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L’Happy hour è green Energia da

spremere

Fine dei parchi?

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Territori saccheggiati a pag. 7

Discesa Francigena

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Il gelato è ‘bio’ L’oasi minacciata

Parcheggio fotovoltaico

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Festival a impatto zero

redazione.biosfera@edititalia.it

Il verbo della sostenibilità continua a diffondersi, a espandersi, a reclutare nuovi adepti. Il moltiplicarsi di iniziative a ‘impatto zero’ non può che fare bene a un ambiente sempre più in affanno. Il fatto che anche manifestazioni di grande richiamo si siano posti il problema di come ridurre gli effetti negativi sull’ecosistema dovuti alla concentrazione di masse di spettatori in spazi ridotti, è un segno dei tempi che cambiano. Un esempio arriva dal

più grande festival internazionale dei musicisti di strada, il Ferrara Buskers Festival, che da quest’anno ha pensato di avviare il progetto ‘Ecofestival’. Il motto è “Zero sprechi per una grande festa”. Una festa che in una decina di giorni porta nel centro storico della città estense circa 800mila visitatori, oltre ai circa 1200 musicisti che si esibiscono nelle strade e nelle piazze. Tra le diverse azioni previste per realizzare questo nuovo percorso di

“evento sostenibile” vi è la riduzione della carta. Tutta la comunicazione avverrà nel giro di pochi anni prevalentemente in forma digitale sia per la promozione dell’evento, sia per la modulistica di richiesta di partecipazione e delle pratiche legate alla gestione del Festival. Verranno inoltre create in collaborazione con il main sponsor Gruppo Hera, delle isole per la raccolta differenziata, sarà coerentemente ridotto l’utilizzo di materiale usa e get-

ta nei punti di mescita e ristorazione privilegiando materiale biodegradabile. Saranno inoltre incentivati i mezzi di trasporto collettivi e il servizio di car sharing (condivisione di auto private). Tutta l’attenzione è stata rivolta ai prodotti che riescono a unire innovazione con il rispetto dell’ambiente. Anche se l’ospite d’onore è ‘orange’, trattandosi dell’Olanda, la nuova anima del festival sarà indubbiamente ‘green’

EI007684

ISSN 2037-447X

Sabato 30 luglio 2011 anno 2 numero 7


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eco-lifestyle .3

Aperitivo a impatto zero Alcolico o analcolico, due alternative superate. “Ecobrindare” è il must dell’happy hour dell’estate. La nuova voce ‘green’ che trova spazio sul menu dei locali più all’avanguardia è stata presentata appena qualche settimana fa niente meno che nella Milano da bere. Dalle grandi città del nord al litorale emilianoromagnolo, il passo è breve: dopo una giornata trascorsa in spiaggia, l’happy hour a impatto zero è...naturale. Facile da fare e divertente anche da inventare. Il nuovo calice verde del tardo pomeriggio sollecita la riscoperta del “politicamente corretto”, invitando a conoscere i prodotti che compongono ciò che ci viene servito. È così che l’aperitivo made in Milan strizza l’occhio all’ambiente e si propone di inquinare meno. Il progetto meneghino ‘Happy hour Happy planet’, portato avanti grazie al contributo di Fratelli dell’Uomo e Fondazione Cariplo, ha infatti messo in rete cinque locali - Atm Bar, Magenta, Turnè, Union club e Rha-

bar – che, oltre ad aver dato l’addio ai piatti plastica, hanno scelto lampadine a basso consumo energetico e hanno avviato un’attenta raccolta differenziata. Ma l’aperitivo “corretto” si fonda soprattutto su un’idea davvero curiosa: questo progetto ha infatti previsto che ogni locale mettesse a disposizione dei propri clienti un totem - realizzato dall’Istituto europeo di Design -, attraverso il quale, al costo di un gettone, fosse possibile scoprire tutto sul cocktail prescelto: ovvero gli ingredienti e loro provenienza, con il numero di chilometri percorsi dal luogo di produzione al luogo di consumo. Divertimento e ambiente in un click: il progetto “Happy hour happy planet” permette così ora di stimare rapidamente l’impatto ambientale del proprio aperitivo, per stimolarne un consumo responsabile. A partire da una classifica stilata ad hoc, da cui emerge che la deliziosa Piña colada è... “altamente inquinante”, mentre lo Sbagliato – variante tutta lombarda del Negroni – è uno dei cocktail più sostenibili. Dal bere al mangiare. A inaugurare questa rivoluzione dell’aperitivo, non è sola la Milano da bere “bio”. È di appena qualche mese fa, il libro di Lisa Casali e Tommaso Fara, “La cucina a impatto (quasi) zero” (144 pagg, 22

Una voce

‘green’ nei menù all’avanguardia

euro, Gribaudo editore), che testimonia una attenzione concreta ai cibi da accompagnare agli aperitivi green sorseggiati al bancone. Perché la cucina ecosostenibile è fatta di prodotti locali e di stagione, ma prevede anche sprechi ridotti al minimo. Foglie esterne di carciofo, bucce di patate, croste di formaggio e rifilature delle carote. Questi sono solo alcuni dei “rifiuti-non-rifiuti” che finiscono, per tradizione, nella nostra spazzatura. Si stima che questo genere di immondizia derivi da circa il il 20% dei prodotti che acquistiamo. Al bando allora il compostaggio, gli scarti diventano materie prime di gustose e rapide ricette da servire in tavola come snack e piatti più importanti, dall’aperitivo al dolce. È questo l’obiettivo di una intelligente carrellata di soluzioni, tutte da mangiare, che Casali – anche apprezzata autrice del blog di successo www. ecocucina.org - e Fara, i due autori dell’ecoricettario antispreco hanno proposto, cucina dopo cucina, in un tour di presentazione che ha coinvolto tra i più noti chef del Belpaese. La parola d’ordine è “genuinità”: il recupero degli scarti è possibile se le materie prime sono genuine. Un esempio? Le bucce di frutta e verdura biologiche non sono state trattate da pesticidi chimici e, pertanto, il loro consumo non presenta rischi per la salute. Il vantaggio di una ecocucina è quindi duplice: prodotti di qualità e rifiuti ridotti. Non ci resta quindi che... “ecobrindare”!

Drink croccante

Facile, gustosa e colorata: è la ricetta delle ‘Chips di bucce di peperoni gialli e rossi’ proposta da Lisa ‘Lisca’ Casali su ecocucina.org. Per preparare questa ricetta spellate i peperoni con la tecnica che preferite (in padella, al forno, al microonde). Poi trasformate delle semplici bucce in chips da servire come aperitivo. Una volta che avrete essiccato le bucce si conserveranno anche mesi chiuse in un vasetto, per cui potrete usarle anche per un aperitivo autunnale, quando i peperoni non saranno più di stagione. Lo stesso procedimento si può usare anche per le bucce di pomodoro. Fondamentale per la riuscita del piatto è che le bucce siano perfettamente essiccate prima della cottura in olio. Ingredienti: Le bucce di 1 kg di peperoni, Sale, Olio, Erbe aromatiche (origano, basilico, rosmarino, timo). Preparazione: Scartate le bucce bruciate. Essiccate le bucce al sole per una giornata (in alternativa usate l’essiccatore o il forno). Quando le bucce saranno perfettamente essiccate (provate a schiacciarne una con la mano: dovrà sbriciolarsi), immergetele in un pentolino con olio bollente poche alla volta. Disponete le chips in bicchierini mono porzione e conditele con sale ed erbe aromatiche. Servite come aperitivo.


energia 4.

Energia dall’agricoltura Sperimentazione sulle biomasse per ricavarne olii combustibili La possibilità di ottenere energia dalle biomasse è un tema di cui si parla ormai da tempo e che suscita reazioni contrastanti. Una particolare possibilità è quella sperimentata dal Centro d’Ateneo per l’agricoltura di pianura dell’Università di Ferrara, in collaborazione con il Dipartimento di Ingegneria, presentata nel maggio scorso in un convegno presso l’Istituto Navarra. Il progetto si fonda su quattro pilastri: tecnico, economico, sociale ed ambientale. L’intera operazione cerca infatti di inserirsi all’interno del pacchetto clima-energia dell’Unione europea, quello che fissa il famoso obiettivo 20/20/20, ossia: entro il 2020 ridurre del 20% le emissioni di gas a effetto serra, portare al 20% il risparmio energetico e aumentare al 20% il consumo di fonti rinnovabili. Questo progetto di ricerca ha cercato di tener conto delle diverse critiche mosse, anche da parte di chi ha a cuore i temi ambientali, alla produzione

di energia da biomasse. In questo senso è andata la scelta delle specie vegetali da coltivare, ossia soia , girasole e colza. La prima ha, fin dalla sua produzione, rappresentato una realtà importante nel Ferrarese in termini di superficie coltivata, la seconda è sempre stata invece una coltura marginale, destinata a terreni poco fertili e difficilmente irrigabili, mentre la colza è stata introdotta nella Provincia solo nel 2007, in seguito alla possibilità di coltivarla su aree ritirate dalla produzione a scopo alimentare. Si tratta in ogni caso di specie già presenti nel territorio, perché questo era il senso di tutto il progetto: ottenere risultati effettivamente utilizzabili dalle piccole imprese agricole di queste zone. Quando si discute questo tema sorge spesso un’obiezione di carattere etico: così facendo viene sottratto terreno alla produzione a scopo alimentare, in un pianeta in cui la denutrizione affligge milioni di persone. Nel convegno di Agri-Unife è stato spiegato che così non è: le colture dovrebbero infatti essere messe a dimora in terreni eccedenti quelli necessari per la produzione alimentare, oppure in terreni abbandonati o a rischio desertificazione, o ancora in aree coinvolte in ristrutturazioni industriali.

Sono stati dunque messi a dimora 12 ettari di queste specie, dai quali si sono ottenuti oli tramite spremitura meccanica. Pure questa scelta, che non è la più efficiente dal punto di vista della resa, è stata compiuta per rendere l’operazione possibile anche a piccole imprese, dotate di strumenti poco tecnologici. Neppure questo passaggio, secondo i ricercatori, è a rischio di obiezioni etiche: solamente un terzo del prodotto della spremitura è costituito da olio è dunque destinato alla produzione di energia, mentre la maggioranza costituisce il panello, il residuo solido usato per l’alimentazione del bestiame, e rimane perciò nella filiera agricola. Gli oli ottenuti sono stati utilizzati, presso l’azienda Turbec di Corporeno (Fe), entro una microturbina a gas dalla potenza di 100 Kw. In particolare, sono state fatte delle prove al variare del carico di lavoro e della tipologia di olio utilizzato, confrontando i risultati ottenuti da una parte con oli vegetali rigenerati, oleine d’oliva e di semi, dall’altra con oli da

coltura dedicata (appunto girasole e colza). Questa macchina lavora in cogenerazione, ossia produce energia sia elettrica, sia meccanica sia termica. Pure la decisione di utilizzare microturbine andava nel senso di renderle accessibili ad imprese agricole di piccole dimensioni. Produrre energia con questo sistema diminuisce il biossido di carbonio immesso nell’atmosfera, mentre non c’è ancora certezza sulla variazione di monossido di carbonio e ossidi di azoto. Un futuro non troppo lontano potrebbe essere quello immaginato dalla presidente della Provincia di Ferrara, Marcella Zappaterra, in apertura del convegno: un agricoltore con 40 ettari di terreno possa dedicarne uno ad una coltivazione grazie alla quale la sua impresa sia autosufficiente dal punto di vista energetico.

Soia, colza

e girasole

i vegetali da sfruttare


ambiente .5

Quale futuro per le aree protette? L’imminente scioglimento dei consorzi di gestione mette a rischio la tutela dei parchi I Consorzi di gestione degli Enti parco hanno i giorni contati. La loro cancellazione, voluta dal decreto Milleproroghe, ora convertito nella legge n.10 del 26 febbraio 2011, pone fine a una forma di governo delle aree protette innovativa e tipica dell’Emilia Romagna. Il consorzio di gestione si caratterizza per un alto contenuto di partecipazione dei Comuni e degli enti locali, che sono coinvolti finanziariamente e in sinergia con la Regione nella gestione delle aree protette sul territorio regionale. Un modello che funziona e garantisce un elevato standard di responsabilità e di tutela delle aree protette. Antonio Nicoletti - responsabile nazionale aree protette di Legambiente - sostiene infatti che “i consorzi di gestione danno spazio agli Enti locali nella gestione diretta e hanno ottenuto dei buoni risultati”. “Nei consorzi di gestione - spiega Nicoletti - i Comuni partecipano fino al 40% del bilancio. Venendo meno il loro apporto finanziario salta un vincolo di interesse nella gestione dei parchi e delle aree protette e questo può allentare il regime di tutela”. La contribuzione dei comuni è ritenuta fondamentale da Legambiente per avere una forma di governo che sia ampia ed espressione diretta dei

territori che si affacciano sui parchi. “Chiediamo un equilibrio nella gestione, avere una governance ampia e democratica è fondamentale per un presidio efficace”, conclude Nicoletti, che auspica anche un confronto serio e non sbrigativo con la Regione. Dello stesso parere Lorenzo Frattini, Presidente di Legambiente Emilia Romagna, che chiede, per il futuro modello di gestione in sostituzione dei consorzi, “una regia regionale e una rappresentanza dei comuni” e che sottolinea come “la Regione non abbia ancora avanzato delle proposte”. “E’ probabile – prosegue - che ci saranno degli slittamenti sui tempi, delle proroghe, perché ad oggi non è chiara quale forma verrà scelta dall’Emilia Romagna in sostituzione dei consorzi di gestione, anche se ormai sembra certo che saranno le Comunità montane o le Provincie ad occuparsene”. Una soluzione questa che non è vista positivamente da Legambiente, che ritiene – prosegue Frattini - “che i comuni abbiano strumenti più efficaci e siano il naturale presidio sul territorio”. Dello stesso avviso, l’Assessore all’Ambiente dell’Emilia Romagna Sabrina Freda sostiene la necessità di coinvolgere i comuni. “Non si può – spiega - prescindere dai Comuni e dal territorio, è necessario il loro coinvolgimento facendo un accordo di programma e definendo un percorso che riguardi la gestione delle aree, le risorse umane e finanziarie coinvolte. E’ necessario ripristinare il coinvolgimento territoriale finora garantito dai consorzi”.

Garantire la partecipazione a tutti i livelli è una priorità largamente condivisa dalle parti, poiché se c’è coinvolgimento finanziario aumenta il senso di responsabilità e la tutela delle aree diventa più efficace. L’Assessore Freda dichiara a questo proposito: “Il consorzio era un bene perché impegnava tutti”. E sulla mancata proposta di un modello di gestione alternativo risponde: “Abbiamo iniziato a interessarci al problema molto prima dell’entrata in vigore del Milleproroghe, coinvolgendo tutti i portatori di interesse. E’ un problema complesso in un quadro che muta in continuazione e soprattutto a fronte di tagli alle risorse che solo nel 2011 sono stati di 25 milioni di Euro. La riflessione è in atto - commenta l’Assessore - ma la questione si inserisce all’interno di un problema più ampio: i continui tagli alle Regioni”. “Quello che è certo - prosegue Freda - è che la necessaria condivisione delle strategie con i comuni si dovrà basare su due aspetti salienti: la creazione di sinergie laddove i parchi sono confinanti e la gestione efficace dei servizi che dovranno essere messi in comune tra più parchi”. Le aree protette in Emilia Romagna sono cosi distribu-

ite: 2 Parchi Nazionali, 14 Parchi Regionali, 16 Riserve Naturali, 3 Paesaggi Naturali e Seminaturali protetti, 30 Aree di Riequilibrio Ecologico. Mettere in comune ciò che è possibile significa, ad esempio, utilizzare un unico revisore dei conti per più parchi, come spiega l’Assessore Freda. Un dato certo è che già in passato Comuni e Provincie si sono sfilati dai consorzi di gestione per mancanza di fondi: su questo aspetto l’assessore è categorico” Non è solo un problema della forma di governo adottata nei parchi quanto piuttosto un problema di budget da investire nelle politiche ambientali”. Proprio le risorse economiche coinvolte sono il nodo fondamentale per capire fino in fondo quali saranno le possibilità a disposizione della Regione e quali strategie adottare nel concreto. “Continueremo gli incontri con i territori - conclude Sabrina Freda - anche se al momento è necessario aspettare la Legge Finanziaria per capire esattamente quante risorse avremo e quali saranno le possibilità reali per operare”.

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inquinamento .7

Lo scempio delle ecomafie Numeri allarmanti nel dossier annuale di Legambiente Ammontano ad oltre due milioni di tonnellate, i rifiuti che sono stati sequestrati nel corso del 2010, nell’ambito di 29 inchieste per traffico illecito. Si stima servirebbero 82.181 tir, per poterli trasportare tutti: e se tali mezzi fossero in coda, risulterebbe intasata una strada lunga oltre mille chilometri, precisamente 1.117 chilometri. Più o meno quanti ce ne sono tra Reggio Calabria e Milano. Una fotografia impressionante e tuttavia sottostimata: i quantitativi sequestrati, infatti, risultano disponibili solo per meno della metà delle operazioni messe a segno dalle forze dell’ordine. Questa è solo una delle allarmanti immagini fornite dal nuovo Rapporto Ecomafia 2011 di Legambiente, pubblicato qualche settimana fa, il 9 giugno, presso la sede del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro a Roma. Il quadro illustrato dall’associazione ambientalista, che tenta di dare le proporzioni del saccheggio del territorio di cui sono protagonisti 290 clan della criminalità organizzata - 20 in più rispetto al 2009 - rientra in un business in espansione da 19,3 miliardi di euro. Un business, che comprende numerose forme di illegalità, volte alla sottrazione di risorse naturali, danni ambientali, distorsioni dell’economia: possono essere reati legati al ciclo illegale di rifiuti, cemento, agromafia ma anche archeomafia ed illegalità verso la fauna. Si calcola che nel 2010 il 10% del Pil italiano fosse costituito dal riciclaggio di capitali illeciti, mentre l’evasione fiscale abbia raggiunto i 50 miliardi di euro.

Bastano pochi esempi per dare conto della gravità del fenomeno. Per rendere l’idea della superficie consumata dall’edilizia abusiva, occorre immaginare ben 540 campi da calcio cementificati: si stima che solo nell’ultimo anno siano 26.500 i nuovi immobili, di cui 18.000 risultano essere le abitazioni costruite ex novo. Scorrendo i numeri del dossier di Legambiente, emergono numeri che fanno rabbrividire. Sono 84 i reati consumati ogni giorno in Italia, ovvero 3 e mezzo ogni ora. Gli illeciti accertati sono 30.824: l’incremento si aggira attorno al 7,8% rispetto 2009. I reati relativi al ciclo illegale di rifiuti e a quello del cemento rappresentano il 41% sul totale, seguiti dai reati contro la fauna (19%), gli incendi dolosi (16%), quelli nella filiera agroalimentare (15%). Resta un 6% di illeciti riconducibili ad altre e varie tipologie di violazioni. In questo quadro la Campania è la regione che si conferma al vertice della classifica dell’illegalità ambientale, con 3.849 reati, ovvero il 12,5% del dato nazionale, 4.053 persone denunciate, 60 arresti e 1.216 sequestri. A seguire Calabria, Sicilia e Puglia, dove si attesta circa il 45% degli illeciti ambientali denunciati. Un dato, questo, che è da attribuire alla consolidata presenza ma-

fiosa nel sud del Paese, che tuttavia appare in costante flessione a favore della crescita parallela dei reati consumati nel nord ovest, in particolare in Lombardia (12%) e in Lazio. Questi sono numeri raggiunti grazie ad una perfetta quadratura tra “un vero e proprio esercito di colletti bianchi e imprenditori collusi - denuncia Legambiente -, ampia disponibilità di denaro liquido da una parte, competenze professionali e società di copertura dall’altra”. Proprio grazie ai colletti bianchi come sono definite le persone con un curriculum di rispettabilità, sociale ed economica -, si mettono in rete politici, imprenditori, professionisti, mafiosi tradizionali, consentendo al sistema criminale di adattarsi e radicarsi in nuovi contesti con successo. Tuttavia l’analisi di tali numeri è consentita dall’impegno costante e crescente degli uomini delle forze dell’ordine, dal Corpo forestale dello Stato al Comando tutela ambiente dell’Arma dei carabinieri, dalle Capitanerie di porto alla Guardia di finanza per i reati economici in campo ambientale, dall’Ufficio antifrode contro i traffici internazionali di rifiuti e di specie protette alla Polizia di Stato, a cui si aggiunge la fondamentale attività della Direzione investigativa antimafia, impegnata soprattutto nell’analisi delle infiltrazioni nel ciclo dei rifiuti.

Business illegali

tra cemento

e rifiuti

Cosche in Emilia

La Regione Emilia-Romagna non può purtroppo dirsi immune al fenomeno delle ecomafie, che sta prendendo piede sul territorio già da qualche anno. La nostra Regione appare una delle mete predilette per gli investimenti con cui le mafie riciclano il denaro sporco, conquistata dalle cosche “emigrate” di camorra, ‘ndrangheta e mafia. Stesso discorso per Liguria, Piemonte e Lombardia, come fa sapere la relazione annuale della Direzione nazionale antimafia, che evidenzia una presenza radicata delle imprese della criminalità organizzata negli appalti, nelle speculazioni immobiliari e nel traffico illegale di rifiuti. Dalle attività svolte dalle forze dell’ordine, l’Emilia-Romagna conta ben 219 infrazioni, 53 sequestri e 331 persone denunciate. Se si volesse fare una classifica per ogni illecito attestato nel Belpaese, l’Emilia-Romagna risulterebbe dunque 11esima nella classifica dell’illegalità nel ciclo del cemento, 12esima per reati legati al ciclo dei rifiuti (in questo settore si registrano 238 infrazioni, 300 persone denunciate e 101 sequestri giudiziari effettuati). Ma è l’archeomafia che desta forse maggiore preoccupazione sul territorio regionale: nella classifica italiana l’Emilia-Romagna si aggiudica un quinto posto, con l’8,7% dei reati sul totale nazionale. Per quanto riguarda Bologna, invece, risulta prima fra le province emiliane, con 52 infrazioni sul cemento e 55 sui rifiuti.


il viaggio 8.

Valicare le Alpi lungo... Sesta parte del diario di un viaggiatore... a piedi Inutile fermarsi per metà giornata, con la strada in discesa fino ad Aosta. Questo il parere condiviso con i miei compari di camminata, ritenendo fattibile il completamento del nostro tratto di Francigena, con un giorno d’anticipo. Disdetta la prenotazione al monastero di Chateau Verdun, riprendiamo i passi verso la località di Etroubles, su un sentiero che viaggia parallelo alla strada provinciale, costeggiato da un muretto di massi. Gli oltre milleduecento metri di dislivello cominciano a pesare sulle gambe, Giulio si sarebbe fermato già da pezzo, io e

Cesare pensiamo che una sosta al tavolino di un bar possa dare un contributo corroborante per il proseguo, sebbene Ciccio sia per andare oltre, fedele al suo ferreo rigore da fondista. Ma non riusciamo a gustarci la pausa fino in fondo. “Non è che i monaci di Chateau Verdun c’hanno mandato una maledizione per non esserci fermati in convento?” ipotizza Ciccio, scrutando un cielo sempre più buio. “Saltiamo in piedi e cominciamo a pedalare” la sentenza di Cesare, più preoccupato degli altri per il meteo. Non copriamo che poche centinaia di metri e avvertiamo le prime gocce. Cesare è l’unico sprovvisto di poncio, la sua dotazione anti-pioggia consiste in un ombrellino tascabile, non proprio l’ideale per un percorso di trakking.

Con scrosci ad intensità crescente, guadagniamo l’ingresso in un bosco di abeti che ha il pregio di ripararci in buona parte dallo sferzare diretto dell’acqua. Sul sentiero cosparso di aghi, il corpo senza vita di una volpe, apparentemente intatto, forse vittima di cibo velenoso. La cosa più fastidiosa è l’acqua che entra nelle scarpe, bagnando le calze e di conseguenza, innalzando la probabilità di vesciche. La marcia deve proseguire. Non mi vergogno di far ricorso al mio integratore energetico diluito in borraccia. Nei pressi di Gignod il lieto riapparire del sole, che torna a padroneggiare la vallata. Uno sguardo alle distanze che abbiamo davanti, mentre ci cambiamo maglie e calze intrise da acqua e sudore. I boschi lasciano spazio a

spianate verdi, che separano piccoli borghi e caseggiati. La discesa è costante, anche se cambia la pendenza. I quadricipiti, forzati dal peso degli zaini, dai dislivelli e dalla trentina di kilometri macinati, fanno vedere le stelle. In alcuni tratti Giulio, prova ad alleviare lo sforzo, cimentandosi in una camminata al contrario a mo’di gambero. Lo guardiamo sorridendo pensando che la stanchezza, a volte, porta anche a stranezze come questa. Buttiamo giù la fatica, con la consapevolezza di aver sottovalutato la pesantezza della doppia tappa che abbiamo deciso di unire in un unico tratto. A peggiorare le cose c’è l’asfalto che ci accompagna negli ultimi 7 km. Al cartello di Aosta, adagiamo gli zaini e posiamo sorridenti per un autoscatto che terremo nell’album dei ricordi. In


il viaggio

BANCARELLE BIO IN REGIONE

la Via Francigena verità è una piccola illusione: il cartello di località dista, come sempre, una certa distanza dal centro del capoluogo da cui ci separano altri 4 km di strada. Il viso di Giulio è solcato dal dolore al ginocchio, che va a sommarsi alla stanchezza di una marcia che sembra non finire più. “Io non ne posso più” il lamento del nostro compare, che cerchiamo di incoraggiare con qualche breve sosta ripetuta. Accogliamo come una benedizione i sobborghi ordinati e le strade sempre più fitte che si riempiono del traffico cittadino. Ormai siamo nei pressi del vero centro. Viene quasi da baciare, con gesto papale, il terreno dell’autorimessa dove abbiamo posteggiato l’auto. Depositiamo le nostre zavorre di viaggio, che ci siamo sobbarcati lungo i 36 km di questa tappa. Indossando le maglie pulite e

le scarpe leggere ci riaffacciamo nel cuore della città, stanchi e affamati. Battezziamo una trattoria munita di scoperto che si affaccia su una strada commerciale del centro. In attesa degli ottimi piatti della cucina valdostana, incrocio gli occhi smeraldo della cameriera dal viso incantevole che ci porta la nostra birra. Pochi metri più in là il vociare confuso delle frotte di turisti che passeggiano gustandosi il fresco della serata pedemontana. Dopo giorni di quiete e boschi silenziosi, siamo tornati appieno nella quotidianità. La fatica è alle spalle, rinfrescata di tanto in tanto dall’acido lattico che appesantisce le gambe. Faccio tintinnare il mio bicchiere schiumante con quello dei miei 3 compari, parlando già della nuova avventura del prossimo anno. Leonardo Rosa

In tutta la regione si contano 43 mercati che propongono prodotti bio. Quelli censiti, almeno, perché iniziative di questo tipo si moltiplicano rapidamente e rendono difficile il monitoraggio. Vediamo dove sono presenti le bancarelle bio in Emilia Romagna che aprono a cadenza settimanale o periodica.

PROVINCIA DI PIACENZA

MERCATO DELL’ARTIGIANATO DEI COLORI E DEI SAPORI, Piazza Duomo Piacenza, venerdì MERCATO DELL’ARTIGIANATO DEI COLORI E DEI SAPORI, Piazza Cavalli Piacenza, lunedì PIAZZA CASALI Piacenza, dal lunedì al sabato CURIOSANDO SOTTO IL CASTELLO CASTELL’ARQUATO, Piazza del Municipio, seconda domenica di ogni mese da marzo a dicembre (ore 9-19) MERCATO MENSILE DEL BIOLOGICO E DELLE COSE USATE – FIDENZA, primo sabato di ogni mese

PROVINCIA DI PARMA

LA CORTE - DALLA TERRA ALLA TAVOLA, Via Imbriani Parma, sabato (8.30-13) ROCCA E NATURA – FONTANELLATO, Centro storico, quarta domenica di ogni mese (9-18) MERCATO TRAVERSETOLO – TRAVERSETOLO, Via San Martino, domenica mattina

PROVINCIA DI REGGIO EMILIA

MERCATO DEL CONTADINO, Piazza Fontanesi Reggio Emilia, sabato mattina (8-13) MERCATO DI PIAZZA PICCOLA – Piazza San Prospero Reggio Emilia, da lunedì a sabato

PROVINCIA DI MODENA

BIOPOMPOSA – Piazza Pomposa Modena, martedì e sabato (8.30-13) MERCATO CONTADINO – Parco Ferrari Modena, venerdì (14-18) MERCATO DEL CONTADINO – SASSUOLO, via Po’ Località Braida, 2°e 4°sabato (8-13) MERCATO DI CARPI - Parco Giovanni Paolo II, giovedì e sabato (8-13) BIOSPILLA – SPILAMBERTO, Torrione Medievale, venerdì (7-13.30) VIGNOL, via Cavova 4, venerdì pomeriggio e sabato mattina

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PROVINCIA DI BOLOGNA

Via Udine Bologna, presso il cortile della Scuola di Pace, venerdì (17.30-20.30) VAG61 - Via Paolo Fabbri 110 Bologna, martedi (18-21) MERCATO DELLA TERRA – Via Azzo Gardino Bologna, sabato (9-14) XM24 – Via Fioravanti 24 Bologna, giovedì (17.30-21) BIO MARCHÈ BUDRIO- BUDRIO Piazza Antonio da Budrio, lunedì (17.30-20.30) MERCATO DI VERGATO – VERGATO Piazza della Pace, sabato e domenica MERCATO DELLE COSE BUONE - SAVIGNO Piazza centrale, seconda domenica del mese MERCOLBIO – IMOLA via Serraglio presso Centro Sociale La Stalla, mercoledì (17-20)

PROVINCIA DI FERRARA

DOMENICHE BIO FERRARA – Piazza Castello Ferrara, seconda domenica del mese (919) SAPORI MATILDEI - BONDENO Piazza Garibaldi, sabato (8-13)

PROVINCIA DI RAVENNA

MARTEDÌ GRAS – CSA Spartaco Via Chiavica Romea 88 Ravenna, martedì (18-20) BIOMARCHÈ LUGO - LUGO Logge del Pavaglione, venerdì (17-20) BIOMARCHÈ FAENZA - FAENZA Parco Vespignani, lunedì (18-22)

PROVINCIA DI FORLÌ-CESENA

MERCATO DI FORLÌ – Mercato Forlì, lunedì e venerdì (7-13) MERCATO DI CESENATICO - CESENATICO (FC) - Piazza Conserve, mercoledì e sabato (7-13) LE CRETE DI MONTENOVO - SAN MAURO PASCOLI Via Renato Serra 17, martedì, venerdi e sabato (9.30-12.45) MONTIANO - Via Provinciale Sogliano 2117, martedì e venerdì (15-20) RONCOFREDDO - Via Comandini 38, venerdì-domenica (8-12 e 14-21)

PROVINCIA DI RIMINI

RIMINI – Via della Torretta 5, giorni feriali (15-19)


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eco-lifestyle .11

Il dolce sapore del ‘biogelato’ Materie prime genuine e certificate per il prodotto più goloso dell’estate Cialda, cono o coppetta, e via all’ardua scelta del dessert freddo più amato dell’estate, spesso assaporato anche come sano pasto sostitutivo durante una piacevole giornata trascorsa al mare: ce n’è per tutti i gusti. Fiordilatte, nocciola, amarena, crema e...altri seicento gelati attendono di essere gustati, da quelli più classici alle sperimentazioni più popolari, come liquirizia o puffo, a quelle che si stanno sempre più affermando, come il croccantino. Infiniti gusti offerti anche dall’avvicendarsi delle stagioni – perché, in fondo, limitarsi all’estate? -, dalla mela all’arancia, dal ribes alla pesca. Tuttavia la creatività non premia: ad essere preferiti sono i sapori tradizionali, genuini ovvero biologici. Il “biogelato” lo si puo fare in casa, ma ormai è possibile trovarlo in qualsiasi città d’Italia: il gelato prodotto da agricoltura biologica, nonostante la crisi, si conferma infatti in costante crescita. Per dare un’idea del consumo pro capite del dessert freddo preferito dagli italiani, Coldiretti ha stimato una quantità media che si aggirerebbe addirittura intorno ai 15 chili a testa ogni anno. Secondo l’Ismea, l’Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare, crescono le vendite di prodotti biolo-

gici freschi e lavorati tramite la grande distribuzione e, di pari passo, risulta in ascesa anche la produzione del gelato biologico artigianale, in tutta Europa. Tale prodotto comincia infatti ad interessare da qualche tempo le gelaterie artigianali, andando oltre il settore del confezionato per la grande distribuzione. Ma in realtà, già da diversi decenni, molti maestri gelatieri realizzano il vero gelato bio, nel rispetto della tradizione made in Italy. Impiegano cioè materie prime genuine e certificate che arrivano direttamente da fornitori di fiducia e realizzano un processo di lavorazione – che comprende metodo, macchinari e attrezzature – seguendo le orme della procedura tradizionale. Innanzitutto, gli ingredienti vengono mescolati, pastorizzati e omogeneizzati, per una conservazione più adeguata e per evitare l’affioramento dei grassi. In un secondo momento, tale miscela viene raffreddata e mantecata – cioè agitata, raffreddata e aerata per ottenere un prodotto spumoso, leggero e cremoso -, in modo da offrire anche ai palati più impazienti la caratteristica sensazione di morbidezza appena all’uscita dal freezer. Inoltre, com’è noto ai più esperti, per aumentarne anche il volume, si può usare la lecitina. Ma che cosa distingue un gelato prodotto da agricoltura biologica da uno standard? Il primo è sottoposto ad una serie di controlli obbligatori previsti dalla normativa europea: l’indicazione ‘biologico’ si riferisce infatti al metodo di produzione e non solo

al singolo prodotto, tanto che le materie trasformate devono presentare almeno il 95% di ingredienti ottenuti da agricoltura biologica. Scegliere un gelato bio significa dunque preferire la qualità: al bando perciò tutti i preparati industriali in polvere usati dalla gran parte delle gelaterie. Per migliorare la tenuta nelle vaschette e dare al prodotto una maggiore cremosità, non occorrono grassi idrogenati, aromi sintetici, emulsionanti addensanti, integratori di proteine e coloranti artificiali: la parola d’ordine è tradizione e genuinità. Pertanto occorre diffidare delle denominazioni come ‘prodotto biologico’, ‘bio’, ‘eco’ o simili che compaiono in etichetta. L’indicazione che è apposta presso le confezioni o le gelaterie deve garantire la provenienza green del dessert gelato, riportando la dicitura ‘prodotto da agricoltura biologica’. Per una gelateria, esporre tale logo europeo che certifica la provenienza agricoltura bio della propria offerta, indica al cliente la sicurezza di un prodotto che risponde a standard precisi, giustificandone anche un eventuale sovrapprezzo. D’altronde, biologico è garanzia di qualità della materia prima e sicurezza alimentare e, pertanto, consente la riscoperta di sapori e colori originali. Un esempio? Il gusto menta “bio” è bianco e non verde, mentre il pistacchio originale è assolutamente “made in Bronte”.

Le regole della qualità

Esistono quattro regole di carattere generale che si rivelano utili per riconoscere un gelato di qualità. Sono basate sulla valutazione degli ingredienti e dei valori organolettici (ovvero colore, profumo, gusto, retrogusto, ecc.). 1. Ingredienti: secondo la normativa vigente, ogni gelateria deve esporre gli ingredienti del prodotto in ordine decrescente di quantità. Se è indicata la presenza di oli/grassi vegetali idrogenati o parzialmente idrogenati, è consigliabile non consumare il prodotto. 2. Cremosità: meno si sentono i grumi di ghiaccio, maggiore è la qualità del prodotto. 3. Tendenza a sciogliersi: evitare i gelati che non si sciolgono in fretta, perché aumenta la probabilità che contengan grassi vegatali idrogenati. 4. Pesantezza: diffidare dei gelati eccessivamente dolce o “pesante” da digerire: probabilmente la scarsa qualità del prodotto è stata mascherata aumentando la quantità di zucchero e grassi.


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biodiversità .13

Isola Bianca da salvaguardare L’oasi ambientale del Po è minacciata dalle piene e dall’inciviltà Sono due le attività che la Lipu porta avanti ormai da anni tra Ferrara e il Po. In città, nella cornice del sottomura di via Porta Catena, si trova il Giardino delle Capinere, che è contemporaneamente centro di recupero, centro didattico faunistico e centro di educazione ambientale. Per quanto riguarda il primo aspetto, ogni anno arrivano al giardino migliaia di telefonate, soprattutto da persone che chiedono informazioni su come comportarsi dopo il ritrovamento di un animale in difficoltà, o sulle aree naturalistiche visitabili nel Ferrarese, o ancora semplicemente per condividere osservazioni sul cambiamento nel comportamento di alcune specie. In quanto centro didattico, il Giardino collabora con studenti medi e universitari, che spesso sono presenti come stagisti e tirocinanti; ogni anno inoltre sono ospitate 2 o 3 persone per svolgere progetti di lavoro socialmente utile. La Regione Emilia-Romagna lo ha infine riconosciuto come Centro di educazione ambientale grazie all’introduzione negli ultimi anni di voliere didattiche, e alla creazione di percorsi accessibili ai disabili.

Nel 2010 sono arrivati 1.052 animali (in gran parte uccelli), appartenenti a 82 specie diverse: è il numero più alto dal 1993. Il trend, in crescita dal ’97 al 2002, si è fatto più instabile negli anni successivi, fino a scendere decisamente nel 2006 (forse per il timore dell’aviaria), per toccare appunto il record positivo l’anno scorso. Di ogni animale che arriva vengono segnati data e luogo del ritrovamento, gli viene prestato un primo soccorso e trovata una sistemazione provvisoria in attesa della visita veterinaria. Nel 2010, i problemi principali riguardavano in maggioranza fratture di origine incerta (probabilmente dovute ad impatti con auto o vetrate), ma sono stati registrati anche un numero elevato di ferite (richiedono medicazioni sistematiche ed antibiotici), e casi di denutrizione e disidratazione. 527 animali sono stati liberati. Qualche chilometro più a nord, nel tratto del Po compreso tra Francolino e il ponte dell’autostrada verso Casaglia, si trova invece l’Oasi Isola Bianca: 40 ettari composti, oltre che dall’omonimo isolotto al centro del fiume, dai terreni golenali antistanti. Sull’isola ci sono specie vegetali rare e minacciate, che vanno dalla Garzetta alla Nitticora, dalla Sgarza ciuffetto all’Airone cenerino al Guardabuoi. In totale sono 76 le specie identificate,

in un habitat molto favorevole grazie all’acqua che circonda l’isola e alla vegetazione che la ricopre completamente. Non meno importanti sono le 92 specie floreali, alcune delle quali di una certa rarità. L’isola è rilevante anche per quanto riguarda la cosiddetta fauna minore, ossia mammiferi come i chirotteri ed il toporagno d’acqua, rettili come la testuggine palustre e anfibi come il rospo smeraldino e la rana verde. Anche presso l’Oasi viene svolta educazione ambientale, e coinvolge gli alunni

gine del Po e percorre circolarmente l’isola fino alla garzaia (la zona in cui nidificano gli aironi), per un totale di circa 3 ore di permanenza. Il 2010 non è stato un anno fortunatissimo per l’oasi: le piene sono state due in primavera, ed hanno impedito le visite nel periodo più bello, due in autunno ed una a fine anno: ogni volta i volontari hanno dovuto sforzarsi per mantenere percorribili i sentieri. Come se non bastasse, qualche incivile ha pensato bene di rubare il motore della barca, cosa che ha lasciato temporaneamente appiedati i volontari. Sono fatti che demoralizzano, ma gli oltre 400 associati ferraresi alla Lipu non sono soli: si possono infatti rincuorare con le 33.004 visite che il loro sito web ha registrato nel 2010, i 1.244 amici Facebook in continua crescita, le 13.015 visite da tutto il mondo ai loro filmati caricati su YouTube (in particolare da Grecia, Polonia e Germania). Le più moderne tecnologie sono insomma coniugate con la vicinanza alle creature che da sempre vivono con l’uomo.

La tutela

dalle materne alle superiori: la visita tipo parte dall’ar-

di flora e fauna affidata alla

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Energia rinnovabile: Fotovoltaico Solare termico Geotermia Pompe di calore Climatizzazione


energie

“Parcheggio solare” al Petrolchimico

6-7-8 agosto

Luogo: Cervia e Porto Garbaldi Goletta verde farà tappa nella nostra regione il 6 agosto a Cervia (RA) ed il 7-8 agosto a Porto Garibaldi-Comacchio (FE). Indispensabile l’aiuto dei cittadini. Denunciando infatti a Sos Goletta le situazioni che possono mettere a rischio la salute delle nostre acque come tubature che scaricano liquidi o sostanze sospette in mare, colore ed odore dell’acqua sgradevole o comunque situazioni potenzialmente pericolose, i volontari interverranno tempestivamente per far analizzare quelle acque. E’ sufficiente inviare una breve descrizione della situazione, l’indirizzo e le indicazioni utili per identificare il punto, le foto dello scarico o dell’area inquinata e un recapito telefonico scrivendo a scientifico@legambiente.it, inviando un SMS o MMS al numero 346.007.4114, oppure chiamando lo 06.862681.

XXVII Sagra Civiltà delle Erbe Palustri 9-12 settembre 2011

Luogo: Villanova di Bagnacavallo (RA) Dal 9 al 12 settembre si svolgerà a Villanova di Bagnacavallo la 27° edizione della Sagra Civiltà delle Erbe Palustri. L’atteso appuntamento, conosciuto per i suoi interessanti laboratori di rievocazione delle antiche tecniche di lavorazione delle erbe di valle e del legno nostrano, si propone come momento culminate delle attività dell’Ecomuseo della Civiltà delle Erbe Palustri per la riscoperta e la valorizzazione delle tradizioni di Romagna. La manifestazione, organizzata dall’Ecomuseo in collaborazione con il Comune di Bagnacavallo, nelle giornate di sabato e domenica sarà animata dai laboratori dimostrativi di intreccio villanovese. Evento clou di quest’anno, nel corso della mattina di domenica, la tappa a Villanova del workshop della rete degli Ecomusei dell’Emilia Romagna e di mondi locali, con incontro ufficiale delle autorità, visita guidata all’Ecomuseo e ai laboratori. Per tutta la durata della sagra sarà, inoltre, possibile visitare la collezione permanente dell’Ecomuseo, l’Etnoparco “Villanova delle capanne” e le numerose mostre Il programma dettagliato della manifestazione sul sito: www. erbepalustri.it Informazioni : Ecomuseo della Civiltà Palustre tel. 0545 47122 - fax 0545 47122 Ufficio Informazioni Turistiche Bagnacavallo tel.0545 280898 - E-mail: barangani@racine.ra.it

Un passo innovativo verso la mobilità

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nale non r or ndo perd u fo

contr ib eve ic to

Questo periodico è aperto a quanti desiderino collaborarvi ai sensi dell’art. 21 della Costituzione della Repubblica italiana che così dispone: “Tutti hanno diritto di manifestare il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni mezzo di diffusione”. La pubblicazione degli scritti è subordinata all’insindacabile giudizio della Redazione: in ogni caso non costituisce alcun rapporto di collaborazione con la testata e, quindi, deve intendersi prestata a titolo gratuito. Notizie, articoli, fotografie, composizioni artistiche e materiali redazionali inviati al giornale, anche se non pubblicati, non vengono restituiti. EDITORE: Edit Italia s.r.l Direzione, Amministrazione, Redazione: Ferrara V.le Cavour, 21Tel. 0532.200033 Fax 0532.247269 Amministratore delegato: ROBERTO AMADORI

Le tappe di “Sos Goletta”

Questo g toria a i di

Scegli uno dei mille parcheggi al coperto e fai il pieno di...energia solare. È ciò che prevede il progetto ‘Energia rinnovabile al polo’, che è stato presentato lo scorso 14 aprile presso la nuova Portineria Est del Polo chimico-industriale di Ferrara. A quattro chilometri dal centro, nei dintorni della frazione di Pontelagoscuro, i due ettari di superficie del piazzale antistante via Marconi saranno quasi totalmente ricoperti con pensiline fotovoltaiche. La svolta rinnovabile dell’ex Montedison consiste dunque in un innovativo “parcheggio solare”, che vedrà conservata la configurazione attuale del piazzale Donegani: ne sarà mantenuto l’accesso pubblico e, inoltre, sarà installato un adeguato sistema d’illuminazione Led dell’impianto. Questa capillare installazione di pannelli solari, prevista entro l’anno, comporterà un duplice vantaggio: se da una parte consentirà il ricovero delle auto in strutture coperte, al riparo quindi sia dal sole che dalle precipitazioni, dall’altra permetterà la generazione di energia rinnovabile. Il nuovo parcheggio ospiterà così una vera e propria centrale di energia pulita, fino a un megawatt e mezzo di potenza. Questa innovazione ecosostenibile introdotta nel parcheggio di piazzale Donegani permetterà di produrre energia a chilometro zero per le aziende dell’indotto, risparmiando quasi 9 mila tonnellate di olio combustibile. Non solo. L’investimento previsto, che supera i tre milioni di euro, prevede uno studio per una sperimentazione d’avanguardia, che intende realizzare sistemi di distribuzione di energia elettrica per autoveicoli. Anche il capoluogo emiliano potrà in questo modo avviare l’utilizzo di auto elettriche per usi civili ed industriali e ciò implicherà, pertanto, una notevole riduzione di emissioni di anidride carbonica. Il principale obiettivo di ‘Energia rinnovabile al polo’ è infatti dare un contributo concreto e a vari livelli sul fronte dell’abbattimento dell’impatto ambientale, in una zona calda del capoluogo emiliano, che già Federico Fellini, il grande regista riminese che firmò capolavori del calibro di ‘Amarcord’ e ‘La dolce vita’, aveva descritto con queste parole: “ ...e appare fra fumi e vapori quel groviglio di gomitoli d’acciaio che sono i gasometri, le cisterne, gli edifici fantascientifici, silente e magico come preziosa astronave posata nel centro dell’Emilia...”.

Fortemente appoggiato dall’Amministrazione comunale del capoluogo estense, il progetto - come è stato ribadito in sede di presentazione - coinvolgerà diverse imprese e risorse locali, grazie agli accordi stipulati con la società Montana, che lavora in stretta collaborazione con un network nazionale di professionisti e di aziende, con cui si propone sul mercato come fornitore di servizi integrati, soprattutto nel settore delle energie rinnovabili. Le fasi del progetto. Il progetto di riqualificazione del parcheggio ‘Energia rinnovabile al polo’ si articolerà principalmente in due fasi: in primis, saranno installate le pensiline fotovoltaiche e il sistema di illuminazione Led. In secundis, saranno montate le colonnine per la ricarica delle auto elettriche, che dipendenti e visitatori utilizzeranno per gli spostamenti interni al polo. “Tale impianto - ha evidenziato Paolo Schiavina, amministratore delegato del Consorzio Ifm, società consortile che riunisce le principali aziende del sito – sarà uno dei primissimi progetti di questo tipo attuati in Emilia-Romagna”. Un passo innovativo verso la mobilità sostenibile, come ha sostenuto l’assessore comunale Rossella Zadro: “L’intenzione è quella di promuovere politiche che coniughino la produzione di energia in loco, con la ricarica per le proprie auto: adottando cioè – ha sottolineato Zadro - il concetto di filiera corta dei prodotti agricoli”. In particolare, l’auto elettrica “offre due contributi importanti – ha aggiunto l’assessore, reduce da una guida al volante di una di queste “ecovetture” -: il miglioramento della qualità dell’aria con la diminuzione dell’inquinamento acustico”.

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ISSN 2037-447X

i per l'e ut

Un’area di sosta per la produzione di energia e la ricarica di auto elettriche

APPUNTAMENTI

Registrazione Tribunale di Ravenna n. 1343 dell’11/01/2010 Direttore responsabile: ROBERTO AMADORI Art Director: SERGIO TOMASI

Redazione: ROBERTO AMADORI, ROMINA BUTTINI, RAFFAELE QUAGLIO, GIAMBALDO PERUGINI, CLAUDIA RICCI, MARA RICCI, SERGIO TOMASI, SCOOP MEDIA EDIT soc. coop. Stampa CSQ Spa Erbusco (BS)


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