OPENINGS | L'HOUSE ORGAN DI EDILPIÙ | N. 2 2021

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«Se alzi un muro, pensa a cosa lasci fuori» [Italo Calvino]


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Openings in tour

Soglie ritrovate

Sulla soglia del Ravenna Festival

Forgotten Architecture

Suono e immagini: la musica di Openings

In armonia con la vita

Le porte della creatività

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Dare una nuova anima

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I 40 anni di Edilpiù Nuovi orizzonti

Arte e progettualità La nuova vita del Villino Sella

Come un accordo Il suono di una stanza

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Design del suono

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Fra musica e architettura Onde, ritmi e frequenze

Contrasti armonici Buildings

Le Noah Guitars


editoriale

34 Rigenerazione urbana Attivare un territorio

66 Includere o escludere? Trasparente solidità Il progetto per Quick Spa

OPENINGS_

L’house organ di Edilpiù Anno II - N. 2

Progetto grafico KAERU - kaeru.it Testi Chiara Tartagni Coordinamento Nicolò Montevecchi, Giusy Di Stasio Fotografie Intro p. 6: Guido Guidi Art. pp. 8, 14, 22, 34, 40, 58, 70: Gianluca Gasperoni Art. pp. 28, 46, 66, 76: Daniele Domenicali Art. p. 52: Marco Onofri, Gianluca Gasperoni Stampa La Greca Arti Grafiche - Forlì (FC) Edilpiù S.r.l. Via Piratello, 58/2 48022 - Lugo (RA) edilpiu.eu Finito di stampare nel mese di novembre 2021 Il presente è un progetto editoriale indipendente, finanziato esclusivamente in forma privata, privo di periodicità e distribuito brevi manu gratuitamente. Pertanto - ai sensi della L 62/2001 esso non rappresenta c.d. testata giornalistica.

In questo numero ripercorriamo un anno 2021 straordinario. Openings ha accolto e incluso tanti protagonisti, sportivi, architetti, imprenditori, musicisti, che, con le loro storie e voci, ci hanno trasportato nelle loro vite. Lo hanno fatto parlando a un pubblico di ogni estrazione sociale e culturale. Abbiamo voluto avere la presunzione di provocare un modo nuovo di guardare le cose. Lunette è l’elemento di congiunzione, un punto di osservazione privilegiato: «Leggere le forme senza l’inibizione dell’esperienza. Provare a guardare il mondo a testa in giù. Il mondo non cambia, si modifica solo la prospettiva di guardare le cose per rivelare i vuoti, i silenzi e le sorprese nascoste tra le forme». Openings ci apre il passaggio oltre la soglia del film e ci catapulta in una dimensione sospesa… Il film indaga lo stretto rapporto tra arte e vita, tra necessità e sforzo creativo, tra filosofia e pensiero civile. «Lungo la via Emilia, soglia geografica per eccellenza, in un viaggio fatto di soste, di attraversamenti, di vagabondaggi». Il privilegio di avere incontrato compagni di viaggio che hanno lasciato dentro di noi tracce di bene e bellezza, che ci sono entrate nel cuore, ci spinge a perseverare nella continua ricerca di stimoli e provocazioni e contaminazioni per non dare mai nulla per scontato. Noi non alziamo muri, ma apriamo finestre e accogliamo tutto ciò che stimola il nostro pensiero. Marcello Bacchini

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«Il bordo è fondamentale, il bordo è tutto. L’inquadratura è tutto… o quasi tutto: è ciò che si trova dentro... e lascia intravedere il fuori. È la decisione di elidere una parte» Guido Guidi

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Guido Guidi Via Aldini Cesena, 1984

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Openings in tour


La proiezione di Openings. Sguardi oltre il limite presso il Pavaglione di Lugo.


Sulla soglia del Ravenna Festival Può un’azienda diventare editore? Assolutamente sì, se questo significa restituire qualcosa di importante alla propria comunità. È la scelta che ha fatto Edilpiù sostenendo la realizzazione di “Openings. Sguardi oltre il limite”, diretto da Francesca Molteni e Mattia Colombo. Il film è stato proiettato in occasione del Ravenna Festival presso la suggestiva cornice del Pavaglione di Lugo. L’evento, che è stato presentato dal giornalista Giorgio Tartaro, ha visto una nutrita partecipazione di pubblico.

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La serata ha avuto inizio con le parole di Marcello Bacchini e Federico Babina, che ha presentato il micrometraggio animato dedicato a Dante Alighieri. Per Edilpiù e per la città di Lugo, Babina ha progettato Lunette, casa fatta di sole finestre. Secondo Bacchini, «La cultura genera ricchezza nelle persone e quindi nel territorio dove operano. Con questa installazione, non vogliamo dare risposte, ma provocare domande». Tartaro ha poi invitato sul palco Francesca Molteni e Mattia Colombo per introdurre la proiezione del film. Molteni ha esaltato Lugo come luogo metafisico prima

di evidenziare l’identità di Openings: una riflessione sul confine in un periodo di “confinamento”, alimentata da un senso di comunità. Colombo, che è anche direttore della fotografia, si è soffermato sulla composizione delle immagini in relazione alla colonna sonora, composta da Luca Maria Baldini. «Non è stato facile tenere insieme tutto, ma ci ha aiutato l’idea della Via Emilia come collana di perle, raccontata all’inizio del film. La musica e il voice over ci fanno da guida in un territorio in cui non esiste la retorica: il documentario si è fatto con le persone».

PRIMO PIANO | Sulla soglia del Ravenna Festival

La serata ha visto partecipare promotori, autori e protagonisti del film.

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Openings è stato poi commentato dal Sindaco di Lugo Davide Ranalli: «È il racconto di una terra che ha saputo fare tanto, in cui alcune imprese non hanno voluto limitarsi a pensare per sé». Cultura e bellezza ritornano nelle parole del Presidente dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini, che ha rimarcato un fatto poco noto: «La nostra è l’unica regione al mondo a prendere il nome da una strada, nata per separare e che invece unisce: è diventata soglia fra due realtà, in cui l’ospitalità non ha eguali al mondo». Fra i protagonisti del film c’è il velista Andrea Stella, la cui vita è profondamente toccata dal tema

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della soglia: «Più che la correttezza del linguaggio nei miei confronti, ciò che davvero mi infastidisce sono gli scalini. Risolviamo i problemi concreti: la progettazione che serve a me serve anche a una mamma col passeggino, a una persona anziana». L’architetto Simone Sfriso di TAMassociati si sofferma proprio sulla progettazione legata alla consapevolezza: «L’idea di bene comune è emersa con forza in questo periodo, ma tale momentanea condizione di debolezza è invece un fatto quotidiano per molte persone. Noi guardiamo la periferia come se fosse lontana e invece dev’essere vicina».


«La cultura genera ricchezza nelle persone e quindi nel territorio dove operano. Non vogliamo dare risposte, ma provocare domande»

PRIMO PIANO | Sulla soglia del Ravenna Festival

Rossella Miccio, Presidente di Emergency (a cui è stato devoluto l’intero incasso della serata), ha sottolineato: «Per noi la bellezza è sempre parte integrante di un percorso di cura, per restituire dignità a chi è vulnerabile. L’architettura ha la responsabilità di ripristinare un principio d’uguaglianza». La volontà di Edilpiù è ora quella di condividere il film e la Romagna al di fuori del territorio. «Senza soste, sempre in viaggio»: Roberto Bosi, co-autore del film, conclude citando Pier Vittorio Tondelli. «Il confinamento ci ha comunque permesso di fare questo viaggio: andremo lungo la Via Emilia e molto oltre».

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PRIMO PIANO | La musica di Openings

Suono e immagini: la musica di Openings

Le porte della creatività Openings è un viaggio in cui si esaltano a vicenda le immagini e la musica, composta da Luca Maria Baldini. Ravennate, sound designer e artista, Baldini ha una lunga esperienza nell’indagare il suono in contesti della più svariata natura. Raccontaci il processo creativo che ti ha portato a comporre la colonna sonora di Openings. Per prima cosa ho fatto un brainstorming visualizzando dei fotogrammi. Nel mio processo creativo io parto quasi sempre dalle immagini. Ho scoperto che è il mio vincolo iniziale: possono essere foto, video, immagini teatrali, uno scorcio… Ora vivo a Milano e per me è stata una sorpresa vedere la Romagna nelle sue architetture, di cui alcune a me note e altre no. L’estetica dei luoghi, la loro essenza e i modi di parlare mi riguardavano nel profondo ed è stato interessante

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guardarli da un punto di vista esterno e professionale. Nella seconda fase, ho deciso su quali elementi basarmi. È stato delicato il confronto con la figura di Raoul Casadei, così iconica e legata a un forte immaginario. Ho scelto di omaggiarlo senza imitarlo, fin dal primo brano presente nel film. Ho preso un ukulele e ho ascoltato vari brani di liscio per entrare nella giusta dinamica. Il risultato è un liscio super rallentato che parte da un riff trascinato indietro, come se stretchassi il tempo. Ritrarre con uno sguardo contemporaneo l’Emilia-Romagna è stato importante per me. Volevo rappresentare l’oggi, raccontare una storia parallela senza limitarmi a sottolineare. Quanto è stato importante il lavoro di squadra? Molto. A questo proposito, vorrei parlare dell’importanza del rapporto con la montatrice


Didascalia foto nobis eturem simagnitatia ipictio restius.


PRIMO PIANO | La musica di Openings

Silvia Biagioni, che ha fatto davvero un grande lavoro. Abbiamo lavorato continuamente a stretto contatto: io creavo le musiche e le inviavo a lei, che a sua volta mi mandava del montato, così che insieme abbiamo costruito il flusso audiovisivo. Abbiamo trovato un buon ritmo, nell’armonia delle immagini e come team. Il tutto sempre interfacciandoci con Francesca Molteni, che ci guidava senza mai togliere libertà creativa, ma valorizzando gli aspetti più interessanti del nostro lavoro. Questa sinergia è stata sostanziale per la realizzazione del progetto. Come ti sei relazionato con immagini di architettura?

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Come l’immagine si lega al suono, l’architettura si lega allo spazio e di conseguenza al suono stesso. Nei luoghi è il suono a definire la percezione delle immagini e degli spazi, attraverso rimbombo e riverbero. Le persone non vedenti si orientano proprio attraverso il suono. È una relazione che mi affascina molto e non si smette mai di indagare. Per me l’architettura è una magia e un’utopia, perché delinea tutto ciò che uno spazio dovrebbe essere: bello, armonioso, confortevole. Non è il mio linguaggio, ma è un approccio sensato per l’arte e la musica. Hai realizzato la sonorizzazione di film muti.


Cosa significa per te dare un suono a immagini che erano state pensate senza? Prima di tutto si creano immagini col suono. Quello che si vede in muto non è quello che si vede col sonoro. Dai colori ai dettagli, ciò che ti ricorderai sarà totalmente diverso. Michel Chion ha scritto un libro fondamentale sul tema, L’audiovisione. Suono e immagine nel cinema: è un’arte che ha regole e meccanismi propri. Spesso si è sottovalutato il ruolo del suono, che è invece parte integrante delle immagini in movimento. Vedere un film muto poteva essere un’esperienza inquietante, perché il silenzio

«Nel mio processo creativo io parto quasi sempre dalle immagini. Ho scoperto che è il mio vincolo iniziale»

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principalmente in relazione con le immagini, per teatro, installazioni, mostre di design e anche per la pubblicità. La musica può nascere dalle immagini e in seguito staccarsi, tagliare il cordone ombelicale e vivere di vita propria. Così torna a creare altre immagini, nuovi immaginari, emozioni, ricordi. E in effetti nell’ascoltare le mie composizioni, c’è chi si è figurato in un paesaggio, in un luogo di campagna, in posti lontani dell’America o in regioni del Sud. La tua composizione è all’insegna della contaminazione fra generi. Hai mai incontrato delle barriere fra uno e l’altro o si tratta di un processo fluido?

PRIMO PIANO | La musica di Openings

era inquinato dal rumore tipico del proiettore. L’accompagnamento musicale serviva ad addolcire il tutto. Ma sonorizzare un film muto è un processo più profondo: significa rispettare l’opera, a meno che l’intenzione non sia proprio quella di decostruirla con un senso. Mi piace trovare un filo conduttore concettuale su cui costruire l’apparato sonoro e creare una storia nuova. Il titolo del tuo EP Imageless del 2020 parla chiaro. Avere a che fare con le immagini lascia libero l’ascoltatore di formare le proprie? Ho trovato la mia strada quando ho iniziato a lavorare

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PRIMO PIANO | La musica di Openings

«Quando ho iniziato a pensare “non ci sono barriere”, è iniziata la mia libertà. Non importa il genere, deve funzionare. Le definizioni vengono a posteriori»

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Come tanti musicisti, anch’io sono partito da chitarra, amplificatori e sale prove. Poi ho incontrato l’elettronica e le immagini: questa è stata la mia soglia. Spesso quando si compone in un certo genere, si deve cercare un’estetica del suono precisa. Questo era un blocco enorme per me. Quando ho iniziato a pensare “non ci sono barriere”, è iniziata la mia libertà. Non importa il genere, deve funzionare. Le definizioni vengono a posteriori. Quindi per me è un processo fluido: da quando sono aperto, è come se avessi aperto anche le porte della creatività. A proposito di soglie, a cosa associ questo concetto? Per me c’è molta differenza fra soglia e confine. La soglia è la consapevolezza di entrare in un luogo, di stare fra due mondi. Prenderne coscienza è importante, perché si vive quell’attraversamento concettuale o fisico: ci si sente più centrati e in ascolto.


Classe ’85, ravennate, Luca Maria Baldini ha trovato la propria libertà espressiva nel rapporto fra suono e immagine.

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Casa Mescoli-Goich, progettata da Cesare Leonardi a Modena: il camino può essere traslato verso il giardino.


Soglie ritrovate



Architetto, ricercatrice, curatrice e autrice, Bianca Felicori si impegna nella valorizzazione delle architetture dimenticate.

È una storia di passione e di tenacia, quella di Forgotten Architecture. Proprio come la storia di colei che ha ideato il progetto, l’architetto e ricercatrice Bianca Felicori. Raccontaci il progetto Forgotten Architecture. È un’esperienza collettiva nata su Facebook il 28 maggio 2019, che scavalca il tema architettonico e oggi coinvolge oltre 28.000 persone con percorsi professionali diversi. L’idea è recuperare progetti di architetti poco noti e opere lasciate nell’ombra dei maestri, approfondire figure “minori”, unire diverse formazioni in Storia dell’Architettura per integrare il percorso universitario. Annulla le barriere sociali e trasforma gli esseri umani in users a piede libero. La considero la mia piccola creatura che condivido con il mondo, nata per tante ragioni: prima tra tutte, l’interesse che ho alimentato per alcuni personaggi della storia “minore” dell’architettura italiana, come Marcello D’Olivo e Aldo Loris Rossi. Com’è nato il tuo amore per l’architettura dimenticata? Ero al secondo anno di Architettura al Politecnico di Milano e dovevo fare una ricerca a piacere con Ilaria e Giovanni, che veniva da Udine. Giovanni e io

abbiamo scoperto di frequentare le stesse località marittime, poiché mia madre è friulana, e in quella zona la meta più attraente è Grado. Affacciato sul mare, c’è un “ecomostro” (così lo chiamano i gradesi) meglio noto come “Zipser”, enorme complesso residenziale per famiglie. Giovanni mi ha proposto di focalizzarci su quello, dicendomi «è di Marcello D’Olivo». Io non l’avevo mai sentito nominare. Ho poi scoperto che D’Olivo era una sorta di genio matematico: disegnava i suoi progetti facendo sempre riferimento a forme sinusoidali. Ho continuato a dedicarmi a lui, scoprendo che aveva lavorato con un grande amico di mio padre. Era l’editore bolognese Luca Sossella, che mi ha raccontato molte storie su D’Olivo e aveva conservato l’articolo pubblicato da Repubblica nel giorno della sua morte: «Marcello D’Olivo. L’architetto dimenticato». Così ho avviato la mia personale battaglia per questo architetto e tutte le figure “minori” della storia italiana. Che valore ha per te condividere l’architettura con tante persone dalle tante storie? Inestimabile. Forgotten Architecture è un motore che si attiva, si spegne e si riattiva solo grazie alle persone che lo animano. Il contatto, seppur virtuale, ci permette di creare non solo un archivio, ma nuovi

DISCOVER | Soglie ritrovate

Forgotten Architecture

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canali di comunicazione. E molte persone hanno avuto la possibilità di scoprire non solo i progetti minori o gli architetti meno considerati dalla critica, ma anche e soprattutto la loro storia. È un bagaglio che porti con te anche nel tuo percorso quotidiano? Chiaramente. Negli anni Forgotten Architecture è diventato tante cose: eventi, progetti di curatela, tour, panel, talk, ora un libro e un documentario. Alimenta il mio percorso professionale quanto accademico: ho vinto una borsa di dottorato a Bruxelles, dove

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continuerò a indagare temi fortemente legati al progetto e ai miei studi presso il Politecnico di Milano. Se dovessi collegare l’architettura dimenticata a un genere musicale, cosa ti verrebbe in mente? Sicuramente la musica rap e la sua derivante trap. Un’indagine sociologica e antropologica sul collegamento tra l’architettura, l’urbanistica e questi generi musicali è stata anche oggetto di un programma alla Triennale Milano da me curato nel 2020. Nati da una matrice culturale americana come fenomeni underground e subculture visceralmente legati


DISCOVER | Soglie ritrovate

Fra l’archivio di Cesare Leonardi e l’esterno: grazie all’apposita impalcatura, la vegetazione crea una cupola verde.

a contesti marginali, rap e trap sono diventati linguaggio universale, annullando gradualmente ogni barriera generazionale e di classe. A volte, l’emarginazione sociale è però ancora profondamente connessa a una marginalità urbanistica. Spesso questi ragazzi provengono da ambienti periferici e provinciali che sono parte integrante della loro narrazione: il quartiere, gli amici, la sofferenza e il disagio, le criticità familiari e i problemi con la legge. Una condizione sociale esplicitata nei video musicali, dove l’architettura che fa da sfondo è quasi sempre il contesto popolare in cui sono cresciuti.

A cosa associ il concetto di “soglia” e cosa significa per te attraversarla? Per me è un passaggio necessario ogni volta che mi tocca affrontare un periodo di transizione, il passo in più da compiere. Dico “mi tocca”, sì, perché nonostante io viva in modo frenetico, faccio ancora fatica ad affrontare i cambiamenti di stato. Professioni come la mia sono un’arma a doppio taglio: ami tutto quello che fai anche se riempi completamente la tua vita, senza riuscire mai a dividere il tempo del lavoro da quello del piacere.

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In armonia con la vita

Dare nuova luce e aprire gli spazi: ecco l’esigenza alla base del progetto.

PROGETTI | In armonia con la vita

Dare una nuova anima

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Quando si è una giovane coppia, si cerca di immaginare la propria vita futura: progetti, famiglia, lavoro. Ecco perché è assai facile che in quella fantasia rientri anche una dimora ben progettata e a misura d’essere umano. E se quella casa non fosse studiata ex novo, ma dovesse sorgere sulle radici di un progetto del passato e ritornare a illuminarsi (letteralmente)? Una buona risoluzione divenuta realtà per un appartamento dei primi anni ’60 del Novecento nel centro storico di Cesena, su progetto di Andrea Donini Architettura. La necessità primaria era quella di riscattare gli ambienti interni che non risultavano più funzionali rispetto alle esigenze degli abitanti. L’intervento si è quindi focalizzato sulle stanze che, chiuse e sature di arredi, andavano a scontrarsi con disimpegni molto ampi e del tutto privi di illuminazione naturale.



Una porta scorrevole vetrata e un’asola sopraluce apportano ancora più luce.


PROGETTI | In armonia con la vita

Il progetto ha quindi voluto restituire all’abitazione tutta la luce di cui aveva bisogno. Sono state demolite molte tramezzature, così da riunire soggiorno, sala da pranzo e ingresso in un solo ambiente passante: una ridefinizione degli spazi che permette anche di intravedere la cucina e percepire la profondità dell’ambiente contiguo, ovvero il disimpegno. Questo è stato possibile grazie all’utilizzo di una porta scorrevole vetrata e di un’asola sopraluce. Per accrescere ulteriormente l’apporto luminoso, sono stati scelti serramenti in alluminio con profili in PVC a sezione minimale. La nuova composizione degli spazi è disegnata in base alla rottura della scatola stereometrica, con una dinamicità affascinante e imprevedibile. Elementi architettonici e di arredo sfilano l’uno sull’altro nelle quattro direzioni, dando così

vita a un vero e proprio inseguimento fra accelerazioni prospettiche e piani immaginari, fino a un suggestivo abbraccio finale. I giochi di chiaroscuro e le ombre indirette fanno mutare costantemente la prospettiva, che si ricompone in scorci di molteplice natura, in un contesto avvolgente e intenso. L’indispensabile tensione è data da una presenza non voluta e inevitabile, trasformata in preziosa opportunità: quella di un pilastro libero innestato a una trave ribassata al centro del soggiorno. Questa evocativa “T” ha assunto la propria consistenza materica originale e, da vincolo qual era inizialmente, è divenuta fulcro centrale della composizione. Il risultato finale? Una nuova anima, ariosa e libera, che fa respirare l’abitazione e permette a chi la vive di sentirsi in armonia con essa e con le proprie scelte. Una visione aperta sul futuro.

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PROGETTI | In armonia con la vita

Soggiorno, sala da pranzo e ingresso sono riuniti in un solo ambiente passante.

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La nuova composizione degli spazi è disegnata in base alla rottura della scatola stereometrica, con una dinamicità affascinante e imprevedibile.

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Rigenerazione urbana



Attivare un territorio Cosa significa davvero gestire la trasformazione di un territorio? Ne abbiamo parlato con Lara Bissi, Maria Cristina Garavelli e Cristina Bellini, cofondatrici di Officina Meme Architetti. Parlateci di cosa significa per voi fare rigenerazione urbana. La rigenerazione attiva un territorio dall’interno. Si tratta di una trasformazione innanzitutto culturale. Lavoriamo in questo ambito dal 2011 e abbiamo messo a punto un metodo che richiede competenze

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multidisciplinari: implica valutazione del territorio, analisi, ascolto della comunità. La rigenerazione dà anche l’opportunità di sviluppare particolarità con un’alta valenza pubblica. Attraverso la convergenza fra l’azione delle amministrazioni e quella dei privati, si rispettano qualità urbana, servizi, normativa e sostenibilità. È proprio in relazione alla comunità che si monitora l’impatto degli interventi, impostando gli indicatori con cui misurare la ricaduta sociale, economica, ambientale. L’obiettivo finale è una qualità


INTERVISTA | Rigenerazione urbana Il punto ristoro Brancaleone, riqualificato su progetto di Officina Meme Architetti.

della vita alta per tutti. È un modello di gestione in evoluzione, incrementale: consideriamo l’impatto dal breve al lungo termine, rendendo così il processo modificabile sulla base di nuove esigenze. In questo senso abbiamo testato con grande efficacia il riuso temporaneo di uno spazio, come attivatore e modello in scala 1:1 di trasformazione, in tempo reale. Una dinamica fluida, che dà alle persone i primi elementi per riappropriarsi di quello spazio. La nostra città è la nostra casa di sperimentazione

costante, ma il metodo si applica a livello nazionale. Cos’è per voi l’equilibrio fra conservazione e innovazione? Non sempre si conserva tutto: si deve fare una scelta. La trasformazione è legittima, ma l’approccio è differenziato. I nostri lavori per Ravenna, dalla Darsena alla Rocca Brancaleone, sono emblematici di una dinamica: la disponibilità di una comunità a sperimentare e innovare è ciò che permette di trarre benessere comune da ambienti estremamente

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INTERVISTA | Rigenerazione urbana

«La rigenerazione attiva un territorio dall’interno. Si tratta di una trasformazione innanzitutto culturale»

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Il progetto ha voluto conservare il contesto e innovare con nuovi elementi.

complessi. Nelle strutture in dismissione, in particolar modo quelle industriali, è importante capire quali segni enfatizzare. Perché si mantiene la suggestione della memoria e ti dà l’opportunità di avviare davvero una trasformazione innovativa ed efficace. È un modo di ascoltare. Quando vi trovate di fronte ad architetture abbandonate, in quale modo le sentite “risuonare” dentro il vostro campo di sperimentazione? È un ritmo viscerale, una vibrazione, ancora più intensa quando leggi i segni delle storie delle persone o sono le persone stesse a raccontarle. Ci si perde in un mondo di melodie, perché un luogo parla anche attraverso il vissuto e le memorie. Ogni architettura ha la propria storia e quindi un ritmo diverso. Il primo elemento di risonanza è nell’approccio a qualcosa che è lì da molto più tempo di te, che aveva una propria funzione e te la “racconta” anche se non è più in essere. I livelli di lettura sono tanti: i segni della viabilità, il verde di un vecchio giardino o della crescita spontanea, come entra l’aria, la differenza fra ombra e luce, perfino i motivi per cui la struttura non è più in uso, perché è importante capire cosa non è più necessario. Quindi ti rendi conto che quello spazio ti sta chiamando. Come vi siete relazionate con la riqualificazione del Ristorante Brancaleone?

L’intento dell’amministrazione era riqualificare uno spazio verde pubblico in un contesto molto importante. Si è reso necessario un ragionamento sulla conservazione del bene storico e su come adeguarne e supportarne l’uso. Il luogo è un punto d’aggregazione culturale e ha bisogno di servizi di qualità, anche architettonica e di design, per valorizzare la componente culturale. Questo è stato il filo conduttore del nostro intervento. Abbiamo quindi lavorato su un volume pulito, sulle trasparenze e ancora di più sui riflessi legati alla restituzione del paesaggio in cui ci troviamo, senza mai prescindere dalla compatibilità con il bene storico. Se doveste collegare la Rocca Brancaleone a un genere musicale, quali associazioni fareste? Il progetto è nato sulla base di una valenza popolare e inclusiva, in una visione attuale. Questa azione ha mirato alla qualità, nella conservazione e nella progettazione di nuovi elementi. Le vibrazioni sono quelle della musica indie, del folk, di un’etichetta libera. Cosa significa per voi la “soglia”? È un passaggio-non passaggio, che fa nascere una domanda: sono da una parte o dall’altra? È sempre una scoperta, che ti dà la spinta ad agire. Per noi è anche un momento di riflessione, che ci permette di essere centrate sul valore che il nostro lavoro può dare alla comunità.

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Come un accordo INTERVISTA | Come un accordo

Il suono di una stanza

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Un’abitazione pensata per essere la soglia fra privato e conviviale, fra silenzio e armonia melodica. È quella di Devis Tagliaferri, compositore e musicista, che ci ha raccontato il concept alla base della progettazione. Nell’ideazione del tuo spazio abitativo, hai tenuto conto del tuo lavoro e della tua passione? Quando abitavo con i miei genitori, aspettavo con ansia di andare in sala prove a comporre, fare musica e stare con gli amici. Oggi i ritmi sono diversi: butto giù le idee alla chitarra o al piano e il testo può venirmi in mente mentre do da mangiare a mio figlio. Poi porto quell’idea in studio. Quindi in questa casa, aperta e circolare, non ho voluto una sala prove, che oggi dev’essere per forza mobile. La musica dev’essere possibile in ogni angolo. Mi è capitato di registrare canzoni in bagno perché c’è una buona acustica! Il giardino d’inverno permette alla


Devis Tagliaferri e il giardino d’inverno, a contatto fisico e visivo con la natura.


INTERVISTA | Come un accordo 42

musica di unire le persone, così come il mondo interno con quello esterno, in uno scambio continuo. A ogni stanza corrisponde un’ispirazione diversa, un suono preciso. In questa casa convivono infatti forme e colori di paesi lontani. La musica e l’architettura li mettono in armonia? Mia moglie e io abbiamo passioni diverse e abbiamo cercato di unirle. Se pensiamo alle sette note, ciascuna è unica e definita. Ma l’accordo le mette insieme in una creazione speciale. La sfida di composizione della casa è stata la stessa. Abbiamo dato un’armonia a stile shabby, infissi minimal, carta da parati jungle, legno, strumenti

musicali, alluminio. E abbiamo sempre cercato di mantenere un contatto fisico e visivo fra casa e natura. Quando i serramenti si chiudono, la casa diventa un cubo metallico, ermeticamente sigillato: un accordo barré. Se sono in modalità frangisole mi fanno pensare a un accordo armonico, mentre se sono totalmente aperti li associo a un accordo libero. Cosa vuol dire per te condividere la musica con altre persone? La dimensione conviviale è fondamentale, anche in casa. Posso essere io a condividere la mia musica, così come può farlo un ospite. È un po’ come fare


una cena a base di tapas, con tanti assaggi da gustare e passare al proprio vicino. Io suono da 25 anni e ho sempre alternato cover e musica inedita. Le mie canzoni mi coinvolgono di più, ma, essendo meno famose di altre, spesso manca il sostegno del pubblico. Con le cover, la risposta è sempre maggiore e mi diverto a cambiare vestito alle canzoni celebri, in modo da dare la mia interpretazione personale. Le tue influenze musicali sono ricchissime. Se dovessi pensare ai tuoi gruppi preferiti come ad architetture, cosa ti verrebbe in mente? Sono stato adolescente negli anni ’90: sono cresciuto

«A ogni stanza corrisponde un’ispirazione diversa, un suono preciso»

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Verde, dove si trovano strutture fuori dal comune immerse nella ricchezza del paesaggio naturale. A cosa associ il concetto di “soglia”? La vedo come punto di arrivo, di partenza e di sosta. Quando torno a casa, è un porto sicuro. Ecco perché sullo zerbino di casa c’è la stella polare: qui mi ristabilizzo dopo essere stato nella grande centrifuga del mondo. A volte è un limite da attraversare per mettersi in gioco e trovare l’adrenalina che accende nuove micce. Può essere anche una finestra davanti a cui sostare, da cui osservare lo scorrere del tempo. Una fermata di meditazione in attesa del treno giusto.

INTERVISTA | Come un accordo

con Nirvana, Stone Temple Pilots, Pearl Jam, Alice in Chains, Soundgarden. Pensando a questi gruppi di Seattle, mi vengono in mente i classici capannoni industriali con ferro, pietra e legno. I riff graffianti di chitarra si uniscono alle stesure lineari del brano, come nello stile industriale. Quando entra la voce, l’armonia ammorbidisce le forme, come il legno. Ho poi spostato la mia attenzione su pop, soul e funk: John Legend, Ed Sheeran, Harry Styles, Maroon 5, Pharrell Williams. Artisti che sanno toccare più corde, come io ho cercato di fare nella mia casa con dettagli cromatici e geometrici. Mi ha ricordato la Spagna

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PROGETTI | Arte e progettualità

Nata per volontà di un artista lughese, questa abitazione è stata protagonista di un progetto di recupero.

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Arte e progettualità

La nuova vita del Villino Sella La casa di un artista, rinata bella come l’originale. È l’abitazione progettata dal pittore e decoratore Attilio Sella a Lugo, che ricevette l’autorizzazione a edificarla nel lontano 1924. Il progetto di riqualificazione ha permesso di farne rivivere la magia, grazie alle professionalità coinvolte. L’identità, unica e distintiva, di questa casa affonda le radici nella mente di un pittore, cosa evidente nella prevalenza della decorazione: una sorta di catalogo ben visibile di ciò che l’artista sapeva davvero fare. Nei primi anni ’70 l’edificio era stato ampliato sul retro, così da produrre due singole unità abitative, ed era diventato fonte di attrazione per chi vi passava davanti, grazie alla vivace componente decorativa. La famiglia che ha in seguito acquistato il fabbricato si è trovata di fronte a una situazione non facile da rimettere in sesto, sebbene i volumi non richiedessero particolari interventi risolutivi. Il progetto architettonico di riqualificazione è stato studiato e ristudiato in diverse fasi, tenendo conto delle condivisioni con la famiglia committente e con l’Amministrazione Comunale, nonché del “sentimento” dei lughesi che ben conoscevano la storia dell’abitazione. In seguito, la squadra di professionisti ha potuto verificare lo stato reale del fabbricato, che poggia su un terreno prossimo a una falda sorgiva: le fondazioni erano dunque bagnate e parzialmente immerse. Inoltre, il piano seminterrato era stato costruito secondo un metodo sperimentale, con muri in cemento, quindi privi del ferro richiesto dai calcoli di allora.

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PROGETTI | Arte e progettualità

Il progetto ha previsto la demolizione e ricostruzione della zona posteriore, seguite dallo studio dei graffiti e delle decorazioni dipinte sui muri esterni. Dato che l’intonaco risultava non più recuperabile, tutti i disegni e le figure identificate sono stati riportati su carta da spolvero. Era così possibile lavorare il nuovo impasto man mano che veniva steso. Essendo bicolore, veniva posato e spostato di volta in volta con il rabbiello a due punte: una volta essiccata l’area chiara dell’intonaco, questo strumento ha consentito di rimuoverne la parte superiore seguendo le linee del disegno. Questo ha richiesto tutta

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l’esperienza dell’équipe coinvolta, attenta a creare solchi netti ed evitare sbavature di colore. Sono stati poi ripuliti, rimessi in ordine e rimontati tutti i ferri originali. La pavimentazione esterna è stata realizzata con quarziti rosse, pulite e stuccate, mentre quella interna in marmo, legno e ceramiche. Lo studio e l’installazione degli infissi esterni si sono basati sulla scelta di materiali senza età, dal legno al vetro. L’ultimo tocco è stato dato dall’illuminazione interna, che ne esalta le forme architettoniche e crea un incanto memorabile. Una meraviglia che rivive anche attraverso le immagini.


Lo studio degli interni ha completato ed esaltato il fascino dell’esterno, da sempre noto ai lughesi.

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EDILPIÙ | I 40 anni

“Lunette” è rimasta aperta a cittadine e cittadini di Lugo, così come alle persone di passaggio, che hanno potuto fisicamente mettere alla prova il proprio concetto di soglia.

I 40 anni di Edilpiù Nuovi orizzonti

“40 soglie, infiniti orizzonti.” Così Edilpiù ha voluto onorare un traguardo importante per l’azienda. E ha voluto farlo con un pensiero speciale riservato alla città di Lugo, che da sempre la ospita e con la quale condivide una relazione di reciproca dedizione. Senza dimenticare tutte le persone che hanno contribuito attivamente a una storia in costante evoluzione.

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Creata da Federico Babina per Edilpiù, Lunette è un dono alla città di Lugo.

Durante un momento storico così complesso per tutti noi, in cui la società ha dovuto mediare con le proprie abitudini e identificare nuovi confini dell’abitare, festeggiare 40 anni insieme si è rivelato per Edilpiù molto più che una semplice celebrazione. Tutto è iniziato il 17 giugno con l’inaugurazione di Lunette, l’opera d’arte creata da Federico Babina espressamente per questa occasione. Ai piedi della rocca di Lugo, è così sorta una casa fatta solo di finestre, che nella visione di Babina costituiscono le soglie per eccellenza. Un evento a cui hanno partecipato lo stesso architetto e designer, il sindaco Davide Ranalli, che ha sottolineato la volontà dell’azienda di fare cultura e regalare qualcosa di unico alla città, e la famiglia Bacchini, che attraverso i propri rappresentanti ha potuto raccontare cosa significa per due generazioni costruire una così lunga storia. Il fondatore Gian Paolo Bacchini ha narrato le sfide e la passione dei primi anni, mentre i figli Marcello e Antonio hanno voluto valorizzare ancora una volta lo strettissimo legame fra Edilpiù e Lugo, così come il ruolo di Lunette in qualità di simbolica chiusura di un cerchio, fatto di ideali, tradizione e visione futura. Si era così creata l’atmosfera perfetta per introdurre in anteprima esclusiva la proiezione di Openings. Sguardi oltre il limite di Francesca Molteni e Mattia Colombo, il viaggio cinematografico che approfondisce il concetto di soglia e di relazione grazie a grandi personalità di architettura, musica, sport, arte e territorio. Fino alla fine di ottobre, Lunette è rimasta aperta a cittadine e cittadini di Lugo, così come alle persone di passaggio, che hanno potuto fisicamente mettere alla prova il proprio concetto di soglia e posare sulla città uno

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Lunette chiude un cerchio fatto di ideali, tradizione e visione futura.

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Dall’inaugurazione di Lunette alla curiosità di chi l’ha scoperta ed esplorata.

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L’ospitalità del Ristorante San Domenico di Imola, fra i protagonisti di Openings.

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gusti e nuovi modi per esaltarli. Al Ristorante San Domenico di Imola, Massimiliano Mascia ha fatto assaporare agli ospiti l’esperienza di questo «spazio per la felicità», dove il genuino incontra l’inventiva secondo il susseguirsi delle stagioni. Un modo per ringraziare coloro che hanno dato il proprio contributo al viaggio di Edilpiù e per stringere ancora di più quelle fertili connessioni da cui tutto parte e che tutto restituiscono. Perché, secondo le parole di Gian Paolo Bacchini, «l’impresa crea ricchezza per tutti, occupazione, servizi e rende migliore la vita della comunità a cui appartieni».

EDILPIÙ | I 40 anni

sguardo inedito, attivo, anche giocoso. Non a caso, bastava passare accanto a Lunette in qualsiasi ora del giorno per vedere bambine e bambini fare la spola fra una finestra e l’altra, inventando storie e spiandosi a vicenda. Edilpiù ha poi dedicato la giornata seguente a tutte le persone che sono entrate a far parte di questo percorso lungo la via e che continueranno a scriverne la storia insieme all’azienda. I presenti hanno potuto vivere un’esperienza indimenticabile della Romagna, all’insegna di cultura, natura e relax. Un momento di esplorazione multisensoriale che si è concluso con un’ulteriore scoperta: quella di nuovi

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INTERVISTA | Design del suono

Design del suono

Renato Ruatti nella sua casa-studio a Milano, dove progetta anche le Noah Guitars.

Le Noah Guitars Incontrare Renato Ruatti si traduce in un vero e proprio patrimonio di storie. Architetto e designer, Ruatti è tra i fondatori del progetto Noah Guitars. «Qua c’è spazio per la magia»: Lou Reed ha commentato così le tue Noah Guitars. Raccontaci il processo di progettazione e creazione. Per me è stato una sorta d’esercizio nel design, nato dall’idea del mio amico Gianni Melis di costruire una chitarra meticcia. Ha impiegato due anni a convincermi, perché quando si tratta di strumenti sento una specie di reverenza. La cosa che più mi frenava non era tanto la tecnica, quanto il dover disegnare una forma. Ma il mio amico mi ha proposto di costruire una Telecaster come se fosse una chitarra resofonica, una Dobro. Si tratta di due strumenti diversi, perché la Telecaster è elettrica, solid body, prodotta con un criterio

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INTERVISTA | Design del suono

industriale. La Dobro è una chitarra in un certo senso acustica, che però è fatta di ferro. Ho iniziato a lavorare con lastre d’ottone e saldature, ma non mi piaceva dal punto di vista del design e ho abbandonato questa strada proprio sull’attacco corpo-manico. Per tutt’altro motivo, mi sono poi trovato in un’officina dove utilizzavano le prime macchine a controllo numerico. Guardavo affascinato la macchina mentre lavorava un oggetto molto complesso in plexiglas. Allora ho chiesto cosa sarebbe successo se avessi messo dell’alluminio al post del plexiglas. La risposta è stata: «Puoi usare anche l’acciaio». È così che ho pensato a come

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costruire la mia chitarra, a tempo con la tecnologia. Perché proprio la scelta dell’alluminio? Io ero già innamorato di questo materiale. Mi sembrava il metallo “meno metallo”, più simile al legno, quindi adatto a uno strumento musicale. In seguito, ho scoperto che la capacità di trasmissione del suono dell’alluminio è simile a quella dell’abete della Val di Fiemme, con cui si fanno le tavole per i violini. Ho operato un trasferimento tecnologico da un mondo a un altro. Siccome nessuno di noi era in grado di costruire uno strumento davvero funzionante, ne abbiamo realizzato alcune parti e ci siamo poi rivolti


Una chitarra Noah in lavorazione nella cantina di Ruatti Studio Architetti.

a un liutaio. Quando gli ho chiesto «Ma funziona?», è accaduta una cosa strana, ma anche bella. Lui mi ha risposto stupito: «È muta». E io ho pensato che avessimo sbagliato tutto. In realtà, voleva dire che il single coil su quella chitarra non faceva ronzio. Le chitarre elettriche nascono appunto con una bobina singola, ma con il problema del ronzio. Per risolverlo, si è aggiunta un’altra bobina, che però ne ha cambiato la voce. Noi abbiamo risolto il problema alla radice. E questa prima chitarra è andata in scena la sera stessa della consegna, insieme al mio amico. Il processo ha visto anche degli errori di percorso?

Un cliente ci aveva dato la propria ricetta per realizzare lo strumento, ma era rimasto deluso dal risultato. Allora ho compreso che il musicista deve dirci quello che cerca e noi dobbiamo decidere come trovarlo. Ho fatto tesoro di questa esperienza per un progetto con un committente importante: Ben Harper. Si è scatenato un po’ di fermento nel gruppo, con Mauro Moia e Max Pontrelli, quando abbiamo capito di non dover seguire la sua ricetta alla lettera, ma interpretarla. Questo rischio è normale, proprio come in architettura: te lo prendi con tranquillità. Siamo andati a consegnare la chitarra ad Harper

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INTERVISTA | Design del suono

prima di un suo concerto. Poco dopo averla vista, si è allontanato per tornare con una sedia e provarla senza amplificatore. Si è allontanato di nuovo scrollando la testa, come se si stesse chiedendo cosa avessimo combinato. Subito dopo, l’ha fatta mettere fra gli strumenti che avrebbe usato durante il concerto. Il giorno dopo abbiamo ricevuto un filmato da quella serata. Harper si era messo la chitarra sulle ginocchia, presentandola al pubblico, e aveva detto: «L’unico problema di questo strumento è che mi ci vedo dentro. Mi ci vedrò invecchiare dentro». E com’è andata l’esperienza con Lou Reed?

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Su insistenza di Saturnino, per il quale abbiamo realizzato il nostro primo basso, è stato un amico di Napoli a regalare una Noah a Lou Reed. Un giorno, è arrivata una mail da parte del suo backliner, con una frase che mi ha letteralmente fatto sciogliere: «Lou dice che questo è uno strumento per scrivere». Un giorno è venuto a Milano e ha voluto conoscerci. È stato un incontro imprevedibile, perché era accompagnato da un amico, un anziano prelato italiano. Questo amico ha chiesto di visitare la cantina dove realizziamo gli strumenti e ha voluto un coperchio della chitarra firmato da tutti noi soci. Lo stesso


«Ho scoperto che la capacità di trasmissione del suono dell’alluminio è simile a quella dell’abete della Val di Fiemme, con cui si fanno le tavole per i violini»

Le Noah Guitars hanno affascinato Lou Reed, Ben Harper e tanti altri.

Lou Reed si è incuriosito e ha voluto vedere il nostro luogo di lavoro. Poi si è fatto fotografare insieme ai miei collaboratori illuminato dal riflesso della nostra chitarra. Nel frattempo, io chiedevo al suo amico come si fossero conosciuti. Lui mi ha risposto: «Un pomeriggio a casa di Jackson Pollock»! Ti sei definito «un muratore che sa di latino», secondo la definizione di Adolf Loos. Cosa significa quindi per te fare architettura? Io scendo dalle montagne e sono perito edile. Arrivato all’università, sono andato in crisi. Poi è emerso in quegli anni un movimento importante, La Tendenza:

ne facevano parte Aldo Rossi, Giorgio Grassi e alcuni esponenti spagnoli. Ora capisco che il mio mondo d’origine è quello della Triennale del ’73. I giovani che allestivano e scrivevano contributi teorici erano proprio i miei professori. Per me la citazione di Loos è l’essenza del nostro lavoro: avere una cultura classica e avere a che fare con la materia. È sempre stata assolutamente lontana da me l’idea di fare sempre la stessa cosa, tanto che il cambio di scala dall’architettura a uno strumento musicale è stato naturale. Io nasco professionalmente come restauratore e devo molto a questo approccio.

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INTERVISTA | Design del suono

Il nostro studio è passato anche attraverso la riconversione industriale e abbiamo fatto belle esperienze nelle costruzioni in legno, come ad esempio la realizzazione di 6 palazzine a L’Aquila dopo il terremoto. Abbiamo vissuto il mondo dell’infrastruttura al Frejus: io sono affascinato da chi letteralmente buca le montagne e dalla creatività di certi ingegneri. Quali altre relazioni interdisciplinari ti piace sperimentare? Mia moglie è un’esperta di intelligenza artificiale e cibernetica. Quando la andavo a prendere all’università, incappavo in un suo professore, l’informatico Giovanni Degli Antoni, che già nel 1983 mi diceva: «Voi architetti progettate le case e poi le demolite per posare gli impianti, senza capire che fra non molto le case si stamperanno». Un visionario. Ecco, io ho appreso

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anche da questi ambiti. Nel 2011 l’ho compreso veramente frequentando il mondo dei Makers, gli artigiani evoluti che usano la tecnologia per produrre e per vendere. Tutto torna. Del resto, non è sufficiente mettere insieme un pickup e un manico per creare uno strumento di valore. Lo stesso Renzo Piano dice che il lavoro dell’architetto è un lavoro da artigiano. Il filo conduttore di tutto è sempre il cuore, l’essere umano. Cos’è per te una “soglia”? Ancora oggi c’è una soglia che oltrepasso: il luogo dove sono nato e cresciuto. Andare e tornare mi permette di vedere cose che prima non vedevo. Come in Giappone, attraversarla è un’azione zen. Anche solo il gesto di alzare la gamba e passare dall’altra parte dovrebbe essere fatto con consapevolezza. Dovremmo impararlo tutti.


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RUBRICA | tema

Trasparente solidità Il progetto per Quick Spa

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Quick Spa è un’azienda che da molto tempo naviga nelle acque nazionali e internazionali del mercato. Leader nella produzione e nella commercializzazione di accessori nautici, progetta e costruisce rigorosamente in territorio italiano i propri prodotti, distribuiti in tutto il mondo e installati dai più importanti cantieri nautici. La lunga esperienza nel campo ha permesso all’azienda di proporre molteplici linee di prodotto, all’interno di un portfolio in costante

crescita, così come risulta in continua espansione la vision aziendale. Coerentemente con questo percorso progressivo, Quick Spa ha quindi avuto la necessità di ristrutturare parte di un capannone, all’interno del quale sono state realizzate diverse aree con nuovi uffici. Non solo: sono presenti nel medesimo spazio anche una sala di formazione, dedicata al personale interno così come a collaboratori esterni, e un’area espositiva permanente in cui è possibile

PROGETTI | Trasparente solidità

La visione più ampia

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vedute e trasparenza. La ferramenta e la maniglieria abbinate alle porte sono a loro volta in linea con l’attività aziendale, in quanto sono stati presi come riferimento estetico i modelli e il design del mondo nautico. La qualità dei materiali selezionati per realizzare questo lavoro rispecchia la qualità stessa dei prodotti proposti da Quick Spa, curati nei minimi dettagli e pensati per assicurare i massimi livelli di performance. L’effetto finale dell’intervento è l’individuazione di uno spazio a misura di essere umano, ben definito ma flessibile, luminoso, limpido e allo stesso tempo riparato.

PROGETTI | Trasparente solidità

visionare i prodotti. Il progetto di ristrutturazione ha previsto la separazione ottimale fra gli ambienti di produzione e quelli di logistica, attraverso lo studio e l’installazione di chiusure vetrate pieghevoli a tutta altezza e tutta larghezza. Grazie a questa tipologia di chiusura, le vetrate offrono infatti una preziosa opportunità: frazionare e dividere gli spazi quando necessario o perfino espanderli sulla base di diverse esigenze. L’installazione delle porte interne, in vetro e particolarmente ampie, è stata pensata in relazione non soltanto alla funzionalità, ma anche ai valori portati avanti ogni giorno da Quick Spa: grandezza di

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I suggestivi spazi di Scalo Lambrate a Milano, dove il riverbero assume un ruolo importante.


Fra musica e architettura


INTERVISTA | Fra musica e architettura

«L’architettura è musica congelata»

Onde, ritmi e frequenze Con Tracce dell’abitare ci hanno fatto scoprire il legame fra i suoni e gli ambienti. Abbiamo conversato con Gaia Dallera Ferrario, artista multimediale e designer, e Lorenzo Palmeri, architetto e compositore. Nella vostra visione, come si relazionano spazio sonoro e spazio architettonico? Il rapporto fra musica e architettura nasce innanzitutto dalla fisicità dei materiali stessi, dai volumi, dai vuoti. La materia ha un proprio modo di trasportare il suono. Concetti come onda e frequenza sono intercambiabili fra tutte le discipline artistiche: architettura e musica hanno un linguaggio comune, in cui si parla di ritmo, cadenze, pause, vuoti e pieni. Secondo Johann Wolfgang Goethe, «l’architettura è musica congelata». Ma in realtà, volenti o nolenti, è un tema di cui devono occuparsi tutti, perché quando si entra in uno spazio,

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che sia un ristorante o una chiesa, si subisce questa relazione. Da quali meccanismi è guidata l’esperienza di chi vive questi spazi? Ciò che hanno in comune musica e architettura è l’esperienza immersiva. Kandinskij si diceva geloso della musica, perché la musica fa quel passo verso l’introspezione che la pittura non potrebbe mai fare. L’architettura a sua volta volge lo sguardo verso l’interiore, crea volumi interni fruibili anche dall’esterno. Un tempo si diceva anche che la musica fosse l’arte del tempo e l’architettura quella dello spazio. Ma sempre Kandinskij ha annullato questo assunto, dicendo che il punto è la forma più concisa del tempo. Nel suo libro Come funziona la musica, David Byrne dice una cosa curiosa: il punk non


Gaia Dallera Ferrario, artista multimediale, e Lorenzo Palmeri, architetto e compositore.


INTERVISTA | Fra musica e architettura

«Ciò che hanno in comune musica e architettura è l’esperienza immersiva. Kandinskij si diceva geloso della musica, perché la musica fa quel passo verso l’introspezione che la pittura non potrebbe mai fare. L’architettura a sua volta volge lo sguardo verso l’interiore»

avrebbe mai potuto nascere in una cattedrale e i canti gregoriani non avrebbero mai potuto nascere in un pub, proprio per l’acustica dei luoghi. Il suono riverberato sarebbe stato completamente illeggibile. Ogni luogo ha una propria frequenza. Si può fare un gioco quando si entra in una stanza: emettere una “u”, finché quella lettera non entra in risonanza con la stanza stessa. E quella frequenza influenza e attraversa tutti coloro che si trovano all’interno. Se doveste collegare grandi architetti a grandi musicisti, a cosa pensereste? In Gödel, Escher, Bach. Un’eterna ghirlanda brillante Douglas Hofstadter dice che le partiture di Bach sono vere e proprie architetture: gli accordi possono essere visivamente dedotti anche per linee trasversali. È poi impossibile non citare Iannis Xenakis, grandissimo compositore e architetto che ha usato paradigmi matematici per creare musica dalle architetture. Per lettura sinestesica e di strutture, possiamo pensare che Renzo Piano o Le Corbusier abbiano un determinato “sapore” musicale. Ma associazioni simili sono difficili, anche se con la musica contemporanea vengono sperimentate. In un certo senso, Brian Eno potrebbe abbracciare entrambe le discipline, poiché studia musica appositamente per certi ambienti.

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Si può trovare un legame con il Minimalismo, con Philip Glass e Terry Riley. Anche le grandi correnti che hanno segnato alcuni momenti storici sono intercambiabili fra le varie discipline artistiche. Le vere fondamenta sono da cercare nel legame fra le proporzioni musicali e quelle architettoniche. Leon Battista Alberti raccomandava agli architetti di studiare musica, perché le regole di composizione che avrebbero imparato sarebbero state molto utili nella progettazione. Cosa significa per voi la “soglia”? In Occidente siamo abituati a viverla come il varco di una porta, che si chiude sul passato e si apre sull’inaspettato. In realtà, la soglia è un attraversamento molto più graduale, naturale, intimo. Presume un vasto cambiamento interiore. La soglia può anche essere lunghissima e durare tutta la vita. Può significare azione: non esiste finché non si compie il gesto di attraversarla. In Oriente è diverso. Se pensiamo all’ingresso del maestro della Cerimonia del tè in Giappone, la porta è bassa e stretta: tutti, perfino l’imperatore, devono entrare disarmati e chini, quindi spogliati di tutte le vesti terrene. Mentre all’ingresso delle moschee c’è una pietra che non viene mai consumata dai passi: è un terreno neutro, in cui lasci fuori il mondo.


Fra volumi e vuoti, la materia si relaziona con il suono, influendo su chi vive lo spazio.

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PROGETTI | Contrasti armonici

Contrasti armonici Buildings


Il nuovo salone parrucchieri integrato con uno spazio barber nella struttura riqualificata.



I due corpi del volume si distinguono per tonalità cromatica e differenziazione materica.

Una grande novità formale all’interno di un centro storico e quindi di un contesto tradizionale, che però non rinuncia alla necessità di relazionarsi con esso. È il risultato del progetto di riqualificazione di questo edificio, in prossimità delle storiche mura di Imola nel suo versante orientale. In questa zona, la maggior parte degli edifici risale al XIX secolo, mentre questo specifico fabbricato fu realizzato alla fine degli anni ’50 del Novecento. Quattro piani fuori terra sono direttamente legati al volume inferiore, a sua volta sede di un salone di parrucchieri dalla lunghissima storia. Proprio la dedizione nei confronti dei clienti, in cerca del miglior comfort e di appagamento estetico, ha portato i committenti a desiderare uno spazio unico ma multifunzionale. L’intervento di ristrutturazione ha quindi previsto l’accorpamento dei due edifici,

attraverso la demolizione e successiva ricostruzione del più antico. Il tutto nel rispetto dell’antico sedime e della volumetria, coerentemente con l’obiettivo finale: creare la percezione di un solo edificio, sul quale fosse ben visibile l’espansione dell’attività della committenza, sia nella forma che nelle finiture. Ecco dunque l’articolazione degli spazi nei diversi piani, così distribuiti: a piano terra è presente il nuovo salone integrato con l’area barber; il primo piano ospita un nuovo centro estetico e una palestra per attività a corpo libero; infine, il secondo e il terzo piano hanno visto nascere due nuovi appartamenti, dominati dalla luce. La progettazione ha dato vita a un disegno elegante, semplice e limpido, in cui il nuovo volume, ovvero il “corpo nero”, si posa lievemente sul corpo più chiaro che era già presente. La struttura trasmette

PROGETTI | Contrasti armonici

Novità in centro storico

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PROGETTI | Contrasti armonici

quindi una sensazione di leggerezza e linearità. Il rivestimento nero in gres porcellanato con grandi lastre ha un doppio, importante ruolo: certamente quello di forte impronta estetica, ma anche quello di sistema di faccia ventilata, indispensabile per la gestione del surriscaldamento durante le stagioni più calde. Il linguaggio architettonico, deciso e privo di qualsiasi afflato nostalgico, si sposa con il fine di dare benessere alle persone che lavorano e vivono nello spazio riqualificato. Nonostante la volontà di costruire un impianto esteticamente ben distinto dagli altri, è stato rigorosamente rispettato lo scenario

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circostante riprendendo come riferimento l’altezza dell’edificio demolito. L’evocativo contrasto cromatico fra le due sezioni del volume contribuisce a dare la sensazione che l’edificio sia più basso e dunque non invadente rispetto agli altri. Oltre che per le tonalità, primo e secondo livello si distinguono anche per la differenziazione materica. Si crea così una linea prospettica orizzontale “marcapiano”, che va ad armonizzarsi con quelle degli edifici vicini. La prova che un sapiente gioco di divergenze può fondare l’equilibrio ottimale fra senso estetico e comfort in ogni sua forma.


La novità formale si relaziona con un contesto storico e tradizionale.


GLI OCCHI DELL’ARCHITETTURA

Spiare la vita architettonica celata dietro una finestra, elevarne un dettaglio a protagonista, sottolinearne la capacità espressiva. Una singola finestra può affacciarsi su un mondo narrativo, separare il dentro e il fuori, scandire il ritmo tra pieni e vuoti, luce e ombra. In Lunette ogni infisso rappresenta uno spioncino da cui curiosare: Chi di noi non ha mai gettato uno sguardo fugace dentro una finestra passeggiando tra le vie della città? [Lunette by Federico Babina x Edilpiù]

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