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"Your eyes are the eyes of a woman in love" Frank Loesser, Woman in Love dal film Bulli e Pupe, 1955
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GIOSETTA FIORONI
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Giosetta Fioroni STARDUST di Elettra Bottazzi
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oma, Piazza del Popolo. Siamo agli inizi degli anni
Sessanta e qui, al Caffè Rosati, artisti, cineasti e scrittori della scena nazionale e internazionale si ritrovano nelle diverse ore del giorno: Mambor, Kounellis, Mattiacci, Turcato, Scialoja, Burri, Afro, Cy Twombly, Pasolini, Moravia, Elsa Morante, Parise. Tra questi un nutrito gruppo di giovani artisti che formerà la cosiddetta Scuola di Piazza del Popolo: Schifano, Angeli, Festa, Lo Savio, Uncini, Mauri… e lei, Giosetta Fioroni, unica presenza femminile, rientrata definitivamente a Roma nel 1963 dopo un soggiorno parigino. Questa scelta controcorrente per il periodo, che portava tutti negli Stati Uniti, le permette di entrare in contatto con scrittori e artisti come Sam Francis, Yves Klein, Riopelle, Klossowski, Tzara, Giacometti, Mitchell, Jim Dine e tanti altri. La sua pittura inizia così in questi anni a slegarsi dagli insegnamenti dei suoi maestri Burri e Scialoja, inserendo nelle sue tele colori industriali, parole e segni-ideogrammi. I componenti della Scuola unendo il recupero del lavoro artigianale e la sperimentazione di nuove tecniche, contribuiscono a rinnovare l’arte italiana ferma all’Informale. Differenziandosi tra loro negli esiti, dovuti a un diverso approccio nei confronti della civiltà del consumo e delle sue immagini, la critica li relega sotto l’etichetta di Pop Art italiana. Controparte di quella americana? Goffredo Parise, scrittore e compagno di una vita della Fioroni, offre una bellissima e sottile definizione della Pop Art romana: «Che cosa poteva fare il pittore italiano che si fosse proposto un’operazione simile a quella della Pop Art americana? O introdurre direttamente nella propria opera gli elementi di quella grande tradizione, oppure introdurvi in qualche modo i sentimenti, la nostalgia o l’eleganza che quella grande tradizione scomparsa aveva lasciato in lui»(1). I luoghi romani che giocano un ruolo fondamentale nell’introdurre nuovi linguaggi all’interno dell’arte italiana, sono principalmente le gallerie La Tartaruga, La Salita e la Galleria dell’Oca, poli d’attrazione nei pressi di piazza del Popolo, che ospitano le grandi personalità artistiche internazionali (Rauschenberg, De Kooning, Wols, Warhol, Lichtenstein). Il 1964 è l’anno in cui la Biennale di Venezia ospita i grandi popist americani portando con la loro arte il ritorno dell’immagine. Questa ventata di novità in Italia non resta senza esiti e negli anni del boom economico, della lambretta e della tv, della tecnologia e dei nuovi mezzi di comunicazione di massa non può che essere presa come una nuova e possibile strada per staccarsi dalla stagione breve ma intensa della pittura informale.
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Ritratto di Giosetta Fioroni nel 1964 a Roma Foto di Mario Dondero
Nella pagina accanto, Catalogo 2, Galleria La Tartaruga, 1965 Gastone Novelli, Mimmo Rotella, Giosetta Fioroni e Achille Perilli al caffè Rosati in piazza del Popolo, Roma 1962
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La maschera, 1966, matita, smalti bianco e alluminio su tela cm 177x159 e, nella pagina accanto, Una lacrima sul viso, 1964, matita, smalti bianco e alluminio su tela cm 115x90
Giosetta Fioroni non resta indifferente a questi cambiamenti e comincia a creare un ciclo di opere che andrà sotto il nome di Argenti, esito di un processo che la impegnerà per tutti gli anni Sessanta e oltre. L’artista sfoglia riviste e giornali, sceglie le foto, le proietta sulla tela, ridisegna a matita e, allontanato definitivamente il proiettore, dipinge con una vernice industriale alluminio (colore argenteo). Il segno della mano (memore dei rapporti con Cy Twombly) e l’immagine fotografica coesistono sulla superficie. In un’intervista con Alberto Boatto la pittrice sottolinea che «il criterio in base al quale sceglievo le foto era legato alla possibilità di fissare alcune particolarità, la femminilità, l’eleganza, lo stupore, l’attesa. Oppure l’orrore dello stereotipo, la serialità imperante, il consumo»(2). È qui che risiedono le prime differenze con Warhol: il recupero del lavoro artigianale e l’impronta tangibile dell’artista. Afferma infatti Giosetta: «Le mie immagini all’alluminio sono dipinte col pennello, con la simpatia artigianale che l’uso del pennello comporta. A differenza del distacco industriale di Warhol! Ho sempre stabilito un rapporto affettuoso col dipingere, l’argento stesso per me ha significati molto europei. L’argento è tonale, intendo tonale in senso morandiano. L’argento è memoria e sospensione di tempi differenti»(3). Il multicolore mondo del consumismo diventa monocromo per Giosetta. L’artista elegge l’argento colore sovrano, investito di un potere evocatore perché l’unico in grado di trasmettere l’emozione, una memoria quanto mai nostalgica, di queste “diapositive di sentimenti” o “ideogrammi di malinconia”, come definiva Parise le sue opere. Un grande vuoto bianco, circonda la maggior parte dei soggetti delle tele e li rende come apparizioni argentee in un vapore lattiginoso, quello del mondo del ricordo. I volti e i corpi degli anni Sessanta vengono riprodotti sostanzialmente in due modi: emergendo come apparizioni da questo sfondo bianco oppure rappresentati attraverso un particolare che viene ingrandito, rimpicciolito o ripetuto. Se la Pop usava la ripetizione sincronica per turbare lo spettatore togliendo un’anima alle figure, il Futurismo la usava per renderne il movimento e il dinamismo. È comprensibile allora perché la Fioroni utilizzi l’espediente dell’iterazione dell’immagine tipica dell’arte futurista di Balla o Boccioni per uno scopo puramente narrativo dell’immagine. Come sottolinea lei stessa in un’intervista con Maurizio Calvesi, rilasciata durante la Biennale di Venezia del 1964, dove espone un’opera
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Bambino solo, 1968, matita, smalti bianco e alluminio su tela cm 100x200
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Liberty, 1964, matita, smalti bianco e rosso su tela cm 146x114
Nelle pagine seguenti, dalla serie Paesaggi dʼargento,1970, (matita e smalto alluminio su carta cm 100x70), da sinistra a destra e dallʼalto in basso: Autunno al Foro Italico, Il ponte di barche, Vele in Laguna, Fagaré della Battaglia, Grande freccia che indica la casa in campagna, Il monte Tomba, Strada per Fregene e Palazzo sul Canal Grande
(Prima immagine del silenzio, Seconda immagine del silenzio, Terza immagine del silenzio, Quarta immagine del silenzio, 1964) purtroppo distrutta in seguito a un incidente: «A me interessava una cosa molto semplice, una certa narrazione legata a un’immagine cinematografica, che si ripete. Insisto sul fatto che ormai da un anno a questa parte, io ho cercato, ho desiderato di raccontare le cose»(4). Il dato narrativo all’interno dell’opera sarà sempre presente nel lavoro della Fioroni, riconfermando così quell’inestinguibile rapporto che la lega alla letteratura fin dagli inizi della sua carriera. Per denudare queste immagini (glamour e di dive) dall’aspetto consumistico, l’artista le coglie in un gesto o in un’azione che le fa tornare soggetti e portatrici di sentimenti, con tutto il loro carico di emozioni e dolori. Identità femminili caratterizzate da altrettanti femminili comportamenti, protagoniste sulla tela o sulla carta, apparizioni lampo come flash fotografici che, grazie al colore argento della memoria, si elevano ora a ricordo. La stessa manipolazione tecnica toccherà alle fotografie con le quali realizza altre opere: autoritratti, bambini, persone care, scene del fascismo e del dopoguerra. E più tardi, a una serie di paesaggi stilizzati, soprattutto veneti, realizzati tutti su fogli 100x70 cm. Una pittrice, anzi un pittore come ama definirsi, che attraverso l’uso di diversi soggetti sceglie di interpretare la via del sentimento e dell’espressività. 13
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LA SPIA OTTICA Il 1968 fu un anno molto fervido per il mondo dell’arte figurativa. C’era nell’aria una strepitosa voglia di cambiamento che si era intrecciata con le complesse istanze dei mutamenti sociali e giovanili nel mondo intero come in Europa. Plinio De Martiis, la figura di mercante d’arte più originale e prestigiosa che ci fosse a Roma, poco mercante, e molto sensibile “regista” di eventi e novità, nella primavera del ‘68 ideò nella sua Galleria LA TATARUGA a Roma, una serie di performance. Questo ebbe un titolo: IL TEATRO DELLE MOSTRE, durata un mese, ogni giorno una mostra. Gli espositori furono tutti i più bravi artisti del momento che arrivarono a Roma da tutta Italia e in più due scrittori, Goffredo Parise e Nanni Balestrini, che presentarono per ultimi una loro “narrazione”. Il festival Il Teatro delle Mostre fu inaugurato, nel maggio del 1968 da una mia performance: LA SPIA OTTICA. Una delle sale della galleria era stata chiusa da una porta, sulla quale io avevo inserito uno spioncino (Spia Ottica) con una lente che rimpiccioliva la visione antistante, conferendo a questo spazio, un senso suggestivo, tra lanterna magica e teatro. All’interno io avevo portato il mio letto da casa con alcuni mobiletti, oggetti e abiti femminili. C’erano cambiamenti di luce a mimare il giorno e la notte. L’azione era volta a volta interpretata da un’amica o da me stessa. Gli spettatori erano costretti a guardare uno alla volta un po’ come spioni come voyeur. La mia Spia Ottica ebbe un vero successo. Di curiosità, di interesse come performance. Per l’inserimento in una serie di esperienze simili che si svolgevano in tante altre città europee nello stesso periodo. E anche un grande riscontro sui giornali e riviste specializzate del tempo! Giosetta Fioroni
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Progetto per La spia ottica, 1968; nella pagina accanto, Giosetta Fioroni con Ennio Flaiano che osserva La Spia Ottica alla galleria La Tartaruga, 1968
Visitatrice guarda nello spioncino del teatrino allestito alla Galleria del Naviglio, Milano,1969
Il corpo femminile diventa reale nel 1968, quando Giosetta presenta la sua prima performance. A Roma il gallerista-regista Plinio De Martiis organizza presso la sua galleria La Tartaruga un festival dal titolo Il Teatro delle Mostre. Si succedono con cadenza giornaliera, dal 6 al 31 maggio 1968, azioni-comportamenti dei più noti artisti italiani degli anni Sessanta tra cui: Mario Ceroli, Fabio Mauri, Alighiero Boetti, Angelo Prini, Enrico Castellani, Franco Angeli, Ettore Tacchi, Renato Mambor, Nanni Balestrini, Pier Paolo Calzolari, Giulio Paolini. Unica donna presente tra artisti uomini, Giosetta Fioroni, inaugura la rassegna con una performance intitolata La Spia Ottica, ovvero la ricostruzione della sua camera da letto all’interno della quale l’attrice Giuliana Calandra compie per qualche ora atti quotidiani e apparentemente naturali, “spiata” da uno spettatore alla volta, un voyeur, attraverso lo spioncino posto sulla porta. La scelta di utilizzare un espediente simile Giosetta Fioroni la fa derivare dalla lanterna magica con cui giocava da bambina, oggetto in grado di restituire all’occhio un’immagine rimpicciolita, allontanandola come fosse un sogno o un’apparizione. Lo spioncino viene utilizzato dall’artista anche per i suoi Teatrini o Case Teatrini, per conferire alla scena l’idea del sogno e del tempo fermo. Sono delle “Azioni-Statiche”, così come le definisce l’artista. Statiche perché la dimensione temporale è immobile, azioni in quanto svolgono il ruolo di “macchine della memoria”. Presentato per la prima volta nella personale del 1969 alla galleria Il Naviglio di Milano, il primo Teatrino è un oggetto-unico, scatola di legno con facciata a mo’ di piccolo teatro infantile, sulla quale viene inserita una lente per rendere visibili stanze minime e interni lillipuziani abitati da un proliferare di oggetti, sapientemente scelti. La Fioroni ci offre i suoi simboliicona del passato che, ancora una volta grazie al gusto per la narrazione, si manifestano e si offrono a chi guarda, intrecciandosi alla memoria per raccontare la vita.
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Nella pagina accanto, Cʼera una volta una bambina, 2000 ca., inchiostro di china e collage su carta, manoscritto con interventi cm 30x21
Le marionette della mamma, 2006, marionette originali degli anni 40, appartenute alla madre dellʼartista, in stoffa e materiali vari, teca in legno dipinto cm 41x31x8
Nella lettera scritta a
2002 in collaborazione
mano dall’artista per la
con Roberto De Paolis.
presentazione di una
Assume le proporzioni
mostra del 2004 dal tito-
reali come quello co-
lo Casa “la vita” raccon-
struito per la Biennale
ta come la madre quando era bambina, costruiva per del 1993 e che ora è posto al centro del suo studio lei e i cugini teatrini per marionette, nei quali venivano in Trastevere. rappresentati «fiabe e racconti così belli e emozionanti
L’amore per il teatro, per il palcoscenico e tutto ciò
che Giosetta pensava che la vita era quanto accadeva che ne deriva è ben visibile in due recenti lavori, frutto nel teatrino. Che la casa, dove viveva, era un teatrino. della collaborazione con il fotografo romano Marco E che tutto questo esisteva solo in quanto agito in Delogu: Senex. Ritratto d’artista e L’Altra Ego. Giosetquello spazio chiuso da ‘possedere’ […] per sempre ta Fioroni non aveva mai utilizzato prima il proprio fi[…] per sognare e essere stupiti e felici».
sico: nella perfomance del 1968 era un’attrice a
Come possedere questo spazio? Attraverso un impersonare l’artista in una fittizia camera da letto, processo di miniaturizzazione che qui, come nella nell’Atlante era il corpo degli altri a parlare, negli Spiriti performance del ‘68, fornisce il pretesto per ripro- Silvani, le tracce tangibili di entità soprannaturali. Queporre un’esperienza vissuta, un’immagine che attra- st’ultimo è un ciclo nato negli anni Settanta, quando verso la lente è restituita miniaturizzata e sfocata, la Fioroni e Parise decidono di abbandonare la città e come un lontano ricordo, all’occhio che guarda. La trasferirsi nella campagna veneta, a Salgarèda, sulle riduzione della realtà, delle tracce di un passaggio Grave del Piave. Fioroni per molti anni (1971-1978) umano, riconsegna così una memoria tangibile e vi- con la scelta di usare come unico supporto la carta fa sibile, di cui ci si può riappropriare e che si pensava disegni, acquerelli, collage ispirati a Salgarèda e al perduta. Scoperto il teatrino la Fioroni non lo abban- mondo che la circonda. Nello stesso periodo, insieme donerà più, costituendo un continuum nella sua ope- alla lettura dei libri di Vladimir Propp, si delinea un lunra. Mezzo adatto a raccontare, sarà poi ripetuto nei go lavoro dedicato alla magia e alla fiaba che lei chiateatrini in ceramica, nel tempo a venire, dove i per- merà il ciclo degli Spiriti Silvani. sonaggi recitano immobili la loro storia; o ancora nei
Ma tornando al lavoro con Delogu, lo studio sul-
video Madame Sosostris, Love, Destino, realizzati nel l’identità propria e altra è messo in atto da Giosetta
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“Cuore”, dalla serie I Sillabari di Goffredo Parise, 2004, teatrino in ceramica policroma cm 62x55x43
Nella pagina accanto, Giosetta Fioroni nello studio di Via Orsini con gli oggetti per lʼallestimento dei teatrini,1969 Foto di Augusto Bellavita
Fioroni attraverso l’impiego del suo corpo. L’idea di lavorare su se stessa al momento dell’età senile permette all’artista di affrontare il tema dell’identità tout court, e le permette forse una celata opposizione alla società che vuole le donne eternamente belle e giovani, facendo della vecchiaia un tabù. Giosetta Fioroni invece decide di inaugurare un nuovo ciclo dove è la propria fisicità a essere usata come mezzo espressivo e modo per sperimentare altri piani d’esistenza (L’Altra Ego, 2012) o dove far risiedere e intrecciare la trama della propria vita (Senex, 2001). Entrambi i lavori costituiscono un corpus di fotografie, scattate in parte all’esterno e in parte nello studio di Giosetta Fioroni a Trastevere, dove l’artista adottando maquillage e camouflage ne è la protagonista. Senex. Ritratto d’artista è presentato per la prima volta nel 2002 nell’Ala Mazzoniana della Stazione Termini di Roma. Giosetta Fioroni in un’intervista con Silvio Perrella spiega così l’inizio di questo progetto: «Avevo fatto dei quadri e Marco cominciò a fotografarli. Allora mi venne quasi spontaneo di cercare gli oggetti e le sagome che avevo usato come modelli per dipingerli. E pian piano entrai io stessa nel perimetro delle fotografie. I miei quadri suggerivano altre immagini, che Marco fotografava. Nacque così Senex. Decidemmo che le immagini fossero poste dentro dei light-box. La luce serviva a intensificare la visione»(5). Una galleria di ritratti fotografici in cui Giosetta Fioroni, truccata e travestita, posa davanti alle sue tele che le fanno da sfondo. Il volto e il corpo dell’artista, attraverso l’uso di maschere e travestimenti, le permettono di trasformarsi, di fondersi nelle immagini per raccontare nuove identità e memorie, delineando così un indissolubile rapporto con il proprio passato e presente, di cui si fa testimone il medium fotografico. Nella presentazione del catalogo per la mostra Senex Giosetta Fioroni spiega: «Mi sembrava che il tempo trascorso con le mie figure avesse lasciato un’impronta sulla vita, sulla persona, sull’anima-visibile il volto. Suggerendo la possibilità di rintracciare non solo per me, ma in senso più ampio, obiettivo [...] anche per altri forse, un’idea del senex. Quale idea? Quella di poter ricordare le proprie esperienza di vita, di lavoro, in un felice rimando interpretativo per darne forma autonoma e narrante. Cercavo così una via per “fissare” [...] in ideogrammi alcuni momenti [...] tolti da questo amato groviglio» e più avanti: «Il protagonista, l’amalgama di questo nostro lavoro, doveva dunque essere l’idea del tempo, che negli anni intreccia il carattere e la fantasia». Negli accostamenti alle sue opere, che diventano vere e proprie scenografie, la Fioroni intesse nuove letture anche per i suoi quadri e così, riparata da un ombrello che richiama quello raffigurato nella tela sul retro, sosta davanti a un suo quadro Goya and Pisan Cantos del 1988; vestita con un burqa, sfocata, sembra percorrere
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Giosetta con Giosetta a nove anni, 2002, resina sintetica cm 209x210x133
il sentiero della casetta raffigurata in La bottega dell’antiquario del 199294 ispirato a un romanzo di Dickens; fasciata completamente da bende bianche, facendo vedere solo gli occhi, porta le mani al volto davanti a Oltre le terre lontane del 1980, dedicato a un capitolo del libro di Propp sulle radici storiche dei racconti favolistici. L’altra parte del ciclo è composta da fotografie scattate in bianco e nero all’esterno dove la Fioroni appare attraverso frammenti del suo corpo o impronte di esso, interamente vestita di nero, o con solo una maschera sul viso, immersa nella natura. Il tema della senilità, della natura e della terra, si manifesta qui in un continuo scambio e comunicazione con il paesaggio. All’interno della mostra, come ulteriore manifestazione del raccontarsi, l’artista espone una scultura: Giosetta con Giosetta a nove anni (2002). La statua, ottenuta su calco diretto dell’artista e sulla creazione di una scultura di Giosetta bambina a nove anni, rappresenta le due figure che si tengono per mano: raccontare il tempo che passa, incorporando totalmente il rapporto incessante col passato e l’infanzia. Dagli anni Novanta, confermando il suo grande desiderio di sperimentare nuovi mezzi espressivi, Giosetta incontra Davide Servadei e la sua bottega di ceramica: la Bottega Gatti, antico luogo dove avevano lavorato i futuristi. Inizia così una lunga collaborazione che la porta a realizzare diversi cicli di opere, i Teatrini, le Case, le Steli, i Vestiti e molto altro. Giosetta Fioroni, attraverso il suo corpo riesce ad aprire un dialogo con se stessa che le permette di indagare la propria visione di sé, della vita e della vecchiaia senza mai tradire la dimensione del ricordo e della narrazione: un’arte-analisi di riflessione su se stessa. Giovanna d’Arco (2001) e Madame Sosostris (2001) sono le due immagini che più si avvicinano al successivo lavoro L’Altra Ego del 2012. In queste foto non ci sono opere a fare da sfondo e tutto è concentrato sulla protagonista, che tenta d’impersonare qualcun altro. L’Altra Ego, l’altra me. Il titolo denuncia bene l’intento
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Nelle pagine seguenti, Oltre le terre lontane o Petote ultrafanico, 1995-1997, tecnica mista su tela cm 150x210
“Vestiti” in esposizione alla Galleria Nazionale dʼArte Moderna di Roma, 2013
del lavoro dell’artista: indagare il tema dell’identità e i suoi limiti, conoscerli, farli propri e oltrepassarli. Parte sì da Senex, per quanto riguarda la collaborazione con Delogu e l’assunzione di travestimenti bizzarri e maquillage, ma questa volta l’intento della Fioroni non riguarda più la ricostruzione della propria identità, ma, semmai, la volontà di spezzare i limiti del proprio io per sperimentare altri sé. Come afferma l’artista in apertura al catalogo della mostra al MACRO di Roma: «Gli anni recenti (ora che ho molti, moltissimi anni) sono stati quelli nei quali ho elaborato una forte istanza di “intervenire” sulla corporeità [...] sul mio aspetto per cambiarlo. Sul corpo, sul volto, come opera da plasmare e trasformare attraverso radicali mutazioni. Ho cominciato a usare molta attenzione, molti accorgimenti alla postura, alla mimica facciale e degli arti. Al rapporto psicologico con la mia apparizione reale, nel tentativo di immaginare altre identità (nuove) da sostituire, appunto, a quella reale di tutti i giorni». Fioroni prosegue, citando come ispiratori di questi ritratti fotografici Marcel Duchamp e Cindy Sherman. Pensando all’Italia si potrebbe accennare anche a Luigi Ontani (Pinocchio, 1970-71), e ancor più indietro nel tempo, a Giorgio De Chirico con Autoritratto in costume nero (1948).
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Alla Bottega Gatti di Faenza durante la lavorazione dei pezzi in creta che costituiscono il Presepio, 1996 Foto di Lamberto Fabbri
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Per la storica e critica d’arte Amelia Jones è tra gli anni Settanta e Ottanta che la Body art si divide in due rami: performance art vera e propria e autoritratto di tipo fotografico. Quest’ultimo inaugurato da Duchamp con il suo alter ego Rrose Sélavy, e proseguito da Claude Cahun, Urs Lüthi, Robert Mapplethorpe, Yayoi Kusama, Eleanor Antin, Andy Warhol, Hannah Wilke, negli anni Ottanta tocca l’apice con Cindy Sherman, Yasumasa Morimura, Jeff Koons. In queste performance fotografiche, Giosetta Fioroni in ambientazioni surreali e oniriche, con trucco violento, protesi, parrucche, vestiti si dimostra body artist intervenendo sul proprio aspetto e utilizzando il proprio corpo come fosse una tela su cui sperimentare nuove identità, inventate da lei o ispirate alla letteratura, al cinema, al teatro: una donna texana; una donna-muro che si fonde con l’architettura; una babajaga, la strega più cattiva che buona, dei libri di Propp; una donna di profilo con tuba in testa che recita la parte dell’amica meravigliosa in Andrea o i ricongiunti di Hugo von Hofmannsthal; un transgender nelle strade della notte; La principessa smarrita di Nachman di Breslav assalita da uccelli imbalsamati; una madre anziana completamente bianca che allatta figli focomelici (un’ambigua e sconcertante maternità). Senex e L’Altra Ego. Un’urgenza espressiva molto forte da parte dell’artista che nell’età senile mette in gioco e in mostra il suo corpo senza timore, come luogo adatto per inaugurare continue mutazioni. Incessanti metamorfosi, per sconfiggere il tempo che scorre, che rimettono in discussione la propria identità nella continua ricerca di un’altra, esplorando i propri limiti e il confine tra realtà e finzione nella rappresentazione fotografica. Giosetta non ha timore nell’utilizzare tutti i medium possibili per esprimersi. Sul finire degli anni Sessanta con la cinepresa crea dei film in 16mm e Super8. Il cinema d’artista in Italia vede in questi anni la sua stagione più fertile. La prima rassegna del New American Cinema, presentata a Torino nel 1967 da Jonas Mekas, fa nascere quasi immediatamente, a Napoli, la Cooperativa del Cinema Indipendente, con successive sedi a Torino e Roma. La prima manifestazione a Roma della Cooperativa si ha nel 1968 pressa la Film Studio 70, una sala di proiezioni dedicata al cinema d’essai. Il film d’artista vede tra le sue fila diversi protagonisti romani, che adottano le più semplici pellicole, 16mm o 8mm, fino alla più amatoriale Super8. Tra di essi ci sono figure di rilievo che, già nel 1964, producono importanti film: Gianfranco Baruchello, autore con Alberto Grifi di Verifica Incerta (1964); Mario Schifano con Reflex (1964) e Round Trip (1964); Luca Patella Ritratto tecnico naturalista (1964). Il momento di più intensa attività si ebbe nel 1967 quando, accanto a questi artisti, altri romani,
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Quadro di Luce, alla mostra Laguna, tenutasi alla Galleria La Tartaruga di Roma, 1970 Foto di Fausto Giaccone
soprattutto appartenenti alla Scuola di Piazza del Popolo, sperimentano la cinepresa, come ad esempio Franco Angeli, Tano Festa, Umberto Bignardi, Luigi Ontani, Nato Frascà e Fabio Mauri. Tra il 1968 e 1969 Schifano realizza tre famosi lungometraggi: Satellite, Umano non umano, Trapianto, consunzione e morte di Franco Brocani. Giosetta Fioroni decide di girare quattro brevi film, primo tra tutti La solitudine femminile. Nei suoi film sono spesso ripresi amici, fatti e personaggi della vita quotidiana. Quale mezzo migliore della cinepresa può soddisfare la sua voglia di narrazione? L’assenza dell’audio rafforza le immagini in un linguaggio fatto di emozioni, ambiguità e rapporti tra persone. In La solitudine femminile (8', 8mm, b/n, 1967) la narrazione, in assenza di una trama, si sviluppa attraverso gesti semplici, ripetitivi e ossessivi che denotano da subito il senso di angoscia e di inquietudine psicologica della protagonista, impersonata dalla poetessa Rosanna Tofanelli. Quest’opera si collega molto bene agli Argenti, dove non è tanto una critica sociale a muoversi, quanto un’analisi e rappresentazione del sentimento femminile, in questo caso la profonda solitudine di una poetessa. Troviamo nel film Gioco (6', 16mm, b/n, 1967), con protagonista Pino Pascali, l’espediente del trucco unito al travestimento per indagare e sovvertire i limiti della propria identità sessuale. Se pure il titolo indica la dimensione improvvisata e libera del gioco, l’azione è strutturata teatralmente e si svolge in un grande giardino paragonabile a un palcoscenico, luogo di finzione e sovvertimento delle regole. Nella sperimentazione i protagonisti costruiscono nuove realtà, in cui perfino un uomo può diventare donna. Il terzo film, Coppie (15', 16mm, b/n, 1967) analizza il rapporto uomo-donna. Passando attraverso la memoria personale la Fioroni realizza una quarta ripresa, vicino alla natura diaristica e fotografica. Si potrebbe definire Goffredo (6', 8mm, b/n, 1967) un ritratto in pellicola in cui il soggetto non è mai presente fisicamente, ma costruito attraverso un susseguirsi di foto e tracce dei suoi lavori e libri. La cinepresa viene così utilizzata da Giosetta Fioroni come uno strumento in grado di narrare, indagare ed esplorare. A distanza di cinquant’anni ritroviamo Giosetta Fioroni alle prese con la telecamera. Alla fine del 2013 i creativi della casa di moda Valentino, Maria Grazia Curi e Pier Paolo Piccioli raccontano alla Fioroni che parte
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Mi si è sfilata una scarpa!, 1968, matita, smalti colorati e alluminio su tela cm 182x60
dell’ultima collezione del prêt-à-porter, presentata alla sfilata parigina nel marzo del 2014, è ispirata al suo lavoro. In particolare agli Argenti, ai simboli e temi della sua poetica, e ai costumi a texture geometrica che la Fioroni aveva realizzato per Carmen. Quest’ultima, un’opera che Alberto Arbasino mette in scena per il Teatro Comunale di Bologna nel 1967, con scenografie di Vittorio Gregotti e costumi della Fioroni appunto. Pochi mesi dopo, la casa di moda Valentino le commissiona un cortometraggio. Nasce così, tra il maggio e il giugno del 2014, The Golden Bough, ideazione fiabesca in video ispirata al libro dell’antropologo James Frazer, Il ramo d’oro. Lo studio trasteverino dell’artista si trasforma in set cinematografico. Sul palco del grande teatrino della Biennale del ‘93, immerso in un finto prato popolato dai più svariati oggetti a lei cari, il Re del Bosco guida l’azione degli Aiutanti Fatati, i quali, in un gioco onirico, si contendono abiti e scarpe, sotto l’egida di un dorato ramo d’ulivo. La stessa Fioroni si ripropone nelle vesti della chiaroveggente Madame Sosostris (come nel video del 2002) intenta a dialogare con un uccellino e a giocare con un luccicante sandalo di Valentino. L’arte della Fioroni è caratterizzata da un forte sperimentalismo. Ci si chiede quale sarà il suo prossimo lavoro, quali tecniche utilizzerà. Di sicuro il fil rouge del suo operare sarà sempre la memoria. La tematica della memoria è, per lei, irrinunciabile per costruire un rapporto profondo con lo spettatore, in un continuo confronto tra passato e presente, per affrontare il futuro, sapendo che è possibile rivivere, non solo un ricordo, ma anche un’emozione. La memoria è il motore del suo operare artistico, così come lei stessa afferma: «In molto del mio lavoro io cerco uno spazio delimitato, da guardare, come fosse uno schermo, dove registrare perimetri e sottolineature che indicano il luogo dove hanno vita emozioni e sentimenti [...] una sorta di superficie-racconto. Anche quando guardo al presente è come se lo facessi attraverso uno schermo: lo schermo della nostalgia. Siamo fatti della stessa materia di cui sono fatti i ricordi [...]. Mi sembra molto bello e giusto perché noi siamo ciò di cui è fatto il nostro passato, la nostra memoria, la nostra identità [...] sì, la nostra vita è un impasto di tutto questo e io cerco di comunicarlo con il mio lavoro». Venire a contatto con queste opere, in cui il dialogo con l’artista e la memoria è quanto mai diretto, significa affrontare un viaggio esistenziale (e terapeutico) nel quale anche noi possiamo raccontarci e conoscerci meglio. NOTE (1) G. Parise, Roma pop art, “Corriere d’informazione”, Milano, 5 febbraio 1965 (2) G. Fioroni, dichiarazione in Dialogo con Alberto Boatto, in A. Boatto, A. Carancini, A.M. Sauzeau (a cura di), Giosetta Fioroni, Essegi, Ravenna 1990
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(3) Ibidem (4) M. Calvesi, Intervista con i pittori, “Marcatrè”, n. 8-9-10, 1964 (5) S. Perrella, Giosetta, ottant’anni con “L’Altra Ego”, “Il Mattino”, Napoli, 1 novembre 2012
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L’Arte incontra l’Arte di Flavio Arensi
C’era una volta... quasi intervista a Giosetta Fioroni «C’era una volta una bambina con sguardo intenso che la sua Mamma chiamò Giosetta ispirandosi a una attrice francese: Josette Day che interpretava un bellissimo film di Jean Cocteau LA BELLA E LA BESTIA. Francesca, la mamma ideò alcuni magnifici spettacoli di marionette da lei rivestite e agghindate e musicate grazie a un grammofono a manovella e grazie a bellissimi scenari che lei stessa dipingeva. Ecco ... la magia del teatrino si concentrò nel piccolo/grande cuore di Giosetta che crescendo e RICORDANDO in modo emozionato quanto aveva visto nel TEATRINO cominciò a disegnare e a riflettere e a pensare e diventò Giosetta Fioroni»(1). In questa breve testimonianza, scritta e disegnata da Giosetta su un foglio di carta, si trovano le prerogative essenziali di un viaggio che – attraverso i primi disegni infantili – fece «riflettere e pensare e diventare» una bambina l’artista che oggi conosciamo; altresì pare significativo per Fioroni il dipingere, o meglio, il fare pittura come conseguenza di un’azione volitiva, la presa di coscienza o di posizione che nei lavori più maturi porta alla meditazione circa il ruolo della donna e del suo essere in primis, appunto, «pittore». Il ricordo, d’altra parte, è il secondo elemento di un alfabeto che costruisce senza dimenticare il passato, anzi valorizzandolo; l’artista raccoglie il portato del tempo vissuto, non soltanto riprende gli affetti per trasformarli in messaggio presente, bensì aderisce appieno al magistero dell’artista che non smette di produrre in prima persona, sporcandosi le mani, accettando le sfide urgenti di oggi senza prescindere da ciò che la nostra lunga storia collettiva ha sedimentato. Mi viene sempre in mente il valore positivo della memoria che i sufi portano al centro dell’esperienza estatica dello dhikr, la rammemorazione di Dio, perché dimenticare cancella le nostre possibilità, ricordare chi siamo invece le implementa, aprendo lo sguardo interiore verso la creazione. «Ho passato molto tempo nello studio di mio padre – mi spiega seduti al tavolo dello studio – che era uno scultore. La sera le opere venivano coperte di teli per non far seccare la creta e tutto aveva un aspetto così misterioso! Mia madre, invece, per le nostre feste, inscenava dei piccoli teatri, dove le scenografie cambiavano di volta in volta e le marionette si vestivano a seconda della favola che veniva rappresentata: qualche anno fa ne presi alcune e le inserii in una scatola rendendole un mio lavoro, anzi custodendole. Queste atmosfere visionarie sono tornate spesso nel mio lavoro, e mi hanno condotta a immaginare le cose secondo una prospettiva che mantiene intatte le emozioni di quei palcoscenici allestiti per noi bambine». Già i lavori degli anni
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Nella pagina di apertura, ritratto di Giosetta Fioroni Foto di Lorenzo Palmieri
Sessanta richiamano l’interesse dei primi galleristi in virtù di questi elementi che riportano agli interni familiari, dove le labbra, le lampadine, le posture stesse dei personaggi, richiamano alle contingenze domestiche, parlano di qualcosa di quotidiano, reale, tuttavia filtrato attraverso il gesto dell’artista che, per quanto usi il proiettore di diapositive come un normale mezzo di equipaggiamento, non smette di sfruttare pennelli e colori come si è fatto da sempre nella storia: sostanziale differenza rispetto alla Pop Art americana. «In verità Plinio De Martiis ci aveva fatto conoscere Leo Castelli e gli americani ben prima di quando li incontrammo alla Biennale di Venezia del 1964, dove io gli altri amici esponevamo chiamati da Calvesi; quell’anno Rauschenberg trionfò portando sullo scenario internazionale un modo diverso di intendere la pittura. Sia ben chiaro, noi uscivamo tutti dall’Informale e sapevamo in maniera molto netta che dovevamo cambiare. Noi proponevamo una pittura che era narrativa più che dimostrativa e almeno nel mio caso il fascino derivava più da una certa letteratura che non da questi autori. Ecco l’oggetto, che talvolta era assunto direttamente nell’opera, per gli americani era una ripetizione consumistica e perenne, mentre per noi si trattava di dover fare i conti con una tradizione lunghissima, e dunque potevamo solo mettere nei nostri quadri i sentimenti residuali di quel mondo scomparso». Per “noi” si deve intendere Mario Schifano, Tano Festa e Franco Angeli, che oggi chiamiamo Scuola di Piazza del Popolo, ma che all’epoca semplicemente si trovavano a discutere al Caffè Rosati o presso la galleria La Tartaruga di De Martiis. La stagione degli anni Sessanta, insieme al ciclo degli Argenti, che ferma lo sguardo su un certo modo di intendere il cinema e l’immagine tout court, si chiude con un’iniziativa che nel 1968 lascia intuire qualcosa di diverso, una strada nuova, benché scandita da alcune necessità ideali precedenti, proiettata in direzione aperta. La spia ottica, all’interno dell’iniziativa Il teatro delle mostre (una mostra ogni giorno dalle 16 alle 20) della galleria La Tartaruga obbligava il pubblico a guardare da uno spioncino un’attrice che si muoveva, sapendo di essere vista, fra gli oggetti e il mobilio della camera da letto di Giosetta Fioroni, appositamente traslocati nelle stanze espositive: «Decisi di mettere in scena qualcosa che assommasse tutta una serie di implicazioni, fra cui – senza dubbio – lo spaesamento era il passo necessario per entrare in sintonia con questa sorta di lanterna magica. Se mi chiedi quanto questo momento creativo fosse legato alla mia infanzia, ti rispondo che non ho mai abbandonato l’idea di costruire un mondo inaspettato». Sono di questi anni anche i Teatrini e le Case teatrini, oggetti unici formati da scatole di legno con una facciata costruita come quella di una casa o di un teatro. Sulla facciata sono inserite una o più lenti che corrispondono ad altrettante visioni interne. Al
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Nella pagina accanto Altri”, dal ciclo I Sillabari, 2004, ceramica policroma 62x55x43 e East of Eden, 1993, ceramica policroma 55x40x25: due dei teatrini esposti alla mostra Faïence, Roma 2013
Nelle pagine seguenti, Giosetta Fioroni presso la Bottega Gatti di Faenza nel 1998 durante la lavorazione della serie Steli Foto di Fabrizio Ceccardi
1969 risalgono i primi dipinti dedicati alla fiaba: «Avevo recuperato alcune illustrazioni da un mio vecchio libro dei Grimm che poi avevo ingrandito e idealizzato, sfruttando ancora una volta l’argento, l’oro e altri colori più tenui, ricreando un sentimento di stupore perché gli adulti ricordassero cosa avevano provato quando i genitori leggevano loro le fiabe». Nel 1971 l’artista passa un lungo periodo a Salgarèda, dove il compagno Goffredo Parise compra casa: «Vicino viveva uno strano uomo centenario, un contadino che soleva costruire di sua mano tutta una serie di aggeggi e mobili, ma erano le sue storie di strani esseri dei boschi che scendevano lungo il Piave, di gnomi e folletti, che mi fecero incuriosire e incuriosirono anche Goffredo, il quale li introdusse nei suoi racconti». È questa la cornice per i Sillabari, un libro straordinario. Con un criterio scolastico, quello alfabetico e tematico appunto dei sillabari, Parise cuce storie di sentimenti umani; ma il progetto si interrompe senza completarsi: «Nella vita gli uomini fanno dei programmi perché sanno che, una volta scomparso l’autore, essi possono essere continuati da altri. In poesia è impossibile, non ci sono eredi. Così è toccato a me con questo libro: dodici anni fa giurai a me stesso, preso dalla mano della poesia, di scrivere tanti racconti sui sentimenti umani, così labili, partendo dalla A e arrivando alla Z. Sono poesie in prosa. Ma alla lettera S, nonostante i programmi, la poesia mi ha abbandonato. E a questa lettera ho dovuto fermarmi. La poesia va e viene, vive e muore quando vuole lei, non quando vogliamo noi e non ha discendenti. Mi dispiace ma è così. Un poco come la vita, soprattutto come l’amore»(2). Tutti i racconti dei Sillabari cantano di un tempo sospeso e di una pietà antica, educata, mai malevola, anzi scandiscono le storie degli uomini, delle donne, dei bambini, quasi come nelle favole, e ci avvolgono in quella nebbia sottile che copre però solo chi l’ha provata, negli autunni della pianura e ne capisce il senso. Solitudine, l’ultimo, è da sempre il mio preferito e ancor più oggi, conosciuta Giosetta, lo trovo un commiato delicatissimo e rasserenante, dove appare una donna di città, povera e carismatica, in visita a conoscenti, in una campagna desolata «quasi fosse la favola del topo di città e del topo di campagna»(3). Uno dei testi, Ozio, è autobiografico e nel 1989 esce in edizione autonoma con le illustrazioni di Giosetta, che nel tempo trascorso in quelle terre non manca di elaborare disegni e studi dedicati alla favola, in una sorta di ricorso storico per cui, scomparsa la madre l’anno precedente, è ora necessario prenderne il posto per muovere le vecchie marionette: così germogliano i quadri sospesi ricolmi di lune, scale, cuori. L’artista si riappropria definitivamente delle suggestioni infantili, studia la struttura della favola «attraverso i testi del russo Vladimir Propp e più in generale dei libri che cercavano di interpretare le fiabe di magia russe; volevo
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Nelle pagine precedenti, alcuni dettagli di opere in ceramica lavorate alla Bottega Gatti
Vestiti”, opere esposte alla mostra Faïence che si è tenuta alla Galleria Nazionale dʼArte Moderna, Roma, 2013 A sinistra, Zinaida, dal racconto Primo amore di Ivan Turgenev, 2003, ceramica policroma cm 100 Nella pagina accanto, in primo piano, La madre del Comandante Shigemoto, dallʼomonimo racconto di Tanizaki, 2013, ceramica policroma cm 100
apprendere i motivi di base di
che rapisce per intelligenza e gus-
questi storielle, che compaiono in
to. Con Parise deve aver condiviso
tutte le tradizioni, e che nascon-
una capacità spietata di osser-
dono sempre una serie di signifi-
vazione, anzi un’intelligente e spi-
cati secondari. Ne sono rimasta
etata capacità di osservazione
talmente affascinata che io stessa scrivevo appunti delle cose. Simili sono le sue donne, mai volgari, che circa quanto scoprivo di volta in volta, anche sem- chiedono anzi di essere emancipate; simili sono i suoi plicemente vivendo a contatto con la natura. Ho Teatrini, in cui le fate appaiono, protettive, guardiane ritrovato in questi libri, o nel Ramo d’oro di Frazer – degli affetti. Pier Giovanni Castagnoli ha rilevato che sul quale ho basato alcuni lavori recenti – il mondo «è la molla della memoria che ha riversato sui paviche aveva animato i teatrini di mia madre». Alla base menti delle stanze di Giosetta bamboline e giocattoli dell’analisi di Propp sta il concetto di funzione, che in miniatura, Cappuccetti Rossi e stupidi balilla in orriguarda l’azione/reazione a cui un personaggio è as- bace, quadrifogli disseccati e variopinte piume d’ucsoggettato. Le funzioni sono punti cardine all’interno cello; è la molla della memoria che, ancora, a quelle della narrazione e sono quelle unità che mandano opere ha attribuito il registro formale, ha impresso la avanti l’intero racconto: esse succedono alla situ- cifra stilistica, ha suggerito la soluzione linguistica»(4) . azione iniziale, che ha il compito di introdurre l’ambi- E vi è nei suoi interni domestici una sorta di sintesi ente della narrazione e sono state individuate in un magica di quello che siamo noi tutti, a cominciare preciso numero, pari a trentuno. «Io cercavo le visioni dalle passioni, che spesso dormono fra le pagine dei che mi mettessero in condizione di trasformare il pen- libri, soprattutto quelli letti nell’adolescenza. Il libro, siero di Propp in immagini. Fu di grande aiuto Franco per altro, è un territorio in cui Fioroni ha lasciato acScataglini, con cui scoprii la passione comune per le cadere molte cose, disegnandoli, assemblandoli, tocfavole. Fu lui a inviarmi un prospetto dedicato alla fi- candoli. Di tanto in tanto in studio apre qualche aba La guardina d’oche dove accanto a ogni evento edizione pregiata, salta fuori una mano o un muso di narrativo mi indicava una traduzione simbolica, ossia cane, delle stelle, alcuni cieli e su tutti scorrono le pauna interpretazione figurativa di tutta la favola».
role ordinate, sottolineate, in maiuscolo, di sbieco.
Come la protagonista di Solitudine, Giosetta è una «Prima ancora che coi libri mi sono “incontrata” con ammaliatrice, ma lo è in una forma gentile, naturale, la calligrafia che poi mi ha condotto all’oggetto libro.
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Giosetta Fioroni e Davide Servadei a Faenza; nella pagina accanto, il bozzetto della Fata guardiana, nel laboratorio Gatti
Vedi, questi sono fatti tutti a mano (estrae una bella edizione dedicata a Frate Martino su una poesia di Guido Ceronetti): si fece una mostra dei miei libri, ce l’hai il catalogo?». Scuoto la testa, cerca sul tavolo, chiede aiuto, si alza, torna, mi porge un volume, lo apro: «Quello che (Pierre) Restany chiama la “scrittura di Giosetta Fioroni” è un misto di calligrafia e segni e disegni ideogrammati che vanno a comporre una particolare scrittura, una scrittura-calligrafia emotiva»(5). Stranamente, nell’uso comune l’aggettivo “emotivo” confonde il proprio senso con emozionale, riferendosi alle emozioni mentre, in verità, esso definisce l’incapacità di controllarle. Credo che nel caso della Fioroni non si possa che richiamare l’etimo del termine, che deriva dal latino emotus, cioè che smuove, e la sua calligrafia emotiva intenda scuotere l’osservatore, strattonarlo dentro a un pretesto linguistico che offre una potenzialità di confronto, con se stessi, con i propri andamenti sentimentali, con la condizione di ciascuno. Non a caso il pittore Fioroni ha sempre impostato il proprio lavoro con rigore in virtù di un dichiarato intento emancipativo più che polemico o provocatorio, poiché – in fin dei conti – il mondo progredisce con le idee non con gli scandali. «Quando iniziai la mia professione, le donne che dipingevano erano considerate alla stregua di prostitute. Ricordo che in una mostra a Milano un collezionista che voleva acquistare un mio quadro lo girò per leggerne la firma. Quando si accorse che ero una donna decise di declinare la sua iniziale intenzione. Nonostante queste difficoltà culturali e sociali, io non avrei mai potuto non essere un pittore, io volevo dimostrare che anche una donna poteva dipingere». Tempo fa lessi la vicenda di un’artista americana degli anni Cinquanta, Margaret Keane, costretta a vendere i propri lavori col nome del marito per superare l’ostracismo del sistema. A lungo andare l’appropriazione indebita del compagno portò al divorzio della coppia e alla definitiva affermazione della moglie; erano passati alcuni decenni e una donna pittrice poteva convincere il mercato e la critica. La carriera della Fioroni parte tuttavia sotto i migliori auspici: «Ho potuto studiare coi più importanti artisti dell’epoca, per esempio Capogrossi, che mi chiedeva di accompagnarlo – io piccola studentessa – alle mostre dove c’erano tutti i personaggi più importanti di questo mondo.
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Nelle pagine precendi: le fasi di lavorazione della Fata guardiana. Da sinistra a destra dallʼalto in basso: il bozzetto a matita prima della colorazione, la modellazione in creta, il calco in gesso detto forma, il riempimento della forma con la creta, la spianatura, il primo esemplare dellʼopera. Seguono: il controllo con lʼartista, la rifinitura del modello, lʼessiccazione delle forme che precede la prima cottura
A sinistra, il forno per ceramica nella bottega Gatti In basso, il “biscotto” ossia la creta dopo la prima cottura, e lʼingobbo bianco, base per la coloritura a smalto
Allora mi presentava a tutti con grandi parole generose e siccome ero timida mi imbarazzavo». Dopo un iniziale periodo legato al gusto informale, si è immediatamente attestata su una ricerca capace di autoaffermare il suo essere donna, perspicace, acuta e in grado di accrescere il proprio portato linguistico, legandolo alle migliori menti intellettuali dell’epoca, non solo scrittori, drammaturghi, poeti, più in generale quella classe colta che ha impostato le fondamenta per la rinascita del sistema culturale italiano nel Dopoguerra, tenendo testa, anzi accompagnando queste eminenti personalità con lo stesso passo. E credo glielo sia stato sempre riconosciuto. Nel 2002, con il ciclo fotografico Senex, elaborato insieme al fotografo Marco Delogu, vanno in scena il corpo e il travestitismo che sono anche pretesti per parlare del tempo che scivola fra le dita. L’artista si mette in posa, forse entra nella camera magica che era stata la Spia ottica, ma lo fa direttamente, senza intermediari, senza esitazioni. È un equilibrismo sul filo sottile della memoria, che paradossalmente parla del presente, racconta di quello che si è perché si è lungamente stati o si potrebbe diventare in un mondo di magia. Questa nuova decisa virata linguistica richiama alla mente quanto accadeva quasi trent’anni prima con le Foto da un atlante di medicina legale esposte alla galleria Pan, in cui i ricordi, come le più varie declinazioni esistenziali, sortivano una specie di enciclopedia della natura umana. «Ho raccolto per una intera vita tante fotografie,
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I colori Pantone degli smalti per ceramica e il tavolo da lavoro per la coloritura. Lo smalto colorato assume brillantezza solo dopo la cottura
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Nelle pagine precedenti: le fasi di colorazione pittorica della ceramica. Lʼartista dipinge il manufatto con gli smalti; la seconda cottura in forno a 920 °C rende brillanti i colori. Le stelle, la luna e i dettagli della fata dipinti dʼoro sono fissati con una terza cottura
A sinistra, Giosetta Fioroni assieme a Davide Servadei nel suo studio romano, firma i multipli della Fata Guardiana In basso, lʼartista con Marco De Guzzis, amministratore delegato di Editalia
Nella pagina accanto, La fata guardiana, 2014 ceramica policroma con finiture in oro zecchino. Il cuore è allestito in una scatola-cornice, firmata dallʼartista e numerata sul retro. La tiratura dellʼopera è di 60 esemplari
anche di altri, che rappresentano i luoghi, le persone, gli appunti o segni che posso usare come elementi associativi e forse oggi non c’è altra memoria, e pietà della memoria, che non sia la fotografia». Ma il ricordo ha una sede prediletta, che è nel cuore o nelle mura domestiche, nei teatrini, e in quei mille personaggi che lì abitano e là si muovono. Ed è con l’approfondimento della ceramica e del suo alfabeto che Giosetta apre una lunga parentesi creativa, ancora ricca di opportunità e primariamente incentrata sui temi immaginifici delle fate, dei posti cari e appunto della memoria. È una pittura abitabile e abitata che trova nella tridimensionalità uno sfondamento verso l’altro ora invitato a entrare in relazione diretta e compartecipante, non più solo osservatore bensì protagonista. Agli inizi degli anni Novanta la ceramica diventa un nuovo motivo per fare pittura e per renderla un luogo da possedere, ripetendo ancora una volta una storia indicibile, come accadde nel 1993 con i Talismani presentati alla Biennale di Venezia, un ciclo che vale da sottotesto per capire buona parte dell’attività di questo momento. Nello stesso anno si innesca un rapporto complice e fruttuoso con la Bottega Gatti di Faenza, che le permette di indagare le sfaccettature tecniche della ceramica. Nei suoi forni sono stati attivi, fin dalla fondazione del 1928, una serie di autori che segnano la storia dell’arte, da Balla a Munari fino a Matta, con un rilancio dell’attività negli anni Novanta grazie a Fioroni, Paladino, Ontani, solo alcuni dei grandi maestri che figurano nel lungo elenco di collaborazioni. Nella ceramica di Fioroni convivono molte anime, tante storie, e si legge tutto il decorso della scuola artistica italiana, «Leoncillo, certo, perché amo moltissimo la sua opera, però io l’ho risolta in chiave pittorica, e poi penso a Melotti e Fontana coi loro teatrini, anche se del primo preferisco quello più sporco, dove gli agglomerati di terracotta, i frammenti metallici, non cercano la pulizia estrema
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e sintetica degli altri percorsi». Ancora una volta la caparbia ostinazione della pittura è fondamentale per comprendere il personale apporto al medium ceramico, ed è «il mio modo un po’ eccessivo e iperpittorico di mescolare i colori, di appropriarmi delle superfici attraverso un pensiero improprio della tecnica che mi ha fatto arrivare a uno stile autonomo». Ciò significa l’uso intenso di colorazioni forti, gli smalti, che nelle opere più rappresentative si oppongono agli ingobbi (i colori opachi). «Le prime ceramiche di Giosetta – spiega Davide Servadei – sono nate in maiolica lucida. Le sculture erano interamente maiolicate e lei le ha dipinte con i colori più comuni. Col tempo, portando l’esperienza pittorica, sono stati inseriti gli ingobbi che, rispetto agli smalti da maiolica, sono più materici e assomigliano maggiormente al suo lavoro su tela, dove la tavolozza del colore è molto più vasta». Tutto comincia con un bozzetto disegnato dal quale si deduce il progetto complessivo, poi in bottega si lavora alla realizzazione, spesso sfruttando il sistema della lastra su cui si attaccano le integrazioni successive, in una sorta di sovrapposizione degli elementi. Altre volte, come nel caso de La fata guardiana il procedimento richiede un calco che parte da un modello in creta originale, plasmato dall’artista. In breve, ci sono molti modi di decorare e colorare la ceramica, anche in relazione al tipo di risultato che si desidera ottenere e alla cottura cui si sottopone l’opera. I colori da ceramica sono essenzialmente di tre tipi: gli ingobbi, composti di argille crude bianche ventilate, caolino, sostanze minerali e ossidi, sono, di fatto, adatti a essere applicati sull’oggetto essiccato, ma ancora crudo e da cuocere; le vetrine o cristalline che sono rivestimenti di tipo vetroso, impermeabili e lucidi, per lo più trasparenti, solo occasionalmente sono colorate e lasciano intravedere il materiale argilloso sottostante; infine gli smalti – anch’essi di tipo vetroso – sono coprenti e possono avere un aspetto lucido o satinato. I pezzi possono venir cotti anche tre volte, a secondo del tipo di intervento che, usualmente, è realizzato a mano col pennello dall’artista. La cottura serve a fissare i colori e avviene in forno a temperatura compresa tra i 720 e i 990 °C. Il complesso lavoro che sottende a una ceramica tiene conto tanto dell’impegno creativo dell’artista, quanto di quello dell’artigiano, risolutivo per la buona riuscita dell’oggetto. Si tratta di una cooperazione che mette in campo le abilità artistiche e quelle pratiche, fondendole in un programma unico dove ogni passaggio è meditato affinché il caso sia meno determinante possibile. La Fata guardiana è una ceramica da calco manuale in cui la vicenda è chiusa all’interno di un cuore e stretta fra due grandi quinte alberate color rosso fuoco che stringono la scena nella parte centrale, contraddistinta dall’alternanza di azzurri, bianchi e inserti dorati atti a impreziosire gli astri e la Luna (questi ultimi in oro zecchino sono applicati successivamente alla seconda cottura, e necessitano di un terzo fuoco a 720 °C).
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Giosetta Fioroni e Davide Servadei in una pausa della lavorazione posano nel forno
La luna rasserena e illumina il paesaggio mentre la fata sovrintende alla casa e a una grande scala che porta al cielo. Da sempre la scala indica il rapporto più stretto col territorio divino o forse qui si potrebbe richiamare il termine di Guido Ceronetti “ultrafanico” perché spiega con preciso il senso ricercato da Giosetta. D’altronde, lei mutua dall’amico il vocabolo e lo usa per dedicare un dipinto al suo cane Petote: «Petote ultrafanico è un quadro cui sono sempre stata molto legata perché mi offriva un’immagine del mio amato compagno tra sogno e immaginario, collocata in una specie di mondo fatto di sostanze differenti dalla realtà». Forse fra le più celebri scale della storia è bene collocare quella che apparve in sogno a Giacobbe protraendosi verso il cielo con angeli che salivano e scendevano. Da questa immagine deriva il concetto di luogo sacro (o meglio consacrato) perché nella Bibbia si racconta: «E come Giacobbe si fu svegliato dal suo sonno, disse “Certo, l’Eterno è in questo luogo ed io non lo sapevo!”. Ed ebbe paura, e disse: “Com’è tremendo questo luogo! Questa non è altro che la casa di Dio, e questa è la porta del cielo!”»(6). Una cosa non da poco giacché questo concetto riemerge in tutta la cultura cristiana e fa capire la differenza fra cosa è sacro come il Divino e cosa è a lui consacrato essendogli riferibile per visione o esperienza estatica. La fata di Giosetta Fioroni attende alle cose e agli affetti, protegge l’abitato che sovrasta, ma non è più grande della scala perché l’elemento magico e indicibile – ultrafanico – sta sopra tutte le possibilità, proprio a ragione del suo essere a contatto con l’eterno: arriva dunque fino alle stelle nel cuore dell’universo. L’atmosfera vive del contrasto fra il calore del rosso, che sembra allargare i confini del cuore facendolo pulsante, e il freddo calmo dell’azzurro, che invece tende a racchiudere, raccogliere, richiamare a una dimensione più intima. Nella teoria del colore di Goethe il primo elemento è espansivo e porta dal buio alla luce, il secondo invece richiama un viaggio verso la profondità interiore, spinge a scendere verso la notte. Quella di Fioroni è una notte che scalda, avvolge e protegge ed è in pace, come chi ha una memoria vigile né si spaventa davanti alla manifestazione del mistero. Che in definitiva significa fermarsi a coltivare le cose «differenti dalla realtà», quelle che passano nei ricordi, si addolciscono nel tempo e fanno dire «c’era una volta...». Il resto è una nuova storia per un teatrino lontano. NOTE (1) G. Fioroni, C’era una volta una bambina, 2000 circa (2) Goffredo Parise, Sillabari, edizione 1982 (3) Ibidem
4) O.G. Castagnoli, in Giosetta Fioroni, catalogo della mostra Alessandria, 1978 (5) G. Fioroni, intervista dal catalogo della mostra In forma di libro. I libri di Giosetta Fioroni, Modena, 1999
(6) Genesi 28, 16-19
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Giosetta Fioroni
iosetta Fioroni nasce la vigilia di Natale del 1932 a Roma, da un padre scultore e una madre pittrice e marionettista. L’ambiente familiare avrà un ruolo fondamentale nella sua carriera d’artista, come lei stessa afferma. Negli anni Cinquanta Giosetta è iscritta all’Accademia di Belle Arti dove segue i corsi di Toti Scialoja. Già nel 1955 partecipa alla Quadriennale di Roma e l’anno seguente alla XXVIII edizione della Biennale di Venezia. Nel 1957 viene presentata da Emilio Vedova con la sua prima personale alla Galleria Montenapoleone di Milano. Tra il 1959 e 1963 vive a Parigi, dove ha l’opportunità di esporre le sue opere e incontrare scrittori e artisti come Yves Klein, Pierre Klossowski, Jim Dine e tanti altri. Lavora per un breve periodo in una mansarda che le presta Tristan Tzara. Gran parte degli anni Sessanta sono caratterizzati dal ciclo degli Argenti: volti, figure e paesaggi dipinti con una vernice industriale alluminio, opere su tela e su carta. A Roma, in questo periodo si ritrova al Caffè Rosati con Angeli, Schifano, Festa, Lo Savio, Uncini, Mauri (gruppo definito poi dalla critica Scuola di Piazza del Popolo). Con alcuni di loro partecipa alla XXXII Biennale di Venezia, l’edizione che sancisce il successo della Pop art in Italia. A Roma, alla galleria La Tartaruga di Plinio De Martiis, la Fioroni nel 1961 espone con Bignardi, nel 1965 ha una sua personale e nel 1968 inaugura, con la sua performance La spia ottica, il festival “Il Teatro delle Mostre”. Nel 1964 incontra lo scrittore Goffredo Parise (rimarranno insieme fino alla morte di lui). Collabora con poeti e scrittori: Alberto Arbasino, Nanni Balestrini, Guido Ceronetti, Elisabetta Rasy, Nadia Fusini, Andrea Zanzotto, Cesare Garboli, Franco Marcoaldi, Valerio Magrelli e tanti altri, ideando con loro libri e opere grafiche. Alla fine degli anni Sessanta compaiono i primi Teatrini, “giocattoli per adulti”, come li definisce l’artista. Sempre in questi anni la Fioroni, artista eclettica e sperimentatrice, si cimenta con la macchina da presa, creando film in 16mm e Super8, e con la fotografia, che adotterà in seguito in cicli come Atlante di medicina legale e Fototeca. La vita in città, nel tumultuoso periodo degli anni Settanta, spinge Goffredo e Giosetta a trasferirsi nella campagna veneta. Diretti discendenti di queste esperienze di vita, e legati alla lettura dei libri di Vladimir Propp, Morfologia della Fiaba e Le Radici storiche della fiaba di magia, nascono la serie di disegni a china nera Gli Spiriti Silvani e le Teche, scatole di legno che raccolgono collezioni di piccoli relitti trovati per boschi e in campagna.
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La copertina di Goffredo Parise, Sillabario n.1, Torino, Einaudi, 1972; Giosetta Fioroni con Cy Twombly a Roma nel 1995 fotografati a casa Franchetti da Camilla Mc Grafth
Nella pagina di apertura, ritratto di Giosetta Fioroni nel giardino del suo studio di Trastevere a Roma Con il fotografo Mario Dondero alla gallerialibreria Museo del Louvre
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Il catalogo della mostra Giosetta Fioroni, LʼArgento, New York, The Drawing Center, 2013 e il libro dʼartista My Story, Corraini Edizioni, 2013
Alla Galleria Nazionale dʼArte Moderna di Roma, si tengono le mostre Argenti e Faïence dal 26 ottobre 2013 al 26 gennaio 2014
Dal 1980 al 1986 dedica un ciclo di pastelli agli affreschi di Gian Domenico Tiepolo nella Villa Valmarana ai Nani a Vicenza. Nel 1987 i pastelli vengono esposti alla Galleria dell’Oca, con la pubblicazione di un testo di Parise. Nel 1986 muore Goffredo e Giosetta torna a vivere a Roma. Nel 1990 la Calcografia Nazionale di Roma dedica una mostra monografica al suo lavoro su carta e nel 1993 Achille Bonito Oliva la invita con una sala personale alla Biennale di Venezia. A Faenza dal 1993 torna periodicamente nella Bottega Gatti, diretta da Davide Servadei, dove realizza diversi cicli di opere in ceramica policroma. A Roma le vengono commissionati due portali in ceramica per il cinema Nuova Olimpia e presso la chiesa Regina Mundi la grande statua Mater Mundi. Presso la Pinacoteca Loggetta Lombardesca di Ravenna, nel 1999-2000, Claudio Spadoni riunisce in un’antologica le tele dagli anni Sessanta al contemporaneo. Nel 2000 alla galleria di Maurzio Corraini a Mantova inaugura la mostra Giosetta Fioroni. Lettere ad Amici, Artisti e Poeti…, gli affetti della sua vita entrano a far parte della sua arte. Nel 2001 la Camera dei Deputati la invita per una mostra dal titolo Di’ al tempo di tornare. Nello stesso anno è organizzata una sua personale al Museo Laboratorio dell’Università La Sapienza di Roma.
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Giosetta Fioroni e Marco Delogu: opere de LʼAltra Ego, MACRO, Roma, 2012
Nel 2002 realizza una nuova idea di performance insieme all’amico fotografo Marco Delogu: ventiquattro foto montate su light-box ed esposte nell’Ala Mazzoniana della Stazione Termini di Roma, lavoro che prenderà il titolo di Senex. Ritratto d’artista. Nel marzo del 2003 il Comune di Roma le dedica un’ampia antologica La Beltà. Giosetta Fioroni, opere 1963-2003 presso i Mercati di Traiano, curata da Daniela Lancioni e Federica Pirani. L’amore per gli animali e in particolare per i suoi cani è sempre più forte e così nel 2006 nasce Animalia all’Officina Arte il Borghetto di Roma, insieme alle poesie di Franco Marcoaldi. Nel 2009 esce la prima monografia dedicata a lei e curata da Germano Celant, edita da Skira. Al MACRO di Roma nel 2012 un nuovo lavoro con Delogu L’Altra Ego: un’altra indagine su nuove identità. Nel 2013 la Fioroni espone al Drawing Center di New York Giosetta Fioroni. L’Argento, una raccolta di opere su tela e carta dal 1956 al 1976, insieme ad alcuni video girati nel 1967. Nello stesso anno, a ottobre, la mostra viene riproposta alla GNAM di Roma, dove si aggiungono importanti opere in ceramica. L’ultimo lavoro la vede nelle vesti di videoartista. Nel 2014 su committenza della casa di moda Valentino crea un cortometraggio di nove minuti: The Golden Bough, lavoro ispirato al libro dell’antropologo James Frazer.
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the golden bough un cortometraggio di
L’ultimo video di Giosetta Fioroni del 2014, ci piace chiamarlo
Giosetta Fioroni
Come pure viene indagato il recente lavoro dell’artista, il suo
CORTOMETRAGGIO, oggi nome desueto per sottolineare un dif- mondo onirico dove compaiono cuori, alberi, fogliame, animali e ferente impegno, un affondo favolistico attraverso le immagini e segni vari in un suggestivo arabesco. la nuova musica di Franco Piersanti: Romantico-Siderale.
Nasce così un intreccio assai raro tra l’arte e la moda. Una re-
Il cortometraggio ha durata di 9 minuti ed è liberamente ispi- interpretazione del mondo pensato da un’artista che trova un’erato ad un grande libro (pubblicato in Italia nel 1950) di James quivalente altrettanto espressivo e funzionante nella moda. La G. Frazer: Il Ramo d’Oro, Re-Maghi e Dei Morituri, sottotitolo. Dif- creazione di una serie di abiti, ma non solo abiti. Viventi immagini ficile definire la complessità di The Golden Bough. Si parla delle che ripropongono la metafisica bellezza di un “Unicum-Visivo”. origini dell’umanità, di religioni, di tradizioni popolari ma nell’insieme la narrazione, gli accadimenti, i personaggi sono trattati nel segno della magia e dell’incantesimo. Il Bosco Sacro con il tempio di Diana Nemorensis è teatro di suggestivi eventi. Il Re del Bosco difende la Dea e il suo culto, dalle trame di perfidi Sacerdoti che vogliono appropriarsi del Ramo d’Oro (innominabile talismano) e questo è solo l’inizio! Attraverso l’incontro con Maria Grazia Chiuri e Pierpaolo Piccioli nasce la possibilità di realizzare il cortometraggio. Essi sono i creativi della Valentino e sono interessati alle idee visionarie di Giosetta Fioroni. In precedenza Chiuri e Piccioli avevano trovato interesse nel lavoro di alcune artiste. Si può dire che la Pop Art italiana li aveva ispirati…come raccontano loro stessi: “Carol Rama, Carla Accardi e Giosetta Fioroni sono figure emblematiche della corrente artistica italiana degli anni ‘60. Artiste che hanno trattato temi profondamente femminili, che descrivono emozioni del Fantastico, mantenendo un legame con l’infanzia e i sentimenti”. In particolare i due stilisti sono a conoscenza dei costumi creati da Giosetta Fioroni nel lontano 1967 per la Carmen con la regia Alberto Arbasino, e a questi si ispirano per realizzare la collezione del prêt-à-porter del 2014. Dove è visibile e si esalta l’elaborazione del pois in una delirante ripetizione dinamica che già aveva segnato i costumi di allora! 60
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La misteriosa osmosi, di tanti elementi, dell’Arte e della Moda, a comporre un unico “Tableaux- Vivant” di autentica efficacia! The Golden Bough viene girato interamente nello studio di Giosetta Fioroni, dove l’artista allestisce le varie scenografie. Il Bosco Sacro in un ampio teatrone ligneo, e altri eventi nei Teatrini. Si potranno vedere numerosi oggetti, cuori metallici, animali della fantasia, elementi vari del Magico e dell’Inaspettato (oggi il corto è visibile nel sito della Valentino). Alla regia Carlotta Cerquetti. In scena Giuseppe Schiavinotto, il Re del Bosco con le Aiutanti-Fatate, Sara de Simone e Elettra Bottazzi. Giosetta Fioroni interpreta Madame Sosostris (dalla poesia di Eliot La Terra Desolata) che conclude, in dolce malinconia il corto. Compaiono spesso i “romantici” oggetti di Valentino: vestiti, foulards, scarpe e altro ancora. The Golden Bough si avvale della bellissima musica di Franco Piersanti. Con un motivo ricorrente che potremmo definire “Romantico-Siderale”. Uno speciale suono da lui ideato, di alta suggestione che porta chi vede e ascolta in un mondo lontano. Una sonorità stellare e indecifrabile di grande capacità emotiva. Immagini sul set del video. Giosetta Fioroni interpreta Madame Sosostris Nella pagina accanto, Giuseppe Schiavinotto veste i panni del Re del Bosco Foto di Fiorenzo Niccoli
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Il teatrino LʼAcephale, 1994
PER GIOSETTA di Alberto Boatto Mi capita raramente o se ci penso bene non mi è mai capitato, direi, di pronunciare l’elogio di una persona, ma è proprio questo, l’elogio, che mi dispongo a fare a proposito di Giosetta Fioroni. Per di più un doppio elogio, una duplice lode. Per quanto siano collegati fra di loro, per ragioni di chiarezza mi sembra opportuno tenere distinti i due. Il primo ha come riferimento la persona di Giosetta; il secondo la sua multiforme opera. Il primo elogio riguarda poi non tanto la persona di Giosetta, il suo essere un individuo, una donna, ma la creazione estetica che la Fioroni ha fatto di se stessa, ha ricavato dalla sua esistenza. La Fioroni ha trasformato ogni evento, incidente, successo, amore, episodio della sua vita in un fatto estetico. Con leggerezza, intelligenza, astuzia, eleganza, scaltrezza. Nulla è rimasto fuori da questa imprimitura estetica. Giosetta non lascia resti. Nella creazione estetica che ha cavato dalla sua vita troviamo tutto, in un’abbondanza che mi costringe ad un’elencazione, ad un semplice inventario. Allora senza pretese di ordine né l’ambizione di essere esauriente colloco in questa creazione estetica l’infanzia e la senilità, la foto di una bambina paffutella impegnata a modellare la propria bambola e la sequenza della donna con la faccia impiastricciata di bianco sotto l’iscrizione “senex”, i genitori, la mamma, il babbo, e il gruppo degli amici poeti e scrittori, la bellissima foto di Giosetta in compagnia di Twombly, un’istantanea scattata in una vacanza al mare con lo sguardo malinconico e profondo di una ragazza in pantaloncini e le lunghe gambe scoperte – è la prima cosa che ho conosciuto, un po’ di anni fa, della Fioroni, prima ancora di conoscerla di persona – ancora la fattura dei suoi bigliettini scritti con una matita colorata, di preferenza una matita rossa. Un itinerario sentimentale all’interno della città di Roma e una casa di campagna in Veneto vicino a un fiume. Mi sembra inutile continuare quest’elencazione di persone, di luoghi e di cose, dove le fotografie tengono un posto di rilievo. Forse è più giusto concludere questo primo elogio con una riflessione un po’ seriosa e culturale. Cosa hanno tentato di fare gli artisti e gli scrittori della lunga tradizione moderna a partire da ciò che abbiamo chiamato decadentismo, se non di legare, di tenere assieme l’arte e la vita, questi due poli esigentissimi? Ebbene è ciò che ha fatto e ciò che fa Giosetta Fioroni. Ma ecco, ed è in assenza completa di partito preso e ideologia – ricordo l’ideologia perché c’è stata un’ideologia femminista, di cui non scorgo traccia nella Fioroni. Per semplificare tiene i due poli con una discrezione che chiamerei femminile, che distingue certe donne (non ho finora abusato del sostantivo donna). Mi spetta tessere ora il secondo elogio, quello riguardante la sua opera. Per numero di anni di lavoro, facciamo quasi 45 anni, e che anni poi di lavoro e di storia! L’opera è vastissima se la confrontiamo con la giovinezza di Giosetta. Da Piazza del Popolo, l’originalissima declinazione romana della Pop, si scivola per fratture minime, attraverso quadri, collages, disegni, teatrini, sculture, ceramiche, fino ad oggi che siamo a metà strada di questo 2005. Una durata e una tenuta di tutto rispetto per un’artista, per di
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Il ragazzo morto e le comete, allestimento per la Galleria Corraini allʼArte Fiera di Bologna nel 2010 Foto di Fabrizio Ceccardi
In basso, Giosetta Fioroni posa con il Teatrino futurista, 2009 Foto di Giuseppe Schiavinotto
più, mi sfugge di precisare, per un artista donna. Allora con quali ha usato tutte le tecniche e tutti i materiali. Negli ultimi anni ha mezzi, colori, astuzie, oscillazioni? Direi che prima di tutto l’im- creato queste sculture, oggetti, teatrini di ceramica. Quello della magine, il suo sortilegio, il suo valore affermativo, ha rappresen- Fioroni è uno sperimentalismo che rimane sempre nel cerchio di tato la costante stella polare della Fioroni, o non ha mai una manualità artigianale. Giosetta Fioroni ha sempre amato la maincontrato oscuramenti, eclissi. Attraverso l’immagine, il grande terialità dei colori e quella della ceramica, usare, affaticarsi, sportema che di continuo ha svolto, esplorato, rovesciato è il conti- carsi. È lontana dalla schifiltosità, diciamo, concettuale: da una nente dell’infanzia. Non solo come memoria, nostalgia di quello che Baudelaire aveva cantato come “i
parte le idee, i concetti, l’intelligenza; dall’altra il fare, il compro-
verdi paradisi degli amori in-
mettersi, lo sporcarsi.
fantili”, che pure è tanta
Un duplice omaggio,
parte dell’opera della
all’invenzione estetica
Fioroni, ma anche atten-
della vita e della per-
zione a strappare ciò che
sona di Giosetta e
dell’infanzia
l’omaggio all’opera.
continua
nell’età adulta. L’infanzia
Finisce così il mio
porta al mondo incantato
duplice riconoscimento
ma anche pauroso delle
a una delle poche first
fiabe, dei giocattoli, dei
lady dell’arte italiana;
teatrini e dei sogni. In-
per contarle le ladies,
fine, dopo la fedeltà al-
sono più che sufficienti
l’immagine e al mondo
le dita di una mano,
dell’infanzia, lodo la Fio-
questa mano, anche la
roni perché è un artista
vostra, sempre però la
autenticamente
destra, che è la mano
speri-
mentale. Una sperimentazione morbida. La Fioroni
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della pace, dell’amicizia, e quindi la mano della lode.
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SUL DESTINO DEL TORTURATO: GIOSETTA FIORONI DIPINGE ARTAUD di Emanuele Trevi* Più che qualunque impossibile velleità di “illustrazione”, il lavoro su carta di Giosetta Fioroni centra il bersaglio di Artaud (che è un bersaglio mobile per eccellenza, un bersaglio zen da mirare più che altro ad occhi chiusi) a un livello molto più necessario e vincolante, che è quello della tecnica, vale a dire in concreto della tecnica mista e in qualche caso del collage. Mai come Artaud, né prima, né dopo, la tecnica mista diventa essenziale. Lui ne è un vero maestro – con una varietà di gamme e formule e materiali che va dal sottile gioco di lamine dell’Eliogabalo agli spessori purulenti e carbonizzati di Succubi e supplizi. La base, peraltro, è sempre la carta, la carta come materia prima e pietra nera, lapis niger di questa operazione d’alchimia. Dove c’è carta c’è la possibilità del fuoco. Come i famosi “condannati al rogo” di cui parla all’inizio del Teatro e il suo doppio, che fanno “segni attraverso le fiamme”, così la carta, mentre arde, può rivelare segni altrimenti invisibili. Soprattutto, Giosetta Fioroni condivide con Artaud il senso più profondo, la posta in gioco più iniziatica per così dire, di ogni tecnica mista – che è un lasciarsi alle spalle il disegno, lasciare esaurire in se stessi ogni idea di disegno, spostandosi in un’altra direzione, che è la direzione delle forme e del loro spessore, della loro implicita carnalità e mortalità. Io non faccio più disegni, ma realizzo forme, dice Artaud negli anni di Rodez, rinato nelle albe livide degli elettroshock del dottore Ferdière. Sarebbe certamente piaciuta ad Artaud, come piace a Giosetta, quella bellissima pagina di Vasari su Piero di Cosimo, che si ispirava guardando le parti basse dei muri dove i poveracci scatarravano e schizzavano ogni altra loro secrezione. In quel sovrapporsi di macchie umane, in quei preziosi arabeschi di liquami e scaracchi rinsecchiti, Piero di Cosimo, assicura Vasari, riconosceva la forma ideale di tempeste e battaglie. «Questo qualcosa – dice Artaud – che è a mezza strada tra il colore della mia atmosfera tipica e la punta della mia realtà» (Frammenti di un diario d’inferno). Più in là del disegno, nel regno minerale-psichico delle forme, ciò che viene inseguito, ciò che l’operazione magica fa balenare è un corpo sottilissimo, liminare (“a mezza strada”, infatti), tenue come solo l’illusione è tenue, umido come quel “veicolo” che per i sapienti platonici era la cerniera indispensabile tra l’anima e la materia. Ma la più infame e sublime delle tecniche miste, non è forse il destino, quel supremo e scoraggiante bricoleur, a possederla? Sfogliando i suoi libri di Artaud, Giosetta Fioroni si è evidentemente imbattuta al momento giusto nelle Nuove Rivelazioni dell’Essere del 1937 – come si può vedere, rimanendone in sommo grado turbata. Queste Rivelazioni sono una relazione veritiera, un discorso su “quel che ho visto ed è”. Perché sia possibile riferire ciò che ha visto ed è, è necessario allo scrittore un alfabeto, un repertorio di segni – che qui è fornito dalle figure dei Tarocchi, più affidabili di quelle dell’astrologia (“gli Astrologi non sanno più leggere”). Gli “oroscopi” riferiti nello
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Nella pagina precedente, Ritratto con cerotto, 2006 tecnica mista su carta montata su legno cm 100x70
smilzo libretto sono quelli del 19 luglio 1937 e poi del 15 giugno. Ciò che i Tarocchi hanno da rivelare, riguardano qualcuno che Artaud definisce “il Torturato”. Il Torturato, dicono le carte, è stato preso per un pazzo da tutti, è apparso come un pazzo davanti a tutti. E allora, “L’IMMAGINE DELLA PAZZIA DEL MONDO SI È INCARNATA IN UN TORTURATO”. Come un Albero Cosmico, o un qualunque altro Asse del Mondo, il Torturato unisce l’alto e il basso, l’oriente e l’occidente, e così facendo tiene assieme la realtà. Ancora meglio, il Torturato di quella realtà è l’immagine, come a dire l’essenza più pura. E l’immagine del mondo è la pazzia, la pazzia del Torturato. E proprio perché è un’immagine del mondo, la pazzia formicola di forme, è satura e grondante di forme. È da notare che il Torturato non possiede una figura ben determinata. Semmai, è possibile affermare che tutto ciò che vediamo è il Torturato, è un frammento o episodio della sua incarnazione. Sotto tutte le maschere che i Greci guardavano muoversi e parlare al centro del teatro, afferma Nietzsche, nella Nascita della tragedia, c’è sempre e solo Dioniso – cosa che del resto quei Greci sapevano perfettamente. Mettendo mano al suo Artaud, Giosetta Fioroni si è impigliata nello stesso circolo vizioso. Noi iniziamo a scrivere, o prepariamo i nostri colori, fingendo di arrenderci all’evidenza, alla falsa infinità e alla falsa intimità del molteplice. Opponiamo e distinguiamo. A seconda degli oggetti, rispondiamo con desiderio o ripugnanza. Eppure, sappiamo sempre anche il contrario, sappiamo di scrivere e dipingere sempre la stessa cosa, lo stesso Dioniso e lo stesso Torturato, sempre lo stesso Dioniso Torturato, lo stesso dello stesso dello stesso. Ed è questo sapere che ci guida realmente, e mentre ci guida e a volte ci appare giustamente come l’unica nostra salvezza possibile, nello stesso tempo ci sommerge e ci perde ed affretta la nostra catastrofe. Dall’introduzione alle Nuove Rivelazioni dell’Essere – “È un vero Disperato che vi parla e che conosce la felicità d’essere al mondo solo adesso che ha lasciato questo mondo e ne è assolutamente separato”. E ancora – “Io non sono morto, ma sono separato”.
* dal catalogo Artaud, mostra tenutasi alla galleria-libreria il Museo del Louvre, Roma, 2007
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PRINCIPALI MOSTRE E MOSTRE PARTECIPAZIONI PERSONALI
1957 Giosetta Fioroni, Milano, Galleria Montenapoleone
1990 I libri di Giosetta Fioroni. Acquarelli, disegni, collages, Milano, Antonia Jannone, Giosetta Fioroni. Opere su carta 19601990, Roma, Istituto Nazionale per la Grafica, Calcografia Giosetta Fioroni. Roma, Roma, Netta Vespignani Galleria d’Arte
1963 Giosetta Fioroni, Parigi, Galerie Breteau 1968 Teatro delle Mostre, Roma, Galleria La Tartaruga
1993 Giosetta Fioroni. Oltre le terre lontane, Mantova, Galleria Maurizio Corraini
1976 Giosetta Fioroni. Foto da un atlante di medicina legale, Roma, Galleria & Libreria Pan Giosetta Fioroni. Fototeca, Roma, Galleria dell’Oca
1994 Il Teatro della Vita e la Casa dei Poeti, ceramiche e dipinti di Giosetta Fioroni, Bologna, Galleria de’ Foscherari
Artisti, Poeti…, Mantova, Maurizio Corraini Arte Contemporanea 2001 Giosetta Fioroni. Di’ al tempo di tornare, Roma, Camera dei Deputati 2002 Senex. Ritratto d’artista. Giosetta Fioroni, Marco Delogu, Roma, Ala Mazzoniana Stazione Termini 2003 La Beltà. Giosetta Fioroni opere dal 1963 al 2003, Roma, Mercati di Traiano
2004 Giosetta Fioroni, Parma, Salone Penso che i collezionisti hanno dato un enorme contributo delle Scuderie in Pilotta 1979 1999 Giosetta Fioroni. Fiaba di Magia. Opere nonInsolo forma di libro. ma I libri di Giosetta Fioroal mercato anche agli stessi artisti... 2012 1962-1972, Mantova-Suzzara, ni, Modena, Biblioteca civica d’arte Luigi Queste persone che comprano, che fissano gli standard, L’Altra Ego, Roma, MACRO Casa del Mantegna – Galleria Civica Poietti fanno Giosetta venire a tutti gli altri una gran fiabesca voglia di ,emularli. Fioroni. La memoria 2013 Roma, Museo Laboratorio di Arte Con1987 Giosetta Fioroni. L’Argento, New York, temporanea dell’Università La Sapienza Ai Nani. Giosetta Fioroni, Roma, The Drawing Center di Roma Galleria dell’Oca Giosetta Fioroni. L’Argento e Faïence, Giosetta Fioroni, Ravenna, Pinacoteca Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna Comunale, Loggetta Lombardesca 1989 e Contemporanea Quella Carmen, Roma, Galleria dell’Oca Giosetta Fioroni. Lettere ad Amici,
PRINCIPALI MOSTRE COLLETTIVE
1955 VII Quadriennale Nazionale d’Arte di Roma, Roma, Palazzo delle Esposizioni 1956 XXVIII Biennale Internazionale d’Arte di Venezia, Venezia 1964 XXXII Biennale Internazionale d’Arte di Venezia, Venezia 1970 Vitalità del negativo nell’arte italiana 1960-7, Roma, Palazzo delle Esposizioni 1974 Ghenos, Eros, Thanatos, Bologna, Galleria de’ Foscherari
1976 Boîtes, Parigi, Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris
1993 XLV Biennale Internazionale d’Arte di Venezia, Venezia
1977 Künstlerinnen International 1877-1977, Berlino, Schloss Charlottenburg
1995 Venezia e la Biennale. I percorsi del gusto, Venezia, Palazzo Ducale-Galleria d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro
1979 Testuale. Le parole e le immagini, Milano, Rotonda di via Besana 1982 In-comunicabile-Inter-comunicável, São Paulo, Museu de Arte Contemporãnea da Universidade de São Paulo Arte italiana 1960-1982, Londra, Institute of Contemporary Art
2007 Pop Art 1956-1968, Roma, Scuderie del Quirinale
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BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
STUDI MONOGRAFICI
LIBRI D’ARTISTA
Mussio, Magdalo, Giosetta Fioroni, La Nuova Foglio, Pollenza 1976
Giosetta Fioroni. Subitaneità, Exit Edizioni & Signorina Rosina, Firenze 1979
Boatto, Alberto; Sauzeau, Anne-Marie; Carancini, Andrea, Giosetta Fioroni, Edizioni Essegi, Ravenna 1990
Marionettista, Guido Ceronetti e il Teatro dei Sensibili secondo l’alchimia figurativa di Giosetta Fioroni, testi di Guido Ceronetti e dell’artista, Maurizio Corraini Editore, Mantova 1993
Bianchino, Gloria (a cura di), Giosetta Fioroni, catalogo della mostra, Parma, Salone delle Scuderie in Pilotta, 6 marzo - 18 aprile 2004, Skira, Milano, 2004
100 Alberi, un’opera di Giosetta Fioroni in omaggio alla natura, testi di Alberto Boatto e dell’artista, Maurizio Corraini Editore, Mantova 1999 (150 copie numerate con ceramica originale in copertina)
Dossier Vado, ricordi figurativi della casa di Cesare Garboli, testo dell’artista, Maurizio Corraini Editore, Mantova 1993
Lancioni, Daniela; Pirani, Federica (a cura di), Giosetta Fioroni. Ceramiche, Skira, Milano 2005
Giosetta Fioroni. Ventidue sculture in ceramica, testo di Mario Quesada, Maurizio Corraini Editore, Mantova 1996
Celant, Germano, Giosetta Fioroni, Skira, Milano 2009
AA.VV., I disegni di Giosetta Fioroni, Rizzoli, Milano 1998
MUSEI PUBBLICI CHE ESPONGONO OPERE DELL’ARTISTA
Bologna, MAMBO - Museo d’Arte Moderna di Bologna
Roma, GNAM - Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea
Faenza, MIC - Museo Internazionale delle Ceramiche
Roma, MACRO - Museo d’Arte Contemporanea di Roma
Parigi, Musèe d’art moderne de La Ville de Paris
Torino, GAM - Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea
Verona, Galleria d’Arte Moderna, Palazzo Forti
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Coordinamento editoriale Cecilia Sica Progetto creativo e impaginazione Daniela Tiburtini Redazione Floriana MinĂ Grafico Fabrizio Midei Referenze fotografiche Fabrizio Midei (p. 50) Lorenzo Palmieri (pp. 42, 43, 44, 45, 46, 48, 49, 52) Giuseppe Schiavinotto (pp. 8, 9, 10-11, 12, 14, 15, 19, 22, 24-25, 31, 62) Spazio Visivo (foto in copertina e p. 51) Daniela Tiburtini (pp. 20, 23, 34, 35, 38, 39, 40, 41, 47)
Stampa e Allestimento Marchesi Grafiche Editoriali SpA, Roma
Finito di stampare nel mese di Ottobre 2014