TEME 11-12/2023

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11/12.23

L’EFFICIENZA DIFFICILMENTE PASSA INOSSERVATA. Un partner unico per soluzioni integrate di facility

TEME - TECNICA E METODOLOGIA ECONOMALE

BIMESTRALE DI TECNICA ED ECONOMIA SANITARIA

ROBERTA TAURINO

LA SFIDA PER LA SANITÀ DEL TERZO MILLENNIO SI COMBATTE CON IL GDPR E…MOLTA ATTENZIONE AL BINOMIO DATA PROTECTION E CYBERSECURITY, PER LA TUTELA DEI DATI SANITARI ROSAMARIA BERLOCO

IL NUOVO CODICE DEI CONTRATTI PUBBLICI ED IL RAPPORTO CON L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE

ISSN 1723-9338

G. CERESETTI E P. PELLICCIA

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LA “REINTERNALIZZAZIONE” DEI SERVIZI SANITARI: LE ESIGENZE DI TUTELA DELLA SALUTE METTONO ALLA PROVA LE PROCEDURE DI AFFIDAMENTO E LA DISCIPLINA DEL PERSONALE DEL SSN


CONSULENZA GIUSLAVORISTICA Il nuovo Codice degli Appalti prevede il principio di applicazione del CCNL che introduce l’obbligo per la Stazione Appaltante e per l’Ente concedente di indicare, negli atti di gara, il CCNL applicabile al personale dipendente impiegato nell’appalto o nella concessione

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COME FUNZIONA?

Individuare il CCNL da applicare in funzione della specifica procedura di gara

XII CONVEGNO

Una volta individuato l’aggiudicatario, fornire assistenza e supporto al cliente per la fase di esecuzione

A più di un anno dall’entrata in vigore del nuovo codice dei contratti pubblici, a che punto è la transizione verso un procurement più evoluto?

Un dibattito aperto su : - innovazione - digitalizzazione - creazione di valore e qualità - centralizzazione - stazioni appaltanti e mercato Un evento di

In collaborazione scientifica con

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Segreteria organizzativa

Federazione

Associazioni Regionali ® delle degli Economi e Provveditori

®

della Sanità

Federazione delle Associazioni Regionali degli Economi e Provveditori della Sanità

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sommario novembre-dicembre 2023

editoriale

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Un saluto dal nuovo Presidente della FARE, Adriano Leli

articoli sanità digitale La sfida per la sanità del terzo millennio si combatte con il GDPR e… molta attenzione al binomio data protection e cybersecurity, per la tutela dei dati sanitari intelligenza artificiale 10 Il nuovo Codice dei contratti pubblici ed il rapporto con l’intelligenza artificiale value based procurement process 12 Procurement sostenibile. Una roadmap per generare valore normazione 16 La “reinternalizzazione” dei servizi sanitari: le esigenze di tutela della salute mettono alla prova le procedure di affidamento e la disciplina del personale del SSN normazione 24 Contratti Pubblici: Responsabilità precontrattuale della P.A. e termini di conclusione delle procedure di affidamento alla luce del D.Lgs. 36/2023 acquisti basati sul risultato 28 Acquisti basati sul Risultato: Prospettive di sviluppo in Italia i caregiver e il COVID-19 34 Lo stress test del Sars-Cov2: la valutazione del burden of care sociale, emotivo e finanziario igiene degli impianti aeraulici 40 Igiene degli impianti aeraulici, una cultura che deve ancora essere più diffusa dalle associazioni 42 Gianluigi Cammarata: ho scritto al Presidente ANAC Busia un mio suggerimento IX Corso di formazione FARE 43 IX Corso di Alta Formazione 2022/23 per Funzionari e Dirigenti in Sanità 4

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gli esperti rispondono 47 Sulla possibile attivazione del soccorso istruttorio in caso di omesso o tardivo pagamento del contributo dell’ANAC 48 focus

Le foto all’interno sono di Dario Marelli

Nato a Milano dove attualmente vive e lavora come graphic designer. La fotografia, come espressione di immagine, lo ha accompagnato negli studi per diventare successivamente una delle sue armi di lavoro ed irrompere appieno nel suo tempo libero. Ha sempre avuto un amore per la natura e la sua arte con tutti quegli aspetti che la stessa può regalare. La fotografia paesaggistica è quella che più narra il suo stile di vita.

Tecnica e metodologia economale Bimestrale di tecnica ed economia sanitaria fondato nel 1962 per l’aggiornamento professionale degli economi e provveditori della Sanità. ISSN 1723-9338 Organo ufficiale della FARE Federazione delle Associazioni Regionali Economi e Provveditori della Sanità

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editoriale Adriano Leli - Presidente FARE

Un saluto dal nuovo Presidente della FARE, Adriano Leli

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rmai è già storia: il XXII Congresso F.A.R.E. ha eletto il 12° Presidente della Federazione, l’Ing. Adriano Leli, Direttore generale di Intercent-ER. Questi sono stati i titoli dei comunicati di quei giorni e io non voglio e non posso in nessun modo celare la grande soddisfazione che ho provato perché l’elezione alla presidenza della FARE, oltre ad aggiungere un altro significativo tassello al mio percorso professionale, che proprio in questo periodo sta vivendo una fase importantissima, mi offre la possibilità di poter dialogare e guidare l’intero tessuto professionale che raccoglie un po’ tutti coloro che lavorano nell’ambito degli acquisti della Sanità. Questo nuovo incarico oltre a farmi provare, sin da subito, una carica interiore fortissima, mi suscita un profondo senso di responsabilità perché conosco bene le diverse e molteplici sfaccettature della nostra professione e ricordo ancora sulla pelle l’ansia di trovarmi, giorno dopo giorno, a dover decidere come applicare delle regole legislative che purtroppo spessissimo non sono né chiare né precise ma che sono quelle che gestiscono il mondo degli acquisti. Preso in mano il simbolico testimone della presidenza FARE, il mio pensiero è andato subito al Presidente uscente Salvatore Torrisi che mi ha consegnato, nonostante la pandemia che ha caratterizzato il suo mandato, una Federazione ben salda nel numero degli iscritti e sempre più pronta e proiettata a prendere la parola anche su tematiche altamente scientifiche. Conferma di ciò ci è stata data dal Congresso di Roma dove i presenti iscritti sono stati circa seicento e i relatori che si sono susseguiti nelle diverse sessioni sono stati indiscutibilmente, di un alto calibro scientifico. Partendo dalla riflessione che ho appena espresso voglio condividere con voi, cari amici della FARE, quello che sarà l’obbiettivo più incisivo del mio mandato: sviluppare maggiormente e meglio la formazione che la nostra Federazione, supportata dall’opera della Fondazione, dovrà erogare in maniera sempre più sistematica. Credo molto nella formazione che, nella nostra professionalità, può arrivare a rappresentare una sorta di assicurazione che ci permette di non sbagliare. Penso già all’organizzazione di nuovi percorsi formativi su tutto il territorio nazionale, magari coinvolgendo diverse Università con cui avviare attività utili per la qualificazione delle stazioni appaltanti. Questo per far in modo che tutti i nostri associati abbiano la possibilità di accedere, con meno difficoltà, a percorsi formativi mirati che potranno esser erogati anche nelle loro regioni. Voglio poi continuare il lavoro avviato dal Presidente uscente Salvatore Torrisi, quello cioè di rivitalizzare le nostre associazioni che ad oggi non riescono a mantenere il passo con l’attività della Federazione. L’esempio dell’attività svolta da Torrisi nel Lazio, dove l’AeL era rimasta dormiente da quando il suo Presidente Alessandro Anzellini era andato in pensione, sarà per me un esempio da seguire per ricreare quella che è la nostra vera forza ovvero quella rete che ci unisce e ci fa interscambiare idee ed esperienze su tutto il territorio nazionale.

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sanità digitale Roberta Taurino - Direttore Amministrativo del Territorio e Responsabile Ufficio Protezione Dati Asl Roma 2 Mario Mazzeo - Avvocato e Responsabile Protezione Dati di aziende private e pubbliche amministrazioni

La sfida per la sanità del terzo millennio si combatte con il GDPR e…molta attenzione al binomio data protection e cybersecurity, per la tutela dei dati sanitari

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l servizio sanitario italiano (SSN), istituito nel 1978 con la legge 833, rappresenta “un sistema di strutture e servizi che hanno lo scopo di garantire a tutti i cittadini, in condizioni di uguaglianza, l’accesso universale all’erogazione equa delle prestazioni sanitarie, in attuazione dell’art.32 della Costituzione, che recita: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana””1. Grazie al SSN si è voluta fornire una copertura assistenziale universale e di qualità, basata sulla solidarietà del finanziamento attraverso la fiscalità generale e sull’equità di accesso alle prestazioni, anche a coloro i quali non potevano permettersi cure costose erogate da soggetti privati. Dalla sua nascita, il SSN ha subito numerosi processi di riforma, sia a livello normativo sia organizzativo. Alcune delle trasformazioni di maggiore interesse hanno riguardato: l’aziendalizzazione delle unità sanitarie locali (USL), con maggiore autonomia e responsabilità della gestione delle risorse e dei servizi; la devoluzione delle competenze sanitarie alle regioni, che ha aumentato la

differenziazione territoriale delle prestazioni e dei livelli di assistenza; la riduzione dei posti letto ospedalieri e il potenziamento dell’assistenza territoriale e domiciliare, in linea con il principio di appropriatezza delle cure; l’introduzione di forme di integrazione e collaborazione tra il settore pubblico e il settore privato, sia accreditato sia convenzionato, per garantire maggiore efficienza ed efficacia del sistema. Per poter stare al passo con i tempi, la sanità italiana ha dovuto cambiare e rinnovarsi, ma le sue sfide non sono affatto concluse. Il futuro del SSN è segnato da una numerosa serie di criticità che devono essere affrontare con illuminata visione strategica e capacità di innovazione. Tra le più importanti, possiamo ricordare:

Le aziende sanitarie italiane hanno subito il 35% degli attacchi informatici nel 2022, con un aumento del 18% rispetto al 2021. Tra le tipologie di attacchi ci sono i ransomware, ovvero dei software malevoli che criptano o bloccano i dati permettendo poi agli hacker di chiedere un riscatto per "restituirli"

il progressivo invecchiamento della popolazione italiana (unito a un tasso sempre più basso di natalità) e il conseguente, inevitabile aumento delle malattie cronico-degenerative che comportano una sempre maggiore richiesta di assistenza sanitaria e sociale, sia in termini quantitativi che qualitativi. la sostenibilità economica del SSN, che si regge su un delicato quanto precario equilibrio tra le entrate e le spese, tenuto conto delle esigenze di salute dei cittadini e delle risorse disponibili.

1 Ministero della Salute - I princìpi del Servizio sanitario nazionale (SSN) https://www.salute.gov.it/portale/lea/dettaglioContenutiLea.jsp?area=Lea&id=5073&lingua=italiano&menu=vuoto


sanità digitale l’appropriatezza delle prestazioni sanitarie, che implicano la puntuale definizione di standard e indicatori di performance, una corretta valutazione degli esiti e dei processi, la promozione della cultura della qualità e della sicurezza delle cure nonché dell’accountability tra gli operatori sanitari. la digitalizzazione e la trasformazione tecnologica del SSN, per poter andare incontro e rispondere alle nuove aspettative dei pazienti, migliorando l’accessibilità alle cure nonché l’integrazione, la personalizzazione delle stesse, attraverso l’uso di strumenti fortemente innovativi Ad oggi, la Sanità digitale è il primario obiettivo da perseguire per avere un SSN moderno, efficiente, e poter fornire, in modo rapido e snello, servizi di qualità, semplificando la vita ai pazienti e conseguendo anche importanti economie. Le organizzazioni sanitarie che riusciranno ad investire con lungimiranza nella digitalizzazione e nelle nuove tecnologie, attraverso l’uso di intelligenza artificiale, telemedicina, ricetta e cartella clinica elettronica, chirurgia robotica, etc., potranno ottimizzare l’impiego delle risorse disponibili, perseguire crescenti risultati positivi nell’erogazione ai pazienti dei servizi e delle prestazioni sanitarie, realizzando ingenti risparmi e accrescendo i propri vantaggi competitivi. A questo riguardo, si parla di “Smart Health”, termine inglese che tradotto letteralmente significa “Sanità intelligente”; intelligente perché, grazie a sensori e dispositivi collegati ai pazienti, come braccialetti e orologi tecnologicamente avanzati (c.d. “wearable device”), è possibile raccogliere dati sullo stato di salute delle persone e curarle, anche a distanza, anticipando le situazioni critiche molto prima che queste si verifichino. Grazie a specifiche App, il paziente potrà leggere queste informazioni direttamente sul suo smartphone e anche il suo medico curante potrà visualizzarle da remoto, consigliandolo al meglio senza che sia necessario alcuno spostamento dal proprio domicilio. I benefici, di natura economica e non, che possono derivare dalla digitalizzazione in sanità sono innume-

revoli: maggiore equità nell’accesso alle cure, giacché l’assistenza sanitaria arriva “digitalmente” anche in zone molto disagiate o rurali; miglioramento della qualità di cura a favore della continuità assistenziale (ospedale-territorio) con maggiore appropriatezza, clinica ed organizzativa; riduzione dei tempi di ospedalizzazione, con una dimissione e/o una convalescenza più precoce a domicilio; minore tasso di ospedalizzazione, grazie alla capacità di monitorare costantemente il paziente “da remoto”; riduzione della comparsa di possibili complicanze; annullamento di spostamenti inutili, magari al solo scopo di piccoli aggiustamenti terapeutici che è possibile fare anche “a distanza”. La trasformazione digitale nell’ambito dei servizi sanitari rappresenta, dunque, un elemento fondamentale per sostenere e migliorare l’efficacia, l’efficienza, l’accessibilità, la qualità, l’equità e la sostenibilità del SSN. È inoltre uno dei pilastri fondanti la missione n. 6 del PNRR – Piano nazionale di ripresa e resilienzache prevede un investimento di miliardi di euro per la transizione digitale, l’innovazione e la sicurezza nella Pubblica Amministrazione, di cui un miliardo è destinato alla sanità per: l’istituzione della Piattaforma Digitale Nazionale Dati (PDND), per la raccolta e l’integrazione dei dati sanitari provenienti da diverse fonti (Fascicoli Sanitari Elettronici, cartelle cliniche elettroniche, prescrizioni elettroniche, referti online, etc.) allo scopo di renderli disponibili per finalità di ricerca medica e scientifica, attività di monitoraggio, valutazione, etc.; la realizzazione dello Sportello Digitale Unico (SDU), per assicurare ai cittadini un punto di accesso unico e personalizzato ai servizi sanitari, tramite l’utilizzo dell’identità digitale (SPID), dell’app IO e della piattaforma PagoPA; l’implementazione dei servizi di telemedicina e di assistenza domiciliare, per erogare prestazioni sanitarie a distanza, abbattere i tempi di attesa, i costi di trasporto e il rischio di infezioni e contagio, oltre a favorire la continuità assistenziale e la presa in carico dei pazienti cronici;

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sanità digitale

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la messa in esercizio di soluzioni di intelligenza artificiale e big data analytics, per supportare i professionisti sanitari nella diagnosi, nella terapia, nella prevenzione e nella gestione del rischio clinico, oltre a facilitare la ricerca scientifica e lo sviluppo di nuovi farmaci e dispositivi medici; il potenziamento della cybersecurity, che garantisca la protezione dei dati sanitari da possibili attacchi informatici, violazioni della privacy o usi impropri. Da quanto sopra, appare evidente come, nella definizione del PNRR, la Commissione europea abbia dimostrato adeguata consapevolezza circa l’urgenza sia di modernizzare il settore sanitario, promuovendo l’utilizzo di strumenti tecnologicamente sempre più avanzati sia –a fronte del considerevole ampliamento della superficie di attacco così determinata– di implementare anche le attività e le misure di prevenzione e contenimento delle violazioni informatiche, nei limiti del possibile. Non v’è dubbio, infatti, che questo processo, sempre più veloce, verso l’e-health, la digitalizzazione, l’informatizzazione e l’innovazione tecnologica, se da un lato può produrre grandi effetti benefici e vantaggi a favore dell’intera collettività, dall’altro richiede l’applicazione di adeguate accortezze a tutela della sicurezza e della riservatezza dei dati personali e a garanzia dei diritti e delle libertà delle persone fisiche. La crescente tendenza alla digitalizzazione nel settore sanitario introduce nuovi sistemi che prevedono spesso integrazioni importanti con grandi fornitori di servizi di telecomunicazioni, ampliando il raggio d’azione degli attacchi all’intera supply chain2. Inoltre, le applicazioni più innovative costituiscono imponenti strumenti di raccolta, di elaborazione e analisi dei dati personali. La maggior parte di questi dati sono relativi allo stato di salute delle persone e richiedono, quindi, un livello di protezione particolarmente robusto, rientrando nel novero di quelle “categorie particolari di dati” che l’articolo 9 del Regolamento 2016/679/UE (il cosiddetto GDPR) espressamente vieta a chiunque di trattare se non in virtù di ben determinate basi giuridiche3. Questa è la ragione per la quale questo processo ha già, e avrà sempre più, grande impatto sull’applicazione del

GDPR in tema di protezione dei dati e sulla cybersecurity. Data Protection e cybersecurity in sanità sono senza dubbio temi particolarmente attuali e di assoluto rilievo giacché, come noto, mentre il settore continua a offrire servizi sempre più innovativi e lavora per migliorare il trattamento e l’assistenza ai pazienti attraverso le nuove tecnologie, i criminali informatici intensificano gli attacchi cercando di sfruttare le vulnerabilità dei dispositivi e delle reti digitali. La sanità è certamente uno dei settori più vulnerabili e appetibili per gli hacker, che cercano, in alcuni casi, di sfruttare le debolezze dei sistemi informativi e “catturare” le informazioni sensibili dei pazienti per rivenderle ovvero ricattare ed estorcere denaro. In altri casi, soprattutto con riferimento alla sanità pubblica, gli attacchi sono mirati all’interruzione dei servizi più importanti allo scopo di creare disagio e malcontento nella popolazione ovvero mettere in imbarazzo le istituzioni. L’uso di tecnologie spesso obsolete e la mancanza di sensibilità e cultura sulla sicurezza digitale, sia tra gli operatori sanitari sia tra i pazienti, sono fra i fattori che maggiormente contribuiscono a queste violazioni. Invero, le conseguenze di questi attacchi possono essere particolarmente gravi non solo per le aziende sanitarie alle quali possono arrecare gravi danni finanziari e reputazionali, ma anche per i cittadini, che vedono violata la loro privacy e messa a rischio la loro stessa salute. I dati sanitari sono infatti tra i più preziosi per gli hacker, perché contengono informazioni personali, che possono essere usate per le ragioni più disparate, compreso il furto d’identità, la frode4, il riciclaggio di denaro o il terrorismo biologico5. Addirittura, gli attacchi informatici possono arrivare a compromettere il funzionamento dei dispositivi medici, delle apparecchiature diagnostiche e delle reti di comunicazione, mettendo in pericolo la qualità delle cure e la vita stessa dei pazienti. Secondo un recente rapporto di Clusit che analizza gli incidenti di sicurezza informatica a livello globale6, le aziende sanitarie italiane hanno subito il 35% degli attacchi informatici nel 2022, con un aumento del 18% rispetto al 2021. Tra le tipologie di attacchi

2 Catena d’approvvigionamento. La supply chain fa riferimento all’ecosistema completo di processi che convergono in un prodotto. La supply chain dei beni sanitari riguarda dispositivi, strumentazioni e apparecchiature diagnostiche, ausili protesici, farmaci, beni economali, etc. 3 Non solo il consenso, ma anche, ad esempio, la finalità di diagnosi e cura nonché il perseguimento di motivi di interesse pubblico nel settore della sanità pubblica. 4 Si pensi al dilagante fenomeno del cosiddetto “man in the mail” ovvero quella particolare truffa informatica che si realizza captando la password di accesso ad una casella di posta elettronica aziendale appartenente ad un dipendente incaricato, ad esempio, del pagamento delle fatture, intercettando le comunicazioni in arrivo e, al momento opportuno, sostituendo quelle originali con altre estremamente verosimili grazie alle quali vengono modificate le coordinate IBAN esposte in alcune fatture allo scopo di ottenere che il relativo bonifico venga effettuato in favore dell’hacker e non del legittimo creditore. 5 Ad inizio 2021, attraverso un attacco ai sistemi informatici della struttura incaricata del trattamento delle acque, un hacker ha modificato i parametri che regolano la presenza di soda caustica all’interno dei bacini di conservazione delle acque potabili venendo solo fortunosamente scoperto prima di causare seri danni alla popolazione. 6 https://clusit.it/rapporto-clusit/ In occasione del Vertical Healthcare, è stato presentato un addendum del rapporto Clusit con i dati aggior-


sanità digitale più frequenti ci sono i ransomware, ovvero dei software malevoli che criptano o bloccano i dati permettendo poi agli hacker di chiedere un riscatto per “restituirli”7. Un fenomeno di proporzioni così abbondati da aver convito l’Autorità Garante per la Protezione dei Dati Personali ad aprire una sezione apposita del proprio sito istituzionale8 al fine di spiegare il fenomeno e educare le persone a difendersi. Questo tipo di attacco può avere gravi conseguenze sulla continuità assistenziale e sulla sicurezza dei pazienti, come dimostra il caso dell’Asst Fatebenefratelli Sacco di Milano, che a maggio 2023 ha subito un imponente attacco hacker che per un certo tempo ha messo offline i portali di ogni struttura gestita dall’azienda o quello della Regione Lazio che nella notte tra il 31 luglio ed il 1 agosto 2021, a seguito di un attacco informatico al data center che ospita i sistemi informatici della società in-house LazioCrea, ha temporaneamente compromesso il funzionamento dei servizi e degli strumenti applicativi ivi presenti che venivano utilizzati dalle Asl in favore dei propri utenti. L’attacco parrebbe aver avuto origine dal pc di un dipendente in smartworking violato il quale si sarebbero aperte le porte ai server regionali. Non c’è dubbio, però, che qualcosa nella sicurezza complessiva dell’infrastruttura non ha funzionato. I danni provocati dall’attacco sono stati enormi, sia dal punto di vista economico sia sociale. La Regione ha dichiarato di non aver pagato il riscatto richiesto dagli hacker9, ma ha dovuto faticare non poco per ripristinare appieno i propri servizi informatici. I cittadini – in un periodo di per sé critico per la salute pubblica quale quello caratterizzato dalla pandemia – hanno subito disagi e ritardi, ad esempio, nella prenotazione dei vaccini, nel rilascio dei green pass, nella consultazione dei referti e nella gestione delle ricette. Quel che è certo è che anche l’attacco alla Regione Lazio ha evidenziato la fragilità e la vulnerabilità del settore sanitario italiano di fronte alle minacce informatiche. Ma questi sono solo alcuni tra i tanti, troppi, esempi di recenti attacchi informatici alla sanità. “Nell’ultimo anno, su base globale, almeno il 78% degli intervistati ha sperimentato almeno un incidente di sicurezza informatica. Da questi incidenti, un’ampia gamma di tipologie di asset, tra cui sistemi IT, dati sensibili,

dispositivi medici e sistemi di gestione degli edifici sono stati colpiti.”. È quanto emerge dal Global Healthcare Cybersecurity Study 202310 di Claroty, diretto ad una platea di 1.100 esperti di sicurezza informatica, ingegneria, IT, e professionisti del networking che lavorano a tempo pieno presso le organizzazioni del settore sanitario. Come non ricordare, poi, il caso dell’Asl 1 della regione Abruzzo, recentemente vittima di un grave attacco informatico che ha compromesso la riservatezza e rischiato di compromettere la salute di molti pazienti? Il 3 maggio scorso, infatti, un gruppo criminale ha infettato i sistemi informativi dell’azienda sanitaria locale di Avezzano, Sulmona e L’Aquila con un ransomware e ha chiesto un riscatto per restituirli. A fronte del rifiuto dell’Asl di pagare, i criminali hanno diffuso in rete oltre 500 gigabyte di dati sanitari di pazienti, tra cui cartelle cliniche, referti, analisi genetiche, valutazioni psicologiche e documenti di inventario. Tra le “vittime” di questa diffusione, secondo i quotidiani, ci sarebbero anche nomi celebri come quello del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, del boss mafioso Matteo Messina Denaro o della terrorista Nadia Desdemona Lioce. A seguito di questo attacco informatico che ha bloccato il funzionamento di pressoché tutti servizi sanitari aziendali, l’Asl 1 Abruzzo è tornata all’anno zero dell’informatica. Come, purtroppo, in altri casi simili, il personale sanitario ha dovuto quindi ricorrere alla carta e alla penna per gestire le prenotazioni, le ricette, le dimissioni e le cartelle cliniche. I portali web e le linee telefoniche sono stati disattivati e i pazienti hanno subito disagi e ritardi nel loro percorso di cura. Solo dopo alcuni giorni dall’attacco, l’Asl ha potuto iniziare a ripristinare gradualmente i propri sistemi informativi e tornare a garantire i servizi all’utenza. A fine 2021, l’Ulss 6 Euganea di Padova aveva subito un attacco ransomware che ha bloccato per lungo tempo i sistemi informatici e le prenotazioni online, costringendo il personale alla preparazione di una nuova infrastruttura di emergenza con l’obiettivo di riattivare gradualmente i servizi e, così, ad usare il fax e il telefono per gestire i pazienti. Più di recente, a luglio 2023, è toccato all’azienda ospedaliera universitaria Luigi Vanvitelli di Napoli patire un attacco ransomware al software per le analisi di laboratorio… e si potrebbe continuare atteso che, stando

nati al primo trimestre del 2023 per gli attacchi cyber al settore Healthcare https://clusit.it/wp-content/uploads/download/Rapporto_Clusit_2023-Approfondimento-healthcare-Q1.pdf. 7 “Ransom” in inglese significa appunto “riscatto”. 8 https://www.garanteprivacy.it/temi/cybersecurity/ransomware. 9 Anche il Garante Privacy, sul punto, afferma che “Pagare il riscatto è solo apparentemente la soluzione più facile. Oltre al danno economico, si corre infatti il rischio di non ricevere i codici di sblocco, o addirittura di finire in “liste di pagatori” potenzialmente soggetti a periodici attacchi ransomware.”. 10 https://claroty.com/resources/reports/the-global-healthcare-cybersecurity-study-2023.

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sanità digitale

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a quanto dichiarato dall’Agenzia per la cybersicurezza nazionale11, si sarebbe trattato del quarantesimo attacco hacker contro ospedali italiani negli ultimi18 mesi. Per prevenire e contrastare questi attacchi e promuovere la sicurezza e la fiducia dei cittadini nel SSN, elemento cardine per il benessere della società, non può dubitarsi che le Aziende sanitarie, di pari passo con lo sviluppo dell’innovazione tecnologica, debbano celermente e sempre più investire nella Data protection e nella Cybersecurity, adottando misure preventive e reattive per educare il personale, proteggere i sistemi informativi e i dati. Gli esempi che precedono rendono, infatti, evidente come vi sia una stretta connessione tra progresso, disciplina della protezione dei dati personali e sicurezza. Non può esserci alcuna riservatezza senza sicurezza! Come ricorda il Considerando 39 del GDPR, “i dati personali dovrebbero essere trattati in modo da garantirne un’adeguata sicurezza e riservatezza, anche per impedire l’accesso o l’utilizzo non autorizzato dei dati personali e delle attrezzature impiegate per il trattamento.”. Per questa ragione, fra i principi generali applicabili al trattamento dati di cui all’articolo 5 del GDPR, ha trovato spazio quello di «integrità e riservatezza» in virtù del quale i dati devono essere sempre “trattati in maniera da garantire un’adeguata sicurezza dei dati personali, compresa la protezione, mediante misure tecniche e organizzative adeguate, da trattamenti non autorizzati o illeciti e dalla perdita, dalla distruzione o dal danno accidentali.”. E, come noto, in virtù del principio di accountability di cui al paragrafo 2 dello stesso articolo, spetta ai titolari del trattamento (le aziende sanitarie) adoperarsi per il rispetto (anche) di quel principio… ed essere in grado di comprovarlo. È proprio nei momenti di crisi, infatti, che questi soggetti devono dimostrare di aver adeguatamente investito in sicurezza. Del resto, se la protezione dei dati personali è un diritto fondamentale di ogni individuo, la sicurezza informatica è un fattore chiave per garantire la protezione dei dati personali. Le organizzazioni sanitarie, pubbliche e private, quindi, forse ancor più di altre tipologie di titolari del trattamento, devono adottare misure tecniche e organizzative adeguate a proteggere i dati personali dal rischio che si verifichi una violazione (quello che in privacy è noto col

nome di “data breach”12). Ed è importante farlo – in collaborazione con i propri fornitori – già mentre si stanno ancora progettando le soluzioni informatiche del futuro. Come ricorda l’EDPB13, infatti, se è vero che ogni titolare del trattamento dovrebbe adottare politiche interne e attuare misure che soddisfino in particolare i principi della protezione dei dati fin dalla progettazione e della protezione dei dati per impostazione predefinita stabiliti all’articolo 25 dello stesso Regolamento, è altrettanto vero che “In fase di sviluppo, progettazione, selezione e utilizzo di applicazioni, servizi e prodotti basati sul trattamento di dati personali o che trattano dati personali per svolgere le loro funzioni, i produttori dei prodotti, dei servizi e delle applicazioni dovrebbero essere incoraggiati a tenere conto del diritto alla protezione dei dati allorché sviluppano e progettano tali prodotti, servizi e applicazioni”. Occorre, in sintesi, essere ben consapevoli dei rischi associati all’innovazione tecnologica nel settore sanitario e adottare misure preventive per mitigare tali rischi14. Da qui la previsione dell’articolo 32 del GDPR in virtù del quale “Tenendo conto dello stato dell’arte e dei costi di attuazione, nonché della natura, dell’oggetto, del contesto e delle finalità del trattamento, come anche del rischio di varia probabilità e gravità per i diritti e le libertà delle persone fisiche, il titolare del trattamento e il responsabile del trattamento mettono in atto misure tecniche e organizzative adeguate per garantire un livello di sicurezza adeguato al rischio” che si verifichi un data breach. Ciò include l’elaborazione e l’implementazione di politiche di sicurezza informatica, la formazione e sensibilizzazione del personale su questi temi e l’adozione di tecnologie avanzate, oltre alla predisposizione di un efficace piano di risposta agli incidenti informatici da testare regolarmente per garantire che si mantenga efficace nel tempo. Ma è anche importante sensibilizzare pazienti e utenti sul valore dei loro dati e sulle buone pratiche da seguire per proteggerli. Tra le misure che ogni titolare è chiamato ad attuare ve ne sono alcune di carattere eminentemente organizzativo: la nomina di un Responsabile Protezione Dati (il cosiddetto “DPO”) competente e in grado di dedicare il tempo necessario allo svolgimento del proprio ruolo15, la predisposizione e l’aggiornamento continuo

11 https://www.acn.gov.it/ 12 Ovvero la “violazione di sicurezza che comporta accidentalmente o in modo illecito la distruzione, la perdita, la modifica, la divulgazione non autorizzata o l’accesso ai dati personali trasmessi, conservati o comunque trattati”. 13 Linee guida 4/2019 sull’articolo 25 “Protezione dei dati fin dalla progettazione e per impostazione predefinita” adottate il 20 ottobre 2020. 14 Ai sensi del Considerando 83 del GDPR, “per mantenere la sicurezza e prevenire trattamenti in violazione al presente regolamento, il titolare del trattamento o il responsabile del trattamento dovrebbe valutare i rischi inerenti al trattamento e attuare misure per limitare tali rischi, quali la cifratura. Tali misure dovrebbero assicurare un adeguato livello di sicurezza, inclusa la riservatezza, tenuto conto dello stato dell’arte e dei costi di attuazione rispetto ai rischi che presentano i trattamenti e alla natura dei dati personali da proteggere. Nella valutazione del rischio per la sicurezza dei dati è opportuno tenere in considerazione i rischi presentati dal trattamento dei dati personali, come la distruzione accidentale o illegale, la perdita, la modifica, la rivelazione o l’accesso non autorizzati a dati personali trasmessi, conservati o comunque elaborati, che potrebbero cagionare in particolare un danno fisico, materiale o immateriale.”. 15 Che si tratti di una figura interna o di un soggetto esterno, soprattutto nelle pubbliche amministrazioni del settore sanitario, è molto fre-


sanità digitale del Registro delle attività di trattamento16, la predisposizione di una procedura interna di gestione dei casi di data breach e di regole per il corretto uso del patrimonio informativo e delle risorse informatiche; la scelta di ricorrere a partner affidabili e sensibili al tema della cyber sicurezza e della protezione dati. Altri accorgimenti rivestono, invece, un ruolo più “tecnico”: l’aggiornamento costante dei software e dei protocolli di sicurezza; la segmentazione delle reti; la cifratura dei dati; la creazione di piani di backup, ripristino e disaster recovery; il ricorso a soluzioni tecnologiche affidabili – meglio se di matrice europea – e collaudate. Soprattutto, lo si ripete, la formazione del personale (e la sensibilizzazione degli stessi interessati) costituisce una fra le misure di prevenzione più importanti in questo settore. Nella maggior parte dei casi, infatti, è l’errore umano dettato da scarsa attenzione e conoscenza delle regole a generare problemi o facilitare l’opera dei malintenzionati. Più che il dolo, la sottovalutazione è il primo nemico da combattere. Ovviamente, personale sanitario e amministrativo non è tenuto ad essere “esperto” sulla normativa di riferimento (di questo dovrebbe preoccuparsi il DPO), ma proprio per questo motivo dovrebbero essere frequenti le occasioni in cui gli si ricordi, possibilmente in modo “pratico” e senza inutili dogmatismi, quali sono le regole di condotta da applicare nello svolgimento del lavoro quotidiano. Certo, la formazione in presenza, meglio se erogata dal DPO e dagli esperti di sicurezza interni (o esterni), costituisce la modalità più efficace di gestire questa necessità, ma anche la fruizione di corsi on-line, la somministrazione di newsletter informative, la diffusione di casi pratici presi dalla cronaca e/o dal sito del Garante possono, nel corso dell’anno, costituire un valido supporto. In questo senso, qualche utile consiglio potrebbe assumersi, ad esempio, dal vademecum sullo smartworking

“sicuro” elaborate da AGID nel 202017agli albori della pandemia da Covid-19. Si tratta di suggerimenti solo in apparenza banali18 che possono fare la differenza nel panorama che abbiamo descritto. Più in generale, vi sono molti semplici consigli e accorgimenti che dovrebbero, quantomeno, essere suggeriti – o per meglio dire, imposti – al personale nello svolgimento dei propri compiti. Ricordarsi di conservare i documenti di lavoro nelle risorse di rete e non nell’hard-disk del singolo pc; non aprire allegati o link sospetti nelle e-mail; usare antivirus e firewall aggiornati; bloccare i PC quando ci allontaniamo anche temporaneamente; non scrivere o condividere le proprie password né riutilizzarle in contesti diversi; non lasciare incustoditi documenti cartacei; distruggere accuratamente i documenti e i file contenenti dati personali quando non servono più; verificare gli indirizzi e-mail cui mandiamo dati o documenti; non eccedere nelle “copia conoscenza” delle e-mail; mantenere chiusi a chiave i cardex e gli armadi archivio; limitare l’uso dei sistemi di messaggistica istantanea e dei social network in ambito lavorativo; trasmettere all’esterno documenti informatici relativi alla salute di qualcuno solo crittografati o comunque protetti da password; e si potrebbe continuare. Soprattutto, nei rapporti con l’esterno, applicare la regola cosiddetta dello “Zero trust”, ovvero, “fidarsi è bene, non fidarsi è meglio”: ogni comunicazione ricevuta deve essere gestita come potenzialmente pericolosa, fino a prova contraria, ma anche rendere disponibili a ciascun operatore le sole informazioni strettamente necessarie per lo svolgimento dei propri compiti, eliminando ab origo la possibilità di operare senza limiti sui sistemi aziendali. Solo così si potrà aspirare non già al raggiungimento del cosiddetto “rischio zero” che in questo settore non esiste, ma quantomeno alla riduzione del rischio ad un livello tale che possa ritenersi accettabile tenuto conto della delicatezza degli interessi in gioco.

quente il caso di DPO che svolgono contemporaneamente questo ruolo in un numero tale di strutture ovvero contemporaneamente ad altri e diversi incarichi da rendere pressoché impossibile garantire il giusto impegno nella gestione di un compito così delicato. Non v’è struttura societaria o staff di supporto in grado di sopperire alla “latitanza” della persona che, proprio per il suo specifico know-how, dovrebbe essere stata scelta come “snodo fondamentale per l’acquisizione di un corretto approccio al trattamento dei dati personali, soprattutto all’interno di un panorama che vede le pubbliche amministrazioni sempre più sollecitate dalla sfida della c.d. trasformazione digitale”(Garante Privacy - Documento di indirizzo su designazione, posizione e compiti del Responsabile della protezione dei dati (RPD) in ambito pubblico 29 aprile 2021 – si veda in particolare il paragrafo 6.2). 16 Che, secondo il Garante, “Costituisce uno dei principali elementi di accountability del titolare, in quanto strumento idoneo a fornire un quadro aggiornato dei trattamenti in essere all’interno della propria organizzazione, indispensabile per ogni attività di valutazione o analisi del rischio e dunque preliminare rispetto a tali attività.”. 17 raccomandazioni a cura del Cert-PA di AgID per aiutare i dipendenti pubblici a utilizzare in maniera sicura pc, tablet e smartphone personali quando lavorano da casa elaborate sulla base delle misure minime di sicurezza informatica per le pubbliche amministrazioni fissate dalla circolare 17 marzo 2017, n. 1/2017. 18 Si va dal “consiglio” di utilizzare i sistemi operativi per i quali attualmente è garantito il supporto da parte del produttore, alla necessità di assicurarsi che gli accessi al sistema operativo siano sempre protetti da una password sicura, all’avviso di non cliccare su link o allegati contenuti in email sospette, all’indicazione di scegliere con cura gli ambienti di lavoro “esterni”, fino all’indicazione di effettuare sempre il log-out dai servizi/portali utilizzati dopo che si è conclusa la sessione lavorativa.

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intelligenza artificiale Rosamaria Berloco - Avvocata e Co-founding partner Legal Team

Il nuovo Codice dei contratti pubblici ed il rapporto con l’intelligenza artificiale

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a storia ci insegna che una delle frasi più celebri fu quella che pronunciò Bill Gates, fondatore di Microsoft, nel lontano 1975: “Nel futuro vedo un computer su ogni scrivania e uno in ogni casa”. Con quella affermazione, il giovane informatico delineò una visione futurista che, agli occhi di molti, parve come pura fantascienza; la predizione, tuttavia, si è avverata visto che negli anni a seguire questa innovazione tecnologica è entrata “di diritto” nelle case e, ancor più, nella prassi quotidiana di ognuno di noi condizionandone le abitudini, tanto da non poterne più fare a meno. Non posso assolutamente paragonarmi al visionario Gates, ma approfondendo lo studio delle scienze giuridiche, di quelle dei contratti ed appalti pubblici in particolare, ritengo di poter affermare, con molta probabilità, che nei prossimi anni le procedure di gara (probabilmente anche l’individuazione del miglior offerente) si svolgeranno sempre più con l’ausilio dell’intelligenza artificiale, fino a sostituire l’operato dell’uomo (rectius dei R.U.P.) in una o più fasi. Visionaria o utopista, la prospettiva delineata dal legislatore con il nuovo Codice dei contratti pubblici pare vada in questa nuova direzione.

la nuova fonte di ricchezza e di conoscenza rappresentata dai <<dati>>”. Processo, quello della digitalizzazione, che pone quale obiettivo privilegiato quello di abbandonare la gestione e lo svolgimento delle procedure secondo la modalità tradizionale per rendere il ciclo di vita dei contratti pubblici (inteso come l’insieme di tutte le attività che si susseguono dalla programmazione alla definizione del fabbisogno e fino alla completa esecuzione del contratto) interamente nativo digitale. Tale pregevole ed ambiziosa finalità colloca la digitalizzazione in una prospettiva rigorosamente e ragionevolmente prognostica, quale punto di partenza per realizzare la vera transizione digitale in un’ottica di maggiore efficienza e risparmio della spesa di una delle attività più onerose per le amministrazioni ovvero le gare d’appalto: non a caso essa si pone tra gli obiettivi più rilevanti del Piano Nazionale di ripresa e resilienza. Il percorso tracciato dal PNRR della digitalizzazione dei contratti pubblici conduce ad una serie di novità che trovano (finalmente) luce col nuovo Codice e che possono sinteticamente ricondursi a tre principali elementi. Il primo, ovvero l’enunciazione di principi e diritti digitali il cui scopo è certamente quello di garantire l’esercizio dei diritti di cittadinanza digitali secondo i principi di neutralità, trasparenza, di protezione dei dati personali e di sicurezza informatica. Il mezzo attraverso il quale tale ambizioso obiettivo è perseguito è quello che si ricava dal principio “once only”, secondo il quale le pubbliche amministrazioni devono garantire che cittadini e imprese forniscano le informazioni una sola volta ad una pubblica amministrazione. Un principio, dunque, che contiene in sé una nuova

L’articolo 43, d.lgs. 36/2023 stabilisce che a decorrere dal 1°gennaio 2025 le amministrazioni saranno tenute ad adottare metodi e strumenti di gestione informativa digitale delle costruzioni, tra l’altro, per la progettazione e realizzazione di opere di nuova costruzione

Il primo passo verso l’intelligenza artificiale: la digitalizzazione La digitalizzazione della pubblica amministrazione, come emerge dalla relazione che accompagna il nuovo Codice, rappresenta la vera grande sfida dei prossimi anni per realizzare, in chiave moderna, “la riforma del sistema economico-sociale e per essere, quindi, pronti a creare e utilizzare


intelligenza artificiale prospettiva di concezione della pubblica amministrazione: non più frammentaria, bensì unica nel suo essere soggettivo. Il secondo, concernente gli strumenti pratici attraverso i quali si attua la digitalizzazione ossia la creazione di un ecosistema nazionale di approvvigionamento digitale (cd. e-procurement): partendo dal Codice di amministrazione digitale (d.lgs. 82/2005), l’ecosistema nazionale di approvvigionamento digitale (e-procurement) diviene l’agglomerato delle piattaforme telematiche “certificate”, le quali assicurano l’interoperabilità dei servizi svolti e la confluenza delle informazioni sulla Banca dati nazionale dei contratti pubblici dell’Anac. Al suo interno si ritrova il fascicolo virtuale dell’operatore economico che, secondo l’art. 24, comma 1, “consente la verifica dell’assenza delle cause di esclusione di cui agli articoli 94 e 95 e per l’attestazione dei requisiti di cui all’art. 103 per i soggetti esecutori di lavori pubblici, nonché dei dati e dei documenti relativi ai criteri di selezione requisiti di cui all’art. 100 che l’operatore economico inserisce”. Il terzo riferito a quegli istituti tradizionali che, grazie alla digitalizzazione, si proiettano verso una nuova dimensione digitale che, in un’ottica di amministrazione, conduce ad una maggiore efficienza. Basti pensare al sistema delle garanzie per la partecipazione alla procedura selettiva che, stando all’articolo 106, comma 3, d.lgs. 36/2023, ove non siano prescelte le modalità tradizionali prediligendo dunque la garanzia fideiussoria, la stessa deve essere emessa e firmata digitalmente e deve essere altresì verificabile telematicamente presso l’emittente ovvero gestita mediante ricorso a piattaforme operanti con tecnologie specifiche. Ed ancora, l’articolo 43, d.lgs. 36/2023 (così come integrato dall’allegato I.9), recante i metodi di gestione informativa digitale delle costruzioni, stabilisce che a decorrere dal 1°gennaio 2025 le amministrazioni saranno tenute ad adottare metodi e strumenti di gestione informativa digitale delle costruzioni, tra l’altro, per la progettazione e realizzazione di opere di nuova costruzione. Non può non menzionarsi il cambiamento che si registra nei processi governati dai dominus delle procedure ad evidenza pubblica, R.U.P. e direttore dei lavori, ai quali la digitalizzazione ha innovato le attività ed i rispettivi compiti. Basti pensare, quanto al primo, che la verifica circa il possesso dei requisiti avviene, stando all’art. 99 del nuovo Codice, mediante la consultazione del fascicolo virtuale dell’operatore economico ovvero attraverso le banche date di nuova previsione. Quanto al direttore dei lavori, sono molteplici gli impieghi della digitalizzazione per la gestione, a titolo esemplificativo, della contabilità dei lavori (così come previsti dall’allegato II.14), stabilendo finanche che l’ufficio di direzione dei lavori, in relazione alla complessità dell’intervento, possa essere composto da figure professionali competenti in materia informatica.

Considerazioni conclusive Da questa breve disamina si può chiaramente tentare di rispondere al quesito originariamente formulato ovvero se l’idea di una procedura ad evidenza pubblica governata dall’intelligenza artificiale sia una visione o un’utopia: la risposta, a rigor del vero, è offerta direttamente dal legislatore, il quale all’art. 30, comma 1, d.lgs. 36/2023, stabilisce che, per migliorare l’efficienza, le stazioni appaltanti e gli enti concedenti provvedono, ove possibile, “ad automatizzare le proprie attività ricorrendo a soluzioni tecnologiche, ivi incluse l’intelligenza artificiale e le tecnologie di registri distribuiti”. L’automatizzazione presuppone, necessariamente, un’innovazione tecnologica: anche su questo il nuovo Codice dei contratti pubblici impone, nell’ambito dell’istituto degli incentivi alle funzioni tecniche, una destinazione obbligatoria delle risorse finanziarie per l’acquisizione di beni e tecnologie funzionali a progetti di innovazione e per incentivare “l’efficientamento informatico, con particolare riferimento alle metodologie e strumentazioni elettroniche per i controlli” (ex art. 45, d.lgs. 36/2023 e s.m.i.). La chiave di lettura della questione risiede nei principi desumibili anche nel codice dell’amministrazione digitale, costantemente al centro dell’attenzione della giustizia amministrativa (si veda a riguardo TAR Lazio Sez. III bis, 30 giugno 2021, n. 7769), la quale ha espresso il principio della chiara predilezione del legislatore per la digitalizzazione dell’attività amministrativa mediante l’uso di software ed algoritmi di calcolo applicati alle procedure selettive. Basti pensare all’impatto delle procedure informatizzate nell’ambito delle selezioni concorsuali scolastiche ove già sono presenti software e algoritmi che “sostituiscono”, per certi versi, l’operato dell’uomo secondo una prospettiva di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico ed efficienza (in questi termini, Tar Lazio Sez. IIIbis, 14 marzo 2023, n. 4455). Probabilmente, la risposta al quesito può essere resa attraverso lo stesso pensiero dell’informatico Gates che qualche giorno addietro ha lanciato una nuova profezia ovvero che grazie all’utilizzo dell’intelligenza artificiale lavoreremo solo tre giorni a settimana (ndr Pubbliche amministrazioni comprese) così da avere maggior tempo libero. Tutto starà a come verrà utilizzata questa forma di ingegno e se la stessa sarà davvero “intelligente” e in grado di sostituire una macchina che, a mio avviso, è perfetta per definizione: l’uomo. In tal contesto, il ruolo del Responsabile unico del progetto (o della fase) sarà degradato a mero osservatore con un conseguente svuotamento delle rispettive prerogative.

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value based procurement process Veronica Vecchi - SDA Bocconi, Direttore Scientifico dell’Osservatorio Masan SDA Bocconi – Cergas

Procurement sostenibile. Una roadmap per generare valore

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onseguire gli obiettivi di sostenibilità globale, i cosiddetti Sustainable Development Goals, definiti dalle Nazioni Unite (UN), tra cui l’obiettivo numero 3 “good health & wellbeing” richiede una mobilitazione di capacità, soluzioni e capitali che non possono essere assicurati solo dalle Istituzioni pubbliche o filantropiche, soggetti la cui mission istitzionale è la generazione di valore pubblico (o per la società). Le stesse Nazioni Unite inseriscono tra gli obiettivi di sostenibilità il numero 17, “partnership for the goals”, che include “multi-stakeholder partnership”. Quanto previsto dalle agende internazionali fonda le sue radici nelle evidenze generate dalla ricerca scientifica di management pubblico. Già nel 2005 Micheal Moore1 introdusse il concetto di Valore Pubblico che ha rappresentato la base per delineare un nuovo modello di funzionamento della PA, ritenuto più adeguato rispetto al paradigma del New Public Management (NPM), che aveva focalizzato l’attenzione in modo eccessivo sul concetto di value for money (VfM) e di efficienza organizzativa, perdendo di vista l’evoluzione dei fabbisogni della società e l’emergenza di problemi ad alta complessità. Il nuovo paradigma emergente, chiamato Collaborative Governance, si fonda sul riconoscimento che il valore pubblico non è generato solo dalle organizzazioni pubbliche ma piuttosto dal network di stakeholder che le amministrazioni sono in grado di coordinare, orchestrare e guidare (Crosby et al., 2017)2. D’altra parte anche il mercato, sia degli investitori che degli operatori economici, sta profondamente cambiando, per effetto combinato della regolamentazione (sulla responsabilità sociale d’impresa - CSR) e del consolidamento del cosiddetto stakeholder capitalismo. In questo contesto la società in senso lato sta diventando oggetto di maggiore attenzione e coinvolgimento, sia in logica minimale di gestione del rischio d’impresa sia in logica strategica. Quando le complessità della società trovano

risposta attraverso nuovi prodotti e nuove soluzioni si materializza il concetto di Shared Value Creation introdotto da M. Porter (2011)3. Analogamente nel mondo della finanza, stiamo assistendo a una crescita sempre più marcata di logiche di investimento ESG e a impatto (Casalini & Vecchi 2022)4. Tutto questo non è altro che la conferma che il valore pubblico si produce anche al di fuori della PA, e semmai è potenziato all’intersezione di pubblico e privato (profit e non profit). La Governance Collaborativa si concretizza attraverso varie forme di collaborazione, tra cui forme evolute di procurement (public procurement – 2P), come per esempio il Valuebased Procurement Process (VBPP) elaborato e proposto dall’Osservatorio MASAN; partnership pubblico privato (3P); public-private plural partnership (4P, che prevedono anche il coinvolgimento di attori del terzo settore); forme di network interistituzionale e di co-produzione. Procurement sostenibile per creare valore Il Value based procurement process (VBPP) è approccio strategico al procurement teorizzato sulla base delle evidenze empiriche dell’Osservatorio MASAN sul procurement sanitario di CERGAS|SDA Bocconi5. Il VBPP fonda il suo razionale nei processi di management che sottendono la strutturazione di un contratto d’appalto (ma l’approccio può essere esteso anche al PPP) e in particolare vedono nella costruzione del business case lo strumento con il quale esplorare i fabbisogni a cui rispondere e valutare le modalità contrattuali più adeguate per rispondervi. Questo approccio dovrebbe sostenere la capacità delle amministrazioni di scegliere in modo fondato e quindi molto difendibile, e non necessariamente sulla base di calcoli meccanicistici, l’introduzione di modelli più innovativi di acquisto, capaci di generare più valore in termini di value for society (VfS) e non solo di VfM. Elemento essenziale del VPBB, come conseguenza

1 Moore, M. (1995). Creating public value: Strategic management in government. Harvard University Press 2 Crosby, B. C., ‘t Hart, P., & Torfing, J. (2017). Public value creation through collaborative innovation. Public Management Review, 19(5), 655-669 3 Kramer, M. R., & Porter, M. (2011). Creating shared value (Vol. 17). Boston, MA, USA: FSG 4 Casalini, F., & Vecchi, V. (2022). Making Impact Investing More Than Just Well-Meaning Capital. Business & Society, 00076503221112864 5 https://www.sdabocconi.it/it/faculty-ricerche/ricerca/health-and-life-sciences-knowledge-platform/cergas/osservatori/masan-osservatorio-sul-management-degli-acquisti-e-dei-contratti-in-sanita


value based procurement process del business case, è la definizione del petitum - dell’oggetto della gara - del modello contrattuale e quindi del meccanismo di pagamento e dei criteri di valutazione. Una delle forme di procurement strategico in grado di generare VfS è il procurement cosiddetto sostenibile, cioè quello che integra, con modalità differenti, dimensioni di sostenibilità ambientale e sociale. Il ruolo del procurement per contribuire al SDG n. 12 sustainable consumpition and production è molto rilevante, sia a livello aziendale sia a livello dell’intera catena del valore. Il procurement pubblico sostenibile è poi considerato una vera e propria policy per generare innovazione, perché può stimolare il mercato a mettere a punto nuove soluzioni da integrare nella produzione di servizi pubblici, appunto più sostenibili, che possono poi essere scalate e utilizzate anche al di fuori della sfera pubblica. L’importanza di introdurre logiche di procurement sostenibile nella realizzazione di servizi sanitari deriva dagli impatti economici della supply chain (Yawar & Seuring, 20176), i cui costi ammontano a circa il 40% della spesa sanitaria complessiva (Bowen et al., 20227). In Europa, le sole spese per servizi ancillari e per le forniture mediche ammontano al 23% della spesa sanitaria. Il procurement pubblico può interiorizzare le dimensioni di sostenibilità in quattro momenti del ciclo dell’approvvigionamento: 1. in fase di qualificazione del fornitore (CHI partecipa) attraverso la definizione di requisiti speciali di partecipazione per potere inviare una propria offerta oppure essere invitati (art. 100 del Codice); 2. in fase di definizione delle specifiche tecnico-funzionali (COSA si acquista) dei beni, servizi, lavori oggetto dell’appalto, facendo ricorso a etichettature come l’ecolabel o ad altri elementi ritenuti rilevanti dalla PA, spesso definiti dai criteri ambientali minimi (CAM) (artt.79 e 80 del Codice); 3. durante la fase di valutazione delle offerte (COME si valuta), definendo ad esempio dei criteri premianti (artt. 57, comma 2, 108, comma 4 e art. 185, comma 2 del Codice) o valutando sulla base del costo del ciclo di vita (art. 108, comma 6); 4. in sede di esecuzione, definendo requisiti d’esecuzione e clausole contrattuali, nonché strumenti per il monitoraggio dei risultati conseguiti anche volti all’applicazione di premi-penali (art. 113 del Codice). Interpolando i framework teorici sulla sostenibilità con il ciclo del procurement, è possibile definire tre modelli di procurement sostenibile pubblico che possono essere

adottati in sanità: CSR-focused; sustainable value chain-focused; solution driven. CSR-focused: consiste prevalentemente nell’utilizzare le certificazioni di sostenibilità, come EMAS o Ecovadis, quali criteri di qualificazione o di premialità, a seconda della maturità del mercato. Inoltre, gli elementi ambientali o sociali previsti da leggi e regolamenti sono considerati requisiti funzionali obbligatori. Questo livello rappresenta un approccio di procurement sostenibile di tipo conservativo, che valuta il profilo di sostenibilità generale dei candidati e/o incorpora elementi di sostenibilità stabiliti per legge. Sustainable value chain – focused: l’acquisto mira a premiare offerenti più innovativi che integrano la sostenibilità nella loro strategia competitiva. Questo comporta la considerazione di caratteristiche più ambiziose durante la fase di qualificazione degli offerenti e nelle specifiche dei prodotti, servizi e lavori da acquistare. Il focus si estende oltre il prodotto stesso per abbracciare l’intera catena del valore, comprese le materie prime e la distribuzione/trasporto. Inoltre, le PA potrebbero imporre a base di gara l’adozione di pratiche di sostenibilità mutuate da organi di certificazione al fine di ottenere la specifica certificazione per il progetto oggetto dell’appalto. E’ questo il caso della certificazione Envision, una delle più avanzate per i progetti infrastrutturali. Questo approccio può essere ulteriormente rinforzato assegnando un peso significativo ai criteri ambientali e sociali nella fase di valutazione. La transizione dall’approccio CSR a quello value chain può essere raggiunta utilizzando, dapprima, elementi di sostenibilità relativi alla catena del valore solo nei criteri di valutazione e poi, successivamente, integrandoli nelle specifiche tecniche. Un esempio di questo approccio è la gara guanti bandita a dicembre 2022 da Estar, disegnata sulla base di un proficuo dialogo con il mercato che ha assegnato 7 punti alla sostenibilità ambientale e 7 punti a quella sociale8. (vedere focus). Solution-driven: troviamo un tipo di procurement ancora più ambizioso. Qui, la PA mira ad acquisire nuove soluzioni che possano contribuire a generare un chiaro valore addizionale. Questo approccio si allinea ai concetti di procurement per l’innovazione e di buyer sofisticato e incoraggia gli operatori economici ad adottare strategie di creazione di valore condiviso. Questo tipo di procurement può anche premiare coloro che hanno già adottato tali approcci strategici, per esempio start up finanziate con logiche di impact investing o soluzioni sviluppate nell’ambito delle cosiddette CSR-driven partnership. Un

6 Yawar S. A. e Seuring S. (2017), «Management of social issues in supply chains: A literature review exploring social issues, actions and performance outcomes», Journal of Business Ethics, 141(3), pp.621-643. 7 Bowen B., Galceran B. C., Karim S., e Weinstein W. (2022), «Optimizing health system supply chain performance», McKinsey Insights. 8 Vedere capitolo 19 Oasi, CERGAS – SDA Bocconi, 2023.

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esempio di tale approccio è l’adozione di sistemi di pulizia ospedaliera basati su probiotici, che non solo consente di conseguire una maggiore sostenibilità ambientale, ma di ridurre anche le infezioni cliniche, con un beneficio diretto sia per i pazienti che per il budget, generando quindi un chiaro value for society. L’adozione di questo approccio più evoluto è, prima facie, più restrittivo in termini di concorrenza in quanto alzando l’asticella sopra lo standard di mercato favorisce imprese che hanno adottato logiche strategiche di tipo “shared value”. Da notare che gli approcci di procurement value chain e solution driven non sono mutualmente esclusivi; possono essere utilizzati in parallelo, in base a esigenze e obiettivi specifici. La scelta del tipo di procurement da adottare dipende evidentemente dalla maturità della PA e del mercato. Se il mercato non è pronto, l’adizione di pratiche troppo ambiziose potrebbe ridurre eccessivamente la concorrenza o, addirittura, risultare in una gara deserta. Tuttavia, è fondamentale che le PA inizino ad adottare forme di procurement sostenibile gradualmente più innovative, con l’obiettivo di stimolare il mercato verso pratiche e soluzioni che possano dare un reale contributo al sistema, agendo come buyer sofisticato e interpretando il procurement come una partnership con il mercato Focus - Le lezioni apprese dalla gara guanti di ESTAR

L’esperienza di ESTAR consente di evidenziare cinque lezioni utili a comprendere condizioni organizzative e operative per attuare logiche di procurement sostenibile nella forma di value-chain focused. 1. In Italia, l’acquisto di guanti ad uso sanitario non è supportato da CAM, ma ciò non ha frenato la stazione appaltante nel superare un approccio al procurement basato solo sull’utilizzo di certificazioni. La mancanza di regole vincolanti non è stata percepita come un limite, ma al contrario, come un’opportunità per andare oltre un mero esercizio legale. Le norme sul procurement sostenibile, come i CAM, possono rappresentare sia un’opportunità sia un limite. La letteratura scientifica ha enfatizzato l’importanza della regolamentazione nel supportare il procurement sostenibile (Ahsan & Rahman, 20179). Il caso, tuttavia, evidenzia che quando la normativa non è presente, oppure quando potrebbe essere obsoleta rispetto agli avanzamenti del mercato, è necessario adottare un approccio al procurement di tipo strategico se si intende «alzare l’asticella» sulla sostenibilità. Non è un caso che questo sia stato fatto da ESTAR che aveva già sperimentato alcune innovazioni in ambito Value Based Procurement. 2. Serve una leadership strategica e ambidestra per passare a un procurement sostenibile più ambizioso. La leadership ambidestra (Uhl-Bien & Arena, 201810) si basa sulla capacità di bilanciare valori quali compliance,

9 Ahsan K. e Rahman S. (2017), «Green public procurement implementation challenges in Australian public healthcare sector», Journal of Cleaner Production, 152, pp.181-197. 10 Uhl-Bien M. e Arena M. (2018), «Leadership for organizational adaptability: A theoretical synthesis and integrative framework», The Lead-

Figura 1. Il framework per l’implementazione di un procurement sostenibile (fonte: Autore)


value based procurement process concorrenza, economicità, da un lato, e innovazione e VfS dall’altro. Come osservato dal Responsabile degli Approvvigionamenti di ESTAR, introdurre innovazioni in termini di sostenibilità è più difficile, rispetto alle innovazioni cliniche, perché manca consapevolezza tra gli utenti di beni e servizi; tuttavia chi acquista può assumere un ruolo di promotore efficace ponendo domande che ne stimolino la consapevolezza. 3. Il dialogo con il mercato gioca un ruolo fondamentale per ridurre l’asimmetria informativa e valutare «quanto può essere alzata l’asticella». ESTAR decise, ad esempio, di non utilizzare le certificazioni come requisito di qualificazione obbligatorio per evitare di escludere a monte alcuni fornitori, potenzialmente portando a un ricorso e ritardi nell’approvvigionamento. Inoltre, un ricorso con esito sfavorevole per la stazione appaltante avrebbe potuto incrementare l’avversione al rischio, ostacolando futuri avanzamenti al procurement sostenibile. Ma, soprattutto, il dialogo con il mercato ha consentito di apprezzare la necessità di valutare la sostenibilità, sia ambientale che sociale, non solo su alcuni elementi puntuali (come il packaging o i trasporti) ma sull’intera value chain e questo è l’elemento di grande novità e merito di questa procedura di gara. 4. Il caso dimostra che quando la sostenibilità ambientale e sociale viene incorporata nei criteri di selezione, è cruciale assegnare un punteggio non marginale, affinché possa rilevare effettivamente nella scelta del fornitore e non essere un mero esercizio formale. Sette punti alla sostenibilità ambientale e sette punti a quella sociale rappresentano un valore tra i più alti non solo nel panorama nazionale ma anche internazionale, come emerge dalla letteratura scientifica di riferimento. Inoltre, è da apprezzare la scelta di non aver utilizzato un sistema di valutazione di tipo binario, in considerazione del fatto che la sostenibilità è un concetto ampio e può essere declinata in modo differente, sia a livello strategico che operativo. 5. Per passare a un procurement più sofisticato, il team, la competenza e gli strumenti sono essenziali. Nel caso specifico, ESTAR ha messo a punto uno strumento ad hoc (una griglia) per supportare la commissione di valutazione nell’analizzare i profili di sostenibilità delle varie offerte e apprezzarne le diversità e peculiarità. Si tratta di una soluzione davvero interessante nel panorama nazionale. Cosa serve per consolidare il procurement sostenibile? (How?) La complessità e la granularità dei fabbisogni sanitari e sociali impone un ripensamento profondo degli assetership Quarterly, 29(1), pp.89-104

ti di funzionamento della PA. Le evidenze scientifiche spingono verso l’adozione di sistemi di collaborative governance, basata su logiche di gestione inclusiva degli stakeholder e con la consapevolezza che il mercato deve e può giocare un ruolo nella partita. Questo richiede un nuovo modello di leadership nel pubblico e nel privato che si fonda su queste tre azioni: Accettare che l’innovazione e il cambiamento sono un rischio che può essere mitigato investendo in solide competenze manageriali. Superare i pregiudizi, facendo proprio il principio della fiducia (art. 2 Nuovo Codice), da esercitare con solide competenze. Sperimentare logiche di convergenza pubblico-privato verso la generazione di valore. Per attuare logiche di governance collaborativa sono essenziali alcune condizioni, leadership facilitativa - per sostenere un orientamento strategico alle collaborazioni pubblico privato; assicurare trust e commitment; definire chiare regole; gestire il dialogo ed esplorare reciproci vantaggi; competenze diffuse nell’organizzazione - per mettere in atto logiche di creazione di valore privato e sociale nel dinamico ecosistema dei servizi pubblici, anche in logica di small wins (outcome intermedi per alimentare fiducia e orientamento alla collaborazione); disegnare contratti secondo il principio “hoses for courses”, ovvero altamente sartorializzati; adottare logiche più sofisticate di valutazione dei benefici e costi delle collaborazioni; comprendere come attuare la governance dei rischi. Passare verso modelli di governance collaborativa richiede, quindi, rinnovate competenze di management sia nel pubblico che nel privato. Solo in questo modo è possibile trasformare la collaborazione pubblico privato in una opzione sostenibile per il futuro piuttosto che una legacy poco convincente del passato. Un valido strumento per supportare il disegno e l’implementazione di collaborazioni pubblico-privato capaci di generare value for society è il Triangolo di Moore, che nasce, appunto, per lo sviluppo di strategie per la generazione di valore pubblico. Applicare il Triangolo nel disegno di una partnership significa: • Definire i valori da conseguire e le metriche per la misurazione. • Individuare le fonti di legittimazione dell’ambiente esterno. • Definire competenze, organizzazione e strumenti operativi per la sua implementazione.

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normazione Gabriele Ceresetti - Direttore SC Affari Generali e Legali, ASST Valcamonica / SC Risorse Umane, IZSLER, Brescia Paolo Pelliccia - Direttore SC Gestione Acquisti, ASST Santi Paolo e Carlo, Milano

La “reinternalizzazione” dei servizi sanitari: le esigenze di tutela della salute mettono alla prova le procedure di affidamento e la disciplina del personale del SSN

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l Decreto Legge n.34/2023 – nel testo definitivo frutto della conversione con L. n.56/2023 – prevede, tra le norme in materia di salute, l’art.10, rubricato “Disposizioni in materia di appalto, di reinternalizzazione dei servizi sanitari e di equità retributiva a parità di prestazioni lavorative, nonché di avvio di procedure selettive comprensive della valorizzazione dell’attività lavorativa già svolta”. La normativa in questione rappresenta la risposta legislativa finalizzata a correggere una stortura delle concrete modalità di erogazione delle prestazioni sanitarie, con particolare riguardo a quelle di carattere ospedaliero: il riferimento è al fenomeno, di ampia diffusione, di copertura delle esigenze di risorse umane attraverso l’affidamento a terzi (in modalità variamente qualificate sotto il profilo giuridico) di servizi medici ed infermieristici. Di fronte, infatti, alle difficoltà di reclutamento di personale sanitario, le strutture ospedaliere hanno spesso fatto fronte ricorrendo ad operatori economici (società, cooperative di professionisti etc.) che offrono attività di copertura turni, di garanzia di servizi e di erogazione di prestazioni a favore di pazienti e/o assistiti. Una scelta (tutt’altro che libera, occorre precisarlo) che, da un lato, ha significativi impatti di natura economica (in ragione dell’onere che tali affidamenti hanno) e, dall’altro, genera conseguenze sulla qualità del servizio pubblico reso (anche in considerazione del pregiudizio alla continuità assistenziale che l’aggiudicazione di detta attività comporta sulla complessiva organizzazione dell’attività sanitaria). La disposizione, con l’evidente intento di contenere il ricorso al Codice degli appalti per soddisfare esigenze di personale, intro-

duce, in primis, una pluralità di limiti al ricorso all’esternalizzazione. Innanzitutto è richiesta, come condizione preliminare, una situazione di necessità ed urgenza. Nella pur indeterminata formulazione il presupposto si riconosce in circostanze di carenza di personale che non si è in grado di soddisfare altrimenti e alla cui mancata celere risposta potrebbe conseguire un pregiudizio, anche solo potenziale, per la salute individuale e collettiva. Assenza di alternative ordinarie (alias: misure organizzative e gestionali idonee ad assicurare l’offerta sanitaria) e indispensabilità di una risposta in tempi brevi pena un danno irreparabile sono i due primari presupposti. L’affidamento a terzi ha poi, nel disegno del legislatore, un carattere eminentemente residuale, essendo possibile ricorrervi quando sono state inutilmente esperiti tutti i tentativi di reclutamento di personale. Per non lasciar spazio a dubbi, la norma si premura di dettagliare che in via preliminare l’ente del SSN deve verificare l’impossibilità di utilizzare le risorse umane di cui già dispone (siano esse dipendenti o siano esse in regime di convenzione), di reclutarne di nuove attraverso l’utilizzo delle graduatorie esistenti e di coprire i propri fabbisogni di personale medico e infermieristico attraverso ulteriori procedure di reclutamento. Una extrama ratio nell’ambito della quale vi è un onere dimostrativo da parte della stazione appaltante, prima di attivare la procedura di scelta del contraente, circa l’inutilizzabilità in concreto del reclutamento “ordinario”. L’ambito di operatività del contratto è pure strettamente circoscritto. L’esternalizzazione è configurabile esclusivamente in un’unica occasione, con ciò escludendosi, per il medesimo servizio, una succes-

Se si mira a disincentivare la fuoriuscita dei professionisti, il rischio è che si amplifichi la concorrenza del privato che, reclutato il professionista ex pubblico, lo tiene legato a sé proprio con l’impossibilità di questi di tornare nell’ambito del servizio pubblico


normazione sione nel tempo di affidamenti. Il legislatore introduce altresì limiti di natura temporale, prevedendo una durata massima annuale, non passibile di proroga e con la precisazione che, qualora una proroga sia stata precedentemente disposta, essa non consente in ogni caso il superamento dei dodici mesi di durata. La durata annuale è pure confermata nella sua decorrenza, dal comma 5 bis, dalla data di sottoscrizione dei contratti sottoscritti prima dell’entrata in vigore della norma o della sua piena efficacia. Affinché le prescrizioni sopra menzionate non rimangano sulla carta, la stazione appaltante motiva espressamente sulla osservanza delle previsioni e delle condizioni fissate e sulla durata dell’affidamento. Il comma 4 esige pertanto che la declinazione dei presupposti in fatto ed in diritto, la cui necessità deriva più in generale dalle previsioni di cui all’art.3 L. n.241/1990, risulti chiaramente ed in maniera indiscussa dal provvedimento con cui la procedura di scelta del contraente è attivata. Che l’iter logico giuridico debba essere espresso, se non si vuole ridurre l’avverbio “espressamente” utilizzato dal legislatore a mero orpello, significa che è necessaria una motivazione rafforzata, tipicamente idonea ad assicurare un presidio garantistico nei casi di provvedimenti aventi un contenuto discrezionale. Sul punto non si può mancare di rilevare un pericolo, consistente nel rischio che l’obbligo di motivazione di cui all’art.10, comma 4 D.L. n.34/2023 si tramuti in una sorta di probatio diabolica. Dimostrare, infatti, l’impossibilità di reclutamento, nelle tante e varie forme contrattuali menzionate, di personale medico ed infermieristico esige, se non vuole risolversi in un’affermazione di stile, una copiosissima attività di natura provvedimentale… non sempre compatibile con l’urgenza e la necessità che caratterizzano le esigenze sanitarie. Quello che si vuole evidenziare è che dare evidenza dell’esperimento di ogni infruttuoso tentativo di reperimento di professionisti prima dell’affidamento può apparire agile, ma è in sostanza molto impegnativo, con possibili impatti sull’utilizzabilità dello strumento normativo. Gli eclatanti impatti delle disposizioni accennate sono mitigate da una disposizione - di natura transitoria introdotta in sede di conversione e ora contenuta nell’art.10, comma 5 bis - secondo la quale il divieto di esternalizzazione dei servizi medici ed infermieristici non si applica agli affidamenti in atto e alle procedure di affidamento in corso di svolgimento o per le quali sia stata pubblicata la determinazione di contrarre, o altro atto equivalente, entro i dodici mesi successivi alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto legge (30 maggio 2023). Un lasso di tempo che, mentre evita insostenibili effetti sulle strutture sanitarie, esige che gli enti del SSN approntino ogni misura per soddisfare le

proprie esigenze di personale con contratti di lavoro, subordinato o autonomo, o con rapporti di natura convenzionale. Tutela del paziente e “parità delle armi” pubblico-privato: gli inderogabili i requisiti professionali e il rispetto dei limiti del D.Lgs. n.66/2003 Tra gli aspetti di maggior novità (e, al contempo, di difficoltà applicativa) si annovera l’estensione, anche nell’ambito dei servizi esternalizzati, dei medesimi requisiti soggettivi richiesti in ambito pubblico in capo ai professionisti chiamati ad erogare prestazioni sanitarie. La misura mira a correggere una prassi di endemica diffusione, con particolare riguardo ai settori dell’emergenza- urgenza: gli enti del Servizio sanitario nazionale, di fronte alla difficoltà di reclutare, nelle forme previste, professionisti in possesso dei requisiti di legge (con specifico riferimento al personale medico: laurea unitamente a specializzazione in disciplina di interesse), hanno spesso provveduto all’esternalizzazione di servizi a operatori economici che, nell’adempiere alle previsioni contrattuali conseguenti all’affidamento, si avvalevano di professionisti in difetto dei requisiti per la partecipazione ai relativi concorsi pubblici; in particolari si trattava di medici che, ritualmente iscritti al competente albo professionale, non vantano alcuna specialità (o, pur specialisti, non in disciplina coerente con le funzioni svolte). Ciò con l’effetto, sicuramente paradossale, di una eterogeneità nella qualificazione soggettiva di coloro che erogano le medesime prestazioni, magari anche all’interno della stessa struttura sanitaria. La norma riporta nella giusta prospettiva applicativa l’intera tematica: sotto il profilo logico, esigendo pari presupposti a fronte di attività corrispondenti; sotto il profilo assistenziale, assicurando ai pazienti un’assistenza, nei suoi presupposti, di qualità; sotto il profilo giuridico, evitando una disparità che poneva in una situazione di indubbio vantaggio gli operatori economici ed impedendo uno svilimento delle professionalità interne delle strutture pubbliche. Mentre non si può che dubitare fin d’ora della sostenibilità del cambio così nettamente imposto dal legislatore, si possono già individuare le problematiche interpretative che laconicità del testo porta con sé. Il richiamo ai “requisiti di professionalità contemplati dalle disposizioni vigenti per l’accesso a posizioni equivalenti” apre dubbi - che già attanagliano gli uffici dell’aziende sanitarie – in ordine a quale sia il riferimento rispetto al quale valutare la correttezza dell’offerta presentata dall’operatore. Accanto alla regolamentazione generale in punto di accesso ai ruoli dirigenziali e non dirigenziali del Servizio sanitario nazionale e a talune normative di settore, nel tempo si sono delineate discipline derogatorie, aventi carattere

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temporale limitato (benché magari molto ampio), dirette a consentire in via eccezionale l’accesso ai ruoli della Pubblica Amministrazione a soggetti non in possesso dei requisiti ordinari. Si pone pertanto il problema se, vigendo talune di queste disposizioni derogatorie, di esse possano giovarsi anche i soggetti privati che offrono servizi medici e/o infermieristici, reclutando in tal modo, per adempiere agli obblighi contrattuali assunti con gli enti sanitari, soggetti non in possesso degli ordinari requisiti di legge. Pare coerente con la rubrica dell’articolo e con la ratio delle disposizioni del decreto nel loro complesso intese sostenere che le norme, aventi carattere speciale, volte a consentire l’ingresso nei ranghi della Pubblica Amministrazione hanno la finalità esclusiva di favorire - per lo più a fronte di situazioni di carenza o di situazioni di diffusa precarietà - l’ampliamento stabile delle dotazioni organiche interne degli enti solitamente a fronte di significative e peculiari esperienze maturate, ritenute congrue e idonee a sostituire i requisiti ordinari previsti. Una estensiva applicazione per finalità ulteriori avrebbe il deleterio effetto di perpetrare le storture che le norme stesse mirano a superare. Basti pensare all’art.12 del Decreto Legge per comprendere, in prospettiva sistematica, il rapporto tra norme straordinarie in materia di reclutamento e vincoli – necessariamente rigidi – per le esternalizzazioni di cui all’art.10. Il rispetto delle disposizioni in materia d’orario è l’ulteriore presupposto per assicurare la liceità dell’esternalizzazione. Nella prassi,

infatti, la libertà di auto organizzazione imprenditoriale tipica degli operatori privati del settore rendeva irrilevante, o quanto meno non agilmente sindacabile, il rispetto, da parte dei professionisti da questi ultimi reclutati, dalla disciplina in ordine a ferie, riposi e orario di lavoro. Con l’effetto che le prestazioni sovente erano erogate, magari a favore di aziende sanitarie diverse, da lavoratori impiegati su turni continuativi, senza assicurare il necessario recupero psicofisico, con potenziale pregiudizio sia per la loro salute sia con evidenti impatti sulla qualità dell’assistenza erogata. Con efficace formulazione, l’art.10, comma 2, ultimo capoverso pone in capo all’erogatore di servizi medici e infermieristici l’onere di dimostrare l’ottemperanza alle disposizioni di cui al decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66. Si ha motivo di credere che le modalità con cui in concreto possa essere adempiuto (anche sulla scorta di idonee richieste da parte della stazione appaltante in fase di aggiudicazione) saranno definite con uniformità dal Ministero della Salute, sentita l’ANAC, nell’ambito delle linee guida previste dall’art.10, comma 3. Requisiti soggettivi dei professionisti e rispetto dei vincoli in ordine all’orario di lavoro: su questi due binari il tema dell’affidamento dei sanitari (con efficace formulazione qualificato come “regime di esternalizzazione”) e quello del reclutamento di risorse dipendenti della Pubblica Amministrazione sanitaria (con altrettanto altisonante definizione ricondotto alla “re-internalizzazione dei servizi sanitari”) trovano un punto di incontro,


normazione di comune applicazione di un’omogena disciplina. Tutto questo per procedere, dopo essersi incontrati, in maniera parallela, per evitare distorsioni concorrenziali e per non pregiudicare, in ogni caso, l’utente. La re-internalizzazione: procedure riservate tra limiti di programmazione e condizioni di accesso Con disposizione di logico completamento rispetto a quanto statuito nel comma che precede, l’art.10, comma 7 introduce strumenti di valorizzazione dell’esperienza maturata dal personale nell’ambito di servizi esternalizzati, proprio nel momento di reclutamento di risorse con rapporto di lavoro dipendente. Tale misura si pone in continuità rispetto ai meccanismi volti ad assicurare l’effettività del principio secondo il quale la forma ordinaria di svolgimento delle prestazioni lavorative, anche in ambito sanitario, è quella del rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Mentre i primi meccanismi (si vedano le previsioni di cui all’art.20 D.L n.75/2017) miravano a superare il precariato inteso quale massiccio ricorso alle forme di lavoro a tempo determinato, l’ambito di applicazione di tali ipotesi parzialmente derogatorie del sistema concorsuale (con i suoi caratteri di pubblicità intesa come reclutamento tra il più ampio novero possibile di candidati) si è progressivamente esteso, ritendo computabile, pur per differenti finalità e spesso sulla scorta di necessità di natura emergenziale, anche prestazioni erogate in costanza di rapporti di lavoro autono-

mo o di somministrazione. La disposizione in esame ha una finalità evidentemente sollecitatoria nel momento in cui propone un modello secondo il quale ai servizi appaltati all’esterno deve sostituirsi un sistema assicurato tramite procedure selettive per il reclutamento di personale proprio. L’auspicabile obiettivo è subordinato a condizioni di natura giuridica e fattuali. Circa le prime, non vi è dubbio alcuno che la re-internalizzazione debba avvenire nel rispetto della programmazione operata dai Piani Triennale dei Fabbisogni di Personale e nel rispetto dei vincoli normativi, anche di impatto finanziario, esistenti. E non potrebbe essere diversamente: puntuali previsioni e sostenibilità delle misure prospettate sono canoni irrinunciabili; di certo essi rappresentano, oltre che una garanzia di rispetto dei canoni costituzionali di buon andamento, un limite concreto, in particolare considerato che sovente le Amministrazioni, dopo lunghi periodi di esternalizzazioni, hanno saturato le facoltà assunzionali (sia in ordine alla dotazione organica sia in ordine al budget disponibile), con l’effetto che, in assenza di deroghe, è difficile procedere alla prospettata re-internalizzazione. Sulle condizioni di natura fattuale, non può tacersi che detta opera di re-internalizzazione non si presenta come agevole, soprattutto per la nota carenza di personale assumibile. Tra gli strumenti proposti per la valorizzazione si indica, a titolo esemplificativo ma non esaustivo come testimonia la formulazione dell’articolato, la riserva della metà dei posti da

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coprire a favore di coloro che hanno prestato attività in regime esternalizzato. Tale scelta pare razionale con il sistema delle riserve già esistenti in ambito pubblico e, più in particolare, in quello sanitario. Se possono essere rilevate delle perplessità esse attengono, in primis, alla durata del periodo che consente di accedere alla riserva: un semestre. Al di là della esiguità intrinseca sotto il profilo temporale, l’attività utile è sufficiente che si sostanzi in assistenza ai pazienti: la norma non dettaglia un impegno orario minimo erogato, con l’effetto che, salve puntuali previsioni in sede di bandi di concorso che declinino l’operatività della riserva, potranno avvalersi della stessa anche soggetti che, in forza di rapporti libero professionali, hanno contribuito in maniera minimale alla garanzia del servizio e, pertanto, all’assistenza stessa. Si deve però sottolineare che tale ampliamento della platea di potenziali beneficiari è coerente con la forte necessità di reclutare personale da inserire stabilmente negli organici della pubblica amministrazione, “sottraendolo” al libero mercato. Apprezzabile è l’ampliamento dell’ambito settoriale di maturazione dell’esperienza, non relegata all’ambito sanitario ma estesa anche a quello socio - sanitarie. Solo interpretando in questa maniera la disposizione, essa non genera un corto circuito logico. I servizi esternalizzati di cui si occupa l’art.10 sono quelli medici e infermieristici che, senza dubbio, sono concretizzazione di prestazioni sanitarie e non certo socio sanitarie e/o sociali (assicurate da altri profili professionali), ma dette attività possono essere erogate anche in settori non propriamente sanitari (es. RSA et similia). Pertanto potranno giovarsi del reclutamento con riserva solo i professionisti del ruolo sanitario facendo valere anche esperienze maturate, nel profilo di appartenenza, anche presso realtà non sanitarie. Con finalità opposta, di riduzione del perimetro, è la precisazione che l’attività utile è quella di natura assistenziale a favore dei pazienti, con l’effetto di escludere qualsiasi di altro tipo (come quelle di natura preventiva o di educazione alla salute). In coerenza con quanto previsto nel comma 6, si vogliono evitare fenomeni di “sliding doors” con professionisti che alternano, sulla base di valutazioni personali scevre di un’utilità collettiva, periodi di dipendenza a prestazioni a favore di terzi, per poi rientrare nei ranghi dell’Amministrazione. Anche qui la formulazione legislativa è piuttosto infelice: mentre pare legittimo precludere la possibilità di avvalersi della riserva a coloro che hanno precedentemente risolto volontariamente il loro rapporto di lavoro, l’affermazione per cui “non possono partecipare alle procedure selettive” pare delineare, almeno sotto il profilo letterale, una limitazione all’accesso al meccanismo concorsuale. Ora, se non si vuole evitare un’evidente contraddizione con i principi costi-

tuzionali di libero accesso al pubblico impiego, occorre dare un’interpretazione costituzionalmente orientata all’ultimo capoverso, considerandolo come impeditivo a computare l’esperienza maturata presso terzi al fine di far valere l’accesso tramite riserva nei ruoli dell’Amministrazione. In caso contrario si perverrebbe all’esito – paradossale- che alle dimissioni di un medico o di un infermiere segua, sic et simpliciter, l’impossibilità di ambire nuovamente all’accesso alla dipendenza tramite gli ordinari strumenti previsti dall’ordinamento. C’è da attendersi e da auspicare un intervento applicativo omogeno a livello nazionale tramite l’adozione di linee guida regionali sulla scorta di indicazioni provenienti dalla Conferenza Stato - Regioni, così come già avvenuto in situazioni pregresse, per trovare un punto di equilibrio tra le contrapposte esigenze. I nuovi (e dubbi) limiti legislativi sulle disposizioni contrattuali in punto di riammissione in servizio dei lavoratori Il legislatore, con il chiaro intendo di limitare gli effetti della concorrenza differenziale esercitata da datori di lavoro privati, interviene sulla fattispecie della ricostituzione del rapporto di lavoro, precludendo l’accesso a tale fattispecie nelle ipotesi in cui il recesso avviene al fine di essere reclutati alle dipendenze di operatori economici che erogano servizi medici ed infermieristici. La ratio del comma 6 è, come per inciso già accennato, di disincentivare l’esodo di medici e infermieri verso terzi in grado di formulare proposte, sotto il profilo della disciplina giuridica ed economica del vincolo contrattuale, ben più dinamiche ed allettanti di quelle proprie della rigidità del pubblico impiego. L’obiettivo è perseguito però con una previsione che, forse per la sua sinteticità, non manca di aprire problematiche applicative di non poco conto. Il primo aspetto è di natura sistematica e muove dalla circostanza che l’istituto della “ricostituzione del rapporto di lavoro” ha, nell’attuale contesto, fonte negoziale e non legislativa. L’art.13 CCNL Area Sanità 19.12.2019 (applicabile al personale medico) e l’art.42 del CCNL personale di ruoli non dirigenziali 2.11.2022 (per il personale infermieristico) disciplinano, in forma sostanzialmente esaustiva, la fattispecie, sostituendo le originarie disposizioni dell’art.59 DPR n.761/1979 che, per espressa indicazione, risulta disapplicato. Ora, tacendo degli effetti sui rapporti sindacali di tale (pur legittima) opzione di intervento del legislatore, si introduce un’ipotesi di preclusione normativa nell’accesso all’istituto dai confini quantomeno indeterminati. Di fronte ad una disposizione di per sé non autosufficiente (in ragione, come si vedrà, delle rilevantissime incertezze applicative), la circostanza che la fonte sia normativa e


normazione non contrattuale preclude forme interpretative rapide e condivise (in particolare tramite la formalizzazione di orientamenti da parte dell’Agenzia per la Rappresentanza delle Pubbliche Amministrazioni – ARAN), con l’effetto di una prevedibile eterogeneità in fase applicativa da parte degli enti del Servizio sanitario nazionale. La criticità più significativa va riconosciuta nella circostanza che il legislatore ha individuato quale causa preclusiva alla riammissione in servizio (“non può chiedere successivamente la ricostituzione del rapporto di lavoro con il Servizio sanitario nazionale”) nel fatto che il recesso sia effettuato “per prestare la propria attività presso un operatore economico privato che fornisce i sevizi di cui ai commi 1, 2 e 4 in regime di esternalizzazione”. La formulazione è alquanto singolare. Da un lato, infatti, introduce un elemento da sempre estraneo alla facoltà di recesso del lavoratore, quello della motivazione: come è noto, la possibilità di interrompere anzitempo il rapporto da parte del prestatore è libera, senza necessità di esplicitarne le ragioni fondanti. In questa ipotesi invece assumere rilievo l’orientamento teologico della scelta effettuata dal sanitario che si dimette: non si tiene però in considerazione che di detta “motivazione” non vi è formale né sostanziale traccia, essendo da sempre (tranne casi eccezionali) irrilevante per l’ordinamento. Forse più che l’intento di chi recede di essere arruolato presso imprese private del settore, la norma sarebbe stata funzionale alla concreta voluntas del legislatore se formulata nel senso di far scattare la preclusione alla ricostruzione nel caso di effettiva assunzione alle dipendenze degli operatori economici privati di cui trattasi (o, in generale, di erogazione di prestazioni anche con altre forme contrattuali). Da una norma di mero pericolo si sarebbe passati ad un testo di più agevole applicazione perché ancorata ad un dato oggettivo (benché di non sempre facile accertamento). Per altro profilo, manca una declinazione temporale dell’impossibilità a richiedere la riammissione. Gli atti istruttori in sede di conversione del D.L. n.34/2023 evidenziavano l’opportunità di chiarire l’efficacia nel tempo del pubblico impiego dopo l’entrata in vigore del Decreto Legge o se, al contrario, in grado di “bloccare” le richieste di riammissione formulate dal 30 marzo per dimissioni realizzatesi anche antecedentemente. A fronte di una difficoltà applicativa – frutto della peculiare formulazione – il legislatore, in sede di conversione, non ha raccolto l’invito di chiarire tale aspetto. Ora, mentre in aderenza a quanto precisato negli atti istruttori “sembra doversi intendere che la preclusione alla ricostituzione sia disposta per quanti abbiano interrotto (o interromperanno) volontariamente il rapporto di lavoro dipendente dopo l’entrata in vigore del provvedimento” parrebbe maggiormente razionale ancorare il divieto al momento dell’as-

sunzione di impegni lavorativi (nelle diverse forme contrattuali) a favore di terzi piuttosto che all’evento, di per sé neutro, del recesso o della richiesta di ricostituzione del rapporto di lavoro. Non si può neppure mancare di sollevare qualche dubbio in ordine alla ragionevolezza – sotto il canone della proporzionalità della misura – del divieto: possibile che per l’intero quinquennio previsto dall’art.13 CCNL 17.12.2019 e dall’art.42 CCNL 2.11.2022 la riammissione sia preclusa e ciò anche indipendentemente dalla tipologia, dalla durata e della natura del rapporto intercorso con il terzo erogatore di servizi medici e infermieristici? Da ultimo deve porsi un quesito di coerenza della disposizione - da cui è facile attenersi un forte contenzioso - con quelle finalizzate alla “re-internalizzazione” (es. in materia di trattenimento in servizio, di reclutamento di personale in quiescenza, di superamento di vincoli di esclusività): certo, essa mira a disincentivare la fuoriuscita dei professionisti, ma il rischio è che amplifichi la concorrenza del privato che, una volta reclutato il professionista ex pubblico, ha uno strumento ben più forte per tenerlo legato a sé, fornitogli dalla stessa normativa: l’impossibilità di tornare nell’ambito del servizio pubblico. Esternalizzazione e responsabilità erariale del “dirigente della struttura sanitaria appaltante” Non manca nella norma in analisi un focus in tema di responsabilità. Con il palese obiettivo di assicurare un rigoroso rispetto del divieto di ricorrere all’esternalizzazione, il comma 5 stabilisce che l’inosservanza delle disposizioni di cui all’art.10 (anche con riguardo all’omessa motivazione rafforzata del provvedimento di esternalizzazione) è “valutata anche ai fini della responsabilità […] per danno erariale”. Si tratta quindi di una disciplina che vuole, nell’intento del legislatore, declinare la fattispecie della responsabilità amministrativa nel particolare contesto dell’affidamento di servizi sanitari. Lungi dal volerne sminuire la portata innovativa, pare opportuno però delinearne i reali effetti sul sistema della responsabilità degli agenti pubblici, come già esistente nel nostro ordinamento. Come noto, infatti, il funzionario risponde a titolo di responsabilità ex L n.20/1994 nelle ipotesi di comportamenti idonei a cagionare un danno, diretto o indiretto, all’erario pubblico connotati da un coefficiente soggettivo rafforzato, integrato dalla colpa grave. Con lo scopo di evitare infatti fenomeni di irrigidimento dell’azione della Pubblica Amministrazione (tramite i suoi agenti), l’ordinamento tollera, nei rapporti tra Ente e dipendente, uno spazio di irrilevanza – quello corrispondente alla colpa non grave – dei comportamenti. In siffatto contesto, l’art.10, comma 5 precisa che la violazione delle disposizioni dello stesso articolo costituisce

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normazione parametro per l’accertamento del coefficiente soggettivo presupposto (quello della colpa, connotata da gravita). Ma - senza voler cadere in una eccessiva semplificazione - non potrebbe essere diversamente, in quanto la colpa si sostanzia, secondo tradizionale e consolidata interpretazione, in azioni o omissioni negligenti, imprudenti o imperite…e la negligenza è integrata per tabulas quanto il comportamento tenuto sia contra legem e, pertanto, in contrasto con la disciplina di settore. Quello che si vuole evidenziare è che per integrare l’ipotesi di responsabilità amministrativa nel caso di indebito affidamento a terzi di servizi sanitari rimane sempre necessario, accanto agli altri elementi costitutivi, che la violazione delle disposizioni previste nei commi 1, 2 e 4 sia connaturata da un discostamento molto evidente del comportamento dell’agente dalle regole di diligenza, prudenza e perizia che il caso concreto avrebbe richiesto

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di osservare. È chiaro pertanto che, a fronte dell’affidamento fuori dai casi consentiti o senza il rispetto delle formalità prescritte, dovranno essere considerati, ai fini della consistenza delle azioni o delle omissioni, tutte le circostanze concrete, anche connesse al contesto in cui esse si sono venute a creare. Sarebbe, infatti, contrario a razionalità, pur a fronte di una violazione dei limiti di cui all’art.10, sanzionare per danno erariale il ricorso a servizi medici e infermieristici garantiti da operatori economici terzi qualora detto strumento rappresenti, in maniera certa e dimostrabile, l’unico strumento per evitare l’interruzione del pubblico servizio. Dunque, lungi dall’integrare una fattispecie di responsabilità amministrativa oggettiva, in re ipsa, la norma chiama la corte dei conti, giudice competente in materia, ad accertare la sussistenza di profili di responsabilità amministrativa tenendo in particolare considerazione, nella declinazione


normazione dei diversi profili richiesti dalla fattispecie, la pregnanza dell’inosservanza del disposto normativo dell’art.10. Forse il carattere peculiare della disposizione si riconosce soffermandosi sull’agente considerato: il “dirigente della struttura sanitaria appaltante”. Se con detta formulazione il legislatore ha voluto individuare, seppure con dicitura atecnica, non tanto i soggetti (con qualifica dirigenziale) deputati alle articolazioni organizzative incaricate dell’affidamento dei servizi (i cd. provveditorati degli enti del SSN) quanto i titolari degli incarichi amministrativi di vertice – i Direttori Generali secondo le previsioni del D.Lgs. n.502/1992 –, ecco che il parametro valutativo della responsabilità assume un connotato di innovatività. Poiché le modalità con cui si assicurano i servizi sanitari e infermieristici rappresentano, nell’ambito del servizio sanitario nazionale, attività core, strategica, funzionale al perseguimento dell’effettività della tutela della salute ex art.32 Cost., il ricorso a strumenti vietati dall’ordinamento è elevato, dalla novella legislativa, a indice di un profilo di responsabilità dalla quale, ordinariamente, l’organo di vertice potrebbe andare esente qualora l’affidamento non sia stato da lui (direttamente) disposto. Tale interpretazione, che consente di riconoscere nella disposizione una novità, non trova, nell’ambito degli atti parlamentari in sede di conversione del decreto legge, né conferma né smentita. Pare però, oltre che coerente con il tenore letterale della norma, in linea con la ratio complessiva della novella legislativa. Reinternalizzazione dei servizi sanitari: modalità applicative lombarde e prospettive problematiche future Della pressante esigenza di contenimento del fenomeno di esternalizzazione è testimonianza la circostanza che non sono mancati interventi regionali in materia. Tra di essi merita senza dubbio menzione la previsione legislativa contenuta nell’art.4 della Legge Regionale Lombardia 29 dicembre 2022, n. 34. Tra le misure per la sanità lombarda contenute in detta Legge di Stabilità 2023 2025, ve ne sono di “ulteriori” - racchiuse nell’art.4, comma 2 - specificatamente riservate all’affidamento a terzi. Nella direzione di una stretta sul punto, Regione Lombardia, ben prima dell’entrata in vigore del D.L. n.34/2023, ha previsto che la stipula di nuovi contratti per la gestione di servizi medici ed infermieristici è possibile solo per “far fronte ad eventuali necessità urgenti e inderogabili”, prefigurando quella che sarebbe stata la condizione introdotta poi dal legislatore nazionale. Di più, mentre sono fatti salvi i contratti in essere (non impattati dall’art.4 L.R. n.34/2022), si precisa che l’affidamento a terzi deve essere sempre preventivamente autorizzata da Regione Lombardia, al fine di assicurare un controllo preventivo in ordine alla sussistenza

dei presupposti abilitanti e di sostenibilità di natura economico -finanziaria nel complessivo contesto del servizio sanitario regionale. Non a caso, è precisato un obbligo dell’ente sanitario che intende procedere con l’esternalizzazione, in fase di formulazione dell’istanza di autorizzazione, di motivare adeguatamente, con un dettaglio delle azioni messe in atto per garantire l’erogazione delle attività. In tal contesto si comprende l’attenzione riservata ai processi di outsourcing che la Regione ha riservato, già nel 2022, con le proprie linee guida regionali “Omogeneizzazione dei comportamenti degli Enti strumentali di Regione Lombardia – ASST, ATS, Fondazioni IRCCS di diritto pubblico – ai fini di attuazione del Piano di Ripresa, in coerenza con l’affievolirsi dell’emergenza pandemica da SARS COV 2”. Esse mirano ad una preziosa procedimentalizzazione a supporto degli enti sanitari nel momento in cui devono approcciarsi al ricorso all’esternalizzazione. La circostanza che dette linee guida siano antecedenti alla L.R. n.34/2022 ed al D.L. n.34/2023 non intacca la loro concreta fruibilità, stante l’assenza di antinomie tra le diverse disposizioni sopravvenute e in forza della medesima ratio che le anima. La pluralità di aspetti che le discipline menzionate (nazionali e ragionali) toccano, le modalità con cui l’intervento è stato pensato e il loro concreto impatto sugli aspetti organizzativi non mancano, in una prospettiva di complessiva analisi critica della materia, di confermare il dubbio di fondo – che pervade chi si approccia alla materia - se la disciplina sia davvero in grado di assicurare in maniera efficace la continuità nell’erogazione del pubblico servizio sanitario o se detta continuità venga sacrificata in nome di una presunta “reinternalizzazione” o di una auspicata “equità retributiva”. Mentre solo la (futura) concreta applicazione degli stringenti limiti negli affidamenti consentirà di apprezzarne gli effetti, il perdurare della carenza di personale medico e infermieristico, i rafforzati bisogni di risorse umane scaturenti dalle riforme del PNRR con particolare riguardo alla sanità territoriale e, non da ultimo, le scelte in materia che la contrattazione nazionale di lavoro sta imboccando (basti il riferimento alla tematica dell’orario di lavoro per il personale della dirigenza medica) fanno prefigurare uno scenario in cui all’apprezzabile apposizioni di condizioni di utilizzo di strumenti giuridici di cui si è abusato dovranno essere affiancati scelte di natura organizzativa e gestionale…come a dire che né il Codice degli appalti né le norme sul reclutamento di personale (dipendente e non) sono in grado di dare una risposta a bisogni di cura che, mentre poco attengono al trattamento dei lavoratori del SSN, hanno molto a che fare con la qualità del servizio.

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normazione Federico Canonici - Studio Legale Vicinitas -Roma

Contratti Pubblici: Responsabilità precontrattuale della P.A. e termini di conclusione delle procedure di affidamento alla luce del D.Lgs. 36/2023

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n vigenza del vecchio Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. n. 50/2016) la ben nota Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (n. 21/2021) aveva efficacemente delineato i contorni della responsabilità precontrattuale della P.A. nei rapporti sorti in ambito delle procedure di evidenza pubblica. Questa si collegava all’ipotesi di revoca colposa dell’affidamento da parte dell’Amministrazione aggiudicatrice, connessa alla violazione dei doveri di buona fede ed efficienza dell’operato amministrativo, con obbligo di ristoro limitato al solo “interesse negativo”, ovvero alle spese sostenute dall’operatore per le inutili trattative intercorse o eventuale perdita di altre occasioni contrattuali. L’affidamento dell’operatore precisava la Plenaria - non può che discendere dall’approvazione dell’aggiudicazione definitiva. Solo in tal senso, l’aspettativa del partecipante aggiudicatario nella costituzione di un dato rapporto giuridico appare concreta, non ipotetica, e quindi prevaricabile dall’esercizio dell’autotutela da parte dell’Amministrazione procedente. Tale meccanismo è apparso adeguatamente collaudato nella prassi giudiziale. La lesione dell’aspettativa maturata dall’aggiudicatario è stata giudicata meritevole di risarcimento in quelle ipotesi in cui l’atto legittimo (la revoca dell’affidamento per ragioni di interesse pubblico) si sia accompagnato ad una condotta colposa della p.a. (la indizione di una gara in assenza di giusti presupposti giuridici e/o fattuali) tanto da farne suggerire l’annullamento in autotutela (sul punto, CdS, Sez. V, 28/01/2019, n. 697, il quale ricordava come fosse “possibile configurare un’ipotesi di responsabilità precon-

trattuale a carico della stazione appaltante la quale, dopo aver indetto una gara ed essersi in seguito avveduta di motivi ostativi, prosegua nella gestione della procedura senza informare i partecipanti, per poi revocare l’aggiudicazione). Legittimità dell’atto di revoca, correttezza dell’operato amministrativo: due piani distinti Nel dirimere le controversie in punto di risarcimento del danno, i giudici amministrativi sono chiamati a verificare se l’ente pubblico si sia comportato non solo da buon amministratore, ma anche da corretto contraente. Piani del tutto distinti. Il giudizio sulla legittimità di un provvedimento di revoca è autonomo, e presuppone valutazioni di opportunità, convenienza e sostenibilità dell’affidamento che l’Amministrazione pone in essere al momento della stipula del contratto. Le contingenze, quindi, hanno un peso rilevante. Circostanze di fatto non previste o sopravvenute possono suggerire alla Stazione appaltante di procedere alla revoca dell’aggiudicazione, se non costringerla a farlo. La valutazione della correttezza dell’operato amministrativo, invece, si impernia sul grado di colpa riconducibile all’ente per non essere stata in grado, in via preventiva, di valutare suddette circostanze. Una circostanza conosciuta o conoscibile dall’Amministrazione, che abbia condotto alla revoca dell’aggiudicazione, fonda la culpa in contrahendo dell’ente pubblico, da cui può derivare per l’operatore un danno precontrattuale risarcibile.

Il quadro dei principi del nuovo Codice sembrerebbe parametrare la diligenza richiesta al soggetto pubblico ad un nuovo e più elevato standard, caratterizzato dall’inedito principio di certezza della durata della procedura di gara


normazione È stato così affermato che “anche in caso di revoca legittima degli atti di aggiudicazione di gara per sopravvenuta indisponibilità di risorse finanziarie può sussistere la responsabilità precontrattuale dell’amministrazione che abbia tenuto un comportamento contrario ai canoni di buona fede e correttezza soprattutto perché, accortasi delle ragioni che consigliavano di procedere in via di autotutela mediante la revoca della già disposta aggiudicazione non abbia immediatamente ritirato i propri provvedimenti, prolungando inutilmente lo svolgimento della gara, così inducendo le imprese concorrenti a confidare nelle chances di conseguire l’appalto” (CdS, Sez. V, 05/05/2016, n. 1797; CdS, Sez. V, 01/02/2013, n. 633; da ultimo, CdS, Sez. V, 12/09/2023, n. 8273). Principi e termini di conclusione della procedura di gara nel nuovo Codice dei contratti pubblici In via del tutto inedita rispetto alle precedenti “edizioni”, il nuovo Codice dei contratti pubblici, in vigore dal 1° luglio 2023 (D.Lgs. n. 36/2023), esordisce con un ampio richiamo ai principi regolatori dell’azione

amministrativa e dei rapporti pubblico/privato nelle procedure ad evidenza pubblica. Sebbene ancora non possiamo avere un quadro chiaro e definito di come ed in che misura tali principi assurgeranno, nella casistica, ad elemento rilevante in sede di contenzioso, possiamo fare alcune ipotesi. La ricaduta sul piano processuale dei principi di tutela dell’affidamento e buona fede, contenuti nell’art. 5 del Codice, potrebbe passare per diverse vie. Come spiega la Relazione al D. Lgs. n. 36/2023, il senso dell’art. 5 citato “è quello di evidenziare che l’affidamento (dell’operatore nella bontà e correttezza dell’operato amministrativo n.d.r.) rappresenta un limite al potere amministrativo che può venire in considerazione sia in materia di diritti soggettivi che di interessi legittimi ed inerire, pertanto, anche ai rapporti connotati da un collegamento con l’esercizio del potere”. L’attenzione del legislatore verso i principi si conferma fattivamente nell’art. 17 del Codice, che descrive le fasi delle procedure di affidamento. La norma introduce una rilevante novità, collegando il rispetto del termine di conclusione del procedimento

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normazione di selezione - termine sancito ad hoc da un apposito allegato al testo legislativo ed in misura differente a seconda della tipologia di procedura prescelta dalla stazione appaltante - alla buona fede dell’Amministrazione aggiudicatrice. L’allegato I.3 al nuovo Codice prevede, infatti, termini specifici di conclusione della procedura, differenziati a seconda che il criterio di affidamento sia quello dell’O.E.V. (offerta economica più vantaggiosa) ovvero quello del minor prezzo. I termini, che decorrono dalla pubblicazione del bando di gara o dall’invio degli inviti a offrire, vanno da un minimo di tre mesi ad un massimo di dieci mesi. Per la prima volta, il principio di buona fede assume rilevanza quale parametro di misurazione dell’efficienza dell’azione amministrativa in corso di procedura, e non solo - come da prassi - post aggiudicazione.

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La mancata osservanza del termine ed il silenzio inadempimento della p.a. Nell’ipotesi in cui l’Amministrazione non concluda la procedura entro il termine stabilito dall’allegato - in via provvisoria, in quanto destinato ad essere sostituito da un apposito regolamento - si apre l’ipotesi dell’inadempienza dell’ente, qualificata dal comma 3 dell’art. 17 del Codice dei contratti pubblici quale silenzio-inadempimento. Ora, dobbiamo chiederci quali possano essere le conseguenze per la Stazione appaltante. Nella prassi, il silenzio inadempimento è un istituto di matrice giurisprudenziale, di volta in volta declarato dai giudici in presenza di comportamenti colposamente omissivi da parte dell’ente pubblico che ha l’obbligo di definire un procedimento avviato d’ufficio o su istanza di parte, solo in talune marcate ipotesi produttivo di un danno certo e misurabile. In materia di appalti pubblici, e nello specifico caso di ritardo od omessa conclusione della procedura entro i tempi stabiliti, il silenzio inadempimento richiamato dall’art. 17 del nuovo Codice può concretizzarsi in una responsabilità precontrattuale dell’Amministrazione, collegandosi ad un danno economico e quantificabile. Il nuovo Codice anticipa, quindi, la soglia di possibile tutela per l’operatore, attribuendo peso ai principi regolatori del rapporto pubblico - privato già nella fase di gara. Trattasi di una figura sui generis di affidamento senza seguito da parte del concorrente - non aggiudicatario o per lo meno non ancora tale - discendente dal mancato rispetto delle tempistiche di gara per inerzia dell’Amministrazione. In sostanza, un assetto di responsabilità precontrattuale più estensivo rispetto a quello individuato dalla Plenaria del 2021 e dalla giurisprudenza ante nuovo Codice.

A ben vedere, il pregiudizio che può derivare per il mero partecipante alla procedura potrebbe essere di non facile individuazione. Nella fase di gara, l’aspettativa degli operatori è del tutto immateriale, concretizzandosi - eventualmente - a partire dal provvedimento di aggiudicazione e sino alla successiva stipula del contratto. Dunque, abbiamo alcuni elementi per poter prevedere che, nella prassi giudiziale, l’ipotesi di danno precontrattuale contestabile alla p.a., ai sensi dell’art. 17 del D.Lgs. n. 36/2023, sarà ipotesi residuale. Il ritardo ingiustificato potrà, forse più agevolmente, tradursi in responsabilità dirigenziale ed elemento di valutazione delle performance dell’ente pubblico, alla stregua di quanto sancito dall’art. 2 della L. n. 241/90. La responsabilità precontrattuale dell’Amministrazione per mero ritardo In fase pre aggiudicazione, la violazione del principio di buona fede potrebbe ravvisarsi ove l’operatore - attendendo inutilmente la conclusione del procedimento oltre il termine previsto dall’allegato I.3 del Codice - lamenti di aver subito un danno dimostrabile, pur non essendo aggiudicatario. Pensiamo alla perdita di chances connessa all’impossibilità di partecipare ad altra parallela procedura di gara, nel caso in cui l’impresa dimostri di non avere mezzi e risorse per partecipare o per eseguire più contratti. Il ritardo dell’Amministrazione potrebbe “congelare” le risorse apprestate dall’operatore per la partecipazione alla procedura, sino alla conclusione della stessa, oppure condurlo a sostenere spese non preventivate (pensiamo agli oneri legati al rinnovo delle polizze fideiussorie stipulate a titolo di garanzia provvisoria, da disporsi sino al termine della procedura di gara, oppure eventuali spese legate a personale, mezzi o diverse risorse predisposte ad hoc per la commessa). L’attuale normativa, in sostanza, riconosce astratta risarcibilità dell’interesse negativo ravvisabile anche in capo al mero partecipante alla procedura, laddove l’Amministrazione sia tacciabile di aver violato i termini di conclusione della procedura e, quindi, le regole comportamentali cui è soggetta. In sintesi, il quadro dei principi del nuovo Codice sembrerebbe parametrare la diligenza richiesta al soggetto pubblico ad un nuovo e più elevato standard, caratterizzato dall’inedito principio di certezza della durata della procedura di gara. Il tradizionale assetto della responsabilità precontrattuale della p.a. nell’ambito della procedura di evidenza pubblica pare così arricchirsi. Non resta che attendere, ora, i primi spunti e le precisazioni della giurisprudenza circa l’ambito applicativo dell’art. 17, comma 3, del D.Lgs. n. 36/2023.


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acquisti basati sul risultato Alessandro Venturi - Professore di diritto Pubblico comparato Università Pavia; Presidente IRCCS POLICLINICO San Matteo, Pavia

Acquisti basati sul Risultato: Prospettive di sviluppo in Italia

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radicali cambiamenti innescati nell’ultimo triennio dalla gestione della pandemia, e la rivoluzione tecnologica e di processo in atto, pongono la necessità di un cambiamento radicale delle prospettive decisionali e di proposizione tecnologica all’interno del Servizio Sanitario Italiano. Anche le attuali agende politiche sanitarie, nazionali e regionali, sottolineano come l’evoluzione dei processi di presa in carico dei pazienti sia sempre più volta ad abilitare la piena operatività dell’intera filiera, dall’ospedale alle strutture territoriali fino al domicilio del paziente, tramite l’adozione di tecnologie dedicate. In questo contesto, lo scenario attuale del governo dell’innovazione sconta ancora molta frammentazione, rispondendo a logiche allocative non strutturate che nel tempo hanno dimostrato scarsa efficacia. Nello specifico, vengono ancora mutuate per lo più teorie e pratiche provenienti dall’Health Technology Assessment e da modelli di spending review lineari, secondo traiettorie che hanno mostrato la loro inadeguatezza sia sotto il profilo gestionale che strategico. È noto, infatti, come il criterio che fino ad oggi ha indirizzato le scelte di allocazione delle risorse e la conseguente remunerazione delle prestazioni non

sia riconducibile all’esito clinico o al valore prodotto a beneficio del paziente lungo il suo intero percorso di cura, quanto piuttosto al volume complessivo delle prestazioni erogate. Questo processo viene gestito secondo una logica, rigidamente determinata, di ripartizione di budget a cascata tra i differenti livelli di governance del Sistema (SSN → SSR → ASL → Dipartimenti → Strutture Complesse). Di conseguenza, anche dal punto di vista dei processi di acquisto di beni e servizi sanitari, l’approccio intrapreso finora è stato pressoché unicamente volto al contenimento dei costi a breve termine, secondo una dinamica altresì favorita dai consistenti processi di centralizzazione ed aggregazione della domanda a cui si è assistito a partire dalla seconda metà del decennio scorso. Al di là degli effettivi risultati che questo approccio abbia finora permesso di conseguire, lo stesso non sembra essersi in ogni caso configurato come una soluzione di per sé adeguata, anche in considerazione del fatto che risulta documentabile come i costi crescenti generati nel medio-lungo termine nei singoli percorsi di cura siano dovuti principalmente alla mancanza di risposte adeguate a soddisfare i bisogni inizialmente espressi1.

Nell’ambito del procurement pubblico sono relativamente recenti ed ancora esigue, in termini numerici, le prime esperienze volte a favorire l’acquisto di Medical Device tramite criteri di condivisione del rischio e contratti a incentivo con valutazione costi/benefici per il SS basati sulla misurazione di esiti attesi

1 G. Gerecke, J. Clawson, Y. Verboven. Procurement-the unexpected driver of value-based healthcare. Boston Consulting Group, Medtech


acquisti basati sul risultato Ogni anno, oltre 250.000 autorità pubbliche nell’UE spendono circa il 14% del PIL2 (circa 2.000 miliardi di euro all’anno) per l’acquisto di servizi, lavori e forniture: circa il 70% di tutte le tecnologie mediche3 viene, altresì, acquistato tramite appalti. Un processo di appalto (pubblico) efficiente è pertanto essenziale alla tenuta del sistema. Risulta, pertanto, evidente che il settore pubblico può utilizzare gli appalti per stimolare l’occupazione, la crescita e gli investimenti e per creare un’economia più innovativa, efficiente in termini di risorse ed energia e socialmente inclusiva. I servizi pubblici di alta qualità dipendono da appalti moderni, ben gestiti ed efficienti. Migliorare gli appalti pubblici, in generale, può portare a grandi risparmi.4 Partendo da questi presupposti, emerge la necessità di perimetrare bene e meglio le opportunità che nuovi approcci di governo dell’innovazione possano apportare alle politiche di accesso al mercato delle nuove tecnologie, in particolare per quanto riguarda l’ambito normativo e regolatorio della P.A. Questo obiettivo va inteso non tanto dal punto di vista del reperimento di eventuali risorse aggiuntive quanto, piuttosto, dall’opportunità di allocazione con modalità innovative dei budget dedicati alla produzione di prestazioni sanitarie, secondo criteri e metodologie già consolidati a livello comunitario quali ad esempio quelli del Procurement Innovativo e del Procurement Pubblico di Soluzioni Innovative. La poca conoscenza registrata finora di questi strumenti di policy ha ulteriormente alimentato le incertezze regolatorie e di applicazione. Una possibile risposta al superamento di questa condizione risiede pertanto nel poter strutturare la tematica degli acquisti sanitari attraverso l’introduzione di logiche di misurabilità degli esiti e di quantificazione del valore generato dalla spesa allocata, con l’obiettivo finale di poter meglio calibrare risorse a disposizione, domanda di salute e risultati attesi all’interno di metriche predefinite e concretamente quantificabili. Le peculiarità delle forniture di dispositivi medici Dal punto di vista merceologico, la categoria dei Medical Device possiede la peculiarità di essersi caratterizzato nella prospettiva della P.A. esclusivamente come un mercato di cosiddetti “Beni”. Al contempo, tuttavia, le sue tendenze di evoluzione e di innovazione tecnologica, con particolare riferimento all’area di servizi digitali integrati e complementari all’utilizzo 2 3 4 5

dei prodotti fisici, stanno spostando i confini e i perimetri di azione ben oltre tale categoria, ponendo la necessità di rifondarne i modelli di valutazione e di acquisto in ottica innovativa. Solo a titolo esemplificativo, si fa riferimento a: 1) Strumenti e soluzioni digitali in grado di connettere gli attori della filiera e dialogare col paziente, ai fini di favorire appropriatezza, efficienza di processo e capacità di aderenza ai protocolli terapeutici 2) Strumenti di analisi e monitoraggio avanzati delle condizioni di salute del paziente in ottica preventiva, anche attraverso l’adozione di algoritmi predittivi 3) Adozione e modalità di utilizzo di piattaforme di raccolte dati, ai fini di implementare analisi di processo e di outcome in ottica evidence-based Risulta pertanto evidente come la disponibilità sempre maggiore di soluzioni tecnologiche che possano integrare ed ampliare le funzionalità dei Medical Device in quanto tali, consenta di poter introdurre criteri sempre più evoluti di misurazione e quantificazione oggettivabile delle performance degli stessi. Il passaggio successivo che si propone al mercato di riferimento è di correlare questa produzione di evidenze a meccanismi cogenti di funding ed allocazione delle risorse dedicate all’acquisto degli stessi. Nell’ambito del procurement pubblico sono relativamente recenti ed ancora esigue in termini numerici, ma non per questo meno significative, le prime esperienze a livello nazionale volte a favorire l’acquisto di Medical Device tramite criteri di condivisione del rischio e contratti a incentivo con valutazione costi/ benefici per il Servizio Sanitario basati sulla misurazione di esiti attesi. Si tratta di nuovi modelli di procurement5 che prevedono l’introduzione di incentivi con una componente della remunerazione basata sulla valutazione della performance clinica dei dispositivi. L’obiettivo è coinvolgere il fornitore nella valutazione e condivisione di rischi e benefici legati all’utilizzo della tecnologia in cui l’entità della componente “premiale” della remunerazione, oggetto di offerta economica, tiene conto di una valutazione di costi e benefici per il paziente e per il SSN. Per una disamina delle procedure pubbliche ad oggi esistenti in questo ambito si veda la tabella nella pagina seguente.

Europe Report, 2015 https://single-market-economy.ec.europa.eu/single-market/public-procurement_en https://www.medtecheurope.org/access-to-medical-technology/value-based-procurement/ Si stima che un aumento di efficienza negli appalti pubblici dell’1% potrebbe far risparmiare 20 miliardi di euro all’anno G.Baj, D.Fuschi, F.C. Rampulla, A.Venturi, Modelli sanitari e Value Based Health Care System - Possibilità di sviluppo nell’ordinamento italiano. Gruppo Esitoriale Tab srl. 2019

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acquisti basati sul risultato Elenco procedure pubbliche outcome based Ente/Anno pubblicazione Estar 2019 Estar 2022

Ausl Bologna 2023

Consip 2023 Asl Lecce 2023

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Procedura 1. Accordo Quadro per l’affidamento quadriennale, in lotti separati, della fornitura di dispositivi medici per elettrofisiologia per Aziende Sanitarie ed Enti della Regione Toscana 2. Gara per l’affidamento di dispositivi medici per neuromodulazione elettrica – impulsi nervosi a livello del sistema nervoso centrale e nervoso periferico, sistema di stimolazione e monitoraggio intraoperatorio e materiale a corredo, sistemi infusionali impiantabili per le Aziende Sanitarie e Ospedaliere della Regione Toscana Procedura Aperta telematica per la conclusione di un accordo quadro con più operatori economici per la fornitura in service, lotto unico, di un sistema di crioablazione per il trattamento della fibrillazione atriale per l’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna – durata 24 mesi Gara per la fornitura di valvole cardiache per le Pubbliche Amministrazioni – II Edizione Gara telematica a procedura aperta per l’acquisto di pacemaker, defibrillatori impiantabili ed accessori per i fabbisogni delle Aziende Sanitarie della Regione Puglia

Come richiamato brevemente in premessa, il finanziamento degli acquisti e il sistema di rimborso delle prestazioni ospedaliere in Italia non risultano ancora connessi tra loro, così come il processo di acquisto non è legato alla misurazione degli esiti. Per supportare l’evoluzione del Sistema in un’ottica di orientamento al risultato, una delle evoluzioni di processo maggiormente perseguibili è quella costituita dallo strumento del procurement inteso come leva strategica e abilitatrice del monitoraggio di esiti, anche mediante lo sviluppo di partnership pubblico-private. Questa modalità di accesso al mercato e di uso strategico dei contratti pubblici in sanità non è nuova e, negli anni, ha conosciuti sviluppi in ambito farmaceutico attraverso i cosiddetti Managed Entry Agreements (MEA) 6, ovvero forme di introduzione “governata” nel mercato che, mediante diverse tipologie di accordi (performance-based o financial-based) consentono di gestire l’incertezza rispetto alle conseguenze su esiti o costi relativi all’acquisto di una nuova tecnologia.

Concludendo, la crescita registrata in questi anni nei Paesi a maggiore sviluppo è, in gran parte, associata a processi di innovazione e di diffusione delle nuove tecnologie, i quali – come noto – non rappresentano quasi mai il frutto delle sole forze di mercato, bensì di politiche pubbliche mirate e definite tramite un dialogo condiviso con tutti i portatori d’interesse. Il sistema di public procurement rappresenta, in questa ottica, uno strumento di sviluppo importante. I processi evolutivi del mercato dei dispostivi medici e la necessità di rispondere alle tendenze tipiche dell’ecosistema dell’innovazione tecnologica, nonché ai carichi di malattia che il nostro Paese deve affrontare, pongono il procurement sanitario in una posizione strategica e di forte evoluzione. Tutto questo necessita di una attenzione peculiare da parte del decisore nazionale, al fine di poter sempre meglio contestualizzare lo strumento del procurement pubblico nel più ampio contesto del governo dell’innovazione tecnologica e della governance delle tecnologie.

6 https://www.oecd.org/health/health-systems/pharma-managed-entry-agreements.htm I MEA sono stati introdotti in Italia in maniera prevalente nel contesto farmaceutico e sono stati applicati al settore dei dispositivi medici limitatamente a sperimentazioni su singolo prodotto di comune accordo con l’azienda produttrice. Possono essere sviluppati in base al tipo di incertezza per i quali vengono impiegati, e hanno di norma specifiche caratteristiche, quali: i) si basano su una raccolta dati strutturata durante la fase post-market del ciclo di vita di una tecnologia; ii) prevedono un finanziamento della tecnologia/procedura correlato agli esiti derivanti dalla raccolta dati; iii) introducono un meccanismo di condivisione del rischio tra payer e produttore che varia a seconda della tipologia di accordo scelto


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fondo sanitario nazionale Cosimo Dimastrogiovanni - Direttore Dipartimento Servizi Tecnici Patrimonio ASL LECCE

Art. 32 versus art. 81 della Costituzione: brevi spunti di riflessione

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iano bifronte è una delle divinità più antiche venerate dai Romani, solitamente rappresentata con due facce per il suo guardare al futuro ed al passato contemporaneamente, rappresentava il dio dei momenti di passaggio e del ciclo delle stagioni. Questa divinità, questa metafora, viene spesso in mente quando riflettiamo sul diritto alla salute siccome previsto dalla nostra Costituzione, in particolare dall’art.32: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.”. Esso è l’unico diritto per il quale la Carta riserva l’aggettivo “fondamentale”, espressamente richiamato nel corpo della norma, da ciò derivano quindi precise conseguenze giuridiche: esso è inalienabile, intrasmissibile, indisponibile e irrinunciabile. C’è però l’altra faccia del diritto alla salute, (Giano bifronte), quella che guarda ad un’altra norma di rango costituzionale, l’art.81 della Costituzione, riformato dalla legge costituzionale n.1 del 2012, con cui il Parlamento ha trasformato l’obbligo di equilibrio di bilancio da vincolo esterno in una norma di rango costituzionale: “Lo Stato assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico. Il ricorso all’indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali. Ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte. Le Camere ogni anno approvano con legge il bilancio e il rendiconto consuntivo presentati dal Governo. L’esercizio provvisorio del bilancio non può essere concesso se non per legge e per periodi non superiori complessivamente a quattro mesi. Il contenuto della legge di bilancio, le norme fondamentali e i criteri volti ad assicurare l’equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni sono stabiliti con legge approvata a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera, nel rispetto dei principi definiti con legge costituzionale”.

Se si legge bene questa norma, pur senza essere costituzionalisti, ci si accorge tuttavia che il riferimento è sempre al principio dell’equilibrio di bilancio, non quindi ad un mero pareggio contabile tra le spese e le entrate nei bilanci dello Stato e del complesso delle pubbliche amministrazioni, bensì al principio di sostenibilità del debito che deve essere sempre adottato da tutte le amministrazioni. Il punto allora non è una competizione tra i due principi e/o tra i sostenitori dell’uno o dell’altro, il problema vero è ricercare un giusto punto di equilibrio tra gli obblighi comunitari, cui siamo assoggettati, soprattutto in materia finanziaria, e la salvaguardia di un diritto fondamentale della persona, quale appunto il diritto alla salute. In verità che il diritto alla salute fosse un diritto finanziariamente condizionato lo sapevano sin dai primi anni 90’, quindi molto prima della riforma dell’art.81 della Costituzione, infatti la duplice esigenza del contenimento della spesa sanitaria e del ragionevole bilanciamento della tutela della salute con altri interessi costituzionali rilevanti, aveva portato la Corte Costituzionale con la sentenza n. 455/1990 prima e con la n. 304 del 06/07/1994 poi, a definire il diritto alla salute come un diritto finanziariamente condizionato, nel senso che esso è garantito ad ogni persona “come un diritto costituzionale condizionato dall’attuazione che il legislatore ordinario ne dà attraverso il bilanciamento dell’interesse tutelato da quel diritto con gli altri interessi costituzionalmente protetti, tenuto conto dei limiti oggettivi che lo stesso legislatore incontra nella sua opera di attuazione, in relazione alle risorse organizzative e finanziarie di cui dispone al momento”, quindi, la Corte era giunta alla conclusione che, in presenza di un’inevitabile limitatezza delle risorse finanziarie, non fosse possibile spendere senza limiti, ma, al contrario, fosse necessario commisurare la spesa sanitaria alle effettive disponibilità finanziarie. Niente di nuovo sotto il sole allora se non il solito problema di ricercare il giusto punto di equilibrio, di individuare un limite, per così dire, invalicabile a fronte del quale lo stesso bilanciamento dei valori costituzionali operato dal legislatore e l’ esigenza di mantenere l’ equilibrio della finanza pubblica debbono cedere il passo rispetto al peso preponderante della tutela della salute, o meglio rispetto al nucleo essenziale di esso che poi è strettamente collegato all’inviolabilità della dignità della persona umana, tale limite invalicabile eviden-


fondo sanitario nazionale temente non può che essere costituito dai livelli essenziali di assistenza (LEA). Proprio infatti in riferimento alla necessità di garantire i livelli essenziali delle prestazioni, così come individuati dal legislatore, la Corte, sent. 169/2017, ha evidenziato che «ferma restando la discrezionalità politica del legislatore nella determinazione –secondo canoni di ragionevolezza – dei livelli essenziali, una volta che questi siano stati correttamente individuati, non è possibile limitarne concretamente l’erogazione attraverso indifferenziate riduzioni della spesa pubblica. In tale ipotesi verrebbero in essere situazioni prive di tutela in tutti i casi di mancata erogazione di prestazioni indefettibili in quanto l’effettività del diritto ad ottenerle non può che derivare dalla certezza delle disponibilità finanziarie per il soddisfacimento del medesimo diritto”. Detto questo non si può non rilevare che da anni ormai più che a un punto di equilibrio siamo invece ad una fase di grave squilibrio tra le risorse necessarie a garantire la sostenibilità del SSN e la effettività delle stesse ad esso destinate. L’ultimo rapporto Gimbe presentato a Roma, 10 ottobre 2023, nella Sala Capitolare di Palazzo della Minerva al Senato della Repubblica, fotografa molto bene tale situazione. Nel decennio 2010-2019, per obiettivi di finanza pubblica, si è determinato un imponente definanziamento del S.S.N. Secondo le analisi GIMBE 24, alla sanità pubblica sono stati sottratti oltre € 37 miliardi, di cui circa € 25 miliardi nel periodo 2010-2015, in conseguenza di “tagli” previsti da varie manovre finanziarie e oltre € 12 miliardi nel periodo 2015-2019. Di conseguenza, nel decennio 2010-2019 il Fondo Sanitario Nazionale è aumentato di soli € 8,2 miliardi, crescendo in media dello 0,9% annuo, tasso inferiore a quello dell’inflazione media annua pari a 1,15%: in altre parole nel decennio 2010-2019 l’incremento del F.S.N. non ha nemmeno compensato la perdita di potere di acquisto. Negli anni 2020-2022 il FSN è aumentato complessivamente di € 11,6 miliardi, crescendo in media del 3,4% annuo, decretando formalmente la fine della stagione dei tagli, tuttavia questa iniezione di risorse è stata, di fatto, assorbita dai costi della pandemia COVID-19 e non ha consentito rafforzamenti strutturali del S.S.N.

Per quanto riguarda il futuro prossimo, ossia il triennio 2023/2026, il D.E.F. 2023 stima una previsione di crescita media annua al 3,6% e quella della spesa sanitaria allo 0,6%. Rispetto al 2023, in termini assoluti la spesa sanitaria nel 2024 scende a € 132.737 milioni (-2,4%), per poi risalire nel 2025 a € 135.034 milioni (+1,7%) e a € 138.399 (+2,5%) nel 2026. Troppo poco, sia per l’erosione dovuta all’inflazione, sia perché l’indice dei prezzi del settore sanitario è superiore all’indice generale di quelli al consumo. Tocca alla politica evidentemente ritrovare il giusto punto di equilibrio. Nel frattempo evidentemente le risorse disponibili vanno utilizzate al meglio. Su questo terreno il ruolo di chi fa il nostro mestiere diventa allora straordinariamente importante, per garantire all’utilizzatore finale, il cittadino che ha bisogno di cure, il miglior prodotto di cui ha bisogno, in tempi certi ed a costi congrui. Ecco perché l’entrata in vigore del nuovo codice dei contratti pubblici è stato salutato da tutti gli operatori del settore, come un evento estremamente positivo in tal senso, perché rappresenta sicuramente un cambio di prospettiva, il passaggio da un codice guardiano ad un codice volano, dove viene premiata la tempestività e si dà valore al risultato che prevale sulla forma. Certo a fronte di tanta novità, non si può non segnalare una lacuna che ancora permane nella legislazione degli appalti, la mancanza di una propria peculiarità riconosciuta al settore della sanità, soprattutto in materia di approvvigionamento di farmaci, dispositivi medici e attrezzature sanitarie, su questo punto forse è utile avviare una riflessione più approfondita. Al momento registriamo il significativo cambio di passo effettuato dal legislatore che dà evidenza al ruolo dei Provveditori; due dei principi fondamentali che permeano il nuovo Codice, quello della fiducia e quello del risultato sono infatti strettamente connessi al lavoro che noi svolgiamo, lo ribadisce chiaramente il Presidente della VII sez. del Consiglio di Stato Claudio Contessa quanto afferma che il Codice prende atto della centralità della figura dei provveditori poiché anche la migliore delle riforme non va da nessuna parte se non cammina sulle gambe delle donne e degli uomini che debbono attuarla.

Nel decennio 2010-2019 il F.S.N. è aumentato di soli € 8,2 miliardi, crescendo in media dello 0,9% annuo, tasso inferio-re a quello dell’inflazione media annua pari a 1,15%: in altre parole nel decennio 2010-2019 l’incremento del F.S.N. non ha nemmeno compensato la perdita di potere di acquisto

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i caregiver e il COVID-19 Stefano Marcelli(1), Chiara Gatti (2), Renato Rocchi(3), Tania Miconi(4), Angela Soccio(5), Jason De Matteis(6), Cinzia Borgognoni(7), Simona Collecchia(8), Aurora Calvaresi(9).

Lo stress test del Sars-Cov2: la valutazione del burden of care sociale, emotivo e finanziario

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el corso del 2020, il COVID-19 si è rapidamente diffuso in tutto il mondo. L’11 marzo 2020, il Direttore Generale dell’OMS ha definito la situazione di COVID-19 come una pandemia a causa dei livelli allarmanti di diffusione e gravità. Per rispondere a questa crisi, molti Paesi hanno coniugato misure di contenimento e riduzione per limitare l’afflusso di pazienti negli ospedali, proteggendo al contempo i soggetti più vulnerabili dalle infezioni. Con il progredire della pandemia, gli esiti sulla salute mentale di queste restrizioni sono diventati oggetto di un ampio dibattito sociale e di interesse accademico. Sebbene siano stati riportati esiti negativi per la salute mentale nella popolazione generale di vari Paesi, è probabile che alcuni sottogruppi della società siano più colpiti di altri. I caregiver informali costituiscono uno di questi esempi, dato che le misure di blocco hanno complicato la continuità delle

cure (professionali) per assistiti specifici1. Stime non ufficiali indicano che in Italia sono più di 3 milioni i Caregiver familiari. In Italia, come nel resto del mondo, il 65% dei Caregiver familiari sono donne di età compresa tra i 45 e i 55 anni, che spesso svolgono anche un lavoro fuori casa o che sono state costrette ad abbandonarlo (nel 60% dei casi) per potersi dedicare a tempo pieno alla cura dei familiari. Nel nostro Paese, la figura del Caregiver familiari, purtroppo, a differenza di altri Paesi europei, non è ancora stata riconosciuta a livello legislativo, anche se è opportuno sottolineare che nel 2018 è stata presentata in Parlamento una legge volta a valorizzare e tutelare proprio questo tipo di attività di cura. Inoltre, la capacità di reagire positivamente allo stress nelle Caregiver familiari donne è maggiormente influenzata dalla mancanza di un adeguato supporto sociale, sia informale che istituzionale2.

I caregiver formali sono sia figure professionali che lavorano nella sanità (operatori socio-sanitari o OSS, educatori, psicologi, infermieri, fisioterapisti), sia i/le badanti a cui le famiglie italiane che ne hanno bisogno affidano i loro congiunti in supporto al familiare che se ne prende cura

1. Direttore Attività Didattiche Professionalizzanti - CdL Infermieristica – A.S.T. Ascoli Piceno s.marcelli@staff.univpm.it (Corresponding Author). 2. Coordinatrice Infermieristica - SOD Cardiochirurgia e Cardiologia Pediatrica e Congenita UTIP – Azienda Ospedaliero Universitaria delle Marche 3. Direttore - UOC Servizio Professioni Sanitarie - A.S.T. Fermo 4. Bed Manager - A.S.T. Fermo 5. Infermiera – UOC Day Surgery - A.S.T. Ascoli Piceno 6. Infermiere – Humanitas Clinical and Research Center – IRCCS – Via Manzoni 56, 20089 Rozzano (MI) - Italy 7. Funzione organizzativa Dipartimento Scienze Cardiovascolari AOU delle Marche 8. Tutor clinico di tirocinio - CdL Infermieristica – A.S.T. Ascoli Piceno 9. Infermiera – CdL Infermieristica – A.S.T. Ascoli Piceno


i caregiver e il COVID-19 I caregiver formali sono sia figure professionali che lavorano nella sanità (operatori socio-sanitari o OSS, educatori, psicologi, infermieri, fisioterapisti), sia i/le badanti a cui le famiglie italiane che ne hanno bisogno affidano i loro congiunti in supporto al familiare che se ne prende cura (caregiver familiare o informale)3. I caregiver informali o familiari sono definiti come coloro che forniscono un supporto essenziale e cure mediche a persone affette da cancro, disabilità, lesioni o condizioni croniche in contesti domiciliari e territoriali. In genere non sono retribuiti. Poiché a volte i caregiver devono fornire un’assistenza che supera le loro risorse o capacità personali, sono a maggior rischio di scarso benessere, difficoltà finanziarie e conseguenze psicologiche come stress, ansia, depressione e angoscia4. Data la relazione spesso affettiva e/o personale con le persone con bisogni di assistenza, è stato riscontrato che i caregiver informali sperimentano un notevole stress psicosociale. In questo caso, la pandemia gioca un ruolo importante: coloro che sono diventati l’unico caregiver durante il COVID-19 hanno riportato un carico assistenziale molto più elevato rispetto a coloro che erano l’unico caregiver anche prima della pandemia. Ciò evidenzia la necessità di fornire ulteriore supporto a questo gruppo1. Lo stress test al quale SARS-CoV-2 ha sottoposto il nostro sistema sanitario, in tutte le fasi dell’epidemia, ha messo in chiaro altri aspetti non sanitari, altrettanto importanti e spesso finora gestiti a livello di discussione politico-culturale, ma che nell’emergenza hanno manifestato tutta la loro cogenza: tra questi, la recente questione dell’autonomia differenziata e del rapporto tra centro e periferia nella governance del nostro Servizio Sanitario Nazionale5. Dopo la prima fase emergenziale, si è accesso il dibattito sulle ripercussioni economiche e sociali della crisi e sulle misure più adeguate a mitigarne l’impatto. Sebbene permetta di contenere il contagio, il distanziamento sociale determina infatti pesanti ripercussioni sull’attività economica e finanziaria del Paese che se ne avvale. I parametri cruciali per la stima della durata e della gravità degli effetti economici sono: il tasso di morbilità, il tasso di mortalità, il numero di giornate lavorative perse per malattia e in seguito all’applicazione delle misure di distanziamento sociale adottate per rallentare l’epidemia. L’incertezza sul valore di questi parametri ha reso complicato stimare l’impatto economico della pandemia, pur essendo chiari sin da subito i canali di trasmissione della crisi6. Caregiver e Caregiving Le definizioni tacite viste insieme ai loro valori culturali suggeriscono modi in cui adattare gli interventi per promuovere il benessere del caregiver.

I caregiver attivi hanno recepito la cura come responsabilità dell’assistenza, in cui, tra l’altro, i bisogni delle persone assistite sono messi al primo posto. I caregiver in conflitto hanno recepito l’assistenza come un obbligo, che poi ha dovuto competere con altre importanti responsabilità nella loro vita. Sebbene il rispetto degli obblighi verso il partner sia un valore culturale forte, i caregiver in conflitto hanno dovuto decidere se il bisogno di assistenza fosse superiore ad altre esigenze, in particolare al bisogno di prendersi cura di se stessi. I caregiver a distanza recepiscono l’assistenza in modo da preservare l’autostima o l’autonomia dell’assistito. Questa posizione riflette il profondo impegno della nostra cultura verso l’autonomia. I caregiver a distanza considerano il ruolo del caregiver come quello di promuovere il più possibile l’autonomia7. Impatto economico Globale e Nazionale Cina La Cina è stata l’epicentro originale della pandemia dopo che i primi casi sono stati segnalati a Wuhan nel dicembre 2019. La Cina ha visto il suo PIL ridursi del 6,8% nel primo trimestre del 2020, il primo calo in quasi 30 anni. Inoltre, i rigidi lockdown si sono rivelati costosi per il benessere mentale di molti residenti8. Stati Uniti d’America Gli ospedali e le Strutture Sanitarie Internazionali devono far fronte alle ingenti sfide finanziarie connesse alla pandemia COVID-19. L’American Hospital Association ha stimato un impatto finanziario di 202,6 miliardi di dollari di mancati introiti per gli ospedali e i sistemi sanitari americani, pari a una media di 50,7 miliardi di dollari al mese. Da un punto di vista economico globale, la Banca Mondiale ha previsto che la crescita mondiale si ridurrà di quasi l’8%, con i Paesi più poveri che risentiranno maggiormente dell’impatto, e le Nazioni Unite hanno previsto che quest’anno costerà all’economia mondiale circa 2.000 miliardi di dollari. Complessivamente, la mancanza di preparazione è stata una delle principali cause delle difficoltà incontrate dalle strutture sanitarie di tutto il mondo8. India L’India ha applicato divieti di assembramenti pubblici, di viaggi aerei sia all’interno del Paese che all’estero e di chiusura di luoghi pubblici. Queste restrizioni hanno messo sotto pressione un’economia già in difficoltà, con impatti negativi immediati nei settori agricolo, manifatturiero e dei servizi. Le esportazioni indiane sono state colpite in modo significativo, poiché il virus si è diffuso nei Paesi con cui l’India intrattiene rapporti commerciali,

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i caregiver e il COVID-19 che hanno interrotto la produzione. Inoltre, la pandemia e le conseguenti chiusure hanno avuto un forte impatto psicologico su molti cittadini indiani, esacerbando i sintomi di ansia e depressione8. Brasile La Pandemia COVID-19 non ha raggiunto il Brasile fino alla fine di febbraio 2020, ma è diventato rapidamente un hotspot globale. Come in altre parti del mondo, la pandemia ha avuto un effetto negativo sull’economia brasiliana. Dal 9 al 13 marzo, il mercato azionario di San Paolo è sceso di poco più del 15%, il peggior calo settimanale dalla crisi finanziaria del 2008. Inoltre, nel secondo trimestre del 2020 il PIL è sceso dell’11,4% rispetto all’anno precedente. A settembre 2020, il Brasile contava oltre 4 milioni di casi confermati e 125.000 decessi, precedendo solo gli Stati Uniti per numero di casi totali e collocando il Paese al sesto posto a livello mondiale per numero di decessi pro capite8.

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Singapore Il paese ha istituito il Centro nazionale per le malattie infettive (NCID) e 900 cliniche di risposta rapida alla preparazione alla salute pubblica (PHPC). Nonostante il successo del paese nel controllare il contagio del virus, a causa dell’interconnessione dell’economia globale, Singapore non è stata risparmiata dall’impatto economico della pandemia, dato che il paese ha registrato una flessione del 13,2% del PIL nel secondo trimestre del 2020 rispetto all’anno precedente8. Italia Il mondo ha bisogno di rimodellare il finanziamento sociale e sanitario, e altre politiche correlate. In Italia, ad esempio, nell’ultimo decennio, abbiamo perso una grande quantità di fondi per la sanità e operatori sanitari per rispettare la necessità di controllare la spesa pubblica e di soddisfare le direttive dell’UE. In questo periodo, ciò ha portato a una riduzione del numero di posti letto ospedalieri, unità di terapia intensiva, laboratori clinici e operatori sanitari. Inoltre, avrebbe colpito medici e infermieri, con effetti drammatici sull’attuale possibilità di continuare a curare i pazienti nelle regioni centrali e settentrionali, e con il rischio di poter garantire cure adeguate solo a poche persone nelle regioni meridionali. Si spera che gli interventi economici straordinari adottati a sostegno del SSN (Servizio Sanitario Nazionale) per contrastare la crisi COVID-19 dovranno diventare in gran parte ordinari dopo l’emergenza se si vuole evitare una nuova e futura situazione di crisi sanitaria, con maggiore serenità e strumenti adeguati9.

In Italia, la maggior parte delle attività commerciali è rimasta aperta anche dopo il lockdown attuato il 9 marzo 2020. Le attività non essenziali sono state chiuse il 23 marzo. Sebbene vi sia un compromesso percepito tra i benefici per la salute e l’impatto economico delle misure di confinamento, l’argomento della salute pubblica ha superato quello economico. Nonostante il sostanziale stimolo fiscale, il paese ha registrato la più grande contrazione economica trimestrale dalla crisi finanziaria del 2008. Secondo gli ultimi dati forniti dall’Istituto Superiore di Statistica (ISTAT), il PIL nel primo trimestre del 2020 è diminuito del 5,4% rispetto al primo trimestre del 2019. La contrazione complessiva del PIL stimata per il 2020 è pari all’8,3%. La crisi ha avuto un impatto anche sui flussi commerciali internazionali. L’incremento complessivo del budget sanitario nazionale per il 2020 ammonta a 1,4 miliardi di euro con decreto del 17 marzo. Nell’ambito di questo aumento di bilancio, il governo ha speso 356 milioni di euro per implementare il “Sistema di distribuzione degli aiuti”, distribuendo materiale medico monouso e durevole in ogni regione. I materiali monouso più comunemente distribuiti sono stati mascherine (90%), guanti (4%) e kit diagnostici (2%). I materiali durevoli includevano bicchieri (89%) e termometri (3%). A seguito di un decreto attuato il 9 marzo 2020, il governo ha impegnato 660 milioni di euro per assumere 20.000 operatori sanitari con contratti semestrali. Il 19 maggio il Decreto Rilancio stanzia 1500 milioni di euro per il Fondo di Emergenza Nazionale e 2723 milioni di euro per il potenziamento dei dipartimenti di emergenza e dell’assistenza territoriale10. Impatto economico e sociale della Pandemia SARS-CoV-2 sui Caregiver informali La pandemia di Coronavirus 2019 (COVID-19) ha causato un impatto negativo diffuso sull’occupazione, sul benessere finanziario, sulle relazioni sociali e sulla salute fisica e mentale delle persone. La pandemia è stata particolarmente devastante per le popolazioni vulnerabili e vi sono prove che le disparità sanitarie esistenti sono state accentuate di conseguenza. In particolare, gli adulti con condizioni di salute croniche e gli individui con disabilità fisiche e cognitive sono più vulnerabili agli effetti della COVID-19 sulla salute. È inoltre più probabile che queste persone facciano affidamento su Caregiver familiari per preservare la propria salute e il proprio benessere. Tuttavia, la pandemia di COVID-19 e le conseguenti esigenze di allontanamento sociale possono aver reso più difficile per i Caregiver fornire le cure essenziali ai familiari con disabilità. Più specificamente, la pandemia COVID-19 coinvolge una varietà di fattori che possono influenzare direttamente


i caregiver e il COVID-19 (a) i fattori di stress primari attraverso il peggioramento della salute fisica e mentale dell’assistito, l’aumento delle richieste di assistenza e la riduzione della possibilità di accedere all’assistenza sanitaria formale per l’assistito; (b) i fattori di stress secondari, come l’aumento delle difficoltà finanziarie e dei conflitti familiari; e (c) le valutazioni dello stress legate all’aumento delle difficoltà fisiche, emotive e finanziarie nel fornire assistenza. Questi impatti negativi sui fattori di stress e sulle valutazioni possono tradursi in effetti negativi sul benessere fisico, emotivo, sociale ed economico del caregiver11. I caregiver informali (non retribuiti/familiari) che si occupano di cancro sono membri essenziali dell’équipe sanitaria e forniscono in media 33 ore alla settimana di assistenza al proprio caro. Sebbene occuparsi di una persona cara affetta da cancro possa essere gratificante, le implicazioni negative per il caregiver possono essere ampie e sostanziali. Una letteratura scarsa, ma in crescita, descrive l’onere finanziario legato al cancro tra i caregiver informali, con il 25% dei caregiver oncologici che riferisce alti livelli di onere finanziario, spesso secondari a interruzioni dell’attività lavorativa (ad es. prendere ferie, assentarsi) e ai costi associati alle cure oncologiche. Le risorse finanziarie esterne per i caregiver oncologici sono limitate e i caregiver riferiscono di avere elevate esigenze finanziarie non soddisfatte. L’aumento dell’onere finanziario dei caregiver ha un impatto negativo sulla salute dei pazienti e sull’erogazione delle cure, in quanto è associato a una minore aderenza al trattamento e alla qualità della vita. I caregiver hanno dichiarato che adotteranno qualsiasi misura necessaria per pagare i costi legati al cancro e “risolvere” le conseguenze finanziarie; hanno impiegato diverse strategie per prepararsi/adattarsi a tali costi. I caregiver hanno riferito di aver ritardato viaggi e vacanze non necessari e di aver ridotto le spese non essenziali per sé e per i figli. Hanno attuato misure per massimizzare le proprie risorse finanziarie, tra cui la richiesta di prestiti, il rinvio dei pagamenti dei debiti esistenti, l’utilizzo dei risparmi, lavori più remunerativi (e spesso meno piacevoli), orari più lunghi o lavori multipli. Il reddito di alcuni caregiver è rimasto costante (ad esempio, lavoratori essenziali) o è aumentato (fornitori di materiali o risorse essenziali), molti caregiver e famiglie hanno subito la perdita del lavoro o la riduzione dell’orario di lavoro. Le difficoltà finanziarie sono state amplificate dalla natura incerta della pandemia e dal suo impatto a lungo termine sul mercato del lavoro. I caregiver hanno segnalato difficoltà a mantenere l’occupazione a causa della riduzione dell’assistenza e del supporto a domicilio12.

Una percentuale sostanziale di coloro che si occupavano di una persona con demenza (39,7%) e di coloro che si affidavano abitualmente a un aiuto professionale (34,8%) ha riferito un aggravamento o un peggioramento degli oneri durante la pandemia COVID-19 rispetto alle loro controparti. Per quanto riguarda gli altri aspetti, un numero maggiore di caregiver che non si occupano di una persona affetta da demenza (69,4%) o che non si affidano a un aiuto professionale (70,3%) ha riferito che la situazione dell’assistenza non è cambiata rispetto alle loro controparti. I caregiver informali che si occupano di una persona affetta da demenza e che di solito si affidano a un aiuto professionale hanno mostrato più sentimenti negativi, preoccupazioni/richieste eccessive e perdita di sostegno, rispetto alle altre persone. Coloro che sono il principale caregiver e investono una grande quantità di tempo hanno dichiarato più spesso di aver prestato ancora più assistenza al loro destinatario durante la pandemia di COVID-19. I caregiver di una persona con demenza hanno segnalato più problemi con l’attuazione delle misure COVID-1913. Ci sono diversi motivi per cui i caregiver possono sperimentare uno stress e un carico più elevati del solito durante il COVID-19. Le attività di caregiving possono essere più difficili da realizzare. La comunicazione e il coordinamento con gli operatori sanitari possono essere interrotti da appuntamenti annullati e difficoltà nel contattare i fornitori. I caregiver potrebbero non essere in grado di fare affidamento sulla loro consueta rete di supporti domiciliari formali e informali e affrontare sfide crescenti nell’accesso all’assistenza domiciliare necessaria14. Il report di ricerca (Maggio 2020 – fonte: rivista State of Mind 8 gennaio 2021), nell’ambito del progetto Time to Care, che ha coinvolto quasi 100 Caregiver nel territorio nazionale, evidenzia come la situazione dei Caregiver italiani necessita di attenzione: l’85% dei Caregiver donne hanno un’età media di 57 anni. Le risposte dei partecipanti sono pervenute per la maggior parte dalle città del Nord Italia; il 6% ha perso definitivamente l’attività lavorativa mentre un Caregiver su quattro ha ridotto le ore di lavoro o ha temporaneamente sospeso l’attività professionale; per il 45% dei Caregiver l’emergenza COVID-19 ha aumentato il carico di aiuto e per il 52% il bisogno di compagnia, è un bisogno primario; nel 27% dei casi, il rapporto con la badante è stato interrotto; il 73% chiede servizi di assistenza domiciliare; il 51% ha bisogno di un aiuto psicologico.

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i caregiver e il COVID-19 Con la Legge Bilancio del 2018 è stato istituito un Fondo per il sostegno del ruolo di cura e assistenza del Caregiver familiare15.

tomi simili alla compulsività, nonché una sensazione di perdita di controllo. BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA

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La vulnerabilità dei caregiver informali è stata messa in forte risalto dalla pandemia COVID-19. Le risposte statali alla pandemia hanno incluso la chiusura improvvisa dei servizi sanitari e sociali e le restrizioni agli spostamenti e alle interazioni sociali, il che significa che i caregiver si sono trovati con un sostegno ridotto. In assenza di supporti formali, la responsabilità di fornire assistenza a bambini, anziani e persone con disabilità intellettiva è ricaduta sui caregiver familiari. La casa familiare, secondo Daly, è stata riaffermata come il principale luogo di cura e l’assistenza informale si è dimostrata più resiliente di quella formale nel contesto degli anziani. I caregiver familiari di persone con disabilità intellettiva dipendono dai supporti formali, in particolare dai servizi diurni e di assistenza. I caregiver familiari hanno anche sperimentato la perdita del lavoro, con conseguente insicurezza finanziaria, o il trasferimento del posto di lavoro nella casa di famiglia. Molti caregiver, di conseguenza, hanno riscontrato difficoltà nel conciliare le componenti di cura e di lavoro retribuito nella loro vita16. Conclusioni A seguito delle evidenze riscontrate della ricerca eseguita, si è potuto evincere che i Caregiver familiari, in Italia sono per lo più donne con un’età compresa tra i 45 e i 65 anni, nella maggior parte dei casi hanno dovuto abbandonare il lavoro o ridurre le ore lavorative per prestare assistenza al proprio familiare. Dopo la diffusione del COVID-19, i Caregiver già sottoposti a situazioni stressanti, sono stati messi di fronte ad un’altra sfida, quella di proteggere dal SARS-CoV-2 i propri familiari. Innanzitutto, le attività assistenziali (come centri diurni e assistenza domiciliare) e i lavori non ritenuti essenziali sono stati chiusi per limitarne la propagazione, conseguentemente l’onere dei Caregiver è aumentato sia in termini assistenziali che finanziari, in quanto le ore di assistenza prestate nel fornire assistenza sono aumentate e la casa familiare è diventato il principale luogo di cura, e la retribuzione lavorativa è diminuita. In tutto questo si desume che i Caregiver informali hanno subito un incremento di malessere psicofisico e sociale nel periodo della pandemia SARS-CoV-2, facendo risaltare in modo considerevole l’ansia, la depressione, l’isolamento sociale, la paura, il panico, l’incertezza, l’isteria di massa, dei comportamenti avversi eccessivi come la pulizia, sin-

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De Coninck D., Van Doren S., Matthijs K., & Declercq A. (2023). Informal care burden during the COVID-19 pandemic in Flanders, Belgium: The role of perceived threat, personality and resilience. Scandinavian journal of caring sciences, 37(2), 350–363. https://doi.org/10.1111/scs.13115 2. https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/sars-cov-2-differenze-genere-caregiver-familiari#:~:text=Stime%20non%20ufficiali%20indicano%20che,o%20con%20patologie%20croniche%20invalidanti. 3. https://www.issalute.it/index.php/la-salute-dalla-a-alla-z-menu/c/caregiver-familiari#:~:text=I%20caregiver%20formali%20sono%20sia,prende%20cura%20(caregiver%20familiare%20o 4. Utz R. L., & Warner E. L. (2022). Caregiver burden among diverse caregivers. Cancer, 128(10), 1904–1906. https://doi. org/10.1002/cncr.34171 5. Pocetta G. & Broccucci B. (2021), Sense of coherence e burden of care nei caregiver familiari dei pazienti neoplastici in tempo di covid19. Sistema Salute, 65, 2, 226-250 6. https://www.consob.it/web/investor-education/crisi-sanitaria-economica 7. Wrubel, J., Richards, T. A., Folkman, S., & Acree, M. C. (2001). Tacit definitions of informal caregiving. Journal of Advanced Nursing, 33(2), 175-181. 8. Kaye AD, Okeagu CN, Pham AD, Silva RA, Hurley JJ, Arron BL, Sarfraz N, Lee HN, Ghali GE, Gamble JW, Liu H, Urman RD, Cornett EM. (2020) Economic impact of COVID-19 pandemic on healthcare facilities and systems: International perspectives. 9. Santacroce, L., Bottalico, L., & Charitos, I. A. (2020). The impact of COVID-19 on Italy: a lesson for the future. The international journal of occupational and environmental medicine, 11(3), 151. 10. Berardi, C., Antonini, M., Genie, M. G., Cotugno, G., Lanteri, A., Melia, A., & Paolucci, F. (2020). The COVID-19 pandemic in Italy: Policy and technology impact on health and non-health outcomes. Health policy and technology, 9(4), 454-487. 11. Scott R Beach, Richard Schulz, Heidi Donovan, Ann-Marie Rosland, Family Caregiving During the COVID-19 Pandemic, The Gerontologist, volume 61, numero 5, agosto 2021, pagine 650–660, https://doi.org/10.1093 /geront/gnab049. 12. Nightingale, C. L., Canzona, M. R., Danhauer, S. C., Reeve, B. B., Howard, D. S., Tucker‐Seeley, R. D., Golden S.L.S., Little-Greene D., Roth M.E., Victorson D.E. & Salsman, J. M. (2022). Financial burden for caregivers of adolescents and young adults with cancer. Psycho‐Oncology, 31(8), 1354-1364. 13. Budnick, A., Hering, C., Eggert, S., Teubner, C., Suhr, R., Kuhlmey, A., & Gellert, P. (2021). Informal caregivers during the COVID-19 pandemic perceive additional burden: findings from an ad-hoc survey in Germany. BMC Health Services Research, 21, 1-11. 14. Dang, S., Penney, L. S., Trivedi, R., Noel, P. H., Pugh, M. J., Finley, E., Pugh, J. A., Van Houtven, C. H., & Leykum, L. (2020). Prendersi cura dei caregiver durante il COVID-19. Giornale della Società Americana di Geriatria, 68(10), 2197–2201. https://doi.org/10.1111/jgs.16726 15. https://dinellalex.com/la-figura-del-caregiver-familiare-in-periodo-di-pandemia-da-covid-19/ 16. Wormald, A., McGlinchey, E., D’Eath, M., Leroi, I., Lawlor, B., McCallion, P., McCarron, M., O’Sullivan, R., & Chen, Y. (2023). Impact of COVID-19 Pandemic on Caregivers of People with an Intellectual Disability, in Comparison to Carers of Those with Other Disabilities and with Mental Health Issues: A Multicountry Study. International journal of environmental research and public health, 20(4), 3256. https://doi.org/10.3390/ ijerph200432562


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igiene degli impianti aeraulici Ufficio stampa AIISA

Igiene degli impianti aeraulici, una cultura che deve ancora essere più diffusa

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IISA, Associazione Italiana Igienisti Sistemi Aeraulici, ha ancora una volta preso parte al Congresso FARE, che quest’anno si è tenuto Roma, il 26 e 27 ottobre 2023 presso l’Hotel Barcelò Aran Mantegna. Il titolo dell’importante appuntamento della Federazione dei Provveditori della sanità italiana è stato “La sfida del nuovo codice dei contratti pubblici: il risultato che prevale sulla forma. Come gestire il cambiamento e la modifica dei livelli di responsabilità”. L’evento ha visto la partecipazione di più di 600 persone tra Provveditori, Economi, Buyer Ospedalieri, Direttori Amministrativi e Centrali di committenza. AIISA ha tenuto molto a voler essere presente per non mancare all’importante appuntamento con le figure professionali che operano nel settore della sanità, al fine di poter divulgare i temi cari all’Associazione: l’importanza della pulizia, della manutenzione e della bonifica degli impianti aeraulici per tutelare la salute di chi vive gli ambienti di lavoro e di cura. L’Associazione promuove da anni un piano di informazione e divulgazione rivolto a tutti quei settori potenzialmente più sensibili a tali argomentazioni come sicuramente lo è, ad esempio, il personale delle ASL preposto al controllo della salubrità dell’aria nei luoghi di lavoro.

Già durante la partecipazione ai precedenti Congressi FARE, era chiaramente emersa la necessità, da parte degli Economi e dei Provveditori di avere maggiori informazioni riguardo alle bonifiche degli impianti di condizionamento. Argomento portato alla ribalta dalla drammatica esperienza del Covid 19. Negli anni precedenti l’emergenza della pandemia, ma anche la stessa necessità operativa del mercato, hanno generato però nelle committenze confusione nell’individuazione delle soluzioni più idonee a soddisfare le richieste delle Strutture Ospedaliere. Proprio per questo AIISA ha voluto proporre agli appartenenti alla Federazione FARE la possibilità di usufruire di corsi, incontri e/o seminari, per le figure professionali coinvolte in tali problematiche, finalizzati a diffondere maggiore competenza e consapevolezza su un settore così specifico. Gli argomenti che verrebbero affrontati durante i corsi potrebbero essere modulati rispetto alle esigenze ed alle richieste dell’auditorio. Gli incontri sono stati pensati sia in presenza che in remoto con un modesto contributo economico a copertura delle spese organizzative. (eventuali manifestazioni di interesse potranno essere indirizzate ad info@aiisa.t e/o areatecnica@aiisa.it) . Nell’ambito del Congresso FARE, AIISA ha per questo scelto di tenere un suo seminario dal titolo “Servizi di

L’Associazione AIISA promuove da anni un piano di informazione e divulgazione rivolto a tutti quei settori potenzialmente più sensibili a tali argomentazioni come sicuramente lo è, ad esempio, il personale delle ASL preposto al controllo della salubrità dell’aria di lavoro


igiene degli impianti aeraulici Sanificazione degli Impianti Aeraulici in Sanità, un’attività fondamentale per la Salute pubblica”. I Relatori individuati da AIISA per tale incontro sono stati: • L’Ing. Valentina Russo, Direttore UOC Provveditorato Arnas Garibaldi di Catania in qualità di moderatrice. • La Prof.ssa Daniela D’Alessandro, Professore Ordinario dell’Università La Sapienza, DICEA, Dipartimento di Ingegneria Civile Edile e Ambientale, di Roma • Il Prof. Gaetano Settimo, Professore e Coordinatore del Gruppo di Studio sull’Inquinamento Indoor dell’Istituto Superiore della Sanità di Roma • L’Ing. Gregorio Mangano, Presidente di AIISA e CEO di Techno One. L’ Ing. Russo, (moderatrice), ha sollecitato uno scambio di opinioni tra i Relatori, forte della sua esperienza pluriennale. La Prof. D’ Alessandro ha illustrato i vari casi in cui dei canali, scarsamente ispezionati dal punto di vista igienico, possono essere causa di danni alla salute di pazienti ospedalizzati. La Prof. D’Alessandro si è avvalsa della sua competenza, come docente di Igiene Ambientale presso l’Ateneo romano della Sapienza, per illustrare l’importanza di un’aereazione pulita. Il Prof. Settimo è l’autore di molti documenti importanti a livello europeo sulla qualità dell’aria indoor; è il coordi-

natore del gruppo nazionale di studio sull’inquinamento indoor ed è anche stato coautore delle raccomandazioni del Governo durante la pandemia. Durante il seminario ha condiviso con i presenti la sua esperienza e in particolare quella fatta nel settore ospedaliero. In ultimo, l’Ing. Mangano ha mostrato alla platea immagini relative a delle case history sull’igiene aeraulica, evidenziando come solo gli operatori di aziende qualificate, formati come operatori ASCS e CVI e qualificati da AIISA e NADCA, possono garantire un servizio di pulizia soddisfacente a tutela della salute di lavoratori e degenti. L’Ing. Mangano ha poi illustrato ai presenti come i contenuti che il Prezzario DEI (Impianti Tecnologici) sia di grande ausilio per la determinazione delle attività e dei prezzi di riferimento nelle attività di bonifica aeraulica. AIISA auspica che la sua partecipazione al Congresso FARE possa aver ampliato le opportunità di collaborazione con le Università e i partner incontrati. Lo staff AIISA alla manifestazione era composto dall’ Ing. Raffaele Caruso, Segretario Generale, l’Ing. Gregorio Mangano, Presidente, il Dott. Manuel Ragusa e il Dott. Pietro Borgognoni Consiglieri del Direttivo e Giusi Pulizzi, referente per la Comunicazione. Sono intervenuti alcuni Associati di AIISA NADCA tra i quali l’Ing. Mario Gulisano di A&G Multiservice e l’Ing. Gerardo Lamesta di NTA TS e anch’egli Consigliere del Direttivo.

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dalle associazioni Gianluigi Cammarata - l’uomo del CUP (Codice Unico Progetto)

Gianluigi Cammarata: ho scritto al Presidente ANAC Busia un mio suggerimento

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l Codice Unico di Progetto (CUP) è quel codice che identifica un progetto d’investimento pubblico; è anche lo strumento fondamentale per il funzionamento del Sistema di Monitoraggio degli Investimenti Pubblici (MIP). Il CUP deve essere richiesto ogni volta che si agisce nell’ambito di quella che viene definita “Spesa per lo sviluppo” con capitale pubblico o che coinvolge patrimonio pubblico perché traccia gli appalti sia di lavori, ma ora anche quelli riferiti al PNRR, e fino a qualche tempo fa veniva richiesto e quindi citato solo nel portale Simog (Sistema Informativo Monitoraggio Gare). Poi l’ANAC ha creato anche il portale Smart Cig dove è possibile richiedere un CIG fino alla somma di euro 39,999,99 ma su questo portale mancava il campo per inserire il riferimento al CUP. E’ stato allora che il nostro associato Gianluigi Cammarata, dopo averne rilevato l’assenza, ha pensato di scrivere al Presidente dell’ANAC, Giuseppe Busia, segnalando quella che, a tutti gli effetti, era una mancanza tra i campi della compilazione delle schede per la richiesta degli Smart Cig. Busia ha accolto prontamente la segnalazione di Cammarata rispondendo alla sua email: “Gentile dott. Luigi Cammarata, il Presidente Giuseppe Busia ha ricevuto la sua email. La ringrazia per il suggerimento fornito, che sarà inoltrato al competente Ufficio. Cordiali saluti” poi, nel giro di pochissimi giorni, è stato aggiornato il portale.

La soddisfazione di Gianluigi Cammarata è stata grande tanto che è tornato a scrivere a Giuseppe Busia queste poche ma significative parole: “Dal 30 giugno 2023 anche per i cig in maniera semplificata (smart cig) è possibile inserire il CUP (codice unico progetto). Fino a quando non era stato presentato il mio suggerimento, la cosa era possibile solo sul portale simog (per importi superiori a 40000). Pertanto ringrazio il Presidente Busia che ha subito preso in carico la mia segnalazione trasmettendola all’ufficio competente che, riconosciutane la validità ha immediatamente fatto le integrazioni sul portale. Credo che per gli addetti ai lavori questo sia il pane quotidiano ed è bello pertanto collaborare in tal senso”. Gianluigi Cammarata è forse stato l’unico cittadino/ dipendente al quale sia venuta l’idea di segnalare al Presidente dell’ANAC Giuseppe Busia l’integrazione del campo CUP ovvero del codice che, come abbiamo già spiegato, traccia maggiormente gli appalti sia in termine di lavori che di progetti PNRR, anche nel portale per la richiesta degli Smart Cig (Codice Identificativo Gara) tanto che come ci ha commentato lui stesso: “questa è la riprova che le buone idee possono nascere anche dalle persone con livelli lavorativi bassi”. Oggi lui vuole dedicare questo che lui definisce “un piccolo traguardo” ai suoi cari familiari, che ogni giorno credono in lui, e ai suoi superiori nella speranza che questo possa far accrescere in loro una stima sempre maggiore per la sua professionalità.


IX Corso di Alta Formazione 2022/23 per Funzionari e Dirigenti in Sanità Area Provveditorato - Economato - Patrimonio - Centrali Regionali

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IX corso di formazione FARE Tutor: Fabrizio Muzio

Il processo degli acquisti ed i bisogni della sanità pubblica: un binomio di sinergie possibili anzi necessarie Gruppo di lavoro: Serena Cosaro Azienda Zero – UOC CRAV Ursula Carola La Valle ATS Milano Città Metropolitana Denise Razzaboni Ares Sardegna Valerio Ruggiero A.S.P. Golgi - Redaelli Ilaria Sanna Ares Sardegna Enrica Serrau ASL Ogliastra Roberta Smeraldo ASL 1 Abruzzo - Avezzano Sulmona L’Aquila _______________________________________________________________________________________

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Il sistema degli acquisti pubblici in ambito sanitario - c.d. “Public Procurement” - costituisce, senza dubbio, un’importante porzione della spesa pubblica del nostro Paese, ma, in primo luogo, costituisce il meccanismo attorno al quale ruotano le esigenze dei cittadini bisognosi di cure e delle strutture sanitarie che devono erogarle; costituisce pertanto lo strumento principale attraverso cui si esplica il nostro SSN. Il tema di cui trattiamo è stato, negli anni, oggetto di un’intensa attività legislativa sia a livello europeo sia ai livelli nazionale e locale, da ultimo attraverso il Nuovo Codice Appalti, con conseguenti discrasie e difficoltà di interpretazione e applicazione. Negli ultimi anni, si è fatta avanti la teoria secondo cui l’azione della P.A. dovrebbe essere orientata al c.d. “Public Value”. In sostanza, la Stazione Appaltante (S.A.) dovrebbe operare ed acquistare secondo logiche non mirate esclusivamente ad ottenere il massimo risparmio possibile ma secondo logiche volte a generare il migliore risultato possibile sulla base delle risorse disponibili. Oggi il quadro normativo dei processi di acquisto di beni e servizi in ambito sanitario è rappresentato dal nuovo Codice (D.Lgs. 36/2023) redatto dal Consiglio di Stato e destinato a sovrintendere anche gli investimenti legati al PNRR. Il precedente Codice (D.lgs. 50/2016) è stato oggetto di numerose critiche anche a seguito del contenzioso generato dalla sua applicazione. Pertanto, il Legislatore incaricato della redazione del nuovo Codice, in un’ottica di razionalizzazione, riorganizzazione e semplificazione, ha dovuto rivedere numerosi aspetti del quadro normativo precedente. Tra le più significative novità del nuovo Codice si segnala l’introduzione, in particolare, di tre principi che costituiscono una rivoluzione copernicana nell’ambito della contrattualistica pubblica e che, se realmente applicati, potrebbero rendere vincente la strategia del public procurement in ambito sanitario. Si tratta dei c.d. principi del “risultato”, della “fiducia” e dell’”accesso al mercato”. Il nuovo quadro normativo sembra offrire agli Operatori Economici (O.E.) gli strumenti necessari ad imprimere una svolta alle procedure pubbliche in un’ottica di maggiore efficienza, efficacia ed economicità dell’azione amministrativa. Le prime domande che ci siamo posti sono: “Cosa è un processo di acquisto in Sanità? E quali sono dunque le migliori strategie per ottenere la massima sinergia possibile tra il mondo degli acquisti e i bisogni si salute?”. Da un punto di vista puramente dottrinale, quando parliamo di acquisto in Sanità ci riferiamo a quel complesso autonomo unitario e coordinato di piccoli processi svolti da persone e, come specificato dall’articolo 1 della legge n. 833/78, finalizzati al “recupero, mantenimento e promozione dello stato di salute”. I processi di acquisto in ambito sanitario sono uno dei mezzi attraverso il quale garantire il diritto alla Salute sancito dall’art.32 della Costituzione. Possiamo quindi sinteticamente dire che essi sono la genesi di questo percorso di tutela del diritto alla Salute che si concretizza nell’acquisizione di fattori produttivi, di consumo e di investimento, che sono condizione essenziale, anche se non sufficiente, per assicurare processi diagnostici, terapeutici e riabilitativi idonei a soddisfare i bisogni di salute della comunità. Dal lavoro del gruppo è emerso che il futuro buyer debba possedere diverse, opportune skills: conoscere la normativa ed il mercato di riferimento (suo coinvolgimento), saper sviluppare un adeguato progetto di partenza che tenga conto di fabbisogni reali e opportunamente quantificati (ricerca della migliore strategia), saper effettuare una valutazione coerente dei bisogni espressi, coinvolgendo opportunamente l’utente finale per comprendere meglio il reale bisogno di salute. Non è facile muoversi in questo universo di informazioni, competenze ed abilità che governano il mondo degli acquisti in Sanità. È pertanto necessario, e forse scontato, che chi oggi si occupa di pubblic procurement debba essenzialmente possedere due specifiche competenze: una formazione giuridico-amministrativa per governare l’immensa normativa che interessa il mondo degli appalti, ed un’altra in ambito economico, per mettere in pratica le appropriate strategie legate ai prezzi. Tanto più che oggigiorno al RUP, specialmente in ambito sanitario, è richiesta un’ampia preparazione, inclusa la capacità di fare analisi di mercato e la capacità di negozia-


IX corso di formazione FARE zione con i fornitori. Si tratta sempre più di competenze professionali tipiche del “marketing degli acquisti” inteso come capacità di attrarre le offerte economicamente più convenienti nel senso più ampio dell’accezione, che non è quello di costi più bassi ma di un migliore rapporto ‘costi-benefici’. Quello che è emerso durante i lavori del gruppo è che il mondo degli acquisti pubblici, in particolare di beni e servizi per la Sanità, è caratterizzato da un processo di public procurement strutturalmente lungo e spesso particolarmente dispendioso di risorse. Ciò si traduce spesso in procedure farraginose che necessariamente influenzano in maniera negativa la capacità di rispondere in modo ottimale alle esigenze degli utilizzatori finali. Non dobbiamo dimenticare che le aziende sanitarie sono, appunto, aziende, imprese pubbliche con una vocazione manageriale, con una inclinazione al libero mercato, spesso ingessate da regole schematiche, per nulla dinamiche, del diritto amministrativo puro. Abbiamo riscontrato che purtroppo il legislatore ha sottovalutato la tipicità della materia, e non ha compreso fino in fondo l’esigenza di prevedere norme specifiche dedicate agli acquisti in Sanità: un mondo che per sua natura risponde a esigenze spesso indifferibili, dove il fulcro di tutto è l’innovazione e il risultato finale atteso è l’outcome clinico del paziente. Affinché possano essere garantite tecnologie adeguate e all’avanguardia, le aziende sanitarie hanno infatti bisogno di muoversi in un contesto normativamente conosciuto e stabile. Le continue novità e i numerosi cambiamenti nei Codici hanno finito per costituire elementi di incertezza, che hanno rallentato l’attività amministrativa che, invece, avrebbe dovuto necessariamente rispondere in maniera tempestiva e rimanere al passo con i tempi. In ambito sanitario nascono costantemente nuove tecnologie che portano a diagnosi sempre più precoci, a una medicina e a terapie e cure sempre più personalizzate. È quindi evidente che, per mantenere un approccio teso e orientato alla persona, bisogna garantire nell’approvvigionamento di farmaci, attrezzature e beni, una qualità e una sicurezza all’avanguardia. E proprio per questo che una sezione dedicata agli acquisti in Sanità sarebbe stato auspicabile nel nuovo Codice, così come sarebbe stato opportuno il coinvolgimento del mondo dei Provveditori nella stesura del nuovo Codice, cosa che, ahi noi, non è avvenuta. Quali sono quindi le migliori strategie per inserirsi in questo sistema così complicato e rispondere in maniera convincente ed efficace ai bisogni di salute? Altro elemento fondamentale è sicuramente un’adeguata conoscenza del mercato, indispensabile per evitare che le gare vadano deserte o che ci sia scarsa competitività dell’appalto. Ergo, un’adeguata formazione dei buyers è il primo passo nella strategia per la realizzazione di un processo di acquisto competitivo e rispondente alle esigenze dell’azienda e soprattutto a quelle del paziente. La digitalizzazione delle cure, i big data, l’intelligenza artificiale, la nuova frontiera dell’assistenza territoriale, la telemedicina, sono tutti temi che richiederanno nei prossimi anni nuove e aggiornate competenze del personale del SSN. Dobbiamo quindi uscire dall’idea, di fatto già obsoleta, che il buon esito di un acquisto coincida e dipenda da un’applicazione scrupolosa della norma. Il nuovo approccio che si sta delineando, anche all’interno del nuovo Codice, è un approccio più snello, improntato sul risultato e su una massima sinergia tra gli attori coinvolti nel public procurement. Il soggetto che al meglio saprà valorizzare il processo degli acquisti, ancor più in ambito sanitario è il RUP (Responsabile Unico di Progetto) che deve/dovrà avere una visione a 360° tale da consentirgli il governo dell’intero progetto d’acquisto. Questa visione passa auspicabilmente da una specifica formazione professionale in tema di project management. Le competenze di project management saranno fondamentali per raggiungere il giusto equilibrio tra cure eque e sostenibili ed il crescente sviluppo innovativo. E’ quindi necessario effettuare una corretta quantificazione delle condizioni poste a base di gara e dei requisiti di partecipazione, del prezzo posto a base d’asta, delle competenze dei componenti delle commissioni di gara, delIa necessità di innovazione dei beni e servizi richiesti. Mettere in pratica queste buone prassi nell’approccio alla gara permetterà di ottenere un modello sanitario sempre più improntato al soddisfacimento di bisogni reali, calcolato sul valore reale trasferito al paziente. È divenuto pertanto prioritario il considerare strategici la conoscenza ed il governo delle due facce della medaglia: da una parte il rapporto tra azienda sanitaria e paziente (e il modo in cui la prima risponde alle esigenze/bisogni del secondo), dall’altro il rapporto tra buyer e fornitore. È in questi due binomi che si gioca la partita di una amministrazione in equilibrio tra economicità, efficacia ed efficienza dell’azione amministrativa stessa. L’essere al passo coi tempi significa anche smettere di perseguire un modello di acquisto volto a rinnovare contratti in scadenza e a ottenere esclusivamente un risparmio di breve termine. Questo genere di approccio infatti rischia di generare, nel medio termine, ricadute negative sull’intero sistema. Il compito del buyer in Sanità è trovare un perfetto equilibrio tra l’esigenza di tutelare i diritti del malato con la necessità di utilizzare al meglio le risorse economiche disponibili, ridurre inefficienze e sprechi, attraverso le migliori strategie di acquisto possibili. La fase più importante, è costituita dalla programmazione; una sua errata realizzazione comprometterà l’esito dell’intera procedura. Al contrario una sua corretta esecuzione porterà ad una semplificazione del processo in grado di generare ulteriori buone prassi operative. La preparazione alla gara passa necessariamente attraverso la raccolta dei fabbisogni. Questa fase è spesso sottovalutata e considerata con una certa superficialità anche dagli operatori sanitari. Produrre un fabbisogno non significa semplicemente calcolare il consumo storico del bene/servizio, ma anche saperne valutare la sua variabilità nel tempo, considerare le innovazioni tecnologiche e anche le eventuali alternative. I rischi di una scorretta valutazione dei fabbisogni sono diversi, sia di tipo quantitativo che qualitativo. È auspicabile, infatti, che il fabbisogno emerga da una corretta valutazione, da un’analisi costo-efficacia e che tenga anche

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IX corso di formazione FARE

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correttamente conto dell’intero ciclo dell’appalto. Il buyer pubblico ha quindi questo ruolo strategico fondamentale: fare sintesi tra diversi bisogni. Il buyer deve dialogare con il mercato di riferimento, deve attivare tavoli di confronto. Deve pertanto conoscere il progetto di acquisto dall’inizio alla fine e sapere coniugare il bisogno di Sanità con i bisogni del mercato. Il gruppo di lavoro a questo punto ha individuato alcune strategie che consentirebbero di realizzare, nel processo di acquisto, diverse sinergie pubblico-privato e pubblico-paziente. Nell’ambito del rapporto pubblico-privato uno strumento preso in considerazione è stato quello delle consultazioni preliminari di mercato attraverso le quali vengono coinvolte le aziende potenzialmente interessare all’appalto; un dialogo appunto pratico dove poter mettere in luce, discrasie e asimmetrie, ma anche buone prassi atte a far nascere un adeguato processo di approvvigionamento. Senza dimenticare che dialogare con il mercato può ridurre un uso inappropriato delle risorse. Non va tralasciato, infatti, il ruolo fondamentale che il sistema pubblico ha per stimolare la capacità di innovazione del mercato. Il dialogo con le aziende può sicuramente rispondere a questa necessità, così come l’applicazione del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa nell’aggiudicazione di un appalto. Essa può stimolare la competitività tra imprese e spingere gli O.E. a proporre soluzioni innovative. Tutto questo si ritrova scritto nell’art. 2 del Codice, dedicato al ‘principio della fiducia’ da sviluppare tra S.A. ed O.E.. Uno strumento utile nel rapporto pubblico-privato, potrebbe essere quello di un uso più frequente del PPP (Partenariato Pubblico Privato), uno strumento già previsto dall’art. 180 del D.Lgs 50/2016, e riproposto nel D.Lgs 36/2023 le cui potenzialità non sono state finora opportunamente sfruttate. Il PPP può essere utile quando la stazione appaltante, avendo chiari i propri bisogni, ma non quale sia il modo migliore per realizzarli, può avvalersi delle competenze del privato per la configurazione e la realizzazione di un intero progetto. La ragione per la quale il PPP non è riuscito a prendere piede è da ricercare sulla relativa incompetenza dei Provveditori e sulla paura di imbattersi in progetti molto complessi che richiedono elevate competenze, una visione complessiva, oltre che una responsabilità molto elevata in caso di insuccesso. Ma come già accennato il ruolo fondamentale di questi strumenti innovativi nel procurement pubblico richiede abilità e competenze che, siamo certi, i futuri buyers sapranno possedere. Per ciò che concerne il rapporto tra Sanità e paziente abbiamo cercato di analizzare quali potessero essere gli strumenti più idonei per realizzare questo dialogo. Ciò che emerge è che il mondo del procurement sanitario è stato capace di individuare diverse soluzioni innovative che hanno visto al centro il paziente e i suoi bisogni. Anche grazie all’attività di diverse

associazioni di pazienti, si sono scoperte nuove potenzialità del concetto della sussidiarietà orizzontale, grazie alla quale è stato possibile ottenere il coinvolgimento degli stessi in diversi momenti, da quelli della gara a quelli successivi di monitoraggio e valutazione del contratto. Attraverso questi strumenti la P.A. ha avuto modo di allargare lo sguardo e pensare ad una gara che potesse essere il più possibile vicina ai bisogni dei pazienti, che garantisse qualità, sicurezza, innovazione, personalizzazione del bene o servizio oggetto della procedura di acquisto. Ciò ha permesso di riflettere su ulteriori processi su cui si potrebbe applicare questo genere di approccio dialogante con il paziente. Un elemento sicuramente da tenere in considerazione è il coinvolgimento degli stakeholders alle fasi successive, quelle di monitoraggio e valutazione dei risultati raggiunti. Mettendo in moto così quelle sinergie pubblico/privato - azienda sanitaria/paziente che è da sempre il tallone d’Achille del procurement sanitario. L’obiettivo è mettere in primo piano non solo gli aspetti puramente economici, ma elementi più soggettivi come il grado di soddisfazione dei pazienti e il miglioramento della loro qualità di vita, in modo da poter valutare, in termini di risultato, il progetto d’acquisto a 360°. Non dobbiamo inoltre dimenticare che il raggiungimento dell’obiettivo finale, ossia il soddisfacimento del bisogno di salute, passa necessariamente attraverso la consapevolezza e l’informazione del paziente stesso, la sua capacità di reperire le informazioni di salute in ogni luogo e in ogni situazione. Non a caso il processo di digitalizzazione che sta coinvolgendo il mondo sanitario, anche e soprattutto, grazie al PNRR mira a questo obiettivo: rispondere, con rapidità e semplicità, ai diversi scenari ed alle esigenze operative dei professionisti, dei pazienti e dello stesso SSN. Non si tratta solo di essere al passo coi tempi ma anche e soprattutto quello di essere in grado di generare forme di collaborazione multiprofessionale e territoriale per l’erogazione sinergica di servizi sanitari più sostenibili, più efficaci ed appropriati dal punto di vista clinico e anche in grado di migliorare la qualità della vita del paziente. Agli occhi e nella mente di chi scrive la sfida per una sinergia ‘acquisti e bisogni in Sanità’ è più che possibile. Gli strumenti esaminati che il legislatore ci ha messo a disposizione sono tutti elementi importanti, nessuno dei quali singolarmente esaustivo, che opportunamente impiegati possono portare a concretizzare l’idea di una Sanità che cura. Spetta a noi, buyers del futuro, utilizzare questi strumenti, operando ed agendo con un’accresciuta, continua consapevolezza del proprio ruolo, costituito da molteplici attività la cui gestione richiede opportune conoscenze e competenze, passione, proattività e dedizione per il servizio pubblico. Una Formazione da ricercare, fare propria ed applicare nei contesti operativi di ogni giorno.


gli esperti rispondono Monica Piovi e Piero Fidanza

Sulla possibile attivazione del soccorso istruttorio in caso di omesso o tardivo pagamento del contributo dell’ANAC Un nostro lettore chiede di sapere se in caso di mancato versamento del contributo dell’ANAC l’operatore economico debba essere escluso.

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l tema dell’applicabilità dell’istituto del soccorso istruttorio e dei limiti temporali e contenutistici previsti dalla normativa di settore per le omissioni relative al pagamento del contributo dell’ANAC è stato oggetto di svariate pronunce giurisprudenziali, tra loro anche confliggenti. Sul punto, di recente, il Consiglio di Stato, con sentenza del 07.09.2023, n. 8198, ha dato continuità all’orientamento già espresso nella precedente sentenza del 3.2.2023, n. 1175, ed ha negato la legittimità dell’esclusione del concorrente in caso di tardivo versamento del contributo ANAC. Anzitutto, si premetta che il fondamento normativo dell’obbligo di versamento del contributo deve rintracciarsi all’articolo 1, comma 67, della legge n. 266/2005, il quale contempla “l’obbligo di versamento del contributo da parte degli operatori economici quale condizione di ammissibilità dell’offerta nell’ambito delle procedure finalizzate alla realizzazione di opere pubbliche”. A ben vedere, la disposizione non prevede alcun effetto espulsivo dalla procedura di gara in caso di tardivo o mancato pagamento del contributo entro il termine di presentazione delle offerte, sanzione che, ciò nonostante, può essere talvolta prevista all’interno della legge di gara. Orbene, il Supremo Consesso ha rilevato che la più rigida previsione prevista nella legge di gara — che esclude la rilevanza del soccorso istruttorio e conferisce alla tempistica del pagamento un peso determinante ai fini dell’esclusione — si atteggia in maniera eccedente e finanche contrastante con il disposto dell’art. 83, comma 8, del d.lgs. 50/2016 (il quale stabilisce che “i bandi e le lettere di invito non possono contenere ulteriori prescrizione a pena di esclusione rispetto a quelle

previste dal codice e dal altre disposizioni vigenti”) nonché dell’art. 1, comma 67, della legge n. 266/2005. Ed infatti, a tal proposito, “la giurisprudenza afferma costantemente che il testo dell’art. 1, comma 67, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (che prevede l’obbligo del versamento Anac, a pena di esclusione), «non esclude l’interpretazione, eurounitariamente orientata, che il versamento condizioni bensì l’offerta ma che lo stesso possa essere anche tardivo», ovvero sanabile con il soccorso istruttorio, in quanto trattasi di elemento estraneo al contenuto dell’offerta e quindi sottratto alle preclusioni poste dall’art. 83, comma 9, secondo periodo del codice dei contratti pubblici (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 19 aprile 2018, n. 2386; e di recente si veda Consiglio di Stato, sez. III, 3 febbraio 2023, n. 1175).)” (Consiglio di Stato, 07.09.2023, n. 8198). Nello stesso senso, tra l’altro, è la giurisprudenza formatasi sull’analoga fattispecie del tardivo versamento del deposito cauzionale o cauzione provvisoria (ex multis, Cons. Stato, sez. V, n. 2786 del 2020 e Cons. Stato, sez. III, n. 7580 del 2019). Pertanto, per rispondere al quesito posto, alla luce della più recente giurisprudenza — ed anche dell’articolo 101, comma 1 del d.lgs. n. 36/2023 — l’omessa allegazione della documentazione attestante l’avvenuto versamento del contributo dell’ANAC (estranea al contenuto dell’offerta), anche qualora l’adempimento sia richiesto dalla lex specialis a pena di esclusione, lungi dal consentire l’adozione del provvedimento di esclusione dell’operatore economico dalla procedura, impone alla stazione appaltante l’attivazione del soccorso istruttorio o di quello procedimentale, con conseguente possibilità per il concorrente di integrare, regolarizzare o esibire la documentazione mancante.

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