7th Floor n. 10

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Numero 10 - Volume 1 - 2008

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Brasile Russia India Cina media lab business greenpix web 2.0 crowdsourcing innovazione e cultura design III Rinascimento italiano imprenditori digitali democrazia elettronica venture capital creativitĂ futuro interazioni viral marketing media guru learning environment mobile war leadership riflessive cross

Il senso dell’Italia i nuovi mercati la convergenza digitale


Share your vision for the future

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Edizioni MAP www.00map.com - Anno 2, numero 6

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Co-Work Casa o ufficio? La terza via Rubriche Capitalismo 2.0 Guerrilla Marketing Second Business Blog Design Business TV

Real Trends 2007 Estetiche e Design

7th Floor è un network di professionisti ed esperti che operano in aree strategiche dei media digitali. Integra i diversi ambiti progettuali e operativi della filiera digitale e orienta le capacità creative e produttive italiane verso il nuovo mercato internazionale dei contenuti multipiattaforma (tv, internet,mobile).

Dal Salone del Mobile ai nuovi format interattivi Francesco Morace «i Segnali della Strada come fonte principale di ispirazione» Jean Baudrillard All’ombra dei simulacri

Svolge attività di ricerca e networking in ambito nazionale e internazionale con le realtà piu’ innovative della scena digitale. Divulga e promuove la cultura, il know how e l’economia dell’innovazione digitale, attraverso eventi, workshop, seminari di formazione e aggiornamento professionale, prodotti editoriali.

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CORPORATE PARADISE DIGITAL DIVIDE MIND BUILDERS MOBILE CONTENT FREELANCE BUSINESS WRITING SELF PORTRAIT SPIRITUALITY HOMO LUDENS BRAND TV SOCIALLY CORRECT STORYTELLING TRANSAFRICANA CLOUD COMPUTING NORMAL BREAKERS EXTRA CINEMA CREATIVITÀ SOCIALE VIRTUAL WORDS BRICOLAGE ANTROPOLOGICO SINGULARITY

Seleziona nuove idee, progetti di comunicazione e intrattenimento multipiattaforma. Sviluppa format e contenuti cross media, in collaborazione con istituzioni, aziende internazionali e creativi selezionati.

Edizioni MAP www.00map.com - Anno 2, numero 9

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Progetta e sviluppa siti e community al servizio di crossmedia workers, istituzioni e aziende interessate all’innovazione. 7th Floor è distribuito nelle maggiori aziende italiane trasversalmente nelle diverse funzioni. free business magazine

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Raggiunge le imprese della comunicazione e della consulenza, la PA, le istituzioni accademiche e le persone più interessanti del web. È un magazine cartaceo, un blog in rete e una nuova NetTV, in cui fare networking, sperimentare format di comunicazione, condividere progetti ed esperienze, per promuovere un nuovo modo di fare impresa e società. È un “HUB creativo” tra il mondo dell’innovazione e il mercato, tra business manager e giovani talenti.

PER ME IL LAVORO DEGLI ALTRI NON È SOLTANTO UN LAVORO. È UNA RESPONSABILITÀ.

7th Floor is a “cross media” project - paper, web, workshop, and learning. A magazine about business and social impact of key technologies and new media trends. It’s a new instrument to share knowledge between companies and people interested in design, technologies and new media. 7th Floor is distributed in the biggest Italian companies, across all the different functions (you can find the list of the locations on the last pages of the magazine). It reaches also communication and consultancy companies, PA, academic institution and the most interesting people involved in the blog’s world.

DENUNCIA DI INFORTUNIO INAIL. ON-LINE 24 ORE SU 24.

It’s a magazine, a blog and a new Net TV, where people can measure themselves with a new way of communication and share projects and experiences related to business and free time. On one side it’s aimed to CEOs, Marketing Directors, Human Resources, IT, people who are interested in innovation and new trends, on the other side, to creative people, designers and to everyone who shares the 2.0 thought.

Va i n e l l ’ a re a P u n t o C l i e n t e d e l s i t o w w w. i n a i l . i t . C o n l a r i s e r v a t e z z a d i u n a p a s sw o rd p e r s o n a l e i l t u o l avo r o s a r à p i ù s i c u r o, s e n z a errori e gli indennizzi più veloci. Pe r i n f o r m a z i o n i c h i a m a i l n u m e r o g r a t u i t o 8 0 3 . 1 6 4

PREVENZIONE SICUREZZA

ASSICURAZIONE PROTEZIONE

RIABILITAZIONE REINSERIMENTO

Per contattarci: www.7thfloor.it redazione@7thfloor.it

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Democrazia elettronica? di Alberto Abruzzese

Pag. 6

7th Floor: dal Coworking allo Sharpest Minds Index di Andrea Genovese

Pag. 9

Insider Marketing non convenzionale di Paolo Iabichino

Funambolici italiani Pag. 26 Intervista a Fabrizio Capobianco Mobile War - Blackberry Pag. 30 Intervista ad Alberto Bevilacqua User Generated Advertising Pag. 32 di Stefano Mizzella

Pag.14

Brasile, Russia, India, Cina di Francesco Morace

Pag. 17

Il senso dell’Italia Intervista a Francesco Morace

Pag. 20

Sperando in India reportage di Andrea Genovese

Pag. 22

A tutto cuore! Intervista a Kevin Roberts

Pag. 46

Il futuro? Un altro mondo Ray Kurzweil

Pag. 48

La vostra azienda ha una strategia? Michael Porter

Pag. 50

Le vie dell’ispirazione sono infinite di Augusta Leante

Pag. 52

Imparare Online il business del futuro di Robin Good

Pag. 34

Il Direct Marketing mail vs e-mail Intervista a Fabio Camerano

Pag. 54

Digital Entrepreneurs di Gianfranco Chicco

Pag. 38

Il design entra in ufficio di Paolo Fortunato

Pag. 58

La creatività? È tutta nell’iperdefinizione del particolare di Davide Pellegrini

Pag. 40

Il futuro della pubblicità Intervista a Pino Rozzi 1861United

Pag. 60

Cross Media Lab di Vito Di Bari

Pag. 42

M3 Guida allo stile di successo di Stefano Mizzella

Pag. 76

Sottoveglianza di Carlo Infante

Pag. 79

La creatività è un potere “magico”? Pag. 64 di Hubert Jaoui Dall’ idea al progetto: Pag. 66 L’architettura generativa di Cristiano Ceccato di Giorgio Tacconi

Leadership riflessive Pag. 68 di Michele Boroni

MilanIn, PPU, Mobile Monday

BizNet

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Pag. 16

mondospazzatura.org di Alberto Abruzzese

Breathing Room di Andrea Vitullo

Dee, Donne e Potere Pag. 72 di Luciana Zanon

Pag. 44

Pag. 70

Le Organizzazioni... Pag. 74 strutture di vetro? di Mario Gastaldi

Menostorie Generations Pag. 82 di Dario Landi digital mindstyle magazine

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Editoriale | Alberto Abruzzese

Democrazia elettronica? Su temi così urgenti nel frangente che stiamo vivendo con sempre più acuto disagio, ci si divide. Stefano Rodotà ha preso seriamente in esame le questioni che a tale proposito – l’impatto tra tradizioni democratiche e potenzialità dei linguaggi digitali – dovrebbe affrontare chi voglia rinnovare ceti intellettuali, professionali e politici (si può discutere, ma il suo è un discorso mai superstizioso o tendenzioso). Invece, contrapponendo l’uomo sapiens all’uomo videns senza essersi accorto che ora in campo c’è quello sentiens, il politologo Giovanni Sartori non esce dal pregiudizio che le culture istituzionali legate alla democratica rappresentativa, in tutto fondate sulla scrittura, nutrono per la democrazia di massa, fondata al contrario sui media: sui simulacri e sui consumi collettivi. Oltre a esporre i nodi cruciali dell’impatto tra democrazia e media digitali, il libro (“Democrazia elettronica” di Daniele Pitteri, edizione Laterza) ha il pregio di fornire il quadro dei modi in cui tale impatto è stato governato in altri contesti nazionali, e delle scelte operative in grado di aiutare concretamente i politici e contro gli strumenti della rete e dall’idea – altrettanto ideologica – che essa possa di per sé bastare a salvarci. Un libro diverso perché diverso è l’autore: Pitteri è professionista della comunicazione e del marketing, tra i più brillanti studiosi dei consumi e della pubblicità. Un creativo, tra i rari in cui il fare si coniuga con il sapere, la ricerca con la formazione e il mestiere. L’insegnamento con la sperimentazione. Ecco la vera novità: a occuparsi di democrazia elettronica è chi sa cosa sia una società di mercato. Il punto più stimolante del libro? L’utilità della rete a fini di discussione (scambio e conflitto) più ancora che di partecipazione (servizi e consenso). Oggi se ne parla quando si dice che web 2.0 è in grado di favorire una produzione “dal basso”. Sia chi ragiona come imprenditore sia chi pensa alla sfera politica dovrebbe riflettere su questa idea di in-

Autore: Tiziano Lucci, Galleria ArtMbassy Roma madonna del rosario / 2002 / stampa pvc-tela montata su telaio in legno / cm 94 x 135 novazione dal basso. Sicuramente interessante: l’accento minciare a liberarci di ogni ipoteca populista, demagogica, generalista. Ma per me il salto di qualità non è nell’immaginare una inversione tra alto e basso quanto piuttosto l’avvento – grazie a mondi relazionali dovuti all’interattività digitale – di zone d’esperienza in tutto diverse, estranee a modelli di produzione verticali quanto orizzontali. Qui sta l’effettiva utilità di ragionare sulla rivoluzione informatica non come recupero di governance su cittadini e consumatori da parte della democrazia o del mercato, ma come risposta tecnologica alla natura dei nuovi territori che appunto si aprono grazie alla crisi senza ritorno dei loro modelli identitari e organizzativi. Alberto Abruzzese

Daniele Pittèri (Napoli, 1960) da oltre vent’anni si occupa di comunicazione strategica e di industria culturale. Presidente di Labcom srl, insegna Sociologia della comunicazione politica e di massa alla Luiss Guido Carli di Roma e Marketing e nuovi media alla Federico II di Napoli. Editorialista di Repubblica (ed. Napoli), è autore di numerose pubblicazioni, fra cui: Tic Tac Ciak. Il senso del tempo nel racconto del cinema (Mursia, 1995), Polaroid dal pianeta terra (Liguori, 1999), Fabbriche del desiderio (Luca Sossella, 2000), La pubblicità in Italia, dal dopoguerra a oggi (Laterza, 2002; nuova edizione ampliata 2006); L’intensità e la distrazione (Franco Angeli, 2006); Democrazia elettronica (Laterza 2007).

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Regala un’emozione.

sulla natura discorsiva della rete è il modo giusto per co-

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gli amminstratori, liberandoli dai pregiudizi culturali

digital mindstyle magazine 7 Montblanc Italia Corporate Sales - tel. 02 69013562 - email: corporatesales@montblancitalia.it


7th Floor

business magazine for free spirits Anno II, numero 10, gennaio - febbraio, 2008 - Euro 6

Editore

Map Cross Communication S.r.l. via Lima, 22 - 00198 Roma 06.8535.6443 F. 06.8535.6507 www.00map.com - info@00map.com

Direttore responsabile

Andrea Genovese (a.genovese@00map.com)

Editoriale | Andrea Genovese

7th Floor: dal Co-working allo Sharpest Minds Index Vi piacerebbe poter assumere per qualche giorno il dream-team assoluto in un settore specifico?

Direttore editoriale

Alberto Abruzzese (alberto.abruzzese@fastwebnet.it)

Grafica e impaginazione Alessandro Tartaglia (FF3300)

Immagine di copertina

Carlo Muttoni (carlo.muttoni.ce@1861united.com)

Board di progetto

Alberto Abruzzese, Michela Bondardo, Andrea Granelli, Derrick de Kerckhove, Andrea Genovese, Carlo Infante, Maria Grazia Mattei, Francesco Morace, Michele Ficara Manganelli

Hanno collaborato a questo numero

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Alberto Abruzzese, Andrea Genovese, Stefano Diana, Carmen Rolle, Lucio D’Amelia, Robin Good, Luciana Zanon, Carlo Infante, Paolo Iabichino, Luca Zambrelli, Carmen Lo Duca, Francesco Morace, Sabrina Donzelli, Cristiana Bonsignore, Fabrizio Capobianco, Fabio Masetti, Cinzia Liguori, Alberto Bevilacqua, Stefano Mizzella, Gianfranco Chicco, Davide Pellegrini, Vito Di Bari, Andrea Natella, Augusta Lenate, Pino Rozzi, Federico Ghiso, Paolo Fortunato, Hubert Jaoui, Giorgio Tacconi, Mariagrazia Mattei, Nicola Mirizio, Andrea Vitullo, Michele Boroni, Mario Gastaldi, Cinzia Felicetti, Emanuel Di Felice, Dario Landi, Giuseppe Nenna.

Concessionaria Pubblicità

Addams srl Via Bramante da Urbino, 57 – 20052 Monza (Mi) Tel. 039.28.43.039 - Fax. 039.2028.662 Giovanni Corti, Giancarlo Recrosio Mauro Roncen Ufficio: 039.2848607 Cell. 335.248840 Email: mauro.roncen@addamsadv.com

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Tipolitografia Trullo srl - 00148 Roma (www.tipolitografiatrullo.it)

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Il contenuto e le opinioni espresse dagli autori e dagli intervistati non coincidono necessariamente con quelle di 7th floor. Tutti i marchi registrati citati sono di proprietà delle rispettive aziende. Nessuna parte del contenuto di questa rivista può essere pubblicato, fotocopiato, distribuito e diffuso attraverso qualsiasi mezzo, online e offline, senza il consenso scritto della MAP S.r.l. © MAP S.r.l. Roma 2006-2008. Tutti i diritti riservati. Autorizzazione del tribunale di Roma n° 430/2006 del 23.11.2006.

7th Floor multimagazine dedito alle tecnologie, al design e ai social media, si è consolidato come “super connettore” tra idee brillanti, approcci di successo, accademia, ricerca e, naturalmente, le imprese. L’attività di “hub creativo” tra il mondo dell’innovazione e il mercato, per 7th Floor, non si esaurisce con il trasferimento culturale attraverso un sistema cross-media (stampa, internet, eventi e formazione), ma vuole concretamente entrare nelle aziende e nelle istituzioni con format a basso costo e alto potenziale. Per questo ha avviato un progetto di coworking, un ufficio condiviso per nomadi professionali, creativi, indipendenti, designer o programmatori, umanisti o tecnologi, insomma per tutti quelli che lavorano anche e soprattutto davanti alla macchinetta del caffè o dentro i caffè! Ha inoltre raccolto informazioni su consulenti, manager, designer, maker e talenti che vivono in Italia, coinvolgendoli nello Sharpest Minds Index: un network di professionisti ed esperti che operano in aree strategiche dei media digitali. Avendo dalla sua il contatto con tutti questi specialisti e avendo costruito un metodo di collaborazione tra loro, 7th Floor ha costruito lo Sharpest Minds Program, un programma che consente alle aziende e alle istituzioni di riunire un dream-team e farlo lavorare, per un tempo determinato, su un progetto specifico.

Un esempio della situazione tipica in cui usare lo Sharpest Minds Program, può essere: 1- l’azienda sta decidendo SE realizzare un progetto tecnologico ma manca di alcune specifiche professionalità o ha dei dubbi su scelte strategiche, tecnologiche, di metodo, di approccio; 2- l’azienda vuole ragionare su quali caratteristiche dovrebbe davvero avere un prodotto/servizio che intende realizzare; 3- l’azienda vuole comprendere i trend tecnologici o comportamentali del mercato; 4- l’azienda desidera avere una intensa opportunità di trasferimento tecnologico e culturale; 5- l’azienda vuole generare delle “visioni” del futuro che possano delineare le strategie (o anche solo la comunicazione). 7th Floor cresce per qualità e diffusione, cambia il modello di business, non più free press gratuita, ma distribuzione mirata e a pagamento. a.genovese@00map.com http://www.7thfloor.it

L’impresa avrà un unico interlocutore, un metodo, la proprietà intellettuale e le opportune tutele legali, un team riunito ad-hoc in base al progetto, un costo fisso. L’attività, di solito della durata di 1/5 giorni, è organizzata come un workshop e coinvolge attivamente le risorse interne all’azienda.

Autore: Tiziano Lucci, Galleria ArtMbassy Roma elah-lap / 2003 / stampa su pvc-tela montata su telaio in legno / cm 86 x 130 digital mindstyle magazine

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La nuova gamma di lettori Mp3 Samsung offre la miglior qualità sonora ad oggi disponibile grazie alla tecnologia DNSe 2.0. L`insigne Professor Ken Pohlmann spiega per Samsung i benefici di questa tecnologia. Professor Pohlmann, come definirebbe la qualità del suono dei lettori Mp3 oggi in commercio? In generale, non particolarmente soddisfacente, ad essere sinceri. Con l’aumento del numero di persone che utilizzano i lettori Mp3 come loro unica fonte di musica, la qualità del suono dovrebbe essere eccellente. Un team di ricercatori composto da ingegneri audio ha testato vari lettori Mp3 presenti sul mercato. Alcuni dei player esaminati presentano una trasmissione del segnale molto “pulita” e buone caratteristiche di elaborazione, ma auricolari scadenti; altri invece, dimostrano capacità acustiche limitate ma sono dotati di auricolari professionali. Le aziende, a mio avviso, dovrebbero porre attenzione all’intero processo di riproduzione del segnale audio per realizzare lettori Mp3 superiori ed eccellenti su tutti i fronti.

Cos’è la tecnologia DNSe 2.0 e come funziona?

Quali altre caratteristiche audio sono disponibili nei lettori Mp3 dotati di DNSe 2.0?

La tecnologia Digital Natural Sound Engine (DNSe) 2.0 - sviluppata da Samsung - produce un suono naturale, realistico ed avvolgente. La maggior parte delle registrazioni di musica commerciale è mixata per una riproduzione attraverso altoparlanti stereo convenzionali. Diversamente, quando viene riprodotta su lettori e auricolari ordinari, il risultato può essere innaturale. La tecnologia DNSe 2.0 supera questo problema riproducendo un audio stereo realistico attraverso l’elaborazione del segnale YP-S5 in modalità 3D sia in fase di acquisizione che di riproduzione musicale, cercando di ricreare l’ambiente sonoro originale. In aggiunta DNSe 2.0 supera le limitazioni nella riproduzione dei bassi, tipiche degli auricolari e piccoli altoparlanti. Con DNSe 2.0, i bassi armonici sono elaborati in modo tale che il cervello umano recepisca i segnali bassi fondamentali mancanti.

PROFILO DEL PROFESSOR KEN POHLMANN PROFESSORE EMERITO DELL’UNIVERSITÀ DI MIAMI, DIRETTORE EMERITO DEL MUSIC ENGINEERING TECHNOLOGY PROGRAM ALLA FROST SCHOOL OF MUSIC DI MIAMI. DIRETTORE DEL POHLMANN ENGINEERING, PRESTIGIOSA SOCIETÀ DI CONSULENZA AUDIO. AUTORE DI “I PRINCIPI DELL’AUDIO DIGITALE”. MEMBRO DELL’AUDIO ENGINEERING SOCIETY (AES). PRESIDENTE DELLA SETTIMA CONFERENZA AES SULL`AUDIO DIGITALE.

YP-T10

Gli ingegneri audio di Samsung sono riusciti a massimizzare il potenziale della tecnologia DNSe 2.0. Per esempio nel modello YP-T10, l’elaborazione della tecnologia DNSe 2.0 consente agli ascoltatori di modificare leggermente l’accordo sonoro secondo le loro preferenze e le condizioni di riproduzione. Questo modello è dotato di un’equalizzazione preimpostata (preset) che simula l’effetto sonoro di ampi spazi come dance club o concert hall, e di un equalizzatore grafico completamente personalizzabile. Gli auricolari forniscono una consistente reazione ai bassi e un armonioso e naturale equilibrio dei toni. Tutto ciò è il risultato di anni di ricerche ed esperienze apprese sul campo. YP-T10

Che cosa sta facendo Samsung per garantire un’esperienza d’ascolto superiore al consumatore? Oltre alla tecnologia DNSe 2.0, l’impegno di Samsung è volto a sviluppare prodotti che mostrino anche immagini e video ad alta qualità con un`ottima riproduzione musicale. Per esempio, lo schermo da 3” touch screen ed il menù intuitivo di YP-P2 sono il perfetto complemento al suo audio sorprendente. Il display YP-P2 TFT e gli altoparlanti incorporati in YP-S5 forniscono un modo semplice di condividere foto, video e musica. Infine, YP-T10 è dotato delle più recenti funzioni multimediali inclusa una divertente interfaccia grafica cartoon, con uno schermo a colori per la riproduzione di video.

LISTEN UP. IMMAGINA DI SENTIRTI AVVOLTO DALLA MUSICA.

I lettori 10mp3 Bluetooth Samsung utilizzano la tecnologia www.samsung.it/mp3

per un effetto sonoro tridimensionale.

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board

Questo è il comitato editoriale di 7th Floor. Possiamo contare sullo straordinario apporto di figure professionali diversificate, provenienti sia dal mondo dell’impresa che della ricerca universitaria. Sono loro le nostre antenne, gli autori eccellenti della riflessione teorica che proponiamo. Sono loro i portavoce di un approccio umanistico al mondo dell’impresa

Andrea Genovese (Direttore responsabile), un tempo lo avremmo definito CEO & Founder di Map e di 7th Floor. Noi preferiamo presentarlo come un direttore creativo capace di far dialogare la sua formazione ingegneristica con una salda dedizione all’imprenditoria e all’editoria. Esperto di tecnologie e nuovi media, realizza attraverso Map (www.00map. com) progetti di comunicazione corporate e di interaction design urbano. È, inoltre, direttore della Faculty Technologies nel nuovo Master in “Cultural Experience Design and Management” organizzato dalla Domus Academy.

Alberto Abruzzese (direttore editoriale), filosofo ed esteta della comunicazione, è ordinario di Sociologia delle Comunicazioni di Massa allo IULM di Milano. Trascorre i momenti più belli della sua giornata a scrutare soggettività mutanti nascoste tra la folla, comodamente seduto, sigaro in mano, nell’ampia veranda del caffè D. a Londra. Nel tempo libero si diletta a svolgere attività di ricerca per RAI, Mediaset, CNR, MURST, Ministero della Pubblica Amministrazione e Ministero dei Beni Culturali.

Francesco Morace, sociologo, scrittore e giornalista in continua ricerca di tracce e tendenze, al fine di interpretare fenomeni di una società in costante divenire. La sua visione strategica mira a conciliare e combinare in modo creativo i due filoni di attività della Ricerca e della Consulenza. È il Presidente di Future Concept Lab, dove è responsabile dei programmi di ricerca MindStyles, Genius Loci, Street Signals e Happiness. www.futureconceptlab.com

Derrick de Kerckhove, universalmente riconosciuto come erede di Marshall McLuhan, è Professore nel Dipartimento di Francese all’Università di Toronto. Media-guru di livello internazionale, è autore di classici della mediologia come Brainframes e L’intelligenza connettiva. Ha tenuto la cattedra di Tecnologia e Pedagogia alla Biblioteca del Congresso di Washington e in Italia è impegnato nel programma “Rientro dei cervelli” all’Università di Napoli.

Carlo Infante, è libero docente di “Performing Media” presso diverse Università e Accademie. Nel concetto di Performing Media da lui promosso risiede una tensione creativa che non riguarda più solo la sperimentazione dei nuovi linguaggi, ma la capacità di inventare Società dell’Informazione. Ha curato festival, condotto trasmissioni radiofoniche e televisive, ideato format post-televisivi e scritto libri. L’ultimo è “Performing Media 1.1 Politica e poetica delle reti” (Memori, 2006).

Andrea Granelli, la sua è una prestigiosa carriera iniziata nel mondo corporate e oggi più vicina a importanti realtà istituzionali. È presidente e fondatore di Kanso, società di consulenza focalizzata sui temi dell’innovazione e della customer experience. Kanso in giapponese significa semplicità, ed è proprio un approccio semplice ed essenziale l’antidoto contro la crescente complessità e il dilagare dell’informazione. Nel complesso rapporto tra tecnologie e cultura, il suo approccio è dunque votato all’essenzialità delle funzioni e delle emozioni, raggiungibile attraverso un processo di semplificazione di prodotti, servizi e interfacce. www.kanso.it Michele Ficara Manganelli, dopo avere militato per un decennio nei meandri della pubblicità analogica e’ stato poi stregato da internet fin dai suoi esordi e dopo averne vissuto entusiasmi e bolle e’ oggi un divoratore di Social Media e Business Networking continuando ad appassionarsi davanti all’inarrestabile mash-up della comunicazione digitale. Goloso di TV via Internet oggi con Assodigitale di cui è Presidente continua a contaminare digitalmente le menti delle aziende che gli capitano a tiro.

Maria Grazia Mattei, giornalista ed esperta di nuove tecnologie della comunicazione, fonda nel 1995 MGM Digital Communication, studio di ricerca e consulenza per la diffusione della cultura digitale. Grazie al progetto “meet the media guru”, parte della sua attività è legata al tentativo di portare in Italia esperti e studiosi di livello internazionale legati ai new media e alla cultura digitale. Ha progettato mostre, rassegne internazionali, festival e convegni sul rapporto tra arte e tecnologia, D-Cinema, TV digitale e comunicazione. www.meetthemediaguru.org

Con il patrocinio di:

Settore Attività Economiche e Innovazione della Provincia di Milano

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Fondazione Valore Italia

Contributors Paolo Iabichino, nato nel 1969, è direttore creativo di OgilvyOne, la prima agenzia di marketing one-to-one in Italia. In pubblicità dal 1990, è passato dall’advertising tradizionale alla comunicazione relazionale, incontrando qui la giusta dimensione di uno scrivere più attento al destinatario. Docente di un master post laurea di advertising presso la Scuola Politecnica di Design di Milano e fa parte del Comitato Scientifico del NABA.

Gianfranco Chicco Ex direttore marketing di HSM Italia, nel suo ritrovato tempo libero si appassiona di fotografia, nuove tecnologie, letteratura e lingue. Italo-argentino e ingegnere di formazione, ha lavorato in vari paesi e si sente di vocazione nomade. Difficile che stia fermo, ha ripreso a girare per il mondo. Ha appena lanciato il suo blog http://gchicco.blogspot.com

Davide Pellegrini, storico dell’Arte Contemporanea, si è specializzato in management delle tecnologie audiovisive e digitali. Ha collaborato con molte aziende - Grand Thornton, Nomisma, Anci, etc. - e dirige l’agenzia di comunicazione Downing Street. è il direttore di Eventlab, Laboratorio di Comunicazione ed Eventi nato in collaborazione con la Fondazione Adriano Olivetti e la Regione Lazio. Ha una passione per i temi della sociologia e per i temi dell’innovazione.

Michele Boroni Livornese di nascita e formazione, milanese di adozione. Si occupa di marketing e comunicazione on e offline per aziende, agenzie e persone fisiche. Scrive su vari giornali (Il Foglio, Vanity Fair, Style, D di Repubblica). In questi mesi lavora anche al programma tv di La7 Markette. Tiene blog www.emmebi.blogspot.com

Augusta Leante è responsabile comunicazione e media HSM Italia, la società internazionale che organizza il World. Leccese di nascita, milanese d’adozione, si laurea in Lingue straniere moderne allo IULM. Appassionata di cinema, musica e nuove tecnologie, ha lavorato tra l’altro alla start up multimediale di e.Biscom scrivendo di tecnologia. www.hsmglobal.com

Robin Good è il pioniere italiano della comunicazione indipendente di successo online. Esperto di new media, marketing ed information design, è il paladino del cambiamento che viene dal basso. RobinGood.com, MasterViews.com, Kolabora.com , MyVideoKaraoke.com, CommunicationAgents.com Robin.Good@masternewmedia.org

Andrea Vitullo, nasce a Roma dove si laurea in economia alla LUISS. Al suo percorso di manager nel marketing e nella comunicazione in aziende multinazionali di servizi finanziari in Italia e negli USA ha affiancato l’attività di docenza di marketing creativo. Nel 2005 ha fondato In-spire, www.in-spire. biz e svolge la professione di executive coach di imprenditori e manager, sviluppando seminari e percorsi di “ispirazione” e sviluppo del potenziale.

David Orban è amministratore delegato di Questar e si occupa di tecnologia, in particolare di intelligenza artificiale e delle realtà virtuali. È frequente speaker su argomenti quali i metaversi, la singolarità tecnologica e il cambiamento sociale. www.davidorban.com, www.questar.it

Stefano Diana artista, esperto di comunicazione d’impresa, copywriter, critico culturale dei miti d’oggi e dei rapporti tra scienza e società, epistemologo. Fra l’altro ha scritto un saggio pionieristico sulla sociologia di Internet in Italia (W.C.Net, minimumfax), ha creato e mantiene un blog ante litteram (lideologo.net, 2000). stef@lideologo.net

Leandro Agrò E’ un Interaction Designer esperto di Eye-Tracking, UI multimodali e di usabilità. Sul web dal ‘95, manager&designer lavora alla progettazione di Assistenti Virtuali con UI emotive. Ha co-fondato: Idearium.org, Frontiers of Interaction e Photoshakr. Collabora a diverse iniziative con Università e centri di ricerca.

Gabriele Niola vive a Roma dove lavora come giornalista freelance per diverse testate. Ha lavorato per molte aziende piccole, medie e grandissime fino a che non ha incontrato nell’ordine: l’arte, l’indipendenza e il giornalismo. Ora la tecnologia gli dà da mangiare e il cinema lo fa vivere.

Carmen Rolle giornalista free lance. Collabora con D, La Repubblica delle Donne, Astra, Vera, V&S. Le piace condividere le sue passioni, la medicina e le tecniche di benessere alternative, le neuroscienze, i viaggi, l’architettura e il design: modi e strumenti per vivere più consapevolmente.

Mario Gastaldi, è uno speaker, trainer, coach e agente del cambiamento. Lavora in Italia ed all’estero, supporta persone, gruppi e organizzazioni verso la realizzazione di sogni, aspirazioni e risultati, costruendo competenze, significato e qualità della vita. Nel mentre impara, si diverte e non si prende troppo sul serio. Ha fondato la Brain Team Consulting (http://braint.net/)

Luciana Zanon vive e lavora a Milano come consulente di coaching, formazione e out door. Opera in azienda su temi come comunicazione, leadership, conflitto, cambiamento, stress, team work. Progetta seminari e percorsi di coaching integrando aspetti cognitivi, emotivi e, grazie alle arti marziali orientali, sensoriali.

Stefano Mizzella Dottorando in Società dell’Informazione presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca, è studioso di New Media Literacy. Collabora con l’Università di Roma “Sapienza” e con l’Università IULM di Milano. È co-fondatore e collaboratore del Centro di Ricerca “Bi.cromi” (Bicocca Creative Research On Media Literacy). www.quasi.unimib.it, www.bicromi.it Giampaolo Colletti si interessa di comunicazione e nuove tecnologie. Lavorando in Vodafone Italia si è occupato della creazione della business tv dell’azienda. Attualmente è in Technogym come internal communication & business TV manager, per la creazione del canale video interno ed esterno. È cofondatore dell’osservatorio Bocconi sulle business TV. Scrive di new media e talenti sul Sole24Ore, Job24.

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Paolo Iabichino Nato nel 1969, è direttore creativo di OgilvyOne, la prima agenzia di marketing one-to-one in Italia. In pubblicità dal 1990, è passato dall’advertising tradizionale alla comunicazione relazionale, incontrando qui la giusta dimensione di uno scrivere più attento al destinatario.

Difficile non insospettirsi: gli ultimi cinque brief di gara sciorinavano deliverable come ambient e guerrilla, ma con la necessità di misurarne il ritorno sugli investimenti, come dire, applichiamo la logica del GRP anche allo street marketing. Che è un po’ come tentare di fare il censimento dei nomadi uzbeki. Puntualissima arriva la richiesta del virale. Questa è più sfacciata. Non abita quasi mai un brief formale. Ma arriva inesorabile, alla fine di una riunione, nel bel mezzo di una telefonata o nel coffee break di un meeting internazionale. “Il creativo sei tu” mi sussurra il direttore marketing di turno, “abbiamo bisogno di rompere le regole, ci serve un’idea forte e poi lo sai che quest’anno non abbiamo budget per la tv. Tanto c’è internet.” Disgraziatamente quest’anno il festival mondiale della creatività pubblicitaria ha premiato un film virale con il Grand Prix più ambìto. A conferma che “tanto c’è internet”, con buona pace di una delle più intelligenti strategie di comunicazione degli ultimi anni, quella di Unilever con la Campagna per la Bellezza Autentica di Dove. È vero, Evolution è stato visto da milioni di persone in tutto il mondo. È vero, non è (quasi) mai andato in televisione. Tecnicamente è un video virale. Anche se non ha la poetica collaudata dei virali più riusciti: sesso, splatter, sadismo e stronzate (sono 4 S e, per ora, mi sembra la miglior evoluzione al marketing delle 4 P).

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Ma vuoi vedere che un mesDalle 4P del saggio intelligente contagia per il solo fatto di essere un mes- marketing alle saggio intelligente? Un brand 4S del viral che parla alle donne e decide di trattarle come tali anziché marketing: sesso, come carni da copertina è (ahi- splatter, sadismo mé) una notizia. Se sei credibie stronzate. le, se lo fai con bella creatività, su YouTube come su un billboard, in tv e nei punti vendita, nelle scuole e dentro un evento, sei una marca che parla in maniera nuova al suo pubblico. Il marketing non convenzionale è quello che rompe una convenzione. Non quello che usa i “nuovi media” perché quelli vecchi costano (ancora) tantissimo. Difficile non insospettirsi, se guardo al papà di tutti i virali. Quella poesia calcistica di Ronaldinho che colpiva 4 volte la traversa dal limite dell’area di rigore. La conversazione è nata spontanea, il popolo della rete si è diviso tra detrattori fautori del montaggio ad arte e gli esteti del gesto atletico. Nike, intanto, spalancava le porte del suo ‘Just do it’, dimostrando al mondo che una scarpetta può essere rilevante, fare entertainment, generare conversazione e contagiare il suo pubblico con un messaggio inedito. Ha rotto una convenzione. E con la stessa logica ha continuato a presidiare tutti i media messi a disposizione dai nostri tempi. Tradizionali e non.

Perché ha sempre privilegiato il messaggio, rispetto al mezzo. Credo che qui sia il punto. Ci siamo persi per strada la comunicazione. Abbiamo smarrito la rilevanza, la pertinenza, i messaggi, gli insight, le verità. Preoccupati di uscire dall’affollamento, ci siamo isolati. Abbiamo creato un mondo auto-riferito e senza nessun ascendente sui nostri interlocutori. Abbiamo fidelizzato con tesserine di plastica, database e “offerte personalizzate”. Abbiamo creato community a tavolino, mentre le persone trovavano rifugio nei social network. E quando finalmente li abbiamo stanati, ci siamo fatti belli con il 2.0, ci siamo tuffati dentro Second Life come le volpi nelle favole di Fedro. Ci siamo abbuffati di ambient e guerrilla per intercettare i nostri target laddove questi studiano, lavorano, si divertono, vivono... Abbiamo cioè applicato la vecchia regola dell’interruzione pubblicitaria a tutto ciò che poteva ospitare un messaggio al di fuori della televisione e dei media tradizionali. Ovviamente gli abbiamo dato un nome e l’abbiamo chiamato marketing non convenzionale. Conviene perché i virali costano poco e non serve pianificarli. Conviene perché un’azione di guerrilla si fa con quattro ragazzine poco vestite per strada e fa parlare la gente. Conviene perché un ambient costa meno di un’affissione, ma genera ‘word of mouth’. Difficile non insospettirsi. Penso sia vero che questo mestiere è davvero tutto nuovo. Che finalmente dobbiamo cercare qualcosa da dire, prima che pensare a come

dirlo. Per le aziende è ancora colpa dei creativi se i messaggi non passano.

dovrà fare i conti con noi.

diamo che il bello debba necessariamente fare i conti con il giusto. E chi non ci crede

dal rispetto e dalle intelligenze e non dall’esibizionismo spietato e tracotante. Cre-

Vogliamo condividere applicazioni, idee, immagini, parole, musica e video, guidati

migliore di stare nel mondo e non per sputare pixel di pubblicità sempre più mirata.

una nuova coscienza collettiva. Dove il business entra in rete per vendere un modo

la geografia per fare anche del digitale un universo da custodire. Per questo serve

l’ecologia è intesa nella sua più ampia dizione letterale, come sistema, che trascende

mondo attraverso i computer. È una lucida utopia di attivismo ambientale. Dove

per trasmettere qualcosa agli altri. A beneficio di tutti. Greenpix vuole migliorare il

forma, ma soprattutto con la dignità e l’intelligenza di chi occupa spazio di banda

tutto questo si svolga in maniera responsabile, con attenzione ai contenuti e alla

a informarsi, incontrarsi, scontrarsi, fare affari e ricerca, attraverso la Rete. Ma che

errori e gli orrori che hanno sporcato l’off line.Vogliamo che le persone continuino

possa essere tramandata a lungo, protetta consapevolmente, per non replicare gli

viva, per nulla parallela. Non è una seconda vita. È la nostra vita. E vogliamo che

partecipativa. Internet non è un mondo virtuale. E parte della nostra realtà. Reale,

di chiunque abbia voglia di dire qualcosa in nome di una superficiale democrazia

Greenpix è un movimento ecologista per proteggere il web dagli assalti sconsiderati

continuo rincorrersi di chi vuole farne solo e soltanto uno strumento di business.

risorsa preziosa che corre il rischio di essere deturpata, sciupata e inquinata dal

utilizzo più consapevole della Rete.Internet non è un territorio sconfinato. È una

Greenpix è un movimento di pensiero che intende sensibilizzare il mondo su un

Manifesto di Greenpix

by un mecenate di tutto rispetto: IBM

diremo il risultato finale di questo lavoro, ospitando i migliori elaborati powered

che ha dato il via a questa iniziativa. Nel prossimo numero della rivista approfon-

comunicazione. Qui un anticipazione del manifesto autografo di Paolo Iabichino

che in un futuro prossimo venturo potranno diventare i nuovi professionisti della

un progetto innovativo in cui vincono le idee, la creatività e la passione di studenti

ricattati dal mercato, di certo avremo a che fare con l’entusiasmo e l’energia di

riflessione, sicuramente non troveremo la malizia dei professionisti collaudati e

anche per il mondo digitale. Forse incontreremo un pizzico di ingenuità nella loro

enpeace per provare a comunicare la volontà di una nuova coscienza ambientale

Non sarà che il marketing non convenzionale conviene?

Bruno Munari, Giò Ponti, Pino Tovaglia – s’ispirano all’attivismo ecologico di Gre-

anni cinquanta da Nino di Salvatore e che ha visto maestri come

follia in cui un manipolo di designer - nella scuola fondata negli

OgilvyOne.7thfloor ha voluto assecondare questa lucidissima

del master advertising di Paolo Iabichino, direttore creativo di

di Design di Milano “http://www.scuoladesign.com”, all’interno

il brief in libertà che nasce nelle aule della Scuola Politecnica

tutte le parti del mondo.Questi sono gli ingredienti di Greenpix,

provocazione di una ventina di giovani studenti provenienti da

Un misto di urgenza sentimentale, ipocondria, ansie e amor di

Inizia da questo numero la collaborazione di Paolo Iabichino, uno dei creativi italiani più attenti e sensibili al cambiamento.

Un po’ visione e un po’ utopia.

insider

Greenpix Internet Reload.

Paolo Iabichino | Creatività | Viral Marketing | Ecologia Digitale

Il marketing non convenzionale è quello che rompe una convenzione. Non quello che usa i “nuovi media” perché quelli vecchi costano (ancora) tantissimo.

Per i creativi, ovviamente, la colpa resta del cliente. Ma anche degli account. Della produzione. E, quando assistono a un focus group, quello dietro al vetro è sempre un campione di idioti. La verità è che rompere le convenzioni è la cosa più difficile del mondo. Possono permetterselo solo quelli che hanno il coraggio di fare a pezzi i vecchi paradigmi.

Come chi ha scardinato le regole del commercio elettronico affidandolo a privati che si fidano l’uno dell’altro. Come chi ha pensato che la musica avesse il diritto e il dovere di costare poco per poter essere condivisa. Come chi ha rilanciato una fabbrica di automobili, cominciando a fare automobili prima della réclame. Come chi usa la cultura per parlare di caffé o chi usa le donne vere, appunto, per parlare di bellezza. E quando questo viene raccontato alla gente, con un’idea, a prescindere dal mezzo, il messaggio diventa potente, contagia, si diffonde e, se conviene anche economicamente, è solo un incidente, non può essere il presupposto di partenza. Altrimenti è difficile non insospettirsi. Paolo Iabichino mail: paolo.iabichino@gmail.com digital mindstyle magazine

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business networking | Linkedin | Milanin | Mobile Monday | PPU

BizNet MilanIN - 2008 Se chiedessero ai soci fondatori del Business Club MilanIN cosa si sarebbero aspettati in termini di risultati dopo 2 anni di attività, Vi dico che innanzitutto mai avrebbero immaginato questo. Quello che vi sto per raccontare. Il 2007 si è appena concluso. A gennaio MilanIN ripartiva con i “Presenta te Stesso”. Poco più di 600 soci. Una crescita media giornaliera di 3 soci al giorno. Una struttura operativa di poco più 10 volontari. A dicembre MilanIN concludeva le attività del 2007 dopo aver organizzato circa 40 “Presenta te Stesso”. Registrando oltre 3300 soci. Una crescita giornaliera di 40 soci al giorno. Consolidando una struttura operativa di oltre 28 volontari. Le prime elezioni presidenziali. Tre articoli promossi da giornalisti indipendenti di importanti testate nazionali. Nuove convenzioni per i soci e interessanti e potenziali partner che hanno voluto aderire alle nostre iniziative. MilanIN è maturata nel 2007. Come un giovane promettente manager ha saputo fare, ha commesso degli errori, ha imparato, ascoltato e ha creato valore intorno a se. Un manager che ha saputo mantenere inalterata la sua missione iniziale di “associazione senza scopo di lucro con obiettivo l’aggregazione di persone provenienti dai più diversi ambiti professionali che credono nel networking come strumento prezioso per il business”. Intuito? No! Merito e soprattutto coraggio di credere che nella nostra società c’è ancora spazio e volontà per aggregare persone ambiziose, che amano il proprio lavoro e che

considerano la capacità di sviluppare affari profittevoli un’espressione nobile della creatività umana. In MilanIN si sono fatte avanti diverse scuole di pensiero sulla missione dei social network. Diverse ma fondamentalmente comuni nei principi di base, innalzano i social network da sistemi informativi di aggregazione a strumenti sociali di integrazione professionale e culturale. Regolamentati dai fondamentali della Social Responsability. Motori di nuove forme di comunicazione sociale. Stimolatori e potenti scardinatori delle vecchie regole di aggregazione in lobby. I Social Network si stanno avvicinando ad occupare un ruolo nella società. Importante o no, lo vedremo. I nostri figli potranno sperimentarlo su di loro e sulle generazioni future. Di sicuro una società che avanza velocemente, producendo e scambiando informazioni sempre più complesse e numerose, per poter “sopravvivere” e migliorare le proprie condizioni umane dovrà essere al suo interno fortemente integrata ed aggregata. Integrata ai sistemi e aggregata tra gli individui che la compongono. Una grande rete relazionale. Pubblica! MilanIN proseguirà le sue attività senza dimenticare la sua vocazione ed il ruolo sociale che attende i social network nel futuro. Un ponte tra il virtuale ed il reale. Vi aspettiamo ai nostri eventi, buon social networking. Luca Zambrelli (Board Member, Marketing Manager), Andrey Golub (VP, IT/Web Manabger) www.milanin.com

Professional People in Urbe (PPU) Una nuova comunità di business social networking a Roma

Mobile Monday

Anche nell’era del web vale la pena incontrare chi vuole condividere le proprie esperienze professionali... nascono così nuove idee, si creano spunti, si mette in circolo un entusiasmo altrimenti sopito. Il meccanismo è semplice, si alimenta con la partecipazione di tutti, si modella sulle loro peculiarità, per renderlo unico.

MoMo is a global community of mobile industry visionaries, developers and influential individuals fostering cooperation and cross-border business development through virtual and live networking events to share ideas, best practices and trends from global markets. next Mobile Monday Italy that will take place at Le Biciclette in Milan. See the website.

Sebbene la rete torni ad essere il mezzo più veloce per comunicare nel quotidiano, dopo gli incontri PPU diviene anche più efficace grazie alla conoscenza personale di chi appartiene alla comunità dell’Urbe.

Carmen Lo Duca Per ulteriori informazioni contattateci a: comunicazione.ppu@gmail.com o visita www.ppunet.com

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www.mobilemonday.it

Un vicolo di Varanasi, India. Foto di Andrea Genovese

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Future Concept Lab | mercati emergenti | nuove tendenze

BRASILE, RUSSIA, INDIA, CINA Il ruolo del BRIC nel futuro dei consumi e delle estetiche I nuovi percorsi della creatività si dimostrano sempre più correlati alla capacità di relazione antropologica del pensiero e della pratica progettuale, in grado di trasformare la contaminazione in visione creativa, utilizzando il modello dell’impollinazione permanente, che implica e prevede la diffusione di un’intelligenza strategica contagiosa, mentre il più classico modello della semina propone di impiantare modelli di sviluppo prestabiliti. Il Genius Loci -il talento del luogo- non è compatibile con la semina (il tentativo è stato fatto nello scorso secolo da tutti i regimi coloniali conducendo ad un disastroso fallimento), mentre si presta a pratiche di impollinazione. L’individuazione e l’approfondimento del “genius loci” dei quattro paesi del BRIC (Brasile, Russia, India e Cina) ci permette quindi di comprendere meglio gli orientamenti e i contenuti delle tendenze globali che si stanno costituendo, sostenendo lo sviluppo di un sistema planetario in grado di gestire le funzioni vitali del mercato mondiale, selezionando e potenziando le caratteristiche uniche, ma nello stesso tempo universali, di queste culture differenti.

critico e creativo, che trova nello sviluppo progettuale del binomio Etica-Estetica molti casi di importante riferimento. Infatti l’esuberante creatività brasiliana si combina poi sempre più spesso con una tensione etica, ecologica, valoriale, che non discende da un approccio ideologico, ma traspira da una storia antica: il design dei fratelli Campana sembra, ad esempio, discendere da questa sensibilità per la vita materiale e per i valori di solidarietà spontanea che arrivano dalla strada. Anche nella capacità di intessere relazioni, il Brasile mostra la sua eccellenza anche alla luce delle ultime frontiere della condivisione e convivialità creativa: prima nazione prosoftware libero del Mondo con politiche e iniziative per il Software Libero e l’Inclusione Digitale; prima nazione ad aver creato una propria piattaforma su Second Life, il Brasile è oggi la quarta comunità virtuale del mondo, con un uso di Internet che aumenta del 13% all’anno e l’incredibile successo di siti come MSN e Orkut che contano un account brasiliano per il 75% di utenti mondiali.

Il Brasile: tra etica ed energia

Se parliamo di lusso dobbiamo chiarire che nel mercato globale è in atto una vera e propria divaricazione commerciale, sociale e psicologica che coinvolge da un lato il mondo occidentale, che elabora un nuovo codice di comportamento e una nuova visione del lusso e della preziosità, e dall’altro un mondo orientale sia vicino (la Russia, la Turchia) che lontano (l’India, la Cina), in cui vengono ripresi ed enfatizzati gli elementi e i linguaggi del lusso più tradizionale, del prestigio sociale e dello status sociale. Negli anni ’80 e ’90 abbiamo assistito ad una espressione radicale del consumo che ha permesso di esprimere soggettività latenti, che avevano cioè bisogno di supporti espliciti per definire le proprie scelte e il proprio stile di vita: come oggi avviene ad esempio in Russia. In questo paese infatti emerge uno scenario in cui il consumo ostentativo e il prodotto di lusso diventano strumento di affermazione personale e sociale: una passeggiata nelle vie principali di Mosca, o anche semplicemente un giro in aeroporto, dimostrano

Il Brasile ha elaborato nella sua storia la cultura più inclusiva del mondo, forse la sola che su questo terreno sopravanza la stessa Europa. Nei prossimi anni sarà fondamentale il ruolo strategico che il Brasile potrà assumere nel processo di ri-equilibrio tra paesi più avanzati economicamente e paesi emergenti che trovano nella creatività e nella cultura una sponda di crescita e sviluppo che diventa poi trainante anche nell’economia. La creatività brasiliana si basa sui concetti di semplicità e sostenibilità, e proprio da qui arrivano le indicazioni più interessanti dal punto di vista del mercato e del consumo. Il Brasile può in questa fase confermare una direzione che pensiamo sia stata imboccata dal mercato mondiale: in un labirinto di realtà, culture e visioni, si presenta oggi come uno dei paesi a più alta elaborazione di linguaggi espressivi e del loro interscambio sul piano internazionale. Una situazione complessa e allo stesso tempo di grande stimolo

La Russia: tra ostentazione e nuova sensorialità

Foto 1: Atmosfera rilassata e luminosa in un interno di San Paolo, Brasile Foto 2: Anche a San Pietroburgo, in Russia, la moda sta influenzando le nuove generazioni

quanto le grandi firme della moda francese e italiana, la gioielleria più appariscente e ostentativa, o le grandi marche dell’industria tedesca dell’automobile, incarnino oggi il sogno di modernità che in questo paese trova il suo passaggio obbligato nella dimensione del consumo. Assistiamo quindi a questo incrocio di destini: la società occidentale recupera il moderno e i suoi diritti, e abbandona il concetto tradizionale di lusso, esprimendosi in modo radicale attraverso l’arte personale di ognuno e l’eresia del punto di vista. Le società orientali, e la Russia in prima battuta, radicalizzano invece il consumo come l’Occidente ha fatto negli anni ’80 e ’90, e aspettano di maturare nell’alveo di quei diritti sociali che la modernità non ha ancora imposto fino in fondo.

L’India: tra materia e originarietà Negli ultimi anni il gran parlare della Cina ha cominciato ad essere affiancato da riflessioni su un paese che rischia di diventare – per motivi simili come la dimensione e la popolosità, ma soprattutto per l’unicità della propria cultura millenaria – il vero grande protagonista dello scenario socio-politico dei prossimi anni: stiamo parlando dell’India e della sua capacità di “impollinare” il resto del mondo con la propria straordinaria capacità di astrazione e di profondità concettuale che ha reso gli operatori informatici di questo paese tra i più abili del mondo. Si calcola ormai che più del 30% delle società di software statunitensi siano gestite da programmatori indiani, e lo stesso distretto di Bangalore (nel Nord del Paese) è da tempo definito “la Silicon Valley indiana”: del resto non bisogna dimenticare che l’India è il Paese in cui è nato il concetto di “zero”. L’applicazione della propria vocazione creativa e riflessiva ad altri settori - al di là del boom informatico - come ad esempio l’industria dell’elettronica di consumo e quella cinematografica, dimostrano le prevedibili potenzialità inespresse, varcando ormai le porte del mercato occidentale. Le nuove figure professionali emergenti, nel settore dei media, della comunicazione e della tecnologia, potrebbero cambiare radicalmente il tessuto sociale. Una chiave di lettura del modello indiano – accanto a tolleranza e vitalità delle comunità locali – è “l’economia della dignità”, che pone al centro dello sviluppo non la ricerca della potenza nazionale, ma l’elevazione della dignità dell’individuo, nel solco dell’insegnamento sempre attuale del Mahatma Gandhi che assumeva come misura dello sviluppo non lo Stato o la Nazione, ma l’Uomo.

Un insegnamento che si incarna tuttavia nell’innovazione scientifica, nella sperimentazione, nel mercato.

La Cina: tra simbologia e futuro realizzato Nell’immaginario cinese, il cosmo e gli esseri umani sono in profonda relazione e questo felice legame ha dato origine ad una simbologia potente, tuttora in vita. I simboli e le icone utilizzate per descrivere come un tutt’uno la relazione tra l’uomo e l’universo, sono in grado di creare un impatto, sia di tipo visivo che psicologico, con una densità ed una permanenza temporale nella mente dei singoli individui. Nonostante questo immaginario derivi sostanzialmente dal contesto naturale e dalla vita di tutti i giorni, esso propone un concetto di fluidità e continuità della materia che si espande in termini spazio/temporali, diventando una sorta di “colonna portante” per la vita, supportando valori indiscutibilmente universali. I cinesi hanno dimostrato durante i secoli una grande capacità di bilanciare gli opposti e di vivere in armonia pur essendo circondati da contraddizioni estreme che erano e sono ancora presenti nella loro vita quotidiana, nei loro comportamenti e nelle loro convinzioni sociali e politiche. Il rapporto dei cinesi con il presente vivo, la dura realtà e le forze contrastanti, insieme all’importanza già sottolineata delle creature mitiche e le tradizioni del passato, si legano a una immaginazione vivida ed incontrollata che caratterizza questo Paese. L’autodeterminazione dei cinesi è rintracciabile anche nella loro eredità culturale, che annovera molti esempi di svolte artistiche, che ne attestano anche la grande pazienza e capacità. Il bisogno di prepararsi al futuro e la consapevolezza dell’imprevedibilità del cosmo, unite alla volontà forte di migliorare le strutture esistenti e di esplorare nuovi campi artistici e scientifici, hanno portato i cinesi a sviluppare, nel corso della loro storia, capacità intellettuali e a trovare percorsi strategici, processi di pensiero che hanno poi condizionato in molti modi anche la cultura occidentale. Francesco Morace www.futureconceptlab.com

Le foto sono tratte dall’archivio fotografico internazionale e programma di ricerca ‘Street Signals’ di Future Concept Lab.

Foto 3 e 4: In India la matericità sensoriale costituisce un’attitudine naturale e integrata nel quotidiano delle persone.

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Intervista | Francesco Morace | BRIC e Made in Italy

IL SENSO DELL’ITALIA.

Istruzioni per il terzo miracolo italiano Intervista a Francesco Morace A cura di Andrea Genovese

Esce in questi giorni il nuovo saggio di Francesco Morace (sociologo, scrittore e presidente di Future Concept Lab) dedicato all’Italia, al suo senso, i suoi talenti e il suo fare quotidiano. Un tema denso e ricco di percorsi possibili, che nel corso del 2008 - all’interno del ciclo di conferenze “BRIC e Made in Italy” - Future Concept Lab metterà in relazione con quanto di più nuovo e rilevante sta emergendo dai nuovi Paesi e Mercati emergenti. In questa intervista in anteprima per 7th Floor, Morace anticipa i punti principali. In questo momento di crisi e di grande preoccupazione politico-istituzionale, l’Italia ha la possibilità di proporsi all’estero con una visione nuova ? L’Italia è il paese nel mondo – insieme al Giappone in cui si vive più a lungo. L’Italia è il paese nel mondo in cui più si vorrebbe vivere – almeno per un periodo della propria vita (da una recente ricerca internazionale in 70 paesi del mondo). L’Italia è probabilmente il paese in cui la qualità della vita “privata” (come si mangia, come ci si veste, come si arreda la casa, come si vive in famiglia, come si frequentano gli amici…) è la più alta del mondo. L’Italia è ancora oggi il paese in cui in molti settori le cose vengono fatte bene per il semplice gusto di farle bene, secondo il classico approccio artigianale. L’Italia è il paese in cui la felicità dei singoli individui potrebbe essere raggiunta con una certa facilità… “Siamo i maggiori produttori mondiali di sensazioni” scrive Beppe Severgnini nel suo divertente La testa degli italiani, ultimo capitolo di una lunga riflessione di questo autore sui nostri vizi e virtù.Eppure l’Italia continua ad essere un paese in cui i cittadini esprimono risentimento, sfiducia, pessimismo ai limiti dell’auto-lesionismo: siamo in presenza di un paradosso. Il paradosso italiano. Uscire dal paradosso significa proporsi finalmente con mente libera e consapevoli delle nostre qualità che all’estero ci vengono riconosciute, e che noi invece non riusciamo a elaborare. È da qui che bisognerebbe ripartire.

C’è ancora uno spazio per un ruolo internazionale di rilievo dell’Italia, nel panorama della globalizzazione ? L’Italia nei prossimi anni potrebbe giocare un ruolo completamente nuovo nello scacchiere internazionale, se solo vorrà e saprà valorizzare il proprio straordinario talento nel produrre felicità quotidiana. In questa missione la ‘vocazione estetica’ italiana dovrà acquisire una centralità che fino ad oggi non ha avuto, privilegiando il modello produttivo e culturale che ha saputo creare nei secoli, dal Rinascimento in poi. Bisogna comprendere che la fonte più straordinaria dell’identità italiana potrà essere rappresentata proprio dal Rinascimento: quindi non da un Evento Fatale ma da una intera fase della nostra storia in cui, pur non esistendo ancora l’Italia come Stato-Nazione, si sono coagulati tutti gli elementi che diventeranno poi il codice genetico della nostra italianità, e i nostri valori nascosti che producono qualità di vita: il Vitalismo Plurale, la Creatività Ricreativa, l’Intelligenza Relazionale, l’Universalismo Particolare. Su quali settori l’Italia deve puntare per sostenere questa sua rinascita? Dal Rinascimento storico ad oggi, è importante ricordare come le “3 A” che caratterizzano la qualità della vita nelle società avanzate (Abbigliamento, Alimentazione, Arredamento) siano anche i tre settori in cui l’Italia e gli italiani non hanno rivali nel mondo, e che dovranno essere rilanciati ripartendo da una ‘visione italiana del gusto’. Questi settori sono accomunati da una sola, grande chiave di lettura: l’Estetica. Laddove per estetica non si intende solo lo stile e l’immagine (anche i francesi e i giapponesi sono maestri in queste aree), ma soprattutto la capacità di “sentire” tipica degli italiani (estetica deriva dal greco estesis=sensazione), che ne rappresenta l’espressione più alta e completa. Il senso dell’Italia. Se, come pensiamo, ci stiamo avviando verso una società delle emozioni e delle sensazioni, l’Italia ha la straordinaria opportunità di emergere nuovamente, con la propria sconfinata competenza estetica, e con il proprio baricentro nel gusto quotidiano. È necessario un percorso attraverso la storia, la geografia, la cultura popolare e materiale, l’arte e la letteratura del Belpaese, per comprendere le radici profonde di una filosofia di vita, di un genius loci che produce il bello in modo incessante, a volte inconsapevole: sia a nord che a sud. Questa comprensione non è possibile senza una esplorazione dei modi di produrre, della vita dei distretti industriali che costituiscono il tessuto più vita-

Foto 1, 2: Shanghai: i giovani cinesi dimostrano un’attitudine alla sperimentazione estetica di grande interesse.

le della società italiana, e di un “saper fare” eccellente che discende dal modello felice della bottega rinascimentale. Il modello Italia, che nasce dal modo di vivere italiano, fondato su uno stile di pensiero “estetico” (fondato sulle sensazioni e sull’intuizione del bello), su una filosofia di vita e non su uno stile di vita, e che per questo non può essere ridotto a sistema, con i creativi e le aziende che lo rappresentano, può in questo quadro giocare un ruolo dirompente e innovativo, pur nel solco della propria tradizione, che parte dal basso, dal territorio, dai distretti e dalla tipica creatività ri-creativa che caratterizza il genius loci italiano. Il senso stesso dell’Italia. Da cosa bisogna partire per avviare una riflessione avanzata su questi temi ? Il modo migliore per cogliere la specificità della componente creativa in Italia è riflettere sulla diversità che ha assunto in Europa il concetto stesso di creatività: dalla creatività inattuale della Germania, alla creatività teatrale della Spagna, dalla creatività integrata della Francia alla creatività antagonista della Gran Bretagna: senza parlare della creatività “atletica” tipica degli Stati Uniti o di quella “cerimoniale” che caratterizza l’arcipelago nipponico. In Italia emerge invece una creatività quotidiana e spontanea. Associare il gusto per il cibo con quello per la parola e il pensiero creativo ad esempio non è – in questa prospettiva – un’operazione arbitraria (e non si dimentichi neppure che il verbo latino “sàpere” avere sapore corrisponde a sapère): in Italia l’essere saporito e l’essere sapiente si identificano, elevando il concetto stesso di gusto che diventa ri-creativo anche perché ricrea le condizioni della felicità ripetuta del quotidiano. E poi in Italia – durante il Rinascimento – comincia ad essere riconosciuto il talento, come qualità squisitamente individuale e non ereditaria. Furono infatti gli artisti del Rinascimento i primi a mettere in discussione l’ereditarietà della fama valorizzando il talento personale. È da questi temi che bisogna ripartire… Come le aziende possono rigenerarsi attivando nuovi progetti e proponendo nuovi business? In questo momento è importante produrre delle alternative culturali al modello di sviluppo delle grandi aziende e più in generale delle società industriali avanzate, non solo per il bene del mercato ma anche e soprattutto per uno sviluppo più sano ed efficace delle stesse realtà manage-

riali. Ciò è avvenuto in questi anni per le aziende coinvolte nel sistema moda o design italiano, che non lavorano per omologazione ma per distinzione, che non seguono percorsi standardizzati ma per improvvisazioni creative, che non ragionano per ruolo ma per esperienza personale, che non propongono gerarchie consolidate, ma collaborazioni in divenire. Non stiamo parlando solo del lusso (in cui peraltro l’Italia è leader con il 30% del mercato globale, sopravanzando i cugini francesi che ne detengono il 25%, come dimostra la bella ricerca del Politecnico di Milano presentata nel libro Lusso versus design), ma soprattutto del mercato dell’eccellenza quotidiana, accessibile quindi a strati molto più ampi di consumatori nel mondo (molti possono comunque permettersi un caffè illy tutti i giorni…).È necessario in questo caso chiarire la differenza tra lusso (che definisce comunque un eccesso e una rarità) e qualità eccellente, che nel modello italiano assume tanta più importanza quanto più è ripetuta, ripetibile e accessibile. Questo sistema di moltiplicazione e trasferimento permanente di qualità – che potrebbe costituire un modello alternativo sia a quello americano adottato dal mercato del largo consumo, che a quello francese più squisitamente elitario – avrebbe però bisogno di una capacità di ricerca conoscitiva – e non solo creativa – più sistematica e profonda. In questa prospettiva – anche nella realtà italiana – si tratta di immaginare dei nuovi percorsi per rendere possibile questo modello di democratizzazione della qualità che gli italiani vivono quotidianamente (pensiamo a come si mangia o si vive nelle nostre case…). Bisogna lavorare ad un’ipotesi creativa di reinterpretazione del mondo in cui le persone, le aziende e le istituzioni siano “messe in condizione” di vivere meglio, proponendo rinnovati “punti di esperienza eccellente”, in cui – siamo sicuri – le estetiche italiane acquisirebbero una nuova centralità. È qui che si giocherà la sfida produttiva e commerciale dei prossimi anni.

Future vision workshop 2008 7 aprile Le tendenze dell’Estetica contemporanea e il «laboratorio Brasile» 26 giugno Le tendenze del Consumo e il «drago cinese» 9 ottobre Le tendenze della Comunicazione e le «narrazioni indiane» 20 novembre Le tendenze della Distribuzione e la «Russia come boutique del mondo»

Foto 3 e 4: Tendenze e stili dall’estremo oriente.

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Books

Moleskine | Reportage | India

Sperando in India

semi magici di V. S. Naipaul L’India cominciò per lui all’aereoporto di Francoorte, nella saletta in cui erano riuniti i passeggeri in attesa di imbarcarsi. Studiò i passeggeri indiani – gente che con ogni probabilità di lì a poche ore non avrebbe mai più rivisto – più ansiosamente di quanto avesse fatto con i tamil e gli altri indiani a Berlino. Vedeva l’India in tutto ciò che indossavano e facevano. Era pieno della sua missione, pieno della rivoluzione avvenuta nella sua anima, e si sentiva lontanissimo da loro. (...) Dopo la lunga notte, provò una specie di panico al pensiero dell’India che stava avvicinandosi, l’India al di sotto del bagliore accecante, distruttore di colori, che poteva scorgere attraverso il finestrino. A mezzogiorno apparve il Gange, in tutta la sua vastità; scorreva lento non lontano dalla ferrovia, e a quella luce giallastra e ondeggiante il viso scuro dell’indiano si illuminò. La reverenza per la santità che gli scorreva accanto lo distolse dal gioco e dalle chiacchiere (...): si alzò pieno di forza e vitalità e uscì a isolarsi nel corridoio, immerso nelle sue meditazioni davanti al fiume sacro. (...) L’indiano si rinvigoriva a vista d’occhio all’approssimarsi del bagno che lo attendeva.

Foto di Andrea Genovese

Miti e dei dell’india di Alain Daniélou In nessuna epoca della storia indiana, un invasore o un movimento riformatore ha potuto distruggere o assimilare completamente i popoli, le civiltà, le rligioni che esistevano prima, poiché ciò avrebbe rappresentato un giudizio di valore che l’uomo rispettoso dell’opera degli dèi non si può permettere. Questo principio fondamentale dello shivaismo potostorico ha permesso alla cultura locale di sopravvivere con una prodigiosa continuità, mentre tutti gli altri continenti hanno visto le loro civiltà sistematicamente distrutte e in seguito faticosamente ricostruite dopo ogni invasione, ogni cambiamenteo sociale e religioso.

india per vedere l’elefante di Stefano Faravelli Ho disegnato e incrociato pensieri e calligrafie nella delhi dei grandi monumenti moghule in quella più nascosta delle confraternite sufi (...) Ho raccontato il miraggio del tempio d’oro ad Amritasar (...) ripercorso i luoghi venerandi di pellegrinaggio buddista, a Sanchi, e Jaina, nel Mysore. Ho dipinto la Goa gesuita con le sue chiese tridentine e le sue spiagge votive (...). Ho ritratto, seduto sulla panca degli oranti, la piccolissima struggnte sinagoga a mattancherry, e coto al volo i volti e i riti degli ultimi zoroastriani per le strade di Bombay.

Shantaram di Gregory David Roberts Ho impiegato molto tempo e ho girato quasi tutto il mondo per imparare quello che so dell’amore, del destino e delle scelte che si fanno nella vita. Per capire l’essenziale, però, mi è bastato un istante, mentre mi torturavano legato a un muro. Fra le urla silenziose che mi squarciavano la mente riuscii a comprendere che nonostante i ceppi e la devastazione del mio corpo ero ancora libero: libero di odiare gli uomini che mi stavano torturando oppure di perdonarli. Non sembra granché, me ne rendo conto. Ma quando non hai altro, stretto da una catena che ti morde la carne, una libertà del genere rappresenta un universo sconfinato di possibilità. E la scelta che fai, odio o perdono, può diventare la storia della tua vita.

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Riproduzione grafica di alcune divinità indiane: Shiva, Parvati e Ganesh

Generazioni indiane


Books

Moleskine | Reportage | India

la speranza indiana di Federico Rampini Altrettanto stupefacente del suo miracolo economico e sociale, è il fatto che l’India è riuscita in questa impresa senza perdere quell’immagine mite che seduce gli occidentali da tempo immemorabie. È cresciuta sotto i nostri occhi come un colosso, eppure non ci spaventa. Anzi, pu essendo diventata una concorrente formidabile continuiamo a considerarla un deposito di valori a cui attingere. Ci appare come un potere buono, dal fascino gentile. In parte questa è una delle ambigue magie di cui l’India è maestra, è l’arte di una seduttrice che ci ipnotizza da secoli.

i Beatles in India di Lewis Lapham Across the universe Images of broken light which dance before me like a million eyes That call me on and on across the universe Thoughts meander like a restless wind inside a letter box they tumble blindly as they make their way across the universe Jai guru deva om Nothing’s gonna change my world Nothing’s gonna change my world Nothing’s gonna change my world NOTHING’S GONNA CHANGE MY WORLD

1. Varanasi (Benares) all’alba lungo il Gange 2. Bambino indiano 3. Tempio buddista 4. Moschea e scuola coranica 5. Riti di purificazione sul Gange

Moleskine “da viaggio”

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Il Taj Mahal

digital mindstyle magazine

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Funambolici italiani Come far diventare l’Italia un centro di eccellenza dell’Hi-Tech finanziato da soldi statunitensi. Il caso Funambol.

Fabrizio Capobianco è un giovane imprenditore italiano che vive e lavora a Silicon Valley. Ingegnere, sposato, tra i pochi che è riuscito a convincere dei venture capitalist a finanziare la sua impresa digitale, Funambol, che sviluppa e commercializza in tutto il mondo – più di un milione di utenti - un’applicazione capace di gestire le email su tutti i telefoni cellulari, dal più semplice all’iPhone. Sentiamo la sua storia. > Intervista a Fabrizio Capobianco, CEO di Funambol di Andrea Genovese

Intervista di Andrea Genovese Ho incontrato Fabrizio Capobianco una sera a Roma insieme all’amico Roberto Galoppini, entrambi si occupano di tecnologie Open Source. Poi ho avuto modo di conoscerlo meglio al primo Venture Camp, organizzato a Roma nel cuore di Trastevere, da Fabio Masetti. Quello che segue è un estratto della video-intervista che potete trovare estesa sul sito di 7thfloor.it nella sezione NetTV. Andrea Genovese (7th Floor) Chi è Fabrizio Capobianco e cosa fa Funambol? Fabrizio Capobianco (Funambol) Sono il CEO di Funambol, un’azienda della Silicon Valley che ha un centro di sviluppo in Italia, a Pavia, e la sede principale nella baia di San Francisco. La mia azienda ha 65 dipendenti di cui 35 in Italia. Sono partito dall’Italia per andare a prendere capitale di rischio negli Stati Uniti e sviluppare quello che è diventato il più grande progetto open source sul wireless al mondo!

utenti finali. Per l’utente finale c’è un portale gratuito – my.funambol.com - dove ti puoi registrare e, qualsiasi provider di posta elettronica tu abbia, puoi scaricare il software e utilizzare la mail.

F.C. Sono partito dalle montagne della Valtellina, sono andato a Pavia e mi sono laureato in ingegneria informatica, nel ’94 ho avviato la mia prima azienda, Internet Graffiti, sviluppavamo siti web quando ancora il web non esisteva. Poi ho fondato un’altra azienda che si chiamava Stigma Online e nel ’99 mi sono trasferito negli Stati Uniti. Mi sono trovato un lavoro per avere il permesso di soggiorno e dopo due anni con la carta verde ho aperto Funambol. Ho aperto il dizionario italiano alla voce fun, il divertimento è un po’ l’obiettivo aziendale; la prima cosa che è entrata in ufficio è un calcio balilla, poi sono entrati i dipendenti. L’azienda è nata in Italia però. Ho prima messo in piedi per un anno il centro di sviluppo a Pavia. Poi sono tornato in america e ho trovato capitale di rischio. A.G. Molti lettori sognano di aprire un’impresa in America, trovando finanziamenti di ventura. Raccontaci esattamente come fare, che consigli puoi dare a chi vuole fare un’impresa come la tua? Sviluppare software è la cosa migliore se si vuole fare un’impresa globale. Perché è trasportabile facilmente nel mondo, senza scatole o magazzini. Siamo partiti facendo un’azien-

da internazionale dal primo giorno. Abbiamo scelto l’open source come tecnologia di sviluppo e oggi abbiamo più di un milione di download, una comunità mondiale. Non abbiamo cercato di fare una piccola media azienda italiana. Certo, siamo partiti con capitale proprio, ci siamo autofinanziati. Avevo degli amici business angels in Silicon Valley, mi sono fatto dare un piccolo finanziamento iniziale da un fondo italiano di Venture Capital gestito da Value Partner. Sono tornato negli Stati Uniti a vendere software ad aziende americane e nel 2005 ho trovato capitale di ventura da un venture capitalist californiano. Non è facile, i venture capitalist ne vedono mille di aziende in start up all’anno e, in media, investono su una o due. Le probabilità sono basse: è inutile creare illusioni. Noi abbiamo avuto fortuna. Purtroppo l’Italia non è percepita come un paese avanzato sull’hi-tech ma sul design. Siamo percepiti ancora molto come il paese della pizza dove è bellissimo vivere. Io avevo già sviluppato il software, era diventato di successo, era disponibile e usato da migliaia di persone. Questa è la strada, partire da un progetto open source cercare di espanderlo, magari verso il mercato americano. Sappiate che gli investitori mettono i propri capitali sulle persone più che sui mercati o sui progetti! A.G. Tu sei in due tecnologie chiave: l’open source commerciale e il software mobile 2.0, ma da dove ti è venuta l’idea? Risate. Schiamazzi di motorini e ragazzi per le strade bellissime di Trastevere! (ndr) F.C. I miei genitori sono medici, ho avuto un’infanzia molto difficile! Scherzi a parte, i miei sono due psichiatri. I miei primi

F.C. Sono venuto su invito dall’ambasciata americana per parlare con gli imprenditori italiani e provare a riprodurre il modello Funambol in larga scala, creando altre aziende che abbiano tecnologia italiana, centri di sviluppo italiani e cerchino capitale di rischio straniero. Purtroppo oggi in italia il capitale non esiste. Mentre invece esiste la tecnologia e può essere esportata nel mondo. Cerco quindi società, che vogliano aprire una sede a Silicon Valley e tenere i centri di sviluppo qui. Ossia fare quello che si chiama “offshoring” in Italia, invece che in India o in Cina.

A.G. Di cosa si occupa esattamente Funambol? F.C. Si occupa di software per dispositivi cellulari. Sviluppa un programma per ricevere la posta elettronica sul proprio telefonino. Il nostro software è venduto direttamente agli operatori mobili – non in Italia in questo momento – e agli

Il software è creatività, è design, nonostante il nostro paese sia poco sviluppato ci sono tantissime persone estremamente in gamba. Loro devono avere la possibilità di accedere al mercato mondiale perché quello italiano è limitato.

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A.G. Raccontaci meglio come è iniziata la storia di un ingegnere di Sondrio di 36 anni che studia a Pavia e poi fonda un’azienda a Silicon Valley?

A.G. Sei in cerca di capitali di rischio in Italia?

Gli ingegneri italiani sono tra i più bravi, i costi di sviluppo sono molto ragionevoli – ahimè stiamo parlando degli stipendi (ndr) – e, il dipendente italiano è molto più fedele all’azienda di quanto non lo sia un indiano.

Una formula semplice: cervelli italiani, capitale americano.

Sviluppare software è la cosa migliore se si vuole fare un’impresa globale. Perché è trasportabile facilmente nel mondo, senza scatole o magazzini.

Fabrizio Capobianco CEO di Funambol, sul suo New Beettle per le strade di Mello Park digital a Silicon Valleymagazine 27 mindstyle


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tre anni li ho passati in manicomio! Ho avuto da sempre il pallino dei computer e della tecnica. Ho cominciato a giocare con l’Atari, i giochini elettronici fin da bambino. Nel ’89 sono stato per qualche mese in america. Nel ’95 ci sono tornato sempre come “invited scientist” nei laboratori HP a Palo Alto. Mi è piaciuto moltissimo. Nel ’99 mia moglie ha ottenuto un posto a Stanford e io l’ho seguita e senza un visto sono arrivato in Silicon Valley con il mio cv e ho trovato un lavoro. Partire da Italiani e cercare un lavoro non è semplicissimo, ma è fattibile.

Ovviamente si lavora parecchio, ma il concetto è “start with fun”, fare le cose che ti piacciono, divertirsi, dare lavoro a tante persone. Il mio sogno non è fare i soldi, ma esportare tecnologia italiana nel mondo. Far ripartire il paese Italia sull’hi-tech.

A.G. Che vita si fa a Silicon Valley?

In India non c’è proprietà intellettuale e non ci si fidelizza all’azienda. Il nostro è un modello particolare di azienda. Nessuno timbra il cartellino, ci sono le playstation e il calcetto. Si lavora molto da casa. Tutti i dipendenti hanno le stock option e soprattutto si lavora a un software collaborando con tutto il mondo. Il respiro è internazionale, una motivazione in più rispetto a sviluppare del software gestionale.

F.C. Io vivo a Menlo Park che dista mezz’ora di macchina da San Francisco. L’azienda dista 5 minuti da Oracle e 7 minuti da casa mia. Nella mia giornata tipo mi sveglio alle 7, con nove ore di fuso orario i miei ingegneri sono svegli e lavoro le prime ore del mattino con nostro team di sviluppo o A un imprenditore ilcon clienti europei.

italiano consiglio di prendere la valigia, venire a studiare in Silicon Valley come funziona il meccanismo, cercare capitali, collegarsi con il gruppo degli italiani che è foltissimo.

Mi piace stare a casa, mi piace lavorare in pigiama. Con le pantofole di paperino ho chiuso i miei migliori “deal”. Verso le 11 vado in ufficio, trovo i miei colleghi americani, i vari “vice president”, trovo la mia macchinetta della Lavazza con le cialde che, insieme al mio calcetto Garlando, abbiamo solo noi in tutta la Silicon Valley. A.G. Quali sono le figure professionali chiave della Funambol?

F.C. Tutta la parte dei business development marketing, sales e il CTO, il gestore tecnico, che è in Italia, il bravissimo Stefano Fornari che è il vero ingegnere del gruppo. Il pomeriggio sto in ufficio; se cerco capitali di rischio e sto facendo fund raising vado in giro per la Silicon Valley. Vado nelle sedi dei venture capitalists. La maggior parte sono a Melno Park, quelli che hanno investito in Google, in Yahoo!, anzi in un’unica via si trovano quasi tutti. Il problema è solo convincerli ad investire. A.G. Qual è il tuo modello organizzativo e cosa sogni di fare? F.C. Vedi, io ho una New Beetle e giro nei bar dove si incontrano i capitani di ventura come a Milano incontri quelli della moda. In Silicon Valley fare networking o fare business nella tecnologia è più facile che a Roma, dove forse puoi incontrare dei ministri in un caffè!

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L’analisi è molto chiara. Rispetto ai paesi europei abbiamo gli stipendi tra i più bassi. Siamo quindi competitivi. In più quelli indiani stanno crescendo rapidamente. Noi abbiamo una fidelizzazione delle persone che non trovi in altri paesi.

A.G. Quanto guadagni Fabrizio e il tuo team? F.C. Non si può dire. Abbastanza per sopravvivere ma non abbastanza per comprarmi la casa in Silicon Valley, che costa da 2 milioni in su. Il costo medio è basso, andare al ristorante, la benzina. Gli affitti sono incredibili invece, anche gli asili. Un junior sw engineer comunque guadagna da 70 a 90 mila dollari, un senior da 100 a 120, un director intorno ai 140, un vice president sui 160 -180 più la componente stock option visto che si spera di vendere l’azienda per molti soldi. Poi ci sono i bonus fino al 20%. I venditori hanno le commissioni e guadagnano molto di più dei CEOs. A.G. Come hai organizzato la parte commerciale, la rete di vendita? F.C. Noi abbiamo un senior vice president sales in Silicon Valley. Dei bravi venditori negli Stati Uniti e in un ufficio europeo. Quest’anno dovremmo aprire in Asia, molto probabilmente in Cina. A.G. Come trovi le persone da inserire nella tua azienda e di quanti capitali investiti stiamo parlando? F.C. Usiamo dei recruiters, hanno costi significativi ma accelerano molto la ricerca, anche se prendono il 20% del primo stipendio annuale. In generale fare business negli Stati Uniti, in particolare a Silicon Valley, senza soldi di venture capitalist è quasi impossibile. Noi abbiamo recuperato attraverso un primo round in due fasi circa 10 milioni di dollari. Adesso stiamo cercando di fare un secondo round tra i 10 e i 20 milioni di euro.

Prendere il capitale non è gratis, si chiama “dilution” ovvero diluizione delle proprie quote; il concetto chiave di prendere soldi di venture capitalist è avere una fetta più piccola di una torta più grande. Quantunque abbia dato delle percentuali della mia azienda al venture capitalist, alla fine la mia fetta è più grande perche’ e’ cresciuta la torta, semplice. A.G. Che consiglio daresti a un imprenditore italiano? F.C. Dipende. È sicuramente una questione di vocazione. Creare una piccola azienda di 14 persone ha un suo significato che rispetto molto. Io ho altre ambizioni, voglio fare aziende mondiali, mirare ad aziende come Google. So che si può fare. A un imprenditore italiano consiglio di prendere la valigia, venire a studiare a Silicon Valley come funziona il meccanismo, cercare capitali, collegarsi con il gruppo degli italiani che è foltissimo. Vi invito a scrivermi se volete spingere un progetto negli Stati Uniti. Questa è la mia mail, e questo il mio sito. capo at funambol.com www.funambol.com/blog/capo

In cerca di Venture Capital Di grass root capitalism ed imprenditoria di prima generazione se ne comincia a parlare anche in rete. Dal primo barcamp sul tema coordinato da Fabio Masetti, fino al progetto Mind the Bridge che ha appena concluso la prima fase del “business plan competition”: barcamp.org/VentureCamp mindthebridge.org Segnaliamo: Richerd Boly responsabile del programma Partnership for Growth, dell’Ambasciata Americana a Roma e organizzatore del VentureCamp. Dagli Stati Uniti Giacomo Marini, attualmente Founder and Managing Director di Noventi ed ex fondatore di Logitech alla ricerca di progetti ed idee di valore. A Torino l’esperienza di Arturo Artom President and CEO di Your Truman Show. Imprenditore Serial e venture Capitalist, tra i pochi in Italia ad interpretare questa forma di finanziamento all’innovazione. Gianluca Dettori, fondatore di Vitaminic e oggi impegnato in una attività di seeding di aziende promettenti. 1st generation network un network di giovani imprenditori seriali italiani che sta portantdo avanti la divulgazione della cultura imprenditoriale e di raccolta di progetti e realtà legate al web 2.0.

noventivc.com redcouch.typepad.com/weblog/2007/04/your_truman_ show.html yourtrumanshow.com 1generation.net italy.usembassy.gov/p4g/italiano noventivc.com/giacomo_marini.htm digital mindstyle magazine

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Mobile War Il futuro degli smartphone Prima puntata. BlackBerry: dal mondo enterprise al mondo consumer Incontriamo Alberto Bevilacqua di RIM, direttore della business unit dedicata a Vodafone per il sud Europa, un’azienda che produce un oggetto di culto per quelli che, con licenza poetica, mi prendo il gusto di chiamare la “Management Class 2.0”. Parlo ovviamente del BlackBerry e delle evoluzioni della sua efficiente quanto semplicissima gestione della mail sul cellulare. L’ho incontrato e intervistato in vista dello sbarco in Italia dell’iPhone della Apple - forse più indicato per la “Creative Class 2.0!? -, che sarà ovviamente l’oggetto della seconda puntata. Non perdete la video-intervista su 7thfloor.it nella sezione NetTV!

Intervista ad Alberto Bevilacqua di Andrea Genovese Andrea Genovese (7th Floor) Alberto sei il direttore per BlackBerry (BB) delle operazioni con i carrier - gli operatori di rete radiomobile - per l’Italia e la Grecia. Così recita il tuo biglietto da visita - il BlackBerry è lo smartphone mentre l’azienda che lo produce è la RIM, Research In Motion. Aggiungo io che sei giovane, sposato con due figli, hai una piccola decappotabile con la quale giri per Milano, frequenti i Meet The Media Guru e i Mobile Monday. Lavori in un ufficio della Regus e ti stai scaldando per una grande sfida. Sei pronto? Alberto Bevilacqua (BlackBerry) Nella classifica delle 100 migliori aziende Hi-Tech del mondo, redatta ogni anno da Business Week, RIM (Research In Motion) è undicesima, Motorola non c’è e Nokia è diciassettesima. Apple è sesta ma questa classifica non tiene ancora conto del lancio del nuovo iPhone. RIM non è solo un’azienda che produce hardware ma rappresenta un’azienda che ha degli abbonati (più di un milione e seicentomila quelli acquisiti nell’ultimo trimestre a livello mondiale), come gli operatori tradizionali quali Vodafone o Tim. La BlackBerry, quindi, non è solo un’azienda che vende hardware, telefonini o smartphone con un servizio molto efficiente di gestione delle mail sul cellulare. Non produce solo un oggetto ergonomico, affidabile, di design, che consuma poche risorse. Fornisce soprattutto agli utenti finali un servizio di prima classe per la gestione in mobilità delle email. Lo forniamo direttamente ai carrier - Tim, Vodafone, 3 etc. - e loro lo rivendono agli abbonati, principalmente manager di grandi aziende, imprenditori e consulenti ICT. Per ora.

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A.G.La mail push sembra essere la killer application giusto (lo diceva Sentinelli quasi 10 anni fa!)? A.B.Siamo stati i first mover sulla mail mobile e “quasi” l’unico mover ad oggi sulla mail push. Facciamo chiarezza su questo termine. Mail push vuol dire che la mail arriva da me e non sono io che devo andare a cercare se ci sono nuove mail. Tecnicamente vuol dire che c’è un sistema che si preoccupa di monitorare costantemente le mail enterprise e quelle consumer, ogni volta che c’è un cambiamento di stato - ad esempio una nuova mail, mail cancellata o altro -, le sincronizza con il device. Tutto questo lo fa il NOC, il Network Operating Center di RIM, un grandissimo data center, in realtà più di uno dislocati in Inghilterra per il mercato Europa, Africa e Medio Oriente e uno in Canada per America e Asia, che servono più di 8 milioni di abbonati al servizio. Il NOC ha accesso a una banda illimitata, ha una capacità di calcolo superiore a qualsiasi server di posta elettronica o terminale, minimizza l’uso di banda ed è per questo che la stragrande maggiornaza dei nostri terminali è in standard GPRS o EDGE. Ad esempio i 2Mbyte al mese di traffico sono paragonabili più o meno a circa 4 mila email scambiate. Quindi una grossa parte tecnologica risiede sulla rete, la vera piattaforma abilitante. In un sistema di push email simulato, invece, il cellulare costantemente invia pacchetti IP per verificare se ci sono cambiamenti di stato in una casella email. L’esperienza per

l’utente finale è simile ma tutto questo crea più traffico, consuma più banda e quindi più soldi, consuma più batteria e la mia esperienza dura quindi molto meno. A.G.Ho visto i nuovi terminali, molto compatti come l’8120. Qual è la nuova strategia? A.B.La nuova strategia vede BlackBerry impegnata ad affrontare il mercato consumer. Icone, trackball, tasti funzione, email push, allegati di office e pdf, cameraphone, facebook, mappe. Attualmente su Blackberry alcuni terminali usiamo Google Maps che fa un’interpolazione delle celle GSM anche se non ha dentro l’antenna GPS. Mentre i Pearl 8110, Curve 8310 e 8800 hanno l’antenna integrata. La navigazione internet sfrutta la stessa piattaforma abilitante BlackBerry, che naviga lei per conto del terminale, comprime le informazioni, le renderizza e le invia al terminale. A.G.Quanto costa avere un BlackBerry? I prezzi vengono fatti dai carrier. Dipende dal profilo di utilizzo, dai 25 euro al mese in su, terminale e minuti inclusi. Le tariffe sono flat o simil flat, con un limite massimo che non viene mai superato per un uso corretto. Insomma ci stiamo spostando verso il mercato consumer, non saremo più solo uno strumento per le aziende e i professionisti.

che attraverso la sua forza commerciale può allargare la conoscenza di queste nuove applicazioni. A.G.La tendenza è quella di avere degli standard aperti, stanno entrando sempre più gli operatori virtuali, il social networking su mobile sta facendo i primi passi. Voi che piani avete? A.B.Il nostro sistema operativo è basato su Java, la mobile edition, è uno standard aperto, chiunque può sviluppare applicazioni, ci sono dei programmi di supporto. MDS Studio è un sistema con Pearl 8110 un’interfaccia punta e clicca per il mondo enterprise immediatamente utilizzabile da tutti i nostri clienti. Un esempio di queste applicazioni appena sviluppata è proprio Facebook sul BlackBerry. Segue una bella dimostrazione di come funziona nel suo BlackBerry questa nuova applicazione web 2.0 sul mobile (ndr). A.G. Web 2.0, ricezione continua di email, essere sempre interrotti magari da 100, 200 email al giorno. Sembra un inferno più che un’opportunità?

A.B. Sicuramente c’è un po’ di “overkill”, non di più però delle televisioni in metro, di interAlberto Bevilacqua net ovunque, delle stazioni radio sempre acA.G. cese. Il BlackBerry ti dà molta libertà, in realSembra quasi una strategia anti Apple. Con tà puoi lavorare con la email mentre giri per la città, vai a l’iPhone nello stesso mercato cosa cambia? prendere i bambini a scuola o stai comodamente seduto a A.B.Siamo ancora all’inizio. Credo che ci possa aiutare ad un ristorante, sempre meglio che restare in ufficio davanti allargare il mercato. Noi abbiamo creato questo segmento, a un monitor! gli smartphone convergenti, cellulari legati ad un certo tipo di servizio che sfruttano un collegamento dati e non sono Come dice il fondatore di RIM, Mike Lazaridis, dobbiamo essere noi a dominare queste tecnologie. E per essere padroni solo degli organizer che lavorano in locale. delle tecnologie, del nostro tempo libero, siamo noi stessi Ora è arrivata Apple. Sicuramente allargherà la così det- che dobbiamo prenderci una pausa dall’essere sempre conta notorietà, l’awareness di questo tipo di servizio che nessi. Il tasto principale è il tasto OFF. lavora anche in modalità connessa always on. Sfrutta una tecnologia differente, ma la vedo come un partner Email: abevilacqua@RIM.com digital mindstyle magazine

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User Generated Advertising Zooppa è una piattaforma innovativa di pubblicità generate dagli utenti e sponsorizzate dalle aziende. > www.zooppa.com

Zooppa [at] Social Media Lab & MiniBar Zooppa è stata invitata a partecipare, lo scorso 15 febbraio presso l’Università IULM di Milano, al secondo appuntamento di Social Media Lab, intitolato per l’occasione: “SPREAD THE WORD - Web 2.0, marketing e reti di comunicazione informale”. L’incontro è servito a offrire un panorama più ampio sulle evoluzioni del marketing e dell’advertising nell’era dei social media, con particolare attenzione all’efficacia delle nuove strategie di comunicazione basate su community online, user-generated content e passaparola. Nel corso della stessa giornata, Zooppa ha avuto l’opportunità di presentarsi come start-up all’interno del primo appuntamento di MiniBar-Italy, una conferenza/aperitivo di stampo londinese organizzata per la prima volta presso la Triennale di Milano, allo scopo di incentivare l’attività imprenditoriale e l’innovazione nel Web 2.0 italiano. Troverete nel sito ufficiale dei due eventi - http://www.socialmedialab.net – le informazioni riguardanti le altre start-up partecipanti e le relative presentazioni. 7th Floor è media partner di Social Media Lab e MiniBar. Presto su 7th floor.it le analisi e i materiali riguardanti le iniziative più interessanti emerse nel corso di questi due appuntamenti milanesi.

Stefano Mizzella

Il “what is” del sito di Zooppa riassume in modo efficace il servizio offerto da questa start-up italoamericana, incubata all’interno di H-FARM, centro per la ricerca e l’innovazione nel campo delle tecnologie e dei nuovi media, situato a Ca’ Tron, vicino Venezia. Lo scopo di Zooppa è quello di offrire agli utenti uno spazio per la creazione e la condivisione di nuove forme di user generated advertising. Riportando un estratto della nota societaria, vediamo come Zooppa sia legata a “un modello di business in cui persone e aziende entrano in contatto in un contesto virale basato sulla creatività e sul riconoscimento di una somma di denaro variabile per i contenuti autoprodotti. Questo significa incentivare il talento creativo di tutti coloro che solitamente non hanno voce in capitolo nel mondo tradizionale della pubblicità”. Il primo elemento su cui riflettere riguarda proprio la possibilità di mettere in contatto utenti non professionisti e il mondo corporate, all’interno di un contesto dedicato alla valorizzazione di contenuti creativi prodotti dal basso. Il modello di business di Zooppa rappresenta dunque una grande opportunità sia per gli utenti che per le aziende. Zooppa si relaziona costantemente con aziende, nazionali e internazionali, interessate a sfruttare i contest lanciati dal sito per commercializzare il proprio marchio attraverso nuove forme di advertising. Si legge ancora nella nota societaria: “Sulla base delle indicazioni fornite dalle aziende committenti, gli utenti sono invitati a creare pubblicità per marchi o prodotti delle aziende in questione. Gli utenti registrati possono partecipare con diversi tipi di contributi: scrivere un’idea o una breve sceneggiatura per una potenziale pubblicità, realizzare delle pagine grafiche con il logo dell’azienda e un pay off, produrre un’animazione o girare un video vero e proprio”.

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bile per qualsiasi altro media. Perché potrete aumentare la creatività della vostra comunicazione e avere moltissimi nuovi spunti. Con Zooppa.com avrete accesso ad un bacino creativo molto più esteso, sia grazie al numero di utenti che intervengono nel nostro sito sia grazie alle caratteristiche del mezzo utilizzato. Il nostro modello favorisce l’accesso ai nuovi linguaggi di comunicazione al ritmo di Internet. La catena generatrice di valore è riassunta da Zooppa attraverso questa sorta di diagramma di flusso: IO ti do un MARCHIO > TU crei una PUBBLICITÁ > TU voti la MIGLIORE > IO ti PAGO. Ciò significa, più nel dettaglio, che a seguito di un accordo commerciale tra Zooppa e una società, viene lanciato all’interno del sito un nuovo contest per gli utenti. Questi ultimi, a loro volta, sono incoraggiati a collaborare tra loro attraverso un meccanismo di incentivi, denominato Team Bonus, che serve a ricompensare chi, per esempio, ha realizzato un video utilizzando l’idea di un altro utente, premiando dunque in modo proporzionale sia l’autore che il videomaker. Risulta interessante anche il meccanismo di social ranking che Zooppa propone ai suoi utenti. È la community, infatti, a decretare i vincitori dei vari contest: in base ai voti e ai commenti ricevuti dagli altri utenti, Zooppa assegna i premi in denaro ai video che hanno raggiunto il punteggio più alto. Sono previste, inoltre, altre forme di collaborazione tra utenti e aziende. Nel caso in cui un’azienda decidesse di utilizzare i materiali postati sul sito per sfruttarli come campagne pubblicitarie su altri mezzi, Zooppa svolgerebbe a quel punto il ruolo di intermediario tra gli autori dei contenuti e le aziende stesse, assicurando un range di prezzo variabile all’interno del quale far incontrare gli interessi degli utenti e delle aziende. Zooppa ha al suo interno una sorta di microeconomia che richiama alla mente i Linden dollars di Second Life. Gli Zoop$ dollars rappresentano infatti la moneta virtuale emessa dalla ZoopBank e si guadagnano partecipando e piazzando in classifica i propri lavori nelle varie gare (uno Zoop$ equivale ad un dollaro americano, anche se gli Zoop$ possono essere convertiti in dollari reali solo dopo aver raggiunto la soglia minima di 1,000 Zoop$).

Perché il vostro marchio potrà essere visto da un’audience allargata di persone. I video postati vengono promossi nella rete sia dallo staff di Zooppa sia dagli utenti stessi, che contribuiscono a innescare un circolo virtuoso di viralità.

www.zooppa.com Ribaltando il punto di vista dalla parte non più dell’utente ma delle aziende, il precedente diagramma di flusso assume ora nuove sembianze: TU ci dai il tuo MARCHIO > …e sponsorizzi una GARA su ZOOPPA > NOI ti forniamo la PUBBLICITÁ > …e ti diciamo come sei PERCEPITO. La successione del diagramma serve sostanzialmente a rispondere a una domanda che sembra più che lecito porsi. Perché, infatti, una grande azienda, con un brand già riconoscibile, dovrebbe rivolgersi a un servizio come Zooppa per lanciare la propria campagna di advertising? E perché, soprattutdecidere di affidarsi alla Persone e aziende to, produzione di utenti non professionisti e non alle entrano in competenze certificate di contatto in un un’affermata agenzia pubblicitaria? Questa la risposta contesto virale o, meglio, le risposte, fornite basato sulla direttamente da Zooppa:

creatività e sul riconoscimento di una somma di denaro variabile per i contenuti autoprodotti.

“Perché potrete contare sulla forza innovativa di uno strumento in continua espansione come Internet, sfruttandone tutta la viralità e la capacità di raggiungere ogni angolo del globo con una velocità impensa-

Gli utenti che partecipano alle gare non solo entreranno in contatto con il vostro marchio, ma condivideranno le loro idee parlando di voi nella rete. In questo modo, potrete avere un riscontro reale di come le persone percepiscono la vostra azienda”. La viralità della piattaforma è inoltre aumentata e rafforzata dai diversi servizi di community che Zooppa mette a disposizione dei propri utenti: Zoopperland, Matto per Zooppa e il Big Zooppa Blog. Strumenti, questi, utili per conoscere e scambiare opinioni con i vari zooppers, commentare i video più belli e acquistare gadget ufficiali. Una risorsa, soprattutto, per incentivare la creazione e l’espansione del buzz, ovvero il passaparola prodotto dagli utenti su brand e servizi che, grazie al web, sta letteralmente rivoluzionando le tradizionali dinamiche di marketing e di social reputation. Il social advertising di Zoppa è un chiaro esempio del modo in cui i nuovi protagonisti del web hanno l’opportunità di modellare le proprie risorse creative su un inedito modello di produzione e scambio di conoscenza. Allo stesso tempo, le imprese e le aziende più innovative hanno di fronte l’occasione di far proprie tali risorse come mai è stato possibile fare fino ad ora perché, come affermano Don Tapscott ed Anthony D. Williams all’interno di Wikinomics, “co-creare con i clienti è come attingere al bacino di capitale intellettuale più qualificato che sia mai stato aggregato”. digital mindstyle magazine

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Imparare Online il business del futuro La ricetta per creare dei “learning environment” di successo è complessa, incentrata sulle persone, sull’interazione e sulla non-linearità... > di Robin Good (masternewmedia.org)

Imparare online diventa un asset decisivo. In una società in continua e sempre più rapida trasformazione il poter apprendere in maniera rapida ed efficace diventa gradualmente un’esigenza sentita da una sempre più grande percentuale di persone. Conoscere, essere aggiornati, saper gestire e manovrare nuove informazioni sono gli asset di chiunque si affacci per la prima volta o voglia far carriera nel mondo lavorativo.

O sai adattarti, imparando continuamente cose nuove, o le possibilità di inserirti e di migliorare in maniera significativa le tue ambizioni professionali diventerà un compito sempre più difficile. Perché gli attuali corsi online sono un fallimento. A nessuno piace studiare in solitudine e dovendo rispettare un percorso rigido, e predeterminato da altri. Certo sarebbe fantastico poter finalmente imparare online quanto più ci interessa e ci appassiona senza dover ancor’oggi utilizzare metodi di apprendimento che non sono molto meglio della lettura di un libro di 200 pagine, anche se riccamente illustrato ed online. Ma purtroppo il paradigma dominante dell’apprendimento online è stato finora e rimane ad oggi quello di trasformare e “riconfezionare” per il Web contenuti didattici, spesso preesistenti, a volte con il complemento di classi in diretta, domande e risposte con gli alunni, e la tradizionale sequenza di moduli e test per procedere da un livello ad un altro. Esattamente lo stesso modello utilizzato dai nostri sistemi educativi tradizionali. E, come avrai già capito da solo, il problema è proprio qua. Se vuoi veramente trasformare la qualità e il livello di apprendimento che puoi offrire attraverso un corso a distanza l’unica maniera per farlo è quella di trasformare la “natura” del corso, dal modello statico e lineare che hai visto a scuola, in un modello flessibile, appassionante e coinvolgente proprio come la natura del web, il luogo di fruizione/interazione del corso. Una volta iscritto in uno qualsiasi dei corsi online disponibili oggi, ti accorgi che è peggio che essere iscritti ad un’Università Italiana. Sei solo, e devi leggere e imparare una barca di cose. Sì, ci sono i professori a cui puoi scrivere, ma il tutto avviene in email private. Si ci sono delle belle slide colorate, ma in fondo i contenuti sono gli stessi di un corso classico con l’aggiunta di qualche animazione in più... “il mazzo” te lo devi fare di nuovo così come hai sempre fatto... non è cambiato proprio nulla rispetto a come si imparava prima del web. Anzi, nei corsi classici la presenza fisica degli altri studenti e amici offriva una palestra di apprendimento sociale e culturale ben più ampia e preziosa di quello che un corso a distanza così concepito può fornire. Quindi non è nel ripubblicare i contenuti di corsi tradizionali online che si può creare un ambiente per l’apprendimento online che valorizzi sia tutte le potenzialità del web sia i più avanzati principi di pedagogia.

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L’importanza di adottare una nuova formula per l’apprendimento online. Voltiamo pagina. Il segreto della nuova formula dell’apprendimento online, sulla quale alcuni imprenditori d’avanguardia stanno già investendo le loro migliori energie e risorse, è invece quello di valorizzare le caratteristiche naturali ed Uno sviluppo intriseche del Web cercando continuo e allo stesso tempo di miscelare quanto gli esperti di apcollaborativo prendimento ed educazione dei materiali hanno scoperto in questi ultimi anni.

d) Ognuno impara all’ora e nel momento che desidera. Corsi online che richiedono la presenza ad ore e giorni prestabiliti per effettuare test, presentazioni od altro sono anacronistici. Tutte le materie devono poter esser studiate nei tempi e nelle modalità scelte dallo studente.

Gli ingredienti più popolari li avrai già sentiti nominare più volte... lo studente, e non il “maestro” deve essere il fuoco di attenzione... i metodi di insegnamento devono consentire a studenti con caratteristiche diverse di imparare comunque in maniera soddisfacente... l’interazione dello studente con gli altri studenti e con i materiali di apprendimento è vitale... e via dicendo.

f) Ognuno ha modi e tempi diversi per apprendere. Un corso online deve poter offrire i materiali di studio in più formati in modo da poter soddisfare in maniera flessibile le diverse esigenze di ogni studente. Lo stesso contenuto può essere fornito sotto forma di un articolo illustrato, di presentazione con audio, di podcast/mp3 (ascoltabile in macchina, in autobus o in treno, o mentre si fa jogging) e anche di screencast e di video. C’è chi preferisce leggere e chi apprende meglio ascoltando qualcosa.

disponibili, concepito come un club di appassionati piuttosto che come un classico corso di formazione.

La ricetta è relativamente semplice, gli ingredienti non sono difficili da trovare. Quello che è particolarmente difficile è avere l’umiltà di capire che la miscela di competenze e professionalità richieste per creare dei “learning environment” di successo è complessa, incentrata sulle persone, sull’interazione e sulla non-linearità, è basata su uno sviluppo continuo e collaborativo dei materiali disponibili, ed è concepita come un club di appassionati piuttosto che come un classico corso di formazione. La miscela non è sostituibile da tecnologie o automatismi mirati esclusivamente a “confezionare” in formati sempre più accattivanti e modulari i contenuti destinati all’apprendimento.

La ricetta a) Lo studente è il centro d’attenzione. Corsi completamente pre-confezionati in modo da soddisfare il numero più largo di persone sono il passato. La parola d’ordine e personalizzazione. Flessibilità. Opzioni. E sei tu, lo studente, a determinare cosa e quando studiare. b) Il corso non è un mezzo per avere un pezzo di carta con il quale aprire delle eventuali porte. Il corso è realmente un percorso di apprendimento reale, fatto di relazioni e sperimentazione e feedback continuo che ti consente di creare le porte che vuoi tu per andare dove interessa a te. c) Lo studente partecipa. Perché è realmente interessato ad imparare in maniera efficace insieme a persone che coltivano gli stessi interessi e passioni.

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e) Imparare non è un percorso lineare ed uguale per tutti. I moduli di un corso non devono per forza essere realizzati in un formato sequenziale che obbliga tutti a seguire lo stesso percorso. Ogni studente deve poter liberamente scegliere quali moduli è interessato a seguire ed in che ordine intende procedere, includendo il poter cambiare idea ogni qualvolta le circostanze lo richiedano.

g) La comunità è vitale. Per imparare bisogna poter fare tante domande. Per imparare è essenziale poter partecipare in una comunità dove esistono altre persone appassionate e seriamente interessate ad imparare le stesse cose che interessano a te. Il nuovo modello di apprendimento, applicabile a siti che richiedono una registrazione così come a corsi professionali in campi più tradizionali, fornisce allo studente molteplici “forum” dove poter non solo porre domande, ma dove anche imparare dalle conversazioni e dalle domande e risposte dell’intera “comunità” di studenti. h) Si impara meglio quando il corso lo insegna qualcuno che ci ispira e in cui abbiamo grande stima e fiducia. Non si può impacchettare un bel corso online semplicemente sulla base di contenuti sviluppati da gente anonima e assoldata per una stagione. Di contenuti è pieno il web. Le librerie sono piene di libri. Quello che fa veramente la differenza è chi insegna il corso. Nel vecchio paradigma lo scoprivi dopo esserti iscritto, nel futuro dietro l’angolo lo staff di chi insegna è il cuore del valore offerto. i) Condividere è il nuovo metodo, dinamico. Insegnare è il vecchio, fisso, statico. Chi “insegna” lo fa condividendo le sue esperienze e creando dei modelli da emulare, analizzare e migliorare. Se la costante di questa epoca è il cambiamento continuo, come si può insegnare adottando un metodo che presuppone regole ed assunti ben fissi e predeterminati? L’idea che imparare qualcosa possa avere un inizio ed una fine è un’idea fuorviante. Imparare è un’attività che oggigiorno non ha un termine. Medico, avvocato, editore, architetto o blogger non fa differenza. Oggi se vuoi essere un esperto di qualcosa, l’unica cosa di cui puoi essere sicuro è che se non studi ogni giorno, ci sarà certamente qualcun altro che lo farà al posto tuo. Meglio e più in fretta. Robin Good www.masternewmedia.org

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Richard Moross, Moo.com, Londra

Jay Bhatti, Spock.com, San Francisco

Brad Jefferson, Animoto.com, New York

Spock, Moo e Animoto, tre start up che cercano di cambiare alcuni aspetti della nostra vita sfruttando le risorse digitali. > di Gianfranco Chicco Alcuni di loro creano un nuovo motore di ricerca, che vive solo nel mondo dei bit, altri da questa piattaforma saltano al mondo reale. Ormai è indiscussa la capacità di generare vero business (soldi!) da parte di questi imprenditori.

I Digital Entrepreneurs sono quegli imprenditori che abbracciano un’idea e la fanno diventare realtà basandosi fortemente sulle risorse digitali.

Sono giovani, sognatori e abituati a muoversi con disinvoltura nel mondo della tecnologia. Le loro non sono invenzioni radicali nel senso stretto del prodotto, ma attraverso la reinvenzione di attività che sembravano stagne utilizzando il design, la cross-pollinizzazione e lo sfruttamento della tecnologia a disposizione. Scopriamo tre “start-up” che vivono all’estero, ma che potrebbero perfettamente essere nati in Italia:

Jay Bhatti (San Francisco), co-fondatore & CEO di Spock.com, una specie di Who’s Who 2.0 che vuole diventare l’applicativo numero uno al mondo per la ricerca di persone. Richard Moross (Londra), fondatore & CEO di Moo.com, che sogna nuovi strumenti per aiutare le persone a convertire i loro contenuti virtuali in bellissimi prodotti stampati per il mondo reale. Brad Jefferson (New York), co-fondatore & CEO di Animoto. com, che concentra la sua passione nell’automatizzare il pro-

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cesso creativo per creare contenuti video che abbiano il valore di una produzione che ti aspetteresti di vedere in un film o in tv.

Identikit: Young Tutti oggi trentenni, sono nel mondo del lavoro da parecchi anni e hanno capito quasi subito che volevano avere una propria azienda. Technology, my friend Jay è stato product manager alla Microsoft, Richard -laureato in scienze politiche- ha imparato a evitare errori lavorando in una dotcom startup e Brad ha fatto il commerciale nel settore dell’enterprise software. Per loro la tecnologia è parte del passato, presente e futuro. The idea In parte per caso, in parte dedicandole tempo e rinunciando ai loro altri lavori, i loro progetti sono nati tra un Sake bar di New York, una Pool House in California e la voglia di dare qualcosa di fisico agli utenti del proprio sito di social networking. Business model Animoto segue il modello freemium (free + premium): gratis la creazione di video di 30 secondi; 3 dollari (o 30 per l’abbonamento annuale “all-access”) per la creazione di video “fulllength”. Spock è attualmente concentrata nello sviluppo della user experience e nel lungo termine il business model prevede di mostrare pubblicità e consigli innovativi e rilevanti quando la gente fa una ricerca. Moo si specializza nella stampa e

vendita di “beautiful products”, utilizzando immagini caricate direttamente dagli utenti o da una galleria di designer. Design & Power to the People Il design è al centro di queste iniziative, non solo come valore estetico ma come esperienza di navigazione, di acquisto e nel linguaggio utilizzato con l’utente. Nel caso di Moo si espande anche al prodotto fisico e al packaging. Tu diventi l’artista al momento di creare un video, tu sei il designer che produce bellissimi biglietti da visita, tu contribuisci a descrivere le persone della rete. Flat world Le frontiere sono diventate invisibili grazie a internet. Moo vende in più di 140 paesi, Spock è accessibile da praticamente tutto il mondo e nei primi mesi di vita i video di Animoto sono stati visti da 10 milioni di navigatori. No marketing Sono diventati famosi grazie al passaparola digitale e non, e tra i loro piani di comunicazione non troverete attività di marketing convenzionale. Hanno concentrato le loro risorse nell’offrire l’esperienza migliore possibile e poi la blogosfera e il social networking hanno fatto il resto. Community rulez Il primo accordo di Moo è stato attraverso le community di Flickr, mentre i ragazzi di Animoto sono diventati famosi grazie al giro di blog che hanno recensito la loro beta. Spock è una specie di sito di meta-social networking che si appoggia sui vari profili personali/professionali disponibili su Linkedin, Facebook, Wikipedia, ecc.

Start-up I loro consigli per fare una start-up si possono riassumere in: 1. Muoviti velocemente, prova quanto prima la fattibilità della tua idea. 2. Pianifica per il successo. Il fallimento significa semplicemente che devi passare alla prossima idea. 3. Assumi i migliori. Cerca persone intelligenti, motivate e che abbiano la “right attitude” verso la tua azienda. 4. Sii aperto, trasparente e sincero verso il mondo esterno: condividi la tua visione con gli utenti e con la stampa. Non lasciare che nessun altro incominci a definire che cosa sei. 5. Lavora con gente fidata, che ammiri e che ti ispira. 6. Se disponibile, prendi più investimenti di quelli che credi sia necessario.

Quali sono secondo te gli imprenditori digitali italiani più interessanti del 2008? scrivimi a gianfranco.chicco@gmail.com digital mindstyle magazine

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Login | idee 2.0 | social networking | cross media

La creatività? È tutta nell’iperdefinizione del particolare Intervista a Davide Bennato a cura di Davide Pellegrini

È un dato di fatto che, nel panorama della comunicazione contemporanea, stia cambiando qualcosa; e sarebbe certo facile ri-partire, come spesso si legge, dalla più che nota citazione (ancora oggi attuale) di Marshal McLuhan: il mezzo è il messaggio. Facile perché, rispetto a quel che cambia e alla velocità in cui cambia, il debito citazionista di McLuhan permane come unico assunto vittorioso dell’epoca post-modena. Noi vogliamo pensare che ci sia di più e in una chiacchierata con Davide Bennato, docente all’Università di Roma “La Sapienza” - dove insegna Sociologia della Ricerca e dell’Innovazione presso la facoltà di Sociologia e Teoria e Tecniche dei Nuovi Media presso la facoltà di Scienze della comunicazione - abbiamo parlato di come le nuove strutture sociali, sempre più al passo coi linguaggi e le tecnologie - soprattutto 2.0 - stiano di fatto configurando un nuovo tipo di società e di ecosistema relazionale. DP Ho letto di una ricerca, condotta da Microsoft e da MTV, che afferma che la maggior parte degli adolescenti considera l’e-mail uno strumento superato. È vero? DB Sì, direi che si stanno modificando le strategie relazionali. Vedi, nell’ultimo rapporto della Con.S.Com viene fuori che l’Instant Messaging è di gran lunga lo strumento più utilizzato dai giovani del Regno Unito. Questo indica che le persone, nel mettere a punto i modi relazionali, considerano internet o gli sms come un modo con cui elaborare le strategie che si mettono in atto nella vita di tutti i giorni. La messaggistica dei social network ha questo di particolarmente innovativo: riproduce il sistema delle relazioni nell’ottica del capitale sociale personale, cioè della rete dei contatti del proprio mondo. La cosa paradossale è che ormai questi strumenti sono usati per mettere ordine nell’overload informativo. Si tratta, ormai, di gestire liste di contatti. DP Stai parlando delle nicchie di Chris Anderson… DB Beh, consideriamo che siamo di fatto in grado di gestire solo un certo numero di rapporti sociali (siano essi rapporti di lavoro piuttosto che amicali). Abbiamo un limite massimo: quando vediamo sui social network persone con un alto numero di contatti, in realtà quello è social spamming, i contatti reali - diretti - sono sempre molto meno.

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DP A proposito di questo, ho letto una case history di Wired che annunciava Facebook come nuovo passo avanti nella progettazione dei social network. Qual è l’opportunità reale che offrono queste piattaforme rispetto al consolidamento di una proprio mondo relazionale? DB Prima del carnevale dei social network, il termine indicava una tecnica di analisi statistico-sociale che mostrava i rapporti che le persone hanno tra di loro. Oggi, comunque, ci troviamo di fronte al networking individualism, individui fatti di reti che cercano di far collidere network tecnologici e network sociali. DP Insomma, torniamo alle reti forti e reti deboli di Mark Granovetter? DB Hai citato Mark Granovetter, che sta a un sociologo come Dante a un letterato. Lui era partito da come le persone trovano lavoro, e aveva dimostrato che difficilmente si può trovare rivolgendosi alle conoscenze più vicine, mentre è più facile trovare lavoro con le persone che non appartengono al proprio stretto mondo affettivo, persone conosciute per caso con cui non si intrattengono legami sociali costanti (appunto i legami deboli). Il perché è da ricercarsi nella motivazione omofiliaca dell’uomo in quanto animale sociale: l’uomo stabilisce legami stretti con chi

più gli somiglia, rimanendo chiuso in un universo sociale circoscritto, mentre le persone che meno gli somigliano riescono ad aprire un universo che, proprio perché sconosciuto, può essere ricco di stimoli. DP Un altro aspetto delle reti è questa tendenza al collaborativo. Vengono fuori studi che dimostrano che la collaborazione tra tanti è la risposta più efficace alla soluzione di un problema, come nel caso del recente best seller di James Surowiecki, La saggezza delle folle. Possono davvero le reti portare a dei cambiamenti produttivi? DB C’è da dire, rispetto al fenomeno della partecipazione e collaborazione, che è stata rispolverata un’idea che esiste da sempre: il fatto che le proprietà di un sistema emergono più delle singole proprietà di ogni elemento che compone il sistema stesso. È interessante il concetto in termini sociali: per avere un problem solving creativo di tipo collettivo, abbiamo bisogno di molte idee confliggenti tra loro. In questo caso, il confronto permette di produrre cose sofisticate, come nel crowdsourcing. DP Ma non c’è il pericolo della sparizione del singolo individuo, dell’autore-proprietario dell’idea? DB Il crowdsourching è solo un tassello. Ci sono tanti altri strumenti che valorizzano e difendono il ruolo del singolo autore. Il vero trait d’union tra i tanti in rete e il singolo è però l’atteggiamento di incontro di competenze diverse, in una parola la cross-medialità. Mi spiego: la cross-medialità ti costringe a utilizzare linguaggi di cui non sempre sei competente, e molto spesso la conseguenza è nella consapevolezza di avere bisogno di saperi differenti dal proprio. DP Steven Jhonson nel suo libro Tutto quello che ti fa male ti fa bene, parla di una specie di Curva del Dormiglione, e afferma che i linguaggi sono diventati molto più complessi favorendo la capacità da parte delle persone di percepire e codificare trame elaborate (pensiamo a film come Matrix o a sceneggiati come Lost, o ancora a videogiochi tipo Worlds of Warcraft). Henri Jenkins, in Cultura Convergente, parla addirittura di idee che vivono in forme diverse: Matrix è un film, ma anche un fumetto e un videogioco, così come Il Signore degli Anelli. DB Io distinguerei un aspetto culturale da un aspetto produttivo. Dal punto di vista culturale, una trama complessa permette che io possa declinare diverse sottotraccie dell’opera principale secondo diversi metodi di comunicazione (il videogioco, il fumetto, il film, ecc). Per quanto concerne l’aspetto produttivo può essere una necessità: creare una buona idea e da questa idea sviluppare varie applicazioni possibili, è una strategia di marketing corretta. Comunque, chi produce un Networking qualcosa di culturale deve individualism, realizzare un immaginario, cioè un universo chiuso in individui fatti cui tutti gli elementi sono di reti che riferiti uno all’altro. Non è un caso che un’opera come cercano di far Il Signore degli Anelli, così collidere network ricca di trame e sottotrame, sia stata in grado di costrutecnologici e ire un universo simbolico di tale portata da condizionetwork sociali.

LA SAGGEZZA DELLE FOLLE Titolo: La saggezza delle folle Autore: james Surowiecki Prezzo: € 15,50 Traduttore: Bruno Tortorella Editore: Fusi Orari

TUTTO QUELLO CHE TI FA MALE TI FA BENE Titolo: Tutto quello che ti fa male ti fa bene Autore: Steven Johnson Prezzo: € 15,00 Traduttore: Fjdor B. Ardizzola; Francesca Ioele Editore: MOndadori, Saggi, collana Strade Blu

nare diversi tipi di espressione mediatica. Prendiamo anche Lost, il cui filo narrativo è connotato da topoi classici, come l’essere sperduti in un’isola - Robinson Crusoe -, la situazione imprevedibile catastrofica - l’Isola Misteriosa -, con aperture verso strategie narrative tipiche dei librigame (cosa succederà se il personaggio sceglie l’opzione… ?), che è la marca autoriale di personaggi del calibro di Borges. Sembra un paradosso, ma questi prodotti, che hanno una grande capacità cross-mediale, richiedono in realtà universi simbolici quanto mai chiusi e con riferimenti che si rimandano l’un l’altro. Era già successo con The Blair Witch Project e con Donnie Darko. DP In che modo questo discorso di un immaginario linguistico così esteso - di contro a un universo culturale e simbolico chiuso - va a condizionare la creazione delle idee? DB Ormai, dato un sistema complesso, la creatività è tutta nell’iper-definizione del particolare (ad esempio, in Lost è come con i flashback e con la frammentazione della storia di un personaggio, si ricrea la sua identità). E lo stesso vale per Il Signore degli Anelli. Si è capito che mi piace Tolkien?! d-pellegrini@tiscali.it digital mindstyle magazine

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Login | formazione | Bocconi | cross-media

Cross Media Lab Il laboratorio per i professionisti del futuro > a cura di Vito Di Bari

Un laboratorio universitario per formare professionisti. In uno dei settori più richiesti da agenzie pubblicitarie e aziende di comunicazione: nuovi talenti in grado di pensare e progettare in modo cross-mediale. Di fronte all’esplosione di nuovi strumenti per comunicare on-line e off-line e all’affermarsi del concetto di “cross-media”, molte agenzie si sono trovate negli ultimi anni sprovviste di professionisti in grado di comprendere la nuova logica e usarla al meglio. Ecco che blog, podcast, net tv, social network, viral marketing, sono tutte parole di cui si parla tanto ma spesso, purtroppo, si conosce troppo poco. È questo il senso del Cross Media Lab, il primo laboratorio di comunicazione che si è concluso a Milano. È un innovativo progetto dell’Università Bocconi, sempre attenta a cogliere i segnali del nuovo e a sintonizzare la sua offerta didattica su questi nuovi percorsi. “È stata la prima esperienza formativa universitaria in Italia, mirata espressamente a creare professionisti del cross-media. Una quarantina di ragazzi dell’ultimo anno d’università, a sei mesi dalla laurea, sono stati trasportati in questa nuova dimensione della comunicazione, con tantissima analisi e altrettanto lavoro pratico. Non solo per capire, ma anche per imparare a fare”. Come è stato impostato il laboratorio? Innanzitutto attorno ad una collaborazione stretta con l’agenzia pubblicitaria Leo Burnett Italia, il partner ideale per questa iniziativa. Recentemente classificata come la 18° agenzia mondiale per creatività (in un ranking internazionale in cui nessun’altra italiana si è imposta nelle prime 100), il CFO Nicola Novellone ha rilasciato ai ragazzi tre brief di lavoro. Tre brief veri, su cui i suoi stessi creativi hanno lavorato. Così da mettere alla prova gli studenti su casi concreti, con cui fra pochi mesi si troveranno ad avere a che fare, una volta usciti dall’università. Li ha poi reincontrati durante il corso, dopo che il team dei docenti aveva già proposto ai ragazzi decine e decine di casi studio internazionali e li aveva avviati in un lavoro di gruppo che è stato altamente qualificante.

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La conclusione, con la presentazione davanti alla Commissione (composta da un mix di professionisti e di docenti, tra i quali Andrea Genovese Direttore di 7th Floor e responsabile dell’agenzia cross-media Map Cross Communication), in cui il livello dei lavori è stato giudicato assolutamente sopra la media, trattandosi di progetti universitari. Una preparazione intensa, insomma. Che è derivato da un lavoro impegnativo durato mesi, sia in aula, sia sul blog del corso, 300 post e decine di approfondimenti didattici pubblicati e discussi. Potete vedere uno dei lavori realizzati per il luxury brand Penne Montegrappa. Dateci un occhio, ne vale davvero le pena. vitodibari.net crossmedialab.blogspot.com slideshare.net/crossmedialab/

WEB 2.0

Vito Di Bari, docente dell’Università Bocconi e fra i più riconosciuti esperti di innovazione in Italia, ha riunito vecchi amici e nuove conoscenze, in un libro appena uscito per il Sole 24Ore, dall’esplicito titolo “Web 2.0 – Internet è cambiato. E voi?”. Attorno a questa domanda si snodano i 46 interventi degli esperti italiani e internazionali per spiegarci come il web sta cambiando e quali sono le logiche che lo guidano. Per supportare sia i comuni utenti che i professionisti a nuotare in un mare che è cambiato rapidamente. “In Italia si fa tanto parlare di Web che cambia, di nuova generazione del Web, ma a parte testi tecnici o guide pratiche, mancava una guida approfondita e chiara per spiegarci il Web 2.0. Ed è uno di quei concetti che stanno avendo un impatto talmente profondo sul modo di lavorare e di relazionarci, che ho pensato di mettere assieme le migliori voci del panorama internazionale per spiegarci di cosa si tratta”. digital mindstyle magazine

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Pausa | progetti 2.0 | call to action | spazzatura

mondospazzatura.org Un progetto può cambiare il mondo? > a cura di Alberto Abruzzese

LE FASI 1) L’evento mediale. Bisogna partire subito con la comunicazione virale

tori, gli esteti, gli scienziati e tecnologi, i comunicatori, gli abitanti, ecc ecc

sulla rete, nel giro di poche settimane bisogna che il virus emerga sulle

della spazzatura). Anche qui bisogna partire da subito per trovare idee,

piattaforme generaliste della stampa e della televisione, e bisogna avere

linguaggi, collaborazioni adatte in tempi molto stretti, non più di un mese

raggiunto già un picco di visibilità “scandalosa” entro meno di due mesi,

er trovare gli autori e stendere i testi. Il libro verrà presentato alla confe-

quando si apre Galassia Gutenberg a Napoli (28-29-30 di marzo), che sarà

renza stampa di Galassia Gutenberg, assai probabilmente prima di girare

l’occasione di una grande Conferenza Stampa in cui realizzare un primo

nelle librerie.

momento di riflessione e lanciare altre fasi del progetto.

3) La conferenza stampa di Galassia Gutenberg. Sarà l’occasione per

2) L’instant book. L’editore Apogeo offre i mezzi per pubblicare entro la fine

comunicare il programma di altri eventi: convegni, pubblicazioni, seminari

di marzo un libro sulla spazzatura puntando su una alta tiratura (temi: i

nell’ambito delle università , delle imprese, delle amministrazioni.

trafficanti, i mandatari, gli speculatori, i mercanti, i politici e amministra-

Galassia Gutenberg a Napoli (28-29-30 di marzo) siete tutti invitati.

Chiamata alle arti! sulla necessità fisiologica di produrre spazzatura. Dove la spazzatura non appare vuol dire che è stata trasferita o trasformata in altro luogo o altro modo. Napoli viene denunciata dall’opinione pubblica internazionale per il fatto che tradisce l’onorata società dei regimi politico-amministrativi in grado di celare la loro qualità di produttori e spacciatori di spazzatura. Napoli è la dimostrazione di un sistema nazionale incapace persino di perseguire ciò che altrove garantisce la sopravvivenza delle istituzioni attraverso il mascheramento delle proprie responsabilità a fronte del resto del mondo, dei territori e dei popoli che fanno da discarica alla ricchezza dei consumi, alle estetiche del benessere, alle ideologie ecologiche. Il senso comune progressista e civile che porta i politici e commentatori locali, nazionali e internazionali a ragionare sul disastro della spazzatura in Campania non riesce a intaccare la tracotanza degli specifici responsabili storici e attuali di questo disastro. Questi utlimi parlano lo stesso linguaggio dei loro accusatori. Si appellano agli stessi valori e alle stesse pratiche.

Si tratta di una operazione virale ispirata all’immagine catastrofica e insieme enigmatica, paradossale, della spazzatura a Napoli. L’obiettivo è quello di mettere in conflitto tra loro tutte le pratiche, ideologie, culture, scienze, tecnologie, politiche, etiche, estetiche, economie, religioni, professioni ed esperienze passate e presenti, personali e collettive, nazionali e internazionali che il senso comune ha attribuito e attribuisce alla spazzatura. Si tratta quindi di fare esplodere e implodere i sensi, le immagini e le narrazioni che stanno saldando in un unico granitico stereotipo, in un unico blocco opportunista e razzista, l’apparizione delle discariche della mala amministrazione del mondo moderno ai luoghi e corpi della Campania. Un “capro espiatorio” che produce e produrrà nuovi effetti perversi sulla perversione della civiltà contemporanea. Qui espongo l’idea del progetto, una prima elaborazione dei concetti che intende comunicare, nel corso di un anno a partire da ora. Ma si tratta di un progetto in costruzione, e la sua natura modulare consente ed anzi richiede una continua partecipazione di tutti gli interessati alla fase di ideazione, promozione e decollo. Dunque spero che risulti chiaro lo scopo di mobilitazione con cui scrivo a voi lettori di 7th Floor, sperando che allarghiate da subito la rete. Organizzandovi in vario modo e da punti di vista diversi per partecipare al progetto “spazzatura del mondo”, al perfezionamento delle sue implicazioni relazionali, di comunicazione dal basso (blog; siti; video-telefonia mobile; web 2.0), di insurrezione simbolica, di pensiero estremo, sperimentale, di diversi“Non c’è ficazione su zone di interesse multimediali e multiidentitala spazzatura rie tra loro in conflitto.

a Napoli e nel mondo ma la spazzatura del mondo”.

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La effettiva realizzazione del progetto dipenderà da una elaborazione diretta, in proprio, delle persone e comunità della rete, ma anche

dalla risonanza che gli eventi virtuali avranno sui mezzi di comunicazione tradizionali e sul territorio reale. Dipenderà soprattutto da piani di comunicazione e marketing efficaci; da operatori creativi; da interlocutori innovativi e capaci di rischiare la propria “faccia pulita”, il proprio gusto dell’igiene sociale, la propria tossicodipendenza estetica.

Su cosa lavorare L’idea di partenza riguarda una condizione temporale e territoriale che ha sempre caratterizzato Napoli, estremo confine del mondo a partire dal grand tour, territorio da sempre catastrofico e tuttavia innovativo, creativo, spazio in cui i corpi sociali, la natura e la carne, sviluppo e sottosviluppo si fondono insieme. A Napoli si fanno visibili le

Foto ed elaborazione grafica Ribes Satta cose che altrove la civiltà moderna riesce a celare. A Napoli l’eccesso delle sue forme di vita rivela in modo tragico e violento ciò che altrove si mantiene sulla soglia dell’ordinario, ai limiti o appena oltre le soglie della legalità. L’agire di stampo mafioso o la disaffezione alla sfera pubblica fanno apparire alla luce forme di azione che “attutite, nascoste o protette” appartengono alle pratiche culturali e professionali di gran parte delle istituzioni e imprese del mondo civile, non solo italiano. Così accaduto infine con la spazzatura. Napoli fa vedere senza scarti tra reale e simbolico la effettiva natura del modello di sviluppo occidentale fondato

Ci vuole dunque ben altro dal senso comune. Bisogna agire una vera e propria guerriglia culturale contro il senso comune. Far vedere la spazzatura nei luoghi del senso comune nazionale e internazionale. Il pensiero occidentale ha del resto riflettuto spesso sulla spazzatura in chiave estetica, psicoanalitica, consumista, imprenditoriale, spettacolare ecc ecc. Si tratta di rimettere in gioco ogni forma di pensiero sulla spazzatura e della spazzatura. Invitare a usare la spazzatura come linguaggio. Il progetto si articola per ora in tre fasi, suggerite dall’incrocio e convergenza tra i primi interlocutori di cui si è verificata una disponibilità a mettere a disposizione da subito i propri mezzi, persone, capacità e strutture (oltre a Galassia Gutemberg di Napoli, l’editore Apogeo di Milano e “7thfloor” come rivista e come rete di eventi virtuali), infine l’associazione culturale IRIS di Roma e altri operatori, studi e istituzioni come i vostri che desiderano partecipare. Scrivetemi alberto.abruzzese@fastwebnet.it

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A tutto cuore!

Kevin Roberts CEO Worldwide di Saatchi & Saatchi

L’economia dell’attrazione. Intervista a Kevin Roberts > di Carmen Rolle È d’effetto parlare d’amore tra i manager del World Business Forum. A farlo è Kevin Roberts, CEO Worldwide di Saatchi & Saatchi, che ha appena pubblicato “Effetto Lovemarks. Vincere nella rivoluzione dei consumi” (Franco Angeli). È innegabilmente uomo d’effetto, Kevin Roberts, così come lo è stato il suo intervento, con filmati ad alto tasso emotivo e battute sagaci. Partendo da Mary Quant, passando da Gillette in Medio Oriente, Procter & Gamble nei Paesi arabi, PepsiCola in Canada (quando sorpassò nella vendite il gigante CocaCola), Roberts ha dedicato la vita a promuovere marchi di successo. Con un atteggiamento particolare: quello del sentimento. Perché per creare dei brand vincenti, secondo lui, non sono sufficienti rispetto e responsabilità. Occorrono amore e ispirazione. Sono pochi i marchi che sono stati capaci di creare un legame emotivo con i consumatori, una relazione che andasse al di là del semplice apprezzamento. Sono quelli che vengono ammirati, protetti, amati con passione. Sono i Lovemarks. I Lovemarks si inseriscono nella corrente di sogno che ciascuno possiede. Il primo suggerimento di Roberts è seguire l’esempio di Martin Luther King, e puntare proprio sulla costruzione di un sogno intorno al business, un orizzonte più ampio del prodotto o dello stesso brand, qualcosa che sappia toccare le corde più profonde delle persone e diventi fonte di ispirazione per i consumatori, ma anche per i dipendenti e i collaboratori che lavorano in azienda. “Tornate ai vostri affari domani e scrivete il vostro sogno, e lasciate perdere le affermazioni sulla missione o sulla visione aziendale”, sostiene Roberts. “Dovete avere un sogno. Le persone vogliono essere parte di un sogno, vogliono essere inspirate, vogliono lavorare per qualcosa di più grande di un prodotto. Un sogno ha a che fare con il raggiungere le stelle, non con il contarle.” Roberts ha anche aggiunto “Se lavori per un’azienda che non ha un grande sogno, cambia azienda!” I Lovemarks rendono evidente che quando si tratta di decidere il motore reale è l’emozione. L’80% delle decisioni delle persone sono dettate dall’emozione, e solo il 20% dalla ragione. La razionalità permette di trarre delle conclusioni, mentre l’emozione porta all’azione: e questo è l’obiettivo di qualsiasi azien-

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da. Più emozione, più azione. L’attrazione emotiva è ciò che produce la fedeltà oltre ogni ragione, che crea relazioni che durano nel tempo. Il mondo dei consumi è profondamente cambiato: il consumatore non è più disposto ad accettare passivamente cosa gli viene proposto dai produttori, ma ha assunto un ruolo attivo. Dall’economia dell’Informazione, della Conoscenza, dell’Esperienza, dell’Attenzione, oggi siamo arrivati all’Attraction Economy: al posto dell’interruzione ciò che conta è il coinvolgimento. Definizioni come business-to-business o business-to-consumer non hanno più significato, vale solo people-to-people, per cui hanno successo quei brand che riescono ad attrarre e provocare interazione con il consumatore. Secondo Roberts, i Marketer si devono trasformare in Connector. Nell’era dell’Attraction Economy anche la misurazione del ROI va ripensata: dal Ritorno sull’Investimento al Return on Involvement, il ritorno sul coinvolgimento, concentrandosi sull’empatia che si suscita nel consumatore. Perché è l’empatia la fonte principale dell’economia dell’attrazione: niente è più potente del mostrare una comprensione profonda di quello che le persone hanno di più caro.

Nel suo intervento Roberts mostra come è possibile verificare la differenza tra un brand e un Lovemark, utilizzando i due assi Amore e Rispetto. Nel quadrante Poco Rispetto + Poco Amore stanno i commodity, i prodotti che esercitano scarsa attrazione sui consumatori. Molti dei brand tradizionali possono essere invece posizionati nel quadrante Molto Rispetto + Poco Amore. Sono i prodotti fermi alla parola più: più splendente, più forte, più veloce. Ma nel nostro mondo competitivo, la bontà funzionale è un must, e da sola non è sufficiente. Si caratterizzano invece con Poco Rispetto + Molto Amore i brand di moda, i prodotti che vivono una breve ma intensa vita e sono destinati a essere rapidamente dimenticati. Spesso però ciò che nasce come moda passeggera, può trasformarsi in Lovemarks, posizionati nel quadrante Molto Rispetto + Molto Amore. Per guadagnarsi la simpatia e la fiducia incondizionata dei propri interlocutori alla performance si deve aggiungere l’amore. Se molto rispetto fa guadagnare la fedeltà, è l’emozione che vale sul lungo periodo. Questo è il quadrante dove le aziende devono puntare. Ma come fare per arrivare al Lovemark? Oltre a essere rispettato, un prodotto è amato dalle persone perché combina tre qualità principali, che Roberts chiama tre segreti: mistero, sensualità e intimità. Il mistero ha a che fare con lo sconosciuto, la sorpresa, l’inaspettato. È l’elemento che tiene in vita le relazioni di lunga durata. È il raccontare storie, combinando metafore, sogni e simboli. Un esempio, che Roberts ammira molto, è Diesel. La sensualità è la capacità di sollecitare i cinque sensi: la vista, il gusto, l’olfatto, l’udito, il tatto sono le porte dell’emozione. Secondo Roberts, Starbucks ha costruito la sua fortuna con la sensualità, come gli hotel di Bulgari, dove tutto solletica i sensi. La sensualità tiene i cinque sensi in allerta, offrendo al consumatore un’esperienza indimenticabile e irresistibile. L’intimità evoca empatia, impegno, passione. È il piccolo gesto perfetto che porta alla fedeltà assoluta e che rimane nel tempo. Un esempio italiano è Illy. Nel parlare di Lovemarks, di prodotti carismatici, Roberts è un autentico trascinatore, capace di suscitare lui stesso emozioni e sentimenti (anch’io non ne sono stata immune). Gli ho fatto qualche domanda. Sostieni che quello che davvero conta è l’amore, questa connessione cuore a cuore con una marca. Quanto delle tue esperienze personali ha contribuito nello sviluppo di questa visione del mondo dei consumi? “Innanzitutto grazie per questa domanda, è la prima volta che mi viene rivolta”, risponde visibilmente contento. “Per me quello che conta è la passione. Una passione che anima tutto quello che faccio nella mia vita. Ed è anche la ragione per cui amo così tanto l’Italia e cerco di venirci spesso:

Se lavori per un’azienda che non ha un grande sogno, cambia azienda!

per voi è un atteggiamento naturale. In questo voi popoli latini e mediterranei siete all’avanguardia. Siete profondamente emozionali e passionali e questo traspare in tutte le vostre azioni, e nelle vostre comunicazioni.”

Come siamo arrivati all’Economia dell’Attrazione, basata sulle emozioni? “Fino a pochi anni fa eravamo nell’“Economia dell’Attenzione”: le aziende cercavano in tutti i modi e mezzi di attirare il consumatore. Oggi questo atteggiamento è stato sostituito dall’“Economia dell’Attrazione”: l’interruzione è stata sostituita dal coinvolgimento. Le persone sono sempre di corsa, non hanno tempo, e non devono essere pressate, ma attratte emotivamente. Quello che conta è il cuore.” Nelle tue parole c’è anche molto interesse per l’impegno, l’ambiente e la sostenibilità? “Oggi siamo passati dalla società del business alla società degli ideali. Sogni e valori non saranno più così distinti, anche nel business ci sarà una grande dose di responsabilità sociale.” Carmen Rolle digital mindstyle magazine

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Il futuro? Un altro mondo.

Ray Kurzweil

Ray Kurzweil tra nanorobot, cellule sintetiche, organi di ricambio, il mondo di domani sarà alquanto singolare. > di Carmen Rolle Un evento di incredibile portata si sta avvicinando. Sarà in grado in cambiare ogni istituzione e ogni aspetto della nostra vita. Il portavoce della venuta di questa potente trasformazione è un personaggio che il Wall Street Journal ha definito “genio irrequieto”: Ray Kurzweil. Insignito del Lemelson-MIT Prize – il premio più prestigioso al mondo per l’innovazione – e della National Medal of Technology, è uno dei principali studiosi del futuro impatto della tecnologia. Kurzweil ha definito questo evento “Singolarità”, e gli ha dedicato anche un libro, “La singolarità è vicina”, edito in Italia da Apogeo. Anche senza averla mai esplicitamente menzionata nel suo intervento non parla d’altro. Ma cos’è questa Singolarità? Secondo l’eclettico studioso “è un periodo storico futuro in cui il tasso di innovazione tecnologico sarà talmente veloce e il suo impatto talmente profondo, che la vita sarà totalmente trasformata.

Questa epoca cambierà i concetti base che utilizziamo per dare significato alla nostra vita, dal modo in cui facciamo affari, al ciclo della vita umana, morte compresa.” L’idea chiave è che il tasso di cambiamento della tecnologia sta accelerando e le sue capacità stanno crescendo in un modo che non è lineare, ma esponenziale. Ci sarà un’impressionante accelerazione nel progresso, che pone all’orizzonte scenari difficili da immaginare. D’altronde, i progressi sono già sotto gli occhi di tutti, e l’elenco dei campi in cui il computer può oggi superare le capacità umane cresce continuamente. E non si tratta di applicazioni ristrette, ma che toccano una larga gamma di settori. Il punto fondamentale, secondo Kurzweil, è che la crescita esponenziale è ingannevole: mentre inizia quasi impercettibilmente, poi esplode con furia inattesa. Secondo il tecnologo, il futuro sarà molto più sorprendente di quanto la maggior parte di noi sia in grado di capire, perché pochi comprendono le implicazioni dell’accelerazione del tasso di cambiamento. La maggior parte delle previsioni a lungo termine sottovaluta la portata degli sviluppi: sono basate su un’interpretazione storica lineare, e non invece esponenziale. Kurzweil ritiene che i suoi modelli indichino che il tasso di cambiamento di paradigma cambia ogni decade: per questa legge dei ritorni accelerati nel ventunesimo secolo non avremo solo cent’anni di innovazioni, ma una grandezza pari a ventimila anni. Kurzweil sottolinea che questo progresso così perfetto non è il risultato della singola tecnologia di una company, bensì di un sistema tecnologico comune, grande quanto il pianeta. Non importa infatti se la crescita di una tecnologia o di una

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società si interrompe: qualcun altro in un punto qualsiasi dell’ecosistema, prima o poi riuscirà a superare la barriera. Nel suo discorso mostra anche che la potenza delle tecnologie informatiche (per quanto riguarda la velocità, le capacità, il rapporto prestazioni/prezzo) cresce esponenzialmente ad un tasso sempre più veloce, oggi pari al doppio ogni anno. Questo spiega perché molte società che non appartengono all’Information Technology si vanno trasformandosi in aziende centrate sull’ict, nel tentativo di acquisire questa tendenza in crescita: è quanto è successo in ambito farmaceutico, biomedico, medicale. Saranno i progressi nel campo della miniaturizzazione, legati all’unione tra biologia e informatica, a portare a incredibili invenzioni nella nanotecnologia. Permetteranno la manipolazione della realtà fisica a livello molecolare. Si creeranno nanarobot, robot molecolari misurabili in micron (milionesimi di un metro), come il “Respirocyte”, un eritrocito nanomedicale artificiale: è un globulo rosso artificiale che è già stato prodotto da un Istituto americano. Disegnato per duplicare tutte le importanti funzioni della cellula sanguigna, avrà la

Il futuro sarà molto più sorprendente di quanto la maggior parte di noi sia in grado di capire, perché pochi comprendono le implicazioni dell’accelerazione del tasso di cambiamento.

funzione di fungere da sostituto universale del sangue, conservando i tessuti, consentendo nuovi record sportivi, e aiuterà nella cura di malattie, come l’anemia, problemi polmonari, asfissia. Questo e i prossimi strumenti, ci daranno la possibilità di un corpo nuovo, e apriranno la strada all’immortalità teorica. Un altro campo dove abbiamo fatto progressi notevoli è quello delle tecniche di neuroimmagine, come la Pet e la fMRI, che misurano la risposta emodinamica, ossia l’aumento del flusso sanguigno in certe aree cerebrali attivate durante l’esecuzione di un compito, dandoci la possibilità di vedere l’organo al lavoro. Anche qui, secondo il futurologo, c’è una crescita esponenziale: la nostra capacità di indagine raddoppia ogni anno. Con delle conseguenze incredibili: avremo gli strumenti necessari a dare il via al processo di reingegnerizzazione del cervello, quello che Kurzweil chiama il “reverse engineering”, cominciando con la decodificazione del suo funzionamento. Abbiamo già ottenuto interessanti modelli e simulazioni di alcune regioni del cervello, ma nel giro di vent’anni avremo completato l’esatta mappatura e compreso il funzionamento di tutte le aree. Un esempio di quanto sia progredita la tecnologia sono i futuri strumenti high tech. Come quelli per la traduzione in tempo reale: in pochi anni saremo certamente capaci di parlare con chiunque, indipendentemente dalla diversità di lingua. Nell’intervento, Kurzweil mostra anche il suo ultimo prodotto, che ha l’aspetto di una macchina fotografica: pensato per le persone videolese, cattura testi e li legge

ad alta voce. Così, leggere una pagina di giornale oppure il retro della confezione di un medicinale non rappresenterà più un problema per chi soffre di gravi problemi alla vista. Andremo anche ben oltre il silicio dei computer: mentre nel 2010 assisteremo alla sparizione del macchinario, l’interazione sarà affidata ad assistenti virtuali che albergheranno nel corpo umano, e a efficaci tecnologie di trattamento del linguaggio, in grado di compiere riconoscimento, sintesi, traduzione. Così come nel 2029 avremo un’altra sorpresa: sarà superato il Test di Turing. Per i profani, il Test di Turing è quello su cui si sono incagliate, finora, tutte le ricerche di Intelligenza Artificiale. Un criterio, introdotto da Alan Turing nell’articolo “Computing machinery and intelligence”, apparso nel 1950 sulla rivista Mind, per determinare se una macchina sia in grado di pensare. Ebbene saremo capaci di farlo attraverso computer con una potenza computazionale 1000 volte superiore al cervello umano (al costo di 1000 dollari). Perché non sarà più l’uomo ma le macchine stesse a costruirlo. Carmen Rolle carmen.rolle@performance-unlimited.it

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La vostra azienda ha una strategia?

Michael Porter

Diventare un erogatore di valore unico sul mercato. 7th Floor incontra il guru della strategia competitiva. Intervista a Michael Porter a cura di Andrea Genovese

Cosa s’intende realmente quando parliamo di strategia? Le nostra impresa compete per essere la migliore o per essere unica? Il pensiero strategico è collegato a quello economico? Questa strategia è compresa da tutte le persone dell’azienda?

Queste sono alcune delle domande che Michael Porter rivolge a noi e ad una affollata platea di manager durante il recente World Business Forum di Milano. Michael Porter è considerato il più autorevole esperto in strategia competitiva. I concetti chiave quali “catena del valore” e “vantaggio competitivo”, usati in tutti i contesti aziendali nei quali bisogna prendere le decisioni giuste, li ha coniati lui. Professore alla Harvard Business School, nonché consulente del governo degli Stati Uniti e di aziende leader tra cui DuPont e Procter & Gamble, lo conosciamo sin dai tempi dell’Università. Vederlo ora eccitare le menti confuse dei nostri leader alla ricerca di una strategia di sopravvivenza è una bella sensazione e fonte di ispirazione. 7th Floor Cosa è la strategia? Michael Porter Tre sono gli errori più comuni. 1) Confusione tra strategia ed obiettivi. La strategia è essenzialmente la risposta a questa domanda: COME DIFFERENZIARSI? 2) Differenza tra strategia e un passaggio specifico che l’azienda vuole intraprendere. Ad esempio avere come strategia l’internazionalizzazione. L’internazionalizzazione non è una strategia. La strategia riguarda come la nostra organizzazione riuscirà a dare un valore unico ai nostri clienti. 3) La vision è uno dei termini che dovrebbero sparire. In genere è una dichiarazione motivazionale, ma non ci dice come potremo dare valore unico come ci potremmo differenziare. Non stiamo concorrendo per essere i migliori, competiamo per essere unici.

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7F Come sviluppare questa strategia all’interno di un’organizzazione? MP Primo bisogna capire bene gli obiettivi dell’azienda: c’è un unico obiettivo per un business che abbia senso. è IL RITORNO DEGLI INVESTIMENTI. è IL ROI, cioè il ritorno del capitale investito. Se non c’è il ROI e se non abbiamo la sicurezza di avere un buon ritorno sul capitale investito non ha senso. Molte aziende sono confuse su questo. Non capiscono che il ROI è il primo obiettivo! è facile crescere! è facilissimo! Compriamo l’azienda del vicino e otteniamo una crescita. La sfida per la strategia però è farlo con redditività! La PERFORMANCE ECONOMICA è il ritorno sui capitali. Se abbiamo una buona performance economica il valore delle azioni aumenterà. L’errore peggiore che si può fare è focalizzarsi sul valore finanziario e non sulla performance economica. Poi bisogna saper comunicare questa strategia. Bisogna far capire agli azionisti quale è la nostra strategia. Non dobbiamo compiacere gli azionisti, ma spiegare loro qual è la nostra strategia. Infine le società devono avere un modello economico chiaro. Le aziende lo faranno in modo diverso, ma ognuna deve avere un MODELLO ECONOMICO. Se non si riesce a tradurre un pensiero strategico in un modello economico chiaro non si sta pensando in modo corretto.

Bisogna collegare il pensiero strategico a quello economico.

Come creare e sostenere, quindi, un modello economico? Fondamentale è tener presente che in qualsiasi tipo di business sono le scelte che si operano sulla catena del valore quelle che poi andranno ad influire sulla strategia. Si parla proprio di best practice, e metterle in pratica ogni giorno dovrebbe rappresentare il 95% dell’impegno di tutti i manager! Migliorare le best practice però non basta. Occorre capire in che modo differenziarsi agli occhi dei clienti. Occorre creare valore e per capire di che valore si tratta è importante rispondere a cinque domande fondamentali: • C’è allineamento tra le modalità di azione e lo scopo dell’azienda? Qualora la strategia non fosse compresa da tutta l’organizzazione non riuscirebbe ad avere un grosso impatto (vedi la strategia “top secret”), ed oltre ad essere compresa deve essere anche condivisa. • Abbiamo qualcosa di diverso da offrire? • Esiste una diversa catena del valore all’interno dell’azienda? • A quali aree di mercato rinunceremo? è necessario avere dei trade off! • Abbiamo continuità nella nostra strategia? è importante, infatti, perseguire un orientamento per un determinato periodo di tempo, solitamente per 3 o 5 anni. Per creare valore nei confronti dei nostri clienti è importante tener presente: • Quali realmente siano i nostri clienti • Quali sono i loro bisogni • Qual è il prezzo relativo che dobbiamo richiedere per soddisfare tali bisogni Una buona strategia sta anche nella capacità di decidere qual è la clientela e i bisogni che l’azienda non potrà soddisfare: il successo sarà maggiore quando verranno fatte scelte chiare per differenziarsi dalle altre aziende. In questo modo l’azienda crescerà più rapidamente di quelle che invece si preoccupano di soddisfare tutti producendo di tutto. 7F: Ci può fare un esempio, una case history? Saper integrare diverse caratteristiche all’interno di una strategia rappresenta uno strumento importante. Abile in questo

è stata l’azienda di moda Zara, che ha sviluppato un’articolata proposta di valore basata soprattutto su un turn over dei prodotti molto rapido. Le tendenze della moda vengono individuate molto velocemente e in breve tempo prendono vita nei capi in vendita nei negozi. Il livello d’integrazione aziendale è molto alto ed è ottenuto grazie alla capacità di compiere scelte oculate in aree diverse dell’azienda: nella catena produttiva, in quella distributiva, nella pubblicità, etc. 7F: Cosa deve fare un vero leader? Molti manager oggi incorrono nell’errore di ricercare flessibilità, cambiamenti rapidi e agili nei vari comparti aziendali. Tuttavia, se non sono disposti a fare delle scelte continuative nel tempo non avranno successo. Ciò non significa dover rimanere statici! L’azienda deve saper cambiare e trovare ogni giorno modi migliori per portare avanti i propri progetti e per soddisfare al meglio la propria clientela. è importante tradurre quello che di nuovo offre il mercato per renderlo adatto agli obiettivi che la singola azienda persegue e non imitare gli altri. Copiare un prodotto può essere semplice, copiare una strategia invece è piuttosto difficile dato che si compone di scelte ad azioni integrate tra loro. Il leader aziendale in tutto questo dovrebbe svolgere il ruolo principale, riuscendo nella comunicazione della strategia a tutti i livelli, affinché tutte le persone che danno vita all’azienda riescano a comprenderne il valore perseguito e riescano a marciare tutte all’unisono. a.genovese@00map.com digital mindstyle magazine

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WORLD BUSINESS FORUM

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Le vie dell’ispirazione sono infinite.

29 - 30 OTTOBRE 2008 - FIERAMILANOCITY - MILANO

> www.hsmglobal.com/it

GARRY KASPAROV Leadership e Strategia

a cura di Augusta Leante

MUHAMMAD YUNUS Leadership e Cambiamento FRANCIS FORD COPPOLA Imprenditorialità JACK WELCH Management C.K. PRAHALAD Strategia ANGELA HIRATA Il Caso Havaianas RICHARD BOYATZIS Intelligenza Emotiva JUAN ENRIQUEZ Innovazione

Leadership, strategia, intelligenza emotiva, scienza e innovazione, negoziazione, social network: sono alcuni ingredienti della ricetta che HSM propone alla business community italiana per il 2008. Il nuovo anno si preannuncia, infatti, denso di novità e di appuntamenti con l’ispirazione grazie ad un calendario fitto di eventi grandi e piccoli, che riuniranno - secondo una formula di successo oramai consolidata - speaker di fama internazionale dalla grande esperienza e dal forte potere carismatico. Giunge alla quinta edizione italiana l’incontro più noto e atteso con i maggiori leader mondiali: il World Business Forum arriverà in ottobre (29 e 30 ottobre in fieramilanocity) e porterà nomi eccellenti provenienti da realtà molto diverse tra di loro. Solo per citare qualche personaggio, sarà a Milano Francis Ford Coppola, amato regista statunitense del quale sono forse meno conosciute le grandi capacità imprenditoriali, (ha fondato due case vinicole, tre resort, due ristoranti e una rivista letteraria); di leadership in ottica di cambiamento parlerà il Premio Nobel per la Pace Muhammad Yunus, “il

JIMMY WALES Social Network

banchiere dei poveri” che ha sviluppato il microcredito con la sua Grameen Bank, mentre strategia e competizione saranno affrontate da un punto di vista inedito attraverso la relazione del campione degli scacchi Garry Kasparov. Nel corso dell’incontro si parlerà anche di social network con il creatore di Wikipedia, Jimmy Wales, di management con Jack Welch, di intelligenza emotiva con Richard Boyatzis, di strategia con C.K. Prahalad, dell’impatto economico di scienza e tecnologia con Juan Enriquez, studioso di genomica e del successo delle Havaianas con l’esperta di vendite Angela Hirata. Si moltiplicano le occasioni di aggiornamento e formazione specifica di alto livello con il World Negotiation Forum su strategie innovative e negoziazioni efficaci (27-28 maggio), il World Marketing & Sales Forum sulle ultime tendenze in fatto di marketing e vendite (17-18 giugno), il World High Performance Forum (18-19 novembre) per imparare a sviluppare strategie efficaci e ottenere risultati straordinari attraverso le persone. Per chi lavora all’interno delle aziende di famiglia (o vi collabora) torna in Italia il professor John Davis con un seminario intensivo sul Family Business (1 aprile a Milano e 3 aprile a Roma).

Due giornate con i nomi eccellenti del management e della politica. Il punto di vista dei leader che hanno creato o cambiato le regole del gioco. Le ultime tendenze che influenzeranno il business localmente e globalmente. Non manchi all’appuntamento annuale per la business community. Per iscrizioni: Tel.: Numero Verde 800.93.94.36 - www.hsmglobal.com/it/wbf Informazioni generali: info.it@hsmglobal.com ALTRI EVENTI HSM ITALIA 2008 • 1 aprile | Milano 3 aprile | Roma FAMILY BUSINESS

• 17-18 giugno | Milano

WORLD NEGOTIATION FORUM

WORLD MARKETING & SALES FORUM

• 18-19 novembre | Milano WORLD HIGH PERFORMANCE FORUM

Il meglio del management mondiale su www.hsmglobal.com Main Sponsor

Per maggiori informazioni www.hsmglobal.com/it Associated Business School

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• 27-28 maggio | Milano

Supporting Partner

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Il Direct Marketing mail vs e-mail Il punto di vista di Poste Italiane Intervista a Fabio Camerano, a cura di Andrea Genovese 7th Floor è stata invitata nella sede principale di Poste Italiane a Roma, all’Eur, per incontrare Fabio Camerano, responsabile servizi innovativi della Business Unit Mail. A guidarci Pierpaolo Cito responsabile ufficio stampa eventi. Abbiamo scoperto un’azienda giovane anche se di grandissime dimensioni – 8 miliardi di fatturato e 150 mila dipendenti – ma soprattutto con una varietà di business, old e new economy, davvero sorprendente. Quello che segue è un estratto della video-intervista che potete trovare sul sito di 7thfloor.it nella nuova sezione NetTV.

che altri fornitori qualificati come Cemit, Consodata, Address etc. -, alle azioni di co-marketing con altre aziende, fino alla raccolta organizzata di dati e feedback dei visitatori durante una fiera o un evento. Le occasioni e le azioni per raccogliere informazioni preziose sui propri clienti sono tantissime.

Andrea Genovese (dir. 7th Floor) Che potenzialità ha un mezzo tradizionale come la carta rispetto alle nuove tecnologie?

A.G. Le funzionalità di monitoraggio e di tracciatura dei comportamenti dei clienti sembrano più appannaggio dei software di direct email marketing (DEM). Rispetto ai sistemi tradizionali di invio della posta, sembrano essere molto efficaci perché ti mettono in condizione di sapere in tempo reale chi sta aprendo la tua email, quando, come, che cosa attrae l’attenzione del destinatario, etc.

Fabio Camerano ( Business Unit Mail Poste Italiane) Siamo esseri umani fatti di carne e ossa. La carta, attraverso la sua fisicità, la sua bellezza, la capacità di parlarci direttamente, per nome e cognome, è in grado di trasferire ancora grandi emozioni. Le nuove tecnologie, soprattutto quelle digitali, oggi consentono stampe di alta qualità e soluzioni di cartotecnica incredibili. Siamo in grado di inviare ai clienti, qualcosa di veramente sorprendente, capace di distrarre le persone dalla routine quotidiana.

F.C. Noi siamo fautori del web e lo consideriamo una grande opportunità. Il canale email è però molto affollato, pieno di spamming e di nomi di fantasia… Ovviamente la sfida della misurabilità è il tema chiave.

A.G. Che cos’è esattamente il Direct Marketing e qual è lo stato dell’arte in Italia? Il Direct Marketing (DM), almeno rispetto ad altri paesi, è sotto utilizzato in Italia e anche poco conosciuto. Oggi i formati si sono rinnovati completamente, ci sono nuovi materiali, le creatività sono sempre più accattivanti e i meccanismi promozionali molto coinvolgenti per il cliente finale. Credo che le agenzie di comunicazione possano spingerle molto di più.

Il canale e-mail è molto affollato, pieno di spamming e di nomi di fantasia. 54

Ovviamente un’azione di DM richiede la visione di un sistema relazionale e un approccio strategico che Poste Italiane è in grado di offrire. Si tratta di supportare le imprese sia nell’ipotesi di gestione della

Il direct marketing, in particolare il direct mailing, offre una soluzione personalizzata per ciascuna fase del ciclo di vita di un cliente: nell’acquisizione, nella fidelizzazione, con azioni di “cross selling”, così come nella difesa o nel recupero di clienti “usciti” o che non stanno generando fatturato.

Noi abbiamo avviato già da un anno un progetto con Eurisko, che si chiama appunto Audimail, per rilevare la fruizione della comunicazione pubblicitaria via posta. I risultati sono sorprendenti. Il canale postale è uno dei mezzi meno affollati che esistano. Il secondo dato è che il tempo medio dedicato alla lettura di queste comunicazioni è mediamente alto, superiore ai quattro minuti. I tassi di apertura sono molto elevati, è difficile che una busta venga cestinata senza essere aperta.

Fabio Camerano responsabile Business Unit Mail Poste Italiane relazione con dei clienti acquisiti - di cui si conoscono i dati anagrafici, gli indirizzi e i comportamenti di consumo – sia nell’ipotesi che l’azienda si voglia rivolgere ad un mercato così detto “prospect”, di clienti potenziali. Gli strumenti per allargare il proprio bacino di clienti sono diversi: dal mercato delle liste – che può gestire Postel, ma an-

A.G. Il canale web è comunque interattivo e bidirezionale, consente di ascoltare, di ricevere e non solo di inviare. Se i mercati sono conversazioni – come si sostiene dai tempi del Cluetrain Manifesto - internet e tutti i suoi modelli partecipativi, dal blog, all’email fino ad arrivare ai nuovi format di social networking e di engagement sembrano disegnare un territorio in grandissima espansione.

F.C. Ci sarà un elevato livello di sinergia tra il canale web e quello postale. Ci sono alcuni dati di uno studio americano che lo evidenziano bene. Nel quadriennio 2002-2006 negli Stati Uniti la distribuzione di cataloghi fisici è aumentata di circa l’8%, trainati proprio dal boom delle vendite online. Il catalogo fisico genera il 37% del traffico incrementale del sito web e determina il 55% delle decisioni di acquisto. Non tutti sanno, ad esempio, che eBay distribuisce negli Stati Uniti 30 milioni di cataloghi cartacei all’anno. Le aziende che hanno un approccio multicanale verso i propri clienti, arrivano ad avere un tasso di fedeltà del 35% superiore a chi ha un approccio monocanale. Io penso che il futuro sarà multicanale. A.G. Facciamo un esempio concreto. Prendiamo la mia società, la Map, impresa di comunicazione cross media e casa editrice di 7th Floor. Stampiamo e distribuiamo 50.000 copie a numero in più di 1500 aziende, oltre che in eventi e fiere di settore e gestiamo un database di contatti prezioso con le persone che si occupano degli argomenti che trattiamo. Quali servizi potete offrire a una piccola impresa come la nostra? F.C. Dopo un primo contatto con un nostro commerciale - che vi verrebbe a trovare (così è stato ndr) - potremmo offrirvi di gestire l’intero ciclo, dalla stampa alla distribuzione fino alla gestione della relazione con i vostri clienti. Penso anche a dei prodotti nuovi come il Posta Target Magazine in aggiunta ai servizi di distribuzione in abbonamento postale e al servizio di corriere espresso. Un altro suggerimento è che potreste essere più selettivi nella relazione con i vostri clienti. Ad alcuni gruppi di lettori, magari interessati solo a particolari argomenti, potreste inviare solo una newsletter cartacea – o addirittura elettronica - con una selezione degli articoli e delle proposte digital mindstyle magazine

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confezionate per quel particolare “cluster” di clienti. Ad altri invece potreste inviare l’intera rivista o più copie essendo il vostro focus target interessato trasversalmente a tutti gli argomenti trattati. In questo modo offrireste un servizio personalizzato a costi più competitivi. A.G. Molte imprese, soprattutto PMI, lavorano all’interno di nicchie di mercato. Anche qui il web 2.0 e le sue lungimiranti teorie sulla coda lunga sembrano offrire più di uno spunto. Mi vengono in mente esempi molto conosciuti come quelli di Lulu.com che offre a chiunque la possibilità di stampare un libro, anche a tiratura limitatissima. Il futuro delle PMI è nelle nicchie? F.C. Le azioni di Direct Marketing sono estremamente scalabili. Se si vuole pianificare una DM la soglia di accesso è bassissima, il capitale investito iniziale non è paragonabile ai costi degli altri mezzi, tipo annunci stampa, televisione o radio. Spesso le campagne pubblicitarie tradizionali gratificano l’ego dell’imprenditore, ma non sempre sono efficaci dal punto di vista commerciale. Non c’è una soglia minima d’ingresso, io posso scrivere anche solo a 100 persone ed essere ugualmente efficace. L’uso del Direct Marketing in Italia è tra i più bassi al mondo, ma

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abbiamo il maggior numero di piccole e medie imprese. Questa mi sembra una contraddizione perché lo strumento è pensato proprio per questa tipologia di aziende, perché si tratterrebbe di avere solo costi variabili e niente costi fissi. A.G. Proviamo a immaginare uno scenario del vostro business da qui a cinque anni. Oggi quasi tutta l’informazione commerciale e non su internet è gratuita, paga solo l’inserzionista pubblicitario che è sempre più pertinente e contestuale a quello che sono e a quello che cerco. Un giorno potremmo non pagare i servizi postali in cambio di pubblicità? F.C. La pubblicità che rende gratuito un servizio o comunque ne abbassa il costo per il mittente genera dei rischi notevoli. Credo che questo sia il meccanismo alla base dello spamming. Non mi auguro che accada ciò perché andrebbe a snaturare il valore intrinseco della posta commerciale che è la comunicazione personalizzata e soggettiva tra l’impresa e il cliente. A.G. Sembra quasi suggerirci una metafora, il business vola e le aziende si trasformano continuamente. Ma il cuore della questione sembra essere sempre lo stesso: tenere una relazione stretta con ogni singolo cliente e saperlo coinvolgere.

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Il design entra in ufficio L’ufficio è più bello se di design. > www.arper.it

Intervista al responsabile marketing di Arper a cura di Paolo Fortunato Lavoriamo su scrivanie piatte, omologate, su sedie poco ergonomiche; sono oggetti freddi, che non vorremmo vedere nella nostra casa: insomma, complementi d’arredo poco funzionali e per nulla emozionanti. Il design italiano, con la sua creatività, potrebbe farci lavorare meglio e magari strapparci un sorriso. Il design, come ce lo immaginiamo noi, è quello della casa. Esistono, però, realtà il cui core business è il mondo dell’ufficio: aziende che vogliono trasferire il design italiano anche alle nostre realtà lavorative. Abbiamo incontrato una di queste aziende design oriented che si è specializzata nelle forniture contract, non tralasciando però l’arredamento della casa. Arper, di lei stiamo parlando, è una fortunata fotografia del Nord-Est che è riuscita a far bilanciare il mondo del lavoro con il domestico, caratterizzando l’offerta con proposte di design originale ed esclusivo, nel rispetto dell’uomo e del suo ambiente.

Dott. Benvegnù (Responsabile Marketing di Arper) partiamo da quanto vale il mercato del design in Italia. Sapere quanto vale il mercato del design è difficile. Secondo Marco Fortis, docente di Economia Industriale dell’Università Cattolica di Milano (“Le due sfide del made in Italy: globalizzazione e innovazione”) nel 2005 sono oltre 93.900 le aziende che esportano beni per un valore di 17 miliardi di euro nel solo settore dell’arredamento e della casa. Secondo altre stime, il mercato potrebbe valere addirittura 19 miliardi, escludendo tessili e illuminazione. Questo se si considera il macrosettore definito “arredamento di design”. Come si inserisce Arper in questo scenario? Arper opera a livello mondiale in una nicchia di settore quello delle sedute e dei tavoli di design - che non riesce ad essere scorporato dai macrodati disponibili. La parcellizzazione del settore fa sì che Arper detenga – come la maggior parte degli operatori - una quota di mercato non rilevante a livello mondiale. E il vostro fatturato? Quest’anno chiudiamo con un incremento del 35% (terzo anno consecutivo) a 25 milioni di euro.

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Chi è il cliente target di Arper? Il nostro focus si sta concentrando verso il contract, hotel, ristoranti, comunità, uffici, etc. Tuttavia, Arper adotta una strategia che la porta a proporre un’offerta “trasversale”, producendo articoli che si adattano sia agli spazi domestici che a quelli collettivi. Il nostro target sono architetti, interior designer, specificatori, chi influenza il cliente finale nella scelta di un prodotto che si inserisce in un più ampio progetto architettonico. Parliamo di un mercato che apprezza un design colto, elegante, essenziale, ma comunque sensuale e “spontaneo”. Chi sono i vostri principali concorrenti? Le aziende che amiamo prendere come riferimento sono realtà internazionali con una lunga storia alle spalle: Fritz Hansen e Vitra, a partire da una visione di concorrenza che noi abbiamo definito essere determinata secondo le direttrici “design” e “trasversalità”. Come detto, il mercato del design è complesso. Secondo lei, le vendite dei prodotti di design sono in aumento? Sicuramente; la ricerca del prodotto di design è un fenomeno di costume: basta vedere quanto il “buon” design possa determinare il successo di un prodotto, non solo

nell’arredamento, ma addirittura in quello della tecnologia, fino a pochi anni fa molto meno sensibile ai contenuti estetici. Bisogna comunque essere critici nel distinguere il design da alcuni concetti estetici che durano solo l’arco di una stagione. Il design dovrebbe superare la prova del tempo. Uomini di marketing, designer e studiosi si interrogano sul rapporto oggi esistente tra marketing e design. Quanto secondo lei il marketing ha cambiato il concetto del design? Il design è una leva fondamentale nelle strategie di differenziazione del prodotto. Per vendere, il marketing ha utilizzato il design come uno strumento, fornendo nuovi campi di applicazione e applicandolo a prodotti che non erano caratterizzati dal punto di vista estetico. Questo tema presenta molte sfaccettature: a livello industriale (quindi escludendo la ricerca estetica pura), per essere tale il design deve rispondere a requisiti posti dal rispetto della funzione di un prodotto, dalle implicazioni ergonomiche, dalle tecnologiche e, naturalmente, da quelle estetiche. In questo senso il marketing può influenzare il design, dando concretezza ai requisiti su cui il design dovrà nascere e svilupparsi. Oggi nel mercato non si parla più solo di soddisfare i bisogni dei consumatori, ma soprattutto di dargli ascolto, realizzarne i desideri e di considerarne le emozioni. In che modo ciò è correlato alla vostra produzione? La correlazione è totale. I nostri prodotti possono accompagnare le persone per gran parte della giornata, sul luogo di lavoro e nelle loro case. Una persona non acquista un oggetto di arredamento di design solo per un bisogno funzionale: si tratta di fornire emozioni, in

coerenza con uno stile di Bisogna vita e una visione del mondo. È anche una questione distinguere il di etica e sostenibilità: il design da alcuni prodotto deve essere vissuto e goduto nel tempo, concetti estetici per non sprecare risorse che durano solo economiche e ambientali. Tenuti come irrinunciabili l’arco di una funzionalità, ergonomia e stagione tecnologia, riteniamo che un prodotto debba piacere e per farlo dev’essere in grado di toccare cuore e mente. Il marketing e il brand fanno il resto. Crede che l’aspetto emozionale possa determinare il successo di un prodotto di design più dell’aspetto tecnologico e/o ideologico? Ci è successo con le collezioni Catifa 53/46, best sellers dell’azienda, oltre 100.000 pezzi venduti all’anno. Il loro successo è stato decretato dall’estetica emozionante, ma dietro al progetto ci sono contenuti tecnologici (un brevetto internazionale per il processo di stampaggio della scocca), di innovazione (brevetti per l’originalità del disegno e del sistema di montaggio), di ergonomia (studio sulle forme, sui materiali) e di funzionalità (oltre 15 varianti di struttura e un’infinità di personalizzazioni nei colori e nelle finiture). L’aspetto emozionale può essere determinante nel breve, ma devono esistere caratteristiche funzionali, ergonomiche, tecnologiche per assicurare il successo di un prodotto di design nel lungo periodo. Ho parlato di prodotto di design e non prodotto decorativo: per questi ultimi l’emotività è l’unico driver di successo. digital mindstyle magazine

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Login | advertising | creatività | 1861United

Il futuro della pubblicità Intervista a Pino Rozzi, direttore dell’agenzia 1861United del Gruppo WPP. I mercati dell’ansia, la ricerca dell’infelicità, cannoni e cecchini, arte e Led Zeppelin, Herman Hesse, ispirazione e Bauhaus, Armstrong, nicchie, code lunghe e un grande foglio bianco chiamato internet. Intervista a Pino Rozzi, a cura di Andrea Genovese La sala riunioni abituati ad avere delle reaIl nostro mestiere zioni forti e immediate. Poi è cambiato tutto, i mes- si è trasformato saggi si sono moltiplicati, il radicalmente: business e le persone coinvolte sono aumentate, oggi da creativi a c’è molto più affollamento. psicologi di massa. Ma soprattutto c’è molta ansia: non si è più sicuri di sé, si è meno creativi, brillanti. L’ansia abbatte spesso i picchi di creatività e porta all’unica cosa che mette d’accordo tutti: la mediocrità.

La sede dell’agenzia 1861United a Milano Andrea Genovese (7th Floor) È cambiata la pubblicità in questi ultimi anni? Pino Rozzi (1861United) Negli anni ’80, quando io ho iniziato a lavorare in pubblicità – parlo di Ferruccio Amendola, Vernel etc. -, non era una questione di qualità, ma di presenza. I segnali erano talmente ridotti che il solo fatto di uscire con uno spot in televisione, dove pochi potevano permettersi di stare, faceva incrementare le vendite in modo tangibile. I clienti, parlo ovviamente di quelli che finanziano le campagne pubblicitarie, si sono

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Quest’ansia è una conseguenza dell’instabilità, se vuoi dei mercati, ma soprattutto delle persone. Noi parliamo con persone che possono perdere il posto di lavoro da un giorno all’altro. Oggi sembrano tutti seduti in bilico, basta un lieve colpo di vento per buttarti giù. I direttori marketing e i responsabili comunicazione hanno molta più pressione addosso ed è difficile proporre progetti innovativi o a lungo termine. Credo che il nostro mestiere si sia trasformato radicalmente: da creativi a psicologi di massa. I profitti nelle agenzie di pubblicità si sono decimati, e facciamo dieci volte di più lo sforzo per un decimo di quello che si guadagnava un tempo. Il mercato dell’ansia colpisce anche noi! A.G. Nei mercati digitali si sente parlare spesso di “long tail”, di mercati di nicchia, ma i tuoi mi sembrano clienti tradizionali da mercati di massa o sbaglio?

P.R. È vero, i nostri sono grandi clienti, parliamo di Sky, Vodafone, Yamaha, RTL, Freddy solo per citarne alcuni. Però io percepisco anche su questi grandi clienti un’inversione di tendenza. Noi dobbiamo andare a parlare a delle singole persone, su singole nicchie. Pensa all’iniziativa “Sky su misura”. Usando una tecnica classica che noi chiamiamo “la ricerca dell’infelicità!” abbiamo cercato di capire qual è la sofferenza di una persona rispetto a una determinata situazione e si prova a immaginare come colmarla. La gente su Sky ha molti canali a disposizione e non riesce a vederli tutti. Ecco allora nascere la proposta di una “tailor made TV”, una televisione su misura. Sulla telefonia pensa a Vodafone che ha più di 29 milioni di clienti, più del 50% della popolazione italiana. In futuro, quando veramente le tariffe e i servizi saranno identici il vero differenziale lo faranno i contenuti e, questi ultimi, dovranno essere inevitabilmente personalizzati. Sono piccoli segnali che ti fanno però capire che il megafono si sta rovesciando. Noi dobbiamo andare a parlare a delle singole persone. Questa è la sfida che dobbiamo anticipare per non trovarci spiazzati. A.G. Dove stanno investendo i clienti e su quali mezzi pianificano, noti dei cambiamenti?

P.R. Il cambiamento purtroppo è ancora molto teorico, c’è un eccesso di stima. Si stanno spostando come attenzione sui nuovi mezzi, ma non vedo una reale pertinenza, i linguaggi giusti, il tono, c’è ancora una primordialità che fa tanto rima con poca professionalità. Prendiamo ad esempio i video virali. Tutti pensano che siano una panacea, un’azione di comunicazione che può generare 100 milioni di visitatori a costi quasi nulli. Il viral in questo momento è percepito così: un’azione che consuma meno budget dei mezzi tradizionali, ma che ha una potenzialità superiore alla televisione, dovuta ovviamente all’interazione diretta con il consumatore che può innescare il web. Nel mondo dell’ansia pensa a come è gratificante, rassicurante per un cliente misurare tutto, fai il tuo test, il pre test, il focus test, hai tantissimi strumenti ormai storici e quindi hai una serie di misure che su internet ancora non hai. Certo, la televisione non fa altro che darti un milione di carezze, il viral è un pugno in faccia, ti colpisce, la comunicazione è forte e a volte perfettamente mirata.

Andrea Genovese e Pino Rozzi

Purtroppo su tutti i media alternativi, che siano guerrilla marketing, ambient, internet, i parametri non sono sempre misurabili e non è facile capire che risultati puoi ottenere e in che tempi. digital mindstyle magazine

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come fa uno spot TV oggi, ma ci saranno sempre altri fattori che contribuiranno a far crescere o diminuire la notorietà e la reputazione di una marca. Pensa, ad esempio alla Mini. Come avrebbero potuta lanciarla se non ci fosse stata quella parte di amore affettivo dovuta al fatto che a un certo punto Paul McCartney è uscito da quella macchina. Quella cosa lì è imbattibile, nessuno spot al mondo riuscirebbe a riprodurla. È diventata il contenitore di un intero mondo che rappresenta l’Inghilterra, la Swinging London e quel periodo lì. Quando entri dentro quella macchina, entri nel cuore di Paul McCartney.

Roberto Battaglia e Federico Ghiso A.G. È pronta la tua agenzia a fare un buon lavoro su internet? P.R. Noi siamo pronti per il semplice motivo che in ciascuno di noi c’è un forte istinto di curiosità. E internet – ribaltando l’idea che sia principalmente un contenitore di miliardi di informazioni – è un immenso foglio bianco interamente da scrivere, su cui inventare nuovi linguaggi e fare esplodere in maniera esponenziale le idee. Credo sia un’opportunità straordinaria pari soltanto a quella che hanno avuto i grandi pubblicitari del passato nel momento in cui ai tradizionali mezzi stampa e radio si aggiunse la televisione. Noi - come loro - affrontiamo il nuovo mezzo reinventando il nostro mestiere e le nostre idee a un mezzo che ha delle regole completamente nuove: non basta più comprare degli spazi per raggiungere le persone ora questi spazi vanno creati e devono essere in grado di attirare le persone. Internet non deve essere inteso come un mezzo dove riproporre al cliente la creatività Tv/Stampa, ma come un luogo dove aprire un nuovo dialogo con il proprio target. Con questa filosofia il primo progetto concreto che abbiamo realizzato è il sito per il lancio della Love Era di Breil Tribe, dove la pace tra uomo e donna che abbiamo raccontato in tv e stampa qui trova un nuovo sviluppo narrativo. A.G. Torniamo alle marche, ai brand, ai lovemarks come li definisce Kevin Roberts. Come si fa a costruire un lovemark? P.R. Sulla questione del lovemark al di là delle definizioni, io credo che il punto nodale sia assolutamente condivisibile: bisogna riuscire ad entrare nella sfera emotiva più profonda che non è solo quella informativa. L’ultima cosa che fa un’auto è quella di avere quattro ruote e di portarti in ufficio. È un contenitore di emozioni, di prolungamenti “sessuali”, è una cosa dove ti siedi dentro ed entri nel mondo in cui desideri vivere. È questo l’amore secondo il concetto di lovemark. Per costruire un lovemark ci vuole tempo, tanto, e onestà come se piovesse. Vedi, su internet c’è un movimento spontaneo, una voce come quella dei blog che viene dal basso e di conseguenza onesta. Le marche sono come le persone, tu le puoi mettere su un piedistallo altissimo e costosissimo,

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A.G. Dalla propaganda all’engagement come sta cambiando la comunicazione? P.R. La parola engagement è la più importante, perché è il modo in cui tu arrivi a una determinata persona, stabilisci una relazione, un rapporto, un coinvolgimento. Tutti stiamo parlando di questo. Come sta cambiando? Un tempo noi pubblicitari facevamo il break pubblicitario, interrompevamo le persone durante un film, un programma qualsiasi, con una proposta commerciale. È con Berlusconi e le TV private che nasce l’interruzione. Il punto vero oggi però è la penetrazione nella vita di una persona, non l’interruzione. Questa parola, che non ha niente di sessuale!, sta ad indicare un approccio in cui chiedi permesso, entri in un territorio, in un luogo, dichiari la tua presenza, la tua disponibilità in modo mirato che non dà fastidio. La propaganda, al di là delle accezioni politiche e negative, è invece un messaggio reiterato all’infinito che probabilmente genera dei risultati, ma ha dei costi altissimi e oggi non vale più la pena. Tra propaganda ed engagement c’è la stessa differenza che c’è tra i cannoni e i cecchini: i cecchini fanno molti più morti. A.G. User Generated Content. Oggi tra i content forniti dalle persone ci sono anche proposte di video virali come il caso di Zooppa. Cosa ne pensi della pubblicità fatta dagli utenti? P.R. Tanti tentativi, casi di successo veri pochi e molti casi di insuccesso, come video splatter o costi di gestione più elevati di una campagna tradizionale. A volte puoi trovare degli spunti interessanti in rete e farli diventare degli spot, come il caso di Audi, che vere e proprie campagne virali riuscite. Per la teoria dei grandi numeri, qualcosa di interessante che emerge dal mucchio lo trovi sempre. Ma mai come oggi è così difficile fare pubblicità. Prima di tutto per colpa dell’affollamento. Se pensi che ai miei tempi usciva il disco dei Led Zeppelin e poi dopo quattro mesi quello dei Deep Purple. A.G. Cosa sta accadendo nel modo di fare il tuo lavoro? P.R. Oggi in questa agenzia sta succedendo che uno dei nostri creativi più bravi, Federico Pepe, allestisce una mostra. Io

credo che tutti gli interventi che appartengano al mondo dell’arte possano innestarsi tranquillamente nella comunicazione pubblicitaria. Nello stesso tempo, c’è un fotografo anti-pubblicitario che si chiama Iacopo Benassi. Noi come agenzia abbiamo creato una 1861 Publishing e pubblichiamo un libro di fotografie di 500 pagine “L’ecologia dell’immagine”. Lui usa il flash con il grandangolo facendo vedere la crudezza, le realtà indiscutibili. I soldi li abbiamo tolti dai premi pubblicitari. Faremo una performance teatrale in questo spazio così particolare. Sono solo tre segnali tangibili di un nostro pensiero: non circoscrivere il nostro mondo nei 30” o negli angoli di una pagina pubblicitaria. A.G. Cos’è che non riesci a mandare giù, che non ti fa dormire la notte? P.R. Dormo bene, sento di aver “scollinato” quello che ho fatto ho fatto! È questa stupidità nel non capire che è fondamentale non fare le cose che fanno gli altri. La cosa più importante è distinguersi. Nel mondo delle TLC è così avvilente, ci sono tanti soldi che girano ma format che si ripetono e si copiano a vicenda. A me sembra che buttino via i soldi.

Non credo moltissimo a qualcosa di poetico, credo più nella disciplina, nell’ordine. Il riferimento è il Bauhaus: è all’interno di un ordine che costruisci conoscenza. Gli Armstrong che suonano la tromba sono eccezioni, il talento dei geni è un’altra cosa. A.G. Lucas esce con il nuovo episodio di Guerre Stellari solo con un grande videogioco e non in pellicola. Secondo te su quali mezzi farai pubblicità tra cinque anni? P.R. Non credo ci saranno altri media. Tra cinque anni ci saranno molti media ma non cambierà radicalmente lo scenario rispetto a quello attuale. Le più importanti novità ci saranno sull’hardware, sui device e su tutti i possibili collegamenti tra i dispositivi. Ma noi ci occupiamo di software, di contenuti. Avremo in agenzia dei programmatori di videogiochi e degli esperti di social networking, staremo attenti ai linguaggi adatti ad ogni singolo mezzo. E cercheremo persone sensibili capaci di parlare questo nuovo lessico. A.G. (7th Floor) Grazie per questa bella intervista così aperta, così informale.

A.G. Se tu fossi il capo della WPP che cosa cambieresti? P.R. Farei il baronetto o andrei in pensione! A parte gli scherzi. Abbasserei la soglia del pensionamento. Ci sono troppe persone che hanno vissuto gli anni dorati della pubblicità che, soprattutto nelle grandi strutture, ha troppo potere e non hanno la capacità di capire che le cose sono cambiate. Accelererei il ricambio generazionale. Allargherei quello che è il mondo della comunicazione a tutte le sinergie immaginabili, le possibili interconnessioni, rapide e spontanee tra diverse discipline. Mi viene in mente il libro di Herman Hesse - Il gioco delle perle di vetro -, prima avevamo poche perle che stavano in questo pallottoliere adesso sono molte di più. È una cosa di cui tutti parlano, ma credo che vada attuata concretamente, ad esempio aprendo un’agenzia di pubblicità vicino a uno studio di architettura, dentro uno studio di design, a fianco a delle gallerie d’arte. Per osmosi neuronale credo possa aiutare tutti quanti, anche solo il fatto di prendere un caffè e condividere un pensiero con qualcuno che non è il solito. Eviterei la mucca pazza della pubblicità che si alimenta di se stessa. A.G. Che cos’è l’ispirazione e dove la trovi? P.R. È una parola molto bella che non ha mai avuto una sua reale definizione. È un lavoro, qualcosa di molto strutturato. Come diceva Bruno Munari, l’idea, l’ispirazione è quella cosa che sta tra il tuo presente, il momento ispirativo, e tutte le connessioni con le cose che hai fatto nel passato. Sei sempre collegato con quello che c’è stato, con la tua storia e più cose hai fatto, più connessioni hai.

Autore Iacopo Benassi digital mindstyle magazine

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La creatività è un potere “magico”?

PH_PEPPE TORTORA

Login | comunicazione | brainstorming | creatività | Hubert Jaoui

Allora, siamo tutti creativi? intervista a Hubert Jaoui > www.gimca.net Per lunghissimo tempo la capacità di creare è stata considerata un potere magico riservato solo agli uomini eccezionali: dunque appannaggio di pochi. Fortunatamente si è potuto dimostrare, grazie agli studi condotti da Guilford, che la creatività è una capacità naturale e innata in tutti. Tutti siamo in grado di partorire idee innovative, ma questa capacità va allenata con metodi e tecniche adeguate. Hubert Jaoui ha scritto molti libri sul tema e, in qualità di consulente nel management, aiuta le aziende ad incentivare la creatività delle persone e tradurla nel miglioramento di processi e di prodotti. Secondo la scienza, ogni persona ha un potenziale innato di creatività, ma il suo sviluppo è condizionato da fattori individuali e psico-sociali. La scuola e l’educazione, per esempio, possono contribuire al suo sviluppo o, al contrario, bloccarlo. Come si arriva all’idea creativa? La curiosità e l’osservazione continua predispongono la mente alla creatività. La successiva analisi e l’interpretazione degli spunti ricevuti conducono ad un’idea nuova che diventa col tempo sempre più definita finché è pronta per un’applicazione concreta. Le imprese oggi sono “creative”? Il successo sui mercati dipende molto dagli investimenti in innovazione e la sua assenza è uno dei principali ostacoli allo sviluppo economico europeo. Da una recente ricerca emerge che solo il 18% delle persone ha idee creative durante la presenza in azienda, un dato su cui riflettere. Quando l’idea creativa diventa innovazione? Quando apporta benefici diretti, se genera un ritorno sul fatturato o un risparmio sui tempi di alcuni processi, e indiretti, se incide per esempio sulla motivazione del personale. Quale ruolo può avere il management nell’incentivare l’innovazione? Un ruolo fondamentale di guida: è compito del management instaurare un clima dialettico e un terreno favorevole alla nascita di proposte creative. Bisogna lasciare autonomia alle persone, e incoraggiare lo spirito d’iniziativa. Qual è il maggiore freno alla creatività? La mancanza di passione... e di comunicazione e per comunicazione intendo la comunicazione autentica. Quindi esiste un metodo? La creatività nella soluzione di problemi, più che di una tecnica, è frutto dell’applicazione di un metodo di lavoro a più tappe. Spesso davanti ad un problema la reazione spontanea è di impegnarsi immediatamente alla ricerca della soluzione. Tuttavia capita che non di rado si trovino delle soluzioni che poi si rivelano inadeguate. Il più delle volte il problema

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nasce dal fatto che i sintomi, percepiti in una situazione problematica, “non sono il problema” , ma solamente una sua manifestazione. Così la soluzione trovata va ad eliminare il sintomo, ma non riesce a penetrare la radice del problema. Per andare in profondità il lavoro dovrà necessariamente partire da un punto antecedente alla ricerca della soluzione e farà in modo che la soluzione individuata non rimanga nel limbo dei desideri. Tra le metodologie di scoperta il metodo PAPSA si articola in 5 tappe. In pratica ogni tappa viene sviluppata in due fasi, la fase Divergente e la fase Convergente, e il risultato della Convergenza della tappa precedente costituisce la base del lavoro della tappa seguente. Riassumendo sinteticamente il percorso, si inizia con il “percepire” il problema (Percezione) per scoprire e analizzare (Analisi) la sua struttura profonda per poi immaginare un grande numero di soluzioni (Produzione) e infine scegliere e decidere (Selezione), in funzione del futuro, di realizzare la soluzione (Applicazione).

Roberto

25anni GRAPHIC DESIGNER

Fra le numerose tecniche che utilizzate, quali sono quelle che i clienti considerano più divertenti? Forse le carte Eureka.

Diplomato allo Ied da due anni, è grafico di riferimento di Fefè, il principale visual magazine italiano per un pubblico internazionale. Ha collaborato a diverse campagne dello Ied. È stato una delle firme della Direct2Brain. Da un anno è il graphic designer del mensile Next Exit, creatività e lavoro, il suo talento è visibile anche nel nuovo Next Mag, bimestrale di comunicazione visiva.

Cosa sono le carte Eureka? Sono della carte ideate insieme a Nicola Piepoli che servono da stimolo per applicare vari tipi di logiche. Infatti il funzionamento della mente nell’atto della creazione, dell’invenzione, della risoluzione dei problemi prende in prestito diversi percorsi logici senza limitazioni e nell’approccio creativo si possono applicano quattro tipi di logiche, la logica associativa, la logica analogica, la logica combinatoria e la logica onirica, definite logiche erustiche (eureka = ho trovato!). Le carte Eureka servono proprio per aiutare i partecipanti a uscire fuori dai binari della logica classica o deduttiva. Hubert Jaoui

F R O M & F O R C R E AT I V E P E O P L E .

SIAMO A MARZO IN DUE A L O C I D E IN

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Login | design | architecture | software | technology | future

Dall’idea al progetto: L’architettura generativa di Cristiano Ceccato.

Cristiano Ceccato

Meet The Media Guru

Cristiano Ceccato (Milano, 1968) si è specializzato nella progettazione elettronica digitale dell’architettura e nei processi correlati di fabbricazione a controllo numerico. Dal 2001 lavora nello studio dell’architetto americano Frank O. Gehry, dove ha seguito lo sviluppo e l’applicazione di metodi di progettazione parametrica e sistemi di modellazione digitale integrata. Attraverso il gruppo Gehry Technologies, queste nuove forme di pratica professionale vengono applicate a un crescente numero di progetti per architetti e costruttori su scala globale.

Incontri con personalità dei nuovi media è un format annuale di incontri con protagonisti internazionali della cultura digitale e dell’innovazione a livello internazionale, destinato al mondo professionale e al largo pubblico, promosso dal Forum Net-Economy Comune di Milano, Provincia di Milano, Camera di Commercio di Milano, con il contributo di Blackberry. La manifestazione è curata da MGM Digital Communication, in collaborazione con la Mediateca di Santa Teresa - Sezione Digitale della Biblioteca Nazionale Braidense. Il programma di Meet the Media Guru vi aspetta a marzo 2008 con Bill Moggridge e l’interaction design. Nello scorso anno ha presentato John Maeda, graphic designer americano, artista visivo e teorico dell’informatica; Andrea Granelli, ha raccontato le nuove frontiere delle Immagini e linguaggi del digitale; Wini Maas, architetto e urbanista olandese, all’avanguardia nel rinnovare le parole chiave e i linguaggi con cui l’architettura concepisce oggi la realtà in profonda metamorfosi; Eduardo Kac, artista brasiliano, uno dei più noti ricercatori delle nuove direzioni dell’arte contemporanea tra tecnologia, biologia e creazione.

Info: www.gehrytechnologies.com

A Meet the Media Guru l’esperienza di Gehry Technologies Avete mai costruito un edificio? Prima di rispondere ‘certo che no’ pensate alle torri variopinte e funamboliche di mattoncini Lego; pensate ai castelli che avete eretto sulla spiaggia, sempre più labirintici e arditi. Tutti hanno dentro di sè un’idea, un impulso a creare, qualcuno anche la voglia e l’opportunità di nutrire di tecnica il proprio spirito creativo e tradurre in realtà le fantastiche visioni della mente. Uno di questi talenti è Cristiano Ceccato, luminosa stella nel firmamento dell’architettura contemporanea, costellazione Frank Gehry (quello del Guggenheim Museum di Bilbao), massiccio e benevolo quarantenne milanese trapiantato in California, ma continuamente in movimento per il mondo tra progetti, cantieri e università. “Il nostro lavoro” spiega Cristiano Ceccato “è parte integrante del processo architettonico, a partire dalla concezione del progetto fino ad arrivare alla sua costruzione. Facendo uso delle conoscenze informatiche, facciamo da mediatori ad ogni stadio del design tra le esigenze architettoniche e quelle ingegneristiche”. Cervello in fuga, cuore di ritorno a Milano, Ceccato non poteva mancare all’appuntamento di Meet the Media Guru 2007, tra i grandi nomi dei creativi digitali. Gehry Technologies è nota per aver sviluppato uno prodotto specifico di software tridimensionale, Digital Project, in grado di supportare l’intero processo costruttivo, dall’idea alla realizzazione. “Attenzione” avverte Ceccato, “non stiamo parlando di un rappresentazione dell’opera da costruire, bensì di uno strumento che genera e descrive l’insieme dell’opera e tutte le sue componenti. Non solo: Digital Project affronta la crescente complessità di un progetto formulando analiticamente e formalmente le soluzioni compatibili con le principali coordinate che vincolano una

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particolare realizzazione”. Sullo schermo della sala, alla Mediateca di Santa Teresa affollata di guristi, scorrono le immagini dei grandi progetti portati avanti da Gehry Technologies con Digital Project: dal Walt Disney Hall di Los Angeles al Nido, il mirabolante nuovo stadio per le olimpiadi di Pechino, avvolto da una gigantesca struttura tubolare costruita a tempo di record da un team internazionale di imprese. “Oltre ai fondamentali parametri comuni a tutti i progetti: costi, tempi, funzionalità, materiali, sicurezza, dobbiamo tener conto di innumerevoli variabili, dalla prevenzione antisismica all’acustica, nel caso del Disney Hall, fino alla quantità di acciaio consentita in un paese come la Cina il cui rapidissimo sviluppo rende sempre più preziose e contese le materie prime. Ma soprattutto, dobbiamo considerare il cantiere, cioè le condizioni reali in cui la nostra idea iniziale prende forma.” Già, il cantiere, un luogo del tutto particolare, dove idee, uomini e materiali devono incontrarsi nel momento giusto e nel modo giusto. Guardando le varie fasi di realizzazione di un grattacielo a Shanghai o del Museo della Biodiversità di Panama, ci si rende conto di quanto abbia quasi del miracoloso il lavoro di integrazione e composizione che trasforma un luogo in un’opera, un’idea in una struttura, ma anche in un segno culturale. La sfida è governare il rapporto incerto tra le aspirazioni estetiche, che in un certo senso rappresentano l’anima di un’opera, e le soluzioni progettuali che rispondono alle molteplici domande di prestazione, il corpo vero e proprio che deve durare e funzionare nel tempo. A nessuno sfugge il fascino di poter visualizzare un’idea in tutti i suoi particolari. Il digitale, in questo caso, signifi-

ca poter vedere, misurare, valutare ogni singolo dettaglio dell’opera, come se la mente dell’architetto si espandesse a tutti coloro che monteranno impianti, erigeranno strutture, avviteranno bulloni. La forza dell’idea sembra prevalere su qualsiasi problema, ma in realtà l’obiettivo è addirittura prevenire i problemi, cogliendoli ancora acerbi dall’albero delle probabilità, trasformando l’incertezza in calcolo. È incredibile vedere al computer come la forma essenziale del progetto genera livelli sempre più complessi di strutture e di impianti, fino alla pelle dell’opera, il suo rivestimento esterno. Ogni elemento di questo organismo ancora virtuale è codificato e identificato, in modo da permetterne la produzione e il montaggio a regola d’arte. In Cina, la nuova frontiera del mondo, centinaia di giovani imparano a progettare idee, a realizzare progetti con i metodi e i principi dell’architettura generativa. E in Italia? Strano paese, il nostro: generoso col mondo e avaro con se stesso. Per fortuna, non mancano le occasioni e i testimoni per ricordarci quanto valiamo. Giorgio Tacconi

Info: www.meetthemediaguru.org Da quarant’anni Bill Moggridge si occupa di design. Nel 1979 ha progettato quello che in molti ritengono il primo computer portatile al mondo: GRiD Compass (1981), usato tanto dai businessmen come dalla NASA. Nel 1991 Moggridge è cofondatore di IDEO, la società di consulenza sul design, tra le prime nell’integrare il design di software e hardware nella pratica dell’industrial design e oggi tra le più famose nel mondo. Per Meet the Media Guru Moggridge ci accompagnerà nell’affascinante viaggio all’interno dell’interaction design e anticiperà i futuri sviluppi di tutto ciò che è e sarà digitale.

Meet The Media Guru vi aspetta al prossimo appuntamento con Bill Moggridge

Mediateca di S.Teresa, Milano. 3 Marzo 2008, ore 19:00

digital mindstyle magazine

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Soggettive | Management | Leadership

Leadership riflessive Un approccio filosofico

Chi è quindi il leader che riflette? è colui che, senza mettere in crisi un modello intero, rimette in discussione queste certezze. In fondo è una persona che “diverte”, nel senso che diverge rispetto al vecchio modo di fare. Non ha paura di mettere in gioco delle domande, di mettersi in gioco. è uno che lavora di biografia piuttosto che di curriculum vitae.

Intervista ad Andrea Vitullo, a cura di Michele Boroni

Di leader e leadership ormai se ne parla da anni e in tutte le salse. Se si digita su Google la parola “leader” escono fuori 167 milioni di risultati: tecniche per conquistare la leadership, le dinamiche per mantenerla, il carisma del leader e il comportamento da tenere. Per non parlare della quantità industriale di libri proposti ogni anno: tra manuali di auto-aiuto e soluzioni preconfezionate, spicca però un titolo diverso e accattivante “Leadership riflessive – La ricerca dell’anima nelle organizzazioni” (Apogeo, €13). Un leader che riflette. Un’anima che gravita all’interno dell’organigramma aziendale. Utopia? Un faro per il futuro? Lo abbiamo chiesto all’autore Andrea Vitullo: un passato da manager nella comunicazione e marketing, un presente da executive coach e ispiratore per imprenditori e manager attraverso la sua società Inspire. Nella vasta bibliografia sulla leadership dove si posiziona il suo libro? Credo si ponga come un passaggio, una sorta di ponte tra il concetto di leadership legata al carisma e alla visione di un individuo e quello di una “persona che si pone delle domande”. La parola leadership l’ho voluta mantenere nel titolo per poter essere compreso dal mondo economico. Ma con il sottotitolo ho voluto fare una narrazione che ci porta dal concetto di manager a quello di persona. Del resto oggi anche il linguaggio dell’economia parla alle persone. Kevin Roberts dice che non ha più senso parlare di b2b o b2c, bensì di p2p, person to person. è necessario passare dal potere alle persone, parlare di coinvolgimento più diretto, ovvero ROI [cfr. pg 50 NdR] come Return on Involvement.

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Andrea Vitullo

Ma questa è la nuova frontiera del marketing, che connessione ha con l’organizzazione interna delle aziende e con la leadership? Tutti questi segnali ci dicono che più che piani di marketing oggi abbiamo bisogno di piani di connessione. Quindi, se dobbiamo creare connessioni tra le persone, se le parole chiave oggi sono partecipazione, comunità e leadership distribuita, allora c’è da chiedersi se il modello di leadership basato su comando e controllo, con metodi e programmi predittivi sia ancora adeguato. In questo nuovo scenario ho bisogno di essere connesso, di essere ispirato, riflessivo e, soprattutto, ho bisogno di dotarmi di un patrimonio di nuove domande che mettano in discussione delle idee preconcette e dogmi intoccabili. Il mondo della leadership e in generale delle organizzazioni ne è pieno. Si fa così perché si è sempre fatto così - si dice.

Sulla base di questa descrizione, chi sono quindi i nuovi leader, o meglio, chi sono quelli che la gente vede come leader? Senza voler far nomi, i nuovi leader hanno un tratto comune distintivo: quello cioè di mescolare e integrare vita e professione. Il leader di una volta era quello del worklife balance, che aveva deciso per un compromesso tra vita e lavoro. Il leader di oggi invece integra queste due dimensioni, tende a separare meno il tempo del lavoro e tempo libero, lavora per mettere a frutto il suo potenziale, la sua unicità. Ciò che è importante, credo, è andare verso una “laicizzazione” della leadership: significa cioè usare sempre meno i soliti concetti e modelli con cui definiamo il leader. Ad esempio? Oggi si abbina leader riflessivo a leader etico. è chiaro a tutti che le logiche di coesione delle organizzazioni non si basano più come una volta solo sul profitto e sulla capacità di abbattere il competitor. Oggi la coesione si gioca su vari fronti: la sostenibilità, la diversità, lo sviluppo del potenziale, dimensioni legate alla governance, alla trasparenza e integrità. Tanti fronti per tante relazioni costruite da tante persone. Che effetto ha questo approccio sulle organizzazioni aziendali? Questa è la leadership distribuita, ovvero un’etica nell’organizzazione all’interno delle relazioni tra persone. è necessario cercare di portare l’etica in una dimensione molto più “minimale”, facendo in modo che ogni persona si senta responsabile e motore di ciò che fa, senza troppe carte dei valori. Non crede che questo tipo di soluzione possa essere applicata solo a piccole aziende e sia invece più difficile per grosse corporation in cui l’organizzazione è difficile da scardinare ? Dipende dai luoghi e dai contesti. Questa è la sfida dei prossimi anni. Ci sono aziende nordeuropee che stanno lavorando su questa dimensione. Nel libro cito l’esperienza di alcuni filosofi come Eric Boers e Esa Saarinen che con Nokia parla di “flourishing life”. Se è vero, che nelle prime 100 economie al mondo il 50% sono aziende, si capisce bene che le organizzazioni hanno una responsabilità fondamentale: oggi alle aziende non si chiedono solo obiet-

Michele Boroni

tivi di profitto, ma progetti Connesso, di sviluppo sostenibile per e con le comunità (ad esem- ispirato, riflessivo pio per verificare l’impatto della presenza dell’azienda e, soprattutto, sul territorio), preoccupan- dotato di un dosi di coinvolgere le persone all’interno dell’organiz- patrimonio di zazione. nuove domande Oggi ci sono molti segnali che mettono in discussione che mettono in la leadership carismatica. discussione idee Vedi l’esempio del successo preconcette e del “metodo antistronzi”. La grandiosità della leader- dogmi intoccabili. ship carismatica ci ha portato in questi anni a parlare di stronzi al potere. I business driver di questo paradigma sono l’ansia da prestazione, il tempo che non basta mai e il risultato da raggiungere. All’interno delle organizzazione si crea una dinamica legata alla “paura”, paura di non farcela, di non essere all’altezza. Questo paradigma è valido fin quando l’organizzazione rimane chiusa in se stessa e non viene permeata dal contesto esterno. Oggi, per fortuna, i confini dell’organizzazione non finiscono ai “tornelli”. Lavorare da casa, collegarsi alla rete per parlare con colleghi e clienti è diventata pratica comune; tutto ciò sgonfia di molto il leader tossico e intoccabile. E in tutto questo il coaching che ruolo riveste? Un ruolo credo importante, quello cioè di accompagnare il cambiamento da organizzazioni gerarchiche (comando e controllo) verso persone responsabili di sé e del propria lavoro all’interno dell’azienda, ma anche dell’impatto esterno. è importante anche per rinnovare delle energie tra le persone all’interno delle organizzazioni che fino ad oggi sono state –specialmente in Italia- un po’ stantie, quasi di sopravvivenza. è necessario incoraggiare le potenzialità di tutti e su tutti i livelli. Ciò significa non focalizzarsi solo sui problemi, ma sulle potenzialità dei singoli e sulle loro visioni. Per questo parliamo di approccio filosofico, un approccio che coinvolge testa, cuore e pancia. Le rete e la creazione di social network possono influenzare questa nuovo approccio? Assolutamente sì. Il modello di organizzazione di aziende come Google e tutto il tema della Wikinomics sono spunti fondamentali. Guardiamo anche lì per capire quale sarà il futuro di una leadership riflessiva. Michele Boroni michele.boroni@tiscali.it

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Soggettive | breathing room | self coaching

Breathing Room L’importanza di farsi delle domande (prima...) > di Andrea Vitullo

Breathing Room è una nuova rubrica di In-spire (www.in-spire.biz) per 7th floor. Una conversazione con se stessi, uno spazio di riflessione prima di affrontare alcune tipiche situazioni organizzative. Una sorta di self coaching per dare un “senso” più personale a ciò che ci apprestiamo a fare, per immettere se stessi in quanto persone al di là del ruolo, dell’obiettivo immediato, della soluzione o del risultato promesso. Ogni mese dal giornale verranno lanciate due situazioni tipo, che poi saranno approfondite sul sito di 7th floor attraverso una batteria di domande da porsi. Ogni situazione verrà approfondita anche grazie alle risposte e ai commenti dei lettori.

Sei stato finalmente convocato dall’AD per parlare del tuo progetto. Sei sicuro di esserti fatto tutte le domande giuste? Quanto tempo hai a disposizione? Come pensi di utilizzarlo? Riuscirai ad avere del tempo utile per parlare d’altro? E se sì, di cosa? Hai mai pensato ad esporti e di parlare di un tuo talento personale che lui non conosce? Vorresti che lui sapesse qualcosa in più di te? Stai per affrontare una riunione con colleghi o fornitori. Hai mai pensato di raccontare qualcosa fuori ordine del giorno? Di iniziare con uno spunto personale? Qualcosa che ti ha colpito, un libro, una mostra, un fatto che hai vissuto, una citazione o una poesia? Hai mai pensato -una volta seduto- di provocare un cambiamento? Ad esempio cambiando di posto intorno al tavolo della riunione?

La stanza del respiro di In-spire e 7th floor: perchè

• mette in circolo delle domande • rende possibile l’impossibile • distende l’apnea del pensiero compulsivo • è un luogo protetto che ti ricorda il tuo ritmo “personale” • è una soglia tra mondo esterno e mondo interno • è una dimensione di “respiro sostenibile” • è uno spazio di esperienza sgombrato dagli esperti • è una metafora dell’urgente bisogno di riconoscimento delle persone • immette energie positive in me e negli altri • cambia gli output delle situazioni • mi ricorda di portare ciò che sono o che posso essere anche sul lavoro

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Oggi diventa sempre più Breathing Room: importante un approccio più umanistico al business, ovvero rifletti su un’etica della responsabilità queste domande, individuale e, semplicemente, un allargamento della vi- tienitele per te o sione su “come” facciamo le cose. In pratica un coaching proponile a chi filosofico, un self-coaching vuoi tu, con il tuo per portare di più chi siamo stile, il tuo ritmo, nel ruolo che ricopriamo. Vogliamo fornire ai lettori il tuo respiro. di 7th floor alcuni spunti di riflessione: delle semplici domande-stimolo da “farsi” o da buttare sul tavolo prima di iniziare una conversazione sul piano di marketing, sulla nuova campagna, sul “canvas” da decidere, sul rilancio della comunicazione interna per aiutare a creare un’atmosfera di condivisione, di comunità. Un modo per riappropriarsi del fine ultimo in ciò che facciamo, per ricordarsi che tutto può dipendere anche da me! Gli spunti, le domande in più, quelle che sembrano un po’ filosofiche e poco pertinenti sono proprio quelle che sollevano il dubbio che si possa fare diversamente; le domande possono cambiare il “corso” di un incontro o di una riunione, il focus mio o delle persone con cui comunico, o semplicemente far entrare tutti più consapevoli e saggi nelle cose che ci sono da fare. Una conversazione con se stessi o con gli altri “possibile” e “utile” prima e durante la messa in onda dell’oggetto dell’incontro.

LE DOMANDE 1) Sei stato finalmente convocato dall’AD per parlare del tuo progetto. Sei sicuro di esserti fatte tutte le domande giuste?

2) Stai per affrontare una riunione con colleghi o fornitori

• Quanto tempo hai a disposizione? Come pensi di utilizzarlo? Riuscirai ad avere del tempo utile per parlare d’altro? E se sì, di cosa? • Se potessi dargli una consulenza, di cosa gli parleresti? • Pensando al tuo progetto, ricordi cosa te ne ha fatto innamorare? • Hai mai pensato ad esporti e di parlare di un tuo talento personale che lui non conosce? Vorresti che lui sapesse qualcosa in più di te? • Hai mai riflettuto a ciò che potete avere in comune tu e l’AD? • Hai pensato a come dare all’incontro il tuo ritmo? • Sai perché hai scelto proprio un certo vestito, un particolare colore, cosa dicono di te? • Immaginati che l’AD ti chieda cosa migliorare in azienda. Tu cosa diresti? • Immagina che ti chieda di partecipare ad uno dei progetti chiave in questo momento, a quale vorresti partecipare e perché? • Che espressione immagini lui abbia e tu come pensi di riuscire a fargliela cambiare?

• Hai mai pensato di portare qualcuno con te? A prescindere dai ruoli aziendali chi vorresti fosse presente e perché? • Immagina che improvvisamente intervenga un collega di un altro paese: prova a fare con 5 parole o immagini chiave –massimo- il punto sintetico della situazione. • Oggi puoi scegliere un colore che ti rappresenta durante la riunione: bianco=apertura ed ascolto, rosso=rabbia, nero=pessimismo, blu=assertività, verde=speranza, giallo=ottimismo, arancio=energia. Che colore scegli? • Hai mai pensato di raccontare qualcosa fuori ordine del giorno? Di iniziare con uno spunto personale ? Qualcosa che ti ha colpito, un libro, una mostra, un fatto che hai vissuto, una citazione o una poesia? • Con quali parole vorresti che i tuoi colleghi ti descrivessero alla fine della riunione (ad esempio pragmatico e problem solver, ispiratore, simpatico e pieno di humour, ..etc)? • Hai mai pensato – una volta seduto- di provocare un cambiamento? Ad esempio cambiando di posto intorno al tavolo della riunione?

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Soggettive | coaching | Donne e potere

Dee, Donne e Potere: Vipere o creature celesti ai vertici delle organizzazioni? > di Luciana Zanon

Certo nel nostro paese non è che ci sia una gran quantità di donne al potere e le poche che arrivano sulle vette dell’Olimpo devono faticare parecchio per mantenere la posizione acquisita. Ma la cosa strabiliante è che quando finalmente ci arriva, il grande capo donna il più delle volte è bersagliata da critiche feroci: l’idea più diffusa è che una volta al potere “diventa peggio dei maschi”, si spoglia delle sue caratteristiche femminili per indossare la pesante corazza del guerriero. Ma quali sono queste particolarità femminili e quanto di questi caratteri distintivi corrispondono davvero alla realtà femminile o sono piuttosto degli stereotipi? Le competenze manageriali che tipicamente si riconoscono alle donne sono la capacità nelle relazioni, l’attenzione alle persone e ad una migliore qualità della vita lavorativa, la capacità di una visione d’insieme, l’attitudine alla cooperazione. Sono alcune delle particolarità che Jean S. Bolen nel suo “Le dee dentro la donna” attribuisce alle dee vulnerabili, Era, Demetra e Persefone. “Io ho sempre concepito la mia attività di dirigente con spirito di servizio” racconta Antonella, 50 anni, top manager in un’azienda di servizi, “e uno dei miei principi fondamentali è che devo essere sempre a disposizione dei collaboratori che stanno lavorando per me”. Certo non è difficile crederle, nel suo ufficio c’è un viavai continuo di persone che le sottopongono quesiti, le chiedono pareri, si vede che è molto amata e che c’è grande confidenza. “Una cosa strana che mi sento dire spesso dai miei collaboratori è che, pur non avendo figli, sembro una madre perfetta”. Ed effettivamente alcune caratteristiche di Demetra la dea delle messi, nutrice e madre, Antonella le ha. Demetra è una figura soccorrevole, protettiva e generosa, lavora in organizzazioni, come quella di Antonella, che si giovano della sua energia materna. Le difficoltà sono quelle di dire di no, di affrontare un collaboratore incompetente. “A volte questo diventa un vero problema, mi sobbarco il lavoro anche di altri con il risultato che rimango in ufficio fino a sera inoltrata. In quanto a riprendere una persona che sbaglia, mi costa grande fatica, licenziare una persona per me è praticamente impossibile”. Ma cosa succede, quando le caratteristiche manageriali corrispondono a quelle delle dee vergini, Artemide, Atena ed Estia? Queste sono divinità che bastano a sé stesse, agiscono non per piacere, ma per seguire i propri valori interni. Determinate e anticonvenzionali, sono capaci di concentrarsi su obiettivi specifici e di raggiungerli.

Dentro ad ogni donna, di potere o no, abitano molte dee e nel corso della storia personale le divinità si succedono. Così anche per Antonella, Monica, Michela ed Anna, le protagoniste di questa nostra piccola inchiesta sulle donne capo. Le caratteristiche stesse si alternano, si mescolano e si trasformano. Ma perché continuano ad essere approvate solo le qualità delle dee vulnerabili, mentre le dee vergini spaventano e la dea alchemica crea diffidenza? O forse non è più così? E tu che capo-donna sei? O che capo-donna hai? E cosa ti piace e cosa no? 72

“Quella stronza del mio capo”, oltre ad essere il titolo del libro di Bridie Clark, è anche un’esclamazione che si sente ripetere con una certa frequenza nelle organizzazioni e che in modo piuttosto efficace contrasta l’idea (solo l’idea mi raccomando) politicamente corretta che “capo donna è bello”. Ma come, non eravamo arrivati alla conclusione che le qualità femminili erano proprio quelle giuste per esercitare un potere più umano, per migliorare la qualità del nostro lavoro? Addirittura il “femminile” non doveva diventare un requisito che anche i maschi più machi dovevano imparare a coltivare? E allora come mai le rappresentazioni iconografiche delle donne al potere corrispondono alle figure spietate di Meryl Streep in “Il diavolo veste Prada” o di Tilda Swinton in “Michael Clayton”?

“Certo quando una donna al lavoro ha un obiettivo chiaro, è ambiziosa e decisa, molto spesso è vista come un’arrivista” dice Anna, dirigente di 42 anni in una società informatica. “La mia squadra è quasi tutta di donne, le ho sempre preferite sul lavoro. Sono più brave, affidabili ed intelligenti, a loro chiedo molto, moltissimo. Mi rendo conto di essere esigente, alcuni, gli uomini per lo più, alle volte non ce la fanno a starmi dietro”. Anna come Artemide, dea della caccia, ha un fisico atletico e uno sguardo deciso, puntato dritto verso il bersaglio. Come la dea si circondò di Ninfe e prese le loro difese, così nel lavoro Artemide ha uno sviluppato senso della sorellanza e della condivisione di valori profondi, soprattutto con altre donne. Proprio per il suo rigore può diventare spietata e, senza ac-

corgersene, ferire le persone meno forti di lei. “Non riesco a capire come mai la collera viene accettata quando si tratta di un capo maschio, quando invece ad arrabbiarsi è una donna, ecco che immediatamente viene bollata come arpia”. Michela, 47 anni, anche lei dirigente, ma in un istituto bancario, ha conquistato con intelligenza il suo potere in un ambiente tipicamente maschile. “Ma se devo dirti la verità, la lotta più dura la faccio con le altre dirigenti donne. Trovo che siano più competitive e dure dei colleghi maschi, con i quali riesco a trovare più facilmente un’intesa”. Atena, dea della saggezza e dei mestieri, nacque direttamente dalla testa del padre Zeus e per questo ha sempre mantenuto il suo rapporto privilegiato con il padre. Come Michela nel lavoro è una grande stratega, ma a differenza di Artemide non privilegia il rapporto con le altre donne e spesso preferisce lavorare con uomini. E di nuovo, ma ancora peggio, cosa succede se ad avere potere è una donna affascinante e seduttiva, caratteristiche principali dell’unica dea alchemica, Afrodite dea dell’amore e della bellezza. Monica, 37 anni, creativa di successo in una grande agenzia di pubblicità, più che bella è sensuale e, per sua stessa ammissione, parte del suo consenso è dovuto proprio a questa qualità. “Con la piccola differenza che, se ad essere sensuale è un uomo, è un capo carismatico, se invece è una donna, è una puttana. Hai mai sentito dire di un uomo che ha fatto carriera per meriti talamici? Io no, mai. Mentre lo sento dire molto spesso delle donne, me compresa”. Afrodite conquista e seduce posando il suo sguardo alchemico sull’amato creando energia e vitalità. Così, nel lavoro ha la capacità di ispirare e sviluppare le virtù di chi la circonda provocando l’effetto Pigmalione che trasforma. “Così ti fai molti amici, quelli che ti amano e che ti seguono, ma anche molti nemici, soprattutto fra le donne”. Luciana Zanon www.lucianazanon.it Dee vergini - Artemide, Atena, Estia Rappresentano le qualità femminili dell’indipendenza e dell’autosufficienza, gli attaccamenti emotivi non le distolgono da ciò che ritengono importante, non agiscono da vittime e non soffrono. L’aspetto della dea vergine rappresenta quella parte di donna che l’uomo non riesce a possedere o “penetrare”, non viene toccata dal bisogno di un uomo o dalla sua approvazione, che esiste di per sé interamente separata da lui. Dee vulnerabili – Era, Demetra, Persefone Rappresentano i ruoli tradizionali di moglie, madre e figlia. Dee la cui identità ed il benessere dipendono dalla presenza, nella loro vita, di un rapporto significativo; ciò che le motiva è la gratificazione del rapporto, approvazione, amore, attenzione. Sperimentano la possibilità di crescita attraverso la sofferenza e spesso reagiscono con vittimismo. Dea alchemica - Afrodite In una categoria a parte troviamo Afrodite, dea dell’amore e della bellezza, viene definita dea alchemica in riferimento al processo magico o potere di trasformazione che lei sola possedeva. Per saperne di più: www.raphaelproject.com/femme/dee_donna.htm Jean S. Bolen, “ Le dee dentro la donna”, ed. Astrolabio digital mindstyle magazine

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- mercato della consulenza

- miglioramento del business.

- comunicazione interpersonale;

- gestione del conflitto;

- sviluppo dei leaders;

- sviluppo dei gruppi;

- cambiamento nelle organizzazioni;

I temi che tratta sono:

non si prende troppo sul serio.

Nel mentre impara, si diverte e

significato e qualità della vita.

e risultati, costruendo competenze,

la realizzazione di sogni, aspirazioni

persone, gruppi e organizzazioni verso

> di Mario Gastaldi

in Italia ed all’estero, supporta

Bio

Come le aiutiamo?

coach e agente del cambiamento. Lavora

Le Organizzazioni... strutture di vetro?

Mario Gastaldi è uno speaker, trainer,

Soggettive | Consulenze | Organizzazioni

Consulente di processo: Ma quale vetro! Le organizzazioni sono umane come le persone che le popolano. Allora, come le aiutiamo? In tutti i continenti, le Società di Consulenza si sono sviluppate moltissimo negli ultimi decenni, e in molti casi danno un supporto molto significativo alle organizzazioni. Ma cosa sono e come si scelgono? Organizziamo le idee.

La consulenza di processo è necessaria per realizzare risultati in termini di ispirazione delle persone e delle loro migliori energie emotive, psicologiche, sociali ed intellettive verso i risultati dell’organizzazione. Costruisce competenze permanenti che si autorinnovano all’interno delle organizzazioni; le dinamiche interpersonali migliorano radicalmente, la motivazione cresce, gli scopi organizzativi si realizzano. Il consulente insegna la coltivazione dei kiwi; non consegna i kiwi. L’errore più grave del consulente di processo? Dire cosa si deve fare. La cosa giusta? Aiutare individui e gruppi a scoprire la strada da soli. Un equivoco classico. I consulenti di organizzazione o di pianificazione strategica, che vendono soluzioni preconfezionate: diagrammi, piani e prospetti che non sono applicabili. Consegnano saggezza in documenti variopinti e affascinanti, ma distanti dalla realtà specifica. Le soluzioni e i processi organizzativi, il fare dei gruppi, devono nascere da un processo a cui partecipano le persone che dovranno agire ed interagire. Se il consulente consegna saggezza preconfezionata, questa non verrà applicata, incontrerà forti resistenze, ... è completamente inutile Due tipologie di società di Consulenza

Grande società

Grandi nomi, sedi in tanti paesi e città; processo produttivo industrializzato e ripetitivo. Queste società scrivono modelli di supporto, in serie, simili alla Fiat Punto. Certe volte la Fiat Punto non si adatta alle esigenze, e non esistono capacità/volontà di personalizzare. Le attività di “consegna” dei modelli in serie, vengono svolte da consulenti freschi di laurea o master. Il cliente paga l’emozione di rivolgersi ad un “grande” nome. Queste società non applicano il modello della consulenza di processo. Non sviluppano competenze nelle organizzazioni clienti, e sono discutibili sul piano etico perché utilizzano la loro reputazione per gratificare il cliente, ma danno indicazioni su cosa deve fare che sono inutili e creano forti resistenze. Le organizzazioni sono stanche di questo supporto artificiale e plastificato. Chi ci crede più, ormai? Due approcci alla consulenza:

Consulente esperto.

Questo approccio è tipico di chi “possiede” la verità definitiva e la infonde nei suoi clienti. Esempio: commercialisti che redigono statuti societari; programmatori di software, consulenti di pianificazione strategica e di organizzazione

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che consegnano volumi di carta ricchi di flow-charts e diagrammi organizzativi. La consulenza esperta è utile ed ha un valore, nei casi in cui si riferisce a saperi nozionistici: per esempio redigere un bilancio. La consulenza esperta crea dipendenza nell’organizzazione e non svilupperà competenze. Se volete imparare, ed essere indipendenti, come individui e come gruppi, non vi serve.

Piccola struttura di Consulenza.

Le piccole strutture di consulenza sono composte da piccoli gruppi fluidi, di studiosi, concreti e appassionati, che amano entrare in campo ed interagire direttamente. Normalmente indipendenti, spesso formano teams per specifici progetti. Realizzano interventi di supporto articolati, fatti di workshops, training e/o coaching combinati tra loro in

funzione di esigenze specifiche ed uniche. Queste attività costruiscono competenze, all’interno delle organizzazioni. Queste riguardano i gruppi, gli individui e le loro relazioni; sono ad un livello profondo. Al termine di questi interventi le competenze si autogenerano e si autorinnovano ... le persone imparano a coltivare i kiwi. Il confine tra consulenza che costruisce competenza e consulenza che crea dipendenza non è chiaro per il cliente. Managers e imprenditori, quando comprano la consulenza, spesso non fanno le giuste domande; e chi vende la consulenza non aiuta a chiarire. I clienti della consulenza non riescono a proteggersi ... non è semplice. Chi compra consulenza per costruire competenze deve fare le seguenti domande: Quale miglioramento e competenze costruiamo? Con quali strumenti e approcci operate? Come ci accorgiamo dei benefici, e come misuriamo i risultati? Quale investimento? Quando e come si completa il lavoro? Riservatezza? In fine, alcune strutture di consulenza piccole, e con in mente il processo e le persone. Alcuni li conosco di persona, tutti hanno grande reputazione e credibilità internazionali. Marshall Goldsmith, Peter Block, David Zinger, Dick and Emily Axelrod, David Cooperrider, Sam Kaner, Allon Shevat Se vi piace approfondire cosa è la consulenza di processo leggete “Consulenza di Processo” di Edgar H. Schein. Mario Gastaldi

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M3 | Moda modi e mood | L’abito fa il manager

Guida allo stile di Successo Dal business casual delle società dot com ai capi più formali Cinzia Felicetti, giornalista esperta di moda e autrice di testi come “Assolutamente glam!” e “Io compro da sola”, l’abbiamo conosciuta durante il World Business Forum. Parliamo con lei del suo ultimo lavoro, “L’abito fa il manager”, dal quale siamo partiti per discutere di stile, di eleganza e di carriera in ambiente corporate.

Intervista a Cinzia Felicetti a cura di Stefano Mizzella Iniziamo ricordando una frase molto significativa pronunciata durante la conferenza al World Business Forum. Lei dice: “La prima, indelebile impressione che abbiamo di una persona si forma in 7 secondi”. È davvero così? Sì, vero. Viviamo tutti in una società implacabilmente frettolosa, nel senso che abbiamo delle agende piene di impegni, siamo costretti a prendere delle decisioni spesso in tempo reale e, quindi, la prima impressione tende a essere non solo quella che conta, ma anche appunto a consolidarsi rapidamente in un giudizio definitivo. Dobbiamo un po’ fidarci dell’istinto e delle prime sensazioni che abbiamo. Quindi ci sono dei segreti, delle dritte, in parte già illustrate in questo libro, per riuscire a risultare vincenti in una prima impressione. Ognuno di noi eventualmente ha il suo modo per recuperare, però si tratta innanzitutto di un compito abbastanza gravoso e faticoso e poi dal risultato incerto. Come dico nel libro, io sono più favorevole a un approccio vagamente cinematografico del tipo “buona la prima”, cioè cercare di giocarsi subito le carte vincenti ed essere sicuri che il risultato sia positivo e di successo subito. Un’altra affermazione molto interessante è quella secondo la quale lei dice: “Voi siete il brand, e il vostro abbigliamento è il vostro logo”. Se da una parte tale affermazione potrebbe essere considerata come un approccio forse superficiale alla persona, dall’altra restituisce appunto la sostanza di quella che è la sua teoria: come una società deve investire sulla valorizzazione del proprio brand, allo stesso modo una persona deve investire sulla valorizzazione del proprio abito. Ci spieghi meglio questo concetto. In realtà la mia affermazione voleva andare un po’ più in profondità rispetto a tale interpretazione. Iniziamo con una doverosa precisazione: questo libro è la traduzione e l’ampliamento di un corso che è nato in lingua inglese per l’Università Bocconi. Dico questo perché, confrontandomi inizialmente soprattutto con un pubblico straniero, composto di manager provenienti dai più disparati paesi del mondo, mi sono accorta proprio della differenza di approccio tra quello che è lo scenario internazionale

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e la situazione dell’Italia in modo particolare.Mi spiego: in Italia siamo un po’ convinti di avere la moda nel DNA, l’eleganza nel DNA, perché spesso si scambiano i termini eleganza e tendenza, che non sono esattamente e necessariamente la stessa cosa. Il concetto di eleganza è, infatti, un concetto sempiterno, senza data di scadenza, legato proprio allo stile, al gusto, e quindi ha anche spesso delle citazioni di tipo culturale. È immerso sì nel tempo in cui viviamo però, ripeto, è un concetto più astratto, e comunque meno legato all’avvicendarsi spesso implacabile delle tendenze. La tendenza è per l’appunto qualcosa che, come lo yogurt che abbiamo in frigo, è destinata a scadere, ad essere sostituita. In Italia, questo almeno fino a qualche tempo fà ma in molti casi ancora è valido, si cerca l’autorevolezza del marchio, perchè il fatto di coprirsi di loghi o indossare abiti o accessori smaccatamente riconoscibili dà sicurezza e fa sentire affermati. È un po’ lo stesso meccanismo che si ritrova nelle tribù giovanili, dove l’uso di un certo tipo di jeans o di sneakers è riconosciuto come segno distintivo del gruppo, della tribù. Queste sono tutte cose che ti danno sicurezza e rendono estremamente riconoscibili e riconosciuti. Quello che io volevo dire con quella frase è: voi siete il brand, voi siete comunque la sostanza. Il libro non vuole dire che l’apparenza sia più importante della sostanza, lungi da me. La sostanza è fondamentale, è la base di partenza ed è il presupposto imprescindibile. In assenza di sostanza vedo delle carriere abbastanza fulminee destinate a non lasciare segni indelebili. Però, quello che propongo attraverso questo libro, è un ponte tra forma e sostanza, in modo che la prima rappresenti davvero coerentemente la seconda, in qualche maniera la esalti. Questo per me è fondamentale. Dopo di che, l’altra cosa fondamentale è scegliersi uno stile che ci faccia da logo. Non fare in modo che sia lo stilista del momento a vestirci, ma trovare uno stile davvero nostro, attraverso magari l’uso di un accessorio particolare, di un colore, per fare in modo di risultare riconoscibili sempre nel rispetto, per esempio, del dress code imperante in azienda, perché poi la base di partenza è quella comune, più o

meno implicita o dichiarata, che vige in azienda. Puntare su un look personale, su qualcosa che ci renda diversi dagli altri, perché spesso delegare la propria autorevolezza a quella di uno stilista o di un marchio ci toglie forza. Mi sembra un’ottima precisazione. Proviamo allora a fare qualche esempio e ad entrare veramente nel merito della questione. In qualità di esperta, quali sono i consigli che si sente di dare per fare colpo durante una riunione o un colloquio importante? E quali sono, invece, gli abbinamenti o gli accessori da evitare assolutamente? Facciamo un discorso molto trasversale perché ovviamente ci sarebbero un sacco di casi particolari da esaminare. Il colloquio è proprio il tempio della prima impressione, la carriera è la somma di tante prime impressioni, o comunque è il concatenamento di mille giornate vissute una dietro l’altra, quindi richiede una coerenza, uno sviluppo del discorso principale. Però, in generale, come dicevo nella presentazione, l’eleganza secondo me innanzitutto è un concetto complessivo che riguarda non solo l’abito, ma il modo di porsi. Eleganza è un garbo del tratto, del modo di trattare se stessi e gli altri, un’educazione, un’attenzione alle buone maniera, a un uso civile del cellulare, a un modo di porsi nel colloquio e nell’interazione con le persone. Poi, in generale, quello che dico sempre è quasi assiomatico, ha valenza universale perché non stiamo esaminando singoli casi specifici. L’eleganza non si staglia in maniera aggressiva, non è prepotente, l’eleganza è fatta di colori autorevoli, di dettagli che non urlano per catturare l’attenzione, è un abbinamento armonioso e armonico. Certo dipende sempre dal contesto, perché un colloquio o una carriera in una banca internazionale non può essere simile alla carriera che si fa in un grande marchio come Diesel o altri marchi particolari in cui il dress code è più decontratto, è più easy. Bisognerebbe dunque valutare i casi specifici però, in generale, sono dettagli molto importanti un aspetto molto curato, colori autorevoli, quelli scuri in generale, l’uso di accessori di qualità, per esempio una scarpa elegante e autorevole, non con la punta all’insù o con le cuciture a vista, oppure il “suolone” in gomma tipo surf. Quello che sconsiglio sempre è l’eccesso. Per esempio, da un punto di vista maschile l’eccesso è rappresentato dall’esuberanza di tessuto: la mega-cravatta, il collo pronto al decollo, il gessato da “Padrino parte terza”, sono tutte cose che si vedono spesso in giro. Anche in questo caso, è un po’ come alzare troppo la voce, è come quelli che ti mandano i messaggini scritti tutti in lettere maiuscole che sembrano urlare. Per le donne invece il problema è diverso, perché noi abbiamo una maggiore libertà, nel senso che il nostro dress code è meno perentorio a un livello corporate, e meno restrittivo del vostro, per cui il problema al femminile è quello della gestione della maggiore libertà. Spesso le icone di riferimento si rifanno sempre più spesso al mondo televisivo, ahimé, proponendo proprio queste scollature abissali, i tessuti che tengono un po’ sotto vuoto. Anche in base a quella che è stata l’esperienza del mio corso, succedeva che persone preparatissime da un punto di vista di titoli accademici o master, non venissero poi prese proprio perché risultavano improbabili alla vista, presentandosi acconciate in maniera un po’ bizzarra. Quali sono secondo lei le icone di stile da seguire, da cui appunto prendere ispirazione, sia per quanto riguarda gli uomini che per le donne. Il cinema e la televisione sono in grado ancora di proporre icone di stile o è necessario vedere un vecchio film degli anni ’20 per riuscire a scovare qualcosa di davvero elegante e adeguato?

Su questo argomento non ho una ricetta di quelle tipo fast food, molto veloci, ahimé, nel senso che per me lo stile non si riesce a insegnare con un corso full immersion. Lo stile è un composto culturale, non perchè si dia con 30 e lode l’esame di filologia germanica, ma perché secondo me presuppone il fatto di viaggiare in un certo modo, appunto non con il pacchetto preconfezionato. Quindi vedere film non necessariamente degli anni ’20, però conoscere lo stile delle persone che hanno fatto la storia dell’eleganza, che appunto possono essere sì Audrey Hepburn o Cary Grant, piuttosto che Jackie Kennedy, però appunto io poi non è che propongo di vestirsi come Jackie Kennedy, perché risulterebbe un po’ strano di questi tempi. Però, ciò che è davvero necessario avere sono gli strumenti. Per strumenti intendo una perfetta conoscenza della tua personalità che non è facile come dirlo, aver letto delle cose che comunque esprimano un segno, aver visto dei film che lanciano dei messaggi forti, aver viaggiato con tutti i sensi aperti e quindi non in maniera stereotipata o convenzionale. Se possiedi tali requisiti probabilmente hai acquisito proprio gli strumenti che ti consentono di fare una cernita di quello che ti viene proposto, di filtrarlo e di adattarlo alla tua personalità. Quello che vedo invece spesso è proprio un adeguamento supino ai modelli che vengono proposti, che sono poi tutti uguali, ed ecco poi che si arriva all’omologazione. In Italia io non ho moltissimi modelli di riferimento, in questo momento il baricentro si è spostato di nuovo verso Parigi come stile. Lo stile secondo me è come una pianta: va innaffiata, va concimata. Ti ripeto, per me l’eleganza è un sostrato, ovvero comprende la moda, ma non aderisce completamente alla moda, sarebbe fin troppo facile se fosse solo così. Concludiamo con un’opinione sul “casual friday”. Il casual friday è nato in un momento particolare, intorno alla metà degli anni ’90, quando le cose andavano molto bene in generale. A livello psicologico accade questo: quando le cose funzionano ci si sente più rilassati e quindi anche autorizzati a essere decontratti, meno formali. Il casual friday è nato per vestire l’esigenza del manager di metà anni ’90 che in zona venerdì cominciava a prepararsi, anche psicologicamente, al weekend. Però poi è diventato se vuoi l’abbigliamento di molti contesti lavorativi proprio a tempo pieno, in particolare della società dot com, quella legata a Internet, e a contesti appunto che non sono necessariamente la banca o la società di assicurazioni. Io non ho assolutamente niente contro il casual friday, o contro il look business casual, usando così la sua definizione generale. Quello che dico nel libro è che si tratta in realtà di un look finto semplice, nel senso che mentre l’abito blu dell’abbigliamento corporate ti garantisce subito autorevolezza, il jeans deve rispondere a certe caratteristiche per non sembrare eccessivamente sbracato. Quindi, il business casual va benissimo, però richiede una cura nell’abbinamento e comunque una pulizia, un’attenzione al dettaglio se vuoi paradossalmente maggiore rispetto ad altri dress code apparentemente più formali. Parlavamo del jeans che è una componente fondamentale del look casual, certo non deve essere troppo delavee, troppo scolorito, troppo strappato. Anche la camicia, va benissimo quella botton down, un po’ più informale, però ecco magari non portata fuori dai pantaloni, per di più scoloriti, perché allora lì davvero significa esagerare. Sono regole poi in realtà non così prescrittive. Il mio augurio è che il libro diventi davvero un consulente d’immagine di fiducia per chi mi legge. Mi piace che sia solo un supporto e un modo per far poi volare la fantasia e la creatività di ognuno, perché il vero messaggio è questo: i dress code ci sono, vanno rispettati e prima ancora conosciuti. Però, come tutte le regole, la vera bellezza sta proprio nel trasgredirle. digital mindstyle magazine

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M3 | performing media | sottoveglianza | sicurezza

Sottoveglianza L’evoluzione tecnologica dei comportamenti creativi di Carlo Infante

La blogsfera e tutto il social networking ha reso evidente quanto sia centrale la produzione di contenuti da parte degli utenti. Ma il cuore della questione non risiede solo nell’infodesign bensì, se ci proiettiamo strategicamente sullo sviluppo potenziale del rapporto tra reti (si pensi al mobile e al wi-fi) e territorio, in ciò che va declinato secondo accezioni sempre meno scolastiche e precostituite (nonchè mutuate dal mondo dell’industrial design): ovvero un interaction design che va ben oltre la progettazione d’interfacce e periferiche. L’interaction design che più c’interessa e rilancia le strategie di performing media, si basa, infatti, su un’interazione sociale che si rivela laboratorio antropologico e cantiere di nuova creatività. Potremmo parlare di User Generated Behavior, se non fosse che dopo si rischia d’incartarci con troppi neologismi ridondanti. Il dato sostanziale è questo: gli utenti generano dei comportamenti spesso imprevedibili, quei valori d’uso delle più diverse tecnologie che prefigurano applicazioni spesso non previste dagli assetti di mercato. La società civile, o perlomeno le sue componenti più avvertite, giovani e creativi, inventano modi di fare ed interagire. Si tratta solo di alzare le antenne e rilevarli. Interpretandoli. Dando senso alle intuizioni di un marketing relazionale che non può limitarsi a profilare i consumatori, scippando dati personali con automatismi web spiccioli, ma teso a creare contesti di conversazione attraverso cui qualificare servizi e prodotti. Le condizioni della partecipazione (proprie del web 2.0) riguardano, infatti, non solo i dispositivi interattivi delle piattaforme, ma la disponibilità dei cittadini della Società dell’Informazione ad inventare le modalità dell’interazione. Ad inventare nuove forme di cittadinanza.

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E in questo quadro che può essere considerata emblematica una particolare azione creativa funzionale ad una ridefinizione più precisa dei sistemi di sicurezza della telesorveglianza, uno dei settori della tecnologia digitale che stanno registrando maggiori investimenti. Si pensi solo a ciò che si sta preparando per le Olimpiadi di Pechino dove sono stati annunciati i sistemi di tele-sorveglianza più avanzati. Si tratta della Sottoveglianza. È un neologismo tra i tanti che emergono però dalle condizioni inedite di un’evoluzione tecnologica scandita, come abbiamo sottolineato, da quei valori d’uso creativo. C’è la sorveglianza delle telecamere di sorveglianza che innervano i sistemi di sicurezza urbani, bene, d’accordo, ne prendiamo atto, ma si faccia in modo che ci sia anche una sottoveglianza che proponga un controllo sociale di questi sistemi. è solo sulla base di una consapevolezza e di una trasparenza delle politiche per la sicurezza che sarà possibile rendere sicuro e vivibile lo spazio pubblico. È su questi presupposti che si sta svolgendo a Torino una campagna per la “sottoveglianza”, presentata presso il Gruppo Abele di Don Ciotti con un seminario pubblico, promosso dal Performing Media Lab, Libera (l’associazione Contro le Mafie) e Acmos, che ha visto, tra gli altri, la partecipazione del sottosegretario al Ministero dell’Interno Marco Minniti. L’iniziativa intende promuovere un patto collaborativo e creativo sulla sicurezza a Torino, basato su un controllo sociale della tele-sorveglianza dal basso, sottoveglianza, appunto. Per la festa di S. Valentino la sottoveglianza si è fatta happening di amorosi intenti, azioni disseminate (come le smart mob) che hanno visto alcuni ragazzi delle scuole medie superiori baciarsi ed abbracciarsi sotto diverse telecamere di sorveglianza della città. Baci rilanciati in rete, in collaborazione con ThinkLoci su www.acmos.net/sottoveglianza. Carlo Infante carlo@performingmedia.org digital mindstyle magazine

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7th Floor è letto da manager e professionisti, distribuito direttamente all’interno delle imprese più innovative Corporate manager delle maggiori aziende e istituzioni italiane (Presidenti, Amministratori Delegati, Direttori Generali, Country Manager e Direttori Generali). Responsabili di funzione delle aree: comunicazione, marketing, pubblicità, eventi, promozioni, relazioni pubbliche e media relation, sia del mondo dell’impresa sia del mondo della pubblica amministrazione locale e nazionale. Creativi (centri di produzione e distribuzione contenuti, giovani autori e designer, professionisti di internet e dell’ICT). Imprese (imprenditori digitali, imprese innovative, agenzie di comunicazione, centri media, consulting, venture capital). Istituzioni (Università, Accademie, Ministeri, PA, Centri di ricerca e formazione, Docenti, Incubatori). L’elenco completo delle imprese su

Immagine di Charis Tsevis

Quello che il bruco chiama fine del mondo, il resto del mondo chiama farfalla. Lao Tze, "Il libro della via e della virtù"


FONTE IMMAGINE: SIE/MASTERFILE

MENOSTORIE.COM

“Generations”

a cura di Emanuel Di Felice

di Dario Landi

«Come se l’è fatta?» «Da piccolo, cadendo dalla casa sull’albero» Ed smise di toccarsi la cicatrice sulla tempia. «Sa perché è qui?» «No» «Sa com’è assegnato il lavoro nella nostra società?» «Passa al figlio dal padre, quando questi arriva all’età pensionabile o muore» «Bene. Suo padre ha appena raggiunto quell’età» «Ah. Cosa accadrà ora?» L’uomo prese una scatola da un cassetto e gliela porse. «Qui troverà tutte le istruzioni» Ed fece per aprirla. «No. Non adesso. A casa, quando sarà solo» «Mi scusi» «Bene, può andare» L’uomo sorrise. Ed salutò ed uscì. Entrò in casa, baciò sua moglie e salì di sopra. In bagno, aprì la scatola. Dentro c’erano una pistola, un caricatore ed un foglio. “Sostituzione 345. Il soggetto A assumerà l’impiego di B. A deve impegnarsi a creare le condizioni della sostituzione, utilizzando gli strumenti allegati. Al termine sarà nostra cura provvedere allo smaltimento degli strumenti e dei residui organici” Dunque funzionava così. Per avere il lavoro doveva uccidere suo padre. Niente età pensionabile. Omicidio. La cicatrice gli doleva terribilmente. Rimise tutto nella scatola. Uscì portandola con sé. In pochi minuti fu a casa del padre. Suonò. «Ciao. Mi fa piacere vederti» «Posso entrare papà?» «Certo»

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«Vuoi qualcosa da bere?» «Whisky» Suo padre prese due bicchieri e la bottiglia. «Ti fa male la cicatrice?» Ed arrestò di colpo la mano. «Mi prude un po’» «Perché sei qui?» Ed trasse la scatola dal giaccone e la posò sul tavolo. Il padre sprofondò la testa tra le mani. «Speravo di avere ancora tempo» «Non ho intenzione di farlo, papà» «Devi» «Tu… hai ucciso tuo padre?» «Credi che tu saresti vivo se io non lo avessi fatto?» Suo padre prese la pistola, la caricò e gliela porse. «Non posso» «Non sei caduto» «Come?» «Non sei caduto dalla casa sull’albero. Ti ho spinto io» «Cosa?» «Volevo salvarmi la vita» Ed alzò la pistola contro il petto del padre. Poi la abbassò. «Sei troppo onesto » Il padre fece due passi verso di lui, gli afferrò il braccio e fece fuoco contro di sé. Si accasciò al suolo. Una pozza di sangue macchiò la moquette attorno al suo corpo. In quel momento suonarono alla porta. Dallo spioncino Ed vide due uomini in abiti scuri. «Siamo qui per il ritiro» Aprì la porta. In silenzio, chiusero il corpo di suo padre in un sacco nero. Presero la scatola, la pistola e se ne andarono. Sulla porta uno dei due si voltò. «Buon lavoro» disse.

FORUM DELLA COMUNICAZIONE Nasce il primo Forum della Comunicazione d’Impresa e Pubblica Roma, Spazio Etoile, 28-29 maggio 2008

www.forumcomunicazione.it info@forumcomunicazione.it

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Innovare è una sfida che si gioca a tanti livelli: tecnologia, organizzazione, cultura. In 80 anni di storia IBM Italia ha saputo raccogliere questa sfida, aiutando le aziende a raggiungere obiettivi che fanno crescere e rendono più moderno e competitivo tutto il Paese. Un bilancio positivo che per noi non è un traguardo. Perché anche per il futuro proseguiremo, con lo stesso impegno, nel nostro compito: continuare ad essere l’innovatore che lavora per le tue innovazioni.

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