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LA VOCE DELLE ASSOCIAZIONI
La voce delle ASSOCIAZIONI e i dati di scenario
Gli elementi di contesto non sono esattamente i più incoraggianti: difficoltà di approvvigionamento delle materie prime, aumento di costi operativi, incertezze sullo scenario energetico. In risposta a questi e ad altre sollecitazioni di più lunga data, l’industria della plastica sta esplorando nuove vie che conducono alla circolarità, alla sostituzione delle materie prime tradizionali con altre di origine non fossile e più in generale ad una maggior sostenibilità ambientale del settore. Senza dimenticare però il ruolo di questa industria all’interno dello scenario economico e sociale: solo in Italia parliamo di un comparto che, insieme a quello della gomma, conta 140.000 dipendenti e oltre 23 miliardi di fatturato 2021, circa l’1,3% del PIL italiano.
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Il dato emerge dall’ultima Assemblea Pubblica di Federazione Gomma Plastica che si è svolta a Milano a metà giugno, l’organizzazione di categoria in ambito confindustriale che rappresenta gli
interessi delle Industrie della Gomma, dei Cavi Elettrici e delle Industrie
Trasformatrici di Materie Plastiche (l’associazione infatti nasce nel
2005 dall’aggregazione di Assogomma e Unionplast). L’incontro si
proponeva di mettere in luce il valore dei comparti della gomma e
della plastica a sostegno anche di altre industrie strategiche del
Paese, evidenziandone le criticità, dovute alla difficile situazione
economica di contesto e l’attenzione per la sostenibilità e l’economia
circolare. Sicuramente una situazione congiunturale complessa:
dalle rilevazioni del Centro Studi Confindustria, presentate durante
l’incontro, emergono infatti forti preoccupazioni sui costi dell’energia
e su quelli delle materie prime. Più che raddoppiata l’incidenza di
questi costi sul totale di quelli di produzione nei settori della gomma
e della plastica (+105%).
«Le industrie della gomma e della plastica sono di supporto fonda-
mentale per tante filiere strategiche del nostro Paese. Sono, quindi,
due settori rilevanti in sé e per il sostegno che danno alle altre industrie»
commenta Marco Do, Presidente di Federazione Gomma Plastica.
«La pandemia ha messo molto sotto pressione i nostri due settori,
insieme a tutta l’industria italiana; i costi dell’energia hanno costretto
alcune aziende a lavorare in perdita, mentre le difficoltà di reperimen-
to di materie prime, il conflitto in corso e i problemi della logistica
mondiale hanno dato un ulteriore, durissimo colpo ai due comparti
negli ultimi mesi. I margini si stanno comprimendo. Chiediamo, quin-
di, soprattutto a Confindustria, di essere ancora più al nostro fianco
nel tutelare gli interessi di settori manifatturieri così importanti e ricchi
di tante eccellenze industriali e di tantissime competenze qualificate.
Mi riferisco ai numerosi dossier che sono aperti da tempo, plastic tax
in primis, ma anche al PNRR e alle opportunità che potrebbe portare
alle nostre aziende. Vogliamo mantenere e, se possibile, far crescere le industrie e gli addetti dei nostri due comparti, ma per farlo abbiamo
bisogno di tutto il supporto di Confindustria e per suo tramite, del
Governo e del Parlamento».
La plastic tax riguarda in particolare il mondo del largo consumo ma,
a fronte di un impatto economico importante, la sua efficacia rimane
controversa. Con questo termine si intende l’imposta che sarà appli-
cata ai “MACSI” o manufatti in plastica con singolo impiego, in at-
tuazione della corrispondente direttiva europea, di 0,45 centesimi di
euro per ogni chilo di prodotti; la tassa graverà principalmente sull’a-
zienda produttrice del MACSI, sull’eventuale importatore di prodotti
MACSI e, ovviamente, sull’acquirente. In Italia la plastic tax è stata
rimandata al 1° gennaio 2023 con la legge di bilancio 2022 (proprio
grazie alle pressioni da parte dell’associazione, come dichiarato dal
presidente); la norma europea di riferimento è la Direttiva n. 2019/904/
UE, destinata a prevenire e ridurre l’impatto sull’ambiente di determi-
nati prodotti in plastica ogniqualvolta siano disponibili alternative, ed
è in via di recepimento nei vari Paesi europei.
Tassa sì, tassa no: si tratta sicuramente di un argomento spinoso se
persino Greenpeace denuncia l’inadeguatezza di alternative affret-
tate, ad esempio con il rapporto “Altro che compost”, secondo il
quale le cosiddette plastiche compostabili, che sono l’alternativa più
ovvia all’uso dei prodotti monouso tradizionali, spesso non possono
essere smaltite dagli impianti italiani che trattano l’organico. In pra-
tica, Greenpeace ravvisa in questa situazione il rischio derivante
dalla semplice e massiva sostituzione dei materiali. La perplessità
è che l’unico effetto della plastic tax sia quello di penalizzare solo i
prodotti (interrompendo di conseguenza meccanismi virtuosi di ri-
cerca e innovazione), e non i comportamenti dei consumatori.
NUMERI DI CONTESTO ECONOMICO E IMPATTO
SULLA FILIERA
La lunga presentazione di Alessandro Fontana, Direttore del Centro
Studi di Confindustria, ha offerto un’ampia panoramica sul tessuto
economico italiano in generale, collocato all’interno di quello inter-
nazionale: non solo perché le industrie italiane della gomma e della
plastica sono un nodo essenziale di filiere internazionali, sia come
import che come export, ma anche perché i dati economici relativi
ai consumi, alla fiducia e alla propensione agli investimenti hanno
delle ripercussioni evidenti anche sull’andamento di questi compar-
ti. Fra i temi di maggiore importanza per le imprese e le filiere indu-
striali italiane vi sono ad esempio le criticità che stanno attraversan-
do in termini di costi dell’energia, carenza di materie prime e
problemi logistici, dovuti principalmente al conflitto in corso in Ucrai-
na, dopo due anni di pandemia.
Lo scenario economico infatti è funestato da diversi elementi nega-
tivi, fra rincaro dell’energia e aumento dei tassi d’interesse, le conse-
guenze della guerra in Ucraina che comprendono anche le sanzioni
contro la Russia e i problemi di shortage, anche di personale. Nel
2021 il PIL nazionale ha recuperato buona parte della caduta regi-
strata nel 2020 (+6,6%); nel primo trimestre, contro le attese, è salito del +0,1% principalmente grazie al settore delle costruzioni (mentre
gli altri comparti industriali sono generalmente in calo o stazionari),
per tornare a fine marzo ai livelli pre-pandemia.
Da turismo e servizi ci si sarebbe aspettati un balzo ma, per diverse
ragioni, il livello pre-pandemia non è ancora stato toccato, e lo stesso
vale per la mobilità delle famiglie. Di fatto il reddito e i risparmi accu-
mulati delle famiglie italiane sono erosi dai rincari di energia e ali-
mentari (che contano per il 9,2% e 19,5% del paniere di spesa).
A partire dall’ultimo trimestre 2021 e all’inizio del 2022 i numeri
dell’industria sono tornati in calo, come anche la fiducia delle impre-
se. Ne hanno ben donde: l’incidenza dei costi energetici per le impre-
se italiane raggiungerà l’8,8% nel 2022, più del doppio che in Francia
(3,9%) e quasi un terzo in più della Germania (6,8%). Nella manifat-
tura l’incidenza toccherà l’8,0% dei costi di produzione per l’industria
italiana (rispetto al 4,0% del periodo pre-crisi), a fronte del 7,2% per
quella tedesca (dal 4,0%) e del 4,8% di quella francese (dal 3,9%).
I settori più colpiti sono metallurgia, prodotti refrattari, cemento,
calcestruzzo, gesso, vetro, ceramiche, lavorazioni del legno (+107%),
produzione di carta (+102%) e naturalmente gomma-plastica con un
+105%. Le aziende italiane stanno assorbendo questi rincari più di
altre e si sta creando un differenziale crescente con le altre aziende
europee, oltre al fatto che, a fronte a questi rincari, non abbiamo
assistito ad un aumento dei prezzi al consumo: i rincari sono stati
tutti assorbiti dalle imprese della filiera, e questo ne ha fortemente
compresso i margini, rendendo talvolta non conveniente produrre.
Con l’aumento dell’incertezza, diminuisce anche la propensione al
consumo da parte delle persone e agli investimenti da parte delle
aziende. A questi elementi si unisce l’andamento dell’inflazione, in
crescita negli USA e nell’Eurozona (+6,3% e +8,1% annuo). Negli
USA è molto alta anche l’inflazione al netto di energia e alimentari,
la cosiddetta core inflation (+4,9% contro +3,8%). Nell’Eurozona,
l’inflazione totale a maggio è al +8,7% in Germania e al +8,5% in
Spagna, più elevata rispetto a Italia (+6,9%) e Francia (+5,8%). In
Italia la core inflation è salita di recente ma resta moderata (+2,7%).
L’aumento dei prezzi sta riducendo il potere d’acquisto delle famiglie.
L’incertezza indotta dalla guerra (+28,5% in Italia ad aprile rispetto
al 4° 2021) frena la normalizzazione della propensione al risparmio
(13,5% nel 3° 2021). Nell’ipotesi di un blocco totale della fornitura
di gas dalla Russia, la condizione di shortage permarrebbe fino al
2024 con una previsione stimata di diminuzione del PIL del 2% sia
nel 2022 che nel 2023.
SOSTENIBILITÀ ECONOMICA E AMBIENTALE
SECONDO UNIONPLAST...
«Non siamo certamente gli unici a parlare di sostenibilità, un tema che
riguarda tutti i settori industriali e tutti noi come persone. Sicuramen-
te, ogni dibattito ha il pregio di tenere alta l’attenzione sulle criticità
del settore, che come tali vanno affrontate. Il problema è quando
questa attenzione genera soluzioni fuori contesto, o basate su dati
parziali, o non scientifici, o non adeguatamente verificati. Soluzioni
che in realtà sono solo proposte che risuonano bene a livello media-
tico, ma non sono tali da generare veri benefici. Per questo, il nostro intento è proprio quello di far conoscere il contesto, portando i suoi
punti di forza e le sue specificità all’attenzione del grande pubblico»
ha affermato, nel corso dell’assemblea, il Presidente di Unionplast,
Marco Bergaglio. «Per quanto riguarda le aziende del settore, parliamo
di un fatturato complessivo di oltre venti miliardi di euro, il 5% della
manifattura italiana relativamente alla prima trasformazione, destina-
to all’export per il 40% quindi con 8 miliardi in attivo sulla bilancia dei
pagamenti. Un settore che ha già forti radici di circolarità: pensiamo
ad esempio al ruolo di EPR (Responsabilità Estesa del Produttore –
Extended Producer Responsibility), richiesto dalla normativa europea
– quello che si intende comunemente con il principio “chi inquina
paga”. Ad esempio, dopo circa vent’anni di attività con il consorzio
Corepla, nel 2021 siamo arrivati a riciclare il 55% degli imballi immes-
si al consumo, e a raccoglierne nove su dieci, che in questo modo
hanno avuto un fine vita diverso dalla discarica. Inoltre, in Italia oggi
circa il 18% di materie plastiche trasformate nascono già da materia
prima riciclata, una percentuale che è il triplo della media europea.
Abbiamo fatto già metà del cammino che viene richiesto al settore;
sicuramente ne manca ancora molto, ma partiamo da una base mol-
to solida, sia come settore che come percorso di transizione. Questo
vorremmo comunicare al decisore politico, quando fissa degli obiet-
tivi: non si parte mai da zero e non è mai opportuno fare un discorso
di sola sostenibilità ambientale, disgiunta dalla sostenibilità sociale
ed economica.
«Dopo circa vent’anni di attività con il consorzio Corepla, nel 2021 siamo arrivati a riciclare il 55% degli imballi immessi al consumo, e a raccoglierne nove su dieci, che in questo modo hanno avuto un fine vita diverso dalla discarica». Marco Bergaglio, Presidente di Unionplast.
Questo contestiamo ai discorsi relativi alla Plastic Tax italiana, o alla
Direttiva SUP e successive revisioni: la mancanza di un vero assessment
e di una base dati ampia e scientificamente verificata. Queste letture
superficiali finiscono per farci rinunciare a prodotti europei totalmen-
te sicuri e controllati, in grado di dare tutte le garanzie al consumatore
finale, per dare spazio a prodotti di importazione, non adeguatamente
verificati e non altrettanto capaci di fornire al mercato la stessa qua-
lità anche sulle fasi a monte e a valle della filiera. Per questo, a nostro
avviso si dovrebbe passare da un atteggiamento punitivo ad uno
propositivo; anziché imporre al settore divieti totali o tassazioni indi-
scriminate, bisognerebbe accompagnarlo con incentivi che conduca-
no ad obiettivi coordinati, proprio perché così sfidanti, capaci di met-
tere insieme la sostenibilità ambientale insieme con quella sociale ed
economica. E questo proprio perché siamo di fronte a sfide veramen-
te epocali. Da un lato infatti è del tutto necessario affrontare la que-
stione “litter” o peggio ancora “marine litter”, una gestione dei rifiuti
indiscriminata che vede ancora molti punti su cui lavorare. Dall’altro
però, se passiamo in rassegna le principali sfide globali, che sono ad
esempio sfamare la popolazione del pianeta, decarbonizzare l’econo-
mia, rendere più circolari tutti i materiali, sono certo che la plastica
possa dare un contributo positivo, anzi di gran lunga più positivo ri-
spetto alle conseguenze negative. Se, infatti, non possiamo più spre-
care neppure un grammo dei nostri alimenti, a partire dal grano, ser-
viranno imballi performanti e nessun materiale oltre alla plastica può garantire queste performance; se dobbiamo garantire le esportazioni
di prodotti made in Italy, la plastica è essenziale; se dobbiamo costru-
ire pannelli fotovoltaici e pale eoliche, o risparmiare acqua ed energia,
plastica e gomma sono ugualmente fondamentali. La plastica è fun-
zionale a tutti gli obiettivi di sostenibilità ecologica, economica e so-
ciale. Gli obiettivi della circolarità sono già nostri, e lavoreremo a tutti
i livelli per incrementare la quota di materiali riciclati e riciclabili. Biso-
«Con i necessari approfondimenti, è possibile passare dal concetto di “scarto=rifiuto” a “scarto=sottoprodotto”, con una sburocratizzazione e una più semplice facilità di reimpiego». Livio Beghini, Presidente di Assogomma
gna solo far emergere un approccio positivo e un atteggiamento
scientifico: e sono sicuro che le virtù di questo materiale, che ha così
grandemente contribuito al benessere del pianeta negli ultimi ses-
santa anni, lo potrà fare anche per i prossimi sessanta, e oltre».
… E SECONDO ASSOGOMMA
«Forse pochi sanno che quasi il 50% della gomma consumata nel
mondo è di origine naturale: si può ricavare da 2500 piante. Dunque è
un materiale esistente in natura, che viene coltivato prevalentemente
in Paesi subtropicali, quindi sud est asiatico, Africa, Sud America»
afferma il Presidente di Assogomma Livio Beghini. «Sono anche in
corso progetti di ricerca volti ad estrarre materia prima da altre piante,
ben note e coltivabili anche in climi temperati, come ad esempio il
guayule e il tarassaco. Questi esperimenti, già fatti in tempo di guerra
sia in Italia che in Germania, erano stati momentaneamente sospesi
per ragioni economiche ed anche per la ampia disponibilità di gomma
naturale ricavata dall’Hevea Brasiliensis. Oggi tornano alla ribalta,
anche in considerazione dei nuovi obiettivi di sostenibilità.
Nel caso del tarassaco, ad esempio, si parla di una pianta largamente
diffusa nelle nostre regioni, anche se come pianta selvatica. Questo
se si considera la gomma come materia prima. Se invece la prospet-
tiva è quella del prodotto finito, dobbiamo considerare sia gli articoli
a fine vita, sia il riutilizzo degli scarti di lavorazione. Questi ultimi, in
particolare, sono stati oggetto di una intensa attività di Assogomma
finalizzata a valorizzarli, ove possibile, come “risorse” invece che
smaltirli come “rifiuti”. Lo scarto può infatti dar luogo ad una materia
prima seconda impiegabile sia nelle produzioni dalle quali proviene,
sia in altre, di settore o meno. In altre parole, con i necessari approfondimenti, è possibile passare dal concetto di “scarto=rifiuto” a “scar-
to=sottoprodotto”, con una sburocratizzazione e una più semplice
facilità di reimpiego. Tutto ciò andando nella direzione del recupero di
materia, ovviamente nel pieno rispetto della legalità.
Ma ancora non è tutto perché anche i prodotti finiti possono rivivere
più volte prima di essere considerati rifiuti e ciò in pieno allineamento
con il concetto di circolarità. Un esempio per eccellenza è rappresen-
tato dal battistrada degli pneumatici per usi industriali che, dopo aver
raggiunto i limiti di legge relativi allo spessore, può essere riscolpito
così da prolungare la sua vita e, quando ha nuovamente raggiunto il
limite di legge, può essere ricostruito anche più volte previa verifica
dell’integrità della sua carcassa. Quando ha terminato le sue diverse
vite in servizio, può essere frantumato, recuperando le varie materie
con cui è costituito, che vengono riutilizzate come materia prima se-
conda. Questo è il caso sia della componente metallica che di quella
tessile ed anche di quella elastomerica, che può tornare a vivere in
numerose applicazioni, tra cui gli intasi per campi sportivi. Come dire
– prosegue il Presidente Beghini – un materiale naturale che torna in
natura sotto forma di intaso per erba artificiale». «Peraltro la sosteni-
bilità, intendendo per tale la recuperabilità, è sempre stata ben consi-
derata dall’industria della gomma, visto che si tratta di un materiale
strategico, la cui mancanza crea situazioni di criticità generalizzate.
Infatti lo sviluppo di tecnologie per il recupero risale addirittura ai
tempi della scoperta della vulcanizzazione della gomma (1820-25).
Sono passati quasi duecento anni e l’attenzione al recupero e riutiliz-
zo dei materiali è sempre la stessa. Del resto una materiale di valore,
con potere energetico paragonabile al petrolio, merita di essere riuti-
lizzato e recuperato e non trovare destinazione finale tra i rifiuti di una
discarica».
UNO SGUARDO ALLA SUPPLY CHAIN NELLE
MATERIE PLASTICHE
Vediamo, infine, qual è il riflesso di tutti questi fenomeni a livello di
supply chain. «Partiamo dall’acquisto della materia prima, che per il
settore della plastica è assolutamente determinante, dato che pesa
dal 40% al 60% del valore del bene finale, in alcuni casi anche di più»
risponde Marco Bergaglio. «Il fenomeno più evidente degli ultimi
tempi è stato il disallineamento fra il prezzo del monomero rispetto al
prezzo del polimero. Fra il 2020 e il 2022, e comunque rispetto allo
storico di settore, si è allargato quello che era il normale gap fra il
valore del monomero di base o commodity, che può essere etilene,
propilene, ecc., e i prodotti polimerici finiti, quali ad esempio polipro-
pilene, polietilene ecc. Poco gestibile fin dalle sue prime avvisaglie,
questo gap è andato aumentando fino a raddoppiare. Ora, l’industria
effettua i suoi acquisti di monomeri o sulla base di contratti a lunga
durata, oppure in modalità spot, comprando mese per mese. Nel
corso del 2021, i contratti annuali che andavano a scadere sulla materia prima, venivano rinnovati sulla base di un aumento molto impor-
tante dei prezzi base del monomero; i produttori potevano dunque
chiudere i contratti, ma dovevano poi tenere conto di una forte diffe-
renza di prezzo della materia prima. Per contro tutti coloro che, invece,
riuscivano a chiudere contratti spot, avevano magari accesso a quo-
tazioni più favorevoli, se in un determinato periodo questo divario di
costo risultava più compresso: dunque solo una parte di mercato
poteva beneficiare di questa riduzione. A noi la scelta: se chiudere
contratti a lungo termine ma con mark up molto importanti rispetto
alla norma, oppure stare alla finestra per vedere quello che succedeva.
Una situazione di estrema incertezza. Ma l’incertezza non fa mai bene
a nessuno».
«A questa tematica si è aggiunta quella della mancanza di materiali:
intorno alla primavera del 2021 era abbastanza generalizzata, oggi
invece si è ridotta di importanza relativa e riguarda molto più le spe-
cialties, rispetto alle commodities che invece sono tornate ad essere
normalmente disponibili. Ecco, di fronte al taglio degli ordini per ma-
terie prime che semplicemente non sono disponibili, temo che vi sia
poca strategia da fare. Ma anche dove la materia prima risulta più
abbondante, la strategia prevalente oggi è comunque quella di atten-
dere e di evitare di fare scorte eccessive. Come rilevato dal Centro
Studi Confindustria, stiamo assistentdo inevitabilmente ad un calo
della fiducia, dei consumi e degli investimenti, per effetto tra le altre
cose di una elevata inflazione, che non potranno che tradursi nel calo
delle quotazioni anche per le materie prime e in volumi di approvvigio-
namento più limitati».
Quale situazione, invece, lato logistica/distribuzione? «Il fronte più
problematico è sicuramente quello dei trasporti, non solo per l’aumen-
to del costo dei carburanti, ma anche per una questione di saturazione
dell’offerta e quindi mancanza di disponibilità. Non si trovano i servizi
di trasporto su gomma fra Italia e Francia, o fra Italia e Spagna, e
questo deriva anche da altri squilibri sulla supply chain: ad esempio,
a causa del caldo e della siccità, è diminuita la produzione agricola,
come anche la produzione di latte, dunque mancano le tratte di ritorno
su determinate direttrici. E di conseguenza aumentano drasticamen-
te i costi dei noli: non solo quelli che ci collegano con l’Asia, ma anche
quelli dei servizi più comuni. È difficile ragionare di supply chain
avanzata quando un servizio camion verso la Gran Bretagna può co-
stare fino a cinquemila euro».
«La situazione è complessa anche sul fronte dell’intermodalità ferro-
viaria, una soluzione che pure viene normalmente perseguita e incen-
tivata a livello di industria. Quella ferroviaria anzi è una delle modalità
oggi meno disponibili, non solo per fattori strutturali, come i lavori in
corso sulla rete ferroviaria fra Italia e Germania e per la saturazione
delle linee, ma anche qui per una questione di squilibri sulla supply
chain. Se calano i consumi, calano di conseguenza i treni diretti verso
l’Italia e in seconda battuta i ritorni verso l’estero.
La ricerca di alternative di trasporto è dunque un’attività costante.
Ecco che, per diverse ragioni – costi di trasporti che aumentano, di-
sponibilità che diminuiscono, costi dell’energia inferiori per le aziende
degli altri Paesi - l’industria italiana della plastica, che ha una sostan-
ziosa quota destinata all’esportazione, dovrà forse rivolgere una mag-
gior attenzione al mercato interno, che alla luce di questi fatti può ri-
sultare più competitivo». Quale dei tanti, in conclusione, è l’obiettivo più sfidante per la vostra
industria, dal quale vi aspettate il maggior ritorno in termini di valore?
«Sicuramente, la sfida più grande che abbiamo davanti è quella della
sostenibilità» conclude Bergaglio. «Qui si concentra tutto il percorso
dell’innovazione, e non solo l’innovazione relativa al prodotto, quanto
piuttosto l’innovazione relativa al processo e al progetto. Tutto il set-
tore si sta impegnando nel design for recycling, che significa snellire
le specifiche, diminuire il numero dei materiali necessari, utilizzare
materiali che hanno già un mercato a valle come riciclato, evitare il
ricorso a strutture complesse… Per esempio, anziché introdurre ma-
teriali appositi con funzione di barriera contro l’ossigeno, si possono
utilizzare delle laccature, più facili da rimuovere in fase di riciclo. In-
novazione organizzativa significa anche ripensare la raccolta differen-
ziata dei materiali: pensiamo ad esempio, nel mondo del beverage, ai
sistemi di deposito cauzionale per la gestione delle bottiglie. Tanti
investimenti saranno rivolti poi alla circolarità dei materiali, con tutti
gli impianti del caso - selezione, lavaggio, riciclo, compoundazione...
– per rendere i materiali adatti ad una seconda o a una terza vita.
Tanta innovazione insomma non riguarda solo i trasformatori in sé
ma anche tutti gli operatori che supporteranno la filiera del riciclo e
del fine vita, per i quali vi saranno opportunità importanti di sviluppo
e servizio a valore aggiunto».