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Fertilizzante

fai da te

a pag. 3

L’ufficio collettivo

Dona che ti passa

a pag. 5

a pag. 7

Cacomela o percocca?

Brutti ma buoni a pag. 11

a pag. 9

Tra mucche e mulattiere a pag. 12

Guerriglia ecologica

Spazzatura d’arte

a pag. 15

a pag. 17

Ko ai rifiuti informatici a pag. 18

Prima dell’apocalisse

a pag. 19

Acqua in BioBottle a pag. 20

Infrastrutture vs paesaggio

Bucato alla spina

a pag. 21

a pag. 23

Una meravigliosa ‘epidemia verde’ redazione.biosfera@edititalia.it Tra fertilizzanti fai da te, prodotti alimentari salvati dalla distruzione solo perché esteticamente poco gradevoli, spazzatura trasformata in oggetti artistici e nuovi ‘guerriglieri’ dell’ecologia, prosegue anche questo mese il viaggio di Biosfera nel panorama, ricco di stimoli, della sostenibilità ambientale e dei settori ‘verdi’ e ‘bio’, con particolare attenzione alle buone pratiche

che portano benefici effetti, se non semplice rispetto, al mondo in cui viviamo. Stimoli che arrivano da quello che si potrebbe definire un nuovo movimento ecologista, una ‘renaissance’ che si diffonde a macchia d’olio, come se fra la popolazione, italiana e non solo, si stesse trasmettendo da qualche tempo una sorta di morbo capace di ac-

crescere la sensibilità verso argomenti e temi da cui può effettivamente dipendere il nostro futuro. Una meravigliosa ‘epidemia verde’ che va dal miglioramento dell’efficienza energetica delle nostre abitazioni fino alla salvaguardia dell’ambiente, che ha anche risvolti socio-economici interessanti, perché significa aiutare le famiglie a risparmiare e le imprese

a innovare. Un’occasione per tutti da non lasciarci sfuggire, facendo ognuno a propria parte. Occorre ancora più informazione al pubblico per potenziare lo sviluppo della ‘Green Economy’ e diffondere la passione per l’ecologia: Biosfera lo ha ben presente e non tradirà la sua missione. Nella speranza che anche la natura voglia concederci un’altra occasione.

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ISSN 2037-447X

Sabato 29 ottobre 2011 anno 2 numero 10



riciclo .3

Il rifiuto che fertilizza I vantaggi del compostaggio domestico per concimare il proprio terreno Chi ha un giardino, un piccolo orto o qualche albero da frutta, con un po’ di tempo e pazienza potrebbe contribuire a un ambiente migliore e concimare in modo naturale il proprio terreno, senza ricorrere insomma a prodotti chimici costosi ed inquinanti. Come? Con il compostaggio domestico. Infatti, secondo la multiutility emiliano-romagnola Hera, solo considerando gli scarti vegetali ogni anno sono gettati via 5 milioni di tonnellate che, uniti alla frazione alimentare e opportunamente trattati, si trasformerebbero appunto in compost. Questo è un fertilizzante dall’aspetto molto simile al terriccio di bosco ed è ottenuto dalla trasformazione dei rifiuti organici, ossia quelli animali e vegetali: scarti di cucina, erba, foglie, piccole potature. In un apposito contenitore, la compostiera, si può infatti sviluppare il processo che in natura avviene per tutte le sostanze biodegradabili.

La compostiera va collocata su uno strato di materiale legnoso per agevolare il reflusso delle acque prodotte dal processo e facilitare la circolazione d’aria nel contenitore. È importante differenziare accuratamente i rifiuti organici: possono infatti essere conferiti in compostiera alimenti deteriorati, scarti di frutta e verdura, fondi di caffè e filtri di tè, gusci d’uovo, pane, piccoli ossi e gusci di molluschi, ceneri spente di caminetti, foglie, sfalci d’erba, piante recise e potature. Vanno bene anche piatti e bicchieri biodegradabili, nonché salviette di carta unte. Quello che invece non dev’essere conferito lì sono gli alimenti liquidi e confezionati, le lettiere per animali, i mozziconi di sigaretta, i grassi e gli oli, il legno trattato o verniciato e in generale qualsiasi rifiuto non organico. Le due tipologie di rifiuto, appunto quello della cucina e quello del giardino, vanno conferite insieme, oppure disposte a strati alternati non troppo spessi; in seguito occorrerà mescolarle. Per evitare la formazione di odori, possibile inconveniente del compostaggio domestico, è necessario inserire uno strato di terra di 2-3 centimetri; alla base della compostiera va infine sistemata una rete metallica per allontanare talpe e arvicole.

Hera ne incentiva l’utilizzo

con sconti

sulla Tia

Il compost ottenuto potrà essere utilizzato nella coltivazione di ortaggi, frutta e fiori. Più precisamente, pomodori, zucche, zucchine, cavoli cappucci, broccoli, sedano e mais ne sono forti consumatori e ne richiedono quindi 3-5 chilogrammi ogni metro quadrato di terra, mentre ad insalata, ravanelli, finocchio e prezzemolo ne bastano 2 o 3. Sono invece deboli consumatori gli spinaci, la valerianella e la cicoria belga, mentre va del tutto evitata la somministrazione di compost fresco a carote, leguminose e cipolle. Per quanto riguarda gli alberi da frutto, è meglio distribuirlo dopo la raccolta come strato pacciamante spesso fino a 2 centimetri su tutta l’area coperta dalla chioma. Infine, alle aiuole di fiori occorrono 2 chili di compost maturo ogni metro quadrato di terra, mentre nel prato è utile so-

prattutto prima della semina; in seguito può essere impiegato setacciato per eliminare il muschio e rinverdire zone prive di vegetazione. Nel ferrarese, tra il 2006 e il 2009, sono state ritirate gratuitamente dai cittadini quasi 1.400 compostiere; nel forlivese Hera ha di recente rinnovato l’invito a quanti hanno un orto o un giardino a richiedere gratuitamente la compostiera al numero 800.999.500. Il suo utilizzo dà diritto ad uno sconto sulla Tia di 5,16 € annui per ogni membro del nucleo familiare.


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eco-lifestyle .5

Libero professionista in libero spazio Anche l’ufficio lavora a progetto: il coworking ripensa gli ambienti di lavoro La precarietà dell’occupazione, la difficoltà tutta italiana di investire sulle proprie competenze e di conseguenza la necessità, per molti, di affrontare il mondo del lavoro a testa bassa: le nuove generazioni sono sempre più spesso costrette in contratti scomodi, vincoli burocratici immobilizzanti. Fortunatamente, usando l’immaginazione, e magari ispirandosi a pratiche consolidate oltreoceano o in nord Europa, si riescono talvolta a organizzare delle “riserve naturali per giovani di buona volontà”, in cui poter finalmente rimboccarsi le maniche e lavorare, possibilmente assieme. Il coworking è una di queste riserve, una formula nuova di intendere e aprire il proprio ambiente di lavoro. L’inglesismo non deve spaventare, il concet-

to è semplicissimo: coworking significa lavorare assieme, e la parola indica nello specifico il luogo fisico in cui più persone possono allestire il proprio studio, in modo flessibile e collaborativo. I professionisti più giovani spesso non sono in grado di affittare un intero ufficio per la propria attività, tanti inoltre viaggiano per lavoro e hanno bisogno di punti di riferimento attrezzati ma temporanei. Inoltre a chi lavora in ambiente informatico, magari da casa, può capitare di accogliere i propri clienti in salotto, senza riuscire ad evitare l’invito a cena rivolto agli ”ospiti” dai propri genitori. A tutte queste problematiche risponde il coworking: un ufficio collettivo i cui spazi – comprensivi di tutte le strumentazioni necessarie, come fax, videoproiet-

La formula

dell’allestimento collettivo

di uno studio

tori, stampanti e connessione wireless – vengono affittati a seconda delle necessità (per un giorno, due settimane, sei mesi). La formula è ovviamente tesa al risparmio di mezzi e risorse, la condivisione infatti comporta grandi agevolazioni da un punto di vista economico, ma non si esaurisce nella convenienza. Concentrare in uno stesso spazio professionalità e saperi differenti facilita la creazione di contatti, lo sviluppo di nuove sinergie. Per questo il coworking, che può comprende anche stanze più appartate, privilegia solitamente i grandi ambienti comuni, dove lo scambio avviene con maggiore spontaneità. In Italia esiste una rete chiamata Cowo, che supporta la strutturazione di nuovi coworking: aderendo al network si ottiene pubblicità a livello nazionale, ma soprattutto una prima assistenza burocratica e legale per quanto concerne l’apertura dello spazio. Attualmente Cowo conta adesioni in tutta la penisola, 58 spazi in 38 città diverse, gestiti in maniera più o meno complessa: si va dal semplice appartamento affittato e condiviso, agli openspace più modaioli, con tanto di punto ristoro e zona relax. Uno degli ultimi associati si trova addirittura al quarto piano del Lingotto, a Torino. Il pacchetto collaborativo è sicuramente utile per l’avviamento, ma

nulla vieta di gestire coworking in proprio, come hanno fatto ad esempio i ragazzi della Pillola, a Bologna. La loro esperienza è stata in Italia sicuramente pioneristica: già da diversi anni hanno allestito, come associazione, uno spazio dove creativi, freelance e professionisti condividono esperienze, idee, attrezzature, oltre ovviamente alle ore di lavoro quotidiano. Dalla pagina on line si può conoscere chi usufruisce dei loro servizi. Attualmente, ad esempio, sono attivi presso la Pillola: un ufficio stampa, una web agency, una società per la promozione di culture transnazionali, due case editrici, un web designer, la direzione di una casa di produzione cinematografica e gli organizzatori stessi, che oltre a curare questa attività si occupano di eventi sostenibili. La Pillola infatti è nata da un gruppo già attivo in città, l’Ecole de rusco, collettivo finalizzato al riuso artistico degli oggetti altrimenti destinati alla spazzatura. Gli spazi del coworking sono stati approntati seguendo questa filosofia: l’investimento per l’arredamento è stato minimo, la maggior parte dei materiali è stata recuperata e rinnovata artigianalmente. Sul sito questa esperienza viene definita un “incubatore di imprenditorialità”, ma può evidentemente trasformasi in molto di più.



eco-moda .7

Chi disprezza compra Chi apprezza regala Freecycle nasce con l’obiettivo di permettere la circolazione gratuita delle merci inutilizzate Abituati alle logiche perverse delle strategie di marketing, spesso consideriamo con diffidenza la parola “gratis”. La associamo automaticamente a oggetti di dubbia utilità, inseriti nei pacchi di detersivo piuttosto che nelle confezioni di patatine, o agli sconti incomprensibili dei flaconi di shampoo. L’insieme di queste politiche comunicative, in coppia con l’ossessione tutta contemporanea per la determinazione economica di qualsiasi bene materiale e immateriale, ha modificato il concetto di gratuità, trasformandolo da valore in disvalore. Il fatto che un bene possa essere ottenuto senza dispendio di denaro non aumenta la sua desiderabilità, ma anzi la diminuisce: il dono è diventato disprezzabile. Rispetto a questa tendenza esistono però sacche di resistenza, comunità di persone che scelgono di riconoscere negli oggetti il loro valore intrinseco, e che per questo rifiutano il consumismo facile. Alla voracità, che rapida-

mente sfrutta e butta via ciò di cui non ha più bisogno, oppongono la logica un po’ più lenta del regalo. Freecycle una delle prime comunità on line a nascere con l’obiettivo di permettere la circolazione gratuita delle merci inutilizzate. Fondata nel 2003 in Arizona dall’ambientalista Deron Beal, si è velocemente diffusa in tutto il mondo. Attualmente è presente in 51 paesi e coinvolge attivamente più di un milione e mezzo di persone. In Italia esistono 8 gruppi, di cui uno anche in Emilia Romagna, a Bologna per la precisione. «Biosfera» ha intervistato il moderatore del gruppo, Gianfranco Marino, per capire meglio come funziona e cosa comporta partecipare a questo tipo di community. Come è nata l’idea di creare un gruppo a Bologna? G.F.: La community è nata negli Stati Uniti, tuttavia la gestione nei vari paesi e località è demandata ai singoli distaccamenti, che lavorano in maniera completamente autonoma. Visitando il sito principale ho cercato se ci fossero gruppi attivi in Emilia Romagna, ma non ne ho trovati. Ho pensato di crearne uno io, ho mandato una mail proponendomi per coprire la zona. Mi piaceva l’idea di condividere senza fatica ciò che non si usa più, senza se-

condi fini. Attualmente il gruppo bolognese, che è nato nel 2006, conta circa mille iscritti. Come funziona la community? Chi gestisce la regolarità delle sue attività? G.F.: L’iscrizione è assolutamente anonima, non c’è nessuna selezione. Per gli annunci bisogna attenersi al regolamento, che è molto chiaro e poco flessibile, alla maniera americana, ed è lo stesso per tutto il sistema. Controllo personalmente tutti i messaggi immessi prima di renderli pubblici, per accertarmi che il gruppo non venga usato a fini commerciali o per obiettivi non rispondenti alla sua ragione d’essere. Quali sono gli oggetti più donati? G.F.: Innanzitutto bisogna specificare che gli utenti possono offrire ma possono anche richiedere, se hanno necessità di reperire qualcosa in particolare. Di solito la gente propone ciò di cui non ha bisogno, la varietà degli oggetti che si possono trovare è grandissima: si

va dal classico tavolino Ikea ai punti del supermercato, ai tappeti persiani. Quando si offre qualcosa gratuitamente la risposta di interesse è immediata. Sono necessarie conoscenze specifiche per gestire una community? G.F.: Gestire un gruppo non è difficile, ma un minimo di conoscenza informatica serve. La community bolognese funziona ancora attraverso yahoo groups. Per gli utenti questa interfaccia è facile, la comunicazione passa attraverso la normale posta elettronica. Per chi ci lavora “da dietro le quinte” presenta qualche pecca. Va bene se il flusso di informazioni da gestire è limitato. Tuttavia chi volesse creare ora un nuovo gruppo troverebbe delle modalità più innovative. Il sito principale infatti ha messo a disposizione delle singole localizzazioni altri programmi, più agevoli. Per chi volesse maggiori informazioni, per aggiungersi a una community già esistente, o magari per crearne una: www.freecycle.com

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biotecnologia .9

L’invasione dei frutti ibridi Le tecniche d’innesto permettono nuove produzioni genuine All’inizio c’erano il mandarancio e la pesca noce. Nuovi frutti, ibridi, ideati con l’intento di cogliere il meglio da due diverse tipologie, per lo sfizio dei consumatori. Poi, con lo sviluppo delle tecniche di innesto, aggiungendo anche abbondanti dosi di fantasia e stravaganza, ecco che sul mercato sbarcano di continuo prodotti dal sapore nuovo e dal profumo accattivante. Il processo non è nuovissimo. É già da alcuni anni, per esempio, che sui banchi dei supermercati fanno bella mostra di sé cesti colorati di cacomela, suscitando inizialmente curiosità e un minimo di diffidenza. Appaiono come mele giganti, dalla tonalità arancio vivo. Basta un morso per capire perché si è arrivati a questo risultato: la polpa è compatta e croccante come quella di una mela, il gusto invece si avvicina molto più a quello del caco. Vantag-

gi? innanzitutto la praticità. Lo si può consumare anche a un picnic o nelle pause di lavoro, addentandolo come una mela. Per gustarsi un caco tradizionale, invece, servono coltello, cucchiaio, piatto e abbondanti salviette per evitare di impiastricciarsi bocca e mani col succo che cola da ogni parte. Il resto lo fanno l’apparenza - la forma e il colore sono indubbiamente accattivanti - e la curiosità di assaporare un gusto nuovo. Il mapo invece è passato praticamente inosservato, quasi fosse una specie di agrumi importata da qualche luogo esotico. Scommettiamo che in pochi si sono soffermati sull’origine del frutto, intuibile anche dal nome, nato dal connubio mandarino-pompelmo. Forse per moda, ma molto più probabilmente per il desiderio di aumentare le vendite, oltre che per sfruttare certe caratteristiche climatiche, sta di fatto che i grandi gruppi commerciali, a seguito di ricerche e sperimentazione, catapultano sul mercato una novità dietro l’altra. E gli Stati Uniti fanno ovviamente da capofila anche in questo settore.

Niente paura non si tratta

di

Ogm

I consumatori americani pare siano i più annoiati dalla solita offerta di mele, pere, ananas e quindi i meglio predisposti a degustare novità e primizie assolute. Nei market a stelle e strisce hanno quindi cominciato a fare la loro apparizione i vari “pluot”, ibrido nato da plum (prugna) e apricot (albicocca), “nectaplum”, dall’incrocio tra nectarine (nettarina) e prugna, “aprium”, (apricot e plum) e “peacotum”, fusione di pesca, albicocca e prugna. Quasi tutti concepiti e coltivati nei campi della California. Come tutte le tendenze che si rispettano la nuova offerta non poteva non arrivare anche in Italia, seppure nel nostro Paese sia ancora fortemente predominante la cultura legata al cibo della tradizione. Ecco allora affacciarsi anche nei supermarket nostrani, piuttosto che dal fruttivendolo sotto casa, molti prodotti dai nomi bizzarri e semi-impronunciabili come la prugnocca (prugna+albicocca) o la pescarina (pesca+nettarina) alcuni dei quali coltivati anche sui terreni nazionali. Nel frattempo i più attenti hanno avanzato alcuni timori. Innanzitutto, questi nuovi stravaganti prodotti pos-

sono essere considerati sani al cento per cento? Attenzione: non vanno confusi i prodotti ibridi con gli Ogm. I primi sono frutti originati da innesti compiuti tra piante diverse, con tecniche a volte secolari. Gli altri sono generati da piante su cui si è intervenuti a livello genetico, con effetti finali sulla salute dei consumatori non ancora certi e definitivi. Accertata la sicurezza, rimane da valutarne l’impatto sul commercio locale. In verità i produttori di casa nostra non sembrano più di tanto preoccupati. Sull’argomento sono intervenuti recentemente i rappresentanti del Consorzio della ciliegia e della susina di Vignola, che hanno sottolineato come il mercato europeo, a differenza di quello d’oltreoceano, apprezzi ancora in modo deciso il prodotto dal sapore autentico, “genuino, come quello di una volta”. Se questi ibridi rispondono commercialmente alle esigenze del cliente e non fanno male alla salute – la sintesi di quest’analisi –, ben vengano. Ma nessun pericolo di concorrenza per i prodotti di assoluta eccellenza millenaria come possono essere le susine e le ciliegie emiliane.


Sede Legale: Via Bruno Buozzi 41 Massa Fiscaglia (FE) Sede Operativa: Via Mantova 268/B Vigarano Pieve (FE)

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E-mail: vogliovolareonlus@alice.it elenaxalice@alice.it

UN DEFIBRILLATORE PUO' DAVVERO SALVARE UNA VITA! L'Associazione Voglio Volare Davide Barbi vuole, attraverso questo gruppo, porre l'attenzione su un problelma che in questi anni si sta verificando sempre più frequentemente ma che gli Istituti Federali non riescono a combattere come vorrebbero: le morti per attacco cardiaco a causa della mancanza di un immediato soccorso. L'Associazione Voglio Volare Davide Barbi nasce il 5 dicembre 2006 in seguito alla scomparsa di un giovane di 18 anni che viene colto da attacco cardiaco mentre si reca a scuola, in un giorno come tutti gli altri e per l'eccessivo ritardo dell'ambulanza, a causa del traffico, non riesce a sopravvivere. Purtroppo nessuno, nonostante la moltitudine di gente accorsa a vedere, è stato in grado di effettuare un massaggio cardiaco in modo da tenere il cervello ossigenato in attesa dell'arrivo dei soccorsi. L'Associazione, diventata ONLUS nel giugno 2007, nasce per far fronte a questo genere di problematiche. I suoi fondatori hanno posto quali finalità del progetto temi piuttosto impegnativi ma che una volta realizzati costituiscono una più che valida forma di coadiuvazione con le forze di primo soccorso già in opera. Le finalità dell'Associazione sono: SUPPORTO ALLA RICERCA SCIENTIFICA in quanto la scienza moderna è ad oggi indietro nell'individuazione delle nuove patologie cardiache che, sempre più spesso si rivelano letali poiché non è possibile attuare un efficace contromisura. DONAZIONE DI DEFIBRILLATORI all'interno delle scuole e dei centri sportivi in quanto è questo l'unico mezzo per far reagire il cuore in caso di improvviso stop. CORSI DI DEFIBRILLAZIONE precoce per rendere studenti e personale scolastico abilitati all'uso del defibrillatore. Seminari di informazione sulle patologie cardiache e sulla sensibilizzazione ad una maggior tutela del proprio cuore in quanto primo motore della vita. Ad oggi l'Associazione ha già donato 24 defibrillatori e formato all'utilizzo più di 400 volontari attraverso istruttori specializzati IRC del 118. L'Associazione va avanti grazie alla volontà dei suoi fondatori, alle donazioni della gente e al contributo di diverse Istituzioni. Voglio Volare è inoltre in contatto con importanti membri dell'ambiente sanitario che volontariamente collaborano e sostengono l'Associazione per quanto riguarda i consulti.

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eco-lifestyle .11

Malfatti ma con gusto Il progetto ‘Brutti ma buoni’ per l’utilizzo dei beni alimentari imperfetti ma commestibili Ogni giorno in tutta Italia tonnellate di beni ancora potenzialmente fruibili vengono buttati: si tratta dei prodotti che, seppur integri nella loro funzione d’uso, sono ritirati dalla vendita. È una delle contraddizioni dei nostri tempi: da un lato un’eccedenza di beni rimasti invenduti nelle piccole e grandi attività commerciali si trasforma inutilmente in rifiuto, dall’altra i bisogni primari di un numero sempre più grande di persone in difficoltà rimangono senza risposta. Per questo Coop Estense ha messo in pratica un’idea: trasformare gli sprechi in risorse per la solidarietà.

È questo infatti l’obiettivo che la cooperativa si pone di raggiungere attraverso ‘Brutti ma Buoni’, il progetto con il quale quotidianamente ritira dalla vendita beni alimentari e non alimentari prossimi alla scadenza o con piccole imperfezioni estetiche, ma ancora buoni e perfettamente commestibili o utilizzabili, da destinare ai soggetti del territorio che operano a favore dei più bisognosi. Nato in forma sperimentale nel 1989, dal 2003 questa pratica è divenuta una procedura aziendale che man mano si estende a tutti i negozi attraverso il coinvolgimento di associazioni, soci e dipendenti. Le prime possono fare richiesta di accedere ai prodotti inviando generalità e dati anagrafici dell’ente, dichiarando finalità, obiettivi e la destinazione della merce, mentre i secondi valutano le richieste, provvedono a

Merci

fruibili

sottratte alla distruzione

monitorare gli enti sul territorio e a sviluppare le relazioni con gli stessi, garantendo il presidio del buon fine della merce. I dipendenti da parte loro sono coinvolti nell’attività quotidiana di gestione delle merci ritirate dalla vendita, nella loro valutazione, nello scarico e nella preparazione per la donazione. Nel 2010, in provincia di Ferrara la cooperativa, attraverso gli otto punti di vendita nei quali è attivo il progetto, ha destinato a 73 associazioni merce per un valore di 1.461.306 euro. Questa, la cui componente alimentare pesava oltre 215 tonnellate, è servita per assistere più di 5.800 persone e altrimenti avrebbe preso la strada della discarica, con il conseguente danno anche ambientale. L’invenduto in un punto vendita è la conseguenza degli standard di servizio: disponibilità dei prodotti sino al momento della chiusura; ritiro della merce dalla vendita prima della data di scadenza; difetti esterni nella confezione o nell’immagine. Ovviamente di tali prodotti sono garantite le condizioni di

conservazione, igiene e sicurezza previste dalla normativa vigente. I destinatari del progetto sono realtà che operano a livello territoriale nell’ambito del volontariato, del no profit, istituzioni pubbliche e religiose, che manifestano bisogni di natura diversa e che possono trovare nell’iniziativa una fonte alternativa di finanziamento o sostentamento per realizzare le proprie finalità solidaristiche, quando non direttamente una risposta ai bisogni primari degli utenti che assistono attraverso beni alimentari (compresi prodotti freschi), abbigliamento, materiali di consumo quotidiano. Anche scuole e istituzioni vengono selezionate attraverso il lavoro dei soci volontari della cooperativa in conformità a specifici requisiti, tra cui la disponibilità a ritirare la merce in giorni e orari predefiniti e ad utilizzarla entro i termini della scadenza. A tutti loro la cooperativa garantisce donazioni periodiche, giornaliere, settimanali o mensili secondo le esigenze, oppure donazioni sporadiche.


il viaggio 12.

La Via Spluga da Thusis Terza parte della nuova avventura di un viaggiatore ... a piedi Sono le 17, giunti a Zillis è il momento di punto della situazione. “Ho prenotato a Wergenstein, fuori dal tracciato della Via Spluga – ci illustra Ciccio – ma prima della deviazione, la mia guida suggerisce di salire ai paesini di Casti e Clugin per ammirare i meravigliosi soffitti dipinti di due chiese. Andiamo, giovani!”. “Proviamo, ma nutro dei dubbi sulla fattibilità del tragitto, vista l’ora” la considerazione di Cesare, scrutando la mappa e consapevole di smorzare l’entusia-

smo del nostro amico. “Teniamo conto che ci sono dislivelli importanti” preciso io, attento a non mortificare l’attenta pianificazione di Ciccio, ma cercando di essere realista dinnanzi a un tragitto che comincia ad allungarsi e appesantirsi molto. Le mulattiere che oltrepassano Zillis attraversano estese praterie. Decine di mucche al pascolo sembrano ignorarci, intente a ruminare erba fresca, mentre noi, zuppi di sudore, stiamo consumando velocemente le riserve d’acqua. Lungo l’ennesima salita taglia-gambe Cesare rompe gli indugi: “Saranno pure delle magnifiche opere d’arte, ma non siamo in grado, ora, di fare il giro delle chiese. Riduciamo il percorso e andiamo dritti verso Wergenstein”. Col fiato cortissimo e i volti

stravolti approviamo unanimemente. Seguiamo quindi le indicazioni per Donat, abbandonando la Via Spluga per raggiungere la località fissata per la notte. Forse per un calo di lucidità, forse perché alcuni segnali sono stati divorati dalla vegetazione, ci troviamo a dubitare della strada che stiamo percorrendo visto che sembra portare fuori rotta. Cartina alla mano controlliamo gli agglomerati visibili a occhio, azzardando il percorso da seguire. Siamo bravi, e in parte fortunati, recuperando il sentiero per Donat, mentre la sera ci viene inesorabilmente incontro. Dopo 7 ore di cammino siamo visibilmente a corto di energie, ma dobbiamo aspettarci un’altra bella tirata in salita: per Wergenstein ci sono

300 metri di dislivello. Saliamo lungo un sentiero impervio che passa per un’abetaia, con i sassi che spesso franano sotto le suole e gli zaini che cominciano a pesare come macigni. Ciccio chiede più volte una sosta per rifiatare, regolarmente concessa, finchè ammette stremato: “ragazzi, sono in difficoltà. Credo di avere un calo di zuccheri!”. Dalla tasca dello zaino estraggo un energizzante da diluire nell’acqua rimasta. “Con questo vedrai che ritrovi un po’di forze” provo a rincuorarlo. “Tu e la tua mania di saltare i pasti, Ciccio – rimbrotta Cesare – da domani se non mangi qualcosa a metà giornata sono calci nel sedere!”. Ignoriamo quanta strada manchi ancora all’interno del bosco, ma il percorso diventa sempre più insidioso.


il viaggio

APPUNTAMENTI

...a Chiavenna Consapevole del momento di difficoltà del nostro compare, Cesare decide di caricarsi sulle spalle anche il suo zaino: fanno circa 28 kg di zavorra, sorretti da un fisico non certo possente. Ma per un amico si fa questo e altro. Decido di fare anch’io la mia parte, seppure stia accusando tantissimo la fatica. “Voi procedete con calma, io vado in esplorazione per capire quanto manca” dichiaro prima di avventurarmi in avanti. Un metro alla volta, in alcuni tratti quasi a gattoni, mi inerpico lungo la mulattiera cosparsa di massi enormi e alberi abbattuti, quasi un sentiero di guerra. A un certo punto, tendendo l’orecchio, avverto il rumore di un trattore, segno - quanto mai gradito - che siamo nei pressi di un paese. Deposito lo zaino per quelli che spero siano gli ultimi me-

tri. Una fitta vegetazione cela l’approdo alla strada asfaltata che compare all’ultimo, al termine della salita che pareva non terminare mai. A pochi metri il cartello agognato: ‘Wergenstein’. Torno sui miei passi per dare la buona notizia ai compagni di avventura. Li trovo che procedono a stento. “Ragazzi, ci siamo, l’arrivo è dietro l’angolo”. Basta questo a regalargli la carica per il tratto finale. Ad attenderci il piccolissimo borgo dove terminano le strade del comprensorio. Il nostro albergo domina completamente la vallata, offrendo uno scenario meraviglioso. Da lì, verso le vette, partono alcuni sentieri, il più importante è quello che porta all’oasi naturalistica denominata ‘il Parco dei Capricorni’. di Leonardo Rosa

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La città e la sfida della sostenibilità 4 novembre 2011

Luogo: Riccione - Palazzo del Turismo “Costruire, rinnovare la città, la sfida della sostenibilità” è il tema della giornata di studi in programma venerdì 4 novembre (14.30-18.30) al Palazzo del turismo di Riccione. All’insegna della consapevolezza che l”’incentivazione alla sostenibilità ambientale passa attraverso un ripensamento dell’architettura e dell’urbanistica tramite azioni concrete e strategie coraggiose per una città che vede nella riqualificazione urbana e nel nuovo costruito un punto di forza per il futuro”. Interverranno: Massimo Pironi - Sindaco di Riccione Ing. Stefano Ferri - Polistudio A.E.S. Prof. Arch. Silvio Van Riel - Presidente ARSPAT- Università di Firenze Prof. Ing. Roberto Mingucci, Ing. Simone Garagnani - Università di Bologna Dott. Mario Zoccatelli - Presidente GBC Italia Dott. Baldino Gaddi - Dirigente Settore Pianificazione e Gestione del Territorio Comune di Riccione Per informazioni e iscrizioni : 0541 1796760 www.arspat.it sezione Eventi

“Biodiversità come ricchezza. Biologica, genetica, culturale” 4 novembre 2011

Luogo: Parma - Biblioteca Civica (Vicolo Santa Maria, 5) L’Associazione Donne Ambientaliste - ADA Onlus - ha organizzato un ciclo di incontri sul tema della biodiversità, dal titolo: “Biodiversità come ricchezza. Biologica, genetica, culturale”.

“Percorsi di natura” 8 novembre 2011

Luogo: Forlì - Centro Ambientale “La Cocla “ (Via Andrelini, 59)

Il Centro di Educazione Ambientale “La Cocla “ organizza, in collaborazione con La Società per gli studi naturalisti della Romagna, una serie di incontri, “Percorsi di natura”, che si svolgeranno presso la sede del Centro in via F.Andrelini, 59 dalle ore 20,45 (entrata libera). Per informazioni: 0543/714409 - e-mail: ceafo@hotmail.it


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ambiente .15

Dal cemento nascono i fiori La giornata nazionale dei guerriglieri del giardinaggio Spesso le pubbliche amministrazioni, per mancanza di fondi o semplice incuria abbandonano le aree verdi più periferiche. Per recuperare queste zone dismesse, spesso soffocate dalle infestanti o magari adibite a discarica improvvisata, un gruppo di giovani milanesi ha iniziato nel 2004 ad organizzare degli “attacchi verdi”. Sono i guerriglieri del giardinaggio, che da una piccola realtà locale hanno saputo creare un movimento che coinvolge ora tutte le maggiori città italiane. L’ispirazione viene loro da iniziative analoghe sviluppate all’estero, la “guerrilla gardening”. Il primo intervento di questo tipo risale al 1973, dove a New York alcuni volontari si organizzarono per ottenere, da quello che era un lotto derelitto, uno splendido giardino fiorito. Allora come ora, l’obiettivo è opporsi al degrado urbano, interagire positivamente con l’architettura e l’urbanistica cittadina attraverso interventi di riqualificazione ad hoc.

I “giardinieri radicali” spesso agiscono di notte, puliscono il terreno, lo preparano e magari trasformano un aiuola spartitraffico in una fioritura di lavanda, un praticello dismesso in una riserva di erbe aromatiche. L’intento è sempre quello di riappropriarsi degli spazi del quotidiano, ripristinare all’uso collettivo le zone più sterili ed impersonali. Con il sostegno di alcune aziende di giardinaggio, che forniscono loro consigli e talvolta anche materiale per lavorare, i gruppi che attualmente si impegnano in questa missione sono numerosissimi. In provincia di Bologna ad esempio il gruppo “Terra di nettuno” ha recentemente assaltato diverse aree abbandonate di Quarto Inferiore. Chiunque può partecipare al progetto, associandosi ai gruppi già esistenti o creandone uno ex novo. Ritrovo virtuale del movimento è il sito www. guerrillagardening.it, da dove si può contattare chi già è coinvolto nella “lotta al degrado” e dove è possibile trovare utili consigli per iniziare in proprio la battaglia. Tra gli spunti forniti ai neofiti: la flowerbomb, ovvero semi, fertilizzante e terriccio inumiditi e avvolti in carta di giornale, da tirare per far rifiorire luoghi dimenticati. Tra le

avvertenze per il primo attacco: coinvolgere chi abita nelle vicinanze affinché si prenda cura delle piante anche semplicemente controllando il livello di idratazione, salvare gli arbusti spontanei, magari potandone i rami per renderli più ordinate, difendere i nuovi nati dall’arrivo dei decespugliatori comunali, usando una retina di ferro o anche semplicemente un bastoncino infilato nel terreno. Durante l’attacco vero e proprio, è fondamentale avere una scusa pronta per i passanti e per le forze dell’ordine, come ad esempio “il mio cane è stato investito qui e ora voglio piantare dei fiori a sua m e m o r i a ”. Non è proprio di buon gusto ma pare funzioni. Per chi fosse interessato all’argomento, il 4 novembre verrà organizzato in tutta la penisola il primo attacco nazionale e

sincronizzato dei guerriglieri verdi. L’idea è nata dal gruppo torinese dei “Badili Badola” e ha trovato l’immediato consenso delle diverse realtà regionali, come appunto i bolognesi “Terra di Nettuno”, i “Giardinieri Sovversi Romani” e il “Gelsomino Group” in Lombardia. La speranza è che il 4 novembre dal 2011 in poi diventi la giornata nazionale del guerrilla gardening italiano, che si riesca con questa iniziativa a dimostrare la coordinazione, la propositività e la connessione del movimento. Nella stessa giornata presso lo spazio arte Lacca del liceo artistico Caravaggio, a Milano, verrà inaugurata una rassegna fotografica dedicata a documentare l’attività dal 2004 ad oggi. Foto e video del attacco sincronizzato verranno invece raccolti per essere montati in un filmatotestimonianza.

Gruppi

organizzati per ‘attacchi

verdi’



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Riciclo, opere da museo Ecolight, quando la spazzatura si trasforma in arte Chi lo dice che la spazzatura non possa diventare arte? Prendete una vecchia lampadina, una tazza rotta e qualche bottone da abiti dismessi, utilizzate tutta la vostra creatività e fantasia e il gioco è fatto. Design, architettura, arte, musica e moda sono le cinque grandi stanze del Museo del Riciclo realizzato nel 2010 dal consorzio Ecolight, dove sempre più creativi mettono in mostra le loro opere realizzate con oggetti e materiali di recupero. Come arrivarci? Basta digitare www.museodelriciclo.it Questo museo infatti esiste solamente nel grande mondo di Internet

e le sue stanze, naturalmente virtuali, costituiscono un’ampia vetrina aperta a tutti coloro che hanno la capacità di donare nuova vita agli oggetti, ma anche a tutti i curiosi che preferiscono dare una ‘sbirciatina’ e perché no, prendere spunto per qualche lavoretto artigianale. Ecolight è un consorzio che dal 2004 si occupa di recupero e smaltimento dei RAEE (Rifiuti da Apparecchi Elettrici ed Elettronici) e con l’iniziativa del museo ha voluto farsi portatore di una nuova cultura del riciclo, sensibilizzata attraverso l’arte. Quadri, istallazioni, oggetti di design, originali strumenti musicali e particolari capi d’abbigliamento possono diventare i protagonisti di queste mostre on-line e magari vincere qualche importante premio, partecipando

Esposizione

di

opere

con oggetti

di recupero

a concorsi, anche internazionali. Proprio il mese scorso si è svolta a Salerno la premiazione del concorso internazionale di pittura e design “Rifiuti in cerca d’autore”, organizzato dall’associazione Salerno in Arte, ed il premio Ecolight per la miglior opera realizzata con l’utilizzo di rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche è stato assegnato ad un nativo bolognese: Paolo Nicodemo. L’opera “MediterRAEEneo” ha infatti stupito per l’immediatezza del messaggio: l’installazione realizzata con tondini di ferro da cantiere, rete metallica, schede elettroniche, conchiglie naturali e conchiglie di fondi di bottiglie di plastica, invita a riflettere sul reale pericolo cui si va incontro se non si salvaguarda coscientemente il mare, dal quale ha avuto origine la specie umana. La scultura rappresenta infatti dei pesci che hanno ingoiato delle schede elettroniche, per farci rendere conto che quello che può far male agli abitanti del mare può avere delle conseguenze sulla catena alimentare e quindi su di noi. Grazie a questo progetto, Ecolight

è riuscito ad integrare il concetto di arte e quello di sostenibilità, facendo assumere al rifiuto, generalmente considerato come ‘brutto’, una nuova valenza: tutti quegli oggetti che in un determinato contesto quotidiano possono essere considerati scarti infatti, presi in un contesto di tipo artistico diventano qualcosa di ’bello’. Ecolight punta proprio su questa trasformazione che, di conseguenza, si riflette anche sulle mentalità delle persone nei confronti del riciclo. A testimonianza di ciò ci sono i dati che parlano chiaro: nato nel febbraio 2010 il museo ha totalizzato in poco più di un anno migliaia di visite. Semplice curiosità o questi visitatori testimoniano un sempre più spiccato interesse per l’ecosostenibilità? Forse entrambe. Ma la vera vittoria in questo caso è quella della creatività, capace di trasformare semplici latte, manici di scopa e corde di acciaio armonico in uno strumento musicale, bottiglie rotte e bottoni in vasi e caraffe e vecchi computer in interessanti sculture, lampade ed altri oggetti di design.


redazionale 18.

Acqua Sant’Anna leadership ed ecosostenibilità Intuito, coraggio, intraprendenza e soprattutto innovazione le chiavi del successo della strategia di Alberto Bertone.

Non a caso a lui si deve una rivoluzione epocale nel mondo del packaging dei beni di largo consumo: il lancio sul mercato di Acqua Sant’Anna BioBottle, la prima bottiglia di acqua minerale realizzata con una rivoluzionaria plastica naturale che si ricava dalla fermentazione degli zuccheri delle piante anziché dal petrolio. Numerose sono inoltre le altre iniziative per la tutela dell’ambiente: l’utilizzo della logistica su rotaia per il trasporto dell’acqua da Vinadio a tutta Italia (se lo scorso anno partiva un treno a settimana di Acqua Sant’Anna, oggi parte un treno al giorno), il magazzino di Vinadio e tutta la movimentazione delle merci sono gestiti da robot a guida laser elettrici che ricaricano autonomamente le batterie e non a gasolio, quindi a inquinamento zero e sono stati introdotti particolari robot fasciatori che permettono un risparmio di plastica consistente negli imballi, lo stabilimento di Vinadio è stato ristrutturato secondo scelte architettoniche ecocompatibili con l’ambiente, con materiali di legno e pietra, il calore prodotto dai macchinari di produzione viene canalizzato e utilizzato per il riscaldamento dello stabilimento e degli uffici, sono previsti alcuni corsi di formazione per il personale dell’azienda volti a sensibilizzare i comportamenti sia in azienda che nel privato per il rispetto dell’ambiente, il riciclo e scelte responsabili ecosostenibili. A tutto questo si aggiunge la recente presentazione e lancio sul mercato del primo imballo invisibile che punta all’impatto zero. Acqua Sant’Anna si mette a nudo con una confezione rivoluzionaria che si spoglia del sacchetto termoretraibile che tiene le bottiglie insieme e sviluppa un nuovo imballo con una riduzione drastica di consumo di petrolio. SANT’ANNA BIOBOTTLE: LA RIVOLUZIONE MONDIALE DELLA BOTTIGLIA VEGETALE Non utilizza neanche una goccia di petrolio la nuova Sant’Anna BioBottle, la prima bottiglia di acqua minerale 100% vegetale, una speciale bottiglia prodotta con il biopolimero Ingeo™, che si ricava dalle piante anziché dal petrolio. Questa rivoluzione epocale nel packaging è frutto dell’iniziativa dell’azienda piemontese Fonti di Vinadio, che in poco più di 10 anni di attività si è già fatta notare per l’intraprendenza e il modo innovativo di produrre, distribuire e comunicare, fino a diventare un marchio leader a livello nazionale. Sensibile alle tematiche ambientali, convinta che la rivoluzione ecosostenibile possa comin-

ciare dai prodotti di largo consumo (la bottiglia di acqua minerale da 1,5 litri è infatti il formato più venduto del settore e tra i prodotti più venduti in assoluto nel nostro Paese), Fonti di Vinadio è la prima azienda privata a sposare una politica ecocompatibile con una iniziativa di tale portata nel mass market. Questo rivoluzionario materiale presenta le stesse caratteristiche del materiale sintetico: stessa leggerezza, robustezza e praticità senza contenere nemmeno una goccia di petrolio! Inoltre, gli studi dimostrano che questo particolare biopolimero non rilascia alcuna sostanza nell’acqua. NON CONTIENE PETROLIO E NON PUO’ RILASCIARE SOSTANZE DA ESSO DERIVATE pertanto il contenuto è fresco e puro come l’acqua imbottigliata in vetro, pur mantenendo tutta la praticità, leggerezza e maneggevolezza delle plastiche tradizionali! BioBottle riveste dunque grande importanza non solo per il plus ecosostenibile, ma anche per la conservazione ottimale che garantisce al prodotto. “L’impiego di risorse annualmente rinnovabili, anziché del petrolio, per produrre questo biopolimero – spiega l’imprenditore Alberto Bertone, Presidente di Fonti di Vinadio Spa - riduce la dipendenza dai combustibili fossili e, grazie a processi manifatturieri più sostenibili, contribuisce all’abbattimento delle emissioni di anidride carbonica, la causa principale dell’effetto serra.” La nuova Sant’Anna BioBottle permette importanti risparmi energetici e riduce l’inquinamento rispetto alle bottiglie in plastica tradizionale. La portata innovativa di questo prodotto ha suscitato curiosità e attenzione da parte non solo del pubblico e del mondo dell’informazione, ma anche di ricercatori e studiosi di nuovi materiali e metodi di smaltimento degli imballaggi. Questa esperienza apre infatti le porte a nuovi scenari futuri su prodotti di largo consumo più ecosostenibili. Sant’Anna BioBottle dopo il consumo si può conferire nella raccolta differenziata dell’organico, ed avviare ad un particolare trattamento, il compostaggio, ovvero una biodegradazione controllata, che avviene in ambiente dove temperatura e tassi di umidità controllati accelerano semplicemente un processo che avverrebbe normalmente in natura. Un test effettuato con AMIAT - Azienda Multiservizi Igiene Ambientale Torino, ha dimostrato che dopo solo 8 settimane non resta più nessun frammento di Sant’Anna BioBottle. Una pubblicazione ufficiale del WWF, distribuita nel corso della recente conferenza Mondiale sul clima di Copenaghen, auspicava la sostituzione dei processi petrolchimici con processi biologici e indicava il PLA come sostituto naturale di PET e PS al fine di produrre significativi benefits in termini di riduzione delle emissioni di gas effetto serra. Sant’Anna BioBottle ha già ottenuto il riconoscimento del marchio CIC dal Consorzio Italiano Compostatori, che promuove una reale politica di riduzio-

ne dei rifiuti e soluzioni improntate alla minimizzazione dell’impatto ambientale. UN IMBALLO INVISIBILE VERSO L’IMPATTO ZERO Quando si parla di ecosostenibilità, bisogna passare dalle parole ai fatti concreti. Solo così l’ambiente ne avrà un reale giovamento. È questo il principio alla base di una nuova impresa realizzata dall’Acqua Sant’Anna, marchio leader nazionale del settore, che ancora una volta rivoluziona il mercato introducendo un’innovazione senza eguali! Si tratta di un imballo invisibile, capace di tenere insieme 6 bottiglie d’acqua con un impiego minimo di materiali da smaltire e di energia! L’idea è di nuovo dell’imprenditore Alberto Bertone, Presidente e Ad di Acqua Sant’Anna, che ha fatto ormai dell’imperativo ecosostenibile la guida della sua attività. È stato lui, con Sant’Anna Bio Bottle, ad inserire nel mercato la prima bottiglia che si possa davvero definire ecosostenibile, perché non ha ridotto la quantità di Pet, ma l’ha sostituito completamente con uno speciale biopolimero di origine vegetale, che non utilizza il petrolio e si biodegrada in meno di 80 giorni! Una innovazione assoluta che oggi continua con la novità dell’imballo invisibile. L’obiettivo era di azzerare l’imballaggio dei fardelli. Grazie al supporto tecnico e alla collaborazione con Ribi Limited, una società di brevetti inglese specializzata nello studio e sviluppo di applicazioni innovative, questa idea è diventata realtà. Dopo lunga sperimentazione e importanti investimenti in ricerca e sviluppo da parte dell’Azienda di Vinadio, arriva sul mercato il primo imballo invisibile. Si tratta dell’applicazione di un metodo innovativo che permette di assemblare due o più bottiglie per facilitarne il trasporto mediante legature anulari orizzontali e con una legatura verticale incrociata avente funzione di solida maniglia. Questo innovativo sistema sostituisce il tradizionale imballo denominato “fardello”, normalmente realizzato in pellicola plastica termoretraibile. Grazie a questa innovazione non sarà più necessario smaltire tonnellate di plastica, che per ogni imballo viene sostituita da tre soli grammi di filo di raccordo, riducendo così di dieci volte l’uti-

lizzo di materiale inquinante. Inoltre, un vantaggio assolutamente non trascurabile, è l’abbattimento dei consumi energetici in linea di imballaggio: si annulla infatti l’energia necessaria ad alimentare le macchine che fasciano e scaldano il fardello per farlo aderire meglio alle sei bottiglie. In questo modo Acqua Sant’Anna si spoglia della pellicola di plastica termoretraibile che avvolgeva le 6 bottiglie, si mette a nudo utilizzando una nuova confezione rivoluzionaria generando una riduzione drastica di consumo di petrolio. Una innovazione straordinaria, ma che soprattutto permette di abbattere concretamente i consumi e lo smaltimento di materiali inquinanti! In questi giorni è partita presso alcuni punti della grande distribuzione la vendita sperimentale dei primi fardelli invisibili. Con l’imballo invisibile il consumatore può contare su un packaging solido e resistente, semplice e pratico che permette consistenti risparmi per l’ambiente e per tutti. Prima nell’aver creduto che la rivoluzione green potesse partire dai beni di largo consumo; prima nell’aver investito importanti risorse per lo sviluppo di soluzioni alternative alle plastiche convenzionali e all’uso del petrolio; prima nell’aver introdotto una bottiglia di acqua minerale di origine 100% vegetale. Questa è Acqua Sant’Anna Fonti di Vinadio, caso di successo internazionale, leader nel settore acque minerali, e motore propulsivo di iniziative ecosostenibili che hanno segnato una rivoluzione epocale nei consumi e nelle strategie aziendali. Un nuovo traguardo importante raggiunto per l’Azienda di Vinadio, che collaborando con i principali e più preparati partner tecnici presenti sul mercato mondiale, vuole essere protagonista della rivoluzione ecosostenibile.


inquinamento .19

Incontrarsi “Prima dell’apocalisse” Al festival di Internazionale si è discusso di emergenza climatica A Ferrara si è tenuto tra il 30 settembre e il 2 ottobre il festival della rivista Internazionale. La manifestazione, giunta quest’anno alla quinta edizione, ha offerto come di consueto la possibilità di ascoltare le testimonianze e le opinioni dei grandi nomi del panorama giornalistico internazionale. Dei molti argomenti discussi alle conferenze, sicuramente grande importanza ha avuto la riflessione sull’attuale situazione climatica e ambientale del pianeta. All’incontro intitolato ‘Prima dell‘apocalisse’, tenutosi domenica 2 ottobre presso la sala del cinema Apollo, ricercatori e giornalisti si sono confrontati più specificatamente sui rischi e le prospettive legate al futuro delle fonti energetiche. “A livello globale stiamo vivendo tre crisi simultaneamente – ha introdotto Serge Enderlin, giornalista svizzero nonché autore del saggio ‘Black out’:

la crisi energetica dovuta alle richieste pressanti delle economie emergenti, la crisi climatica, la crisi dovuta all’indebitamento generalizzato, che impedisce la transazione per uscire dall’epoca del petrolio”. Il ricercatore Jean Pierre Dupuy, dell’università di Stanford, in merito a questo ragionamento ha voluto sottolineare come ‘le nuovi grandi potenze in ascesa, come il Brasile, la Cina e India, mirino ovviamente ad accedere agli stili di vita occidentali, ma per evitare i rischi climatici che deriverebbero dal soddisfacimento di questo desiderio non serve fare a nulla i moralizzatori. Bisogna evitare la trappola di insegnare agli altri la lezione che non siamo capaci di osservare, dobbiamo iniziare a fornire concretamente un buon esempio’. In merito è intervenuto anche Patrick Lagadec, professore invece per l’Ecole Polytechnique di Parigi, ricordando come in questo discorso non si possa ignorare la responsabilità dei mezzi di informazione. ‘Su questo tipo di argomenti mancano validi punti di riferimento intellettuali spiega al pubblico, per non far preoccupare la popolazione, per non incappare nell’ira dei dirigenti, gli intellettuali accettano di

fornire risposte collettive pilotate. Dovrebbero svincolarsi da questo meccanismo: se ognuno si ferma a raccontare la propria piccola storia non si otterrà mai nulla. Bisogna condividere domande e problemi, affrontare la situazione da un punto di vista mondiale’. Sulla necessità di una riflessione e di un intervento concertato ha voluto intervenire Thierry Vissol, rappresentante italiano presso la Commissione Europea, il quale ha sostenuto come in Europa esista la democrazia, ma come purtroppo essa non riesca ad appoggiarsi ad un dibattito costruttivo. ‘Il trattato di Lisbona ha stabilito le politiche energetiche e ambientali da attuare in tutti i paesi membri dell’Unione, ma di fatto ha solamente formulato un quadro generale ‘ha raccontato Vissol della propria esperienza‘ . È compito dei singoli stati attuare i principi e le direttive, ed è qui che si sente il vuoto della democrazia di base’. In un dibattito centrato, seppur ironicamente, sull’eventuale prossima fine del mondo non poteva mancare un approfondimento sul nucleare. Dupuy si è recato recentemente in Giappone e ha raccontato di non aver notato gli

effetti dell’incidente alla centrale, ma solo le devastazioni del terremoto: “il problema è lo stesso di Chernobyl. Le radiazioni sono invisibili, non hanno odore, ma l’aria e la terra sono ancora dense di cesio, stronzio e plutonio. Verranno respirate, mangiate e bevute ancora per chissà quanto tempo. Forse solo tra 50 anni avremmo una percezione di cosa veramente ha comportato questo accadimento in termini di danni alla vita umana. A Fukushima si è persa la distinzione tra la catastrofe naturale del terremoto e quella di derivazione tecnologica, ovvero l’emergenza nucleare. Temo che d’ora in avanti la concomitanza di questi fattori sarà sempre più comune”. E ora sarebbe bello chiudere la panoramica con un motto di speranza, una piccola buona notizia capace di risollevare gli animi, ma Lagadec ha avvertito: “durante questi incontri i relatori si sentono sempre obbligati a infondere in qualche modo dell’ottimismo nella gente che li ascolta. Il pubblico chiede implicitamente loro di non lasciare che la realtà del mondo entri nella stanza. Io credo che l’unico ottimismo possibile sia quello di affrontare la questione così com’è”.


redazionale 20.

EcoPersonalComputer l’elisir di lunga vita degli e-waste La risposta innovativa per risolvere il problema dei rifiuti informatici Nel dizionario dei nerd – i più “navigati” a livello tecnologico - è arrivata una nuova voce: ‘e-waste’. Questo neologismo indica i rifiuti informatici, un genere di spazzatura che risulta pericoloso se non sottoposto ad apposite procedure di smaltimento. Nonostante sia tuttora ignorato da gran parte della popolazione, l’ewaste raggiungerà i 12 milioni di tonnellate entro il 2020, secondo quanto previsto nell’ambito della direttiva europea contro i rifiuti elettronici, conosciuta come Weee - Waste Electrical and Electronic Equipment. Tuttavia, un dato ancor più allarmante rispetto a questa imponente produzione di e-waste, risiede nel fatto che ben il 67 per cento dei rifiuti elettronici raccolti nell’Unione Europea sia fuori controllo, perché inviato in discarica o in impianti di trattamento non adeguati, o perché addirittura esportato illegalmente. Una risposta innovativa, che intende risolvere a 360 gradi questa emergente problematica di smaltimento, l’ha data EcoPersonalComputer, un’azienda che nasce all’insegna del rispetto per la tutela dell’ambiente. L’ha fon-

data Leonardo Govoni, unico titolare che si avvale di una rete di collaboratori esterni altamente specializzati: “Faccio orari da artigiano, 14 ore al giorno comprese le giornate di sabato e domenica” spiega lo stesso, orgoglioso della sua attività che ha sede in un piccolo centro del ferrarese, precisamente in via Pasquino 13 a Renazzo di Cento. Oltre a fornire sistemi informatici tradizionali di qualunque tipologia, nonché assistenza tecnica su tutti i prodotti, EcoPersonalComputer si occupa del ritiro, dello stoccaggio, della rottamazione e dello smaltimento di ogni tipo di hardware (personal computer, stampanti, tastiere, mouse, schede di memoria, cd-rom drive e tutto il materiale informatico di qualunque azienda o privato). Hardware usato, anche non funzionante, che viene trattato secondo le normative vigenti in ambito di tutela dell’ambiente. “L’idea – spiega Govoni - nasce dalla volontà di riciclare la componentistica informatica dismessa, come ricambistica o prodotti rigenerati da reimmettere nel mercato, e di recuperare in modo ottimizzato quello che è un rifiuto, che può diventare pericoloso”. L’elisir di lunga vita. Smaltimento ecosostenibile, questo è l’imperativo a cui occorre rispondere in modo urgente: “In Italia – sostiene il titolare di EcoPersonalComputer -, manca quasi

totalmente la consapevolezza della necessità di utilizzare qualsiasi risorsa a diposizione, compresa quella informatica, facendola “durare” il maggior tempo possibile: e in caso di obsolescenza – aggiunge Govoni -, è importante trovarle la giusta locazione, prima di dismetterla e recuperarla come materia prima”. Riciclare tutto, tranne i dati personali. In caso di rottamazione del proprio hardware, la privacy è garantita. “EcoPersonalComputer – assicura Govoni garantisce ai clienti la distruzione fisica definitiva o la cancellazione certificata dei dati memorizzati su tutti i supporti elettronici ritirati, come sancito dalla normativa vigente”. Hardware dalla A alla Z. EcoPersonalComputer è anche distributore di una vasta scelta di hardware nuovo di tutte le marche e tipologie, sia per uso privato che aziendale. A breve sarà anche pubblicato il nuovo catalogo di materiale direttamente all’indirizzo web www.ecopersonalcomputer.it. Dall’hardware al software. L’azienda sostiene la causa e lo sviluppo del Sistema Operativo Linux, che propone sia su sistemi nuovi che rigenerati. “È una piattaforma “free” – spiega Govoni - con caratteristiche sia di sicurezza che di grafica e funzionalità, che oggi – sostiene l’informatico - non hanno nulla da invidiare ai concorrenti più blasonati”.

Arts and Design, i sistemi informatici ambientati. I fiori all’occhiello di EcoPersonalComputer sono i sistemi informatici ambientati e con decorazioni personalizzate per attività commerciali, scuole, manifestazioni fieristiche, negozi e altri contesti sociali. Ne dà notizia un’apposita sezione del sito dell’azienda, ‘Arts and Design’: “Il computer in ambito sia casalingo che lavorativo – osserva Govoni - è un oggetto che spesso “stona” con il contesto ambientale. Pertanto la personalizzazione e l’ambientazione integra esteticamente questa anomalia, fornendo un prodotto unico ed artigianale”. Uno sguardo rivolto al futuro. Il recupero delle materie prime nel settore elettronico è ancora in fase embrionale, ma i progetti realizzati e in cantiere ‘made in EcoPersonalComputer’ appaiono senza dubbio all’avanguardia. “I rifiuti informatici – rileva Govoni hanno ancora processi di “recupero” ancora poco ottimizzati. È per questo – annuncia il titolare - che la mia azienda, andando contro corrente, sta studiando processi di recupero di materie prime innovative: solo il tempo – incrocia le dita Govoni - darà la conferma della nostre scelte”. Per qualsiasi informazione sui servizi di EcoPersonalComputer, è possibile contattare direttamente il Centro Asistenza Clienti, cell. 347.2619161


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Grandi opere, poco rispetto Le infrastrutture in programma in Regione denotano scarsa attenzione al consumo di territorio Il 28 luglio scorso Legambiente ha reso pubblico il “Rapporto Infrastrutture in Emilia Romagna”, un documento che ha voluto mettere sotto gli occhi degli Emiliano-Romagnoli i progetti relativi alle principali i n f ra s t r u t t u re stradali previste in Regione, mostrandone i limiti e sottolineando l’impatto che esse avranno sul paesaggio agricolo e sull’ecosistema della pianura padana. La situazione presentata dal Rapporto non è particolarmente lusinghiera, per la Re-

gione come per le scelte del governo nazionale. “Emerge una profonda crisi della pianificazione delle città e del territorio. Il perseverare sul vecchio modello “autostradale” sembra mostrare il venir meno nella politica della capacità di pensare e costruire alternative di lungo periodo, in un epoca in cui si parla di abbandono del petrolio e rivoluzione verde”, ha commentato Lorenzo Frattini, presidente regionale di Legambiente. Il Rapporto ha preso in considerazione le sei maggiori opere infrastrutturali in programma: l’autostrada Orte-Mestre (nel tratto regionale tra il Po e Ravenna e di raccordo con la E45), l’Autostrada cispadana tra le province di Reggio e Ferrara, il collegamento autostradale CampogallianoSassuolo nel modenese, l’autostrada TI-BRE nel tratto di connessione tra Autocisa ed il Po, il passante autostradale a nord di Bologna, la bretella di Castelvetro

Piacentino ed il nuovo ponte sul Po. Queste – che sono solo una parte di quelle approvate dalle amministrazioni locali e dal Ministero competente - comporterebbero l’impermeabilizzazione di oltre 630 ettari di terreno per realizzare pavimenti autostradali, svincoli, parcheggi e aree di servizio, ai quali vanno poi sommati quelli che serviranno alla creazione delle scarpate laterali, fossi di guardia, zone intercluse all’interno degli svincoli e altre infrastrutture che determinerebbe una perdita definitiva di zone coltivabili di ben oltre 1000 ettari. La completa mancanza di prospettiva di preservazione per il paesaggio agricolo del nostro territorio è parallela, secondo Legambiente, alla mancanza di attenzione verso la possibilità e la necessità di una rete di infrastrutture alternative alle strade: nel nostro Paese l’80% delle merci si muove su gomma e il tasso di motorizzazione (cioè il numero di automobili per cittadino) è di gran lunga superiore alla media europea, con un trend di crescita del 10% nel corso dell’ultimo de-

cennio. In Emilia Romagna esistono quasi tre chilometri e mezzo di strada per abitante, mentre ogni persona ha a disposizione solo 0,4 chilometri di rete ferroviaria: tutto questo incide naturalmente in modo importante sulle scelte dei cittadini e delle aziende presenti sul territorio circa la mobilità di persone e beni. Secondo le conclusioni e le proposte alternative lanciate da Legambiente, in una fase economica in cui le risorse pubbliche sono e saranno sempre più limitate, occorre scegliere bene le priorità ed avere il coraggio di canalizzare i fondi verso lo sviluppo delle infrastrutture regionali e di trasporto pubblico locale che creino l’opportunità di una mobilità efficiente e competitiva rispetto al mezzo privato e al trasporto su gomma. In una nuova pianificazione dei trasporti e delle infrastrutture la Regione dovrà svolgere un ruolo di governance indirizzando le scelte di mobilità urbana verso un quadro strategico che superi i confini amministrativi, che diventi fruibile ai cittadini.

Legambiente

‘Manca la cultura

della mobilità

alternativa’


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eco life-style

BANCARELLE BIO IN REGIONE

Vorrei una pinta di… detersivo Il risparmio economico e ambientale dei prodotti alla spina Sono alla spina e si possono trovare in svariati negozi. Non stiamo parlando di vino, latte o altri generi di alimentari, ma di detersivi: ammorbidenti, sgrassatori, anticalcare, cere e detergenti, prodotti per vetri, per pavimenti, per lavatrice, ma anche di prodotti per l’igiene personale, come saponi liquidi, shampoo e bagno schiuma. Tutto questo può oggi essere venduto al litro: basta portarsi da casa il proprio barattolo, schiacciare la levetta o il pulsante e il risparmio è fatto! Un risparmio impressionante non solo in termini economici, ma soprattutto per l’ambiente. Grazie alla possibilità di comperare i detersivi e i prodotti igienici in maniera sfusa infatti, si risparmia sulla produzione del packaging, di norma in plastica, generando meno rifiuti (non sono imbottigliati, inscatolati o incellofanati) e riducendo in questo modo il problema “inquinamento”. Inoltre il risparmio si riflette anche sulle nostre tasche: con i ‘detersivi alla spina’ si è certi di acquistare solo il prodotto pesato, risparmiando così sulla confezione, ma anche sul costo del trasporto, in quanto di norma i detersivi che ritroviamo in questi centri vengono normalmente prodotti da aziende presenti sul territorio. Diminuisce quindi non solo il traffico, ma anche l’inquinamento atmosferico ad esso correlato: i flaconi di detersivo infatti oltre a percorrere brevi percorsi, non necessitano di interstizi tra un flacone e l’altro, ottimizzando così lo spazio ed il numero di camion necessari al trasporto. I passaggi dal produttore al consumatore vengono dimezzati, con minor spreco di energia e di risorse e minore produzione di gas serra, che permette un minore impatto ambientale ed un effetto positivo sulla società e sull’ambiente. Tra i detersivi alla spina e quelli con-

fezionati c’è una differenza in termini di passaggi per il confezionamento: i primi dall’azienda vanno direttamente al punto vendita, mentre i secondi seguono interamente la linea produttiva, utilizzando flaconi, scatole, pallet per il trasporto, film plastico estensibile. I detersivi alla spina invece necessitano solo di un tank per il trasporto di svariati litri di prodotto ed il flacone del consumatore. Entrambi i contenitori vengono riutilizzati, generando così rifiuti zero o quasi (i tank correttamente gestiti possono venire riutilizzati anche per 2-3 anni). Da qualche anno a questa parte i centri in cui è possibile trovare questi prodotti, connubio di qualità e risparmio, si sono moltiplicati come funghi e, se fino al 2008 erano solamente 4 le postazioni segnalate in Emilia-Romagna, oggi solo più di cinquanta. Bologna spicca in regione con ben 28 centri tra la città e la provincia, ma sono abbastanza fornite anche Ferrara, con

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In tutta la regione si contano 43 mercati che propongono prodotti bio. Quelli censiti, almeno, perché iniziative di questo tipo si moltiplicano rapidamente e rendono difficile il monitoraggio. Vediamo dove sono presenti le bancarelle bio in Emilia Romagna che aprono a cadenza settimanale o periodica.

PROVINCIA DI PIACENZA

MERCATO DELL’ARTIGIANATO DEI COLORI E DEI SAPORI, Piazza Duomo Piacenza, venerdì MERCATO DELL’ARTIGIANATO DEI COLORI E DEI SAPORI, Piazza Cavalli Piacenza, lunedì PIAZZA CASALI Piacenza, dal lunedì al sabato CURIOSANDO SOTTO IL CASTELLO CASTELL’ARQUATO, Piazza del Municipio, seconda domenica di ogni mese da marzo a dicembre (ore 9-19) MERCATO MENSILE DEL BIOLOGICO E DELLE COSE USATE – FIDENZA, primo sabato di ogni mese

vincia, 7 a Belluno, 49 a Venezia, 47 a Padova , 46 a Verona, 44 a Vicenza e ben 64 a Treviso, per un totale di 270 centri in tutta la regione.

PROVINCIA DI PARMA

LA CORTE - DALLA TERRA ALLA TAVOLA, Via Imbriani Parma, sabato (8.30-13) ROCCA E NATURA – FONTANELLATO, Centro storico, quarta domenica di ogni mese (9-18) MERCATO TRAVERSETOLO – TRAVERSETOLO, Via San Martino, domenica mattina

PROVINCIA DI REGGIO EMILIA

MERCATO DEL CONTADINO, Piazza Fontanesi Reggio Emilia, sabato mattina (8-13) MERCATO DI PIAZZA PICCOLA – Piazza San Prospero Reggio Emilia, da lunedì a sabato

PROVINCIA DI MODENA

BIOPOMPOSA – Piazza Pomposa Modena, martedì e sabato (8.30-13) MERCATO CONTADINO – Parco Ferrari Modena, venerdì (14-18) MERCATO DEL CONTADINO – SASSUOLO, via Po’ Località Braida, 2°e 4°sabato (8-13) MERCATO DI CARPI - Parco Giovanni Paolo II, giovedì e sabato (8-13) BIOSPILLA – SPILAMBERTO, Torrione Medievale, venerdì (7-13.30) VIGNOL, via Cavova 4, venerdì pomeriggio e sabato mattina

PROVINCIA DI BOLOGNA

Via Udine Bologna, presso il cortile della Scuola di Pace, venerdì (17.30-20.30) VAG61 - Via Paolo Fabbri 110 Bologna, martedi (18-21) MERCATO DELLA TERRA – Via Azzo Gardino Bologna, sabato (9-14) XM24 – Via Fioravanti 24 Bologna, giovedì (17.30-21) BIO MARCHÈ BUDRIO- BUDRIO Piazza Antonio da Budrio, lunedì (17.30-20.30) MERCATO DI VERGATO – VERGATO Piazza della Pace, sabato e domenica MERCATO DELLE COSE BUONE - SAVIGNO Piazza centrale, seconda domenica del mese MERCOLBIO – IMOLA via Serraglio presso Centro Sociale La Stalla, mercoledì (17-20)

Si moltiplicano

i negozi

PROVINCIA DI FERRARA

DOMENICHE BIO FERRARA – Piazza Castello Ferrara, seconda domenica del mese (919) SAPORI MATILDEI - BONDENO Piazza Garibaldi, sabato (8-13)

che adottano

PROVINCIA DI RAVENNA

MARTEDÌ GRAS – CSA Spartaco Via Chiavica Romea 88 Ravenna, martedì (18-20) BIOMARCHÈ LUGO - LUGO Logge del Pavaglione, venerdì (17-20) BIOMARCHÈ FAENZA - FAENZA Parco Vespignani, lunedì (18-22)

il sistema

PROVINCIA DI FORLÌ-CESENA

14 centri dislocati in tutta la provincia, e Ravenna con i suoi 13 centri. Resta però il Veneto la regione con maggiori distributori di detersivi alla spina con 13 centri a Rovigo e pro-

MERCATO DI FORLÌ – Mercato Forlì, lunedì e venerdì (7-13) MERCATO DI CESENATICO - CESENATICO (FC) - Piazza Conserve, mercoledì e sabato (7-13) LE CRETE DI MONTENOVO - SAN MAURO PASCOLI Via Renato Serra 17, martedì, venerdi e sabato (9.30-12.45) MONTIANO - Via Provinciale Sogliano 2117, martedì e venerdì (15-20) RONCOFREDDO - Via Comandini 38, venerdì-domenica (8-12 e 14-21)

PROVINCIA DI RIMINI

RIMINI – Via della Torretta 5, giorni feriali (15-19)

Questo g toria a i di

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ISSN 2037-447X

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CONCESSIONARIE per i capoluoghi e le province di: FORLÌ, CESENA, RIMINI, PESARO, URBINO, RSM, COMUNE DI IMOLA E COMPRENSORIO, BASSO FERRARESE, PUBLIMEDIA ITALIA Srl P.zza Bernini, 6 - 48100 Ravenna Tel. 0544.51.13.11 - Fax 0544.51.15.55

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EDITORE: Edit Italia s.r.l Direzione, Amministrazione, Redazione: Ferrara V.le Cavour, 21Tel. 0532.200033 Fax 0532.247269 Amministratore delegato: ROBERTO AMADORI

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Questo periodico è aperto a quanti desiderino collaborarvi ai sensi dell’art. 21 della Costituzione della Repubblica italiana che così dispone: “Tutti hanno diritto di manifestare il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni mezzo di diffusione”. La pubblicazione degli scritti è subordinata all’insindacabile giudizio della Redazione: in ogni caso non costituisce alcun rapporto di collaborazione con la testata e, quindi, deve intendersi prestata a titolo gratuito. Notizie, articoli, fotografie, composizioni artistiche e materiali redazionali inviati al giornale, anche se non pubblicati, non vengono restituiti.

Registrazione Tribunale di Ravenna n. 1343 dell’11/01/2010 Direttore responsabile: ROBERTO AMADORI Art Director: SERGIO TOMASI

Redazione: ROBERTO AMADORI, ROMINA BUTTINI, RAFFAELE QUAGLIO, GIAMBALDO PERUGINI, CLAUDIA RICCI, MARA RICCI, SERGIO TOMASI, SCOOP MEDIA EDIT soc. coop. Stampa CSQ Spa Erbusco (BS)


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