Vivere Sostenibile a Ferrara n.10 autunno 2017

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www.viveresostenibile.net Ambiente, cibo, comunità, transizione e resilienza

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Supplemento di Vivere Sostenibile - Settembre 2017 - n. 42 EDITORIALE

IL PIANETA DELLE MUCCHE

Gli allevamenti intensivi, inquinano più di ogni altra cosa e sono corresponsabili del cambiamento climatico, del consumo di acqua e territorio, di carestie, fame e migrazioni di massa. Ecco perché dovremmo cambiare dieta tempo di lettura: 7

di Silvano Ventura - direzione@viveresostenibile.com Oggi siamo 7 miliardi e macelliamo ogni anno 60 miliardi di animali; fra 30 anni, saremo in 10 miliardi sulla Terra, 3 miliardi più di oggi. Se non cambiamo modello alimentare, macelleremo oltre 100 miliardi di animali ogni anno. Una cifra insostenibile, sotto ogni punto di vista! E allora come sfameremo questa moltitudine di persone? L’industria delle carni si divora il 40% delle terre coltivabili del pianeta, con punte ben più alte nei paesi poveri e consuma, per la produzione di cereali e soia destinate all’allevamento del bestiame, ingenti quantità di riserve di carburanti fossili. Tutto questo affinché un’esigua percentuale della popolazione terrestre, già obesa e ammalata, possa banchettare con l’alimento più alto nella catena alimentare globale e mentre circa 1 miliardo di altri esseri umani si trovano a combattere malnutrizione, carestia e morte. Sempre più terra coltivabile del pianeta è adibita alla produzione di mangimi per gli animali, o per la produzione di bio carburante, il che significa che di conseguenza sempre meno terra è riservata alla produzione di cereali e vegetali per l’alimentazione umana. L’accordo di Parigi sul cambiamento climatico della COP 21, volontario, senza sanzioni e inoltre già respinto dagli USA del Presidente Trump, aveva posto limiti alle emissioni derivanti dai combustibili fossili, dimenticando totalmente le emissioni derivanti dall’allevamento animale. In particolare, del metano (gas serra per eccellenza), che contribuisce fortemente all’aumento di CO2 in atmosfera emesso dai bovini, da carne e da latte. La verità “scomoda” che nessun politico ha il coraggio di affrontare, è che l’allevamento del bestiame è la causa principale della emissione di gas serra, quindi dell’aumento di CO2 (anidride carbonica) in atmosfera e di conseguenza del riscalda-

mento globale. Inoltre, circa il 70% del suolo agricolo coltivato a cereali e soia, è destinato a nutrire gli animali da allevamento. Questo uso improprio e cieco della “risorsa” suolo, oltre che a distruggere la bio-diversità, di fatto affama intere moltitudini di popolazione dei paesi più poveri, che si vedono private di cibo dato agli animali che sfameranno la “parte ricca” degli abitanti della Terra, aumentando così disparità economiche, migrazioni di massa e tensioni sociali. L’altra grande risorsa consumata per produrre carne, è l’acqua. Ogni giorno, nei fast food del pianeta, vengono mangiati 6 mln di hamburger. Per produrre 1 hamburger servono 1500 litri di acqua, quantità sufficiente per dissetare un uomo adulto

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per 1 anno e mezzo! Non va certo meglio se guardiamo con attenzione agli allevamenti di suini o di pollame. Le scelte politiche degli ultimi decenni, sono state tutte a supporto delle industrie e ben poco attente alla salute del cittadino. Da quelle farmaceutiche che producono antibiotici per “bombare” polli, tacchini e maiali e farli sopravvivere in allevamenti-lager fino al giorno di macellarli, a quelle chimiche che producono antiparassitari e concimi, a quelle alimentari che brevettano semi e producono OGM. La resistenza agli antibiotici, gravissimo problema diffuso in tutto il pianeta e in particolare nelle nazioni ricche, che rende vani decenni di scoperte scientifiche e mette a repentaglio la nostra salute, è anche figlia della necessità assoluta di somministrarne dosi massicce agli animali negli allevamenti intensivi, solo per tenerli in vita fino alla macellazione. La metà degli antibiotici prodotti nel mondo, è utilizzata a questo scopo e la resistenza agli antibiotici di conseguenza sviluppata dai batteri, potrebbe portare in pochi decenni le infezioni ad essere la prima causa di morte di noi umani, superando i tumori. Già, i tumori... l’OMS (Organizzazione mondiale della Sanità), ha ufficialmente decretato che il consumo di carni rosse e lavorate, ha una correlazione diretta con l’aumento delle possibilità di sviluppare alcune forme di cancro. Per la precisione lo studio evidenzia che la possibilità di sviluppare un forma tumorale all’apparato digerente (colon, stomaco, intestino, pancreas) aumenta del 18% consumando 50 grammi di carne lavorata o 100 grammi di carne rossa al giorno. Non è poca cosa, perché così salumi e carni rosse, finiscono nelle sostanze cancerogene di gruppo 1, in compagnia di fumo, amianto, alcool e radiazioni! Continua a pag. 3

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ALIMENTAZIONE CONSAPEVOLE

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BAMBINO NATURALE

p. 6

PRIMAVERA 2016

p. 3

Buone pratiche, belle idee e buona amministrazione

p. 7-10

SCELTE SOSTENIBILI

p. 11

ESSERE VEGANI

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Capo Redazione Maddalena Nardi redazione@viveresostenibile.net

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Siccità e caldo: prepararsi a una nuova normalità di Enrico Ottolini, Delegato Emilia-Romagna WWF Italia

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Come preannunciato dai climatologi il riscaldamento globale fa sentire i suoi effetti anche in Emilia-Romagna. Non si tratta di un’emergenza temporanea, ma di una situazione che è destinata a diventare la normalità nei prossimi decenni. L’atlante climatico dell’Emilia-Romagna, pubblicato dal Servizio Idro-Meteo-Clima di ARPAER, evidenzia negli ultimi 25 anni incrementi di temperatura superiori a 1 grado, con un prolungamento dei periodi siccitosi nelle stagione estiva. E in questi due mesi di emergenza idrica è emerso che, pur sapendolo, non ci stiamo preparando in modo adeguato al futuro di caldo e siccità. Le nostre città sono sempre più esposte alla formazione di isole di calore ed il ricorso all’aria condizionata non si arresta, aggravando il riscaldamento delle aree urbane e causando un’ulteriore produzione di anidride carbonica. I nostri sistemi di utilizzo dell’acqua sono ancora carenti dal punto di vista del risparmio, dello stoccaggio e del recupero delle acque. Per garantire l’approvvigionamento idrico al settore agricolo, la Regione ha addirittura concesso di prelevare più acqua rispetto alla quantità minima che dovrebbe garantire la vita nei corsi d’acqua (deflusso minimo vitale): si è quindi sacrificato un bene collettivo con quello che comporta in termini di perdita di biodiversità, qualità delle acque, metabolizzazione degli inquinanti, resilienza degli ecosistemi, per un comparto economico che comunque dovrà necessariamente adattarsi in futuro, dal momento che la risorsa recuperata con la deroga al DMV, pur essendo vitale per l’ambiente, è esigua per l’agricoltura. Insomma, la risposta all’emergenza è stata data con misure non risolutive, che in alcuni casi addirittura aggravano la condizione di insostenibilità ambientale in cui ci troviamo. Ancora peggio sarebbe la creazione di grandi invasi, che modificherebbero ulteriormente il ciclo dell’acqua e il suo rapporto

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con il territorio. Eppure alcune buone pratiche sono state sperimentate con successo nel territorio regionale da vari anni. Pensiamo ad esempio ai piccoli bacini creati dagli agricoltori, per avere acqua senza intaccare il flusso idrico del corsi d’acqua nel periodo estivo, al riutilizzo dell’acqua proveniente dai depuratori, alla creazione di vasche e cisterne per lo stoccaggio dell’acqua piovana, alla realizzazione di parcheggi drenanti, alla restituzione ai fumi dello spazio necessario per alimentare gli acquiferi. E’ necessario che questo tipo di interventi non resti marginale, ma diventi la regola, come d’altra parte stabilisce la stessa pianificazione regionale. Il riscaldamento globale è nei fatti. Il WWF ribadisce la necessità di prendere rapidamente le decisioni necessarie ad una riduzione dei gas serra e nel contempo chiede di affrontare i problemi di adattamento guardando al futuro e al necessario riequilibrio nell’uso delle risorse e del territorio, evitando apparenti scorciatoie che porterebbero poco lontano. Il futuro è nei prossimi anni, ma anche nei prossimi mesi, quando ci dovremo occupare dei danni dovuti a precipitazioni troppo intense. Per affrontare in modo coerente i problemi di oggi e quelli di domani il WWF propone di: • restituire al territorio la capacità di trattenere acqua e restituirla con lentezza nei periodi di siccità: aumentare le aree impermeabili, decementificare i canali, dare più spazio ai fiumi, utilizzare parte della rete di scolo per il mantenimento di una quantità minima di acqua nei periodi invernali; • promuovere forme di agricoltura in equilibrio con le risorse idriche: canoni adeguati per i prelievi, colture meno idroesigenti, tecniche di irrigazione adeguate, creazione di piccoli bacini, mantenimento di zone umide; • avviare investimenti per la rigenerazione della risorsa idrica (forestazione, riqualificazione fluviale, ecc.) sostenuti da tariffe idriche adeguate, a livello domestico, industriale ed agricolo; • avviare una riqualificazione delle aree urbane che le renda più resilienti alla siccità e all’aumento dei picchi di calore: aumento delle superfici alberate, creazione di pavimentazioni drenanti, creazione di

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IL PIANETA DELLE MUCCHE Ci ricordiamo tutti l’EXPO 2015, inutile luna park del cibo visitato da milioni di persone, che a distanza di 2 anni ci lascia in eredità l’ennesima area agricola cementificata e devastata, oltre alla consueta raffica di indagini e denunce. Tuttavia, l’Expo, ci lascia anche la “Carta di Milano”, un impegno collettivo sul diritto al cibo, come diritto fondamentale di ogni essere umano. Come cittadini consapevoli dobbiamo vigilare sulle scelte di politica alimentare, perché siano coerenti con gli impegni descritti nella “Carta” e cioè che promuovano regimi alimentari salutari, che forniscano cibo di qualità, che siano sostenibili per l’ambiente, che salvaguardino il suolo fertile, l’acqua e la bio diversità e che non contribuiscano al cambiamento climatico. Il cibo di cui ci nutriamo ogni giorno, deve essere frutto di nostre scelte responsabili e consapevoli! Informandoci su cosa contiene, come e dove è prodotto, perché oltre alla nostra salute, abbiamo nelle nostre mani anche il futuro del pianeta e delle generazioni che lo abiteranno.

vasche di accumulo, migliore coibentazione ed ombreggiamento per ridurre l’utilizzo dei condizionatori; adottare un comportamento più rispettoso e più razionale nell’utilizzo dell’acqua: sempre più preziosa e sempre più minacciata. Il WWF si rivolge alla Regione, ai Comuni, agli agricoltori, ai consorzi di Bonifica ed ai cittadini, affinché ciascuno faccia la propria parte per affrontare il problema della siccità nella comprensione dei sistemi naturali da cui dipendiamo.

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ALIMENTAZIONE CONSAPEVOLE AUTUNNO 2017

Il prezioso gomasio di Beatrice Calia, l’Erbana, Chef di cucina natural green Il gomasio è un condimento molto importante da introdurre nella nostra alimentazione quotidiana. È a base di sesamo ed è ricco di calcio, di ferro, di vitamina A e di vitamine del gruppo B. Oltre ad avere un buon sapore e un ottimo profumo nocciolato, aiuta la digestione e rafforza l’organismo aiutandolo a prevenire le malattie. Rimineralizzante e depurativo, rafforza il sistema immunitario ed è anti radicali liberi. Usato in menopausa preserva dalla demineralizzazione. Lo si può acquistare già pronto nei negozi di alimenti biologici, lo vendono semplice o alle alghe, ma è anche molto facile e divertente prepararselo da soli e divertirsi nelle composizioni. Le ricette per la sua preparazione sono tante e anche le proporzioni tra gli ingredienti. Vi mostro la mia ricetta, voi creerete la vostra a gusto e piacere. Occorrono 20-22 cucchiaini colmi di semi di sesamo e 1 cucchiaino raso di sale marino integrale. Lavate il sesamo e tostatelo in una padella asciutta a fiamma medio- bassa. Scuotere di tanto in tanto la padella, finché i semi saranno uniformemente tostati e cominceranno a sprigionare un profumo fragrante, alcuni semini cominceranno a saltellare sulla padella rovente. Togliete i semi dalla padella per evitare che brucino e lasciateli raffreddare. Allo stesso modo tostate il sale per qualche minuto. Versate il sale nel mortaio apposito detto “suribachi” e pestatelo fino a ridurlo in una polvere finissima. Aggiungete al sale il sesamo e schiacciate il tutto, esercitando una pressione circolare col pestello fino a che avrete sminuzzato all’incirca l’80% dei semi. Conservate il gomasio in un vasetto di vetro a chiusura ermetica. Usate questo condimento a cucchiaini su verdure e cereali. È golosissimo. Lo si può arricchire con alghe tritate, curcuma o polvere d’equiseto, ortica e piantaggine. I semi di sesamo sono molto ricchi di calcio e contengono alte quantità di ferro, magnesio, silicio, fosforo e vitamine del gruppo B. Sono efficaci antiossidanti, utili per combattere l’in-

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L’equiseto è un fossile vivente, cresce dove c’è acqua. Contiene molti minerali, soprattutto silice che il nostro corpo trasmuterà in calcio. Va benissimo perla cura dell’osteoporosi e per i bambini che crescono. Partecipa alla costituzione del collagene, dà tono e cura la fragilità ossea. Ha anche un’azione antisettica. La piantaggine possiede un potenziale nutritivo straordinario che potrebbe aiutare le persone in situazioni difficili. Utilissima in caso di lesioni cutanee, piaghe, ferite, abrasioni, screpolature, morsi di insetti. Utilizzata per la preparazione di sciroppi per calmare la tosse e per sciogliere il catarro. Ottima in cucina. Sbizzarritevi. Sperimentate sempre e abbiate cura di voi che siete l’ingrediente fondamentale della vita. Un abbraccio dall’Erbana, una selvatica in cucina - www.beatricecalia.com vecchiamento, lo stress, la fatica fisica e mentale, la depressione e l’esaurimento. Sono la base del gomasio e della tahina. L’ortica è uno dei migliori ricostituenti naturali per anemici e difende l’organismo dall’ influenza. È ricca di clorofilla, ferro, silice, magnesio, potassio e azoto. Utile per rimineralizzare. Rafforza i capelli e i tessuti, porta energia, stimola e dona coraggio. Una buona compagna in tavola e in cucina.

Cosa c’è dietro un caffè? di Francesca Cappellaro, ricercatrice Ingegneria della Transizione

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Abbiamo mai pensato cosa si cela dietro una tazzina di caffè? Coltivazione, raccolta, essicazione, selezione, miscelazione, tostatura e infine macinazione: tante sono le lavorazioni necessarie per arrivare ad avere un caffè di qualità! Per ottenere un caffè come l’arabica, una delle qualità più pregiate, occorre una maturazione lenta, temperature fresche e ombra: fattori che influenzano fortemente la sua acidità, il contenuto di zuccheri e l’aroma. Pensiamo che per entrare in piena produzione una pianta di caffè ha bisogno dai 5 agli 8 anni. Durante questo periodo la pianta necessita di cure: dal trapianto dei germogli nei primi mesi di vita, alle concimazioni e potature che ne permettono lo sviluppo e la crescita. A seconda del metodo impiegato nella lavorazione si possono quindi ottenere caffè più o meno pregiati. La maggior parte delle coltivazioni sono nei Paesi del Sud del Mondo, ma non tutte le produzioni sono uguali. Vi sono notevoli differenze tra i metodi impiegati nelle grandi piantagioni e quelli dei piccoli produttori locali. Se la raccolta viene effettuata manualmente, essa permette di selezionare i frutti più maturi e fare più raccolti all’anno, nel rispetto dei tempi della pianta. Se invece si utilizza un metodo meccanico, come nelle grandi piantagioni, si ha un unico raccolto all’anno e questo comprende la raccolta di bacche meno mature che determina una qualità inferiore del caffè. Oltre a una differente qualità, ci sono anche importanti conseguenze per l’ambiente. Le monocoltivazioni intensive delle grandi piantagioni si basano su un impiego massiccio di tecnologie e di prodotti chimici di sintesi. Queste sostanze inquinanti non solo danneggiano l’ambiente, ma provocano anche un deterioramento del terreno e una perdita di fertilità. Inoltre per avere una resa più alta hanno una bassissima copertura vegetale e ciò causa una perdita della biodiversità. Nelle piccole piantagioni, le colture sono invece diversificate e le piante del caffè crescono assieme a una varietà di piante e alberi da frutto, da legno o leguminose. Ciò permette di avere una buona ombreggiatura e la giusta umidità necessaria alla crescita delle piante. Per quanto riguarda la selezione del caffè, un metodo utilizzato dai piccoli produttori che permette di ottenere qualità pregiate è il metodo a umido. Il frutto del caffè (drupa) viene posto in canalette d’acqua, che permettono di separare le drupe più mature e piùpesanti da quelle marce o secche che restano a galla. Poi sono poste in grandi vasche a fermentare così da permettere la separazione della polpa dai chicchi. La qualità dell’acqua è quindi un fattore che influenza la qualità del caffè, ma molto raramente i grandi produttori effettuano i controlli necessari sull’inquinamento delle fonti idriche. Ci sono invece piccoli agricoltori che organizzati in cooperative e sostenuti da organizzazioni come quelle del commercio equo-solidale, si impegnano per impiegare metodi rispettosi dell’ambiente ed evitare l’inquinamento di falde e dei fiumi. Scegliendo caffè provenienti da queste cooperative possiamo acquistare non solo prodotti di qualità, ma sostenere anche il lavoro dignitoso di migliaia di contadini del sud del mondo. Un lavoro che si basa su un’agricoltura sostenibile e contribuisce a proteggere e rispettare l’ambiente nella tutela i diritti dei lavoratori e delle culture locali.


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Le molte origini del Baklawa a cura di Alice, Punto Veg Ferrara

Il Baklawa è un dolce orientale, composto da strati di pasta fillo, ripieno di frutta secca infornato, tagliato generalmente in losanghe, e bagnato con sciroppo di zucchero o miele. Le sue origini sono in realtà avvolte da mistero, in quanto è da sempre considerato il dolce tipico di moltissime nazioni lungo il mediterraneo, nonostante piccole differenze di preparazione (in alcune tradizioni si usano solo pistacchi e sciroppo, in altre noci e miele, in altre ancora, esclusivamente mandorle) ma ovunque si chiama Baklawa, ed ogni nazione ne reclama la paternità. L’elenco delle nazioni che considerano il Baklawa parte della loro tradizione dolciaria, comprende: Albania, Turchia, Iraq, Giordania, Siria, Palestina, Libano, Egitto, Tunisia, Persia, Armenia, Bosnia, Bulgaria, Grecia, Cipro, Persia, Serbia… e forse ne manca anche qualcuna. Il Baklawa quindi non ha veramente confini, e si fa preparare, infornare, mangiare ed amare da tutti senza alcuna distinzione. Il Baklawa è entrato a far parte della cultura popolare di tutte queste nazioni. Solo un paio di esempi: già a partire dal 7° secolo, Il famoso buffone arabo Giuha, protagonista di divertenti aneddoti tramandati dalla tradizione orale (un po’ l’equivalente del nostro Pierino delle barzellette) aveva come dolce preferito

L’imperversante fenomeno degli “all you can eat” di Martina Valente – Laureanda in Biologia

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il Baklawa, mentre in un bellissimo film francese del 1992 “Quella strada chiamata Paradiso” (in originale intitolato “588, Rue Paradis”) del regista di origine armena Henri Vereneuil (nato con il nome di Azad Zakarian) interpretato da Omar Sharif e Claudia Cardinale, il quale racconta appunto la storia di una famiglia armena sfuggita al genicidio rifugiandosi in Francia, il Baklawa è protagonista assoluto di una poetica sequenza, nella quale viene preparato con rito quasi sacro, al quale partecipa l’intera famiglia. Per la versione legata alla tradizione ma allo stesso tempo completamente vegana del Baklawa che potete gustare da Punto Veg, in Via Carlo Mayr 78 a Ferrara, abbiamo sostituito il burro con l’olio di cocco e farcito la pasta fillo (10 strati al di sotto della farcitura più altri 10 strati sopra) con pistacchi e mandorle profumate alla cannella ed all’acqua di fiori d’arancio, il tutto irrorato con uno sciroppo di zucchero di canna preparato al momento. Anche se gli stati se ne contendono l’origine, questo dolce continuerà sempre a rappresentare tutto il mediterraneo, infatti, nonostante le discordanze tra tutti questi popoli, l’amore per il Baklawa li unisce.

Tè, infuso o tisana? Facciamo un po’ di chiarezza di Francesca Mazzoni

In tutte le città stiamo assistendo alla proliferazione dei ristoranti con la formula “all you can eat”, ovvero quei locali dove, con una cifra fissa, si può mangiare a volontà. Molto spesso si tratta di locali etnici, per di più giapponesi o cinesi i quali servono spesso però anche cibo italiano, per poter accontentare i gusti della più vasta clientela. La filosofia è “prendi quello che vuoi, per quante volte vuoi” e il risultato di questo meccanismo è che ci si riempie lo stomaco senza svuotare il portafoglio. Così, se da un lato si cerca di fare una spesa responsabile prediligendo prodotti biologici e “senza olio di palma” e ci si indirizza verso una alimentazione consapevole, dall’altro si sceglie di pagare 15 € per un pranzo a base di pesce (crudo e/o cotto) o carne dalla più ignota provenienza, potendone mangiare fino a sazietà. Oltre alla indiscussa scarsa qualità e freschezza del cibo, il fenomeno antropologico che consiste nel servirsi da sé riempiendo i piatti con quantitativi esagerati di cibo quasi entrando in competizione con i propri amici su quanto si è disposti a mangiare, portano ad una consistente svalutazione del valore del cibo e alla perdita del rispetto dell’atto del mangiare in sé. Ritengo questi locali la massima espressione del consumismo di massa e rimango stupita dal grande successo che riscuotono in tutte le fasce della popolazione. Per me, andare a cena fuori, continua ad essere un evento speciale. Il fatto di spendere più di quanto non spenderei cenando a casa mi permette di considerarla una cosa non abituale, a cui attribuisco un valore aggiunto. Ritengo che scegliere i piatti dal menu senza vederli scorrere su un rullo trasportatore, così come l’attesa dell’arrivo del piatto ordinato siano i punti fondanti della ristorazione e credo profondamente che crescere in una società in cui il cibo è svalutato sia un atteggiamento autodistruttivo. Il cibo ha un valore, ed è giusto che tutti nei siano consapevoli.

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Quando parliamo di tè, infusi e tisane, spesso facciamo confusione considerandoli tutti uguali, eppure tra di loro ci sono delle evidenti e importanti differenze. Intanto, cos’è un tè? Spesso con questo termine si pensa a tutte le bevande che si ottengono dall’infusione di qualsiasi pianta, sia essa sfusa o in bustina. Invece “tè” non è una parola che genericamente definisce una tazza di liquido bollente, ma si riferisce all’infusione di sole foglie di una pianta specifica, la Camellia sinensis, ovvero la pianta del tè. Per indicare gli altri tipi di infusioni, si usano altri termini, quali “infuso”, che si può usare in modo generico ma che di preciso definisce una bevanda ottenuta dall’infusione di frutta, erbe, fiori, foglie o spezie, ovviamente anche miscelate tra di loro. Col termine “tisana”, invece, si preferisce indicare ciò che si ottiene dall’infusione di erbe e piante officinali con uno scopo terapeutico. Come si procede per ottenere queste bevande? Per quanto riguarda infusi e tisane, si porta ad ebollizione l’acqua, si toglie dalla fonte di calore e successivamente si fanno infondere erbe, frutta, foglie, ecc… per il tempo indicato, generalmente dai 5 ai 10 minuti, si filtra e il preparato sarà pronto da bere. Alcune tisane composte di soli semi o radici, necessitano invece di essere preparate tramite decozione, ovvero si mettono le erbe in acqua fredda, si porta tutto ad ebollizione, si fa sobbollire qualche minuto, si spegne e si attendono altri 5/10 minuti prima di filtrare e bere. Discorso un po’ più ampio merita la preparazione del tè, infatti, a seconda della tipologia dello stesso, si procede a diverse preparazioni. Ad esempio il tè verde necessita di acqua a temperatura piuttosto bassa, dai 65 agli 80°C a seconda della provenienza e della lavorazione e tempi di infusione da un minuto a massimo 3 minuti. Il tè nero sopporta temperature più alte ma è bene non superare mai i 95°C, e i tempi di infusione variano da 3 ai 5 minuti. Ora che sappiamo le differenze tra una bevanda e l’altra, cosa può essere adatto alla stagione autunnale? Ad esempio una bella tisana depurativa, con piante officinali che aiutino tutti gli organi deputati all’eliminazione delle tossine (i cosiddetti emuntori), a prepararsi per l’arrivo del freddo. Una tisana depurativa che si rispetti deve contenere piante come: carciofo, tarassaco, ortica, finocchio, bardana. Per avere un buon effetto, deve essere assunta per almeno 15 giorni, una o due tazze al giorno. Buona tisana a tutti! Noi ne prepariamo tantissime, vi aspettiamo per provarle a You&Tea, Via De’ Romei 36/a, Ferrara. www.youandtea.it.


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Questioni di fascia di Belinda Pagano Mariasole, mia figlia, praticamente ci è cresciuta dentro. Avendo un’altra nanerottola in giro per casa e non avendo il tempo materiale per far addormentare la piccola con i mille stratagemmi utilizzati con la prima figlia, la mia secondogenita si è abituata fin da subito a rimanere a contatto stretto con me ogni volta che se ne presentava l’occasione. Tranne i primi tempi in cui arrotolarsi la fascia addosso era un vero puzzle corporeo, una volta capito il meccanismo in

70 giochi e attività Montessori Autore: Brigitte Ekert Editore: RED Pagine: 176 – prezzo di Copertina: 15 €

70 giochi e attività, ispirati al metodo Montessori, che gli adulti possono proporre ai bambini che vanno dai 3 ai 6 anni, per accompagnarli nello sviluppo delle abilità percettive, motorie e intellettive. La Montessori si era interessata in modo particolare all’età prescolare, individuando in questa fase di crescita un “periodo sensibile”, in cui i bambini sono più attratti da attività che stimolino lo sviluppo dei processi cognitivi. Il libro è diviso in quattro parti, secondo le stagioni, ed espone giochi da fare sia in casa che all’aperto. Il tema centrale è la natura; vengono sollecitati i sensi attraverso la conoscenza delle foglie, degli animali, dei funghi. Troveremo esercizi di respirazione e posizioni yoga, filastrocche e ricette di cucina. Alcune attività presuppongono un’interazione con l’adulto, mentre altre possono essere insegnate al bambino per poi lasciarlo provare da solo. Un’esperienza davvero completa.

tempo di lettura:

quattro e quattr’otto prendevo la neonata, la mettevo dentro al suo bozzolo di cotone, e via. Arrivai addirittura a formare una fascia porta-bebè di fortuna utilizzando un lenzuolo matrimoniale pur di poter uscire alla sera con lei addosso. Capii fin da subito, infatti, che grande e meravigliosa risorsa potesse essere la fascia e ho compreso immediatamente quali giovamenti portasse alla piccola. Innanzi tutto era evidente che agisse come un potente e naturale sonnifero, addormentando la creatura in meno di un minuto (il che, quando si ha un altro uragano urlante per casa non è mai così scontato) e poi la bambina era più calma e serena là dentro. Se uno ci pensa bene, infatti, dopo aver passato nove mesi senza essere mai separati, anche solo il contatto fisico costante con la madre, il rumore del respiro e del cuore, donano al neonato una sensazione di sicurezza ritrovata. E dove le mettiamo poi le comodità pratiche? Vivendo in un palazzo senza ascensore, il poter abbandonare il passeggino per me è stata una vera e propria fortuna. Ho avuto anche alcune amiche che mi hanno fatto notare che, utilizzando la fascia d’inverno, avevano molti meno problemi con la vestizione del neonato in quanto la termoregolazione era facilitata dallo stretto contatto con il corpo dell’adulto. Di fasce porta-bebè, fra le altre cose, ce ne sono di tutti i tipi, di tutte le lunghezze possibili e tutte vengono accompagnate da un libretto illustrativo che spiega per filo e per segno le diverse posizioni in cui il bambino può essere sistemato all’interno (molte posizioni variano a seconda dello sviluppo del bebè, specialmente della sua colonna vertebrale). Posso dire con assoluta serenità, visto che ho provato anche marsupi porta neonati, che la fascia è stata l’unica a non avermi dato problemi alla schiena. Trasportare un piccolo fagotto di un bel po’ di chili anche solo per un’ora, infatti, può provocare forti dolori muscolari. La fascia legata correttamente, invece, dà a chi la indossa un corretto supporto lombare e un’adeguata distribuzione del peso del neonato facendo in modo che quasi non si senta. Insomma: i lati positivi sono molti e di lati negativi francamente non ne ho trovati: ben venga dunque un accessorio così semplice ma così immensamente utile.

Una nuova collana di libri per lettori “speciali” Nata per raccogliere le sfide e gli argomenti che ruotano intorno all’idea del cambiamento, per creare una “visione positiva” su un nuovo modello di vita più sostenibile. Una collana di libri-guida creata per approfondire tempi, modi, emozioni, processi per vivere in modo consapevole il nostro quotidiano.

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Buone pratiche, belle idee e buona amministrazione

SETTEMBRE 2017

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Le idee di un amministratore virtuoso Intervista a Marco Boschini

Tempo di lettura 15 min.

a cura di Giovanni Santandrea, Transition Italia Un po’ di notizie per presentare Marco Boschini A neppure 43 anni ha già alle spalle un intenso e brillante percorso politico. A soli 25 viene eletto consigliere comunale a Colorno, che è’ un paese di poco meno di 10mila abitanti, ad una ventina di chilometri a nord di Parma, quasi al confine con la Lombardia. Dopo 5 anni diventa assessore all’Ambiente, Patrimonio ed Urbanistica, carica che ricoprirà per 10 anni, fino al 2014. E’ tra i fondatori, e attuale coordinatore, dell’Associazione dei Comuni Virtuosi che è una rete di Enti locali, che opera a favore di una armoniosa e sostenibile gestione dei propri Territori, diffondendo verso i cittadini nuove consapevolezze, stili di vita all’insegna della sostenibilità, della partecipazione attiva da parte dei cittadini stessi. Marco inoltre ha al suo attivo la pubblicazione di una decina di libri e saggi nei quali presenta e racconta i perché, e i come, di un cambiamento possibile e necessario. Ciao Marco, per iniziare al meglio questa intervista credo che, per chi non ti conosce, è bene partire dalle origini. Quali sono state le motivazioni iniziali che a 25 anni ti hanno spinto ad intraprendere l’attività politica? Quali sono stati i passaggi che ti hanno portato a trasformare la tua professione di educatore in quella di politico in prima linea nei processi di cambiamento sociale? In un periodo in cui è sempre in aumento la sfiducia verso la classe politica, tu hai lanciato un preciso messaggio sulla possibilità concreta di una buona politica. Puoi parlarcene? Sono partito dalla curiosità e dalla passione per il mio essere parte di una comunità. Volevamo sperimentare un’idea alternativa di gestione della cosa pubblica, e ci siamo messi in gioco divertendoci un sacco. Dopo tanti anni da educatore ed attivista politico, ho pensato di fare un passo ulteriore nella costruzione di strumenti di cambiamento concreti, di qui è nata l’idea dell’Associazione Comuni Virtuosi e la voglia di unire le eccellenze in campo ambientale nella pubblica amministrazione. La buona politica esiste, deve solo imparare a raccontare ciò che è e fa. E ciò che potrebbe rappresentare per un Paese che si dice senza speranza. Nel maggio 2005 tu hai partecipato in modo determinante alla nascita dell’Associazione dei Comuni Virtuo-

si. A distanza di 12 anni, volgendo lo sguardo al passato, quali ritieni siano stati i punti di forza dell’associazione? ci sono aspetti che avresti voluto sviluppare meglio o di più? Quando incontri gli amministratori di altri Comuni, quali motivazioni usi per invitarli ad entrare nell’associazione dei Comuni Virtuosi? I punti di forza dell’associazione sono anche gli stimoli che cerco di trasmettere agli amministratori che incontro sul mio cammino: la condivisione delle buone idee e la contaminazione umana tra amministratori anche molto diversi tra loro (per età, per formazione, per collocazione geografica). In questi anni abbiamo lavorato molto sui contenuti e sul lavoro nei territori. Quello che è mancato è un sano lavoro di pressione nei confronti delle istituzioni nazionali (Parlamento in primis), affinché rendessero regola l’eccezione (norme, incentivi, ecc.) per i comuni realmente virtuosi, introducendo premialità e certezze. Si è da poco conclusa, a Colorno, la terza edizione del “Festival della Lentezza”, per la quale tu hai svolto il ruolo di direttore artistico. Come è andata? Per cosa sei rimasto meravigliato durante le 3 giornate del festival? Quest’anno il tema guida dell’evento era “in cammino”. E’ un tema particolarmente evocativo sia di percorsi interiori che di esperienze concrete, come mai l’avete scelto? Ti senti più un ricercatore interiore o uno sperimentatore sociale? Il dentro di noi stessi determina le scelte del fuori. Abbiamo scelto il cammino proprio per questo intimo legame tra le nostre individualità e l’essere parte di una comunità vasta. La cosa più bella del festival, che intendiamo difendere e custodire gelosamente al crescere di un format culturale molto apprezzato, è il clima di serenità che si respira a Colorno durante il festival. Tutti, ci dicono, si sentono a casa, e questo è il risultato più bello che abbiamo raggiunto in tre anni di manifestazione.

Nel 2014, insieme ad Ezio Orzes, hai pubblicato il libro “I rifiuti? Non esistono! Due o tre cose da sapere sulla loro gestione”, EMI edizioni. Affermi che in Italia si sono sviluppati servizi della raccolta differenziata tra i migliori in Europa e che, sfatando un certo senso comune, tali esperienze sono state gestite da società e consorzi pubblici. In questo momento che indicazioni daresti ad un’amministrazione comunale che vuole raggiungere risultati significativi nella raccolta differenziata? Quali azioni ritieni siano più necessarie per accelerare i processi di riduzione della produzione di rifiuti? Le amministrazioni come possono favorire un processo di consapevolezza che abbassi l’iniziale ostilità che nasce dall’oggettivo disagio di un porta a porta che richiede un maggiore impegno e una certa organizzazione in ambito domestico? Cosa possono fare i cittadini? Negli ultimi mesi il Comune di Forlì ha creato una società in housing, la NEW.CO.RIFIUTI per la raccolta e gestione dei rifiuti. Le attuali norme nazionali e regionali favoriscono od ostacolano tali progetti? Ci sono ancora margini di realizzazione di esperienze di gestione pubblica dei rifiuti e dei processi di riutilizzo delle materie prime? I comuni possono fare tantissimo sul tema dei rifiuti, a patto che intendano tagliare senza paure il cordone ombelicale che lega molte classi dirigenti locali ai consigli di amministrazioni di certe multiutility che gestiscono acqua e rifiuti in giro per l’Italia pensando prima al profitto e solo dopo agli interessi collettivi. Abbiamo eccellenze (grandi e piccole) che dimostrano che un altro modello è possibile, e che non dobbiamo assolutamente rassegnarci alla dittatura delle discariche e degli inceneritori. Basta crederci come hanno fatto con successo decine e decine di comuni in tutte le parti d’Italia. Un altro dei temi forti su cui hai investito il tuo impegno è quello della partecipazione dei cittadini alle scelte dell’amministrazione locale. A Colorno, appena nominato assessore hai avviato molti processi partecipativi. Come hai avuto modo di dire: “c’era la consapevolezza che vincere la sfida della responsabilità della gestione della cosa pubblica non potesse che passare da una connessione stabile e reciproca, da una contaminazione costante tra i cittadini e gli amministratori”. Nella tua esperienza, quanto è stato difficile avviare i processi partecipativi? Quali sono le condizioni che l’amministratore deve verificare e mettere in campo affinché la partecipazione sia realmente partecipazione e non solo una forma di “informazione più coinvolgente”? Alcuni sociologi sostengono che le emozioni e la rabbia sono le chiavi scatenanti la partecipazione. Per la tua esperienza è possibile sviluppare una cultura della partecipazione sostenuta invece da energie costruttive e positive? Nella mia piccola esperienza di amministratore locale ho potuto constatare quanto la partecipazione sia una moneta

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Buone pratiche, belle idee e buona amministrazione Continua da pag. 1

difficilissima da spendere al di là della retorica e degli slogan. Bisogna combattere contro muri di indifferenza e paura, disillusione e anti-politica. La gente, semplicemente, non crede più alle istituzioni (nemmeno a quelle più prossime a loro, basta vedere gli ultimi dati sull’astensione dal voto amministrativo). Occorre liberarsi dalle catene degli schemi preconfezionati e mettersi in gioco davvero, costi quel che costi. Io non penso infatti che sia possibile oggi essere buoni amministratori senza attivare politiche concrete di inclusione e partecipazione. Allo stesso tempo, ritengo fondamentale giocare le carte del bello e del positivo. Ci sono già abbastanza persone impegnate a distruggere. La rivoluzione può avvenire solo con il sorriso, attraverso l’empatia. Il giornale Vivere Sostenibile è nato da un progetto sviluppato da persone coinvolte con il movimento di Transizione. La Transizione vede prioritario il coinvolgimento dal basso dei cittadini. Hai mai avuto contatti con progetti ed esperienze di gruppi locali di Transizione? Che impressione ne hai tratto? Vedi possibili delle sinergie tra Transizione e Comuni Virtuosi? Come potrebbero essere sviluppati? Conosco questa esperienza e vedo molti punti di connessione con i comuni virtuosi. Cittadinanza attiva e istituzioni lungimiranti hanno bisogno l’uno dell’altra. Dai tempi in cui hai cominciato ad impegnarti nella vita pubblica lo scenario mondiale è cambiato molto. Le grandi emergenze planetarie sono sempre le stesse, anche se diminuisce velocemente il tempo a nostra disposizione per una svolta. Ma l’umanità ha fatto degli inattesi passi in avanti nella consapevolezza, pensiamo ad esempio all’enciclica “Laudato sì” di papa Francesco, e a ciò che è accaduto a Parigi con COP21. Secondo te ora, al momento presente, in quali direzioni è necessario investire maggiormente le energie e l’attenzione? Proprio in quello che ci dice Papa Francesco. Non esiste un

modello sostenibile senza inclusione ed accoglienza. Bisogna ripartire dagli ultimi, senza lasciare indietro nessuno e nessun luogo. Ci si salva insieme questa volta, non ci sono alternative possibili. In genere mi piace chiudere le interviste con la stessa domanda per tutti gli intervistati: alcuni anni fa fece molto scalpore una affermazione di Holmgren, uno dei leader mondiali del movimento di permacultura. Disse

pubblicamente che riteneva impossibile una trasformazione pacifica della società. E che in queste condizioni, era quasi meglio augurarsi che il processo di collasso globale accelerasse. Sei fiducioso nel tuo futuro, e di quello delle prossime generazioni? E se sì, puoi dirci le ragioni profonde che sostengono tale visione? A questo genere di domande rispondo da sempre con una battuta, ed una convinzione profonda: noi dei comuni virtuosi siamo fiduciosi per statuto. Ma lo siamo, nel giorno per giorno, perché godiamo di una prospettiva sconosciuta a tanti. La finestra da cui ci affacciamo ogni giorno ci restituisce l’immagine nitida di tante comunità in cammino, e in transizione, per un cambiamento non più solo annunciato, ma in corso. Ci vuole pazienza, ed una smisurata fiducia consapevole per il futuro di tutti noi. Grazie Marco del tempo che hai voluto dedicare ai lettori di Vivere Sostenibile!

Fermati, vivi e passeggia nel bosco Questa volta la panchina gialla Fermati, Vivi si ferma in un bosco. Slogan ormai noto della campagna per i 30 anni della casa editrice Macro, quello di fermarsi è un invito quanto mai saggio e utile in questa modernità sempre di corsa. Se poi c’è la possibilità di fermarsi in un bosco, circondati da alberi secolari e natura incontaminata, la magia è fatta. Questa volta ci siamo seduti con Clemens G. Arvay, autore del libro Effetto Biofilia per farci raccontare in presa diretta i benefici guaritori delle piante e degli alberi. Cos’è esattamente l’Effetto Biofilia? L’effetto biofilia subentra quando ci connettiamo alle nostre radici, che non crescono nel cemento. Effetto biofilia significa esperienza della natura e dei luoghi selvaggi, bellezza ed estetica naturale, liberazione dalle catene e guarigione. Sono questi gli argomenti di cui si occupa il mio libro. Le piante comunicano direttamente con il nostro sistema immunitario e il

nostro inconscio, senza doverle nemmeno toccare, tanto meno ingerirle. Questa affascinante interazione fra uomo e pianta, di cui solo ora la scienza sta gradualmente cominciando a rendersi conto, riveste una grande importanza per la medicina e la psicoterapia, in quanto ci mantiene sani a livello sia fisico sia psichico e previene le malattie. In futuro il contatto con le piante dovrà avere un ruolo importante nella cura delle malattie corporee e dei disturbi psichici. Non dovranno più esistere cliniche prive di giardino o di un accesso a prati e boschi, centri abitati senza aree naturali e città senza natura selvaggia. Le piante ci guariscono senza bisogno di lavorarle per ricavarne tisane, unguenti, essenze, estratti, oli, profumi o anche gocce e compresse. Ci guariscono mediante una comunicazione biologica che il nostro sistema immunitario e il nostro inconscio sono in grado di capire. Quali sono alcuni degli effetti più benefici delle

rittura per trenta giorni.

piante sul nostro corpo? L’aria del bosco rende più attive le nostre cellule killer naturali (migliorando il nostro sistema immunitario) basta una sola giornata o una lunga passeggiata nel bosco per ottenere un incremento dell’attività delle vostre cellule killer naturali (che svolgono l’importante compito di difesa nel nostro corpo) che durerà per circa una settimana. Inoltre una passeggiata nel

bosco bosco mette in moto molte difese anticancro. Il nostro sistema immunitario si serve di determinate proteine per intervenire contro le cellule in via di degenerazione che costituiscono un potenziale fattore cancerogene. Proprio queste proteine anticancro vengono prodotte in quantità maggiori quando inspiriamo l’aria del bosco. Il bosco è più efficace di qualsiasi medicina è suf-

ficiente una sola giornata in una zona boschiva per far aumentare immediatamente di quasi del 40 per cento la quantità di cellule killer naturali nel sangue (che aumentano le nostre difese immunitarie): quale altra terapia è infatti in grado di ottenere un simile risultato? Dopo una “vacanzina nei boschi” di due o tre giorni, il numero di cellule killer naturali aumenta e si mantiene a questo livello addi-

Ma per chi non può frequentare assiduamente i boschi? Quali alternative ci sono? Il giardino anticancro! È più o meno come un bosco terapeutico a casa tua. I giardini sono luoghi in cui ricreiamo la natura: imitandone il modello e puntando su quegli elementi naturali individuati dalla ricerca scientifica come capaci di mantenerci sani e di prevenire i tumori, potremo arricchire i nostri giardini anche di questi benefici effetti terapeutici. A questo scopo, niente si presta meglio del bosco terapeutico come modello cui ispirarsi. Se avete un giardino a disposizione e desiderate progettarlo in modo da avvantaggiare il più possibile il vostro sistema immunitario e incamerare quantità massime di sostanze anticancro, troverete nel libro una proposta dettagliata su come procedere. Scopri il libro su gruppomacro.com/prodotti/ effetto-biofilia.


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Buone pratiche, belle idee e buona amministrazione Libri&C. VALUTAZIONE DI VIVERE SOSTENIBILE:

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Risparmia 700 Euro in 7 Giorni

25 grammi di felicità

Autore: Lucia Cuffaro Editore: Macro Edizioni Pagine: 160 – prezzo di Copertina: 10,80 €

Autori: Massimo Vacchetta e Antonella Tomaselli Editore: Sperling & Kupfer Pagine: 192 – prezzo di Copertina: 17 € disponibile in e-book a 4,99 €

Rinasci e risveglia il tuo potere interiore Autore: Derek Rydall Editore: Macro Edizioni Pagine: 293 – prezzo di Copertina: 15,50 €

Ho imparato da tempo a seguire i consigli della brava Lucia Cuffaro, presidente del Movimento per la Decrescita Felice e allegra divulgatrice di buone pratiche per la riduzione degli sprechi e il ben-essere. Questa guida, con la prefazione di Maurizio Pallante, aiuta ad essere maggiormente consapevoli dei tanti gesti quotidiani che facciamo: dall’ottimizzazione dei consumi in bolletta, all’autoproduzione di cibi e cosmesi, a un modo più intelligente di far la spesa, tornando a riparare invece che ad acquistare cose nuove (Lucia insegna per fino a cambiarci la suola di una scarpa!), a recuperare la gioia di produrre i regali che facciamo, trovando validi accorgimenti anche nella cura dei propri bambini e degli animali d’affezione. Un capito intero è dedicato alla riduzione dei rifiuti (tema particolarmente caro alla Cuffaro che ora è in scena anche in teatro con uno spettacolo dal titolo: “Rimballati”), uno alle coltivazioni casalinghe, per finire con eco ufficio e mobilità. Il tutto sempre comparando il prezzo di acquisto e il risparmio (che alla fine dei conti è davvero grande), senza considerare il divertimento e la gioia di poterci dire: “brava/o!” per ogni impresa portata a termine.

Alzi la mano chi non si intenerisce davanti a un riccio. Io ne ho uno che viene la notte a mangiare le crocchette del gatto, e quanto ne è ghiotto! Massimo Vacchetta, veterinario cuneese, cui un giorno arriva una riccia piccolissima, di soli 25 grammi, da curare, dall’amore nato nell’accudire questa creatura, ha fatto nascere un attivissimo Centro di recupero per ricci, chiamato “la Ninna” (www. facebook.com/centrorecuperoricciLaNinna), come quella riccetta di cui ci racconta. E ci fa conoscere questi buffi e fragili animali, oltre a raccontarci della sua iniziale difficoltà nel rilasciare la piccola, ormai cresciuta e guarita, di nuovo alla sua condizione di animale libero. Fa riflettere questo libro, recentemente tradotto anche in francese. Ed è uno di quelli dai quali fai fatica a separarti, anche solo per prestarlo, perché le sensazioni di delicata gentilezza che ti fa provare nel leggerlo, aiuta a stare meglio, giorno dopo giorno, anche solo incrociando la sua allegra copertina con lo sguardo. Personalmente campeggia sul mio comodino da mesi e ogni sera mando così un pensiero a tutti i piccoli ricci e animali selvatici perché non siano vittime delle strade.

L’idea di Rydall, terapeuta che è stato monaco poi pastore, è che, come in natura, ogni individuo ha in sé un seme da fare maturare: come una ghianda fin dal suo esistere sa di avere dentro le potenzialità per diventare quercia, così ognuno di noi ha in sé e non fuori, tutte le risposte per arrivare alla propria completa realizzazione. L’autore ci guida allora alla scoperta di quella che chiama “legge di emersione”, dipanata in 7 fasi: vedere la visione compiuta, coltivare le condizioni congruenti, elaborare il piano quantistico, dare quel che sembra mancare, agire come se si fosse completi, accogliere a braccia aperte ciò che sembra incompleto, attendere alla legge. Il tutto giocato tra le parole grazia, cuore, ombre, accettazione, ma anche ribaltamento, eccellenza, congruenza e opera teatrale divina. Un punto di vista diverso per riscoprire il meglio di noi.

La Civiltà dell’Orto

Extravergine la buona vita

Autore: Gian Carlo Cappello Pagine: 200 - prezzo di copertina: 15 €

A cura di Daniela Utili Editore: Codicermes Editore Pagine: 176 – prezzo di Copertina: 25 €

I miei viaggi che raccontano tutta un’altra Storia

In questo suo libro, dal contenuto molto pratico, Gian Carlo Cappello, orticultore rivoluzionario, ci parla di come si può coltivare un orto in modo naturale e davvero rispettoso della terra e degli elementi che la compongono. Il suo metodo, semplice e “antiinterventista”, viene proposto al lettore, anche attraverso il racconto dell’esperienza fatta dall’autore, nell’orto di comunità realizzato in un parco pubblico di Angera, paese che si trova sulla sponda sud-orientale del Lago Maggiore. Un metodo nuovo e di buon senso per produrre il proprio cibo, a costo zero, con pochissimi interventi e in armonia con gli elementi della natura. Applicando il “metodo Cappello” il sole, la pioggia, l’aria, le sostanze organiche e minerali del sottosuolo e l’energia vitale che ruota intorno a voi, saranno i vostri principali strumenti di lavoro.

Autore: Syusy Blady Editore: Verdechiaro Edizioni Pagine: 256 – prezzo di Copertina: 18 €

Quando si dice: un libro che mancava. Ecco qui un valido testo per conoscere nel dettaglio le proprietà benefiche dell’olio extravergine di oliva, partendo dalla storia, per arrivare all’utilizzo in cosmesi, a ricette e a utili consigli per capire quale olio scegliere in base alle varie fasi di coltivazione delle olive e di lavorazione delle stesse. “Ippocrate lo raccomandava in caso di ulcere e nell’antica Roma si raccontava l’aneddoto di quel centenario che doveva la sua longevità all’uso costante dell’olio di oliva.” L’olio visto sotto tutte le sue sfaccettature, nell’unione di pareri di chimici, professori universitari, medici, naturopati e oleologi. Non mancano consigli di produttori virtuosi sparsi in tutta Italia, a dimostrazione dell’impegno costante di tali piccole realtà, nel rispetto del territorio e dei suoi elementi più distintivi. Un libro-guida di grande attualità, per apprezzare appieno gusto, salute e bellezza di questo prezioso alimento, principe della dieta mediterranea.

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Se c’è una persona che ha visto il mondo, questa è di certo l’amica Maurizia Giusti, in arte Syusy Blady. Curiosa e attenta, in questo libro, corredato da 80 video, l’autrice racconta, complici le domande che Patrizio Roversi le fa, dei luoghi che ha visitato nel corso degli anni, dal Medio Oriente al Sudamerica, dalla Mongolia all’India, dall’Africa al Giappone, al di là della storia e del folclore. E lo fa trattando di temi a lei cari, come il primo da cui si parte: il divino femminile che, non a caso, inizia con una bellissima salita a San Luca, nella sua Bologna. Come suo tipico da lì si spazia in Cambogia e in Sardegna e a Malta… sorprendendoci a ogni passaggio. Con un incedere leggero, seppur pieno di riferimenti e di belle scoperte, Maurizia indaga fisica e metafisica, luoghi segreti finalmente disvelati, leggende incise nei muri e raccontate dai saggi. Tutto cambia da questo punto di vista e si torna a guardare ai Maya, ai labirinti e ai templi, a possibili tracce lasciate nella terra da chissà quale civiltà aliena. Una visione divertente e allegra come sei tu Maurizia, grazie!

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AUTUNNO 2017

Come riprenderci il nostro tempo#1 di Jo Gabel

Qual è il motivo più importante nella vita degli esseri umani, indispensabile e fecondo, magico e ancora rincorso, perduto e qualche volta ritrovato? Di certo non il successo, che da esso dipende, come tutto, del resto: difatti ogni cosa si trova soggetta al tempo, il grande seduttore, l’incantatore, a torto ritenuto sleale, ma sempre necessario, paventato e deplorato, inseguito ed auspicato. Di certo, ai nostri giorni, il tempo non rappresenta un valore aggiunto. Si parla di competitività, anziché di gestione del tempo, dimenticando che, al pari di un amante troppo desiderato, esso rifugge chi voglia possederlo. Lo si reincontra in relazione alla capacità di produrre, in questa nostra società che insegue il consumo, ma anche in relazione al valore dell’esistenza, misurata in termini di tempo. E solo quando il tempo diventa “il nostro tempo”, esso torna a essere carezzevole, come in mezzo alle meraviglie di un bosco, quando riconquistiamo quella connessione che rende tutto possibile. Ma facciamo un passo alla volta. D’altronde la maggior parte di noi non vive in contesti bucolici e poi ci

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barcameniamo tutti tra scadenze e ripetitive ovvietà. Ma come rendere ragione di un tempo non avverso, un tempo a misura d’uomo, partecipe dei nostri ritmi autentici, senza sfuggire alla società in cui viviamo? Fate caso che la nostra vita è costruita su di un sistema complesso di relazioni con altri esseri umani, intessute attorno ad attività che svolgiamo e che divengono più o meno efficaci per la collettività (e soddisfacenti per la crescita individuale), a seconda di come siano svolte e portate a termine. L’azione è divenuta quindi compulsiva e spesso multitask: ossia le persone, (soprattutto le donne) si devono adeguare a svolgere molteplici compiti, diversi tra loro. Occorre quindi impiegare delle strategie idonee per recuperare il tempo, immagazzinandolo per poterlo dedicare a noi stessi. Io mi trovai in questa delicata situazione al tempo del mio divorzio e dovetti reinventarmi uno stile di vita partendo da zero: trovare il tempo di lavorare di notte in un call center, mentre di giorno studiavo all’università e poi ristrutturavo un vecchio fienile sulle colline, che sarebbe divenuto la casa dei miei sogni.

Il denaro è solo denaro

di Daniela Lorizzo, Banking Trainer e Consulente di Economia Consapevole - info@danielalorizzo.it L’istruzione accompagnata dalla pratica ci permette di elaborare le informazioni e trasformarle in conoscenza e esperienza. Purtroppo la maggior parte delle persone non ha l’istruzione finanziaria di cui avrebbe bisogno per poter fare scelte consapevoli in campo economico. Se in più associamo una grande credenza: il denaro è la radice di tutti i mali, cominciamo a comprendere come mai il tema banche e denaro risulta così ostico ai più. Ma in realtà il denaro non è né buono né cattivo, è solo un mezzo. Il male non è avere denaro, anzi la mancanza di denaro causa malessere. E’ male fare un lavoro

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La pianificazione mi permise di sognare, realizzare ciò che volevo e quindi di ritagliare del tempo libero in cui riprendere a scrivere, allestire un rifugio per animali abbandonati, migliorare le mie performances fisiche e mentali con sport e meditazione. Ma appresi soprattutto l’angolo del non fare, quello speciale, in cui ogni magia ha inizio: questo diverrà il segreto più prezioso che vi confiderò.

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che non amiamo. E’ male lavorare 12 ore al giorno e non avere le risorse necessarie per mantenere la propria famiglia. E’ male litigare, rubare per denaro. Essere avidi è male. Il denaro in sé non è male, il denaro è solo denaro. Oggi è l’informazione che può fare la differenza, proprio in questa era dove viviamo un eccesso di informazioni. Solo con l’istruzione possiamo trasformare l’informazione in conoscenza, altrimenti diventa difficile, se non impossibile elaborare tutti i dati. Senza conoscenza finanziaria è molto facile agire in modo errato, delegare altri scelte che dovrebbero vederci attori più consapevoli. Si pensa che per avere più denaro si deve lavorare di più, ma non sempre le cose stanno così. Anzi spesso in questo modo non solo non si raggiunge l’obbiettivo ma si aumentano le spese. La questione non è tanto quanto denaro hai ma come lo usi.

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Si investono i risparmi in prodotti che non si conoscono, spesso spinti dalla parte di avidità che ognuno di noi ha o da un eccesso di delega. Se in più la parte subconscia di noi ha paura di perdere denaro, questa potrebbe avere la meglio anche sulla nostra conoscenza. Eppure basterebbe investire un po’ di tempo e denaro in formazione. I problemi economici ti rendono più intelligenti se risolvi il problema, ci insegna Robert Hiyosaki. Se risolvi il tuo problema economico la tua intelligenza finanziaria cresce, ti arricchisci. Se vogliamo aumentare la nostra intelligenza economica dobbiamo diventare risolutori di problemi.

Le mie 12 eco fatiche #4 Vivere senza prodotti animali di Tatiana Maselli, Blogger di Idee tascabili

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L’alimentazione è un tasto dolente per molti di noi perché quello che decidiamo di mettere a tavola non è solo frutto del gusto personale, ma anche delle nostre abitudini e delle tradizioni legate a dove siamo nati o cresciuti. Il cibo nutre il nostro corpo ma contemporaneamente la nostra anima, perché intorno a una tavola apparecchiata costruiamo i rapporti con chi amiamo, viviamo la quotidianità con chi ci sta vicino e attraverso i sapori ritroviamo ricordi e volti lontani. Chi non ricorda con piacere e affetto i piatti cucinati dai propri nonni e genitori? Una delle “eco fatiche” che ho portato avanti nel mio esperimento ha toccato proprio l’alimentazione, perché ho deciso di rinunciare ai prodotti alimentari di origine animale. Ai tempi ero già vegetariana, quindi si trattava di eliminare dalla dieta uova, miele, latte e derivati: non ci crederete, ma non è stato così difficile. Anzi, è stata un’occasione per sperimentare nuove ricette e nuovi sapori, allenare il gusto ad apprezzare ingredienti mai provati prima, e seguire una dieta più varia e creativa. Durante la mia eco fatica ho imparato a sostituire le uova e il burro nei dolci, a produrre da me il latte di soia, il tofu e altri “formaggi” vegan, a cucinare la frittata senza uova (simile alla farinata, con farina di ceci) e a rielaborare ricette escludendo uova, latte e derivato. Le uniche difficoltà che ho incontrato hanno riguardato le uscite fuori casa, poiché non sempre riuscivo a trovare alternative vegan durante le cene al ristorante o gli aperitivi. Al termine dell’esperimento ho comunque continuato a seguire un’alimentazione prevalentemente vegana. Non mi sento privata di nulla e mangiare in questo modo mi piace, quindi direi che è valsa la pena provare questa eco fatica. La mia è stata una scelta dettata soprattutto dall’etica, perché sono convinta che non mangiare animali sia sinonimo di civiltà, ma ci sono anche ottimi motivi legati alla salute e all’impatto che il consumo di prodotti animali ha sull’ambiente: ragioni, queste, che spingono sempre più persone verso una dieta vegetariana o vegana. Ovviamente crescono anche le proposte veg nei ristoranti e al supermercato e dunque chi decide di sperimentare un’alimentazione rispettosa degli animali, dell’ambiente e della propria salute, oggi trova pochissime difficoltà. Vale quindi davvero la pena di provarci senza pregiudizi, iniziando con l’assaggiare la cucina vegetariana dei più esperti per poi scatenare la propria fantasia e creatività ai fornelli.

Se hai finito di leggere VIVERE SOSTENIBILE, regala la tua copia a una persona che pensi sia interessata a questi argomenti. Con un piccolo gesto, ti farai un nuovo amico, contribuirai al riuso e a migliorare le relazioni e la qualità della vita della tua comunità.


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ESSERE VEGANI ESSERE VEGANI

SETTEMBRE 2017 AUTUNNO 2017

La rubrica di Renata

ModenaeReggioEmilia di Renata Balducci, ModenaeReggioE. presidente dell'Associazione Vegani Italiani Onlus In una moltitudine di voci e una pluralità di intenti, è importante non perdere mai di vista l'obiettivo. Ciò che, infatti, caratterizza maggiormente il veganismo è sicuramente la volontà di evitare sofferenze agli altri esseri viventi che abitano la Terra insieme a noi. L'etica va di pari passo con la scelta di questo stile di vita e il fatto di poter esser parte attiva nella liberazione delle vittime animali, nella loro cura o nella divulgazione del pensiero etico è ciò che aiuta molte persone a continuare a lottare per i diritti dei "senza voce". Da sempre l'Associazione Vegani Italiani Onlus si è caratterizzata per la presenza, al suo interno, di un Comitato Etico del quale fanno parte attivisti, volontari, giornalisti, docenti universitari, che si sono distinti per la loro conoscenza delle motivazioni etiche della scelta vegan, che operano in ambito vegan e che vengono reputati in grado di rappresentare degnamente la scelta vegan e le posizioni ufficiali dell'Associazione. Dalla volontà di aiutare concretamente le vittime della crudeltà umana, però, è nato quest'anno il progetto "Oasi VEGANOK", finalizzato alla creazione di una rete di luoghi rifugio per gli animali maltrattati o in pericolo di sopravvivenza e guidato da Suro Martella, fondatore di VEGANOK Network, Marco Biondi, fondatore del rifugio TheGreenplace e PierPaolo Cirillo, coordinatore di AssoVegan. La prima Oasi VEGANOK è diventata il TheGreenplace di Nepi (VT), dove sono previsti lavori di ampliamento tecnico, dove si svolgeranno anche corsi di formazione per volontari e riunioni di coordinamento con le molte altre Oasi presenti sul territorio italiano ed europeo. "L'obiettivo è migliorare noi stessi, migliorare le condizioni degli animali non umani ospitati e condividere con sempre più volontari e anche con i responsabili

TheGreenplace, la prima Oasi VEGANOK

Marche

di altre Oasi questo patrimonio di esperienze. - racconta Marco Biondi - Desideriamo che il nostro lavoro riesca a cambiare la società. Per questo abbiamo pensato, sul piano pratico ad incentivare le visite delle persone, per favorire il più possibile la convivenza tra animali umani e non umani". I corsi organizzati all'interno delle Oasi daranno la possibilità di accedere ad una

formazione professionale, perchè prendersi cura di altri esseri viventi non può essere affidato solamente all'improvvisazione. "La scelta Vegan è una scelta etica che si basa sul riconoscimento dei diritti di ogni animale non umano. - afferma Sauro Martella - Le Oasi VEGANOK rappresenteranno questo pensiero e saranno uno straordinario strumento di cambiamento".


AGRI-CULTURA

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AUTUNNO 2017

Leggere e coltivare di Gian Carlo Cappello – autore de “La Civiltà dell’Orto” Siccome sono un bibliofilo fino al feticismo, di quelli che proprio annusano i libri, se li girano e rigirano tra le mani a occhi socchiusi prima di aprirli come fossero sacre reliquie e – con apparente contraddizione per un moneyless man senza una casa propria - ne posseggo a migliaia che ho letto e riletto, vorrei aprire le danze parlando di alcuni testi che prima ancora di fornire nozioni pratiche possono, a mio parere, affiancare nella propria crescita il coltivatore, principiante o esperto che sia. Riguardo l’incompatibilità tra il Potere e qualsiasi progetto che sia orientato verso la formazione di una nuova umanità, ho eletto sin dalla mia adolescenza il Machiavelli del “de Principatibus” a modello di onestà intellettuale, spinta sino all’ingenuità. La concretezza di cui necessita il Fiorentino l’ho poi trovata nel pragmatismo nichilista dell’anarchico Kropotkin. Il movimento nichilista/pacifista, erede del più puro stoicismo dell’Età Classica, è un capitolo nella storia del pensiero e dell’azione che dovrebbe essere riaperto, soprattutto ai giorni nostri. Gli autori utili per preparare l’ambiente esistenziale alla coltivazione naturale sono tanti, ma tra questi vorrei almeno segnalare quelli che più mi hanno formato: Plinio, Ovidio, Virgilio, Columella, Leclerc de Buffon, il Goethe botanico, Darwin, Frazer, Mircea Eliade, Graves, Steiner (e discepoli), Fukuoka, Brosse, Giono, Shiva, Cavalli Sforza, Rosseau, Levi Strauss, O’ Grada, Diamond, Weisman, Moussaief Masson. A questi aggiungerei quasi tutti gli scritti pubblicati sulla “Fierucola” e sui “Quaderni di Ontignano” (diventata poi L.E.F.). Per chi ancora non fosse aperto in

MERC ATI CONTADINI tempo di lettura

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tale direzione, lascerei invece a discrezione di ognuno la scelta delle modalità di avvicinamento alla pratica meditativa. Questo, secondo me, è un aspetto da non sottovalutare per procedere nella coltivazione naturale. Riguardo i veri e propri manuali di coltivazione, in quarant’anni ho consultato tutto ciò che è umanamente possibile leggere. Il risultato di tanto lavorio mentale, che valuto mediamente in una decina di pagine per ogni giorno di vita, sempre affiancato dalla quotidiana attività nel campo, è la coltivazione naturale: un’alchimia che allo stesso tempo contiene ma non è la semplice somma dei precetti di ognuno degli autori citati. Penso che praticare costantemente la lettura sia come accumulare un patrimonio che ognuno potrà investire come meglio crede.

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piante si preparano alla pioggia chiudendo i fiori, in modo da evitare la dispersione di polline (in questo caso sarebbe una dispersione non proficua, dal momento che scivolerebbe sul terreno inutilizzato). Tra le principali piante barometro, le più diffuse e note sono la Calendula Officinale e l’Escolzia (entrambe presenti allo stato spontaneo, ma facilmente coltivabili) e l’acetosella (Oxalis) e la Carlina (Carlina acaulis) per lo più spontanee. La Carlina conserva la peculiarità di chiudere le brattee per preservare il polline anche da recisa. E’ diffusa perlopiù in climi montani e asciutti, dove c’è l’usanza di tenerla da recisa appesa alla porta di casa. L’origine del nome, non confermata, pare si attribuisca a Carlo Magno che la uso come medicamento per i suoi soldati, pur non avendo in realtà nessuna proprietà terapeutica, ma utilizzata solo in cucina come un carciofo. Quindi, prima di uscire di casa, controllate sul davanzale della finestra se i fiori sono chiusi!

Le erbe della salute sul balcone Autore: Stefania La Badessa Editore: TECNICHE NUOVE Pagine: 128 – prezzo di Copertina: 9,90 €

Escolzia o papavero californiano

Carlina o carciofo selvatico

Oxalis o acetosella rosa

dalle 8 alle 14 L’AGRIMERCATO DI GRISÙ Mercato a filiera corta degli Agricoltori di Campagna Amica – Coldiretti Ferrara con prodotti freschi e trasformati della Filiera Agricola. Un mercato contadino che recupera spazi cittadini, vicino alle persone del quartiere, dove ritrovare i sapori della propria terra e il piacere di fermarsi per parlare e per scoprire il gusto del buon cibo. Ex caserma dei Vigili del fuoco con ingresso da Via Ortigara 11, Ferrara www.spaziogrisu.org/lagrimercato-di-grisu/

OGNI GIOVEDÌ

OGNI SABATO

di Rosaria Scotto – www.ifioridelbene.com/blog

Calendula officinale

OGNI MERCOLEDÌ

dalle 8 alle 14 MERCATO BIOPERTUTTI Prodotti di stagione biologici e biodinamici, locali e a prezzo equo.Vendita diretta di frutta e verdura, pane, formaggio, olio, vino, pasta, farine da grani antichi, sughi, marmellate, biscotti e dolci. Prodotti di cosmesi, oli essenziali, detergenti per la casa, artigianato eco sostenibile. Info point per conoscere meglio il bio. Piazzale dei Giochi, Ferrara www.facebook.com/biopertutti

Le piante barometro: altro che app! Le condizioni meteorologiche da sempre influiscono sulle nostre attività. Infatti negli ultimi anni le previsioni meteo sono diventate un vero business, tra app, siti dedicati e i rispettivi spazi pubblicitari. Gli utenti appassionati di meteorologia aumentano esponenzialmente di anno in anno chiedendo previsioni a lungo termine sempre più precise. Purtroppo spesso le previsioni non si avvicinano nemmeno lontanamente alle reali condizioni del tempo, penalizzando fortemente alcuni settori come il turismo. Per chi si accontenta di avere previsioni a breve tempo, per intenderci, giusto per capire se è il caso o meno di portarsi dietro l’ombrello in questa anomala estate, ci si può affidare a delle piante molto particolari, sensibili ai cambiamenti di umidità. Alcune piante, soprannominate “piante barometro”, reagiscono in anticipo ai cambiamenti climatici, in particolar modo all’aumento di umidità nell’aria. Infatti, appena l’umidità aumenta (fenomeno che avviene prima che inizi a piovere), queste

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Non avete più scuse: basta un piccolo terrazzo o anche solo il davanzale di una finestra per iniziare a coltivare qualche piantina aromatica. Avete presente il rosmarino, la salvia, la lavanda, il timo, la maggiorana, il basilico? L’elenco completo è davvero lungo. Sono piante che ci regalano, oltre alla gioia per gli occhi, dei profumi e dei gusti speciali per insaporire i nostri piatti e le nostre tisane, con un attenzione particolare per le loro funzioni curative. In generale le aromatiche non presentano grossi problemi di coltivazione, basta seguire qualche piccola accortezza, specifica per ogni pianta ed il risultato è garantito. Si può partire da piantine comprate al vivaio o, con un po’ di pazienza, si può provare direttamente a seminare. E quando, finalmente, avremo delle belle piantine, sarà arrivato il momento della raccolta. Possiamo scegliere se consumarle fresche oppure, a seconda della pianta e dell’uso che ne vogliamo fare, ci possiamo avvalere di diverse modalità di conservazione.

mattino MERCATO DELLA TERRA Oltre trenta piccole aziende contadine del territorio provinciale e oltre cento tipologie di prodotti locali, tradizionali, stagionali; garantiti da chi li produce. Tutti prodotti ogm free, moltissimi biologici e tutti con l’Etichetta Narrante del produttore della sua storia aziendale, produttiva e personale. Organizzato dalla Condotta Slow Food di Ferrara Cortile del Baluardo del Montagnone,Viale Alfonso I D’Este, 11 - Ferrara www.facebook.com/pages/Slow-Food-Ferrara-la-nuova-paginaufficiale

OGNI PRIMA E TERZA DOMENICA DEL MESE

mattino e pomeriggio MERCATO DEL CONTADINO Ogni prima e terza domenica del mese i produttori agricoli e gli operatori dei prodotti tipici ferraresi danno vita ad una rassegna - mercato dell’agroalimentare della provincia. All’insegna della “filiera corta” è possibile scoprire le produzioni di stagione delle campagne come frutta, verdura, vino, riso, aglio, e tanto altro. Prodotti sia freschi che trasformati; anche fiori e piante. Piazza del Municipio, Ferrara

OGNI SECONDA DOMENICA DEL MESE

eccetto luglio, agosto, dicembre e gennaio dalle 8 alle 19 MERCATINO DEI PRODOTTI BIOLOGICI Gli associati al “Giardino dei semplici” sono operatori che intendono divulgare e promuovere prodotti naturali biologici, ecologici, erbe aromatiche, spezie, piante naturali, prodotti del sottobosco, confettura, prodotti di apicoltura, per la cura del corpo e della casa, giardinaggio, il tutto sano e naturale attraverso la Fiera del prodotto naturale biologico. Piazza Trento Trieste, Ferrara www.emiliaromagnaturismo.it/it/eventi/ferrara/ferrara/mercatino-dei-prodotti-biologici


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Intervista a Letizia Espanoli, Sente-Mente

Abbiamo incontrato la vulcanica Letizia Espanoli, creatrice di Sente-Mente®, bellissimo progetto diffuso in tutt’Italia per un approccio diverso alla malattia mentale, e non solo! di Maddalena Nardi Maddalena: Allora Letizia, raccontaci da dov’è nata questa idea di Sente-Mente® e di questo percorso così importante per affrontare anche tematiche che tanti tendono un po’ a lasciare nel dimenticatoio. Letizia: Io penso che Sente-Mente® sia stato per tanto tempo in un’incubatrice di profondo dolore, di profonda indignazione. Faccio il mio mestiere da trent’anni e con l’esplosione delle demenze - ma anche con l’aumento della vita, che è anche diventato l’aumento della cronicità della vita - credo che negli ultimi 15 anni (in Italia soprattutto) sia esploso un modello sempre di più assistenziale che ha portato l’attenzione sul corpo, su quelli che consideriamo i bisogni primari e si è dimenticato di tutto il resto. Quando si entra in una struttura per anziani capita spesso di vedere persone che sono abbondantemente sedate oppure si scopre che nella non autosufficienza e tra le persone che convivono con la demenza, si hanno delle percentuali altissime di persone contenute. E’ evidente che se si sceglie di fare questo lavoro è perchè si sceglie la vita, si sceglie di fare la differenza, di essere una scintilla che crea possibilità per queste persone. Oltre agli anziani in queste condizioni, trovavo anche operatori ormai sfiniti e disumanizzati perchè se si valutano per la velocità con la quale hanno rifatto i letti stamattina o hanno fatto le igieni è evidente che il sistema mette il focus sul fare e non sull’essere. Viaggiavo in autostrada e improvvisamente è nata questa intuizione: “Sogno una cartina d’Italia con tante bandierine e per ognuna ci sarà una persona che saprà fare la differenza”. M: A quante bandierine si è arrivati dopo diversi anni? L: Con questo settembre siamo a 80 bandierine in tutta Italia! M: Complimenti, bandierine di sorrisi L: Bandierine di sorrisi, di dignità, di possibilità, bandierine di persone che si sono formate alla Sente-Mente® School, che hanno fatto il corso del Sente-Mente® Training e che sono diventate FELICITATORI. I fecilitatori del Sente-Mente® sono le persone che s-velano, tolgono i veli alla possibilità, alla bellezza che c’è. Ci siamo presi la responsabilità di creare il

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primo modello culturale italiano che fosse capace di guardare alla demenza non come a una malattia neuro-degenerativa per la quale quando arriva tutto finisce, ma immaginando una diversa narrazione, che inizi anche a immaginare parole diverse: posso dire che lui è un demente, che loro sono gli Alzheimer oppure posso dire che Giovanna con-vive con la malattia di Alzheimer. M: Parlami meglio dell’importanza delle parole. L: Le parole sono tutto. Il vocabolario socio-sanitario degli ultimi 15 anni è denso di parole aride, che congelano volutamente la relazione e che sono tutte improntate sul fare. Si parla di malattia e non di possibilità, si parla di disturbi del comportamento e non di comportamenti speciali, si parla di diagnosi come di una gabbia che in qualche modo diventa la profezia che si autodetermina rispetto a ciò che potrebbe accadere ma non si menziona invece tutto quello che ognuno può fare per costruire la vivibilità nella sua malattia. Penso che tutte le rivoluzioni abbiano bisogno di parole nuove. Quando si cambia una parola, si squarciano nella mente nuovi scenari di possibilità. Se io dico che lui è un demente, vuol dire che a un certo punto nella mia mente creerò l’idea che lui non capisce niente anche se gli parlo. Se io dico che è una persona che con-vive con la demenza, gli riconosco la sua essenza di persona e gli riconosco l’idea che lui convive con la mattia, lui NON è quella malattia! La lingua italiana porta a dire: “Io sono un malato di Alzheimer, io sono un malato di sclerosi”. La malattia non può diventare l’identificazione rispetto all’identità! M: Ho visto che parli spesso di emozioni. L: il dramma di questi anni, che noi in Sente-Mente® sentiamo molto forte, è che si tende a costruire una narrazione attorno alle emozioni che sta portando a pensare che le emozioni normali siano una malattia: emozioni che gli esseri umani provano e che sono in qualche modo l’apoteosi della fragilità, ma che sono anche il campo all’interno del quale nasce la meravigliosa possibilità di essere. Se una persona che convive con la demenza si arrabbia perchè qualcuno si è seduto sulla sua

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poltrona, nel 90% delle strutture italiane ci sarà qualcuno che scambia la sua rabbia per un disturbo del comportamento e se quella persona ha una terapia al bisogno probabilmente ci sarà qualcuno che gliela somministrerà perchè non si è più in grado di riconoscere le emozioni come elemento fondamentale della propria espressività e linguaggio. Attraverso le emozioni ti dico dove sono, ti dico come sto. Un elemento fondamentale è capire che anche gli operatori provano emozioni e che è stato devastante insegnare a generazioni di professionisti socio-sanitari la distanza terapeutica, perchè in realtà abbiamo costruito delle mura per difenderci dalla sofferenza delle persone di cui ci prendiamo cura, senza renderci conto che all’interno di quelle mura ci siamo murati vivi! E’ nella relazione che si troverà l’antidoto allo stress lavorativo. Se un infermiere farà solo clisteri o erogherà solo terapia è evidente che dopo dieci anni sarà sfinito. Sente-Mente® non è solo una voce per raccontare a chi è malato e alle famiglie in modo diverso nuovi scenari rispetto alla malattia, e quindi rispetto alla vita, ma è anche un modo per ripartire dagli operatori, dalle organizzazioni socio-sanitarie. Lavorare sull’allenamento alla resilienza, alla gratitudine, al perdono diventano elementi che condizionano la salute e il benessere delle persone. Noi oggi sappiamo che se alleniamo gli operatori a giocarsi un diverso kit di capacità di relazione e di cura, siamo in grado di invertire anche i costi del burn out socio-sanitario. Arrivare oggi in un struttura per anziani con il Sente-Mente® modello significa mettere in pratica un modello organizzativo terapeutico che porta l’organizzazione nell’arco di 2/3 anni a sviluppare la capacità di creare benessere per l’intera triade terapeutica: residenti, familiari e operatori. M: Ottimo! In provincia di Bologna ci sono delle strutture che hanno sposato questa filosofia, questo metodo? L: Assolutamente sì, abbiamo due strutture che da circa due anni stanno camminando insieme con noi e ne abbiamo altre in partenza. Sono la Casa di Accoglienza Beata Vergine delle Grazie in centro a Bologna, è una cooperativa sociale con la


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quale già da due anni abbiamo iniziato l’implementazione del Sente-Mente® modello e la Casa di Riposo Istituto Sant’Anna e Santa Caterina che è una struttura che è partita con il progetto molto bello di educare alla felicità, abbiamo fatto 9 giornate formative e continueranno. M: Ho letto dei sette pilastri, ci racconti qualcosa? Si parla anche di contatto, di risata… L: Il primo pilastro è “La vita non finisce con la diagnosi”: le persone che convivono con la demenza sono persone che provano emozioni, tutte, esattamente come noi; ma sono anche persone che sentono le emozioni di coloro che stanno loro vicino. Questa è un’abilità che è straordinaria perchè in qualche modo dice che non è vero che quella persona è finita ma è vero che lì dentro esiste. Lo abbiamo chiamato un nocciolo vitale con il quale noi possiamo continuamente interagire e uno degli elementi del Sente-Mente® è quello di avere felicitatori su tutto il territorio nazionale che attivano i SenteMente® laboratori: gruppi di 12 incontri per 2 ore rivolti ai care givers e ai familiari in cui i partecipanti diventano sempre più capaci di creare relazioni significative. Il secondo pilastro è la psicologia positiva che afferisce a tutti gli studi di Martin Seligman e dei tantissimi studi che recentemente sono usciti riguardo al valore della gratitudine, della curiosità, del perdono, su come concretamente allenare la resilienza e la felicità. La psicologia positiva è riuscita a farci comprende che si può andare oltre i propri limiti, oltre il proprio carattere: semplicemente si possono allenare quelle capacità che consentiranno un domani di sostare nel dolore con molti più strumenti. La psicologia positiva non dice di ridere sempre, ma allena quelle capacità umane che consentono di passare i diversi tsunami che la vita bene o male farà passare a tutti. Il terzo pilastro è il con-tatto. Quando ne parliamo intendiamo per esempio quello visivo: oggi ci sono professionisti sociosanitari che non guardano più negli occhi le persone di cui si prendano cura e questo è drammatico perchè la relazione inizia anche dallo sguardo ma paradossalmente fino a quando tu non mi guardi negli occhi io non esisto. Poi c’è il contatto inteso come garbo, gentilezza: su questo stiamo lavorando tantissimo perchè abbiamo scoperto che la gentilezza organizzativa può diventare un principio basilare del processo della cura: se il direttore inizia a essere gentile probabilmente scatena processi di gentilezza, è contagioso. E poi c’è il contatto che è il risultato di una mano che si appoggia e di questa strepitosa sensazione tattile che però è reciproca e qui si apre il contatto come possibilità. In questi anni in nome della prevenzione dei rischi si sono fatti indossare al personale socio-sanitario i guanti molto di più di quanto non sia realmente necessario per la protezione del rischio. Se un operatore porta a passeggio un anziano in giardino tenendolo per mano con i guanti di lattice c’è qualcosa che non sta funzionando. Poi abbiamo la risata incondizionata terapeutica: dobbiamo tornare alla leggerezza e allenarci a consentire alla nostra mente, che è spesso turbata da una mole infinita di pensieri, di creare delle oasi di sospensione di pensiero, perchè è solo lì che il nostro pensiero si rigenera, che troveremo la culla per la nostra creatività. La risata fa parte di questa parentesi all’interno della quale noi troviamo sosta. Quando insegniamo questa possibilità agli operatori - ma moltissimo anche ai familiari - e questi iniziano a utilizzarla, diventa un piccolo salvavita. E’ una risata che non deride, ma che è occasione per prendere forza per attraversare il dolore. L’altro pilastro è la connessione mente-corpo, corpomente. Ci piace ricordare che Cartesio è morto: “Tu non sei un uomo perchè pensi, ma tu sei uomo perchè senti” e ci piace togliere il primato della mente quando il pensiero si frantuma. Se prendiamo per vera la frase “Cogito ergo sum” questa porta a dire in caso di demenza “Se io non penso non sono più”. Se è vero, come abbiamo detto un attimo fa, che le persone con demenza sentono e provano emozioni questo vuol dire che io posso esistere fino al mio ultimo respiro e allora il paradigma non è più “Cogito ergo sum” ma diventa “Sento ergo sum”. Il sesto pilastro è quello dei comportamenti speciali: per molto tempo nel nostro Paese abbiamo immaginario che l’aggressività fisica e verbale, la rabbia, il vagabondaggio, l’ansia fossero in qualche modo sintomi di malattia senza renderci conto che invece potrebbero essere linguaggio. Se una persona non ha più, a causa della sua malattia, la possibilità di esprimersi è evidente che potrebbe comunicare attraverso qualche comportamento che se si guarda da fuori sembra un disturbo o un comportamento disadattivo, ma se cui si mette un attimo nei suoi panni probabilmente si capisce che il suo vagabondare forse è il segnale che in quell’ambiente non ci sta bene. Il mondo socio-sanitario è diventato sempre più bravo a mettere etichette: “Il bambino ha il disturbo del comportamento, il bambino è disadattato” però siamo diventati sempre più incapaci di proporre occasioni di benessere, di bellezza, di possibilità di fare accadere la vita. Con Letizia c’è anche Monica Manzoni, neuropsicologa e felicitatri-

ce di Castel San Pietro Terme (BO). E’ lei che ci racconta del settimo e ultimo pilastro. Monica: Il settimo e ultimo pilastro è un contributo che arriva dall’America, dall’Istituto Heartmath che convoglia gli studi dei neurocardiologi, psicologi e tutti i professionisti che si occupano di studiare il cuore non da un punto di vista tradizionale, ma guardando i collegamenti che il cuore ha con il cervello e reciprocamente che il cervello ha con il cuore. Questi studi hanno dimostrato che il cuore, che noi solitamente siamo portati a considerare solo una pompa che lancia il sangue in giro per il corpo, in realtà è un potente generatore di campo elettromagnetico e quest’ultimo si irradia a una certa distanza dal corpo che raggiunge le altre persone anche se non si toccano. Il mio campo del cuore e il tuo in questo momento si stanno parlando. Quando ho scoperto questi studi grazie a Letizia ho capito perchè quando ero nelle strutture per anziani e c’erano alcuni operatori in turno alcune persone che lì vivevano erano continuamente agitate e irrequiete. Quando arrivava il cambio turno magicamente le stesse persone diventavano serene e stavano in cerchio con gli altri operatori e non trovavo una spiegazione. M: E’ una consapevolezza importante da acquisire Monica: Sì, soprattutto perchè il campo che il cuore genera non è casuale o automatico ma puoi agire volontariamente per creare un campo elettromagnetico attraente per le altre persone attraverso uno specifico esercizio che hanno elaborato dall’istituto di Heartmath che si chiama: esercizio di coerenza cardiaca. In 5 minuti ogni persona è in grado di portare il

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proprio cuore in uno stato di coerenza. Questo è benessere sia per chi è intorno, perchè riceve questi messaggi positivi, ma soprattutto è positivo anche per la salute della persona stessa perchè un cuore in uno stato di non coerenza è un cuore potenzialmente a rischio di malattia. M: Letizia, parlaci dei Giorni Felici L: Sente-Mente® è nato nel 2014, quest’anno abbiamo dato vita a un’esperienza molto bella che è stata la nascita dell’hashtag #GiorniFelici. Abbiamo fatto pubblicare 1000 copie di un’agenda, abbiamo dato la possibilità a un gruppo di persone di essere tutte insieme in un gruppo chiuso di facebook e ogni settimana queste persone vengono allenate alla positività, alla bellezza, alla felicità e ci siamo resi conto che queste persone sono incredibili perchè hanno fatto accadere cose stupefacenti Sono 1000 persone che non c’entrano con il mondo socio-sanitario, sono ad esempio l’estetista, la pensionata. Tra loro c’è gente che è salita in aereo dopo anni di attacchi di panico, persone che hanno avuto finalmente il coraggio di trasferirsi, etc. Per fare accadere questo viaggio strepitoso non ho fatto nient’altro che prendere il Sente-Mente® modello, portarlo nella vita dei “sani” e immaginare che i sette pilastri fossero legati alla quotidianità della vita e quindi che Sente-Mente® non fosse solo esclusivo per le persone con demenza, ma che potesse diventare qualcosa di più trasversale a tutti. Ecco allora che proprio quest’anno è nato #GiorniFelici, che adesso è un marchio in fase di registrazione, all’interno del quale i felicitatori del Sente-Mente®, queste bandierine disseminate su tutta Italia, non solo saranno quelli che potranno a fare accadere delle cose belle per le persone con malattia, ma arriveranno a tutte le persone: forse è arrivato il tempo di passare dal Prodotto Interno Lordo alla Felicità Interna Lorda. #GiorniFelici è qualcosa che possiamo offrire alle amministrazioni comunali per allenare i propri cittadini a guardare alle cose in modo diverso. Scuole e laboratori di #GiorniFelici sui territori, dovrebbero riuscire a cambiare questa nostra società che ha bisogno di passare dalla lamentela, dal vittimismo, dal dare sempre la colpa al fisco, alla politica a un riprendersi in mano la vita. Uno degli hashtag che noi amiamo è: “Io c’entro sempre” che significa: “Adesso io prendo in mano la mia vita e in qualche modo mi alleno a diventare una persona migliore”. M: Cosa succederà a ottobre a Bologna al Teatro Fossolo? L: Il 6 ottobre a Bologna al Fossolo c’è la quarta edizione del Sente-Mente® day che è un dono che vogliamo fare a tutti i professionisti socio-sanitari. E’ una giornata di formazione totalmente gratuita aperta a 650 persone da tutta Italia: possono essere operatori ma anche familiari o persone interessate.Abbiamo un bel programma, tanti interventi interessanti che si possono scaricare e vedere dal sito www.letiziaespanoli.com. Invitiamo tutti a inscriversi, sul sito si trova direttamente il link per farlo. Ci vediamo lì.

Yoga Express

Pensa solo a respirare

Autore: Carol Krucoff Editore: RED Pagine: 224 – prezzo di Copertina: 12 €

Autore: Rebecca Dennis Editore: ARMENIA Pagine: 190 – prezzo di Copertina: 14 €

In questo libro ci sono proposte 108 facili micropratiche da fare in un minuto (o anche meno). Yoga è una parola che tutti abbiamo sentito. Chi non lo ha mai praticato ne ha un’idea sfumata: può essere associata alla meditazione, si può pensare che si tratti di esercizi da contorsionisti o ancora a qualcosa che ha a che fare con la respirazione. Chi lo pratica, sa che yoga è una parola enorme che contiene queste definizioni e anche tante altre. Si può praticare per mantenere il corpo sano ed elastico o per raggiungere uno stato mentale di consapevolezza più profondo. Fa tutto parte di questa disciplina. Per questo gli esercizi proposti ci aiuteranno a stare in piedi o seduti in modo da non affaticare la colonna vertebrale, ma anche ad entrare in un rilassamento completo che ci aiuti a gestire ansie e paure. Avanzando negli esercizi aumenta la profondità della pratica; una corretta postura della schiena ci porterà ad ampliare la coscienza, includendo chi ci sta intorno, sviluppando empatia.

Non potete neanche immaginavi cosa ci sia dietro un semplice respiro. Questo piccolo gesto che ripetiamo inconsciamente, anche mentre dormiamo, quando siamo arrabbiati o gioiosi, racchiude tutta l’essenza della vita. Senza respiro la vita finisce. Provate ora, mentre leggete queste righe, a essere consapevoli dell’aria che entra ed esce. Fin dove arriva? Si ferma nel petto? Provate a portare il respiro all’addome, poi provate a portarlo al torace. Sentito che differenza? In questo libro troverete diversi esercizi tanto semplici quanto efficaci, tutti legati alla respirazione. Le testimonianze, tra cui quella in prima persona dell’autrice, ci riportano le potenzialità e i risultati che questa pratica ci aiuta a raggiungere. La pratica si chiama Respiro Trasformativo; attraverso la lettura del tipo di respirazione che abbiamo (che è unica come le impronte digitali) si arriva a capire tanto della nostra personalità, dove sono i nostri blocchi e da lì partire per scioglierli.


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