TEME 7-8/2024

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LUCA BARBIERI

IL CICLO DI VITA

DEI CONTRATTI PUBBLICI.

SPAZI DI SPERIMENTAZIONE

NORMATIVA PER L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE

GIAMPAOLO AUSTA

“IL PAYBACK SUI DISPOSITIVI MEDICI È LEGITTIMO”:

LA SENTENZA DELLA CONSULTA

CHE METTE A RISCHIO MIGLIAIA DI PICCOLE E MEDIE IMPRESE

FRANCESCA PETULLÀ

L’EQUO COMPENSO: QUESTIONE APERTISSIMA

FORTUNATO PICERNO

LA PARTECIPAZIONE AGGREGATA DELLE IMPRESE

NEL MERCATO PUBBLICO

Cosa ti aspetta al MePAIE Sanità 2024?

Speaker nazionali

Seminari e interventi interessanti in ambito sanitario

Innovazione

Le connessioni tra e-procurement pubblico, intelligenza artificiale e nuove tecnologie

E-procurement

La visione del procurement del SSN in Italia e Europa

Il convegno prevede quattro sessioni plenarie e dodici seminari che tratteranno argomenti ad esse correlati offrendo un’importante opportunità formativa ed uno spazio di scambio di esperienze tra gli attori coinvolti nel procurement per la sanità.

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Tecnica e metodologia economale

Bimestrale di tecnica ed economia sanitaria fondato nel 1962 per l’aggiornamento professionale degli economi e provveditori della Sanità. ISSN 1723-9338

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sommario

editoriale

3 Brevi considerazioni riguardo ai “principi di risultato e di fiducia” nel Codice dei Contratti Pubblici in rapporto alla discrezionalità amministrativa articoli

intelligenza artificiale

4 Il ciclo di vita dei contratti pubblici. Spazi di sperimentazione normativa per l’intelligenza artificiale payback

11 “Il payback sui dispositivi medici è legittimo”: la sentenza della Consulta che mette a rischio migliaia di piccole e medie imprese la partecipazione aggregata delle imprese

15 La partecipazione aggregata delle imprese nel mercato pubblico costo del lavoro

21 Costo del lavoro e appalti pubblici: un legame sempre più stretto normazione

23 Forniture di dispositivi medici e principio del risultato in rapporto con quello dell’equivalenza delle offerte tecniche equo compenso

29 L’equo compenso: questione apertissima prezzi di riferimento

34 L’aggiornamento dei prezzi di riferimento ANAC: cosa cambia?

conservazione dell’equilibrio contrattuale

36 Il nuovo principio della “conservazione dell’equilibrio contrattuale”: tra la revisione dei prezzi e le modifiche non sostanziali del contratto. La prima sentenza “nomofilattica” del TAR di Palermo benessere al lavoro - parte 2

40 Pianifichiamo la nostra giornata per vivere nel benessere e nella produttività IX Corso di formazione FARE

43 IX Corso di Alta Formazione 2022/23 per Funzionari e Dirigenti in Sanità gli esperti rispondono

47 Sul soccorso istruttorio relativo alle dichiarazioni parti dell’impegno negoziale

48 focus

Le opinioni espresse negli articoli firmati vincolano soltanto gli autori. La posizione ufficiale della FARE sui vari temi ed argomenti trattati nella rivista è unicamente quella contenuta nei documenti degli organi deliberanti. In caso di riproduzione è necessaria la preventiva autorizzazione scritta del Direttore di Teme. L’editore garantisce la riservatezza dei dati forniti dai destinatari della rivista TEME nel rispetto dell’art. 13 D.Lgs. n.196/2003. Gli interessati (destinatari o autori) hanno la possibilità di far valere i propri diritti, senza alcuna spesa, secondo quanto previsto dall’art.7 del sopra citato D.Lgs. rivolgendosi al responsabile del trattamento dei dati Barbara Amoruso presso Edicom, Via Alfonso Corti 28, Milano. 4

Le foto all’interno sono di Andrea Leonardi

Andrea Leonardi vive e lavora a Roma, svolge da trent’anni attività di grafico, elaborazione fotografica e consulenza nelle arti grafiche.

In questo numero alcuni dettagli presi nell'Orto Botanico di Roma.

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Brevi considerazioni riguardo ai “principi di risultato e di fiducia” nel Codice dei

Contratti Pubblici in rapporto alla discrezionalità amministrativa

l Codice dei Contratti Pubblici, vigente ormai da oltre un anno, dà molto risalto ai “Principi” tant’è che nella parte iniziale ne individua addirittura 9 e li declina dall’art. 1 all’art.11. Non v’è dubbio che uno dei Principi più significativi sia quello della “fiducia” di cui all’art. 2 che si estrinseca attraverso l’azione legittima, trasparente e corretta dell’Amministrazione, dei suoi funzionari e degli operatori economici, favorendo e valorizzando l’iniziativa e l’autonomia decisionale dei funzionari pubblici, con particolare riferimento al Principio del risultato, a sua volta disciplinato dal precedente articolo 1. Il principio della fiducia, come effetto, aumenta quindi il perimetro della “discrezionalità amministrativa” della stazione appaltante e ne accentua i livelli di sindacato. Siamo di fronte pertanto ad una possibile e radicale inversione interpretativa e di tendenza, visto che la discrezionalità tecnico amministrativa, nel proprio raggio più o meno ampio (c.d. merito amministrativo) era stata fino ad ora sostanzialmente sottratta al giudizio di legittimità della magistratura amministrativa. Adesso invece, secondo la recente giurisprudenza interpretativa dei Principi del Codice, anche la discrezionalità amministrativa-tecnica che trova il proprio caposaldo nel Principio di fiducia, può essere sottoposta al vaglio del giudice amministrativo. Molto chiara è al proposito la pronuncia del Tar Catania 07.02.2024 n. 478, con la quale il giudice ha esteso il proprio scrutinio alla scelta discrezionale di una stazione appaltante di non sottoporre a verifica di anomalia l’offerta prescelta, omettendo la procedura prevista dal Codice; tanto è bastato per ritenere che  “scelte discrezionali dell’Amministrazione che presentino, come nel caso di specie, macroscopici vizi di illegittimità, non possono veder arretrare l’area dello scrutinio del giudice, specie ove riconosca che la “fiducia” accordata alla scelta operata da una stazione appaltante tradisca l’interesse pubblico sotteso ad una gara”. Si sostiene infatti che la stazione appaltante ha la responsabilità delle gare e deve svolgerle non solo rispettando la legalità formale, ma tenendo sempre presente che ogni procedura è funzionale a realizzare una prestazione pubblica; ragion per cui un uso della discrezionalità tecnica distorto e contrario al principio di buon andamento di cui all’art. 97 della Costituzione determina l’intervento caducatorio del giudice. Di analogo contenuto è l’ancor più recente sentenza del Consiglio di Stato n. 2866 del 26.03.2024, dove veniva sindacato il minor costo scelto dalla stazione appaltante che tuttavia ometteva di valutare oneri economici aggiuntivi necessari poi per garantire il funzionamento delle apparecchiature scelte. Sono certamente significative queste pronunce che aprono ad un percorso interpretativo nuovo della norma e sulle quali è opportuno svolgere le seguenti brevi considerazioni: i Principi del Codice esistono e sono declinati in modo espresso, quindi vanno ora applicati; se in attuazione ai Principi, o come corollario degli stessi, si producono comportamenti non conformi all’interesse pubblico, gli stessi potranno essere sindacati dal giudice amministrativo; i Principi di risultato e della fiducia, con cui esordisce il Codice vigente, sono certamente segno di forte discontinuità rispetto al precedente testo dell’anno 2016, se l’intento dell’attuale legislatore è quello di valorizzare il lavoro dei funzionari che operano nel mondo degli acquisti pubblici, anche attraverso un oculato esercizio della discrezionalità tecnico amministrativa di cui godono, è necessario prestare molta attenzione alla loro professionalità ed alla loro tutela.

Il ciclo di vita dei contratti pubblici. Spazi di sperimentazione normativa per l’intelligenza artificiale

Con questo articolo intendiamo dare inizio a una trilogia di articoli che andranno a indagare quelle che potranno essere le applicazioni dell’Intelligenza Artificiale nella PA. Tale trilogia sarà propedeutica al convegno che l’AEL terrà il prossimo dicembre e che sarà possibile seguire in streaming da tutti gli associati.

È stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea del 12 luglio 2024 il regolamento (UE) 2024/1689 del Parlamento europeo e del Consiglio d’Europa del 13 giugno 2024 che stabilisce regole armonizzate sull’intelligenza artificiale (IA) e che, in vigore dal 1° agosto 2024, acquisirà piena efficacia giuridica solo a decorrere dal 2 agosto 2026. Introducendo apposite norme a sostegno dell’innovazione secondo un approccio basato sul rischio (risk-based approach ), il Capo VI del regolamento europeo disciplina gli spazi di sperimentazione normativa per l’IA (AI regulatory sandboxes)1; trattasi di spazi regola-

mentati nel cui ambito possa esser possibile ‘sviluppare, addestrare, convalidare e provare, se del caso in condizioni reali, un sistema di IA innovativo, conformemente a un piano’2

Nei bandi e inviti devono essere indicati i CCL - nazionale e territorialiapplicabili ai lavoratori occupati nell’esecuzione del contratto. L’operatore che applichi un diverso CCL è tenuto a presentare una dichiarazione d’equivalenza, la cui fondatezza potrebbe essere accertata mediante un sistema di IA

Al riguardo, l’art. 57, par. 1 del regolamento europeo prevede che le competenti autorità di ciascuno Stato membro istituiscano almeno uno spazio di sperimentazione normativa per l’IA a livello nazionale, in modo che questo sia operativo entro il 2 agosto 2026.

Anche alla luce di quanto stabilito dall’art. 30, c. 1 del D.Lgs. n. 36/2023, che, al fine di assicurare maggiore efficienza delle stazioni appaltanti e degli enti concedenti, promuove l’adozione di soluzioni tecnologiche d’automazione, includendo espressamente nel novero di queste i sistemi di IA e le tecnologie di registro distribuito, un ambito nel quale l’istituzione di uno spazio di sperimentazione normativa potrebbe assumere cruciale rilievo è proprio il Codice dei contratti pubblici3

1 Artt. 57-63 e consideranda 25, 138, 139 del regolamento (UE) 2024/1689 del 13 giugno 2024. ‘L’IA è una famiglia di tecnologie in rapida evoluzione che richiede sorveglianza regolamentare e uno spazio sicuro e controllato per la sperimentazione, garantendo nel contempo un’innovazione responsabile e l’integrazione di tutele adeguate e di misure di attenuazione dei rischi. Al fine di garantire un quadro giuridico che promuova l’innovazione, sia adeguato alle esigenze future e resiliente alle perturbazioni, gli Stati membri dovrebbero garantire che le rispettive autorità nazionali competenti istituiscano almeno uno spazio di sperimentazione normativa in materia di IA a livello nazionale per agevolare lo sviluppo e le prove di sistemi di IA innovativi, sotto una rigorosa sorveglianza regolamentare, prima che tali sistemi siano immessi sul mercato o altrimenti messi in servizio’ (considerandum 138).

2 Art. 3, par. 1, num. 55) del regolamento (UE) 2024/1689 del 13 giugno 2024.

3 In tema di ulteriore trattamento dei dati personali per lo sviluppo nello spazio di sperimentazione normativa per l’IA di determinati sistemi di IA nell’interesse pubblico, l’art. 59, par. 1, lett. a), num. v) del regolamento (UE) 2024/1689 del 13 giugno 2024 prevede che in uno spazio di sperimentazione normativa, possono essere trattati i dati personali che siano stati legalmente raccolti per altre finalità solo quando detto trattamento sia effettuato ai fini dello sviluppo, addestramento e prova di un sistema di IA e sempre che il sistema di IA soddisfi una serie di condizioni tra cui la salvaguardia di un interesse pubblico rilevante e l’efficienza e la qualità della pubblica amministrazione e dei servizi

Il presente breve intervento costituisce una prima ricognizione circa taluni possibili elementi d’interazione tra il regolamento (UE) 2024/1689 del 13 giugno 2024 e il vigente D.Lgs. n. 36/2023 4, estendendo, solo incidentalmente, l’analisi anche alla disciplina comunitaria dettata in materia di rendicontazione societaria di sostenibilità5

Non avendo modo di svolgere un’analisi sistematica della materia, si è inteso circoscrivere le argomentazioni che seguono ad un nucleo ben individuato di norme contenute nel richiamato decreto legislativo costituito dalle sole disposizioni vigenti in tema di I) uso di procedure automatizzate nel ciclo di vita dei contratti pubblici (art. 30), II) applicazione dei contratti collettivi nazionali di settore (art. 11), III) clausole sociali (art. 57) nonché di IV) contratti riservati (art. 61)6

Criteri d’individuazione del contratto collettivo di lavoro applicabile e dichiarazione d’equivalenza

Come noto, l’art. 11 del D.Lgs. n. 36/2023 prevede che:

• ai lavoratori occupati nell’esecuzione del contratto ‘è applicato il contratto collettivo nazionale e territoriale in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni di lavoro, stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e quello il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l’attività oggetto dell’appalto o della concessione svolta dall’impresa anche in maniera prevalente’;

• la stazione appaltante e l’ente concedente indichino espressamente nel bando di gara e nell’invito I) il contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL) nonché II) gli eventuali CCL di livello territoriali applicabili ai lavoratori subordinati occupati nell’esecuzione del contratto;

• laddove l’operatore economico applichi un differente CCNL è tenuto a darne notizia nell’offerta, presentando una dichiarazione di equivalenza mediante la quale attesta che tale diverso CCNL assicura ai lavo-

pubblici.

ratori le stesse tutele garantite dal CCNL indicato dalla stazione appaltante o dall’ente concedente. La dichiarazione di equivalenza, che afferisce altresì ai CCL di livello territoriale eventualmente applicabili, forma oggetto di verifica da parte dell’Amministrazione in osservanza delle modalità indicate dall’art. 110 del medesimo D.Lgs. n. 36/2023 in materia di offerte anormalmente basse. L’equiparabilità tra diversi CCL - nazionali e territoriali - è accertata con riferimento sia alle tutele economiche che normative, da considerare quale complesso inscindibile7

Fermo restando che anche quando siano seguite le indicazioni operative rese da ANAC 8 non è detto sia agevole per la stazione appaltante o l’ente concedente I) individuare il CCNL da indicare nel bando di gara o nell’invito e II) reperire, ove vigenti, gli eventuali CCL di livello territoriale, la verifica della fondatezza e completezza della dichiarazione d’equivalenza presentata da uno o più operatori economici costituisce un’attività complessa che potrebbe essere condotta avvalendosi di soluzioni tecnologiche e di automatismi che garantiscano, oltre che maggior speditezza, anche l’osservanza di criteri oggettivi 9, assicurando trasparenza al procedimento.

La prospettata soluzione tecnologica potrebbe essere dotata di una raccolta dei CCL applicabili per ciascun settore economico, anche sul piano territoriale; l’immediata disponibilità dei CCL - nazionali così come territoriali - vigenti costituirebbe un elemento distintivo di tale soluzione tecnologica, poiché, se i dati concernenti ciascun CCNL depositato possono essere attinti dalla banca dati del CNEL, questa non censisce i CCL di livello territoriale che, al momento, ciascuna stazione appaltante o ente concedente è pertanto tenuta a reperire da sé.

Gli elementi da considerare nell’attività di comparazione tra CCL sono molteplici e implicano valutazioni che afferiscono sia a parametri discreti che ad istituti contrattuali suscettibili di una valutazione d’ordine eminentemente qualitativo.

Il giudizio di equivalenza economica è espresso com -

4 Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 31 marzo 2023, n. 77, il D.Lgs. n. 36/2023 è entrato in vigore in data 1° aprile 2024.

5 Direttiva (UE) 2022/2464 del 14 dicembre 2022, che modifica la direttiva 2013/34/UE per quanto riguarda la rendicontazione societaria di sostenibilità, e Regolamento delegato (UE) 2772/2023 del 31 luglio 2023, che integra la direttiva 2013/34/UE del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda i principi di rendicontazione di sostenibilità.

6 Una fase di sperimentazione finalizzata all’introduzione di procedure automatizzate nel ciclo di vita dei contratti pubblici sarebbe dunque avviata con il fine precipuo di salvaguardare un interesse pubblico, promuovere l’efficienza e la qualità della pubblica amministrazione e dei servizi pubblici nella prospettiva peraltro tracciata anche dagli artt. 1, 2, 3 e 5 del D.Lgs. n. 36/2023 in tema, rispettivamente, di principio del risultato, della fiducia, dell’accesso al mercato e di tutela dell’affidamento.

7 ANAC, Relazione illustrativa al bando tipo n. 1/2023, 19 luglio 2023, par. 7 e INL, circolare 28 luglio 2020, n. 2.

8 ANAC, Relazione illustrativa al bando tipo n. 1/2023, 19 luglio 2023, par. 7.

9 ANAC ha proposto di introdurre una dichiarazione di equivalenza standard, misurata su istituti contrattuali espressamente individuati, sì da garantire uniformità all’attività di verifica e consentire al tempo stesso agli operatori economici di valutare con anticipo l’equivalenza del diverso CCL applicato rispetto a quello indicato nel bando o nell’invito. Sebbene sia certamente apprezzabile, tale proposta non è detto permetta di effettuare una comparazione contrattuale in ossequio a quanto disposto dall’art. 11, c. 3 e 4 del D.Lgs. n. 36/2023.

parando la disciplina che ciascun CCNL delinea con riferimento agli elementi della retribuzione.

A titolo esemplificativo, trattasi degli elementi riconducibili a:

a) la retribuzione diretta, comprendente la retribuzione:

• di base (minimo tabellare, indennità di funzione, indennità di contingenza, elemento distinto della retribuzione, scatti di anzianità),

• variabile (maggiorazioni per lavoro notturno, supplementare, festivo e straordinario),

• accessoria (indennità di reperibilità, di turno e di mensa);

b) la retribuzione indiretta (ferie annuali retribuite, permessi per studio e permessi retribuiti per riduzione orario di lavoro);

c) la retribuzione differita (tredicesima mensilità ed eventuali mensilità aggiuntive);

d) retribuzione eventuale.

L’attività di equiparazione condotta in relazione al trattamento retributivo non può essere limitata ad una mera comparazione delle tabelle retributive che ogni CCL contempla in relazione ai livelli d’inquadramento previsti per i lavoratori. Infatti, tale equiparazione deve essere preceduta da una comparazione delle rispettive declaratorie contrattuali, implicante a sua volta un confronto analitico delle descrizioni delle posizioni professionali previste dai rispettivi CCL.

Considerando che è remotissima l’ipotesi che la descrizione di una posizione professionale offerta da diversi CCL risulti essere perfettamente coincidente, il ricorso ad un sistema di IA generativa potrebbe consentire all’interprete di avvalersi di una prima analisi testuale comparativa riferita alle declaratorie di ciascun CCL sottoposto al giudizio di equivalenza; in seguito, l’elaborato offerto dal sistema di IA dovrebbe essere sottoposto ad una verifica dell’interprete stesso, perché ne sia accertata la coerenza e la linearità.

Per quanto concerne la parte normativa, l’equivalenza è esperita in relazione ad una serie di parametri tra i quali si annoverano: il periodo di prova;

• il periodo di comporto in caso di malattia e infortunio;

• l’eventuale integrazione dell’indennità spettante nell’ipotesi di malattia e infortunio;

• l’eventuale integrazione dell’indennità spettante per la durata del congedo di maternità (o paternità) e parentale;

10 INL, circ. 28 luglio 2020, n. 2.

• le clausole elastiche in relazione al lavoro a tempo parziale;

• il preavviso;

• le provvidenze assicurate al lavoratore nell’ambito della bilateralità;

• il regime contributivo in materia di previdenza complementare;

• il regime di assistenza sanitaria integrativa.

Conclusa l’attività di comparazione, i CCL sono giudicati equivalenti quando gli scostamenti registrati siano marginali, cioè quando alla luce di una valutazione complessiva delle discipline contrattuali lo scostamento eventualmente rilevato sia trascurabile e afferisca ad un novero limitato di istituti, tenendo al contempo conto della significatività degli stessi10

Trattasi dunque di un giudizio articolato e che, come accennato, è inevitabile si formi, oltre che alla luce di una comparazione di parametri quantitativi, anche in base a valutazioni che, seppure non arbitrarie, non possono non essere, almeno in parte, condizionate da ponderazioni effettuate su base individuale11.

La complessità è destinata ad aumentare quando: nel medesimo settore economico risultino applicabili diversi CCNL il cui ambito d’applicazione non sia perfettamente sovrapponibile;

l’applicazione di un determinato CCNL comporti l’osservanza di una pluralità di contratti collettivi territoriali (regionali e provinciali); la verifica coinvolga anche subappaltatori.

Per la verifica della dichiarazione d’equivalenza la stazione appaltante o l’ente concedente potrebbero certamente avvalersi di una soluzione tecnologica che compari i dati discreti di ciascun CCL che forma oggetto di comparazione, in modo che il dispositivo evidenzi automaticamente gli scostamenti rilevati in relazione a ciascun istituto contrattuale, sì da circoscrivere, almeno sul piano quantitativo, le differenze registrate.

La soluzione tecnologica adottata potrebbe altresì consentire di monitorare tramite procedure automatizzate la corretta applicazione della disciplina contrattuale per l’intera fase d’esecuzione del contratto, segnalando anomalie o violazioni di norme che l’Amministrazione potrebbe così opporre all’appaltatore – così come all’eventuale subappaltatore – attivando gli opportuni strumenti rimediali e imponendo la tempestiva regolarizzazione12.

11 Quando l’interprete è chiamato ad attribuire ad un istituto contrattuale una propria significatività, alla maturazione del personale convincimento non potranno non concorrere, oltre che elementi oggettivi e di contesto, anche valutazioni personali.

12 In taluni casi il controllo della stretta osservanza delle disposizioni contrattuali nel corso dell’intera fase d’esecuzione del contratto è reso obbligatorio dal vigente ordinamento. È il caso, ad esempio, degli appalti di lavori edili, regolati dal disposto di cui all’art. 29, c. 10 e 11 del D.Lgs. n. 276/2003, così come modificato dall’art. 28 del D.L. n. 60/2024, convertito in legge, con modificazioni, dalla Legge n. 95/2024,

Clausole sociali e contratti riservati

A decorrere dal 31 luglio 2021, l’art. 47 del D.L. n. 77/2021 ha introdotto norme miranti a garantire le pari opportunità, generazionali e di genere e favorire l’inclusione lavorativa dei lavoratori con disabilità in relazione ai contratti pubblici per la cui esecuzione si è attinto, e si attingerà, alle risorse finanziarie stanziate per il PNRR o PNC.

In particolare, tale disposizione prevede siano dedotte nei bandi di gari e negli avvisi e inviti: 5) ‘specifiche clausole dirette all’inserimento, come requisiti necessari e come ulteriori requisiti premiali dell’offerta, di criteri orientati a promuovere l’imprenditoria giovanile, l’inclusione lavorativa delle persone con disabilità, la parità di genere e l’assunzione di giovani con età inferiore a trentasei anni e donne’13; 6) misure premiali in base alle quali assegnare un punteggio aggiuntivo nel caso in cui l’offerente o il candidato14:

• nel corso del triennio che precede la data di scadenza del termine di presentazione dell’offerta, non sia stato destinatario di accertamenti relativi ad atti o comportamenti discriminatori I) per motivi razziali, etnici, linguistici, nazionali, di provenienza geografica o religiosi15, II) correlati allo stato di disabilità o all’età16, III) per causa di matrimonio17, IV) fondati sul genere 18 ovvero sullo stato di gravidanza della lavoratrice o in ragione della nascita del figlio, della fruizione di un periodo di congedo parentale da parte del genitore lavoratore o a seguito della fruizione da parte del lavoratore del congedo di paternità19,

e in vigore dal 7 luglio 2024.

• utilizzi o s’impegni a utilizzare specifici strumenti di conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro per i propri lavoratori nonché modalità innovative di organizzazione del lavoro,

• s’impegni ad assumere, oltre alla soglia minima percentuale prevista come requisito di partecipazione, I) lavoratori con disabilità, II) giovani d’età inferiore a 36 anni e III) donne per l’esecuzione del contratto o per la realizzazione di attività ad esso connesse o strumentali;

• abbia, nell’ultimo triennio, rispettato i principi della parità di genere e adottato specifiche misure per promuovere le pari opportunità generazionali e di genere 20, anche in relazione al conferimento di incarichi apicali;

• nel corso del triennio che precede la data di scadenza del termine di presentazione dell’offerta abbia adempiuto agli obblighi disciplinati dalla Legge n. 68/1999 recante norme per il diritto al lavoro dei lavoratori con disabilità;

• abbia presentato o s‘impegni a presentare per ciascuno degli esercizi finanziari compresi nella durata del contratto pubblico una dichiarazione volontaria di carattere non finanziario (DNF)21. Alla luce dell’imminente recepimento della legislazione comunitaria in materia di sostenibilità dettata dalla direttiva (UE) 2022/2464 del 14 dicembre 2022 e dal regolamento delegato (UE) 2772/2023 del 31 luglio 2023, anche la predisposizione su base volontaria di un bilancio di sostenibilità secondo i criteri stabiliti dai testé citati atti comunitari potrebbe comportare l’attribuzione di un punteggio aggiuntivo22

La testé richiamata disposizione pone in capo al responsabile del progetto (RUP) o al designato direttore dei lavori di verificare la congruità dell’incidenza della manodopera sull’opera complessiva prima di procedere al saldo finale. Qualora si proceda al saldo finale in carenza di i) un esito positivo dell’attività di verifica di congruità ovvero di ii) una regolarizzazione qualora siano state accertate incongruenze, la stazione appaltante ne tiene conto in sede di valutazione della prestazione del RUP stesso, restando in ogni caso fermi i profili di responsabilità amministrativo-contabile del RUP.

13 Art. 47, c. 4 del D.L. n. 77/2021.

14 Art. 47, c. 5 del D.L. n. 77/2021.

15 Art. 44 del D.Lgs. n. 286/1998 e art. 4 del D.Lgs. 215/2003.

16 Art. 4 del D.Lgs. 9 luglio 2003, n. 216 e art. 3 della Legge n. 67/2006.

17 Art. 35 del D.Lgs. n. 198/2006.

18 Art. 55 quinquies del D.Lgs. n. 198/2006.

19 Art. 54 del D.Lgs. n. 151/2001.

20 Giusto quanto disposto dall’art. 46-bis del D.Lgs. n. 198/2006 e dal D.M. 29 aprile 2022, assume in tal senso rilievo la certificazione del sistema di gestione per la parità di genere secondo la prassi di riferimento UNI/PdR 125:2022, recante le ‘Linee guida sul sistema di gestione per la parità di genere che prevede l’adozione di specifici KPI (Key Performances Indicator - Indicatori chiave di prestazione) inerenti alle politiche di parità di genere nelle organizzazioni)’.

21 Art. 7 del D.Lgs. n. 254/2016.

22 Il 10 giugno 2024 è stato trasmesso alla Presidenza della Camera dei deputati lo ‘Schema di decreto legislativo recante recepimento della direttiva (UE) 2022/2464, che modifica il regolamento (UE) n. 537/2014, la direttiva 2004/109/CE, la direttiva 2006/43/CE e la direttiva 2013/34/UE per quanto riguarda la rendicontazione societaria di sostenibilità e per l’adeguamento della normativa nazionale’ (atto del Governo n. 160). Per quanto qui d’interesse, assume particolare rilievo l’art. 17, c. 1, lett. b), num. 1) del citato Schema, per effetto del quale le disposizioni del decreto troveranno applicazione nei confronti delle imprese di grandi dimensioni ‘per gli esercizi aventi inizio il 1° gennaio 2025 o in data successiva’, intendendosi per imprese di grandi dimensioni ‘le società che alla data di chiusura del bilancio abbiano superato, nel primo esercizio di attività o successivamente per due esercizi consecutivi, due dei seguenti limiti: 1) totale dello stato patrimoniale: euro 25.000.000; 2) ricavi netti delle vendite e delle prestazioni: euro 50.000.000;

Un meccanismo analogo all’art. 47, c. 4 e 5 del D.L. n. 77/2021 - disciplinato in dettaglio in forza del D.M. 7 dicembre 2021 - è rinvenibile anche negli artt. 57, c. 123 e 61, c. 2 e 4 del D.Lgs. n. 36/2023, applicabile alla generalità dei contratti pubblici.

In particolare, l’art. 61, c. 2 del D.Lgs. n. 36/2023 prevede che ‘le stazioni appaltanti e gli enti concedenti prevedono nei bandi di gara, negli avvisi e negli inviti, come requisiti necessari o come ulteriori requisiti premiali dell’offerta, meccanismi e strumenti idonei a realizzare le pari opportunità generazionali, di genere e di inclusione lavorativa per le persone con disabilità o svantaggiate’24

I meccanismi premiali, ‘individuati avendo in considerazione i principi di libera concorrenza, proporzionalità e non discriminazione, nonché dell’oggetto del contratto, della tipologia e della natura del singolo progetto in relazione ai profili occupazionali richiesti’ 25, sono disciplinati con maggior dettaglio sia nell’Allegato II.3 al D.Lgs. n. 36/2023 che dal D.M. 20 giugno 2023, recante ‘Linee guida volte a favorire le pari opportunità generazionali e di genere, nonché l’inclusione lavorativa delle persone con disabilità nei contratti riservati’.

Le norme dettate con riguardo alle clausole di premialità disciplinate dall’art. 61, c. 2 del D.Lgs. n. 36/2023 sono perfettamente sovrapponibili alla regolamentazione già offerta in materia in relazione all’art. 47, c. 4 e 5 del D.L. n. 77/2021 e coincidenti con quanto più sopra riportato alle lettere a) e b).

A titolo esemplificativo, costituiscono criteri di valutazione per l’attribuzione di un punteggio aggiuntivo:

1) il possesso della certificazione di responsabilità sociale ed etica SA 8000 od equivalente;

2) l’impiego o l’assunzione di lavoratori con disabilità in quota eccedente l’obbligo minimo di legge;

3) la previsione nell’organico aziendale della figura del disability manager;

4) l’adozione di strumenti di conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro;

5) l'introduzione di modalità innovative di organizzazione del lavoro quali, ad esempio:

• asilo nido aziendale convenzionato,

• misure di flessibilità oraria.

• ricorso al tempo parziale e la previsione di periodi di aspettativa per motivi personali,

• integrazione economica a congedi parentali e benefit di cura per infanzia, familiari anziani o con disabilità, anche mediante l’adozione di accomodamenti ragionevoli,

• misure di contrasto a pratiche discriminatorie e promozione delle pari opportunità e dell’inclusione organizzativa (attività di formazione e designazione di una figura aziendale preposta all’attuazione delle politiche anti-discriminatorie (diversity manager); 6) l'adozione di un piano di welfare aziendale per categorie di lavoratori e lavoratrici meno rappresentate; 7) i progetti per la formazione professionale e l’aggiornamento dedicati ai giovani lavoratori per favorirne l’inserimento.

Gli elencati criteri non sono vincolanti, ma solo offrono un novero di possibili misure che la stazione appaltante e l’ente concedente possono i) contemplare nel bando di gara così come nell’offerta, ii) modulare secondo la più opportuna e rispondente declinazione o iii) modificare, prevedendo l’introduzione di ulteriori criteri.

Ad esempio, la certificazione etica di responsabilità sociale così come la dichiarazione volontaria di carattere non finanziario potrebbero essere integrate o addirittura sostituite, introducendo criteri di valutazione dei bilanci societari redatti secondo i principi di rendicontazione di sostenibilità26, sia con riguardo ai fattori ambientali che in relazione ai fattori sociali relativi alla forza lavoro propria (ESRS-S1) nonché ai lavoratori occupati nella catena del valore (ESRS-S2)27

La fase di verifica dell’effettivo possesso dei requisiti più sopra riportati da parte del candidato o dell’offerente e finalizzata all’attribuzione del punteggio aggiuntivo potrebbe essere svolta impiegando soluzioni tecnologiche che consentano di agevolare, per quanto possibile, i processi di:

• raccolta di documenti, informazioni e dati, ricorrendo, ad esempio, a tecnologie di registro distribu-

3) numero medio dei dipendenti occupati durante l’esercizio: 250’ (art. 1, c. 1, lett. n)).

23 ‘Per gli affidamenti dei contratti di appalto di lavori e servizi diversi da quelli aventi natura intellettuale e per i contratti di concessione i bandi di gara, gli avvisi e gli inviti (…) devono contenere specifiche clausole sociali con le quali sono richieste, come requisiti necessari dell’offerta, misure orientate tra l’altro a garantire le pari opportunità generazionali, di genere e di inclusione lavorativa per le persone con disabilità o svantaggiate, la stabilità occupazionale del personale impiegato, nonché l’applicazione dei contratti collettivi nazionali e territoriali di settore (…) e di quelli il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l’attività oggetto dell’appalto o della concessione svolta dall’impresa anche in maniera prevalente, nonché a garantire le stesse tutele economiche e normative per i lavoratori in subappalto rispetto ai dipendenti dell’appaltatore e contro il lavoro irregolare’ (art. 57, c. 1 del D.Lgs. n. 36/2023).

24 ‘In sede di prima applicazione del codice, l’allegato II.3 prevede meccanismi e strumenti premiali per realizzare le pari opportunità generazionali e di genere e per promuovere l’inclusione lavorativa delle persone disabili’ (art. 61, c. 4 del D.Lgs. n. 36/2023).

25 Art. 1, c. 4 dell’Allegato II.3 al D.Lgs. n. 36/2023.

26 Il riferimento è qui volto ai criteri di rendicontazione di sostenibilità di cui agli artt. 19-bis, 29-bis e 29-ter della direttiva 2013/34/UE del 26 giugno 2013 introdotti dall’art. 1, num. 4), 7) e 8) della direttiva UE 2022/2464 del 14 luglio 2022 e disciplinati in maggior dettaglio dal regolamento delegato 2772/2023 del 31 luglio 2023.

27 Regolamento delegato 2772/2023 del 31 luglio 2023.

ito e all’istituzione di un registro digitale distribuito (RDD), del quale indicato in estrema sintesi è nel paragrafo che segue il meccanismo di funzionamento • analisi, interpretazione e valutazione di informazioni e dati - anche impiegando un sistema di IA generativa -, a condizione che negli atti di indizione delle gare siano dedotte clausole che assicurino prestazioni di assistenza e manutenzione per la correzione di errori e di effetti indesiderati derivanti dai processi d’automazione28.

Peraltro, le soluzioni tecnologiche potrebbero essere impiegate, oltre che ai fini dell’attribuzione di un (eventuale) punteggio aggiuntivo, anche per verificare documentalmente l’effettiva sussistenza dei requisiti soggettivi per l’intera fase d’esecuzione del contratto. Sarebbe altrimenti irragionevole - e persino in contrasto con i principi generali di cui agli artt. 1-5 del D.Lgs. n. 36/2023 - affidare l’esecuzione del contratto ad un operatore economico che di fatto non abbia effettivamente realizzato per l’intera durata del contratto le misure per le quali ha potuto avvantaggiarsi di un punteggio aggiuntivo.

Analogamente a quanto già precisato con riferimento all’obbligo di verifica di congruità nell’ipotesi di un appalto di lavori edili, si tratterebbe di verificare con prestabilita periodicità la sussistenza dei requisiti soggettivi correlati ai meccanismi di premialità, affinché, ove fossero registrate anomalie o inadempimenti, la stazione appaltante o l’ente concedente possano esigerne la tempestiva regolarizzazione29.

Come accennato, un sistema di IA potrebbe essere utilizzato per agevolare e accelerare l’attività di analisi dei bilanci di sostenibilità, offrendo alla stazione appaltante e all’ente concedente elementi utili per l’individuazione del migliore candidato, sia attraverso una lettura retrospettiva che prospettiva del governo dei fattori ambientali e sociali posto in essere dall’operatore economico. A tal fine, il bilancio sociale di ciascun candidato potrebbe essere aggiunto alla documentazione richiesta per la partecipazione al bando, prevedendone altresì la pubblicazione sul registro digitale distribuito (RDD). Quando si consideri la complessità e la varietà degli ambiti d’analisi che la lettura e l’interpretazione di un bilancio di sostenibilità comporta, anche in relazione alla catena

del valore nell’ipotesi in cui l’operatore abbia realizzato forme più o meno estese di decentramento produttivo, non si potrà che convenire sull’opportunità di avvalersi di un sistema di IA, sempre che, si ribadisce, sia assicurata l’osservanza delle prescrizioni dettate dall’art. 30, c. 2, 3 e 4 del D.Lgs. 36/2023, secondo cui:

1) acquistando o sviluppando soluzioni che consentano di attuare procedure automatizzate, la stazione appaltante o l’ente concedente sono tenuti a:

• assicurare la disponibilità del codice sorgente nonché della relativa documentazione e di qualsivoglia altro elemento utile che consenta di conoscere le logiche di funzionamento del sistema di IA;

• contemplare espressamente procedure di assistenza e manutenzione così da poter assicurare la correzione di errori e la rimozione di effetti indesiderati derivanti dal ricorso ad una procedura automatizzata;

2) la decisione assunta avvalendosi dell’ausilio di una procedura automatizzata deve essere maturata in ossequio ai principi di:

• conoscibilità e comprensibilità, potendo così riferire all’operatore informazioni circa le logiche di funzionamento della procedura stessa,

• non esclusività della decisione algoritmica, prevedendo che il processo contempli l’intervento umano in grado di controllare, validare ovvero smentire la decisione automatizzata, come peraltro previsto dall’art. 14 del regolamento (UE) 2024/1689 del 13 giugno 2024 in materia di sorveglianza umana (human oversight),

• non discriminazione algoritmica;

3) devono essere adottate misure tecniche e organizzative che consentano di:

• correggere senza ritardo fattori che comportino l’inesattezza di un dato;

• ridurre, per quanto possibile, il rischio di errori;

• contrastare effetti discriminatori.

Tecnologia di registro distribuito – Ipotesi architetturale

Ai fini della verifica - anche in fase di esecuzione del contratto - della sussistenza dei requisiti soggettivi che hanno permesso di attribuire all’operatore economico

28 Art. 30, c. 2, lett. b) del D.Lgs. n. 36/2023. Nell’ipotesi di ricorso a sistemi di IA generativa potrebbe risultare problematico il disposto di cui all’art. 30, c. 2, lett. a) del D.Lgs. 36/2023, per effetto del quale nell’acquisto o sviluppo delle soluzioni tecnologiche le stazioni appaltanti e gli enti concedenti ‘assicurano la disponibilità del codice sorgente, della relativa documentazione, nonché di ogni altro elemento utile a comprenderne le logiche di funzionamento’. L’obbligo di rendere disponibili i codici sorgente potrebbe infatti rappresentare un ostacolo affatto trascurabile in relazione alla finalità di adottare soluzioni tecnologiche che consentano di conseguire una migliore efficienza, in quanto imporrebbe senz’altro vincoli stringenti allo spazio di manovra dell’Amministrazione pubblica nell’individuazione del più adatto sistema di IA da acquistare.

29 Resta inteso che, ai sensi dell’art. art. 30, c. 3 del D.Lgs. n. 36/2023, le decisioni assunte dalla stazione appaltante o dall’ente concedente tramite processi d’automazione è fatto obbligo siano maturate in osservanza dei principi di i) conoscibilità e comprensibilità del processo decisionale automatizzato ii) non esclusività della decisione algoritmica, implicante un contributo umano per validare o discostarsi dalla decisione proposta dal sistema e iii) non discriminazione algoritmica.

un punteggio aggiuntivo, la documentazione, le informazioni e i dati necessari potrebbero essere attinti da un registro digitale distribuito (RDD), del quale la stazione appaltante o l’ente concedente, l’appaltatore e l’eventuale subappaltatore costituirebbero dei ‘nodi’.

Attraverso un registro digitale distribuito (RDD) è possibile documentare ogni singola fase del ciclo di vita del contratto pubblico, promuovendo la formazione di un affidamento efficiente sia da parte della stazione appaltante o dell’ente concedente così come dell’operatore economico in relazione al corretto adempimento degli obblighi assunti con la sottoscrizione del contratto. Un RDD è un dispositivo informatico (distributed ledger technology o DLT) formante un repertorio documentale non modificabile che consente di verificare automaticamente il perfetto adempimento di un obbligo contrattuale, applicando termini, procedure e modalità di registrazione normate da un apposito disciplinare. Il disciplinare regola altresì il funzionamento di automatismi (reified contracts) tramite i quali è verificata la rispondenza di ciascun documento registrato ai requisiti individuati. Detti automatismi possono inoltre essere impiegati per l’invio di segnalazioni che I) diano notizia dell’approssimarsi del termine di adempimento di uno specifico obbligo o II) rendano nota la violazione di un termine o di una procedura da parte dell’operatore economico sia alla stazione appaltante o ente concedente che all’operatore interessato.

Attraverso il disciplinare la stazione e l’ente concedente possono altresì regolamentare l’applicazione automatica di strumenti rimediali quando l’appaltatore o i subappaltatori non adempiano alla registrazione dei documenti richiesti nei termini e secondo le modalità stabiliti dal disciplinare stesso o qualora sia rilevato –anche automaticamente – un inadempimento.

Un RDD è un registro: 1) digitale, mediante il quale conservare i documenti registrati su un adeguato supporto di memorizzazione 30. In un RDD, ogni documento ha una propria marcatura temporale ed è registrato nella particolare disposizione di una catena di blocchi. A ciascun blocco è attribuito un codice univoco identificativo, definito mediante un algoritmo conosciuto ed espressamente accettato da ciascun soggetto tenuto alla regi-

strazione e alla conservazione del registro31. La registrazione risulta così essere di fatto immodificabile;

2) distribuito, in quanto i documenti ivi registrati sono replicati in ciascun ‘nodo’ tramite l’impiego di una rete privata, alla quale può accedere solo un soggetto previamente qualificato. Ciascuna parte del contratto ospita un ‘nodo’ così che alla stazione appaltante (o ente concedente), all’appaltatore e a ciascun eventuale subappaltatore corrisponde uno specifico ‘nodo’ nel quale risiede l’integrale esatta copia del RDD; 3) privato (virtual private network). L’attivazione di un RDD per il tramite di una rete privata non pregiudica in alcun modo le funzioni essenziali di un RDD e permette al contempo di ridurre significativamente i rischi derivanti dalla replicazione e compromissione dei documenti registrati, i) proporzionando la complessità dell’algoritmo al numero di nodi presenti, ii) riducendo la complessità di funzionamento di un RDD32 e iii) contenendo i costi di manutenzione in regime di sicurezza.

Come detto, laddove il RDD sia dotato di automatismi che rilevano e comunicano ai soggetti interessati un eventuale inadempimento riguardante l’obbligo di registrazione, il registro può agevolare lo svolgimento dell’attività di controllo durante la fase d’esecuzione del contratto.

30 Il contenuto di un RDD non è necessariamente pubblico. Infatti, i regimi di visibilità e accessibilità ai documenti contenuti nel registro sono graduati sia con riferimento ai soggetti interessati che in relazione a soggetti terzi che, pur con limitazioni, possono accedere ai documenti registrati quando abbiano un interesse qualificato.

31 Prima di essere chiuso nella catena di blocchi preesistenti, l’ultimo blocco è sottoposto alla validazione di ciascun attore-‘nodo’ facente parte del registro. La validazione non è limitata al singolo blocco, ma interessa l’intera catena contenente il nuovo elemento. Il registro è corrotto quando anche uno solo dei partecipanti non riscontri la validità del codice trasmesso.

32 Si consideri che ad un’elevata complessità dell’algoritmo corrisponde un proporzionale costo energetico per il funzionamento del registro. In sede di progettazione di un RDD, il costo computazionale, cioè l’insieme di risorse di calcolo necessarie perché un software esegua il compito richiesto nonché il tempo e la quantità di memoria necessarie e il traffico generato per garantire il funzionamento di un RDD, deve dunque essere opportunamente valutato poiché è economicamente insensato dotarsi di un algoritmo di estrazione eccessivamente complesso, cioè esorbitante rispetto alle finalità di un RDD e alla sua composizione.

“Il

payback sui dispositivi medici è legittimo”: la sentenza della Consulta che

mette a rischio migliaia di piccole e medie imprese

Nel 1953, Robert H. Jackson, giudice della Corte Suprema degli Stati Uniti, riferendosi al ruolo ricoperto da lui e dai suoi colleghi, scrisse “We are not final because we are infallible, but we are infallible only because we are final”. L’espressione è diventata famosa perché, più di molte altre, riesce a tradurre l’idea secondo cui le decisioni assunte dalle corti di ultima istanza non sono intrinsecamente “giuste”; semplicemente, non sono appellabili e, quindi, sono da accettare in quanto tali.

Per quanto suggestiva, però, questa tesi non dirada le perplessità destate dalle due recenti sentenze della Corte costituzionale, con le quali è stata sostanzialmente confermata la legittimità del c.d. “payback” sui dispositivi medici (sentenze nn. 139 e 140 del 2024). Come si vedrà, le sentenze sono affette da diversi vizi logici, sicché è difficile ritenerle “giuste”; quanto al fatto che esse siano inappellabili, ciò costituisce piuttosto un’aggravante, dal momento che ora molte imprese rischieranno il fallimento.

Il payback coinvolge oltre 6.000 aziende di cui il 44% circa ha meno di 10 addetti e il 70% circa ha meno di 50 addetti. Di queste molte stanno ancora affrontando le difficoltà causate della pandemia e dall’attuale crisi dei mercati dovuti ai conflitti in corso. Inoltre, 1 azienda su 8 esistente ed attiva nel mercato nel 2015 è cessata, è in liquidazione o si trova in stato di insolvenza

È il caso però di fare un passo indietro per comprendere l’origine dei problemi.

Cosa è il payback sui dispositivi medici Il payback è un sistema con il quale si impone alle aziende fornitrici del SSN di restituire alle regioni parte del fatturato che esse hanno maturato dalla vendita di dispositivi medici agli enti pubblici. Tale fatturato è il frutto di somme – è bene specificarlo – determinate a seguito di procedure ad evidenza pubblica, soggette a competizioni

serrate, sottoposte a tutte le regole della concorrenza ove vige il principio di sostenibilità dell’offerta, per cui i ribassi proposti devono risultare sostenibili al fine di assicurare la serietà dell’offerta proposta. Ancora, i dispositivi medici sono acquistati tramite procedure di gara, per l’espletamento della quale viene fissato dalla committente – di solito una centrale di committenza regionale - una base d’asta, ossia un tetto di spesa preventivato.

In questo contesto, l’art. 9-ter, co. 9, del d.l. n. 78 del 2015, ha previsto che l’eventuale superamento del tetto di spesa a livello nazionale e regionale per l’acquisto di dispositivi medici fosse posto «a carico delle aziende fornitrici di dispositivi medici per una quota complessiva pari al 40 per cento nell’anno 2015, al 45 per cento nell’anno 2016 e al 50 per cento a decorrere dall’anno 2017 ». Lo stesso decreto ha anche specificato che le aziende fornitrici di dispositivi medici dovessero concorrere «alle predette quote di ripiano in misura pari all’incidenza percentuale del proprio fatturato sul totale della spesa per l’acquisto di dispositivi medici a carico del Servizio sanitario regionale». Per comprendere il funzionamento di tali norme è sufficiente calarle nella realtà; nel 2015, una qualsiasi azienda che avesse partecipato a una gara pubblica per vendere dispositivi medici in una regione sapeva soltanto che, forse, avrebbe dovuto restituire una parte del corrispettivo in un futuro più o meno lontano. Come determinare tali somme, però, restava un mistero, dal momento che non era possibile prevedere ex ante (i) né se la regione avrebbe

sforato, (ii) né di quanto avrebbe sforato e (iii) nemmeno quanto sarebbe stata l’incidenza del fatturato dell’impresa in questione sul totale della spesa per l’acquisto di dispositivi medici da parte della regione. Insomma, nel 2015, un’impresa del settore poteva sapere che c’era una norma di questo tipo, ma non poteva neppure immaginare quale sarebbe stato il corrispettivo che la singola regione le avrebbe potuto chiedere di restituire (ricordiamocelo, perché questo dettaglio ci servirà dopo).

L’origine del contenzioso e la transazione proposta dal Governo

L’art. 9-ter è rimasto a lungo inattuato: la certificazione degli sforamenti è arrivata non uno, non due, bensì sette anni dopo, nel 2022. Il Governo ha così cominciato a determinare l’ammontare degli sforamenti e le regioni hanno quantificato le somme a carico di ciascuna impresa nel 2022, ma per gli anni dal 2015 al 2018. È così partito il valzer delle notifiche, delle richieste di pagamento a migliaia di imprese. Tra queste ultime, accanto alle grandi multinazionali con miliardi di euro di fatturato annuo maturato in tutto il mondo, vi sono anche realtà di dimensioni più modeste e migliaia di micro, piccole e medie imprese che svolgono le proprie attività a livello nazionale o, a volte, in singole regioni. La varietà di operatori economici che popola il settore dei dispositivi medici costituisce da sempre un elemento di forza del comparto, perché ha permesso negli anni di assicurare la competitività delle offerte nel settore, il costante aggiornamento tecnologico dei dispositivi medici offerti e l’assistenza, in presenza, agli operatori: tutti vantaggi per il SSN e per i cittadini. Il rischio di default per le imprese è apparso subito chiaro, sicché le varie richieste di pagamento, insieme ai decreti attuativi e alle norme del 2015, sono stati impugnati con circa 2.000 ricorsi, tuttora pendenti, dinnanzi alla giustizia amministrativa e ordinaria. Il contenzioso ha così assunto dimensioni pantagrueliche, tanto da destare la preoccupazione del Governo; del resto, in ballo c’erano diversi miliardi di euro di deficit nei bilanci regionali da sterilizzare e un intero comparto in fibrillazione da dover gestire. Pertanto, con l’art. 8, d.l. 30 marzo 2023, n. 34, lo Stato ha previsto la creazione di un fondo per finanziare una soluzione bonaria con le imprese ricorrenti: è stata offerta una riduzione al 48% delle somme dovute a titolo di payback quale contropartita per la rinuncia ai ricorsi presentati. In base alle regole di finanza pubblica, peraltro, il fondo prevedeva ovviamente una copertura “totale” dell’operazione, nel caso (contemplato più in teoria che in pratica) in cui tutte le imprese avessero deciso di aderire alla proposta transattiva. Come immaginabile, soltanto una piccola parte delle aziende ha aderito alla proposta.

Il rinvio alla Corte Costituzionale e le sentenze nn. 139

e 140 del 2024

A questo punto, dalle aule dei giudici di primo grado, la questione è stata rimessa all’attenzione della Corte costituzionale attraverso due ricorsi: il primo, sollevato in via diretta dalla Regione Campania, volto a contestare la legittimità del meccanismo transattivo per violazione dei principi che regolano i rapporti finanziari tra lo Stato e le Regioni; il secondo ricorso, invece, è stato sollevato in via incidentale dal TAR Lazio, il quale ha paventato con ben 16 ordinanze di analogo tenore l’illegittimità costituzionale del payback sotto molteplici profili.

Quanto al primo ricorso, in relazione al rispetto dei principi che presiedono alla finanza pubblica, la Corte ha dovuto stabilire se il fondo per finanziare la definizione bonaria della lite con le imprese fosse compatibile con gli artt. 3 e 119 Cost.

In via preliminare, la Corte ha rilevato che la dotazione del fondo era determinata sul presupposto che tutte le imprese desistessero dal contenzioso. In altri termini, le somme stanziate a favore di regioni e province autonome coprivano importi che le imprese non avrebbero più dovuto versare. Sennonché, il trasferimento indiscriminato di tali risorse dallo Stato alle Regioni, a prescindere dall’effettivo abbattimento del contenzioso, avrebbe permesso a queste ultime di locupletare in modo del tutto aleatorio.

Pertanto, la Corte ha stabilito che la riduzione al 48% delle somme inizialmente richieste come contropartita della transazione non debba essere riservata soltanto alle imprese che rinunciano al contenzioso, ma debba applicarsi piuttosto a tutti i fornitori comunque colpiti dal payback sui dispositivi medici. Così facendo, la Corte ha dichiarato l’illegittimità in parte qua delle disposizioni censurate, di fatto “dimezzando” l’esborso a carico di tutte le imprese, ma soltanto per gli anni dal 2015 al 2018, ossia il periodo per il quale è stato previsto il finanziamento del fondo. In merito al secondo ricorso, la Corte ha dovuto determinare innanzitutto se il payback fosse compatibile con la libertà di iniziativa economica sancita dall’art. 41 Cost. In proposito, la Corte ha chiarito innanzitutto che l’iniziativa economica può essere limitata per conseguire un’utilità sociale, anche se gli interventi del legislatore non possono concretizzarsi in misure tali «da condizionare le scelte imprenditoriali in grado così elevato da indurre sostanzialmente la funzionalizzazione dell’attività economica di cui si tratta, sacrificandone le opzioni di fondo o restringendone in rigidi confini lo spazio e l’oggetto delle stesse scelte organizzative».

Guardando al funzionamento del payback, la Corte ha tuttavia ritenuto che il contributo richiesto alle imprese ha un carattere solidaristico e non è irragionevole, poiché pone a carico delle imprese un contributo che trova giustificazione nell’esigenza di assicurare la dotazione di dispositivi medici

necessaria alla tutela della salute, soprattutto in una generale situazione economico-finanziaria altamente critica, che non consente ai bilanci dello Stato e delle regioni, finanziate con risorse della collettività, di far fronte in modo esaustivo alle spese richieste.

Tale contributo, prosegue la Corte, è anche proporzionato, assumendo “decisivo rilievo” il fatto che lo stesso è stato ridotto al 48% a seguito della declaratoria di incostituzionalità di cui sopra.

Qualificando il contributo in termini solidaristici, la Consulta ha respinto anche le censure incentrate sulla violazione della riserva di legge prevista dall’art. 23 Cost. Di regola, infatti, tale disposizione impone al legislatore di indicare «compiutamente il soggetto e l’oggetto della prestazione imposta, mentre l’intervento complementare ed integrativo da parte della pubblica amministrazione deve rimanere circoscritto alla specificazione quantitativa (e qualche volta, anche qualitativa) della prestazione medesima». In altri termini, è ben ammissibile una delega all’amministrazione per la determinazione del quantum dovuto.

Nel caso del payback, secondo la Corte, tali parametri sarebbero stati rispettati: da un lato, infatti le disposizioni chiariscono la platea dei soggetti colpiti dalla norma, ossia i fornitori di dispositivi medici del SSN; dall’altro lato, esse specificano l’oggetto della prestazione, la quale è volta al ripianamento dei deficit di bilancio delle Regioni. In altri termini, secondo la Consulta, «la normativa censurata consente di conoscere gli elementi essenziali della prestazione imposta».

Infine, non sono state accolte le questioni incentrate sulla violazione degli artt. 3 e 117 Cost., per contrasto con i principi europei di ragionevolezza, di irretroattività e di affidamento. Secondo la Corte, infatti, le imprese del settore erano a conoscenza del payback sin dal 2015, ossia da prima di partecipare alle gare dalle quali poi è sorto l’obbligo di contribuzione. Non vi sarebbe, quindi, alcuna retroattività della legge e, pertanto, la violazione dell’art. 117 Cost. non sussisterebbe.

Le criticità delle pronunce

Già da una prima lettura, le argomentazioni della Corte sono poco convincenti in più di un passaggio.

La legittimità del payback alla luce dell’art. 41 Cost. è stata valutata limitando il giudizio al solo periodo che va dal 2015 al 2018. La limitazione temporale così tracciata rende il contributo, secondo la Corte, “non sproporzionato”. Tuttavia, è evidente che questa interpretazione è poco convincente, perché il payback non è una misura temporanea, ma ha effetti che si estendono ben oltre il periodo considerato, sicché la proporzionalità non va valutata limitatamente al periodo che va dal 2015 al 2018, bensì considerando l’istituto “a regime”.

Il giudizio di legittimità sul fondo statale per il finanziamento dell’accordo bonario con le imprese ricorrenti ha “falsato” le carte in tavola: è vero che tutte le imprese per il periodo 2015-2018 potranno beneficiare del dimezzamento, ma è vero anche che, a partire dal 2019, dovranno corrispondere l’intero ammontare del payback che, peraltro, ad oggi, è ignoto.

Il payback è infatti destinato a diventare una componente costante del loro bilancio. Le imprese superstiti che partecipano alle gare dovranno, (i) nell’immediato, sostenere dei costi significativi con l’incertezza di recuperare gli investimenti effettuati e, (ii) nel futuro, assolutamente indeterminato, essere chiamate a colmare gli sforamenti dei tetti da parte delle regioni senza poter concretamente quantificare o stimare a monte il contributo che saranno chiamate a versare.

Alla luce di ciò, l’asserita proporzione perde di significato se si considera che numerose imprese, soprattutto le micro e piccole, non potranno pagare neppure il payback 20152018 e falliranno anche a prescindere dal dimezzamento.

Ci si chiede come possa essere proporzionata una misura che conduce migliaia di imprese a chiudere battenti, anche alla luce di quella stessa giurisprudenza della Corte secondo cui il bilanciamento tra contrapposti interessi va compiuto sempre “secondo criteri di proporzionalità e di ragionevolezza, tali da non consentire un sacrificio del loro nucleo essenziale” (Corte cost., sent. 85/2013). Va da sé che la proporzionalità dovrebbe allora essere valutata non solo in termini temporali, ma anche in termini di sostenibilità economica concreta per le imprese coinvolte. Tale dato, peraltro, non era sconosciuto alla Corte visto che PMI Sanità, la maggiore associazione di micro, piccole e medie imprese del settore, aveva depositato in giudizio una memoria amicus curiae ammessa dalla Corte Costituzionale (§ 13 della sentenza) con, in allegato, uno studio commissionato alla Fondazione Nomisma che, con dovizia di dati e particolari, aveva evidenziato il disastroso impatto che la normativa avrà sulle imprese micro, piccole e medie. Quanto all’art. 23 Cost., la Corte ha affermato che gli elementi essenziali del payback erano conosciuti e prevedibili per le aziende, ma non è così; si tratta di un’affermazione che non tiene conto della complessità e della variabilità del mercato.

Le aziende non potevano ragionevolmente prevedere che vi sarebbero stati gli sforamenti dei tetti di spesa, su base regionale, nel 2015 o negli anni a seguire, né l’entità del contributo richiesto e ciò, perché non esistevano, prima del 2015, dati storici e (ii) di per sé i mercati e i contesti economici sono in continua evoluzione, rendendo impossibile per le imprese stimare l’ammontare del payback

L’incertezza descritta assume maggior rilievo se si considerano le nuove imprese entrate nel mercato dopo il 2015,

payback

per le quali la mancanza di dati storici ha reso ancora più difficile valutare l’impatto del payback. Un newcomer non ha accesso a informazioni storiche sufficienti per stimare quanto inciderà sul fatturato della regione e, di conseguenza, non può prevedere l’entità del contributo che sarà chiamato a pagare. Questo pone un ulteriore ostacolo alla pianificazione aziendale e alla stabilità economica, oltre a costituire un evidente e chiaro disincentivo all’ingresso nel mercato di nuovi operatori economici, che costituiscono la linfa che alimenta il progresso tecnologico nel settore. Appare chiaro che le sentenze della Corte Costituzionale hanno trascurato diverse criticità nell’applicazione del payback. La presunta temporaneità della misura non corrisponde alla realtà dei suoi effetti prolungati e la proporzionalità valutata esclusivamente alla luce del dimezzamento relativo agli anni dal 2015 al 2018 è un controsenso. Inoltre, la prevedibilità degli elementi essenziali del payback è stata sopravvalutata, non considerando le difficoltà reali nel fare previsioni accurate in un contesto normativo ed economico instabile.

Queste criticità portano a dubitare, a maggior ragione, della legittimità costituzionale del payback. Il che, forse, lascia facilmente dubitare della sua legittimità e sostenibilità nel lungo periodo.

Gli effetti sul comparto delle pronunce della Corte

Costituzionale: uno sguardo ai dati

Le criticità evidenziate sono purtroppo confermate anche da alcuni dati che lasciano presagire l’impatto della misura sul comparto in termini a dir poco drammatici. Lo studio condotto da Nomisma nel maggio 2023 “L’impatto del payback sulle imprese della filiera dei dispositivi medici”, commissionato da Pmi Sanità, ha analizzato l’impatto del payback sulla filiera dei dispositivi medici, mettendo in luce diverse criticità che possono influire sul buon funzionamento dell’intero SSN.

Nel breve termine, emerge un quadro preoccupante per quanto riguarda l’approvvigionamento di dispositivi medici a causa del fallimento di molte imprese. Il playback, infatti, coinvolge oltre 6.000 aziende di cui il 44% circa ha meno di 10 addetti e il 70% circa ha meno di 50 addetti. Di queste, peraltro, molte stanno ancora affrontando le difficoltà causate della pandemia e dall’attuale crisi dei mercati dovuti ai conflitti in corso. Inoltre, 1 azienda su 8 esistente ed attiva nel mercato nel 2015 è cessata, è in liquidazione o si trova in stato di insolvenza, riducendo così il numero di fornitori disponibili per il SSN. Ancora, il 10% delle aziende coinvolte risulta in perdita e il 30% non dispone di liquidità sufficiente per coprire gli impegni finanziari.

Salvo qualche eccezione, i dati forniti da Nomisma confer-

mano che - in proporzione - il payback colpisce in misura maggiore le imprese meno strutturate, condizionandone l’operatività e, in molti casi, la stessa esistenza. La sproporzione del contributo porterà così ad una concentrazione del mercato nelle mani di poche grandi imprese a discapito delle PMI, dell’apertura dei mercati e della concorrenza. Guardando poi al medio-lungo termine, la situazione non migliora. La probabile uscita dal mercato di molte micro, piccole e medie imprese comporterà una maggiore concentrazione nella rete di fornitura, riducendo la concorrenza e portando a un possibile aumento dei prezzi di acquisto. Questo fenomeno limiterà anche le opzioni tecnologiche e lo sviluppo del settore, in danno dell’intero SSN. Le implicazioni negative, poi, non riguardano solo le aziende, ma anche le entrate fiscali dello Stato. Le imprese coinvolte nel programma di ripiano hanno versato 191 milioni di euro di imposte nel 2021 e 747 milioni di euro nel periodo 2015-2018. La loro sostenibilità economica è quindi cruciale anche per le finanze pubbliche. Molte di loro, infatti, potrebbero perdere la solidità necessaria per partecipare alle gare pubbliche, lasciando a casa circa 13.000 occupati nel settore.

Lo studio conferma come le difficoltà finanziarie a cui vanno incontro le imprese della filiera dei dispositivi medici influenzeranno inevitabilmente il mercato, comportando un aumento dei prezzi e una riduzione della qualità dei dispositivi offerti, con conseguenze potenzialmente dannose per il SSN e per l’economia nel suo complesso.

Prospettive future

Alla luce delle sentenze della Corte Costituzionale nn. 139 e 140 del 2024, ora la questione torna nelle mani del giudice amministrativo, che dovrà pronunciarsi sui circa 2000 ricorsi pendenti.

Cosa potrebbe fare il TAR a questo punto? Resta certamente aperta la possibilità di disporre un rinvio pregiudiziale alla CGUE, che potrà essere chiamata a valutare la compatibilità della normativa sul payback rispetto alla normativa eurounitaria e, in primis, rispetto alle Direttive sugli appalti pubblici di fornitura.

A valle di ciò, come extrema ratio, le imprese colpite dalla misura potrebbero persino accarezzare l’idea di agire contro la Repubblica Italiana dinnanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU), per provare ad ottenere un risarcimento dei danni illegittimamente subiti.

Al centro del dibattito resta certamente un dato: il duro colpo sferrato dalla Corte costituzionale al mercato dei dispositivi medici potrà essere stemperato unicamente quando il lume della ragione illuminerà le menti del Legislatore che depennerà definitivamente il payback dal nostro ordinamento.

la partecipazione aggregata delle imprese

La partecipazione aggregata delle imprese nel mercato pubblico

La partecipazione aggregata delle imprese rappresenta un fenomeno particolarmente ricorrente nel mercato pubblico, progressivamente favorito dall’ordinamento europeo, e quindi dall’ordinamento italiano, in un’ottica di massima apertura alla partecipazione alle procedure di affidamento bandite dalle amministrazioni pubbliche. L’accesso degli operatori economici al mercato pubblico, infatti, si fonda sul principio di concorrenza, che è funzionale al duplice scopo di conseguire il miglior risultato possibile nell’affidamento e nell’esecuzione dei contratti pubblici, accrescendo l’efficienza della spesa pubblica1, nonché, nel quadro specifico del mercato unico europeo, di garantire le libertà previste dai Trattati in vista della costruzione dello spazio giuridico euro-unitario e la promozione del benessere sociale 2. Per questi motivi,

I raggruppamenti

temporanei di impresa rappresentano una forma di aggregazione tra operatori economici che non comporta la costituzione di un nuovo soggetto giuridico, prevista dall’ordinamento allo scopo di assicurare la più ampia partecipazione alle procedure ad evidenza pubblica

in considerazione del valore che riveste l’aggiudicazione degli appalti pubblici da parte degli Stati membri dell’Unione, nell’ottica della costruzione di uno spazio giuridico europeo, è opportuno approfondire le modalità di attuazione delle direttive comunitarie che il nostro ordinamento ha recepito, da ultimo, con il d.lgs. n. 36/20233. Al predetto scopo di favorire al massimo la partecipazione alle gare pubbliche, il legislatore europeo ha operato su più fronti, ora ampliando la nozione di pubblica amministrazione 4, ora elaborando un’ampia definizione di operatore economico 5, ovvero fissando una disciplina favorevole per i raggruppamenti di operatori economici, inclusi quelli costituiti sotto forma di associazione temporanea. Già a livello sovranazionale, infatti, è radicata la consapevolezza che nel quadro economico e produttivo di riferimento occorra facilitare,

1 Cfr. Considerando n. 2 della direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014 sugli appalti pubblici, che afferma che la disciplina ivi contenuta è volta ad accrescere l’efficienza della spesa pubblica e a permettere ai committenti di farne un miglior uso per sostenere il conseguimento di obiettivi condivisi a valenza sociale. Cfr. art. 1, co. 2, e art. 3 d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36.

2 Il considerando n. 2 della direttiva 2014/24/UE prevede espressamente che l’aggiudicazione deve rispettare i principi del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea e in particolare la libera circolazione delle merci, la libertà di stabilimento e la libera prestazione di servizi, nonché i principi che ne derivano, come la parità di trattamento, la non discriminazione, il mutuo riconoscimento, la proporzionalità e la trasparenza.

3 Cfr. direttiva 2014/23/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014 sull’aggiudicazione dei contratti di concessione; direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014 sugli appalti pubblici; direttiva 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014 sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali e che abroga la direttiva 2004/17/CE.

4 L’interesse allo sviluppo della concorrenza ha influito anche dal lato della definizione di pubblica amministrazione tenuta a svolgere la gara, con l’elaborazione, ad esempio, della nozione di “organismo di diritto pubblico”, i cui caratteri essenziali sono stati enucleati dalla giurisprudenza eurounitaria e nazionale, come Corte di giustizia (sent. 3 ottobre 2008, C-380/98, Caso University of Cambridge), o Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza n. 1267/1998.

5 In modo da comprendere qualunque persona e/o ente che offre sul mercato la realizzazione di lavori, la fornitura di prodotti o la prestazione di servizi, a prescindere dalla forma giuridica nel quadro della quale ha scelto di operare. Pertanto, imprese, succursali, filiali, partenariati, società cooperative, società a responsabilità limitata, università pubbliche o private e altre forme di enti diverse dalle persone fisiche rientrano nella nozione di operatore economico.

la partecipazione aggregata delle imprese

in particolare, la partecipazione delle piccole e medie imprese agli appalti pubblici in funzione antimonopolistica, così da evitare un’eccessiva concentrazione del potere d’acquisto e collusioni, nonché da preservare la trasparenza e la concorrenza 6. Pertanto, nell’ottica di una coerente ed effettiva tutela dei principi concorrenziali è incoraggiata la suddivisione in lotti dei grandi appalti7 e applicata la regola della libertà di forme e di organizzazione degli operatori economici, prevedendo che ai fini della partecipazione questi raggruppamenti non siano tenuti ad assumere una forma giuridica specifica8. Inoltre, l’esigenza di favor partecipationis tempera finanche il principio secondo cui ogni concorrente a una gara pubblica deva essere dotato in proprio dei requisiti di qualificazione necessari e richiesti dalla stazione appaltante, essendo consentito di fare affidamento, per un determinato appalto, sulle capacità economiche, finanziarie, tecniche e professionali di partecipanti al raggruppamento o di altri soggetti (c.d. “avvalimento”9)10. Questo riconoscimento della possibilità di partecipare alla gara giovandosi dei requisiti di altri soggetti rappresenta uno degli elementi cruciali della disciplina europea in materia di accesso al mercato pubblico, in quanto consente di raggiungere in maniera efficace l’obiettivo di allargare il bacino degli operatori economici concorrenti in piena adesione ai principi di parità di trattamento e non discriminazione imposti dalla normativa europea. Infatti, a fronte di realtà imprenditoriali dalle dimensioni contenute, solo la condivisione dei requisiti posseduti parzialmente offre loro la chance di competere con imprese di grandi dimensioni nell’aggiudicazione delle gare pubbliche, dalle quali altrimenti sarebbero escluse in partenza. Posto quindi che nel

6 Cfr. Considerando n. 59 della direttiva 2014/24/UE.

7 Cfr. Considerando n. 78 della direttiva 2014/24/UE.

8 Cfr. Art. 19 della direttiva 2014/24/UE.

contesto socio-economico di riferimento la condivisione dei requisiti di partecipazione rappresenti lo strumento privilegiato per l’ampliamento dell’accesso al mercato e, configurandosi, quindi, quale opportunità per l’operatore economico, un ulteriore elemento che caratterizza la disciplina elaborata a livello sovranazionale, nell’ottica del raggiungimento di obiettivo di concorrenzialità, sta nella consapevolezza che per le piccole e medie imprese la via dell’aggregazione sia perseguibile senza che ciò comporti oneri eccessivamente gravosi. Da questo presupposto è derivato un approccio del legislatore nonché della giurisprudenza europea, non solo sostanzialistico, ma anche più flessibile e partecipativo, che ha condotto all’elaborazione di una disciplina normativa che non aggrava ingiustamente la partecipazione dei concorrenti. Per questo motivo, del resto, diversamente dall’ordinamento nazionale, di cui si dirà in seguito, nel diritto europeo è consolidato il principio di libertà di forma del concorrente. Tale assunto, di conseguenza, non ha reso necessaria la definizione dell’istituto del consorzio, né sono stati predeterminati limiti quantitativi ed astratti nella regolamentazione delle quote da assumere da parte degli operatori economici in caso di partecipazione aggregata ad una gara di appalto pubblico. Solo per taluni tipi di appalto è previsto che l’amministrazione aggiudicatrice possa esigere che taluni compiti essenziali siano direttamente svolti da un partecipante al raggruppamento. Tale regola, tuttavia, fissa un limite minimo con riferimento ai compiti essenziali e allo svolgimento di compiti in via diretta da parte di uno dei partecipanti al raggruppamento, secondo un approccio qualitativo e non meramente quantitativo11

9 L’avvalimento consiste nella possibilità per un operatore economico carente dei requisiti di carattere oggettivo necessari per partecipare a una procedura di gara di ricorrere (nella qualità di impresa c.d. ausiliata o avvalente) alle singole risorse o capacità messe a disposizione da un altro soggetto (impresa c.d. ausiliaria o avvalsa) in forza di uno specifico titolo negoziale: il contratto di avvalimento. Sulla differenza tra l’avvalimento e il R.T.I. cfr., ex plurimis, G.P. Cirillo, Commento all’art. 89, in G.M. Esposito (a cura di), Codice dei contratti pubblici. Commentario di dottrina e giurisprudenza, I, 2017, p. 1172, ove si rappresenta la specificità dell’avvalimento nella «possibilità di coinvolgere nell’esecuzione del contratto un soggetto con il quale non si ha nessun legame giuridico, se non quello derivante dal contratto di avvalimento». 10 Cfr. G. Balocco, L’avvalimento nei contratti pubblici, 2009, p. 35, secondo cui l’impostazione di tipo funzionalistico ai requisiti di partecipazione, avallata anche dalla giurisprudenza europea, «ha ammesso, in ossequio a criteri ermeneutici di carattere sostanzialistico, la possibilità di un possesso per relationem dei requisiti, tesa a garantire una più ampia partecipazione alle gare ed una valorizzazione del risultato dell’opera, facendone scaturire un ridimensionamento dell’aspetto formale della soggettività giuridica delle diverse imprese, idoneo a determinare la progressiva tendenza ad una polverizzazione e dispersione della “personalità” dei soggetti aspiranti»; sul punto cfr., ad esempio, Corte di Giustizia, 28.4.2022 (C-642/2020), con la quale si afferma che l’art. 63 della direttiva 2014/24/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio deve essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale secondo la quale l’impresa mandataria di un raggruppamento di operatori economici partecipante a una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico deve possedere i requisiti previsti nel bando di gara ed eseguire le prestazioni di tale appalto in misura maggioritaria; cfr. anche, ex multis, TAR Sicilia-Palermo, Sentenza 23.11.2011, n. 2174.

11 Cfr., ex multis, Corte di Giustizia dell’Unione europea, sentenza del 2 giugno 2016, Pizzo, C-27/15, punto 27. Per tale motivo, risultata incompatibile con il diritto europeo la fissazione a livello nazionale di un limite quantitativo ed astratto nella regolamentazione delle quote da assumere da parte degli operatori economici in caso di partecipazione aggregata ad una gara di appalto pubblico posta dall’art. 83, comma 8, d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, che imponeva all’impresa mandataria di un raggruppamento di operatori economici partecipante ad una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico di possedere i requisiti previsti nel bando di gara e di eseguire le prestazioni di tale appalto in misura maggioritaria . Infatti, imponendo in modo orizzontale per tutti gli appalti pubblici in Italia alla mandataria di eseguire la maggior parte dell’insieme delle prestazioni contemplate dall’appalto, si fissava una condizione più rigorosa di quella prevista a livello europeo e non ci si limitava a precisare il modo in cui un raggruppamento di operatori economici deve garantire

la partecipazione aggregata delle imprese

Le aggregazioni di impresa nell’ordinamento italiano In piena adesione alle istanze espresse nella normativa europea, la partecipazione aggregata delle imprese è stata progressivamente incoraggiata dal nostro ordinamento, specie tenuto conto del contesto italiano notoriamente caratterizzato dalla frammentazione della filiera produttiva e dalla prevalenza di piccole e medie imprese che non sono di per sé autosufficienti sul piano operativo. Infatti, di fronte alle specificità strutturali del nostro tessuto economico e produttivo, caratterizzato anche dalla scarsa propensione all’internazionalizzazione e alla realizzazione di investimenti strutturali sull’innovazione, il rispetto di un principio di concorrenza non poteva essere adeguatamente perseguito se non facilitando la partecipazione delle piccole e medie imprese agli appalti pubblici12. Partendo da tale presupposto, anche il legislatore interno ha postulato, nel percorso normativo che ha caratterizzato la definizione dei contratti pubblici nel tempo, l’esigenza di favorire la partecipazione associata delle imprese alle procedure ad evidenza pubblica nelle diverse forme che l’ordinamento riconosce e tutela. Procedure che consentono, nelle modalità che vedremo, anche la condivisione dei fabbisogni produttivi e delle risorse umane e strumentali necessarie al raggiungimento, non solo della miglior composizione societaria possibile ai fini della realizzazione della prestazione commissionata, ma anche dell’idonea configurazione sociale, non riferita esclusivamente ad un unico soggetto giuridico, ai fini del possesso dei requisiti di partecipazione di base per poter competere all’interno del mercato pubblico. A tal fine l’ordinamento italiano ha riconosciuto nel tempo, e quindi reso disponibili agli operatori, una serie di strumenti che sostengono le facoltà di accesso al mercato, tra i quali, ad esempio, si può annoverare di possedere le risorse umane e tecniche necessarie per eseguire l’appalto, ma riguarda l’esecuzione stessa dell’appalto. A seguito della suddetta pronuncia della Corte di Giustizia, la giurisprudenza nazionale non ha tardato ad applicare il principio europeo ivi sancito (Cons. di Stato, sez. VI, 31 maggio 2022, n. 4425.).

12 Cfr. Considerando n. 2 della direttiva 2014/24/UE.

il principio del cumulo dei requisiti, nonché la valorizzazione dei meccanismi che consentono di avvalersi delle risorse e delle capacità tecnico-organizzative ed economico-finanziarie di più imprese. In questo modo i fenomeni di collaborazione tra imprese, a vario titolo individuabili, hanno aperto l’accesso alla partecipazione alle procedure di affidamento degli appalti, inclusi quelli di notevole entità, anche ad operatori economici di ridotte dimensioni, che non avrebbero potuto prendere parte alla competizione individualmente. Questa esigenza è complementare all’interesse dell’economia pubblica, come della specifica amministrazione procedente, che soddisfa le proprie esigenze, nell’individuazione di un contraente capace e affidabile13. Da questo peculiare sistema di partecipazione collettiva derivano, inoltre, benefici individuali in termini di economie di scala e benefici collettivi in termini di crescita e di tutela dell’occupazione, attesa la rilevanza crescente che la domanda pubblica assume per il governo dell’economia nella prospettiva di stimolare l’innovazione14, creare nuovi mercati e promuovere il benessere collettivo15. Da questo punto di vista, l’aggregazione tra imprese finisce per operare non solo come rimedio congiunturale di risoluzione delle difficoltà economiche che il Paese attraversa, ma anche come strumento strutturale idoneo a garantire una crescita sostenibile di lungo termine dell’economia. Nel quadro descritto, l’interesse pubblico ad avere il più ampio numero di partecipanti ad ogni procedura di affidamento di un contratto motiva l’ampia definizione di operatore economico contenuta nel Codice dei contratti pubblici16. La definizione, infatti, include non solo gli imprenditori individuali, anche intesi quali artigiani, e le società, anche cooperative; ma comprende anche diverse tipologie di aggregazio -

13 Gli istituti del raggruppamento temporaneo di imprese e dell’avvalimento sono accomunati proprio dal favor partecipationis di matrice europea, espressione della logica pro-concorrenziale e del correlato sostegno alle piccole e medie imprese (P.M.I.). Secondo F. Cintioli, L’avvalimento tra principi di diritto comunitario e disciplina dei contratti pubblici, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2011, VI, p. 1430: «È il buon funzionamento del mercato interno il predicato che sorregge, in tal caso, l’ulteriore obiettivo del favorire la massima partecipazione possibile ai procedimenti di gara per l’affidamento di pubblici appalti». I due strumenti, infatti, perseguono un’analoga funzione antimonopolistica, mirando a neutralizzare i rischi derivanti dal consolidamento di posizioni dominanti di mercato da parte degli operatori economici di maggiore dimensione.

In tal senso, si veda anche Cons. di Stato, sez. V, 18 ottobre 2001, n. 5517, in Foro amm., 2001, pp. 2817 ss., secondo cui «l’ordinamento comunitario ed il diritto interno manifestano uno spiccato apprezzamento per i raggruppamenti temporanei di imprese e di professionisti, costituiti per ottenere l’affidamento di contratti e di servizi pubblici. Tali aggregazioni svolgono, sul piano economico, una obiettiva funzione antimonopolistica, consentendo un ampliamento della dinamica concorrenziale e favorendo l’ingresso sul mercato di imprese di minore dimensione, o specializzate in particolari settori produttivi e tecnologici, fisiologicamente selezionate attraverso il confronto negoziale tra i prezzi offerti».

14 Sul punto è opportuno segnalare che già la “Nuova Strategia Europea 2020” individuasse proprio nei contratti pubblici un veicolo di promozione dell’innovazione e delle attività di ricerca e sviluppo per favorire una crescita «intelligente, sostenibile ed inclusiva»

15 Sul ruolo dei contratti pubblici per l’innovazione, V. Lember, R. Kattel, T. Kalvet (eds.), Public Procurement, Innovation and Policy. International Perspectives, Heidelberg, New York, 2014; C. Edquist, N.S. Vonortas, J.M. Zabala-Iturriagagoitia, J. Edler (Eds.), Public Procurement For Innovation, Cheltennam, 2015; G.M. Racca, C. Yukins (eds.), Joint Public Procurement and Innovation. Lessons Across Borders, Bruxelles, 2019; R. Caranta, P.C. Gomes, Public procurement and innovation, in ERA Forum - Journal of the Academy of European Law, 2021, p. 371 ss.

16 Art. 65 d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36, Codice dei contratti pubblici in attuazione dell’articolo 1 della legge 21 giugno 2022, n. 78, recante delega al Governo in materia di contratti pubblici, di seguito anche solo “Nuovo Codice”.

la partecipazione aggregata delle imprese

ni societarie come i consorzi ordinari; i consorzi fra società cooperative di produzione e lavoro 17; i consorzi tra imprese artigiane 18; i consorzi stabili 19, costituiti anche in forma di società consortili20 tra imprenditori individuali, anche artigiani, società commerciali, società cooperative di produzione e lavoro. A questi soggetti, che hanno già una propria natura giuridica determinata, si aggiungono le varie possibilità di raggruppamento che l’ordinamento consente ai fini della partecipazione alla singola procedura. Si tratta di raggruppamenti che hanno natura temporanea, legata cioè alla partecipazione e, eventualmente, all’esecuzione di quella prestazione che l’amministrazione intende affidare. Tali raggruppamenti, infatti, possono essere già costituiti prima dell’indizione della procedura da parte di un ente o, al contrario, possono qualificarsi come “ costituendi ”, procrastinando all’eventuale aggiudicazione la fase di effettiva costituzione giuridica, con un evidente minor aggravio di oneri legati agli adempimenti costitutivi.

In questi casi le varie tipologie di soggetti giuridici che partecipano al raggruppamento21 devono conferire mandato collettivo speciale con rappresentanza a uno di essi, qualificato come mandatario, il quale esprime l’offerta in nome e per conto proprio e dei mandanti, come si vedrà meglio in seguito. In particolare, nel nostro ordinamento risultano particolarmente diffusi gli accordi di

cooperazione che non prevedono la costituzione di un autonomo soggetto di diritto o, comunque, di un centro di imputazione di interessi ulteriore e diverso rispetto a quello dei partecipanti, ma si limitano a disciplinare e coordinare l’attività che le singole imprese dovranno porre in essere per la realizzazione dell’oggetto dell’appalto e a delineare le modalità di gestione del rapporto nei confronti del committente. Tra esse si annoverano, in particolare, il contratto di rete e il raggruppamento temporaneo di imprese (“RTI”)22.

I raggruppamenti temporanei di impresa

Come anticipato, i raggruppamenti temporanei di impresa rappresentano una forma di aggregazione tra operatori economici che non comporta la costituzione di un nuovo soggetto giuridico23, prevista dall’ordinamento allo scopo di assicurare la più ampia partecipazione alle procedure ad evidenza pubblica. Tale meccanismo di partecipazione congiunta consente ai raggruppamenti di essere ammessi alla procedura attraverso la condivisione dei requisiti di partecipazione, relativi alla capacità economica e finanziaria e alle capacità tecniche e professionali, degli imprenditori o dalle altre forme soggettive che vi prendono parte, ferma restando la necessità che il soggetto designato quale esecutore della prestazione oggetto del contratto sia in possesso dei requisiti prescritti per la prestazione che lo stesso si è impegnato ad eseguire24. In quest’ottica di sostegno alla partecipazione congiunta, al fine di favorire l’apertura del mercato pubblico alle realtà imprenditoriali anche più piccole, si legge la volontà del legislatore di superare le pregresse distinzioni in ordine alla configurazione della partecipazione al raggruppamento fondata sulla quota di requisiti di cui si è in possesso. A tal fine il legislatore ha emanato, da ultimo, il d.lgs. n. 36/2023 che contiene il complesso di norme caratterizzanti la disciplina dell’individuazione del contraente pubblico. A partire dal mese di luglio 2023, data in cui il codice dei contratti pubblici ha acquisito efficacia abrogando espressamente le previsioni contenute nel testo precedente25, non è più richiesto alla mandataria

17 Costituiti a norma della legge 25 giugno 1909, n. 422 e del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 14 dicembre 1947, n. 1577;

18 Di cui alla legge 8 agosto 1985, n. 443;

19 I quali sono formati da non meno di tre consorziati che, con decisione assunta dai rispettivi organi deliberativi, abbiano stabilito di operare in modo congiunto nel settore dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture per un periodo di tempo non inferiore a cinque anni, istituendo a tal fine una comune struttura di impresa.

20 Ai sensi dell’articolo 2615-ter del codice civile.

21 Di cui all’art. 65 del Nuovo Codice.

22 Mazzamuto, I raggruppamenti temporanei di imprese tra tutela della concorrenza e tutela dell’interesse pubblico, in Riv. it. dir. pubbl. comm., 2003, pp. 182 e ss.

23 In letteratura, cfr. C. Zucchelli, Avvalimento, in M.A. Sandulli, R. De Nictolis (diretto da), Trattato sui contratti pubblici, Milano, 2019, II, 1120 s., ove si definisce il raggruppamento temporaneo di imprese come lo «strumento con il quale è attuata una sinergia tra imprenditori per la partecipazione ad una gara, senza tuttavia che ciò comporti la creazione di un autonomo soggetto di diritto, né la costituzione di una stabile organizzazione di impresa. Contrariamente ai consorzi stabili, l’ATI attua una semplice contitolarità del rapporto obbligatorio».

24 L’art. 68, co. 20, estende anche ai contratti pubblici di servizi e forniture la regola generale del necessario possesso dei requisiti prescritti per l’esecuzione da parte di ciascun operato del raggruppamento, in rapporto alla quota di prestazioni che lo stesso operatore deve realizzare, sin qui stabilita espressamente soltanto per gli appalti di lavori pubblici.

25 D.lgs.n. 50/2016 e s.m.i.

la partecipazione aggregata delle imprese

del raggruppamento temporaneo di possedere i requisiti ed eseguire le prestazioni in misura maggioritaria, come era previsto nella fattispecie precedente 26. Tale scelta del legislatore italiano aderisce all’interpretazione che già la giurisprudenza europea27 aveva fornito nei confronti di questa disposizione ritenuta censurabile in ragione della lesione che la stessa determinava nei confronti dei principi di libertà di iniziativa economica, introducendo oneri ulteriori a quelli previsti in materia dalla normativa europea. Laddove quest’ultima, invece, come si è detto in precedenza, riconosce la possibilità della più ampia partecipazione aggregata, evitando di prescrivere specifici vincoli sulle modalità di ripartizione delle quote di partecipazione nonché sulle modalità di espletamento dell’esecuzione dei raggruppamenti e quindi degli operatori che li compongono. Tale riforma della disciplina italiana, conformatasi ai rilievi euro-unitari succitati, ha di conseguenza precluso la riproposizione, nel nuovo assetto normativo di riferimento, della distinzione tra RTI orizzontali e RTI verticali – che si basava, per l’appunto, sulla prescrizione di una quota maggioritaria in capo alla impresa mandataria, con la conseguenza di limitare gli effetti positivi determinatisi dalla partecipazione congiunta dei diversi soggetti giuridici al raggruppamento. Uno strumento per favorire l’ingresso dei raggruppamenti nel sistema degli affidamenti pubblici, rimasto invariato nel tempo nonostante le riforme che hanno interessato la regolamentazione del mercato pubblico, attiene alle modalità di partecipazione alla procedura e alla relativa presentazione dell’offerta. A tal fine, infatti, non è necessario che il raggruppamento sia già stato costituito28, essendo consentita, come già detto, la presentazione dell’offerta anche se il raggruppamento non ha ancora formalizzato la costituzione nelle forme e con le modalità previste dalla legge. Il fine, quindi, è quello di evitare che le imprese, per la mera partecipazione a una procedura di gara, debbano sostenere gli oneri derivanti dalla formalizzazione di una nuova realtà giuridica in termini di costi, di investimenti in risorse umane e strumentali, nonché di autovincolo. In questi casi, dunque, l’offerta verrà sottoscritta da tutti gli operatori economici che costituiscono il raggruppamento e dovrà contenere l’impegno che, in caso di aggiudicazione della gara, gli stessi operatori conferiranno mandato collettivo speciale con rappresentanza a

26 Secondo quanto stabilito dall’art. 83, co. 3, d.lgs. n. 50 del 2016

uno di essi, da indicare in sede di offerta e qualificato come mandatario, che stipulerà il contratto in nome e per conto proprio e dei mandanti29. Per quanto attiene, invece, alle modalità di esecuzione dell’eventuale prestazione dedotta nel contratto che il raggruppamento concorre per aggiudicarsi, in sede di offerta sono specificate le categorie di lavori o le parti del servizio o della fornitura che saranno eseguite dai singoli operatori economici riuniti o consorziati, con l’impegno di questi a realizzarle. Tale disposizione è prevista al fine di consentire alla stazione appaltante l’accertamento dell’impegno e dell’idoneità delle imprese, indicate quali esecutrici delle prestazioni di servizio in caso di aggiudicazione, a svolgere effettivamente le parti di servizio indicate, in particolare consentendo la verifica della coerenza dell’offerta con i requisiti di qualificazione, e dunque della serietà e dell’affidabilità dell’offerta. Il particolare favore che l’ordinamento riconosce a tali ipotesi di compartecipazione è confermato dalla considerazione che, ai fini della presentazione dell’offerta o della domanda di partecipazione i raggruppamenti non possono essere obbligati ad avere una forma giuridica specifica, in conformità al principio euro-unitario di neutralità della forma. È, tuttavia, consentito alla stazione appaltante imporre ai raggruppamenti di assumere una forma giuridica specifica dopo l’aggiudicazione del contratto, nel caso in cui tale trasformazione sia necessaria per la buona esecuzione del contratto. Viene altresì disposto che la stazione appaltante possa specificare nei documenti di gara le modalità con cui i raggruppamenti ottemperano ai requisiti in materia di capacità economica e finanziaria o di capacità

27 Cfr- Corte di Giustizia UE, sez. IV, 28 aprile 2022, C-642/20 (c.d. sentenza “Caruter”); nello stesso senso, cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 3 gennaio 2023, n. 69.

28 I raggruppamenti temporanei di imprese sono previsti dall’art. 65, co. 2, lett. e), che annovera tra gli operatori economici i raggruppamenti temporanei di concorrenti, costituiti o costituendi dagli imprenditori individuali (anche artigiani) o dalle società (anche cooperative), dai consorzi tra cooperative di produzione e lavoro, nonché dai consorzi tra imprese artigiane e dai consorzi stabili.

La loro disciplina, invece, è contenuta nel successivo art. 68, che, come si vedrà, ha parzialmente innovato la precedente regolamentazione al fine di eliminare le incompatibilità tra il diritto interno e il diritto europeo nel frattempo accertate dalla Corte di giustizia dell’Unione europea.

29 Cons. di St. A.P. 13 giugno 2012, n. 22.

la partecipazione aggregata delle imprese

tecniche e professionali, purché ciò sia proporzionato e giustificato da motivazioni obiettive.Per la costituzione del raggruppamento temporaneo gli operatori economici, come si è anticipato, devono conferire, con un unico atto, mandato collettivo speciale con rappresentanza a uno di essi, detto mandatario30, cui spetta la rappresentanza esclusiva, anche processuale, dei mandanti nei confronti della stazione appaltante per tutte le operazioni e gli atti di qualsiasi natura dipendenti dall’appalto, anche dopo il collaudo, o atto equivalente, fino all’estinzione di ogni rapporto, come si vedrà anche in seguito. La stazione appaltante, tuttavia, può far valere direttamente le responsabilità facenti capo ai mandanti. Il rapporto di mandato non determina di per sé organizzazione o associazione degli operatori economici riuniti, ognuno dei quali, infatti, conserva la propria autonomia ai fini della gestione dell’attività, nonché degli adempimenti fiscali e degli oneri sociali. L’offerta degli operatori economici raggruppati determina la loro responsabilità solidale nei confronti della stazione appaltante, nonché nei confronti del subappaltatore e dei fornitori. Qualora la stazione appaltante abbia, invece, imposto al raggruppamento di assumere una forma giuridica specifica dopo l’aggiudicazione del contratto, ritenendo tale trasformazione necessaria per la buona esecuzione del medesimo, la responsabilità solidale concorre con quella del soggetto giuridico nel quale il raggruppamento temporaneo si è configurato31.

Al riguardo si segnala che residua, in capo alle amministrazioni, un potere discrezionale limitativo, ma che va esercitato nei limiti di una stringente motivazione che ne giustifichi ogni eventuale compressione. Le stazioni appaltanti, in merito, possono richiedere ai raggruppamenti condizioni per l’esecuzione di un appalto diverse da quelle imposte ai singoli partecipanti, purché siano proporzionate e giustificate da ragioni oggettive32

Un ulteriore e significativa caratteristica peculiare della legislazione relativa alla partecipazione congiunta delle imprese al mercato pubblico che ne denota il particolare ruolo all’interno del contesto produttivo italiano si riscontra in materia di partecipazione plurima. Anche

in questo caso la riforma operata con l’emanazione del nuovo codice dei contratti denota la volontà del legislatore di sopprimere ogni vincolo di limitazione all’esercizio della libertà di iniziativa economica in un’ottica evidentemente pro-concorrenziale di ispirazione comunitaria. Rispetto al precedente regime normativo 33, il d.lgs. n. 36/2023 muta assetto, conformandosi ai principi europei e all’approccio sostanzialistico sovranazionale. Viene meno così il precedente divieto assoluto di contemporanea partecipazione autonoma dell’operatore economico che partecipa alla stessa gara in forma raggruppata. Dunque, è ormai possibile, difformemente da quanto previsto dal codice del 2016, da un lato, la partecipazione da parte di un operatore economico in più di un raggruppamento o anche in via autonoma, e, dall’altro lato, la sostituzione dell’esecutrice in fase di esecuzione34. Al riguardo si segnala come la nuova disciplina codicistica consenta, diffusamente, la possibilità di procedere alla sostituzione di un partecipante al raggruppamento che, nel corso di partecipazione ad una procedura o di esecuzione della prestazione, non sia più in grado di soddisfare i requisiti di moralità35 o di professionalità36 dichiarati, a differenza di ciò che accadeva nel previgente sistema regolatorio in cui la possibilità di utilizzare tale istituto era limitata ad una serie limitata di circostanze. Il legislatore, in ogni caso, per evitare un uso distorsivo di questi nuovi strumenti appena citati pone un limite alla partecipazione plurima che si sostanzia nella esclusione dalla gara nel caso in cui l’amministrazione dimostri la sussistenza di rilevanti indizi tali da far ritenere che le offerte degli operatori economici siano imputabili a un unico centro decisionale a seguito di accordi intercorsi con altri operatori economici partecipanti alla medesima gara.37 Questa sanzione, tuttavia, può essere prevenuta ed evitata dall’operatore economico, qualora lo stesso dimostri che la circostanza non ha influito sulla gara, né tantomeno era idonea a incidere sulla capacità di rispettare gli accordi contrattuali. E ciò al chiaro scopo di evitare che dietro all’apparente pluralità di partecipanti alla gara si nasconda, in realtà, un unico centro di imputazione di interessi.

30 Art. 68, co. 6. “Il mandato deve risultare da scrittura privata autenticata. La relativa procura è conferita al legale rappresentante dell’operatore economico mandatario. Il mandato è gratuito e irrevocabile e la sua revoca, anche per giusta causa, non ha effetto nei confronti della stazione appaltante. In caso di inadempimento dell’impresa mandataria è ammessa la revoca del mandato collettivo speciale di cui al comma 5 al fine di consentire alla stazione appaltante il pagamento diretto nei confronti delle altre imprese del raggruppamento.”.

31 Nel caso di cui all’art. 68, co. 4, lett. a) e nell’ipotesi in cui i concorrenti riuniti o consorziati indicati dal consorzio come esecutori, anche in parte, dei lavori dopo l’aggiudicazione costituiscono tra loro una società anche consortile per l’esecuzione unitaria, totale o parziale, dei lavori, la responsabilità solidale di cui al primo periodo concorre con quella del soggetto giuridico nel quale il raggruppamento temporaneo o il consorzio ordinario si sono trasformati a far data dalla notificazione dell’atto costitutivo alla stazione appaltante e, subordinatamente, alla iscrizione della società nel registro delle imprese. In tale ipotesi la società subentra, senza che ciò costituisca ad alcun effetto subappalto o cessione di contratto e senza necessità di autorizzazione o di approvazione, nell’esecuzione totale o parziale del contratto.

32 Cfr.: art. 67, comma 10, d.lgs.n. 36/2023.

33 Di cui all’art. 48, co. 7, d.lgs. n. 50/2016

34 Cfr.: art. 97, comma 2, d.lgs.n. 36/2023.

35 Previsti dagli artt. 94 e 95 del d.lgs. n. 36/2023.

36 Cfr.: art. 100 del d. lgs. n. 36/2023.

37 Ex art. 95, comma 1, lettera d), d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36.

Costo del lavoro e appalti pubblici: un legame sempre più stretto

Il costo della manodopera, o in termini più ampi il “costo del lavoro”, è diventato un argomento centrale nel dibattito relativo ai contratti pubblici in Italia. La recente legislazione in materia di appalti ha infatti individuato come obiettivo prioritario quello di contrastare il fenomeno del cd. “lavoro povero”, utilizzando come leva il penetrante controllo preventivo sull’adeguatezza dei salari garantiti ai dipendenti impiegati negli appalti. Di tale finalità si trova traccia già nella legge delega1, poi recepita nel nuovo Codice dei contratti pubblici ( D.Lgs. 31 marzo 2023, n. 36 ), le cui disposizioni in tema di costo della manodopera hanno suscitato intensi dibattiti. Il riferimento è anzitutto all’art. 11, relativo al CCNL da applicare negli appalti, sul quale ci si soffermerà nel paragrafo 2 del presente contributo. Vi è poi l’art. 41 in tema di scorporo dei costi della manodopera, la cui confusa formulazione è stata inizialmente interpretata come recante un netto divieto di ribasso dei costi della manodopera. Vi si tornerà nel paragrafo 2.

L’indicazione del CCNL negli atti di gara e la “dichiarazione di equivalenza”

L’ANAC evidenzia che la locuzione “stesse tutele” non va intesa in modo rigido: per la dimostrazione di equivalenza è sufficiente che le tutele offerte dai due contratti possano dirsi “equiparabili”, mentre per le tutele economiche, occorre considerare sia le componenti fisse sia le voci variabili e le eventuali indennità

L’art. 11 del nuovo Codice dei contratti pubblici2 prevede che gli operatori economici siano tenuti ad applicare, per tutti i lavoratori impiegati nella commessa, lo specifico CCNL indicato negli atti di gara3 È prevista un’alternativa: il concorrente può adottare un differente contratto collettivo, a condizione che esso « garantisca ai dipendenti le stesse tutele di quello indicato dalla stazione appaltante o dall’ente concedente ». Alla prima lettura della previsione, sono state sollevate numerose questioni applicative, sia lato stazioni appaltanti sia lato operatori. ANAC, con la relazione illustrativa al Bando tipo n. 1 pubblicata in data 19 luglio 2023 4 , ha offerto un utile supporto interpretativo. È stato anzitutto chiarito che per “tutele” si intendono sia quelle economiche che quelle normative.

Inoltre, l’Autorità evidenzia che la locuzione “stesse tutele” non va intesa in modo rigido: per la dimostrazione di equivalenza è sufficiente che le tutele offerte dai due contratti possano dirsi “equiparabili”. Quanto

1 La legge delega (L. 21 giugno 2022, n. 78), all’art. 1, co. 2, lett. h), ha individuato come obiettivi prioritari la stabilità occupazionale del personale impiegato negli appalti pubblici e l’applicazione al personale dei contratti collettivi nazionali e territoriali di settore stipulati dalle associazioni più rappresentative.

2 Sull’art. 11 si veda anche La determinazione del CCNL applicabile all’appalto: alcune questioni operative (R. Bonatti, TEME, n. 03/04.24, pag. 14)

3 Art. 11, co. 1: «Al personale impiegato nei lavori, servizi e forniture oggetto di appalti pubblici e concessioni è applicato il contratto collettivo nazionale e territoriale in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni di lavoro, stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e quello il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l’attività oggetto dell’appalto o della concessione svolta dall’impresa anche in maniera prevalente».

4 https://www.anticorruzione.it/documents/91439/94538987/Bando+tipo+n.+1+-+2023+-+Relazione+illustrativa.pdf/f547a09e-95a3b749-d048-e3919c49a7a6?t=1690360930357

costo del lavoro

alle tutele economiche, occorre considerare sia le componenti fisse sia le voci variabili e le eventuali indennità, e come già osservato dal TAR Lombardia, Brescia, «non è necessaria la parità di retribuzione, in quanto tale condizione sarebbe equivalente all’imposizione di un CCNL unico», bensì un livello di tutele paragonabile5. Quanto alle tutele normative, ANAC, riprendendo la circolare n. 2/2020 dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, elenca dodici parametri da considerare nell’esame dei contratti collettivi (es. disciplina del lavoro supplementare, clausole part-time, durata del periodo di prova, previdenza integrativa, ecc.) e suggerisce che l’equivalenza possa dirsi dimostrata in caso di scostamento relativo a soli due parametri. Alcune amministrazioni stanno applicando un modello ancor più flessibile, che non valuta l’equivalenza sulla base di un rigido conteggio dei parametri discordanti, ma prevede la valutazione discrezionale dell’Amministrazione sull’entità dello scostamento6. Infine, ANAC specifica che la mancata allegazione all’offerta tecnica della dichiarazione di equivalenza non può condurre ad esclusione, trattandosi di documento che può essere prodotto in fase di soccorso istruttorio.

Lo scorporo dei costi della manodopera

L’art. 41, comma 14, del nuovo Codice dei contratti pubblici (D.Lgs 31 marzo 2023 n. 36) prevede che «i costi della manodopera e della sicurezza sono scorporati dall’importo assoggettato al ribasso », ma che allo stesso tempo «resta ferma la possibilità per l’operatore economico di dimostrare che il ribasso complessivo dell’importo deriva da una più efficiente organizzazione aziendale». È immediatamente sorto un interrogativo sull’interpretazione da dare al comma 14: i costi della manodopera, nella vigenza del nuovo Codice, vanno “materialmente” scorporati dall’importo assoggettato al ribasso, e non è dunque possibile proporre ribassi d’asta in relazione a tale voce? Così sembrerebbe intendere il comma 14, nella parte in cui prevede per i costi della manodopera identico trattamento da sempre riservato ai costi della sicurezza, imponendo che entrambi siano letteralmente «scorporati dall’importo assoggettato al ribasso». Una simile conclusio-

ne, pur in linea con il dato letterale, è stata fin da subito ritenuta difficilmente conciliabile con il successivo inciso, a mente del quale «resta ferma la possibilità per l’operatore economico di dimostrare che il ribasso complessivo dell’importo deriva da una più efficiente organizzazione aziendale». Operativamente, non era chiaro se i modelli di offerta economica dovessero essere predisposti con costo della manodopera “bloccato” o, viceversa, ribassabile; con obbligo, in questo secondo caso, di dimostrare che il contenimento dei costi deriva dall’efficienza aziendale, e non da un trattamento salariale inadeguato. Sul punto, hanno espresso il proprio punto di vista ANAC7, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti8 (MIT), numerosi TAR9 e il Consiglio di Stato10. Si è oggi in presenza di due orientamenti, uno prevalente e uno minoritario.

L’orientamento prevalente è stato ben sintetizzato sempre dal MIT nel parere n. 2505 in data 17 aprile 202411 È stata affermata la possibilità di offrire un ribasso complessivo che coinvolga anche i costi della manodopera, senza che ciò possa condurre ad esclusione.

Semplicemente, qualora l’offerente preveda un ribasso sui costi della manodopera indicati negli atti di gara, la Stazione appaltante dovrà necessariamente chiedere al concorrente di offrire un’adeguata giustificazione, che dovrà essere incentrata sull’efficienza dell’organizzazione aziendale. Ad esempio, il concorrente potrà dimostrare di aver progettato la commessa prevedendo un minor numero di ore di manodopera rispetto a quelle stimate negli atti di gara, senza abbassare la qualità del servizio e con risparmio (legittimo) sui costi della manodopera. Risulta invece minoritario l’orientamento incentrato sul dato testuale dell’art. 41, co. 14, del Codice («i costi della manodopera e della sicurezza sono scorporati dall’importo assoggettato al ribasso»).

Ad oggi, i soli TAR Campania12 (Salerno) e Calabria13 (Reggio Calabria) hanno interpretato l’art. 41 come radicale divieto di offrire ribassi sul costo della manodopera, così assumendo che il ribasso debba essere calcolato sulla “quota” di base d’asta residua, esclusi (“scorporati”) sia i costi della manodopera sia gli oneri della sicurezza.

5 TAR Lombardia, Brescia, sez. II, ord. 12 marzo 2024 n. 89 (https://portali.giustizia-amministrativa.it/portale/pages/istituzionale/ visualizza?nodeRef=&schema=tar_bs&nrg=202400120&nomeFile=202400089_05.html&subDir=Provvedimenti)

6 Si consideri, ad esempio, il modello di dichiarazione di equivalenza messo a punto dalla Regione Autonoma Friuli Venezia-Giulia in un recente affidamento. Il modello richiede all’operatore economico di richiamare gli articoli del CCNL con riferimento ad alcuni istituti, e chiarisce che «la Stazione Appaltante può ritenere sussistente l’equivalenza in caso di scostamenti marginali in un numero limitato di parametri» (https://www.regione.fvg.it/bandigara/downloadInfo?idAllegato=13935).

7 ANAC, Parere di precontenzioso n. 528 in data 15 novembre 2023 - https://www.anticorruzione.it/-/parere-di-precontenzioso-n.-528-del15-novembre-2023

8 MIT, parere n. 2154 in data 19 luglio 2023 - https://www.serviziocontrattipubblici.com/Supportogiuridico/Home/QuestionDetail/2154

9 TAR Sicilia, sez. III, 19 dicembre 2023 n. 3787; TAR Toscana, sez. IV, 29 gennaio 2024 n. 120; TAR Campania, Salerno, sez. I, 11 gennaio 2024 n. 147; TAR Calabria, Reggio Calabria, 8 febbraio 2024 n. 119

10 Cons. Stato, sez. V, 9 giugno 2023 n. 5665

11 https://www.serviziocontrattipubblici.com/Supportogiuridico/Home/QuestionDetail/2505

12 TAR Campania, Salerno, sez. I, 11 gennaio 2024 n. 147

13 TAR Calabria, Reggio Calabria, 8 febbraio 2024 n. 119

Forniture di dispositivi medici e principio del risultato in rapporto con quello dell’equivalenza delle offerte tecniche

Il nuovo Codice dei contratti pubblici, di cui al D. Lgs. 31 marzo 2023, n. 36, attribuisce al principio del risultato ed al correlato principio della fiducia, ricadute concrete sull’operato delle stazioni appaltanti nelle operazioni di valutazione delle offerte tecniche, con particolare riferimento all’applicazione del principio di equivalenza. Il primo, previsto dal comma 4 dall’art. 1 del predetto Codice “costituisce criterio prioritario per l’esercizio del potere discrezionale” ed è legato da un nesso inscindibile con la “ concorrenza ”, la quale opera in funzione del summenzionato principio rendendosi funzionale a conseguire il miglior risultato possibile nell’affidare ed eseguire i contratti. L’amministrazione, pertanto, deve tendere al miglior risultato possibile, a tutela dell’interesse pubblico per il quale viene prevista una procedura di affidamento.

La massima tempestività e il miglior rapporto possibile tra qualità e prezzo costituiscono, dunque, le due declinazioni principali del principio del risultato, cui sono funzionali gli altri elementi indicati nei successivi commi: la concorrenza tra gli operatori economici, funzionale a conseguire il miglior risultato possibile nell’affidamento e nell’esecuzione dei contratti, e la trasparenza, funzionale alla massima semplicità e celerità nell’applicazione delle disposizioni del Codice. Il secondo neo-introdotto principio della fiducia, sancito dall’art. 2 del D.lgs. n. 36 del 2023, porta invece a valo-

rizzare l’autonomia decisionale dei funzionari pubblici affermando la regola per cui ogni stazione appaltante ha la responsabilità delle gare e deve svolgerle non solo rispettando la legalità formale delle stesse, ma tenendo sempre presente che ogni procedura è funzionale ad acquisire servizi e forniture o a realizzare un’opera pubblica nel modo il più rispondente possibile agli interessi della collettività.

Ai fini della valutazione del prodotto offerto dal soggetto concorrente, il criterio dell’equivalenza, nel senso cioè che non vi deve essere una conformità formale, ma sostanziale con le specifiche tecniche nella misura in cui esse vengono in pratica comunque soddisfatte

Il principio di equivalenza applicato alla casistica delle forniture di dispositivi medici: l’importanza della chiarezza delle previsioni della lex specialis

Il principio di equivalenza nel codice appalti previgente rispetto all’attuale, come noto, trovava specifica disciplina nell’art. 68, comma 8, del D. Lgs. n. 50/2016 a mente del quale quando si avvalgono della facoltà (prevista al comma 5, lettera a) della medesima disposizione) di definire le specifiche tecniche in termini di prestazioni o di requisiti funzionali le amministrazioni aggiudicatrici non possono dichiarare inammissibile o escludere un’offerta per il motivo che i lavori, le forniture o i servizi offerti non sono conformi alle specifiche tecniche alle quali hanno fatto riferimento, se nella propria offerta il concorrente dimostra, con qualsiasi mezzo appropriato, compresi i mezzi di prova di cui all’articolo 86 (del Codice n. 50/2016), che le soluzioni proposte ottemperano in maniera equivalente ai requisiti definiti dalle specifiche tecniche1

1 L’art 68, co. 8 del D. Lgs 50/2016 prevedeva testualmente: “Quando si avvalgono della facoltà, prevista al comma 5, lettera a), di definire le specifiche tecniche in termini di prestazioni o di requisiti funzionali, le amministrazioni aggiudicatrici non possono dichiarare inammissibile o escludere un’offerta di lavori, di forniture o di servizi conformi a una norma che recepisce una norma europea, a una omologazione tecnica europea, a una specifica tecnica comune, a una norma internazionale o a un sistema tecnico di riferimento adottato da un organismo europeo

normazione

La previsione è stata sancita anche nel nuovo Codice dei contratti (il citato D.Lgs. n. 36/2023), che all’Allegato II.

5, rubricato: “Specifiche tecniche ed etichettature”2, prevede che: “L’offerente dimostra, nella propria offerta, con qualsiasi mezzo appropriato, compresi i mezzi di prova di cui all’articolo 105 del codice, che le soluzioni proposte ottemperano in maniera equivalente alle prestazioni, ai requisiti funzionali e alle specifiche tecniche prescritti”.

Il dettato normativo definisce il principio di equivalenza c.d. prestazionale, il quale può essere declinato nell’idoneità del dispositivo/macchinario offerto dall’operatore economico concorrente al soddisfacimento dell’interesse perseguito dall’amministrazione.

Lo stesso principio ha uno spettro di applicazione che trova il proprio limite nella rispondenza oggettiva del bene offerto in gara agli elementi tecnici (si pensi esemplificativamente alla potenza in kilowatt) richiesti esplicitamente dalla stazione appaltante con l’indizione della procedura di gara.

Presupposto fondamentale affinché tale principio possa trovare applicazione è che le specifiche tecniche previste nella lex specialis di gara consentano ai partecipanti di comprendere quali caratteristiche minime debba possedere il dispositivo offerto ed esplicitino la obbligatorietà e imprescindibilità delle qualità tecniche e prestazionali richieste in base alle esigenze dell’appalto.

A tal proposito è stato affermato in giurisprudenza che l’effetto espulsivo è predicabile solo se i requisiti tecnici descritti nella legge di gara consentono di ricostruire con esattezza il prodotto richiesto dall’Amministrazione e di fissare in maniera analitica ed inequivoca determinate caratteristiche tecniche come obbligatorie. La disciplina di gara deve prevedere, pertanto, le qualità del prodotto (ad esempio la potenza del motore del macchinario o di quello del dispositivo medico) che con assoluta certezza si qualificano come caratteristiche minime, sia perché espressamente individuate come tali nella disciplina di gara, sia perché la descrizione che se ne fa nella lex specialis è tale da farle emergere come qualità essenziali della prestazione richiesta3

tipologiche e strutturali intrinseche che individuano una specifica tipologia alla quale dovranno corrispondere i prodotti proposti in gara.

Tale dovere di specificità comporta una conseguente limitazione applicativa del principio di equivalenza atteso che in tali ipotesi viene meno la necessità di operare un giudizio di equipollenza, in quanto le caratteristiche del prodotto vengono dettagliatamente descritte dalla stazione appaltante, alla stregua della valutazione dei suoi bisogni, all’atto dell’indizione della gara.

Viceversa, l’equivalenza attiene alle specifiche tecniche in senso proprio, consistenti cioè in standard capaci di individuare e sintetizzare alcune caratteristiche funzionali proprie del bene o del servizio, per lo più espresse in termini di certificazione, omologazione, attestazione, o in altro modo (Consiglio di Stato, Sez. V, n. 5258/2019).

Ebbene, solo la caratterizzazione del prodotto o del servizio espressa mediante rinvio ad un dato standard tecnico-normativo giustifica il giudizio di equivalenza, il quale viceversa risulta inappropriato in relazione a caratteristiche descrittive rapportate a grandezze comuni, suscettibili di definire la tipologia di prodotto inderogabilmente richiesto dalla stazione appaltante (Consiglio di Stato, Sez. III, n. 1225/2021; Sez. VI, n. 3808/2020; Sez. V, n. 2991/2019)4

L’applicazione dei principi del risultato, della fiducia e dell’equivalenza verso un approccio meno formalistico all’operato delle stazioni appaltanti Il comma 4 dell’art. 1 del nuovo codice dei contratti, come accennato supra, da un lato prevede che “Il principio del risultato costituisce criterio prioritario per l’esercizio del potere discrezionale e per l’individuazione della regola del caso concreto”, traducendosi nel dovere degli enti committenti di ispirare le loro scelte discrezionali più al raggiungimento del risultato sostanziale che a una lettura meramente formale della norma da applicare; dall’altro valorizza il raggiungimento del risultato come elemento di valutazione del personale che svolge funzioni amministrative o tecniche nelle fasi di programmazione, progettazione, affidamento ed esecuzione dei contratti, sia ai fini della valutazione delle loro responsabilità – di cui al successivo principio della fiducia – sia ai fini dell’attribuzione degli incentivi economici previsti dalla contrattazione collettiva.

La declinazione del principio del risultato contenuta nel comma 4 appare quindi destinata ad avere un maggiore

In altri termini, ove la stazione appaltante non intenda limitarsi a richiedere un macchinario genericamente in grado di assolvere ad una determinata finalità (nell’ambito della quale sarebbe possibile apparentare dispositivi differenti, ma equivalenti quanto a capacità prestazionali), la stessa ha il dovere di dettagliare le caratteristiche di normalizzazione se tali specifiche contemplano le prestazioni o i requisiti funzionali da esse prescritti. Nella propria offerta, l’offerente è tenuto a dimostrare con qualunque mezzo appropriato, compresi i mezzi di prova di cui all’articolo 86, che i lavori, le forniture o i servizi conformi alla norma ottemperino alle prestazioni e ai requisiti funzionali dell’amministrazione aggiudicatrice”.

2 Di tale allegato è prevista l’abrogazione a decorrere dalla entrata in vigore di un corrispondente regolamento da adottare, ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della L. n. 400/1988, con decreto del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti.

3 Cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, n. 3084/2020; TAR Campania Napoli, Sez. V, 04.06.2024, n. 3553; T.A.R. Lombardia, Milano, n, 2799/2021; T.A.R. Trentino-Alto Adige, Bolzano, n. 127/2022.

4 Si aggiunga che, secondo la citata giurisprudenza, la carenza degli elementi tecnici specificamente richiesti non è in alcun modo surrogabile con la presenza di altre caratteristiche “compensative” (es. risparmio di carburante).

impatto sui comportamenti concreti delle amministrazioni, soprattutto con riguardo all’interpretazione ed all’applicazione delle regole di gara, dovendo entrambe le fasi essere ispirate al risultato finale perseguito dalla programmata operazione negoziale, di cui assume un profilo dirimente la sua destinazione teleologica.

L’applicazione giurisprudenziale di tali princìpi a casi concreti5 induce ad indirizzare l’operato delle stazioni appaltanti affinché si pongano in linea con le innovative coordinate normative optando per un’interpretazione delle regole di gara ispirata all’implicito principio dell’equivalenza funzionale fra i beni e i dispositivi offerti. Ciò al fine di conseguire il “miglior risultato” possibile all’esito di un realizzato contesto partecipativo ispirato all’attuazione della massima concorrenzialità nel segmento di mercato interessato, altrimenti preclusa dall’interpretazione formalistica ed escludente delle prescrizioni tecniche di gara.

Le stazioni appaltanti, seguendo la regola del “risultato” nei termini sopra declinati, dovrebbero optare per un’interpretazione delle disposizioni di gara teleologicamente orientata ad attuare la ratio sottesa alla programmata operazione amministrativa/negoziale complessivamente intesa, vale a dire assicurarsi il dispositivo medico, munito delle capacità terapeutiche ritenute imprescindibili, al miglior costo di mercato, obliterando così la portata impeditiva di tale primario scopo delle prescrizioni meramente formali6, così riconoscendo, al tempo stesso, l’estraneità di queste ultime rispetto al conseguimento del risultato perseguito.

In tal senso l’applicazione del principio di equivalenza può essere inteso quale precursore dell’applicazione del principio del risultato successivamente codificato nel nuovo Codice7

Ciò in quanto in sede di gara per l’appalto di fornitura di dispositivi medici trova applicazione il giudizio di equivalenza, la quale va ragguagliata alla funzionalità di quanto richiesto dalla Pubblica amministrazione con quanto offerto in sede gara, non certo alla mera formale descrizione del prodotto8 È stato chiarito in giurisprudenza che sin dal D. lgs 163/2006, con i commi 1 e 4 dell’art. 68, d.lgs. il legislatore – allorché le offerte tecniche devono recare per la loro idoneità elementi corrispondenti a specifiche tecniche –ha inteso introdurre, ai fini della valutazione del prodotto

offerto dal soggetto concorrente, il criterio dell’equivalenza, nel senso cioè che non vi deve essere una conformità formale, ma sostanziale con le specifiche tecniche nella misura in cui esse vengono in pratica comunque soddisfatte (Cons. St. n. 7450 del 2019).

La norma, in attuazione del principio comunitario della massima concorrenza, è finalizzata (anche nella sua attualizzazione di cui all’Allegato II. 5, D.lgs. 36/2023) a che la ponderata e fruttuosa scelta del miglior contraente non debba comportare ostacoli non giustificati da reali esigenze tecniche. Il precetto di equivalenza delle specifiche tecniche è un presidio del canone comunitario dell’effettiva concorrenza (come tale vincolante per l’Amministrazione e per il Giudice) ed impone che i concorrenti possano sempre dimostrare che la loro proposta ottemperi in maniera equivalente allo standard prestazionale richiesto.

Laddove il disposto normativo di cui all’Allegato II.5, parte II – A, punto 7 del D.lgs. n. 36/2023 prevede che le stazioni appaltanti non possono respingere un’offerta per il motivo che i prodotti e i servizi presentati non sono conformi alle specifiche alle quali hanno fatto riferimento, impone quindi che il riscontro delle stesse in una gara sia agganciato non al formale meccanico riscontro della specifica certificazione tecnica, ma al criterio della conformità sostanziale delle soluzioni tecniche offerte.

Pertanto, il criterio dell’equivalenza per sua stessa natura non è suscettibile di applicazioni limitative o formalistiche ma deve, al contrario, godere di un particolare favore perché è finalizzato a sodisfare l’esigenza primaria di garantire la massima concorrenza tra gli operatori economici.

Le specifiche tecniche hanno il compito di rendere intellegibile il bisogno che la stazione appaltante intende soddisfare con la pubblica gara più che quello di descrivere minuziosamente le caratteristiche del prodotto offerto dai concorrenti.

La giurisprudenza (Cons. St., Sez. III, 18 settembre 2019, n. 6212) afferma che il principio di equivalenza delle offerte è attuativo del più generale principio del favor partecipationis, costituendo dunque espressione della massima concorrenzialità nel settore dei pubblici contratti. Dalla superiore affermazione la giurisprudenza fa discendere l’esigenza di limitare entro rigorosi limiti applicativi l’area dei requisiti tecnici minimi e di dare spazio – parallelamente ma anche ragionevolmente e proporzionalmente – ai prodotti sostanzialmente analoghi a quelli espres-

5 Tar Napoli, 06 maggio 2024 n. 2959; sul principio del risultato si veda anche, di recente, Consiglio di Stato, sez. VII, 01.07.2024 n. 5789 pur se attinente a diversa casistica riguardante affidamento dell’appalto integrato relativo ai lavori di realizzazione di un edificio universitario.

6 Nella fattispecie analizzata dal Tar Campania n. 2959/2024 cit. le prescrizioni della legge di gara si riferivano al dosaggio ed al confezionamento dei farmaci.

7 È stato affermato in giurisprudenza che anche con riferimento alle forniture alle quali, ratione temporis, non è applicabile la disciplina di cui al d. lgs. 36/2023 “l’utilizzo da parte della legge di gara del parametro del risultato esplicita e conferma, nello specifico procedimento per cui è causa, il carattere immanente al sistema della c.d. amministrazione di risultato (che la dottrina ha ricondotto al principio di buon andamento dell’attività amministrativa, già prima dell’espressa affermazione contenuta nell’art. 1 del citato d. lgs. n. 36 del 2023 con specifico riferimento alla disciplina dei contratti pubblici)” (Consiglio di Stato, sez. VII, 01.07.2024 n. 5789).

8 Consiglio di Giustizia Amministrativa Regione Siciliana del 20 luglio 2020, n. 634.

normazione

samente richiesti dalla disciplina di gara.

Sul piano più strettamente applicativo deve ribadirsi che un siffatto giudizio di equivalenza sulle specifiche tecniche dei prodotti offerti in gara risulta legato non a formalistici riscontri ma a criteri di conformità sostanziale delle soluzioni tecniche offerte: deve in altri termini registrarsi una conformità di tipo meramente funzionale rispetto alle specifiche tecniche indicate dal bando (Cons. St., sez. III, 29 marzo 2018, n. 2013).

Con specifico riguardo ad un appalto attinente al settore sanitario, si è ancora una volta ribadito che “(…) con particolare riferimento all’appalto per la fornitura di medicinali e dispositivi medici, (…) il principio di equivalenza permea l’intera disciplina dell’evidenza pubblica, rispondendo al principio del favor partecipationis (ampliamento della platea dei concorrenti) ai fini della massima concorrenzialità nel settore dei pubblici contratti e della conseguente individuazione della migliore offerta, secondo i principi di libera iniziativa economica e di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione nel perseguimento delle propri funzioni d’interesse pubblico e nell’impiego delle risorse finanziarie pubbliche, sanciti dagli articoli 41 e 97 della Costituzione” (Cons. St., sez. III, 14 maggio 2020, n. 3081).

Il principio di equivalenza deve essere interpretato conformemente all’art. 60, paragrafi 3, 4, 5 e 6, della direttiva n. 2014/25/UE. “Il precetto di equivalenza delle specifiche tecniche è un presidio del canone comunitario dell’effettiva concorrenza (come tale vincolante per l’Amministrazione e per il giudice) ed impone che i concorrenti possano sempre dimostrare che la loro proposta ottemperi in maniera equivalente allo standard prestazionale richiesto” (Cons. St. n. 2093 del 2020).

Sotto il secondo profilo vanno richiamati i principi della giurisprudenza in ordine ai limiti del sindacato giurisdizionale sulla valutazione espressa dalla Commissione di gara nel formulare il giudizio di equivalenza tecnica delle offerte.

Il giudizio di equivalenza costituisce legittimo esercizio della discrezionalità tecnica da parte dell’Amministrazione ed il relativo sindacato giurisdizionale deve attestarsi su riscontrati (e prima ancora dimostrati) vizi di manifesta erroneità o di evidente illogicità del giudizio stesso. Il giudizio può essere sindacato dal giudice amministrativo solo a fronte di evidenti errori di fatto o riscontrati profili di irragionevolezza ed illogicità.

Per Palazzo Spada “una volta che l’Amministrazione abbia proceduto in tal senso, la scelta tecnico discrezionale può essere inficiata soltanto qualora se ne dimostri l’erroneità”

(Cons. St., sez. III 13 dicembre 2018, n. 7039; Cons. St. n. 2093 del 2020).

9 T.A.R. Friuli-Venezia Giulia, 25 luglio 2022, n. 327.

Principio di equivalenza e discrezionalità tecnica Il principio di equivalenza − il quale, come visto, mira a garantire un’applicazione oggettiva della legge di gara al fine di garantire la maggiore partecipazione possibile alle procedure pubbliche ed aprire il mercato anche mediante la possibilità di differenziare l’offerta – trova il suo bilanciamento “naturale” nella discrezionalità tecnica dell’amministrazione.

In particolare, è stato affermato che “la determinazione del contenuto del bando di gara costituisce espressione del potere discrezionale in base al quale l’Amministrazione può effettuare scelte riguardanti gli strumenti e le misure più adeguati, opportuni, congrui, efficienti ed efficaci ai fini del corretto ed effettivo perseguimento dell’interesse pubblico concreto, oggetto dell’appalto da affidare; le scelte così operate, ampiamente discrezionali, impingono nel merito dell’azione amministrativa e si sottraggono, pertanto, al sindacato del giudice amministrativo, salvo che non siano ictu oculi manifestamente irragionevoli, irrazionali, arbitrarie o sproporzionate, specie avuto riguardo alla specificità dell’oggetto e all’esigenza di non restringere la platea dei potenziali concorrenti e di non precostituire situazioni di privilegi. In particolare, con riguardo al settore sanitario, è stato evidenziato che la rilevanza della tutela della salute, sottesa alla previsione di livelli di competenza tecnica e standard qualitativi molto elevati, consente l’introduzione di un requisito proporzionato alla prestazione che si intende acquisire, nonché al perseguimento dell’interesse pubblico ad essa sotteso. A tale scopo, all’Amministrazione è garantita un’ampia discrezionalità nell’individuazione dei requisiti tecnici, ancorché più severi rispetto a quelli normativamente stabiliti, purché la loro previsione sia correlata a circostanze giustificate e risulti funzionale rispetto all’interesse pubblico perseguito”9

Ed è stato anche osservato che l’amministrazione può configurare le forniture richieste tenendo conto, tra l’altro, anche delle proprie esigenze organizzative, ferma restando l’operatività del principio di equivalenza.

La stazione appaltante ha, dunque, un’ampia libertà di scelta nella determinazione delle forniture e delle caratteristiche tecniche, in particolare nel settore sanitario caratterizzato da livelli di competenza tecnica molto elevati. Tale discrezionalità, tuttavia non pone l’operato della stazione appaltante al riparo da eventuali critiche con riferimento al mancato rispetto del principio di equivalenza. Una best practice nella stesura della legge di gara, al fine di fronteggiare possibili doglianze in tal senso, potrebbe essere quella di richiamare il principio di equivalenza nella lex specialis, prevedendo espressamente nella stessa che le caratteristiche tecniche dei prodotti richiesti siano orientative, ciò senza fare riferimento ad alcun marchio specifico bensì tramite requisiti tecnici ritenuti indispen-

sabili dalla S.A. per le finalità perseguite. Tale possibilità è stata descritta recentemente anche dall’Autorità anticorruzione10, la quale ha fornito il proprio parere di precontenzioso in una fattispecie in cui la stazione appaltate aveva segnalato la propria esigenza di acquisire un sistema di strumenti medicali collegati ad un unico generatore di energia, individuandone i requisiti tecnici essenziali (diametro, lunghezza, tipo di impugnatura, tasti ecc.). Ma tali caratteristiche sono state riconosciute appunto “orientative” con espressa ammissione di prodotti funzionalmente equivalenti. Tale comportamento è stato giudicato come legittimo dall’Anac la quale ha ravvisato in esso il rispetto del principio di equivalenza, del favor partecipationis e di apertura al mercato.

Principio di equivalenza, specifiche tecniche di cui all’all. II.5 del nuovo Codice dei contratti e requisiti minimi obbligatori “strutturali” e “funzionali” Il principio dell’equivalenza, inoltre, può essere applicato ai requisiti minimi qualificati come obbligatori purché i prodotti e le prestazioni offerte, anche se aventi caratteristiche differenti da quelle richieste, siano comunque in grado di soddisfare le finalità richieste dall’amministrazione11

La giurisprudenza ha ritenuto in materia che il principio di equivalenza sia estensibile anche ai requisiti minimi qualificati come obbligatori dalla disciplina di gara. Ma ciò ha fatto sulla scorta di un approccio “funzionale”, ossia con riferimento a fattispecie in cui dalla stessa lex specialis (al di là di alcuni casi in cui era già quest’ultima a richiamare l’applicabilità del principio de quo anche ai requisiti tecnici minimi) emergeva che determinate caratteristiche tecniche erano richieste al fine di assicurare all’Amministrazione il perseguimento di determinate finalità, e dunque poteva ammettersi la prova che queste ultime fossero soddisfatte anche attraverso prodotti o prestazioni aventi caratteristiche tecniche differenti da quelle richieste (cfr. Consiglio di Stato, Sezione III, 6 settembre 2023, n. 8189).

In tali ultimi casi, l’estensione in via giurisprudenziale dell’ambito di applicazione del principio di equivalenza, ancorché in sé e per sé non confliggente con il diritto europeo, trova fondamento non già nelle esigenze pro-concorrenziali perseguite dal citato articolo 42, par. 6, della direttiva 2014/24/UE, ma nel più generale principio del favor partecipationis (e, difatti, come già rilevato, trova il limite del rispetto della par condicio tra i concorrenti, che

si verificherebbe laddove fosse consentito a un concorrente di offrire aliud pro alio).

Le considerazioni che precedono devono essere valutate con l’avvertenza che, nella giurisprudenza da ultimo citata, la distinzione tra requisiti tecnici minimi “strutturali” (a cui il principio de quo non sarebbe mai applicabile) e “funzionali” (per i quali varrebbe quanto sopra) è molto sfumata e opinabile, essendo stato adottato l’approccio “funzionale” finanche per ammettere la possibilità di offrire prodotti di materiale diverso da quello richiesto a pena di esclusione dalla lex specialis (come nelle fattispecie esaminate in Consiglio di Stato, sez. III, 6 dicembre 2023, n. 10536, e 25 novembre 2020, n. 7404).

Pertanto, deve concludersi che la qualificazione in termini “strutturali” o “funzionali” di un requisito minimo prescritto dalla legge di gara non dipende dalla natura del requisito in sé considerata (per esempio previsione della composizione del prodotto in uno specifico materiale), bensì dall’esistenza o meno nella lex specialis dell’esplicitazione delle finalità e dei bisogni dell’Amministrazione che la previsione di una determinata caratteristica tecnica è destinata a soddisfare (e queste vi erano nelle fattispecie esaminate dalle richiamate sentenze n. 10536/2023 e n. 7404/2020).

È appena il caso di aggiungere che sul punto non è dato trarre argomenti ermeneutici utili neanche dal nuovo

Codice dei contratti pubblici, il quale si limita a riprodurre nell’allegato II.5 (e quindi in un testo destinato ad assumere rango regolamentare), il testo del previgente art. 68 dell’abrogato Codice n. 50/2016 con ciò mostrando di non aver tenuto conto degli approdi giurisprudenziali sopra richiamati (un principio di equivalenza di portata “espansiva” come quella sopra evidenziata avrebbe forse richiesto una disposizione primaria) e di aver – forse –voluto ribadire la circoscrizione della portata del principio in questione alla sola sfera delle “specifiche tecniche” (in senso stretto)12.

La giurisprudenza del Consiglio di Stato, ha affermato che l’onere della prova dell’equivalenza di quanto offerto, da rendersi secondo le modalità indicate nella disciplina di gara, costituisce parte integrante dell’offerta e grava sul concorrente, mentre spetta alla stazione appaltante svolgere una verifica effettiva e proficua della dichiarata equivalenza. Logico corollario di tale premessa è quello secondo cui, in mancanza della predetta prova, non è ammesso il soccorso istruttorio, ma deve essere disposta l’esclusione dalla gara dell’offerta difforme, per difetto di una qualità essenziale

10 Delibera Anac 5 giugno 2024, n. 274, parere di precontenzioso in gara telematica a procedura aperta ai sensi dell’art. 71 del D.Lgs. 36/2023 per l’acquisto di dispositivi medici per chirurgia open e laparoscopica, elettrochirurgia e chirurgia mininvasiva.

11 Cons. Stato, Sez. III, 9 maggio 2024, n. 4155.

12 Nel caso deciso da Cons. Stato 4155/2024 cit. è stato ritenuto che il prodotto offerto dalla società difettasse (non di una, ma) di due caratteristiche tecniche richieste dalla lex specialis, ossia il nucleo in nylon e il dispositivo di bloccaggio in titanio, e che la stessa lex specialis, configurava i requisiti in questione in termini meramente “strutturali”, senza quindi lasciare alcuno spazio per un approccio “funzionale” (nel senso sopra chiarito).

normazione

nelle prestazioni ivi proposte. (Cons. St., sez. V, 3 agosto 2023, n. 7502).

Considerazioni conclusive

Come si è visto, il principio della fiducia è volto ad ampliare i poteri valutativi e la discrezionalità della p.a., in chiave di funzionalizzazione verso il miglior risultato possibile. Nell’applicazione concreta del principio, tuttavia, occorre in ogni caso operare un equilibrato bilanciamento degli interessi in gioco: se da un lato il legislatore ha, infatti, inteso assicurare maggiore legittimazione alle scelte discrezionali dell’amministrazione, dall’altro quella di cui all’art. 2 del D. Lgs 36/2023 non è una fiducia unilaterale o incondizionata.

La disposizione precisa, infatti che la fiducia è reciproca e, dunque, investe anche gli operatori economici che partecipano alle gare. La fiducia deve essere applicata in uno con i princìpi di legalità, trasparenza e correttezza, rappresentando, sotto questo profilo, una versione evoluta del principio di presunzione di legittimità dell’azione amministrativa.

Come noto, nel settore sanitario (caratterizzato da livelli di competenza tecnica molto elevati) le stazioni appaltanti godono di un’ampia libertà di scelta nella determinazione delle forniture e delle caratteristiche tecniche.

Tale discrezionalità, tuttavia non pone l’operato del sog-

getto aggiudicatore al riparo da eventuali censure con riferimento al mancato rispetto del principio di equivalenza. Una best practice nella stesura della legge di gara, al fine di fronteggiare possibili doglianze in tal senso, potrebbe essere quella di richiamare il principio di equivalenza nella lex specialis, descrivendo le specifiche tecniche senza fare riferimento a marchi determinati, e con l’avvertenza che esse non sono vincolanti ma solamente orientative, con conseguente rispetto del favor partecipationis

L’applicazione del principio di equivalenza non dovrebbe, tuttavia, sfumare in una fattispecie in cui il concorrente offre un aliud pro alio. Anche in tal caso l’esplicitazione da parte della stazione appaltante nella lex specialis di quali siano requisiti tecnici minimi “strutturali” (ai quali il principio di equivalenza non è applicabile) e “funzionali” (ai quali invece è possibile applicare il citato principio) potrebbe valere ad evitare impugnazioni della procedura di gara.

In tal senso, in tema di forniture di dispositivi medici, l’applicazione del principio di equivalenza può essere inteso quale precursore dell’applicazione del principio del risultato poi codificato nel nuovo codice dei contratti pubblici, in quanto preposto ad ottenere che l’approvvigionamento di dispositivi medici (e non solo) avvenga nella maniera più efficiente possibile.

L’equo compenso: questione apertissima

Ormai da mesi ogni giorno leggiamo qualcosa che riporta la nostra attenzione alla querelle dell’equo compenso. In un periodo storico in cui la infrastrutturazione del Paese è ai massimi storici dopo il dopoguerra, è evidente che la tematica assuma una valenza generale perché oltre ai servizi tecnici, riguarda tutte le prestazioni professionali da affidare mediante procedure ad evidenza pubblica, non solo quelle legate alla progettazione, ma, ad esempio, anche ai servizi contabili e di rendicontazione, nonché ai servizi legali. Non a caso, nel codice dei contratti, nella parte dedicata ai principi, il Legislatore ha inserito il principio di autonomia contrattuale all’art. 8, comma 2, del Codice ove si legge che: “le prestazioni d’opera intellettuale non possono essere rese dai professionisti gratuitamente, salvo che in casi eccezionali e previa adeguata motivazione. Salvo i predetti casi eccezionali, la pubblica amministrazione garantisce comunque l’applicazione del principio dell’equo compenso”. Inoltre, l’art. 41, comma 15, del Codice rinvia all’allegato I.13 del medesimo Codice per l’indicazione delle modalità di determinazione dei corrispettivi per le fasi progettuali da porre a base degli affidamenti dei servizi di ingegneria e architettura, precisando però che devono essere commisurati al livello qualitativo delle prestazioni e delle attività. Da ciò discende che le disposizioni del codice non possano non esser ricostruite e lette in combinato disposto con quanto statuito dalla Legge 21 aprile 2023, n. 49, recante “Disposizioni in materia di equo compenso delle prestazioni professionali”. La vera questione, che

ha appassionato innocentisti e colpevolisti non è data da cosa si applica, non è data da una quanto mai inutile e quanto mai probatio diabolica di quale norma è entrata prima in vigore, né dalla ricostruzione artefatta della singola sentenza o singola delibera, ma da cosa voglia il nostro Legislatore, cioè quella cosa che all’Università ci insegnano come ratio legi . Al fine di scoprire quale sia la ratio legis va ricostruito l’intero tessuto normativo che ha portato all’adozione delle due norme, che si badi bene dicono la stessa cosa: i professionisti devono esser equamente pagati; io aggiungerei anche solo pagati.

Da un punto di vista generale è possibile notare come, a seguito dell’abolizione dei minimi tariffari,

la

giurisprudenza

amministrativa si sia dimostrata contraria ad una loro possibile reintroduzione surrettizia attraverso i principi deontologici dei singoli ordini professionali

Lo sviluppo normativo e giurisprudenziale sulla disciplina dell’equo compenso

Per procedere nel tentativo di un’interpretazione congiunta delle due normative di cui si è detto è opportuno ricordare come la legge n. 49 del 2023 sull’equo compenso costituisca il più recente intervento legislativo all’esito di uno sviluppo normativo e giurisprudenziale non privo di una certa complessità e che si ritiene utile ripercorrere seppur brevemente. Tutto ebbe inizio con una famosa lenzuolata Bersani, il Decreto legge 4 luglio 2006, n. 223 (c.d. “decreto Bersani”) che ha abolito le disposizioni normative e regolamentari che prevedevano l’obbligatorietà dei minimi tariffari, lasciando quindi piena libertà all’autonomia contrattuale tra cliente e professionista di quantificare il relativo onorario. Sussistevano comunque alcune eccezioni di rilievo, tra cui appunto la facoltà per le stazioni appaltanti di utilizzare le tariffe, ove motivatamente ritenute adeguate, quale criterio o base di rife-

rimento per la determinazione dei compensi per i servizi professionali; è succeduto l’art. 9 del Decreto legge 24 gennaio 2012, n. 16, che ha abrogato le tariffe delle professioni regolamentate nel sistema ordinistico e, successivamente, all’emanazione di decreti ministeriali attuativi ha sancito il passaggio dalle “tariffe” ai “parametri”, ovvero a quei criteri idonei a stabilire l’equo compenso per le prestazioni fornite; ma, con riferimento alle prestazioni professionali a favore delle Pubbliche amministrazioni, l’art. 19-quaterdecies, comma 3, del Decreto legge 16 ottobre 2017, n. 1488, ha sancito che la Pubblica amministrazione, in attuazione dei principi di trasparenza, buon andamento ed efficacia delle proprie attività, avrebbe garantito il principio dell’equo compenso in relazione alle prestazioni rese dai professionisti. Il predetto quadro normativo è stato interpretato ed applicato dalla giurisprudenza in modo non sempre univoco, tuttavia emerge un certo favor per l’orientamento “pro-concorrenziale” sotteso agli interventi del Legislatore. Più precisamente, da un punto di vista generale è possibile notare come, a seguito dell’abolizione dei minimi tariffari, la giurisprudenza amministrativa si sia dimostrata contraria ad una loro possibile reintroduzione surrettizia attraverso i principi deontologici dei singoli ordini professionali 1. In un’ottica liberalizzante, la giurisprudenza amministrativa proprio in materia di affidamenti di incarichi tecnici e legali ha affermato la compatibilità dell’equo compenso anche con incarichi professionali gratuiti, pur non mancando sentenze in senso contrario. 2. La sentenza ha determinato il nascere di numerose polemiche di cui le aule di tribunali hanno visto la naturale sede di confronto, dando vita ad una giurisprudenza contrastante anche a livello di Consiglio di Stato. Certo è che la giurisprudenza ha cercato di riservare una particolare attenzione nei confronti della pubblica amministrazione, che il concetto di equo compenso deve per le Pubbliche amministrazioni ancorarsi a parametri di maggiore flessibilità legati da un lato, ad esigenze di contenimento della spesa pubblica e, dall’altro, alla natura ed alla complessità delle attività

defensionali da svolgere in concreto3. In altri termini, la giurisprudenza ha nel tempo affermato che la normativa sull’equo compenso avrebbe dovuto soltanto esser interpretata nel senso che laddove il compenso sia previsto, lo stesso debba necessariamente essere equo, mentre non può ricavarsi dalla disposizione l’ulteriore che lo stesso debba essere sempre previsto (a meno di non sostenere, anche in questo caso, che non vi possa essere alcuno spazio per la prestazione di attività gratuite o liberali da parte dei liberi professionisti. Si è arrivato affermare che la legge sull’equo compenso non solo permette al professionista di rinunciare al compenso allo scopo di perseguire vantaggi economici indiretti, ma anche quello di non perseguire alcun vantaggio, ma addirittura che le Pubbliche amministrazioni non sarebbero sempre tenute a corrispondere al professionista un compenso non inferiore ai parametri ministeriali 4

La sentenza del Tar Veneto, Sez III, 3 aprile 2024, n. 632 e la disamina di tutte le questioni

In questo quadro generale è intervenuta la prima pronuncia dedicata alla questione della applicabilità della legge dell’equo compenso agli appalti. Contrariamente a quanto si dirà nel proseguo, soprattutto con riferimento alle osservazioni poste da ANAC, il Tar non ritiene che sia necessario un chiarimento del Legislatore perché riconosce che la legge 49/2023 è imperativa, tanto che le sue norme integrano automaticamente dall’esterno i bandi, e non possono considerarsi incompatibili né col d.lgs 50/2016, né col d.lgs 36/2023, ma soprattutto deve essere applicata anche alle pubbliche amministrazioni. Il DM 17 giugno 2016, infatti, distingue all’articolo 4 la determinazione del compenso e all’articolo 5 le spese e accessori: su queste ultime, secondo il Tar, non opera l’equo compenso e, quindi, sono ribassabili.  Invece, la componente di prezzo “compenso” vera e propria non può essere ribassata, perchè altrimenti non sarebbe rispettata la tutela apprestata dalla legge 49/023, cioè la nullità dei patti contrari alla disciplina dell’equo compenso.

1 Cfr. il Cds, sez. VI, con la sentenza n. 238 del 2015, ove si afferma che i concetti di dignità e decoro della professione non costituiscono parametri validi per la determinazione del compenso. Le regole deontologiche che commisurino il compenso al decoro professionale si rivelano restrittive della concorrenza e non possono essere considerate necessarie al perseguimento di legittimi obiettivi come la tutela del consumatore. La sentenza interviene dopo un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia europea che, con sentenza C-136/12 del 18 luglio 2013, ha precisato che il riferimento alla dignità della professione, quale criterio di commisurazione delle parcelle per i professionisti, può avere effetti restrittivi della concorrenza nel mercato interno.

2 Cfr Cds, sezione V, n. 4614 del 2017, che, è arrivata ad ammettere la legittimità del bando che prevedeva la gratuità delle prestazioni (salvo il rimborso delle spese), ogniqualvolta dall’effettuazione della prestazione contrattuale il contraente possa figurare di trarre un’utilità economica lecita e autonoma, quand’anche non corrispostagli come scambio contrattuale dall’Amministrazione appaltante (ne è un tipico esempio l’effetto economicamente vantaggioso, seppur indiretto, di potenziale promozione esterna dell’appaltatore).

3 Cfr. Tar Lazio - Roma, sezione III quater, n. 9404 del 2021 che, nel rigettare il ricorso avverso la disciplina di un avviso pubblico che prevedeva compensi per professionisti avvocati inferiori ai parametri previsti nel decreto ministeriale n. 55/2014.

4 Cfr. Tar Lombardia Milano, sezione I, con sentenza n. 1071 del 2021, “quella dell’equo compenso è una disciplina speciale di protezione del professionista che ricopre la posizione di parte debole del rapporto con un cliente in grado di imporre il suo potere economico e di mercato mediante la proposta di convenzioni unilateralmente predisposte La disciplina dell’equo compenso non trova pertanto applicazione ove la clausola contrattuale relativa al compenso per la prestazione professionale sia oggetto di trattativa tra le parti o, nelle fattispecie di formazione della volontà dell’amministrazione secondo i principi dell’evidenza pubblica, ove l’amministrazione non imponga al professionista il compenso per la prestazione dei servizi legali da affidare”

Da ciò discende che le stazioni appaltanti, allo scopo di predisporre una disciplina di gara legittima e non in violazione della legge 49/2023, da un lato non possono consentire che i ribassi siano apportati anche alla voce “compenso” e dall’altro debbono distinguere con chiarezza le varie voci di prezzo, consentendo il ribasso solo su spese ed accessori. Sull’assenza di contrasto tra le regole della normativa degli appalti e la legge 49/2023 il Tar Veneto è molto chiaro: “in via generale, […] un’antinomia può configurarsi “in concreto” allorché – in sede di applicazione – due norme connettono conseguenze giuridiche incompatibili ad una medesima fattispecie concreta. Ciò accade ogniqualvolta quest’ultima sia contemporaneamente sussumibile in due ipotesi normative diverse, l’applicazione delle quali, comporti, in conformità a quanto previsto dall’ordinamento giuridico, conseguenze giuridiche incompatibili tra loro. In tale ipotesi, l’interprete è chiamato ad effettuare una interpretazione letterale, teleologica e adeguatrice delle norme in apparente contrasto, al fine di determinarne il significato che è loro proprio, coordinandole anche in un più ampio sistema di norme, rappresentato dall’ordinamento giuridico. Nell’ipotesi in esame, l’interpretazione letterale e teleologica della legge n. 49/2023 depone in maniera inequivoca per la sua applicabilità alla materia dei contratti pubblici. Come già esposto, infatti, il legislatore, al dichiarato intento di tutelare i professionisti intellettuali nei rapporti contrattuali con “contraenti forti” ha espressamente previsto l’applicazione della legge anche nei confronti della Pubblica Amministrazione e ha riconosciuto la legittimazione del professionista all’impugnazione del contratto, dell’esito della gara, dell’affidamento qualora sia stato determinato un corrispettivo qualificabile come iniquo ai sensi della stessa legge. Non a caso, l’art. 8, d.lgs. n. 36/2023, oggi prevede che le Pubbliche Amministrazioni, salvo che in ipotesi eccezionali di prestazioni rese gratuitamente, devono garantire comunque l’applicazione del principio dell’equo compenso nei confronti dei prestatori d’opera intellettuale”.

Ma continuando nella loro ricostruzione dogmatica, i giudici lanciano un alert sullo sviamento dagli obiettivi della norma sull’equo compenso, laddove la si ritenesse inapplicabile proprio alla PA, “in considerazione delle finalità di carattere generale sopra evidenziate, e, in particolare, al fine di garantire il puntuale rispetto del principio di imparzialità e buon andamento dell’attività della P.a., nonché dei principi anche eurounitari alla base delle procedure ad evidenza pubblica medesime, non può ammettersi un’aggiudicazione in palese violazione di una norma imperativa, ancorché nell’ambito del rapporto contrattuale “ a valle” la nullità del contratto possa essere dedotta solo dal professionista. Diversamente, infatti, si rischierebbe, proprio nell’ambito delle procedure ad evidenza pubblica, una pericolosa eterogenesi dei fini: il professionista concorrente potrebbe essere

“tentato” di abusare della nullità di protezione in questione, volutamente presentando un’offerta “inferiore” ai minimi, per così ottenere l’aggiudicazione e, una volta stipulato il contratto far valere la nullità parziale al fine di attivare il “meccanismo” di cui al comma 6 dell’art. 3, ai sensi del quale ‹‹il tribunale procede alla rideterminazione secondo i parametri previsti dai decreti ministeriali di cui al comma 1 relativi alle attività svolte dal professionista, tenendo conto dell’opera effettivamente prestata e chiedendo, se necessario, al professionista di acquisire dall’ordine o dal collegio a cui è iscritto il parere sulla congruità del compenso o degli onorari, che costituisce elemento di prova sulle caratteristiche, sull’urgenza e sul pregio dell’attività prestata, sull’importanza, sulla natura, sulla difficoltà e sul valore dell’affare, sulle condizioni soggettive del cliente, sui risultati conseguiti, sul numero e sulla complessità delle questioni giuridiche e di fatto trattate. In tale procedimento il giudice può avvalersi della consulenza tecnica, ove sia indispensabile ai fini del giudizio››”.

Ma ancora, il TAR assume pure una posizione sulla questione della necessarietà dell’aggiudicazione con offerta economicamente più vantaggiosa a prezzo fisso negli affidamenti degli incarichi professionali. Ma, proprio perchè la PA può e deve scomporre il “prezzo” di gara in compenso, da un lato, e oneri e spese accessorie dall’altro, secondo la sentenza non si giunge alla necessità di aggiudicare col criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa  con prezzo o costo fisso (come prevede oggi l’articolo 108, comma 5, del codice):“trattandosi di una delle plurime componenti del complessivo “prezzo” quantificato dall’Amministrazione, l’operatività del criterio di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa, in ragione del rapporto qualità/prezzo, è fatta salva in ragione della libertà, per l’operatore economico, di formulare la propria offerta economica ribassando le voci estranee al compenso, ossia le spese e gli oneri accessori”. A ben vedere, comunque, poichè è il codice ad ammettere che l’offerta economicamente più vantaggiosa possa riguardare solo la componente tecnica e non il prezzo, la possibilità di imbrigliare l’offerta alla sola componente tecnica è ammessa (fermo restando il problema della compatibilità tra commi 2 e 5 dell’articolo 108 del codice dei contratti).

La posizione della Corte di Giustizia

Ma se questa è la situazione della giurisprudenza amministrativa, la stessa linee di tendenza si trova anche a livello comunitario Si annoverano tra le prime le pronunce della Corte di Giustizia più volte citata dalla giurisprudenza. Si tratta delle sentenze C-427/2016, C-428/201627 e C-377/17, con cui la Corte, pur non escludendo a priori la possibilità di prevedere dei minimi tariffari, ha affermato chiaramente la necessità che detti minimi rispondano

a motivi imperativi di interesse generale, quali appunto anche l’intento di rimediare ad una situazione di squilibrio contrattuale. 5

Quindi, anche la recente pronuncia della Corte dello scorso 25 gennaio 2024 (Causa C-438/22) nelle quale si insiste sulla illegittimità di regolamenti che fissano compensi non sorprende.

Sotto il profilo civilistico, infine, la giurisprudenza si è pronunciata con riguardo ad un’ulteriore questione, ovvero quella relativa alla rinuncia al diritto ad una remunerazione non inferiore ai parametri dell’equo compenso. Al riguardo è possibile richiamare le argomentazioni rinvenibili nella giurisprudenza afferente all’assetto normativo precedente e, in particolare, alla sentenza della Corte di Cassazione civile, sezione II, n. 25830 del 2019. Nell’accogliere il ricorso di un professionista avvocato che lamentava la nullità del contratto stipulato con un’Amministrazione comunale per la violazione dei minimi tariffari – allora ancora vigenti – a fronte del chiaro tenore letterale dell’art. 24 della Legge n. 794 del 1942, la Corte di Cassazione affermava la pacifica disponibilità del diritto dell’avvocato al compenso in misura non inferiore ai minimi tariffari. Tale rinuncia, tuttavia, non può essere automaticamente desunta dalla pattuizione che fissa un compenso inferiore ai minimi, ma deve bensì costituire oggetto di una volizione ulteriore e distinta che postuli una piena consapevolezza.

La posizione di AGCOM

L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) si è più volte pronunciata nel corso degli anni salutando con favore l’abolizione dei minimi tariffari ed esprimendosi in senso fortemente critico verso l’introduzione di una normativa sull’equo compenso, idonea – a detta dell’AGCM – a vanificare gli effetti pro-concorrenziali dei menzionati interventi normativi. A titolo esemplificativo, l’AGCM si era espressa in termini critici già con riferimento alla possibilità, prevista dalla Legge n. 247/2012, di liquidare il compenso professionale, in assenza di accordo tra professionista e cliente, attraverso i parametri ministeriali. Anche in relazione al disposto del art. 19-quaterdecies del Decreto legge n. 148/2017, definendolo di fatto una reintroduzione sostanziale dei minimi tariffari con l’effetto di ostacolare la concorrenza di prezzo tra professionisti anche nei rapporti con la Pubblica amministrazione, alla quale sarebbe preclusa la

possibilità di accettare prestazioni con compensi inferiori a quelli fissati nei decreti ministeriali. Per l’Autorità “il descritto intervento normativo, ove attuato nei termini proposti, determinerebbe quindi un’ingiustificata inversione di tendenza rispetto all’importante ed impegnativo processo di liberalizzazione delle professioni, in atto da oltre un decennio e a favore del quale l’Autorità si è costantemente pronunciata.[…] Secondo i consolidati principi antitrust nazionali e comunitari, infatti, le tariffe professionali fisse e minime costituiscono una grave restrizione della concorrenza, in quanto impediscono ai professionisti di adottare comportamenti economici indipendenti e, quindi, di utilizzare il più importante strumento concorrenziale, ossia il prezzo della prestazione”. Le richiamate disposizioni in tema di equo compenso “per quanto circoscritte a determinate tipologie di rapporti contrattuali (“clienti forti” e PA), non sono giustificate da un motivo imperativo di interesse generale, né rispondono al principio di proporzionalità, in quanto hanno l’effetto di eliminare in radice il confronto concorrenziale”.6

La posizione di ANAC Il Presidente ANAC con atto del 27 giugno 2023, pubblicato sul sito istituzionale il 4 agosto 2023, fa presente che “sia la formulazione dell’articolo 41, comma 15, [del D.lgs. n. 36/2023] che l’articolato di cui alla legge n. 49 del 2023 pongono il dubbio di come debbano intendersi le previsioni dei parametri di riferimento delle prestazioni professionali di cui alle tabelle ministeriali contenute nel decreto del Ministro della giustizia 17 giugno 2016 e richiamate all’interno dell’Allegato I.13 al nuovo Codice dei contratti” Precisa, altresì, l’ANAC che “si pone il problema di valutare se attraverso la legge n. 49 del 2023 il Legislatore abbia reintrodotto dei parametri professionali minimi. Deporrebbe, in questo senso anche il Parere della XIV Commissione Permanente (Politiche dell’Unione Europea) del 18.01.2023 sulla proposta di legge C. 338. Accogliendo tale impostazione, si porrebbe l’ulteriore difficoltà di comprendere quale possa essere il ribasso massimo che conduce a ritenere il compenso equo nell’ambito delle procedure di affidamento dei servizi di ingegneria e di architettura. (…)”. Successivamente nella bozza del cd. bando tipo dedicato ai servizi tecnici precisa che la questione rimane insoluta e suggerisce tre distinte opzione da indicare in sede di bando al fine di consentire la presentazione dell’offerta, evidenziando in modo esemplare e con altissimo spirito

5 Nella sentenza C-377/17, la Corte di Giustizia non censurava di per sé la scelta della Germania di non abolire le tariffe minime di progettazione per architetti e ingegneri, ma riteneva che la determinazione di tali minimi non rispondesse ad un autentico interesse generale come quello di evitare, in un contesto come quello di un mercato caratterizzato dalla presenza di un numero estremamente elevato di prestatori, a svolgere una concorrenza che potesse tradursi nell’offerta di prestazioni al ribasso, con il rischio di un peggioramento della qualità dei servizi forniti.

6 Cfr. segnalazione AS 1137 del 4 luglio 2014 “Proposte di riforma concorrenziale ai fini della legge annuale per il mercato e la concorrenza anno 2014” e. segnalazione approvata il 24 novembre 2017 ai sensi dell’articolo 22 della legge istitutiva (legge 287/1990) AS 1452 – “Misure contenute nel testo di conversione del decreto legge 148/2017”

di collaborazione e onestà intellettuale istituzionale quali conseguenze dettano le tre diverse opzioni proprio con un’attenzione specifica alle alterazioni di mercato: prezzo fisso e invariabile non ribassabile, quindi con una procedura con prezzo fisso ai sensi dell’art. 108 comma 5 solo su elementi di qualità dell’offerta7; un ribasso limitato alle spese ed accessori e non sull’onorario8; una gara in cui si va in deroga all’equo compenso e si con sente di ribassare sull’intero importo a base di gara9. Più di recente poi, in un parere reso su una questione portata alla propria attenzione, ha nella fattispecie sottoposta deliberato la non applicazione della legge sull’equo compenso in quanto la legge 49/2024 non potrebbe integrare gli estremi di fonte eteronoma in quanto il bando dava puntuali indicazioni sulla modalità di ricostruzione della base d’asta e di presentazione dell’offerta economica, con buona pace dei sostenitori della tesi dell’applicabilità dell’art. 1339 del cod.civ. 10

Considerazioni conclusioni

A fronte di uno sviluppo normativo della disciplina dell’equo compenso non sempre lineare ed in considerazione delle esigenze riformatrici sottese al nuovo codice appalti, pare legittimo affermare che la giurisprudenza, nonché le stesse autorità indipendenti, rivestiranno un ruolo cruciale nel dirimere i dubbi applicativi della nuova legge sull’equo compenso. Sembra corretto notare che gli interventi normativi analizzati prendono le mosse dalla necessità di trovare un corretto bilanciamento tra l’intenzione di tutelare maggiormente il professionista e lo speciale ruolo della Pubblica amministrazione che, pur essendo compresa dalla legge n. 49/2023 tra quei “clienti forti” nel disequilibrio contrattuale rispetto ai professionisti, mantiene una particolarità esclusiva rispetto a tutti gli altri operatori, ovvero il perseguimento dell’interesse pubblico.

7 Anac precisa in modo opportuno che sulla base del dato normativo, potrebbe sostenersi che il compenso professionale individuato sulla base delle tabelle ministeriali da porre a base di gara sia in ogni caso inderogabile e, pertanto, non possa essere assoggetto al ribasso in sede di offerta. Conseguentemente le gare che hanno ad oggetto esclusivamente prestazioni professionali devono essere aggiudicate a prezzo fisso, in applicazione delle indicazioni fornite dall’articolo 108, comma 5, del codice dei contratti pubblici. La competizione tra i concorrenti quindi potrà essere soltanto di tipo qualitativo ed avere ad oggetto specifiche caratteristiche del servizio, ferma restando la possibilità di premiare l’offerta di un tempo di esecuzione inferiore rispetto a quello previsto nel bando di gara. Atteso ciò, Anac invita gli stakeholders di indicare possibili criteri di valutazione dell’offerta per una gara a prezzo fisso che consentano di salvaguardare il principio di concorrenza, scongiurando pregiudizi per le micro e piccole imprese

8 Anac evidenzia che fermo restando il divieto di sottoporre a ribasso il compenso professionale individuato sulla base delle tabelle ministeriali, si potrebbe mantenere ferma la possibilità di effettuare una gara con valutazione dell’offerta economica limitatamente alla parte di costo che esula dal compenso professionale e, pertanto, sostanzialmente, limitata alle spese generali. Con riferimento a tale possibilità, si evidenzia che consentendo il ribasso su una quota di tali spese, potrebbe verificarsi che i concorrenti più strutturati offrano il massimo ribasso sostenibile, attestandosi tutti su una quota fissa. In sostanza, ci sarebbe il rischio di attivare, anche in questo caso, ad una gara a prezzo fisso. Inoltre, si verificherebbe l’aspetto negativo che i professionisti singoli o le società di piccole dimensioni potrebbero essere costretti ad offrire un ribasso inferiore, non riuscendo ad abbattere nella stessa misura i costi. Quindi, sostanzialmente, la competizione verrà svolta sulle dimensioni dell’operatore economico o sulla capacità organizzativa e non sulla qualità del servizio. Nel coinvolgere gli Stakeholder, però Anac li invita a verificare se, fermo restando l’inderogabilità dei parametri tabellari, sia possibile ipotizzare un ribasso sulla quotazione delle prestazioni relative alle “altre attività”. L’articolo 6, comma 2, del decreto ministeriale prevede che per determinare i corrispettivi a base di gara per altre prestazioni non determinabili ai sensi del comma 1, si tiene conto dell’impegno del professionista e dell’importanza della prestazione, nonché del tempo impiegato, con riferimento ai seguenti valori: a) professionista incaricato euro/ora (da 50,00 a 75,00); b) aiuto iscritto euro/ora (da 37,00 a 50,00); c) aiuto di concetto euro/ora (da 30,00 a 37,00). L’allegato I.13 stabilisce che per la determinazione delle ulteriori prestazioni professionali si applica il decreto ministeriale 17 giugno 2016. In particolare, si chiede se, con riferimento a tali prestazioni il concorrente possa indicare un prezzo inferiore rispetto a quello stimato dalla stazione appaltante, sia per effetto dell’offerta di un prezzo migliore nell’ambito del range individuato dalla norma, sia prevedendo una migliore organizzazione del lavoro, cui consegue un impegno orario inferiore. Si chiede quindi di indicare se detta possibilità sia percorribile e se la previsione sia utile e opportuna, anche nell’ottica di favorire la massima partecipazione e l’economia degli affidamenti.

9 I sostenitori della tesi della disapplicazione della legge sull’equo compenso fondano le loro ragioni sulla circostanza che la previsione di tariffe minime si pone in netto contrasto con il principio di concorrenzialità, con evidenti dubbi di compatibilità anche a livello di normativa comunitaria. Inoltre, occorre considerare che l’articolo 2, comma 1 della legge 49/2023 definisce il proprio ambito di applicazione in relazione ai rapporti professionali aventi ad oggetto prestazioni d’opera intellettuale di cui all’articolo 2230 del codice civile. Ciò significa che la relativa disciplina è circoscritta alle ipotesi in cui la prestazione professionale trova fondamento in un contratto d’opera caratterizzato dall’elemento personale, in cui il singolo professionista assicura lo svolgimento della relativa attività principalmente con il proprio lavoro autonomo. Resterebbero, quindi, escluse dall’applicazione della disciplina sull’equo compenso le ipotesi in cui la prestazione professionale viene resa nell’ambito di un appalto di servizi, attraverso una articolata organizzazione di mezzi e risorse e con assunzione del relativo rischio imprenditoriale. Altro argomento portato a favore di tale ricostruzione è l’espressa applicazione della normativa sull’equo compenso alle “convenzioni” che sarebbero identificabili in particolari rapporti contrattuali caratterizzati da una posizione dominante del committente, con conseguente necessità di ristabilire gli equilibri contrattuali proprio attraverso l’introduzione di tariffe minime. Tale situazione non ricorrerebbe nell’ambito delle procedure di gara caratterizzate dalla presentazione di offerte libere e adeguatamente ponderate da parte degli offerenti e dalla previsione di adeguati meccanismi atti proprio ad evitare la presentazione di offerte eccessivamente basse e quindi non sostenibili (anomalia dell’offerta). Ulteriori considerazioni muovono dall’esigenza di interpretare le disposizioni appartenenti a diversi ordinamenti in modo sistematico, tenendo conto del contesto ordinamentale complessivo in cui si inseriscono, pena l’annullamento dei principi di concorrenzialità e di evidenza pubblica che governano l’affidamento dei contratti pubblici.

10 Cfr. delibera Ana del 28 febbraio m2024 n. 101/2024 ove si legge che ”L’assenza di chiare indicazioni normative e di orientamenti giurisprudenziali consolidati circa i rapporti tra la normativa sull’equo compenso di cui alla L. 49/2023 e le procedure di gara dirette all’affidamento di servizi di ingegneria e architettura impedisce che possa operare il meccanismo dell’eterointegrazione del bando di gara e che, per tale via, possa essere disposta l’esclusione di operatori economici che abbiano formulato un ribasso tale da ridurre la quota parte del compenso professionale.”

L’aggiornamento dei prezzi di riferimento ANAC: cosa cambia?

Aseguito delle dinamiche inflazionistiche registrate negli ultimi tempi – dovute, come noto, dapprima alla pandemia da SARS-Covid 19, e dopo alle vicende belliche esteuropee, tutt’ora in corso – l’ANAC ha di recente aggiornato i prezzi di riferimento in ambito sanitario dei servizi di pulizia, sanificazione e ristorazione, invero mai aggiornati nell’ultimo decennio.

Come riportato nel comunicato dell’Autorità, con riferimento ai servizi di ristorazione il prezzo di riferimento rispetto ai dati pubblicati nel febbraio 2022 è stato rivalutato del 3,18%, sulla base dell’indice dei prezzi Istat “NIC classe ECOICOP 11.1.2”, pubblicato dall’ISTAT lo scorso mese di maggio. Per quanto riguarda, invece, i servizi di pulizia e sanificazione, il relativo prezzo di riferimento è stato rivalutato del 4,64%, con riguardo all’ultimo indice dei prezzi alla produzione dei Servizi di pulizia e disinfestazione pubblicato da Istat (giugno del corrente anno), in ottemperanza alla delibera di settore n. 213/2016.

Un’eventuale variazione dei prezzi di riferimento in corso d’esecuzione, potrebbe determinare uno squilibrio delle prestazioni e giustificare la revisione dei prezzi ovvero il riequilibrio delle prestazioni, in ossequio al principio della conservazione dell’equilibrio contrattuale innovativamente introdotto dall’art. 9 del nuovo codice

Ma cosa si intende quando si parla dei prezzi di riferimento?

Si tratta in buona sostanza di uno strumento di razionalizzazione della spesa pubblica, che storicamente assume una forte valenza regolatoria in ottica di spending review

delle pubbliche amministrazioni che stipulano contratti pubblici relativi all’acquisto di beni e servizi: come chiarito dall’art. 9, co. 7 del D.L. n. 66/2014 (norma generale istitutiva dei prezzi di riferimento) sono parametri “utilizzati per la programmazione dell’attività contrattuale della pubblica amministrazione e che costituiscono prezzo massimo di aggiudicazione, anche per le procedure di gara aggiudicate all’offerta più vantaggiosa”. In ambito sanitario, la cornice normativa è costituita dall’art. 17 del D.L. n. 98 del 2011. Ed è proprio al fine di soddisfare gli adempimenti imposti da questa norma che l’ANAC si è adoperata per sviluppare una metodologia statistico-econometrica per la determinazione dei prezzi di riferimento in ambito sanitario, che, come visto, prende le mosse dagli indici dei prezzi Istat (il FOI per i servizi di lavanolo; NIC per i servizi di ristorazione; indice dei prezzi alla produzione dei Servizi di pulizia e disinfestazione per i servizi di pulizia). Come chiarito dalla stessa Autorità, l’ANAC si occupa di individuare i prezzi di riferimento al fine di favorire la trasparenza del mercato e la vigilanza sull’operato dei soggetti che vi agiscono, in concreto consentendo tanto alle stazioni appaltanti quanto agli operatori economici di rendersi conto se il prezzo pattuito sia o meno ottimale: “per tale motivo, i prezzi di riferimento

sono in grado di attivare un processo virtuoso di controllo incrociato tra i vari attori in campo, che diventa efficace strumento di prevenzione dei fenomeni corruttivi e fraudolenti, ma anche di comportamenti inefficienti” (dal portale ANAC, voce “Prezzi di riferimento”).

La fissazione dei prezzi di riferimento costituisce dunque una garanzia non soltanto per le stazioni appaltanti, ma anche per gli operatori economici, dal momento che tali parametri integrano un dato di certezza nei rapporti economici di natura pubblica, tendenzialmente vincolante, in primis in sede di determinazione delle basi d’asta. L’ANAC ha, infatti, stabilito che le amministrazioni hanno facoltà di discostarsi dai prezzi di riferimento soltanto se, sulla base delle conoscenze tecniche del mercato di riferimento, ritengano di poter porre a base di gara un importo inferiore, il cui calcolo sia dettagliatamente illustrato e fondato su valutazioni che non devono apparire né illogiche né arbitrarie, ma, al contrario, risultino analitiche e aderenti alle modalità di esecuzione del servizio, rendendo così giustificato lo scostamento (Delibera ANAC n. 499 del 25.10.2022). Dal punto di vista degli operatori di mercato, la rilevanza di tale meccanismo travalica la fase di predisposizione degli atti di gara, per assumere rilevanza nella verifica dell’anomalia dell’offerta (art. 110 D.lgs. n. 36/2023), potendo i criteri e i parametri utilizzati in quella sede essere individuati dalle stesse stazioni appaltanti anche ai fini dell’individuazione delle offerte sospette di anomalia, dal momento che il nuovo codice non prescrive più un meccanismo automatico di individuazione delle offerte da assoggettare a verifica quando il criterio di aggiudicazione prescelto sia quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa

prezzi di riferimento

secondo il parametro del miglior rapporto qualità/prezzo. Ma la centralità dei prezzi di riferimento si riverbera anche sulla fase dell’esecuzione del contratto: un’eventuale variazione dei prezzi di riferimento in corso d’esecuzione, potrebbe infatti determinare uno squilibrio delle prestazioni e giustificare la revisione dei prezzi ovvero il riequilibrio delle prestazioni, in ossequio al principio della conservazione dell’equilibrio contrattuale innovativamente introdotto dall’art. 9 del nuovo codice, potendo certamente rientrare tra le circostanze imprevedibili che rendono necessaria la modifica ai sensi dell’art.

120 del codice, tra le quali figurano “nuove disposizioni legislative o regolamentari o provvedimenti sopravvenuti di autorità o enti preposti alla tutela di interessi rilevanti” (v. TAR Napoli, sentenza n. 3735 del 13.6.2024). In conclusione, il ruolo dei prezzi di riferimento elaborati dall’ANAC, anche in quanto possibile estrinsecazione, sul piano pratico, del principio della fiducia, lungi dal riguardare esclusivamente le stazioni appaltanti, deve fungere da linea direttrice anche per le imprese operanti nei settori interessati, in tutte le fasi del contratto, sempre in ottica di concorrenza piena e trasparente. Resta la forte criticità dell’utilizzo dell’indice FOI, o degli indici dei prezzi alla produzione, laddove il riferimento all’indice NIC non solo per la ristorazione ma anche per i servizi di pulizia e sanificazione, avrebbe consentito una più efficiente attualizzazione dei prezzi all’incremento (anche) del costo del lavoro previsto in sede europea, cui invero fa riferimento il CCNL del settore delle imprese di pulizia, servizi e multiservizi, attualmente impegnate ad affrontare il tema in sede di rinnovo contrattuale.

Il nuovo principio della “conservazione dell’equilibrio contrattuale”: tra la revisione dei prezzi e le modifiche non sostanziali del contratto. La prima sentenza “nomofilattica” del TAR di Palermo

Con l’entrata in vigore del D.Lgs. 36/2023, ovvero del nuovo Codice dei Contratti Pubblici, abbiamo conosciuto la nuova impostazione che il legislatore nazionale ha voluto dare alle Direttive UE 2014/23, 24 e 25, reinterpretando, rispetto al previgente

“Codice”, le indicazioni comunitarie con un taglio meno “ingessato” da regole prettamente procedimentali e reingegnerizzato soprattutto con l’introduzione della parte I^ dedicata ai “principi” e nella parte II^ relativamente alla digitalizzazione del ciclo di vita dei contratti ed alla apertura alle innovazioni che verranno dall’utilizzo dell’AI.

In questo articolo però ci soffermeremo sulla parte I^. Molte riviste di settore si sono, opportunamente, dedicate ai primi 3 articoli, detti anche “super principi” poiché il legislatore ha voluto attribuire una valenza superiore rispetto agli altri sette, se proprio l’art. 4 (criterio interpretativo e applicativo) chiarisce che le disposizioni del “Codice” si interpretano e si applicano in base ai primi tre principi, ovvero del risultato (art.1), della fiducia (art.2) e dell’accesso al mercato (art.3).

raggiungimento dell’obiettivo finale che è: a) nella fase di affidamento giungere nel modo più rapido e corretto alla stipulazione del contratto; b) nella fase di esecuzione (quella del rapporto) il risultato economico di realizzare l’intervento pubblico nei tempi programmati e in modo tecnicamente perfetto; il principio della fiducia di cui all’art. 2 del nuovo Codice amplia i poteri valutativi e la discrezionalità della P.A., in chiave di funzionalizzazione verso il miglior risultato possibile; il principio del risultato e quello della fiducia sono avvinti inestricabilmente: la gara è funzionale a portare a compimento l’intervento pubblico nel modo più rispondente agli interessi della collettività nel pieno rispetto delle regole che governano il ciclo di vita dell’intervento medesimo» (Consiglio di Stato, V, 27 febbraio 2024 n. 1924).

Questa interpretazione del T.A.R. di Palermo contribuirà alla funzione nomofilattica sulla corretta applicazione del principio della conservazione dell’equilibrio contrattuale, anche alla luce dei principi di correttezza e buona fede a prescindere dalla norma con cui si

è esperita la

procedura

di affidamento

Anche in giurisprudenza, il combinato disposto tra i primi due principi, tra loro strettamente interconnessi, è stato ricostruito nei seguenti termini: «L’art. 1, D.lgs. n. 36 del 2023 è collocato in testa alla disciplina del nuovo Codice dei contratti pubblici ed è principio ispiratore della stessa, sovraordinato agli altri; si tratta di un principio considerato quale valore dominante del pubblico interesse da perseguire attraverso il contratto e che esclude che l’azione amministrativa sia vanificata ove non si possano ravvisare effettive ragioni che ostino al

In questo articolo vogliamo fare una analisi sistemica ed applicativa del principio enunciato dall’art.9, rubricato “conservazione dell’equilibrio contrattuale”. Il primo comma dell’articolo recita testualmente: «Se sopravvengono circostanze straordinarie e imprevedibili, estranee alla normale alea, all’ordinaria fluttuazione economica e al rischio di mercato e tali da alterare in maniera rilevante l’equilibrio originario del contratto, la parte svantaggiata, che non abbia volontariamente assunto il relativo rischio, ha diritto alla rinegoziazione secondo buona fede delle condizioni contrattuali. Gli oneri per la rinegoziazione sono riconosciuti all’esecutore a valere sulle somme a disposizione indicate nel quadro economico dell’intervento, alle voci imprevisti e accantonamenti e, se necessario, anche utilizzando le economie da ribasso d’asta».

conservazione dell’equilibrio contrattuale

Il testo dell’articolo è fin troppo semplice nella sua lettura, innanzi tutto si evidenzia che il principio non è rivolto ad esclusiva tutela del c.d. “debitore” dell’obbligazione contrattuale (operatore economico), bensì fa riferimento alla “parte svantaggiata”, per cui ipoteticamente potrebbero determinarsi fattori straordinari e imprevedibili (ipotesi al momento poco probabili), per cui i contratti precedentemente stipulati (ex tunc) svantaggerebbero invero la PA (creditore). Ad oggi, però la situazione è (chiaramente) vista a tutela dell’OE, a seguito delle vicende pandemiche e degli attuali conflitti internazionali.

Tale principio è sicuramente di portata innovativa, sia per quanto riguarda la normativa che la dottrina e la giurisprudenza, che hanno tendenzialmente considerato il contratto d’appalto “immodificabile” nel corso della sua esecuzione (fatti salvi i casi espressamente previsti), ma anche, come vedremo nelle corrispondenti voci del codice civile (oltretutto applicabile residualmente quando talune fattispecie non sono espressamente disciplinate dal codice dei contratti).

A bene vedere il principio della conservazione dell’equilibrio contrattuale tende, per certi versi e con i dovuti distinguo, al corrispondente principio della conservazione dell’atto amministrativo

Pur non sovrapponibile, per gli interessi sottesi, evidentemente diversi, il principio tende a “conservare” l’atto per l’interesse pubblico nel primo caso, mentre nel secondo, oltre alla conservazione del contratto e quindi anch’esso nell’interesse pubblico, tende a mantenere il rapporto sinallagmatico tra debitore e creditore in “equilibrio” e quindi nell’interesse reciproco nel rispetto dei principi codicistici della correttezza e buona fede (artt.1366 e 1375 c.c.).

Proprio nel diritto civile tale principio consente di evitare, per quanto possibile, che un atto concluso venga caducato e posto nel nulla, «utile per inutile non vitiatur» stabiliscono gli artt. 1419, 1420 e 1446 c.c. ed ancora la previsione della conservazione del contratto dell’art. 1367 c.c. nonché persino del mantenimento del contratto rettificato ai sensi dell’art. 1432 del c.c.-

Val la pena evidenziare, prima dell’analisi più approfondita dell’argomento in questione, che la dottrina non è ancora unanime se applicare o meno i principi del D.Lgs. 36/2023 anche alle procedure ed alla esecuzione dei contratti in vigenza dei precedenti Codici, in considerazione del c.d. tempus regit actum, mentre altre interpretazioni tendono ad etero integrare i suddetti principi anche ai previgenti codici, per due ordini di ragioni, in primis perché i principi del D.Lgs. 36/2023 non sono altro che i naturali corollari del principio del buon andamento previsto dall’art. 97 della Costituzione, nonché dei principi comunitari a cui il ns. ordinamento è sottoposto, ed in secundis, in analogia al principio del “favor rei” previsto

dal codice penale, ovvero che l’inserimento nel relativo ordinamento contrattuale di principi che riequilibrano le posizioni dei cittadini e imprese rispetto alla naturale posizione sovraordinata della PA devono considerarsi applicabili in quanto norme di maggiore tutela. Una cosa è certa, l’interpretazione giurisprudenziale per il momento, sembra optare per l’applicazione dei principi del D.Lgs. 36/2023 anche a procedure avviate con il precedente D.Lgs. 50/2016, così come risulta evidente nella sentenza del Consiglio di Stato N. 2866/2024 in cui il G.A. ha applicato, nel caso trattato, il principio del risultato, così esprimendosi: «...Pur essendo la fornitura in questione non ancora soggetta, “ratione temporis”, alla disciplina di cui al D.Lgs. 36/2023, l’utilizzo da parte della legge di gara del parametro del risultato esplicita e conferma, nello specifico procedimento per cui è causa, il carattere immanente al sistema della c.d. amministrazione di risultato (che la dottrina ha ricondotto al principio di buon andamento dell’attività amministrativa, già prima dell’espressa affermazione contenuta nell’art. 1 del citato d. lgs. n. 36 del 2023 con specifico riferimento alla disciplina dei contratti pubblici)...», confermando tra l’altro la sentenza del giudice di prime cure ovvero la N. 2678/2023 del T.A.R. di Milano . Per spiegare meglio la riscrittura del codice e nella fattispecie del principio della conservazione dell’equilibrio contrattuale, bisogna tornare a quelle “sopravvenienze” imprevedibili che hanno condizionato l’intera società umana in corrispondenza del periodo della pandemia da Covid-19 ed al successivo conflitto russo-ucraino ed oggi ancora in bilico essendosi aggiunta anche l’instabilità del medio oriente. Tutto ciò si è (come evidentemente noto) tramutato in un aumento smisurato e repentino dei prezzi delle materie prime e dell’energia con inevitabili ripercussioni sui relativi appalti in corso d’opera ed esecuzione. In questa ottica emergenziale possiamo certamente ricordare, ad esempio, il D.L. 76/2020 ed il D.L.77/2021 ovvero i cc.dd. decreti “semplificazioni 1 e 2” che hanno derogato ad alcune disposizioni del D.Lgs. 50/2016, nonché procedure speciali per gli affidamenti aventi finanziamenti del PNRR e/o del PNC (ancora vigenti in regime derogatorio ai sensi dell’art. 225 del D.Lgs. 36/2023). Ma come non ricordare, ancora, soprattutto il D.L. 4/2022 e segnatamente l’art.29, che obbligava tutte le Stazioni Appaltanti, così come previsto adesso dal nuovo “Codice”, alla previsione negli atti di gara e/o nella lex specialis, delle clausole di “revisione prezzi” per i contratti stipulati successivamente alla pubblicazione del testo normativo (precedentemente era facoltativo e spesso le PA in difficoltà economiche non lo prevedevano affatto).

A dire il vero anche in occasione del D.L. 4/2022 il legislatore pur indicando la revisione dei prezzi per lavori, beni e servizi, questa veniva “pensata” (di fatto) tendenzial-

conservazione dell’equilibrio contrattuale

mente e strutturalmente per gli appalti dei lavori, per cui la norma si trasformò in una riforma a metà, di principio per tutte le fattispecie di appalti (anche di forniture di beni e servizi) ma nella sua operatività si evidenziava la concreta attuazione solamente in favore dei “lavori”.

Persino l’ANAC dovette sollecitare il governo ad una previsione complessiva della revisione dei prezzi anche per beni e servizi, con una nota del Presidente Busia del 22/02/2022 che in estrema sintesi chiedeva «di stabilire meccanismi che consentano di riguadagnare un equilibrio contrattuale, riconoscendo che bisogna avere clausole di adeguamento dei prezzi che tengano conto dei costi reali, indicizzando i valori inseriti nel bando di gara»

Però questa presa d’atto che il mondo era cambiato e soprattutto la coscienza che le dinamiche socio-sanitarie ed economiche attuali non potevano più considerarsi stabili, hanno determinato la necessità di non poter avere più (come fino al recente passato) la presunzione della immutabilità contrattuale, poiché nel caso si sarebbe determinato (o perpetuato) non solo uno squilibrio in danno degli OO.EE., ma un vero e proprio vulnus del “diritto”.

All’inizio di questo articolo si sono riprese alcune nozioni del diritto civile, che ricordiamo è stato promulgato nel 1942 ovvero ancora prima della nascita della ns.

Repubblica e che affonda le sue radici sia nel codice napoleonico prima ed ancora al corpus iuris civilis dell’imperatore Giustiniano (c.a. 500 d.C.).

Pur nella lungimiranza di taluni casi previsti per le “obbligazioni” così come visto precedentemente con gli artt. 1367 e 1432 del c.c., spesso le sopravvenienze che rendono eccessivamente oneroso l’adempimento del debitore (O.E.) nei confronti del creditore (PA) prevedono una soluzione caducatoria (o demolitoria) così come sancito dall’art. 1467 c.c., oltretutto invocabile (solamente) per mezzo del Giudice Ordinario e non percorribile dalle parti in causa autonomamente.

In alternativa l’art. 1664 c.c. che novella l’onerosità dell’esecuzione, era comunque inapplicabile ai contratti pubblici, in virtù del precedente art. 106 del D.Lgs.50/2016 in quanto norma speciale e ove la SA non avesse espressamente previsto nella lex specialis la previsione della revisione prezzi, in caso di sopravvenienze (di cui all’aumento dei costi dell’energia e delle materie prime) all’O.E. non restava altra possibilità che la risoluzione del contratto attraverso il giudice ordinario (vedi anche Parere ANAC in funzione consultiva N.4/2023).

Orbene questa “soluzione” nel caso fosse stata posta in essere, avrebbe comunque danneggiato anche la PA, in quanto una nuova gara, avrebbe costretto ad una potenziale interruzione del servizio, ad un affidamento temporaneo e ad un costo certamente superiore rispetto al mero riconoscimento di un “riequilibrio contrattuale” (ad

esempio una rivalutazione con indici ISTAT).

La nuova previsione codicistica, sembra avere accolto tale fattispecie, poiché non solo le SA sono obbligate a prevedere la “revisione prezzi”, ma addirittura l’istituto previsto dal comma 2 dell’art. 60 che così dispone: «...si attivano al verificarsi di particolari condizioni di natura oggettiva, che determinano una variazione del costo dell’opera, della fornitura o del servizio, in aumento o in diminuzione, superiore al 5 per cento dell’importo complessivo e operano nella misura dell’80 per cento della variazione stessa, in relazione alle prestazioni da eseguire», risulta di maggiore tutela rispetto all’art. 1664 del c.c. (inapplicabile) che prevede l’accordo della revisione per la differenza che eccede il decimo . Il principio della conservazione dell’equilibrio contrattuale quindi inquadra anche la “revisione prezzi”, ma tale istituto espressamente richiamato dal comma 5 dell’art. 9, dispone il puntuale riferimento all’art. 60 il cui primo comma, richiamando le disposizioni dell’art. 29 del D.L. 4/2022 testualmente recita: «Nei documenti di gara iniziali delle procedure di affidamento è obbligatorio l’inserimento delle clausole di revisione prezzi».

Sempre all’interno dell’articolo 9 comma 5 si fa riferimento anche alla «Modifica dei contratti in corso di esecuzione». Tale art. 120 (ex 106 del D.Lgs. 50/2016) specifica in quali casi è possibile la modifica del contratto senza una nuova procedura di affidamento. I casi espressamente previsti sono i seguenti:

a) se le modifiche sono state previste in clausole chiare, precise e inequivocabili dei documenti di gara iniziali; b) per la sopravvenuta necessità di lavori, servizi o forniture supplementari, non previsti nell’appalto iniziale, ove un cambiamento del contraente nel contempo: 1) risulti impraticabile per motivi economici o tecnici; 2) comporti per la stazione appaltante notevoli disagi o un sostanziale incremento dei costi;

c) per le varianti in corso d’opera per effetto di circostanze imprevedibili da parte della stazione appaltante.

Di particolare rilevanza sono le c.d. modifiche consentite dal comma 3 che così si esprime: «...sempre che nonostante le modifiche, la struttura del contratto o dell’accordo quadro e l’operazione economica sottesa possano ritenersi inalterate, se il valore della modifica è al di sotto di entrambi i seguenti valori:

a) le soglie fissate all’articolo 14;

b) il 10 per cento del valore iniziale del contratto per i contratti di servizi e forniture; il 15 per cento del valore iniziale del contratto per i contratti di lavori...».

Ed ancora il comma 5 che così recita: «Sono sempre consentite, a prescindere dal loro valore, le modifiche non sostanziali».

Importante in questo caso è la descrizione puntuale che il

conservazione dell’equilibrio contrattuale

legislatore intende dare all’aggettivo “sostanziale” al successivo comma 6: «La modifica è considerata sostanziale quando altera considerevolmente la struttura del contratto o dell’accordo quadro e l’operazione economica sottesa. In ogni caso, fatti salvi i commi 1 e 3, una modifica è considerata sostanziale se si verificano una o più delle seguenti condizioni:

a) la modifica introduce condizioni che avrebbero consentito di ammettere candidati diversi da quelli inizialmente selezionati o di accettare un’offerta diversa da quella inizialmente accettata, oppure avrebbero attirato ulteriori partecipanti alla procedura di aggiudicazione;

b) la modifica cambia l’equilibrio economico del contratto o dell’accordo quadro a favore dell’aggiudicatario in modo non previsto nel contratto iniziale; c) la modifica estende notevolmente l’ambito di applicazione del contratto...».

Orbene, nonostante lo sforzo del legislatore di definire a priori cosa debba intendersi “sostanziale” in tema di modificazioni del contratto, la stessa “aleatorietà” dei termini “condizioni che avrebbero consentito” o “estende notevolmente” risultano argomenti dirimibili solo dal Giudice Amministrativo.

All’uopo serve quindi richiamare la previsione del comma 3 dell’art. 2 che in merito alle scelte discrezionali della PA evidenzia «non costituire colpa grave se sono state determinate dal riferimento a indirizzi giurisprudenziali prevalenti o a pareri delle autorità competenti».

Questa disposizione normativa, sposta il ns. ordinamento un po’ verso gli ordinamenti anglosassoni di common law e segnatamente sul c.d. stare decisis, per cui d’ora in avanti, l’attività della PA ed in particolare del Responsabile Unico del Progetto (RUP) a parte tutti gli adempimenti correlati alla programmazione/progettazione, affidamento ed esecuzione, deve anche avere una buona conoscenza degli orientamenti giurisprudenziali, al fine di dare concretezza alle disposizioni di principio del nuovo codice.

In tema di applicazione dell’art. 9 del nuovo “codice”, agli appalti svolti in vigenza del D.Lgs. 50/2016 riteniamo particolarmente dirimente la recentissima sentenza del T.A.R. di Palermo N. 2251 del 16/07/2024, che crediamo possa essere, se non la prima, sicuramente tra le prime che rafforzano l’orientamento giurisprudenziale sull’appli-

cabilità non solo dei primi super principi, ma anche degli altri ed in particolare proprio quello della conservazione dell’equilibrio contrattuale. La sentenza nasce a spunto da un ricorso di un OE, che ha ritenuto l’applicazione dell’art. 9 da parte della SA (ARNAS “Civico” Palermo) di un riequilibrio contrattuale, a seguito del completamento di una fornitura di un noleggio operativo di una TAC, quale modifica “sostanziale” e quindi illegittima. L’onorevole Collegio del Tribunale Amministrativo Siciliano, ha rigettato tutti i motivi di censura mossi dal ricorrente nei confronti della SA e nello specifico ha confermato la “corretta” applicazione del nuovo principio anche alle procedure esperite in vigenza del codice previgente: «Orbene, nel caso in esame sussistono i suddetti presupposti; sicché, il richiamo nel provvedimento impugnato all’art. 9 del nuovo Codice comporta l’applicabilità della su riportata normativa, pertinente al caso in esame, sulla modifica del contratto: è stato, quindi, disposto un adeguamento del corrispettivo, peraltro entro il limite del 10% per le forniture, come previsto dalle su richiamate disposizioni, con applicazione del principio di conservazione dell’equilibrio contrattuale senza un’alterazione sostanziale del contratto originario (v., invece, per le modifiche sostanziali del contratto, il comma 4 dell’art. 106)».

Questa interpretazione del T.A.R. di Palermo siamo certi contribuirà alla funzione nomofilattica sulla corretta applicazione del principio della conservazione dell’equilibrio contrattuale, anche alla luce dei principi di correttezza e buona fede, che devono caratterizzare le parti di un contratto ed a maggior ragione quelli che riguardano la PA, a prescindere dalla norma con cui si è esperita la procedura di affidamento.

Alla luce di quanto approfondito, pur apprezzando lo sforzo del legislatore di rendere il “Codice” più dinamico ed efficiente, sconta ancora alcuni errori di gioventù che si colmeranno sia con gli aggiustamenti legislativi, che parrebbero già in discussione in parlamento e probabilmente anche con nuove direttive comunitarie (visto che le precedenti hanno già compiuto due lustri) ma soprattutto con le sentenze che via via costituiranno la strada maestra per l’interpretazione dei vari istituti, tra cui quello della conservazione dell’equilibrio contrattuale, il TAR Sicilia sembra avere iniziato il percorso nomofilattico della fattispecie.

Pianifichiamo la nostra giornata per vivere nel benessere e nella produttività

Quale sensazione proviamo, generalmente, quando terminiamo una giornata lavorativa ? Se non vediamo l’ora che siano le 17.30 è perché siamo già esausti, e ciò è indicativo di una cattiva gestione del tempo e dell’energia. E se riflettiamo sugli effetti che tale stanchezza ha sulla sfera personale, ci renderemo conto che non possiamo continuare a procrastinare la decisione di cambiare approccio alla giornata; diversamente il malessere prenderà il sopravvento, a tal punto da non rendersene conto. Sono le abitudini che fungono da sfondo ai nostri comportamenti, e alle esperienze che agiscono indisturbate, che minano regolarmente il nostro equilibrio funzionale, rispetto al mondo esterno. Le abitudini che dobbiamo stanare, perché condizionano le scelte e le modalità solutive ai problemi. Più diventiamo consapevoli più ci renderemo conto che il cambiamento deve essere la priorità; diversamente autorizzeremo gli altri a imporci il loro cambiamenti. Non perdiamo tempo: il nostro obiettivo è di individuare la sequenza che genera la cattiva gestione dell’energia e che ci fa avere come risultato malessere e irritabilità. Ci saranno dei compiti che risulteranno più impegnativi di altri. Individuiamo in quali ore rendiamo

Non bastano le competenze tecniche, sono quelle relazionali/ comportamentali a fare la differenza; e sono proprio quelle che premiano nel lungo termine perché sviluppano nei collaboratori il senso di appartenenza all’azienda, corroborato dal senso di soddisfazione e consapevolezza che il risultato ottenuto è dipeso anche da loro

di più; perché è in quella fascia oraria che, a maggior impegno, avremo la necessità di più energia. Gli studi dimostrano che la mattina, dalle 8:00 alle 12:00, la maggior parte delle persone ha il massimo rendimento; e dopo la pausa pranzo, il minimo. In quest’ultima fase è preferibile, mettere a posto ad esempio i documenti, organizzare il lavoro, e prendere meno decisioni possibili. La percezione del tempo nel lavoro non è una costante; prova ne sia che quando siamo in forma in un’ora riusciamo a produrre di più di quanto facciamo in quattro ore. Cosa cambia e cosa influisce in quest’ultima circostanza?

a) l’alimentazione incide sulla capacità attentiva. Ci sono degli alimenti che possono rallentare la digestione e di conseguenza i processi cognitivi/prestazionali; b) i pensieri a connotazione negativa sono più propensi ad attivare pattern neuronali che rubano energia;

c) ciò di cui si parlerà con i colleghi può rallentare il “metabolismo” psicofisico. Evitiamo chiacchiericci, maldicenze, critiche sterili che non portano a nulla di costruttivo.

d) la mancanza di attività sportiva non permette lo smaltimento in senso lato delle “scorie”, delle tossine e dell’aggressività latente;

e) una mancata di programmazione dei compiti da svolgere crea dispersione e sensazione di mancanza di concretezza;

f) un mancato rispetto dei compiti da svolgere crea senso di inadeguatezza;

g) il guardare soltanto ciò che non si è fatto alimenta il senso di insoddisfazione e frustrazione; h)il pretendere di fare più compiti durante la giornata rispetto a ciò che sappiamo di poter fare, è il preludio della percezione del senso di incompiutezza. Partiamo da presupposto che dovremo domandarci cinque giorni su sette: com’è andata? L’approccio metodologico che suggerisco di iniziare a costruire nella mente è quello che chiede di porti al centro di te stesso senza dare a nessuno la responsabilità dei tuoi risultati. Se, ad esempio, non siamo soddisfatti del lavoro non prendiamocela con il luogo di lavoro, siamo noi che abbiamo deciso di continuare a vivere in quell’ambiente.

Finalmente abbiamo capito che non bastano le competenze tecniche, sono quelle relazionali/comportamentali a fare la differenza; e sono proprio quelle che premiano nel lungo termine perché sviluppano nei collaboratori il senso di appartenenza all’azienda, corroborato dal senso di soddisfazione e consapevolezza che il risultato ottenuto è dipeso anche da loro. Una volta ottenuto questo risultato anche il responsabile sarà contento del proprio lavoro. Vinciamo tutti (approccio win-win).

Ventiquattro ore di carburante

Immagina di avere tre accumulatori di energia durante la giornata; tre momenti in cui ne monitori i livelli per non rimanere in riserva. Il primo accumulatore è rappresentato dal Lavoro, il secondo dal tempo Personale/ Familiare e il terzo dalla notte, dal dormire profondamente. Ogni accumulatore per comodità didattica è settato per le otto ore, per il totale delle ventiquattro ore giornaliere. Ti sei appena svegliato ma non hai riposato come avresti dovuto; sei già stanco ancora prima di alzarti. Il primo pensiero è quello di prepararti in tempo per non far tardi a lavoro. Fai una colazione veloce e ti metti in macchina; ti aspetta un viaggio di un’ora. Non hai ancora cominciato il lavoro e sei già stanco (sono appena le 8.30). Gli impegni quotidiani mettono a dura prova, e tra alti e bassi arrivi alle 17.30 esausto, con una dose eccessiva di “elettricità”. Ti rimetti in macchina e vai a casa. Appena arrivato anche l’am -

benessere al lavoro - parte

biente personale/familiare ha le sue richieste, ma sei spossato ed è facile dare risposte aggressive. Arriva la notte e decidi di andare a letto, ma non prendi sonno. Ti alzi di continuo, apri il frigorifero, lo guardi e ti rimetti al letto. Riesci e prendere sonno ma sono già le 5:00 e manca poco al tintinnio della suoneria. Appena sveglio, ancora prima di alzarti sei già stanco, esattamente come qualsiasi giorno trascorso. E ricominci la sequenza, giorno dopo giorno, rendendo naturale la ciclicità di questo loop temporale , a tal punto da non percepire il bisogno di cambiare. Sei consapevole che questa sequenza è stata determinata solo da te?

La nostra vita è un susseguirsi di abitudini e rituali che, consciamente o meno, mettiamo in atto nel ciclo giornaliero. Se ne fossimo consapevoli eviteremmo di rovinarci le giornate a discapito delle ventiquattro ore di tempo qualitativo di cui tutti avremmo bisogno. Gestire la propria energia garantisce il rimanere aderenti al proprio focus1 .

24hQT

Cosa sono le ventiquattro ore di quality time 2 (per brevità 24hQT)? È lo scoprire come fare il focus ai momenti della giornata imparando a non distrarsi dall’obiettivo primario che corrisponde all’essere aderenti a ciò che ci fa realmente stare bene, a prescindere dagli attacchi esterni o dall’arrivo di onde anomale ; come se fosse una continua ricerca ad essere contenti in ciò che si fa, senza aspettarsi lodi o pacche sulle spalle.

Comincia la mattina a sezionare le sequenze che regolarmente metti in atto, se vuoi comprendere come sia possibile essere caduto ancora una volta nella trappola di svegliarti regolarmente stanco; e individua gli eventi che hanno innescato il problema (il risultato).

Eventi conseguenziali A+B+C+D+E+n…= IL

RISULTATO

Vediamone assieme alcuni di questi:

a) Regalati una confezione d’ansia. Ti sei svegliato all’ultimo momento; è inevitabile che tu debba fare le corse: abluzioni mattutine, vestizione, colazione, corsa in macchina, improperi alla guida.

Criticità: non hai dato valore al tempo personale. Hai dato il via allo start che ti porterà a vivere una giornata di cattivo umore, condizionando anche la sfera dei rapporti umani.

b) La poppata notturna. Hai aperto il frigorifero più volte, e ogni volta hai mangiato. Complimenti hai sovrapposto al sonno i processi digestivi.

1 Loehr J. e Schwartz T. The power of full engagement: managing energy, not time, is the key to high performance and personal renewal, Free Press, (2005).

2 L’uso del termine in inglese rende il concetto più ampio rispetto al significato nella lingua italiana: https://en.wikipedia.org/wiki/Quality_ time

benessere al lavoro - parte 2

Criticità: se mangi fuori orario stai influenzando negativamente il tuo orologio biologico.

c) Se dormi, allora dormi! Più dici di non pensare al lavoro e più la mente ti riporta al lavoro. C’è una regola fondamentale: se non sei sul campo è inutile tentare di risolvere ciò che ti preoccupa. Sii presente in ciò che avresti dovuto fare, in questo caso dormire.

Criticità: rimuginare la notte amplifica qualsiasi cosa tu ritenga sia un problema. Prova a lasciarti andare e concentrati sul respiro.

d) Stai certo che il mondo può fare a meno di te. Ti addormenti con lo smartphone sul comodino, e ad ogni notifica di WhatsApp ti assicuri che il mondo ti cerchi. Se non le ricevi rimani interdetto e allora vai a controllare perché il mondo si è dimenticato di te. Senza rendertene conto hai già compromesso la qualità del sonno, hai sovrapposto una serie di circuiti neuronali che inficiano su quelli predisposti a lasciarsi andare: e Morfeo3 non aspetta.

Criticità: È sufficiente una guardatina di meno di tre secondi al cellulare per disturbare il sonno anche per trenta minuti. E se i messaggi sono particolarmente fastidiosi il tempo di recupero aumenta.

e) L’invisibile è essenziale. Hai trascorso qualche ora a massaggiare gli occhi (si fa per dire) con le onde elettromagnetiche, e non occorre essere un fisico per comprendere che dopo un’intera giornata attaccato al laptop gli occhi e il fisico hanno bisogno di disintossicarsi. E cosa fai a letto, guardi i social, vedi un film sullo smartphone o leggi un libro sul tablet. Se hai la sana abitudine della lettura prima di addormentarti, la scienza suggerisce di ritornare alla carta o di utilizzare il tablet ad inchiostro elettronico (E-ink)4 a bassissimo consumo di energia, con il vantaggio di non avvertirne tensione e stanchezza.

Criticità: Secondo una parte della comunità scientifica l’esposizione ai campi elettromagnetici limita significativamente la durata e la qualità del sonno (riduzione della produzione di melatonina) aumentando anche il rischio di sviluppare malattie, tra cui il cancro5

Adesso hai una base di indizi per riflettere sull’algoritmo che metti in atto, il cui risultato contrasta con la qualità del risveglio. E fra non molto imparerai a riformulare la sequenza che porta un miglioramento in termini di durata e qualità del sonno, con un impatto considerevole nelle altre sfere della giornata (lavoro e

3 figura mitologica greca, figlio di Ipno e Notte.

tempo personale/familiare).

Vuoi cominciare bene la giornata? eccoti il primo indizio: Fai vuoto!

Vale a dire: crea uno spazio temporale tra il risveglio e l’andare al lavoro. Ad esempio potresti pregare, fare meditazione, trenta minuti di camminata veloce, mettere ordine (come rifare il letto), utilizzare un rituale per preparare la colazione ponendo attenzione alla cura del dettaglio. Tutto ciò impone che dovrai alzarti prima; oppure pensavi di cambiare le cattive abitudini senza rompere le vecchie sequenze?! Ti sarà richiesto un considerevole iniziale dispendio di energia a cui il tuo cervello si opporrà con tutte le forze, fino a quando la vecchia sequenza non cederà al nuovo perché hai avuto la costanza di ripetere ogni giorno il nuovo algoritmo, consolidato biologicamente dai neuroni che hanno creato nuovi dendriti e nuove sinapsi a rinforzo dello schema che tu hai deciso di imporre alla tua giornata. Potrà sembrare strano, senza una forzatura, un atto di imposizione, è difficile ottenere un cambiamento.

L’esercizio del vuoto è fondamentale per definire la giusta distanza emotiva tra il risveglio e il lavoro. Se ti alzi con la sensazione che appena apri gli occhi pensi immediatamente a ciò che dovrai fare allora il mio tip ti aiuterà ad aziendare6 con maggiore lentezza. Vedrai che tutto ciò che ti circonda sarà distante al punto giusto; come se fossi uno spettatore di eventi che fino a poco tempo fa stringevano il collo. Per ottenere i risultati desiderati insisti almeno per due mesi, ogni giorno, e dopo avrai consolidato consapevolmente la nuova abitudine. A tal proposito, il giorno prima di cominciare, scrivi sulla scheda, che ti fornirò, l’algoritmo che metti in atto, e il malessere conseguente. Poi individua la nuova sequenza e sperimentala; dopo due mesi scrivi come stai, cosa è cambiato e qual è l’abitudine che hai consolidato. Senza un parametro di confronto, una misurazione tra l’ex ante e l’ex post dimenticherai naturalmente come stavi e alla fine non avrai appreso la strategia che sottende l’esercizio, e che potresti usarla in qualsiasi campo. Sviluppa la consapevolezza di ciò che c’è di nuovo, che corrisponde ad uno stato mentale che va oltre il semplice esercizio ripetitivo. È fondamentale che questo senso di consapevolezza sui benefici ottenuti sia reale, diversamente l’algoritmo che ti ha portato a cambiare non lo interiorizzi ed è come se non avessi imparato la lezione da te stesso.

4 http://www.ilgiornale.it/news/politica/cos-tablet-pc-e-cellulari-ci-cambiano-cervello-1740785.html

5 https://ilsalvagente.it/2018/11/02/cellulari-e-tumori-studio-usa-sui-topi-radiazioni-aumentano-rischio-di-cancro/

6 Il termine aziendare non esiste, sta ad indicare l’entrare nel pianeta azienda come se fosse un atterraggio.

IX Corso di Alta Formazione 2022/23

per Funzionari e Dirigenti in Sanità

Area Provveditorato - Economato - Patrimonio - Centrali Regionali

Il partenariato pubblico privato Per l’attuazione del PNNR

Riassunto

Gruppo di lavoro:

Furnari Filippo, Fondazione IRCCS Ca’ Granda Osp.Maggiore Policlinico,Milano

Lucarelli Alessandra, Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana, Pisa

Malesci Cinzia, ESTAR Regione Toscana

Martelli Cinzia, ESTAR Regione Toscana

Miglio Elena, Azienda Ospedaliero Universitaria Maggiore della Carità, Novara

Patassini Antonella, Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana, Pisa

Zappini Recalcati Noemi, Fondazione IRCCS Ca’ Granda Osp.Maggiore Policlinico,Milano

Storia ed evoluzione del partenariato pubblico privato

Il partenariato pubblico privato (PPP) è una forma di cooperazione tra servizi pubblici e privati, con l’obiettivo di finanziare, costruire e gestire infrastrutture o fornire servizi di interesse pubblico Il PPP è stato introdotto dalla Legge n. 166/2002. L’art. 19 comma 2-ter della stessa attribuiva alle amministrazioni aggiudicatrici la facoltà di dare in concessione ad un privato un’opera funzionale alla gestione di servizi pubblici o acquisto di servizi realizzati dall’infrastruttura del concessionario dietro un corrispettivo prestabilito. Per la prima volta veniva messa in atto una forma di cooperazione tra poteri pubblici e privati di interesse pubblico. Solo con il successivo D.lsg.163/2006 nonché l’introduzione di ulteriori decreti correttivi, si aveva una prima codificazione del contratto di PPP. Tale norma, contemplava, finalmente, una serie di fattispecie negoziali, che avevano come denominatore comune il finanziamento e la consequenziale assunzione di almeno una parte dei rischi connessi in capo al soggetto privato. Infine, con l’introduzione del codice dei contratti D.lgs. 50/2016 si ebbe una versione di PPP fortemente razionalizzata e analiticamente disciplinata in tutte le sue fasi procedurali e venne finalmente individuato un archetipo generale. Con gli articoli 180 e successivi del suddetto Codice si è dato vita ad un “modello generale” di partenariato, le cui forme non sono tutte riconducibili al solo appalto o alla sola concessione, regolando così il fenomeno parternariale con una “disciplina quadro”: il PPP viene confermato quale «categoria giuridica ampia e complessa che si presta ad intercettare da un lato, esigenze di maggior tutela della finanza pubblica sempre più avvertite e dall’altro opportunità di flessibilità operativa ed innovatività gestionale per progetti di dimensioni più o meno rilevanti». Il nuovo Codice dei contratti, il Dlgs.36/2023, efficace dal 1/7/2023, ha rinnovato l’istituto, soprattutto alla luce della sua importanza attuale, considerando che le misure del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) che guardano ad innovazione, transizione green e valorizzazione sociale richiedono alle Pubbliche Amministrazioni un crescente impegno in termini di capacità progettuale a cui può concorrere attraverso lo sviluppo di forme di Partenariato.

Elementi che contraddistinguono il partenariato pubblico privato

Punto di riferimento per la definizione e le caratteristiche del PPP è dunque, ad oggi, l’art. 180 del D.lgs. n. 50/2016. Il Legislatore statuisce che si debba considerare contratto di PPP a tutti gli effetti, qualunque figura contrattuale che presenti le seguenti caratteristiche:

- durata relativamente lunga della collaborazione pubblico-privata e legata all’ammortamento dell’investimento effettuato;

- modalità di finanziamento sostanzialmente a carico del soggetto privato;

- ruolo strategico del privato in ogni fase del progetto (il partner pubblico si concentra, principalmente, sulla definizione degli obiettivi da raggiungere e garantisce il controllo del rispetto di questi obiettivi);

- ripartizione dei rischi dell’attività tra soggetto pubblico e privato: trasferimento al privato dei rischi legati alle opere.

All’interno della esemplificazione attuata dal Legislatore, si distinguono le seguenti tipologie contrattuali tipiche ed atipiche: a) finanza di progetto b)concessione di costruzione e gestione, concessione di servizi c )locazione finanziaria o leasing d) contratto di disponibilità.

La ragione della differenziazione degli istituti risiede nell’esigenza per la Pubblica Amministrazione che nell’attuazione dei propri obiettivi, garantisca di aver intrapreso il procedimento più conveniente in termine di costi, tempi e livelli di performance. La migliore sistemazione dei suddetti istituti giuridici ed un quadro normativo più chiaro consentono un maggior interesse per i privati a partecipare alla realizzazione di infrastrutture di interesse pubblico.

Elementi che sono stati di recente individuati quali potenzialità nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e potranno essere ulteriormente valorizzati ricorrendo a tale istituto nell’ambito delle procedure di affidamento programmate nel PNRR consentendo alle amministrazioni di perseguire ancora con maggiore efficienza gli obiettivi mediante la cooperazione con il privato.

Partenariato pubblico privato: strumento di realizzazione del PNRR

Il PPP è indicato dal PNRR in termini di catalizzatore di risorse finanziarie private, ulteriori, rispetto a quelle stanziate dall’Unione Europea, per assicurare il raggiungimento degli obiettivi del Piano stesso.

La logica del ricorso a un PPP, come alternativa all’appalto pubblico tradizionale, si fonda sul postulato che

Tutor: Maria Grazia Colombo

una condivisione ottimale del rischio con il partner privato offre un migliore «Value for Money» per il settore pubblico, in quota superiore al 49% rispetto all’investimento complessivo, quindi sotto il profilo del rischio, il PPP consente all’Ente di minimizzarlo e di realizzare opere di interesse pubblico senza assumere i relativi rischi finanziari e di mercato, posti direttamente a carico dell’operatore economico. Sotto il profilo delle tempistiche di realizzazione, nell’ambito dell’attuazione del PNRR, il ruolo dell’operatore economico che progetta, realizza e gestisce l’opera e che porta il suo know how al servizio dell’Amministrazione, si rivela prezioso con riferimento ai limiti temporali fissati per la realizzazione degli interventi. Rischi e vantaggi del partenariato pubblico privato Il contratto di PPP quindi costituisce uno strumento determinante per le Pubbliche Amministrazioni (PA) mediante il quale realizzare obiettivi strategici grazie ad un insieme di incentivi Si tratta, dunque, di uno strumento che mediante la corretta allocazione dei rischi – in particolare il rischio operativo – risulta conveniente per la PA in quanto si traduce, nella sua accezione puramente economica, in un incentivo per l’operatore economico a conseguire la massima efficienza, dalla quale dipende la sua remunerazione, a fronte di innovazione e qualità nella gestione del servizio nonché un investimento dai tempi e costi certi.

L’operatore economico che desiderasse porre il proprio know-how aziendale al servizio delle esigenze dell’Amministrazione pubblica può, dunque, realizzare un progetto dai connotati descritti dall’articolo 183, comma 15 del D.Lgs. 50/2016 s.m.i. nonché articoli 14, 17 e 95 del DPR 207/2010

Un parametro molto utilizzato dagli studiosi per valutare la bontà in termini di efficienza delle operazioni di PPP è il Value for Money (VfM) , inteso come margine di convenienza di un’operazione di finanza di progetto in PPP rispetto ad un appalto tradizionale. Il fattore «rischio» è uno degli elementi qualificanti del PPP sia all’inizio che per tutta la durata del progetto. Un investimento crea VfM quando consente di ottenere una riduzione dei costi di costruzione e gestione, una migliore allocazione dei rischi, una più rapida realizzazione dell’opera, un incremento degli standard qualitativi o della redditività dell’investimento. La massimizzazione del Value for Money per la P.A. può essere ottenuta proprio grazie a un’efficiente allocazione dei rischi, finalizzata a trasferirli per quanto possibile al soggetto privato. Matrice dei rischi

La matrice dei rischi è il documento che individua ed analizza i rischi connessi all’intervento da realizzare ed è utilizzato, in fase di programmazione, per verificare la convenienza del ricorso al PPP e deve essere predisposta ogniqualvolta si ricorra all’utilizzo di un PPP a prescindere dalle sue dimensioni e complessità.

La valutazione della convenienza del Partenariato: il “PPP Test”

Al fine di definire la fattibilità e la convenienza dell’utilizzo di una forma di partenariato rispetto all’appalto le best practices suggeriscono alla PA l’opportunità di porre in essere il cosiddetto “PPP Test”: tale strumento, analizzando costi e benefici delle varie alternative a disposizione, ha lo scopo di stabilire se il ricorso al PPP costituisca effettivamente la migliore opzione possibile attraverso il ricorso al Value for Money, già in precedenza richiamato con la possibilità di ricorrere alla tecnica del c.d. Public Sector Comparator

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(PSC), ovvero l’ipotetico costo “aggiustato” con una componente di rischio, nel caso in cui l’infrastruttura venga finanziata e gestita interamente dalla PA. Gestione dei rischi e riflessi sui bilanci pubblici

A tale proposito, uno dei provvedimenti di maggiore rilievo è rappresentato dalla Decisione Eurostat dell’11/02/2004, che fornisce fondamentali riferimenti in relazione al trattamento contabile nei conti nazionali. Eurostat propone che gli assets connessi a procedure di PPP non debbano essere classificati come attivo patrimoniale pubblico e, pertanto, non siano contabilizzati all’interno del bilancio delle P.A. In Italia le norme stabiliscono che “alle operazioni di PPP si applicano i contenuti delle decisioni Eurostat”, come confermato dalla Determinazione 11 marzo 2010, n. 2 dell’AVCP .

PPP applicato al PNRR: Il caso studio. Procedura svolta da AGENAS – Telemedicina AGENAS ha la responsabilità di coordinamento e di indirizzo tra tutte le agenzie nazionali e le Regioni per lo sviluppo della sanità digitale.

Ad AGENAS con L. nr. 25/2022 vengono attribuiti molteplici compiti connessi all’investimento relativi alla M6C1 del PNNR, tra questi l’emanazione di Linee Guida che consentano alle Regioni di poter erogare e sviluppare modelli di Telemedicina con regole standard e condivise, la gestione della Piattaforma Nazionale di Telemedicina e la definizione delle tariffe delle prestazioni erogate in Telemedicina, identificandola quale organismo di governance della sanità digitale.

Con il D.M. 21/09/ 22 recante “Approvazione delle linee guida per i servizi di telemedicina – Requisiti funzionali e livelli di servizio” è stata introdotta per la prima volta una disciplina normativa sulla telemedicina. Il decreto ha la funzione di stabilire standard tecnici e di servizio che gli Enti territoriali dovranno implementare nella progettazione dei propri servizi, affinché l’offerta sanitaria di telemedicina diventi diffusa e omogenea nell’ottica del perseguimento della realizzazione della Missione 6 del PNRR. In questo ambito si inserisce l’avvio da parte di AGENAS di una procedura di Partnership Pubblico Privato per l’affidamento in concessione di “Progettazione, realizzazione e gestione dei Servizi abilitanti della Piattaforma nazionale di Telemedicina PNRR – Missione 6 Componente 1 sub-investimento 1.2.3 Telemedicina”. L’iniziativa nasce dall’esigenza di colmare il divario tra le disparità territoriali, di eliminare la frammentazione delle piattaforme esistenti in ambito sanitario e di offrire maggiore integrazione tra i servizi sanitari regionali attraverso soluzioni innovative. AGENAS a seguito di una preventiva attenta valutazione dei rischi e di una corretta analisi del Value for Money relativamente alla procedura di propria competenza, ovvero l’acquisizione dei servizi abilitanti la PNT, ha verificato la convenienza a procedere ad una operazione di PPP.

In data 18/3/2022 ha avviato un Avviso Pubblico di manifestazione di interesse sottoscrivendo contestualmente con ANAC un protocollo di vigilanza preventiva-collaborativa finalizzato a verificare la conformità degli atti di gara alla normativa di settore, nonché all’individuazione di clausole e condizioni idonee a prevenire tentativi di infiltrazione criminale. L’ Avviso di manifestazione di interesse era mirato all’acquisizione da parte di Operatori Economici qualificati di proposte di PPP per l’affidamento, tramite

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project financing, della concessione oggetto della procedura, composto da un progetto di fattibilità, una bozza di Convenzione comprensiva della matrice di rischi, il piano economico-finanziario (PEF) asseverato dal soggetto promotore contenente l’importo delle spese sostenute per la proposta, la specificazione delle caratteristiche del servizio e relativa gestione. La proposta di PPP prescelta da AGENAS è stata quella presentata dall’Operatore Economico RTI Poste Italiane, Dedalus spa, Engineering Ingegneria Informatica spa, Almaviva spa, Althea Italia spa. Tale proposta, modificata a seguito delle richieste formulate dalla stessa AGENAS è stata sottoposta a confronto competitivo.

La durata della concessione è di 10 anni, con decorrenza ipotizzata nel PEF dal 1° gennaio 2023 e con termine previsto quindi al 31 dicembre 2032.

Il Bando di gara è stato pubblicato da AGENAS in data 14/10/2022, come procedura aperta con le seguenti caratteristiche:

a) diritto di prelazione da parte del promotore

b) facoltà per l’aggiudicatario di costituire una società di progetto ai sensi e per gli effetti dell’art. 184 d. lgs 50/2016 e s.m.i.) previsione di un valore stimato della Concessione decennale valorizzato in euro 341.775.855,84 i.e., costituito dal fatturato totale del Concessionario, generato per tutta la durata dell’appalto, a fronte dei contributi e dei canoni previsti

c) criterio di aggiudicazione; offerta economicamente più vantaggiosa, individuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo.

L’aggiudicazione è stata disposta in favore del Raggruppamento Temporaneo di Impresa costituito da Engineering Ingegneria Informatica S.p.A (mandataria). e Almaviva S.p.A. (mandante), per un corrispettivo complessivo della Concessione decennale pari ad € 234.992.510 i.e., cui potranno aggiungersi eventuali ulteriori oneri per l’attivazione dell’assetto transitorio. Il contratto tra AGENAS e il RTI aggiudicatario è stato stipulato in data 8/3/2023.

Il PPP in PIEMONTE – AOU Novara

La nuova sanità digitalizzata e ad alta tecnologia richiede volumi di investimenti sempre maggiori, e impensabili da realizzare senza l’apporto finanziario di imprenditori privati che possano sopperire alla mancanza di risorse pubbliche ad hoc. Questa esigenza è sentita anche a livello regionale, dove è sempre più evidente l’urgenza di fronteggiare l’obsolescenza tecnologica della maggior parte delle strutture ospedaliere pubbliche e rilanciare l’offerta sociosanitaria. In Piemonte già da alcuni anni si è cercato di sviluppare apposite e qualificate politiche regionali di imprenditoria “mista” individuando imprenditori in grado di fornire capacità finanziarie ed economiche, competenze tecniche e specialistiche indispensabili per realizzare progetti ambiziosi e interventi che necessitano di ingenti investimenti e competenze tecniche-manageriali elevate. L’ Azienda Ospedaliera Universitaria “Maggiore della Carità” di Novara ha fatto ricorso all’istituto del partenariato pubblico-privato già nel 2017 con la Concessione di servizi relativa alla gestione e manutenzione dell’intero parco apparecchiature in uso presso l’Azienda Ospedaliera. Questa esperienza ha permesso di aumentare l’offerta delle prestazioni sanitarie con ricadute positive sui tempi d’attesa e la durata delle degenze, e soprattutto ha consentito un salto decisivo verso la radiologia del futuro con l’introduzione di

servizi innovativi e il potenziamento del sistema Pacs-Ris (sistema di gestione e archiviazione immagini e referti) grazie al quale tutte le immagini vengono conservate in un unico server centrale con possibilità di consultazione da parte di tutti gli specialisti dell’AOU. Si è trattato di una forma di partenariato su proposta privata; questa è infatti partita da una Rete Temporanea di Imprese che ha presentato proposta di concessione. Nell’ambito della collaborazione che si è instaurata obbligo principale del Concessionario è quello di garantire, a proprie spese e nei termini previsti dalla Convenzione, tutte le attività inerenti la progettazione e realizzazione degli interventi di riqualificazione delle aree diagnostiche , l’erogazione dei servizi manutentivi alle apparecchiature medicali previsti , L’AOU ha assunto invece su di sé l’obbligo di mettere a disposizione i locali finalizzati all’erogazione dei servizi e alcune apparecchiature e di corrispondere al concessionario le somme dovute a titolo di corrispettivo. Anche il progetto di costruzione e gestione della “Citta’ della Salute e della Scienza di Novara”, la cui procedura è attualmente in corso, prevede la collaborazione con il privato con ricorso allo strumento della finanza di progetto. La copertura finanziaria è garantita dal finanziamento statale previsto dall’Accordo di Programma sottoscritto fra il Ministero della Salute, il Ministero dell’Economia e delle Finanze e la Regione Piemonte, dal contributo, seppur in minima parte, a carico di quest’ultima e una consistente quota a carico del Concessionario. E’ possibile pensare che il nuovo ospedale, grazie alla collaborazione con il privato, vedrà la luce in tempi se non brevi comunque impensabili fino a qualche decennio fa e con una gestione “mista” efficiente ed efficace a vantaggio della collettività e di tutta la sanità locale. In base al progetto attuale la CSS sorgerà su un’area di proprietà dell’AOU ma il Concessionario dovrà provvedere alla bonifica dell’Area. Il Concessionario dovrà inoltre garantire l’esecuzione di una serie di servizi tra i quali la manutenzione delle opere edili ed impiantistiche, il servizio di manutenzione delle reti di comunicazione e informatica, manutenzione del verde, manutenzione conduzione e gestione degli impianti elettrici, illuminazione e di climatizzazione. Oltre al Corrispettivo di cui sopra, il Concessionario avrà diritto ai ricavi derivanti dalla gestione dei parcheggi a pagamento e, laddove intenda procedere al completamento delle aree commerciali anche dallo sfruttamento, diretto o indiretto di tali aree.

In conclusione da quanto sopra analizzato, il ricorso al PPP potrebbe dunque costituire uno strumento fondamentale per l’attuazione del PNRR, mediante le procedure ad iniziativa privata, ove la realizzazione degli interventi previsti dal Piano in partnership con soggetti privati può rappresentare l’occasione di attrazione non solo di risorse, ma anche di competenze che vadano a migliorare ed efficientare l’azione della pubblica amministrazione interessata e capace di contribuire al decollo della infrastrutturazione e della ripresa del nostro Paese

Si sottolinea altresì come i contratti di PPP e i procedimenti di affidamento sembrano rispondere alla normativa sull’uso di fondi PNRR, oltreché ad un uso efficiente, efficace e rapido delle risorse, costituendo così “una valida alternativa all’appalto, soprattutto per opere che abbiano un’elevata componente gestionale o tecnica/tecnologica.

Sul soccorso istruttorio relativo alle dichiarazioni parti dell’impegno negoziale

Un nostro lettore chiede di sapere se può essere attivato il soccorso istruttorio nel caso di dichiarazioni che sono parte integrante dell’impegno negoziale che l’operatore economico si assume con l’offerta.

Come noto, agli appalti relativi al Piano Nazionale Ripresa e Resilienza (PNRR) si applica l’articolo 47, comma 4, del D.L. n. 77/2021, convertito in Legge n. 108/2021 che stabilisce che “Le stazioni appaltanti prevedono, nei bandi di gara, negli avvisi e negli inviti, specifiche clausole dirette all’inserimento, come requisiti necessari e come ulteriori requisiti premiali dell’offerta, di criteri orientati a promuovere l’imprenditoria giovanile, l’inclusione lavorativa delle persone disabili, la parità di genere e l’assunzione di giovani, con età inferiore ai 36 anni, e donne”. Ci viene richiesto di chiarire cosa accada nel caso in cui un partecipante ai suddetti appalti PNRR ometta di inserire una dichiarazione integrativa come, ad esempio quella in merito all’impegno ad assicurare all’occupazione femminile, in caso di aggiudicazione del contratto, una quota pari al 30% delle assunzioni necessarie per l’esecuzione del contratto.

Il TAR Emilia Romagna, sede di Bologna, con sentenza n. 100 del 12.2.2024 ha precisato che la dichiarazione all’impegno di assicurare, in caso di aggiudicazione del contratto, una quota pari ad almeno il 30% delle assunzioni sia all’occupazione giovanile sia a quella femminile, si colloca nell’ambito dell’offerta negoziale, quale elemento integrativo dell’obbligazione che la parte si assume nella proposta irrevocabile che comunica all’amministrazione nell’atto di presentare l’offerta.

Pertanto l’assunzione dell’obbligo in esame costituisce un “requisito necessario dell’offerta” (vedi anche sentenza n. 1244/2023 del Tar Puglia, sede di Lecce) per cui la

dichiarazione deve essere riscontrabile già in sede di proposizione dell’offerta del soggetto partecipante. Infatti “ in base ai principi di autoresponsabilità e di diligenza professionale che devono caratterizzare la condotta di ogni operatore economico nel corso della procedura….occorre interpretare le disposizioni della lex specialis in chiave conforme e coerente con la disciplina imperativa primaria posta dall’art. 47, comma 4, del D.L. n. 77/2021”. Non giustifica l’omissione neppure il carattere meramente eventuale dell’assunzione dell’obbligo che sarà destinato ad operare, sul piano concreto, solo in caso di aggiudicazione, perché l’impegno si configura come dichiarativo attuale e incondizionato.

Ciò premesso, neppure il soccorso istruttorio di cui all’art. 101 del D.Lgs. n. 36/2023 trova applicazione anche perché, in conformità alla consolidata giurisprudenza (vedi Consiglio di Stato, sezione V, 24.10.2023, n. 9186) il soccorso istruttorio viene escluso riguardo alle dichiarazioni che fanno parte integrante dell’impegno negoziale che l’operatore deve assumersi nella formulazione dell’offerta. Senza dimenticare, in ogni caso, l’espressa esclusione dall’ambito di applicabilità del soccorso istruttorio della “documentazione che compone l’offerta tecnica e l’offerta economica”.

Dunque, per rispondere al quesito del lettore, non può essere utilizzato il soccorso istruttorio nel caso di dichiarazione parte integrante dell’impegno negoziale apposta nel rispetto della specifica normativa del PNNR più volte richiamata.

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Affiancamento durante le sedute di gara e redazione dei relativi verbali

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