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TEME - TECNICA E METODOLOGIA ECONOMALE
BIMESTRALE DI TECNICA ED ECONOMIA SANITARIA
ANNALISA DAMELE
LE RICADUTE GIURIDICHE DELLA FINE DELLO STATO DI EMERGENZA DA COVID 19 CON PARTICOLARE RIFERIMENTO AI CONTRATTI DI APPALTO IN SANITÀ. CONSIDERAZIONI ESSENZIALI LUCIO LACERENZA
APPALTI, SI CAMBIA! LUCA GRISELLI
PARI OPPORTUNITÀ E INCLUSIONE LAVORATIVA NEI CONTRATTI PUBBLICI AFFERENTI AL PNRR
ISSN 1723-9338
CARLO GIORDANI
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sommario maggio-giugno 2022
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editoriale
Le Associazioni della FARE, AEL: l’Associazione del Lazio riprende la sua attività con alla guida la nuova Presidente Monica Caira
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pubbliche gare Le ricadute giuridiche della fine dello stato di emergenza da Covid 19 con particolare riferimento ai contratti di appalto in sanità. Considerazioni essenziali nuovo codice contratti Appalti, si cambia! pari opportunità Pari opportunità e inclusione lavorativa nei contratti pubblici afferenti al PNRR pandemia da Covid 19 Superamento dei “silos” nella campagna vaccinale. L’esperienza dell’Azienda ULSS 6 Euganea Confindustria Dispositivi Medici Conflitto in Ucraina e costi delle materie prime, gli effetti sul settore dei dispositivi medici garanzia provvisoria Garanzia provvisoria: escussione ammessa solo nei confronti dell’aggiudicatario qualificazione stazioni appaltanti La qualificazione delle stazioni appaltanti: opportunità e strumenti per l’implementazione di un modello gestionale, fai da te cause di esclusione dalle procedure di gara La Legge europea 2019-2020: novità in materia di appalti pubblici autotutela La stipulazione del contratto lascia intatto il potere di annullamento in autotutela dell’aggiudicazione lo sconto confidenziale Gli sconti confidenziali: un beneficio per le imprese e la Pubblica Amministrazione criticità del pronto soccorso Il management sanitario verso la sostenibilità economica: possibili strategie per ottimizzare le risorse in pronto soccorso Federazione Italiani Fornitori Ospedalieri in sanità Sanità, aziende in crisi: a rischio le forniture ospedaliere. Lente d’ingrandimento di FIFO sulle pmi del comparto
aziende informano
46 Ausili assorbenti, Accordo Quadro: la possibile soluzione a tante criticità apparentemente insuperabili
gli esperti rispondono
48 La mancata dichiarazione di un decreto penale di condanna
Le foto all’interno sono di Andrea Leonardi Andrea Leonardi vive e lavora a Roma, svolge da trent’anni attività di grafico, elaborazione fotografica e consulenza nelle arti grafiche. In questo numero una panoramica del “Giardino ritrovato” soprannome del Giardino di Palazzo Venezia a Roma
Tecnica e metodologia economale Bimestrale di tecnica ed economia sanitaria fondato nel 1962 per l’aggiornamento professionale degli economi e provveditori della Sanità. ISSN 1723-9338 Organo ufficiale della FARE Federazione delle Associazioni Regionali Economi e Provveditori della Sanità
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fare
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editoriale Monica Caira - Presidente dell’A.E.L.
Le Associazioni della FARE, AEL: l’Associazione del Lazio riprende la sua attività con alla guida la nuova Presidente Monica Caira
S
icuramente nella nostra professione la condivisione, lo scambio di idee e di esperienze, il contatto che mantiene sempre attivo un legame con chi, anche lontano da noi, vive gli stessi dubbi e cerca soluzioni simili, è importantissimo. L’associazionismo, il fare squadra, lo stare insieme, diventa, dunque, determinante. I Provveditori del settore sanitario, in tutte le Aziende territoriali o ospedaliere, adottano decisioni rilevanti sia in termini economici, sia per la ricaduta determinante che possono avere sui destinatari finali dei beni e servizi acquistati, ovvero i pazienti. Un sistema che presenta rigidità formali e procedurali potrebbe incutere un tale timore per le connesse responsabilità, da avere un effetto paralizzante, da condurre all’immobilismo, con danni incalcolabili sui cittadini ed effetti la cui consistenza richiede anni per un’esatta quantificazione. Ecco allora l’importanza delle Associazioni, appartenenti alla FARE, nate in ciascuna Regione italiana cui si è riunita, da quest’anno, uscendo da una lunga assenza, anche la Regione Lazio, dando nuovo impulso all’Associazione Economi Lazio (A.E.L.), che ha nella F.A.R.E. (Federazione Associazioni Regionali Economi) il luogo di naturale confluenza con le altre. Che le Associazioni regionali abbiano un momento di sintesi nella Federazione nazionale assume oggi una rilevanza ancora maggiore rispetto al passato. Il COVID-19 ci ha insegnato a stare in trincea, a prendere decisioni nottetempo, a percepire la precarietà di quelle che erano certezze fino ad un attimo prima, ad imboccare strade alternative ed impervie perché l’obiettivo inseguito non concedeva la comodità dei sentieri battuti. Il tempo ha subìto una compressione, i mezzi hanno spesso perso la propria fisicità, diventando eterei, dematerializzandosi e la tecnologia ha ridotto gli spazi. Ne usciamo più forti, abbiamo scoperto che quelli che percepivamo come limiti erano, invece, nuove opportunità. Le sfide, però, si inseguono a ritmo serrato; il PNRR pretende agilità e rapidità per concedere le proprie grazie, vietato farsi trovare impreparati, e chissà cos’altro si cela dietro l’angolo. Dobbiamo mettere a fattor comune le competenze, le esperienze ed imparare a gestire le conseguenze, a prevenire, indirizzare le innovazioni. Ed ecco, quindi, l’importanza dell’unità nella nostra categoria professionale. Definire delle linee guida, condividere soluzioni e riconoscere una funzione nomofilattica all’interpretazione delle norme da parte della Federazione, fornisce uno strumento operativo pratico ed efficace perché creato dagli addetti ai lavori e consente di modellare uno scudo protettivo dell’operato di ognuno che possa creare una sinergia a “testuggine” nei confronti di vari colossi, come quelli deputati al controllo, ANAC, o alla definizione delle regole del gioco, lo stesso Legislatore. Di qui l’esortazione ad associarsi e a condividere. Di qui il cammino di recente ripreso anche dall’A.E.L. Buon lavoro a tutti noi.
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pubbliche gare Annalisa Damele - Ospedali Galliera di Genova
Le ricadute giuridiche della fine dello stato di emergenza da Covid 19 con particolare riferimento ai contratti di appalto in sanità. Considerazioni essenziali
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a) La disciplina di ristoro connessa all’emergenza sanitaria La pandemia causata dal Covid 19 ha determinato la necessità di introdurre una serie di disposizioni finalizzate a ridurre, o comunque ad arginare, le conseguenze economiche negative derivanti dalle necessarie misure di contenimento dell’emergenza sanitaria (lockdown totali o parziali, ecc.). a.1. In particolare, con riferimento ai servizi di ristoro tramite distributori automatici, la legge n. 77/2020 (di conversione, con modificazioni, del d.l. n. 34/2020, c.d. decreto rilancio) ha previsto che “in caso di contratti di appalto e di concessione che prevedono la corresponsione di un canone a favore dell’appaltante o del concedente e che hanno come oggetto il servizio di somministrazione di alimenti e bevande mediante distributori automatici presso gli istituti scolastici di ogni ordine e grado, le università e gli uffici e le amministrazioni pubblici, qualora i relativi dati trasmessi all’Agenzia delle entrate ai sensi dell’articolo 2, comma 2, del decreto legislativo 5 agosto 2015, n. 127, e dei relativi decreti, disposizioni e provvedimenti attuativi, mostrino un calo del fatturato conseguito dal concessionario per i singoli mesi interessati dall’emergenza epidemiologica da COVID-19 superiore al 33 per cento, le amministrazioni concedenti attivano la procedura di revisione del piano economico finanziario prevista dall’articolo 165, comma 6, del Codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, al fine di rideterminare, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica e per il solo periodo interessato dalla citata emer-
genza, le condizioni di equilibrio economico delle singole concessioni” (art. 28 bis). La disposizione, non ha introdotto un vero e proprio strumento di revisione delle condizioni contrattuali, ma – come si dirà tra breve – è finalizzata a ristorare i mancati introiti in via eccezionale e limitatamente al solo periodo interessato dall’emergenza sanitaria. Essa, in altri termini, non ha consentito e non consente la definitiva e generale rideterminazione del canone per il prosieguo della concessione 1. a.2. Con riferimento ai servizi di pulizia o lavanderia in ambito sanitario o ospedaliero la legge n. 120/2020 (di conversione del d.l. semplificazioni n. 76/2020) ha introdotto una disciplina specifica per i casi nei quali l’adeguamento alle misure di contrasto dell’emergenza Covid-19 abbia determinato un incremento di spesa di importo superiore al 20% del prezzo indicato nel bando o nella lettera d’invito. In particolare, è stato previsto che “le stazioni appaltanti, in relazione alle procedure di affidamento aggiudicate in data anteriore al 31 gennaio 2020, possono procedere, qualora non abbiano già provveduto alla stipulazione del contratto e l’aggiudicatario non si sia già avvalso della facoltà di cui all’articolo 32, comma 8, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, alla revoca dell’aggiudicazione, ai sensi dell’articolo 21-quinquies della legge 7 agosto 1990, n. 241. [...]” (art. 4 bis, primo comma). Quanto alle procedure già aggiudicate, il secondo comma del medesimo art. 4 bis ha stabilito che “le stazioni appaltanti possono procedere alla risoluzione degli
L’emergenza sanitaria dovuta al Covid-19 pareva rientrare a pieno titolo negli avvenimenti “straordinari e imprevedibili”. Lo è altrettanto la fine dello stato di emergenza (31.03.2022) e ciò pone quantomeno in dubbio consentire la rivalutazione degli importi contrattuali
1 Sull’applicazione della disposizione si veda, recentemente, T.A.R. Calabria, Sez. I, 14.03.2022, n. 452.
pubbliche gare stessi [contratti], ai sensi dell’articolo 108 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, nel caso in cui dall’adeguamento alle misure di contenimento e contrasto dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 derivi un incremento di prezzo superiore al 20 per cento del valore del contratto iniziale.”. Tale risoluzione, tuttavia, sarebbe stata esperibile soltanto “entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto”, ossia entro il 15 ottobre 20202. Peraltro, l’ultima periodo del comma 2 ha confermato che “in relazione ai contratti di cui al comma 2, resta ferma la possibilità di procedere alla loro modifica nei limiti e secondo le modalità di cui all’articolo 106 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50”3. Come si vede, quindi, le misure introdotte sono specifiche per alcuni particolari settori immediatamente e indubbiamente colpiti dagli effetti negativi delle misure di contenimento della pandemia. Conseguenze della fine dello stato di emergenza e possibili strumenti di revisione delle condizioni dei contratti 1. La disciplina del Codice civile Le previsioni sub a) sono strettamente connesse al – e giustificate dal – permanere dell’emergenza da Covid19. In effetti, il d.l. n. 34 specifica che le misure ivi previste si applicano all’eventuale “calo del fatturato conseguito dal concessionario per i singoli mesi interessati dall’emergenza epidemiologica da COVID-19” e che rilevano “per il solo periodo interessato dalla citata emergenza”. Analogamente, la legge n. 120/2020 si riferisce alle ipotesi in cui “dall’adeguamento alle misure di contenimento e contrasto dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 derivi un incremento di prezzo superiore al 20 per cento del valore del contratto iniziale”. Ecco, quindi, che, decorso il termine del 31.03.2022 (fissato per la conclusione del periodo emergenziale), le disposizioni sopra riportate sono state private di effetto. Dal 1° di aprile, quindi, gli appaltatori non possono che applicare la normativa ordinaria circa la revisione degli importi contrattuali. Al riguardo viene in rilievo l’art. 30, comma 8 del d.lgs. n. 50/2016, ai sensi del quale “per quanto non espressamente previsto nel presente codice e negli atti attuativi
… alla fase di esecuzione si applicano le disposizioni del Codice civile”. Conseguentemente, per quel che rileva al momento, trovano applicazione le previsioni codicistiche che consentono la rideterminazione dei corrispettivi contrattuali. In particolare, assume rilievo l’art. 1467 del Codice civile, in forza del quale “nei contratti a esecuzione continuata o periodica ovvero a esecuzione differita, se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto, con gli effetti stabiliti dall’articolo 1458 [...]”, con la precisazione che “la parte contro la quale è domandata la risoluzione può evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto”. Va da sé, tuttavia, che se è ben vero che l’emergenza sanitaria dovuta al Covid-19 pareva rientrare a pieno titolo negli avvenimenti “straordinari e imprevedibili”, lo è altrettanto che la fine dello stato di emergenza al 31.03.2022 pone quantomeno in dubbio – o perlomeno rende più difficile – consentire, ad oggi, rivalutazioni degli importi contrattuali. I prezzi di riferimento 1. Va, sotto ulteriore profilo, considerato che l’art. 17, comma 1, lett. a) del d.l. n. 98/2011, convertito con modificazioni nella legge n. 111/2011, prevedeva, nella sua versione originaria, che “nelle more del perfezionamento delle attività concernenti la determinazione annuale di costi standardizzati per tipo di servizio e fornitura da parte dell’Osservatorio dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture di cui all’articolo 7 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e anche al fine di potenziare le attività delle Centrali regionali per gli acquisti, il citato Osservatorio, a partire dal 1° luglio 2012, attraverso la Banca dati nazionale dei contratti pubblici di cui all’articolo 62-bis del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, fornisce alle regioni un’elaborazione dei prezzi di riferimento, ivi compresi quelli eventualmente previsti dalle convenzioni Consip, anche ai sensi di quanto disposto all’articolo 11, alle condizioni di maggiore efficienza dei beni, ivi compresi i dispositivi medici ed i farmaci per uso ospedaliero, delle prestazioni e dei servizi sanitari e non sanitari individuati dall’Agenzia per i
2 L’art. 1, comma 2 della legge n. 120/2020 ne ha previsto l’entrata in vigore il giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, che è avvenuta il 14.9.2020. 3 La norma suscita qualche perplessità essendo evidente che i profili di utilità della stessa sono piuttosto marginali. Innanzitutto, l’ipotesi del primo comma sembra più che altro di scuola, atteso che è improbabile che per una procedura aggiudicata entro il 30.01.2020 non si fosse ancòra addivenuti alla stipula del contratto il settembre successivo. Quanto al secondo comma è appena il caso di rilevare che sotto il profilo gestionale sarebbe risultata a dir poco problematica la risoluzione di un contratto di primaria importanza come quello di pulizia – tanto più in ambito ospedaliero – e in un momento di emergenza sanitaria, tenuto anche conto delle tempistiche per il nuovo affidamento del medesimo. In ogni caso, lo stesso comma 2 rimanda alla disciplina delle modifiche contrattuali di cui all’art. 106 del d.lgs. n. 50/2016, che è l’unica norma effettivamente utilizzabile nel caso specifico.
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pubbliche gare
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servizi sanitari regionali di cui all’articolo 5 del decreto legislativo 30 giugno 1993, n. 266, tra quelli di maggiore impatto in termini di costo a carico del Servizio sanitario nazionale.” La norma chiariva, inoltre, che la previsione era finalizzata a “mettere a disposizione delle Regioni ulteriori strumenti operativi di controllo e razionalizzazione della spesa”, con l’ulteriore previsione che “Le regioni adottano tutte le misure necessarie a garantire il conseguimento degli obiettivi di risparmio programmati, intervenendo anche sul livello di spesa per gli acquisti delle prestazioni sanitarie presso gli operatori privati accreditati”. 2. L’art. 15, comma 13, lett. b) del d.l. n. 95/2012 (c.d. decreto spending review 2), convertito con modificazioni nella legge n. 135/2012, ha modificato la previsione di cui sopra sostituendone il quarto e quinto periodo come di seguito: “ Qualora sulla base dell’attività di rilevazione di cui al presente comma, nonché, in sua assenza, sulla base delle analisi effettuate dalle Centrali regionali per gli acquisti anche grazie a strumenti di rilevazione dei prezzi unitari corrisposti dalle Aziende Sanitarie per gli acquisti di beni e servizi, emergano differenze significative dei prezzi unitari, le Aziende Sanitarie sono tenute a proporre ai fornitori una rinegoziazione dei contratti che abbia l’effetto di ricondurre i prezzi unitari di fornitura ai prezzi di riferimento come sopra individuati, e senza che ciò comporti modifica della durata del contratto.” La medesima norma ha previsto, inoltre, che “In caso di mancato accordo, entro il termine di 30 giorni dalla trasmissione della proposta, in ordine ai prezzi come sopra proposti, le Aziende sanitarie hanno il diritto di recedere dal contratto senza alcun onere a carico delle stesse, e ciò in deroga all’articolo 1671 del codice civile” e che “Ai fini della presente lettera per differenze significative dei prezzi si intendono differenze superiori al 20 per cento rispetto al prezzo di riferimento”. La norma in questione ha stabilito, inoltre, che “Le
aziende sanitarie che abbiano proceduto alla rescissione del contratto, nelle more dell’espletamento delle gare indette in sede centralizzata o aziendale, possono, al fine di assicurare comunque la disponibilità dei beni e servizi indispensabili per garantire l’attività gestionale e assistenziale, stipulare nuovi contratti accedendo a convenzioni-quadro, anche di altre regioni, o tramite affidamento diretto a condizioni più convenienti in ampliamento di contratto stipulato da altre aziende sanitarie mediante gare di appalto o forniture”. Come si vede, quindi, nel 2012 la previsione dei prezzi di riferimento è stata “rafforzata” passando questi ultimi da meri “strumenti operativi di controllo e razionalizzazione della spesa”, a parametro per la rinegoziazione dei contratti in essere, alla quale le amministrazioni sono “tenute” ove il prezzo stabilito contrattualmente sia superiore al 20% rispetto a quello di riferimento. Sul punto, peraltro, pare che il regime sia diverso a seconda che il contratto derivi da un’adesione a gara regionale o sia stata affidato direttamente dall’Amministrazione. Nel primo caso si ritiene che la rinegoziazione debba essere effettuata dalla centrale di committenza, la quale ha stipulato le convenzioni con gli aggiudicatari delle gare centralizzate, cui le singole amministrazioni hanno aderito. In effetti, diversamente, si rischierebbe di addivenire ad una situazione di differenziazione dei prezzi nel medesimo ambito territoriale, che risulterebbe del tutto ossimorica rispetto all’obiettivo di uniformazione cui risponde la centralizzazione degli acquisti. Nel secondo, caso, invece, sono le singole amministrazioni a dover gestire la rinegoziazione dei contratti aggiudicati autonomamente, perseguendo l’obiettivo primario di contenere la spesa pubblica. 3. L’Anac ha recentemente aggiornato i prezzi di riferimento in ambito sanitario dei servizi di lavanolo, di pulizia e di ristorazione, in considerazione delle dinami-
pubbliche gare che inflazionistiche registrate nel periodo attuale. Rispetto ai dati del 2013, il prezzo di riferimento del servizio di lavanolo (lavaggio e noleggio di biancheria) è stato rivalutato del 7,70 %, il servizio di pulizia del 10,55 %, e il servizio di ristorazione del 4,40%. L’aggiornamento è stato effettuato sulla base degli indici dei prezzi Istat, in particolare: il FOI per i servizi di lavanolo (pubblicato da Istat il 22 febbraio); NIC mene per i servizi di ristorazione (pubblicato da Istat il 22 febbraio); indice dei prezzi alla produzione dei Servizi di pulizia e disinfestazione (terzo trimestre 2021) per i servizi di pulizia. Ecco, quindi, che si registra una formalizzazione dell’aumento dei prezzi, che dovrà essere gestita dalle amministrazioni. In effetti, trattandosi di implementazione, non trova applicazione il sopra citato art. 17, comma 1, lett. a) del d.l. n. 98/2011, convertito con modificazioni nella legge n. 111/2011, che disciplina l’ipotesi in cui il prezzo di riferimento sia inferiore rispetto a quello applicato dall’amministrazione. Nel caso specifico, quindi, è verosimile che saranno gli operatori economici a richiedere l’adeguamento del prezzo tenuto conto di quelli di riferimento Anac. Anche in questo caso parrebbe corretto che, in caso di gare centralizzate, la richiesta venga indirizzata alla stazione unica appaltante, la quale ha stipulato le convenzioni quadro i cui prezzi vanno aggiornati. Sicché, a valle, le singole amministrazioni prenderanno atto dell’adeguamento concordato dalla centrale di committenza e lo applicheranno nei rapporti contrattuali di adesione. Diversamente, per i contratti aggiudicati dalle singole amministrazioni, queste ultime saranno destinatarie delle richieste di adeguamento, che dovranno gestire autonomamente. Va da sé, ovviamente, che il riconoscimento degli adeguamenti conseguenti all’implementazione dei prezzi di riferimento, potrà avvenire soltanto ove vengano rico-
nosciuti adeguati, maggiori stanziamenti a favore delle amministrazioni. É appena il caso di rilevare, infatti, che qualsiasi richiesta di maggiori prezzi non potrà neppure essere valutata in mancata di adeguati stanziamenti di bilancio. 3. La revisione necessaria dei corrispettivi contrattuali Recentemente è stato introdotto l’art. 29 del d.l. 27.01.2022, n. 4, ai sensi del quale “al fine di incentivare gli investimenti pubblici, nonché al fine di far fronte alle ricadute economiche negative a seguito delle misure di contenimento e dell’emergenza sanitaria globale derivante dalla diffusione del virus COVID-19” per gli atti di gara “ a) e’ obbligatorio l’inserimento, nei documenti di gara iniziali, delle clausole di revisione dei prezzi previste dall’articolo 106, comma 1, lettera a), primo periodo, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 504, fermo restando quanto previsto dal secondo e dal terzo periodo del medesimo comma 1”. Ecco, quindi, che è stato previsto un nuovo strumento di adeguamento contrattuale che opera pro futuro. Esso, infatti, è sì finalizzato al contenimento delle conseguenze negative derivanti dall’emergenza Covid 19, ma introduce una previsione che si applica a tutti i bandi successivi all’entrata in vigore del decreto legge5. In conclusione la fine dello stato di emergenza ha indubbiamente privato gli operatori economici di alcuni strumenti compensativi specifici che a tale stato erano strettamente connessi. Allo stesso tempo, tuttavia, il legislatore ha introdotto o implementato alcuni meccanismi revisionali del corrispettivo contrattuale (l’aumento dei prezzi di riferimento e l’inserzione necessaria della clausola di revisione dei prezzi negli atti di gara) che – unitamente alla disciplina civilistica già applicabile – contribuiscono certamente non ad eliminare, ma quantomeno a ridurre le conseguenze negative del periodo emergenziale.
4 L’art. 106, comma 1, lett. a) del d.lgs. n. 50/2016 prevede che è possibile la modifica dei contratti di appalto “se le modifiche a prescindere dal loro valore monetario sono state previste dai documenti di gara iniziali in clausole chiare, precise e inequivocabili, che possono comprendere clausole di revisione dei prezzi”. 5 La legge di conversione 28.03.2022, n. 25 (pubblicata in G.U. n. 73 del 28.03.2022, S.O. n. 13) ha sostanzialmente confermato in toto l’impianto del d.l. e, quindi, la non generale retroattività della previsione dell’art. 29 circa l’inserzione obbligatoria della clausola di revisione dei prezzi. L’unica novità introdotta è limitata soltanto agli accordi quadro ex art. 54 del d.lgs. n. 50/2016. La legge di conversione, infatti, ha inserito il comma 11 bis all’art. 29, in forza del quale “In relazione agli accordi quadro di lavori di cui all’articolo 54 del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, già aggiudicati ovvero efficaci alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, le stazioni appaltanti possono, ai fini della esecuzione di detti accordi secondo le modalità previste dai commi da 2 a 6 del medesimo articolo 54 e nei limiti delle risorse complessivamente stanziate per il finanziamento dei lavori previsti dall’accordo quadro, utilizzare le risultanze dei prezzari regionali aggiornati secondo le modalità di cui al comma 12 del presente articolo, fermo restando il ribasso formulato in sede di offerta dall’impresa aggiudicataria dell’accordo quadro. Nelle more dell’aggiornamento dei prezzari regionali, le stazioni appaltanti possono, ai fini della esecuzione degli accordi quadro secondo le modalità di cui ai commi da 2 a 6 del citato articolo 54 e nei limiti delle risorse complessivamente stanziate per il finanziamento dei lavori previsti dall’accordo quadro, incrementare ovvero ridurre le risultanze dei prezzari regionali utilizzati ai fini dell’aggiudicazione dell’accordo quadro, in ragione degli esiti delle rilevazioni effettuate dal Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili su base semestrale ai sensi del comma 2 del presente articolo, fermo restando il ribasso formulato in sede di offerta dall’impresa aggiudicataria dell’accordo quadro”. Come si vede, quindi, è stata introdotta una sorta di “limitata retroattività” della previsione del d.l., seppure con una serie di contrappesi. Innanzitutto, la legge di conversione – oltre a circoscrivere l’applicazione della previsione ai soli accordi quadro – dispone che le stazioni appaltanti “possono” e non devono utilizzare i prezziari aggiornati. Inoltre, ciò è previsto “nei limiti delle risorse complessivamente stanziate per il finanziamento dei lavori previsti dall’accordo quadro”. Non pare, quindi, che l’inserzione del comma 11 bis denoti un particolare coraggio da parte del legislatore. Si sarebbe potuto, in effetti, “osare” di più tenuto conto che la finalità dichiarata dell’art. 29 è quella di “far fronte alle conseguenze economiche a seguito delle misure di contenimento e dell’emergenza sanitaria globale derivante dalla diffusione del virus Covid 19.
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nuovo codice contratti Lucio Lacerenza - Foro di Roma
Appalti, si cambia!
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opo oltre 800 modifiche (censite da “Italia Oggi”), il codice degli appalti del 2016 giunge al capolinea. Lo scorso 14 giugno, infatti, è stato definitivamente approvato dal Senato della Repubblica il disegno di legge che delega il Governo ad adottare il nuovo codice (AS 2330-B), contenente i princìpi ispiratori della riforma della materia. Con una rilevante novità già nel metodo: il Governo potrebbe avvalersi della facoltà di ricorrere al Consiglio di Stato per la “stesura dell’articolato normativo”, ai sensi dell’art. 14, n. 2° del R.D. 26 giugno 1924, n. 1054, in alternativa alla proposta dello schema di decreto da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri e del Ministro delle infrastrutture, di concerto con i Ministri competenti. Novità, forse, nel segno dell’attenzione massima che il Legislatore intende prestare al nuovo codice, chiamato a governare, senza incidenti di percorso, la rilevante mole degli investimenti connessi al PNRR (oltre, ovviamente, agli appalti non finanziati dalle risorse del Piano di resilienza). Molte sono state le riserve sul codice del 2016: a parte le numerose modifiche, esso non pare aver dato prova di semplificazione normativa, visto il consistente contenzioso innanzi alle giurisdizioni amministrative nazionali e le numerose censure di gold plating della Corte di Giustizia UE, da ultimo con la recente sentenza n. 642/2022 in materia di possesso dei requisiti ed esecuzione delle prestazioni in misura maggioritaria da parte dell’operatore economico mandatario. In questo scenario il Legislatore ha l’arduo compito di elaborare un codice che metta le stazioni appaltanti nelle condizioni di acquistare il meglio e a prezzi ragionevoli. Frutto di un’impostazione “storica”, a giudicare dai princìpi ispiratori della delega, il codice manterrà la
distinzione tra appalti di lavori da una parte e servizi/forniture dall’altra. Pur nella consapevole diversità delle due macrocategorie, la distinzione, spesso foriera di contenzioso, meriterebbe tuttavia un approfondimento in considerazione della nuova frontiera del value based procurement che obbliga le amministrazioni ad acquistare “valore” e, dunque, a dover concepire bandi nei quali diverse categorie merceologiche devono coesistere nella direzione di soddisfare le proprie esigenze. Sui lavori, l’intenzione del Legislatore è di semplificare la disciplina della programmazione, progettazione e del dibattito pubblico, assicurare la copertura dei rischi professionali in caso di incarichi di progettazione a personale interno alle amministrazioni, rivedere il sistema di qualificazione generale degli operatori economici (del quale si discusse già alla vigilia del codice del 2016), individuare le ipotesi di affidamento congiunto progettazione/esecuzione dei lavori (nel passato oggetto di alterne decisioni). Sotto un profilo generale, il ventaglio dei princìpi ispiratori del nuovo codice fonda in larga parte le radici nelle fragilità dell’attuale disciplina: razionalizzazione della normativa primaria e secondaria, anche per semplificare gli oneri di partecipazione a carico delle imprese e dare certezza ai tempi delle procedure; suddivisione degli appalti in lotti sul modello dello Small Business Act della Commissione europea; semplificazione degli appalti sotto-soglia (sui quali, a più riprese, si era intervenuto con i c.d. “decreti semplificazione” e “sblocca cantieri”); rafforzamento dei metodi di risoluzione delle controversie alternativi al ricorso giurisdizionale. I princìpi sulla revisione del prezzo, la promozione della stabilità occupazionale, parità di genere e inclusione lavorativa dei disabili derivano, invece, dalla crescente attenzione del Legislatore verso le sempre più frequenti emergenze sanitarie e geopolitiche, nonchè alle ricadute sociali dei contratti pubblici, secondo lo
Un buon appalto è il risultato di un’efficiente macchina amministrativa, che ben funziona lungo l’intero “ciclo di vita” di un affidamento, dalla programmazione sino all’esecuzione del contratto, controlli compresi
nuovo codice contratti spirito ispiratore delle direttive appalti del 2014. Un capitolo a parte, per il rilevante peso che merita, è quello dedicato alla riforma delle stazioni appaltanti. Un buon appalto è il risultato di un’efficiente macchina amministrativa, che ben funziona lungo l’intero “ciclo di vita” di un affidamento, dalla programmazione sino all’esecuzione del contratto, controlli compresi. Sotto questo aspetto la rivoluzione pensata dal Legislatore è copernicana: qualificazione, riduzione numerica e riorganizzazione delle stazioni appaltanti, incentivi all’utilizzo delle centrali di committenza, specializzazione del personale attraverso percorsi di formazione. Se così
fosse attuata la riforma degli acquirenti pubblici rappresenterebbe un significativo traguardo. Per il degno completamento del quale riterrei, sommessamente, necessario garantire adeguate forme di tutela legale in favore di tutti coloro che si occupano di appalti nelle stazioni appaltanti. Approvata definitivamente la delega-appalti al Governo, non resta che attendere, sperando di avere entro l’anno un nuovo codice degli appalti degno delle sfide che l’Italia è chiamata a compiere (forse l’ultima grande occasione a disposizione per il rilancio competitivo del Paese!).
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pari opportunità Luca Griselli - Studio Legale Griselli - Salina
Pari opportunità e inclusione lavorativa nei contratti pubblici afferenti al PNRR
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l Decreto Semplificazioni 2021 (Decreto Legge 31 maggio 2021 n. 77, convertito nella Legge 29 luglio 2021 n. 108) ha disegnato la cornice normativa necessaria per dare attuazione al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Le disposizioni che interessano i contratti pubblici sono contenute nel titolo IV (artt. 47 – 56) e in sintesi: -(a) alcune prorogano misure già previste in via sperimentale dal DL 32/19 (c.d. sblocca cantieri); -(b) altre prorogano misure già previste in via sperimentale e urgente (per far fronte alla pandemia) dal DL 76/20 (Decreto semplificazioni); -(c) altre ancora (artt. 47 - 47 quater, 48 e 50) si riferiscono in via esclusiva ai contratti pubblici finanziati in tutto o in parte con risorse assegnate nell’ambito del PNRR (REG. UE 2021/24) e del PNC (piano investimenti complementari di cui al DL 59/21). Per quanto qui interessi, l’art. 47 contiene le norme attuative del PNRR nella parte in cui prevede espressamente che i bandi di gara indichino come requisiti necessari e premiali dell’offerta criteri orientati verso gli obiettivi di pari opportunità, generazionali e di genere, nonché di inclusione lavorativa delle persone disabili, tenendo conto degli obiettivi occupazionali attesi per il 2026, in base agli indicatori medi di settore europei. Si tratta di norme ambiziose e, a mio avviso, di notevole rilievo, che trascendono la sfera dei contratti PNRR: infatti, il disegno di legge delega relativo al nuovo Codice dei contratti pubblici, presentato lo scorso mese di marzo, tra i criteri ai quali il Governo dovrà conformarsi, prevede (anche) la promozione di meccanismi e strumenti
per realizzare le pari opportunità generazionali, di genere e di inclusione lavorativa per persone con disabilità. Sicché si tratta di norme e principi che, con gli adeguamenti che si renderanno necessari e opportuni dopo la prima fase di applicazione degli stessi, sono destinate a confluire nel prossimo Codice dei contratti. A dimostrazione dell’attualità della tematica, si consideri che con il recente Decreto Legge 30 aprile 2022 n. 36 (recante “misure urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza”) sono state apportate alcune modifiche già operative al Codice dei contratti. In particolare, si è previsto che: -l’importo della garanzia provvisoria è ridotto del 30% anche in favore degli operatori economici in possesso di certificazione della parità di genere di cui all’art. 46bis D.Lgs. 198/2006 (Codice delle pari opportunità). Si tratta della certificazione introdotta a partire dall’art. 4 comma 1 della L. 5/11/2021 n. 162 “al fine di attestare le politiche e le misure concrete adottate dai datori di lavoro per ridurre il divario di genere in relazione alle opportunità di crescita in azienda, alla parità salariale a parità di mansioni, alle politiche di gestione delle differenze di genere e alla tutela della maternità” (norma aggiunta all’art. 93 comma 7 D.Lgs. 50/2016); -tra i criteri premiali che potranno essere inseriti nei Bandi (non solo PNRR) vi potrà essere anche “l’adozione di politiche tese al raggiungimento della parità di genere comprovata dal possesso di certificazione della parità di genere di cui all’articolo 46bis del decreto legislativo 11 aprile 2006 n. 198” (modifica dell’art. 95 comma 13 D.Lgs. 50/2016).
L’art. 47 c. 2 DL 77/21 non precisa se la mancata presentazione del rapporto sulla situazione del personale unitamente alla domanda di partecipazione o all’offerta sia passibile di essere regolarizzata applicando il c.d. soccorso istruttorio (art. 83 c. 9 del D.Lgs. 50/2016)
pari opportunità Dunque, si tratta nel complesso di norme che impongono alle imprese un notevole sforzo di adeguamento della propria organizzazione aziendale e del lavoro, dotandosi di competenze e approcci multidisciplinari, dato che toccano ambiti che interessano il diritto del lavoro, delle pari opportunità, l’economia e il welfare aziendali, etc.. D’altro lato, le nuove norme mettono alla prova anche le Amministrazioni pubbliche chiamate a svolgere funzioni di committenza, che dovranno calare i nuovi criteri nella propria realtà e adeguarli correttamente, senza distorsioni, alle singole procedure di aggiudicazione. Insomma, si tratta di un’ipotesi in cui il legislatore utilizza la leva degli appalti pubblici come strumento di politica sociale, per correggere, utilizzando meccanismi di gara e contrattuali, le disfunzioni che connotano il nostro sistema (iniquità di genere e generazionali, in primis). Ambito applicativo Le misure di incentivazione e di tutela delle pari opportunità generazionali e di genere, nonché quelle per l’inclusione lavorativa delle persone con disabilità si applicano a tutte le procedure finanziate, in tutto o in parte, con risorse PNRR o PNC. L’art. 47 del DL 77/21 non distingue tra appalti o concessioni, né in base ai valori dei contratti. Pertanto, le misure in esso contenute si applicano ad ogni procedura di aggiudicazione di contratti pubblici, se ed in quanto sia finanziata con le risorse di cui sopra. Da notare che alcune di tali misure sono “autoapplicative”, nel senso che operano ex lege, senza necessità che siano recepite nei Bandi o negli atti di avvio delle procedure (sono tali le disposizioni relative all’obbligo di produzione del rapporto sulla situazione del personale, di cui al comma 2, o ancora della relazione di genere e delle attestazioni e relazioni ai sensi della Legge 68/99, di cui ai commi 3 e 3bis). Per tale ragione le Linee guida adottate in proposito con decreto del 7 dicembre 2021 dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, ai sensi dell’art. 47, c. 8, DL 77/21, sottolineando come tali obblighi “si applicano anche in mancanza di espressa previsione nel bando di gara”, hanno espressamente suggerito alle Stazioni appaltanti l’opportunità che il relativo contenuto sia trasfuso nei Bandi di gara, a garanzia dell’affidamento degli operatori e della certezza del diritto. Il rapporto sulla situazione del personale (art. 47 c. 2) Stabilisce l’art. 47 c. 2 DL 71/21 che gli operatori economici tenuti alla redazione del rapporto sulla situazione del personale ex art. 46 d.lgs. 198/06 (codice delle pari opportunità) a pena di esclusione devono produrre con la domanda di partecipazione o con l’offerta copia dell’ultimo rapporto redatto con attestazione di conformità a quello già trasmesso alle rappresentanze sindacali aziendali e ai consiglieri regionali di parità. Qualora non lo avessero in precedenza
trasmesso, in violazione dell’art. 46 d.lgs. 198/06, devono comunque presentarlo ai fini della gara (entro il termine di scadenza della presentazione della domanda o dell’offerta), con la attestazione della sua contestuale trasmissione alle RSA e ai Consiglieri di parità. Si tratta di una nuova causa di esclusione, applicabile a tutte le procedure indette dopo l’entrata in vigore del D.L. 77/21. Il rapporto sulla situazione del personale è adempimento imposto dall’art. 46 del Codice delle pari opportunità a tutte le aziende, pubbliche e private, che occupino oltre cinquanta dipendenti. E’ una relazione (con cadenza biennale) che deve fotografare la situazione del personale aziendale, maschile e femminile per ciascuna mansione e, in particolar modo, deve dare conto: dello stato delle assunzioni, della formazione, delle promozioni, dei livelli, dei passaggi di categoria o qualifica, della mobilità, dell’utilizzo della cassa integrazione, dei licenziamenti, prepensionamenti e pensionamenti, delle retribuzioni. Inoltre, esso deve contenere informazioni e dati sui processi di selezione, di reclutamento, sulle procedure di accesso alla formazione manageriale, sugli strumenti per conciliare i tempi di vita e lavoro, sulla presenza di politiche aziendali per creare un ambiente lavorativo inclusivo (si veda in proposito anche il Decreto del Ministro del lavoro del 3 maggio 2018, che disciplina alcuni importanti aspetti procedurali e temporali). La trasmissione del rapporto è strumentale alle successive elaborazioni che i consiglieri di parità regionali dovranno trasmettere ai consiglieri di parità nazionali, al Dipartimento per le pari opportunità della Presidente del Consiglio, all’ISTAT e al CNEL, affinché possano assumere le iniziative più opportune per implementare le regole vigenti. L’art. 47 c. 2 DL 77/21 non precisa se la mancata presentazione del rapporto sulla situazione del personale unitamente alla domanda di partecipazione o all’offerta sia passibile di essere regolarizzata applicando il c.d. soccorso istruttorio (art. 83 c. 9 del D.Lgs. 50/2016). Né chiarisce se il rapporto sia un elemento dell’offerta tecnica o della documentazione amministrativa, con la conseguenza che si dovrà far riferimento alla lex specialis (l’art. 83 comma 9 del Codice dei contratti, come è noto, consente la regolarizzazione della documentazione amministrativa, non dell’offerta tecnica e di quella economica). Mi pare che si possano fornire in proposito le seguenti indicazioni di massima (in attesa della pertinente elaborazione giurisprudenziale). In primo luogo, non mi sembra che possa essere decisiva (per escludere il soccorso istruttorio) l’eventuale previsione della lex specialis, che imponga l’inclusione del rapporto all’interno dell’offerta tecnica. Traendo spunto da quanto già chiarito dalla giurisprudenza, a proposito della relazione sull’assorbimento del personale del gestore uscente (cfr. ad es. TAR Veneto n. 441/2021),
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pari opportunità credo piuttosto che ciò che rilevi è se il contenuto del rapporto sul personale sia o meno elemento soggetto a valutazione (e ad assegnazione di punteggi): qualora non lo sia si può ritenere che in linea teorica possa essere oggetto di regolarizzazione. E’ a mio avviso, tuttavia, essenziale che si tratti di una mera irregolarità formale e non sostanziale. In altri termini, se potrà essere sanata la mancata produzione del rapporto, purché esso fosse già stato redatto e trasmesso tempestivamente ai sensi dell’art. 46 del Codice delle pari opportunità, prima della scadenza del termine per la presentazione dell’offerta, non potrà invece essere sanata la situazione opposta, dell’operatore che non abbia trasmesso nei termini previsti il rapporto medesimo (che lo abbia cioè predisposto solo dopo la richiesta di soccorso istruttorio e, dunque, dopo la scadenza del termine di presentazione delle offerte).
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La relazione di genere sulla situazione del personale maschile e femminile Il comma 3 dell’art. 47 impone agli operatori economici, con un numero di dipendenti uguale o superiore a 15 e inferiore a 50, di presentare alla stazione appaltante, alle rappresentanze sindacali e ai consiglieri di parità, entro 6 mesi dalla conclusione del contratto una relazione di genere sul proprio personale maschile e femminile (stato assunzioni, formazione, livelli retributivi, etc.). A differenza dell’inadempimento all’obbligo di presentare il rapporto sulla relazione del personale di cui al comma 2, la mancata produzione della relazione di genere determina, ai sensi del successivo comma 6: - l’applicazione di penali contrattuali,
che devono essere commisurate alla gravità del fatto e al valore del contratto; - il divieto di partecipare per dodici mesi ad ulteriori procedure di affidamento afferenti gli investimenti pubblici finanziati in tutto o in parte con risorse PNRR e PNC, sia in forma singola che associata. Dichiarazione e relazione relative all’assolvimento degli obblighi imposti dalla normativa a tutela del lavoro delle persone disabili (L. 68/99) L’articolo 47, comma 3-bis, impone agli operatori economici che occupano un numero pari o superiore a quindici dipendenti e non superiore a cinquanta di consegnare alla stazione appaltante, entro sei mesi dalla conclusione del contratto, una dichiarazione del legale rappresentante che attesti di essere in regola con le norme che disciplinano il diritto al lavoro delle persone con disabilità, nonché una relazione che chiarisca l’avvenuto assolvimento degli obblighi previsti a carico delle imprese dalla legge 12 marzo 1999, n. 68, e illustri eventuali sanzioni e provvedimenti imposti a carico delle imprese nel triennio precedente la data di scadenza della presentazione delle offerte. Tale relazione deve essere trasmessa anche alle rappresentanze sindacali aziendali. L’obbligo di cui al comma 3-bis si aggiunge a quello già previsto, in via generale, dall’articolo 17 della legge 12 marzo 1999, n. 68, ai sensi del quale le imprese che partecipino a bandi per appalti pubblici o intrattengano rapporti convenzionali o di concessione con pubbliche amministrazioni devono presentare preventivamente alla controparte pubblica, a pena di esclusione dalla gara, la dichiarazione
pari opportunità del proprio legale rappresentante che attesti di essere in regola con le norme che disciplinano il diritto al lavoro delle persone con disabilità. Il mancato assolvimento degli obblighi di cui al comma 3bis determina l’applicazione delle penali di cui al comma 6 (non si prevede, a differenza dell’ipotesi della mancata produzione della relazione di genere di cui al precedente comma 3, la sanzione dell’esclusione annuale dalle gare PNRR). Le Linee guida di cui al già citato decreto 7 dicembre 2021, al fine di assicurare il più ampio rispetto delle norme che disciplinano il diritto al lavoro delle persone con disabilità, suggeriscono che l’assolvimento dell’obbligo di cui al comma 3-bis sia richiesto, con espressa previsione nel bando di gara, anche agli operatori economici con più di cinquanta dipendenti. Ulteriori requisiti essenziali dell’offerta e criteri premiali L’art. 47 comma 7 impone alle stazioni appaltanti di prevedere nei bandi (o atti equivalenti di avvio delle procedure) specifiche clausole dirette all’inserimento, come requisiti necessari e come ulteriori requisiti premiali dell’offerta, di criteri per promuovere l’imprenditoria giovanile, l’inclusione lavorativa delle persone disabili, la parità di genere e l’assunzione di giovani, con età inferiore a trentasei anni, e donne. La norma in esame si scompone essenzialmente in due parti. La prima parte indica obiettivi da raggiungere e direttive a cui le Stazioni appaltanti devono attenersi nel predisporre gli atti di gara: si tratta, dunque, di norma che rimette alle singole Amministrazioni la declinazione concreta delle clausole, nel rispetto dei principi di libera concorrenza, proporzionalità e non discriminazione e della finalità ultima che, dichiaratamente, consiste nell’incremento occupazionale. La seconda parte prevede invece specifici requisiti necessari dell’offerta (non vi è l’espressa comminatoria di esclusione, ma il riferimento al carattere necessario dei requisiti non consente dubbi di sorta circa il rilievo essenziale degli adempimenti richiesti in sede di formulazione dell’offerta). Dunque, si tratta di requisiti che le offerte devono possedere a pena di esclusione anche se non espressamente richiamati dal Bando. Si tratta in particolare: - di aver assolto, al momento della presentazione dell’offerta stessa, agli obblighi di cui alla l. 68/99; - di assumere con l’offerta l’obbligo di assicurare che, in caso di aggiudicazione del contratto, una quota pari almeno al 30 per cento delle assunzioni necessarie per l’esecuzione del contratto stesso o per la realizzazione di attività ad esso connesse o strumentali, sia destinata sia all’occupazione giovanile, sia all’occupazione femminile. Quest’ultimo obbligo è altamente innovativo e, per una sua migliore comprensione, richiede l’ausilio delle Linee guida (decreto 7 dicembre 2021). Le quali hanno ad esempio chiarito che il target di incremento occupazionale
giovanile è distinto e autonomo rispetto al target di incremento occupazionale femminile. Devono pertanto essere raggiunti entrambi i target, ma con la precisazione che: s’intende raggiunto il target anche quando nominalmente il 30 % di assunzioni per ciascuna categoria non sia superato ma si tratti di assunzioni che, pur inferiori come numero di unità, riguardino persone che garantiscono il doppio requisito (es. 30% donne con meno di 36 anni, ovvero 20% di donne con meno di 36 anni e 10% uomini con meno di 36 anni, etc.). Ancora ai fini del conseguimento dell’obiettivo occupazionale si dovrà tenere conto delle assunzioni comunque connesse all’esecuzione del contratto, ad esempio computando le assunzioni delle imprese subappaltatrici e delle ausiliarie, in caso di avvalimento. Il tutto fermo restando che le assunzioni rilevanti ai fini del raggiungimento dei target coincidono con il perfezionamento di contratti di lavoro subordinato disciplinati dal dlgs 81/2015 e dai contratti collettivi e che l’impegno contenuto nell’offerta dà luogo a una specifica obbligazione contrattuale che, ove sia disattesa, comporterà l’applicazione di penali o, nei casi più gravi, la risoluzione contrattuale. L’art. 47 comma 4 non chiarisce in quale momento debbano intervenire le assunzioni a cui l’impresa si sia obbligata in sede di offerta e l’argomento non è trattato neppure nelle Linee guida. Il tema è ovviamente delicato e, in attesa che la questione possa essere chiarita (o con una modifica delle stesse Linee guida o con i primi interventi giurisprudenziali), credo sia opportuno segnalare che nel provvedimento che ANAC ha adottato proprio ai sensi dell’art. 10 delle citate Linee guida (determinazione n. 122 del 16 marzo 2022) si rinvengono a tale riguardo alcuni spunti. Tale provvedimento individua i dati e le informazioni che le stazioni appaltanti sono tenuti a fornire alla Banca dati nazionale dei contratti pubblici, per monitorare l’adozione dei requisiti e dei criteri premiali previsti dall’art. 47. Ma la Determinazione n. 122/22 ha altresì previsto che le Stazioni appaltanti comunichino notizie varie, concernenti esclusioni e applicazioni di penali a carico degli operatori economici, ai fini del loro inserimento nel casellario informatico. Ora nel prospetto contenuto nel provvedimento ANAC, sotto la voce: “Inadempimento dell’obbligo di assicurare, in caso di aggiudicazione del contratto, una quota pari almeno al 30 per cento”, la delibera ha così descritto gli effetti del provvedimento: “Se rilevato prima della sottoscrizione del contratto: annullamento dell’aggiudicazione. Se rilevato dopo la sottoscrizione del contratto: applicazione di penali”. Da ciò si desume che nell’interpretazione di ANAC l’assunzione dovrebbe avvenire nel momento che intercorre tra l’aggiudicazione e la sottoscrizione del contratto (dunque, prima della sottoscrizione). Si tratta di interpretazione francamente opinabile (dato che trattandosi di adempimento contrattuale esso presuppone
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pari opportunità che il contratto sia già stato stipulato), ma sarebbe senz’altro imprudente non considerare il contenuto della citata Determinazione. Ancora meglio sarebbe se della questione si facessero carico direttamente le singole Stazioni appaltanti, in sede di predisposizione degli atti di gara, chiarendo, in ossequio ai principi di affidamento e certezza, quale sia il momento rilevante ai fini delle nuove assunzioni, che potrebbe variare ed essere diversamente modulato, a seconda delle specifiche caratteristiche dell’appalto e anche della concreta articolazione dell’offerta.
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Deroghe Il successivo comma 7 dell’art. 47 dispone che le stazioni appaltanti possono escludere l’inserimento nei bandi di gara dei requisiti di partecipazione di cui al comma 4 o stabilirne una quota inferiore dandone adeguata e specifica motivazione, qualora l’oggetto del contratto, la tipologia o la natura del progetto o altri elementi puntualmente indicati ne rendano l’inserimento impossibile o contrastante con obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e di qualità del servizio nonché di ottimale impiego delle risorse pubbliche. Anche in relazione al comma 7 soccorrono le Linee guida che, ad esempio, per quanto concerne la motivazione (particolarmente rigorosa) precisano che “dovrà riportare una specificazione e dimostrazione delle ragioni per cui l’oggetto del contratto, la tipologia o la natura del progetto o altri elementi puntualmente indicati dalla stazione appaltante (come ad esempio il tipo di procedura, il mercato di riferimento, l’entità dell’importo del contratto, ecc.) rendano impossibile l’applicazione delle misure di cui al comma 4 o la rendano contrastante con obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e di qualità del servizio”. Ulteriori misure premiali ai fini dell’aggiudicazione Il comma 5 dell’art. 47 elenca in modo dettagliato alcuni possibili criteri premiali, che assicurano punteggi aggiuntivi all’offerta. Tali criteri sono maggiormente comprensibili, se letti in parallelo con le Linee guida, che suggeriscono una loro possibile declinazione concreta nei Bandi di gara. In particolare, le Stazioni appaltanti possono prevedere l’assegnazione di un punteggio aggiuntivo all’offerente o al candidato che: A) nei tre anni antecedenti la data di scadenza del termine di presentazione delle offerte, non risulti destinatario di accertamenti relativi ad atti o comportamenti discriminatori ai sensid ella pertinente disciplina ivi richiamata. A tale proposito le linee guida ipotizzano che il punteggio aggiuntivo possa essere assegnato agli operatori in possesso di certificazione di responsabilità sociale ed etica SA 8000 o equivalente. Inoltre, suggeriscono quale metodo di verifica dell’assenza di comportamenti discriminatori l’assenza di verbali di conciliazione extragiudiziale per discriminazioni
di genere (ai sensi degli artt. 37-41 del D.Lgs. 198/2006); B) utilizzi o si impegni a utilizzare specifici strumenti di conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro per i propri dipendenti, nonché modalità innovative di organizzazione del lavoro. Al riguardo le linee guida prevedono il riconoscimento della premialità agli operatori che abbiano adottato, ad esempio, misure quali: a) asilo nido aziendale/ territoriale convenzionato inclusivo; b) misure di flessibilità oraria in entrata e uscita; c) telelavoro e smart working; d) sportello informativo su non discriminazioni/pari opportunità/inclusione persone disabili; e) formazione sui temi delle pari opportunità e non discriminazione e inclusione di persone disabili; f) identificazione figura aziendale per le relative politiche (es. diversity manager); g) adozione di servizi di sicurezza sul lavoro specificamente rivolti a persone con disabilità; C) Si impegni ad assumere, oltre alla soglia minima percentuale prevista come requisito di partecipazione, persone disabili, giovani, con età inferiore a trentasei anni, e donne per l’esecuzione del contratto o per la realizzazione di attività ad esso connesse o strumentali; D) abbia, nell’ultimo triennio, rispettato i principi della parità di genere e adottato specifiche misure per promuovere le pari opportunità generazionali e di genere, anche tenendo conto del rapporto tra uomini e donne nelle assunzioni, nei livelli retributivi e nel conferimento di incarichi apicali. Le linee guida suggeriscono l’assegnazione del maggior punteggio alle imprese che adottino un sistema di welfare aziendale orientato a fornire sostegno ai giovani dipendenti attraverso i seguenti interventi: a) adozione di misure idonee a favorire la conciliazione dei tempi di vita e lavoro; b) adozione di una formazione professionale dedicata ai giovani dipendenti; c) formazione professionale dedicata alla cybersicurity, all’acquisizione di digital skills, all’utilizzo consapevole delle piattaforme digitali; tale criterio, come già riferito, è stato da ultimo di fatto inserito anche nel Codice dei contratti, che, in seguito alle modifiche apportate all’art. 95 c. 13 dall’art. 34 del DL 36/22, prevede ora la possibilità di inserire nei bandi un punteggio aggiuntivo per gli operatori che siano in possesso della certificazione della parità di genere di cui all’art. 46bis D.Lgs. 198/2006. D bis) abbia, nell’ultimo triennio, rispettato gli obblighi di cui alla legge 12 marzo 1999, n. 68; E) abbia presentato o si impegni a presentare per ciascuno degli esercizi finanziari, ricompresi nella durata del contratto di appalto, una dichiarazione volontaria di carattere non finanziario ai sensi dell’articolo 7 del decreto legislativo 30 dicembre 2016, n. 254. In ordine alla concreta applicazione di tali criteri premiali le Linee guida adottate con decreto della Presidenza del CdM del 7 dicembre 2021 contengono indicazioni di dettaglio, di particolare utilità.
pandemia da Covid 19 C. Giordani - L. Cesaro - P. Golin - Innovazione e Sviluppo Organizzativo Azienda ULSS 6 Euganea A. Capogrosso Sansone - Servizio Assistenza Farmaceutica Territoriale Azienda ULSS 6 Euganea T. Coppola - L. Gottardello - Servizio Igiene e Sanità Pubblica Azienda ULSS 6 Euganea P. Fortuna - Direttore Generale Azienda ULSS 6 Euganea
Superamento dei “silos” nella campagna vaccinale. L’esperienza dell’Azienda ULSS 6 Euganea
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ello studio delle organizzazioni e nell’analisi dei modelli organizzativi è molto frequente la contrapposizione tra modello gerarchico - funzionale e modello a progetti (o a prodotti). La letteratura offre infiniti spunti di approfondimento su vantaggi e svantaggi dell’uno o dell’altro modello suggerendo anche modelli più evoluti, detti a matrice, che consentono la convivenza di entrambi all’interno di una struttura detta “a matrice”, contemporaneamente verticale (gerarchica) e orizzontale (a progetti). Se tali tematiche sono perfettamente conosciute “sulla carta” è forse meno frequente scontrarsi nella realtà toccando con mano, concretamente, i limiti oggettivi del primo modello per passare necessariamente ad un modello differente in tempi estremamente rapidi, con obiettivi stringenti e particolarmente sfidanti. La campagna vaccinale COVID-19 ha rappresentato per la sanità, nel mondo, e conseguentemente in Italia, una sfida che non trova precedenti nella storia. Mai in passato è stata portata avanti una campagna vaccinale così estesa, in grado di vaccinare, con due o più dosi, oltre l’80% dell’intera popolazione in pochi mesi. Le vaccinazioni antinfluenzali, che hanno i numeri più rilevanti, sono normalmente rivolte a popolazione anziana o a target specifici di popolazione, raggiungendo percentuali vicine al 55% (https://data.oecd.org/healthcare/influenza-vaccination-rates.htm). Effettuando un rapido conto con riferimento alla popolazione al 1° gennaio 2022
(http://dati.istat.it/) vengono quindi di norma effettuate in 4 mesi (ottobre - gennaio) circa 8 milioni di somministrazioni. La vaccinazione di massa COVID-19 ha invece comportato la somministrazione di oltre 130 milioni di dosi, quattordici volte tanto la “normale” campagna antinfluenzale. Ma come è accaduto? L’Azienda ULSS 6, come tutte le Aziende Sanitarie, ha attuato piani e messo in campo risorse straordinarie, previste dall’emergenza, ma ha soprattutto effettuato un cambio di paradigma organizzativo senza il quale non sarebbe stato possibile raggiungere i risultati richiesti dal Commissario straordinario e declinati poi sulle Aziende ULSS della Regione Veneto. Si intende quindi raccontare l’esperienza dell’Azienda ULSS 6 Euganea analizzando i modelli organizzativi e le relative implicazioni, fornendo una testimonianza concreta di come si può rapidamente virare da una organizzazione verticale ad una orizzontale, il tutto in un tempo limitatissimo e con un impatto ed una responsabilità elevatissime per l’Azienda e per la popolazione stessa.
Per superare la crisi era fondamentale definire quindi una nuova organizzazione nell’organizzazione, basata sulla velocità di coordinamento e di comunicazione, in grado garantire le informazioni necessarie a tutti gli attori coinvolti, tempestivamente
Organizzazione “a silos” e a matrice Le Aziende Sanitarie presentano una struttura organizzativa prevalentemente per funzioni. Questo modello organizzativo, detto anche “a silos”, prevede che il personale dipendente sia raggruppato per area di specializzazione, con competenze definite e separate, sotto il coordinamento di un responsabile. Il funzionamento dell’Azienda è assicurato dai
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processi che definiscono nel dettaglio le attività di ciascuna funzione dalla fase iniziale alla fase finale, assicurando così il risultato atteso. Laloux (2016) le definisce organizzazioni ambrate, rifacendosi ai modelli di Wade (1996) e Wilber (1996, 2000) descrivendole in sintesi come organizzazioni che «conferiscono stabilità al potere, con titoli formali, gerarchie rigide ed organigrammi [...] trovano difficoltà nell’accettare la necessità del cambiamento. [...] hanno silos chiusi, i cui rispettivi gruppi si guardano tra loro con sospetto». Queste organizzazioni sono riconosciute come le più efficaci nel caso di processi stabili, routinari, assicurando risultati costanti ed ottimizzando le risorse, ma cosa accade se questo tipo di organizzazione viene messo sotto stress all’interno di sistemi competitivi e con obiettivi particolarmente sfidanti? Sempre Laloux definisce allora le organizzazioni arancioni, queste «mantengono la piramide come struttura di funzionamento di base, ma creano dei buchi nella rigida struttura funzionale attraverso gruppi progettuali, team virtuali, [...] per aumentare la comunicazione e incoraggiare l’innovazione». Il mantra di queste organizzazioni è more is better, ovvero spingere la macchina organizzativa alla performance più elevata possibile. Si tratta delle organizzazioni a matrice: le funzioni verticali sono attraversate da strutture orizzontali più agili, trasversali, non gerarchiche, con specifici scopi e obiettivi definiti nello spazio e nel tempo. Certo la convivenza delle due linee, verticali e orizzontali, non è sempre di facile attuazione ma, come vedremo a breve, è indispensabile nel caso si debbano raggiungere obiettivi rilevanti in un tempo
limitato. L’organizzazione dell’Azienda ULSS 6, come per le altre Aziende Sanitarie, pur prevalentemente organizzata per funzioni, ha comunque già l’abitudine a organizzarsi anche per progetti e per obiettivi, prevedendo alcune funzioni trasversali che hanno come mission proprio la gestione del cambiamento e dell’innovazione. È il caso dell’Unità di Innovazione e Sviluppo Organizzativo, introdotta negli organigrammi delle aziende sanitarie del Veneto contestualmente alla Legge 19 del 2016. La mission di questa struttura è quella di «supportare la Direzione e le strutture operative nella realizzazione di progetti innovativi, nell’analisi e revisione dei processi organizzativi e di procedure operative, nella definizione di piani e programmi di cambiamento organizzativo». Qual è allora la “straordinarietà” di questa campagna vaccinale, se l’organizzazione è abituata e ha addirittura strutture dedicate per la realizzazione di progetti ed obiettivi? Perché dedicare del tempo a questa analisi? La risposta a questa domanda è legata ad un fatto semplice ed universalmente riconosciuto: la Campagna Vaccinale COVID-19 non ha precedenti nella storia dell’umanità (Tatar e Wilson, 2021). Per realizzarla ciascuna organizzazione o ente governativo, nel ruolo agito, ha dovuto rimodellarsi in tempi rapidissimi, spesso procedendo anche per tentativi. Qui vogliamo analizzare questo processo così come è avvenuto all’interno dell’Azienda ULSS 6 Euganea. Avvio della campagna vaccinale Covid-19 La campagna vaccinale COVID-19 dell’Azienda ULSS 6
pandemia da Covid 19 Euganea è inizialmente partita, tra gennaio e febbraio 2021, con ridotte disponibilità di vaccino. La definizione di target molto precisi (inizialmente operatori sanitari, anziani nelle RSA, nati nel 1941 e poi a scalare) con somministrazioni quotidiane dell’ordine di 800 - 1.000 vaccini ha fatto sì che inizialmente il modello organizzativo fosse sovrapponibile al modello delle campagne antinfluenzali, salvo alcune complicazioni legate alla gestione logistica del vaccino, dalla conservazione a temperature estremamente basse alla necessità di diluizione. Si rappresenta di seguito l’organizzazione presente in Azienda ULSS 6 Euganea nelle primissime fasi e le principali criticità ad esso collegate e toccate con mano all’avvio della campagna vaccinale. A metà marzo il target di somministrazioni quotidiane indicato dalla Regione Veneto, sulla base di crescenti disponibilità di vaccino, arrivava per l’Azienda a 3.000 - 4.000 vaccini al giorno, per crescere fino a 5.000 già a inizio aprile. In poco più di un mese l’Azienda ULSS 6 ha quindi dovuto far fronte ad un obiettivo incrementato di 5 volte. Va detto che alcune misure organizzative erano già state messe in campo anche se non immediatamente operative per grandi volumi: l’attivazione dei Centri Vaccinali di Popolazione (CVP), sistemi logistici per la consegna e distribuzione dei vaccini, il personale aggiuntivo per consentire l’attività. Ma i problemi erano ancora moltissimi: • come invitare i cittadini a vaccinarsi? • come programmare le sedute vaccinali tenendo conto delle seconde dosi, degli intervalli di tempo (21 o 28 giorni a seconda dei vaccini)? • come gestire le scorte con un margine di sicurezza in un contesto di massima pressione volto a vaccinare il più possibile e prima possibile (di nuovo more is better)? • come gestire gli imprevisti (variazione nelle indicazioni del Comitato Tecnico, variazioni nelle indicazioni di utilizzo di Astrazeneca, consegne non ancora perfezionate rispetto ai tempi ed alle quantità previste)? L’approccio tradizionale delle campagne vaccinali standard non poteva essere mantenuto. L’invito trasmesso via lettera a casa dei cittadini non consentiva tempi adeguati rispetto a target variabili e/o rispetto a variazioni di programma. La gestione delle scorte, secondo i criteri normalmente utilizzati rispetto alle consegne effettuate nei reparti ospedalieri o negli ambulatori, creava disallineamenti troppo consistenti in una campagna frenetica come questa. I piani di vaccinazione mensili o settimanali non erano attendibili: troppa variabilità e rischio di andare in rottura di stock. La teoria della complessità, nel paradigma di Cynefin (Snowden e Kurtz, 2003), inquadrerebbe tale contesto all’interno del dominio complesso, o forse in talune circostanze addirittura nel dominio caotico. In tali casi non ha senso pianificare e non è possibile agire ricercando best
practice. L’unica soluzione è quella di raccogliere informazioni attraverso la sperimentazione e l’analisi dei risultati. Da qui si possono gradualmente stabilire i passi successivi verso la soluzione, con l’obiettivo di provare a spostare il problema nel dominio del “Complicato”. «While there remains a desire for stability, predictability and order, organisations now also need the flexibility, adaptability and innovative culture to prepare for uncertain and unpredictably futures. We suggest that most organisational studies deal with complicated systems, and in practice, most managers prefer to ignore complexity» (Hasan & Kazlauskas, 2013). J. Appelo (2012) usa lo slogan «Dance with the system»; i sistemi sono luoghi dinamici, mutevoli, che rispondono a forze interne ed esterne, all’interno dei quali bisogna muoversi agendo, reagendo e adattandosi, proprio come un ballerino si adatta al partner, reagisce alla musica e si adatta al contesto di insieme. La crisi Le maggiori forniture di vaccino e il conseguente aumento del target regionale quotidiano di somministrazioni richiesto dalla Regione, a cui si aggiungeva la fortissima attenzione mediatica sull’andamento della Campagna, rendevano inadatto il modello tradizionale aziendale. L’aumento vertiginoso del numero di somministrazioni imponeva un ripensamento del modello organizzativo: un nuovo paradigma (Schumpeter, 1934), una rivoluzione disruptive necessaria per tenere il ritmo vaccinale richiesto dalla struttura commissariale e dalla governance regionale. Se in un primo momento la criticità era legata alla scarsità di risorse, in primis di vaccino, successivamente le criticità emerse erano di altra natura: il vaccino giungeva infatti puntuale secondo i piani regionali e in quantitativi sempre maggiori, non mancava la disponibilità di spazi (CVP) e si riusciva a reclutare personale dedicato (medici, infermieri e assistenti sanitari). Il problema era di natura diversa: l’estrema variabilità. La Campagna Vaccinale ha visto un continuo susseguirsi di indicazioni su classi prioritarie di vaccinazione, target estemporanei (solo a titolo di esempio, in avvio dell’estate, priorità al personale che operava nei centri estivi), diverse indicazioni sull’utilizzo dei vaccini, coinvolgimento di attori diversi in diverse fasi (farmacie, MMG, enti o associazioni disponibili a fornire supporto), sovrapposizioni di prime e seconde dosi con diverse tempistiche di completamento del ciclo vaccinale per i tre vaccini (Astrazeneca, Pfizer e Moderna), in un contesto di eccesso di comunicazione che creava spesso allarmi o false aspettative nella popolazione. Tale variabilità non consentiva la definizione di un processo stabile, declinabile nelle strutture verticali e consolidate (silos) dell’azienda. L’elevata specializzazione di ciascuna funzione comporta infatti difficoltà di comunicazione tra le funzioni, che tipicamente avviene attraverso le posizioni di vertice con inevitabile rigidità e lentezza. Se in un processo
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stabile questo aspetto può essere superato dalle procedure, strutturando le informazioni affinché vengano correttamente recepite da una funzione a un’altra, questo non è possibile se ci si trova all’interno di contesto caotico. L’altro grande limite dei silos è intrinseco alla loro stessa natura: ciascuna funzione risponde alla Direzione per la propria parte senza avere una visione complessiva del problema. Per superare la crisi era fondamentale definire quindi una nuova organizzazione nell’organizzazione, basata sulla velocità di coordinamento e di comunicazione, in grado garantire le informazioni necessarie a tutti gli attori coinvolti, tempestivamente, in modo da operare tutti secondo un programma soggetto a continue revisioni ed aggiustamenti. «In order to increase organizational agility and respond more quickly to operational changes, it requires broadening of span of control, flattening of hierarchies, and wide range of interactions. A flat structure better enables interaction, which facilitates development of the ‘wisdom of collectives’ through synergistically combining attributes of members to produce outcomes beyond the capacity of an individual» (Salas, 2009). In altre parole, la chiave per risolvere il problema si poteva riassumere principalmente in due punti: • organizzazione agile; • ambiente operativo unico di collaborazione, agile e visuale. La svolta agile Rompere i silos significa rompere le barriere della comunicazione formale: in situazioni di emergenza, i cosiddetti “informal networks” costituiscono lo schema comunicativo migliore di risposta (Ali, 2016). L’Azienda ULSS 6 ha quindi proceduto alla definizione di un modello organizzativo basato su due nuclei: • Unità di crisi ampia, quale strumento decisionale e di comunicazione allargato, funzionale alla Direzione Strategica nel tenere i rapporti con tutti gli attori interni (prevenzione, distretti, ospedali, farmacia, gestione risorse umane, etc) ed esterni (cittadini, Regione Veneto, etc.); • Team di Operation Management (Servizio Igiene e Sanità Pubblica - SISP, Professioni Sanitarie, Farmacia, Cure Primarie, Information Technology - IT, Ufficio Tecnico), numericamente ristretto, con il coordinamento affidato all’unità Innovazione e Sviluppo Organizzativo. Tale nucleo, snello e privo di uno schema gerarchico, era responsabile della programmazione e del controllo dell’andamento della campagna vaccinale, facendosi carico delle continue modifiche e rimodulazioni necessarie per rispondere ai diversi input esterni. Il sistema di comunicazione si articolava su più livelli. Un ruolo fondamentale è stato svolto dall’ambiente operativo unico di collaborazione. La recente adozione della
piattaforma G-Suite di Google e la familiarità con DRIVE ha reso possibile l’adozione di un foglio di lavoro unico, in condivisione con tutti gli operatori appartenenti alle diverse funzioni aziendali coinvolte, dal quale ognuno poteva ottenere in tempo reale le informazioni di suo interesse: programmazione delle agende, utilizzo delle scorte, pianificazione del personale e copertura della popolazione. Il foglio di lavoro, pur semplice ma altamente automatizzato attraverso formule in grado di effettuare calcoli in tempo reale, funzionava circolarmente. Tale sistema di programmazione e controllo ha consentito di accorciare fortemente il lead-time tra la programmazione delle agende e l’esecuzione dei vaccini, potendo tradurre immediatamente le agende del foglio in DRIVE in agende di prenotazione rese disponibili al cittadino attraverso il portale WEB aziendale1. Tale processo di programmazione era non solo agile, ma anche estendibile, in modo incrementale, agli altri attori protagonisti della Campagna Vaccinale: il sistema di programmazione, inizialmente pensato per gli hub ULSS 6, è stato così esteso alle prenotazioni del vaccino presso il Medico di Medicina Generale, presso i presidi ospedalieri e presso gli altri HUB vaccinali della Provincia di Padova gestiti da stakeholder esterni2. Abbandonando quindi i sistemi tradizionali di invito tramite lettera in favore di una prenotazione “smart”, il lead-time tra organizzazione degli inviti a vaccinazione poteva passare dai 15 giorni iniziali a meno di un giorno, potenzialmente anche solo pochi minuti, con possibilità di comunicare al cittadino anche le eventuali possibili variazioni sulle agende. Risultati Grazie al processo di riorganizzazione illustrato l’Azienda ULSS 6 Euganea è stata in grado di effettuare un numero sempre crescente di somministrazioni, raggiungendo nei giorni di massima attività le 14.000 vaccinazioni al giorno, cifra inimmaginabile ad inizio Campagna. Tale performance è il risultato dell’enorme lavoro svolto dal personale nei Centri Vaccinali di Popolazione dell’Azienda ULSS 6 Euganea e del fondamentale contributo dei tanti altri attori coinvolti nella Campagna: Azienda Ospedale-Università di Padova, MMG, farmacie, Medici con l’Africa CUAMM, Esercito Italiano. Conclusioni L’Azienda ULSS 6 Euganea, come tutte le Aziende Sanitarie, è organizzata per funzioni, con logiche gerarchiche, affiancando al bisogno unità di staff, trasversali, che possano supportare una visione orizzontale e progettuale. L’organizzazione che ne risulta, a matrice, risponde alla duplice necessità di garantire servizi stabili nel tempo e
1 Modello adottato immediatamente dopo anche a livello regionale 2 La campagna vaccinale a Padova è stata svolta in collaborazione con l’Azienda Ospedale - Università di Padova (presso il CVP Fiera di Padova Padiglione 8), con l’Esercito Italiano (presso il CVP dell’Ospedale Militare), con il CUAMM - Medici con l’Africa (CVP nel comune di Rubano)
pandemia da Covid 19 alla capacità di migliorare la performance nella veste che Laloux definisce arancione. Nel caso studio qui presentato si è affrontata una fattispecie di cambiamento disruptive, forzato da tempistiche e modalità che raramente si presentano all’interno di una azienda. È stato quindi toccato con mano come questo tipo di organizzazione non sia in grado di rispondere nei tempi e nei modi appropriati. L’impostazione di fondo dei silos non consente rapidi cambiamenti e non facilita la visione di insieme. La capacità di ideare, pianificare e gestire i progetti non può far fronte a situazioni inquadrabili nel dominio complesso, come definito nel modello Cynefin; in questi casi, infatti, non è possibile stilare programmi non avendo una soluzione chiaramente identificata e sufficientemente stabile. L’unico approccio possibile resta quello agile, applicato attraverso organizzazioni piatte, senza una gerarchia ma guidati da una solidissima base informativa dei dati e da sistemi di comunicazione anch’essi agili e di immediata comprensione. L’approccio incrementale, con soluzioni individuate in itinere e via via perfezionate, si è rivelato l’unico in grado di dare risposte immediate, gestendo la pressione generale indotta dal livello aziendale e regionale, costruendo gradualmente organizzazione e strumenti di funzionamento via via più efficaci, comunque in un tempo estremamente rapido. Nel caso qui illustrato è stato preso spunto anche dalle metodologie Lean, prevedendo un Team di Operation Management, in grado di fornire una centrale di controllo e di elaborare velocemente programmi di attività e azioni correttive sulla base dell’andamento della Campagna Vaccinale. Ancora una volta è stata la crisi a indurre cambiamenti rapidi e significativi; l’organizzazione è in grado di sopportare determinati stress ma sopra una certa soglia deve necessariamente cambiare forma, sciogliersi, esattamente come nella metafora del change management di Kurt Lewin (1951). Resta quindi un punto interrogativo, ossia se i modelli organizzativi qui descritti debbano essere visti necessariamente come modelli transitori, che funzionano come “organizzazione liquida” destinata prima o poi ad un “ricongelamento”, oppure possono mantenere tale forma anche in contesti più stabili, abbandonando i modelli a silos e avvicinandosi al paradigma delle organizzazioni Teal dove la filosofia diventa quella dell’auto-organizzazione (Laloux, 2016). Ma questa è una sfida al momento ancora lontana. Bibliografia • Ali, I. (2016). Doing the organizational tango: Symbiotic relationship between formal and informal organizational structures for an agile organization. Interdisciplinary Journal of Information, Knowledge, and Management, 11, 55-72 • Appelo J., How to Change the World, Jojo Ventures BV, 2012
• Hasan H., Kazlauskas A., The Cynefin framework: putting complexity into perspective, A publication of the THEORI Research Group, University of Wollongong, December 2013 • Kurtz, C. F., & Snowden, D. J. (2003). The new dynamics of strategy: Sense-making in a complex-complicated world. IBM Systems Journal, 47(3), 462-483. • Laloux F., Reinventare le organizzazioni, Guerini Next, 2016 • Lewin K., Field Theory in social science, Harper & Row, New York, 1951 • Moosa Tatar, Fernando A Wilson - The largest vaccination campaign in history: A golden opportunity for bundling public health interventions. Journal of Global Health, v.11; 2021. • Ohno T. Toyota Production System: Beyond LargeScale Production. Cambridge, Mass: Productivity Press, 1988 • Project Management Institute. 2017. A Guide to the Project Management Body of Knowledge (PMBOK Guide). 6th ed. Newton Square, PA: Project Management Institute. • Regione Veneto, Legge Regionale N.19, 2016, Istituzione dell’ente di governance della sanità regionale veneta denominato “Azienda per il governo della sanità della Regione del Veneto - Azienda Zero”. Disposizioni per la individuazione dei nuovi ambiti territoriali delle Aziende ULSS • Salas, E., Rosen, M. A., Burke, C. S., & Goodwin, G. F. (2009). The wisdom of collectives in organizations: An update of the teamwork competencies. In E. Salas, G. F. Gooodwin, & C. S. Burke (Eds.), Team effectiveness in complex organizations: Cross-disciplinary perspectives and approaches (pp. 39-79). New York: Psychology Press, Taylor and Francis Group • Schumpeter, J.A. (1934) The Theory of Economic Development: An Inquiry into Profits, Capital, Credits, Interest, and the Business Cycle. Transaction Publishers, Piscataway • Stacey RD. Strategic management and organisational dynamics: the challenge of complexity. 3rd ed. Harlow: Prentice Hall, 2002 • ULSS 6 Euganea, DDG N. 985 del 31-12-2021, Approvazione dell’atto aziendale dell’ULSS n. 6 Euganea • Wade, J. (1996). Changes of mind: A holonomic theory of the evolution of consciousness. State University of New York Press. • Wilber, Ken. A Brief History of Everything. Boston: Shambhala. 1996 • Wilber, Ken, Integral Psychology: Consciousness, Spirit, Psychology, Therapy. Boston: Shambhala. 2000
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Conflitto in Ucraina e costi delle materie prime, gli effetti sul settore dei dispositivi medici
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e aziende del settore dei dispositivi medici stanno attraversando, ormai da più di un anno, un contesto di mercato avverso a causa degli effetti collaterali della pandemia e dell’odierna guerra in Ucraina. In questo scenario, l’andamento dei prezzi delle materie prime e dei servizi associati alla produzione ha assunto un ruolo da protagonista. I mercati di riferimento sono ormai pervasi da una dinamica ad alta volatilità, la quale ha indotto un incremento difficilmente sostenibile dei costi di produzione e distribuzione per le imprese e, sempre più spesso, l’impossibilità ad approvvigionarsi dei materiali necessari per la propria operatività. Questi avvenimenti si sono spesso tradotti, in definitiva, in riduzioni importanti del volume di dispositivi medici prodotti e commercializzati da alcune imprese e in una porzione sempre maggiore del settore che ha visto arrivare un’ulteriore drastica contrazione dell’offerta. In questo senso, si è già manifestato il rischio reale e concreto di non poter far fronte alle forniture (alle medesime condizioni economiche) già oggetto di contratti stipulati prima della pandemia con la Pubblica amministrazione. Rispetto ad altri settori, quindi, le imprese del comparto si trovano schiacciate in una situazione paradossale: la mancanza di materie prime mette a rischio la disponibilità dei prodotti, ma se non rispettano le consegne previste dal contratto potrebbero essere denunciate per interruzione di pubblico servizio; inoltre, a causa dell’aumento dei costi di quelle materie prime che ancora si riescono a reperire non può variare nel corso dell’esecuzione dei contratti con la PA
l’entità del corrispettivo originariamente pattuito. Manca, infatti, nella quasi totalità dei contratti stipulati con la PA la presenza di una clausola di forza maggiore, clausola prevista sia nella disciplina italiana, sia nella prassi commerciale e nei regolamenti internazionali. Tale clausola mira a prevenire la responsabilità contrattuale delle parti in caso di mancata esecuzione e di inadempimento dell’obbligo contrattuale in caso di “cause di forza maggiore” o di altri eventi straordinari, in virtù della quale sarebbe stato agevole per i fornitori ricondurre a equità i contratti in essere. Una funzione equilibratrice, quindi, di eventuali ulteriori scompensi che si venissero a creare per il protrarsi della situazione emergenziale. Pertanto, le imprese dei dispositivi medici corrono il rischio in caso di contestazione e di inadempimento contrattuale di essere inserite nel casellario informatico ANAC, cosa che preclude loro la partecipazione ad altre gare. Tale evenienza impedirebbe di fatto la vita stessa di molte aziende che hanno nel rapporto con la PA il solo o principale sbocco commerciale. La gravità ed eccezionalità della situazione impone una valutazione specifica in ordine alla possibilità che l’emergenza sanitaria e i conseguenti provvedimenti della pubblica autorità influenzino direttamente gli adempimenti contrattuali, rendendo impossibile o eccessivamente onerose, almeno temporaneamente, l’esecuzione delle prestazioni. Per questo motivo, Confindustria Dispositivi Medici si è fatta voce delle imprese, chiedendo alle Istituzioni, incluse le Asl e le centrali di acquisto, di intervenire inserendo nei
Risulta che le imprese del settore dei dispositivi medici hanno avuto esperienza, nel corso del 2021, di un repentino innalzamento, fino al 50% dei propri costi di produzione e distribuzione
Confindustria Dispositivi Medici bandi di gara una clausola di forza maggiore e sospendendo per le stesse motivazioni la segnalazione all’ANAC in caso di inadempimenti. Si tratta di una situazione emergenziale che richiede scelte rapide e chiare in modo da consentire la sopravvivenza di un settore che si è dimostrato essere l’ossatura del SSN in questi lunghi anni di pandemia. Uno scenario simile ha un forte impatto sul Sistema sanitario nazionale e un effetto drammatico sull’accesso alle cure, vincolando di fatto l’accesso alle tecnologie mediche che permettono di gestire nel modo più efficace ed efficiente i cittadini che abbiano bisogno di accedervi. Il Centro studi di Confindustria Dispositivi Medici, su impulso delle imprese proprie Associate, ha dato vita alla seconda edizione dell’indagine sugli effetti dell’aumento del costo delle materie prime, per analizzare l’entità dell’impatto della variazione dei costi di produzione sui dispositivi medici realizzati e distribuiti. Il tasso di risposta è più che raddoppiato rispetto alla passata edizione (2021), a testimonianza di quanto sia sentita la problematica oggetto di approfondimento da una porzione sempre maggiore di aziende del nostro settore. L’impatto dei costi delle materie prime sui dispositivi medici Le aziende del settore dei dispositivi medici producono e commercializzano tecnologie fortemente eterogenee, impiegando in tal modo, nel proprio ciclo di produzione, specifici e altrettanto differenziati input. Al fine di investigare il fenomeno e il suo impatto sui costi di realizzazione dei dispositivi medici, abbiamo chiesto alle imprese associate di indicarci la variazione percentuale dei costi sostenuti, nel 2021 rispetto al 2020, in termini di acquisto di materie prime, energia elettrica, servizi di trasporto e di finitura. Dai dati forniti risulta che le imprese del settore dei dispositivi medici hanno avuto esperienza, nel corso del 2021, di un repentino innalzamento dei propri costi di produzione e distribuzione. Le imprese intervistate hanno sostenuto costi per acquisto di materie prime, in media, maggiori del 50% circa rispetto all’anno precedente. Il 17% circa di queste imprese, inoltre, afferma di aver visto questa voce di costo più che raddoppiare dal 2021 al 2020. Un effetto di entità simile viene evidenziato anche in termini di costi per acquisto di servizi di finitura che, in media, sono risultati maggiori quasi del 65% rispetto all’anno precedente. La partita più importante, tuttavia, viene giocata – oggi, ma ancora di più in un futuro prossimo – sul mercato dell’energia: la media del tasso di variazione dei costi per acquisto di energia elettrica da parte delle aziende di dispositivi medici supera il 100%, determinando un effetto di portata simile, di riflesso, sui costi per acquisto di servizi di trasporto. Il 19% dei rispondenti, quasi 1 su 5, dichiara inoltre di aver sostenuto, nel 2021, costi per acquisto di energia elettrica per un valore di tre volte superiore rispetto a quello relati-
vo all’anno 2020. La rilevanza del costo dell’energia e dei trasporti, qui evidenziata, ci suggerisce che la contingenza che stiamo vivendo ha un impatto non solo sulle aziende di produzione, ma anche sulle aziende che, come attività prevalente, commercializzano i dispositivi medici, esacerbando il quadro complessivo che, oggi, le aziende del settore dei dispositivi medici sono chiamate ad affrontare. Tra le materie prime e semilavorati, necessarie per la realizzazione dei dispositivi medici, che le aziende hanno segnalato come maggiormente rilevanti in termini di variazione dei costi di acquisto si evidenziano alcuni metalli (es. acciaio, alluminio) e le principali fonti di energia (es. gas naturale, petrolio). In aggiunta, le aziende che hanno risposto all’indagine hanno indicato alcune materie prime e semilavorati specifici della loro attività, riconducibili alle macro-famiglie dei componenti elettrici ed elettronici, materie chimiche e plastiche, tessuti e imballaggi. A fronte dell’aumento dei costi di acquisto, le aziende di produzione del settore dei dispositivi medici hanno dovuto fronteggiare un’ulteriore problematica relativa alla tempistica di ricezione delle materie prime e di realizzazione dei servizi necessari alla loro attività. Dall’indagine emerge che quattro aziende su cinque hanno sofferto di ritardi nelle tempistiche di ricezione delle materie prime e servizi necessari per la propria attività di produzione. Il dato, seppur già allarmante di per sé, assume una rilevanza a dir poco critica nel momento in cui viene interpretato insieme alla percentuale di aziende che ha ritardato la tempistica di realizzazione dei propri dispositivi medici a causa delle tempistiche di ricezione prolungate: delle aziende che hanno avuto esperienza di ritardi di ricezione, circa il 79% ha conseguentemente ritardato la propria produzione. Posticipare i tempi di consegna dei dispositivi medici di propria produzione non è stata l’unica reazione allo scenario fin qui rappresentato. A causa dell’aumento dei costi di produzione e delle difficoltà di approvvigionamento di materie prime e servizi, infatti, le aziende del settore hanno talvolta fatto ricorso a un taglio del volume di produzione programmato. Il 21% delle aziende che ha risposto all’indagine ha dichiarato di aver ridotto il volume di produzione nel 2021 rispetto al 2020 a causa dell’aumento dei costi e per le difficoltà di approvvigionamento. In media, il tasso di variazione del volume di produzione di questa frazione di aziende è stato ridotto del 19% circa. Le aziende hanno indicato, fra i principali fattori alla base di questo fenomeno, le difficoltà di approvvigionamento di componenti elettronici e materie plastiche, da un lato, e i ritardi nella realizzazione dei servizi di logistica e trasporto, dall’altro lato. A completare questo quadro drammatico, è stato chiesto alle aziende che non hanno ancora ridotto la propria produzione se, alla luce degli ultimi avvenimenti, ritengono probabile ricorrere nell’immediato futuro, anche loro, a una misura di questo genere: includendo queste aziende nel computo, la
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Confindustria Dispositivi Medici percentuale di aziende che ha ridotto, o ridurrà, il proprio volume di produzione salirebbe dal 21% al 37%.
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Gli effetti del conflitto Ucraina-Russia Nonostante fossero latenti da molto tempo, i primi movimenti sui mercati delle materie prime hanno cominciato a manifestarsi, con effetti devastanti sull’operatività delle aziende del settore dei dispositivi medici, durante la pandemia da Covid-19. La lenta fuoriuscita dalla crisi pandemica, insieme alle confortanti previsioni sulla ripresa dell’economia italiana ed europea, lasciavano presagire uno scenario futuro nuovamente sostenibile, seppur al termine di una faticosa risalita. I recenti accadimenti legati alla crisi geopolitica tra il Cremlino e l’Occidente, scaturiti nell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, hanno invece esacerbato ulteriormente il quadro complessivo, ponendo tutti gli attori del nostro Paese al centro di una potenziale crisi energetica, di cui in realtà stiamo già vivendo le conseguenze. Per questo motivo, il Centro studi di Confindustria Dispositivi Medici ha deciso di includere in questa seconda edizione dell’indagine, un breve approfondimento dedicato agli effetti del conflitto tra Ucraina e Russia sull’operatività delle aziende del settore dei dispositivi medici. Il 66% delle aziende che ha risposto all’indagine ha infatti dichiarato che, dall’inizio della guerra, si sono manifestate ulteriori problematiche per la loro operatività in termini di aumento di costi, e difficoltà di approvvigionamento. In particolare, un’azienda su due ha registrato nuovi aumenti dei prezzi sui mercati di materie prime e servizi; il 15% delle aziende che hanno risposto all’indagine, inoltre, ha dichiarato di aver avuto ricadute dirette in quanto operanti nei paesi coinvolti nel conflitto, per la presenza di stabilimenti produttivi e siti commerciali. Tra le principali preoccupazioni espresse dai rispondenti risiedono la possibile perdita di un mercato di esportazione, la fragilità della catena di produzione che coinvolge materie prime esportate da Russia e Ucraina e ultima, ma non per importanza, la potenzialità più che concreta che la guerra si protragga nel tempo al punto da ridisegnare il contesto macroeconomico globale con un paradigma più fragile e frammentato. La dinamica inflazionistica sui mercati presi in considerazione non si è placata al termine del 2021 per nessuno degli indicatori presi in considerazione e la nascita del conflitto tra Ucraina e Russia nel 2022 rappresenta un’ulteriore minaccia al rialzo. L’andamento dei principali indicatori di prezzo da gennaio 2022 a marzo 2022, confrontato con il relativo andamento da novembre 2021 a marzo 2022, comunica un messaggio inequivocabile: il sorgere del conflitto tra Russia e Ucraina ha accelerato la dinamica al rialzo. Quasi tutti i CAGR sono aumentati, in particolare quelli relativi alle principali fonti di energia; di conseguenza, le aziende del settore dei dispositivi medici, sia quelle di produzione che
quelle di distribuzione, dovranno cercare di sopravvivere in un ambiente ostile, in cui alla scarsità delle principali materie prime di loro interesse (metalli, materie chimiche, materie plastiche) si affianca un aumento insostenibile dei costi dell’energia che minaccia in modo sensibile la loro attività. Nel contesto fin qui descritto, le aziende che producono dispositivi medici potrebbero prendere in considerazione l’idea di reagire all’incertezza sul costo e sulle tempistiche di approvvigionamento di determinate materie prime cercando di sostituire quest’ultime con input omogenei di più facile reperibilità. Tuttavia, nel convertire la produzione, le imprese del settore devono rispettare vincoli normativi che limitano a tutti gli effetti questa possibilità. Infatti, l’art. 120 dell’MDR e l’art. 110 dell’IVDR consentono alla quasi totalità dei dispositivi ad oggi in commercio (definiti dispositivi legacy) di continuare a essere immessi sul mercato in conformità alle precedenti direttive purché non vengano posti in essere cambiamenti significativi trattati nel dettaglio all’interno delle linee guida europee MDCG 2020-3 e 2022-6. In caso contrario, l’azienda che mette in atto un cambiamento significativo nel proprio processo di produzione dovrà provvedere a certificare il dispositivo ai sensi dei nuovi regolamenti e perdere la possibilità di mettere i prodotti a disposizione degli utilizzatori finali fino al 2025, sostenendo sulle proprie spalle le lunghe tempistiche di certificazione causate dalla limitata capacità degli Organismi notificati e il rischio di una momentanea interruzione della fornitura di dispositivi. Inoltre, i fabbricanti di dispositivi medici e diagnostici in vitro conformi ai regolamenti europei che intendono intraprendere questa strada dovranno fornire evidenze del rispetto dei requisiti generali di sicurezza e prestazione di cui all’allegato I dei Regolamenti 2017/745 (MDR) e 2017/746 (IVDR). In questo contesto, quindi, la sostituzione di un input produttivo che potrebbe configurarsi come un cambiamento significativo, può non essere un’alternativa effettivamente perseguibile e sostenibile per la filiera, pur rappresentando a volte una scelta obbligata per mantenere la produzione a regime. Ognuno di questi cambiamenti rischia di tradursi in modifiche del fascicolo tecnico di marchiatura CE con conseguente necessità, in molti casi, di studi clinici nella sostanza incompatibili con le esigenze del momento visti i tempi e i costi di una nuova certificazione. In virtù di questa circostanza, i fornitori di materie prime stanno mettendo in atto una violenta pressione speculatoria sui produttori, con evidenti ripercussioni sulla situazione economica di questi ultimi. Alla luce dei risultati presentati, Confindustria Dispositivi Medici ritiene che le aziende del settore di riferimento stiano operando su un territorio a forte rischio sistemico, che ha visto le proprie fondamenta scuotersi in occasione della pandemia da Covid-19 e che continua a essere tormentato da nuovi eventi geopolitici come la crisi
Confindustria Dispositivi Medici tra la Russia e il mondo Occidentale. I mercati delle principali materie prime e dei principali semilavorati vivono da mesi un periodo di tumulti e alta volatilità, e le imprese del settore dei dispositivi medici hanno dovuto ormai imparare a convivere con aumenti indesiderati dei costi di produzione e con difficoltà di approvvigionamento delle principali materie prime e servizi, inserite inoltre in un contesto in cui si è assistito sempre di più a una pericolosa tendenza in
merito alle procedure pubbliche di acquisto in termini di criteri di valutazione della qualità sempre meno stringenti e competizione fra aziende basata quasi esclusivamente sul prezzo. Tutto impatterà non soltanto sul Sistema sanitario italiano ma, soprattutto, avrà la sua incidenza nell’impossibilità di curare al meglio e con prodotti di qualità adeguati tutti i cittadini italiani che abbiano bisogno del Servizio sanitario nazionale.
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garanzia provvisoria Michele Lo Squadro
Garanzia provvisoria: escussione ammessa solo nei confronti dell’aggiudicatario
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ome noto le fasi dell’affidamento pubblico previste dal Codice dei contratti pubblici si distinguono in: 1) fase procedimentale, finalizzata alla selezione del migliore offerente mediante l’adozione, all’esito del procedimento, del provvedimento di aggiudicazione; 2) fase provvedimentale, che va dall’aggiudicazione alla stipulazione del contratto; 3) fase costitutiva di stipulazione del contratto tra pubblica amministrazione e aggiudicatario; 4) fase esecutiva di adempimento delle obbligazioni contrattuali. Lo stesso Codice ha previsto che la fase procedimentale e la fase esecutiva siano corredate da un sistema di “garanzie provvisorie” e “garanzie definitive”. Recentemente l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la pronuncia n. 7 del 26 aprile 2022 si è espressa sul tema “garanzia provvisoria”, in particolare è stata chiamata a pronunciarsi sull’ambito di operatività di tale “garanzia”. Il thema decidendum era ovviamente ristretto alle prime due fasi del procedimento di affidamento, ossia la fase procedimentale, nella quale si inserisce la proposta di aggiudicazione, e la fase provvedimentale, che va dall’aggiudicazione alla stipulazione del contratto. I Giudici del Supremo Consesso muovono il loro ragionamento a partire dall’art. 93, comma 1, del Codice il quale prevede che “l’offerta è corredata da una garanzia fideiussoria, denominata “garanzia provvisoria” pari al due per cento del prezzo base indicato nel bando o nell’invito, sotto forma di cauzione o di fideiussione, a scelta dell’offerente”. In particolare: 1) la “cauzione” “può essere costituita, a scelta dell’offerente, in contanti, con bonifico, in assegni circolari o in titoli del debito pubblico garantiti dallo Stato al corso del giorno del deposito, presso una sezione di tesoreria provinciale o presso le aziende autorizzate, a titolo di pegno a favore dell’amministrazione aggiudicatrice”; 2) la “fideiussione” “a scelta dell’appaltatore può essere rilasciata da imprese bancarie o assicurative che rispondano ai requisiti di solvibilità previsti dalle leggi che ne discipli-
nano le rispettive attività o rilasciata dagli intermediari finanziari”. Il sesto comma dell’art. 93 del Codice, così come modificato dall’art. 59, comma 1, lett. d), del decreto legislativo 19 aprile 2017, n. 56, prevede che: “la garanzia copre la mancata sottoscrizione del contratto dopo l’aggiudicazione dovuta ad ogni fatto riconducibile all’affidatario o all’adozione di informazione antimafia interdittiva emessa ai sensi degli articoli 84 e 91 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159; la garanzia è svincolata automaticamente al momento della sottoscrizione del contratto”. Partendo dai sopra richiamati presupposti di diritto la Plenaria ha evidenziato che in linea generale esistono due forme alternative di garanzia provvisoria. Da un lato la cauzione (id est un’“obbligazione di garanzia di fonte legale imposta ai fini della partecipazione alla gara, che deve essere eseguita dallo stesso debitore”) e dall’altro lato la fideiussione (id est “una obbligazione di garanzia di fonte legale imposta ai fini della partecipazione alla gara, che sorge a seguito della stipulazione di un contratto tra un terzo garante e il creditore”), fideiussione che deve avere alcuni specifici contenuti negoziali. Nel caso della cauzione c’è un rapporto a due tra Stazione Appaltante e concorrente, mentre la fideiussione rafforza la tutela dell’interesse del creditore all’attuazione del suo diritto. Questa infatti aggiunge, all’obbligazione principale del debitore, l’obbligazione accessoria del fideiussore attraverso l’estensione della garanzia patrimoniale ai suoi beni. Questo significa un allargamento del potere di aggressione del creditore. Questa volta quindi il rapporto è a tre. In sintesi: o una garanzia prestata direttamente dal concorrente (la cauzione) o una garanzia prestata dal terzo (la fideiussione con obbligo di pagamento a prima richiesta). Il presupposto di operatività di entrambe le forme di garanzia è la violazione delle regole di gara da parte del debitore principale. La garanzia provvisoria è infatti posta a presidio non solo della serietà e affidabilità dell’offerta ma ha anche la funzione “di responsabilizzare i partecipanti alle gare pubbliche in ordine alle dichiarazioni rese” (cfr. Consiglio di
garanzia provvisoria Stato, sez. V, n. 681 del 2 febbraio 2018). Ma quali sono i “soggetti” nei cui confronti può essere escussa la “garanzia provvisoria”? Questo il quesito sottoposto all’Adunanza Plenaria dal Giudice rimettente al fine di scongiurare “contrasti giurisprudenziali” “nell’interesse non solo degli operatori di settore ma del diritto oggettivo nel suo complesso”. Nella sentenza non definitiva di rimessione i Giudici propongono un’esegesi secondo cui i “soggetti” siano non solo l’“aggiudicatario”, ma anche il destinatario di una “proposta di aggiudicazione”. Questo in ragione, a loro dire, della “assolutà identità” tra la situazione dell’aggiudicatario e quella in cui versa il soggetto “proposto per l’aggiudicazione”. Di diverso avviso la Plenaria. La norma, sostengono i Giudici, è infatti chiara nell’individuare puntualmente due elementi chiave: la fase dell“aggiudicazione” e il “fatto riconducibile all’affidatario”. Nessuna menzione del concorrente destinatario della “proposta di aggiudicazione”. Vale in questo caso il brocardo latino “ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit”, essendo quindi evidente l’intenzione del legislatore di delimitare l’operatività della garanzia al momento successivo all’aggiudicazione. Solo quindi nei confronti dell’aggiudicatario potrà procedersi con l’escussione della garanzia provvisoria nell’eventualità sussistano le condizioni. D’altronde, osservano i Giudici, è solo l’aggiudicazione che costituisce il provvedimento finale di conclusione del procedimento di scelta del contraente che, in quanto tale, ha rilevanza esterna e può essere oggetto sia di impugnazione in sede giurisdizionale sia di autotutela amministrativa. Ciò si evince, come già la giurisprudenza aveva fatto notare, dalla disciplina dell’art. 120, comma 2 bis, ultima parte, c.p.a. (oggi abrogato), in cui era previsto espressamente che è inammissibile l’impugnazione della proposta di aggiudicazione, ove disposta, e degli altri atti endoprocedimentali privi di immediata lesività. Infatti, nonostante l’abrogazione dell’art. 120 comma 2- bis del codice del processo amministrativo (disposta con d.l. 18/04/2019, n. 32), la giurisprudenza ha confermato la conclusione per cui non è impugnabile la proposta di aggiudicazione, atto con valenza meramente endoprocedimentale, mentre deve essere impugnata l’aggiudicazione che è l’atto che definisce la procedura attribuendo il bene della vita (cfr., T.A.R. Sicilia, Catania, sez. I, 13/10/2020,
n. 2593). D’altronde occorre ricordare che “sino al momento dell’aggiudicazione definitiva la stazione appaltante può sempre riesaminare il procedimento di gara al fine di emendarlo da eventuali errori commessi o da illegittimità verificatesi, senza che ciò costituisca manifestazione, in senso tecnico, del potere di autotutela, il quale, avendo natura di atto di secondo grado, presuppone esaurita la precedente fase procedimentale con l’intervenuta adozione del provvedimento conclusivo della stessa (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 11.10.2018, n. 6853). Non possono pertanto estendersi alla fase procedimentale le “garanzie provvisorie” della fase provvedimentale. Nemmeno potrà sostenersi a tal riguardo che la proposta di aggiudicazione possa tacitamente trasformarsi in aggiudicazione definitiva allorchè la stazione appaltante non proceda nei termini di legge all’approvazione della proposta. L’art. 32, comma 5, del Codice, infatti, precisa che la stazione appaltante provvede all’aggiudicazione solo dopo aver verificato la proposta di aggiudicazione. Il provvedimento di aggiudicazione, che deve essere necessariamente espresso, segue, quindi, l’approvazione della proposta di aggiudicazione, che può intendersi perfezionata anche qualora la stazione appaltante non si sia pronunciata nei termini di legge, come prevede testualmente l’art. 33, comma 1, ultima parte del d.lgs. n. 50/2016. Dopo l’approvazione della proposta di aggiudicazione (espressa o tacita) deve però comunque necessariamente intervenire l’aggiudicazione (art. 32, comma 5). Accade quindi, in caso di mancata stipulazione del contratto a seguito di una “aggiudicazione”, che la stazione appaltante debba annullare d’ufficio il provvedimento di aggiudicazione e rinnovare il procedimento con regressione alla fase della “proposta di aggiudicazione”. In questo caso il danno sofferto dall’amministrazione a causa della condotta dell’aggiudicatario è coperto dalla “garanzia provvisoria” che consente all’amministrazione di azionare il rimedio di adempimento della prestazione dovuta con la finalità di compensare in via fortettaria i danni subiti dall’amministrazione per violazione delle regole procedimentali nonché dell’obbligo di concludere il contratto. Ricordiamo a tal proposito che l’incameramento della cauzione provvisoria ha il suo titolo e la sua causa nella violazione di regole e doveri
Nel caso della cauzione c’è un rapporto a due tra Stazione Appaltante e concorrente, mentre la fideiussione rafforza la tutela dell’interesse del creditore all’attuazione del suo diritto
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garanzia provvisoria contrattuali già espressamente accettati negli stretti confronti dell’amministrazione appaltante non avendo un carattere sanzionatorio amministrativo nel senso proprio (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, n. 3701/2017). Nel caso invece di “mancata aggiudicazione” a seguito di una “proposta di aggiudicazione”, l’amministrazione non è costretta a procedere all’aggiudicazione e poi ad esercitare il potere di annullamento in autotutela. Può limitarsi a non adottare l’atto di aggiudicazione e ad individuare il secondo classificato nei cui confronti indirizzare la nuova “proposta di aggiudicazione”. In questo caso il pregiudizio economico subito dall’Amministrazione ha portata differente potendo la stessa far
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valere l’eventuale responsabilità precontrattuale del concorrente ai sensi degli artt. 1337-1338 cod. civ. La Plenaria pertanto conclude ammettendo che il comma 6 dell’art. 93 del d.lgs. n. 50 del 2016 delinea un sistema di garanzie che si riferisce al solo periodo compreso tra l’aggiudicazione ed il contratto e non anche al periodo compreso tra la “proposta di aggiudicazione” e l’aggiudicazione. Alla luce di tale ultimo arresto giurisprudenziale della Plenaria occorre quindi che le Stazioni Appaltanti facciano molta attenzione alla fase di gara al fine di procedere correttamente con l’escussione della garanzia provvisoria nel caso in cui sussistano le condizioni.
qualificazione stazioni appaltanti Francesca Petullà - Foro Romano
La qualificazione delle stazioni appaltanti: opportunità e strumenti per l’implementazione di un modello gestionale, fai da te
L
a riflessione sul conseguimento di una maggiore qualità complessiva del processo di appalto è al centro del dibattito nel nostro Paese ormai da qualche anno e poggia sull’esigenza, da un lato di ridurre il numero delle stazioni appaltanti (censite in oltre 38.000 ma stimate in circa 54.000) e, dall’altro lato, di accrescere le competenze di chi opera in questo settore, estremamente complesso e in grande trasformazione. È necessario che il nostro Paese acceleri l’entrata in vigore di una disciplina innovativa, semplificatoria e coerente con il diritto comunitario in materia di appalti e concessioni, portando a regime tutte le deroghe e semplificazioni già approvate. La qualificazione delle stazioni appaltanti costituisce una delle più impor tanti innovazioni del d.lgs. n. 50/2016, dato che il possesso della qualificazione condiziona gli adempimenti successivi delle stazioni appaltanti pubbliche. Della disciplina relativa alla qualificazione delle stazioni appaltanti si occupa l’art. 38 del nuovo Codice dei contratti, disciplina ad oggi non ancora operativa, poiché è necessario il varo di disposizioni attuative, al momento non ancora adottate, per cui nelle more, tutte le stazioni appaltanti devono ritenersi qualificate mediante la semplice iscrizione presso l’ANAC alla cd Anagrafe delle stazioni appaltanti (AUSA). La qualificazione è obbligatoria perché le stazioni appaltanti e le centrali di committenza che non intendono fare domanda di qualificazione devono individuare il soggetto di riferimento che intende qualificarsi e che espleterà, anche per loro conto, la funzione di stazione appaltante. Infatti, l’art. 216, comma 10 del d.lgs. n. 50/2016 dispone che “Fino alla data di entrata in vigore
del sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti di cui all’articolo 38, i requisiti di qualificazione sono soddisfatti mediante l’iscrizione all’anagrafe di cui all’articolo 33-ter del decreto legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221”, oltre quella data si deve esser qualificati. Con la delibera n. 141 del 30 marzo 2022, l’ANAC ha approvato le Linee guida per la riqualificazione delle stazioni appaltanti e delle centrali di committenza di cui all’art. 38 del Codice dei contratti pubblici, in virtù del Protocollo d’intesa sottoscritto il 17 dicembre 2021 tra l’Autorità stessa e la Presidenza del Consiglio dei Ministri, adottato al fine di dare esecuzione a uno dei sotto-obiettivi (IV) indicati nella misura M1C1-71 – Riforma 1.10, recante “Riforma del quadro legislativo in materia di appalti pubblici e concessioni” del PNRR. La linea guida adottata da ANAC ha lasciato tutti noi operatori del settore interdetti in quanto dal 19 aprile 2016, data di pubblicazione del Codice dei contratti, sappiamo che la disciplina della qualificazione delle stazioni appaltanti consta di ben due decreti e una linea guida che potrà intervenire dopo l’adozione dei due decreti legge. Proseguendo poi nella lettura del testo della linea guida si è rimasti sconcertati perché all’interno della stessa non vi è una disciplina giuridica di senso compiuto ma una richiesta di informazioni e dati richiesti alle stazioni appaltanti con il solito poco garbo istituzionale che ormai da anni contraddistingue l’operato di ANAC. Perché firmare un protocollo interistituzionale se vi è una norma? da questo ha preso le mosse la mia riflessione. Procediamo con ordine.
La linea guida adottata, di fatto prende tempo e scandisce una procedura di qualificazione a formazione progressiva che sposta in avanti nel tempo l’approvazione di un testo finale di ANAC che vincolerà tutte le stazioni appaltanti che cadono sotto l’art. 38
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qualificazione stazioni appaltanti
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Il percorso attuativo dell’art. 38: lo stato dell’arte L’art. 38, prevede la costituzione in seno all’ANAC di un apposito elenco delle stazioni appaltanti qualificate di cui fanno parte anche le centrali di committenza. Ma per far ciò, la norma prescrive a monte altro. Il percorso attuativo dell’art. 38, infatti prevedeva un DPCM del MIT ai sensi dell’art. 38, comma 2, del Codice per stabilire criteri e requisiti tecnico - organizzativi per la qualificazione delle stazioni appaltanti. Successivamente, l’ANAC con proprio atto avrebbe dovuto stabilire le modalità attuative (art. 38, comma 6) - al fine di consentire alle SA di dotarsi dei requisiti necessari per essere qualificate. Il testo di DPCM, a cui avevano lavorato, in diverse formulazioni successive, a partire dalla primavera scorsa un gruppo di lavoro costituito da esperti dell’ANAC, del MIT, delle Regioni e delle varie associazioni territoriali, è stato valutato anche dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, che aveva licenziato il testo definitivo, senza però mai adottarlo. Parallelamente un diverso DPCM, da emanarsi ai sensi dell’art. 37, comma 5 del nuovo Codice, aveva, ed ha, il compito di individuare gli ambiti territoriali delle centrali di committenza in forma di aggregazione di comuni non capoluogo. Pur in questo quadro di incertezza, alcuni elementi sembravano piuttosto chiari e ruotavano attorno a tre aspetti fondamentali: 1) l’individuazione di livelli di qualificazione sia per i lavori pubblici che per gli acquisti di beni e servizi: le stazioni appaltanti potranno qualificarsi per un determinato livello sulla base del volume di spesa gestito dagli Uffici. 2) la capacità degli uffici di gestire tre ambiti di attività che nel loro insieme caratterizzano il processo di acquisizione di un bene, di un servizio o di un lavoro, cioè: la pianificazione, programmazione e progettazione; la gestione e verifica della fase di affidamento; la gestione e verifica delle fasi di esecuzione, collaudo e messa in opera. 3) i requisiti obbligatori che dovranno essere dimostrati in riferimento ai seguenti aspetti: strutture organizzative stabili, ovvero individuate dall’ordinamento dei Servizi e degli Uffici dell’amministrazione e dedicate alla gestione degli ambiti di attività o qualificazione; presenza nella struttura organizzativa di personale con specifiche competenze (comprovata attraverso la dimostrazione delle competenze amministrative, tecniche ed economiche presenti negli uffici); presenza di un sistema di formazione ed aggiornamento del personale (misurata sulla base della quantità e della qualità della formazione svolta); dimostrata capacità di svolgere le attività dei tre ambiti di qualificazione (ovvero, secondo quanto recita la lettera 4° del comma 4 art.38: numero di gare svolte nel triennio con indicazione di tipologia, importo e complessità, numero di varianti approvate,
verifica sullo scostamento tra gli importi posti a base di gara e consuntivo delle spese sostenute, rispetto dei tempi di esecuzione delle procedure di affidamento, di aggiudicazione e collaudo); rispetto dei tempi previsti per i pagamenti di imprese e fornitori. Al fine di ottenere la qualificazione per operare all’interno del livello desiderato, la stazione appaltante dovrà attestare una esperienza e una dotazione organica adeguata al livello stesso. Ciò presuppone in particolare che i requisiti di cui ai punti 2, 3 e 4 di cui sopra siano commisurati o “parametrizzati” ai livelli di qualificazione. Le ipotesi formulate durante il difficile iter di condivisione del decreto sono state diverse e variegate in quanto volte a individuare il punto di equilibrio fra esigenze diverse e contrapposte. Alzare l’asticella dei parametri garantisce maggiore professionalità e affidabilità, ma al tempo stesso può comportare costi di adeguamento troppo elevati che possono finire con il causare un eccesso di selezione fra le stazioni appaltanti. Si può dunque solo limitarci a riportare come esse ruotino intorno ai tre concetti cardine: a) l’esperienza: ovvero della richiesta di un numero minimo di procedure di affidamento concluse (nel triennio) di importo adeguato a quello del livello richiesto; b) la dotazione organica: ovvero la presenza di ruoli e professionalità in numero “proporzionale” al livello; c) l’aggiornamento del personale: ovvero di un ammontare minimo annuo di ore di formazione fruito da ogni addetto. Più complesso e, soprattutto, indeterminato nel suo funzionamento, appare ad oggi il meccanismo del punteggio “premiante” che potrebbe essere attribuito da ANAC, ad ogni stazione appaltante. Come già anticipato, la qualificazione avrà una durata definita e potrà essere rivista o revocata da ANAC, qualora a seguito di controlli si accerti il venir meno, ovvero l’insussistenza, in capo alle stazioni appaltanti. L’accelerazione imposta dal PNRR: il coinvolgimento diretto di Anac e l’adozione della linea guida Ebbene, considerate le scadenze ravvicinate del Recovery e dei piani allo stesso collegati, il Governo ha deciso che ANAC definisca i requisiti tecnico organizzativi per l’iscrizione all’elenco di cui sopra, in applicazione dei criteri di qualità, efficienza e professionalizzazione tra cui, per le centrali di committenza, il carattere di stabilità delle attività e il relativo ambito territoriale. L’atto che consente di operare in deroga all’art.38? non esiste, e una stretta di mano tra il Presidente Draghi e il Presidente Busia, con firma di un Protocollo, come riportata dalle riviste specializzate non basta. L’ANAC avrebbe dovuto assumere solo il compito di stabilire le modalità attuative del sistema di
qualificazione stazioni appaltanti qualificazione, sulla base di quanto stabilito dai precedenti commi, ed assegnare alle stazioni appaltanti e alle centrali di committenza un termine congruo per porre in essere effettivi processi di riorganizzazione e professionalizzazione al fine di dotarsi dei requisiti necessari alla qualificazione. L’ANAC avrebbe dovuto stabilire, altresì, modalità diversificate che tengano conto delle peculiarità dei soggetti privati che richiedano la qualificazione. L’Autorità potrà prevedere anche i casi in cui potrebbe essere disposta la qualificazione con riserva, finalizzata a consentire alla stazione appaltante di acquisire la capacità tecnica ed organizzativa richiesta. Tale qualificazione deve avere comunque una durata massima non superiore al termine stabilito per dotarsi dei requisiti necessari alla qualificazione. Con l’entrata in vigore del nuovo sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti, l’ANAC non rilascerà il codice identificativo di gara (C.I.G.) alle stazioni appaltanti che procedono all’acquisizione di beni, servizi o lavori non rientranti nella qualificazione conseguita. Invece con una linea guida che non si può dire risalente all’art. 38 (perché ribadiamo l’art. 38 prevede altro), ANAC ha avviato senza disciplina la qualificazione delle stazioni appaltanti. Ad onore del vero, forse poco male perché, il comma 3 dell’articolo 38 già fornisce una sorta di check list individuando una serie di parametri necessari per la qualificazione delle stazioni appaltanti. Infatti, viene disposto che la qualificazione ha ad oggetto il complesso delle attività che caratterizzano il processo di acquisizione di un bene, servizio o lavoro in relazione ai seguenti ambiti: a) capacità di programmazione e progettazione; b) capacità di affidamento; c) capacità di verifica sull’esecuzione e controllo dell’intera procedura, ivi compreso il collaudo e la messa in opera. A loro volta, i requisiti di cui al comma 3 sono individuati sulla base dei seguenti parametri: a) requisiti di base, quali: 1) strutture organizzative stabili deputate agli ambiti sopra appena elencati; 2) presenza nella struttura organizzativa di dipendenti aventi specifiche competenze in rapporto alle attività di cui al comma 3; 3) sistema di formazione ed aggiornamento del personale; 4) numero di gare svolte nel quinquennio con indicazione di tipologia, importo e complessità, numero di varianti approvate, verifica sullo scostamento tra gli importi posti a base di gara e consuntivo delle spese sostenute, rispetto dei tempi di esecuzione delle procedure di affidamento, di aggiudicazione e di collaudo; 5) rispetto dei tempi previsti per i pagamenti di imprese fornitrici, secondo gli indici di tempestività previsti dal decreto adottato in attuazione dell’art. 33 del d.lgs. n. 33/2013 (tempi dei pagamenti);
6) assolvimento degli obblighi di comunicazione dei dati sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture che alimentano gli archivi detenuti o gestiti dall’Autorità, come individuati dalla stessa Autorità ai sensi dell’articolo 213, comma 9; b) requisiti premianti, quali: 1) valutazione positiva dell’ANAC in ordine all’attuazione di misure di prevenzione dei rischi di corruzione e promozione della legalità; 2) presenza di sistemi di gestione della qualità conformi alla norma UNI EN ISO 9001 degli uffici e dei procedimenti di gara, certificati da organismi accreditati per lo specifico scopo ai sensi del Regolamento CE 765/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio; 3) disponibilità di tecnologie telematiche nella gestione di procedure di gara; 4) livello di soccombenza nel contenzioso; 5) applicazione di criteri di sostenibilità ambientale e sociale nell’attività di progettazione e affidamento. Il d.lgs. 56/2017 ha stabilito che le amministrazioni la cui organizzazione preveda articolazioni, anche territoriali, debbano verificare la sussistenza dei requisiti sopra descritti in capo alle medesime strutture e ne debbano dare comunicazione all’ANAC ai fini della qualificazione. La qualificazione conseguita opera per la durata di cinque anni e può essere rivista a seguito di verifica, anche a campione, da parte dell’ANAC o su richiesta della stazione appaltante. Infine, interessanti incentivi sono collegati alla qualificazione delle stazioni appaltanti. Infatti, viene previsto che l’eventuale valutazione positiva della stazione appaltante venga comunicata dall’ANAC, all’amministrazione di appartenenza della stazione appaltante, perché ne tenga conto ai fini della valutazione della performance organizzativa e gestionale dei dipendenti interessati. Inoltre, una quota delle sanzioni derivanti dall’attività di vigilanza svolta dall’ANAC dovrà essere destinata all’amministrazione della stazione appaltante affinché venga destinata a remunerare il risultato dei dirigenti e dei dipendenti appartenenti alle unità organizzative competenti per i procedimenti d’appalto. In ogni caso, la normativa riguardante la qualificazione prevista dall’art. 38 non trova applicazione per gli enti aggiudicatori che non siano amministrazioni aggiudicatrici e neppure per gli altri soggetti aggiudicatari di cui all’art. 3, comma 1, lett. g) (i quali coincidono con i soggetti privati tenuti all’osservanza del Codice dei contratti). Se per caso tutto questo non verrà attuato da ANAC, le stazioni appaltanti potranno ricorrere al TAR con vizi assolutamente imbarazzanti: violazione di legge ed eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche, chiedendo così al giudice di pronunciarsi sulla natura giuridica dei protocolli interistituzionali soprattutto se questi possano derogare a norma
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qualificazione stazioni appaltanti di legge di derivazione comunitaria, quale è l’art. 38 del codice dei contratti.
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Qualificazione delle stazioni appaltanti: il testo del mancato DPCM e la invalidità della Linea guida Anac Se tutto questo lo stabilisce già la norma, come lo stabilisce, ci si interroga sulla valenza della linea guida adottata da ANAC e sugli interventi continui che il Presidente di ANAC sta facendo negli ultimi mesi imponendo termini ed attività in ragione non si sa di cosa, atteso che, tutti sappiamo bene che manca la norma madre: il DPCM. Lo Schema di DPCM per la definizione dei requisiti tecnico organizzativi per l’iscrizione all’elenco delle stazioni appaltanti qualificate (art.38, comma 2, del d.lgs. 50 del 2016) non è mai stato adottato ma, nello stesso si traggono utili elementi di riflessione sul modello gestionale voluto dal Legislatore del Codice attuale ed evidentemente anche di quello che verrà. Il provvedimento si compone di 11 articoli e contiene norme a carattere ordinamentale, insuscettibili di incidere in alcun modo sotto il profilo della finanza pubblica; lo stesso, pertanto, non comporta nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Ebbene, pur in mancanza di un decreto e probabilmente anticipando i tempi su quello che sarà il nuovo codice, il Governo ha deciso di non adottare il decreto e lasciare ad ANAC l’onere e l’onore di disciplinare il tutto. Ecco perché la linea guida adottata di fatto prende tempo e scandisce una procedura di qualificazione a formazione progressiva che sposta in avanti nel tempo l’approvazione di un testo finale di ANAC che vincolerà tutte le stazioni appaltanti che cadono sotto l’art. 38. In altri termini l’attuale linea guida è una fase di confronto con i cd stakerholder per “raccogliere le informazioni e le idee” da trasferire in una linea guida vincolante che forse il nuovo codice conterrà. Si vuol far osservare che al momento Anac non ha alcun potere conferito dal Codice per qualificare le stazioni appaltanti, perché per farlo deve esser adottato un DPCM (art.38) e un DPR (art.37) e solo dopo in attuazione dello stesso potrà espletare la fase di qualificazione. Ben consci di ciò, scorrendo la linea guida emanata da ANAC si comprende bene che si sta prendendo tempo in attesa forse di un provvedimento che li legittimi e, qualsiasi attività posta in essere nei confronti di una stazione appaltante è assolutamente illegittima in espressa violazione della Legge. Oltre alla mancanza di legittimazione che non giustifica il tour de force che è imposto alle stazioni appaltanti, scorrendo la linea guida si rimane sorpresi perchè il contenuto della stessa ricalca in toto il DPCM non adottato. Chi scrive ritiene che se il Governo avesse voluto quel DPCM lo avrebbe preso forse aggiornato inserendo un paragrafo sul Recovery e mandato in vigore. Non si ritiene plausibile che il Governo abbia detto ad ANAC fai un “copia e incolla”
di quello che abbiamo lasciato nel cassetto. Si ritrovano infatti, nella stessa molti punti di contatto con la disciplina ministeriale mai adottata. In essa si rintracciano i medesimi requisiti tecnico organizzativi per l’iscrizione all’elenco, da istituirsi presso l’ANAC, delle stazioni appaltanti qualificate di cui fanno parte anche le centrali di committenza e le medesime modalità attuative del sistema delle attestazioni di qualificazione e di eventuale aggiornamento e revoca, nonché la data a decorrere dalla quale entra in vigore il nuovo sistema di qualificazione. Ma non solo. Vi è una scansione delle fasi di attuazione, una lenta, progressiva e agognata entrata in vigore richiesta a gran voce da parte di ANCI, già prevista proprio in seno a questa bozza di decreto in applicazione del disposto del comma 8 del predetto articolo 38 del nuovo Codice dei contratti pubblici, fino alla data di entrata in vigore del nuovo sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti, si applica il regime transitorio di cui all’articolo 216, comma 10, del medesimo Codice (per completezza merita ricordare che all’articolo 10, comma 1, si stabiliva che il sistema di qualificazione entra in vigore il novantesimo giorno dalla data di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del provvedimento previsto in capo all’ANAC, ai sensi dell’articolo 38, comma 6, del codice, da effettuarsi entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto), Altresì, si prevedeva, altresì, un congruo periodo, fissato in diciotto mesi (articolo 10, comma 2), durante il quale le stazioni appaltanti, che abbiano fatto domanda di qualificazione, mantengono la capacità di espletare la propria attività, tale periodo è esteso a ventiquattro mesi per le attuali stazioni appaltanti, che operano nel settore dell’erogazione delle prestazioni sanitarie essenziali, che hanno fatto domanda di qualificazione. Nelle more della qualificazione di tale soggetto, le stazioni appaltanti mantengono comunque la capacità di espletare la propria attività, e di acquisire il CIG. Inoltre, per gli affidamenti effettuati da stazioni appaltanti che hanno fatto domanda di qualificazione, ovvero che non intendano fare domanda, è previsto che esse mantengono la gestione dell’esecuzione fino al termine di ultimazione, ivi comprese le attività di verifica e collaudo e la gestione di eventuali contenziosi. Nel merito, queste prime Linee guida impensieriscono perché vanno oltre il dettame normativa e pure oltre il monitoraggio e screening indicato nel protocollo. Ci si riferisce soprattutto alla parte in cui si individuano i pesi attribuiti a ciascun requisito di base, in seguito verranno definite le modalità per l’attribuzione dei punteggi relativi a ciascun requisito grazie alle informazioni provenienti dai dati raccolti dalle stazioni appaltanti e dalla consultazione pubblica con gli stakeholders. Anche i pesi potranno essere riconsiderati a seguito delle suddette attività. Nelle semplici procedure di gara alle amministrazioni infliggono la condanna di definire criteri, sottocriteri,
qualificazione stazioni appaltanti pesi, punteggi algoritmi: dove sono in questo caso i kit di sopravvivenza della legittimità che da anni Anac e chi prima di Anac ci hanno imposto? La ratio sta nel fondare il sistema di qualificazione sulla base di dati oggettivi, evitando la realizzazione di un sistema “asettico” che non tenga conto dei diversi ambiti territoriali e delle caratteristiche del contesto in cui operano le stazioni appaltanti. Questo fine è condivisibile ma va ancorato sempre a criteri valutativi oggettivi, soprattutto in questa fase storica, ove la qualificazione conseguita determina l’attribuzione di risorse finanziarie e incentive anche per il personale impiegato. Le Linee guida in esame sono articolate in tre parti. Nella prima parte sono individuati i requisiti necessari per l’implementazione futura del sistema di qualificazione, declinando il contenuto dei requisiti base di cui all’articolo 38, comma 4, lettera a) del Codice. In particolare, vengono individuati i tre possibili livelli di qualificazione con i relativi limiti quantitativi per la fase dell’affidamento e un solo livello per la fase dell’esecuzione. La scelta di prevedere un solo livello per l’esecuzione, che è sicuramente di più agevole accesso, dipende dall’esigenza di garantire a tutte le stazioni appaltanti la possibilità di dare seguito ai contratti aggiudicati. Nella seconda, invece, sono individuate le modalità operative per l’attuazione a fasi progressive del sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti e delle centrali di committenza da porre alla base del nuovo sistema di qualificazione, differenziando quelli relativi alle procedure di appalto e di concessione degli affidamenti
di lavori da quelli di forniture e servizi. Nell’ambito di ciascuna categoria di procedure sono distinti i requisiti per l’affidamento da quelli per l’esecuzione. Infine, nell’ultima parte vengono individuati i dati necessari per dimostrare il possesso dei requisiti di base e premianti, alcuni dei quali già acquisiti dall’Autorità tramite l’anagrafe unica delle stazioni appaltanti (AUSA) o la Banca Dati Nazionale dei Contratti Pubblici (BDNCP), oppure acquisibili dall’Autorità tramite il collegamento con banche dati detenute da altre amministrazioni o attraverso dichiarazioni rese dalle stazioni appaltanti. Breve considerazioni conclusive La completa e tempestiva comunicazione dei dati all’ANAC, da parte delle stazioni appaltanti, viene quindi in rilievo come attività fondamentale ai fini dell’avvio e della buona riuscita del sistema di (ri)qualificazione delle stazioni appaltanti. A partire dal 23 maggio 2022, l’Autorità ha iniziato ad analizzare e elaborare tutti i dati comunicati, per adottare la relazione trimestrale prevista entro giugno 2022 e individuare i punteggi attribuibili alle stazioni appaltanti. In seguito, la stessa individuerà le soglie di accesso ai differenti livelli di qualificazione per la fase dell’affidamento e l’accesso all’unico livello di qualificazione per la fase dell’esecuzione. Ex post!!!! Larga sentenza ai posteri, perchè di sentenze ce ne saranno tante.
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cause di esclusione dalle procedure di gara Giampaolo Austa - Professore incaricato di diritto amministrativo Università della Tuscia
La Legge europea 2019-2020: novità in materia di appalti pubblici
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on il tempo, abbiamo imparato che il settore dei contratti pubblici è in continua evoluzione e che non passa mai troppo tempo senza che ci siano modifiche, più o meno rilevanti, alla normativa in materia di appalti di lavori, servizi e forniture; è stato così sotto la vigenza del d.lgs. 163/2006 e lo è ancor di più da quando è stato approvato il d.lgs. 50/2016. Mentre si discute della delega al Governo per la riforma del Codice dei contratti pubblici, il Legislatore ha dovuto apportare alcune significative modifiche alla normativa interna al fine di adeguarla alle previsioni delle Direttive che, in sede di recepimento, nel 2016, non erano state correttamente implementate nel nostro ordinamento. Le modifiche apportate rispondono alle contestazioni formulate dalla Commissione europea con la procedura di infrazione n. 2018/2273 con quale erano state rilevate una serie di incompatibilità delle norme contenute nel d.lgs. 50/2016 rispetto a quanto previsto dalle Direttive in materia di concessioni (2014/23), appalti pubblici nei settori ordinari (2014/24) e in quelli speciali (2014/25). Le contestazioni, formulate inizialmente con atto del 24 gennaio 2019, sono state integrate il 27 novembre 2019. Rispetto ad alcune difformità, ad esempio in tema di subappalto o di affidamento di servizi di ingegneria e architettura, prima dell’intervento del Legislatore erano addirittura intervenute alcune pronunce della CGUE che avevano confermato la necessità di un intervento normativo urgente. In realtà, la Legge europea risolve alcuni di questi problemi, mentre ne restano irrisolti altri come, ad esempio, il divieto del subappalto a cascata e del sub-avvalimento, istituti per i quali le Direttive non prevedono le limitazioni che, invece, persistono nel nostro ordinamento. Rinviando la trattazione di queste problematiche al momento in cui il Legislatore deciderà di porvi rimedio, in questa sede, ci concentreremo sulle significative modifiche apportate al Codice dei contratti pubblici dall’art. 10 della Legge 23 dicembre 2021, n. 238, pubblicata in GURI il 17 gennaio 2022 (c.d. Legge europea 2019-2020). Violazioni tributarie e contributive non definitivamente accertate - art. 80, comma 4, d.lgs. 50/2016 Tra le novità più rilevanti, è meritevole di attenzione la
modifica apportata all’art. 80 del Codice in tema di cause di esclusione dalle procedure di gara per violazione degli obblighi relativi al pagamento delle tasse e dei contributi previdenziali. Le Direttive non prevedono che l’eventuale esclusione dalla gara sia subordinata all’esistenza di debiti tributari o contributivi gravi e definitivamente accertati, dando rilevanza all’esistenza del debito grave in sé, a prescindere dalla sua definitività. Già con il d.l. 32/2019 (c.d. sblocca-cantieri), il Legislatore aveva modificato parte del quarto comma dell’art. 80 del d.lgs. 50/2016 dando rilevanza, ai fini dell’esclusione, oltre che ai debiti tributari o contributivi gravi e definitivamente accertati anche a quelli non definitivamente accertati, senza aggiungere altro. Dunque, dopo la novella del 2019, le stazioni appaltanti hanno dovuto verificare l’esistenza di debiti tributari e contributivi gravi (i.e. di valore superiore a € 5.000) in capo ai partecipanti alle gare pubbliche indipendentemente dalla definitività dell’accertamento. A seguito della verifica, se detti debiti fossero risultati definitivamente accertati questo avrebbe causato l’esclusione automatica dell’operatore economico dalla gara; viceversa, in caso di debiti gravi, ma non definitivamente accertati, la stazione appaltante avrebbe avuto la facoltà, ma non l’obbligo, di escludere l’operatore economico sulla base di una scelta discrezionale. Ci si è, tuttavia, accorti piuttosto in fretta della presenza di difficoltà pratiche connesse alle modifiche apportate con l’intervento del 2019 dal momento che, in sede normativa, non erano stati chiariti i presupposti in base ai quali le stazioni appaltanti avrebbero potuto procedere all’esclusione con conseguenti incertezze tanto per i responsabili del procedimento quanto per le imprese che partecipano alle gare. La situazione si è ulteriormente complicata nel periodo dell’emergenza pandemica in cui, nonostante il più volte prorogato “blocco delle cartelle esattoriali”, l’Agenzia delle Entrate, quando richiesto, ha comunicato alle stazioni appaltanti l’eventuale sopravvenienza di debiti tributari, compresi gli atti di accertamento e le cartelle esattoriali ancora non notificate alle imprese. In tale contesto e in assenza di coordinate ermeneutiche chiare, tutti i soggetti coinvolti nel procedimento si sono trovati in oggettiva difficoltà. Opportunamente, con la Legge europea 2019-2020, il Legislatore è intervenuto modificando ulteriormente il quar-
cause di esclusione dalle procedure di gara to comma dell’art. 80 nella parte relativa ai debiti tributari e contributivi non definitivamente accertati. Si comincia col dire che è stata confermata la regola per la quale solo i debiti tributari o contributivi gravi e definitivamente accertati provocavano l’esclusone obbligatoria e automatica dalla gara, mentre quelli non definitivamente accertati determinano la mera possibilità, per la stazione appaltante, di procedere all’esclusione sulla base di una decisione discrezionale. Per quanto riguarda, le modifiche, da un lato, è stato demandato ad un decreto MEF-MIT - da emanare entro sessanta giorni dal 1° febbraio 2022 – il compito di stabilire “limiti e condizioni per l’operatività della causa di esclusione relativa a violazioni non definitivamente accertate”. Dall’altro, è stato previsto che dette violazioni, per comportare l’esclusione, “devono essere correlate al valore dell’appalto e comunque di importo non inferiore a 35.000 euro”. Dunque, l’intervento normativo ha la finalità di determinare regole più specifiche e certe per guidare i responsabili del procedimento in queste situazioni e garantire una maggiore uniformità di giudizio. Al contempo, l’innalzamento della soglia di gravità – di € 35.000, sette volte più elevata di quella prevista per i debiti definitivamente accertati – e la precisazione che l’ammontare del debito deve essere comunque “correlato” al valore dell’appalto, mirano a garantire una maggiore proporzionalità della sanzione espulsiva, sostanzialmente ricondotta ad ipotesi più gravi sotto il profilo economico e di particolare rilevanza rispetto al valore complessivo dell’appalto. Per conoscere il contenuto del decreto si dovrà attendere (il decreto MEF-MIT avrebbe dovuto essere emanato ai primi di aprile, ma spesso i tempi sono più lunghi di quelli previsti dalla norma anche considerata la non perentorietà del termine di legge). Resta fermo, che alla presenza di debiti non definitivamente accertati, prima di procedere ad una eventuale esclusione, la stazione appaltante debba condurre un’adeguata istruttoria in contraddittorio con l’operatore economico volta a valutare l’effettiva incidenza del debito sulla sua affidabilità. Invece, già dal 1° febbraio 2022 è operativa la soglia minima di € 35.000 al di sotto della quale i debiti tributari e/o contributivi non definitivamente accertati non possono determinare l’esclusione dalle gare pubbliche. Come detto, l’innalzamento della “soglia di gravità” per questi debiti è certamente un intervento opportuno che garantisce una maggiore pro-
porzionalità della causa di esclusione che, giova ricordarlo, riguarda contestazioni comunque soggette a impugnazione. In conclusione, questa modifica non solo è rilevante per tanti operatori economici che, a volte anche incolpevolmente, sono destinatari di avvisi da parte dell’Agenzia delle Entrate, ma è opportuna perché garantisce, da un lato, una più uniforme applicazione della normativa di settore e, dall’altro, maggiore prevedibilità delle sanzioni a vantaggio sia delle imprese che delle stazioni appaltanti che, a breve, potranno usufruire di uno strumento-guida (il decreto MEF-MIT) per valutare proprio queste situazioni. Ulteriori modifiche in tema di subappalto Per quanto riguarda il subappalto, invece, le modifiche apportate dalla Legge europea 2019-2020 sono meno innovative, ma pur sempre degne di segnalazione soprattutto perché completano un intervento riformatore iniziato con il d.l. 32/2019 (c.d. sblocca-cantieri) e proseguito con il d.l. 77/2021 (c.d. decreto Semplificazionibis). Come chiarito dalla CGUE (sentenza del 27 novembre 2019 C-402/18), esigenze di contrasto al fenomeno delle infiltrazioni criminose nel settore degli appalti pubblici possono giustificare restrizioni alle regole generali e ai principi del TFUE, purchè non generalizzate, ma proporzionate rispetto al raggiungimento di specifici obiettivi. Per questo, dapprima, si è provveduto ad innalzare il limite al subappalto fino al 40% (fino al 31 dicembre 2020) e, gradualmente, detto limite è stato ulteriormente aumentato fino al 50% (fino al 31 dicembre 2021) per poi essere definitivamente e completamente eliminato, salvo ipotesi eccezionali, per tutti gli appalti di lavori, servizi e forniture. Con la Legge Europea 2019-2020, il Legislatore è intervenuto nuovamente per: a) eliminare il divieto di affidamento in subappalto a operatori economici che hanno partecipato alla medesima gara (art. 105, primo comma); b) eliminare l’onere in capo all’operatore che partecipa alla gara di dichiarare il possesso dei requisiti del subappaltatore (che, da ora in poi, verranno verificati solo in sede di autorizzazione al subappalto sulla base della dichiarazione resa dal solo subappaltatore - art. 105, primo comma); c) abrogare la norma – finora più volte sospesa – che impo-
Alla presenza di debiti non definitivamente accertati, prima di procedere ad una eventuale esclusione, la stazione appaltante deve condurre un’istruttoria in contraddittorio con l’operatore economico volta a valutare l’effettiva incidenza del debito sulla sua affidabilità
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neva l’indicazione obbligatoria della terna dei subappaltatori in sede di partecipazione alla gara (art. 105, sesto comma). Dunque, in applicazione di detta normativa, l’appaltatore non potrà più essere escluso dalla gara per eventuale carenza di uno o più requisiti di partecipazione in capo al subappaltatore designato, né dovrà più rendere le dichiarazioni per conto di quest’ultimo. Diventa, invece, definitiva l’eliminazione dell’obbligo di indicare la terna dei subappaltatori, onere criticato sin da subito da tutti gli operatori del settore e sospeso poco dopo l’entrata in vigore della norma. Si tratta certamente di modifiche di dettaglio che, tuttavia, sono utili ad eliminare le ultime incertezze e contraddizioni normative frutto di un non perfetto coordinamento a seguito delle importanti modifiche all’istituto del subappalto apportate con il d.l. 77/2021 convertito, con modificazioni, dalla Legge 29 luglio 2021, n. 108 (c.d. decreto semplificazioni 2021). Queste modifiche confermano, altresì, un cambio di approccio del Legislatore rispetto all’istituto. L’appaltatore non è più il solo responsabile e unico interlocutore della stazione appaltante relativamente all’esecuzione dell’appalto. Ciò è confermato dalla previsione di cui al quattordicesimo comma dell’art. 105 secondo il quale “Il subappaltatore, per le prestazioni affidate in subappalto, deve garantire gli stessi standard qualitativi e prestazionali previsti nel contratto di appalto e riconoscere ai lavoratori un trattamento economico e norma-
tivo non inferiore a quello che avrebbe garantito il contraente principale, inclusa l’applicazione dei medesimi contratti collettivi nazionali di lavoro, qualora le attività oggetto di subappalto coincidano con quelle caratterizzanti l’oggetto dell’appalto ovvero riguardino le lavorazioni relative alle categorie prevalenti e siano incluse nell’oggetto sociale del contraente principale”. Modifiche in tema di termini di pagamento e stato di avanzamento lavori (SAL) Ancorchè non fosse oggetto della procedura di infrazione per non corretto recepimento delle Direttive, il Legislatore è intervenuto anche sulla normativa relativa ai pagamenti e all’accertamento dello stato di avanzamento lavori negli appalti pubblici. L’intervento si è reso opportuno proprio sulla spinta degli appaltatori che, specie nel settore dei lavori, nel periodo emergenziale, hanno subito notevoli disagi a causa del contestuale fermo dei cantieri e dei pagamenti derivanti dal mancato raggiungimento e/o dalla mancata presa d’atto delle condizioni necessarie per procedere agli stessi. All’art. 113-bis del Codice sono stati aggiunti sei commi, dall’1-bis all’1-septies, che mirano, da un lato, a velocizzare i pagamenti tramite termini estremamente ridotti e, dall’altro, a coinvolgere maggiormente l’appaltatore in questa fase. Secondo la nuova normativa, l’esecutore può comunicare alla stazione appaltante il raggiungimento delle condizioni contrattuali per l’adozione del SAL sulla base delle quali, previa verifica, il direttore dei lavori procede all’adozione dello stesso. In forza della sola emissione del SAL, l’esecutore può emettere la relativa fattura che, precisa la norma, “non è subordinata al rilascio del certificato di pagamento da parte del RUP”. In caso di difformità tra le valutazioni del direttore dei lavori e quelle dell’esecutore in merito al raggiungimento delle condizioni contrattuali per l’emissione del SAL, il primo, a seguito di tempestivo accertamento in contraddittorio con l’esecutore, procede all’archiviazione della comunicazione dell’appaltatore e all’adozione dello stesso. Fatto ciò, sempre il direttore dei lavori, trasmette il SAL al RUP che, previa verifica della regolarità contributiva dell’esecutore e dei subappaltatori, contestualmente o, comunque, non oltre sette giorni, emette il relativo certificato sulla base del quale la stazione appaltante procede al pagamento. Non c’è dubbio che la nuova normativa conferisce all’esecutore maggiori strumenti non solo di interlocuzione con la stazione appaltante per ottenere il pagamento del dovuto, ma anche per eventualmente adottare tutti i rimedi opportuni nel caso di omesso pagamento nei termini di legge. Nel complesso, le modifiche esaminate testimoniano un approccio più pragmatico e attento da parte del Legislatore che è certamente utile per tutti gli operatori del settore; uno sforzo importante che si spera venga profuso allo stesso modo in sede di attuazione del progetto di riforma del Codice dei contratti pubblici.
autotutela Monica Scongiaforno - Studio Legale Scongiaforno
La stipulazione del contratto lascia intatto il potere di annullamento in autotutela dell’aggiudicazione
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l presente contributo vuole costituire un focus sullo stato della giurisprudenza sulla possibilità dell’intervento autoritativo dell’amministrazione la quale, agendo in autotutela e nel preminente interesse pubblico al ripristino della legalità della propria azione, interviene sul provvedimento di aggiudicazione che risulti affetto da vizi, anche dopo la stipulazione del contratto, con innegabili conseguenze su quest’ultimo. La questione è piuttosto rilevante posto che per lungo tempo si è ritenuto che l’inefficacia del contratto non fosse conseguenza automatica dell’annullamento dell’aggiudicazione, bensì, l’oggetto di una ben specifica pronuncia giurisdizionale (1), pertanto, in assenza di quest’ultima, l’illegittimità dell’aggiudicazione non era di per sé idonea a produrre automaticamente effetti caducatori del contratto, né a determinarne l’invalidità derivata o l’inefficacia (2). In proposito si riscontrava una certa recessività dei principi generali in materia di nullità e annullabilità degli atti amministrativi nei confronti di quelli trasfusi nella normativa di cui agli artt.121 e 122 del codice del processo amministrativo (c.p.a.), le cui disposizioni, attuative della direttiva 2007/66/CE, tengono separate le vicende della validità dell’aggiudicazione da quelle della validità o dell’efficacia del contratto, consen-
tendogli, tranne alcune ipotesi tassative di gravi violazioni, di cui al comma 1 dell’art.121 (ad es. contratto stipulato senza previa pubblicazione del bando, ovvero, a seguito di procedura negoziata adottata fuori dei casi previsti; senza aver rispettato lo stand still o la sospensione obbligatoria del termine per la stipulazione derivante dalla proposizione del ricorso giurisdizionale avverso l’aggiudicazione), di rimanere in vita, anche a seguito dell’annullamento dell’aggiudicazione, e ciò in considerazione di una serie di fattori, rimessi alla valutazione discrezionale del giudice, tra i quali gli interessi – non meramente economici – delle parti, la durata residua dell’affidamento, etc.. Pertanto, si registrava il ruolo preminente del giudice amministrativo, sul presupposto necessario della domanda di subentro nel contratto (art.122 c.p.a.) avanzata dell’operatore economico, onerato, altresì, della formulazione della domanda volta espressamente a tal fine (definita domanda di “tutela in forma specifica”, cioè, a carattere integralmente satisfattorio, di cui all’art.124, comma 1, prima parte c.p.a.). Nel sancire l’“inefficacia” del contratto, eventualmente già stipulato inter alios, e l’ulteriore positivo apprezzamento sulla sua spettanza in termini di “diritto al contratto”, cioè, della certezza che, in assenza del comportamento
Lo scioglimento del vincolo contrattuale non deriva da vizi propri o dal mancato adempimento delle obbligazioni nello stesso convenute, ma è conseguenza della sopravvenuta verifica della correttezza dell’aggiudicazione o degli atti a questa presupposti
1 E ciò in significativo contrasto rispetto alla logica sequenza procedimentale che vede la privazione degli effetti del contratto strettamente connessa all’annullamento dell’aggiudicazione e da questa dipendente, e ciò anche nella prospettiva delle esigenze di semplificazione e concentrazione delle tutele ai fini della loro effettività (Cons. Stato, Sez. VI, n. 6374/2012; Sez. III, n. 3437/2013; Sez. V, n.4752/2013, n. 4752; Sez. V, n.4585/2015). 2 Tra le tante Con. Stato, Sez. V, n. 3230/2013.
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illegittimo della stazione appaltante, l’operatore si sarebbe senz’altro aggiudicato la commessa (3) . L’emancipazione della sorte del contratto dall’esclusiva pronunzia del giudice scaturisce dal fatto che è venuto a riconoscersi, per poi, come vedremo positivizzarsi, il principio che il potere di annullamento in autotutela, quindi nel preminente interesse pubblico, non trovasse il suo esaurimento con l’aggiudicazione della gara ma permanesse anche dopo la stipulazione del contratto (4). con conseguente automatica inefficacia di quest’ultimo, vista la stretta consequenzialità tra aggiudicazione e stipulazione del contratto (5). Il potere di annullamento di che trattasi ha trovato, in un primo momento, fondamento nella generale previsione contenuta nell’art.21-nonies, comma 1, della L. n.241/1990 (quantomeno posta in relazione con il disposto di cui al comma 136 dell’art.1 L.311/2014) (6). Lo stesso è stato specificatamente introdotto, nell’ambito dell’evidenza pubblica, nell’art.32, comma 8, D. Lgs. n.50/2016 che fa, espressamente, “salvo l’esercizio dei poteri di autotutela nei casi consentiti dalla legge” anche quando l’aggiudicazione sia “divenuta efficace” (7). Invece, con precipuo riferimento al contratto (8), ruolo fondamentale lo rivestono le disposizioni contenute nell’art.108 D.Lgs. n.50/2016 (9). Sebbene quest’ultima denomini tutte le ipotesi disciplinate come “risoluzione”, definizione, quest’ultima, che evoca istituti disciplinanti le patologie che affliggono il rapporto sinallagmatico nel quale i contraenti si collocano in posizione paritaria, alcune delle fattispecie di cui ai commi 1 e 2, relative all’insussistenza (originaria o sopravvenuta) dei requisiti soggettivi dell’aggiudicatario, cioè fattispecie che, pur sopravvenute in corso di rapporto, o il cui accertamento sia sopravvenuto alla stipulazione del contratto (10), in buona sostanza, attinenti all’incapacità del privato di essere parte contrattuale della pubblica amministrazione (ad esempio sottaciute irregolarità fiscali o contributive),
consentono un vero e proprio intervento autoritativo. È necessario rilevare che l’autoannullamento opera a prescindere dall’intervenuta acquisita efficacia dell’aggiudicazione, visto che la sua eventuale efficacia non implica che la relativa determinazione non sia insuscettibile di rivalutazione in sede di riesame e prima della stipula, del contratto qualora emergano e siano riscontrate insufficienze/anomalie dell’offerta (11). Si è quindi in presenza di una vera e propria autotutela provvedimentale che incide, non tanto sul contratto, ma sull’aggiudicazione, ma che non può che aver effetto automaticamente sul primo attesa la sua stretta consequenzialità funzionale con la seconda. Ne discende che lo scioglimento del vincolo contrattuale non deriva da vizi propri o dal mancato adempimento delle obbligazioni nello stesso convenute, ma è conseguenza della sopravvenuta verifica della correttezza dell’aggiudicazione (atto prodromico alla stipulazione) o degli atti a questa presupposti. Quanto appena precede consente di prendere le distanze dall’altro istituto dai presupposti completamente differenti da quello qui in argomento e che spesso viene – ed impropriamente - evocato dalle amministrazioni che procedono in autotutela e, cioè, la revoca. A differenza di quest’ultima, i cui presupposti legittimanti sono costituiti da sopravvenuti ed imprevisti motivi di opportunità amministrativa e la cui adozione è rimessa al sostanziale – e congruamente motivato - apprezzamento discrezionale dell’amministrazione, l’istituto in esame costituisce l’archetipo della cd. autotutela doverosa, espressiva, quindi, di un potere finalizzato a rimuovere il provvedimento di aggiudicazione che risulta affetto da vizi, e che, a differenza della prima (12), l’intervenuta stipulazione del contratto non ha alcun effetto preclusivo. A chiusura di queste brevi note non può sottacersi del fatto che, il ricorso a tale istituto non esclude che la stazione appaltante possa agire in giudizio per la tutela dei
3 Per completezza espositiva, l’altra opzione difensiva è costituita dal “risarcimento del danno per equivalente”, come dall’art. 124, comma 1, seconda parte, normalmente avanzata in via subordinata e praticabile sia nel caso in cui il giudice abbia riscontrato l’assenza dei presupposti per la tutela specifica (e, in particolare, non abbia ravvisato, ai sensi degli artt. 121, comma 1 e 122 c.p.a, i presupposti per dichiarare inefficace il contratto stipulato ovvero, sotto distinto profilo, non abbia elementi sufficienti a formulare un obiettivo giudizio di spettanza; sia nel caso in cui l’operatore economico abbia ritenuto di non formalizzare la domanda di aggiudicazione, cioè, non si sia reso disponibile a subentrare nel contratto “anche in corso di esecuzione”. Al riguardo si rinvia a CGARS n.841/2021. 4 Come d’altronde già riconosciuto dalla giurisprudenza amministrativa (cfr. Cons. Stato, A.P., giugno n.14/2014) che ha consentito l’intervento autoritativo dell’amministrazione, anche dopo la stipulazione del contratto, onde rimuovere il provvedimento di aggiudicazione che risulti affetto da vizi, rinvenendone il fondamento, però, nell’abrogato comma 136 dell’art.1 L. n.311/2004 (legge finanziaria 2005), anteriore alle riforme al procedimento amministrativo intervenute per effetto della legge n.124/2015 (contenente deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche). 5 Si rinvia al riguardo Cons. Stato, V, n.3237/2015 e Cons. Stato, III, n.1310/2017. 6 Atteso il generalmente riferirsi della stessa ai provvedimenti attributivi di vantaggi economici, comprensivi, quindi, anche degli affidamenti di pubbliche commesse, questione pacifica, cfr., da ultimo, Cons. Stato, V, n.938/2021. 7 Cfr TAR Sardegna n.154/2022. 8 L’art. 176 D. Lgs. n.50/2016, con disposizioni che sottendono principi analoghi, disciplina le ipotesi di “cessazione, revoca d’ufficio, risoluzione per inadempimento e subentro” dettate con riferimento all’esecuzione delle concessioni disciplinate dal codice dei contratti. 9 Da ultimo, Cons. Stato,V, n.590/2022. 10 E’ il caso dell’interdittiva antimafia sopravvenuta alla stipulazione del contratto fattispecie di cui a Cons. Stato, Sez. IV, n.3247/2016. 11 Si rinvia a TAR Sardegna di cui alla nota n.7. 12 Come chiaramente statuito dalla citata Adunanza. Plenaria n. 4/2014, la quale ha escluso che l’Amministrazione possa procedere, ai sensi dell’art. 21-quinquies L. n. 241/1990, alla revoca degli atti della procedura una volta intervenuta la stipula del contratto.
autotutela propri diritti soggettivi nelle materie a giurisdizione esclusiva, alla quale tipicamente pertiene la contrattualistica pubblica, con azioni a titolo di responsabilità precontrattuale per il risarcimento del danno che ritenga di avere subito dalla mancata stipula del contratto dovuta all’annullamento dell’aggiudicazione per cause riconducibili alle condotte scorrette tenute, nella fase delle trattative, all’aggiudicatario (13). E’ stato infatti osservato come la violazione delle regole pubblicistiche, in quanto riferita all’esercizio diretto ed immediato del potere, impatta sul provvedimento, determinandone, di regola, l’invalidità, ma che se dovuta al comportamento scorretto della stazione aggiudicatrice, nel corso della gara, la predetta violazione genera non solo invalidità provvedimentale, ma anche responsabilità (14). Il che non può non valere, a parti invertite, cioè, anche con riferimento alla condotta del privato, che, a sua volta, è destinata a confluire in atti dell’amministrazione. Questa, dunque, va egualmente valutata alla stregua della rispondenza ai canoni di correttezza comportamentale, in specie quando sia scaturigine di una scelta consapevolmente volta a trarre in inganno il contraente pubblico. Con una precisazione. Affinché l’aspettativa di buon esito intrinseca all’esercizio della funzione pubblica possa essere lesa dal comportamento del privato è necessario che quest’ultimo abbia colpevolmente indotto l’amministrazione a fare scelte errate, ma quest’ultima, sebbene sia tenuta, nelle trattative, a comportarsi secondo i principi di correttezza e buona fede, non può veder tutelata la sua legittima aspettativa alla stregua della tutela della “libertà di autodeterminazione negoziale” di un soggetto privato (15), in quanto è chiamata a muoversi all’interno di un quadro procedimentale rigorosamente predeterminato. Pertanto “perché possa dirsi lesa l’aspettativa qualificata della pubblica amministrazione è necessario che il privato abbia “rafforzato colpevolmente” la fiducia dell’Amministrazione nel buon esito del procedimento, quindi, se la mancata stipula del contratto che consegua all’annullamento dell’aggiudicazione può costituire un fatto riconducibile a quello idoneo a far “scattare” i meccanismi speciali di tutela rinforzata previsti dal legislatore (la c.d. “garanzia a prima richiesta” ex art. 93, D. Lgs. n.50/2016), ma perché a ciò consegua anche il risarcimento degli ulteriori danni subiti (ad esempio dover procedere ad acquisizioni a costi notevolmente aumentati, impossibilità di analoghe acquisizioni a causa di imprevedibili sopravvenuti shortage) devono sussistere anche i rimanenti presupposti dell’illecito civile” (16). 13 Si veda in proposito, Cons. Stato, Sez. II, n.8546/2020. 14 Sulla rilevanza della categoria civilistica della correttezza (di cui all’art.1337 cod. civ.) che la permea tutti i segmenti in cui si articola il procedimento di gara nella sua interezza, essendo gli stessi, oltre che intrisi di aspetti pubblicistici e privatistici, sono tutti pur sempre teleologicamente orientati all’unico fine della stipulazione del contratto, cfr. Cons. Stato, Sez. II, 20 novembre n.7237/2020. 15 Nelle forme declinate da Cons. Stato, A.P., n.5/2018, in sintesi “libertà di autodeterminarsi liberamente nelle proprie scelte negoziali” . 16 Come da Cons. Stato, Sez. II, n.8546/2020 cit..
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lo sconto confidenziale Luca Paoles - Ufficio Organizzazione Regionale, Procedure Amministrative e Distribuzione Farmindustria
Gli sconti confidenziali: un beneficio per le imprese e la Pubblica Amministrazione
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empre più spesso i nuovi farmaci ottengono uno sconto cosiddetto “confidenziale” che non contrasta con gli obblighi di trasparenza a cui sono tenuti gli enti pubblici nelle procedure di acquisto. Si parla di confidenzialità dello sconto poiché, a valle dell’accordo tra AIFA ed imprese farmaceutiche in sede di negoziazione di prezzo e rimborso, le condizioni concordate vengono pubblicate in Gazzetta Ufficiale tranne appunto questo sconto. La divulgazione del prezzo finale, con tutta la scontistica, è comunque garantita dalla stessa AIFA che ne dà contezza ai servizi farmaceutici regionali. Le clausole di confidenzialità, che derivano da una normativa peculiare del nostro Paese, rispondono agli interessi sia dell’Amministrazione sia delle imprese farmaceutiche. La disposizione ha infatti effetti rilevanti nei riguardi della Pubblica Amministrazione, principio che è stato ribadito dal Consiglio di Stato, il quale sottolinea che l’interesse alla clausola di riservatezza costituisce anche un interesse pubblico “all’obiettivo perseguito da AIFA di ottenere prezzi più bassi per farmaci di regola assai costosi il cui onere è a carico del SSN” (Sentenza del 17 marzo 2017, n. 1213). Inoltre le imprese vedono tutelate le informazioni commerciali riservate che costituiscono un patrimonio aziendale, salvaguardando la legittima proprietà intellettuale, volano fondamentale per garantire la ricerca e lo sviluppo di nuovi farmaci. La confidenzialità della scontistica rappresenta quindi uno strumento a favore dell’efficienza del SSN nel suo complesso vincolandone, al contempo, tutti i soggetti che ne fanno parte. Questo reciproco beneficio può venir meno con la pubblicazione delle specifiche di aggiudicazione sui
siti delle Stazioni Appaltanti regionali o negli albi pretori degli Enti Sanitari. La tutela della confidenzialità di sconti ed obblighi di trasparenza degli esiti di gara è peraltro ribadita non solo dalla giurisprudenza, ma anche dalla stessa normativa sugli appalti. L’articolo 98 del Codice degli Appalti, che ricalca quanto già stabilito all’art. 53 del medesimo Codice, prevede infatti che talune informazioni relative all’aggiudicazione dell’appalto, o alla conclusione dell’accordo quadro, possano non essere pubblicate qualora la loro divulgazione ostacoli “l’applicazione della legge, sia contraria all’interesse pubblico, pregiudichi i legittimi interessi commerciali di un particolare operatore economico, pubblico o privato, oppure possa arrecare pregiudizio alla concorrenza leale tra operatori economici”. Colto il bisogno di chiarezza delle Amministrazioni Pubbliche, le aziende farmaceutiche hanno da tempo avviato un’azione di divulgazione nei confronti delle Stazioni Appaltanti Regionali a tutela della confidenzialità. La sensibilità sul tema è aumentata e anche Consip, nella sua veste di fornitore del Sistema Dinamico di Acquisizione (SDAPA), ha introdotto la possibilità per gli Enti di oscurare il prezzo netto di aggiudicazione ed intende inoltre tutelare la confidenzialità nei report che trasmette agli Enti che adottano lo SDAPA. Qualche difficoltà si incontra ancora con alcuni Enti sanitari. Proprio a questi ultimi si rivolge la richiesta di dialogare con il settore farmaceutico, forti dei risultati ottenuti dal confronto con le Stazioni Appaltanti Regionali e nazionale. A tal fine può essere utile segnalare i numerosi momenti del processo di acquisto nei quali la confidenzialità dello sconto concordato con AIFA può venir meno (v. figura).
Colto il bisogno di chiarezza delle Amministrazioni Pubbliche, le aziende farmaceutiche hanno da tempo avviato un’azione di divulgazione nei confronti delle Stazioni Appaltanti Regionali a tutela della confidenzialità
lo sconto confidenziale !
Infine vale la pena di ricordare che, in caso di contenzioso, la norma che garantisce l’accesso agli atti non inficia la confidenzialità. Infatti il TAR Lazio ha ordinato la divulgazione di atti e documenti “con l’esclusione dei soli dati di spesa che possano rivelare l’esistenza e l’entità di sconti confidenziali coperti da clausole di riservatezza negoziati con l’AIFA, in violazione dei segreti commerciali ed industriali delle Aziende” (Sentenza 5962
del 13 maggio 2022). La delicatezza e l’importanza del tema conferma quindi il valore del confronto tra l’Amministrazione e le imprese. Confronto utile in generale, ancor più per temi che, come questo, possono essere chiariti a beneficio degli esiti delle procedure di acquisto dell’Amministrazione, degli operatori economici e, in definitiva, dei pazienti.
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Il management sanitario verso la sostenibilità economica: possibili strategie per ottimizzare le risorse in pronto soccorso
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Paesi occidentali industrializzati, negli anni, si trovano sempre più a fronteggiare la questione della sostenibilità economica e del mantenimento dell’equilibrio tra uniformità del sistema, organizzazione dei servizi sanitari e socio-sanitari, garanzie ai cittadini e qualità delle prestazioni erogate.1 Esperti di settore definiscono la sostenibilità dei servizi sanitari come “la capacità di un progetto di funzionare con efficacia, per il futuro prevedibile, con elevata copertura di trattamenti, integrato con i servizi sanitari disponibili, con forte senso di appartenenza della comunità utilizzando le risorse mobilitate dalla comunità e dal governo”. Inoltre, in un articolo relativo a un progetto dell’Università del Nebraska, Jemeton e McGuire affermano che “una sanità sostenibile è la combinazione di tre fattori chiave: un’assistenza di qualità fornita ai pazienti, un finanziamento fiscale responsabile ed un minimo impatto ambientale”.2 Secondo il Canadian Alliance for Sustainable Health Care 2014, la sostenibilità dell’assistenza sanitaria è “un equilibrio appropriato tra gli aspetti culturali, sociali ed economici dei servizi (dalla promozione della salute e prevenzione delle malattie al ripristino della salute e il sostegno alla fine della vita) progettati e prodotti per soddisfare i bisogni di salute e di assistenza delle persone e della popolazione, che consenta alle attività di continuare indefinitamente in futuro”.3 Al fine di garantire la qualità del servizio sanitario, assicurando la sostenibilità economica, è indispensabile l’adozione di politiche orientate all’ottimizzazione
delle risorse in termini di costi. In particolare, in tutti i Paesi, il Dipartimento d’Emergenza (DE) ricopre un ruolo vitale nel sistema sanitario, erogando prestazioni e servizi di diagnosi, cura e assistenza ai cittadini, 24 ore al giorno, 7 giorni alla settimana e fungendo da rete di sicurezza nel contesto di area critica. Frequentemente, i Pronto Soccorso (PS) sono sovraffollati, soprattutto per la loro caratteristica di fornire assistenza a qualsiasi paziente che richieda un trattamento; a questo, si aggiunge la scarsità dei medici di medicina generale, la bassa cultura sanitaria e la convenienza degli utenti sia in termini economici che temporali (rapidità di presa in carico e trattamento). In merito a quest’ultimo aspetto, è stato condotto uno studio tra gli utenti in codice triage bianco e verde presso il Pronto soccorso di Forlì. Il 23,5% di essi dichiarano che il motivo principale di accesso è la comodità in termini di velocità delle prestazioni e orari di apertura, solo l’11,8% conosce l’Unità di Cure Primarie, il 40% conosce il Servizio di Continuità Assistenziale, il 35,3% ha attribuito al proprio problema il codice giallo ed infine, il 60,8% dei partecipanti accetterebbe l’assistenza infermieristica. Tutti questi fattori giocano un ruolo fondamentale nell’abuso del pronto soccorso.4 Da qui, la necessità di promuovere interventi volti alla prevenzione degli accessi evitabili al pronto soccorso, in un’ottica di distribuzione ottimale delle risorse e riduzione della spesa. A tal proposito, nonostante una sempre più crescente attenzione ai costi del DE, la letteratura presenta sorprendentemente pochi
In Italia, le strutture di pronto soccorso assorbono circa il 4-4,5% della spesa ospedaliera complessiva che, a sua volta, incide nella misura del 44% sulla spesa sanitaria
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www.ospedalesicuro.eu/attachments/article/390/sostenibilità_sistema_sanitario.pdf Gardini A. La definizione della sostenibilità in sanità. QA. 2010; 20(4):131-8. Carradori T. Sanità e sostenibilità, uscire da un approccio contingente e reattivo. 23° Congresso Nazionale SARNePI. Ferrara 2019. Annese F. Et al. Studio osservazionale sugli accessi non urgenti in Pronto Soccorso. Scenario. 2019; 36(3):21-5.
criticità del pronto soccorso studi che forniscono una valutazione completa di tale fenomeno nel tempo, correlando la spesa a variabili dinamiche di salute e socio-demografiche della popolazione. I costi del Dipartimento d’Emergenza nel Sistema Sanitario Mondiale Nel 2016, negli Stati Uniti la spesa si è contestualizzata in più di 3,3 trilioni di dollari per l’assistenza sanitaria, circa 10.348 dollari a persona, aumentando la spesa del 4,3% rispetto all’anno precedente e rappresentando il 17,9% del PIL complessivo. Tale incremento è correlato ai costi per i servizi sanitari, le cure ospedaliere, l’invecchiamento della popolazione, le assicurazioni e l’ampliamento della copertura attraverso l’Affordable Care Act; dall’entrata in vigore di quest’ultima, il Dipartimento della Salute e Servizi alla persona ha stimato che più di 20 milioni di cittadini erano assicurati all’inizio del 2015 aumentando in modo significativo la pressione sull’intero sistema.5 Nel dettaglio, tra il 2006 e il 2016, la percentuale della spesa sanitaria statunitense attribuibile al Dipartimento di Emergenza rispetto alla spesa complessiva è aumentata dal 3,9% al 5%, con un tasso di variazione nei dieci anni del 4,4%. I motivi di accesso in Pronto Soccorso, che incrementano maggiormente i costi, sono attribuibili agli incidenti stradali, malattie urinarie e cadute rappresentando il 14,1% del totale.6 Uno studio del Progetto HOPE ha stimato che dal 13% al 27% di tutte le visite al pronto soccorso negli Stati Uniti potrebbero essere gestiti in ambienti alternativi, con un potenziale risparmio sui costi di circa 4,4 miliardi di dollari all’anno.7 Nello specifico, le realtà territoriali di alta qualità come le cure primarie, gli ambulatori medici e i centri di cure urgenti, che hanno un costo dalle 10 alle 12 volte inferiore rispetto al DE, potrebbero trattare in modo sicuro ed efficace diverse condizioni comunemente curate in PS, come la bronchite, tosse, vertigini, influenza, mal di testa, lombalgia, nausea, mal di gola e infezioni delle vie respiratorie superiori, con una riduzione di due terzi delle visite ogni anno. In particolar modo, negli Stati Uniti, il pronto soccorso risulta essere necessario solo per 27 milioni di visite su 46 milioni complessive annuali. Le spese più elevate nei dipartimenti d’emergenza ospedalieri derivano in parte da risorse strutturali e tecnologiche-strumentali 5 6 7 8 9 10 11 12
come laboratorio analisi, patologia clinica e servizi di radiologia8 e in parte da alcune patologie specialistiche come quelle oculari e quelle legate ai traumi pediatrici. Infatti, i costi relativi alle visite oculistiche nei PS Statunitensi, ammontano a 2 miliardi di dollari. Dai dati raccolti nel periodo che va dal 1 gennaio 2006 al 31 dicembre 2011 emerge che solo il 41,2% di esse risultano urgenti, mentre il 44,3% non urgenti ed il restante 14,5% non determinabili.9 Riguardo le visite in PS per infortuni dei bambini di età pari o inferiore a 19 anni, nel 2015 la spesa calcolata è stata di 18,3 miliardi di dollari. Questi costi includono la visita iniziale, il trasporto di emergenza, le visite di follow-up, i farmaci e le quote di assicurazione e amministrazione dei sinistri.10 La spesa nel dipartimento d’emergenza non risulta aumentata soltanto negli USA ma anche in altre realtà sanitarie. Nel contesto canadese, anche se gli accessi in PS ogni 1.000 abitanti sono rimasti relativamente stabili nel periodo di 5 anni dal 2014 al 2019, i costi dei servizi di emergenza rispetto alla spesa sanitaria totale appaiono progressivamente aumentati, dal 3,81% nel 2005-2006 al 4,46% nel 2017-2018, per poi scendere leggermente al 4,44% nel 2018-2019, con una crescita media annua pari al 4%. Poiché una visita al PS coinvolge molte altre aree dell’ospedale (diagnostica per immagini, servizi di pulizia e di amministrazione ecc.), i costi risultano ancor più incrementati; in particolar modo, tra le prestazioni ad elevato impatto economico vi sono la chemioterapia, la gestione e il trattamento di problemi digestivi, la cura delle malattie di salute mentale, di patologie senologiche e della cute, di sindromi dell’apparato respiratorio e del dolore toracico non ancora diagnosticato.11 Nella realtà australiana, un importante problema di salute pubblica con un notevole impatto sull’organizzazione e sulla spesa attribuibile al dipartimento d’emergenza, è rappresentato dal fenomeno del cambiamento climatico che sta comportando un significativo incremento della temperatura ambientale. Ciò ha determinato, nella regione occidentale di Perth, nel periodo 2012-2019, un costo sanitario pari a 2,9 milioni di dollari australiani, aumentando dal 4,1% al 4,6% nel 2010, con una previsione che va dal 5% al 6,3% e dal 4,4% al 5,6% rispettivamente per gli anni 2030 e 2050.12
Bhatnagar A. Et al. Preventing unnecessary emergency room visits to reduce health care costs. Fractal Intelligence for Imagination. 2017. Scott KW. Et al. Healthcare spending in U.S. emergency departments by health condition, 2006–2016. PLoS ONE. 2021;16(10):e0258182. Weinick RM. Et al. Many emergency department visits could be managed at urgent care centers and retail clinics. Health Affairs. 2010;29(9):1630-6. 18 Million Avoidable Hospital Emergency Department Visits Add $32 Billion in Costs to the Health Care System Each Year. 2019. www.unitedhealthgroup.com/primarycare. Channa R. Et al. Epidemiology of Eye-Related Emergency Department Visits. JAMA Ophthalmol. 2016;134(3):312-9. The Medical Costs of Childhood Injuries: Emergency Department Visits. 2015. www.cdc.gov/ncipc.wisqars. Canadian Institute for Health Information. Hospital Spending: Focus on the emergency department. 2020.www.cihi.ca. Tong MX. Et al. Emergency department visits and associated healthcare costs attributable to increasing temperature in the context of climate change in Perth, Western Australia, 2012–2019. Environ. 2021;16: 065011.
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criticità del pronto soccorso
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L’impatto del Sistema Emergenza-Urgenza sulla spesa sanitaria nazionale Negli ultimi 10 anni in Italia i Pronto Soccorso sono diventati per i cittadini un punto di riferimento per qualsiasi problema di carattere sanitario o sociale (per lo più non urgente) non risolvibile in tempi brevi presso le strutture sanitarie presenti sul territorio. Ciò ha condizionato pesantemente l’attività degli stessi, aumentando i tempi di attesa medi e non garantendo una corretta distribuzione delle risorse umane, strutturali ed economiche. A tal proposito, l’OCSE sottolinea la correlazione tra il fenomeno del sovraffollamento e la riduzione dei posti letto ospedalieri a cui si associa un insufficiente potenziamento delle cure domiciliari e residenziali, andando così ad incidere notevolmente sulla spesa sanitaria attribuibile al DE.13 In Italia, le strutture di pronto soccorso assorbono circa il 4-4,5% della spesa ospedaliera complessiva che, a sua volta, incide nella misura del 44% sulla spesa sanitaria. 14 Dalla letteratura emerge, per esempio, come il costo diretto totale dell’ipoglicemia severa in pazienti con diabete è di circa 23 milioni di euro all’anno. I costi delle cure di emergenza sono stati calcolati nel periodo tra gennaio 2011 e giugno 2012 in 46 DE, prendendo in considerazione il costo medio per il servizio di ambulanza, la presa in carico in PS e il periodo di osservazione a breve termine (<24h). Su un totale di 3516 episodi ipoglicemici che si sono verificati in soggetti con diabete, il 51,8% dei casi ha richiesto l’intervento del servizio di emergenza territoriale 118, il 49,8% è stato dimesso dopo la visita in PS, il 17,2% ha ricevuto un periodo di osservazione a breve termine ed infine il 33% è stato ricoverato in una unità operativa. I costi per la gestione delle emergenze sono stati stimati in 205 euro per una chiamata in ambulanza, 23 euro per una visita al pronto soccorso e 220 euro per un’osservazione a breve termine. La spesa media per ricovero è stata stimata a 5317 euro; complessivamente, il costo medio per ogni evento ipoglicemico grave è di circa 1911 euro. Dunque, l’ipoglicemia grave nei pazienti con diabete costituisce un notevole onere economico per i sistemi sanitari nazionali. Le misure per prevenirla dovrebbero essere obbligatorie nei programmi di gestione del diabete considerando l’impatto sui pazienti e sulla spesa sanitaria.15 Tra i pazienti pediatrici emerge che chi usufruisce mag-
giormente del PS, pur rappresentando solo l’8% del numero totale degli accessi, costituisce il 19% dei costi complessivi.16 Dato l’impatto di tali problematiche sulla spesa sanitaria globale, si dovrebbero attuare degli interventi per favorire la gestione al di fuori del DE, al fine di ottimizzare le risorse. La riduzione dei costi e l’implementazione di strategie correttive: la letteratura scientifica a supporto delle scelte Una proposta di soluzione per ridurre l’utilizzo del DE in condizioni non urgenti suggerisce di sviluppare un sistema che identifichi le caratteristiche principali di chi si rivolge in PS per motivi evitabili e poi di progettare interventi specifici per prevenire accessi inadeguati futuri. Per identificare le visite improprie, in uno studio americano, si propone l’utilizzo dell’algoritmo NYU ED che classifica le cure in: evitabili (non è necessaria un’assistenza entro 12 ore), trattabili (assistenza entro 12 ore risolvibile con cure primarie), urgenti-necessarie ma prevenibili e/o evitabili (cure ambulatoriali) e urgenti- necessarie (trattamento in PS). Sulla base dei dati ottenuti, si è elaborato un modello predittivo, il cui risultato ha evidenziato il 50% degli accessi inappropriati, in base a delle variabili: condizioni di comorbilità, storia di uso frequente del pronto soccorso, condizioni comportamentali come abuso di droghe o sostanze e altre dipendenze, depressione e altri disturbi bipolari, alcuni gruppi etnici, bassi livelli di istruzione e obesità ed altro. Sono stati successivamente identificati gli interventi sulle categorie di popolazione individuate, suddividendoli in due gruppi: interventi noti e interventi derivati dalla ricerca scientifica.17 Inoltre, per valutare l’efficacia degli interventi volti a ridurre l’uso frequente del DE, negli USA, sono state identificate tre categorie di azione: Case Management, piani di cura individualizzati e condivisione delle informazioni. Tra i tre, il Case Management ha prodotto maggiormente risparmi sia in termini di accessi in PS sia in termini di costi sanitari.18 Differentemente da tale risultato, in Svizzera, il Case Management non ha mostrato alcuna riduzione significativa dei costi associati alle prestazioni erogate né per l’azienda sanitaria né per l’ente assicurativo.19 Un’ulteriore modello attuato nella realtà sanitaria canadese ha utilizzato un database di cartelle cliniche elettroniche derivate dalle cure primarie, risultando predittivo riguardo gli acces-
13 Fornero G. Et al. La sanità costa, ma non averla costa di più. 2020. www.quotidianosanita.it. 14 Ameri M. Et al. Pronto soccorso e spesa sanitaria regionale. Politiche sanitarie.2011;12(4):190-8. 15 Veronese G. Et al. Costs associated with emergency care and hospitalization for severe Hypoglycemia. Nutrition, Metabolism & Cardiovascular Diseases. 2016. 16 Di Bella E. Et al. Analisi socio-economica degli accessi ripetuti al pronto soccorso pediatrico: il caso dell’Istituto G. Gaslini di Genova. Studi Economici. 2016. 17 Bhatnagar A. Et al. Preventing unnecessary emergency room visits to reduce health care costs. Fractal Intelligence for Imagination. 2017. 18 Soril LJJ. Et al. Reducing Frequent Visits to the Emergency Department: A Systematic Review of Interventions. PLoS ONE. 2015;10(4). 19 Moschetti K. Et al. Health care costs of case management for frequent users of the emergency department: Hospital and insurance perspectives. PLoS ONE. 2018;13(9).
criticità del pronto soccorso si e i costi del dipartimento di emergenza.20 Analoga metodologia, applicata al contesto pediatrico italiano, ha rilevato i più significativi predittori socio-demografici e clinici degli utenti abituali del PS, identificando come tali l’età inferiore ai 12 mesi, l’etnia e le patologie croniche.21 Una strategia incentrata non sulla riduzione degli accessi evitabili in PS ma sulla modifica del metodo di finanziamento per il contenimento della spesa sanitaria è stata attuata dalla Polonia. Per il benchmarking sono stati utilizzati modelli sanitari della Repubblica Ceca, della Germania e della Lettonia. Si è evidenziato come il sistema sanitario tedesco, caratterizzato da una modalità di finanziamento che prevede un importo forfettario giornaliero sulla base delle prestazioni erogate, comporterebbe un miglioramento economico, ma nel contesto specifico polacco risulterebbe di difficile realizzazione. Al contempo, unico modello applicabile tra quelli verificati è il modello della Repubblica Ceca, che va ad aggiungere all’attuale sistema polacco basato su un importo standard forfettario giornaliero una compartecipazione da parte dei pazienti che si recano al PS e che non necessitano di ricovero. Tuttavia, tale modello non migliorerebbe significativamente la spesa sanitaria del Paese.22 In Italia, la normativa vigente prevede un rimborso basato sostanzialmente sul finanziamento della spesa storica, non prevedendo l’applicabilità di una modalità di rimborso sulla base di costi e fabbisogni standard.23 Ridurre le visite evitabili in pronto soccorso attraverso l’esecuzione e l’implementazione di programmi specifici è un problema complesso che richiede uno sforzo signi-
ficativo da parte di più organizzazioni ed una collaborazione multidisciplinare. Ad oggi, il Servizio Sanitario Nazionale italiano deve rispondere a necessità gestionali ed economiche sempre più complesse nel rispetto dei principi di universalità, solidarietà ed equità, garantendo la sostenibilità del sistema ed orientandosi principalmente al benchmarking, quale metodologia volta al miglioramento continuo della qualità dell’offerta. Francesca Ciarpella - Infermiera - Area Punti Vaccinali Covid - ASUR Marche Area Vasta n. 4 Stefano Marcelli - Direttore Attività Didattiche Professionalizzanti - CdL Infermieristica – ASUR Marche Area Vasta N.5 Renato Rocchi - Direttore - UOC Servizio Professioni Sanitarie - ASUR Marche Area Vasta N.4 Chiara Gatti - Coordinatrice Infermieristica - SOD Cardiochirurgia e Cardiologia Pediatrica e Congenita UTIP – AOU Ospedali Riuniti di Ancona. Isabella Baglioni - Tutor clinico di tirocinio – CdL Infermieristica - ASUR Marche Area Vasta N.4 Simona Tufoni - Tutor clinico di tirocinio – CdL Infermieristica - ASUR Marche Area Vasta N.4 Alessia Galli - Infermiera - SOD Pronto Soccorso – AOU Ospedali Riuniti di Ancona Fabio Toia - Infermiere – UOC Pronto Soccorso – ASUR Marche Area Vasta N.3 Arianna Mancini - Infermiera - UOC Medicina e Chirurgia d’Accettazione e D’Urgenza - Pronto Soccorso - ASUR Marche Area Vasta n. 4
20 Frost DW. Et al. Using the Electronic Medical Record to Identify Patients at High Risk for Frequent Emergency Department Visits and High System Costs. The American Journal of Medicine. 2017;130(5). 21 Di Bella E. Et al. Analisi socio-economica degli accessi ripetuti al pronto soccorso pediatrico: il caso dell’Istituto G. Gaslini di Genova. Studi Economici. 2016. 22 Tyranska-Fobke A. Et al. Searching for the Optimal Method of Financing Hospital Emergency Departments—Comparison of Polish and Selected European Solutions. International Journal of Environmental Research and Public Health. 2022. 23 Ameri M. Et al. Pronto soccorso e spesa sanitaria regionale. Politiche sanitarie.2011;12(4):190-8.
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Federazione Italiani Fornitori Ospedalieri in sanità
Sanità, aziende in crisi: a rischio le forniture ospedaliere. Lente d’ingrandimento di FIFO sulle pmi del comparto
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ltre 200 le piccole e medie imprese italiane rappresentate dalla Federazione Italiani Fornitori Ospedalieri in sanità (FIFO), da qui un’analisi ampia del settore che mette a nudo le complessità che si trovano ad affrontare decine di imprenditori italiani. Una azienda su 5 è a rischio chiusura, questo il grido d’allarme della Federazione, aderente a Confcommercio, frutto di un’indagine interna sviluppata nei primi del 2022. Le recenti modifiche normative hanno tamponato solo temporaneamente alcune delle difficoltà in cui versano le aziende. Negli ultimi 12 mesi le aziende hanno registrato, nel 96% dei casi, un aumento di costi non imputabile a fattori di gestione interna. E questo sta mettendo a serio rischio la tenuta del comparto. Più volte, la Federazione ha sottolineato come queste difficoltà si riversino direttamente sulla salute dei cittadini e la qualità delle cure da dedicare ai pazienti. Il sistema sanitario italiano è già stato messo a dura prova negli ultimi due anni e le criticità dei fornitori ospedalieri potrebbe amplificare gli effetti negativi di un settore già compromesso. L’aumento dei costi varia da un +10% registrato, ad esempio, per gli imballaggi, ad incrementi di oltre il 100% per le imprese che fanno import/export e utilizzano trasporti di merce intercontinentali. “Dopo due anni di pandemia - dichiara Massimo Riem, presidente FIFO Sanità - questa ulteriore criticità potrebbe mettere seriamente a rischio la sanità pubblica e privata. Senza una strategia
adeguata, con strumenti correttivi ad hoc, le imprese del comparto andranno incontro al collasso, mettendo in pericolo la fornitura di dispositivi medici per ospedali e cliniche private”. Ed è proprio il Codice degli Appalti a generare difficoltà che invece potrebbe risolvere attraverso una visione d’insieme e un confronto Istituzioni-aziende. Secondo l’attuale normativa, le aziende che stipulano un contratto con l’ente pubblico per una fornitura ospedaliera non possono adeguare i prezzi una volta aggiudicata la gara. Soprattutto negli ultimi 12 mesi, come visto, le imprese in questione hanno registrato significativi aumenti di costi di produzione imputabili a fattori esterni. Di fatto, centinaia di pmi italiane si sono ritrovate con prezzi di vendita bloccati a gara conclusa e costi di produzione che hanno spesso azzerato i margini di guadagno. Qualcosa è stato fatto, grazie alla revisione del Codice che prevede di adeguare i prezzi di vendita ai costi reali delle materie a gara aggiudicata da gennaio 2022, ma tale revisione non è retroattiva e pertanto non valida per diverse gare già aggiudicate prima della modifica. Questo ha evidentemente messo in difficoltà le imprese aggiudicatarie che si trovano a dover assottigliare sempre di più i propri margini di profitto, vendendo talvolta a prezzo di costo (o anche meno). La Federazione ha affrontato questo ed altri temi sensibili in occasione di Exposanità a Bologna che si è tenuta nei giorni 11, 12 e 13 maggio. L’avvocato Antonella Favale, in rappresentanza di FIFO Sanità, ha esposto le criticità delle aziende
La revisione del Codice prevede di adeguare i prezzi di vendita ai costi reali delle materie a gara aggiudicata, da gennaio 2022, ma tale revisione non è retroattiva e pertanto non valida per diverse gare già aggiudicate prima della modifica
Federazione Italiani Fornitori Ospedalieri in sanità del settore discutendone con altri relatori della tavola rotonda “Dispositivi medici e procurement”. “Dal dibattito - dichiara l’avvocato Favale - è emerso ancora una volta che tutte le parti in causa nel mercato siano d’accordo sulla necessità di una strategia di lungo periodo per arginare le criticità del settore dei fornitori ospedalieri. Ma nonostante gli sforzi profusi dai protagonisti del mercato, è spiacevole constatare una concreta cecità della classe politica che avrebbe nell’attuale codice normativo già una serie di soluzioni pratiche alle difficoltà delle pmi italiane operanti in sanità. È ormai urgente un confronto tra i decisori politici e le aziende, che compongono questo settore, affinché siano comprese alla radice le motivazioni che hanno portato alla crisi di un comparto che ha sempre rappresentato un’eccellenza italiana”. Il presidente Massimo Riem evidenzia come la fornitura di beni e servizi ospedalieri delle pmi italiane impatti direttamente sulla vita quotidiana delle persone. “La Sanità pubblica rappresenta un asset per un Paese civile come l’Italia e non può prescindere dalla salute delle aziende che la supportano attraverso la fornitura di beni e servizi. In piena pandemia, insieme a medici, infermieri e operatori sanitari, un enorme contributo lo hanno dato proprio le aziende che compongono questo settore sostenendo la sanità e garantendo performance migliori da offrire al paziente in un momento drammatico”. Ora il settore dei fornitori ospedalieri si trova in difficoltà per una serie di circostanze non imputabili alle stesse aziende. Il contesto socio-economico è mutato radicalmente e il presidente Riem ribadisce la necessità strategica di adeguare il sistema normativo al nuovo quadro storico:
“Tanti fattori stanno incidendo sulle gare d’appalto che coinvolgono centinaia di pmi italiane. Dobbiamo ragionare su un nuovo modello di approvvigionamento di prodotti e servizi caratterizzato da una forte elasticità. Non possiamo più pensare di adottare il sistema rigido della normativa attuale, quando le condizioni economiche mutano a cadenza ormai trimestrale. Pensiamo solo ai prezzi bloccati per le forniture di prodotti e servizi a tre anni, con l’aumento esponenziale dei costi di gestione, dell’energia e delle materie che stanno registrando le aziende. È impensabile mantenere un prezzo di vendita invariato con differenze di costi di approvvigionamento così diversi da un anno all’altro”. Se è pur vero, però, che il comparto sanità ha bisogno di una visione comune interstatale almeno nel contesto europeo, è altrettanto vero che questo settore non può essere accomunato ad altri. “Gli appalti per la sanità e per la costruzione dei ponti non possono avere gestioni univoche - prosegue il presidente di FIFO - perché presuppongono caratteristiche e necessità estremamente differenti. Per questo serve una revisione del Codice con implementazioni per gli specifici settori”. “La sanità italiana - conclude Riem – è, e resta, un’eccellenza a livello mondiale. Non può essere vista come un’attività di ripiego, ma quale asse portante per un Paese evoluto. Noi come FIFO Sanità continueremo ad essere al fianco delle piccole e medie imprese del settore. Oggi rappresentiamo più di 200 aziende in tutta Italia e ci siamo posti traguardi estremamente ambiziosi per il medio-lungo periodo: entro il 2024 vogliamo arrivare a oltre 500 aziende rappresentate, costituendo ASFO territoriali in tutte e 20 le regioni”.
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AZIENDE INFORMANO
Ausili assorbenti, Accordo Quadro: la possibile soluzione a tante criticità apparentemente insuperabili
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a scelta di un ausilio assorbente dovrebbe essere quanto più oggettiva possibile e non dovrebbe prescindere da parametri fondamentali quali la corretta taglia, il livello di assorbenza (strettamente correlato al livello di incontinenza) e la compatibilità cutanea. Solo rispettando almeno questi tre parametri l’ausilio assorbente diventa un dispositivo in grado di garantire l’autonomia e qualità di vita che chi lo indossa dovrebbe poter avere e mantenere. Sarebbe di grande importanza quindi che ogni utilizzatore potesse scegliere liberamente il prodotto più adeguato ai suoi bisogni. Nella realtà invece si osservano continue criticità nelle forniture di questi ausili, che inevitabilmente si riflettono sui pazienti fruitori, principalmente a causa del fatto che il SSN acquista tramite procedure di gara volte a identificare un unico fornitore. Questa modalità porta ad acquisire e distribuire forniture che non sempre rispecchiano le reali esigenze dell’utenza. Servirebbe invece appropriatezza nella prescrizione, fondata sulle necessità degli incontinenti, che porterebbe alla variazione del numero di pezzi, della tipologia e del livello di assorbenza dei prodotti. Bisognerebbe a questo punto spostare il discorso sulle modalità di acquisto di questi dispositivi medici; l’attuale valutazione non garantisce l’erogazione di una prestazione sanitaria appropriata. A questo proposito abbiamo chiesto al Prof. Marzio
Angelo Zullo - Responsabile UOS Chirurgia del Pavimento Pelvico e Proctologia dell’Università Campus Bio-Medico di Roma e Presidente Aiug 2022 - qual è il ruolo dei medici nelle gare degli ausili ad assorbenza: “L’argomento è molto complesso perché tutto è in mano alle Regioni. In quasi la totalità delle regioni italiane, ad eccezione del Piemonte e del Veneto, le gare degli ausili ad assorbenza sono monofornitore e le aziende sanitarie faticano ad includere la classe medica all’interno delle commissioni di gara. Ancor oggi, purtroppo, il tutto si riduce a una scelta legata ai costi, o per meglio dire per abbattere i costi, dimenticando spesso la quantità e la qualità del prodotto. Sui dispositivi la scelta dovrebbe essere molto più legata al paziente e, in questo contesto, la qualità e le performance del prodotto sono parametri che devono essere valutati da tecnici”. Aggiungiamo che al momento anche i controlli sulle forniture risultano inappropriati e ciò genera ulteriori costi indiretti, a causa di un maggior consumo di prodotti e della gestione di eventi avversi quali terapie legate alla cura di irritazioni della cute, infezioni, dermatiti, piaghe da decubito che potrebbero insorgere a causa della scarsa qualità del prodotto utilizzato. In questo contesto, il ricorso al consumo privato da parte dell’utenza è spesso una scelta obbligata. Da una ricerca condotta da Cergas Bocconi, il Servizio Sanitario Nazionale eroga il 66% degli ausili assorbenti complessivamente scambiati sul mercato; con
Le gare stipulate in Accordo Quadro prevedono l’individuazione di un numero prestabilito di fornitori accreditati tra cui l’utente può scegliere fino a concorrenza del tetto di spesa assegnatogli in base al livello di incontinenza
AZIENDE INFORMANO un investimento di 355,1 milioni di euro, pari al 56% della spesa totale. La spesa out of pocket, invece, pari al 44% del totale della spesa per ausili assorbenti, è pari a 283,1 milioni di euro. In termini di volumi ciò significa che circa un terzo dei prodotti è acquistato direttamente dagli utenti. A renderlo noto è anche Pier Raffele Spena, presidente FAIS al quale abbiamo chiesto se la soluzione potrebbe trovarsi nell’apertura del mercato magari applicando le regole dell’Accordo Quadro. “Tutte le associazioni dei pazienti sostengono un’apertura del mercato affinché ad ogni persona possa essere garantita la scelta almeno tra due prodotti. Una gara multifornitore sarebbe nell’interesse collettivo perché, individuare il presidio più appropriato, può alleggerire anche i costi del sistema. Un ausilio non appropriato può complicare la condizione di salute dell’utente finale, ad esempio, a livello dermatologico. Ne consegue che la persona potrebbe ritrovarsi in una situazione in cui necessita di ulteriori terapie per la cura della problematica insorta e questo porterebbe all’incremento di costi che, talvolta, potrebbero risultare superiori rispetto alla scelta di una fornitura appropriata. Questi aspetti non vengono quasi mai presi in considerazione dai decisori interessati soprattutto al risparmio nel breve periodo”. Tornando al punto: un buon dispositivo, anche se apparentemente più caro, produce nel tempo un vero risparmio. Questo aspetto potrebbe rendere interessante una riorganizzazione dell’acquisto degli ausili assorbenti, cerchiamo insieme qualche spunto da suggerire a chi poi nella pratica deve fare gli acquisti. Sarebbe per esempio auspicabile ricorrere ad una consultazione preliminare di mercato (ex art. 66 del Codice degli Appalti) aperta
anche alle Associazioni rappresentative dei diritti dei cittadini e dei pazienti. In particolare, l’opinione di questi ultimi potrebbe apportare un reale valore aggiunto per l’individuazione dei veri bisogni da soddisfare. Per ovviare a questo gap sistemico, è necessario ampliare l’offerta a disposizione dei pazienti e lasciarli liberi di scegliere sulla base di una molteplicità di fornitori accreditati attraverso, per esempio, il modello dell’Accordo Quadro. Le gare stipulate in Accordo Quadro prevedono l’individuazione di un numero prestabilito di fornitori accreditati tra cui l’utente può scegliere fino a raggiungimento del tetto di spesa assegnatogli sulla base del suo livello di incontinenza. Questo cambio di paradigma garantirebbe: • appropriatezza degli ausili; • copertura completa dei bisogni attraverso la libera scelta di prodotti di qualità standard; • contenimento della spesa; • regolazione del prezzo di ciascun prodotto fornito dai soggetti accreditati differenziato in base alla qualità dello stesso; • competizione sulla qualità (ogni azienda accreditata avrà interesse ad offrire un prodotto di qualità elevata affinchè possa essere scelto). Alcune Regioni, come il Piemonte e il Veneto, stanno valutando di stipulare gare in Accordo Quadro e alla creazione dei Centri di 1°, 2° e 3° livello e dei PDTA per la governance della persona incontinente. Questo permetterebbe anche la presa in carico completa dei pazienti con la consulenza di esperti per l’appropriatezza degli ausili e la totale copertura dei bisogni attraverso la libera scelta di prodotti di qualità standard.
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gli esperti rispondono Monica Piovi e Piero Fidanza
La mancata dichiarazione di un decreto penale di condanna Un nostro lettore chiede di sapere se la mancata dichiarazione di un decreto di condanna da parte di un concorrente comporti l’esclusione dalla gara
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l tema della rilevanza del decreto penale di condanna ai fini del giudizio di affidabilità di un operatore economico partecipante alla gara pubblica è stato recentemente affrontato dal Consiglio di Stato, sez. III, con sentenza del 18.03.2022, n. 1977. La questione di fondo attiene alla corretta perimetrazione dell’obbligo dichiarativo che grava sull’operatore economico in sede di gara allorquando sussista a suo carico un decreto penale di condanna, anche se opposto. In particolare, la problematica sorge a causa della natura “non definitiva” del decreto penale opposto, caratterizzato, cioè, da un accertamento sommario e privo di contraddittorio, a cui, in quanto tale, risulta impossibile ricollegare effetti vincolanti. Orbene, nella fattispecie da cui ha origine la sentenza in commento, il Giudice di primo grado, rifacendosi ad un precedente giurisprudenziale (Tar Piemonte, sez. I, 14.05.2019, n. 576), ha ritenuto che l’omessa dichiarazione di decreti penali di condanna opposti ai sensi dell’art. 464, comma 3, c.p.p. non avrebbe avuto rilevanza ai fini dell’esclusione del concorrente dal momento che l’opposizione avrebbe comportato “la revoca automatica del decreto penale, rendendolo tamquam non esset e demandando al successivo giudizio di opposizione l’accertamento del fatto di reato” (Tar Piemonte, sez. I, 19.07.2021, n. 746). In breve, il Giudice di prime cure ha equiparato il decreto penale di condanna opposto alla mera pendenza di un procedimento penale, nei confronti della quale non sussiste alcun obbligo dichiarativo per i concorrenti. D’altra parte lo stesso 80, comma 1 del D.Lgs. n. 50/2016 stabilisce che il decreto penale di condanna è causa di obbligatoria esclusione — sempre
che riguardi i reati di cui al comma 1 e i soggetti di cui al comma 3 — solo quando è “divenuto irrevocabile”. Tuttavia, di diverso avviso è stato il giudice di Palazzo Spada, che, nell’ottica di garantire la massima trasparenza e di consentire alla Stazione Appaltante di avere tutte le informazioni necessarie per compiere un concreto ed effettivo giudizio di affidabilità del concorrente, ha ritenuto riconducibile la fattispecie nell’alveo dell’art. 80, comma 5, in particolare della lettera c). Invero, senza negare la natura giuridica del decreto penale opposto, considerato equipollente ad un mero procedimento penale pendente, ha sottolineato come esso costituisca un elemento fattuale rilevante nell’ambito della valutazione di affidabilità del concorrente condotta dalla Stazione Appaltante, a cui “dev’essere rimessa ogni decisione in ordine alla “significatività” di tale elemento, letto anche alla luce degli elementi indiziari che caratterizzano l’ipotesi accusatoria, nonché degli altri elementi aliunde eventualmente acquisiti dalla stessa Amministrazione”. In conseguenza di ciò, il Consiglio di Stato ha ritenuto di dover disporre l’annullamento dell’aggiudicazione e la riapertura di una fase procedimentale finalizzata all’apprezzamento, da parte dell’Amministrazione, del fatto oggetto di decreto penale, ed alla sua incidenza sul giudizio di attendibilità e affidabilità del concorrente. In definitiva, per rispondere al quesito posto, i decreti di condanna, anche se opposti, debbono essere dichiarati in gara, essendo riconducibili a quei mezzi adeguati a fondare un giudizio di affidabilità ed integrità del concorrente.
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