Che cos’è il Crowdlab? Il Crowdlab è un metodo appositamente “brevettato” da Sociolab per rivoluzionare l’assetto di un convegno tradizionale, integrando in una dinamica fluida e interattiva il momento di ispirazione fornito da esperti al coinvolgimento attivo dei partecipanti. I tre esperti hanno offerto una prospettiva di ispirazione al confronto sui tre argomenti emersi con maggior forza dal percorso: gli spazi e la loro organizzazione, le politiche culturali, l’architettura dell’informazione. Ogni intervento ispiratore è stato seguito da un momento di confronto tra i partecipanti che, divisi in piccoli gruppi, hanno potuto formulare domande condivise da sottoporre al relatore. Tre sessioni di presentazione, discussione, domande e risposte – scandite in tempi certi contaminarsi
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per conoscere buone pratiche,
e disegnare insieme proposte sul futuro delle
biblioteche di pubblica lettura.
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Sandro Fallani SINDACO DI SCANDICCI
Buongiorno e grazie a tutti per la vostra partecipazione! Quando si parla di biblioteche e di Scandicci, mi ricordo del lavoro realizzato per la mia città quando da giovane studente l’elemento fondamentale di identità locale fu quello di richiedere, da parte di tutte le forze politiche alle loro forze parlamentari, una donazione di libri alla biblioteca civica. Da allora la biblioteca si è modificata ed ha anticipato il cambiamento della città stessa.
Andare in biblioteca negli anni ‘60-‘70 significava andare nel centro della città, dove c’era “la vita”: la coesione sociale e la radice culturale principale, che oggi abbiamo, provengono dalla biblioteca e per questo ne vorrei sottolineare l’importanza come luogo fisico e di scambio. Da molti anni a questa parte la biblioteca ha assunto un ruolo chiave nel nostro quotidiano, grazie anche al cambiamento della sede e all’opportunità di ospitare molte attività che creano il “cemento” culturale della nostra città: accanto a questo concetto è nata l’idea che la “gioventù” della biblioteca potesse significare innovazione per la città. Ancora non mi stanco di pensare che grazie alla biblioteca possiamo costruire l’idea di un nuovo centro della città, con il servizio della tramvia e i servizi culturali ma, soprattutto, un progetto che ha nei suoi tratti fondamentali l’idea dell’innovazione urbanistica. Molte sono le idee sul futuro della biblioteca ma mi riservo di attendere le vostre riflessioni al riguardo. Ho avuto modo di scambiare opinioni e obiettivi con la Cooperativa EDA Servizi e vorrei qui citare soltanto un’occasione di buona pratica culturale attivata insieme nella nostra città: Il Libro della vita, un percorso portato avanti in questi ultimi tre anni, durante il quale ogni domenica mattina cinquecento persone si ritrovano in questo luogo, da novembre ad aprile, per ascoltare personalità di successo - che si sono distinte in vari ambiti della vita economica e culturale nazionale - che vengono a raccontare il libro che ha cambiato loro la vita. La Regione Toscana ha portato questa iniziativa di promozione alla lettura, perché di questo si tratta, come manifesto per il Salone del Libro di Torino. E allora, a mio parere, l’analisi che dobbiamo fare è che attraverso la lettura, la letteratura e lo scambio autentico, possiamo trasformare la vita delle comunità: con le persone prima di tutto, prima dei muri, prima dei servizi, prima delle strade. E la loro trasformazione è stare insieme e farlo con uno scambio culturale autentico. Questa credo sia l’ambizione più bella che oggi nel vostro lavoro quotidiano potete trasmettere agli altri: buon lavoro, buona giornata e buona biblioteca!
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Irene Padovani ASSESSORE ALLA CULTURA DEL COMUNE DI CALENZANO Grazie e buongiorno a tutti. Innanzitutto ci sono i ringraziamenti da fare a chi ci ha dato l’opportunità di essere qui insieme ad altre due biblioteche importantissime dell’Area metropolitana di Firenze, quindi grazie al Consorzio Co&So, alla Cooperativa EDA Servizi e a Sociolab. “Cosa dico quando dico biblioteca?” è una bellissima domanda da cui partire. “Quando dico biblioteca” dico luogo della cultura a 360° e noi, a Calenzano, abbiamo la fortuna di avere una biblioteca nuova, progettata proprio come luogo di cultura e questo ci dà forse uno slancio o un passo avanti in più rispetto ad altre strutture del territorio, perché la nostra biblioteca è stata pensata proprio come luogo di scambio culturale. “Quando dico biblioteca” a Calenzano, infatti, dico sinergia e
collaborazione con le realtà del territorio, culturali ma non solo: il tentativo di portare la cultura dentro la biblioteca e la biblioteca dentro la cultura ma anche anche di portare quello che sta “fuori” dalle stanze tradizionali della cultura, in una rete rete tra le varie associazioni. Per questo, parlo di un luogo in cui si prendono in prestito libri e si studia; dove si legge ma anche dove si fanno eventi e ci si incontra; dove c’è scambio e si conoscono persone, si trova uno spazio aperto e si sta a proprio agio a passare del tempo. Tutto questo dovrebbe essere quello che si immagina, partendo dalla nostra piccola esperienza e guardando sempre più avanti. A tutto ciò, chiaramente, l’Amministrazione e la politica devono credere, perché offrire determinati servizi deve essere alla base delle nostre comunità. Il video che abbiamo appena visto è stato realizzato nella nostra biblioteca CiviCa, ne siamo molto orgogliosi e troveremo il modo di farlo girare e diffonderlo il più possibile, perché con ironia passa messaggi molto importanti riguardo a quello che è la cultura in questo momento: trovare nei nostri territori servizi gratuiti non è banale! In un Comune medio-piccolo, come il nostro, questi sono punti fermi ma il libero accesso alla cultura in tutti i suoi generi non si deve mai dare per scontato. Continuare su questa strada deve essere il punto di partenza delle Amministrazioni, perché è poi la politica che stabilisce come certi servizi devono essere portati avanti. Ho letto i report fatti all’interno della nostra biblioteca che hanno coinvolto tante realtà e da cui emergono spunti interessanti: aprirsi e chiedere cosa pensano le persone delle nostre biblioteche è un fatto estremamente importante, perché spesso crediamo di fare un buon lavoro ma c’è sempre modo di migliorare. Concludo dicendo, con una punta di orgoglio, che quando diciamo biblioteca, in questo momento a Calenzano, noi diciamo CiviCa, perché guarda un po’ al futuro e a quello che deve essere uno spazio culturale che raccoglie tanti servizi. Sono contenta di essere qui, perché ho voglia ancora di capire tante cose per poi metterle al servizio della comunità. Quindi buona mattinata di lavoro e grazie ancora!
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Tommaso Sacchi RESPONSABILE DELLA SEGRETERIA CULTURA DEL COMUNE DI FIRENZE Buongiorno a tutti, vi porto innanzitutto i saluti del Sindaco di Firenze, Dario Nardella. Per me è davvero una bellissima occasione poter essere qui e ringrazio per questo il Consorzio Co&So, la Cooperativa EDA Servizi e Sociolab. È una bellissima occasione anche per visitare un centro civico come il Nuovo Centro Rogers e non nascondo l’emozione di entrare in uno spazio così bello, attuale, contemporaneo e ben progettato: un luogo polifunzionale che trovo giusto sia animato da dibattiti di questo livello. Le biblioteche sono i polmoni culturali delle nostre città: insieme al Sindaco e all’Amministrazione tutta, mi confronto spesso su questo tema e ci ricordiamo di quanto sia importante parlare di biblioteche oggi e attivare e lavorare su dinamiche di grande valorizzazione di questi centri civici.
Le biblioteche sono fondamentalmente i nostri presidi culturali diffusi; spesso, a torto, si pensa alle biblioteche come strutture polverose ma non è così! Oggi le biblioteche sono un’altra cosa e dobbiamo dirlo e ripeterlo, portando ad esempio casi studio interessanti che oggi avrete modo di vedere e analizzare in queste tre tematiche di sviluppo di lavoro che credo siano la sintesi su cui oggi è opportuno dibattere. Che cos’è una biblioteca è una domanda difficile ma credo veramente che le biblioteche debbano essere considerate come presidi culturali all’interno della nostra città. In questo contesto, il Sindaco mi ricordava e raccontava come di fatto le biblioteche fiorentine sono davvero un cardine e un certezza culturale su cui basare progettualità future anche rispetto a quelli che sono i temi della contemporaneità: la letteratura, l’arte, la teatralità, la performance. Noi usiamo le biblioteche in questo senso, come luoghi di racconto della cultura, come luoghi civici con orari molto estesi. In proposito, vorrei ricordare un fiore all’occhiello del sistema bibliotecario fiorentino che è la biblioteca delle Oblate, della quale cadono in questi giorni le celebrazioni dei 10 anni. Qualche settimana fa ero intervistato su una radio locale e mi è stato chiesto quali sono, per un milanese come me, i luoghi fiorentini più belli che hanno riempito lo sguardo e la mente: ho risposto le Oblate per la grande emozione di entrare, di vivere e di vedere quel posto. Inaugurare una biblioteca credo sia uno dei momenti più straordinari per chi ci lavora, come tanti di voi, ma anche per chi le frequenta e vi trova una sorta di riparo culturale e civico, aperto tutti i giorni dell’anno. Credo che rispondere alla domanda “cosa dico quando dico biblioteca?” debba anche voler dire interpretare la cultura dell’oggi a 360°. I musei molto spesso si occupano di memoria visiva, i teatri della teatralità performativa, i cinema di programmazione legata all’arte cinematografica: le biblioteche a me piace, invece, immaginarle come luogo dove tutto queste arti sono possibili. Il mio punto di vista - e credo di interpretare anche quello del Comune di Firenze è un punto di vista con sguardo complessivo su arti e cultura, in cui le biblioteche fungono da scrigno che tutela le varie forme di arte di una comunità. Grazie e buona discussione!
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Lorenzo Terzani PRESIDENTE CONSORZIO CO&SO
Buongiorno e grazie per la vostra presenza oggi! Co&So è un’impresa sociale composta tante imprese e ognuna lavora in un settore diverso: questa per noi è stata una scelta fondamentale, mettendo al centro il tema dell’integrazione anche quando si parla di cultura. Del resto, la biblioteca di oggi non è più un luogo austero ed elitario ma luogo di incontro in cui convivono generazioni, tematiche ed esperienze di vita diverse: un luogo in cui si fa cultura e integrazione e questo è proprio lo specchio del nostro modo di essere impresa sociale. Noi lavoriamo in svariati settori del welfare, cercando di qualificare i nostri percorsi attraverso attività di ricerca e lavorando sulle competenze delle persone. Il lavoro che la Cooperativa EDA Servizi e il Consorzio Co&So hanno fatto è mirato a capire meglio qual è il ruolo della biblioteca oggi. Come impresa sociale, noi siamo cresciuti nella gestione del servizio, iniziando con le Oblate di Firenze, e ci siamo costruiti un’esperienza che inizialmente non ci aspettavamo ma che poi abbiamo capito avere grandi potenzialità di crescita: così ci siamo adeguati con progetti ed esperienze formative sempre a fianco delle Pubbliche Amministrazioni, per qualificare e rendere sempre migliore l’offerta e per dare servizi alla città a tutto tondo. L’iniziativa di oggi rientra proprio in questa logica: costruire insieme risposte più adeguate, per far fronte alla complessità che oggi la biblioteca rappresenta, perché è diventata un punto di incontro del territorio e, quindi, necessita di una prospettiva importante per qualificare un senso di cittadinanza e di appartenenza. Spero che oggi possano emergere nuovi stimoli per il progetto e per questo vi auguro buon lavoro!
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Francesca Caderni PRESIDENTE COOPERATIVA EDA SERVIZI
Buongiorno a tutti e a tutte. Vorrei fare solo una breve riflessione sul perché di questo percorso, sottolineando la ragione per cui un soggetto privato come EDA Servizi, all’interno del Consorzio Co&So, ha scelto di mettere in piedi un progetto così articolato come quello che ci ha portati qui oggi. Tutto è nato da una domanda di senso che ci sentivamo di doverci porre e che, nonostante i dati sulle biblioteche in generale siano positivi, ritenevamo importante: appunto, di cosa parliamo quando parliamo di biblioteca? Questa domanda ce la siamo posta inizialmente in sede più interna, nei nostri incontri di cooperativa e con il Consorzio Co&So, e poi abbiamo sentito il bisogno di aprirla verso l’esterno, perché fondamentalmente, attraverso il nostro essere presente quotidianamente nei servizi, ci rendiamo conto che è sempre più necessario avere dei riferimenti comuni. Leggendo i report dei focus group, realizzati durante il percorso nelle tre biblioteche prese in esame come focus case, mi ha colpito il fatto che anche da altre realtà - associazioni culturali ma anche singoli cittadini - è emersa chiara la richiesta di una cornice comune ed è un’immagine che rende molto bene l’idea rispetto alla necessità che abbiamo tutti quanti di avere un quadro di riferimento condiviso e una visione comune che ci aiuti tutti a lavorare nella stessa direzione. Spero che anche la giornata di oggi ci aiuti a mettere a fuoco questa cornice e il quadro di riferimento di cui stiamo parlando. Credo che le biblioteche oggi stiano raccogliendo già nuove sfide e, quindi, anche se i numeri ci confortano, non dobbiamo assolutamente smettere di riflettere. Grazie per la vostra partecipazione e buon lavoro!
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Chi sono i nostri tre esperti... Nome: Raffaella Magnano Professione: Architetto Da dove viene: Torino Cosa porta: la sua pluriennale esperienza all’interno dei musei, delle biblioteche e delle archivi piemontesi. Con lo studio professionale AreA - fondato a Torino nel 1995 con gli architetti Gazzera e Racca - si è occupata di progettazione architettonica e pianificazione territoriale, temi che sono stati al centro delle prime fasi del percorso “Quando dico biblioteca”. Nome: Sergio Conti Professione: Storico e biblioteconomo, è stato Direttore Settore Cultura, Beni Culturali e Università Provincia di Monza Da dove viene: Monza Cosa porta: con la sua esperienza in ambito di biblioteche e sistemi bibliotecari, Sergio Conti è stato protagonista della progettazione e gestione di un innovativo modello organizzativo dei servizi bibliotecari e dei servizi di secondo livello per le biblioteche. Ha predisposto studi inerenti all’organizzazione bibliotecaria urbana, è stato direttore della Biblioteca Civica di Lissone (MI) e poi dirigente alla Cultura nello stesso comune e a Brugherio (MI). Nel 2011 ha curato la nascita del Multiplo, Centro di Cultura del Comune di Cavriago. Nome: Andrea Zanni Professione: Bibliotecario Digitale Da dove viene: Modena Cosa porta: la sua esperienza come Presidente di Wikimedia Italia, amministratore di Wikisource, bibliotecario digitale a OpenMLOL. Andrea Zanni lavora nell’ambito dell’Open Access per l’Università di Bologna. Chiama legittimamente tutto quello che fa "costruire accesso alla conoscenza". L’Open Access è l’inizio della nascita della “biblioteca digitale”, estende il mondo della ricerca al di là della comunità scientifica. Digitalizzare libri antichi, articoli in libero accesso che possono essere letti da chiunque, cataloghi digitalizzati, suggerimenti...
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Sintesi dell’intervento di RAFFAELLA MAGNANO, architetto specializzato in biblioteche e musei
Questa esperienza che avete fatto e presentato per me è straordinaria! Mi consente, di fatto, di tagliare metà del mio intervento, che è quella in cui io tutte le volte che affronto il progetto di una biblioteca devo sostenere con un referente quasi sempre unico: un amministratore pubblico, un sindaco, un assessore o un dirigente di un servizio, che molto spesso poco sa del servizio che viene svolto all'interno della propria biblioteca. Progettare una biblioteca è un processo creativo straordinariamente complesso per noi architetti, che dobbiamo dare una risposta con gli spazi che progettiamo sia alle richieste degli utenti sia di coloro che svolgono il servizio all'interno di questi spazi. Se noi potessimo sempre arrivare dopo un percorso come quello che avete realizzato, la corrispondenza sarebbe molto più grande. Ho avuto esperienze di lavoro su diverse biblioteche: progettazione di spazi nuovi ma anche recupero di spazi esistenti, perché l'Italia ha un patrimonio storico e architettonico che se non viene riconvertito ad uso pubblico viene disperso e lasciato nel degrado. Spesso succede che le Amministrazioni, quando si trovano un edificio pubblico, specie in una zona centrale, qualsiasi sia stata la precedente destinazione pensano di farne una biblioteca e questo non sempre rende facile la progettazione e la gestione dei servizi, perché sono spazi già costituiti: una ex scuola non è di solito lo spazio adatto per ospitare una biblioteca ma riuscire a organizzare gli spazi in maniera differente può portare a un successo. La biblioteca di Scandicci, ad esempio, era una scuola, organizzata per essere composta da corridoi e aule e questo non è lo spazio che maggiormente soddisfa i requisiti di una biblioteca anche se chi se ne è occupato ha avuto un occhio di riguardo nei confronti dell'accesso: spostare l'ingresso nell’area che ospitava la palestra e quindi entrare in uno spazio, grande, aperto e accogliente, è sicuramente una validissima alternativa a quello dell'atrio; oltre al fatto che i corridoi sono stati trasformati da spazi distributivi a spazi utili.
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Ci sono quindi alcuni elementi fondamentali da valutare e sono i vincoli attivati dal contesto locale che offrono elementi al progettista per poter mettere in atto un’attività creativa che trasforma in spazi un'identità, un modello e in seguito la gestione, la valutazione e lo sviluppo. Il riferimento è qui all'analisi di Vivarelli sulla percezione sociale ma con il vostro percorso avete fatto più: avete interpretato le necessità di una comunità in modo articolato. Un altro importante elemento da prendere in considerazione nella costruzione di una biblioteca è il rapporto con i bibliotecari: si condivide con loro per anni un processo estremamente interessante, quello della riqualificazione degli spazi. Del resto, la realizzazione di una biblioteca è un processo che può durare anche 11 anni: non a caso tra i miei più cari amici ci sono bibliotecari! Voglio mostrarvi ora la biblioteca di Rosignano Marittimo, che abbiamo inaugurato 4 anni fa, e che è una biblioteca particolare che ci ha dato la possibilità di connotare lo spazio con finalità educative non solo perché è uno spazio pubblico dedicato alla cultura ma perché è un edificio efficiente da un punto di vista energetico, perché è stato progettato con una struttura portante in legno e con i tamponamenti in balle di paglia e questo significa che sfrutta meglio le condizioni microclimatiche. Purtroppo, un'operazione comunicativa che non abbiamo in nessuno modo governato ha fatto sì che questa biblioteca si chiamasse "Centro culturale le creste" e questo non ha reso giustizia a una biblioteca che insegna anche l'uso consapevole delle risorse. Si tratta come dicevo di una biblioteca con un tetto verde, attraversata da una strada coperta. Prima di partecipare al concorso siamo stati una giornata intera
seduti su una panchina in mezzo a questo spazio vuoto e il pubblico usciva dal sottopasso della ferrovia, che divide in due Rosignano, attraversava il lotto in senso diagonale e nessuno usava la strada che lo circondava: a un anno dall'inaugurazione i dati davano un 400% di visite ed è stato per noi un ottimo risultato. Un altro intervento significativo che abbiamo realizzato è a Chivasso: una biblioteca che sta sui binari, molto contemporanea da una parte e dall'altra “cieca”, perché fosse più silenziosa, decorata con una grande citazione di Calvino, per attirare l’attenzione e incurisire chi passava in treno mentre il cantiere era ancora in corso. Abbiamo usato l’incipit di "Se una notte d’inverno un viaggiatore": ho chiesto ai bibliotecari se qualcuno avesse chiesto il perché di quelle scritte ma nessuno ha mai chiesto niente e non abbiamo mai capito se tutti conoscessero fin troppo bene Calvino o se questa idea comunicativa fosse stata completamente vanificata! Poi c’è la biblioteca 0-18 di Cuneo, inaugurata 15 giorni fa, che aveva dei vincoli enormi perché all’interno di un ex ospedale del ‘700 di cui la biblioteca occupa attualmente quasi la metà dello spazio e dove abbiamo rotto i paradigmi degli spazi interni. Ho preso in prestito dal professor Vivarelli una serie di riflessioni che dobbiamo avere alla base del nostro lavoro. Non vi si dirà come deve essere lo spazio di una biblioteca, perché non c'è una regola: bisogna partire da una base e insieme costruire lo spazio, tenendo conto che magari abbiamo già un involucro o un contesto urbanistico e considerando anche che la normativa tecnica da rispettare è molto restrittiva per certi aspetti (antincendio, sicurezza). Una biblioteca è un edificio che deve cercare di vivere per 24 ore e nelle 24 ore deve sapersi adeguare alle diverse necessità dei propri utenti.
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Io non sono d'accordo con chi dice che le biblioteche devono essere spazi flessibili: devono essere flessibili fino a un certo punto e non devono essere flessibili, come ad esempio si è fatto per anni, mettendo gli scaffali sulle ruote. Una biblioteca flessibile è quella che si adatta alle esigenze dei propri utenti ma non prima di conoscerle.
Per chiudere vi dico: partiamo da quello che voi avete fatto e arriviamo a questi esempi: gli spazi devono essere affrontati contemporaneamente da progettisti e pubblico (utenza e gestori) per ottenere un risultato che sia il migliore possibile. Vi ringrazio, perché questa è stata una giornata molto bella per me!
Ho individuato delle parole chiave, che emergono anche dal vostro lavoro e che vorrei ripercorrere con voi: collezioni e memoria; spazio per le culture digitali; spazi performativi (poter diventare un produttore culturale, partendo dalla base del patrimonio della biblioteca); socialità e partecipazione ma, soprattutto, benessere (fisico ma anche psicologico) sono tutti termini che parlano di biblioteca e che dovremmo avere sempre come obiettivo. Uno strumento di lavoro è il volume "Lo spazio della biblioteca", a cui abbiamo collaborato con il mio studio, curato da Maurizio Vivarelli e che, contrariamente ai manuali di progettazione classici, non vuole dare risposte ma aiutare a porre delle domande: quindi, offre strumenti per capire come deve essere fatta una zona di ingresso, quali sono le caratteristiche che la rendono migliore ma senza dire “fatela così!” ma piuttosto “parliamone: voi ci dite quali sono le vostre esigenze di servizio, cosa volete che la vostra utenza trovi e su questo ragioniamo!”. Ci sono esempi positivi non solo all’estero ma anche in Italia, sicuramente la San Giorgio di Pistoia, che festeggia in questi giorni i 10 anni di apertura e che, così come Sala Borsa, è una biblioteca realizzata in uno spazio di recupero: era una fabbrica e si tratta di un ottimo intervento di recupero, molto interessante. Ce ne sono molti altri, perché, per quanto la situazione non sia così rosea, ci sono spesso gare per la progettazione di biblioteca.
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DOMANDA E RISPOSTA A Raffaella Magnano: Come il progettista secondo lei deve interagire con coloro che lavorano in biblioteca? Non si può non interagire. Le biblioteche a volte capita che siano mal progettate perchè alcuni architetti tendono a progettarsi il loro monumento (Archistar). Il processo creativo deve essere un processo sempre condiviso ed è assolutamente indispensabile. Purtroppo non sempre il bibliotecario è il nostro referente, chi lavora in biblioteca viene coinvolto all’ultimo momento. Le esigenze delle comunità evolvono: che “scadenza” ha un progetto di spazi e come e quando intervenire sugli spazi esistenti? Per la progettazione della biblioteca di Chivasso, per esempio, le prime riunioni le abbiamo fatte nel 2003 e l’inaugurazione nel 2012, in tutto questo lasso di tempo abbiamo dovuto parlare con troppe figure politiche, ognuno aveva la sua opinione da dire e i tempi si sono allungati. Per fortuna chi si occupava della biblioteca erano gli stessi. La scadenza sta nel fatto che, a volte, sugli arredi si vada su elementi molto legati al loro tempo. Ad esempio, visitando la biblioteca di Scandicci si ha subito l’idea dei fine anni ‘90. Spesso gli spazi sono quelli. A mio parere bisognerebbe cercare di pensare sempre qualcosa che sia troppo avanti ed avere un processo creativo sempre molto libero. Come può lo spazio favorire la comunicazione dei servizi nella loro varietà e carattere innovativo senza essere solo un contenitore? Se questo è il risultato, significa che c’è stato un errore prima: nella progettazione non si è capito qual è la vera identità che la biblioteca deve avere, non sappiamo qual è la memoria che deve trasmettere attraverso il suo patrimonio. Ci deve essere un forte senso dei contenuti offerti. Lo spazio deve essere interpretabile dall’utente, nei limiti della civiltà e delle regole. Uno spazio “bello” e “comunicativo”, viene rispettato tantissimo. Ci siano sempre luoghi in cui ci si riconosca!
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Quali sono gli elementi utili a valutare se sia meglio costruire biblioteche ex-novo oppure riutilizzare spazi già esistenti? Dipende da chi progetta. Importante è che le biblioteche siano ben inserite nel tessuto urbano che le circonda, spesso non ci sono vuoti urbani da riempire in parti di città molto vissute e quindi si utilizzano edifici già esistenti, come gli spazi industriali, o spazi da interpretare, come gli ospedali…) Come possono essere pensati nelle biblioteche: spazi per servizi informativi di comunità (es.urp) e spazi per stare liberamente? Ci sono esempi di successo su questo? Informazioni di comunità ci sono, ad esempio la biblioteca di Rosignano ha unito diversi servizi (caffetteria, ludoteca, informagiovani...). Qui, inoltre, abbiamo cercato di integrare alcuni spazi ludoteca con spazi per bambini in biblioteca, purtroppo però abbiamo sempre limiti politici (uno gestito dalla cultura, l’altro dalla scuola) che frenano certi processi. Come può lo spazio della biblioteca essere flessibile nell’offrire servizi e nell’incontro di diverse utenze e generazioni? Non so se deve essere così flessibile: bisogna che ognuno abbia uno spazio in cui star bene. Sono convinta che gli anziani con i giovani adulti è meglio che non ci stiano, avendo un diverso modo di fruire la biblioteca.
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Sintesi dell’intervento di SERGIO CONTI, esperto del settore beni comuni e biblioteche
È imbarazzante trattare un tema così complesso in un quarto d'ora ma questo è un format stimolante e, visto che la cosa importante è che sia utile per voi, spero di darvi degli spunti che saranno per forza di cosa schematici, veloci e non completi ma che auspico vi aiutino a focalizzare bene la questione e a porre delle domande. Porre delle domande è, infatti, la cosa fondamentale, perché una delle questioni con cui ci confrontiamo spesso è che ci siamo posti la domanda sbagliata: porsi la domanda giusta è già un buon passo, dopodiché le risposte giuste arriveranno. Rispetto al mio tema di approfondimento, la situazione oggi è piuttosto complicata. Escludo in questa fase di poter dare delle definizioni di biblioteca; nel senso che 20-30 anni fa ci azzardavamo ma oggi la situazione è talmente in divenire e le cose cambiano così in fretta che dare delle definizioni diventa un'esercitazione accademica, che non ci aiuta a lavorare bene nelle biblioteche e a costruire le biblioteche che servono per i nostri cittadini. Possiamo trovare elementi per definire una nuova biblioteca ma alla quale non possiamo dare un nome oggi. La biblioteca è a una svolta epocale, perché anche solo 10 anni fa quando gli smartphone erano poca roba e l'informazione passava attraverso altri canali, le biblioteche avevano un ruolo ben diverso. Oggi la società sta cambiando in maniera rapidissima ma quello che spiazza in modo significativo le biblioteche è la dematerializzazione delle informazioni e dei documenti: una volta c'erano libri, cd, dvd; oggi ci sono ancora ma ci sono anche dei sostituti che sono i documenti elettronici, che stanno in rete e che girano dappertutto.
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Ci sono dei cambiamenti che non possono che avere degli impatti fortissimi sulla biblioteca: dico dematerializzazione e, quindi, sviluppo della rete e del web e accesso all'informazione, alla circolazione dell'informazione ma anche le relazioni tra le persone passano da canali diversi da quelli di prima. La biblioteca attualmente si trova un po' scossa e non potrà più essere come è stata fino ad adesso, dobbiamo, quindi, parlare di altro. Ma di cosa parliamo allora? Qualcuno si azzarda a dire che il libro è morto e quindi anche le biblioteche. La morte del libro era stata proclamata anche verso gli anni '80 con la cultura dell'immagine; invece, la produzione di titoli oggi è maggiore rispetto a quella di 10 anni fa; quindi vuol dire che c'è una vitalità di questo strumento che non ha più però l’esclusiva, soprattutto per quanto riguarda il libro materiale di carta, e questo crea dei problemi per le biblioteche. Il libro, però, ha ancora un ruolo importante e quindi anche le biblioteche lo mantengono. Qualcuno pensa che in una fase di crisi come questa le biblioteche possano mettersi a fare altro: iniziative, convegni, concerti, centro culturale, centro sociale... ma è un errore che è già stato fatto nel passato. Io sono lombardo e ho vissuto tutta l'evoluzione delle biblioteche dagli anni '70, quando negli anni 80 si diceva per evitare che fossero “stanze con degli scaffali” che erano “centri culturali” e quindi bisognava fare cultura, produrre cultura ma non era altro che un modo per dire "siamo una biblioteca ma non abbiamo le strutture e i servizi per fare informazione, documentazione e letture e, quindi, diciamo che siamo una biblioteca che fa il centro culturale”. Massimo Belotti l'aveva definita allora in "Una stanza non è una biblioteca: uno sviluppo per vie esterne della biblioteca" ma in realtà era un deragliamento. Oggi qualcuno tenta ancora di deragliare. Io, però, ho il pragmatismo nel sangue, per cui cerco di lavorare sui presupposti:
se non ci sono gli elementi organizzativi e gestionali è importante lavorare su quelli, piuttosto che prendere delle vie di fuga. Vengo da una realtà dove i servizi di informazione e di lettura sono un servizio consolidato e in quel tipo di contesto le biblioteche fanno anche altre cose ma le iniziative vengono realizzate sapendo che la parte bibliografica, informativa, di costruzione della documentazione, di proposte di lettura e di conquista di nuovi utenti è cosa acquisita. Così, ci si può porre il tema di come fare di più e meglio. Però se questa parte diventa preponderante, forse è una deviazione e non una strada di sviluppo. Le biblioteche sono nate per contenere libri, raccoglierli, conservarli e poterli trasmettere in seguito. L'attenzione era sul libro: non a caso, in alcune biblioteche i libri era incatenati al leggio. Anche le nostre biblioteche pubbliche per tanti anni sono state orientate sul libro e, quindi, hanno organizzato i loro spazi per fare in modo che i libri stessero bene: conservati, raccolti, gelosamente conservati e, quindi, “non ve ne presto più di due”. Già negli anni '80, però, le biblioteche di pubblica lettura hanno capito che l'attenzione doveva essere al servizio: avere tanti bei libri, ben descritti e ben conservati ma che non utilizzava nessuno non serviva a niente! Il tema era far utilizzare questi libri e l'attenzione si è spostata sul servizio: gli spazi hanno preso la conformazione che consentiva non solo di contenere libri ma anche di erogare dei servizi. Poi c'è stata la scoperta della qualità dei servizi e si è scoperto che forse bisognava guardare in faccia gli utenti e, di conseguenza, si è realizzato un ulteriore passaggio di attenzione all'utenza, per la costruzione dei servizi su misura. Si sono fatti passi importanti: gli spazi hanno cambiato di nuovo aspetto, per contenere non solo l'organizzazione di servizi ma persone che dovevano essere felici di ricevere quel servizio e sentirsi a loro agio.
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Poi, però, si è scoperto che i cittadini che varcano la soglia della biblioteca e accedono a quei servizi, forse, erano il 10% della popolazione residente e sto parlando di un dato ottimistico per l'Italia complessiva, valutato sul servizio di prestito, che è quello più facilmente misurabile e che ci consente di identificare il cittadino che lo utilizza. Se dobbiamo passare a considerare non quelli che entrano in biblioteca ma tutti i cittadini della comunità locale, la questione si fa più complessa. La biblioteca pubblica è per sua natura per tutti e spesso i bibliotecari si riempiono la bocca: "la porta è aperta, non chiediamo la carta di identità, siamo gratuiti"... sì, però, se io non organizzo le cose in modo tale che tutti possano sentirsi a proprio agio e possano avere dei servizi che li interessano, è ovvio che alla fine dei conti non sono un servizio per tutti ma solo per quel 10%! Se dal punto di vista del principio la biblioteca è un servizio di tutti, il tema vero di oggi è di diventare realmente una biblioteca per tutta la comunità locale. Questo è il punto, perché l'attenzione deve spostarsi sul focus e sul criterio direttivo: la comunità locale. Oggi non esiste un modello di biblioteca, non esiste una biblioteca che va bene per tutti e che posso costruire qui e a 100 km da qui: esiste una biblioteca per questa comunità locale, costruita su misura sui suoi bisogni di formazione e lettura, sulle propensioni degli utenti e di tutti i portatori di interesse che hanno cose da dire, da proporre e da chiedere. Fatta questa affermazione, va tradotta in elementi gestionali: quanti di voi fanno il profilo di comunità? Intendo non solo quanti sanno quanti abitanti ha la loro città, ma come sono divisi per fasce di età, per titolo di studio, per posizione professionale: queste sono informazioni banali che si trovano nei censimenti Istat ma che cominciano a darci un'idea di con chi abbiamo a che fare, per dare risposte anche a chi non ha mai espresso una domanda.
Uno dei problemi veri del lavoro del bibliotecario è che se andiamo a fare un'indagine sui bisogni della gente, la gente dice quello che è scontato, quello che già c'è: non chiede la luna, perché sa che non può averla, dice quello che già c'è e non aiuta a migliorare il servizio. Faccio un esempio banale: quando Farinetti si è preso la briga di inventare Eataly, non si è inventato niente ma ha avuto l'intuizione di mettere insieme il vendere pasta e vino con un'idea forte per un certo pubblico, con un posizionamento nella comunità tale da essere riconosciuto, apprezzato e ricercato. A quel punto sarà la biblioteca a proporre servizi: un atteggiamento, un orario di apertura, il tipo di informazioni e di relazioni tra le persone che possano far sì che sempre più persone si sentano a casa loro in quel luogo. Se noi diciamo che siamo “la biblioteca per tutti” ma abbiamo una biblioteca - per mille motivi oggettivi, subiti passivamente o voluti attivamente - piena di studenti, possiamo raccontarcela ma una biblioteca occupata militarmente da studenti che studiano in silenzio, perché hanno bisogno di fare gli esami e appena qualcuno dice qualcosa lo zittiscono, non sarà mai una biblioteca per tutti ma sarà una biblioteca per studenti universitari e delle scuole medie superiori che, normalmente, in città come le nostre sono l'8-7% della popolazione e che vengono a utilizzare spazi organizzati per servizi culturali, a occupare un tavolo illuminato e un posto riscaldato e fine! Quindi, noi diamo servizi a chi ha bisogno di un tavolo illuminato e di un posto riscaldato con una macchina da guerra di informazione e questa utenza caccia via le altre; così come in un'emeroteca vicina a una sezione ragazzi, dove passano orde vocianti, dove un anziano che vuole leggere il giornale si sente a disagio e dirà "vado al bar che forse è meglio!". Occorre avere attenzione ai bisogni della comunità locale e trovare strumenti organizzativi, di impostazione del servizio e di consapevolezza di come funzionano le cose per poter organizzare servizi veramente corrispondenti agli obiettivi che abbiamo.
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Secondo me due cose fanno la differenza: se vogliamo gestire un servizio, dobbiamo sapere cosa stiamo facendo e se non raccogliamo dati su input e output della nostra gestione non sapremo mai cosa sta succedendo. Ci sono biblioteche che lavorano e non sanno che indice di impatto hanno sulla loro popolazione: sanno quanti prestiti hanno fatto quest'anno ma non l’evoluzione dei prestiti negli ultimi 10 anni; non hanno mai fatto serie storiche e non sanno se stanno diminuendo o crescendo, se le casalinghe o gli studenti leggono di più. Occorre che costruiamo un cruscotto anche abbastanza articolato per capire come stanno andando i servizi, avere serie storiche di dati per monitorarli e poter intervenire. Se abbiamo l'obiettivo di conquistare tutta la comunità locale, non possiamo dire “ho questo obiettivo ma non so assolutamente come sta andando”: dobbiamo sapere mese per mese, anno per anno, se stiamo proseguendo in quella direzione. Un'altra cosa è che non dobbiamo avere paura del cambiamento: il mondo intorno a noi sta cambiando a una velocità stratosferica e le biblioteche e i bibliotecari anche nel loro piccolo non devono avere paura di cambiare anche cose banali ma avere disponibilità ad ascoltare e a modificare delle cose. Banalmente, il prestito dei cd 15 anni fa era un prestito che avrebbe sbancato le biblioteche, se fosse stato liberalizzato e quindi si diceva “non più di 2-4 cd per una settimana” con l'obiettivo di sfruttare questo bene comune al massimo, rendendolo accessibile al maggior numero di persone. Oggi il prestito dei cd è calato dell'80% rispetto a 15 anni fa, ma noi abbiamo le stesse regole e a quegli utenti che ne prenderebbero anche 7-8 per 15 giorni diciamo di no: siamo ancora alle regole di un altro mondo e di un'altra epoca. Lo stesso accade sull’organizzazione degli spazi che non corrisponde più a quello che succede adesso ma spesso spostare due scaffali ci viene pesante!
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DOMANDA E RISPOSTA A Sergio Conti: L’indicatore di impatto può aggiornare oltre all’analisi dei prestiti e delle presenze? No, l’indicatore si utilizza, ma non dice tutto, dice alcune cose. Per avere altre informazioni servono altri strumenti. Come impostare uno studio di comunità su larga scala dal sistema urbano alle singole biblioteche? In una situazione come Firenze è difficilissimo perché i dati disponibili sono per la città e non per le singole aree, non è detto che comunque non si possano costruire strumenti di conoscenza della comunità locale e della comunità di quel territorio. Il profilo di comunità, utilizzabile da tutti comuni, deve avere alcune caratteristiche: raccolta dati (sesso, età, titolo di studio, posizione professionale, attività economica), letti in serie storica, in evoluzione; analisi su agenzie culturali, sul territorio, conoscere partner e definire relazioni con loro; definire spirito della comunità. “Voglio offrire servizi, come li offro?”. Il profilo di comunità deve essere sempre aggiornato e soggetto a revisione. Qual è il giusto equilibrio tra l’adattarsi alla richiesta della comunità e una funzione “educativa” della biblioteca? “La biblioteca non è educativa ma non è nemmeno un bancomat”. La biblioteca è un’agenzia di promozione della lettura. E’ un servizio di informazione e lettura che promuove crescita culturale, benessere, tempo libero delle persone e più allarga la sua efficacia, più rende servizio alla comunità. Il progetto strategico per realizzare la sua missione nella comunità locale, è quello di non seguire le sue singole richieste, ma conoscerla, utilizzarla come “stella polare” e organizzare un servizio adeguato.
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Quanto la biblioteca può e deve rispondere a esigenze sociali? La biblioteca risponde a esigenze fondamentali: informazione, educazione permanente, socializzazione, coesione con la comunità locale, benessere... Lo fa con il suo “core business”, la biblioteca fa la biblioteca. E’ un luogo con i suoi obiettivi da realizzare e con questo svolge una funzione grandissima. Non è suo ruolo prendersi carico delle situazioni di disagio, ma far sì che altri se ne prendano carico e lo risolvono. Secondo la sua esperienza, in che modo la biblioteca, intesa come servizio informativo di base, può connotarsi nel web per intercettare nuove utenze e quali i principali errori da lei fatti in questa prospettiva di azione? Non mi sono mai occupato di queste cose. Cosa significa oggi educare alla biblioteca? Come la biblioteca può essere via di accesso al sapere anche a livello locale? Aggiungo la domanda: educare o creare condizioni perché la biblioteca sia attrattiva per tutti? Si tratta di un servizio pubblico non obbligatorio: se vogliamo che la gente ci venga c’è bisogno che questo servizio attiri e coinvolga. Non serve educare alla biblioteca, ma serve che questa educhi e faccia crescere giovani lettori attraverso esperienze quotidiane. Come si affronta l’uso degli spazi da parte degli studenti che si limitano ad occupare uno spazio e che limitano i servizi di una biblioteca? Azione che bisogna avere bene in mente: questa è utenza che non vogliamo (in questo caso). Spesso però sono ben voluti perchè riempiono spazi vuoti, ma perchè ci sono spesso spazi vuoti? Dobbiamo lavorare in modo che la biblioteca sia per tutti e organizzare in maniera tale che siano utilizzati per varie esperienze. Strutturiamo l’offerta informativa avendo sempre come “stella polare” la comunità locale.
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IMMAGINARE BIBLIOTECHE COMUNITARIE
Sintesi dell’intervento di ANDREA ZANNI, bibliotecario digitale MLOL
Nel titolo del mio contributo è sottintesa una parola che è la parola “digitali”. Io tendo a non metterla, perché sono abituato a fare cose solo su Internet ma voi la dovete aggiungere. Questo intervento, giusto per dare un minimo di storia, nasce nel 2015 con un post sul mio blog “costruire comunità" che voleva riflettere su alcuni progetti che vi mostrerò tra poco; in seguito ne ho discusso con amici bibliotecari e ne è venuto fuori un intervento presentato al convegno delle Stelline nel 2015: appunto sulle "biblioteche digitali partecipative". L’intervento nasce anche come provocazione e capirete perché: è l'idea di guardare a qualcosa che non è una biblioteca (digitale) - progetti come Wikipedia, Wikisource o Stack Overflow - per poi tornare alla biblioteca e all'organizzazione degli spazi digitali e a cosa vuol dire crearli. Partiamo dalla definizione di architettura come organizzazione di una spazio per uno scopo: l'architettura dell'informazione è l'organizzazione di uno spazio digitale che è fatto di informazioni. Invece di creare uno spazio fatto di atomi, si crea uno spazio fatto di bit che hanno una fisica loro, che non comporta la gravità ma il teletrasporto e la possibilità di riproduzione a costo zero infinite volte. In due universi diversi si costruisce, comunque, uno spazio. “Un luogo è un linguaggio”: vorrei partire da questa bellissima frase, che è il titolo della postfazione di Manganelli a “Flatlandia”: un bellissimo saggio basato sul racconto della vita di un quadrato che ha le sue avventure nel regno di Pianolandia e, allo stesso tempo, una bellissima riflessione su cosa vuol dire costruire un luogo con il linguaggio. Per descrivere un luogo abbiamo bisogno di alcune parole, perché il linguaggio crea spazi. Il codice è un tipo di linguaggio: come i muratori con i mattoni creano palazzi, il codice è quella cosa che consente di creare palazzi di bit. Il codice può definire un luogo: possiamo pensare al software non solo come
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un'interfaccia estetica ma come a design e architettura, nel suo senso più puro: io non metto solo un bottone lì, ma lo metto lì per generare un'interazione del mio utente. Come un architetto crea uno spazio, presupponendo un’interazione degli utenti e magari suggerendola (se io vedo una scala voglio salire…), allo stesso modo il software definisce questo spazio, dei comportamenti ma anche dei valori. Come la nostra società incarna i propri valori in alcune regole - ad esempio, le biblioteche prestano gratuitamente i libri, perché c'è un valore dietro a questo diritto di accesso all'informazione gratuito per una società plurale e democratica; allo stesso modo, io all'interno di un sito o di un progetto posso inserire dei valori. Questa lunga premessa per arrivare a parlare dei “progetti comunitari”, che è una mia definizione per progetti che sicuramente conoscete, come Wikipedia; Wikisource (biblioteca digitale di testi liberi senza diritto d'autore); Stack Overflow (sito utilizzato da milioni di persone per programmare e imparare a programmare, per fare domande sulla programmazione e ricevere risposte); Academia stat exchange (sito della galassia di Stack Overflow in cui, invece, si parla vita accademica - come si pubblica, dove si pubblica, letteratura open access, regole universitarie di Ateneo...); Cuore (sito sempre di domande-risposte su ogni tema, una specie di Yahoo answer ma per adulti). Cosa hanno in comune questi progetti? Sono comunitari, nel senso che sono basati su una comunità di persone che interagisce. Sono partecipativi, perché queste persone possono fare delle cose, possono decidere, possono contribuire.
Sono comunità sia di accesso che di co-creazione e di produzione di conoscenza, quindi sono cose che possono essere liminali al mondo delle biblioteche ma non sono completamente altro, anche perché se il compito del bibliotecario è servire i bisogni informativi dei propri utenti, su questi siti i bisogni informativi degli utenti vengono soddisfatti. Per cui, potete vederli come competitor ma anche come luoghi “altri” con cui collaborare in quanto biblioteca e questo è il motivo per cui, secondo me, vanno raccontati ai bibliotecari. Vorrei indagare le caratteristiche e le differenze tra spazio digitale e spazio fisico in una prospettiva un po' ingegneristica. Prima definizione di cui tenere conto è il grado di libertà: il concetto viene dalla matematica ed è l'idea di qualcosa che io posso fare all'interno di un determinato spazio, ad esempio camminare avanti e indietro. Generalmente, nel nostro mondo a tre dimensioni, io ho tre gradi di libertà (su-giù, destra-sinistra, avanti-indietro) ma in un luogo digitale, prendendo la nozione di grado di libertà in maniera un po' più libera, io posso vedere un luogo digitale come un sito, un progetto, come la somma dei gradi di libertà che io possiedo. Ad esempio, cosa possa fare io su facebook? posso scrivere un post, posso mettere dei like, usare emoticon, accedere via messenger, posso condividere, posso commentare. Potete immaginare che tutti questi singoli gradi di libertà vadano a definire lo spazio in cui un utente si muove ma facilmente capite che non si tratta di elementi staccati. Voi progettate uno spazio ma all'interno di questo stesso spazio il comportamento emerge, le persone fanno quello che vogliono fare; per cui è importante non solo progettare lo spazio ma anche pensare a come gli utenti si muovono. Una cosa è avere una sala per ragazzi, una sala per bambini e un’emeroteca ma non si può pensare che siano mondi completamente altri, perché le persone interagiscono!
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Le persone abitano gli spazi come vogliono, per cui l'interazione, intesa come moltiplicazione dei miei gradi di libertà, richiede di non pensare in maniera statica ma di pensare a come le persone abitano le cose e di pensare a come i comportamenti emergono. Questa è la domanda del bibliotecario digitale, di colui che costruisce e gestisce una biblioteca digitale: cosa è che vogliamo far fare all'utente? quali sono le azioni che lui deve e non deve fare? Come un utente può partecipare è già una scelta, ma cosa vuol dire farlo partecipare alla vita di una biblioteca è qualcosa di più e questa domanda vale anche per una biblioteca di libri e mattoni. Il bibliotecario digitale, nella mia provocazione, diventa quindi un designer di comunità: disegna e progetta l'interazione dei suoi utenti e della sua comunità all'interno di un luogo digitale. Tornando ai progetti comunitari vediamo che tutti hanno di fatto una caratteristica comune: la comunità decide e gestisce il progetto. Si tratta di comunità cosiddette “dal basso”, dove tendenzialmente non c'è un controllo dall'alto ma la comunità di utenti, con vantaggi e svantaggi, decide e organizza il progetto stesso. Spesso questo accade secondo il metodo del consenso, come comunità di pari, con gerarchia piatta ma con diversi livelli di moderazione, nel senso che ci sono alcuni accorgimenti per far sì che ci sia un minimo di controllo, diciamo di “low enforcement” per bloccare utenti che hanno comportamenti scorretti verso la comunità. Tutti questi progetti operano come comunità di interessi, organizzate attorno a un obiettivo preciso e questa è la differenza fondamentale rispetto alle biblioteche fisiche: per interesse non per territorio. Questo è uno degli elementi chiave delle differenze: il digitale tende ad aggregare per tema, per interessi; mentre la biblioteca, per ragioni meramente fisiche, è organizzata intorno a
dei centri fisici. Il digitale squaderna completamente: non esiste il territorio, perché si tratta di due fisiche differenti e io posso parlare con un tipo che sta ad Hong Kong così come con il mio vicino di casa. Altra importante caratteristica di questi progetti è l’idea della modificabilità: la possibilità per l'utente di andare a modificare il luogo in cui sta abitando. La definizione di Wikipedia è "enciclopedia libera, collaborativa, scritta e gestita da una comunità di volontari potenzialmente aperta e illimitata": tutti potete andare a modificare una pagina anche in questo momento. L'utente può lavorare sulle singole voci dell'enciclopedia ma anche discutere e riscrivere le linee guida, le regole o ridefinire l'aspetto delle pagine: ogni aspetto dell'enciclopedia è potenzialmente teoricamente modificabile. Vediamo, quindi, una corrispondenza tra grado di libertà - comportamento - valore: alto grado di libertà presuppone un alto grado di partecipazione ma anche alto grado di appartenenza; dando alla comunità la possibilità di modificare, la comunità sente quel posto come suo, il che può essere una cosa bella o brutta dipende dai casi ... Senza entrare nello specifico, possiamo vedere che esistono fenomeni di autorganizzazione, trasparenza e controllo incrociato. Se su Wikipedia non esiste una redazione, la comunità si auto-organizza: esiste un luogo, esiste un obiettivo, quindi la comunità si autorganizza e decide le proprie regole con strumenti di monitoraggio e di controllo di ogni attività che viene tracciata e tutto è trasparente. Ogni membro della comunità è abilitato a controllare e a modificare eventuali errori e problemi. Come miglior esempio, tenete conto che ogni pagina di Wikipedia ha una pagina che si chiama version control, cioè un controllo di versione: ogni pagina di Wikipedia non funziona come il vostro word ma ogni modifica viene salvata una sull'altra; quindi esiste l'intera storia di ogni pagina. Questo è importante, perché anche se è un aspetto estremamente tecnico permette varie cose: non solo ogni modifica è una versione, ma ogni versione è firmata, ha una data ed è linkabile e ripristinabile.
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Questo rende il progetto resiliente, perché è molto più facile ripristinare da un danno che fare il danno; mentre nel mondo reale esiste l'entropia e distruggere una casa è molto più semplice che costruirla, in pratica l'esatto contrario. La resilienza ci dà un valore: crea uno spazio molto aperto alla sperimentazione e all'audacia, provare a fare sapendo che si può cancellare e ripristinare senza permessi: "prima fai e poi chiedi il permesso". Si tratta quindi di uno spazio in cui la sperimentazione è più incoraggiata: c’è libertà di gioco e, quindi, la gente fa le cose e impara facendo, piuttosto che leggere un’ampia documentazione prima.
Per esempio, invece di duplicare un record, con una pagina di discussione si potrebbe dire “mettiamoci d'accordo e facciamone uno solo”.
Questa allora è la provocazione: guardare alla collaborazione SBN in senso ingegneristico e tecnico e vedere, dopo 16 anni di Wikipedia, cosa c’è da imparare da questi meccanismi. Non si tratta di un giudizio di merito sul progetto ma c’è qualcosa che SBN può imparare a livello puramente di software e di quello che questo software abilita? Ad esempio, se un record viene modificato da un livello di autorità superiore, il livello inferiore non può più modificarlo e questa cosa in Wikipedia non esiste, perché non esiste la gerarchia dei livelli e, soprattutto, i livelli di autorità non sono del singolo utente, della singola competenza, ma a livello istituzionale. Un’altra cosa particolare è che non c'è un luogo di discussione tra bibliotecari per parlare di un record: in Wikipedia ogni pagina ha una relativa pagina di discussione e questo è stato uno dei capisaldi dell'architettura: bisogna poter parlare di ogni cosa, perché se ho una pagina di discussione, ho una pagina di memoria storica, posso esprimere le motivazione delle scelte e questo evita malintesi tra collaboratori e, soprattutto nelle comunità professionali, evitare la frustrazione altrui è molto importante.
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DOMANDA E RISPOSTA AD Andrea Zanni: Il ruolo della biblioteca è quello di essere “content curator” delle questioni locali? No. Ma la domanda successiva mi permette di approfondire... In che modo la biblioteca può favorire la partecipazione attiva e qualificata alla creazione di contenuti nel web? Dal mio punto di vista bisogna ragionare dai fondamentali: se rispondere ai bisogni informativi dell’utente è uno dei “core” della professione bibliotecaria, allora ragioniamo su questo. Non tutti i bibliotecari devono fare tutto ma forse la formazione bibliotecaria in senso lato dovrebbe occuparsi di tutto. L’utenza, oggi, chiede tante cose in tanti posti diversi, o fanno da soli attraverso tanti altri canali. Prima, magari, potevano sapere tutto in biblioteca. C’è l’idea che Wikipedia possa essere uno strumento da usare per l’iter informativo, su cui lavorare. Andare in un luogo e dare il vostro contributo e competenze. Forse è necessario ribaltare la domanda e pensare cos’è che il bibliotecario può fare per questi luoghi. Se i bibliotecari che hanno certe competenze non le mettono in campo, magari qualche altro prenderà il loro posto (es. Amazon, futuro prestito illimitato digitale).
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Posto che la biblioteca digitale non ha confini territoriali, come fa la biblioteca pubblica, radicata sul territorio e con una comunità di riferimento ad essere anche biblioteca digitale? In generale è uno spettro di azioni, non esiste una risposta unica: quanto tempo, quante risorse, quanta voglia c’è? In base a quello che abbiamo possiamo progettare una risposta. In MediaLibraryOnline, servizio di biblioteca digitale, lavoro alla definizione delle risorse e sezione open: libri, scansioni, spartiti, videogiochi, mappe... Quando un bibliotecario mi comunica che ha delle digitalizzazioni, se ci sono i link posso metterle a disposizione di tutti: prendere cose già digitali e portarle all’interno di questi canali. E’ necessaria la sperimentazione! Anobii, ad esempio, ha una comunità di lettori sparsi per tutta Italia, da contattare e mettere insieme per creare comunità di interesse e territoriali sui social network. E capita di trovare amici!
In che modo il sito web della biblioteca può essere un luogo di “buona accoglienza” digitale? Domanda molto bella e molto difficile. Forse gli orari! Metterli più chiari. Dovrebbe essere studiato cosa le persone cercano nel sito e rispondere a quelle esigenze lì. Oppure abbandonare l’idea del sito e magari fare solo una pagina facebook. Trovare il modo che sia tu ad andare verso di loro e non sperare che loro vengano verso di te.
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I partecipanti Grazia Asta, Mila Baldi, Tamara Bani, Laura Baroncelli, Bianca Bartoli, Valentina Berti, Vanni Bertini, Elisa Biagi, Merj Bigazzi, Fabiola Bini, Sabrina Bombassei Vittor, Milena Boschetti, Silvia Bruni, Lucia Busani, Francesca Caderni, Elisabetta Calcini, Adriana Campeanu, Sabrina Capitelli, Sara Carnati, Marta Cavaciocchi, Patrizia Cellini, Letizia Chialastri, Sergio Conti, Eleonora Dapinguente, Emanuele Dattoli, Maria Rosaria De Michele, Rosario De Zela, Sandro Fallani, Luciano Farri, Silvia Floria, Paolo Forzieri, Daniela Galanti, Eleonora Gargiulo, Alessio Gennari, Susanna Giaccai, Patrizia Giorio, Valentina Guastella, Vania Infantino, Enrica Infantino, Lisa Innocenti, Lilian Kraft, Eleonora Lallo, Giuditta Levi Tomarchio, Luciana Linzalone, Raffaella Magnano, Mattia Lucatuorto, Benedetta Manoelli, Anna Marchi, Barbara Marroccia, Lorenzo Masi, Francesca Meoli, Luana Nencioni, Luigina Neri, Ilaria Nocentini, Irene Padovani, Carlo Paravano, Maria Vittoria Patrizi, Maria Pennetta, Paolo Pestelli, Cinzia Puccetti, Costanza Ravoni, Tommaso Sacchi, Barbara Salotti, Alessandro Santoni, Stefanie Schuddebeurs, Maria Sigismondi, Lorenzo Terzani, Valentina Testa, Alberto Tognetti, Donatella Zacchini, Claudia Zanieri, Andrea Zanni Organizzazione percorso promosso da Cooperativa EDA Servizi e Gruppo cooperativo Co&So con il Patrocinio dei Comuni di Firenze, Scandicci e Calenzano
Grazie a tutte e tutti per la partecipazione!
Supporto metodologico:
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