Speciali Digitali - Ultrasuoni

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INDICE

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IOR: Ultrasuoni focalizzati guidati da imaging di risonanza magnetica Alberto Bazzocchi

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L’Ecografia ospedaliera tra presente e futuro Marcello Romano

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Si fa presto a dire ultrasuoni Francesco Frigerio

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Storia ed evoluzione dell’ecografia Palmino Sacco

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Alberto Bazzocchi autore

Dirigente Medico Radiologia Diagnostica Interventistica, Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna

IOR: Ultrasuoni focalizzati guidati da imaging di risonanza magnetica Gli ultrasuoni sono onde di natura meccanica che seguono le leggi dell’acustica. Dai più significativi lavori nel campo della generazione di ultrasuoni della fine del secolo XIX la medicina ha dovuto attendere gli anni ’70 per vederne l’impiego in quella fondamentale tecnica di imaging che oggi comunemente chiamiamo “ecografia”. Ne analizzeremo oggi storia e prospettive

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li ultrasuoni sono onde di natura meccanica, che seguono le leggi dell’acustica. Dai più significativi lavori e sviluppi portati nel campo della generazione di ultrasuoni, risalenti alla fine del secolo XIX, a opera di Joule e soprattutto dei fratelli Curie (effetto piezoelettrico), la medicina ha dovuto attendere la metà del XX secolo e più concretamente gli anni ’70 per vederne l’impiego in quella fondamentale tecnica di imaging che oggi comunemente chiamiamo “ecografia”. Tuttavia, forse non tutti sanno che i primi utilizzi degli ultrasuoni in medicina sono stati a scopo terapeutico, non diagnostico, anche dopo i primi studi sugli effetti biologici degli ultrasuoni, di Wood e Loomis negli anni ’20. L’effetto centrale prodotto e più comunemente conosciuto dell’interazione tra onde meccaniche ultrasonore e sistemi biologici è quello termico: l’assorbimento di energia ultrasonora da parte di un tessuto porta al suo riscaldamento. In diagnostica si utilizzano ultrasuoni ad alta frequenza e bassa potenza (assenza di effetti permanenti sul corpo), mentre in terapia si usano ultrasuoni a bassa frequenza e più alta potenza (possibilità di effetti biologici permanenti). Il range delle frequenze di ultrasuoni utilizzati in terapia va da 20 kHz a 3 MHz, in una fascia inferiore all’uso diagnostico. Esiste uno spettro di variazioni biologiche che possono essere indotte da ultrasuoni, in funzione dell’intensità e della durata dell’esposizione. A bassa potenza (~ 100 mW cm-2) gli effetti osservati sembrano reversibili e/o di beneficio per la biologia tissutale. A potenza


SPECIALE 3 molto alta (~ 1000 W cm-2), gli ultrasuoni sono in grado di produrre necrosi tissutale istantanea. Sulla base della frequenza e della potenza, gli ultrasuoni sono stati utilizzati per una serie di applicazioni mediche e non mediche: a) alta frequenza (1-3 MHz), bassa potenza: separation technology – ultrasonic standing waves; b) alta frequenza (20-100 kHz), alta/intermedia potenza: odontoiatria e chirurgia (scalpet, bone cutting), sintesi di microcapsule per drug delivery; c) alta frequenza (1-3 MHz), bassa/intermedia potenza: fisioterapia, bone healing, distruzione di trombi (sonothrombolysis), transdermal drug delivery (sonophoresis), favorire drug intake delle cellule (sonoporation), drug activation (sono-dynamic therapy), e high intensity focused ultrasound (HIFU – extracorporeal, trans-rectal, vascular). Il trattamento con HIFU [o focused ultrasound surgery (FUS)] consiste nel produrre un effetto biologico, principalmente su base termica (e.g. ablazione) su un tessuto o target attraverso la focalizzazione di ultrasuoni ad alta energia (potenza). Nonostante l’evoluzione delle conoscenze sugli ultrasuoni e sui potenziali effetti terapeutici origini lontano nel tempo (anni ’40), il trattamento con FUS, uno dei più promettenti e integrati utilizzi degli ultrasuoni in terapia, non è diventato così diffuso e frequente come ci si sarebbe potuto aspettare. Gli aspetti principali che ne hanno limitato l’applicazione clinica derivavano dalla mancanza di strumenti che garantissero la precisa identificazione e caratterizzazione del target, il monitoraggio della lesione durante il trattamento e l’identificazione dell’effetto della terapia (durante e dopo la somministrazione). IMAGING L’imaging si è sviluppato e si sta evolvendo in tutte le sue potenzialità anatomiche, molecolari e funzionali seguendo la richiesta clinica e il supporto tecnologico. La sua funzione nel guidare i tratta-

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menti è in progressiva e consolidata ascesa, alla ricerca di “occhi” che vedano attraverso i tessuti senza doverli incidere, limitando quindi le necessità di danneggiare l’organismo allo scopo di mettere in evidenza la lesione da trattare. Le guide più pratiche e utilizzate sono la fluoroscopia, l’ecografia e la tomografia computerizzata (TC). L’imaging di risonanza magnetica (RM o MRI) è senza alcun dubbio ciò che abbiamo a disposizione di meno conosciuto, meno sviluppato, e meno utilizzato rispetto alle sue potenzialità. Indipendentemente da cosa di umano si voglia studiare. Nonostante le prime applicazioni mediche siano sostanzialmente contemporanee a quelle della TC (primi anni ’70, ai tempi CAT e NMR), la sua evoluzione tecnologica, biologica e medica, così come commerciale, è stata sensibilmente più turbolenta, complessa e solo apparentemente, lenta. Le potenzialità dell’imaging RM tagliano trasversalmente ogni campo della medicina e ogni sistema e si possono collocare al vertice per analisi della morfologia, della biologia molecolare, e della funzione delle strutture corporee in esame. Nonostante i notevoli vantaggi che potrebbe offrire la visione RM nelle procedure interventistiche, esistono numerose criticità nel suo utilizzo come guida di trattamento, tra le quali i costi: il costo dei materiali di consumo da utilizzare in ambiente di risonanza magnetica (“risonanza-compatibili”), il tempo e le spese di utilizzo di una macchina così costosa, gli spazi “angusti” d’intervento - elemento sensibilmente migliorato grazie alla costruzione di sistemi con gantry più ampi o con geometrie più favorevoli. Una guida riconosciuta e relativamente affidabile per FUS è stata trovata nell’ecografia. Tuttavia, indipendentemente dagli elementi che la tecnica può mettere in gioco in fase diagnostica, l’ecografia veste decisamente male il ruolo di strumento in grado di offrire una visione “allargata” del campo di azione, d’identificare con precisione e stabilità il target del potenziale trattamento, di monitorare con efficacia, sicurezza e panoramicità la lesione durante il trattamento e di valutarne successivamente l’efficacia e gli esiti. Inoltre, per diverse ragioni, la guida ecografia richiede che l’energia e gli ultrasuoni focalizzati siano


SPECIALE 3 erogati a determinate condizioni (in termini di durata dell’impulso, di potenza etc. cavitazione) che non sono necessariamente quelle più utili all’effetto desiderato sui tessuti. L’imaging RM rappresenta una tecnica in grado di offrire un’alta risoluzione spaziale e di contrasto del dettaglio anatomico, indipendentemente dal tipo di tessuto analizzato, e il più vasto e sofisticato spettro di marcatori biologici tissutali, al servizio di (a) una fase diagnostica completa, (b) una pianificazione del trattamento e di valutazioni post-trattamento e (c) un solido monitoraggio real-time della lesione durante il trattamento. All’inizio degli anni ’90, la guida con imaging di risonanza magnetica ha dato un nuovo impulso a questa tecnologia di trattamento consentendo il superamento di criticità altrimenti difficilmente o non valicabili, aggiungendo tuttavia ulteriore complessità allo sviluppo dei sistemi di trattamento FUS. In particolare, è facile intuire quanto l’imaging RM, che ha rivoluzionato lo studio e la gestione della patologie del sistema muscoloscheletrico,

L’imaging RM rappresenta una tecnica in grado di offrire un’alta risoluzione spaziale e di contrasto del dettaglio anatomico indipendentemente dal tipo di tessuto analizzato e il più vasto e sofisticato spettro di marcatori biologici tissutali

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possa rappresentare una svolta anche per i trattamenti mini-invasivi nello stesso campo, anche indipendentemente dallo strumento di terapia utilizzato. ULTRASUONI FOCALIZZATI GUIDATI DA IMAGING DI RISONANZA MAGNETICA L’unione del trattamento di HIFU e della guida di RM ha portato alla creazione di un sistema che si candida come strumento di chirurgia o di terapia mediata da imaging ideale per numerose patologie, nello scenario medico attuale e futuro. Nonostante questa fosse stata precedentemente teorizzata e discussa, la fusione HIFU-MRI è avvenuta nel 1991, quando nell’Università dell’Arizona fu assemblato il primo equipaggiamento di MR guided FUS (MRgFUS o MRgHIFU). Gli studi che seguirono su animali da esperimento furono riportati per la prima volta all’International Conference of Hyperthermic Oncology nel 1992, e successivamente pubblicati. Il primo studio che testò un sistema MRgFUS su uomo fu condotto per fibroadenoma della mammella. Nell’ultimo decennio (dal 2004), MRgFUS è stata accettata e certificata dalla Comunità Europea (CE marking of conformità) e successivamente dalla Food and Drug Administration (FDA) USA per il trattamento dei fibromi uterini, successivamente delle metastasi ossee dolorose e sta progressivamente ampliando i campi di applicazione sulla base di nuove evidenze cliniche e pre-cliniche. L’ultimo aggiornamento di conformità (2013, 27 giugno) per il più avanzato e commercialmente disponbile sistema MRgFUS afferma l’idoneità per “treatment of bone metastases, multiple myeloma, (local tumor control), bone denervation for local treatment of cancerous and benign primary and secondary

Posizionamento del paziente sul lettino, da parte del personale medico e paramedico


SPECIALE 3 bone tumors or facet joint syndrome”. Inoltre, un nuovo trasduttore mobile, che consente l’applicazione diretta sul sito anatomico da trattare dedicato al trattamento della patologia ossea con generazione di ultrasuoni a frequenze più basse, in grado di penetrare più in profondità (cosiddetto “conformal bone system”). Risultati preliminari promettenti sono stati pubblicati per il controllo del dolore nelle metastasi ossee (trial vs sham), nella terapia dell’osteoma osteoide e dell’artrosi (sindrome faccettale, artrosi di ginocchio). Gli studi sul potenziale di questa tecnologia stanno crescendo esponenzialmente e lo spettro delle applicazioni, per obiettivi oncologici e nononcologici, è probabilmente solamente alla sua alba. Il principio che anima lo sviluppo scientifico e tecnologico applicato alla medicina resta sempre quello di ottenere i risultati migliori (efficacia) contenendo al minimo l’invasività o i possibili danni biologici (costi). MRgFUS può essere considerata una tecnica a energia “pulita” per il paziente (e l’operatore): utilizza onde radio (radiazioni elettromagnetiche non ionizzanti, fenomeno di risonanza magnetica) per guidare ultrasuoni focalizzati sul target di trattamento (onde meccaniche). ULTRASUONI FOCALIZZATI GUIDATI DA IMAGING DI RISONANZA MAGNETICA (MRg-FUS o -HIFU) NELLA PATOLOGIA SCHELETRICA Le malattie del sistema scheletrico costituiscono un vasto spettro della patologia umana e affliggono l’intera popolazione, in termini di età e caratteristiche, dai più giovani ai più anziani, con patologie cosiddette benigne e maligne, sistemiche e localizzate, dello scheletro assile e di quello quello appendicolare. L’uso di forme di energia “pulita” per ablare o modulare o per rilasciare farmaci su tessuti e l’uso di tecniche di imaging a elevata risoluzione spaziale, temporale e di contrasto come guida per procedure medico/chirurgiche è fondamentale.

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Esempi di posizionamento di una paziente sul lettino di trattamento

Quali sono i vantaggi di un trattamento con MRgFUS, in particolare nelle patologie del sistema scheletrico? a) Non c’è una dose sui tessuti, in senso “radioterapico” convenzionale – non si usano radiazioni ionizzanti, sia nella guida che nel trattamento; b) se necessario, il trattamento è ripetibile sulla stessa regione o in sedi differenti; c) questa tecnica può essere praticata anche su lesioni già trattate con altre terapie, ove queste abbiano fallito, siano state insufficienti o per ricercarne la sinergia; d) il danno sui tessuti circostanti è minimo, deriva praticamente esclusivamente dal calore diffuso dal target sul quale il fascio è stato fatto convergere proprio con l’obiettivo di ablare la lesione; un ripetuto e pesante trattamento può sollecitare i tessuti viciniori procurandone un innalzamento termico; e) l’effetto del trattamento sulla sintomatologia è rapido, sulla biologia della lesione è

Vista dalla sala degli operatori: al centro il paziente posizionato per il trattamento nella sala di risonanza, ai lati le workstation RM e FUS (a destra) nella sala operatori


SPECIALE 3 immediato; pronto il ripristino funzionale; f) è possibile il trattamento vicino a strutture nobili, nervose e vascolari; g) la guida RM garantisce una precisa e panoramica pianificazione d’intervento, il monitoraggio in tempo reale dell’emissione degli ultrasuoni e del loro effetto sui tessuti, principalmente descrivendo accuratamente la variazione di temperatura e la comprensione degli effetti del trattamento a fine procedura; h) nessun bisturi, nessun ago, il trattamento FUS avviene senza incidere la cute o i tessuti interposti; nessuna medicazione chirurgica al termine del trattamento. Quali gli svantaggi, le controindicazioni e gli effetti indesiderati o le possibili complicazioni? a) La non accessibilità a lesioni del corpo vertebrale; non è possibile attraversare strutture contenenti gas; b) pazienti obesi, a elevato body mass index possono trovare difficoltà nel posizionamento all’interno dello spazio di risonanza; c) le controindicazioni al trattamento esistono ma sono limitate alle comuni indicate prima di sottoporsi a imaging RM e alla adeguata procedura anestesiologica: i trattamenti FUS nonostante non necessitino di incisioni o punture sui tessuti del paziente (a cielo completamente chiuso) possono avere e frequentemente hanno l’obiettivo di ablare una lesione; questo implica che il tessuto interessato, in particolare se affetto da una lesione dolorosa, in assenza di anestesia, naturalmente sia suscettibile al dolore; lo sviluppo di una tecnica a così minima invasività stimola la ricerca di procedure anestesiologiche a ridotta invasività e la sicurezza in ambiente radiologico interventistico; d) costo del sistema e del trattamento. RIZZOLI & FUS In Italia l’Istituto Ortopedico Rizzoli è attualmente uno dei pochi centri di ricerca e cura dotati di tecnologia MRgFUS e per la sua mission e il prestigioso passato e presente, l’unico autorevolmente completamente dedicato al trattamento della patologia scheletrica.

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Sequenze di pianificazione, sul piano assiale e sagittale, per il trattamento di una metastasi ossea (l’energia viene concentrata selettivamente sull’area cerchiata in verde, per l’ablazione)

Dalla seconda metà del 2012, anno nel quale un moderno sistema di MRgFUS è stato installato in Istituto, sono stati trattati numerosi pazienti, di diverse età, per patologie dello scheletro nelle quali vi è un’evidenza di efficacia più consolidata da dati scientifici (metastasi ossee) e in patologie dello scheletro e dei tessuti molli che mostravano promettenti indicazioni (osteomi osteoidi, altre lesioni benigne dell’osso, patologia degenerativo-artrosica, fibromatosi aggressiva). Le lesioni trattate coinvolgevano i più diversi distretti anatomici, con caratteristiche, istologia e dimensioni varie. Lesioni primitive o secondariamente provenienti da tumori di mammella, prostata, polmone,

Trattamento MRgFUS di un osteoma osteoide del femore in un giovane paziente. In basso a destra il grafico indica l’incremento della temperatura (andamento della temperatura nel tempo) sul tessuto target durante la “sonicazione”


SPECIALE 3 rene, tiroide, colon-retto, epatocarcinoma, sarcoma dei tessuti molli, sarcoma di Ewing, etc. Lesioni osteolitiche e osteoaddensanti. Lesioni delle estremità (dell’arto inferiore e superiore), del bacino, della gabbia toracica (elementi costali) e degli elementi posteriori della colonna vertebrale. Lesioni singole e multiple, da pochi millimetri a più di 10 cm, superficiali e profonde. Lesioni precedentemente sottoposte o meno ad altre tecniche di trattamento (es. chemioterapia, radioterapia, radiofrequenza, chirurgia etc.) in pazienti in corso di terapia sistemica o con terapia in programma o già effettuata. Dai dati raccolti, monitorati e trasmessi dall’industria principale in questa tecnologia, il “Rizzoli” è attualmente leader nel trattamento della patologia scheletrica e uno dei pochi ad avere integrato sia un sistema convenzionale di trattamento sia uno dedicato al trattamento dello scheletro, tra i primi al mondo ad averlo installato, applicato e sviluppato. Il Rizzoli è provvisto di una tecnologia MRgFUS di ultima generazione, la più avanzata per uso clinico su uomo, costruita dall’industria che, trasformata nel tempo, originò dal primo gruppo che creò e sviluppò i primi prototipi all’inizio degli anni ‘90. Dopo una prima valutazione (indicazioni, immagini, condizioni cliniche), effettuata per comodità del paziente anche a distanza, e una visita d’idoneità, il trattamento del paziente candidato viene programmato così come l’eventuale aggiornamento di esami clinico-radiologici necessari alla pianificazione dell’intervento. Il paziente si presenta la mattina del giorno d’intervento, viene accolto e visitato in ambulatorio per l’ammissione in reparto e nell’arco della giornata trasferito nelle sale di interventistica e risonanza della Struttura Complessa di Radiologia Diagnostica e Interventistica per la preparazione all’intervento. Un’accurata tricotomia dell’area cutanea interessata che viene ispezionata per verificare la “finestra

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Fasi di trattamento di una lesione dell’ala iliaca (metastasi ossea da tumore della tiroide), con immagini che seguono in tempo reale l’anatomia e la temperatura dei tessuti durante la “sonicazione”

acustica”, il controllo delle condizioni del paziente e le precauzioni necessarie all’anestesia richiesta sono i soli elementi di rilievo. Dopo l’induzione dell’anestesia (dalla semplice sedazione, all’anestesia loco-regionale, ad approcci più “impegnativi”), il paziente viene posizionato sul lettino di trattamento: un lettino del tutto analogo a quello utilizzato per la diagnostica, nel caso del sistema “conformal” (dedicato alle applicazioni su patologie scheletriche), o un lettino con uno spessore aumentato che permette di contenere il trasduttore che genera ultrasuoni, nel caso del sistema “convenzionale”. Il sistema “conformal” è costituito da un elemento mobile delle dimensioni di un piccolo cuscino che si posiziona direttamente sul distretto anatomico da trattare permettendo al paziente di restare nella posizione più confortevole. Il sistema convenzionale, strutturalmente utilizzato anche per la maggior parte delle altre applicazioni MRgFUS (es. fibromi uterini, applicazioni per patologie degli organi addominali), è invece formato da un lettino che include al suo interno il trasduttore, sopra il quale viene posizionata la parte del corpo del paziente da trattare. Dopo le sequenze di pianificazione che consentono una precisissima

Caso precedente, controllo della lesione al bacino, prima del trattamento MRgFUS e durante il follow-up


SPECIALE 3 progettazione dell’intervento mirato all’area target e al risparmio dei tessuti sani e delle strutture nobili (nella maggior parte dei casi gli ultrasuoni focalizzati consentono di trattare, se necessario, in stretta prossimità di vasi e nervi o di attraversarli) e dopo aver caratterizzato l’accessibilità e la vitalità della lesione con i sofisticati marcatori che l’imaging RM offre (es. edema, diffusione, perfusione nella comune pratica clinica) o con la fusione di immagini TC o tomografia a emissione di positroni (PET), si procede alla fase di trattamento con il monitoraggio dell’effetto della “sonicazione” sui tessuti attraverso la termometria RM. La guida di imaging RM e la termometria in tempo reale che consente di monitorare in modo accurato e panoramico la temperatura e l’anatomia dei tessuti durante l’emissione di ultrasuoni focalizzati (“sonicazione”) hanno determinato una rivoluzione nel campo della terapia con ultrasuoni, in particolare nell’ambito

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della patologia scheletrica. Con il termine sonicazione si intende la singola emissione, “somministrazione” di energia secondo parametri definiti dal radiologo interventista e dalla macchina (es. frequenza, potenza, durata dell’impulso etc.). In generale e in funzione dell’obiettivo di trattamento, più è grande la lesione maggiore sarà il numero di sonicazioni necessarie e il tempo richiesto per trattarla. Per lesioni di piccole dimensioni (es. osteoma osteoide), poche sonicazioni, pochi secondi o minuti sono sufficienti per l’ablazione. Durante il trattamento il paziente viene costantemente monitorato ed è sotto gli occhi degli operatori, è possibile interrompere la sonicazione ed entrare nella “operative room” (sala di risonanza) in qualsiasi momento. Al termine della procedura si verificano gli effetti del trattamento, si trasferisce il paziente in reparto e si dimette successivamente. Osso e ultrasuoni. Nemici? No, si pensi che l’osso assorbe l’energia meccanica molto di più rispetto ai tessuti molli e questo porta alla possibilità di ridurre l’energia necessaria per il trattamento di una lesione del tessuto osseo o ad abbreviare i tempi di trattamento per lesioni estese. In ecografia, si osserva la superficie dell’osso corticale e gli esperti della patologia possono trarre utili informazioni da questa tecnica per esprimere un giudizio diagnostico. Tuttavia, gli ultrasuoni utilizzati in ecografia non sono generati per superare l’osso e vedere al di là della sua superficie (una considerazione a parte meriterebbe l’ecografia quantitiva, sviluppata per una valutazione quali-quantitativa dello struttura osseo – QUS). Gli ultrasuoni possono attraver-

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VI edizione

innovazione e tecnologia in ospedale sessione plenaria sala operatoria ibrida 10 seminari di approfondimento 2 case history servizi di Ingegneria Clinica

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area congressi NH Hotel ingresso gratuito

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NOVEMBRE

2014 ROMA


SPECIALE 3 sare la corticale ossea, basti pensare alle applicazioni neurologiche dei nuovi sistemi MRgFUS. Con una corretta pianificazione, il giusto raffreddamento e la programmazione della rifocalizzazione, gli ultrasuoni superano la teca cranica e gran parte del tessuto cerebrale per concentrarsi precisamente su un piccolo punto target talamico, in profondità, vicino al sistema ventricolare, arrivando con potenza sufficiente ad ablare. Il sistema “conformal bone” dedicato ha addirittura una frequenza intrinseca inferiore a quello del sistema “neuro” (bone 0.55 MHz, neuro 0.65 MHz, convenzionale 0.95-1.3MHz, prostata 2.3 MHz, etc. l’utilizzo di frequenze più basse aiuta la penetrazione a discapito di altre possibilità, come in diagnostica). L’Istituto Ortopedico Rizzoli, in particolare la Struttura Complessa di Radiologia Diagnostica e Interventistica dell’Istituto, è anche sede di numerosi lavori di ricerca sul campo: coordina il progetto “Magnetic Resonance guided High Intensity Focused Ultrasound treatment of bone metastases: pain palliation, and local tumor control? (thematic area: Oncology)”, vincitore nel bando Giovani Ricercatori “Alessandro Liberati” 2013 (Area 1 “Ricerca innovativa”, Programma di Ricerca Regione-Università – Regione Emilia Romagna) – Principal Investigator, Dr Alberto Bazzocchi; la struttura partecipa anche al progetto “Sviluppo di una nuova piattaforma tecnologica per il trattamento non invasivo di patologie oncologiche e infettive basata sull’uso di ultrasuoni focalizzati” (Programma Operativo Nazionale – Ricerca e Competitività, PONR&C 2007-2013) e conduce numerosi altri progetti di applicazione e ricerca incentrati su questa tecnica di trattamento. Le attività cliniche e di ricerca sono iniziate e sono state portate avanti grazie al coordinamento del Prof. Francesco Antonio Manzoli, Direttore Scientifico dell’Istituto Ortopedico Rizzoli e del Dr. Ugo Albisinni, Direttore della Struttura Complessa di Radiologia Diagnostica e Interventistica dell’Istituto, che hanno promosso l’ac-

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quisizione dello strumento e il suo utilizzo e sviluppo. n RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI 1. ter Haar G. Therapeutic applications of ultrasound. Prog Biophys Mol Biol. 2007 Jan-Apr;93(1-3):111-29. 2. Miller DL, Smith NB, Bailey MR, Czarnota GJ, Hynynen K, Makin IR. Overview of therapeutic ultrasound applications and safety considerations. J Ultrasound Med. 2012 Apr;31(4):623-34. 3. Hynynen K. MRI-guided focused ultrasound treatments. Ultrasonics. 2010 Feb;50(2):221-9. 4. Huisman M, van den Bosch MA. MR-guided high-intensity focused ultrasound for noninvasive cancer treatment. Cancer Imaging. 2011;11:S161-6. 5. Yu T, Luo J. Adverse events of extracorporeal ultrasound-guided high intensity focused ultrasound therapy. PLoS One. 2011;6(12):e26110. 6. Mason TJ. Therapeutic ultrasound an overview. Ultrason Sonochem. 2011 Jul;18(4):847-52. 7. Napoli A, Anzidei M, Ciolina F, Marotta E, Cavallo Marincola B, Brachetti G, et al. MR-Guided High-Intensity Focused Ultrasound: Current Status of an Emerging Technology. Cardiovasc Intervent Radiol. 2013 Mar 9. 8. Catane R, Beck A, Inbar Y, Rabin T, Shabshin N, Hengst S, et al. MRguided focused ultrasound surgery (MRgFUS) for the palliation of pain in patients with bone metastases—preliminary clinical experience. Ann Oncol. 2007 Jan;18(1):163-7. 9. Gianfelice D, Gupta C, Kucharczyk W, Bret P, Havill D, Clemons M. Palliative treatment of painful bone metastases with MR imaging—guided focused ultrasound. Radiology. 2008 Oct;249(1):355-63. 10. Liberman B, Gianfelice D, Inbar Y, Beck A, Rabin T, Shabshin N, et al. Pain palliation in patients with bone metastases using MR-guided focused ultrasound surgery: a multicenter study. Ann Surg Oncol. 2009 Jan;16(1):140-6. 11. Napoli A, Anzidei M, Marincola BC, Brachetti G, Ciolina F, Cartocci G, et al. Primary pain palliation and local tumor control in bone metastases treated with magnetic resonance-guided focused ultrasound. Invest Radiol. 2013 Jun;48(6):351-8. 12. Hurwitz MD, Ghanouni P, Kanaev SV, Iozeffi D, Gianfelice D, Fennessy FM, et al. Magnetic resonance-guided focused ultrasound for patients with painful bone metastases: phase III trial results. J Natl Cancer Inst. 2014 Apr 23;106(5). 13. Weeks EM, Platt MW, Gedroyc W. MRI-guided focused ultrasound (MRgFUS) to treat facet joint osteoarthritis low back pain—case series of an innovative new technique. Eur Radiol. 2012 Dec;22(12):2822-3. 14. Izumi M, Ikeuchi M, Kawasaki M, Ushida T, Morio K, Namba H, et al. MRguided focused ultrasound for the novel and innovative management of osteoarthritic knee pain. BMC Musculoskelet Disord. 2013 Sep 13;14:267. 15. Geiger D, Napoli A, Conchiglia A, Gregori LM, Arrigoni F,Bazzocchi A, et al. MR-guided focused ultrasound (MRgFUS) ablation for the treatment of nonspinal osteoid osteoma: a prospective multicenter evaluation. J Bone Joint Surg Am. 2014 May 7;96(9):743-51.



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Marcello Romano autore

Presidente SIUMB (Società Italiana Ultrasonologia in Medicina e Biologia). Specialista in Medicina Interna. Direttore UO Geriatria e Coordinatore Scuola Medica Ospedaliera di Ecografia Clinica dell’Azienda Ospedaliera di Rilievo Nazionale “Garibaldi” – Catania (medger@virgilio.it)

L’Ecografia ospedaliera tra presente e futuro In Italia si stima l’esecuzione di oltre 20 milioni di esami ecografici per anno, sulla base di oltre 15.000 ecografi disponibili ed almeno altrettanti medici con diverse competenze specialistiche, sebbene il numero di questi ultimi sia mal definibile stante l’assenza di una specifica normativa che definisca criteri abilitanti all’esercizio dell’ecografia

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L’

ecografia è una metodica che utilizza ultrasuoni per generare immagini di utilità diagnostica; in pratica, il fascio ultrasonoro generato dall’ecografo, attraversando il corpo umano, entro certi limiti e condizioni, viene in parte riflesso e rielaborato dall’apparecchiatura per generare immagini in tempo reale. Tale metodica, introdotta in ambito clinico negli anni ‘70 si è affermata con una rapida ed ampia diffusione, facilitata dalla inevidenza di effetti indesiderati e dalla introduzione di apparecchiature di dimensioni contenute e basso costo, che ne hanno agevolato l’impiego nei più disparati contesti assistenziali. Altrettanto ampia e diversificata è l’applicazione nei diversi ambiti specialistici, non solo per finalità direttamente diagnostiche, ma anche per valutazioni funzionali e come supporto per procedure invasive diagnostiche e terapeutiche, quali biopsie, drenaggi di raccolte fluide, termoablazioni, ecc. In Italia si stima l’esecuzione di oltre 20 milioni di esami ecografici per anno, sulla base di oltre 15.000 ecografi disponibili ed almeno altrettanti medici con diverse competenze specialistiche, sebbene il numero di questi ultimi sia mal definibile, stante l’assenza di una specifica normativa che definisca criteri abilitanti all’esercizio dell’ecografia. L’interesse medico per quest’ultima è testimoniato dall’esperienza della SIUMB, società scientifica leader in campo ecografico, i cui corsi di formazione, ad oggi, sono stati frequentati da oltre 10.000 medici,


SPECIALE 3 con una crescente richiesta annuale, soprattutto di giovani. Gran parte dell’attività ecografica viene svolta in ambito ospedaliero e appare in espansione per aspetti inerenti sia la domanda che l’offerta: assenza di rischio radiogeno, lunghe liste d’attesa, nuove applicazioni, avanzamento tecnologico con nuove modalità integrate (es.: mezzi di contrasto, elastosonografia), portabilità e abbassamento dei prezzi delle apparecchiature. In ambito ospedaliero, oggi, la metodica ha assunto due profili di sviluppo e applicazione: 1) Servizio ecografico, reso da medici terzi a supporto dell’attività clinica; 2) Ecografia clinica, resa direttamente dagli stessi medici clinici, ad integrazione di anamnesi ed esame obiettivo, nel corso della valutazione del paziente. Approfondiamo gli aspetti di tali profili. SERVIZI ECOGRAFICI Per le specifiche competenze tecniche, metodologiche ed organizzative, l’ecografia è qualcosa di più di una semplice metodica, assumendo soprattutto in ambito ospedaliero i connotati di un vero e proprio “servizio”, ossia di un centro erogatore di un prodotto, autonomo o, più spesso, nel contesto di unità operative specialistiche, sulla base di specifiche risorse umane, strumentali e organizzative. Fondamentalmente, tali servizi rispondono all’esigenza di fornire un supporto ecografico ai processi clinici e decisionali della stragrande maggioranza dei medici che non hanno specifiche competenze ecografiche, per utenti sia interni che esterni (ambulatoriali) dell’ospedale. Le implicazioni organizzative della metodica in ambito ospedaliero appaiono peculiari, alla luce delle seguenti problematiche che coinvolgono bisogni dell’utenza, processi organizzativi-gestionali aziendali e competenze multi-specialistiche: a) domanda di prestazioni ecografiche, b) criteri di organizzazione dell’offerta, c) competenze professionali degli operatori, d) allocazione e razionalizzazione delle risorse, e) standard di servizio e VRQ.

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a) Domanda di prestazioni ecografiche La domanda di esami ecografici è certamente ampia e crescente, spesso con lunghi tempi di attesa per l’Utenza, non sempre appropriata e non sempre soddisfatta secondo standard di dotazione strumentale e di competenza-formazione degli operatori. Limitatamente al profilo organizzativo, il problema della domanda può essere affrontato modulando la domanda e attenzionando la fruibilità dell’offerta. La domanda sanitaria non sempre è correlata al bisogno reale dell’Utenza; per modularla in funzione del bisogno reale, occorre filtrarla secondo criteri di appropriatezza, cioè di dimostrata efficacia diagnostica dell’ecografia in relazione al problema clinico dell’utente, avendo a disposizione linee-guida di riferimento, cioè indicazioni sistematicamente elaborate ai fini delle decisioni pratiche, sulla base di evidenze scientifiche. A loro volta, le linee-guida dovrebbero essere elaborate da organismi scientifici indipendenti (come per esempio la Cochrane Library), operanti sulla base dell’evidenza e dell’oggettività scientifica, non influenzati da esigenze limitative del sistema sanitario o estensive dell’utenza. Deve, comunque, essere segnalato che il ruolo delle linee-guida è molto limitato nella popolazione anziana, prevalente e complessa, in quanto caratterizzata da atipia di presentazione clinica e comorbidità, con rapido deterioramento clinico e accentuati rischi iatrogeni, condizioni queste che impongono una più tempestiva definizione diagnostica e, quindi, terapeutica, non rigidamente vincolabile a linee-guida, di fatto poco adeguate per tale fascia di popolazione. La fruibilità dell’offerta riguarda essenzialmente i tempi e le modalità di erogazione delle prestazioni, che dovrebbe essere ottimizzata in funzione della domanda. I criteri utili a tal fine possono essere così riassunti: a) informatizzazione delle prenotazioni, finalizzata non soltanto a pianificare l’agenda delle prenotazioni, ma anche, attraverso il collocamento in rete, a prenotare esami per via telematica direttamente a cura del medico richiedente e di emettere i referti in maniera analoga, con archiviazione su supporti magnetici; b) impiego intensivo delle risorse strumentali, con adeguata dotazione quali-quantitativa sia di personale turnante che di attrezzature, in funzione del volume e del tipo di prestazioni ecografiche da erogare; c) razionale allocazione dei servizi, che consideri i contesti logistici, con adeguata segnaletica. b) Criteri di organizzazione Per un servizio ecografico, l’obiettivo dovrebbe essere quello di erogare, in tempi accettabili, prestazioni di elevata qualità (con personale qualificato e con strumentazione e procedure adeguate), appropriate, efficaci sul piano diagnostico ed efficienti, cioè col minor assorbimento di risorse a parità di efficacia. Dovrebbe essere definito lo standard di prodotto, la tipologia ed il volume degli esami da erogare, indispensabile per ottimizzare le risorse. Quindi la definizione di uno standard di prodotto può consentire la programmazione delle procedure di erogazione. Inoltre, l’applicazione di processi di VRQ, meglio se in un contesto di Total Quality, può favorire il miglioramento continuo del servizio e una maggior soddisfa-


SPECIALE 3 zione, anche percepita, dell’utenza. In particolare, la pianificazione dei servizi dovrebbe seguire una procedura che preveda: 1°) valutazione quali-quantitativa del fabbisogno di esami (quali e quanti); 2°) valutazione quali-quantitativa dell’offerta erogabile, attraverso: a) ricognizione dei servizi, b) numero e tipologia degli ecografi in dotazione, c) personale qualificato disponibile, d) quantificazione dei carichi di lavoro in base ad appositi tempari, e) utilizzazione intensiva delle apparecchiature. 3°) programmazione delle risorse (ridistribuzione, incremento o riduzione di personale ed apparecchiature), in funzione del volume e della tipologia degli esami da erogare. 4°) informatizzazione dei flussi di informazioni (prenotazioni, refertazione, archiviazione). c) Competenze professionali Quello delle competenze professionali è un aspetto fondamentale dell’organizzazione dei servizi ecografici in ambito ospedaliero, in quanto influenza la scelta delle figure professionali da assegnare e l’allocazione delle risorse. Tale aspetto, inoltre, è spesso fonte di fenomeni di turf battles, ossia di lotte per l’orticello, molto diffuse nelle dinamiche relazionali tra professionisti, anche in campo ecografico. Al di sopra di quest’ultima logica, il problema è di identificare chi, sotto il profilo del ruolo professionale, può rispondere alle esigenze di efficacia ed efficienza nell’erogazione delle prestazioni ecografiche, stante che l’ecografia non rappresenta di per sè una “specialità”, bensì una “metodica”. Sebbene non esista una specifica normativa di Legge in materia, in ambito ospedaliero il problema della competenza appare sostanzialmente risolto, sulla base di qualificati pronunciamenti di società scientifiche e del Consiglio Superiore di Sanità (CSS). Quest’ultimo, nel documento approvato

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APPLICAZIONI CLINICHE DELL’ECOGRAFIA • Diagnostica per immagine • Integrazioni diagnostiche a) mezzi di contrasto per caratterizzazione lesionale b) elastosonografia (es: quantificazione fibrosi epatica, caratterizzazione lesioni focali, ecc.) •S upporto eco-guidato a procedure invasive, diagnostiche e/o terapeutiche a) Campionamenti cito-istologici (es: biopsie epatiche, biopsie di lesioni focali, campionamenti microbiologici, ecc.) b) Drenaggi di raccolte fluide (es: paracentesi, toracentesi, drenaggio ascessi, ecc.) c) Accessi vascolari (es: cateterismo venoso centrale, PICC, Midline, ecc) d) Terapie lesionali (es: termoablazione tumori, alcolizzazione cisti echinococco, iniezione intralesionale di farmaci, ecc.) • Studi funzionali a) Emodinamica cardiaca e vascolare b) Motilità colecistica c) Motilità intestinale d) Dinamica vescicale/minzionale e) Reflusso gastro-esofageo f) Reflusso vescico-ureterale g) Modificazioni endometriali e/o ovariche h) Ecc. • Screenings di popolazioni selezionate a) Epatocarcinoma su cirrosi epatica b) Aneurisma aortico addominale in soggetti con fattori di rischio c) Displasia dell’anca nei neonati d) Ecc.

il 21/7/1983, ha affermato che: “Per una corretta esecuzione dell’indagine ecografica è fondamentale un’adeguata preparazione clinica, per cui la partecipazione ai corsi di perfezionamento in ecografia deve esser riservata a coloro che già possiedono una specializzazione in una delle materie attinenti i vari settori della diagnostica ecografica o una specializzazione affine”. Tale affermazione appare ancor più fondata dopo un trentennio, alla luce dell’evoluzione tecnologica e delle applicazioni specialistiche sempre più approfondite della metodica. In pratica, ogni specialista ha potenzialmente competenza ecografica nell’ambito delle applicazioni inerenti la propria specialità. Di fatto, tuttavia, i vecchi piani di studio di molte scuole di specializzazione non prevedevano l’insegnamento dell’ecografia, sicchè non tutti gli specialisti, ipso facto, possono ritenersi competenti in materia. A colmare questo vuoto sono intervenute università e società scientifiche (SIUMB, SIRMN, SIN-GSER, ecc.), rispettivamente attraverso l’istituzione di corsi di perfezionamento e di corsi teorico-pratici, finalizzati alla formazione e all’addestramento in campo ecografico.


SPECIALE 3 La partecipazione con profitto a tali corsi, pertanto, rappresenta una condizione integrativa della specializzazione (in ambiti equipollenti o affini) per definire la competenza ecografica dei medici ospedalieri. Attualmente, quindi, la figura più idonea all’esercizio dell’attività ecografica, è ritenuta quella del medico specialista (o medico con titoli di servizio equipollente) con competenza ecografica maturata attraverso corsi di perfezionamento universitari o corsi teorico-pratici di società scientifiche, qualora il piano di studi della specialità conseguita non abbia previsto nel proprio statuto l’insegnamento della diagnostica ecografica. Tale competenza è da intendersi nell’ambito della specializzazione conseguita. Questo indirizzo è stato ufficialmente espresso con documento congiunto sottoscritto dalle due società scientifiche che raggruppano il maggior numero di ecografisti italiani, la SIUMB e la SIRMN, la prima di natura multispecialistica, la seconda radiologica. La qualificazione del medico ecografista, tuttavia, non può essere limitata all’acquisizione di una specifica competenza ma, come espresso nello stesso documento, deve essere costantemente aggiornata, attraverso iniziative di formazione continua ed aggiornamento. La SIUMB, in particolare, ha istituito il Registro Nazionale dei Medici Ecografisti SIUMB, gestito da un Garante, in cui sono inseriti a domanda i soci rispondenti a specifici requisiti formativi e di casistica certificata; tale Registro, annualmente aggiornato, è pubblicamente accessibile e scaricabile dal sito web societario (www.siumb.it), a disposizione di Utenti e Istituzioni. E’ il caso di sottolineare che l’esercizio dell’ecografia rimane, comunque, appannaggio della responsabilità medica anche sotto il profilo dell’esecuzione, diversamente da altre metodiche standardizzate (radiografia, elettrocardiografia, spirometria, ecc.), la cui esecuzione può essere delegata a personale tecnico.

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Ciò perché, coerentemente col citato documento del CSS, l’esame ecografico è finalizzato non tanto alla rilevazione di dati e/o iconografia su cui successivamente effettuare una diagnosi, bensì ad una diagnostica in tempo reale, cioè durante l’esame, condizione che presuppone una specifica competenza clinica già in fase di esecuzione, relegante l’iconografia ad una valenza di natura essenzialmente documentale. Non a caso, l’ecografia è universalmente considerata una metodica fortemente operatore-dipendente. Per quanto sopra sono altamente inadeguate alcune tendenze volte ad affidare l’esecuzione di esami diagnostici ecografici a personale sanitario non medico, incaricato di rilevare iconografia sulla cui base il medico dovrebbe successivamente formulare una diagnosi e redigere un referto. Sotto un profilo di responsabilità, tale procedura è pericolosa per l’esecutore (che non ha la competenza medica per ricercare, definire e selezionare le immagini di significato diagnostico), per il medico che referta (in quanto formula diagnosi sulla base di immagini rilevate da altro personale) e, in ultima analisi, per gli stessi Utenti. L’apparente beneficio di tale procedura consisterebbe nella contrazione dei costi di esecuzione, ad opera di personale di livello retributivo inferiore a quello medico. In realtà, espone ad un incremento anche considerevole dei costi, per le potenziali errate, mancate o tardive diagnosi nonché per il relativo contenzioso legale e i relativi risarcimenti. d) Allocazione e razionalizzazione delle risorse Lo scenario passato e presente contempla servizi ospedalieri di ecografia autonomi, configurati come unità operative complesse, altri allocati presso Unità operative complesse, ma configurate come Unità operative semplici (ex moduli) o come laboratorio/ambulatorio con incarico professionale ad un dirigente medico; in altre situazioni, esiste una allocazione strumentale presso Unità operative complesse, ma senza specifica attribuzione di incarichi di responsabilità, laddove la strumentazione è impiegata liberamente da tutti i medici di reparto. Sebbene in uno scenario in continua e rapida evoluzione che riprenderemo più avanti, in condizioni di risorse limitate e per apparecchiature di alto costo diversi criteri concorrono a determinare allocazione e configurazione di un servizio ecografico: a) competenze professionali; b) volume delle prestazioni; c) fruibilità per l’utenza; d) peculiarità delle Unità operative; e) razionalizzazione delle risorse in rapporto alla domanda-offerta; f) economicità dell’erogazione; g) responsabilità organizzativo-gestionali h) utilizzo intensivo delle apparecchiature. Il criterio della competenza professionale ha un valore di requisito minimo ma non sufficiente. Considerato isolatamente, infatti, esso potrebbe favorire una anti-economica frammentazione delle risorse. Uno dei criteri che deve affiancarlo è quello del volume delle prestazioni, in una logica di razionalizzazione delle risorse, che prevede la valutazione del fabbisogno di apparecchiature e l’utilizzo intensivo delle stesse, anche attraverso dotazioni condivise tra più unità operative.


SPECIALE 3 Stabilito l’ammontare di esami ecografici da eseguire annualmente (comprese le sub-quantità per tipologia di esame), in base a tempari predeterminati (tempo medio per un esame ecografico) e considerando l’impiego di un apparecchio nell’arco di 8 ore/die nei giorni feriali, può essere calcolato il fabbisogno globale di apparecchiature ecografiche, secondo la seguente formula: NE = FA / NG x GF Dove: NE: Numero di ecografi FA: fabbisogno annuale di esami ecografici NG: Numero esami eseguibili in un giorno feriale (8 ore), calcolato in base a tempario predeterminato, indicativo del tempo medio di occupazione sala + esecuzione + refertazione di un esame ecografico (p.es.: ecografia B-Mode dell’addome superiore=45’, ossia 10,6 esami/ die in 8 ore) GF: giorni feriali lavorabili (circa 300

La SIUMB ha istituito il Registro Nazionale dei Medici Ecografisti SIUMB, gestito da un Garante, in cui sono inseriti a domanda i soci rispondenti a specifici requisiti formativi e di casistica certificata; tale Registro, annualmente aggiornato, è pubblicamente accessibile e scaricabile dal sito societario www.siumb.it

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compreso il sabato) Così, per esempio, se si prevede un fabbisogno annuale di 10.000 ecografie dell’addome superiore (45 minuti/esame), il numero di ecografi occorrente viene così determinato: 10.000/10,6x300 ossia 10.000/3.180 ossia 3,1 apparecchi ecografici. Sulla base delle sub-quantità specialistiche del fabbisogno (ecografie internistiche, cardiache, ostetriche, reumatologiche, ecc.), possono essere definite le configurazioni tecnologiche delle apparecchiature e orientata la loro allocazione. Per esempio, se annualmente l’Unità di endocrinologia esegue 2.000 esami tiroidei (30’ per esame) e l’Unità di reumatologia effettua 3.000 esami muscolo-tendinei (30’ per esame), si giustifica la dotazione di un apparecchio configurato per esami superficiali (sonde ad alta frequenza), dedicato alle due Unità che congiuntamente raggiungono un tasso di utilizzo ottimale dell’apparecchiatura (5.000 esami/anno, di 30’ cadauno); questa potrebbe essere allocata presso l’Unità di reumatologia, sia per il maggior numero di esami da effettuare (3.000 vs 2.000) sia per la peculiarità dell’utenza (pazienti con limitazioni motorie, più difficilmente spostabili). Inoltre, al fine di un utilizzo condiviso di un ecografo, occorre prevedere una regolamentazione per l’accesso alle apparecchiature da parte degli specialisti delle diverse Unità operative. La quantità di personale specializzato e competente da assegnare ad un servizio ecografico dovrebbe essere tale da consentire la coper-


SPECIALE 3 tura del numero di esami eseguibili annualmente (NEA), con un apparecchio, secondo la formula: NEA= NG x GF Dove: NEA: Numero esami eseguibili annualmente NG: Numero esami eseguibili in un giorno feriale (8 ore), calcolato in base a tempario predeterminato, indicativo del tempo medio di occupazione sala + esecuzione + refertazione di un esame ecografico GF: giorni feriali lavorabili (circa 300 compreso il sabato) Il NEA, in pratica, indica il carico di lavoro complessivo annuale per apparecchio. Il personale medico da assegnare al servizio deve essere tale da coprire questo carico. Sul piano teorico, l’effettivo monte ore annuale di un medico ospedaliero è mediamente stimabile in 1.700-1.800 ore, al netto di circa 350 ore di assenza per congedi, aggiornamento professionale, permessi vari. Così, per esempio, la produttività di un medico dedicato a tempo pieno alla diagnostica ecografica, è stimabile in circa 3.500 esami di 30’ o in circa 2.100 esami di 45’. Sul piano reale, il calcolo del personale medico da assegnare al servizio ecografico è più complesso, in quanto nella stragrande maggioranza dei casi ogni medico ospedaliero ha carichi di lavoro funzionalmente diversificati (attività clinica, strumentale, gestionale, turni di guardia con relativi recuperi orari, ecc.). In pratica, per ogni medico eligibile, deve essere definita la quota del monte orario annuale dedicabile all’attività ecografica, dividendola per il tempo medio di ogni esame in base al citato tempario. Si ottiene così il carico di lavoro ecografico individuale di ogni medico assegnabile, in termini di numero di esami individualmente effettuabili, potenzialmente diversificato tra i componenti delle équipe. Dovranno, così, essere assegnati al servizio tanti medici quanti ne occorrono per coprire il monte ore complessivo degli specialisti ed il NEA. Sul piano della razionalizzazione delle

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risorse e della economicità della erogazione, il volume degli esami eseguibili è un criterio che può orientare l’allocazione di un servizio o di una strumentazione. Esso, tuttavia, non può prescindere dalla necessità di erogare anche prestazioni ecografiche di basso volume numerico ma di tipologia indispensabile per impatto clinico, diagnostico e terapeutico. In tal caso, come già esposto, è proponibile la dotazione di una strumentazione multidisciplinare, a disposizione di un “consorzio” di unità operative che ne fruiscano in forma organizzata, secondo un regolamento concordato che preveda, fondamentalmente, modalità utilizzo e un coordinatore organizzativo. Sul piano del budgeting, ad ogni unità operativa dovrebbe essere ripartito il costo derivante dall’impiego del Servizio. Il criterio della fruibilità per l’utenza, coinvolge due aspetti: umanizzazione dell’assistenza ed economicità dell’erogazione. Da tempo è fortemente sentita l’esigenza di ripensare l’organizzazione ospedaliera ponendo il paziente al centro della rete di servizi e non viceversa; tale ottica di umanizzazione dell’assistenza, nel particolare di un servizio ecografico, corrisponderebbe ad una allocazione di quest’ultimo nel contesto di Unità operative di degenza, riducendo così tempi di attesa e disagi derivanti dallo spostamento dei pazienti, soprattutto se allettati o in condizioni critiche. Inoltre tale opzione, soprattutto in contesti ospedalieri ancora strutturati a padiglioni, potrebbe generare anche vantaggi economici in termini di riduzione dei costi derivanti da tempi di attesa e utilizzo di mezzi e personale per il trasporto dei pazienti. Questi potenziali vantaggi economici, tuttavia, andrebbero considerati misurandoli oggettivamente, attraverso analisi di processo e dei relativi costi, sotto il profilo della logistica, dei tempi e dell’impiego di personale di supporto. Non ultima, deve essere considerata la peculiarità dell’Unità operativa, in relazione ad attività ecografiche dedicate e mal centralizzabili come, per esempio, l’impiego intraoperatorio, l’esecuzione di biopsie renali, di esami eco-endoscopici o di trattamenti eco-guidati. Le problematiche e i criteri sin qui esposti, hanno alimentato un dibattito sulla allocazione centralizzata o decentrata dei servizi ecografici ospedalieri. Da una parte vengono sollevate le esigenze di economia di gestione e di erogazione delle prestazioni, in una logica di utilizzo intensivo delle risorse, a sostegno della centralizzazione; dall’altra vengono sollevate le esigenze di competenza e di peculiarità specialistica nonchè di migliore fruibilità per l’utenza, a sostegno del decentramento. In realtà, scevri da posizionamenti “ideologici”, questo tipo di problematica deve essere affrontata in modo differenziato, in rapporto a diversi fattori, quali dimensioni, architettura, livello e grado di diversificazione specialistica dei mutevoli contesti ospedalieri. In tal senso possono essere teorizzate due situazioni estreme, che impongono scelte diametralmente opposte. A) Da una parte, il caso di un ospedale di piccole dimensioni, strutturato in monoblocco, con poche Unità operative di degenza e con un volume limitato di esami ecografici; in tal caso, l’allocazione centralizzata garantirebbe una migliore economia di gestione a fronte di una scarsa penalizzazione degli altri criteri prima citati, ferma restando l’apertura


SPECIALE 3 alle diverse competenze specialistiche. Tale modello centralizzato potrebbe prevedere l’allocazione della strumentazione in un ambiente condiviso o presso una specifica Unità operativa; quest’ultima capace di erogare direttamente le prestazioni ecografiche con proprio personale e/o di ospitare altri specialisti esecutori degli esami. B) Dall’altro, il caso di un ospedale di grandi dimensioni, esteso su un’ampia superficie o strutturato a padiglioni, con numerose unità operative di degenza, di alto livello, con molteplici competenze specialistiche e con un elevato volume annuale di esami; in tal caso è impensabile la centralizzazione unificata dell’attività ecografica. Nella pratica reale, il management aziendale delle risorse ecografiche dovrebbe basarsi su una visione intermedia, equilibrata per rispondere con efficienza alle differenziate esigenze delle diverse strutture ospedaliere. Tale visione può essere quella della centralizzazione per gruppi di unità operative, laddove centralizzare non significa unificare, bensì raggruppare attorno ad ogni risorsa strumentale (ecografo) più risorse umane specialistiche, sulla base di criteri logistici, di affinità di competenze, di volume di esami, di peculiarità delle applicazioni. Un esempio di tale modello potrebbe essere quello di servizi ecografici dipartimentali; cui potrebbero afferire, in area medica, compenze di Unità operative come medicina interna, geriatria, gastroenterologia, nefrologia, endocrinologia, … L’insieme di servizi dipartimentali o di altra natura aggregativa, verrebbe a costituire nell’ospedale una rete di nuclei di aggregazione, in cui ogni nucleo è rappresentato da un apparecchio appositamente configurato (multidisciplinare), cui afferiscono esecutivamente più unità operative, volte nell’insieme all’utilizzo intensivo della strumentazione affidata. Inoltre tale impostazione, che potremmo definire di micro-centralizzazione multipla, migliorerebbe l’interscambio

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Figura 1

di esperienze specialistiche, e favorirebbe una migliore copertura di prestazioni in regime di urgenza. Le Figure 1, 2 e 3 mostrano schematicamente esempi dei citati modelli di allocazione ospedaliera di apparecchi ecografici (E), a parità di unità operative interessate. e) Standard di Prodotto / Servizio e VRQ

Figura 2


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Il processo organizzativo-gestionale di qualunque servizio non può prescindere, in una logica di miglioramento continuo, da processi di verifica della qualità (VRQ), come peraltro previsto dal DL 517. L’atto preliminare di questo processo è la definizione dello standard di prodotto/servizio, sinteticamente definibile come la dichiarazione delle finalità e delle specifiche del servizio, contenente una precisa e completa descrizione del prodotto/servizio erogato, nonché le caratteristiche del medesimo soggette a valutazione da parte dell’utente. Tale documento ha una funzione dinamica, in quanto esplicita i parametri in base ai quali attuare un sistema di verifica, con conseguente periodica riformulazione e modifica dell’esecuzione delle attività in base a quanto dichiarato, con l’obiettivo della massima soddisfazione dell’Utente.

Figura 3

ECOGRAFIA CLINICA Lo scenario attuale è caratterizzato da considerevoli mutamenti, maturati soprattutto nell’ultimo decennio, che hanno determinato una ulteriore, crescente e diversificata diffusione dell’ecografia nella pratica clinica, di entità tale da dover prevedere una consistente revisione di quanto esposto nel paragrafo precedente. In pratica sono recentemente apparsi sulla scena una serie di fenomeni fortemente condizionanti lo scenario futuro. In primo luogo l’introduzione sul mercato di apparecchiature di dimensioni molto contenute, come tali ben trasportabili; alcune addirittura “tascabili”, seppure come tali di limitato impiego diagnostico. Parallelamente il costo delle apparecchiature, a parità di prestazioni, è molto diminuito, rendendo il mercato estremamente più accessibile. Attualmente, quest’ultimo offre apparecchiature di sufficiente livello prestazionale entro i 20-30 mila euro, con tendenza ad ulteriore ribasso. In secondo luogo, sono state introdotte e sviluppate nuove procedure diagnostiche integrative, dall’ecocolorDoppler ai mezzi di contrasto ecografici alla più

recente elastosonografia, quest’ultima ancora appannaggio delle apparecchiature di fascia alta o medio-alta. In terzo luogo e in conseguenza di quanto sopra, si sono espanse notevolmente le applicazioni cliniche, in tutti gli ambiti specialistici e con maggior enfasi nell’ambito dell’area critica e dell’urgenza, sia sul piano diagnostico che terapeutico. Il supporto ecografico è oggi previsto in numerose linee-guida, particolarmente per procedure invasive, quali cateterismo venoso centrale, toracentesi, pericardiocentesi, biopsie d’organo, terapie lesionali. Come si evince dalla Letteratura ecografica internazionale, sono crescenti le applicazioni cosidette bedside (BS) o point-of-care (POC), ossia praticate direttamente dal medico clinico al letto del malato o, comunque, sul luogo di cura, per rispondere immediatamente a quesiti clinici mirati (symptom-oriented), utilizzando apparecchiature portatili durante la visita del paziente, tanto da indurre la definizione dell’ecografo come il fonendoscopio del XXI secolo e, addirittura, da porre da qualcuno in discussione validità e limiti del tradizionale esame obiettivo. Alla luce di questi sviluppi, anche la formazione ecografica sta subendo influenze con proposte parcellizzate, ossia orientate ad acquisire competenze su applicazioni specifiche e settoriali, nei citati contesti BS o POC. L’enfasi attualmente attribuita a tali applicazioni, merita comunque chiarezza e appropriata interpretazione. Se, infatti, tali applicazioni trovano uno spazio crescente in Letteratura, ciò non giustifica un approccio formativo orientato a fornire competenze confinate a specifici sintomi o problemi clinici, scevre da fondamentali conoscenze su tipologie e funzionamento delle apparecchiature, formazione dell’immagine, artefatti, semeiotica ecografica, capacità di riconoscere lesioni anche al di fuori delle strutture esaminate. La stessa Letteratura riporta come in contesti clinici BS-POC e con appa-

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SPECIALE 3 recchiature portatili, l’accuratezza diagnostica sia correlata alla competenza dell’operatore, sottolineando il rischio di esami falsi positivi induttori di ulteriori esami diagnostici inutili, costosi e potenzialmente dannosi, nonché di mancate o errate diagnosi, tali da modificare gli esiti clinici esponendo anche a contenziosi legali. Sulla scia dell’esperienza scientifica e didattica maturata in decenni dalla SIUMB, è lecito affermare la validità di un percorso formativo di base, teorico e pratico, qualificato e qualificante, comune a tutti i medici interessati ad utilizzare l’ecografia nella propria attività professionale. Tale percorso di base deve primariamente porre il discente nelle condizioni di identificare le anormalità, sulla base di acquisite conoscenze generali di anatomia e semeiotica ecografiche. Su questa base formativa, possono trovare inserimento anche le diverse proposte formative BS-POC, atte a fornire peculiari capacità applicative nei vari contesti clinici. SIUMB (SOCIETÀ ITALIANA DI ULTRASONOLOGIA IN MEDICINA E BIOLOGIA) Società scientifica leader in ambito ecografico in Italia, ente morale con Decreto ministeriale del 19-6-1992. Affilia 3.000 medici di diversa estrazione specialistica e professionale. E’ federata a livello internazionale (EFSUMB, WFUMB), provider ECM, certificata ISO 9001:2000. Gestisce il Registro Nazionale dei Medici Ecografisti SIUMB, cui si accede sulla base di requisiti di formazione ed esperienza (casistica certificata). Il programma formativo societario prevede due edizioni annuali di Corso teorico di base e Corsi teorici avanzati in diversi ambiti specialistici, integrati da Corsi pratici presso Scuole SIUMB accreditate (32 di base, 42 specialistiche), distribuite sul territorio nazionale presso ospedali, università e fondazioni. Ha sede a Roma in via dei Gracchi 278. Sito web: www.siumb.it

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In altre parole l’ecografia BS o POC rappresenta una “modalità applicativa” di conoscenze e competenze fondamentali; come tale non può eludere un preliminare percorso formativo generale di base, sostituendolo con un percorso settoriale, che assume valore come percorso secondario, avanzato o specialistico. Le stesse mini-apparecchiature oggi disponibili sul mercato necessitano di una definizione dello standard minimo per i diversi tipi di applicazione, considerando che la miniaturizzazione potrà incidere ulteriormente sulla componente hardware di trasmissione-elaborazione dei segnali, con un migliorabile rapporto performance/dimensioni, ma solo entro certi limiti per le dimensioni del monitor, dipendenti dai limiti di risoluzione dell’occhio umano. Occorrono, dunque, nuove evidenze frutto di ricerca indipendente, per definire meglio tipo di mini-apparecchiature e modalità di applicazione nei diversi contesti e finalità assistenziali. CONCLUSIONE La crescente diffusione dell’ecografia, particolarmente in un ambito sanitario complesso come quello ospedaliero, ha comportato l’esigenza di definirne criteri e modalità organizzative in una logica di efficacia ed efficienza, attraverso possibili modelli di centralizzazione, di decentramento e/o di rete nodale, diversamente applicabili secondo i vari contesti ospedalieri. Le recenti proposte di applicazione bedside o point-of-care dell’ecografia, hanno spinto la metodica verso un impiego più ampio e sistematico direttamente nei contesti di cura, anche con raccomandazioni formalizzate in Linee-guida di società scientifiche e professionali, facilitato dalla disponibilità di strumentazione di costo contenuto e portatile. Tale approccio, tuttavia, richiede un qualificato allargamento delle competenze dei medici clinici attraverso adeguati percorsi formativi e più solide evidenze scientifiche inerenti lo standard delle mini-apparecchiature e delle relative modalità e finalità di applicazione. n BIBLIOGRAFIA Perraro F.: Strumenti di valutazione delle attività e verifica della qualità. In: G.Ottone - Servizi ospedalieri di diagnostica strumentale. Pp. 93-8. Centro Scientifico Editore, Torino, 1994 Ecografia. Problemi organizzativi e manageriali nelle nuove aziende ospedaliere. Giornale Italiano di Ultrasonologia 3: 106-21, 1996 Consiglio direttivo SIUMB: La pratica della diagnostica ecografica in Italia. Giornale Italiano di Ultrasonologia. 7: 122-3, 1996 SIRMN, SIUMB: Documento congiunto sulla gestione dell’ecografia. Giornale Italiano di Ecografia. 4: 237-8, 1998 Moore CL, Coel JA. Point-of-Care Ultrasonography. N Engl J Med 364:749-757, 2011 Schumacher SM e Al. Point of Care Ultrasound by Primary Care Physicians and Geriatricians: Old Adults, New Technology, Potential Benefits and Burdens. J Gerontol Geriat Res 1:1, 2012 Solomon SD, Saldana F. Point-of-care ultrasound in medical education—stop listening and look. N Engl J Med 370(12):1083-5, 2014


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Francesco Frigerio autore

Centro di Ricerche Ambientali, Fondazione Salvatore Maugeri, Pavia Associazione Italiana di Fisica Medica

Si fa presto a dire ultrasuoni Nel dominio dell’acustica la nozione di “ultrasuoni” per le frequenze superiori a 20 kHz identifica fenomeni e applicazioni anche molto diverse fra loro. La percezione del rischio da parte del pubblico inoltre è spesso tale da sovrastimare il pericolo mentre gli ultrasuoni tendono a essere considerati sicuri. La letteratura scientifica sembra divisa in due parti, apparentemente non comunicanti tra loro

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L

a nostra specie è dotata, come quasi tutto il regno animale, di un apparato efficiente e sensibile (gli occhi) per rivelare le onde elettromagnetiche in un certo intervallo di frequenze che interpreta come luce, ma utilizza ampiamente, attraverso la tecnologia, radiazioni elettromagnetiche in tutto lo spettro. Lo stesso accade per le onde acustiche, anche se effetti e applicazioni delle onde sonore, al di là di ciò che percepiamo “a orecchio”, sono meno conosciuti. Per tutti gli intervalli dello spettro elettromagnetico esistono infatti definizioni, metodi di valutazione e regolamentazioni abbastanza precise e ormai acquisite, anche dove eventuali effetti nocivi non sono accertati. Nel dominio dell’acustica viceversa, la nozione di “ultrasuoni” per le frequenze superiori a 20 kHz identifica fenomeni e applicazioni anche molto diverse fra loro. La percezione del rischio da parte del pubblico inoltre è per i fenomeni elettromagnetici spesso tale da sovrastimare il rischio mentre gli ultrasuoni tendono a essere considerati sicuri. La letteratura scientifica sembra divisa in due parti, apparentemente non comunicanti tra loro. Chi si occupa di prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro ha raggiunto un certo consenso sul fatto che gli ultrasuoni che si propagano in aria a frequenza compresa tra 20 e 100 kHz possono avere effetti sull’orecchio anche se l’uomo riesce a percepire, come un fischio


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Figura 1: onda di compressione generata dalla propagazione del suono in aria

acuto e fastidioso, solo le componenti a frequenza inferiore generate dal sistema insieme all’onda principale, chiamate subarmoniche. Nella letteratura medica emerge periodicamente il dibattito sugli effetti degli ultrasuoni introdotti nel corpo a scopo diagnostico e terapeutico. Questo dibattito è interessante perché mentre la classica diagnostica ecografica utilizza ultrasuoni a frequenza superiore al MHz, con intensità tali da non causare allo stato attuale delle conoscenze effetti significativi, si stanno sempre più diffondendo applicazioni a scopo estetico, che utilizzano frequenze < 50 kHz e con intensità in grado di indurre effetti quali la distruzione di strutture cellulari, la formazione di radicali liberi e la sonoluminescenza il cui rischio deve essere

Figura 2: onde trasversali in un solido

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ancora studiato. Il D.Lgs 81/08, il famoso Testo Unico sulla sicurezza sul lavoro, identifica gli ultrasuoni fra gli agenti fisici di rischio la cui valutazione è obbligatoria, senza fornire ulteriori precisazioni; le linee guida emanate dall’INAIL per l’interpretazione del decreto rimandano semplicemente ai limiti per gli ultrasuoni a bassa frequenza sopra citati. L’idea alla base di questo articolo è quella di illustrare come le onde acustiche interagiscono con la materia, compresa quella vivente, e come la semplice proprietà di essere “onde” comporta fenomeni che già conosciamo per le onde elettromagnetiche. LA FISICA DELLE ONDE ACUSTICHE Dal punto di vista della fisica, il suono è la propagazione, in un mezzo, di onde longitudinali di compressione del mezzo stesso. Su internet si trovano ovviamente diverse pagine divulgative sull’argomento: un sito interessante, dove si trovano anche le illustrazioni di questo articolo, è http://fisicaondemusica.unimore.it che è un vero laboratorio didattico interattivo dove i concetti illustrati si possono visualizzare mediante animazioni. Una rappresentazione realistica delle onde longitudinali è riportata in Figura 1. Il numero di cicli di compressione e rarefazione nell’unità di tempo è detto frequenza, misurata in Hz. L’inverso della frequenza è il periodo T, espresso in secondi, e la distanza percorsa dalla perturbazione in un tempo pari a un periodo è detta lunghezza d’onda. Vale quindi la relazione (1) dove vm è la velocità di propagazione della perturbazione nel mezzo, l’equazione è la stessa che si applica alle onde elettromagnetiche. All’interno di un gas, le uniche onde che si possono propagare sono quelle longitudinali del tipo di quelle rappresentate in Figura 1. All’interno di un solido, le cui molecole sono legate tra loro da forze che tendono a mantenerle intorno ad una posizione fissa, possono propagarsi anche onde di tipo trasversale, come quelle rappresentate in Figura 2. La velocità di propagazione delle onde trasversali è in questo caso funzione dell’elasticità del mezzo. Un mezzo si dice elastico se, in seguito ad una deformazione, esso sviluppa forze interne che tendono a ripristinarne forma e dimensioni originali. Un aspetto molto importante della propagazione per onde è che quando un fronte di onde incontra un ostacolo o una fenditura della stessa dimensione della lunghezza d’onda, come mostrato nella Figura 3, il fronte di onde (longitudinali) si “rompe” (in latino diffractus) per ricostituirsi al di là della fenditura. Un’altra classe di fenomeni nei quali sono coinvolte le onde è quella legata alle differenze nella velocità di propagazione nei diversi materiali. Ciascun materiale può essere per praticità caratterizzato da una grandezza chiamata impedenza acustica data da


SPECIALE 3 (2) dove ρ è la densità e vm è la velocità di propagazione nel materiale. Il termine impedenza deriva dal fatto che la Z descrive come il mezzo si oppone al passaggio delle onde. L’energia che un’onda acustica deposita sull’unità di superficie, si definisce Intensità. Si dimostra che l’intensità di un’onda sonora è legata alla pressione efficace che incide sulla superficie dalla relazione (3) Si parla di pressione efficace perché, istante per istante, la pressione varia, un formalismo matematico che non è il caso di introdurre qui permette di descrivere l’’effetto” di questa pressione sulla superficie incidente. Il concetto di impedenza ci serve per capire cosa succede quando un fascio di onde attraversa l’interfaccia due mezzi diversi. Tralasciando la dimostrazione formale, possiamo descrivere, in termini dell’impedenza acustica i valori del coefficienti di riflessione R e di trasmissione T di un’onda sonora all’interfaccia fra due mezzi. Siano Z1 l’impedenza acustica del mezzo 1 e Z2 l’impedenza acustica del mezzo 2. Il coefficiente di riflessione ovvero il rapporto fra l’intensità dell’onda sonora riflessa rispetto a quella incidente (in direzione ortogonale) è dato da: (4). Il coefficiente di trasmissione è invece dato da (5) Coerentemente con il significato di impedenza descritto sopra, se Z1 e Z2 sono molto diverse R tende a 1 e T è molto piccolo; se viceversa i valori sono molto

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vicini (adattamento di impedenza), il coefficiente di riflessione tende a zero e l’intensità acustica rimane poco attenuata al passaggio della superficie di interfaccia. L’impedenza si misura in kg/m2*s, unità detta Rayleigh (Rayl). I valori riportati nella Tabella I mostrano un primo dato importante: le onde sonore convogliate all’interno dei tessuti si trasmettono all’aria in modo estremaFigura 3: il fronte di onde piane nella parte mente inefficiente. superiore della figura incontra una fenditura L’ecografia si basa proprio delle stesse dimensioni della lunghezza sulla ricostruzione numeri- d’onda e si ricostituisce al di la della fenditura ca di immagini basate sul- che si comporta come una “nuova sorgente” la differenza di impedenza acustica dei diversi tessuti. Tornando alla Figura 1, si può affermare che la velocità del suono è data dalla distanza tra due fronti d’onda (le regioni più dense nella figura), divisa per il tempo che intercorre tra l’emissione di un fronte e l’altro. In questo senso, si capisce che la frequenza è una proprietà della sorgente sonora, per esempio un pistone che spinge l’aria in avanti e in dietro ad una certa velocità, mentre la lunghezza d’onda dipende dal mezzo. Un osservatore che si trovi ad una distanza fissa dalla sorgente percepirà i fronti d’onda dopo un certo tempo rispetto all’istante nel quale viene generato per effetto della velocità di propagazione, ma sempre ogni 1/ν secondi. Se invece l’osservatore si allontana dalla sorgente, i vari fronti d’onta arriveranno ritardati sia per effetto della velocità di propagazione sia per effetto della velocità dell’osservatore. In questo caso i fronti d’onda vengono percepiti con un maggiore intervallo nel tempo ovvero con una frequenza minore. Al contrario, se l’osservatore si muove verso la sorgente, la frequenza percepita, dall’osservatore in moto sarà maggiore. Tutto questo prende il nome di effetto Doppler e viene ampiamente sfruttato per misurare la velocità degli oggetti in movimento, siano essi le automobili su una strada o il sangue all’interno del corpo umano. Un caso particolare si ha quando la sorgente si muove verso l’osservatore ad una velocità maggiore di λν. In questo caso la sorgente incontra i fronti di compressione che ha generato e li “perfora”, generando una nuova sorgente sonora che si manifesta con il classico “bang” udibile quando transita un aereo che viaggia a velocità maggiore di quella del suono. Nella propagazione in un mezzo qualsiasi, le onde acustiche si attenuano con la distanza. Questa attenuazione è, in generale, maggiore alle frequenze più alte.


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Tabella 1: impedenza acustica di diversi mezzi

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Le stesse proprietà che valgono per la propagazione in aria, si applicano alla propagazione all’interno dei tessuti. L’intensità delle onde acustiche può variare di alcuni ordini di grandezza in pochi centimetri; quando una certa quantità varia, nel tempo o nello spazio, in un intervallo così ampio, è utile la rappresentazione in decibel. Nell’acustica del rumore, si usa solitamente la scala in decibel di pressione sonora: (6)

Una verifica empirica di questo fenomeno si può avere facendo caso al fatto che a distanza di alcuni chilometri da una discoteca è difficile distinguere il genere di musica proprio perché solo le note più basse sono percepibili.

Dove P0 è la minima pressione efficace udibile per un suono a 1000 Hz, ovvero 20 μPa. Ricordando la (3), si può anche scrivere (7) Il valore di riferimento dell’intensità acustica è 10-12 W/m2, la scala in intensità è utilizzata più spesso nelle applicazioni cliniche e industriali.

Nella propagazione in un mezzo qualsiasi, le onde acustiche si attenuano con la distanza. Questa attenuazione è, in generale, maggiore alle frequenze più alte. Una verifica empirica di questo fenomeno si può avere facendo caso al fatto che a distanza di alcuni chilometri da una discoteca è difficile distinguere il genere di musica proprio perché solo le note più basse sono percepibili

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EFFETTI E APPLICAZIONI DELLE ONDE ACUSTICHE Gli ultrasuoni, ovvero i suoni a frequenza > 20 kHz possono provocare effetti di tre tipi:

• effetti uditivi a bassa frequenza: fino a 90 kHz, possono esserci effetti di danno acustico all’orecchio, indipendentemente dal fatto che il suono sia udibile o meno; questi effetti, peraltro abbastanza controversi per le componenti > 20 kHz, sono associati anche alle subarmoniche nel campo dell’udibile generate da sorgenti di ultrasuoni; •e ffetti termici ad alta frequenza: a frequenze > 1 MHz, l’assorbimento localizzato di ultrasuoni può provocare il riscaldamento del tessuto interessato; il danno è funzione del calore accumulato e quindi della temperatura raggiunta; •e ffetti di cavitazione a tutte le frequenze. Come già notato, esistono diverse applicazioni tecnologiche che sfruttano onde acustiche a frequenza < 20 kHz per ottenere informazioni sulla struttura interna di manufatti, costruzioni strutture geologiche e altro ancora misurando l’intensità dello spettro trasmesso o riflesso. Possiamo citare il sonar, utilizzato in campo navale, il sistema RASS che segue con un radar la propagazione di un impulso sonoro in atmosfera per ottenere dati metereologici, e molti sistemi di controllo non distruttivo di strutture. Uno degli effetti delle onde acustiche più utilizzati dalla tecnologia e che comporta l’esposizione ad ultrasuoni, è la capacità di provocare la cavitazione nei liquidi. Le onde sonore sono in grado di far crescere con una rapida espansione e successivamente far collassare le bolle di gas contenute in un liquido. Il collasso della bolla può, sotto certe condizioni, sviluppare localmente temperature di migliaia di gradi con conseguente emissione di radiazione ottica (sonoluminescenza). La cavitazione può avvenire a tutte le frequenze in funzione dell’impedenza del liquido. Alle frequenze comprese tra 20 kHz e 40 kHz, la cavitazione viene indotta


SPECIALE 3 in acqua per pulire componenti meccanici, gioielli, etc. L’intensità del campo sonoro sul pezzo da pulire è dell’ordine di 1 W/cm2, ovvero 160 dB, una frazione di questa energia si trasmette all’aria dove gli ultrasuoni possono arrivare a 90 ¸ 100 dB. A titolo di confronto, ricordiamo che il valore limite di soglia per l’esposizione dei lavoratori alla sola banda di frequenza centrata a 20 kHz è, secondo l’American Conference of Industrial Hygienists (ACGIH) è di 105 dB mentre valori più elevati sono permessi alle frequenze più alte. Anche se questi apparecchi sono comunemente definiti “a ultrasuoni” usano spesso una frequenza fondamentale molto vicina a 20 kHz, in qualche caso inferiore, con significativa generazione di rumore udibile che deve essere in ogni caso controllato secondo la normativa vigente. Gli ultrasuoni sono anche utilizzati per la saldatura di materiali termoplastici: il materiale su entrambe le parti interessate alla saldatura fonde, formando un giunto pressoché omogeneo dopo il raffreddamento.

APPLICAZIONI MEDICHE DEGLI ULTRASUONI In campo medico, le onde acustiche sia ultrasoniche sia a frequenza udibile sono focalizzate all’interno del corpo per diverse applicazioni: • l a frantumazione dei calcoli (litotrissia) o di piccole calcificazioni ossee e tendinee; • i n fisioterapia, sfruttando l’effetto di riscaldamento in prossimità delle interfacce tra tessuti a impedenza; •p er la cura dei tumori: focalizzando in regioni dell’ordine di qualche cm fasci di ultrasuoni prodotti alla superficie del corpo si riescono a distruggere tumori mediante la tecnica denominata High Intensità Focused Ultrasound (HIFU) Nella litotrissia il personale è normalmente esposto solo ad una trascurabile frazione dell’energia acustica impiegata che può anche superare i 180 dB sul bersaglio. Le potenze impiegate sono dell’ordine dei 100 W/cm2 alla giunzione, corrispondenti a 180 dB.

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In alcune applicazioni, gli ultrasuoni a frequenza < 50 kHz sono utilizzati per la loro capacità di depositare energia in profondità nei tessuti. L’impiego è per lo più estetico, utilizzando diversi livelli di potenza che tuttavia non è sempre facile ricavare dalle informazioni fornite dal costruttore che, come spesso succede in questo campo, si dilunga nel presentare risultati di studi clinici senza fornire dettagli sulla tecnologia impiegata. Inoltre, ad oggi non vi sono standard tecnici per determinare le intensità sonore emesse al di sotto dei 500 kHz di frequenza. Ultrasuoni a frequenza > 1 MHz sono normalmente impiegati in fisioterapia per ottenere un riscaldamento profondo dei tessuti. A queste frequenze, per via delle proprietà descritte, gli ultrasuoni si propagano con estrema difficoltà attraverso l’aria; la trasmissione ai tessuti deve avvenire interponendo fra l’applicatore e la pelle un apposito gel di accoppiamento oppure immergendo l’applicatore e la parte da trattare in acqua. In caso di mancato o inefficiente accoppiamento tra il trasduttore e il tessuto, la maggior parte dell’’energia viene riflessa all’interno del trasduttore stesso con conseguente riscaldamento e rischio di rottura ma anche di ustione del paziente. L’intensità nel punto di trattamento è dell’ordine dei 3 W/cm2, ovvero 165 dB. Il trattamento, in particolare a intensità elevata, viene eseguito muovendo il trasduttore anche per evitare la formazione di onde stazionarie che potrebbero innescare fenomeni di cavitazione. In ambiente medico si possono trovare, oltre ai sistemi di terapia, diversi dispositivi anche di laboratorio che possono emettere ultrasuoni. Il trattamento in bagno a ultrasuoni è utilizzato in diverse procedure di laboratorio e presenta i livelli di esposizione sopra descritti, ovvero circa 1 W/cm2 nel punto di applicazione. Come sempre va posta una certa attenzione nei laboratori di ricerca in quanto, se gli apparati sono progettati per concentrare la massima energia sul campione da trattare, non sempre gli standard di sicurezza, qualora disponibili al momento della costruzione del sistema, possono essere considerati. In letteratura si trovano descritti diversi esempi di applicazioni degli ultrasuoni in vitro per il trattamento di campioni biologici. L’applicazione più diffusa e più nota degli ultrasuoni in medicina è in ogni caso l’ecografia diagnostica. Per le proprietà formali dovute alla propagazione per onde, il suono è soggetto ai fenomeni di diffusione, riflessione e rifrazione. Questi fenomeni, insieme alle piccole differenze di impedenza acustica fra i diversi tessuti, vengono utilizzati per generare immagini cliniche. Le frequenze utilizzate sono generalmente comprese fra 1 e 20 MHz per combinare l’esigenza di ottenere una risoluzione sufficiente, ovvero lunghezza d’onda compresa fra 1,5 e 0,07 mm ed un’adeguata capacità di penetrazione nei tessuti: abbiamo visto infatti che al crescere della frequenza cresce anche l’attenuazione. L’intensità impiegata è limitata oltre che da considerazioni per la sicurezza del paziente, dal fatto che se l’ampiezza dell’onda è molto elevata possono manifestarsi effetti non desiderati quali conversione di modi (generazione di onde trasversali), differenze di propagazione tra la semionda positiva e la semionda negativa, cavitazione, etc.


SPECIALE 3 In pratica l’intensità è limitata generalmente a 100 mW/cm2 (150 dB) salvo i sistemi Doppler che possono arrivare anche 2,5 W/cm2. L’intensità emessa può diventare critica nel caso di impiego di mezzi di contrasto ecografici in quanto se troppo elevata ne può vanificare i benefici. Anche nel caso dell’ecografia, il passaggio degli ultrasuoni dal tessuto all’aria è praticamente impedito dalle differenze di impedenza ed è indispensabile l’utilizzo del gel di accoppiamento. Le onde sonore utilizzate in ecografia sono longitudinali mentre la formazione di onde trasversali è di solito prevenuta per garantire la qualità dell’immagine. Poiché la velocità delle onde trasversali è funzione dell’elasticità dei tessuti, le onde trasversali vengono oggi sfruttate proprio per la misura di questo parametro. Da secoli il medico tocca il paziente per valutare l’elasticità dei tessuti la cui improvvisa variazione può essere segno patologico. Normalmente questa valutazione è di tipo soggettivo, recentemente con la tecnica detta elastosonografia, si genera all’interno del corpo una sorgente di onde trasversali la cui velocità è una misura oggettiva e ripetibile del modulo elastico. Per limitare l’intensità della stimolazione applicata, la sorgente di onde trasversali viene generata sommando due fasci ultrasonori che producono una sorgente in movimento a velocità maggiore di quella delle onde trasversali nei tessuti. Il risultato è un’emissione secondaria di onde trasversali simile a quella dell’effetto supersonico descritto all’inizio. Il movimento di questa sorgente “virtuale” viene poi ricostruito mediante un ecografo in grado di acquisire e ricostruire immagini ad alta velocità. Le prospettive più promettenti dell’impiego di ultrasuoni in medicina restano quelle legate alla terapia dei tumori con i sistemi HIFU. La lesione prodotta viene monitorata quasi in tempo reale mediante risonanza magnetica (MRG-HIFU) o mediante un

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normale dispositivo ecografico (USG-HIFU). Le metodiche al momento più diffuse sono per il trattamento dei fibromi uterini nel primo caso e delle patologie della prostata nel secondo ma sono in corso di sviluppo protocolli per patologie tumorali dislocate più o meno in tutti i distretti corporei. Al momento tuttavia le applicazioni sono ancora in fase di grande sviluppo per una serie di problemi legati alla pianificazione dei trattamenti noncè alla misura degli effetti e comunque meriterebbero una trattazione in un articolo dedicato. Nella Tabella II sono confrontate le diverse applicazioni, mediche e non mediche degli ultrasuoni per evidenziare i diversi livelli di frequenza e intensità in gioco. n

Tabella II: diversi impieghi e intensità delle sorgenti ultrasoniche


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Palmino Sacco autore

Dirigente Medico DAI Diagnostica per Immagini - Azienda Ospedaliera Universitaria Senese

Storia ed evoluzione dell’ecografia

L’ecografia è una tecnica di diagnostica per immagini che si basa sull’utilizzo di ultrasuoni per esplorare il corpo umano. L’esplorazione avviene mediante un apparecchio denominato ecografo. Grazie alla preziosa guida del Dott. Sacco analiziamone insieme genesi, applicazioni e prospettive

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Suoni ed ultrasuoni Il suono è la trasmissione di energia meccanica attraverso un mezzo. L’energia meccanica viene tramessa sotto forma di onde che causano variazione della pressione e della densità del mezzo elastico in cui queste si propagano. Una sorgente sonora induce una sequenza coordinata di compressioni e rarefazioni del mezzo in cui si trova, facendo sì che le particelle del mezzo siano forzate ad oscillare con frequenze definite attorno alla loro posizione di equilibrio. Il moto indotto è oscillatorio e la propagazione degli ultrasuoni equivale alla propagazione di un moto ondulatorio generante, nel mezzo attraversato, bande alternate di compressione e rarefazione delle particelle che lo costituiscono. L’onda acustica è caratterizzata dai seguenti parametri: lunghezza d’onda, frequenza, velocità di propagazione del fascio, intensità del fascio, impedenza acustica. I suoni udibili dal nostro orecchio hanno una frequenza compresa fra 20 e 20.000 Hertz (1 Hertz = 1 ciclo/secondo). Gli ultrasuoni sono suoni ad altissima frequenza, fra 2 e 20 MHz (1 MHz=1.000.000 Hz), pertanto non udibili dal nostro orecchio. Quando un fascio di onde acustiche incontra più superfici lungo il suo percorso, ad ogni superficie di separazione si ha una riflessione ed una rifrazione. Quello che un eventuale trasduttore riceve è quindi una serie di echi. La riflessione dipende dalla differenza di impedenza.


SPECIALE 3 L’impedenza può essere espressa come la resistenza che il mezzo contrappone al suo attraversamento da parte dell’onda acustica ed è specifica di ogni materiale. Utilizzando le tecniche diagnostiche ad ultrasuoni è oggi possibile ottenere informazioni morfologiche, parametriche e funzionali di molte strutture corporee. Le origini dell’ecografia La scoperta degli ultrasuoni si fa risalire al 1793 ed agli esperimenti di Lazzaro Spallanzani sul volo dei pipistrelli: “… memoria dell’Abate Spallanzani sopra di alcune specie di pipistrelli, che dopo di averle accecate, eseguiscono puntualmente col volo tutti que’ riflessivi movimenti nell’aria che da loro si fanno quando sono veggenti e che eseguire non si possono da altri volatili animali se non con la scorta dell’occhio…” Un’altra scoperta fondamentale avvenne nel 1877 nel laboratorio di Pierre e Jacques Curie, dove i due fratelli osservarono come un potenziale elettrico applicato a un cristallo di quarzo producesse vibrazioni che si propagavano come onde sonore ad alta frequenza; la pressione del medesimo cristallo era, inoltre, capace di produrre un potenziale elettrico. I Curie definirono il fenomeno “effetto piezoelettrico”. Nel 1912 l’affondamento del Titanic in seguito alla collisione con un iceberg suscitò grande impatto emotivo in tutto il mondo e stimolò, indirettamente, grande interesse nella ricerca di metodi e strumenti che rendessero più sicura la navigazione, esplorando i fondali ed individuando oggetti sommersi. Di lì a poco, con lo scoppio del conflitto mondiale, tali ricerche diventarono una priorità. Nel 1914 Reginald Fessenden costruì un prototipo del SONAR (Sound Navigation and Ranging) capace di identificare un iceberg sommerso a 2 miglia di distanza. Durante la prima guerra mondiale, su proposta di Costantin Chilowsky, il governo francese affidò la realizzazione di un sistema di rilevazione dei sottomarini basato sugli ultrasuoni a Paul Langevin

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uno degli allievi dei fratelli Curie. Fra il 1915 ed il 1917, Langevin realizzò un generatore ultrasonoro subacqueo al quarzo, con frequenza di emissione di 150 KHz per la caccia ai sottomarini tedeschi. Il dispostivo non potè essere perfezionato in tempo per essere applicato durante il conflitto. Tuttavia esso rappresentò il riferimento per il successivo sviluppo del sonar, realizzato durante la seconda guerra mondiale. La moria di pesci, che provocò̀ durante i suoi esperimenti, portò Langevin a raccogliere le prime osservazioni sui danni biologici degli ultrasuoni ed i possibili usi terapeutici Nel frattempo crebbe il numero di ricercatori che inziarono ad occuparsi degli ultrasuoni. Nel 1928 il fisico sovietico Sergei Sokolov suggerì l’utilizzo degli ultrasuoni a fini industriali, per l’individuazione di difetti nei metalli. Negli anni ’20 e ’30 gli ultrasuoni vennero utilizzati come terapia fisica ed applicati, fra l’altro, nella cura dei problemi muscolari dei più famosi calciatori dell’epoca. Vennero inoltre impiegati nella sterilizzazione dei vaccini ed in associazione alla radioterapia per la cura del cancro. Negli anni fra il 1935 ed il 1940 gli ultrasuoni diventano un “rimedio popolare” per la cura di diverse patologie, anche senza evidenze scientifiche; fra i “malanni” più curati: ulcera gastrica, dolori articolari, emorroidi, eczema, angina pectoris, incontinenza urinaria. Il primo medico ad utilizzare gli ultrasuoni in ambito diagnostico fu Karl Dussik, neurologo e psichiatra all’Università di Vienna. Assieme al fratello Freiderich, un fisico, Dussik cercò di localizzare i tumori encefalici ed i ventricoli cerebrali, misurando la trasmissione degli ultrasuoni attraverso il cranio. I fratelli Dussik diedero alla loro procedura il nome di iperfonografia. Alla fine degi anni ’40 George Ludwig, medico presso l’Istituto Navale di Ricerca Medica, utilizzò gli ultrasuoni per l’individuazione dei calcoli della colecisti. Nel 1949 John Julian Wild svolse ricerche sull’impiego degli ultrasuoni nella misura dello spessore delle pareti intestinali in varie condizioni morbose e nella differenziazione dei tessuti normali da quelli neoplastici. Fra la fine degli anni ’40 ed i primi anni ’50 altri pionieri contribuirono significativamente allo sviluppo della tecnica ecografica. Nel 1949 Douglas Howry, radiologo presso l’Università del Colorado, realizzò nello scantinato di casa uno scanner ad impulsi ultrasonori, da 2.5 MHz che gli consentì di ottenere sezioni anatomiche bidimensionali. Anche l’ecografia, come molti altri settori di ricerca, può quindi vantare almeno un pioniere che ha lavorato nel garage di casa. Nel 1950 John Reid and John Wild costruirono un dispositivo manuale, con trasduttore lineare, per lo studio dei tumori mammari. Wild sperava di utilizzare il suo dispositivo per lo screening di massa del tumore del seno e continuò a lavorare al suo progetto fino al 1960, quando il suo laboratorio fu chiuso per problemi di natura amministrativa e divenne anche oggetto di una controversia legale. Nel 1951 Joseph Holmes, assieme ad Howry ed altri ingegneri, produsse il primo scanner lineare B-mode (Brightness-mode) bidimensionale. Wolf D. Keidel fu il primo ad utilizzare gli ultrasuoni per lo studio del cuore ed è considerato uno dei padri dell’ecocardiografia, assieme agli


SPECIALE 3 svedesi Inge Edler ed Hellmuth Hertz. Nel 1956 lo statunitense Robert Rushmer, pediatra, fisiologo cardiovascolare ed ingegnere, si dedicò insieme a due giovani ingegneri, Dean Franklin e Don Baker, alla progettazione di dispositivi per studiare il sistema cardiovascolare in cani non sottoposti ad anestesia. Queste ricerche lo portarono a realizzare il primo sistema Doppler manuale ad onda continua. Fra la fine degli anni ‘60 e l’inizio degli anni ’70 vi fu una vera e propria esplosione nell’evoluzione tecnologica dell’ecografia. Nel 1966 Don Baker, Dennis Watkins e John Reid svilupparono il Doppler pulsato, in grado di individuare il flusso sanguigno nel cuore. Don Baker fece anche parte del team di ingegneri che sviluppò, più tardi il colorDoppler e la scansione duplex.

os eate volupta tiberferi voluptus, quam re pa inte porepuda cus debis qui ad qui vit odis diciae pore pra dolut pra sed exceste mporemo llacepro et vide is et dolenimo elitwTota qui ute et velectum ut qui

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L’ecografia in real-time apparve nei primi anni ’80. Con questa nuova evoluzione l’ecografia venne universalmente accettata come nuova e promettente tecnica diagnostica. Negli anni ’90 vennero introdotte le modalità 3D e 4D, in grado di produrre immagini comprensibili anche per i profani. I primi ecografi erano molto voluminosi ed occupavano una stanza intera. Con l’invenzione del transistor e, successivamente, con i circuiti integrati, gli ecografi divennero sempre più piccoli. Il successo dell’ecografia fu inoltre notevolmente rallentato per la scarsa qualità delle immagini prodotte. Fino all’inizio degli anni ‘80 le immagini prodotte erano costituite da punti bianchi e neri ed erano immagini statiche. Negli anni successivi le sonde divennero più piccole e migliorò notevolmente la risoluzione delle immagini, formate da diversi livelli di grigio e visualizzabili in tempo reale, durante la scansione. Oggi gli ecografi sono così compatti che possono essere utilizzati anche nelle missioni spaziali o in operazioni militari. Anatomia dell’ecografo I componenti principali di un ecografo sono: il trasduttore, il sistema elettronico, il convertitore di scansione ed il sistema di visualizzazione


SPECIALE 3 e di registrazione. Il trasduttore genera e trasmette l’impulso di ultrasuoni e riceve gli echi di ritorno. Il sistema elettronico pilota il trasduttore nel suo ciclo elettroacustico, genera l’impulso elettrico di eccitazione, riceve il segnale elettrico prodotto dall’eco di ritorno, digitalizza (A/D) e memorizza i dati man mano che la scansione procede, elabora il segnale ed estrae informazioni. Il convertitore di scansione converte i dati nel formato necessario per la formazione dell’immagine o del tracciato. Il sistema di visualizzazione e di registrazione visualizza e registra l’immagine (o il tracciato).

Fino all’inizio degli anni ‘80 le immagini prodotte erano costituite da punti bianchi e neri ed erano immagini statiche, ma negli anni successivi le sonde divennero più piccole e migliorò notevolmente la risoluzione delle immagini (formate da diversi livelli di grigio e visualizzabili in tempo reale) durante la scansione. Oggi gli ecografi sono così compatti che possono essere utilizzati anche nelle missioni spaziali o in operazioni militari

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Trasduttori e sonde Il trasduttore è costituito da uno o più cristalli con proprietà piezoelettriche, in grado pertanto di convertire energia meccanica in energia elettrica e viceversa. I materiali piezoelettrici sono strutture cristalline costituite da molecole asimmetriche, con cariche positive e negative separate ai due estremi, detti dipoli. Se si applica tensione ai dipoli, questi si allineano e il cristallo varia di dimensioni (pochi millesimi di millimetro). Appena la tensione elettrica cessa i cristalli riprendono rapidamente la forma originale. Questo rapido ritorno elastico fa entrare in risonanza i cristalli determinando una piccola serie di vibrazioni che generano degli ultrasuoni. I trasduttori sono contenuti all’interno delle sonde che quindi fungono sia da sorgente sia da ricevente di ultrasuoni; dalla frequenza degli ultrasuoni emessi dal trasduttore dipendono la risoluzione spaziale, la definizione dell’immagine e il potere di penetrazione degli ultrasuoni. Maggiore sarà la frequenza, migliore sarà la risoluzione spaziale, minore però sarà la lunghezza d’onda e quindi il potere di penetrazione. Per questo occorre scegliere le sonde in relazione alle specifiche indicazioni cliniche. Gli ultrasuoni usati a fini diagnostici hanno frequenza altissima (dai 2 ai 20 MHz), lunghezza d’onda cortissima (di 0,07-1,5 mm) e periodi di decimo di microsecondo. Il trasduttore alterna le sue funzioni di: a) trasmissione, nella quale avviene l’emissione dell’impulso ultrasonoro (un milionesimo di secondo); b) ricezione, durante la quale sono ricevuti gli echi di ritorno dai tessuti, e c) azzeramento del sistema, in preparazione di una nuova trasmissione. Durante il funzionamento, la sonda trasmette piccoli “pacchetti” di ultrasuoni (di solito, 2 o 3 cicli) per l’1% del tempo (circa 1-2 milionesimi di secondo); per il restante 99% (100-200 milionesimi di secondo) la sonda resta in ascolto degli echi di ritorno che, facendo entrare in risonanza i cristalli piezoelettrici, determinano la produzione di un segnale elettrico. Secondo il ritardo con cui arrivano alla sonda, gli echi vengono disposti nella matrice dell’immagine (echi precoci = zone vicine; echi tardivi = zone profonde). A causa dell’attenuazione degli ultrasuoni nei tessuti, gli echi provenienti da strutture distali saranno meno intensi di quelli provenienti da strutture simili ma più prossimali. Per compensare ciò, gli echi lontani sono amplificati rispetto a quelli più vicini (T.G.C. Time Gain Compensation). Esistono numerosi tipi di sonde ecografiche, che producono immagini diverse a seconda delle loro caratteristiche. Ogni sonda è̀ caratterizzata da una ‘frequenza fondamentale’ (indicata espressamente sulle sonde di vecchio modello) che è̀ quella del fascio di ultrasuoni che emette. Le sonde di attuale produzione sono generalmente sonde ‘multifrequenza’, in grado cioè di emettere frequenze fondamentali in uno spettro più ampio che in passato, con la possibilità di variarle secondo le condizioni dell’indagine, il tipo di paziente e la profondità̀ alla quale si trova il campo d’interesse. Fra i tipi di sonde più comuni vi sono convex, lineari, phased array, endocavitarie. Le convex contengono trasduttori ad elementi multipli, hanno superficie convessa ed emettono fasci triangolari, focalizzati in profondità, con frequenze relativamente basse, comprese generalmente fra 2 e 5 MHz, con alto potere di penetrazione, adatte per lo studio addomino-


SPECIALE 3 pelvico. Producono un’immagine a tronco di cono, con base larga. Le lineari sono generalmente costituite da 180-200 elementi piezoelettrici di piccole dimensioni affiancati, che vengono attivati in blocchi sequenziali con modalità̀ diverse a seconda delle apparecchiature, emettendo un fascio di onde parallele fra loro ad alta frequenza (7.5-14MHz), garantendo una buona risoluzione per gli strati superficiali (tessuti molli) e un ampio campo visivo, ma una ridotta risoluzione in profondità̀. Producono un’immagine rettangolare. Nelle phased array più cristalli vengono “eccitati” singolarmente per creare un fascio settoriale. Hanno una piccola base d’appoggio, sono usate in “finestre” anatomiche strette (es. coste) e comunemente utilizzate in cardiologia, pediatria e per applicazioni addominali. Hanno sostituito le precedenti sonde ‘settoriali’, costruite con un trasduttore a cristallo singolo che oscillava meccanicamente descrivendo un angolo da 45° a 60°, completando un ciclo elettroacustico per volta in ogni posizione adiacente al suo asse di oscillazione. Producono un’immagine a ‘tronco di cono’ con base stretta. Le sonde endocavitarie vengono utilizzate per lo studio di utero ed ovaie nella donna (endovaginali) e per lo studio della prostata e delle vescicole seminali nell’uomo (endorettali). Formazione dell’immagine Un’immagine ecografia bidimensionale è̀ una mappa delle differenze di impedenza acustica lungo le diverse linee di scansione. L’impedenza acustica è una proprietà caratteristica di ogni mezzo ed è il prodotto della densità del mezzo (p) per la velocità di propagazione degli ultrasuoni (Z=pXc, unità di misura: Rayl). Fornisce una misura delle forze che si oppongono alla propagazione dell’onda sonora. L’importanza dell’impedenza acustica è data dal fatto che, in corrispondenza delle superfici di separazione tra mezzi a impedenza acustica diversa (interfacce

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acustiche), hanno luogo i fenomeni di riflessione e di diffusione da cui originano gli echi alla base della formazione delle immagini ecografiche. Quando il fascio incontra un’interfaccia fra due mezzi a diversa impedenza acustica, gli ultrasuoni vengono in parte riflessi ed in parte trasmessi con perdita di energia. Gli echi di ritorno dai tessuti colpiscono il trasduttore, dove vengono trasformati in impulsi elettrici ed inviati al convertitore che li rielabora in un’immagine a scala di grigi. Ad ogni pixel dell’immagine è assegnata una diversa luminosità proporzionale all’intensità degli echi riflessi corrispondenti: echi intensi (iperecogeno = bianco), echi intermedi (iso-ipoecogeno = grigio), assenza di echi (anecogeno = nero). Le interfacce speculari (riflessione) corrispondono alle superfici di organi, pareti di vasi e piani di clivaggio tra strutture diverse: contribuiscono a determinare la forma degli organi e apparati in esame. Le interfacce oblique o tra tessuti a diversa velocità di propagazione degli ultrasuoni (rifrazione) sono responsabili degli artefatti. Lo scattering contribuisce alla struttura degli organi, cioè al pattern di echi di piccola ampiezza e dimensioni caratteristico dei parenchimi. Modalità di acquisizione del segnale ultrasonoro Gli echi prodotti dagli ultrasuoni, una volta raggiunta la sonda, possono essere visualizzati con diverse modalità: • A MODE (Amplitude Mode, Modulazione di Ampiezza) modalità̀ di visualizzazione monodimensionale. L’eco è̀ rappresentato con dei picchi che modificano una linea su un oscilloscopio. L’ampiezza dei picchi è proporzionale all’intensità̀ dell’eco, mentre la profondità̀ è̀ proporzionale alla distanza delle interfacce che hanno generato l’eco. L’Amode trova ancora residuali applicazioni nell’ecografia dell’occhio. • TM-MODE (Time Motion Mode) Negli organi provvisti di movimenti continui può̀ essere utile visualizzare questi movimenti lungo una linea di scansione fissa, soprattutto per eseguire misurazioni. Il TM mode è̀ in concreto un B-mode in cui lungo una linea di scansione fissa si hanno continui refresh della posizione dei vari echi che, però̀, non vanno a sovrapporsi ai precedenti (come avviene nel B-mode RT) ma si affiancano in successione l’uno all’altro comunicando così̀ informazioni sulla motilità̀ della parte indagata lungo quella singola linea di scansione nel tempo. Questa modalità̀ di visualizzazione è̀ classicamente molto utilizzata in ecocardiografia, ma è̀ di grande utilità̀ anche in ecografia d’urgenza (pneumotorace, versamenti pleurici, studio della vena cava inferiore). • B-MODE (Brightness Mode, Modulazione di Luminosità̀) gli echi sono rappresentati in sequenza lungo una linea secondo la loro distanza dalla sorgente (determinata sulla base del ritardo con cui ritornano alla sonda) e la loro intensità̀ viene presentata in scala di grigi: il bianco corrisponde al massimo dell’intensità̀ mentre il nero all’assenza di echi; le sfumature intermedie rappresentano i vari livelli di intensità̀. Questa modalità di rappresentazione, utilizzata in sequenza temporale o mediante multiple linee di scansione affiancate, opportunamente sincronizzate, è̀ la modalità̀ di visualizzazione degli echi più utilizzata in ecografia. B MODE REAL TIME: è̀ la natu-


SPECIALE 3 rale evoluzione del B-mode; la singola linea di scansione è affiancata a molte altre così̀ da formare un “pennello” o un “ventaglio” che fornirà̀, quindi, immagini bidimensionali di sezioni di un organo o di un tessuto (immagine di tipo tomografico). Gli echi dei singoli fasci ultrasonori arrivano ai cristalli della sonda con una sequenza opportunamente temporizzata, continuamente processati ed elaborati, così da fornire “frame” che, se in numero adeguato (almeno 15 per secondo), daranno una sensazione di “fluidità̀” alle immagini visualizzate sul monitor. Ciò̀ permette la visualizzazione delle strutture “in tempo reale”, cioè in maniera dinamica, ottenendo, oltre a valutazioni di tipo morfologico, informazioni di tipo funzionale (ad esempio visualizzando le contrazioni cardiache, l’attività̀ peristaltica intestinale, ecc.). L’effetto Doppler In ecografia gli echi sono codificati in base all’intensità̀ e alla profondità di provenienza, ma non si tiene conto della frequenza. L’onda ultrasonora riflessa da una struttura in movimento, come ad esempio i

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globuli rossi, subisce una variazione di frequenza in difetto o in aumento rispetto all’onda incidente a seconda che la struttura si muova allontanandosi o avvicinandosi al trasduttore. Il fenomeno appena descritto prende il nome di effetto Doppler. La variazione assoluta della frequenza dipende dalla velocità̀ della struttura bersaglio (Doppler-shift). Misurazioni su vasi sanguigni forniscono frequenze riflesse che sono distribuite in uno spettro più̀ o meno ampio (spettro Doppler). Le variazioni di frequenza tra onda incidente ed eco, che costituiscono il segnale Doppler, sono comprese tra 1000 e 15.000 Hz, rientrano quindi nell’ambito della gamma sonora e sono pertanto udibili dall’orecchio umano. Imaging armonico L’armonica tissutale o nativa si basa sull’impiego non della prima eco di ritorno (fondamentale) da un tessuto insonato, ma di quelle successive, in particolare della seconda (seconda armonica); gli echi non lineari ad elevata frequenza generati dalla propagazione degli ultrasuoni nei tessuti corporei vengono sfruttati per generare l’imaging armonico. Questa metodica offre maggior risoluzione spaziale e di contrasto, con una maggiore nitidezza dei reperti rispetto all’ecografia di base. Un’altra metodica, che si basa sulla ricezione della seconda armonica convenzionale, è rappresentata dalla modalità di pulse o phase inversion, che sfrutta due impulsi accoppiati di cui il secondo identico al primo ma invertito di fase. Questa opzione migliora il rapporto segnale/rumore, la risoluzione laterale e la risoluzione di piccole differenze di contrasto nei tessuti, attenuando gli artefatti da lobi laterali. Nella tecnica del compound imaging spaziale si ottiene superiore con-


SPECIALE 3 trasto e maggiore nitidezza delle strutture superficiali mediante scansioni che inclinano il fascio di ultrasuoni, valutando gli stessi punti con incidenze diverse. Il fascio di elettroni viene angolato elettronicamente, in tempo reale, al fine di ottenere scansioni multiple, da differenti angoli di vista, dello stesso oggetto. Le scansioni vengono poi parzialmente sovrapposte e si ottiene un’immagine sommatoria con migliore risoluzione spaziale e minor rumore di fondo. È possibile inoltre sommare le due tecniche, compound ed armonica, ottenendo un ulteriore miglioramento della resa iconografica. Ecografia panoramica E’ una modalità che consente di ottenere immagini panoramiche, estese anche per decine di centimetri, con migliore definizione dei rapporti topografici delle varie strutture esaminate e più comprensibili per il clinico. Ecografia 3D e 4D L’ecografia tridimensionale consente di ottenere delle immagini tridimensionali delle strutture in esame, sommando ed elaborando le diverse fette acquisite su di un singolo piano spaziale. L’ecografia 4D garantisce la possibilità di visualizzare le ricostruzioni tridimensionali in tempo reale, durante l’acquisizione, conferendo dinamicità alle strutture esaminate. L’ecografia con ecoamplificatore E’ una tecnica che consente di studiare a fini diagnostici, in modo dinamico, la vascolarizzazione dei tessuti, ad esempio la distribuzione e la quantità di vasi sanguigni all’interno di un nodulo del fegato. Nel 1968 Gremiak e Shah introducono una soluzione salina nel cuore destro e scoprono di ottenere una forte riflessione di ultrasuoni grazie alle microbolle di aria libera presenti nella soluzione. Questa osservazione apre un nuovo campo di ricerca e sviluppo per l’ecografia. I mezzi di contrasto di prima generazione sono costituiti da microbolle di aria am-

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bientale rivestite da una membrana di rivestimento (albumina, acido palmitico e galattosio) che ha la funzione di stabilizzarle e di aumentare quindi la durata dell’effetto contrastografico oltre a consentirne il passaggio attraverso il microcircolo polmonare dopo iniezione endovenosa. Queste microbolle, tuttavia, sono relativamente fragili ed hanno breve emivita. Ulteriori ricerche portano così allo sviluppo dei mezzi di contrasto di seconda generazione, che garantiscono la permanenza prolungata delle microbolle nel sangue. Presentano una membrana molto soffice e contengono gas inerti. Possono essere paragonati alle bolle di sapone: grazie a questa loro caratteristica sono in grado di oscillare in risposta allo stimolo acustico, generando onde riflesse a pressioni anche molto ridotte (basso indice meccanico 0.2 - 0.5). Le microbolle non vengono distrutte e l’effetto ecoamplificatore ha maggior durata. Nell’imaging ecografico fondamentale le immagini sono ricostruite sulla base di segnali tissutali che hanno la stessa frequenza del fascio di insonazione (armonica fondamentale). Quando una microbolla è raggiunta dal fascio ultrasonoro, comincia ad oscillare inviando all’apparecchiatura ecografica frequenze fondamentali e frequenze multiple della fondamentale (seconda armonica). Grazie ai dispositivi di filtraggio (CnTI o Contrast Tune Imaging), gli ecografi dedicati all’esame con mezzo di contrasto sono in grado di ricevere esclusivamente o preferenzialmente le frequenze in seconda armonica, visualizzandole in real time. I mdc ecografici di seconda generazione consentono lo studio delle lesioni tumorali in termini di morfologia vascolare, modalità di vascolarizzazione arteriosa o venosa, curve di incremento tempo/intensità. Elastosonografia L’elastosonografia è una tecnica ecografica che fornisce informazioni relative alla elasticità dei tessuti e che può essere utilizzata nella pratica clinica basandosi sul presupposto che i processi patologici, come il cancro, inducono modificazioni della caratteristiche fisiche dei tessuti ammalati. Nei tessuti umani esistono apprezzabili differenze di elasticità o di consistenza tra tessuti sani e patologici. Alcune patologie, come i tumori, causano alterazioni nei tessuti che si traducono appunto in un aumento della loro consistenza e in una consensuale riduzione della loro mobilità o elasticità. Sulla base di questa fondamentale acquisizione nasce l’idea di valutare l’elasticità dei tessuti in vivo sfruttando le potenzialità offerte dalle onde ultrasonore, quindi dall’indagine ecografica, almeno per quegli organi o ghiandole più superficiali che in modo agevole possono garantire una proficua applicazione clinica per tale metodologia di studio. L’elastosonografia viene introdotta per la prima volta nel 1991. Le sue applicazioni cliniche sono particolarmente indicate oltre che per lo studio della mammella anche per lo studio della tiroide. Nel 2001 Hiltawsky arriva a proporre la elastosonografia come esame da affiancare all’indagine ecografica tradizionale della mammella. La metodica analizza la modificazione degli impulsi di RF provenienti da una struttura prima e dopo compressioni manuali (freehand elastography). Si ottiene così l’elastogramma sotto forma di una maschera che si so-


SPECIALE 3 vrappone a quella in B-mode. Tale maschera trasparente ha una variabilità di colori che vanno dal Rosso al Verde e al Blu, che rappresentano le aree di tessuto scansionato a diversa elasticità (Rosso=Soffice; Verde=Intermedio; Blu=Anelastico). Naturalmente vanno conosciute tutte quelle condizioni che possono alterare e falsare l’elastosonogramma (calcificazioni, fenomeni necrotici — colliquativi intranodulari etc) e dare falsi positivi o falsi negativi. L’indagine elastografica evidenzia le proprietà elastiche del materiale, andando ad arricchire l’informazione pervenuta attraverso la semplice ecografia. In particolare, l’elastosonografia può sostituire la pratica manuale della palpazione, ottenendo anzi migliori risultati grazie alla maggiore oggettività dell’esame stesso. Inoltre è possibile esaminare anche strutture non superficiali, non raggiungibili con la palpazione.

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L’ecoendoscopia L’ecoendoscopia, o ecografia endoscopica, è una procedura diagnostica che integra l’approccio ecografico a quello endoscopico. L’ecoendoscopio è un normale endoscopio sul quale viene aggiunta una componente ecografica e consente di valutare ecograficamente, durante l’endoscopia, esofago, stomaco, duodeno, pancreas, vie biliari. Durante l’esame endoscopico è possibile utilizzare anche il Doppler ed effettuare prelievi in agoaspirato di reperti istologici sotto guida ecografica. Conclusioni L’ecografia gode oggi di numerosi vantaggi che ne giustificano l’ampia diffusione. È un’indagine innocua, che non presenta significativi effetti collaterali derivanti dall’esposizione ad ultrasuoni durante l’esame ecografico. Come tale può essere utilizzata su tutti i pazienti ed è, infatti, l’indagine di elezione per lo studio del feto. È un’indagine rapida, che si avvale di apparecchi anche ultraportatili e può pertanto essere effettuata in condizioni di emergenza, al tavolo operatorio ed al letto del paziente. Infine, il costo globale è contenuto, sia per quanto riguarda l’acquisto e la manutenzione dell’apparecchiatura, sia per quanto concerne il consumo dei materiali. Fra gli svantaggi, il principale è rappresentato dall’elevata dipendenza del risultato dalla perizia dell’operatore. n

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