La profezia dei 7 fuochi

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DOMINIQUE RANKIN E MARIE-JOSÉE TARDIF

LA PROFEZIA DEI 7 FUOCHI attraversare gli orrori della Storia e uscirne più forti


La profezia dei sette Fuochi



Dominique Rankin e Marie-JosĂŠe Tardif

La profezia dei sette Fuochi Attraversare gli orrori della Storia e uscirne piĂš forti

Traduzione di Elisa Sartori Copertina di Amritagraphic


Riceverete gratuitamente il nostro catalogo ed i successivi aggiornamenti richiedendolo a: Edizioni AMRITA - Casella postale 1 - 10094 Giaveno (To) telefono (011) 9363018 - fax (011) 9363114 e-mail: ciao@amrita-edizioni.com Seguici su: www.amrita-edizioni.com facebook.com/AmritaEdizioni twitter.com/AmritaEdizioni youtube.com/AmritaEdizioni instagram.com/AmritaEdizioni

Titolo originale dell’opera: On nous appelait les sauvages. Immagine di copertina: ©2007 daily.indianroots.com © 2011 Le Jour Éditeur, division du Group Sogides Inc., Montréal, Québec, Canada. © 2016 Edizioni Amrita, Torino. Tutti i diritti riservati. Ogni riproduzione, anche parziale e con qualsiasi mezzo, deve essere preventivamente autorizzata dall’Editore.


ai nostri lettori

I libri che pubblichiamo sono il nostro contributo ad un mondo che sta emergendo, basato sulla cooperazione piuttosto che sulla competitività, sull’affermazione dello spirito umano piuttosto che sul dubbio del proprio valore, e sulla certezza che esiste una connessione fra tutti gli individui. Il nostro fine è di toccare quante più vite è possibile con un messaggio di speranza in un mondo migliore. Dietro a questi libri ci sono ore ed ore di lavoro, di ricerca, di cure: dalla scelta di cosa pubblicare – operata dai comitati di lettura – alla traduzione meticolosa, alle ricerche spesso lunghe e coinvolgenti della redazione. Desideriamo che i lettori ne siano consapevoli, perché possano assaporare, oltre al contenuto del libro, anche l’amore e la dedizione offerti per la sua realizzazione. Gli editori



A mio figlio Mak8a-StÊphane e a mia figlia Sakapon-Geneviève



indice

Prefazione .............................................................................. 1 Nota di Marie-Josée Tardif, Oteimin Kokom ........................ 5 L’alfabeto algonchino ............................................................ 9 Prologo .................................................................................. 11 Cap. 1 Ickote kitcipison – “Le perle che raccontano la nostra storia” ................................................. 15 Cap. 2 Il primo Fuoco ...................................................... 23 Anicinape: l’uomo in armonia con la natura. ........ 23 Cap. 3 Il secondo Fuoco ................................................... 37 Kapiteotak: colui che si sente piangere da lontano. .......................................................... 37 Cap. 4 Il terzo Fuoco ........................................................ 49 La mia prima penna d’aquila ................................ 49 Cap. 5 Il quarto Fuoco ...................................................... 59 Bibbia e terra ......................................................... 59 Cap. 6 Il quinto Fuoco ...................................................... 69 La grande ferita ..................................................... 69 Cap. 7 Il sesto Fuoco ........................................................ 101 Sii fiero di ciò che sei ............................................ 101 Cap. 8 Il settimo Fuoco .................................................... 123 Guarito dalla politica e riconvertito alla natura .... 123 Cap. 9 L’ottavo Fuoco ....................................................... 137 La luce che dipenderà dalle nostre scelte .............. 137 Ringraziamenti ...................................................................... 153 Per saperne di più .................................................................. 155


Baia di James Nord-du-Québec

8askakanic

Niki k (Fiu 8atinibi me T t urge ik on)

i Sib na) na a ako ric An e Har um (Fi

ONTARIO

Ottawa

Québec Trois-Rivières Montréal

Regione Baie-James

Selbaie

Matagami Kakiscka8ak

Piakosatik Low Bush

Regione AbitibiTémiscamingue

Waswanipi

Lago 8alocik

Villebois

Lago Abitibi

Lebel-sur-Quévillon

La Sarre

F 8a iume 8akocik Pikogan ko cik Amos Matcite8eia (Punta dei Selvaggi) Saint-Marc-de-Figuery

Rouyn-Noranda Askik8ak (Isola Siscoe)

Val-d’Or

Regione AbitibiTémiscamingue


prefazione

Oggi più che mai, a novantasette anni, devo vivere uno alla volta i giorni che il Creatore mi concede! Mi preparo comunque a passare il testimone ai rappresentanti delle generazioni future, fra cui T8aminik1 Rankin, mio figlio spirituale. Nel corso degli anni, T8aminik è riuscito a superare i numerosi ostacoli che i nativi hanno dovuto affrontare; come quello, non piccolo, di essere stati a lungo considerati “i selvaggi”. Ho tenuto T8aminik in braccio quando era ancora piccolissimo, e abbiamo condiviso molte cerimonie sacre in presenza di suo padre, che era il mio migliore amico. Negli ultimi vent’anni, sono stato al suo fianco sul sentiero della medicina tradizionale amerindiana, e fra i molti insegnamenti che gli ho trasmesso, quello della cintura wampum, che descrive la profezia dei sette Fuochi, è sempre stato uno dei miei preferiti. Nel 1970 sono diventato il custode di tre cinture wampum, fra cui quella dei sette Fuochi, oggetti sacri che erano stati sotto la protezione di Pakina8atik, il padre del mio bisnonno. Da diverse centinaia di anni2, la profezia dei sette Fuochi è il cuore della tradizione orale dei miei antenati, ma è molto conosciuta anche da altre nazioni amerindiane come quella degli Ojibwe. La storia della vita di T8aminik, come quella di tutti i nativi americani, trova misteriosamente posto nella profezia. T8aminik è guarito dopo un lungo periodo di aperta e sistematica oppressione (inclusi gli eventi traumatici avvenuti nei cosiddetti “collegi 1 N.d.T.: la pronuncia e i simboli dell’algonchino sono spiegati poco più avanti. 2 Si pensa che la cintura wampum dei sette Fuochi abbia almeno seicento anni, sebbene la profezia in sé sia probabilmente ancora più antica.


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per indiani”3) che lo ha direttamente colpito, così come la sua famiglia e la sua comunità. Nel corso degli anni, T8aminik ha raccontato le profonde emozioni del suo sentiero di guarigione a tantissime persone, native e non, in Canada come all’estero. Sono stato testimone dell’energia inesauribile che T8aminik ha dedicato ai popoli nativi dell’America settentrionale, affinché fossero finalmente riconosciuti dal mondo intero. Padroneggia perfettamente l’algonchino e il cree, e se la cava piuttosto bene con l’inglese e il francese, per cui il suo lavoro si è orientato sempre di più verso progetti interculturali ed interreligiosi, nonché sulla tutela della cultura e della pace. Le sue conoscenze e la sua esperienza offrono una prospettiva unica a tanti progetti, in Canada e all’estero. Le sue cerimonie e le sue pipe sacre4, una delle quali gli è stata regalata proprio da me, hanno guidato e aiutato migliaia di persone: ci hanno ispirato ed incoraggiato a rispettare e onorare la Madre Terra e tutto il creato. Grazie al suo lavoro, la spiritualità e il retaggio della cultura amerindiana sono ancora celebrati, e le nostre tradizioni sono entrate a far parte della storia scritta dei popoli anicinapek. Sono convinto che molte persone troveranno nel suo esempio, nei suoi insegnamenti, e nella sua vita una grande fonte d’ispirazione. Inoltre, credo che sarete toccati dal messaggio 3 N.d.R.: i collegi per indiani, o “scuole residenziali per indiani”, furono fondati nel 1876 dal governo canadese, che ne affidò la direzione alle tre Chiese presenti sul suo territorio: la Chiesa cattolica, quella anglicana, e la Chiesa unita del Canada. La motivazione politica era di sottrarre i bambini all’influenza delle loro famiglie e della loro cultura, e assimilarli alla cultura canadese dominante. Il 30% dei bambini indigeni (circa 150.000) venne collocato in questi collegi, e il 42% di essi morì prima dei 16 anni. I collegi rimasero in attività per buona parte del XX secolo, e causarono enormi danni ai bambini autoctoni costretti a frequentarli. Essi furono allontanati di forza dalle loro famiglie, privati delle loro lingue ancestrali, sottoposti alla sterilizzazione, e molti subirono abusi sessuali da parte dei pedofili che facevano parte dello staff, o da altri studenti. (Fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Scuole_residenziali_indiane, consultato il 28.9. 2016). 4 N.d.T.: altrimenti dette “calumet”.


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dei sette Fuochi perché riguarda tutti gli abitanti della Terra, soprattutto in un periodo come questo in cui noi umani siamo chiamati a scelte cruciali, sia a livello personale che collettivo. Mik8etc5 a T8aminik per aver tenuto vivo lo spirito dei nostri antenati per il bene delle generazioni future. William Commanda6 Anziano algonchino Fondatore del Cerchio di tutte le nazioni

5 “Grazie” in algonchino. 6 “Nonno” William Commanda ha scritto questa prefazione un mese prima di lasciarci, e solo pochi giorni prima dell’uscita della versione originale del libro che avete in mano. È morto durante il sonno, all’alba del 3 agosto 2011. Aveva novantasette anni. Kitci mik8etc Comis! – “Grazie mille, Nonno!”



nota di marie-josée tardif

– oteimin kokom

Per molto tempo ho cercato la forma di scrittura più adatta per questo libro. Se mai avrete la fortuna di incontrare un giorno T8aminik, che ne è il protagonista, noterete che il francese non è la sua lingua madre. Detto questo, parla correntemente sette lingue e dialetti: l’algonchino (dialetto mami8inni), il cree, l’ojibwe, l’atikamewk, l’innu, il francese e l’inglese, elenco che rispetta la sua padronanza di queste lingue in ordine decrescente. Come a dire che se T8aminik vuole parlare francese, deve prima tradurre il suo pensiero che si sarà spontaneamente formato in algonchino. Avendo inoltre imparato il francese in Québec, trova difficile distinguere le espressioni tipicamente franco-canadesi dal francese internazionale, e se a questo aggiungete anche uno squisito senso dell’umorismo e i suoi talenti di narratore, il risultato orale sarà un amalgama linguistico a dir poco colorito e gustoso; unico, insomma! Dunque, se avessi optato per uno stile di scrittura fedele al “gergo” di T8aminik, questo libro sarebbe stato praticamente illeggibile. Perciò, ho optato per uno stile letterario, lasciando che le parole mi tornassero in mente nella mia lingua madre, ma facendo sempre del mio meglio per restare il più fedele possibile al messaggio di T8aminik. Dato che ho la fortuna di studiare con lui la medicina tradizionale amerindiana e il dialetto mami8inni, spero umilmente di contribuire, con ciò, a tradurre quello che i popoli amerindiani cercano di spiegare da secoli ai fratelli e alle sorelle non autoctoni. Ciò detto, questo libro si rivolge anche ai popoli delle “prime nazioni”, e non solo ai non nativi. Attraverso queste pagine,


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T8aminik ed io intendiamo far conoscere il punto di vista amerindiano sulla storia del Canada, ma soprattutto vogliamo trasmettere un messaggio di speranza a tutti coloro che si portano appresso le sofferenze del loro passato, individuale o collettivo, quali che siano le loro origini. La testimonianza che leggerete non potrebbe essere più autentica; solo alcuni nomi sono stati dissimulati o modificati per proteggere l’identità delle persone coinvolte. Abbiamo scelto di seguire lo schema interno della profezia dei sette Fuochi: ogni mattina, al sorgere del sole, sorseggiando un buon caffè davanti ad una finestra che dà sulla nostra splendida foresta laurenziana7, gli facevo domande sui vari argomenti che avrei affrontato nella stesura del libro durante la giornata. All’imbrunire, gli leggevo ad alta voce le nuove pagine (lettura e scrittura non sono il suo forte). T8aminik, allora, correggeva le imprecisioni e gli errori di ortografia in mami8inni, e se si sentiva ispirato arricchiva il testo con nuove idee. Se il vocabolario del libro è più elaborato rispetto a quello che T8aminik userebbe in francese, le idee, le immagini e gli insegnamenti di cui si parla sono proprio suoi e dei suoi antenati. Come moltissimi franco-canadesi “purosangue”, io sono in realtà di sangue misto: alcuni miei antenati francesi sposarono delle donne algonchine e micmac, e vado fiera di una mia antenata acadiana8 che nel Seicento osò sposare un nativo, cosa rarissima per una donna dell’epoca. Di solito, infatti, i matrimoni misti avvenivano fra uomini europei e donne amerindiane. Nella Nuova Francia9, queste unioni si basavano su due obiettivi a quel tempo considerati cause nobili: la conversione degli indiani al cattolicesimo, e l’incremento della popolazione della colonia. Poi, però, con l’avvento dell’epoca vittoriana, sposare un “selvaggio” o una “selvaggia” diventò progressivamente un 7 N.d.R.: la foresta mista laurenziana, o “North Woods”, fra il Canada e gli Stati Uniti, è composta da latifoglie e conifere, con specchi d’acqua che vanno dai laghi ad acquitrini e paludi. 8 N.d.R.: i primi colonizzatori francesi che nel XVII secolo si insediarono nella regione dell’Acadia, dando vita alla Nuova Francia. Sono in maggior parte francofoni e cattolici. 9 N.d.R.: la Nuova Francia era il nome di un’area del Nord America colonizzata dai francesi tra il Cinquecento e il Settecento.


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argomento tabù nella società del Québec, tant’è che molti nostri antenati dovettero nascondere, se non addirittura rinnegare, le loro origini amerindiane. Oggi, la nostra generazione rompe il silenzio, e, lentamente, riapre lo scrigno del tesoro. Forse è proprio grazie al mio sangue, in cui si mescolano il rosso e il bianco, che mi piace tanto costruire ponti fra gli esseri umani: è quello che mi riempie di soddisfazione mentre scrivo queste righe. So però che il primo ponte da costruire dovrà superare tutte le contraddizioni, i paradossi e le lacerazioni che esistono in ciascuno di noi. Marie-Josée Tardif – Oteimin Kokom, maggio 2011



l’alfabeto algonchino

Originariamente, la lingua algonchina non disponeva di un sistema di scrittura. Furono i missionari europei a darle forma scritta, basandosi su un alfabeto sillabico. All’epoca, la lettera “w” non faceva ancora parte dell’alfabeto francese, perciò, per rappresentare il suono “w” (come in Washington, o wind), i missionari scelsero di usare il simbolo “8”. Fra le varie regole di pronuncia algonchine, la lettera “t” può talvolta essere pronunciata come “d”. Quindi il nome Dominique in algonchino diventa T8aminik. In questo caso, il simbolo “8” serve semplicemente ad allungare il suono “a” che segue. Ecco la pronuncia di vocali e consonanti secondo il tradizionale alfabeto algonchino: - Vocali: a, e, i, o - Consonanti: p, c, t, k, n, s, 8, m, tc Lettere

Pronuncia

a

a

c

sc (come in “sci”) oppure j (come nel francese “je”)

e

é

i

i

k

k oppure g (che si pronuncia “gü”)

m

m

n

n

o

o oppure u


10

Dominique Rankin e Marie-Josée Tardif p

p oppure b

s

s (sia come in “salsa” che come in “cosa”)

t

t oppure d

tc

c (come in “ciò”)

8

w


prologo

Eccomi qui: appollaiato da tre giorni e tre notti su questa maledetta piattaforma del digiuno. Pitapan, l’alba, sta per spuntare all’orizzonte. Non ho quasi mai chiuso occhio durante la notte, e appena mi addormentavo non sognavo altro che piatti di pollo, di sardine, e ciotole stracolme di 8apos-8apo, la deliziosa zuppa di lepre che la mamma preparava spesso quand’ero bambino. Fra poco, sarà l’alba del quarto giorno di questa prova, che consiste nel restare per ventun giorni senza cibo né acqua, su una piattaforma di circa nove metri quadri costruita in cima ad un pino immenso, più che centenario. Carico meccanicamente la pipa sacra per la breve cerimonia del mattino. Prego, ma i pensieri mi trascinano mio malgrado verso ciò che mi disturba: «Perché continuo a sognare il cibo? Eppure, non è mica la prima volta che digiuno…» Effettivamente, è da almeno una settimana che non mangio: prima di salire sulla piattaforma, ho passato parecchi giorni a preparare il corpo e la mente per questo test finale, che, una volta superato, mi permetterà di entrare a far parte del cerchio degli Anziani. Le mie lamentazioni interiori continuano: «È la sete che mi dà del filo da torcere, e devo sopportare il freddo, la pioggia e il vento, e poi sono stufo di girare in tondo su questo trespolo…». Sono cinquant’anni che ho accettato il sentiero dell’uomomedicina. Cinquant’anni fatti di apprendistato, rinunce, cerimonie e iniziazioni di ogni sorta, da un capo all’altro del paese; ma, questa volta, credo proprio che i miei maestri l’avranno vinta: confesso che sono pronto a mollare tutto. Stamattina, questo luogo di potere, in cui non so quanti uomini-medicina hanno digiunato prima di me, non mi fa più né caldo né freddo. Non vedo neanche più la bellezza della fore-


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sta, e non mi sento più protetto dai sacchetti di tabacco colorati, né dalle piume, né dai teschi di animali appesi ai rami di questo albero maestoso, intorno a me. Nella solitudine di questo ritiro, lontano da tutto, anche dal suolo, sto soccombendo a ciò che mi perseguita davvero: il mio passato. Indebolito dalle privazioni alimentari e dai disagi fisici, non riesco più a relativizzare né a scacciare i ricordi. Persistono immagini e parole di un altro tempo: i giochi e le risate della prima infanzia passata nel cuore della foresta boreale; i molti insegnamenti ricevuti dai grandi; le lunghe escursioni in canoa con la famiglia, in cui paesaggi grandiosi ci sfilavano davanti agli occhi; la gioia di vivere a contatto con gli animali selvatici; le giornate intense, passate a respirare l’aria frizzante dei nostri inverni; il cielo stellato delle notti estive davanti al tepee… Poi, improvvisamente, rivedo i miei genitori ridotti all’impotenza, e le autorità che, senza alcuna pietà, scaraventano i bambini, fra cui me e i miei fratelli, su un autobus noleggiato dal governo; rivedo l’arrivo al “collegio dei selvaggi”, rivivo lo shock dei primi istanti in un universo privo di senso, in cui politicanti e preti benpensanti sperano di trasformarci in “bravi piccoli bianchi…” Rivedo vividamente i volti, sento ancora le parole dei missionari che ci spingono inesorabilmente in un abisso di follia collettiva in cui regna la legge del silenzio: per anni, in assoluta impunità, uomini e donne dalle lunghe vesti nere hanno violentato ogni parte di noi: la nostra cultura, la lingua, le credenze, il cuore, l’anima, la mente, e anche i nostri corpi. A dispetto di questi invadenti ricordi, la cerimonia della pipa mi calma e mi ricentra un po’. Mentre ripongo gli oggetti sacri, echeggia all’improvviso la voce di Tom Eagle ai piedi dell’albero: «Ki ki mino nipa na? Hai dormito bene?», mi chiede sarcastico, mentre si arrampica sulla scala di legno che porta alla piattaforma. Tom è un vecchio Ocip8e10 dal viso scavato e lo sguardo d’aquila; l’ho scelto come guida per questa iniziazione, e viene a trovarmi ogni mattina per verificare il mio stato fisico… e mentale. Si siede accanto a me, mi porge una pigna grossa come una banana, e mi ingiunge con voce gentile: «Minik8en mackii. Bevi la medicina». 10 Si pronuncia “ojibué”.


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Come ho fatto di tanto in tanto negli ultimi tre giorni, rompo la pigna in due e velocemente succhio il liquido che si nasconde al suo interno. Questa linfa ricca di vitamine sarà la sola fonte di nutrimento per tutto il periodo dell’iniziazione. A dire il vero ben presto non ne sentirò più il bisogno e solo raramente dovrò ricorrere a questo espediente da qui alla fine della mia permanenza in cima all’albero. Ad ogni modo, per il momento, vivo l’arrivo di Tom Eagle come rassicurante e aggressivo al tempo stesso. «Sei arrabbiato», constata dolcemente la mia guida. «Sì – rispondo, nascondendo malamente l’irritazione. – So cosa ti sei mangiato stamattina: sento l’odore del cibo che emana dal tuo corpo e dai tuoi vestiti! Sai di sasopok8ecikan!11» Dopo un breve silenzio, l’uomo-medicina riprende a parlare, scegliendo accuratamente le parole: «Sarò onesto: questa prova è tutt’altro che facile. Se ti rifiuti di affrontare ciò che ti tormenta davvero, i prossimi giorni rischiano di essere ancora più duri. Sai benissimo che per te il vero ostacolo non è né la fame né la sete, bensì l’accettazione». «Eppure, ormai ho perso il conto delle cerimonie a cui mi sono dedicato pur di riuscire ad accettare il mio anzi, il nostro passato! Credevo di aver voltato pagina». «Quando uno pensa di aver definitivamente voltato pagina, significa che un’altra parte della nostra storia è matura per la guarigione: questo vale sia per il singolo individuo che per una famiglia o una nazione. Non appena la mente si rende disponibile, facciamo la muta come i serpenti; possiamo allora iniziare una nuova fase della vita, con più libertà di prima. Fino a quando, un bel giorno, il passato e il futuro non hanno più alcun potere su di noi, e la nostra mente si apre alla bellezza del tempo presente». Tom Eagle si mette alle mie spalle e comincia a premermi con i polpastrelli la sommità del capo: ha intuito che sono alle prese con un gran mal di testa. Questo non gli impedisce di continuare l’insegnamento: «Non perdere mai di vista la cintura wampum dei sette Fuo11 Pane fritto amerindiano.


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chi. Gli uomini delle visioni dei popoli anicinapek12 hanno trasmesso questi insegnamenti pensando proprio ai figli del futuro, che, come te, avrebbero conosciuto le sofferenze della persecuzione e dell’ingiustizia. Anche questo era stato predetto, e sembra che anche gli eventi futuri confermeranno le predizioni. Tieni duro, ragazzo. Prima di tutto, è per le generazioni future che devi superare questa prova. È a loro che devi pensare». Le sagge parole della mia guida mi offriranno materia di riflessione per i giorni seguenti. Tom ha ragione. Perché mai dovrei stupirmi di quello che i giovani nativi, come me, hanno dovuto subire dietro alle porte chiuse dei collegi indiani? In realtà, già da tantissimo tempo i nostri popoli erano stati messi in guardia sui pericoli che sarebbero scaturiti dall’arrivo della razza bianca. Secoli or sono, ben prima che i vari Cristoforo Colombo, Giovanni Caboto e Jacques Cartier13 mettessero piede in America, sette profeti anicinapek avevano predetto che l’incontro fra queste due culture sarebbe stato determinante, e che avrebbe potuto condurci alla rovina. Sapevamo anche che dopo infinite prove si sarebbe profilata all’orizzonte una grande rinascita, capace di riconciliare tutti, e permetterci di formare un’unica, grande famiglia fondata sul rispetto e la condivisione. La notte più buia dei popoli nativi del Canada si è conclusa con l’abolizione dei collegi indiani alla fine del Novecento. Quando ne sono uscito, eravamo all’inizio del quinto Fuoco della profezia, e affinché il sesto e settimo Fuoco possano realizzarsi, e per il bene di tutte le generazioni future, sono pronto a fare la mia parte e a guarire di più.

12 Pronunciato “aniscinaabek”. Gli Algonchini e gli Ocip8e si autodesignano collettivamente come Anicinapek. Il singolare anicinape si pronuncia “aniscinaabé”, e per formare il plurale si aggiunge il suono “k” alla fine della parola. 13 N.d.R.: la scoperta del Canada, attribuita al navigatore italiano Giovanni Caboto (1450-1498), è contesa da Jacques Cartier (1491-1557), esploratore francese.


capitolo

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Ickote kitcipison – “Le perle che raccontano la nostra storia”

Quando mi è stata rivelata la profezia dei sette Fuochi, avevo circa trent’anni. All’epoca, la cintura wampum che illustra questi insegnamenti molto antichi era appena stata affidata al migliore amico di mio padre, Comis14 William Commanda, che sarebbe poi diventato anche la mia guida spirituale principale. Questa cintura di perle fu creata nel Quattrocento, forse anche prima. La profezia che racconta è invece molto, molto più antica. Sin da un’epoca lontanissima, ben prima dell’arrivo degli europei sul nostro continente, questa profezia è sempre stata trasmessa da una generazione all’altra di Algonchini e di Ocip8e, una nazione “sorella” con cui condividiamo la lingua e lo stile di vita. In passato, la protezione della cintura wampum dei sette Fuochi era stata affidata al trisnonno di William Commanda, sicché il nonno e il padre avrebbero dovuto trasmettergliela. Tuttavia, c’è stato un periodo in cui le autorità religiose del 14 Ossia “nonno spirituale” (pronunciato “shumiss”).


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Québec consideravano quest’oggetto e il messaggio che contiene come qualcosa di sovversivo, perciò la cintura venne tenuta nascosta per moltissimi anni da altri Anziani, che potevano anche vivere molto lontano. Nel 1970 la preziosa cintura wampum ritornò a Kitigan Zibi, nella regione di Maniwaki, e Nonno William ne diventò il custode ufficiale. Circa dieci anni dopo, egli sentì che era giunto il momento di rivelarne l’esistenza e di condividerne gli insegnamenti con tutte le altre nazioni. A metà degli anni Novanta, William Commanda incontrò Nonno Eddie Benton-Banai, originario della riserva Ocip8e del lago Courtes Oreilles, nel Wisconsin. Mentre era di passaggio nell’Ontario, l’Anziano tenne una conferenza sulla profezia dei sette Fuochi. Comis William ci andò, e fu stupito della somiglianza fra gli insegnamenti dei suoi antenati e quelli di questo Anziano arrivato da così lontano. Alla fine della conferenza, mostrò la cintura wampum a Nonno Eddie, e disse: «È questa la cintura di cui parli?» Era la prima volta che Eddie Benton-Banai entrava in contatto con questo oggetto sacro, e ne fu profondamente toccato. L’Anziano confidò a Comis William di aver ricevuto la storia dei sette Fuochi in una visione, e di averla messa per iscritto. Nonno William apprezzò da subito questo testo, perché conteneva l’essenza degli insegnamenti che ci erano stati trasmessi dalla nostra tradizione orale, e da allora in poi condivise volentieri questa versione scritta della profezia con chiunque volesse ricevere gli insegnamenti della cintura wampum. Ora, a mia volta, sono felice di condividerla con voi. Oggi, sempre più persone di tutte le nazioni s’interessano alla profezia dei sette Fuochi che tuttavia nella mia lingua è chiamata Ickote kitcipison. Ickote significa “fuoco”, e kitcipison descrive un insieme di perline di madreperla che, unite fra loro, danno forma ad una data immagine, come tante perle di saggezza che costituiscono un insegnamento dal valore inestimabile. Ecco cos’è una cintura wampum: è un messaggio visivo che può suggellare un patto di alleanza o aiutarci a capire meglio un dato aspetto della natura umana e quali sfide deve affrontare. Nella nostra tradizione la scrittura non esiste. Abbiamo sempre privilegiato l’insegnamento attraverso l’esempio, perché le


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azioni toccano l’uomo molto più profondamente delle parole. Il custode e detentore dei messaggi contenuti nella cintura wampum, dunque, non solo doveva conoscerli a fondo, ma anche, e soprattutto, averli ben compresi e messi in pratica, così da assicurarne la continuità. Fra tutti i nostri oggetti sacri, il kitcipison è il più raro e il più importante. Il portatore della cintura wampum è stato riconosciuto dai suoi pari degno di proteggere gli insegnamenti più preziosi della sua nazione, il che ci dice subito che siamo di fronte ad una persona dalle qualità eccezionali. William Commanda, la mia guida spirituale, è portatore15 di quattro cinture wampum. In pratica, a nessun altro uomo-medicina contemporaneo sono mai state affidate così tante responsabilità spirituali. È un onore, ed un immenso privilegio, quello di essere uno dei suoi allievi più stretti. Quando William ci rivelò la cintura per la prima volta, mio padre, che mi stava guidando sul sentiero della medicina, era ancora vivo. A quel tempo, Comis William invitava spesso gli Anziani delle varie nazioni a degli incontri spirituali riservatissimi: si svolgevano a casa sua, nella riserva indiana di Kitigan Sibi, nell’Outaouais. Quel giorno accompagnavo mio padre come suo apprendista: eravamo una ventina di uomini-medicina seduti intorno al fuoco sacro che ci scaldava il cuore. Accanto a noi si estendeva il lago Bitobi, le cui acque tranquille erano appena increspate dalla brezza autunnale. Seduti in cerchio su un letto di rami di abete appena raccolti, e su cui avevamo posato i nostri oggetti sacri, ci stavamo preparando ad ascoltare una storia fantastica. Dopo una breve cerimonia delle pipe sacre, William srotolò il pezzo di stoffa che proteggeva la cintura, poi, delicatamente, sollevò il prezioso oggetto affinché tutti potessimo vederlo. In tutte le cinture wampum, le perle che formano la trama di fondo sono viola, mentre l’immagine principale è fatta di perle bianche. In questo caso, la rappresentazione era molto semplice: otto rombi messi in fila uno di fianco all’altro. I due rombi centrali, però, si sovrapponevano a formare un unico simbolo. 15 N.d.R.: come avete letto nella prefazione, questo libro è stato dato alle stampe poco prima che William Commanda morisse, per cui se ne parlerà sempre al presente.


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Eravamo calmi e attenti, e Comis cominciò a raccontare la storia dei sette Fuochi. Ogni Fuoco è un insegnamento lasciato in eredità da un Anziano, e questi sette Anziani avevano avuto una visione che aveva mostrato loro quello che i popoli anicinapek avrebbero dovuto affrontare nel corso della loro storia. Ogni Fuoco corrispondeva a un’epoca del futuro. Le visioni degli Anziani avevano descritto il tempo benedetto in cui i nostri popoli avrebbero condotto una vita felice, in perfetta armonia con la natura, e predissero anche l’arrivo dell’uomo bianco sulle nostre terre, mettendoci in guardia sui pericoli che avremmo corso, perché dietro il sorriso dei bianchi si sarebbe potuto nascondere il volto della morte. Tuttavia, essi profetizzarono anche che, dopo un lungo periodo di sofferenza, la nostra gente avrebbe conosciuto un vasto movimento di rinascita, e che un’ondata di riconciliazione avrebbe toccato tutte le nazioni. Ero impressionato, e anche incuriosito. Come avevano fatto gli Anziani a mantenere vivi i loro insegnamenti e a trasmetterceli intatti? E soprattutto, come avevano potuto predire il futuro con tanta precisione? Quando Nonno William finì di raccontare la storia, il bastone della parola cominciò a circolare di mano in mano. A turno, tutti i membri del gruppo furono invitati ad esprimersi. Un Anziano disse: «Ickote kitcipison parla di un tempo in cui i nostri popoli conducevano una vita semplice ma piena di gioia, in cui Matci manto, lo Spirito malato, non esisteva. Tutto era puro. I miei genitori e i miei nonni mi avevano raccontato di come fosse facile cacciare, tanto le foreste erano ricche di selvaggina. Non c’era bisogno di fare chilometri e chilometri per trovare qualcosa da mangiare. Tutti gli uomini erano i custodi del loro territorio, e sapevano prendersi cura della natura: gli animali, i pesci e gli alberi e le altre piante erano sani, e gli uomini vivevano a lungo». Il discorso era stato pronunciato senza i toni amari dell’accusa o del rimpianto: dalle parole del vecchio algonchino trapelava solo una punta di malinconia. Il bastone cambiò di mano e un altro uomo-medicina parlò con voce pacata: «A quel tempo non eravamo cacciatori. Eravamo anoki8in-


La profezia dei sette Fuochi

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ni, uomini fieri che portano a casa il cibo. Prendevamo ciò che il Creatore aveva messo sulla Terra per permetterci di vivere; non uccidevamo l’animale, gli chiedevamo la sua vita, il che è molto diverso. Nessuno avrebbe mai immaginato che un giorno si sarebbe potuto vendere un animale per la sua pelliccia, o addirittura arrivare al punto di sterminare un’intera specie senza nemmeno riflettere sulle conseguenze. Dov’è l’equilibro in questa visione della vita?» Quando il bastone arrivò a me, espressi tutta la gioia di aver scoperto questa profezia, e di sentir parlare del fuoco in questi termini. All’epoca la mia guarigione non era ancora avvenuta: avevo lasciato il collegio indiano da circa vent’anni, ma vacillavo ancora, indeciso fra le influenze della modernità e le radici più stabili della filosofia anicinape. Dissi: «Mio padre mi ha insegnato ad amare il fuoco. Il fuoco ci nutre. Il fuoco danza e canta. Quando si impara a osservarlo e ad ascoltarlo, ci ispira e ci parla. Mi piace molto il fatto che la profezia parli del fuoco in questo modo. I missionari, invece, mi hanno insegnato ad avere paura del fuoco: ci mostravano un sacco di immagini di demoni bruttissimi, con tanto di corna e barbetta. Il diavolo infilzava gli esseri umani con un forcone, e poi li scaraventava in mezzo alle fiamme dell’inferno, dove uomini e donne bruciavano per l’eternità. Non ho ancora capito bene se bisogna avere paura del diavolo oppure no». Poi, passai il bastone all’Anziano seduto alla mia sinistra, che reagì alle mie parole rivolgendosi al gruppo: «Prima dell’arrivo delle vesti nere nei nostri territori, i nostri popoli e la natura godevano di buona salute. Oggi, invece, non possiamo più usare la farina di canna come facevamo in passato per preparare il pane, perché i laghi e gli stagni stanno soffocando; le bacche non hanno più le virtù di un tempo, e non possiamo più usarle per tingere i vestiti; le donne non osano neanche più lavarsi il viso con l’acqua dei fiumi… Non avete ancora capito chi è il diavolo? Beh, ve lo dico io: diavolo è colui che con il suo sapere e la sua sete di dominio ha portato la distruzione. Avremmo dovuto guardare oltre la veste nera, perché troppo spesso il cuore era delle stesso colore. L’uomo dal cuore malato ha fatto nascere il male fra di noi». A mano a mano che assimilavo questi insegnamenti, inco-


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Dominique Rankin e Marie-Josée Tardif

minciavo a vedere il mio passato e le mie origini sotto una nuova luce. Mi tornavano in mente i libri che avevo letto da bambino sulla storia del Canada e le illustrazioni piene di violenza che ci avevano mostrato i missionari del collegio: indiani che scotennavano i visi pallidi, oppure che appendevano dei gesuiti sopra ad un falò, o li scuoiavano vivi. Un giorno avevo rubato uno di quei manuali scolastici per provocare mio padre durante le vacanze estive: «Mi hai mentito! – gli avevo detto con disprezzo. – In questo libro si vedono sempre i capi che uccidono i bianchi. Tu sei un capo. Perché non mi hai mai parlato di tutti questi crimini?» Dopo aver sfogliato ogni pagina del libro, il mio povero papà era rimasto a lungo in silenzio. Non sapeva leggere, ma comprendeva comunque il significato delle varie illustrazioni della Storia del Canada. Gli insegnamenti del passato che ci erano stati trasmessi dalla nostra gente non avevano nulla a che vedere con tutto quel sangue e quelle battaglie. Mio padre non ci capiva più nulla.

❖ Fino al famoso giorno in cui mi venne mostrata la cintura e mi fu rivelata la profezia dei sette Fuochi, non ero stato affatto sicuro che fosse un bene essere stato scelto come successore di mio padre, e quindi come capo tradizionale e uomo-medicina. Certo, avevo cominciato a fare pace con la terribile prova del collegio, e accompagnavo volentieri mio papà alle cerimonie e agli incontri con gli Anziani, ma il mio futuro mi sembrava ancora molto vago. A proposito del ruolo di un uomo o una donna-medicina, il nostro popolo aveva finito per coniare il termine mantoke, ad indicare chi lavora con gli spiriti maligni: un concetto mai sentito prima da gente come mio padre, la cui visione non era così torbida come quella delle nuove generazioni, avendo vissuto molto tempo con gli Anziani. Capivano benissimo la portata e la profondità della nostra medicina, il cui obiettivo è stimolare o ristabilire il corso naturale della vita nella mente e nel corpo, nel caso in cui uno dei due sia stato destabilizzato. Tuttavia, con l’avvento dell’evangelizzazione, le credenze si erano trasforma-


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te notevolmente e molti di noi avevano cominciato a vedere il mantoke come un personaggio bizzarro, uno “sciamano”, uno stregone. Proprio per questo motivo, quando avevo trent’anni, non osavo parlare del mio retaggio se non all’interno del cerchio degli Anziani. Temevo che gli altri Anicinapek mi prendessero per matto, e avevo paura di essere giudicato. Gli insegnamenti della cintura wampum mi hanno progressivamente inculcato una nuova prospettiva, riavvicinandomi alla verità della mia storia, della mia cultura e delle mie credenze. La profezia dei sette Fuochi descrive un’epoca in cui eravamo in simbiosi con la natura, seguita poi da un moto di distruzione della Madre Terra e degli umani. In seguito racconta degli uomini, sprofondati nella sofferenza, e di come potrebbero rimettere le cose a posto da soli. Ancora oggi questa profezia m’illumina, mi fa coraggio e m’ispira la miglior via da seguire. In quest’epoca nuova, dove guerre e catastrofi naturali sono sempre più frequenti, e in cui, contemporaneamente, si incomincia ad ascoltare la voce degli Anicinapek un po’ dappertutto, constato che i sette Fuochi possono far luce sul sentiero di tutte le nazioni. Siccome siamo ormai entrati in una fase delicata e il messaggio di Ickote kitcipison riguarda tutti gli abitanti della Terra, Nonno William ha sentito il bisogno di trasmettere i suoi insegnamenti non solo oralmente come vuole la tradizione, ma anche per iscritto; mi ha dunque esortato a scrivere questo libro, che vi offro grazie all’aiuto prezioso di Marie-Josée Tardif, giornalista e apprendista donna-medicina, altrimenti detta Oteimin Kokom.


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