano di una professione, la nostra, in grande crescita. Alla fin fine è la sostanza a contare più che l’etichetta.

«IL TERMINE “FUORI SEDE” CI STA STRETTO? SICURAMENTE, MA È IMPORTANTE LA SOSTANZA NON L’ETICHETTA FORMALE DELL’ATTIVITÀ»

Parliamo anche dei consulenti un po’ meno giovani, occupiamoci anche delle loro pensioni e quindi delle elezioni in Enasarco, dove Anasf in alleanza con Confesercenti,

Sull’applicazione della Mifid 2 in Italia da parte delle reti ci sono state svariate critiche con l’accusa di poca trasparenza del sistema per esempio sul tema dei costi dei prodotti. Non teme che queste critiche possano nuocere all’immagine e quindi al business dei cf? Ma veramente pensiamo che i clienti dei consulenti finanziari in media in generale non siano consapevoli di ciò che hanno sottoscritto e di ciò che hanno pagato? La nostra categoria mediamente si comporta in maniera virtuosa, il rapporto tra i consulenti finanziari e i clienti investitori e risparmiatori e quindi le famiglie italiane è un rapporto duraturo e solido e dove il monitoraggio delle attività è costante. Naturalmente tutto è migliorabile ancora, però credo che siamo davvero a un punto di svolta, in cui il mercato stesso sta facendo selezione in termini di qualità dei professionisti e questa va nell’interesse prima di tutto dei consulenti finanziari.

Da osservatore di lungo periodo del mondo Anasf c’è un tema evergreen che è quello del contratto di categoria dei consulenti finanziari. Ma ha un senso parlarne per lasettembre 2020

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voratori autonomi come i consulenti finanziari. Quando parlate di contratto cosa intendete in realtà? Rappresentiamo una forma professionale ben identificata ed è giusto pertanto che questa professione sia tutelata a monte. Anche in questo caso puntiamo al dialogo aperto con Assoreti trovando un punto d’incontro su un contratto ben definito che possa tutelare sia le reti che i consulenti.

Una domanda un po’ nobile e alta per finire in bellezza perché siamo all’inizio di un mandato impegnativo, ma anche costruttivo e ambizioso. Come accentuare domanda e offerta di formazione di qualità? E poi cosa farai per rafforzare il sistema Efpa che comunque oggi rappresenta un benchmark internazionale di grande valore nella certificazione professionale? Da vice presidente vicario sono stato responsabile della formazione e del rapporto con le università e con Efpa. Quindi continueremo a sviluppare i progetti che abbiamo avviato con le università, contribuendo alla costruzione del primo corso di laurea in Economia a Teramo, con tre indirizzi e la possibilità di scegliere per il secondo e terzo anno l’indirizzo per consulenti finanziari a Teramo. E sempre con Uni.Te stiamo studiando, nell’ambito della Facoltà di scienze della comunicazione,

un corso di laurea magistrale da affiancare al corso di laurea triennale. La nostra non è una professione che richiede esclusivamente competenze tecniche, ma anche socio-antropologiche, psicologiche statistico-demografiche e quindi è chiaro che la declinazione del progetto accademico deve andare in questa direzione di ampliamento delle competenze. Anche per queste ragioni stiamo lavorando alle definizione di un master di secondo livello che si affianchi al master di primo livello realizzato con la Bologna Business School che sta avendo un successo strepitoso e che è frequentato anche da consulenti già operativi. Per quanto riguarda Efpa per noi non è semplice formazione è la certificazione dell’alta formazione del consulente finanziario e quindi abbiamo anche lì un obiettivo che è di alzare ancora di più l’asticella e rendere ancora più numerosi i consulenti finanziari certificati. Non solo, vogliamo anche far sì che il mondo accademico e Efpa si incontrino con il mondo accademico dovrà guardare a quella certificazione come il completamento di un processo didattico che si inizia da giovanissimi e dovrà proseguire nelle università. Per quello che riguarda i cf associati il sistema dei seminari di aggiornamento professionale verrà potenziato anche alla luce del successo crescente dei webinar senza trascurare l’organizzazione di eventi formativi fisici quando le condizioni lo consentiranno.

NOME PER NOME, ECCO LA SQUADRA DEL NUOVO PRESIDENTE

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all’XI Congresso Nazionale dell’Anasf, svolto in modalità digitale a seguito del Covid-19, è nato il nuovo ponte di comando dell’associazione di categoria dei consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede, a partire dal Consiglio nazionale, dove la lista 1 (quella di Luigi Conte) può contare su una buona maggioranza i con 14 consiglieri su 25. Sono entrati in Cn infatti: Drago Biafore, Antonio Briganti, Rossella Carli, Mario Castelli, Alfredo Cesario, Franco Colombo, Luigi Conte, Gabriele Frigerio, Mauro Granzotto Alfonsino Mei, Cosimo Petronelli, Daniela Repele, Ferruccio Riva, Antonio Starace. Ecco invece la composizione dell’opposizione: per la lista 2 sono entrati: Felice Graziani e Giuliana Rapetta; per la lista 3 sono entrati:

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Nicola Durando, Nicola Florentino, Alma Foti, Giuseppe Giannetto, Luca Ghidini, Marco Melluso, Elisabetta Trombatore; per la lista 4 Jonathan Figoli e infine per lista 5 Francesco Ragone. Poi il consiglio nazionale risultante appena insediatosi ha eletto al proprio interno all’unanimità il nuovo presidente Anasf, Luigi Conte appunto. In occasione della riunione dello scorso 22 luglio il neo eletto Consiglio nazionale Anasf, su proposta del presidente Luigi Conte, ha anche scelto all’unanimità gli otto componenti del Comitato esecutivo che governeranno l’Associazione per i prossimi quattro anni e cioè: Ferruccio Riva, vicepresidente vicario; Alma Foti, vicepresidente; Susanna Cerini, tesoriere; Mario Castelli; Fabio Di Giulio; Gian Franco Giannini

settembre 2020

Guazzugli; Fabrizio Quaglio, Antonello Starace. Nella riunione odierna sono state altresì definite le aree tematiche di interesse generale e Conte ha così assegnato le relative deleghe: nell’ambito della macro area Evoluzione associativa e professionale (che contempla evoluzione della professione, ricambio generazionale, tutele, estero, rapporti con Ocf ed Enasarco, Centro studi e ricerche, Innovazione digitale). Le responsabilità dell’area sono state così assegnate: la delega degli ambiti relativi a evoluzione della professione, ricambio generazionale, estero, centro studi e ricerche, innovazione digitale è affidata a Conte. stesso La delega dell’ambito tutele legali e contrattuali affidata a Riva; la delega dell’ambito tutele fiscali e sostenibilità affidata

a Giannini Guazzugli; la delega dei Rapporti con Ocf ed Enasarco è affidata a Castelli, il decentramento associativo a Quaglio, il marketing, comunicazione e sviluppo associativo a Starace; la formazione dei cf, rapporti con Efpa e le Università a Fabio Di Giulio. La formazione dei cittadini e rapporti con i risparmiatori a Foti; Pari opportunità a Cerini e Foti. Altre nomine di rilievo: è stato eletto all’unanimità presidente del Consiglio nazionale Franco Colombo (la sua è una conferma nel ruolo). Infine una decisione di alto valore simbolico: Carlo Bagnasco, già due volte presidente Anasf, su proposta di Conte è stato nominato all’unanimità presidente onorario dell’associazione. Bagnasco parteciperà ai lavori del Consiglio nazionale.


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NATIXIS IM PORTFOLIO CUP

Parte il campionato dei consulenti finanziari di Giacomo Damian

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onrad soleva dire: come posso spiegare a mia moglie che quando guardo fuori dalla finestra in realtà sto lavorando? Vi abbiamo raccontato questo aneddoto perché è utile a spiegare come spesso sia l’assenza, e in generale la mancanza di qualcosa, l’input necessario alla mente umana per generare nuove prospettive e nuove idee. Può sembrare paradossale ma la mente si attiva proprio quando il cibo le manca. L’Italia è un Paese conosciuto in tutto il mondo per il proprio patrimonio artistico, per l’ingegno, per il tessuto produttivo fatto di molte piccole e medie imprese eccellenti ma anche per essere l’espressione di una passione totalizzante per il calcio che spesso diviene metafora di vita. Sarà stata l’assenza del campionato calcistico dovuta al Covid-19 e al lockdown che ha imposto al Paese il fermo di tutte le sue attività, ad averci generato l’idea di questa competizione. Una competizione originale che fosse capace di accomunare la passione calcistica a quella per gli investimenti. Un’idea divertente ma al tempo stesso, vista la delicatezza della materia, sviluppata e gestita in un contesto altamente professionale e soprattutto con uno scopo didattico e non solo competitivo. Grazie all’impegno di Natixis Investment Managers, il gruppo di asset management internazionale con una grande presenza in Italia, e al supporto tecnico e tecnologico di Fida, azienda leader in Italia nella gestione dei dati sui mercati finanziari, la redazione di Investire è riuscita a creare un team di lavoro che ha ideato e costruito la Natixis IM Portfolio Cup. Ma vediamo punto per punto le caratteristiche di questo campionato inedito tra i professionisti degli investimenti finanziari. 42

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SEDICI CONCORRENTI IN GARA NELLA COMPETIZIONE (CHE DURERÀ UN ANNO) IDEATA DA INVESTIRE E SPOSATA DA NATIXIS INVESTMENT MANAGERS, CON LA COLLABORAZIONE TECNICA DI FIDA La Premier league dei cf La Natixis IM Portfolio Cup è una competizione dalla formula calcistico-finanziaria ideata da Investire, che prende il nome dalla società sponsor – Natixis IM - che ha fortemente creduto nella realizzazione di questo progetto e che si avvale come dicevamo della collaborazione tecnica di Fida. La gara vede 16 consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede affrontarsi nell’arco di un anno ciascuno con il proprio portafoglio e che sarà creato proprio come un allenatore farebbe con la propria squadra di calcio. Il capitale di partenza a disposizione di ciascun concorrente è di un milione di euro.

Il calendario Il calendario della competizione è il seguente: su questo numero di Investire (da pagina 28 a 31) saranno presentati i 16 concorrenti, ciascuno con una tabella contenente il relativo profilo descrittivo corredato da una foto. Sul numero di Investire di ottobre 2020 sarà pubblicata la presentazione ufficiale dei 16 portafogli che darà il calcio di inizio alla gara. I portafogli saranno caricati dai consulenti finanziari nella piattaforma di Fida il 15 settembre 2020. Nei successivi dieci giorni i tecnici Fida elaboreranno i prezzi ufficiali di tutti gli strumenti utilizzati che saranno pubblicati sul numero di Investire del mese successivo. Ogni mese nello stesso intervallo di tempo Fida effettuerà gli aggiornamenti degli strumenti che permetteranno la creazione del rendimento totale di ogni portafoglio e quindi la creazione della relativa classifica in cui saranno evidenziati l’andamento generale mese dopo mese e la migliore performance mensile. La costruzione dei portafogli in gara Sempre utilizzando la metafora calcistica, siccome la competizione si svolge in un intervallo di tempo per gli investimenti considerevolmente breve, abbiamo pensato di permettere a tutti i concorrenti di giocare ad armi pari con lo schema 4-4-2, che tradotto in termini finanziari diventa un’asset allocation con il 40% di azionario, 40% obbligazionario, 20% considerandolo jolly, la possibilità di scegliere un singolo titolo azionario e un


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singolo titolo obbligazionario che siano compresi nel vasto database offerto da Fida. I prodotti sia azionari sia obbligazionari, saranno scelti tra tutti i fondi di investimento, l’unica condizione prevede che in ogni portafoglio ci sia la presenza di un prodotto delle oltre 20 società del gruppo Natixis Investment Managers, la società di asset management capogruppo a cui è intitolata la competizione.

Finalità educational con paletti chiari Abbiamo detto che si tratta di un’idea che vuole essere divertente, coinvolgente, educativa ma anche professionale, ed è per questo che tra le poche ma precise regole, abbiamo deciso che per la composizione del punteggio di ogni portafoglio al semplice rendimento, somma delle performance di tutti gli strumenti, si dovesse aggiungere un indicatore tecnico: l’indice di drawdown. Il rapporto di calcolo per la definizione del rendimento finale sarà nella proporzione di 80% performance degli strumenti, 20% indice di drawdown. I consulenti finanziari come in ogni campionato di calcio che si rispetti, avranno la possibilità di utilizzare due finestre temporali di cosiddetto “calcio-mercato”, e cioè potranno ruotare i portafogli cambiando i pesi di ogni strumento oppure cambiando gli strumenti stessi scegliendone di nuovi. I due periodi indicati sono al termine del quarto mese di competizione e al termine dell’ottavo. Il portafoglio di ogni consulente dovrà essere composto da minimo sette e massimo undici strumenti nella ripartizione che abbiamo descritto sopra, con l’aggiunta di

un ultimo particolare tecnico: ogni strumento presente in portafoglio dovrà avere un peso di minimo 5% e massimo 30%, questo per rispondere alle esigenze di una buona diversificazione. Classifica finale e premi La classifica finale della gara sarà pubblicata nel numero di Investire di ottobre 2021. In tale occasione avverrà anche la pubblicazione del podio con i migliori tre classificati e l’assegnazione dei relativi premi che saranno nell’ordine: al terzo classificato uno spazio suInvestire e 25 abbonamenti per i top client; al secondo classificato, uno spazio su Investire e 50 abbonamenti per i top client. Infine al primo classificato, uno spazio su Investire e 100 abbonamenti per i top client. In aggiunta ai premi finali ci sarà un riconoscimento mensile per chi realizzerà il miglior risultato del mese che consisterà nella la possibilità di raccontarsi sul nostro mensile. Evento mediatico Investire seguirà la competizione con l’intero sistema dei suoi media, non solo con l’edizione cartacea mensile, ma anche attraverso il giornale digitale Investire Today, il sito investiremag.it e con il programma quotidiano in videostreaming sui più importanti social InvestireNow, condotto dal direttore Sergio Luciano e dal caporedattore Marco Muffato. Programma che in settembre darà il via ufficiale della gara in una puntata speciale in cui saranno presentati i sedici concorrenti.

NATIXIS IM PORTFOLIO CUP: TUTTI I NUMERI E LE DATE CHE CONTANO Numero dei consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede partecipanti

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Durata della competizione

12 mesi (Investire novembre 2020 - Investire ottobre 2021)

Capitale di partenza

1.000.000 euro

Composizione del portafoglio

Minimo 7 massimo 11 strumenti. Per ogni strumento, minimo 5% massimo 30%

Asset allocation

40% fondi azionari 40% fondi obbligazionari 20% una azione singola una obbligazione singola un prodotto Natixis IM obbligatorio

Turn around portafoglio (possibilità di ruotare gli strumenti)

Termine 4° mese e termine 8° mese

Presentazione dei portafogli

Investire di ottobre 2020

Inizio della competizione

Investire di novembre 2020

Consegna portafogli da parte dei consulenti nella piattaforma FIDA

15 settembre 2020

Calcolo delle performance

Calcolo dei prezzi da parte di FIDA nel periodo tra il 15 e il 25 di ogni mese

Calcolo del punteggio

Rendimento del portafoglio calcolato sulla performance corretta per il drawdown (80% performance 20% drawdown)

Termine della competizione

ottobre 2021

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INTERVISTA AD ANTONIO BOTTILLO

«La nostra coppa? Molto più che un gioco» di Marco Muffato

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uesto mese prenderà ufficialmente il via, la Natixis IM Portfolio Cup, il campionato che durerà un anno e vede ai nastri di partenza 16 consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede pronti a sfidarsi mese per mese sull’impegnativo terreno della costruzione del portafoglio. Ne parliano con chi ha creduto nell’idea realizzata in collaborazione con Investire, Antonio Bottillo, country head ed executive managing director per l’Italia di Natixis Investment Managers.

Bottillo, parliamo dell’importanza del valore dell’education nella costruzione del portafoglio. Perchè è fondamentale per i consulenti finanziari? Perchè iniziative di gaming come la Natixis IM Portfolio Cup sono a suo avviso ideali per l’education degli addetti ai lavori? Perché il mestiere di consulente finanziario è articolato e fatto di tante cose, non solo di conoscenza dei mercati e di technicalities ma è caratterizzato da rapporti fiduciari con i clienti e dal bisogno di comprendere realmente le loro necessità nel lungo periodo. Considerando la volatilità dei mercati e la componente emotiva da gestire, l’idea di rapportarsi con un game che contiene delle regole alle quali necessariamente bisogna attenersi e allo stesso tempo il dover raggiungere obiettivi che vanno al di là della semplice performance, con una attenzione al rischio e un drawdown controllato (la perdita massima controllata, ndr), rappresentano esperienze preziose per i consulenti finanziari in gara che potranno poi rivelarsi molto utili nell’attività professionale. Quali sono gli obiettivi e le aspettative di Natixis Investment Managers per la Natixis IM Portfolio Cup? L’iniziativa nasce dal dialogo con Investire, dalla conoscenza che il vostro magazine ha delle caratteristiche che stanno a cuore al nostro gruppo, con riferimento in particolare alla costruzione del portafoglio e all’attenzione per il rischio. Una iniziativa che ha avuto un grande apprezzamento al nostro interno, a partire dal sottoscritto che è uno sportivo appassionato. I valori dello sport di migliorarsi sempre, di non abbandonare mai gli obiettivi e quella capacità di darsi degli obiettivi difficili ma raggiungibili per chi sa far suo il senso della sfida si abbinano molto bene ai valori di sostenibilità della finanza e ai portafogli e ai servizi che riserviamo agli investitori. Era troppo facile pensare a una gara fondata sul solo rendimento mentre bisognava pensare a qualcosa di più articolato che potesse effettivamente far emergere quei consulenti finanzia44

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ANTONIO BOTTILLO

L’UNIVERSO DEI GAMING È LA PALESTRA IDEALE PER I CF CHE INTENDONO CRESCERE NELLA COSTRUZIONE DEL PORTAFOGLIO, ABBINANDO PERFORMANCE E CONTROLLO ri che dimostrano capacità di costruzione di portafogli dotati di robustezza e resilienza. E lo abbiamo fatta con questa gara virtuosa riservata ai consulenti finanziari. Dunque possiamo preannunciare che questa sarà la prima edizione della Natixis IM Portfolio Cup e che ne seguiranno altre… Questa competizione ha l’ambizione di segnare un punto di riferimento ricorrente negli anni a venire. E quindi l’obiettivo è di iniziare un percorso educativo con i consulenti finanziari che hanno un rapporto quotidiano con il cliente e attraverso il gioco invitarli ad avere un sempre maggiore rispetto delle regole con l’obiettivo di costruire portafogli resilienti oltre


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che performanti. Questa iniziativa, aggiungo, conterrà anche degli obiettivi di charity che nel corso del tempo verranno stabiliti.

Come sono andati questi primi sei mesi del 2020 per Natixis IM? Abbiamo ottenuto risultati eccellenti in una situazione a dir poco complessa in considerazione del Covid-19. Abbiamo riportato nel secondo trimestre una raccolta con numeri importanti, molto robusti che non si erano visti in precedenza nell’asset management del gruppo. Questi risultati ci danno grande fiducia per i prossimi mesi. L’attività commerciale in questo periodo è stata più elevata che nei momenti di normalità attraverso collegamenti in streaming in via digitale che ci hanno permesso di raggiungere una clientela assai numerosa nonostante il lookdown.

Com’è andata la relazione tra Natixis IM e i consulenti finanziari nel periodo del lookdown e in quello immediatamente successivo? La relazione con ei consulenti finanziari si è incrementata nell’obiettivo di essere vicini alla clientela in un momento in cui il mercato stava subendo forti perdite e anche nel tentativo di offrire ai nostri clienti un’opportunità di gestione dell’emotività che in questi casi fa spesso e volentieri la differenza. Per il Covid ci hanno detto di stare a casa e di non muoverci. Forse questo atteggiamento andava considerato anche sui portafogli visto che dopo una fase di forte ribasso il mercato ha recuperato in tempi rapidi e bene. E Natixis IM nel periodo ha assicurato alle reti clienti un flusso informativo continuativo e dettagliato sull’andamento dei mercati che si è rivelato prezioso per i professionisti per la gestione della propria clientela.

Com’è destinata a cambiare nei prossimi anni la relazione tra asset manager e consulenti finanziari? Molto più stretta considerando che gli investitori sono assai consapevoli e fanno sentire sempre più spesso la propria voce. Asset manager come Natixis IM e i cf saranno chiamati a lavorare maggiormente assieme per offrire un servizio di eccellenza a investitori più esigenti che in passato. L’investitore negli ultimi anni si è trovato a fare i conti con situazioni

congiunturali preoccupanti per la gestione delle proprie sostanze, indotte dalle crisi dei mutui sub-prime nel 2008, dalla crisi del debito sovrano del 2011, fino ai giorni nostri con la grave crisi sanitaria di quest’anno. Con quali conseguenze? L’investitore ora chiede l’opportunità di vivere le proprie esperienze d’investimento in modo più resiliente, vuole meno movimenti e portafogli che riescano ad attutire i movimenti di mercato. Costruire portafogli che abbiano maggiore resilienza è oggi possibile attraverso strumenti che prima non c’erano. Abbiamo visto come la decorrelazione quantitativa, che normalmente si esplicita attraverso azioni, obbligazioni, commodity, cambi, in momenti di crisi di mercati spesso non funziona. È il momento di orientarsi sulla decorrelazione e sulla diversificazione qualitativa che si esplicita attraverso una serie di opportunità e trend di lungo periodo presenti sul mercato come per esempio gli investimenti tematici, gli investimenti sostenibili e gli asset reali, che hanno manifestato una importante resilienza nel periodo di estrema volatilità dei mercati. Chiudiamo con il vostro outlook sull’ultimo quadrimestre dell’anno… Andiamo incontro a un periodo in cui alcuni nodi potrebbero venire al pettine, oltre all’incognita sull’evoluzione del Covid-19, l’autunno culminerà con le elezioni americane nel corso delle quali potrebbero essere acuite le tensioni con la Cina a scopo preelettorale e conseguentemente consigliamo prudenza nella gestione dei portafogli. Anche se siamo convinti che, da un lato e il grande impegno dell’Europa con la volontà di emettere il Recovery fund e dall’altro lato la straordinaria azione dei governi e delle banche centrali, continueranno a sostenere i mercati. La prudenza dovrà riguardare a nostro avviso soprattutto i livelli raggiunti sia dal mercato azionario che obbligazionario e quindi consigliamo una diversificazione di qualità su strategie che abbiano obiettivi di lungo periodo.

GIGANTE DELL’ASSET MANAGEMENT CON 20 AFFILIATE Natixis Investment Managers si colloca tra le più importanti società di gestione patrimoniale al mondo con 906 miliardi di euro in gestione al 30 giugno 2020 (+9% anno su anno).Il secondo trimestre dell’anno è stato il migliore degli ultimi cinque anni in termini di flussi netti in entrate: 16 miliardi di euro di flussi positivi netti.Lo slancio è stato particolarmente evidente in Usa e Asia: 7 miliardi di euro di flussi netti per le affiliate nordamericane e 5 miliardi di euro di flussi netti dai clienti in Asia. Con sede a Parigi e Boston, Natixis Investment Managers è una filiale di Natixis. Quotata alla Borsa di Parigi, Natixis è una controllata di Bpce, il secondo gruppo bancario francese. Le affiliate di Natixis Investment Managers comprendono 20 società: Aew;

Alliance Entreprendre; AlphaSimplex Group; Dnca Investments; Dorval Asset Management; Flexstone Partners; Gateway Investment Advisers; H2O Asset Management; Harris Associates; Investors Mutual Limited; Loomis, Sayles & Company; Mirova; Mv Credit; Naxicap Partners; Ossiam; Ostrum Asset Management; Seeyond; Seventure Partners; Thematics Asset Management; Vauban Infrastructure Partners; Vaughan Nelson Investment Management; Vega Investment Managers; e Wcm Investment Management. Nel brillante secondo trimestre di Natixis IM risultati molto interessanti sono stati conseguiti nei segmenti reddito fisso, azionario growth ed Esg, soprattutto dalle affiliate Loomis Sayles, Wcm e Mirova. settembre 2020

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IM PORT FOL I O

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IDENTIKIT DEI PARTECIPANTI

Ecco i magnifici 16 concorrenti in gara FRANCESCO BELLOCCHI

PIETRO CALÌ

CLAUDIO CARELLA

Sono nato a Torino nel 1985, dopo la laurea magistrale in economia dei mercati e intermediari finanziari presso l’università Bocconi di Milano e l’esperienza a Londra in Investment Bank, cercavo nuove opportunità professionali. Dopo i primi mesi di rodaggio nella mia mandante ho capito di essere sulla strada giusta, gratificato dal rapporto diretto con i clienti. Grazie alla mia passione per i mercati finanziari e per l’educazione responsabile, sono approdato in Class Cnbc - Milano Finanza in qualità di commentatore, oltre a essere ospite della trasmissione “Cuore e Denari su Radio24, del TgEconomy all’interno del TgCom24 su Mediaset e dal novembre 2017 della trasmissione “Omnibus” su LA7. Ho poi tenuto conferenze tenute all’interno del corso di laurea in Economia e gestione finanziaria delle imprese multinazionali presso l’Università di Torino. 46

Sono nato ad Ancona nel 1962, mi sono laureato a Perugia in Economia e Commercio; sono sposato, ho una figlia, un cane e amo la musica, sciare e andare in mountain bike (con calma) sulle colline marchigiane. Da 15 anni sono consulente finanziario, sempre con la stessa mandante che grazie alla sua “architettura aperta pura” mi permette di aiutare il risparmiatore a raggiungere i suoi obiettivi, scegliendo tra le migliori case d’investimento. Un mantra

settembre 2020

Ho 26 anni di consulenza finanziaria alle spalle, una laurea in ingegneria e una certificazione Efa conseguita alla prima edizione in Italia. Svolgo l’attività a Roma e ho clienti anche in altre regioni, non solo privati e famiglie ma anche aziende di piccole e grandi dimensioni. All’interno della mia regione mi occupo di formazione tecnica, in particolare di selection fund e costruzione di portafogli, e parte del mio tempo è dedicato a condividere con i colleghi competenze ed esperienze. Le mie caratteristiche? La voglia di condivisione e di “fare squadra”, le competenze tecniche e l’affidabilità. Dal 2017 ho un gruppo privato su Facebook “Mercati e scelte di portafoglio”, con 3000 membri tra clienti, colleghi di diverse banche, giornalisti, professionisti e investitori.

Tutti i partecipanti al gaming sono iscritti all’Albo Ocf nella sezione dei Consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede

che ho imparato a ripetermi in questi anni è: “Non è il prodotto che sbaglia, ma il suo cattivo utilizzo”. Come cf ci capita di pensare che esista un portafoglio ottimale valido per tutti i clienti. Non è così. Sono le aspettative, le preferenze, la tolleranza al rischio (la cosa più difficile da valutare… anche per il cliente) che plasmano il portafoglio ideale di ogni risparmiatore, quello che permetterà di raggiungere la tranquillità finanziaria e di minimizzare l’“effetto rimpianto”.

THOMAS CORDARO

Fiducia, riconoscimento, presenza. Sono questi i valori su cui basa la mia professionalità, attraverso i quali perseguo un solo obiettivo: far sì che chi si affida a mei abbia sia la tranquillità della scelta sia la possibilità di realizzare i suoi progetti. Ho 35 anni, sono cresciuto nella provincia di Milano, dopo gli studi scientifici ho iniziato la mia carriera lavorativa nel mondo assicurativo, per poi entrare in quello finanziario. Svolgo l’attività di consulente finanziario da circa 15 anni. Mi occupo di consulenza patrimoniale, pianificazione finanziaria, investimenti e mercati finanziari: essere considerato come alleato dei miei clienti è il miglior riconoscimento che possa avere. Una strada professionale che mi ha portato a ricoprire ruoli di rappresentanza nelle associazioni di categoria dedicate al mio settore professionale. Sono sposato con Francesca e papà del piccolo Achille.


INVESTIRE SPECIALIST

ALESSANDRO GAMBELLI

La mia storia professionale? Mi sono laureato a pieni voti in Economia e Commercio a Genova e successivamente ho conseguito un Master. Svolgo questa attività che amo da circa 22 anni e lavoro tra Genova, Torino e Milano. Sono convinto che la preparazione professionale del cf sia fondamentale per destreggiarsi nel mondo finanziario di oggi, che richiede nozioni sempre più aggiornate sia in tema di finanza che in materia fiscale

SILVIA LUCHI

Come tutti i miei colleghi cerco di svolgere la mia professione al meglio mettendo in prima fila competenza, disponibilità e ultimamente anche una buona dose di “tecnologia covidfree”. Nonostante questo forzato distanziamento non abbandonerò mai il sano spirito emiliano di parlare, spesso di lavoro a cena dove nascono e si fortificano le relazioni personali. Da buon bolognese amo il basket e fare lunghe camminate sui colli. Lavoro

“Puoi ottenere tutto dalla vita, purché tu sia in grado di aiutare gli altri ad ottenere ciò che vogliono.” Questa citazione rappresenta in pieno la mia missione di cf. Sono sposato con Patrizia e papà di Francesco Maria e Marco; per anni ho giocato a pallacanestro a livello professionistico. Smesso il ruolo di giocatore di basket, la passione per la finanza mi ha portato a diventare un financial advisor. La forza mentale acquisita negli anni di sport professionistico, nella massima serie

e successoria: lo specialista è sempre più un patrimonialista, in grado di accompagnare il cliente in tutte le fasi della sua vita personale e professionale. Scrivo settimanalmente in una chat informativa e organizzo mensilmente seminari nei quali sviluppo i temi più rilevanti per una corretta pianificazione finanziaria: conoscere le basi e gli strumenti, individuare e temporizzare gli obiettivi applicando il metodo – rigoroso e preciso - per raggiungerli.

Svolgo la professione di consulente finanziario da quest‘anno. Dopo cinque anni di attività di assistente all’ interno dell’ ufficio in cui attualmente lavoro e durante i quali mi sono appassionata alla materia dei mercati finanziari, ho deciso di sostenere l’esame Ocf (l’Organismo preposto alla gestione dell’Albo unico dei consulenti finanziari, ndr) per diventare consulente finanziario abilitato all’offerta fuori sede, valorizzando e sviluppando le competenze

tanto e le gratificazioni più grandi sono i due meravigliosi gemelli di 8 anni, il mio portafoglio più aggressivo totalmente azionario ed altamente volatile visto la velocità con cui crescono. Tempo fa ho letto questa frase: “un investitore che conosce tutte le risposte forse non ha capito la domanda”. Fermiamoci a pensare e prendiamoci del tempo partendo dalla base della scelta tra avere ed essere e da lì costruiamo insieme un percorso.

cestistic,a mi permette di superare le crisi che si hanno nella finanza. Svolgo la mia attività in modo semplice, ho un metodo che personalizzo per ogni cliente: il tutto in uno; grazie a questo servizio, assisto il cliente nella pianificazione finanziaria affinché possa realizzare i suoi obiettivi. Propongo un percorso su misura, partendo dai bisogni, attraverso una alta qualità dell’informazione per assicurare una gestione efficiente degli investimenti.

LORENZO GAZZANIGA

precedentemente acquisite, proprio grazie al lavoro di collaborazione con coloro che oggi sono colleghi a tutti gli effetti. Si tratta di un lavoro che, seppur complesso per la notevole quantità di competenze tecniche che richiede, mi piace soprattutto per l’ aspetto relazionale che si instaura con i clienti Ascoltare e cercare di capire le esigenze della persona che ho davanti, creando nel tempo un rapporto di fiducia, è sicuramente l’ aspetto che prediligo della mia professione.

MARCO MAGLI

settembre 2020

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IM PORT FOL I O

CUP

Sono terzo di cinque figli, nasco a Tolentino nel 1987. Fresco di diploma di liceo scientifico nel 2006 mi arriva una chiamata inaspettata per un colloquio lavorativo in un istituto bancario senza che avessi presentato alcun curriculum. Avevano preso la lista nominativi dalla scuola, allora la crisi non esisteva ed era il lavoro che cercava te. Passati i tre colloqui psicoattitudinali inizio a lavorare per la banca nel dicembre 2006 a San Benedetto del Tronto.

MARCO MATTEI

Sono laureato in business administration e specializzato in finanza quantitativa. Dopo 10 anni come dipendente bancario ho scelto di collaborare con una delle più importanti banche private italiane. Negli anni ho aggiunto alle qualifiche accademiche anche la certificazione professionale di European Financial Planner, nell’ambito del sistema Efpa approfondendo i temi della pianificazione finanziaria, successoria e previdenziale e della protezione

LAURA PARBUONO

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Dopo la gavetta in cassa, inizio un periodo di esperienze in vari luoghi del centro Italia (Marche e Romagna) per poi tornare stabile come gestore privati presso la filiale di Macerata. Dopo varie chiamate provenienti da diverse reti di consulenza, nel 2015 prendo finalmente la decisione di diventare cf in una rete molto importante. Scelta che si sta rivelando vincente sia per la mia crescita professionale che per la soddisfazione della clientela.

Sono nato 31 anni fa a Venezia, la splendida città nella quale vivo e lavoro. Il mio primo volo da pilota privato di aerei, la mia grande passione, mi ha insegnato a godermi il viaggio, il paesaggio e anche a gestire le turbolenze. Grazie a questa passione ho imparato il valore dell’impegno, della costanza e della responsabilità. Con questo spirito aiuto le persone a compiere le scelte riguardanti il proprio futuro in ambito patrimoniale e finanziario, aiutandole a

patrimoniale. Se la gestione operativa di portafoglio e i mercati finanziari rimangono la mia specializzazione principale, nel tempo ho avuto la possibilità di accumulare significative esperienze nel settore dell’Art advisory e nella corporate finance, offrendo ai miei clienti imprenditori anche un servizio di Cfo in outsourcing. Dedico molto tempo alla formazione e alla ricerca di soluzioni di investimento efficaci, che raggiungano realmente gli obiettivi richiesti.

Sono nata a Castiglione del Lago nel 1974. Mio figlio Tommaso è la fonte inesauribile di positività; la famiglia è la mia forza. Le mie più grandi passioni sono i viaggi e le camminate. Mi sono laureata in Scienze politiche nel 1999 e sono cf dal 2001 per un importante istituto bancario. Nel 2016 ho conseguito la certificazione Efa e nel 2017 la certificazione Efp di Efpa. Seguire questo percorso di studio è stato motivo di orgoglio. Ho imparato che ogni persona merita di

PAOLO MAIOLATI

mantenere la rotta verso i propri obiettivi di vita. Utilizzo un metodo di lavoro in grado di dare benefici a livello psicologico, economico e di controllo del patrimonio in diverse aree di competenza. Sono quindi un consulente patrimoniale, un professionista del settore finanziario che mette a disposizione due asset preziosi e spesso sottovalutati, ovvero il tempo e l’ascolto, caratteristiche essenziali per diventare un punto di riferimento a livello bancario e finanziario.

DARIO NOTARANGELO

essere aiutata a raggiungere i propri obiettivi di vita e di risparmio; il compito del cf è quello di costruire e pianificare con i propri clienti la strada maestra per raggiungerli. La tecnologia e i media, i nuovi modi di fare impresa, l’attenzione all’ambiente, la ricerca biomedica, le dinamiche dei consumi, l’evoluzione demografica sono alcune delle aree dove orientare gli investimenti. Sono una grande sognatrice e come diceva Walt Disney “Se lo puoi sognare, lo puoi fare”.


INVESTIRE SPECIALIST

VALERIA TEDALDI

Ho 37 anni e abito a Calci, un bellissimo comune in provincia di Pisa. Sono sposato da 11 anni con Valentina e padre di 3 figli: Viola, Adele e Davide. Sono molto curioso e aperto a nuove esperienze. Amo stare in compagnia, mi piace il buon cibo e allo stesso tempo cerco di ritagliarmi del tempo da dedicare allo sport, come la bicicletta o le lunghe camminate. Dopo gli studi universitari ho lavoraro prima come dipendente di banca e poi come libero

FILIPPO VANNUCCI

Sono fiorentino di nascita ma da sembre abito in provincia di Pistoia. Sono iscritto all’Albo di categoria dal lontano 2001 ,anno a partire dal quale consiglio ai miei clienti soluzioni su misura alle loro esigenze. Tifoso juventino, per le vacanze amo viaggiare alla ricerca delle bellezze del Belpaese. Poco adatto ai faticosi lavori domestici, nel tempo libero non disdegno affatto il comodo divano di casa. Mi piace cucinare per la famiglia e gli amici, sperimentando nuovi piatti,

Sono nata a Lugo, nella mia bellissima Romagna. Ho iniziato la carriera nel mondo bancario nel 2009, ricoprendo vari ruoli, dall’analisi del credito alla gestione dei portafogli e in ultimo come responsabile di filiale. Dopo 10 anni trascorsi in banca ho capito che desideravo ancora di più essere al servizio dei miei clienti e quindi offrire una vera e propria consulenza per rispondere ai loro bisogni. Sono una persona che cerca sempre di

professionista, ruolo dove mi sento più a mio agio. Per l’esperienza fin qui maturata ritengo fondamentale la continua ricerca e formazione, il rapporto confidenziale con i clienti e la serietà e la professionalità con cui si agisce per rispondere alle loro esigenze. Da appassionato di calcio sono onorato di far parte di questa importante e sfidante competizione. Da tifoso Viola spero di alzare la coppa, gesto ahimè raro per la squadra del mio cuore.

Sono fiorentino, da circa 15 anni mi occupo di gestione degli investimenti,in due banche, nella seconda ho ricoperto il ruolo di direttore di filiale fino al 2018. Da marzo 2018 ho deciso di fare un cambiamento radicale, e migliorativo, nella mia vita lavorativa, abbracciando la libera professione iscrivendomi all’albo dei consulenti finanziari. Una scelta coraggiosa ma senza il minimo rischio, com’è noto, non si ottiene rendimento. Svolgo la professione

probabilmente perché adoro mangiare. Sono sosia del talento professionistico Marcos Baghdatis, gioco a tennis a livello agonistico e mi alleno con costanza per non essere eletto il peggior giocatore del mondo. “Chi dice che vincere o perdere non conta, probabilmente ha perso”. È partendo da questa citazione, proprio di una protagonista del mondo sportivo, che mi preparo ai nastri di partenza di questa bella e intrigante competizione.

migliorarsi per dare soluzioni efficaci, quindi diventare consulente finanziario mi è sembrata la scelta più naturale da fare. Sono concentrata, precisa e costante: a questo si uniscono capacità di ascolto ed empatia. “La conoscenza delle regole, l’intelligenza e la pazienza alla fine ti fanno vincere il torneo, anche se hai perso qualche partita”: applico con attenzione questa metafora sportiva alla mia visione quotidiana del lavoro di cf.

FABRIZIO VALDRIGHI

cercando di dare ai miei clienti qualcosa in più rispetto ad una tradizionale gestione di portafoglio: azioni, materie prime e valute, sono il pepe e sale che nelle giuste quantità danno maggiore sapore al piatto. Ho frequentato un master in analisi tecnica dei mercati finanziari e sono socio della Siat (l’associazione italiana di analisi tecnica). La competenza e l’esperienza, in questo ambito, penso che possano essere tratti distintivi, un plusvalore professionale e umano.

GABRIELE ZELONI

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BANCASSICURAZIONE

Crescono le polizze Intesa Sanpaolo Innovazione nei danni e nel vita di Davide Passoni

I

LA DIVISIONE CONTRIBUISCE PER BEN IL 7% AL RISULTATO OPERATIVO DELLE BUSINESS AREA DEL GRUPPO NEL PRIMO SEMESTRE 2020; UNA PERFORMANCE DA 670 MILIONI DI EURO, +12,8%

l giornalista francese dell’800 Émile de Girardin affermò una volta che «il calcolo delle probabilità, applicato alla mortalità umana, ha dato origine a una nuova scienza: quella delle assicurazioni». Abituato a esprimersi per paradossi, polemista per vocazione ma non molto avvezzo alle faccende economiche, de Girardin probabilmente non capì quanto la sua “scienza delle assicurazioni”, con il tempo sarebbe diventata centrale non solo nel tessuto economico di un Paese, ma anche nel business delle banche. E il bello è che questa sua centralità il ramo assicurativo se l’è guadagnata contribuendo in maniera crescente al fatturato degli istituti di credito. Lo dimostra il caso della Divisione Insurance di Intesa Sanpaolo, la business unit del gruppo bancario dedicata allo sviluppo e alla gestione dei prodotti assicurativi. Una divisione che negli anni ha saputo crescere grazie a prodotti in grado spesso di anticipare i bisogni del mercato e della clientela, diversificando l’offerta per arrivare a coprire la clientela retail, i grandi risparmiatori e le imprese, nei rami vita, danni, salute e protezione. Una divisione in salute, capace di contribuire per il 7% ai ricavi e ben il 13% al risultato netto complessivo delle business unit di Intesa Sanpaolo nel primo semestre 2020; una performance che si traduce in 670 milioni di euro di proventi operativi netti, +12,8% rispetto allo stesso risultato del primo semestre 2019. Della Divisione Insurance di Intesa Sanpaolo fanno parte Intesa Sanpaolo Vita, Intesa Sanpaolo Life, Intesa Sanpaolo Assicura, Intesa Sanpaolo Rbm Salute e Fideuram Vita. Sono i risultati consolidati di Intesa Sanpaolo Vita al 30 giugno 2020 a dimostrare la validità della strategia di gestione del gruppo assicurativo: pur in un contesto di mercato non favorevole, registrano infatti una performance commerciale e una redditività più che interessanti: il risultato netto consolidato si è attestato a 392,3 milioni rispetto ai 364,6 al 30 giugno 2019, con un incremento del 7,6. Numeri che sono in larga parte dovuti alla forte spinta innovativa che caratterizza la Divisione Insurance nell’ambito dei suoi prodotti e soluzioni assicurative. Un aspetto non banale, poiché nel mercato assicurativo, fortemente competitivo e pieno di validi attori, innovazione significa il più delle volte successo. Lo ha capito Intesa Sanpaolo Vita che grazie all’acquisizione di RBM Salute, avvenuta lo scorso 11 maggio, amplia la sua offerta nel comparto della salute destinato a crescere nei pros50

settembre 2020

Nicola Fioravanti, ad di Intesa Sanpaolo Vita e Responsabile della Divisione Insurance di Intesa Sanpaolo

simi anni, creando importanti sinergie anche con l’offerta delle altre compagnie del gruppo. Anche Intesa Sanpaolo Assicura, compagnia danni del gruppo, ha recentemente ampliato gli orizzonti del proprio business rivolgendosi al segmento delle imprese, con l’obiettivo di supportarle nella tutela delle persone e dei rischi che possono compromettere la continuità aziendale. Da sempre impegnata nel garantire protezione al segmento delle persone e delle piccole aziende, Intesa Sanpaolo Assicura ha lanciato lo scorso giugno la polizza Collettiva Infortuni per le Imprese, con la quale queste ultime possono assicurare


INVESTIRE SPECIALIST

ai dipendenti un sistema di welfare aziendale in caso di infortunio patito durante attività professionali ed extraprofessionali. Infatti, se da un lato gli infortuni sul lavoro tendono a diminuire, dall’altro sono sempre più rilevanti i casi di sinistri nel corso di attività extraprofessionali. «La scelta di estendere l’offerta assicurativa danni per le imprese, iniziando dal segmento infortuni», commenta Nicola Fioravanti, responsabile della divisione Insurance di Intesa Sanpaolo, «nasce dalla volontà di supportare le aziende nella tutela del loro patrimonio più importante: le persone. Questo vale sia per i benefici alegati al rafforzamento del welfare, sia per le protezioni dai rischi che possono compromettere la continuità aziendale». In questo momento storico, poi, aprirsi a nuove aree di business significa anche dare sempre maggior valore ai fattori cosiddetti Esg - Environmental, social and governance -. La Divisione Insurance di Intesa Sanpaolo, in continuità con la volontà del gruppo di proporsi sempre più come banca d’impatto e affermarsi come motore dello sviluppo sostenibile e inclusivo, introduce dunque questi fattori nel processo di selezione degli investimenti, con due nuovi prodotti di Intesa Sanpaolo Life: Prospettiva Sostenibile e Valore Pro Insurance. Prospettiva Sostenibile è una polizza unit linked che presenta dieci fondi interni suddivisi in tre aree differenti per tipologie e

stra. Valore Pro Insurance è invece una unit linked con fondi interni multimanager che investono prevalentemente in fondi e aziende selezionate tra quelle che mostrano una spiccata anima Esg; è pensata non solo per essere una polizza, ma anche come progetto assicurativo a tutto tondo con due aree distinte di investimento: Area Asset Allocation, dedicata ai clienti più partecipativi, e Area Selezione Top, pensata per i clienti più deleganti. La prima consta di 13 fondi interni a benchmark rappresentativi delle asset class fondamentali - 7 azionari, 5 obbligazionari e uno monetario -; la seconda si compone di 3 fondi interni di tipo flessibile, portafogli diversificati e gestiti in maniera più attiva. L’importanza attribuita alle tematiche Esg è dimostrata dal fatto che il prodotto indirizza gli investimenti dei clienti, anche giovani, verso un impatto sostenibile sull’ambiente, sulla salute e sul benessere delle persone, per una società più equa nella tutela dei diritti umani e per il buon governo delle imprese, più attraenti e longeve perché attente agli interessi di tutti gli stakeholder. Un investimento sul futuro che, per Intesa Sanpaolo, passa anche dalla formazione e dalla volontà di creare nuovi professionisti del settore assicurativo. Va in questa direzione il ruolo di partner che il gruppo ricopre nell’ambito del Master in Insurance Innovation, il primo percorso formativo in Italia dedicato all’innovazione e alla creazione dei mestieri del futuro in ambito assicurativo, partito a settembre al Collegio Carlo Alberto di Torino. «Il connubio tra mondo accademico e aziendale», spiega Fioravanti, «dimostra che crediamo fermamente nella formazione dei giovani. Il nostro gruppo bancario da sempre ha relazioni forti con le università, le scuole di formazione ed i centri di ricerca, per sostenere lo sviluppo della cultura delle nuove generazioni e anche la Divisione Insurance contribuisce alla preparazione dei professionisti di domani per poterli avvicinare al mondo lavorativo. Verrà posta particolare attenzione alle sfide della digitalizzazione, alla gestione del cambiamento tecnologico, alla distintività dei contenuti e alle prospettive concrete di impiego e crescita professionale”. Insomma la “scienza delle assicurazioni” di de Girardin, dopo quasi due secoli cammina ancora su gambe robuste, grazie anche alla visione di gruppi capaci di innovare e di non sottrarsi alle sfide di un mercato in continua evoluzione. Ad maiora.

VALORE PRO INSURANCE È UNA UNIT LINKED CON FONDI INTERNI MULTIMANAGER CHE INVESTONO SOPRATTUTTO IN FONDI E AZIENDE DELL’AREA ESG obiettivi: Area Esg, in cui sono presenti fondi interni a benchmark e fondi flessibili e dove i fattori Esg aiutano a sostenere aziende con impatto positivo sull’ambiente e sulla società; Area Tematica, che valorizza macrotrend di lungo periodo che fanno leva su tre ambiti di investimento - Planet (riduzione dell’inquinamento, ricerca su alimentazione e smaltimento dei rifiuti), People (settori salute, insurance, beni di consumo, tecnologia e comunicazione), Innovation (ricerca e sviluppo nelle nuove tecnologie); Area Tattica, in cui alla partenza sono disponibili un fondo protetto e un fondo a ingresso graduale nei mercati azionari, entrambi a fine-

INTESA SANPAOLO - GLI HIGHLIGHTS FINANZIARI DELLE VARIE DIVISIONI DIVISIONI Banca dei Territori

Corporate & Banche Investment sussidiarie Banking internazionale

Private Banking

Asset Management

Insurance

Corporate Centre Others

Totale

Ebit (ml. euro)

3,975

2,594

939

955

355

670

(413)

9,075

Margine Operativo (ml. euro)

1,490

2,061

458

664

285

562

(848)

4,672

58

1,214

245

427

212

327

83

2,566

Cost/Income (%)

62.5

20.5

51.2

30.5

19.7

16.1

n.m.

48.5

Rwa (bl.euro)

83.0

105.0

32.6

9.5

1.4

0.0

64.6

296.0

Depositi diretti dal business bancario (bl.euro)

213.3

85.1

44.1

38.7

0.0

0.0

56.6

437.8

Prestiti ai privati (bl. euro)

201.7

141.6

34.8

9.1

0.2

0.0

15.8

403.3

Profitto netto (ml.euro)

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51


I PARADOSSI DELLA CONGIUNTURA

Più il Covid fa paura, più si confida negli infiniti sussidi degli Stati di Matteo Ramenghi*

D

i ritorno dalle vacanze gli investitori si sono trovati ad affrontare un’apparente anomalia: il mercato azionario vicino a nuovi record mentre le prospettive economiche erano restate cupe e addirittura peggiorate dai timori di nuove restrizioni visto l’aumento dei contagi da Covid-19. Durante le presentazioni dei risultati del secondo trimestre, le società quotate hanno fornito qualche rassicurazione ma molti Paesi stanno per terminare i sussidi straordinari alle famiglie e alle imprese e ciò potrebbe rendere più ardua la ripresa nell’ultima parte dell’anno. Si spera che arrivi un vaccino in tempi rapidi, ma la diffusione di massa richiederà molti mesi e la competizione tra Paesi potrebbe portare a una distribuzione subottimale. Le ricadute sui mercati finanziari di questi timori paradossalmente non sono così negative. Infatti, si tratta di rischi talmente significativi da condizionare sia la politica monetaria che la politica fiscale, che rimarranno estremamente espansive. L’abbondante liquidità riduce i rischi di insolvenza per Stati e imprese, inoltre i rendimenti bassi a lungo termine implicano che il tasso di sconto che il mercato implicitamente utilizza per attualizzare gli utili delle aziende sia estremamente contenuto e, quindi, giustificano valutazioni più elevate per le azioni. Ne consegue che l’andamento delle borse sia determinato dalle misure di stimolo monetario varate dalla Federal Reserve, dalla Bce e dalle altre banche centrali più che dall’evoluzione della pandemia. E’ certamente una situazione che potrebbe apparire contro-intuitiva ma con la quale probabilmente conviveremo ancora per un po’ perché le banche centrali manterranno i tassi bassi a lungo, anche in presenza di un aumento dell’inflazione. Infatti, dopo aver recuperato il 51% dai minimi di marzo, questo mese l’indice americano S&P 500 ha superato il massimo storico dello scorso febbraio. Questo vigoroso rialzo, unito al crollo delle stime sugli utili, ha portato il rapporto prezzo/utili attesi per il prossimo anno dal 18,5x di febbraio all’attuale 22,4x. Anche le valutazioni dell’indice globale MSCI All Country World hanno registrato un incremento analogo, passando da 15,5x a circa 20x. In termini matematici, tuttavia, una riduzione dei rendimenti obbligazionari di circa un punto percentuale si traduce in un aumento del rapporto prezzo/utili di oltre tre unità. Insomma gran parte dei rialzi sono semplicemente giustificati dai tagli dei tassi e dalla liquidità immessa da parte delle banche centrali. Nel precedente ciclo economico le immissioni di liquidità non hanno portato a un aumento dell’inflazione perché, con l’eccezione degli Stati Uniti, le politiche fiscali erano per lo più restrittive. 52

CONVIVEREMO ANCORA PER UN PO’ CON L’ATTUALE REGIME DI SUSSIDI PERCHÉ LE BANCHE CENTRALI MANTERRANNO I TASSI BASSI A LUNGO

settembre 2020

JEROME POWELL, PRESIDENTE DELLA FEDERAL RESERVE

Questa volta però la situazione è diversa perché le politiche fiscali sono allineate a quelle monetarie in tutte le economie avanzate, anche nell’Unione Europea. Per questo molti investitori puntano su strumenti che possano proteggere da un aumento dell’inflazione in futuro, come l’oro che si è apprezzato del 27% da inizio anno. I rendimenti sulla liquidità e sulle obbligazioni a basso rischio si sono portati a un intorno dello zero (talvolta sono addirittura negativi) nella maggior parte delle economie avanzate. Quando si tiene in considerazione l’inflazione, un posizionamento di questo tipo ha un costo vero e proprio. In conclusione, le minacce per l’economia globale ed i mercati non vanno ignorate, anzi occorre mantenere nei portafogli qualche strumento che consenta di arginare la volatilità, come l’oro e le obbligazioni con un basso profilo di rischio. Tuttavia, bisogna avere sufficiente esposizione alla ripresa economica senza farsi spaventare troppo dalle valutazioni. In considerazione delle politiche economiche espansive in tutte le principali economie, rimaniamo positivi sul mercato azionario. In particolare, vediamo opportunità tra alcuni titoli ciclici che hanno partecipato solo parzialmente al recupero della borsa e potrebbero recuperare terreno. In un contesto di tassi estremamente bassi continuiamo a privilegiare le azioni che distribuiscono dividendi. Da un punto di vista di temi d’investimento privilegiamo l’azionario sostenibile (un tema che uscirà rafforzato proprio grazie agli stimoli fiscali dei governi che vanno in quella direzione). * Chief Investment Officer di UBS WM Italy



URNE APERTE DAL 24 SETTEMBRE AL 7 OTTOBRE

Enasarco alla sfida del cambiamento Si vota per il futuro degli agenti di Angelo Curiosi

U

n ente con oltre 80 anni di storia e la missione, in primis, di gestire i fondi pensionistici dei propri iscritti. È l’Enasarco che, dal 24 settembre al 7 ottobre prossimi, andrà al voto per il rinnovo delle proprie cariche dirigenziali, al termine di sei mesi di schermaglie amministrative e politiche tra la maggioranza uscente, che remava per il rinvio più lungo possibile delle elezioni, e gli sfidanti che invece premevano per procedere. In quei giorni i circa 215mila iscritti alla Fondazione saranno chiamati a eleggere i 60 delegati dell’Assemblea dell’Ente, i quali poi (nel giro di un mese) nomineranno il board dei 15 membri che costituiranno il Consiglio d’amministrazione di Enasarco per i prossimi quattro anni. Una scelta che riguarda agenti di commercio e consulenti finanziari, le categorie professionali i cui contributi sono custoditi da questo istituto di previdenza, che per la prima volta solo quattro anni fa è andato a libere elezioni dopo decenni di gestione calata dall’alto. Ma quelle prime elezioni del 2016 non diedero quel rinnovamento che era già necessario, e confermarono nel Cda la guida di Confcommercio e di alcuni sindacalisti di professione, già ai vertici da oltre 10-15 anni, con risultati molto discutibili. Fondazione Enasarco ha un patrimonio di circa 8 miliardi di euro; di questi oltre la metà costituiscono il patrimonio della previdenza e ben oltre i 2 miliardi sono a garanzia del Firr, il trattamento di fine rapporto di agenti e consulenti iscritti all’Ente. Le elezioni sono insomma una partita cruciale per la sicurezza della Fondazione e per l’intera sostenibilità del sistema previdenziale italiano; negli ultimi anni Enasarco ha perso mediamente 5.000 iscritti l’anno confermando, in costanza, una tendenza che la gestione uscente non ha saputo tamponare. Nei giorni dell’emergenza Coronavirus la governance uscente ha deliberato, a maggioranza, il rinvio delle elezioni inizialmente previsto per la seconda metà di aprile. In questi mesi però la gestione in prorogatio non ha brillato per incisività nel far fronte alle necessità degli iscritti, che hanno visto il proprio volume di affari in certi casi addirittura azzerato dai noti problemi economici legati alla pandemia; si sono, piuttosto, resi protagonisti di pesanti strascichi con i due ministeri vigilanti (Economia e La-

CONTRO LE VARIE LISTE SCHIERATE DAI GRUPPI USCENTI SI CANDIDA LA LISTA «FARE PRESTO!» DI FEDERAGENTI, FIARC, ANASF E CONFESERCENTI

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settembre 2020

voro), che hanno a più riprese invitato la presidenza di Gianroberto Costa a riprendere le procedure di voto online, per dare agli iscritti la possibilità di scegliersi democraticamente un nuovo board. Stavolta Enasarco al voto va davvero. E finalmente. Al netto di alcune liste civetta e di vecchi boiardi che, nonostante siedano da oltre dieci anni in Cda Enasarco si spacciano per “il nuovo”, stavolta nella Fondazione si profila un rinnovo autentico, alla luce del forte consenso coagulato intorno alla lista unitaria “Fare Presto!”, sostenuta da Federagenti e Fiarc (rappresentative degli agenti di commercio), Anasf (rappresentativa dei consulenti finanziari) e Confesercenti (come casa mandante): sigle riunitesi da tempo sotto il cappello di un’unica lista che rappresenta la vera novità di questa tornata elettorale, grazie a un programma ambizioso ma sostenibile e capace di mettere in sicurezza la gestione dell’Ente. Che non a caso la nostra testata ha dichiaratamente ritenuto meritevole di sostegno. Tra i punti chiave del programma di “Fare Presto!”, il tema dei cosiddetti silenti: la ben nota discriminazione che alla luce della contribuzione minima obbligatoria ha costretto tanti iscritti a lavorare ben oltre i limiti di umana sopportazione per raggiungere i 20 anni di versamento minimo e che nei programmi della coalizione porterà a una rendita contributiva con un minimo di 5 anni. Giustizia ed equità, ma anche competenza e trasparenza sono alcune delle parole chiave che emergono nell’analisi dei punti


INVESTIRE SPECIALIST

programmatici, volti anche ad attrarre alla professione i giovani (definiti, a ragione, “l’unica garanzia per il domani”) e a obbligare al versamento contributivo i giganti dell’e-commerce, che in questi anni hanno potuto giocare una partita impari nell’assordante silenzio generale. Una commissione di inchiesta si occuperà, poi, di verificare la legittimità di tutte le scelte compiute nel passato, al fine di veri¬ficare la reale corrispondenza tra le azioni adottate e i veri interessi della Fondazione e dei suoi iscritti. Enasarco aprirà uno sportello reclami per i propri iscritti e, in generale, aumenterà i servizi e si renderà più vicina all’agente e al consulente, che troppo spesso hanno dovuto prendere atto che la Fondazione si comportava burocraticamente. Per far questo anche la garanzia che la stessa presidenza dell’Ente verrà affidata a un professionista, non a un sindacalista o a un politico di professione. “Fare Presto!” lo promette fin da ora: per la più alta carica verrà scelto un agente di commercio o un consulente finanziario: una persona che vive e conosce la professione, che è in grado di rappresentarla in ogni sede e che versa i propri contributi in Enasarco. Nelle elezioni del 2016, Alfonsino Mei (Anasf) è stato il primo (e finora unico) consulente finanziario a entrare del CdaEnasarco e, dopo quattro anni di oppo-

Le tre liste di seguito possono considerarsi “civetta” e in effetti siti internet, programmi elettorali e pagine social sono sostanzialmente l’una uguale all’altra: una specie di copia e incolla. Inizialmente annunciate come indipendenti, poi nei primi giorni di settembre il sindacato Usarci ha rivelato di essere dietro alle tre, insieme alla Cisl e all’Ugl. Quest’ultima è entrata in Cda per la prima volta quattro anni fa con i voti di Federagenti, salvo poi unirsi alla maggioranza, di cui Usarci e Cisl hanno, storicamente, sempre fatto parte. Anche in questo caso si ricerca, quindi, continuità con il passato: LISTA N. 5 - CONSULENTI FINANZIARI UNITI IN ENASARCO LISTA N. 6 - PRIMA GLI AGENTI LISTA N. 7 - SOLO AGENTI IN ENASARCO

sizione costruttiva, è ora uno dei grandi fautori della lista unitaria “Fare Presto!”: «In Enasarco è custodito il presente e il futuro degli iscritti e delle loro famiglie », dice. «Non c’è quindi dubbio che la cassa previdenziale debba essere consegnata nelle mani di chi ha le giuste professionalità e conosce la storia, l’importanza e la responsabilità di questa professione. L’attuale governance non è stata capace, in questi anni, di rispondere alle esigenze degli iscritti e la nostra proposta va proprio nella direzione di dare un ricambio e una rinascita autentica a Enasarco, che tra perdite di iscritti, investimenti poco azzeccati e assenza di programmazione si è rivelata fallimentare. Al centro del nostro programma ci sono invece le competenze: siamo gli unici, tra le liste candidate, ad avere le skills adeguate per produrre un aumento delle rendite del patrimonio dell’ente e tutelare le pensioni di consulenti e agenti». La parola ora passa agli iscritti. Il diritto di voto può essere esercitato via Pec (la maggioranza degli iscritti ha ricevuto una e-mail dall’Ente con un link per votare) o tramite il cedolino con QR Code che nei giorni scorsi è stato spedito agli altri iscritti per posta. Si può votare online dal lunedì al venerdì, dalle ore 9 alle ore 18 e il sabato e la domenica dalle ore 9 alle ore 20.

LISTA N. 1

LISTA N. 2

LISTA N. 3

LISTA N. 4

FARE PRESTO!

ENASARCO LIBERA

sostenuta da Anasf, Federagenti, Fiarc (agenti di Confesercenti)

è sostenuta da UILTuCS, Federpromm

ENASARCO DEL FUTURO

CON FILCAMS PER CAMBIARE ENASARCO

sostenuta da FNAARC

sostenuta dalla FILCAMS sostenuta da FNAARC

Nel programma pensioni in sicure, più servizi, trasparenza e rilancio della professione. Il testo su: https://www.enasarco. it/allegati/daa5a4db-e78f-4faaa62d-2f9fa87ca4ab.olts

È la lista sostenuta dalla sigla che ha come segretario Brunetto Boco. Il programma su: https://www.enasarco.it/ allegati/65bbf00c-65f7-42469324-9f1b5dc69443.olts

La Fnaarc ha espresso il presidente uscente Gianroberto Costa. Il programma su: https://www.enasarco.it/ allegati/aee1f667-4d44-4333bfcb-d1b5e97396a9.olts

La Cgil mantiene fede alla propria tradizione e corre da sola. Il programma su: https://www.enasarco.it/ allegati/622864b1-ef19-4def8782-924c0533d47folts

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L’INTERVISTA

«Oggettive le ragioni dell’ottimismo Per i gestori ci sono buone occasioni» di Sergio Luciano

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utto quello che sta accadendo ce l’aspettavamo e dunque non disturba più i mercati. La nuova fase della pandemia era scontata. Non è più quello il driver dell’umore degli investitori»: Maurizio Vitolo, fondatore, amministratore delegato e socio di riferimenti di Consultinvest, parla chiaro e va al sodo, come chi è abituato – da una trentina d’anni – a misurare le parole parametrandole alla sua visione dei mercati e soprattutto è abituato a vedersi dar ragione dai fatti.

Dottor Vitolo, non pensa che l’intensità dei contagi sia preoccupante? Salvo che non ci siano nuove vere esplosioni di pandemia che importanto un ritorno al lockdown, che secondo me non faranno mai, non prevedo scossoni. Gli italiani hanno capito che devono solo stare un po’ attenti e che basta avere prudenza per non creare problemi a sè e agli altri. Negli ultimi giorni di agosto, con la paura che è aumentata, abbiamo constatato che anche le precauzioni sono aumentate in proporzione. I mercati finanzairi scontato che la gente abbia imparato la lezione. Intanto la gente deprime i suoi consumi, per la paura del Covid! Sbagliato, la gente non deprime i consumi: li posticipa ma li farà. E intanto incrementa i suoi risparmi. Dunque lei è ottimista! Io m’impegno sempre per essere oggettivo: dunque né ottimista né pessimista. Riteniamo che i consumi procrastinabili ripartiranno. Se proprio vogliamo parlare del vero problema, be’: pensiamo che riguardi alcuni settori nei quali, per ragioni di cautela inevitabile, si vive una crisi specifica molto grave, innanzitutto il turismo, con tutte le attività collaterali come la ristorazione. È comprensibile: la gente non va più a lavorare in ufficio, circola meno, mangia a casa e quindi alcuni esercizi sono più colpiti degli altri e sono in sofferenza. Ma questo non ha impatti sui mercati del quotato perché le aziende più colpite sono tutte piccole e medie imprese, quindi determinano un impatto negativo sul sociale, ma non direttamente sui mercati finanziari. Anche l’impatto sulla situazione economica generale è a medio-lungo termine, non a breve. Bisogna comunque sostenere anche queste imprese, non crede? Sì, è chiaro che lo Stato deve intervenire ma se per farlo au-

MAURIZIO VITOLO, FONDATORE ED AMMINISTRATORE DELEGATO DI CONSULTINVEST: «TRA I SETTORI PROMETTENTI TELEMEDICINA ED E-COMMERCE MA ANCHE E-PAYMENT E TUTTA LA SOSTENIBILITÀ»

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Maurizio Vitolo, fondatore ed amministratore delegato del gruppo Consultinvest

menta il debito pubblico non ha risorse infinite. Certo, finchè fare debito costerà così poco, si potrà. Cos’ha contro il debito pubblico? Mah, mi allineo perfettamente al pensiero di Draghi, quello che conta sono gli investimenti buoni che gli Stati sapranno fare utilizzando il nuovo debito pubblico che gli è stato autorizzato per rispondere alla pandemia. La strada giusta per far davvero ripartire il ciclo non è fare debito aggiuntivo tout-court, è fare debito buono: investimenti, sia pure a debito. Se si fanno investimenti che producono reddito a lungo termine, una parte di questo reddito andrà anche a ripagare i sussidi erogati con un’altra parte del debito. Quindi il punto cruciale per lei è il


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«LE BANCHE CENTRALI SANNO BENE CHE IL VERO MALE DELL’ECONOMIA IN QUESTO MOMENTO NON SAREBBE L’INFLAZIONE, ANZI UN PO’ GIOVEREBBE» rapporto tra spesa assistenziale e spesa per investimenti? Sì, dev’esserci un rapporto sano e non insano… Invece purtroppo in Italia s’è fatto debito pubblico per coprire la spesa corrente e non per fare investimenti produttivi. Ok, ma intanto, in questo quadro fluttuante e con queste incertezze all’orizzonte, cosa compra un vostro gestore? Le rispondo che oggi un bravo gestore compra titoli di quei settori che possono trarre benefici da questi investimenti costruttivi di cui si parla e dal nuovo modo di lavorare e di vivere che si sta affermando. Quindi le nuove tecnologie della relazione, i nuovi sistemi di organizzazione e i nuovi stili di vita. Un bravo gestore compra titoli che ritiene possano andar bene: telemedicina, sistemi di pagamento elettronici, commercio elettronico eccetera. E i titoli dei settori al centro delle nuove tendenze, come le energie alternative e tutto il mondo della sostenibilità. Non pensa che i listini oggi accusino una nuova bolla finanziaria sui titoli hi-tech? No, non lo penso: non avrei paura di una nuova bolla tecnologica come quella del Duemila, se è questo al quale allude. Siamo ancora a livelli sostenibili, basta guardare i multipli. E comunque i mercati sono attenti: premiano solo i titoli che esprimono settori con prospettive concrete di giovarsi dalla rivoluzione degli stili di vita chiaramente in arrivo. Saltiamo di palo in frasca: che ne pensa delle prospettive dell’inflazione dopo il discorso che Jerome Powel ha tenuto a fine agosto? Powel non poteva enunciare obiettivi: sarebbe stato come dire che in tempi non lunghi prevede di dover alzare i tassi, ma sa benissimo di non poterlo fare e deve lasciar correre. Ne è consapevole lui, come ne è consapevole la Bce. Le banche centrali sanno bene che il vero male dell’economia in questo momento non sarebbe l’inflazione, anzi se salisse soltanto un po’ sarebbe utile, ridimensionerebbe l’incidenza del debito… Dunque le banche centrali continueranno a pompare liquidità? Sì, ancora per molto tempo. E dunque, siccome il reddito fisso renderà sempre meno, i listini azionari andranno bene ancora per un bel po’. Penso che possano dare molta soddisfazione anche questi nuovi prodotti finanziari legati all’economia reale: stiamo studiando qualcosa di nostro, di molto particolare, ma lo lanceremo l’anno prossimo. Un argomento in più per smobilizzare un po’ di quella enorme liquidità non investita, che gli italiani parcheggiano sui conti correnti non redditizi delle banche per sentirsi più garantiti. L’arrocco sulla liquidità non investita è la dimostrazione del timor panico che ha pervaso i risparmiatori. È come mettere i soldi nel materasso, il conto corrente fa perdere soldi, l’incertezza che blocca le persone. Ma questo stallo non durerà in eterno. Presto, una parte di questa liquidità verrà finalemente

impiegata per fare investimenti e una parte per fare consumi. Naturalmente, quando l’umore generale si sarà ristabilito: inizierà il cosiddetto reverse spending, una parte dei soldi accantonati finirà in shopping. Vanno bene anche i beni rifugio: l’oro! Sì: anche troppo bene: forse gli attuali livelli sono un po’ eccessivi. Del resto, l’incertezza sostiene i beni rifugio. Sono anche agevolati dal fatto che altri beni rifugio hanno addirittura tassi di rendimento negativi. E dovrebbero avere un gran futuro anche i prodotti assicurativi! Infatti lanceremo presto anche una nuova gamma di prodotti previdenziali. C’è sempre più attenzione verso i temi della vita reale, dell’invecchiamento, dell’autosufficienza. Una volta le famiglie erano unite, gli anziani vivevano in casa con le nuove generazioni, ora non più: le famiglie sono mobili, anche geograficamente, non c’è più la famiglia unita di una volta. Le persone che cominciano ad avvicinarsi alla terza età si pongono più lucidamente di un tempo il problema di trovare soluzioni affidabili per sè stessi. E dunque? Dunque coinvolgono i loro consulenti finanziari per capire come arrotondare la pensione con i risparmi… e il consulente finanziario deve diventare un po’ psicologo e un po’ consulente patrimoniale. Non si deve più occupare solo di efficientare gli investimenti ma anche di scegliere soluzioni diverse, e c’è una grande attenzione alle pensioni integrative. Deve considerare i redditi, la tassazione, i flussi finanziari, le spese della famiglia… oggi i clienti richiedono un servizio più rotondo… Il consulente deve gestire interessi ed emozoni. E deve essere pronto a farsi coinvolgere anche sui temi successori. E quindi la formazione dei consulenti deve ampliare il suo raggio d’intervento, non deve più limitarsi a indicare dove mettere i soldi. E anche noi ci stiamo muovendo nel mondo della consulenza patrimoniale… Per linee interne o esterne? Le dico solo che continua la nostra strategia di attenzione per le opportunità di crescita che riusciamo a individuare, per linee anche esterne purchè con operazioni coerenti e sostenibili. settembre 2020

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IL GESTORE

«L’economia carica la molla del rimbalzo post-Coronavirus» di Angelo Curiosi

INTERVISTA CON LUCA RIBOLDI, DIRETTORE INVESTIMENTI DI BANOR SIM: «GLI AIUTI DELIBERATI DAGLI STATI QUASI COMPENSANO GLI EFFETTI DELLA PANDEMIA. MA QUANDO IL VIRUS PASSERÀ SARÀ SPRINT»

Luca Riboldi, direttore investimenti di Banor Sim, traccia con Investire il quadro, dal suo punto di vista, della congiuntura

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e manovre fiscali deliberate dai governi equivalgono al 20% del Pil negli States e al 10% del Pil in Europa. Sono aiuti di notevole entità e sul mercato americano finiscono quasi a più che compensare gli effetti della pandemia. Riteniamo che a fronte di queste manovre fiscali ci sarà un forte aumento del debito, un problema negli anni a venire che tutti ci troveremo ad affrontare»: equilibrato e acuto Luca Riboldi, direttore investimenti di Banor Sim, traccia con Investire il quadro, dal suo punto di vista, della congiuntura economica e delle prospettive dei mercati per l’ultima parte dell’anno.

Come vede l’andamento congiunturale del terzo trimestre? Il Pil mondiale è stato molto negativo nel secondo trimestre, debole sia in Europa che negli Stati Uniti. In Cina l’impatto si è avuto più a cavallo del primo e del secondo trimestre mentre ha dimostrato un netto miglioramento all’inizio del terzo trimestre. Negli Usa, invece, il Pil del secondo trimestre ha registrato un -33% (annualizzato) rispetto all’anno precedente, il terzo trimestre, invece, è atteso in recupero del 25% sul precedente. Stimiamo che, a livello mondiale, l’impatto della pandemia sul Pil 2020 dovrebbe essere intorno 58

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al 4,5-5%, di cui 3,5-4% in recupero per il 2021. In questi ultimi mesi abbiamo assistito ad una politica monetaria estremamente espansiva da parte delle Banche Centrali che stanno spingendo i tassi d’interesse reali sempre più in basso. Livelli molto negativi, nell’ordine del -1% negli Usa e in Germania, spingono all’acquisto di beni reali perché l’investimento non protegge il potere d’acquisto del capitale.

I Tech Giant sono alla sbarra degli imputati. Main Street non può che gioirne: come sempre, quando i monopolisti vengono messi alle corde. Ma Wall Street potrebbe tremare, perché punta sui big e non sui piccoli. Cosa ne pensa? Ritengo non sia facile fermare i Tech Giant perché in molti casi sono diventati più potenti dei governi. Non per niente paesi come la Danimarca hanno creato un ambasciatore che dialoga con le 5 mega cap Facebook, Amazon, Apple, Netflix, Google. La legislazione anti-trust americana è superata, in più gli americani hanno un altro problema: in Cina ci sono player altrettanto forti come Tencent, Alibaba, Baidu, Huawei. È impensabile che gli Usa limitino il potere dei propri campioni tecnologici se in Cina non viene presa


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una posizione simile. Mi aspetto la guerra tecnologica in corso tra Stati Uniti e Cina si acuisca ulteriormente. A livello di mercato azionario, una concentrazione del rialzo sui primi 5 titoli, in funzione anche del peso che hanno sul mercato di quasi 2.000 miliardi di dollari, è pericolosa perché espone a rischi di correzione forte se ci fosse un attacco a questi giganti. È piuttosto certo che salga la tassazione nei confronti delle società a fiscalità agevolata ma sarà duro compito del prossimo presidente americano affrontare il tema e tenere a bada la forza dei colossi del tech.

È una fase complicata per i titoli “value”. Il comparto bancario e finanziario è in una morsa tra nuovi competitor, condizioni regolatorie sempre più esattive e crediti incagliati. Il comparto energetico è flagellato da un crollo dei prezzi che non accenna a correggersi. Cosa possiamo attenderci? Per il settore finanziario il momento è molto complesso, soprattutto per un contesto macroeconomico che ormai da 10 anni è sfavorevole ai titoli finanziari, banche e assicurazioni in testa, con il calo continuo dei tassi d’interesse, elemento importante dei loro bilanci. Le valutazioni però incorporano questo scenario e non ci sono grandi spazi di ulteriore di-

NON SARÀ FACILE FERMARE I TECH GIANT PERCHÉ SONO DIVENTATI PIÙ POTENTI DEI GOVERNI. LA DANIMARCA USA UN AMBASCIATORE PER GESTIRLI scesa, soprattutto se nel breve termine dovessimo avere una certa ripresa economica. Quando il Covid-19 sparirà dalla scena osserveremo un forte rimbalzo dell’economia, probabilmente anche dei tassi, nel complesso un contesto migliore per le banche nel medio periodo mentre nel lungo la situazione rimarrà difficile. Inoltre, il settore finanziario europeo è di fronte a un processo di concentrazione come quello visto in Usa anni fa, che ha portato ad avere poche grandi banche. È un settore in cui i competitor sono anche attori della tecnologia, start-up, fintech. Sarà quindi un mercato per poche grandi banche di eccellenza che possono permettersi grandi investimenti in tecnologia ed efficienza e che riusciranno a tener testa. Ma a caro prezzo: l’80% delle banche europee sparirà nell’arco di 10 anni. Per il settore energetico le cose sono un po’ diverse. Con l’emergenza del coronavirus e il lockdown, la domanda di trasporto aereo ha subìto un crollo che ha poi investito il prezzo del petrolio quando questo era già sotto tensione per effetto delle pressioni alla decarbonizzazione. Si è verificata una tempesta perfetta, con cali molto consistenti dei titoli. Le valutazioni lo scontano già e, quando finalmente il Covid-19 sarà un capitolo chiuso, il prezzo del petrolio non salirà molto oltre i 40-50 dollari ma il contesto sarà molto favorevole per 3-4 anni per i titoli dell’energy. A causa dei mancati investimenti per parecchi anni, nel momento in cui la domanda ripartisse potrà verificarsi una situazione di eccesso di domanda, con conseguente impennata dei prezzi. Nel lungo periodo, in un mondo in cui le tematiche ambientali giocano un

ruolo sempre più importante, il mercato del petrolio sarà in contrazione mentre il metano conoscerà maggior fortuna. Vedremo società ridimensionarsi, sempre più raffinerie usare biocombustibile. Le valutazioni attuali sono però molto interessanti.

Le elezioni presidenziali di novembre tengono il mondo col fiato sospeso ma anche se Trump dovesse perdere non c’è dubbio che la Cina, dopo il Covid-19, appare a tutti meno amichevole e affidabile di prima. É ancora un quadrante su cui puntare? La Cina è un Paese forte tecnologicamente e ha conquistato fette importanti dell’economia mondiale. Gli Stati Uniti stanno cercando di fermare l’avanzata della Cina e l’attacco a Huawei ne è un esempio. Non possono più permettersi che la Cina abbia campo libero per entrare sul mercato americano e occidentale, fatto che non è reciproco, pensiamo solo a Google che non può operare su suolo cinese. Questo attrito tra le due potenze sta creando standard tecnologici diversi, come ben esemplificato dalla questione del 5G o dal mercato dei semiconduttori. La Cina resta un mercato interessante con un’economia che cresce moltissimo, le valutazioni sono più contenute rispetto a quelle europee e americane ed evitando titoli cinesi molto esposti ai mercati occidentali c’è comunque un mercato interno enorme su cui puntare.

I parametri Esg, che Banor segue da tempi non sospetti, sono di moda. Forse troppo di moda. Non c’è insomma troppo social e green washing in questo segmento qualitativo che sembrava così edificante? Il profitto in sé è sempre più considerato qualcosa di deplorevole. Il tema Esg riguarda ormai tutti i settori, non solo quelli considerati inquinanti o negligenti. È quello che l’azienda fa concretamente per andare incontro a varie istanze che vengono dagli investitori, dalle comunità in cui opera, dai suoi clienti. Ogni azienda deve essere virtuosa su temi tanto sociali, quanto ambientali e di governance: lasciare indietro anche solo uno di questi aspetti può portare a ricadute negative pesanti da cui è difficile sollevarsi. settembre 2020

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LA GUERRA DEI DAZI

La disciplinatissima Cina ha reagito ma adesso teme il calo dell’export di Gloria Valdonio

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entre le città americane sono teatro di uno scontro elettorale senza precedenti per la sua visibilità internazionale, la Cina sembra essersi eclissata in un’attesa confuciana. Il nuovo modello commerciale basato su produzioni nazionali e accordi bilaterali nato dalla guerra dei dazi tra Washington e Pechino, e che ha impresso una battuta di arresto alla globalizzazione, favorisce una maggiore autarchia produttiva: e questo va bene a Pechino. Ma potrebbe risultare complessivamente sfavorevole a un’economia che proprio al vettore dell’export deve il miracolo della sua veloce e impetuosa crescita che l’ha portata sul filo di lana con la prima economia mondiale. Uno stallo che - a causa degli alert lanciati da Washington ai tradizionali alleati occidentali - coinvolge anche l’ambizioso progetto infrastrutturale e culturale denominato Via della seta che ha nell’Italia uno dei suoi terminali. Ciononostante, secondo molti strategist, la Cina sarebbe già in posizione di ripresa avendo di fatto sconfitto la pandemia che imperversa ora nelle Americhe. Gli indicatori economici standard, nonché i dati a più elevata frequenza, suggeriscono che nel secondo trimestre di questo infausto 2020 il Pil è aumentato di oltre il 10% (su base trimestrale), invertendo gran parte della contrazione senza precedenti del primo trimestre. «Alla luce di questa netta ripresa, avvenuta nonostante violente perdite altrove, la Cina sembra ben posizionata per trarre vantaggio dal probabile rimbalzo sincronizzato della crescita esterna dei prossimi mesi», dice Homin Lee, macro strategist Asia di Lombard Odier, che sull’intero anno prevede una crescita del Pil cinese pari al 2 per cento.

PECHINO SEMBRA BEN POSIZIONATA PER TRARRE VANTAGGIO DAL PROBABILE RIMBALZO SINCRONIZZATO DELLA CRESCITA ESTERNA DEI PROSSIMI MESI. MA MOLTE INCOGNITE RESTANO

Outlook cinese In altre parole, dopo essere stata l’epicentro della pandemia, ora la Cina si trova in una posizione relativamente più forte per affrontare la seconda metà del 2020 grazie anche al fatto che il virus sembrerebbe aver fatto meno danni proprio nel punto dove si è sviluppato. La capacità produttiva interna è tornata in gran parte alla normalità nel mese di aprile. La domanda dei consumatori non è crollata affatto, anche 60

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Jasmine Kang, gestore del fondo Comgest Growth China di Comgest

se il tasso di ripresa varia a seconda dei settori. I recenti segnali da Pechino a livello di politiche, secondo Lee, aumentano la fiducia in questo scenario. «Per quest’anno», dice lo strategist, «prevediamo un’esenzione dai contributi previdenziali, progetti per infrastrutture finanziati dal debito e altre misure di spesa e riduzioni degli oneri pari al 4,5% del Pil, nonché ulteriori misure di stimolo e di agevolazioni finanziarie per aiutare le aziende, soprattutto le piccole e medie imprese, utilizzato nel pieno della grande crisi finanziaria». Nel frattempo, la Banca Popolare Cinese ricorrerà probabilmente ad altri tagli dei tassi di interesse di riferimento e del coefficiente di riserva obbligatoria. «Al momento stiamo considerando un taglio totale di 40 punti base del tasso di pronti contro termine a sette giorni e del tasso di finanziamento a un anno, oltre a un taglio di 150 pb del coefficiente di riserva», spiega Lee. «Se da un lato c’è il rischio di sovrastimolare l’economia e di aumentare la leva finanziaria, dall’altro il governo ha anche rimosso qualsiasi obiettivo di Pil per quest’anno, che consideriamo una decisione politica appropriata», afferma Jasmine Kang, gestore del fondo Comgest Growth China di Comgest. Immobilismo zen Per molti analisti lo scenario descritto appare troppo ottimistico. Gli esperti di Capital group, per esempio, non met-


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tono in dubbio la ripresa, ma la pronosticano “lenta e graduale”, con un crollo delle esportazioni stimato tra il 20% e il 30% su base annua e consumi a singhiozzo a causa del fatto che, “le persone sembrano essere ancora reticenti a uscire dalle loro case, e questo è in parte riflesso nei dati relativi ai viaggi e alla ristorazione, ben al di sotto dei livelli del 2019”. I dubbi non riguardano solo la diffusione del virus in terra cinese e la riduzione del commercio mondiale. È opinione degli analisti che l’inattesa inversione delle condizioni relative della sanità pubblica tra Cina e il resto del mondo abbia allentato la pressione che spingeva Pechino a dare il massimo in termini di stimoli. L’ultima Assemblea nazionale del popolo per esempio non ha specificato un obiettivo per la “riqualificazione delle baraccopoli”, che molti ritengono essere un canale a elevato rischio, ma ad altrettanto elevato impatto per l’allentamento monetario. «Le autorità», precisa Lee, «non si sono nemmeno espresse sulla possibilità di ridurre le limitazioni agli acquisti di abitazioni nelle principali città». Questo sorprendente immobilismo – è il parere dello strategist - riflette forse il desiderio dei responsabili delle politiche cinesi di conservare alcune riserve di liquidità per potenziali rischi di medio termine, come l’intensificarsi dei conflitti geopolitici con gli Stati Uniti.

IN AGOSTO I DISSIDI TRA WASHINGTON E PECHINO HANNO COINVOLTO ALCUNI DEI PUNTI DI FORZA DEL DRAGONE, COME I COLOSSI DELL’HI-TECH TENCENT E BYTEDANCE (CIOÈ WECHAT E TIKTOK) La guerra commerciale L’attesa nasce quindi dall’impossibilità di escludere uno scivolamento in terreni ben più minati rispetto a quelli commerciali, incluso quello militare. In agosto i dissidi tra Washington e Pechino hanno coinvolto alcuni dei punti di forza del Dragone, come i colossi tech Tencent e Bytedance, case madri dei social globali WeChat e TikTok, con Tencent che venerdì 7 agosto ha registrato flessioni intorno al 7% a Hong Kong. Con le elezioni presidenziali di novembre è inevitabile che i numerosi punti di attrito tra Stati Uniti e Cina si portino con forza al centro dell’attenzione, anche se entrambi i Paesi hanno espressamente categorizzato le dispute per evitare un crollo totale della “fase 1” del loro accordo commerciale. «La competizione strategica sul fronte della diplomazia regionale, tecnologico e delle capacità militari ha una natura di lungo termine, ma difficilmente provocherà nell’immediato uno shock in grado di rivoluzionare la situazione», è il parere di Lee. La concorrenza strategica tra Cina e Stati Uniti insomma sarebbe quindi un problema, che tuttavia difficilmente farà deviare l’economia globale dall’attuale percorso di ripresa, almeno nel breve termine. Eppure, come sottolineano molti strategist, le relazioni Usa-Cina sono decisamente peggiorate negli ultimi mesi, con gli Adr cinesi quotati negli Usa attualmente sotto i riflettori. Non va dimenticato che l’amministrazione Trump ha minacciato di rimuovere gli American deposit receipts (Adr) cinesi a causa della loro incapacità di soddisfa-

re i requisiti di supervisione contabile stabiliti dalla Securities and Exchange Commission, e che il governo cinese continua a vietare l’invio agli Stati Uniti dei documenti contabili locali per revisione. Le società interessate hanno tre anni di tempo per conformarsi, ma il rispetto dei requisiti statunitensi è fuori dal loro controllo. «Si tratta di una questione storica che è riemersa con l’intensificarsi della guerra commerciale», spiega Kang. «L’ultimo disegno di legge ha accelerato il processo di “ritorno a casa” degli Adr cinesi, tra cui NetEase e JD.com, che hanno completato la loro quotazione secondaria a Hong Kong nel mese di agosto, con un numero crescente di aziende disposte a prendere in considerazione l’opzione, soprattutto dopo una serie di precedenti di successo tra cui il debutto di Alibaba lo scorso autunno». Inoltre prosegue a colpi di ordini esecutivi l’attacco di Donald Trump alle app come Tiktok (mentre procede la vendita a Microsoft) e WeChat, accusate di raccogliere clandestinamente dati degli americani e quindi di attentare alla sicurezza nazionale. «Dal commercio, il conflitto si è esteso ad altre aree, tra cui la tecnologia (in particolare, le restrizioni su Huawei), la finanza (la recente proposta di legge del Senato sul delisting degli Adr) e geopolitica (l’ultimo motivo di tensioni riguarda la legge sulla sicurezza di Hong Kong)”, conferma Natasha Ebtehadj gestore di portafoglio di Columbia Threadneedle Investments. Che aggiunge: «Per alcuni versi, il riacuirsi delle tensioni non sorprende in un anno di elezioni statunitensi; l’at-

Natasha Ebtehadj, gestore di portafoglio di Columbia Threadnedle Investments

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LE SUPPLY CHAIN GLOBALI NON LASCERANNO LA CINA MOLTO PRESTO ANCHE SE LA LORO RIDUZIONE È DIVENTATO UN TEMA MOLTO CALDO teggiamento ostile vero la Cina è peraltro condiviso da entrambi gli schieramenti politici, per cui riteniamo che le relazioni sino-statunitensi continueranno a fornire argomento di discussione sino alla chiamata alle urne».

Le catene produttive Come abbiamo visto, anche la finanza riprende la strada di casa. Tuttavia le supply chain globali non lasceranno la Cina molto presto anche se la loro riduzione è diventato un tema molto caldo dopo il coronavirus. Alcuni ritengono che si sposteranno dalla Cina per diversificare il rischio o avvicinarsi ai mercati finali in Europa o Usa. «Nel medio/lungo termine è probabile che vedremo una migrazione, dato che le multinazionali sembrano riconoscere i vantaggi di una maggiore diversificazione», dice Eric Moffett, gestore del fondo T. Rowe Price Funds Sicav, Asia Opportunities Equity. «Tuttavia, nel breve periodo, i cambiamenti nelle supply chain potrebbero essere limitati visti gli elevati costi associati. Inoltre per i beni più complessi e con maggiore valore aggiunto, pochi Paesi al momento possono competere con la Cina, per dimensioni, produzione sofisticata e reti logistiche». Spostare le catene di approvvigionamento per questi prodotti potrebbe implicare costi elevati e potenziali perdite di competitività. Altra storia invece per la produzione con minore valore aggiunto, che continuerà a spostarsi dalla Cina verso luoghi con minori costi, come già fatto negli ultimi dieci anni. «Gran parte di questa produzione resterà probabilmente in Asia, e in particolare in Vietnam, Malesia, Indonesia e India», dice Moffett.

Paese in transizione Da una grande crisi possono emergere anche opportunità. È questo il parere di Gergely Majoros, membro del comitato investimenti Carmignac, secondo il quale la crescente tensione tra Stati Uniti e Cina dovrebbe intensificare ulteriormente lo sviluppo di settori selezionati dell’economia cinese, favorendo la sua trasformazione. «Questo deriverà anche dalla strategia di diversificazione dei partner commerciali, che appare oggi più urgente e inevitabile che mai», dice Majoros. Che aggiunge: «Allo stesso tempo, la crisi da Covid19 ha anche accelerato numerose tendenze esistenti in Cina come per esempio la curva di adattamento dell’e-commerce e ha accelerato nuovi modelli come i consulti medici online». Questo cambiamento dirompente non sta avvenendo solo tra modelli economici tradizionali e online. In generale, secondo lo strategist, le imprese deboli sono diventate ancora più deboli e le imprese forti ancora più forti. Inoltre, l’innalzamento dei dazi ha prodotto un aumento dell’orgoglio nazionale cinese, che sta guidando la domanda di brand locali in tutti i segmenti, inclusi i telefoni cellulari e l’abbigliamento. «Queste tenden62

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Qui accanto Eric Moffet di T.Rowe Price e in basso James Kenney

ze fungono anche da catalizzatore per l’ulteriore trasformazione del Paese», dice Majoros. «La Cina è nel bel mezzo della transizione da un’economia guidata dal settore manifatturiero a un’economia guidata dal consumo», è il parere di James Kenney, senior investment manager di Pictet Asset Management. «Ci aspettiamo un continuo sostegno dei consumi nel Paese, con il settore dei beni di consumo che rappresenta il maggior sovrappeso per il nostro fondo». Hong Kong Anche Pechino sta cercando di ridurre la sua esposizione verso l’estero, in particolare nei confronti dei fornitori di semiconduttori e di apparecchiature tecnologiche con sede negli Stati Uniti, nel tentativo di diventare leader mondiale nella tecnologia avanzata. Come spiega Kenney, l’investimento della Cina nel 5G è destinato ad accelerare nei prossimi anni, fornendo un vento favorevole a livello strutturale a più lungo termine. Ma la grande trasformazione riguarda, come detto, gli Adr quotati negli Stati Uniti che si stanno sempre più spostando verso una doppia o potenzialmente unica quotazione a Hong Kong. «È probabile che queste quotazioni aumentino il volume di scambi delle Borse del Paese, soprattutto una volta che queste società saranno incluse in Stock Connect», dice Kenney. Che conclude: «A questo punto, gli investitori retail nazionali potranno investire “in massa” in queste società per la prima volta nella storia del mercato finanziario del Paese».


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L’ANALISTA ECONOMICO

«Lo choc sarà lungo ma i mercati navigheranno su liquidità e vaccino» di Sergio Luciano

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e parliamo di economia reale, questo del Covid-19 è un choc che durerà nel tempo, non è un infarto che passa in due mesi, rischia di essere un ictus. Avremo ancora molte discontinuità, senza progressione lineare. Ma intanto ai mercati per essere positivi basta il mare di liquidità che li irriga e la prospettiva del vaccino»: Jean Ergas è il capo del dipartimento di analisi economica di Tigress Financial Partners, un gruppo finanziario americano diversificato nel capital market, nell’investment banking, nell’asset management, nel global wealth management, nel corporate advisory e nei servizi di trading; e in quest’intervista a tutto campo esamina le prospettive dei prossimi mesi incrociando elementi finanziari, monetari, sanitari e sociali.

Ergas, partiamo dall’economia reale, sì. Quando ripartirà sul serio? Siamo in un’epoca in cui il 50-60% dell’economia reale è trainata dai consumi, possiamo rilanciare quanto vogliamo manifattura ed export ma non basta. I consumatori sono tremebondi. Il virus sembra star vivendo una seconda ondata, tanta gente ha paura, c’è un problema di disoccupazione… non spendono perché temono di poter ancora perdere il lavoro a causa della pandemia, il che gli toglierebbe potere d’acquisto e risparmiano. Dunque ci vuole il vaccino. Direi: il vaccino sarà una soluzione all’interno di un pacchetto di risk-management. Avremo un 50% della popolazione che si vaccinerà con prodotti efficaci al 50%... Per questo alludo a un risk-management che includa anche terapie efficaci e precauzioni comportamentali. In teoria sarebbe giusto renderlo obbligatorio, il vaccino. Quando 64

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PARLA JEAN ERGAS, CAPO ECONOMISTA DI TIGRESS FINANCIAL PARTNERS: «PER UNA RIPARTENZA SANA OCCORRE RILANCIARE I CONSUMI, NON BASTANO LA MANIFATTURA E LE ESPORTAZIONI» Jean Ergas è il capo del dipartimento di analisi economica di Tigress Financial Partners

da giovane vivevo a Roma ricordo una vostra espressione italiana molto bella: ‘maggiorenne e vaccinato’… e tutti quelli di una certa età hanno sulla spalla la cicatrice dell’antipolio… Ma i mercati sembrano molto più ottimisti di lei! Lei mi ha chiesto di parlare di economia reale. Se parliamo di mercati finanziari, a loro basta la liquidità dei sussidi pubblici e la certezza che un giorno ci sarà il vaccino, conta l’esistenza del vaccino più ancora della sua efficacia. Un vaccino efficace al 50% basterebbe a far rivedere il 90% dei consumi. Quindi i mercati finanziari non stanno avendo reazioni lineari… Si aspettavano di peggio… se ci si attendeva l’11% di disoccupazione e la si trova al 10% si brinda. Per andare oltre, ripeto: ci vuole solo il vaccino. Un po’ come il 18 aprile del ’48 in Italia… le elezioni politiche che segnarono la vittoria della Democrazia Cristiana contro il fronte popolare. Sapevo di un sottufficiale americano che si arricchì scommettendo sulla vittoria democristiana. Girava la campagna romana per spargere ddt contro la malaria, si faceva ricompensare per disinfestare qualcuno più e meglio di altri, e con il ricavato comprava terreni a poco prezzo. Gli dicevano: ’Sei un pazzo, arriveranno i comunisti e ti sequestreranno tutto!’. Ma lui rispondeva: ‘Qui c’è il Vaticano, circondato dallo Stato italiano. Possiamo perdere i Balcani, non importano nulla a nessuno,


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ma gli Alleati non permetteranno mai che il Vaticano, il simbolo del cristianesimo mondiale, cada in mano ai comunisti’. Ecco: il vaccino avrà lo stesso effetto di quel voto politico del 18 aprile ’48. Chi l’avrebbe mai immaginato… La pandemia ha ridestato la paura della morte nei Paesi sviluppati, dov’era già molto diffusa ma tendeva ad essere accantonata. Cos’è la vita? Quella cosa che finisce prima o poi per tutti. Cos’è il virus? Quella cosa che fa finire la mia vita domani. Mi torna in mente quella vecchia battuta da economista: la recessione è quando il mio vicino perde il lavoro, la depressione è quando lo perdo io. Arriverà prima il vaccino di Putin o quello di Trump? Non so se il vaccino di Mosca funzionerà o no, lo useranno come strumento politico ma il vero uso economico del vaccino sarà nei Paesi occidentali. Non a caso Trump ha promesso il vaccino prima della fine dell’anno. Come può essere sicuro di averlo? Perché è ormai in atto un assottigliamento della divisione tra poteri: l’esecutivo e le autorithy dovrebbero essere funzioni ben distinte ma non lo sono. Potrebbe accadere che la Casa Bianca chiamasse la Food and drug admnistration e le intimasse di autorizzare subito un vaccino! E alla risposta: ‘Non si può, funziona in troppo pochi casi’ o ‘ Non è abbastanza testato’, la tentazione della Casa Bianca potrebbe essere quella di imporsi. E potrebbe anche averla vinta! Parliamo di mercato obbligazionario, dopo le ultime scelte della Fed… Cosa dire… tutti a guardare il decennale Usa, pensando che il rendimento si sarebbe impennato. Invece è salito di 4 punti base, dopo quegli annunci. Un rumore, non un segnale. L’enorme quantità di denaro immessa del sistema avrebbe dovuto far salire i prezzi, ma non è accaduto, demolendo una secolare teoria economica; come pure il boom dell’occupazione prima del Covid-19, non seguito da un aumento dell’in-

L’ENORME QUANTITÀ DI DENARO IMMESSA NEL SISTEMA AVREBBE DOVUTO FAR SALIRE I PREZZI. NON È ACCADUTO, SMENTENDO TEORIE SECOLARI flazione, altra teoria secolare smentita. Un’epoca di cambiamenti, dunque… Assolutamente sì, senza precedenti. Viviamo in un mondo di cash senza crescita. Comunque, sul mercato obbligazionario direi che segnala due consapevolezze: la prima è che sì, la ripresa ci sarà ma sarà graduale per la popolazione; e che l’inflazione non salirà, sia perché la gente non riprenderà a spendere come prima ancora per qualche mese sia perché strutturalmente ci saranno ulteriori forti cambiamenti. Quali ad esempio? Mah, tanti. Pensiamo all’ecommerce: riduce il ruolo della catena della distribuzione e degli intermediari commerciali, quindi calmiera i prezzi e taglia l’occupazione. All’estero nonostante tutto permane un grande settore manifatturiero che produce per gli Stati Uniti a costi bassissimi. È anche così

che si spoega la deflazione: da un lato, abbiamo consumatori da primo mondo, pieni di soldi – quando riprenderanno a spenderli - dall’altro lato Paesi che si avvalgono degli accordi di libero scambio firmati al Wto, ma hanno un costo della manodopera che in termini reali resta inferiore a quello della rivoluzione industriale. Parla della Cina? Anche: non possiamo competere sul costo lavoro, da loro è ancora inferiore a quello dell’Italia degli Anni 50! Eppure la Cina è nel Wto dal 2001! Sì, fu il colpo di grazia al commercio mondiale. È una dittatura che non cambierà mai e minaccerà da vicino il nostro modo di vivere. Come alludeva Mike Pompeo giustamente il rapporto degli Usa con la Cina riguarda “the american way of life”. Bisogna tener presente che c’è più repressione in Cina oggi che 20 anni fa. Ci sa afferma che siamo di fronte a un problema rispetto al quale i fenomeni analoghi in Russia sono scaramucce. E dunque, che fare con Pechino? Vediamo che ormai i rapporti Usa-Cina si focalizzano sul fronte delle tecnologie, e dunque a suon di sanzioni e divieti. Però, su un altro piano, si continua a parlare d’affari, ed è essenziale tenere aperto un canale di discussione… Dobbiamo capire che stiamo arrivando a una nuova guerra fredda. E del resto, perché stupirsene. Le differenze ci sono, gli interessi in conflitto anche. Ma bisogna stabilire le regole del gioco: non siamo morti di bomba atomica perché Usa e Urss stabilirono le regole. La storia ne è piena: durante tutti in conflitti in Medio Oriente ha resistito la convenzione non scritta per cui gli israeliani non avrebbero mai bombardato la diga di Assuan, per non causare la morte di moltissimi civili… dunque tra Usa e Cina vedremo una dura guerra di tecnologie e propaganda. Noi americani però abbiamo due dipartimenti di Stato: uno è quello ufficiale dove c’è Mike Pompeo. L’altro è la Apple, che ha forti interessi in Cina, e che lo stesso Trump fa molta attenzione a non ledere interessi di Apple in Cina. Del resto,c’è una forte interdipendenza tra le due parti, nel caso della Cina siamo passati dal trattare col governo al trattare anche col regime. E Trump è l’unico presidente che ha capito che si deve trattare anche con i torturatori… settembre 2020

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RISIKO BANCARIO

Popolare di Bari da grande malata a polo pubblico aggregante? di Giuseppe D’Orta

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na volta salvata la Banca Popolare di Bari, oggi diventata società per azioni, tornano sotto osservazione molti piccoli e medi istituti di credito sparsi per l’Italia spesso in condizioni di così acuta difficoltà da richiedere la ciambella di salvataggio del sistema. Non è un caso che già dall’inizio del 2019 circolassero ipotesi di una aggregazione di operatori all’interno del movimento delle popolari. Idee di accorpamento che hanno preso ancora più piede con il Decreto Crescita che ha consentito a imprese e istituti di credito del Sud Italia di utilizzare, in caso di aggregazioni, le attività fiscali differite (Dta) trasformandole in credito di imposta fino a 500 milioni di euro. E chi potrebbe diventare il protagonista di questo risiko nel mondo delle banche locali se non la stessa Popolare di Bari una volta messa in sicurezza? Individuato l’attore protagonista però bisogna completare il cast. Quali potrebbero essere gli istituti coinvolti nel processo di aggregazione e in quali condizioni versano? Le due realtà più papabili, anche per via delle dimensioni, sono la Banca Popolare del Lazio e la Banca Agricola Popolare di Ragusa. Ci sono poi la Popolare di Puglia e Basilicata, le piccole popolari Sant’Angelo e Vesuviana e la meno piccola Banca di Credito Popolare di Torre del Greco. L’idea di un polo delle popolari, al sud ma non solo, è molto gradita dalla Banca d’Italia e anche da Assopopolari, ma si scontra contro una realtà poco propizia, per almeno due aspetti che prendono il nome di crediti deteriorati e Mifid 2.

DA FROSINONE A RAGUSA PASSANDO PER TORRE DEL GRECO E ALTAMURA SONO ANCORA TANTE LE SITUAZIONI IN BILICO DELLE BANCHE LOCALI. TROPPO PER INTEGRARSI CON LA POP. DI BARI

Sofferenze, bel problema L’aspetto più critico è rappresentato dai crediti deteriorati e dal loro tasso di copertura nei bilanci. Spesso queste realtà, negli anni, non hanno svalutato come avrebbero dovuto le poste in sofferenza, ma i nodi sono ormai giunti al pettine anche a causa dell’impossibilità dei soci di vendere le proprie azioni, come spiegheremo dopo. Basti pensare che la Popolare di Bari dichiarava a inizio 2019 una necessità di capitale di circa 500 milioni, diventata un miliardo a fine anno e poi un miliardo e seicento milioni in sede di salvataggio. Una somma triplicata in diciotto mesi. Come attuare il piano? Lo scorso anno Assopopolari ha commissionato a Kpmg uno studio di fattibilità in cui è stata ipotizzata la creazione di un polo di ben 17 banche cooperative (anche del centro e del 66

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Edmondo Maria Capecelatro, presidente della Banca popolare del Lazio

nord) con 1.441 filiali e 185 miliardi di masse gestite. Si tratterebbe della replica di quanto avvenuto con le banche di credito cooperativo dopo un’apposita legge che le ha praticamente obbligate ad aderire alle holding Iccrea oppure Cassa Centrale Banca. In concreto si ipotizza, dopo un apposito intervento legislativo, la costituzione di uno o più poli con la sottoscrizione di un contratto di coesione. Le strade sarebbero poi due: creazione di una o più holding cooperative con fusione prima e successivo scorporo delle banche divenute S.p.a oppure creazione di una nuova S.p.a. da parte di una delle popolari e conferimento dei rami di azienda bancari degli istituti alla nuova società per azioni che sarebbe a quel punto controllata da banche cooperative che farebbero riferimento ai precedenti soci.


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Il nodo delle azioni invendibili Il fattore che sta creando i maggiori grattacapi nei confronti della clientela è l’impossibilità di vendere le proprie azioni collocate in passato. Mentre in passato era facile, nei periodi di “magra”, smaltire l’eccedenza delle azioni in vendita rispetto a quelle in acquisto tramite il “Fondo acquisto azioni proprie”, gli articoli 77 e 78 del Regolamento Ue 575/2013 (il cosiddetto “CRR”) impongono dal 2014 l’autorizzazione della Banca d’Italia per ogni intervento del Fondo, prima necessaria solo se si eccedeva il 5% del capitale sociale. Con bilanci poco in ordine, ecco che le autorizzazioni hanno iniziato a non essere rilasciate e le richieste di vendita sono rimaste inevase.

Il ruolo della Mifid2 A complicare le cose è intervenuta anche la Mifid 2: la Consob, con la Comunicazione n.0092492 del 18 ottobre 2016, ha raccomandato agli emittenti di avvalersi per la trattazione delle proprie azioni di uno dei tre sistemi di negoziazione ammessi dalla Direttiva Ue: mercato regolamentato, internalizzatore sistematico e sistemi multilaterali di negoziazione (Mtf) al fine di garantire una maggiore trasparenza e liquidabilità degli stessi. La stessa autorità ha prescritto che “qualora l’intermediario ritenga di non avvalersi della struttura e del funzionamento di una sede di negoziazione multilaterale […], dovrà attentamente valutare, sotto la propria responsabilità, nell’ambito delle proprie policy, che il processo di distribuzione in concreto adottato rispetti adeguate condizioni di trasparenza e di efficienza”. Non è stato stabilito quindi un vero e proprio obbligo di utilizzare uno dei tre sistemi, ma è subito apparso chiaro l’intervento di moral suasion dell’authority oggi presieduta da Paolo Savona: chi non segue il suggerimento ha però l’obbligo di spiegare perché non intende seguirlo e deve organizzarsi in proprio per rispettare tutti i parametri normativi quali il rispetto della cronologia degli ordini di compravendita, della best execution riguardo il prezzo, delle pratiche di liquidazione. Per tali motivi la quasi totalità delle banche popolari ha richiesto l’ammissione delle azioni di propria emissione alla negoziazione sul merca-

In alto Corrado Sforza Fogliani, presidente di Assopopolari. Sotto Enrico Ajello e Antonio Blandini, commissari straordinari della Pop. di Bari

IL GRANDE NODO PER DIVERSE POPOLARI È NELLA IMPOSSIBILITÀ DI VENDERE LE PROPRIE AZIONI COLLOCATE IN PASSATO AI RISPARMIATORI

to Hi-Mtf dove stanno via via emergendo i veri prezzi di mercato dei titoli, il cui valore era una volta fissato dai Cda. Una delle prime è stata Banca Valsabbina, con le azioni precipitate da 18 di due anni fa ai 4,38 euro attuali. Ovviamente i clienti hanno protestato e già molti azionisti hanno seguito la strada legale per rivalersi sugli istituti per la vendita non rispettosa dei dettami del Testo unico, spesso riuscendo ad avere ragione. La Comunicazione Consob n. 9019104 del 2 marzo 2009 in materia di prodotti finanziari illiquidi (tali sono infatti le azioni delle popolari a oggi non quotate) prevede come, nel caso di collocamento o negoziazione di titoli azionari, non quotati su mercati regolamentati o considerati equivalenti dalla disciplina Mifid, l’intermediario è tenuto a rispettare stringenti e specifici obblighi informativi. Un’informativa da rendersi sia ex ante, tra cui la specificazione delle condizioni di smobilizzo evidenziando maggiori difficoltà, tempi e costi connessi al livello di illiquidità, sia ex post come l’invio di una rendicontazione periodica che specifichi il fair value (il giusto valore, ndr) e il presumibile valore di realizzo sulla base delle reali condizioni di smobilizzo. Se il set informativo predisposto dall’intermediario (prospetto informativo, nota di sintesi, nota informativa ed eventuale scheda prodotto), non prevede tali informazioni, non sono diligentemente assolti gli specifici obblighi informativi imposti dalla normativa per i prodotti illiquidi. Non solo. L’inserimento nell’ordine di acquisto di clausole con le quali il cliente dichiari “di esser consapevole dei fattori di rischio relativi all’investimento” e “di conoscere ed accettare senza riserva le condizioni e le modalità dell’offerta settembre 2020

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CHI È DISPOSTO A COMPRARE E AGGREGARE UN ISTITUTO SU CUI GRAVANO POTENZIALI VERTENZE LEGALI PER SOMME TALI DA AZZERARE IL SUO BILANCIO? contenute nel menzionato prospetto informativo” è inefficace come prova di un diligente adempimento in merito all’obbligo di fornire un’informativa “trasparente e particolarmente dettagliata”, come imposta per i prodotti illiquidi. L’Arbitro per le Controversie Finanziarie presso la Consob sta quindi spesso condannando le banche al risarcimento, ma la quasi totalità degli istituti non adempie ai pronunciamenti (perché non sono vincolanti) e costringe gli interessati a rivolgersi al Tribunale ordinario con dispendio di costi e di tempi. In poche parole le banche così facendo guadagnano tempo tirando avanti e confidando in un qualche evento futuro. Esattamente ciò che faceva la Banca Popolare di Bari prima del salvataggio.La situazione, insomma, è purtroppo chiara: i bilanci delle popolari sono da rivedere sotto l’aspetto della copertura dei crediti ed è elevatissimo il numero di potenziali vertenze legali da parte degli azionisti a cui si aggiunge una questione di poltrone da difendere..

Il prossimo test sul campo è vicinissimo La Banca di Credito Popolare, con sede a Torre del Greco e sportelli in tutta la Campania e nel sud del Lazio ha avviato l’iter per la negoziazione delle azioni all’Hi-Mtf, il cui avvio è previsto entro la fine dell’anno. A quel punto, per tutti gli oltre 5mila azionisti arriverà il momento dell’impatto col mercato. Un impatto non gradevole, se si guarda al calo del valore stabilito dal Cda negli ultimi anni e, peggio ancora, osservando i multipli di bilancio cui sull’Hi-Mtf sono scambiate le quote di istituti analoghi. Dal 2016 a oggi il valore del titolo è calato da 32,50 euro a 23,20 euro, quasi il 30% rispetto ai massimi. E si può considerare paradossalmente una perdita esigua se raffrontata altre banche popolari e di credito cooperativo che hanno consentito le negoziazioni dei propri titoli. A tal pro-

SAVERIO CONTINELLA, DG DELLA BANCA AGRICOLA DI RAGUSA

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IL GOVERNATORE DI BANKITALIA IGNAZIO VISCO

posito, nella relazione di accompagnamento al bilancio 2018 della Banca di Credito Popolare si legge: “L’11 marzo 2019 la Banca ha tenuto un incontro con i propri soci finalizzato a fornire un aggiornamento delle attività fino a quel momento realizzate in tale ambito (da ultimo con delibera del Consiglio di amministrazione del 6 dicembre 2018) e a soddisfare, anche sotto il profilo tecnico, eventuali ulteriori esigenze di chiarimenti in merito al mercato azionario multilaterale Hi-Mtf. In tale sede è emersa una forte preoccupazione da parte dei Soci alla preannunciata quotazione delle azioni sul mercato Hi-Mtf, scadenzata dal Consiglio, con la richiamata delibera, alla prima finestra utile dopo l’approvazione del bilancio 2018. La riluttanza manifestata da parte di un’ampia rappresentanza di soci presenti all’incontro, è da ascrivere ai bassi volumi di scambio delle azioni delle altre banche popolari in tale mercato multilaterale e ai conseguenti impatti sulle relative quotazioni nonché alle attuali condizioni dei mercati finanziari che renderebbe sconsigliabile tale ingresso. Quindi parte della platea sociale presente ha manifestato dubbi circa la effettiva possibilità che l’accesso al suddetto mercato multilaterale riesca nel soddisfacimento della ricercata esigenza di liquidabilità delle azioni. Ciò in quanto l’andamento delle negoziazioni verrebbe a risentire, in via generale, anche di uno scarso appeal da parte di potenziali investitori per il settore bancario”. Come in tutti gli altri casi analoghi gli azionisti non sono disposti ad accettare la realtà e preferiscono detenere un titolo invendibile pur di consolarsi con la falsa convinzione che il proprio investimento non sia in forte perdita. Ma entro fine anno la realtà presenterà loro il conto. Proprio come accaduto a Bari e, prima ancora, più a nord lungo l’Adriatico e non solo. Quale futuro per tutte le popolari ancora da sistemare? È davvero molto difficile ipotizzarlo. A una situazione di per sé complicata si è aggiunto il crollo dell’economia a causa del Covid-19. Una cosa è certa: il prezzo delle azioni di tutte queste banche è quasi sempre destinato a crollare. A quel punto si presenterà ovunque la medesima domanda a suo tempo fatta ai vertici della Popolare di Bari: chi è disposto a comprare o ad aggregare un istituto su cui gravano potenziali vertenze legali per una somma tale da azzerare il suo bilancio? Appare inevitabile che il pallino passerà ancora una volta nelle mani del sistema delle banche popolari col supporto del governo.


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DIBATTITI

Risparmio e crescita, per i consulenti la sfida di essere classe dirigente di Sergio Luciano

AL WEBINAR EFPA SU «IL RISPARMIO ANTI-VIRUS, NUOVE COMPETENZE PER UNA NUOVA MATURITÀ» GIORGIO DE RITA, CORRADO PASSERA E BRUNO ROVELLI

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na nuova maturità: è quella che il mercato italiano del risparmio gestito ha dimostrato nei tre mesi peggiori della pandemia ed anche in quest’incerta e per certi versi allarmante ripresa di settembre. Una nuova maturità dei clienti, certo, che hanno individuato nel risparmio professionale un porto sicuro per attendere tempi migliori. Una nuova maturità degli intermediari, che hanno saputo offrire prodotti appropriati. Ma soprattutto dei consulenti finanziari, gli operatori di frontiera, gli “apostoli” del rapporto diretto con gli investitori finali, chiamati a svolgere ruoli estensivi rispetto a quelli classici, funzioni surrettizie di coach, psicanalisti, fratelli maggiori con larghe spalle su cui sciogliere le ansie dei clienti Sono stati questi i temi di sfondo del webinar con cui Efpa Italia, alla metà dello scorso luglio, ha scelto di ricucire il forzato annullamento del congresso nazionale di fine maggio a Firenze con il suo differimento dicembre chiedendo a tre testimonial d’eccezione di esaminare i megatrend della situazione sociale economica e finanziaria del Paese. Un webinar interamente digitale, con circa 700 collegati, due ore dense di contributi e dibattito aperti dal presidente Marco Deroma con il segretario generale del Censis Giorgio De Rita, l’amministratore delegato di Illimity Bank ed ex ministro dello Sviluppo Economico Corrado Passera e il chief investment strategist di BlackRock Italia Bruno Rovelli. Dopo il discorso introduttivo – volutamente sintetico – di Deroma (cha ha scelto personalmente il titolo dell’evento: ”Il risparmio anti-virus, nuove competenze per una nuova maturità”. E il claim, preso in prestito da Jin Morrison: “Sii sempre come il mare che infrangendosi contro gli scogli, trova sempre la forza di riprovarci”), è toccato a Giorgio De Rita ricordare a tutti che «gli italiani sono molto bravi nell’adattarsi e nel capire quali sono le migliori vie per recuperare dalle difficoltà. Gli italiani nei mesi più bui della pandemia hanno risparmiato e accumulato sui conti correnti liquidità per circa 34,5 miliardi di euro, grosso modo la dimensione del Mes. Questi 34 miliardi sommati a circa 120 miliardi di liquidità accumulati nei due anni precedenti, arrivano al valore del piano Marshall per tut70

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A destra dall’alto Marco Deroma, presidente di Efpa Italia e Giorgio De Rita, segretario generale del Censis. Nella pagina accanto da sinistra Corrado Passera, ad di Illimity Bank e Bruno Rovelli, chief investment officer di BlackRock Italia

ta l’Europa». E questo nonostante fossero «dominati in questi ultimi mesi da un sentimento forte di paura del quotidiano (70% degli italiani, il 76% circa degli imprenditori, famiglie con redditi più bassi 83-84%) e di fronte a questo hanno gli italiani non hanno immesso questa liquidità nell’economia reale, hanno interrotto i consumi, gli investimenti e si sono messi in una situazione di forte attesa». E dunque il prossimo futuro si delinea – e l’abbiamo visto in agosto e in questo scorcio di settembre – con due facce sociali: «una terrorizzata da quello


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L’EX MINISTRO: «LA VOSTRA CATEGORIA HA UNA GRANDE RESPONSABILITÀ PERCHÈ MUOVE IL CARBURANTE DELLA RIPRESA»

che può succedere, perché la pandemia ci ha insegnato che tutto può cambiare, ma un’altra improntata al forte desiderio di rimettere moto al paese, di trovare competenze, clima di fiducia, prodotti finanziari, attenzione culturale che alimentino questa voglia di ripartire perché in questo momento c’è uno sguardo positivo verso il futuro e gli italiani chiedono che il sistema finanziario, istituzionale e l’elite culturale del paese diano una direzione di sviluppo e una motivazione a questa direzione altrimenti ancora una volta, come negli anni passati resteremmo a guardare quello che succede e questo lusso non ce lo possiamo più permettere». Dunque stiamo imparando qualcosa da questa crisi o stiamo sprecando l’occasione?, ha chiesto Nicola Ardente, consigliere di Efpa con la delega agli eventi. «Il nostro paese è chiamato a un cambio di passo importante», ha risposto il sociologo, «che non è solo figlio della pandemia ma di processi di trasformazione di lungo periodo che durano almeno dal 2009-2010 quindi non potrà che essere la competenza messa in campo a tutti i livelli che porterà all’individuazione di soluzioni, di un nuovo schema di sviluppo su tutti i livelli». Sugli stessi temi il forte appello di Corrado Passera, figura più unica che rara nel panorama italiano, passato da ruoli top-manageriali nel privato e nel pubblico al ministero dello Sviluppo economico ed oggi start-upper di successo con la sua Illimity Bank: per Passera, la risposta alle incertezze «è rimettere in moto la crescita in Europa, che ha bisogno di confrontarsi con altre potenze con una forza che oggi non riesce a esprimere pur avendola e quindi dobbiamo rafforzare la crescita, che viene sempre da un grande investimento, in innovazione, in infrastrutture, in ricerca in tutto ciò che costituisce potenziale». «Se solo una parte dei soldi destinati dagli ultimi decreti», ha aggiunto, «li avessimo utilizzati e ancora possiamo farlo, su leggi normative e meccanismi già sperimentati e funzionanti che non necessitano di decreti attuativi, per esempio la legge che favorisce l’innovazione, industrial 4.0, l’apprendistato, la legge che favorisce e premia gli imprenditori e gli investitori che mettono soldi nel capitale nelle loro aziende cioè l’Ace, i meccanismi che favoriscono le aggregazioni, le fusioni aziendali che affrontano il problema strutturale forse più importante del nostro Paese», la ripresa inizierebbe subito. C’è, evidentemente, una lacuna nella classe dirigente: «Fortunatamente nel nostro Paese di competenze ce ne sono, e poi vediamo che in certe posizioni arrivano persone che non ne hanno, addirittura c’è stato negli ultimi anni un diffuso elogio dell’incompetenza, il bello di non avere esperienza e quindi essere liberi da ogni potenziale conflitto d’interesse». «Voi, come consulenti e advisor del mondo del risparmio avete una formidabile responsabilità perché muovete il carburante che fa muovere progetti, imprese, aziende e dall’altra parte sposta da una parte o dall’altra la ricchezza del nostro Paese, e questa è una grandissima responsabilità. Saper scegliere il nuovo sano, saper scegliere all’interno dei settori

tradizionali le aziende, i progetti che funzioneranno da quelli che non funzioneranno, è un bellissimo lavoro, le norme ci sono, l’imprenditorialità diffusa c’è devono arrivare più risorse ai nuovi progetti innovativi e voi siete uno degli strumenti proprio più rilevanti perché questo succeda». Infine un appello all’ottimismo: l’Italia ce la farà. «Personalmente dico di si, e mi comporto di conseguenza: la mia famiglia si occupa di alberghi, mia moglie di cliniche veterinarie in Italia, io ho messo su una banca radicatissima in Italia, quindi dimostriamo con i fatti di crederci alla grande. E questo può succedere anche nel mondo pubblico: ho vissuto 5 anni alle Poste, quando sono entrato era la metafora dell’Italia che non funzionava, ma insieme quelle 200 mila persone hanno messo insieme una delle migliori Poste del mondo». L’ultimo in ordine di intervento dei tre testimonial era il migliore per ricondurre il dibattito sul sentiero specifico dei mercati finanziari. E Bruno Rovelli di Blackrock ha ricordato che il più grande investitore istituzionale del mondo – di cui lui gestisce gli investimenti in Italia – vede nel secondo semestre del 2020 le proprie mosse imperniate su tre «driver fondamentali: la ripartenza economica dopo la pandemia; le risposte di policy senza precedenti; e la nuova resilienza sotto la cui insegna tutto ciò sta avvenendo». «La crisi attuale è diversa rispetto al 2008 e pensiamo che l’impatto economico complessivo sarà minore», ha aggiunto, sottolineando – nell’illustrare alcuni grafici, che quest’anno il crollo del Pil dovuto allo shock pandemico è stato più concentrato «e se le misure di contenimento saranno revocate, ci potrà essere una ripresa più rapida con danni permanenti limitati al trend di crescita pre-scossa. Misure coordinate di politica fiscale e monetaria permetteranno all’economia di riprendere, una volta rimosse le misure di contenimento. Soltanto un prolungarsi del lockdown potrebbe aumentare la contrazione del Pil». Anche perché la forza dell’intervento delle banche centrali dal 2006 ad oggi è ben rappresentata dal cambiamento dimensionale dei loro bilanci: la Bce passa da poco più di un trilione di dollari di 14 anni fa a 6; e la Fed da meno di 1 trilione ad oltre 7. settembre 2020

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FORMAZIONE

Consulenti finanziari a scuola di relazione digitale efficace di Joe Capobianco*

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a relazione digitale con i clienti” è un tema la cui comprensione - per dirla con il Zarathustra di Friederich Nietzsche1- richiede di affondare le radici nel primo semestre 2020 e di proiettare le riflessioni nel futuro, immediato e prospettico. La relazione digitale tra consulente finanziario e cliente si consolida ufficialmente a fine marzo 2020 e ha nella videochiamata la modalità più utilizzata2. Le statistiche al 7 giugno rappresentano un quadro stupefacente: l’interazione tra consulente e investitore è avvenuta tramite videochiamata nel 41% dei casi, mentre la classica telefonata si è fermata al 22% dei contatti). I risultati economici sono ancor più sorprendenti: i consulenti finanziari (perimetro Assoreti), nel bimestre aprile-maggio 2020, hanno segnato una raccolta pari a 7,2 miliardi di euro di cui circa l’80% in risparmio gestito. Oltretutto 3 clienti dei cf su 4 e 2 clienti dei private banker su 3 intendono proseguire a relazionarsi con il proprio referente per gli investimenti utilizzando anche la modalità a distanza3. Percentuali inferiori caratterizzano il rapporto tra clienti e dipendenti bancari. Nata dunque come una modalità di comunicazione necessitata dalla pandemia, la relazione digitale si avvia ora a essere indispensabile quanto la relazione vis a vis tra cliente e consulente. Il tema si sposta semmai sulla capacità di risultare efficaci per il tramite delle comunicazioni online e di instaurare rapporti con nuovi clienti. L’acquisizione di clienti tramite il canale digitale in particolare può apparire una rivoluzione eppure la social leed generation è già una realtà per diverse professioni liberali. Occorre “rompere il ghiaccio” che, per quanto sia un talento ben distribuito tra i consulenti finanziari, spesso blocca anche i migliori professionisti della consulenza finanziaria. LinkedIn, anche nella versione base, con i suoi 12 milioni di italiani attivi (su 18 milioni registrati) si è rivelato durante il lockdown una risorsa molto preziosa e potrà esserlo ancor di più in futuro. I canali della relazione digitale ai quali si fa qui specifico riferimento sono: • videochiamate • brevi video o serie

INVESTIRE KNOWLEDGE, LA NUOVA DIVISIONE DEL NOSTRO GRUPPO, ESORDISCE CON UN PRIMO SUCCESSO: CRONACA DI UN WEBINAR SU UN TEMA CHIAVE PER I PROFESSIONISTI DEL RISPARMIO

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• eventi digitali (webinar, aperitivi, talkshow, meeting) • social (LinkedIn in particolare). Le videochiamate, i video, gli eventi digitali, le pagine-profilo sui social hanno molto in comune e non solo in termini di contenuti. Il primo aspetto è l’ambiente, un tema che ha sempre affascinato l’uomo e che, mutatis mutandis, può essere traslato dal mondo reale al mondo virtuale. Si trovano esempi nel I e nel VI libro del De Architectura di Vitruvio risalenti al I secolo A.C., come ci ricorda Andrea Palladio nel suo trattato Dell’Architettura pubblicato nel 1570. Lo stesso architetto vicentino scrive che la casa deve essere conveniente alla qualità di chi l’avrà ad abitare quindi alle sue caratteristiche intese come ceto e ruolo sociale. In sostanza la casa (o l’ufficio) ci presenta e ci parla di colui che in essa vive. A studiare e a esprimere questi temi nel terzo millennio, naturalmente con ben altra terminologia, provvede la psicologia ambientale secondo cui l’essere umano ha bisogno di un luogo, reale o digitale, che comunichi e ci confermi la nostra identità personale e professionale. Anche nel mondo digitale è importante l’ambiente in cui ci poniamo, contestualmente all’applicazione e al rispetto delle regole della comunicazione. Riguardo il primo tema, cioè l’ambiente, al pari di come Palladio aveva postulato 500 anni fa la casa dell’avvocato e del


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mercante, allo stesso modo oggi va edificata la “casa digitale” del professionista degli investimenti. La casa digitale, nel caso della videochiamata, è l’ambiente fisico nel quale il cliente osserva e studia il consulente ricevendone un imprinting che colpisce a volte in modo indelebile le sue percezioni. Oscar Wilde scriveva che non abbiamo a disposizione una seconda occasione per fare una buona prima impressione e, più scientificamente, lo psicologo Albert Mehrabian affermava che per cancellare una cattiva prima impressione ne occorrono almeno sette positive successive. Insomma, è fondamentale curare l’ambiente nel quale ci mostriamo in video e interagiamo con i clienti ed è indispensabile curare gli aspetti di relazione. Riguardo il secondo tema, cioè l’applicazione e il rispetto delle regole della comunicazione, la “letteratura” è molto vasta. Nell’edizione di esordio del webinar “La relazione digitale efficace con i clienti” sono stati ampiamente e operativamente trattati i principali temi della comunicazione a distanza ai tempi del new normal ivi inclusi le videocall, la social lead generation, le tecniche e gli strumenti per produrre video, i metodi e le metriche per organizzare eventi digitali. Solo a titolo di esempio (la casistica è molto ampia) sono qui richiamati alcuni aspetti importanti: • nelle videochiamate con i clienti: - le cosiddette forme di ricalco culturale, legate alla capacità del consulente di adattarsi il minimo necessario per essere “vicini” (in termini di abbigliamento, linguaggio, …) a chi lo guarda dall’altra parte del monitor senza ovviamente venire meno a se stessi; - l’attenzione al benessere del cliente. Così come fino a qualche mese fa ci si preoccupava ad es. di consentire al cliente di recarsi in auto presso l’ufficio del consulente garantendogli il parcheggio per evitargli ogni stress, allo stesso modo non andrebbe fissato un appuntamento virtuale con lui nello spazio pre o post prandiale in quanto potenziale motivo di ansia; • nei video (brevi) girati per i propri clienti: - un incipit in grado di incuriosire fin da subito, cioè un contenuto a effetto che tenga il cliente sulla sedia. Un po’ come mi accadde quando, liceale, negli anni ’70, approcciai “La storia d’Italia”4 leggendo un provocatorio “Dante non fu un patriota”. Esattamente il contrario di quanto mi avevano insegnato con enfasi fino a quel momento … come distaccarsi dalla lettura di quel capitolo? - realizzare preventivamente una bozza di storyboard del proprio video o della serie di video che si intende registrare. Faci-

literà il lavoro, lo renderà migliore, ma soprattutto consente sinergie con le altre attività comunicative digitali … (vedi punto successivo) • nei post sui social: - la coerenza, intesa come la ripetizione positiva e riscontrata nel tempo dei nostri comportamenti, è uno degli ingredienti della fiducia che i clienti, anche potenziali, riconoscono al proprio consulente finanziario. Pubblicare post che si compongono ciascuno della sintesi di uno storyboard e del relativo video precedentemente realizzati, non solo ci avvantaggia nel senso che abbiamo a disposizione del materiale pressochè pronto da pubblicare ma soprattutto applichiamo un metodo che oltretutto ci garantisce una grande coerenza di pensiero e di azione verso tutto il nostro pubblico; - la pubblicazione regolare di post su LinkedIn, l’ideale sarebbe almeno due a settimana, secondo un piano editoriale che ci siamo dati nel rispetto della community di LinkedIn, ci conduce anche a maggiore notorietà e ulteriori contatti • negli eventi digitali: - “adottare” una piattaforma da “padroneggiare” per sfruttarne tutte le potenzialità e soprattutto per poter misurare i propri progressi; - individuare un pubblico omogeneo rispetto a una o più caratteristiche (psicologiche, professionali, sociali e famigliari, …) da coinvolgere in un quadro segmentato di eventi. La pandemia da Covid-19 ha accelerato molti processi in molti settori. In quello della consulenza finanziaria ha reso necessaria l’evoluzione dei suoi consulenti in consulenti patrimoniali ed esperti in relazioni digitali. Un volano certamente virtuoso per il professionista che saprà azionarlo e un possibile circolo vizioso per chi procederà pensando che ciò che ci attende sia già tutto lì nello specchietto retrovisore. * docente della Business School di Bologna e senior advisor del Multi Family Office Kpmg NOTE

- Friederich Nietzsche, “Così parlò Zarathustra” - Parte prima: Dell’albero sulla collina (1895) 2 - La comunicazione tra professionisti, clienti, banche e asset manager durante e dopo il lockdown - Finer Finance Explorer Monitor (2020) 3 -Ibidem 4 -“Storia d’Italia” di Mario Cervi, Roberto Gervaso e Indro Montanelli, 1965-2000 1

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L’INTERVISTA

«La ripartenza dell’economia ha bisogno del private capital» di Annalisa Caccavale

«I

ndustry 4.0, digitalizzazione, innovazione, sostenibilità e infrastrutture adeguate sono tasselli fondamentali per ripartire e rilanciare l’economia italiana. Bisogna intervenire con efficacia e continuità d’azione, per evitare che la recessione diventi depressione»: ne è convinto Antonio Solinas, financial advisory function leader in Deloitte Italia. Che in quest’intervista ad Investire come sia «importante mantenere una progettualità concreta e una visione di lungo periodo, senza privare il Paese di alcun settore strategico e restando all’altezza dei competitor stranieri. Inoltre la ripartenza dell’economia passa anche attraverso il mercato del private capital, che affianca la nascita e lo sviluppo delle nostre piccole e medie imprese: sottoscrivo l’appello di Aifi affinché ‘il Governo spinga gli investitori istituzionali a investire nei fondi per generare interventi sull’economia reale’. Competitività e investimenti ad hoc dovranno essere parte integrante di quella resilienza che permetterà una risposta immediata alle difficoltà di questi mesi. Deloitte è pronta a offrire il suo contributo grazie anche a un’approfondita serie di studi e ricerche condotta in modo costante sui rispettivi ambiti di competenza, che ci garantiscono una visione chiara su tutto il percorso di uscita dalla crisi. Mettiamo sul tavolo strumenti adeguati e suggerimenti pratici, grazie anche all’esperienza e alle best practice che le difficoltà superate in passato ci hanno già insegnato». Solinas, il governo pare stia attivando una serie di manovre per la ripartenza dell’economia reale. Secondo lei e la sua società di cosa avrebbero prioritariamente 74

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PARLA ANTONIO SOLINAS (DELOITTE): «IL MERCATO DEI CAPITALI PRIVATI AFFIANCA LA NASCITA E LO SVILUPPO DELLE PMI, FA BENE IL GOVERNO A SPINGERE GLI INVESTIMENTI IN ECONOMIA REALE» bisogno le aziende? Come ha dichiarato il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, è fondamentale favorire il rafforzamento patrimoniale delle imprese e la loro crescita dimensionale, per sostenere la competitività e la capacità di investire e innovare nel nuovo contesto. Questo monito deve guidare il lavoro quotidiano di tutti coloro che oggi lavorano nel mondo della consulenza a supporto delle aziende. Per tutelare e far crescere il nostro tessuto economico è venuto il momento delle scelte, le nostre imprese a livello globale competono con realtà spesso molto grandi e ben strutturate. Quindi diventa strategico puntare sulla dimensione delle società in modo da far emergere operatori industriali e finanziari anche domestici che fungano da aggregatori nei vari comparti. In questa fase, come già sottolineato da Confindustria, è altresì fondamentale sostenere i processi di investimento, di riorganizzazione produttiva e occupazionale, soprattutto per quanto riguarda le


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Pmi, più esposte ai rischi generati da questa crisi. Dotate di una brand identity e di una reputazione di altissimo profilo - soprattutto nei settori trainanti del food, fashion e forniture, che da sole valgono un terzo del made in Italy -, le aziende italiane, se disposte a innovare nei settori strategici necessari, hanno ottime prospettive di crescita e profitto nel lungo periodo, nonostante tutte le difficoltà che stanno attraversando a causa del diffondersi del virus. Tra i vari strumenti a supporto delle pmi, ci sono i fondi di private debt, che integrano l’attività bancaria. Pensa che possano avere un ruolo in questo momento e quale? Negli ultimi mesi stiamo assistendo ad una contrazione dell’attività creditizia ordinaria da parte del sistema bancario legata ad aspettative di un incremento delle posizioni deteriorate o di default. I provvedimenti Ggovernativi - per esempio il Dl Liquidità - hanno in parte contrastato questo fenomeno rendendo disponibili finanziamenti garantiti dallo stato, che presentano tuttavia una forte rigidità. Ritengo che per superare il contesto attuale la risposta non possa che essere quella di garantire maggiore flessibilità. A questo proposito, i fondi di private debt, possono rappresentare la risposta per molte Pmi al fabbisogno di liquidità sia attraverso strutture che prevedono piani di rimborso su misura o addirittura a scadenza, sia attraverso strumenti ibridi che consentono di rafforzare la struttura di capitale senza effetti diluitivi per gli azionisti. È importante sottolineare come oggi i private debt siano degli investitori estremamente sofisticati in grado di assumere il ruolo di partner finanziario delle Pmisoprattuttoin contesti di complessità. Gli ambiti di intervento e di specializzazione da parte di questi soggetti sono molteplici: situazioni distressed, situazioni di high leverage, acquisition financing e finanziamenti corporate. Per ogni ambito di applicazione, esistono quindi dei player specializzati che sulla base di track record consolidati riescono a proporre soluzioni innovative e non percorribili dal sistema bancario. Infine, e’ utile ricordare che al pari di ogni finanziatore i driver che guidano un intervento da parte di private debt sono direttamente proporzionali alla

creazione di valore prevista nel piano industriale e alle previsioni circa i flussi di cassa operativi .

Secondo quali modalità avviene la negoziazione con un Private Debt? In linea di principio la negoziazione con un private debt è più celere rispetto alla classica istruttoria bancaria. Tale fattispecie, è riconducibile al fatto che in ambito direct lending le Pmi hanno un unico interlocutore e quindi non trattano con una pluralità di soggetti, come invece spesso accade alle aziende quando negoziano con i pool bancari. I tempi di delibera sono conseguentemente più rapidi e snelli. Le modalità con cui si definisce un term sheet, che esprime i principali termini e condizioni del contratto, segue sempre una logica “tailor made” attraverso la negoziazione tra le parti, in funzione di quelli che sono i fabbisogni espressi dalla Pmi. Per fornire adeguata flessibilità i Private Debt possono talvolta introdurre alcuni tecnicismi, che risultano tuttavia gestibili anche da chi non ha mai avuto a che fare con questi strumenti. Particolare attenzione va prestata alla definizione del contratto di finanziamento che di solito richiede il supporto di uno studio legale.

IL PRIVATE DEBT È COMPETITIVO CON LE PMI RISPETTO ALLE BANCHE PERCHÈ SEMPLIFICA E SNELLISCE LE PROCEDURE RISPETTO A QUELLE CHE DEVONO APPLICARE I POOL BANCARI CLASSICI

Deloitte è una società internazionale, come vede la ripresa economica europea e di cosa avremmo maggiormente bisogno per fare un lavoro di squadra e uscire tutti insieme dalla crisi? La pandemia non ha risparmiato nessuna area del pianeta e come dimostrano gli studi della Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo ci sarà un nuovo ridimensionamento degli investimenti diretti esteri, con l’Italia che potrebbe perdere il 40% degli Ide nel 2020, scendendo sotto i 20 miliardi di dollari. Una riduzione drastica, se si pensa ai 33 miliardi di appena due anni fa. Tutte le pesanti conseguenze portate dal diffondersi del virus hanno reso sempre più evidente quanto conti per le aziende essere capitalizzate e pronte ad affrontare le crisi. Bisogna puntare sull’innovazione e l’Italia in quest’ambito può fare da apripista a livello europeo. Per essere pronti ad adattarsi alle evoluzioni del contesto, imprese e istituzioni devono cercare di anticipare i trend futuri del mondo post Covid. Questo approccio non sarà risolutivo, ma aiuterà a prepararsi ai diversi scenari possibili e, dunque, a mitigare i rischi di fronte ai nuovi potenziali pericoli. Deloitte è a disposizione di tutti i suoi clienti per far nascere idee nuove, su prototipi di business innovativi dal momento che il nostro network proprio sull’innovazione ha incentrato il piano di sviluppo. E oltre ad essere un network globale ha una presenza capillare sul territorio che in questi casi aiuta a perseguire anche obiettivi di lungo periodo. settembre 2020

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IMMOBILIARE

Milano, caput mundi residenziale e la cooperazione è ripartita di Sergio Luciano

L’

industria immobiliare residenziale vive come scisso in due metà: da una parte Milano, intesa soprattutto come cerca daziaria più che come città metropolitana; e dall’altra – sia pur con tante sfumature diverse – il resto del Paese, città d’arte comprese. A Milano l’edilizia residenziale sta faticosamente ripartendo, altrove no. «Sia chiaro, nell’insieme i dati sono ancora brutti», spiega ad Investire Alessandro Maggioni, presidente di Confcooperative Habitat – che dal 1954 riunisce le imprese cooperative edilizie di abitazione all’interno di Confcooperative – ma la Ccl ha pur sempre in costruzione circa 700 alloggi divisi su molti cantieri, pressochè tutti assegnati, prenotati o compromessi, a prezzi che vanno dai 2150 euro al metro quadrato di un’operazione convenzionata agevolata in periferia ai 4200 di via Pichi sui Navigli». Poco dopo la riapertura di maggio inoltre Confcooperative Habitat ha dato il via a due nuove iniziative per un totale di 110 nuovi alloggi, sempre a Milano: «E abbiamo già raccolto oltre 200 manifestazioni d’interesse. A prezzi appropriati: 2700 euro per gli alloggi di edilizia libera e 2300 per quelli di edilizia convenzionata. Sono segnali importanti, che dimostrano come laddove ci sia il costo giusto e un’affidabilità imprenditoriale del soggetto sviluppatore, a Milano si attiva ancora una domanda importante perché c’è ancora bisogno. Se fosse così ovunque, il Paese sarebbe a posto!». Ma non lo è, purtroppo. I costi di produzione sono aumentati, paradossalmente, anche a causa dello stop indotto dal Covid perché si produce complessivamente di meno e i costi generali incidono di più. «Tutt’altro scenario fuori Milano», riprende Maggioni, «a partire dalla stessa cintura metropolitana. C’è ancora una situazione di affanno, e in molte aree è tutto assolutamente fermo. Ma ovunque noi riscontriamo le necessarie premesse sociali per una pressione qualitativa sul mercato residenziale. Che, sempre a Milano, stanno attraendo i grandi fondi immobiliari internazionali. Che è poi ciò che ha sostenuto i prezzi». In quest’ottica la cooperazione sta valutando alcune passi in qualche modo rivoluzionari: «Non c’è ancora niente di deciso, ma abbiamo iniziato a valutare se dotarci di una Sicav, per essere appetibili per un soggetto investitore che, diversamente, se oggi vede una cooperativa edilizia la considera, sbagliando, come un retaggio del 900. Probabilmente in questa fase per essere attrattivi occorre qualche strumento nuovo». Come insegnano, in fondo, le numerose esperienze promosse dalle fondazioni bancarie – non certo ultima la Redo Sgr, della Fondazione Cariplo, che in partnership con la Cassa Deposi76

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ALESSANDRO MAGGIONI: «I DATI SONO ANCORA COMPLESSIVAMENTE BRUTTI, MA LA CCL HA PUR SEMPRE IN COSTRUZIONE, NELLA METROPOLI, BEN 700 APPARTAMENTI» ti e Prestiti fa social housing – la possibilità di contemperare le istanze del mercato con le finalità sociali dell’edilizia esiste. «Mi capita spesso di dover chiarire agli interlocutori anche più informati che le nostre iniziative sono tutte di edilizia libera, senza contributi pubblici, che vale anche più di quella convenzionata. Ciò che connota la cooperazione è l’assenza dello scopo del profitto, che viene sostituito da quello della mutualità. Ecco il principio fondante, per il resto siamo operatori di mercato, come tutti. Una cooperativa ha l’obbligo di coinvolgere i soci abitanti dentro la gestione, giustissimo principio. E ritocca i suoi piani economici alla luce delle problematiche che emergono. Nella parte sana della cooperazione - prevalente - si usa denaro privato, senza gravare inutilmente su risorse pubbliche. Sono certo che una cooperazione capace di agire, come facciamo noi, entro questi principi ed ambiti, è un soggetto economico che può dialogare con tutti, in una logica di mutualismo e non di neo-statalismo, risposta pericolosa ai precedenti eccessi di liberismo». Una ripartizione ottimale del mercato vede quindi coesistere


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IL LOCKDOWN HA DETERMINATO UN NETTO AUMENTO DELLE MOROSITÀ DA PARTE DEGLI INQUILINI E UNA GENERALE ONDATA DI NUOVA BUROCRATIZZAZIONE PER TUTTI I CANTIERI bene l’edilizia convenzionata, la cooperazione, l’impresa commerciale classica e gli investitori della finanza immobiliare: «Assolutamente sì, ed è questa la ragione per cui per esempio rileviamo un certo fermento da parte di fondi esteri verso il mercato delle locazioni. Oggi chi dà in affitto annuo il metro quadrato a cento euro può mediamente portare a casa un rendimento, al netto di Imu, Tasi e cedolare secca, del 2,5%. Col mercato dei tassi che c’è, non mi pare affatto male». Naturalmente, tutto ciò va riletto alla luce dell’evoluzione – si spera positiva – della crisi del Covid, che ha frenato severamente l’insieme del mercato immobiliare. In cui la cooperazione – prevalentemente aderente all’ambito Confcooperative – incide in modo significativo: stiamo parlando di oltre 2500 cooperative dichiarate attive (con ultimo bilancio e neo costituite), un capitale investito aggregato che si attesta a circa 9 miliardi di euro, una patrimonializzazione aggregata che raggiunge i 3 miliardi di euro e un nuovo paradigma produttivo imperniato sul miglioramento delle prestazioni energetiche, statiche, impiantistiche del costruito e sulla crescita complessiva della qualità dell’abitare delle città. Un paradigma da attuare anche attraverso lo sviluppo di programmi abitativi sostenibili, trasversali, capaci di coinvolgere cooperative di giovani professionisti, cooperative sociali, culturali, di lavoro e di servizi per un abitare condiviso, al fine di ricostituire reti di relazioni umane e sociali. Ed è stato questo il paradigma segui-

Alessandro Maggioni, presidente di Confcooperative Habitat

Prezzi provvisori: primo trimestre 2020 Prezzo al metro quadro - Trend vs. trimestre precedente 3% 1,9%

2% 1,0%

0,8%

1% 0% -1%

-0,4%

-1,4%

-1,4%

-2%

-2,0%

-3% -4%

-0,3%

-3,5% -4,0% -3,9%

-5% -6% -6,4%

-7% TRIM II ‘17

TRIM III ‘17

TRIM IV‘17

TRIM I ‘18

TRIM II ‘18

TRIM III ‘18

TRIM IV‘18

TRIM I ‘19

TRIM II ‘19

FONTE: BUSSOLA MUTUI CRIF - MUTUI SUPERMARKET.IT, N. 31 - APRILE 2020

TRIM III ‘19

TRIM IV‘19

TRIM I ‘20

to negli ultimi anni dalla migliore cooperazione edilizia: dalla carta dell’habitat al rating mutualistico; dalla scuola circolare dell’habitat al common housing; dal welfare di quartiere alle cooperative di comunità. Ebbene, con simili premesse, la cooperazione è direttamente investita dalle fluttuazioni del mercato, sia quelle di natura ordinaria che quelle straordinarie determinate dalla pandemia. Secondo un’indagine della Confcooperative sull’impatto del Covid nel settore, il mercato che nel 2019 aveva registrato una ulteriore risalita del numero di compravendite (tornate a quota 603 mila dal punto di minimo di 390mila nel 2013) si è fermato. Il primo trimestre del 2020 era partito bene, con vari segnali incoraggianti a partire dalla ripresa del prezzo al metro quadro degli immobili oggetto di garanzia di mutuo ipotecario. Poi è subentrato il lockdown che ha comportato un sostanziale blocco delle transazioni, ovviamente falsando i dati del secondo semestre. Secondo l’indagine, il lockdown ha determinato un netto aumento delle morosità da parte degli inquilini nel pagamento dei canoni o delle rate di ammortamento; una marcata difficoltà nell’attività di promozione e assegnazione alloggi già realizzati o programmati o di prossima realizzazione. Lo stallo dei cantieri aperti, del rilascio delle autorizzazioni, degli adempimenti, rogiti, finanziamenti e gare d’appalto, una generale crisi di liquidità ed un’ondata di ulteriore burocratizzazione. settembre 2020

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SEDIE & POLTRONE di Marco Muffato

GENERALI IP, È RAINSFORD IL CAPO GLOBALE DEI SALES

G

enerali Investments Partners (GIP) ha nominato Tim Rainsford (nella foto) come nuovo global head of sales. In questo ruolo, sarà responsabile della definizione dei piani e delle strategie di sviluppo commerciale volti a rafforzare il posizionamento di Generali Investments nei mercati chiave, nonché a far crescere la sua presenza internazionale espandendosi in nuove aree geografiche. Nel suo nuovo ruolo, effettivo dal 1° settembre, Tim riporterà a Carlo Trabat-

toni, ceo di Generali Investments Partners, e guiderà un team globale di professionisti delle vendite basati in Italia, Francia e Germania. Prima di entrare in GIP, è stato group head of distribution and marketing in Gam Investments, con la responsabilità di definire la direzione strategica commerciale e di marketing della società. In precedenza aveva trascorso tredici anni presso Man Investments Ltd, ricoprendo posizioni di crescente responsabilità.

MARCONI CHIAMA GARAVAGLIA

A

ttività di reclutamento sempre più cruciale per la rete dei consulenti finanziari di CheBanca!, guidata dal direttore centrale Duccio Marconi (nella foto), che ha superato i 415 professionisti. Per rafforzare l’inserimento di nuove risorse nella consulenza finanziaria Marconi punta su due manager di grande esperienza e storia nel settore delle reti: parliamo di Carlo Garavaglia, ex Bim, che entra a Milano con il ruolo di responsabile sviluppo del centro nord dei Mediobanca Financial Advisors (qualifica rivestita dai cf CheBanca! con portafogli superiori a 50 mln) e di Gino Bellotto, ex Ubs, che va a Roma per assumere il ruolo di responsabile sviluppo del centro sud dei Mediobanca Financial Advisors.

BANCA PROFILO APRE A PADOVA

B

anca Profilo, guidata dall’ad Fabio Candeli (nella foto), cresce nel private banking attraverso l’apertura della filiale a Padova e il contemporaneoingresso nella struttura di due professionisti senior. La banca ha infatti rafforzato il team dei private banker con l’ingresso di Raffaele Ferraro e Luca Babetto, ai quali andrà la gestione della nuova filiale di Padova in Via San Francesco 33, riportando al vicedirettore generale e responsabile del private banking Mario Aragnetti Bellardi. Sia Ferraro (che è stato nominato responsabile della filiale patavina) che Babetto provengono da Banca Leonardo.

GERA DIVENTA CONSIGLIERE DI PAYDO

L

’assemblea degli azionisti PayDo ha nominato Piercarlo Gera (nella foto) consigliere. Gera affiancherà Pietro Orzalesi, già consigliere della società. Piercarlo Gera, ceo e founder di Gera & Partners, e fino a ottobre 2019 in Accenture dove è stato senior managing director e membro del Accenture Leadership Council. Negli

ultimi 20 anni ha avuto diverse responsabilità a livello globale in ambito financial services, gestendo le practice strategy Crm e Customer Insight & Growth. Ha servito personalmente clienti in ogni parte del mondo e questo gli ha permesso di maturare una profonda conoscenza delle tematiche di digital strategy e digital transformation.

INTERMONTE SIM, MANETTI SI AFFIDA A PARDINI E GRILLO

I

ntermonte Sim, investment bank italiana indipendente, ha nominato due nuovi condirettori generali a capo delle aree Intermediazione e Mercati, Guido Pardini e Dario Grillo, che riporteranno funzionalmente a Guglielmo Manetti (nella foto), l’ad di Intermonte. Pardini, in Intermonte dal 2008, già partner

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della Sim, ha la responsabilità sull’area intermediazione. A Dario Grillo, in Intermonte dal 2010 e anche lui Partner della Sim, già responsabile del desk derivati e Etf, viene affidata la responsabilità per l’area mercati, che comprende i portafogli di proprietà oltre che l’attività di market access sui mercati.


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Casacche che si scambiano, volti noti che passano da un ruolo all’altro: il valzer delle poltrone è intenso nella finanza, dove vige ancora il merito e dove chi rende bene viene promosso o ricoperto di offerte allettanti. Agli HR il compito di attrarre i talenti, a noi quello di raccontare il risiko, oltre a notizie e indiscrezioni su un mondo ricco di costanti novità.

PALLERONI ALLA GUIDA DELLA SEDE MILANESE DI VONTOBEL WM

V

ontobel mette a disposizione degli investitori privati italiani una nuova sede di consulenza di wealth management nel cuore di Milano, in Via Santa Maria Segreta 7, e ne affida la guida a Lorenzo Palleroni (nella foto). Palleroni, che è milanese di nascita e coordinerà un team composto da 20 collaboratori, proviene da Credit Suisse e vanta una consolidata esperienza nel wealth management. I nuovi uffici di Vontobel

Wealth Management saranno il centro dei servizi di consulenza (tradizionalmente centrati sulla proposta di soluzioni d’investimento con prodotti strutturati) alla clientela privata. Obiettivo della società sono soprattutto i clienti high e ultra high net worth, famiglie facoltose, imprenditori, fondazioni e società holding di famiglia. Con questa nuova presenza a Milano, Vontobel dimostra quanto sia determinata a crescere sul mercato italiano.

MIFL SCEGLIE MCKENNA

M

ediolanum International Funds Ltd (MIFL), la piattaforma europea di asset management di Banca Mediolanum, ha ingaggiato Patrick McKenna (nella foto) come equity portfolio manager per il team multi manager. McKenna, che proviene dalla società anglosassone di wealth management Saunderson House, opererà presso il quartier generale di MIFL a Dublino e riporterà a Eoin Donegan, responsabile del team equity multi manager. McKenna si occuperà della gestione delle strategie azionarie in ambito multi manager e lavorerà anche con il team di ricerca e selezione di gestori terzi. Sarà coinvolto nell’intero processo di investimento, compresa l’asset allocation e la selezione dei gestori, oltre alla costruzione del portafoglio.

NATIXIS, NAMIAS È IL NUOVO AD

C

ambio della guardia al vertice di Natixis. Il consiglio di amministrazione del gruppo ha annunciato la partenza di François Riahi che lh lasciato le sue funzioni di amministratore delegato di Natixis e di membro del consiglio di amministrazione del groupe Bpce a causa delle differenze strategiche relative alle opzioni del piano futuro di Natixis. Al fine di preparare il nuovo piano strategico che dovrebbe essere presentato la prossima estate il cda ha nominato Nicolas Namias (nella foto) come ad. Namias negli ultimi due anni ha rivestito il ruolo di responsabile delle finanze e della strategia del gruppo.

SCHRODERS, VAN OOSTEROM AL REAL ESTATE

I

l business nel private asset in primo piano in casa di Schroders. In quesdt’ottica il gruppo ha ora intenzione di accelerare ulteriormente lo sviluppo del business immobiliare, denominato Schroder Real Estate. Schroders ha quindi annunciato la nomina di Sophie van Oosterom (nella foto), che entrerà nel gruppo a gennaio 2021 con la carica di

global head of Real Estate di Schroders, per supervisionare gli investimenti immobiliari, diretti e indiretti. In precedenza, Sophie van Oosterom è stata ceo e cio of Emea di Cbre Global Investors. In questo ruolo aveva la responsabilità delle strategie d’investimento, performance, operazioni, sottoscrizioni e sviluppo di programmi per l’area Emea.

DOUGHERTY, CHE INCARICO IN AEGON AM

D

opo la nomina di Anne Coupe come global head of consultant relations & global financial institutions avvenuta a luglio e quella di Russ Morrison come global chief investment officer per la piattaforma Fixed income investment avvenuta a giugno, Aaegon Asset Management comunica la nomina di Stephen

Dougherty (nella foto) quale global head of product. Dougherty vanta oltre 25 anni di esperienza nel settore dell’asset management. Proviene da Voya Investment Management dove, in qualità di managing director, ha guidato lo sviluppo dei prodotti ma anche il lancio ed il supporto dell’offerta alternative. settembre 2020

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HA I M AI P EN S A TO D I R A GGI UNG ER E PI Ù CL I EN T I CO N I L SO C IAL A D VER T I SI NG ?

PI AN O S OC IAL GEST I SCE P ER T E I P ROF I L I L I N KE D IN , F ACEBO O K E IN ST A GRA M - Or i e n t at i al r is ul t a t o - R e p o r t Se t ti m ana l i - P i an o E d it o r ia le s u m is ur a R ic h i e d i un p re v e nti v o: i n fo @pi a n o so c i al . c o m / 0 2 8 4 2 5 8 5 3 0 w ww . p i ano so c i al . c o m


INVESTIRE SPECIALIST

PROFESSIONE CONSULENTE Risponde Francesco Priore all’indirizzo priore.studio@virgilio.it Startupper e decano della consulenza finanziaria, Priore ha fondato l’Anasf e contribuito alla fondazione dell’Albo. Docente Universitario, autore e consulente di comunicazione e marketing finanziario. È stato direttore marketing della rete di Banca Fineco e membro del Cda di Consultinvest Sim.

COME SI VALUTA UN PORTAFOGLIO

LA FORMAZIONE DEL PATRIMONIALISTA

Collega Priore,

Professor Priore,

sono una cf neofita, ho iniziato l’attività

ho ascoltato il suo intervento al convegno,

da due anni e lavorando con un collega

“Over 65: una risorsa per il Paese”,

esperto ho appreso molto e gliene sono

dell’Active Longevity Institute. Nel suo

grata. Il collega ha deciso di chiudere

intervento “la gestione dei patrimoni

in anticipo la professione perché vuole

e la successione” ebbe modo di prospettare

raggiungere la figlia che lavora all’estero,

uno sviluppo innovativo della professione

così mi ha proposto di cedermi il suo

del commercialista, il patrimonialista,

portafoglio: la nostra mandante lo

suscitando l’interesse nei presenti. Oggi

consente. La proposta mi alletta, vorrei

nella nostra categoria si fa un gran parlare

capire però come valutare il portafoglio

dell’argomento: dall’iscrizione all’Albo

e le modalità migliori di pagamento.

dei consulenti finanziari all’attività

Cosa mi consigli? Grazie

di consulenza patrimoniale, che ne pensa? Flavia G.

G

entile Flavia, complimenti per la carriera e per l’opportunità che ti viene offerta. I criteri per valutare un portafoglio sono molteplici. Fatto 100 il prezzo richiesto, bisogna correggerlo proporzionalmente in negativo se, prescindendo dal mercato, l’oscillazione del portafoglio è stata negativa negli ultimi 2 anni. Un altro indice è la fidelizzazione: se ti presenta l’80% dei clienti va bene, il valore resta 100, molto al di sotto è preoccupante. Fattori quantitativi, l’assett medio per cliente – se è molto elevato ma concentrato in poche mani il rischio è alto – la redditività per cliente se è troppo bassa richiede un’attività sproporzionata. L’età media, se i clienti sono anziani bisognerà capire le intenzioni dei familiari, la geolocalizzazione del portafoglio, oggi col web la distanza influisce meno, ma la relazione personale è fondamentale. I fattori positivi sono rappresentati da asset cospicui con una redditività bassa, o clienti con un grande patrimonio e basso investimento, c’è del valore aggiunto da estrarre. Appurate le condizioni favorevoli reali o potenziali, il criterio di pagamento può consistere in una percentuale del management fee prodotto dal portafoglio esistente nei successivi 5 anni, con percentuali decrescenti dal 90% del primo anno al 50% del quinto, praticamente 3,5 volte il management fee del primo anno. È sufficiente? Se no mandami il tuo indirizzo, cercherò e ti spedirò un libro che ho scritto sull’argomento, temo che non sia più in distribuzione. In bocca al lupo.

Giuseppe M.

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ottor Giuseppe, molti i chiarimenti richiesti quella sera. Avevo presentato una ricerca realizzata da A.L.I. e dall’ufficio studi del gruppo Nsa sulla longevità degli imprenditori italiani, relativa alla governance delle PmiI di capitali, che comprende oltre 500mila over 65. Il nesso tra la gestione del patrimonio azienda e la successione mi offrì la possibilità di suggerire, a voi in sala e non solo, la chance di promuovere una specializzazione in Scienze del Patrimonio, perché la cura complessiva del cliente è una nuova opportunità professionale che andrebbe perseguita. Oggi si legge di deliberazioni e iniziative per l’iscrizione all’Albo dei consulenti finanziari, nella sezione autonomi, ora non più di diritto e senza esami, o pure dell’attività di consulenti patrimoniali. Confermo, non basta l’iscrizione all’ Ocdec o all’Ocf per trasformare due rispettabili categorie professionali in dottori in Scienze del patrimonio, occorre istituire un corso di laurea ad hoc, come in Francia, per assistere le persone nella gestione del proprio patrimonio che non si limita all’impresa e agli investimenti finanziari. Oggi esiste solo un Master in Scienze del patrimonio presso la Bologna Business School dell’Università di Bologna. Forse unendo le forze dei consulenti e dei commercialisti si potrebbe conseguire l’obiettivo del dottore patrimonialista. Se ne può parlare? settembre 2020

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POLE POSITION

a cura di Buddy Fox

SETTEMBRE, IL MESE DOVE BISOGNA AVERE CORAGGIO

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ttobre: questo è un mese particolarmente pericoloso per investire in azioni. Gli altri mesi pericolosi sono luglio, gennaio, settembre, aprile, novembre, maggio, marzo, giugno, dicembre, agosto e febbraio», la frase è di Mark Twain, che già più di un secolo fa, che con ironia e acume, giocava sulla vulnerabilità dell’uomo nei confronti delle Borse e della loro imprevedibilità. L’uomo, che nella sua costante ricerca di razionalità, aveva trovato nel mese di ottobre il momento di maggior pessimismo dell’anno, quando invece Twain aveva capito che qualsiasi momento, e qualsiasi scusa erano buone per scatenare una crisi. Ma è alla statistica che l’uomo si aggrappa, crisi del 1929, o il crash del 1987, hanno la loro origine e il loro sfogo proprio nel mese di ottobre. Ma se questo è il mese più buio, si dimentica che è settembre il periodo dell’anno che più ci stupisce. Per molti è un capodanno, per altri è la pagina bianca di un nuovo libro, il momento carico di aspettative da cui si attendono grandi novità. Dopo la pausa estiva è il simbolo della ripartenza, ma per i mercati, che pause non ne hanno mai, settembre è il mese in cui si affollano gli eventi e in cui la vivacità diventa padrona. E non sono sempre buone nuove, anzi, se dici set-

tembre torna subito alla mente il crollo del Wtc, era l’11. Come per gli operatori di tutto il mondo, questo è il mese simbolo del fallimento della Lehman, la materializzazione del cigno nero. Per l’Italia il ricordo va al 1992, quando il pirata Soros decise di attaccare la Sterlina e la nostra Lira, affossando la nostra economia, provocando l’autunno caldo anche senza il surriscaldamento globale. Per l’agricoltura questo è invece il momento del raccolto, è il periodo della vendemmia, dopo l’attesa si mette il frutto sulla tavola. “Già l’odore della terra, odor di grano sale verso me…” cantava la PFM in “Impressioni di settembre”, in tempi di Covid di grano se ne vede veramente poco. Le attese (vedi le quotazioni di Borsa) sono altissime, ma dall’economia, pur spremendo si ottiene poco, questa non è un’ottima annata. Eppure, proprio la statistica sopra tiranna, in questo caso ci viene incontro: settembre non è un mese da buttare o da evitare, ma è il mese in cui bisogna avere coraggio. Gli operatori la chiamano la strategia del “topo meccanico”, e consiste nel comprare i ribassi, anche eccessivi di questo mese, per poi rivendere prima della prossima estate. Si spiega tutto, settembre è il mese della semina e non del raccolto.

AMAZON BEST PLACE TO WORK? ANCHE NO

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ontrariamente a quanto da oltre venti anni ormai si conviene tra la moltitudine delle aziende nel mondo che ambiscono a essere reputate “best place to work” e per questo si adoperano a migliorare la propria cultura interna e manageriale promuovendo la diffusione di un clima di fiducia che stimoli le persone, i dipendenti e i collaboratori, a dare il meglio del proprio talento ed essere orgogliose del proprio lavoro, si pone Amazon. Con un patrimonio personale che ha superato i 200 miliardi di dollari, Bezos non ritiene di dover essere lui a ringraziare i suoi dipendenti per i risultati che gli hanno permesso di raggiungere, ma al contrario, se ne esce su tutte le principali reti, con una campagna pubblicitaria in cui sono proprio loro a ringraziarlo per l’opportunità di lavoro concessa. Il colosso dell’e-commerce, pur vantando ricavi e utili stellari (11 miliardi di dollari nel 2019) non si distingue certo per generosità o per equità né in fatto di trattamento del capitale umano, ricordiamo negli scorsi mesi di pandemia i vari scioperi in Usa ma anche in Europa, Italia compresa, a seguito delle gravi mancanze in materia di sicurezza e in generale per migliori condizioni di lavoro. Né per quanto attiene gli obblighi fiscali. Nonostante ancora nel 2017 la Commissione Ue abbia comminato una multa da 250 milioni di euro, una sciocchezza rispetto alle cifre dei suoi bilanci, per gli accordi fiscali con il Lussemburgo, Amazon si è rivolta alle autorità competenti per cercare di farla annullare. Pare lecito a questo punto poter dire che questi giganti della new economy che tanto abbiamo acclamato e che tanto amiamo per averci fatto 82

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sognare un nuovo mondo più democratico, libero e foriero di grandi opportunità per tutti, tutto sommato non ha prodotto che globalizzazione selvaggia sulle cui praterie, reali e digitali, vince sempre il più forte. E in questo caso il più forte sembra non voler restituire proprio niente alle società in cui opera e prospera, nemmeno un centesimo per scuole, servizi, ospedali, emergenze, ma al contrario si aspetta eterna sudditanza da tutti coloro che hanno ricevuto la grazia nientemeno che di un posto di lavoro.


INVESTIRE SPECIALIST

C’ERA UNA VOLTA L’ABENOMICS

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hinzo Abe, lo vogliamo ricordare così, con la tutina da Superman, ritratto per la copertina dell’Economist di qualche anno fa come l’uomo che avrebbe risollevato il Giappone e la sua economia dopo lustri di sabbie mobili. Nel titolo c’era scritto: “is it a bird? Is it a plane? No… IT’S JAPPAN!” Qualcosa che assomigliava a un “banzai!”, perché ci voleva un supereroe pronto a immolarsi per risvegliare un’economia in stato comatoso da più di vent’anni. Ed è così che arrivò l’Abenomics, il combinato di politica monetaria ultra espansiva attraverso il braccio armato della banca centrale del Giappone, con l’aggiunta della leva fiscale e della spesa pubblica, gli ingredienti di una bevanda super energetica che dovevano rimettere in moto questo lottatore di sumo ormai stanco e appagato dai trionfi degli anni ottanta. Il Paese che aveva subito gli orrori della bomba atomica, e che quindi ne conosceva gli effetti, voleva sperimentare qualcosa del genere nell’economia, usandolo questa volta a suo favore.

La data di inizio è il Dicembre del 2012, l’orchestra delle banche centrali cominciava a suonare la super hit “Hotel California”, una canzone ancora in testa nelle classifiche delle borse di tutto il mondo. Sono passati quasi 8 anni, Abe oggi si dimette, motivi personali e non professionali, come Koizumi è stato un grande leader che rimarrà nella storia, ma l’impresa politica ed economica, come per il predecessore, è rimasta incompiuta. Il sistema giappone è ancora nelle sabbie mobili, il nuovo ordine economico che fa leva sull’idolatria del consumatore a cui si deve soddisfare ogni sua puerile esigenza, non fa presa in questo paese. Il Pil va in recessione sincronizzata con il resto del mondo, al tempo stesso, i consumi restano ai minimi come la disoccupazione, il rapporto debito/Pil più alto del mondo, e l’inflazione, il male cronico, sembra bassa se non tendente alla deflazione. E la Borsa? Il Nikkei è un caso esemplare e merita una particolare attenzione, mi rivolgo soprattutto agli addetti ai lavori che per professione sono costretti a vendere la regola che sul lungo termine una Borsa o qualsiasi strumento debba per forza salire. Un falso mito. L’esempio del Giappone dimostra che non è così, o che almeno ci sono delle grandi eccezioni. La Bolla del Giappone (in questo caso immobiliare e finanziaria) è scoppiata nel 1990, e da allora il sistema non si è più ripreso completamente. In termini di investimento, l’indice Nikkei, dopo aver intrapreso un trend ribassista durato 22 anni (nemmeno la Bolla Internet 2000 lo ha rianimato), con una perdita di quasi 3/4 di valore, oggi dista ancora il 50% dai massimi. A questo punto una domanda sorge spontanea, ma se non è riuscito Superman Abe con la bomba atomica dell’Abenomics a rianimare questo gigante, chi potrà farlo?

WARREN BUFFETT, IL GRANDE VECCHIO CHE GUARDA AL FUTURO

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ovant’anni e non sentirli, novant’anni e pensare ancora al lungo termine. Il suo nome è Warren Buffett, al secolo l’oracolo di Omaha. Nasce il 30 agosto 1930 nella città del Nebraska, città, Omaha questa sconosciuta, che una volta all’anno diventa territorio di pellegrinaggio, La Mecca della finanza. Per parteciparvi devi essere azionista della sua holding, il biglietto d’ingresso è caro, la Berksire Hathaway quota intorno ai 300.000 dollari, un prezzo che fa selezione e la qualità si paga. Perché se sei un amante della borsa, non parteciparvi almeno una volta, è come per un amante della musica non aver mai visto un concerto di Michael Jackson. Se è vero il dogma che le borse nel lungo termine salgono sempre, bene Warren Buffett ne è il suo sacerdote, il suo massimo praticante. La sua prima azione la compra a 11 anni e chissà per quanto tempo l’ha tenuta, perché

quel banale dogma del lungo termine, lui l’ha messa a frutto in modo disarmante. Compra sempre quando scende, nel tempo è stato un lusso che si è potuto permettere, la differenza rispetto a tutti gli altri miti che nel tempo sono tramontati, è in quello che ha comprato, perché la cosa più importante è non perdere soldi, una massima da non dimenticare. E sono solo le prime di una lunga serie, perché per non perdere soldi lui ha sempre comprato aziende che anche uno stupido riuscirebbe a guidare, perché un giorno potrebbe accadere che uno stupido ne sia a capo. Le mode vanno e vengono, ma Warren Buffett è sempre lì’, e il padre da cui ti allontani quando ti senti più sicuro e spavaldo, e poi alla prima crisi, lo spavento ti fa ritornare da lui, sperando che sia pronto a riabbracciarti. Non è stata sempre rose e fiori la sua vita, ci sono state anche molte spine, come nel 2000, quando persa la grande occasione di arricchimento con la nascita di Internet, furono in molti a dire che Buffett ormai era vecchio e aveva perso il suo tocco magico. Mentre gli investitori di tutto il mondo accumulavano chip, lui comprava bulloni. Pochi mesi dopo, i bulloni sono rimasti, i chip sono bruciati nel grande falò delle vanità. Compro solo ciò che conosco, è una sua massima, e appena fatta piena conoscenza della tecnologia, si è rifatto con massicci acquisti di Apple e Amazon, che pur cari, hanno continuato l’ascesa. Warren Buffett è il monolite, tra crolli ed euforie, lo trovi sempre lì, non tradisce mai. L’investitore ogni volta lo scruta cercando una segnale, e lui spesso li accontenta. Per i novant’anni si è regalato delle partecipazioni in Giappone, ma non compra in Usa, forse è il segnale che Wall Street ha corso troppo? settembre 2020

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QUI PARIGI di Giuseppe Corsentino

LA “FINANZA VERDE” FRANCESE HA PAURA DEL ROSSO

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ome al semaforo. Dal verde al rosso, quasi di colpo, piazza di Parigi, considerata evidentemente la più sensibile alla senza passare per il giallo. È quello che sta accaden- materia (mentre per il resto del mondo l’uscita dall’industria cardo a certi grandi attori della finanza francese, a certi bo-energetica è spostata al 2040). colossi industriali quotati al Cac, per esempio alla Si sono presi il loro tempo altri due campioni della finanza vermultinazionale Air Liquide e al gigante petrolifero de “à la française”, la Societé Générale e BnpParibas che hanno Total. Ed è anche quello che fa tremare i “patron” delle grandi assicurato rispetto e responsabilità ambientale, ma si sono anbanche, da BnpParibas al Credit Mutuel, che sì, si sono impegna- che riservate il diritto di discutere con i loro clienti, cioè i colossi te, con tanto di protocolli Rse, Résponsabilité societale des entre- petroliferi ed energetici finanziati, la gestione futura delle linee prises e management dedicato, a rispettare le di credito. regole della buona governance ambientale – a In effetti, come si possono tagliare d’amblé i luglio, va detto, sono entrati in vigore le indifinanziamenti a colossi come la tedesca Rwe, cazioni della Cop21 e del Trattato di Parigi per Reinisch Westfälisches Elektrizität Werke, sel’ambiente – ma ora cominciano a temere che a condo produttore di elettricità con centrali a fare troppo i “verdi” nella Francia che ha visto carbone in Alsazia e in tutta la Germania? O alla la “grande vague verte” alle elezioni municipali multinazionale anglo-svizzera Glencore che di maggio e l’arrivo di decine di sindaci ecolo“lavora” ancora con le energie fossili (petrolio gisti e ambientalisti alla guida anche di grandi e carbone) ma è anche leader mondiale (con città come Lione e Bordeaux, si può correre il una quota del 50% del mercato) nel trading del rischio di perdere fatturato, affari, clienti. rame, uno dei metalli più preziosi per la transiMICHEL SAPIN, EX MINISTRO Quindi prudenza, diplomazia, niente scontri zione energetica e l’industria del futuro? con le varie Ong e associazioni ambientaliste che tengono sotto Insomma, bisogna muoversi con sapienza visto che le banche, controllo il comportamento di banche e società (per aggiornare come ha ricordato a luglio, in occasione dell’entrata in vigore i loro report sul rispetto dei criteri cosiddetti Esg, Envirommen- delle regole dell’accordo di Parigi per il settore finanziario, l’ex tal social governance, e Isr, Investissement socialement réspons- ministro dell’economia Michel Sapin, socialista, “le banche sono able), ma al tempo stesso, “en même temps” per dirla con la or- les nerfs de la finance verte e hanno un ruolo fondamentale nella mai famosa formula politica macroniana, attenzione ai bilanci e transizione ecologica dal momento che possono decidere chi e al conto economico. che cosa finanziare”. Perché va bene essere indicati a modello di finanza verde ed Così si spiega la decisione dei due colossi bancari francesi, Bnpeco-responsabile come il Crédit Mutuel che ha adottato la stra- Paribas e Societé Générale, di continuare a finanziare Rwe anche tegia più severa, quella indicata dal Global Coal Exit List, un ben- se il gruppo energetico tedesco ha fatto sapere che non spegnerà chmark per il settore, che obbliga la banca a uscire da qualsiasi le sue centrali a lignite prima del 2038. E sapete perché? Perché finanziamento, diretto o indiretto (cioè attraverso fondi e fondi Rwe è diventato, nel frattempo, un attore importante nel mercato di fondi), al settore energetico-carbonifero (quello, detto in pa- delle energie rinnovabili. rentesi, che rappresenta il 39% delle emissioni di Co2 e quindi il Lo stesso vale per Glencore il cui business è fatto al 50% di carbonemico numero uno della salute del pianeta, responsabile dell’ef- ne ma che gestisce in Europa tutto il trading del rame e dello zinfetto serra e del surriscaldamento globale, come si sa), ma anche co, fondamentali, come si sa, per il sistema industriale decarboil virtuoso Crédit Mutuel s’è preso il suo tempo. nizzato. Per dirla con le parole del professor Christian de Perthuis Uscirà dal settore, cioè non finanzierà più aziende inquinanti che ha fondato la prima cattedra di Ecologia Clima ed Economia come da luglio si sono impegnate a fare tutte le banche francesi, all’università Paris-Dauphine, «il sistema industriale passerà nama solo a partire dal 2030 che è, si badi, la data limite suggeri- turalmente dal carbone alle energie rinnovabili. Ci vorrà tempo e ta (difficile dire: imposta) dall’Ocse per la “place de Paris”, per la le banche seguiranno». 86

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QUI NEW YORK

di Glauco Maggi

ATTENTI AGLI ETF, PIÙ CRESCONO MENO CONVINCONO

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ttenzione, investitori passivi: le soluzioni “indicizzate” (ossia gli Etf e i fondi-indice che replicano i panieri) erano nel passato sinonimo di una (quasi) perfetta diversificazione, ma nel 2020 stanno cominciando a perdere quella qualità. E ciò avviene proprio mentre vedono aumentare il loro successo tra il pubblico. In America, nel business del risparmio azionario gestito, la lunga corsa degli investimenti passivi sta infatti per arrivare al traguardo storico della parità con gli investimenti attivi (ossia i fondi comuni attivi, con o senza benchmark). Nel suo report del 17 luglio, Strategas, società di consulenza di New York per investitori istituzionali, mostra il trend riportando i dati della Associazione delle società di gestione Usa (ICE, Investment Company Institute). La quota dei prodotti passivi, che era pari al 10% del totale del risparmio gestito nel 2000, e al 25% nel 2010, a metà dell’anno in corso è al 49,8%, prossima dunque al sorpasso. Questo progresso è sicuramente interessante per i consumatori che hanno accesso a un servizio di investimenti di massa dal costo commissionale molto ridotto, e in qualche caso addirittura azzerato: per esempio, Fidelity offre Fidelity Zero Large Cap Index Fund (Fnilx), Fidelity Zero Extended Market Index Fund (Fzipx), Fidelity Zero Total Market Index Fund (Fzrox) e Fidelity Zero International Index Fund (Fzilx) senza spese di gestione a risparmiatori individuali che li acquistano attraverso un conto della stessa società. Ma il successo di pubblico porta con sè un effetto inaspettato, e negativo, in termini di rischio dei portafogli azionari legati allo S&P500. Il motivo fondamentale per affidarsi ad un Etf che investe nel paniere più rappresentativo delle aziende americane, lo S&P500 con le 500 maggiori corporation appartenenti agli undici settori merceologici classici, è infatti sempre stato quello di garantirsi la massima diversificazione al minor costo. Con la riclassificazione operata a fine 2018, il paniere S&P500 comprendeva azioni dei servizi di comunicazione (con un peso del 9,9% sul totale), dei beni discrezionali (10,2%), dei beni di consumo basilari (6,7%), dell’energia ( 6%), dei finanziari (13,7%), della salute (14,9%), degli industriali (9,7%), dei materiali (2,5%), del comparto immobiliare ( 2,7%), della tecnologia (20,8%), delle utilities (2,8%). L’esplosione del boom tecnologico e di Internet

in questa lunga stagione della pandemia, del distanziamento sociale, delle consegne a domicilio, e del lavoro ‘smart’ da casa, ha dato una spinta eccezionale ai cinque campioni del networking - Facebook, Microsoft, Apple, Google e Amazon - che hanno centrato record di prezzi uno dopo l’altro. Ma grazie all’aumento delle loro quotazioni il portafoglio dell’intero indice, che si basa sulle capitalizzazioni (weight based), si è pesantemente squilibrato. Nel 2000, i cinque campioni di capitalizzazione dell’indice S&P500 non erano gli stessi cinque di oggi, e pesavano per il 18,2% dell’intero indice S&P500. Era già una forte anomalia, perchè era il frutto di Wall Street in piena febbre da Internet; le cinque aziende a più alta capitalizzazione di allora pesavano per quasi un quinto del totale, mentre l’insieme delle altre 495 pesava per l’81,8%. Poi, scoppiata la bolla, ci fu un calo costante del peso complessivo delle prime cinque azioni a maggiore capitalizzazione, giù giù fino a costituire l’11% del totale nel 2014: in quell’anno lo S&P500 stava insomma offrendo il tasso di diversificazione più alto dal 2000, record mai più eguagliato fino a inizio 2020. Da quel valore minimo del 2014 era ripartita la crescita del peso della “cinquina” delle maggiori azioni, fino alla riconquista avvenuta qualche mese fa di quota 18,2%, il tetto che era stato provocato dal boom delle dot. com. I mesi recenti hanno assistito a una impennata del dominio dei cinque colossi citati, che ora pesano per il 22,1% del paniere, nuovo tetto di sempre. A questo punto, «l’investimento passivo potrebbe diventare troppo aggressivo per un normale investitore», è l’avvertimento di Jason Trennert, presidente di Strategas. Chi investe in un Etf che replica lo S&P500 acquista infatti un paniere di 500 azioni, ma la sorte della performance è sbilanciata, essendo legata per ben il 22,1% ai soli cinque giganti tecnologici citati. Che oggi sono il motore dei record dello S&P500 e del Nasdaq, ma domani potrebbero avere un ruolo “Orso” ben più marcato di quanto possa aspettarsi l’investitore medio che credeva di essere diversificato in modo più equilibrato. La misura del diverso rischio è data dal Price/Earnings mediano Next Twelve Months (il rapporto dei prezzi sugli utili previsti nei prossimi 12 mesi): esso è molto più elevato per i 5 titoli al top (prezzi 30,8 volte gli utili) che non per gli altri 495 (prezzi 20,7 volte gli utili). settembre 2020

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IL GIRO DEL MONDO IN 30 GIORNI

L’ARGENTINA OTTIENE UN ALTRO MAXI-SCONTO SUL DEBITO

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rentatrè miliardi di dollari. È il moratoria sulle rate dei pagamenti, che risparmio ottenuto dal governo eviterà allo stato esborsi per 42,5 miliardi argentino al termine di un lungo di dollari nei prossimi cinque anni. Guznegoziato, iniziato lo scorso febbraio, con i man ha definito l’operazione di ristruttusuoi creditori privati internazionali. Come razione del debito estero come «una conannunciato dal ministro dell’Economia dizione necessaria a riportare il paese sul argentino Martin Guzman (nella foto), sentiero dello sviluppo sostenibile. È un passo avanti, l’accorinfatti, il 93,55% ha aderito alla proposta PROSEGUE INTANTO IL NEGOZIATO do permette di sanaCON IL FMI PER RISTRUTTURARE re le finanze pubblidi ristrutturazione di 66,2 miliardi di dolULTERIORI 44 MILIARDI DI DEBITI che, dare certezze al settore privato, e darà lari di debito estero CONTRATTI SOLO NEL 2018 all’Argentina una dell’Argentina. L’adesione quasi unanime permette l’atti- nuova piattaforma dalla quale decollare». vazione della clausola di azione collettiva Nel frattempo, il governo dell’Argentina ha che impone l’accettazione della proposta fatto richiesta al Fondo monetario interanche alla minoranza di creditori che non nazionale per l’avvio di colloqui formali al aderiscono all’offerta. In questo modo, fine di negoziare un programma di ristrutcome ha confermato Guzman, le condi- turazione del debito di 44 miliardi di dolzioni di ristrutturazione vengono estese al lari contratto attraverso l’accordo Stand 99% delle emissioni oggetto della propo- By, siglato nel 2018. Guzman ha chiarito sta. Lo sconto è stato ottenuto principal- che anche nel negoziato con l’Fmi il prinmente attraverso il taglio di interessi dal cipio cardine della posizione argentina 7 al 3,07%. L’Argentina ottiene inoltre una sarà quello della sostenibilità. Il ministro

ha quindi sottolineato l’intesa e l’appoggio ricevuto dall’Fmi nel duro negoziato con i creditori privati internazionali sulla ristrutturazione del debito estero, rimarcando tuttavia che l’accordo Stand By siglato dal precedente governo di Mauricio Macri ha peggiorato l’attuale crisi.

MEMORANDUM D’INTESA TRA LA BANCA CENTRALE TURCA E QUELLA DI TRIPOLI La Libia, o per meglio dire la Tripolitania, è sempre più turca. Dopo che il massiccio intervento dei jihadisti siriani armati e finanziati da Ankara prima, e direttamente dell’esercito turco poi, hanno cambiato le sorti della guerra portando alla sostanziale sconfitta del generale Haftar, il governo di Sarraj è sempre più saldamente in mano al novello sultano Erdogan. Anche dal punto di vista finanziario: la banca centrale della Libia con sede a Tripoli ha firmato un memorandum d’intesa con la banca centrale turca

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«che definisce le condizioni per una cooperazione continua tra le due parti». In un comunicato, la banca centrale turca ha dichiarato che l’intesa mira a rafforzare le relazioni economiche e la cooperazione finanziaria tra i due paesi. Secondo il sito web d’informazione “Al Ain”, l’istituto di Ankara ha spiegato che il memorandum contribuisce a stabilire il terreno necessario per sviluppare la cooperazione con la controparte libica nelle questioni relative alle banche centrali, senza fornire ulteriori dettagli.


IL GIRO DEL MONDO IN 30 GIORNI

IL BRASILE SUL FILO DEL RASOIO DI MOODY’S

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a regola del tetto alla spesa pubblica in Brasile (nella foto il presidente Bolsonaro) rappresenta il «principale ancoraggio fiscale» del Paese, e un eventuale sforamento del limite avrebbe un effetto negativo sulla credibilità del Brasile, oltre a minacciare la ripresa economica. Lo ha affermato il vicepresidente e analista senior dell’agenzia di rating statunitense Moody’s per il rating sovrano del Brasile, Samar Maziad in un commento pubblicato sulla rivista “Exame”. «Oltre a influire negativamente sul profilo di credito del Brasile (valutazione di rating, ndr), le incertezze relative al tetto di spesa possono anche influire sul sentimento del mercato e sulla fiducia degli investitori, minando la ripresa economica», ha sottolineato Maziad. Attualmente, Moody’s attribuisce valuta-

DIRITTI SOCIALI, IL PICCOLO PASSO AVANTI DEL QATAR

L’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo) ha elogiato il Qatar per aver abolito il sistema di sfruttamento dei lavoratori stranieri detto “kafala” che per anni ha imposto loro di richiedere il permesso dei propri datori di lavoro per cambiare impiego. Secondo l’Ilo, la riforma «smantella efficacemente il sistema di sponsorizzazione della kafala e segna l’inizio di una nuova era per il mercato del lavoro nel Qatar». Per anni l’emirato del Golfo è stato criticato per non aver adempiuto alla promessa di riformare le condizioni per milioni di lavoratori stranieri a bassa retribuzione impiegati soprattutto nei lavori infrastrutturali legati ai Campionati del mondo di calcio del 2022. Il Paese è anche diventato il primo nella regione ad adottare un salario minimo non discriminatorio di 1.000 riyal qatarioti (275 dollari). In base alla nuova legge, i datori di lavoro saranno tenuti a garantire standard di vita dignitosi ai propri operai e dipendenti, coprendo anche i costi di vitto e alloggio. La legge interesserà direttamente 400mila persone.

zione “Ba2” al credito sovrano del Brasile con prospettiva stabile e prevede un calo del Prodotto interno lordo (Pil) del 6,2% nel 2020. Un po’ più ottimista il bollettino di mercato della Banca centrale brasiliana, il rapporto “Focus”, pubblicato il 31 agosto, che ha invece elevato la stima della crescita del Pil nel 2020 al -5,28%. Il tasso di disoccupazione in Brasile è cresciuto nel secondo trimestre del 2020, attestandosi al 13,3%, in aumento del 1,3% rispetto al secondo semestre del 2019. Altri pro-

PER L’ECONOMIA BRASILIANA UN ALTRO NODO SONO LE DIFFICOLTÀ NELLA RATIFICA DELL’ACCORDO TRA UE E MERCOSUR

blemi per l’economia brasiliana vengono dalle difficoltà nella ratifica dell’accordo tra Ue e Mercosur, a causa del dibattito in corso nell’Ue sulla deforestazione della foresta pluviale brasiliana. La Francia ha già annunciato il proprio veto, e proprio in considerazione della deforestazione in Amazzonia, la cancelliera tedesca Angela Merkel nutre «seri dubbi» sull’attuazione dell’accordo commerciale. Il portavoce del governo federale, Steffen Seibert, ha affermato che c’è «notevole preoccupazione per la deforestazione dell’Amazzonia e, in questo contesto, sorgono seri dubbi sul fatto che l’attuazione dell’accordo commerciale tra Ue e Mercosur nello spirito previsto sia garantita al momento». settembre 2020

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IL GIRO DEL MONDO IN 30 GIORNI

SANCHEZ AGLI SPAGNOLI: «È ARRIVATO IL MOMENTO DI CREDERE IN NOI STESSI»

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tempo di accordi, incontri, trattative e onestà per gettare le basi della Spagna che vogliamo costruire. Ci vuole un nuovo clima politico caratterizzato da stabilità e unità per affrontare le sfide enormi che attendono il paese». Lo ha affermato il primo ministro spagnolo Pedro Sanchez (nella foto)durante il suo intervento alla conferenza «La Spagna può. Recupero, trasformazione e resilienza», davanti a una delegazione di imprenditori, sindacati, esponenti della società civile. Secondo il premier, il male peggiore in Spagna «è sempre stato quello di non credere in sé stessi, d ora è arrivato il momento di bandire questa diffidenza, in particolare in un

PEDRO SANCHEZ

momento in cui bisognerà affrontare una crisi senza precedenti». Il Paese tuttavia non è solo: per Sanchez finalmente l’Eu-

ropa «è stata all’altezza della situazione; l’accordo del luglio scorso rappresenta una nuova pietra miliare nella storia della ricostruzione europea, grazie a una mobilitazione di risorse su scala continentale senza precedenti». Per il primo ministro spagnolo per affrontare la crisi pandemica è il momento di rilanciare l’economia, creare posti di lavoro, accelerare la transizione ecologica, il digitale e rafforzare la coesione territoriale. «Non possiamo tollerare ulteriori disuguaglianze o squilibri. Dobbiamo porre fine alla grave povertà», ha affermato Sanchez. Il premier, infine, si è detto grato per il lavoro degli scienziati, dei professionisti della salute e delle forze di sicurezza dello Stato.

TURCHIA MAXI GIACIMENTO NEL MAR NERO

«V HUAWEI SI CONSOLA CON L’AFRICA

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orse delusa dalla piega filo-americana che ha preso la partita delle rete unica in Italia, Huawei investirà oltre 60 milioni di dollari in Angola nella costruzione di un parco tecnologico per la formazione e la condivisione di esperienze sulle nuove tecnologie più avanzate. L’investimento è stato discusso durante l’incontro che il direttore di Huawei in Angola, Chu Xiaoxin, ha tenuto con il vicepresidente angolano Bornito de Sousa. In dichiarazioni rilasciate dopo l’incontro, Chu Xiaoxin ha affermato che il parco sarà costruito l’anno prossimo e integrerà le componenti della formazione del personale e la condivisione delle esperienze. L’inaugurazione è prevista per dicembre del prossimo anno, con l’obiettivo di formare più di 1.500 partner e ingegneri. La multinazionale ha firmato un protocollo d’intesa con il ministero degli Affari esteri angolano nel campo della formazione dei talenti nelle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. L’interesse della Cina, e non solo, per il paese africano è legato anche allo sfruttamento delle risorse energetiche, e in particolare del petrolio. La strategia per l’esplorazione degli idrocarburi in Angola per il periodo 2020-2025 prevede la scoperta di riserve tra i 40 e i 57 miliardi di barili di greggio. L’Angola dispone attualmente di riserve comprovate stimate in oltre sette miliardi di barili di petrolio; la produzione media giornaliera è di 1,249 milioni di barili al giorno. Per la sua implementazione, la strategia dispone di un budget di 870 milioni di dollari, di cui 679 milioni di investimenti esteri. 90

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orrei condividere con voi una notizia storica. Sappiamo che l’energia è elemento principale dello sviluppo del paese». Lo ha affermato nel corso di un discorso alla nazione il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdogan, annunciando la scoperta di un mega-giacimento di gas nel Mar Nero. Il nuovo giacimento vanta riserve di almeno 320 miliardi di metri cubi e verrà attivato nel 2023: si tratta della più grande scoperta di questo tipo mai fatta dalla Turchia. Secondo Erdogan, i dati mostrano la possibilità che ci siano altre riserve nella stessa area. «Avevamo individuato il giacimento sin da maggio. E questa è solo una parte del giacimento. Speriamo di aver lo stesso successo anche nel Mediterraneo. Siamo decisi a risolvere il problema del gas e dell’energia per la nostra autosufficienza e colmare parte del nostro debito estero», ha aggiunto il capo dello Stato turco. La Turchia sta effettuando esplorazioni di idrocarburi anche nelle acque contese del Mediterraneo orientale, incurante delle vibranti proteste di Grecia e Cipro. Il ministro dell’Energia, Fatih Donmez, ha affermato che la Turchia prevede che le importazioni di energia diminuiranno in modo significativo dopo la scoperta. La Turchia potrebbe ridurre la dipendenza da Russia, Iran e Azerbaigian per le importazioni di energia, costate al paese 41 miliardi di dollari nel 2019. La riduzione delle importazioni di energia potrebbe rimpinguare le casse pubbliche e contribuire ad alleviare il deficit delle partite correnti che ha affossato la lira turca, ormai ai minimi storici RECEP TAYYIP ERDOGAN contro il dollaro.


IL GIRO DEL MONDO IN 30 GIORNI

ITALIA-SERBIA, CONFINI VERSO LA RIAPERTURA

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l presidente della Camera di commercio italo-serba Giorgio Marchegiani e il presidente di Confindustria Serbia Patrizio Dei Tos hanno chiesto al governo una riapertura immediata dei viaggi di lavoro tra i due Paesi. «È necessario ripristinare in sicurezza la possibilità di viaggiare per i tecnici e i manager delle numerose aziende italiane in Serbia» ha dichiarato Dei Tos in una nota. I due presidenti hanno inviato ai vertici del governo italiano una missiva per segnalare la difficile situazione instauratasi a seguito delle forti limitazioni ai movimenti delle persone previste dalle ordinanze del 16 e 30 luglio e dal Dpcm del 7 agosto. Secondo Marchegiani, presidente della Camera di commercio italiana in Serbia e amministratore delegato di Dsor - UnipolSai Serbia, «la Serbia sta preparandosi a entrare nell’Ue ed è un partner importante per l’Italia: il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il ministro degli Esteri Luigi di Maio hanno visitato Belgrado appena prima della pandemia e hanno toccato con mano la vivacità dei rapporti economici tra i due Paesi». Attualmente in Serbia ci sono oltre 600 aziende attive a capitale italiano, tra cui le due maggiori banche - Intesa e Unicredit, la seconda e terza compagnia di assicurazione – Generali e Unipol - , e importanti realtà industriali tra cui Fca, Calzedonia, Aunde, Geox, Ferrero, oltre a numerose Pmi. Le aziende a capitale italiano contribuiscono a generare un i n te r s c a m bio bilaterale di circa 4 miliardi di euro.

TUNISIA SENZA TURISTI, COVID COME L’ISIS

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5 anni dall’attentato costato la vita a 24 persone al museo del Bardo, che custodisce una collezione di straordinari mosaici dell’antica Roma, la Tunisia dopo aver dovuto fronteggiare la paura del terrorismo si trova a fare i conti con un altro enorme freno al turismo, la pandemia. Gli sforzi fatti negli anni per riconquistare la fiducia dei visitatori e riguadagnare così posizioni sono stati vanificati: le entrate totali del settore turistico in Tunisia, dall’inizio del 2020 fino allo scorso 20 agosto, sono calate del 60% rispetto all’anno scorso. È quanto emerge da statistiche pubblicate dalla Banca centrale della Tunisia. Secondo i dati della Banca centrale il settore turistico tunisino ha totalizzato nei primi otto mesi del 2020 ricavi per circa 400 milioni di euro (1,3 miliardi di dinari tunisini), contro 1,02 miliardi di euro (3,3 miliardi di dinari) del periodo gennaio-agosto 2019. Dai dati emerge anche una diminuzione dei ricavi totali del lavoro, in calo del 6% a 1,05 miliardi di euro (3,4 miliardi di dinari). Il calo di entrambi i settori è con tutta evidenza una conseguenza della pandemia. I dati della Banca centrale di Tunisi indicano anche nello stesso periodo un calo del 14% del servizio del debito estero. In questi mesi è diminuito anche del 21% il volume totale del rifinanziamento, scendendo a 2,8 miliardi di euro (9,3 miliardi di dinari), mentre le transazioni interbancarie sono cresciute complessivamente del 33%.

L’ARABIA PUNTA SULL’HI-TECH CON 500 MILIARDI PER UNA CITTÀ DELLA RICERCA

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Arabia Saudita è sempre più decisa a rifarsi il look: non una nazione desertica che poggia su un mare di petrolio, in cui i diritti umani sono spesso e volentieri violati, bensì un paese all’avanguardia che sceglie le energie alternative e finanzia le tecnologie più avanzate. Il ministero dell’Energia saudita offrirà sostegno a Neom, iniziativa del governo che prevede la costruzione di una grande città “high-tech” da 500 miliardi di dollari, per completare i lavori nei tempi previsti. Lo ha affermato il ministro dell’Energia del regno, principe Abdulaziz bin Salman. «Dobbiamo perseverare e mettere a disposizione tutte le nostre capacità per realizzare questo progetto», ha spiegato il ministro, citato

dall’emittente televisiva “Al Arabiya”, durante la cerimonia di firma del protocollo d’intesa sulla cooperazione tra il suo di-

ABDULAZIZ BIN SALMAN

castero e il progetto Neom. Lo sviluppo di 26.500 chilometri quadrati, rivelato per la prima volta nel 2017, il cui completamento è pianificato per il 2025, includerà progetti high-tech alimentati da energia eolica e solare. La città transfrontaliera sorgerà nella provincia nord-occidentale di Tabuk, vicino al Mar Rosso e lungo i confini che l’Arabia Saudita condivide con l’Egitto e la Giordania. Neom incorporerà le tecnologie delle città intelligenti e fungerà da destinazione turistica di primo piano nella regione del Medio Oriente. Il progetto fa parte dell’ambizioso piano Vision 2030 lanciato dal principe ereditario saudita Mohammed bin Salman che mira a portare il Regno nell’era post-idrocarburi.

Il giro del mondo in 30 giorni è a cura di Riccardo Venturi settembre 2020

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COSMOPOLITICA Andrea Margelletti Presidente del Centro Studi Internazionali, docente presso la Facoltà di Scienze delle Investigazioni e della Sicurezza dell’Università di Perugia e Narni. Unico membro onorario delle Forze Speciali Italiane

SE ANCHE LONDRA BANDISCE IL 5G DI HUAWEI

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on la scelta di vietare agli operatori di telefonia mobile operanti sul proprio territorio di acquistare tecnologia 5G Huawei a partire dal prossimo 31 dicembre e obbligarli a rimuovere qualsiasi apparecchiatura del gigante cinese già istallata entro e non oltre il 2027, il governo britannico di Boris Johnson si è basato sui più recenti report del National Cyber Security Centre che indicavano come la presenza di apparecchiature della Huawei nella gestione del flusso dati telefonico e internet del Regno Unito poteva porre una minaccia alla sicurezza nazionale in termini di acquisizione irregolare di dati (sia sensibili che non), di rispetto della privacy dei cittadini e, più in generale, della funzionalità stessa del circuito delle comunicazioni. Il Centro Nazionale di Sicurezza Cyber ha fatto eco alle precedenti preoccupazioni del MI5 e del MI6 che, in passato, avevano evidenziato le connessioni tra Hauwei e le Forze Armate Cinesi. Qualora le accuse degli “James Bond” di Sua Maestà fossero confermate, la verità non dovrebbe sorprendere. L’uso strategico delle eccellenze tecnologiche o delle risorse economiche pregiate è sempre stato un tratto caratterizzante delle politiche di proiezione di influenza da parte delle grandi potenze globali. Basti pensare, a proposito, all’uso “politico” che la Russia fa della fornitura di greggio e gas all’Europa e del giogo che questo rappresenta rispetto al delicato dossier della crisi ucraina. La scelta di campo di Londra avviene a un costo molto elevato: 2 miliardi di dollari tra penali e investimenti congelati

Il Regno Unito segue la scia di Washington che già da tempo aveva sanzionato Huawei accusandola di spionaggio

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e 1600 persone (il personale impiegato da Huawei in UK) a rischio licenziamento. Inoltre, a seguito del bando di Huawei, il Regno Unito dovrà ritardare di un anno la piena copertura nazionale del 5G. Se a Nanchino piangono, altrove ridono, visto che Ericsson e Nokia si sono candidate prepotentemente a prendere il posto del colosso tecnologico cinese. L’affare Huawei è soltanto l’ultimo tassello del complicato mosaico delle relazioni sino-britanniche, recentemente deterioratesi in maniera significativa anche a causa dell’ascendente di Trump sulla politica estera del Regno Unito. Infatti Londra ha altresì vietato l’acquisizione o la partecipazione cinese ad aziende britanniche di importanza strategica e, come ciliegina sulla torta, ha offerto la cittadinanza britannica a diverse centinaia di cittadini di Hong Kong per difenderli dalle misure giudicate repressive di Pechino. In questo modo il Regno Unito segue la scia di Washington che già da tempo aveva sanzionato Huawei accusandolo di spionaggio ed aveva ridotto l’approvvigionamento di componentistica tecnologica cinese nel contesto della più ampia guerra commerciale tra i due Paesi. Dopo la presa di posizione di Westminster, ora bisognerà vedere come reagiranno le altre Cancellerie europee. Tra Pechino e Berlino non corre buon sangue da tempo, quindi i prossimi a guidare l’offensiva anti-cinese potrebbero essere proprio i tedeschi, trascinando con loro il resto dell’Ue. E noi cosa faremo? L’Italia non ha posizioni anti-cinesi e non soffre il confronto strategico con Pechino che invece muove Berlino e Washington. Tuttavia la Cina dovrà chiarire, nel suo interesse, le accuse mosse dai suoi rivali e dimostrare di poter essere un partner tecnologico e commerciale affidabile. Un sfida non da poco per Xi, separare politica e business.



FASHION CRONACHE DALLA RESILIENZA

L’alta moda riparte da Milano con un inedito sfoggio di creatività di Fabiana Giacomotti

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embrava che il lockdown avesse piegato Milano sotto il peso dei contagi, dei morti, della gestione dilettantesca - quando non furbastra - della sua sanità. Ma il “bello“ che Milano sa produrre sta facendola rinascere in questa faticosa ripartenza con uno sfoggio di creatività risolutiva abbastanza inedito. Dopo la Messa da Requiem in Duomo, lo scorso 4 settembre - momento di unità e commozione così forte da far dimenticare a tutti l’acustica tremenda dell’edificio - il Teatro alla Scala riapre e a ottobre cala l’asso di un’Aida nella partitura originaria dell’attacco del terzo atto a compensazione delle rappresentazioni in forma di concerto. Nel frattempo, dal palazzo che osserva l’abside della cattedrale, la Camera della Moda si compatta come non le era riuscito di fare fino a oggi e accoglie, per la prima volta nella sua storia, la sfilata donna di Valentino, il giorno 27 settembre, festeggiando in contemporanea il rientro in associazione di Dolce&Gabbana. Era dagli anni in cui Valentino figurava sotto l’egida dei Marzotto che il suo nome non appariva nel calendario delle presentazioni milanesi, e solo per la linea uomo, peraltro. Dall’ingresso nel capitale di Permira, l’uscita del fondatore dalla gestione attiva del marchio e la nomina alla direzione creativa di Pierpaolo Piccioli e Maria Grazia Chiuri (ormai da tempo da Dior, come si sa) tutte le presentazioni si sono infatti svolte a Parigi, con qualche rara eccezione per Roma. Dunque, sebbene la ragione dell’arrivo di Valentino a Milano sia dovuta esclusivamente all’emergenza Covid, il segnale che Camera della Moda sta dando è di un’unità opposta alle sue proverbiali divisioni, e di netto vantaggio rispetto a Parigi, la cui mancanza di una filiera a supporto rischia di mostrare la scarsa consistenza di un sistema più rappresentativo che sostanziale; 94

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IL SEGNALE CHE LA CAMERA DELLA MODA STA DANDO È DI UN’UNITÀ OPPOSTA ALLE SUE PROVERBIALI DIVISIONI, E DI NETTO VANTAGGIO RISPETTO A PARIGI, CUI MANCA LA FILIERA

Giorgio Armani sarà protagonista di Milano Moda Donna con due presentazioni. Nell’insieme la manifestazione avrà ventotto sfilate fisiche e ventiquattro eventi digitali

un aspetto che è chiaro a tutti italiani compresi, ma che quattro secoli di promozione del modello francese hanno reso fino a oggi vincente, perfino a dispetto dell’evidenza: l’earned media value delle ultime sfilate donna di Milano è stato infatti pari a 62,6 milioni di euro contro i 56,2 di Parigi, i 45,4 di New York e i soli 26 di Londra. L’espressione ultima e più spettacolare della filiera italiana (“unica al mondo” come ricorda costantemente il presidente di Camera Moda Carlo Capasa) dà dunque una prova di sé abbastanza eccezionale nello sforzo organizzativo, nella volontà di guardare avanti, benché il settore abbia subito tagli di fatturato del 30 per cento minimo, e nell’estate appena conclusa le boutique nelle zone turistiche come Capri o Portofino avrebbero potuto sicuramente tenere chiuso e invece non hanno chiuso mai, con incassi decurtati anche dell’85 per cento e il personale tutto schierato, sorridente nei suoi completi griffati, nella speranza di non essere lasciato a casa, quando verrà tolto il blocco ai licenziamenti e avverrà co-


FASHION munque presto. È questo lo spirito che apparenta le sfilate milanesi alla Mostra del Cinema di Venezia, che pur in mezzi a infinite difficoltà e a misure di sicurezza onerosissime in termini di capitale umano ed economico investiti, si è tenuta ugualmente, riempiendo tutti i posti disponibili nelle sale e offrendo proposte che, tranne il tragico film d’apertura, “Lacci” di Daniele Luchetti, una scelta di cui comprendiamo le ragioni diplomatiche ma non quelle cinematografiche, sono state in gran parte molto interessanti. A noi, a me, piace molto, questa Italia attivissima, infinitamente migliore della sua politica (il monito dell’arcivescovo di Milano Mario Delpini contro “le meschinità delle beghe, le banalità dei discorsi e le contrapposizioni pretestuose” andrebbe prescritto agli inquilini di Montecitorio una volta al dì) che guarda ostinatamente avanti e che trova soluzioni per non tagliare gli stipendi e tenere alto il morale di tutti, come ha fatto per esempio Brunello Cucinelli. E ci piace questa sorta di passaparola che sta facendo rinascere eventi, manifestazioni, perfino le fiere; in Francia, l’expo dei tessuti Première Vision salta l’edizione di quest’anno. Milano Unica ha aperto invece l’8 settembre con duecento espositori, circa un terzo del solito, un ottimo segnale per la ripresa che, ormai ne sono tutti certi, nel tessile-abbigliamento non avverrà prima della fine del 2021, cioè quando i tessuti esposti oggi si trasformeranno in cappotti, gonne e vestiti. Pitti Immagine ha gettato la spugna di un’edizione settembrina della tradizionale kermesse di giugno solo a luglio; come racconta l’amministratore delegato Raffaello Napoleone, che ha appena chiuso con un buon successo la tre giorni di sfilate di Dolce&Gabbana a Firenze che prevedeva il coinvolgimento diretto di quaranta artigiani del territorio, ha restituito fino all’ultimo euro gli anticipi dei circa trecento espositori che avevano già sottoscritto la partecipazione, una mossa che impatterà parecchio sul fatturato di quest’anno, ma nel frattempo continua a investire sulla piattaforma digitale Pitti Connect, e parla di visite fino a quota seimila per ogni singolo espositore digitale. La digitalizzazione continua a rappresentare un second best, una

L’AMMINISTRATORE DELEGATO DI PITTI IMMAGINE RAFFAELLO NAPOLEONE

Pitti Immagine ha chiuso con un buon successo la tre giorni di sfilate di Dolce&Gabbana a Firenze

MILANO MODA DONNA - BEN VENTOTTO SFILATE FISICHE CON VENTIQUATTRO EVENTI DIGITALI PUÒ CONTARE SU 15-20 MILIONI DI UTENTI UNICI

CARLO CAPASA, PRESIDENTE DI CAMERA MODA CARLO CAPASA

soluzione che sostituisce solo parzialmente lo scopo vero e ultimo delle fiere e soprattutto delle sfilate, che è il rapporto umano, lo scambio di idee, il contatto. Però, come osserva Capasa, che nella nuova piattaforma digitale della Camera, sviluppata con Accenture e Microsoft, ha investito «una somma vicina a sei zeri», grazie anche al supporto dell’Ice, «il digitale rappresenta una modalità di narrazione interessante», per chi sappia sfruttarla senza pensare di adattarvi modelli altri, fisici, o patrimonio di altri media. «Contiamo in 15-20 milioni di utenti», dice il presidente di Camera Moda della nuova edizione di Milano Moda Donna, ventotto sfilate fisiche e ventiquattro eventi digitali, incluse le due presentazioni di Giorgio Armani che, ancora una volta, ha alzato la posta in gioco, approcciando il grande tema che sottende a questo momento storico, l’inclusione, attraverso il mezzo più democratico e popolare, e cioè la televisione generalista. Se la sfilata Giorgio Armani dello scorso febbraio, la prima pre-lockdown in forma digitale, totalizzò oltre un milione di views, quelle digitali e televisive del 24 e del 26 settembre (Emporio e Giorgio Armani), diffuse su La7, sul sito del gruppo e su quello di Camera Nazionale della Moda, potrebbero facilmente quintuplicare la cifra. Capasa ha sottoscritto infatti accordi con i siti dei principali hub mediatici mondiali, dai siti del New York Times e di Asahi Shimbun alla piattaforma Tencent di Ma Huateng e Zhang Zhidong, e spera di raggiungere 15-20 milioni di utenti unici. Un numero infinitamente superiore a quello raggiungibile fino ad oggi con le sole sfilate fisiche e anche digitali. L’inclusione è anche questa. E il responso nel gradimento potrebbe dare anche utili indicazioni ai creativi. settembre 2020

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TRUMP, IL GUERRIERO DELLE “MISSIONI IMPOSSIBILI”

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Un volume di Glauco Maggi, gran conoscitore dell’America, racconta il primo quadriennio di The Donald alla Casa Bianca e invita a non darlo per battuto

e la Cina non fosse riuscita a bombardare inopinatamente di Covid anche l’America, la rielezione alla Casa Bianca sarebbe stata per Donald Trump una mission fully possible. Giocano però d’azzardo tutti coloro che la considerano oggi fully impossible: quelli che danno Joe Biden per vincente “inevitabile” il prossimo 9 novembre. Fra dem, establishment mediatico-culturale e settori del deep state washingtoniano - avverte Glauco Maggi nel suo nuovo “Il Guerriero Solitario - Trump e la Mission Impossible” (Mindedizioni, 2020) - si continua a respirare parecchio dell’affannato wishful thinking che quattro anni fa riteneva impossible l’affermazione di Trump: prima tra le fila repubblicane poi nel match decisivo con Hillary anni fa dal Premio Nobel per la Pace Barack Obama. L’AmeClinton. rica First sta ritirando i suoi eserciti e vuol ridurre la spesa Al presidente Trump nel 2020 - come è accaduto al candida- militare. E lo stesso Muro anti-migranti non è franato addosto Trump nel 2016 - i watchers mediatici d’Oltre Atlantico so al presidente (almeno politicamente, al netto dell’arresto continuano a riservare più pregiudizio che giudizio. E a sot- per frode di Steve Bannon, consigliere peraltro ripudiato da tovalutare anzitutto la forza del format “Donald solo contro tempo) Ora è la volta di Black Lives Matter come locomotitutti”, sottolinea Maggi, giornalista di lunghissimo corso, da va del Tutto-Tranne-Trump. Ma un anno fa, ricorda il libro di vent’anni negli Usa, da dove scrive per La Stampa, Libero e In- Gaggi, polls indipendenti davano un terzo della comunità afro vestire. L’ansia con cui vaste élites d’Oltre Oceano vorrebbero a favore del presidente. Poi è arrivata la pandemia e gli Staarchiviare in fretta il primo quadriennio di Trump come pre- ti Uniti sono diventati il Paese al mondo con più contagiati, sunto “errore della storia” sembra mescolarsi intanto con un più vittime, più disoccupati-Covid. Ma Maggi, non ha certo neo-fondamentalismo liberal sempre più intriso di frustra- pensato di cestinare né bozze né titolo. Ha aggiunto un paio zione antropologica piuttosto che di reale dialettica politica di capitoli di lettura-instant sugli scossoni portati anche alla con il trumpismo. Chi c’è se non il presidente in carica dietro campagna presidenziale (si è divertito tra l’altro a ricordare le sagome eccellenti di Theodore Roosevelt e Woodrow Wil- come ancora fine gennaio lo zar-Covid Anthony Fauci fosse son, abbattute dalle prime cannonate della Cancel Culture? ben poco allarmista). Ma nel libro, soprattutto, è rimasto il Chi era la vittima designata delle camracconto di un “primo triennio” nel quale pagne politically correct scatenate sui - contro tutte le profezie - la disoccupaFino al febbraio 2020 Donald Trump era il Glauco Maggi casi Weinstein ed Epstein, poi curiozione begli Usa è finita ai minimi storici e favorito – nei commenti, non nei sondaggi – perché aveva mantenuto in pieno l’impegno di samente rimbalzate in campo demoWall Street ai massimi di sempre. Sui “te“fare ancora grande l’America”, slogan che i suoi fan deldi 2016guerra” portavano sui cappellini rossi. cratico? Nel frattempo il Russiagate da atri della geoeonomia intanto, Hillary Clinton li bollò come “deplorevoli” ma furono i protagonisti della silenziosa rivoluzione spina nel fianco si è trasformato infine ildi Trump tycoon Trump è riuscito a tenere a bada contro le élite. I successi del primo sono entrati nella storia degli Usa. Dallase e senza ma” grazie in strategico Trump itriennio liberisti “senza È lo un stessosuccesso Trump dal 2016. Miliardario, per populista, minor disoccupazione di sempre per neri, ispanici, asiatici, bianchi, donne e teenager ai al Congresso. anche a un riforma fiscale pro-business, amico degli operai e All’inizio dei contadini. Adell’anno Washington èsemrecord di Wall Street. Dai milioni di posti creati nel settore industriale, abbandonato dai profeti brava un’affermazione definitiva: mentre ha combattuto colpo su colpo con contro tutti e tutto (i repubblicani,quasi i democratici, i della globalizzazione pro-Cina, ai tagli di tasse e regole per famiglie e anche imprese, che hanno media), persino contro se stesso per i troppi assieme all’eliminazione del autogol. generale la Cina (e con la Ue) a colpi di dazi. alimentato la fiducia dei consumatori e gli “The Lone Warrior!”, tweet del 29 giugno, è però spiriti animalida degli imprenditori. Soleimani, di fatto senza contraccolpi Non ultimo, una scommessa sul voto Ma l’America del primo Trump è crollata, da il grido di guerra di un presidente chee crede nella marzo, sotto Silicon i colpi mortali della pandemia. - a parole sempre denell’area mediorientale; soprattutto della Valley Il Governo ha messo in lockdown il Paese per rielezione. O il suo epitaffio. fronteggiare la crisi sanitaria e l’artefice del dopo la presentazione di un piano di mocratica - potrebbe rivelarsi più ardua miracolo economico si è trasformato nel War President, il presidente di guerra con pace in Palestina che ha registrato condel previsto. Nel trefrattempo - è una delle formidabili nemici. La recessione improvvisa che ha bruciato pennellate oltre 40 milioni di posti didel libro, la particolare sensi senza precedenti nel mondo araultime lavoro e ha gettato la Borsa nelle braccia bo. E Donald The Warrior, nei fatti, chiecabala della Casa Bianca parla a dell’“Orso”. Il “casosportiva Floyd” che ha drammaticamente riaperto la ferita del razzismo in una de la rielezione agli elettori americani favore Trump: nazione che lotta, di dalla Costituzione di 244 anniche ha incamerato l’orfa, per purgarsi del peccato dello schiavismo quando l’Isis appare ormai sconfitto, il ganizzazione e per promuovere eguaglianza della e libertà. Coppa del Mondo di E l’iconoclastia contro le statue simbolo di pianeta - alla vigilia del Covid - appariva calcio Obama, invece, aveva fallito questa travagliata2026. storia. € 18,00 Trump e la Mission Impossible Riuscirà il “guerriero solitario” (suo tweet del 29 meno attraversato da tensioni geopolinel nella sua Chicago giugno) atentativo convincere l’America chedi meritaportare il bis? tiche rispetto a quelle lasciate quattro le Olimpiadi 2016. IL GUERRIERO SOLITARIO - Trump e la Mission Impossible

Milano il 1º dicembre e politiche all’Università giornalista dal 1978 o”, “Capital”, “Gente a New York, da dove “Libero” e “Investire”. adinanza americana. libri per Sperling & qualità (1994), Oltre i 1997 al 2000), Oltre di (due edizioni, 2001 n la crisi (2013). Per mezzato (2011). Per le , uno di noi (2017, campagna del 2016).

Antonio Quaglio Laureato in Economia aziendale all’Università di Venezia, è stato inviato e caporedattore a Il Sole 24 Ore. Collabora a www.ilsussidiario.net.

Glauco Maggi -

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BIBLIOTECA

(iva inclusa)

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IL GUERRIERO SOLITARIO


EDUCAZIONE FINANZIARIA Paolo Zucca Iscritto all’Ordine dei Giornalisti dal 1979, già responsabile del supplemento de II Sole 24 Ore Plus 24. Partecipa a tutorial e iniziative contro l’eccessivo uso del contante. Twitter @pzu551

BOOM DEL RISPARMIO, MA COSÌ NON È UNA BUONA NOTIZIA

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copriremo a fine anno che il tasso di risparmio degli italiani, così come di altri Paesi europei, sarà aumentato. Che i soldi non saranno stati investiti e saranno restati inefficienti nei conti correnti o nei depositi di brevissimo termine. Troveremo conferma che la pandemia non ha fatto maturare nuovi comportamenti e che, giustificatamente, tornerà ad affiorare quella paura di fare qualsiasi cosa, anche la più semplice. Nella negatività meglio non spendere, rinviare anche gli interventi più necessari, non investire, non fare impresa. Neanche volendo si può viaggiare molto, andare al ristorante, al cinema, allo stadio. I consumi casalinghi tengono, non l’abbigliamento. Casomai qualcuno avesse avuto dubbi, la centralità del risparmio si è riaffermata (in Italia, matrice contadina, non è mai sparita ma era in ribasso) e senza quell’accumulo molti dei mesi mesi orribili 2020 sarebbe stati ancora più angoscianti. Il risparmio ai tempi della pandemia non è però una bella notizia: l’economia va in deflazione (quando si rinviano decisioni nella convinzione che farlo più tardi costerà meno), cala l’occupazione, il rinnovo degli elettrodomestici o dell’auto può attendere. Non è crollato il reddito da lavoro (almeno quello tutelato) ma i soldi della Cassa Integrazione prima o poi finiranno. È’ stata più dura risparmiare per i commercianti, professionisti, artisti, lavoratori precari, i molti senza contratto. I troppi in nero. Per ora i numeri ci dicono alcune cose. Il tasso di risparmio, in rapporto agli introiti mensili del primo trimestre, è cresciuto nell’Eurozona al 16,9% che è il massimo degli ultimi 20 anni. Nell’ultimo trimestre 2019 era del 12,7% ed è essenzialmente dovuto al calo del 4% della spesa delle famiglie. Era il primo trimestre di lockdown duro e sorprendente, i mesi successivi hanno esteso la diffusione del virus. Le famiglie italiane, impaurite a febbraio dai primi focolai, hanno bloccato le uscite e le spese sono diminuite del 6,6% con taglio ai beni durevoli e semidurevoli. Gli italiani in casa hanno guardato anche alle utenze e ai contratti vari, hanno trovato occasioni migliori per assicurazioni, provider telefonici e tutti gli abbonamenti. Palestre e viaggi bloccati e semmai il problema è stato farsi rimborsare cash i mesi non goduti. Si potrebbe dire che si è risparmiato controvoglia. La Penisola è stata leader del risparmio e nel 1995 vinse l’oro tra i Paesi Ocse con un 16% sul reddito disponibile. Nel 2008 la crisi portò a un tasso dell’8% che si è poi ridotto nei dieci anni successivi. non perché gli italiani siano consumisti , quelle “cicale” che cantano e non mettono da parte come si dice nei Paesi del Nord Europa. L’erosione è avvenuta per far fronte a un’economia debole, che

L’ALBERO DEGLI ZECCHINI D’ORO AL PARCO COLLODI VICINO LUCCA

La pandemia non ha fatto maturare nuovi comportamenti ed è tornata ad affiorare la paura di fare qualsiasi cosa non può riassorbire il debito pubblico, la demografia debole frena il ricambio fra le classi sociali. Se non c’è un’economia che corre - ed è l’insegnamento anche di questi mesi - si riesce a sopravvivere solo tagliando tutto o quasi. E non sempre perchè il 55% delle famiglie - dati Bankitalia - non sarebbe in grado di rimanere sopra la soglia di povertà qualora si interrompesse per più di tre mesi ogni forma di introito. L’Istat definisce con precisione cosa si intende per soglia di povertà(https://www.istat.it/it/dati-analisi-e-prodotti/contenuti-interattivi/soglia-di-poverta) in base ai componenti di una famiglia e al paniere di beni indispensabili. Nel mese di ottobre si svilupperanno (pur con i vincoli Covid) iniziative di educazione finanziaria per evitare di disperdere il denaro accumulato, per non cadere nelle truffe e negli errori di valutazione cui qualche volte anche la mente umana contribuisce. Bambini, ragazzi e auspicabilmente anche gli adulti verranno coinvolti in giochi, test, racconti e tutto quanto può essere utile a stabilire un corretto rapporto con il denaro, quell’attenzione che non deve scivolare in ansia o ingordigia. Tutto bene. Con una sfida in più: bisognerà avere il coraggio di dire che ogni anno - Covid permettendo - va creato “nuovo” risparmio da “nuove” attività. Tagliare e basta fa parte dell’emergenza. settembre 2020

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MALALINGUA Vittorio Borelli Giornalista di lungo corso, condirettore de Il Mondo, fondatore e direttore di East, già direttore delle relazioni esterne di Unicredito nella gestione Rondelli-Profumo

TRE UOMINI A MONTECITORIO CON JEROME K. JEROME

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perditempo sono ancora lì a chiedersi se la riduzione del numero dei parlamentari sia stata più o meno giustificata. Una cosa è sicura: se il grande Jerome K. Jerome fosse ancora tra noi ne avrebbe tratto spunto per scrivere, dopo Tre uomini in barca e Tre uomini a zonzo, Tre uomini a Montecitorio. Noi, nel nostro piccolo, abbiamo immaginato la struttura del libro in tre capitoli e un epilogo. Uno. Dove i tre neodeputati si presentano agli uscieri di Montecitorio Buongiorno, siamo i tre eletti del popolo sovrano. Siamo venuti ad aprire questo luogo come una scatola di sardine. Buongiorno onorevoli, vi aspettavamo. Vi siete portati l’apriscatole? Ma come, sta dicendo che la più importante istituzione italiana non ha un apriscatole! Lei ha ragione da vendere, caro onorevole, ma vede ne siamo sprovvisti fin dai tempi del governo Monti. Sa, quello che aveva la mania compulsiva di tagliare su tutto. Vabbè, mandate un commesso a comprare l’attrezzo. Lo faremmo, onorevole. Ma non abbiamo più commessi dai tempi del governo Letta, quando tutti se la menavano con la spending review. OK, abbiamo capito. Vorrà dire che domani chiederemo a Beppe Grillo di prestarci il suo. Intanto dateci i pass che ci spettano e una guida per non perderci in questo edificio ormai quasi deserto, costoso e inefficiente. Per la guida non ci sono problemi, in cantina ne abbiamo ancora qualcuna del 1947. I pass, invece, sono stati aboliti dall’onorevole Madia che voleva fare un figurone con il popolo di sinistra. E quindi? Come faremo a entrare nell’edificio per rappresentare le giuste aspettative dei Cittadini che ci hanno scelto democraticamente? Beh, si potrebbe fare una foto con la Polaroid comprata ai tempo dei governi Craxi-Andreotti, quando la spesa pubblica non costituiva certo un problema. Speriamo solo che funzioni perché nessuno l’ha mai utilizzata. In ogni caso, non c’è da preoccuparsi: ormai siete così pochi che ci ricordiamo di voi. Due. Dove i tre neodeputati studiano il da farsi Capo di gabinetto! Capo di gabinetto! (Silenzio). Ma come, nessuno risponde alle chiamate degli eletti del popolo sovrano? Sono la donna delle pulizie. Qui sono rimasti soltanto i gabinetti, non si vedono più capi dal governo Renzi, che li ha mandati a casa per fare il bauscia con la Merkel e con Macron. 98

settembre 2020

Lei mi sta dicendo che i deputati della Terza Repubblica non hanno più supporti istituzionali? E come le facciamo le leggi? Che ne sappiamo noi? Siamo mica del ramo secco della politica, noi! Non saprei, dottore. Per pulire gabinetti non ho mai avuto supporti istituzionali. Però, pensandoci bene, mio marito, che legge La Verità, dice sempre che con le leggi italiane ci si dovrebbe pulire il c… Può darsi che, cercando bene nei gabinetti, possiate trovare qualcosa di utile. Ma senti questa! Secondo lei il cesso è diventato l’ombelico del mondo. Finirà che dovremo rivolgerci a qualche consulente esterno. Chiederemo al Pd, che se ne intende. Tre. Dove, in un’aula vuota, i tre neodeputati presentano il Ddl del 33% Presidente, onorevoli colleghe e onorevoli colleghi... Collega, visto che qui siano soltanto voi tre e il sottoscritto, eviterei la retorica e verrei subito al punto. D’accordo, presidente. A nome delle forze genuinamente popolari del Paese proponiamo di ridurre le tasse del 33%, di ridurre l’orario di lavoro settimanale del 33% e di aumentare i salari del 33%. Caro collega, se offriste anche cappuccino e cornetto gratis sono sicuro che il 66% degli italiani approverebbe incondizionatamente! Comunque sia, se l’opposizione non si oppone, passerei al voto…. L’opposizione non si oppone perché non c’è piu? Ottimo, si voti. Epilogo. Dove i tre neodeputati annunciano una raffica di leggi extra popolari Egregio Primo Ministro, Emerito Professor Giuseppe Conte, siamo i tre neodeputati eletti nel Parlamento snellito per volontà insindacabile del popolo italiano. Visto l’enorme consenso suscitato dal Ddl del 33%, abbiamo chiesto a un pool di consulenti (pagati non dallo Stato ma dalla Cdp, che dev’essere una specie di Befana) di mettere a punto una raffica di leggi tendenti a valorizzare e promuovere socialmente i nostri giovani, le nostre donne, i nostri anziani, i nostri grassi e i nostri magri, i nostri alti e i nostri bassi. Il conto andrà naturalmente presentato all’UE, a Beuxelles, palazzo Berlaymont. Le nuove leggi verranno successivamente sottoposte alla verifica popolare con appositi referendum confermativi, come per il taglio dei parlamentari. Confidiamo all’uopo (non sappiamo cosa significhi, ma suona bene) nelle Sue inimitabili capacità di dar vita ad alleanze super partes, trasversali, bipartisan e transpartisan. Con effetto…(o affetto…boh) i Suoi Tizio, Caio e Sempronio.



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