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l’intervista

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Torino e Piemonte

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I am acsè

È una delle signore della meeting industry italiana, Stefania Agostini: una carriera lunghissima e prestigiosa, che ha coinciso per gran parte con l’ascesa della destinazione Rimini sulla scena Mice internazionale

di SIMONA P.K. DAVIDDI

Dici Rimini e pensi subito a Stefania Agostini, alla sua verve romagnola e all’avveniristico centro congressi di cui si è dotata la città. Ma pensi anche al convention bureau e alla trasformazione della destinazione, che ha saputo letteralmente cambiare pelle e ritagliarsi un ruolo di primo piano sulla scena Mice internazionale. Quest’anno Agostini ha ufficialmente ceduto le redini di Rimini Convention – dal 2014 la divisione eventi e congressi di Ieg (acronimo di Italian Exhibition Group) e precedentemente noto come Convention Bureau della Riviera di Rimini –, ma rimane la presidente di Visit Rimini – Dmc che lavora in sinergia con gli altri attori della filiera per promuovere e valorizzare la città a tuttotondo –, trasferendo il proprio know-how alle nuove generazioni.

Stefania, ci racconti le tappe principali della tua lunghissima carriera, svelandoci anche come sei approdata nella meeting industry? «In effetti è davvero lunga: parliamo di oltre quarant’anni. Gli inizi sono sempre importanti: sono quelli maggiormente formativi, che ti lasciano l’imprinting e nel mio caso hanno coinciso con la storia di Rimini e hanno rappresentato per entrambi –per me e per la città – una vera a propria fase pionieristica. Rimini infatti stava iniziando ad “assaggiare” questo nuovo settore e a capire che poteva essere la soluzione al problema della destagionalizzazione per i suoi numero alberghi, riuniti nella più grande cooperativa privata d’Italia, “Promozione Alberghiera”. Per ospitare gli eventi, allora c’erano i padiglioni della Fiera, usati per una manciata di manifestazioni all’anno. L’intuizione è stata proprio questa: capire che si poteva lavorare su questi elementi in maniera strutturata per attrarre fiducia e investimenti. E così per 21 anni mi sono occupata della divisione congressuale della cooperativa alberghiera».

Erano anni durante i quali il settore andava un po’ inventato... «Sì, gli Anni 80 erano il periodo dei grandi congressi sindacali e politici: tutti i partiti – dell’arco costituzionale e non – volevano fare il loro congresso annuale a Rimini e noi siamo stati davvero dei pionieri, se pensiamo ai ritmi serrati che l’organizzazione e la sicurezza richiedevano – in un continuo fare e disfare che concentrava tutto nei due mesi precedenti l’evento –, con delegazioni italiane e straniere da gestire e l’informatica che era ai primissimi passi. Nel 1994 c’è la svolta culturale, con la costituzione del Convention Bureau della Riviera di Romagna – che diventerà poi Cb di Rimini, ndr – del quale ho assunto la direzione nel 2000: Rimini inizia ad avere una forte reputation internazionale, per la quale la “semplice” ristrutturazione dei quartieri fieristici non basta, occorre pensare a una struttura nuova e avveniristica. E così nel 2011 vede la luce l’ultramoderno e ambizioso Palazzo dei Congressi, che catapulta definitivamente Rimini nel pantheon delle destinazioni Mice di rilievo. La città è tutt’ora in continua trasformazione e il suo fermento è stato colto, oltre che da Ieg – che ha assorbito il convention bureau – anche dal resto della filiera, che ha favorito la nascita di un Dmc dedicato alla valorizzazione del territorio, Visit Rimini».

Sei diventata ben presto un punto di riferimento per il Mice internazionale: dov’è riconoscibile la tua impronta nel settore, ovvero, ci sono best practice o novità che hai apportato o contribuito a introdurre? «Credo di aver contribuito a far conoscere il settore congressuale a quegli interlocutori istituzionali che non ne avevano compreso l’importanza strategica, in primis la Regione, che aveva una legge sullo sviluppo turistico che però non prevedeva investimenti nella

Sotto il titolo (“acsè” in dialetto romagnolo significa “così”) Stefania Agostini nel suo ufficio. Nelle altre due immagini, due momenti istituzionali: qui sotto, nel 2004 durante una serata al Grand Hotel di Rimini in occasione del decimo anniversario del Convention Bureu della Riviera di Rimini, con l’allora presidente Maurizio Ioli. In basso, durante la festa d’addio organizzata a sorpresa dal suo team lo scorso giugno; accanto a Stefania, Fabio De Santis, che l’ha sostituita alla guida del Palacongressi

meeting industry: oggi il segmento Mice non solo compare nelle linee di sviluppo regionali, ma è anche considerato strategico per l’intera economia e non solo per il comparto turistico. Proprio questa esperienza è diventata una best practice ed è stata all’origine di Italia 4 Events, il progetto di promozione che ha visto per la prima volta 17 regioni collaborare tra loro mettendo da parte ogni individualismo; gemmazioni di Italia 4 Events sono state poi Federcongressi e il Cb nazionale. Nello stesso periodo e con le stesse basi ho creato il Col, il Comitato Organizzativo Locale, che ha unito cinque comuni della costa romagnola e ci ha permesso di presentarci come territorio coeso e di avventurarci nell’intricato e allora ancora sconosciuto mondo delle candidature internazionali».

Quali sono state le principali sfide che ti sei posta e che hai vinto? «La sfida più impegnativa e sicuramente più affascinante è stata quella legata al nuovo Palazzo dei Congressi: grazie alla lungimiranza di Rimini Fiera e del suo presidente Lorenzo Cagnoni, ho avuto la possibilità di sedere al tavolo di progettazione ed essere ascoltata come voce “tecnica” autorevole da uno dei più importanti studi di architettura a livello internazionale. È stata davvero un’esperienza straordinaria: poter trasferire tutto il know-how accumulato in vent’anni di lavoro all’interno delle strutture congressuali, spiegare quali sono gli elementi importanti, le sale, l’illuminazione, gli ingressi, insomma entrare nel merito di tutti quei dettagli che dopo fanno la differenza tra una struttura funzionale e moderna e una che non lo è. Sfidante è stato poi passare alla gestione del Palazzo dei Congressi, quindi diventare l’interlocutrice degli organizzatori».

Come abbiamo già accennato, sei riuscita a far cambiare pelle a un territorio, quello della Riviera di Rimini, da divertimentificio d’Italia a destinazione a forte vocazione Mice: quali potenzialità della destinazione ti hanno convinta che la “mutazione” era possibile? Su quali elementi hai fatto leva per fare sistema e riuscire a strutturare un filiera completa e per certi versi all’avanguardia? «Sicuramente è stato importante, oltre a preparare tutta la filiera a supportare la nuova realtà, creare una forte brand identity della destinazione per differenziarci dai competitor: Rimini è ora sinonimo di “grandi spazi per grandi eventi”, elemento che è stato anche la nostra fortuna in periodo di Covid e che ci ha permesso di ospitare, subito dopo l’estate, alcuni eventi in presenza – come Grande Oriente, con duemila partecipanti – e altri ibridi, il Congresso di Cardiologia in primis».

Nella meeting e incentive industry le “quote rosa” sembrerebbero abbastanza rispettate: possiamo dire che si tratta di un settore prevalentemente “al femminile”? «In passato era un settore quasi esclusivamente femminile; oggi il panorama mi sembra più misto e la cosa non mi dispiace: un mix di qualità e di talenti crea sempre armonia e consente a entrambe le parti di acquisire nuove skill e di crescere dunque professionalmente».

Tu sei stata testimone e fautrice dell’evoluzione del modo di fare eventi: ci racconti come è cambiato il Mice in Italia, da quando hai iniziato agli ultimi anni (parliamo dell’era pre-Covid)? «Il cambiamento principale è stato sicuramente nelle figure professionali: il lavoro si è decisamente semplificato e questo ha comportato una maggior facilità di accesso e il conseguente proliferare di infinite realtà che, se da un lato ha ampliato il mercato dell’offerta mettendo le agenzie in costruttiva concorrenza tra loro, dall’altro ha portato, in molti casi, a una competizione disordinata e selvaggia, con la conseguente perdita di eticità e di professionalità – ovviamente non si può generalizzazione – e quindi a un generale abbassamento della percezione del know-how degli addetti ai lavori da parte dei committenti».

La destinazione Italia è riuscita negli anni a scalare le classifiche di gradimento, eppure negli ultimi tempi sembra in una fase di stallo: quali azioni si potrebbero intraprendere per aumentare la sua reputation e quindi attirare un maggior numero di eventi dall’estero? Le associazioni potrebbero avere un ruolo differente? «Credo che occorra investire nel modo di comunicare i nostri prodotti e le nostre abilità: ci vuole maggior semplificazione e trasparenza. I due asset sui quali dobbiamo fare leva sono la fiducia – che va conquistata con fatti concreti, precisione e puntualità, anche nel medio termine delle gare internazionali – e la creatività, che gli stranieri si aspettano da noi – insieme

alla convivialità –, in qualsiasi ambito, dai contenuti di una proposta alla soluzione di un problema. Le Regioni poi, rivestono un ruolo di primaria importanza nel supporto dei progetti di candidatura internazionale. Infine, credo che le istituzioni dovrebbero finanziare maggiormente le attività delle associazioni – Federcongressi e Cb Italia in primis – in modo da sollevarle dai problemi di vera e propria sussistenza e permettere loro di dare un valido supporto alle imprese associate sia nelle gare internazionali, sia nel concepimento di strategie e prodotti creativi, innovativi e competitivi».

Quali sono invece gli scenari futuri che immagini per il settore, nell’era post-Covid? «È ancora troppo presto per poter immaginare uno scenario futuro: ci sono ancora troppe variabili in gioco. Sono notoriamente ottimista, ma in questo caso preferisco essere prudente. Mi sento però di augurare a tutti che non si prenda in considerazione un nuovo periodo di lockdown, ma che invece si riesca a lavorare tutti insieme – lentamente ma in maniera costante – per tornare agli eventi in presenza e al “lavoro in presenza”: teamwork, creatività e organizzazione poco conciliano con lo smartworking».

C’è qualche consiglio che vuoi dare alle nuove generazioni che stanno muovendo i primi passi professionali nella meeting industry? «Formazione, formazione, formazione. Di alto livello e professionale. E poi fare esperienze trasversali e possibilmente in grandi realtà, in modo da imparare quelle skill fondamentali, da “importare” poi anche nelle successive realtà lavorative».

Ci sveli qual è il motto, se ce l’hai, che ti ha ac compagnato lungo la tua carriera? «Sono famosa per le numerose citazioni di mia nonna Adele, ma il mio motto è un ossimoro – e non poteva essere altrimenti: sono nata sotto il segno dei gemelli –, pronunciato da Augusto ai suoi comandanti: “Festina lente”, affrettatevi lentamente, un invito alla prudenza e alla riflessione ma al contempo uno sprone al combattimento e all’azione. Ultimamente ho fatto mia anche un’espressione che Alessandro Manzoni mette in bocca al Gran Cancelliere di Milano: “Adelante con juicio”, andiamo avanti con giudizio, un’altra contrapposizione nei termini, oggi però attuale più che mai».

In pagina, Stefania Agostini con il suo staff e due foto tratte dall’album dei ricordi: con Marco Biamonti e Lorenzo Cagnoni e, nell’immagine di sinistra, insieme al cardiologo Mario Marzaloni, uno dei primi “ambasciatori” di Rimini

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